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Marco Bava è un economista, consulente finanziario e spesso attivo nel panorama italiano come esperto di economia e finanza. È noto per le sue opinioni critiche su temi come la gestione della finanza pubblica italiana, le banche e la situazione economica generale del Paese. Inoltre, in passato è stato coinvolto in varie iniziative politiche e civiche, dove ha cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica su questioni legate alla trasparenza economica e alla gestione del debito pubblico.

 

Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

La gangster
che si fece
suora

pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori». Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore. Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo, aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta», disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura. Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente, simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla».
Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo, mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa, sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta. Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre, Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica, la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...», ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà, quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina, ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano a perdere.

 

 

 

 

 

 

TO.03.02.23

 

Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera

Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella

Ill.mo Presidente del Senato

Ill.mo Presidente della Camera

Ill.ma Presidente del Consiglio

 

In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 , Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .

L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione; inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al 31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo 135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del 1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola, sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che  l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare, all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto, chiuse ai risparmiatori,  con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto  alla partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di incontri diretti privati e riservati con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.

Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato questo restringimento dei diritti costituzionali ?

Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di Tesla.

La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno finito per plasmare il diritto societario americano.

Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School. Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come Tornetta.

Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno fatto gli avvocati nel caso Musk.

Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava a Musk.

Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i rapporti con Wall Street.

Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.

"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella votata da maggioranza e Pd.

Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6 commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti per ragioni pandemiche nel 2024 ?

La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi, il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo 135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF. L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita, senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto, le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n. 11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo 135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo 106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione della specifica condizione del rappresentante designato dalla società, esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato, introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario, ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies, comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze, dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.

L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha ignorato. Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo 135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima della stessa, quando le informazioni richieste s

 

iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi : dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid,  con il rappresentante pagato , che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.

Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3 della Costituzione,  contro la democrazia e trasparenza societaria , cos’e ?

Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una classe dirigente qui’ palesemente opaca.

Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo oggi, forse,  e’ diventato di coscienza comune ,  anche se a me e’ costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo, silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.

Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto direttamente.

 

UNA ATTUALIZZAZIONE DEL:

DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero, sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! » (Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori – Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». —

 

 

 

LO SFASCIO DI JAKY-MARCHIONNE:

 

https://www.la7.it/100minuti/rivedila7/100-minuti-autostop-30-04-2024-539867

 

Cara Giovanna Boursier

Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .

La storia della targa della Ferrari Testarossa  grigia cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche' mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso' Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari  in uso direttamente da Enzo Ferrari.

Chi sta chiudendo la Marelli e'  KKR che vorrebbe comprare la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando fu venduta da Gardini ad Eni.

A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.

Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono cambiati.

Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5 richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.

Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare concorrenza a Porsche  che investe da 50 anni ! 

Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto assistere !

La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete dimenticata tutti ?

Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato condannato piu' volte Marchionne ?

Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo hanno capito.

Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da Marchionne e realizzato da Jaky  investendo tanti soldi .

Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.

Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,  mi soprannominò in pubblico Mark Spitz,  per comunicarmi che sapeva tutto .

Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi , con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a MARGHERITA hanno dato l'1%.

Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.

Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi . Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di Mondovi, Bausone non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo l'omicidio di Edoardo.

L'ex Bertone finirà come Termoli.

IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse uscira'.

La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200 metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera economia nazionale, produzione auto compresa che allego.

Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello di Jaky per me e' a voi noto :Griva.

Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,

Buon lavoro.

Marco BAVA

 

"L'Avvocato voleva adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"

Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark, giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino "L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica" subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra. Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti i familiari, anche da lei».

NON E' VERO : EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa, Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che, se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di governare come fa oggi».

Si perché perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita ed il 25% Jaky 20% . Mb

 

 

 

 

 

TAVARES E  JAKY NEL 23

 

Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […] dai manager del gruppo.



A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518 volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta attuando massicci piani di esuberi […].



[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma fortemente simbolico.

 

 

IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU  PIAZZA LIBERTA', il programma di informazione condotto da Armando Manocchia,  su BYOBLU CANALE 262 DT CANALE

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

https://www.youtube.com/watch?v=ej0LPowV9YI

 

OSSERVAZIONI

  1. IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE VIAGGI ERA LUCA GAETANI
  2. EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI SUOI DIRITTI EREDITARI
  3. NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA GARAVICCHIO.
  4. INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
  5. I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E MARGHERITA .
  6. DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
  7. L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA NON GLIELO PERMETTEVANO.
  8. NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
  9. LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
  10. LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.

 

 

GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?

L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO RISCHIA DI CROLLARE TUTTO

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”

È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera, dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia: per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto, permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle indagini.



1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel 2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio. Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media, oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”. Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo dell’impero Agnelli.



2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.



3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […] sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno […] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia. Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio della nonna.

4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio, la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le firme.



5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo, all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza? Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a “membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola, aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”, la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.


2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE

Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”

IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME

Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia, che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.

Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia: la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.

Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di Stellantis ed editore del gruppo Gedi.

L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2 miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8 milioni di euro (3,8 milioni di tasse).

Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla. Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […] ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.

Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe controfirmate.

Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen, villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese mediche coprivano il solo mese di agosto. […]

GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri). Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre contestato la ricostruzione di Margherita.

 

 

DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:

Margherita Agnelli vuole costringere per via giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).

Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila, sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte (60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).


[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del testamento della madre».



E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante». A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».

Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i «mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a restituire i beni dell’eredità del padre».



La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le donazioni anche «indirette e dissimulate».



JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO

Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia «effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John per (...) circa 3 miliardi».



John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel 1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso — tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al 60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.

 

«La costruzione di una residenza estera fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato «all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato: «truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle entrate)».

Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli: «Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella Caracciolo».

Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John, Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015 la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi», contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».

 

Un secondo "round" si è combattuto ieri davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.



I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.



La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte dell'anno.

Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti, governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che «assisteva di fatto Marella Caracciolo».


A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7 febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe dovuto "nascondere"».



In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui «giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è deceduta.


Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece, gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella, con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.



Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto «vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore. L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto.

Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza, si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]

EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'

Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA

Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne aveva l'usufrutto.



E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.

L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi, persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.

Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua copia nella pinacoteca di via Nizza.

Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e. (Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una perizia che ne ha acclarato l'autenticità.



Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che "i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue) non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la proprietà.



Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione. Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione, quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.


FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il Fatto quotidiano”



Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova dell’avvocato, Marella Caracciolo.



Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.

Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una “inesistente residenza svizzera” della nonna.



Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.



Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.



Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio 2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a 8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.

Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta, Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere tra madre e figlia nel 2004.



Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove si trovi.



I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico, ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi, aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada nell’appartamento romano dell’avvocato.

“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli. “Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.

[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge […]
 

 

 

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento e' andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018)

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

Dopo 60 anni il danno del Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare, giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)

 

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

email

 

 

Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI  , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

 

17.12.23

Il Sole 24 Ore:
 

La Giovanni Agnelli Bv ha deciso di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […] identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici. Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75 anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi). Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.


Questa la nuova struttura societaria della
Giovanni Agnelli Bv per quote di possesso.

Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%

Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%

Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%

Ramo Giovanni Nasi: 8,7%

Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%

Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%

Ramo Susanna Agnelli: 4,7%

Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%

Ramo Emanuele Nasi: 2,5%

Ramo Clara Agnelli: 0,28%

Azioni proprie: 8,2%

 

Dovranno andare avanti le indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent, Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa, gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo «riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che, quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno» compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann, come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare - sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della Dicembre», la società che fa capo agli eredi.

 

 

Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air

Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.

Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
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pura informazione.

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http://it.wikipedia.org/wiki/PSA_ES_e_Renault_L7X

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www.foia.it x la trasparenza

http://www.lingottoierieoggi.com la storia del lingotto

www.ipetitions.com PETIZIONI

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http://www.comune.torino.it/ambiente/bm~doc/report-siti-procedimenti-di-bonifica_informambiente.pdf AREE EX SITI INDUSTRIALI TORINESI DA BONIFICARE

 

 

 

 

 

ULTIMO AGGIORNAMENTO 16/02/2025 00.51.57

 

 

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,47-54

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca

 

 

PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E    Alexei Navalny IN PARADISO 

In linea con l'omicidio di Gesu' Israele continua ad uccidere e dal patto con DIO e' passata a quello con satana.

PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO MATTEOTTI PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI

 

 

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LA VERITA' SULLA FIAT E LA FAMIGLIA AGNELLI,  PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA VERITA':

  1. GABETTI, GRANDE STEVENS, DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.

  2. L'AVVOCATO ED UMBERTO NON HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.

  3. GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA MARELLA CON JAKY hanno danneggiato  la FIAT.

  4. GIANNI AGNELLI FREQUENTAVA BOBBIO , YAKY ELON MUSK.

  5. CARO YAKY GESU' AVEVA AUTOREVOLEZZA NON AUTORITA' ed il fatto che citi piu' spesso Marchionne che tuo nonno dimostra quanto poco avevate in comune.

 

LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

- messa commemorazione 15.11.25 Chiesa S.MARIA GORETTI TORINO V COSSA ang V.ACTIS

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

 https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pgSdXDIwzmDgGSLkE

 

COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

 

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

 

RINVIO GIUDIZIO TRIBUNALE ROMA DI ANDREA AGNELLI 2024

RINVIO AA 24

 

 

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI  FIAT.  OLIVETTI, PININFARINA, BUZZI...

Libro Mb

LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

TESI SEN AGNELLI

VEDETE  COME LAVORA UIBM   CHE MI HA BLOCCATO OGNI ATTIVITA' MENTRE CON EUIPO RIESCO A LA LAVORARE NORMALMENTE  

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

Presentazione del libro “JUVENTUS SEGRETA”, autore Gigi MONCALVO

Martedì 5 marzo, alle ore 18, nella Sala Musica del Circolo dei Lettori di Torino

VIDEO:

https://youtu.be/jfPFSm35_W0

ALTRI VIDEO SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI :

 

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

 

 

TO.10.07.24

 

Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali

  • E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
  • Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho imparato l’ economia industriale  dal prof Goss Pietro.
  • Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con Gianni Agnelli.
  • L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia esperienza  formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino. Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame da dottore Commercialista  che poi supero a Roma.
  • A 30 anni proposi a Gianni Agnelli  superFIAT, LA FUSIONE IFI FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri , con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
  • Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo, ma Morchio si oppose .
  • Muoiono Edoardo Agnelli  Gianni Agnelli  e Umberto Agnelli ,  Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne  che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a  Yaky la sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la produzione negli stabilimenti italiani.
  • A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA programmando il più importante stabilimento europeo di elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da  SNAM dopo che se ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la produzione  delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte , che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono visioni strategiche.
  • Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO ispirando l’art.11 fascista del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
  • Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del paese che avete illustrato ?
  • Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento regionale e nazionale ?
  • Qual’e’ il fine ?  il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni fa Grande Stevens ?
  • La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse ,  sono stato aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
  • Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete d’accordo ?                                      

Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :

  1. soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
  2. amava la boxe
  3. quando aveva una influenza si curava con la penicellina

Sul prof.GP posso invece ricordare:

  1. che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
  2. che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo
  3. IL GIUDIZIO SPREZZANTE DEL PROF.GROSS PIETRO:

  GP2

                                                                                                    Mb

 

15.02.25
Signor Presidente Sergio Mattarella
La invito a continuare a fare le sue denunce indipendenti e libere per sollevare le coscienze contro ogni  dittatura. 
Sono con Lei sempre .
Marco BAVA

 

La soddisfazione del Quirinale per la solidarietà unanime, se si voleva dividere l'Italia non ha funzionato
Il presidente "assolutamente sereno" Storia di un rapporto freddo con Putin
«Assolutamente sereno». Cioè convinto di aver detto una sacrosanta verità. Se potesse tornare indietro di dieci giorni e ripetere la sua «lectio magistralis» all'università di Marsiglia, Sergio Mattarella pronuncerebbe lo stesso identico discorso, compreso il passaggio che ha scatenato l'ira del Cremlino. Fonti del Quirinale rimandano alla lettura esatta del testo dove non c'è alcuna equiparazione di Vladimir Putin con Adolf Hitler. Vi si parla semmai delle «guerre di conquista» condotte dal Terzo Reich, con la chiosa che «l'odierna aggressione russa è di questa natura»: risponde anch'essa al «criterio della dominazione» sugli altri popoli. Per quanto severo, quel richiamo storico non è un'«invenzione blasfema», come la definisce Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo; né Mattarella propone «inaccettabili e criminali analogie». Tra l'altro il presidente italiano era stato l'unico, tra i tanti capi di Stato e di governo che il 27 gennaio avevano celebrato l'anniversario della liberazione di Auschwitz, a segnalare che i primi a mettere piede nel lager nazista furono i fanti dell'Armata Rossa. Ma di questo riconoscimento a Mosca non si sono accorti.
Mattarella viene descritto «sereno» anche per un altro motivo: con l'eccezione di Matteo Salvini, guarda caso, la solidarietà politica è stata unanime, addirittura più estesa di quella registrata nel decennale della sua presidenza. Agli osservatori più maliziosi non era sfuggito il silenzio dei Fratelli d'Italia che si erano dimenticati di congratularsi per l'anniversario; stavolta invece la destra meloniana ha fatto sentire al capo dello Stato una vicinanza perfino al di là delle aspettative, con dichiarazioni a raffica: segno di quanto Giorgia Meloni ci tenesse a dare un sostegno sicuramente apprezzato. Lei stessa ha voluto fare scudo a Mattarella nonostante vi avesse subito provveduto il capo della nostra diplomazia, Antonio Tajani (che rispetto alla Zakharova, portavoce ministeriale, rappresenta già un significativo upgrade). Insomma: se l'obiettivo russo consisteva nel seminare zizzania in Italia, l'effetto è stato un buco nell'acqua. Il ruolo del Colle ne esce, se possibile, rinvigorito.
Quanto ai rapporti tra Mattarella e il Cremlino, certe asperità non sono nuove. L'estate scorsa il presidente aveva messo in guardia rispetto alle «tempeste di disinformazione, fake news, falsità per screditare e destabilizzare anche nel nostro Paese»; Putin non era espressamente citato ma tutti, dietro quel richiamo, avevano intravisto la sagoma del nuovo Zar. Mattarella stesso è stato più volte bersaglio della disinformazia che viaggia sul web, in particolare nella notte tra il 27 e 28 maggio 2018, quando i troll si svegliarono a centinaia per chiedere l'impeachment del presidente nel cosiddetto «caso Savona»; gli inquirenti seguirono una traccia che portava a San Pietroburgo. E risalendo nel tempo, le prime freddezze tra Mattarella e Putin risalgono al loro primo incontro del 2017 a Mosca, parlando proprio di Ucraina e dell'invasione russa nella Crimea con conseguenti sanzioni dell'Occidente. Il presidente russo voleva spiegare a Mattarella quale fosse l'interesse italiano; l'ospite garbatamente chiarì che non ce n'era bisogno. —

  1. Danni al sarcofago, ma nessun allarme radiazioni
    Un drone russo colpisce Chernobyl
     
    Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato le forze russe di aver colpito con un drone il sarcofago che protegge il reattore della centrale nucleare di Chernobyl distrutto nell'esplosione del 1986. Secondo il presidente ucraino, il velivolo senza pilota, dotato di «una testata altamente esplosiva», ha potuto raggiungere indisturbato la massiccia struttura di acciaio e cemento volando ad un'altitudine di non più di 85 metri, il che gli avrebbe permesso di sfuggire ai radar. L'impatto con il sarcofago ha provocato un incendio, ma non ha determinato un innalzamento del livello delle radiazioni, ha aggiunto Zelensky. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha confermato che i suoi ispettori presenti nell'impianto hanno udito un'esplosione alle 1,50 ora locale, dopo la quale si è sviluppato un incendio. Ma «i livelli di radiazione rimangono normali e stabili». Il team dell'agenzia ha pubblicato immagini in cui si vede un drone in fiamme dopo lo schianto.

 

 

 

14.02.25
  1. AUTOSTOP:  (ANSA) - TOKYO, 13 FEB - Honda e Nissan non riescono a trovare un'intesa finale e decidono di cancellare una volta per tutte il progetto di fusione annunciato a dicembre. Lo anticipano i media nipponici, spiegando che il piano di integrazione della seconda e terza casa auto in Giappone - che avrebbe creato il terzo gruppo mondiale al mondo per vendite di veicoli - è andato a sbattere contro un muro di incomprensioni sulla presunta assenza di autonomia della Nissan, impegnata in una severa fase di risanamento dei conti, che secondo la Honda avrebbero compromesso il futuro percorso della fusione.
    Inizialmente le due aziende avevano dichiarato di "sperare di poter concludere le trattative sul progetto di integrazione nel giugno 2025", creando una holding nel 2026, con il mantenimento dei due marchi separati. L'obiettivo primario era quello di ridurre i costi nella ricerca e lo sviluppo dei veicoli elettrici, per meglio competere con i principali concorrenti, tra cui la cinese BYD e la statunitense Tesla.
    Le difficoltà di Nissan a invertire la congiuntura negativa delle vendite, tuttavia, hanno finito per ostacolare il progresso delle trattative, dicono gli analisti, con evidenti pressioni da parte di Honda di aumentare l'influenza operativa sulla gestione delle strategie future del gruppo. Lo scorso novembre, Nissan ha annunciato l'imminente taglio di 9.000 posti di lavoro in tutto il mondo, dopo aver ridotto la sua capacità produttiva globale del 20%. Per ottimizzare i costi la società con sede a Yokohama, a sud did Tokyo, ha già sospeso la produzione dell'impianto di Changzhou, in Cina, dove gestisce otto stabilimenti attraverso la joint venture con Dongfeng Motor.

    La casa automobilistica è stata colpita più duramente di altre dal passaggio ai veicoli elettrici, e non si è mai ripresa completamente da anni di crisi innescati dall'allontanamento dell'ex presidente Carlos Ghosn, e il suo successivo arresto nel 2018. Dieci anni fa il valore di Borsa dei due produttori di auto nipponici viaggiava sulla stessa andatura assestandosi a circa 4.600 miliardi di yen: attualmente la capitalizzazione di mercato di Nissan è di quasi cinque volte inferiore a quella di Honda, pari a circa 7.500 miliardi di yen (46,6 miliardi di euro). Le due dirigenze continueranno comunque a collaborare sull'accordo di cooperazione strategica, riferisce un comunicato, che riguarderà anche la partner Mitsubishi Motor, nello sviluppo di sinergie di software e in altri campi nel settore automotive.
  2. NORDIO STOP : La Corte penale internazionale pubblica online le carte con le correzioni nel mandato d'arresto Il ministro aveva parlato di "imprecisioni" e "discrepanze" a proposito dei reati commessi dal libico
    Liberazione di Almasri Il documento dell'Aja che contraddice Nordio
    irene famà
    roma
    Questioni grammaticali. Refusi. Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, hanno reso «nullo» il mandato d'arresto della Corte penale internazionale a carico del generale libico Almasri. «Sviste facili da correggere», ribattono alcuni esperti del diritto. Gli errori, elencati in un documento della Corte dell'Aja, sono circa una ventina. L'avverbio «continuo» al posto del verbo «continuare», il sostantivo «abusato» invece dell'infinito «abusare», giusto per citarne alcuni. E poi quella data, 2011 invece di 2015 ripetuta tre volte.
    «L'atto era connotato di imprecisioni, omissioni, discrepanze e conclusioni contraddittorie», aveva dichiarato il Guardasigilli il 5 febbraio quando, alle Camere, ha dovuto spiegare come mai il generale, accusato dalla Corte penale di crimini di guerra e contro l'umanità, era stato rilasciato. E rimpatriato in fretta e furia. Sviste, dicono esperti di diritto internazionale, che la Corte dell'Aja ha corretto con un nuovo mandato d'arresto. E che il ministro avrebbe potuto semplicemente segnalare a Bruxelles.
    Il Guardasigilli si sofferma su un errore in particolare: «L'incertezza sulla data dei delitti» avvenuti nella prigione di Mitiga, a Tripoli. Nel mandato d'arresto al centro dello scontro tra governo e Bruxelles, la Corte dell'Aja fa riferimento «ai fatti commessi tra il febbraio 2015 e il marzo 2024». Ma in tre paragrafi, su oltre un centinaio, si parla «del febbraio 2011».
    Errore irrimediabile per il Guardasigilli, finito sotto attacco. Che dice così: «Emerge un'insanabile e inconciliabile contraddizione riguardo a un elemento essenziale della condotta criminale dell'arresto riguardo al tempo del delitto commesso».
    Il generale arrestato a Torino viene lasciato libero tre giorni dopo. La Corte d'appello di Roma solleva una questione procedurale. Il ministro tace. Poi, davanti alle Camere, punta il dito contro l'atto a suo dire impreciso. Un suo intervento, «prima di aver risolto queste discrasie e incongruenze», sarebbe stato «inopportuno» e «illegittimo».
    La Corte penale internazionale il 24 gennaio si riunisce. Approva la nuova versione del mandato dall'arresto. La pubblica sul sito. «È tutto in inglese», ribatte il ministro della Giustizia. «Non ci è stata trasmessa ufficialmente». E poi torna su quei refusi. «Il vizio genetico dell'ordinanza è certamente il mutamento della data del commesso reato», ribadisce. «Banale via di fuga», commentano in diversi.
    I rapporti tra la Corte dell'Aja e il governo si irrigidiscono. Sino all'altro giorno, quando l'esecutivo cerca di trovare un terreno di confronto, smorzando i toni e avviando un'interlocuzione.
    Tanti gli interrogativi che si susseguono nel caso Almasri. Le opposizioni sostengono che la scelta di liberare il generale sia stata puramente politica. Il governo si difende. E la faccenda, dopo una denuncia presentata in procura a Roma, è finita al Tribunale dei ministri. Indagati la premier Giorgia Meloni, i titolari dell'Interno e della Giustizia Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. L'altro giorno sarebbe arrivata in via Arenula la richiesta di acquisire una serie di atti, tra cui le interlocuzioni tra il Tribunale e il ministero della Giustizia, tra la Corte penale internazionale, l'ufficio di collegamento dell'ambasciata italiana in Olanda e gli uffici del Guardasigilli. Si vuole ricostruire la sequenza esatta degli eventi e i tempi di azione di ogni singolo protagonista della vicenda. Comprese le eventuali comunicazioni tra Palazzo Chigi e via Arenula. Giorni concitati, quelli della vicenda del generale libico. Almasri viene fermato il 18 gennaio e arrestato il 19. Il 21 gennaio, poi, viene scarcerato. E rimpatriato. Ma quando l'areo di Stato era già pronto per riportarlo in Libia, il ministro della Giustizia diceva di «stare valutando come procedere».
  3. Si apre la strada per obbligazionisti e azionisti danneggiati che potrebbero costituirsi parti civili Prosegue il piano di rilancio di Iren, che ha acquisito il 52,77% della multiutility del cuneese
    Egea, i pm: "Bilanci gonfiati per 200 milioni" Adesso si indaga sulle rendicontazioni false

    claudia luise
    elisa sola
    Oltre 200 milioni. Una cifra alta, soprattutto se concentrata in un territorio piccolo come il cuneese. Ma è questa la somma che emerge dalla chiusura indagini, notificata nelle ore scorse, dalla pm Laura Deodato della procura di Asti per presunti falsi in bilancio di Egea, la multiutility di Alba che ha rischiato il crac ed è stata poi acquisita da Iren. L'inchiesta si riferisce alla vecchia gestione, guidata dall'ex patron Pierpaolo Carini, uno dei quattro manager indagati, difeso dall'avvocato Michele Galasso. Gli altri indagati sono gli ex ad Daniele Bertolotti, difeso dall'avvocato Rinaldo Sandri, Valter Bruno, assistito dall'avvocato Nicola Menardo dello studio Grande Stevens e Giuseppe Zanca, ex presidente del consiglio di amministrazione, difeso dagli avvocati Alberto Mittone e Nicola Gianaria. Risultano indagate, come persone giuridiche, anche Egea spa, Egea commerciale srl ed Egea PT srl.
    Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, che hanno coordinato il lavoro della Guardia di finanza di Torino, gli indagati avrebbero a vario titolo, tra il 2017 e il 2023, scritto numeri falsi nelle voci dei bilanci. Falsificando, secondo l'ipotesi d'accusa, le cifre corrispondenti alle rettifiche, che ammonterebbero a 115 milioni di euro e quelle, che sfiorerebbero i 100 milioni, relative ad altri aspetti, come i crediti verso i clienti. Si tratterebbe, in sostanza, secondo la procura, di numeri gonfiati. I legali degli indagati si preparano a difendersi, in queste ore, e a studiare le strategie per dimostrare la loro presunta innocenza.
    Adesso, però, è probabile che molti degli obbligazionisti e azionisti che si sono sentiti danneggiati dai comportamenti del precedente management di Egea decidano di costituirsi parti civili per chiedere risarcimenti.
    Intanto il processo di risanamento messo in piedi da Iren, e avvallato dal tribunale di Torino, che ha disposto l'omologa, va avanti. I creditori sono stati tutti pagati secondo gli accordi: i debiti successivi al 1 luglio 2023 sono stati saldati al 100% mentre per quelli antecedenti è scattato un risarcimento del 30%. Iren ha anche esercitato il diritto di aumento di capitale e ora ha il 52,77% della società con l'opzione che possa salire ancora il 2029 (ma la volontà è fare il prima possibile).
    «Chi ha lavorato con me da giugno 2023 in poi, dal Consiglio di gestione uscente a tutti gli advisor, ha ben chiaro - sottolinea il revisore dei conti Massimo Feira, che ha lavorato al dossier - il sacrificio di fornitori, azionisti, obbligazionisti, ma speriamo sia stato compreso quanto lavoro è stato fatto per consentire la continuità di lavoro ai 1.200 dipendenti e a tutto l'indotto oltre che per garantire il miglior trattamento ai creditori che correvano il grande rischio di perdere tutto».
  4. Dieci i posti grazie all'aiuto di Specchio dei tempi L'associazione: "Più di 30 persone in lista d'attesa"
    Un letto e la doccia per chi ha bisogno Apre i battenti la "casa di Lia"

    francesco munafò
    I letti sono in fila uno dietro l'altro, disposti su entrambe le parti della stanza e inframmezzati da divisori in legno. Sono dieci, e serviranno a proteggere per una notte chi non ha un posto dove andare a dormire e quindi rischia di morire di freddo. Ha aperto i battenti ieri "La casa di Lia" di via Magenta 6 bis, a due passi da Porta Nuova: uno spazio di accoglienza messo in piedi dall'associazione Bartolomeo & C. e intitolato alla fondatrice Lia Varesio, attivista torinese che ha dedicato la vita alla cura degli ultimi e soprattutto dei senzatetto, scomparsa nel 2008 a 63 anni.
    Le porte saranno aperte ogni sera dalle 19 alle 22, e il servizio (che al momento accoglierà solo uomini) durerà fino al prossimo maggio per affrontare l'emergenza freddo. Durante i mesi caldi, invece, la casa sarà a disposizione per effettuare docce e per soddisfare le esigenze di chi busserà alla porta in cerca di aiuto. «Lia aveva comprato questo locale a fine anni '80 – spiega Marco Gremo, presidente di Bartolomeo & C. – e fino ad ora lo avevamo usato per le nostre riunioni e per il mercatino di solidarietà». Due anni fa, però, i locali erano stati messi in vendita per via dei costi di gestione elevati. A salvarli, l'associazione Madian orizzonti dei Padri Camilliani, che hanno finanziato la ristrutturazione e la riapertura. A rappresentarli, ieri, c'era padre Antonio Menegon: «Questo è solo un inizio – ha detto – perché vorremmo aiutare sempre più persone. Oggi, in strada, ci sono sempre più spesso ragazzi giovani affetti spesso anche da gravi disagi psichici».
    Secondo i dati Istat, a Torino sono circa 4 mila i senza fissa dimora. «Dopo il covid il numero è aumentato, e oggi molti di loro sono stranieri» prosegue Gremo. Di fronte a questa situazione, anche la richiesta di posti letto sale: «Per le nostre strutture abbiamo più di trenta persone in lista d'attesa» spiega il presidente di Bartolomeo & C. Che nel 2024 con l'associazione ha garantito un totale di 44 posti distribuiti tra il dormitorio di via Saluzzo "Il Bivacco" e gli undici appartamenti di housing sociale sparsi per la città: «Noi ci ispiriamo sempre a Lia – spiega Gremo – perché era una maestra di vita. Era capace di gridare per chi non ha voce».
    E infatti, lo scorso dicembre la Città ha scelto di cambiare nome alla via virtuale utilizzata da chi non ha una residenza: da "via della Casa Comunale", che dal 1998 identifica sui documenti di identità chi non ha una residenza reale, la giunta ha deliberato il passaggio a "via Lia Varesio": «Un piccolo segnale di contrasto allo stigma – ha evidenziato ieri Rosatelli – che restituisce dignità alle persone».
    Un contributo al nuovo spazio è arrivato anche da Specchio dei tempi, la fondazione nata dall'omonima rubrica de La Stampa che dal 1955 raccoglie i messaggi dei lettori torinesi: «La Casa di Lia è un esempio concreto di come la solidarietà e la collaborazione tra enti possano fare la differenza – spiega il consigliere delegato di Specchio, Andrea Gavosto –. Offrire un riparo sicuro e dignitoso a chi ne ha bisogno è un atto di responsabilità collettiva, e siamo orgogliosi di poter contribuire a questo importante progetto».

 

13.02.25
  1. LE REGOLE di MICHELE
     FERRERO
    "Ascoltate i collaboratori, diffidate degli adulatori"
    1 Dedicate ai vostri collaboratori il tempo necessario e non le "briciole"; preoccupatevi di ascoltare ciò che hanno da dirvi; non date loro l'impressione che siate sulle spine; non fateli mai sentire "piccoli"; la sedia più comoda del vostro ufficio sia destinata a loro.
    2 Prendete decisioni chiare e fatevi aiutare dai vostri collaboratori, essi crederanno nelle scelte a cui hanno concorso.
    3 Rendete partecipi i collaboratori dei cambiamenti e discutetene prima della loro attuazione con gli interessati.
    4 Comunicate gli apprezzamenti favorevoli ai lavoratori, quelli sfavorevoli comunicateli solo quando necessario, in quest'ultimo caso non limitatevi a una critica, ma indicate ciò che dovrà essere fatto nell'avvenire perché serva a imparare.
    5 I vostri interventi siano sempre tempestivi: "Troppo tardi" è pericoloso quanto "Troppo presto".
    6 Agite sulle cause più che sul comportamento.
    7 Considerate i problemi nel loro aspetto generale e non perdetevi nei dettagli, lasciate ai dipendenti un certo margine di tolleranza.
    8 Siate sempre umani.
    9 Non chiedete cose impossibili.
    10 Ammettete serenamente i vostri errori, vi aiuterà a non ripeterli.
    11 Preoccupatevi di quello che pensano di voi i vostri collaboratori.
    12 Non pretendete di essere tutto per i vostri collaboratori, in questo caso finireste per essere niente.
    13 Diffidate di quelli che vi adulano, a lungo andare sono più controproducenti di quelli che vi contraddicono.
    14 Date sempre quanto dovete e ricordate che spesso non è questione di quanto, ma di come e di quando.
    15 Non prendete mai decisioni sotto l'influsso dell'ira, della premura, della delusione, della preoccupazione, ma demandatele a quando il vostro giudizio potrà essere più sereno.
    16 Ricordate che un buon capo può far sentire un gigante un uomo normale, ma un capo cattivo può trasformare un gigante in un nano.
    17 Se non credete in questi principi, rinunciate ad essere capi

 

 

 

 

 

12.02.25
  1. il caso
    Libertà
    tortura
    di
    Nelle settimane successive all'invasione russa dell'Ucraina, il capo delle prigioni di San Pietroburgo ha lanciato un messaggio diretto a un'unità d'élite di guardie incaricate di gestire l'afflusso di prigionieri dalla guerra: «Siate crudeli, non abbiate pietà».
    Il maggiore generale Igor Potapenko aveva riunito le forze speciali per informarli di un nuovo sistema progettato per i prigionieri ucraini. Le regole normali non si sarebbero applicate, gli disse. Non ci sarebbero state restrizioni contro la violenza. Le bodycam sarebbero state rimosse.
    In tutto il Paese altre unità - provenienti dalla Buriazia, da Mosca, da Pskov e da altre regioni - ricevettero istruzioni simili. Quegli incontri hanno dato il via a quasi tre anni di torture incessanti e brutali sui prigionieri di guerra ucraini.
    Le guardie applicavano scariche elettriche sui genitali dei prigionieri fino all'esaurimento delle batterie. Li picchiavano per infliggere il massimo danno possibile, sperimentando su di loro quali materiali fossero più dolorosi. Negavano cure mediche per permettere alla cancrena di insediarsi, costringendo alle amputazioni.
    Tre ex funzionari carcerari hanno raccontato al Wall Street Journal come la Russia abbia pianificato ed eseguito ciò che gli investigatori delle Nazioni Unite hanno descritto come una tortura diffusa e sistematica.
    Le loro testimonianze sono state supportate da documenti ufficiali, interviste con prigionieri ucraini e da una persona che ha aiutato i funzionari carcerari russi a disertare.
    I funzionari - due appartenenti alle forze speciali e un membro del personale medico - sono entrati in un programma di protezione testimoni dopo aver fornito prove agli investigatori della Corte Penale Internazionale (Cpi).
    La Cpi ha accusato la Russia di attaccare i civili e di deportare illegalmente bambini ucraini in Russia, emettendo almeno sei mandati di arresto contro funzionari russi, incluso il presidente Vladimir Putin. Altre indagini sono in corso, ma la Corte non fornisce ulteriori dettagli.
    La Russia ha una lunga storia di crudeltà nel suo sistema carcerario, che risale ai primi decenni dell'Unione Sovietica, quando Stalin creò campi di lavoro per chi riteneva pericoloso per il regime. Negli ultimi decenni, la Russia ha adottato alcune misure per migliorare le condizioni delle carceri, come la separazione tra i detenuti alla prima condanna e gli altri. In alcune regioni sono state introdotte bodycam per le guardie, dopo anni di campagne da parte delle organizzazioni per i diritti umani.
    Tuttavia, il sistema carcerario russo rimane un mondo a parte all'interno del Paese, con le sue regole, il suo gergo e persino i suoi tatuaggi.
    Le forze speciali del sistema carcerario non sono guardie regolari assegnate stabilmente a una prigione. Agiscono come una sorta di guardia pretoriana, chiamata a intervenire in situazioni particolarmente pericolose, come perquisizioni o rivolte. Secondo le due ex guardie, gli ordini di Potapenko nel marzo 2022 vennero interpretati come un'autorizzazione incondizionata alla violenza.
    Durante il servizio, le guardie indossavano sempre passamontagna. I prigionieri venivano picchiati se osavano guardarli negli occhi. Queste misure, insieme ai turni di un mese, venivano prese per assicurarsi che le singole guardie e i loro superiori non potessero essere riconosciuti. Nel marzo 2022 - lo stesso mese in cui Potapenko tenne la riunione con le guardie a San Pietroburgo - la Russia iniziò a preparare il suo sistema penitenziario per l'arrivo dei prigionieri di guerra. Lettere inviate ai direttori delle carceri ordinavano di liberare piani, ali e persino prigioni intere per fare spazio ai nuovi detenuti.
    Pavel Afisov, catturato a Mariupol nei primi mesi dell'invasione, è stato tra i primi prigionieri di guerra ucraini trasferiti in Russia. Per due anni e mezzo, il venticinquenne è stato spostato da una prigione all'altra prima di essere rilasciato lo scorso ottobre. Ha raccontato che le percosse erano più violente ogni volta che veniva trasferito e, dopo essere arrivato in un penitenziario nella regione di Tver, a Nord di Mosca, fu portato in una sala medica e costretto a spogliarsi. Le guardie gli rasarono la testa e la barba mentre lo sottoponevano ripetutamente a scariche elettriche con un taser. Quando finirono, gli ordinarono di gridare «Gloria alla Russia, gloria alle forze speciali» e di cantare gli inni nazionali russo e sovietico, sempre nudo. Quando disse di non conoscere le parole, fu nuovamente picchiato con pugni e manganelli.
    La violenza, hanno spiegato ex guardie e attivisti per i diritti umani, miravano a rendere i prigionieri più malleabili. Le ex guardie hanno descritto un livello sbalorditivo di violenza nei confronti dei prigionieri ucraini. Gli elettroshock venivano usati così spesso, soprattutto nelle docce, che gli ufficiali si lamentavano per il fatto che la batteria si esauriva troppo in fretta.
    Un ex dipendente del sistema penitenziario, che lavorava con un team di medici nella regione di Voronezh, nella Russia Sud-occidentale, ha detto che le guardie carcerarie picchiavano gli ucraini fino a quando i loro manganelli si rompevano. Una delle sale caldaie era disseminata di manganelli rotti e gli ufficiali testavano materiali, tra cui tubi per l'acqua calda, per la loro capacità di causare dolore e danni. Le guardie, ha detto, picchiavano intenzionalmente i prigionieri nello stesso punto giorno dopo giorno, impedendo che i lividi guarissero e causando infezioni interne. Il trattamento portava a un'infezione del sangue e il tessuto muscolare marciva. Almeno una persona è morta di sepsi, ha detto l'ufficiale.
    Molte guardie apprezzavano la brutalità e spesso si vantavano di quanto dolore avevano causato ai prigionieri.
    L'ex prigioniero di guerra ucraino Andriy Yegorov, 25 anni, ha ricordato come le guardie di una prigione nella regione occidentale di Bryansk, costringessero i prigionieri a correre per 100 metri nel corridoio, tenendo i materassi sopra le loro teste. Nel mentre, si mettevano di lato e li picchiavano sulle costole. Quando arrivavano in fondo al corridoio, venivano costretti a fare addominali e flessioni. Ogni volta che si rialzavano, le guardie li colpivano con pugni o manganelli. «A loro piaceva, li sentivi ridere mentre noi urlavamo per il dolore», ha detto. «Lì ho capito che la paura esiste solo per il futuro, puoi avere paura di ciò che accade tra 10 o 15 minuti, puoi avere paura di ciò che potrebbe accadere. Ma quando sta accadendo, non hai più paura».
    Afisov e Yegorov hanno trascorso circa 30 mesi nel sistema carcerario russo prima di essere finalmente rilasciati in uno scambio che li ha riportati a casa il 18 ottobre.
    Yegorov ha scoperto durante un controllo medico di avere le vertebre rotte. Sta seguendo cure mediche per le ferite e ha incontrato uno psicologo. Ma è scettico sul fatto che lo possa aiutare. «Se non hai passato quello che ho passato io, non puoi aiutarmi», ha detto Yegorov. Dopo essere tornato a casa, Afisov ha resistito al sonno per giorni, temendo che potesse rivelarsi un sogno e che si sarebbe svegliato di nuovo in prigione. «Ogni volta che finalmente mi fidavo abbastanza di me stesso da addormentarmi, avevo solo incubi», ha raccontato.
    Gli ex ufficiali della prigione si preparano a una nuova vita. Oggi vivono in luoghi segreti e hanno dovuto interrompere i contatti con persone che conoscevano da tutta la vita. Uno di loro ha detto di essere sempre stato un patriota russo, ma dopo l'inizio della guerra non poteva più rimanere nel Paese o restare in silenzio. Testimoniare alla Cpi era un modo per per ottenere giustizia.
  2. Maxi operazione a Palermo: 181 gli arresti. Cellulari criptati per comunicare con chi era in cella: così gestivano spaccio di droga ed estorsioni
    Decapitata la cupola dei boss scarcera
    ti
    riccardo arena
    palermo
    C'era quello che faceva la videochiamata mostrando la pistola e l'attore che aveva impersonato il piccolo Giuseppe Di Matteo, vittima di Cosa nostra, che si ritrova arrestato in un'inchiesta sulla nuova mafia, 4.0 in stile ipertecnologico, capace di abbattere i muri delle carceri grazie a criptofonini. I 181 arresti eseguiti ieri da un esercito di 1.200 carabinieri, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, fanno emergere uno spaccato inquietante: più delle scarcerazioni di questi ultimi tempi, più dei permessi premio fanno paura le disponibilità di apparati cellulari di ultimissima generazione che consentono di collegarsi dall'interno delle celle e di assistere a un pestaggio, come avvenuto a Tommaso Lo Presti, detto il Gabibbo, che voleva sincerarsi che un ordine spietato da lui impartito fosse stato effettivamente eseguito.
    Un'organizzazione viva e vegeta, sottolinea il procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, al di là di tutte le considerazioni che vengono fatte sulla crisi e sulla sommersione, sul timore di mostrarsi. E mentre la premier Giorgia Meloni sottolinea che «lo Stato non arretra», il capo della Dna, Giovanni Melillo, dice che, assieme alle altre associazioni criminali, Cosa nostra ha «assoggettato l'alta sorveglianza nelle carceri» al proprio «dominio». Il sistema è stato comunque scoperto grazie alle indagini dei militari del Nucleo investigativo, coordinato dal colonnello Mimmo Lapadula e dal suo collega Ivan Boracchia: due compari mafiosi, nel parlare fra di loro, erano stati interrotti dal malfunzionamento di un criptofonino, non intercettabile: per far ripartire i collegamenti su un nuovo apparato avevano dovuto ricopiare tutti i contatti, leggendoli a voce alta mentre, attraverso i cellulari "normali", gli investigatori li intercettavano.
    Così uno dopo l'altro sono stati individuati i partecipanti alle chat di Cosa nostra, che dimostrano come i mafiosi continuino il lucrosissimo affare della droga, oggi ripreso con la diffusione capillare del crack. E che ancora testimonia come il racket continui a imperversare, imponendo ai ristoratori di Mondello e Sferracavallo di rifornirsi del pesce venduto dai raccomandati dai boss. Dall'inchiesta emerge la storia di Gaetano Fernandez, selezionato nel 2017 per impersonare il piccolo Giuseppe Di Matteo nel film Sicilian Ghost Story. Fernandez, il cui padre a film già uscito fu condannato all'ergastolo per omicidio, ieri è finito in cella. —
  3. Il dramma di Amar, bracciante fantasma "Ridotto in fin di vita dallo sfruttamento"
    flavia amabile
    inviata a Latina
    Viveva come un fantasma. Se si sa della sua esistenza è soltanto perché il 3 gennaio è stato soccorso da un'ambulanza e ricoverato in una struttura sanitaria di Pomezia per un problema al cuore che stava mandando in necrosi i tessuti e richiedeva cure specialistiche. Lo chiameremo Amar, anche se non è il suo vero nome. Ha 46 anni, è di origine indiana e lavorava nella zona di Ardea, un comune a sud di Roma. Da oltre un mese si trova ricoverato in terapia intensiva all'ospedale Goretti di Latina perché le sue condizioni di salute sono apparse fin dal primo istante molto critiche. Durante gli accertamenti è emerso che gli arti inferiori, un braccio, il naso e la milza erano interessati da una vasculite autoimmune. Gli è stata amputata una gamba e si teme che perderà anche l'altra. Non ha nessuno che va a trovarlo, nessuno che possa spiegare chi è e quali privazioni ha dovuto sopportare per ridursi in questo stato.
    La prima ipotesi avanzata dai medici è stata un'esposizione prolungata ai pesticidi senza indossare i dispositivi di protezione che sarebbero obbligatori: mascherina, guanti, stivali. Dall'ospedale Santa Maria Goretti però non arrivano conferme e si spiega che la causa potrebbe essere diversa. «Fino a ieri non esistevano risultati clinici di analisi che permettano di dire che sia in corso un'intossicazione da prodotto chimico», spiega Marco Ormizzolo, sociologo, ricercatore Eurispes, presidente della cooperativa In Migrazione.
    «C'è di sicuro una grave infiammazione che potrebbe essere stata scatenata da un indebolimento generale di Amar dovuto alle precarie condizioni di vita che gli ha fatto abbassare le difese immunitarie e scatenare la necrosi. In ogni caso ci troviamo di fronte a un caso drammatico che mette in luce la difficile condizione di lavoro dei braccianti indiani non solo nell'agro pontino, anche nell'agro romano. È una novità che deve far prendere coscienza a chi amministra quel territorio dei problemi e deve far studiare come intervenire per risolverli».
    Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta. Gli agenti di polizia della questura di Latina indagano per capire quale fosse l'azienda agricola per cui ha lavorato Amar. E sono stati informati i servizi sociali per rintracciare la famiglia di origine. A complicare la ricostruzione è la difficoltà di comunicare con l'uomo che parla l'italiano poco e male. «È una cosa incredibile, una brutta storia - commenta il presidente della comunità indiana del Lazio Gurmukh Singh -. Dico sempre ai ragazzi che devono stare attenti. Se perdi il lavoro puoi ritrovarlo, ma la vita è una sola». La Cgil di Roma e del Lazio e quella di Frosinone e Latina, invece, hanno chiesto alla giunta regionale di «riprendere quel ruolo di coordinamento fra istituzioni, forze di polizia, enti e forze sociali, la cui collaborazione porta inevitabilmente a vigilare su un territorio che, in assenza di controllo, rischia di tornare a quella situazione di totale sfruttamento, sopraffazione e illegalità diffusa in cui si è consumata la tragedia di Satnam». Il riferimento è a Singh che lo scorso giugno perse un arto in un incidente sul lavoro in un'azienda agricola nelle campagne pontine. L'ipotesi di un'infiammazione causata dall'esposizione ai pesticidi non è confermata ma i sindacati lanciano comunque l'allarme. «Se tali cause fossero confermate - sostiene Giorgio Carra, segretario territoriale Uila Uil di Latina - bisognerebbe cogliere l'occasione per mettere ancora una volta al centro del dibattito l'importanza della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: oltre alla formazione e all'informazione sulle modalità di utilizzo di determinati prodotti le aziende sono obbligate a fornire dispositivi di protezione individuale ai lavoratori interessati da tali attività».
    «Attenzione: andiamo a sbattere e ci facciamo molto male - avverte Jean- René Bilongo, presidente dell'Osservatorio Placido Rizzotto che ha dedicato uno studio ai rischi che corrono i lavoratori per effetto dell'uso di pesticidi in agricoltura. «Basta andare nelle campagne per rendersi conto che quasi nessuno lavora con guanti, stivali e mascherine come sarebbe obbligatorio. Noi diciamo che il conto sarà salatissimo in vite umane». L'Italia - ricorda Bilongo - è uno dei Paesi che fanno più uso di pesticidi, circa 115mila tonnellate l'anno. «Se nel caso di Latina fosse confermata l'ipotesi di esposizione ai pesticidi - conclude Bilongo - sarebbe solo uno dei tanti drammi vissuti dai lavoratori. L'unica differenza è che questo caso è venuto allo scoperto mentre in troppi restano nell'ombra e si consumano tragedie senza che se ne sappia nulla». —
  4. Impianto spento in corso Unità d'Italia. L'annuncio dell'assessore Porcedda "per i verbali dopo il 24 gennaio". Il Codacons: "Doveva agire prima"
    Velox sequestrato, sospese le ultime multe
    ANDREA JOLY
    «Tutte le rilevazioni effettuate dal 24 gennaio in poi saranno sospese». Da quella data, chi è stato multato dal velox di corso Unità d'Italia sequestrato – e spento – lunedì dalla Procura di Cosenza non riceverà alcun verbale, in attesa di capire quale sarà il futuro dell'impianto. Ad annunciarlo è l'assessore alla Sicurezza Marco Porcedda: «Le precedenti sono già state tutte notificate – spiega – e per essere annullate devono essere impugnate. Per le infrazioni già rilevate ma non ancora emesse, invece, ci siamo presi la responsabilità di prevedere una sospensione». Intanto, il Comune attenderà soltanto l'esito degli accertamenti: «Poi valuteremo se e come procedere». Il velox in corso Unità d'Italia «è uno dei più vecchi e l'avremmo comunque sostituito», aggiunge l'assessore. «Ma faremo istanza di dissequestro all'autorità giudiziaria di Cosenza».
    In sintesi: la Città, sul caso del velox attivo dal 2013 e che nel solo 2024 ha macinato oltre 14 mila multe, non si ritiene in difetto. Il misuratore di velocità T-Expeed V. 2. 0 prodotto dalla società Kria Srl è nel mirino per la non conformità tra gli apparecchi utilizzati e il prototipo depositato nel 2011. Al centro delle indagini della Procura calabrese c'è l'apparecchio e chi lo produce, non il Comune che ne è proprietario. E nel mirino c'è anche la normativa sugli autovelox, specie sulla differenza tra "autorizzati" e "omologati". L'ultima nota del Ministero dell'Interno equipara le due formule, ma le sentenze (l'ultima ad aprile del 2024) no. Per questo in estate è arrivato l'esposto del Codacons alla Procura di Cosenza e la disposizione, a firma del Gip Alfredo Cosenza del Tribunale di Cosenza, dei primi sequestri che hanno coinvolto impianti in tutta Italia.
    Nel Torinese, il sequestro aveva colpito un dispositivo a Pianezza. Lì il sindaco Antonio Castello aveva chiesto «subito a Prefettura e al Ministero un parere per la gestione dei verbali redatti ma non ancora notificati – spiega il primo cittadino – Ma non è mai arrivato e abbiamo dovuto notificarli lo stesso, allegando al verbale anche informazioni sulla possibilità di fare ricorso». Come? Con un ricorso al prefetto, se la multa non è pagata ed è stata notificata negli ultimi 60 giorni. O con un ricorso al giudice di pace (sempre se non pagata) se la notifica è arrivata negli ultimi 30 giorni. Per chi l'ha ricevuta prima, la strada è quella di impugnare la cartella esattoriale di Soris per il mancato pagamento intentando causa al Comune. In attesa di scoprire il destino del sequestro.
    Intanto la Città di Torino, rispetto a Pianezza, ha scelto un'altra strada. «Ma sarebbe stato prudente intervenire prima per evitare che comportamenti illeciti degli automobilisti non rispettosi delle norme del codice strada restino impuniti», sottolinea l'avvocata e presidente regionale del Codacons Tiziana Sorriento. Di fronte ai sequestri di luglio, Torino avrebbe dovuto spegnere direttamente il dispositivo "gemello" di quelli nel mirino della Procura di Cosenza? «Noi lunedì abbiamo dato seguito a un atto giudiziario – conclude Porcedda – prima di allora, non avremmo potuto motivare una sospensione dal punto di vista amministrativo sulla base di provvedimenti giudiziari che riguardavano altri enti, non essendo a conoscenza del contenuto di quel provvedimento». —
  5. Ieri la prima udienza, presidio dei lavoratori al palagiustizia
    Porta l'associazione Almaterra in tribunale "Sono stata licenziata senza un motivo"

    ANDREA BUCCI
    La lite era avvenuta nella sede dell'associazione che difende le donne. Urla e parole forti. Ora questa vicenda è finita in tribunale, sotto forma di causa di lavoro. L'interessata, la donna che chiede il reintegro nell'organico dell'Associazione, tuona: «È scandaloso che un'associazione femminista licenzi una donna». Il suo nome è Miriam, ha 29 anni, ed è una ex socia di «Almaterra».
    Miriam è un fiume in piena. E racconta: «Ricevevo una paga di 700 euro al mese, ma gli stipendi venivano accreditati una volta ogni tre mesi. Non c'erano orari fissi. Era la professione dei miei sogni, ma negli ultimi mesi la situazione era diventata inaccettabile». Miriam è stata licenziata nel febbraio 2024 dopo che aveva chiesto all'associazione un incontro collettivo, per affrontare le difficoltà che da tempo sarebbe stata costretta ad affrontare. Per l'associazione quel comportamento sarebbe stato «gravemente lesivo». La richiesta dell'incontro era stata presentata dopo un episodio di qualche giorno prima, accaduto nella mensa della struttura. Ancora Miriam: «Una donna ospite aveva aggredito la cuoca e io ero intervenuta per difendere la lavoratrice» racconta Miriam. Che denuncia: «Sono stata insultata e strattonata dalla vice presidente di Almaterra e così avevo chiesto un confronto. Ma ho ricevuto una contestazione disciplinare e un paio di settimane dopo la lettera di licenziamento».
    «Almaterra» è un'associazione di promozione sociale che si occupa di donne vittime di violenza e lavora su progetti interculturali. Ha sede in via Norberto Rosa, quartiere Regio Parco. L'associazione non intende replicare, ma affida la risposta a un comunicato: «Non senza umana amarezza ci siamo costituiti nel procedimento, prendendo formale posizione di reiezione in merito a tutte le domande fatte valere dalla ricorrente». Come dire: non la riprendiamo.
    Intanto, ieri, l'ex lavoratrice dell'associazione, insieme ad altre colleghe, ha organizzato un presidio fuori da palazzo di Giustizia. Chiede di essere reintegrata sul posto di lavoro: il giudice ha rinviato la decisione a marzo, per concedere alle parti il tempo di valutare le condizioni di una possibile conciliazione. La donna rivendica la subordinazione perché era inquadrata con contratto determinato Co.co.co. —

 

 

 

 

11.02.25
  1. Pubblicato il nuovo report di Transparency International, per l’Italia sulla corruzione la prima inversione di tendenza dal 2012


    L’Italia è al 52° posto nella classifica globale dell’Indice di percezione della corruzione (Cpi) e al 19° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. E’ quanto emerge dall’edizione 2024 che Transparency International, l’associazione contro la corruzione, pubblica in un report.

    Il nostro Paese raggiunge un punteggio di 54, ossia due punti in meno dell’anno scorso, segnando la prima inversione di tendenza degli ultimi 13 anni. Nell’ambito di una tendenza alla crescita, con +14 punti dal 2012, registra il primo calo del punteggio finale, determinato in base a una scala che va da 0 (alto livello di corruzione percepita) a 100 (basso livello).

    Il Cpi 2024 rivela che in più di un decennio la maggior parte dei Paesi ha fatto pochi progressi nell’affrontare la corruzione. Oltre 120 coperti dal Cpi, ovvero più di due terzi del campione, ottengono ancora un punteggio inferiore al punto medio della scala (50 su 100). L’edizione 2024 si concentra su come la corruzione stia indebolendo l’azione per il clima in tutto il mondo. Con la consapevolezza che porre l’integrità al centro delle politiche globali contribuirebbe a frenare gli effetti del cambiamento climatico e raggiungere nuovi traguardi di sostenibilità.

    LE PRIORITA’ ANTICORRUZIONE DELL’ITALIA
    Negli ultimi tredici anni, l’Italia ha compiuto passi significativi nella lotta alla corruzione, grazie a una serie di riforme e misure legislative che hanno rafforzato la trasparenza e la tutela di chi denuncia irregolarità.

    Un ruolo chiave è stato svolto dall’introduzione di normative specifiche, a partire dalla Legge 190/2012, che ha gettato le basi del sistema anticorruzione, fino alla Legge 179/2017, che ha garantito una maggiore protezione ai whistleblower, ossia coloro che segnalano illeciti sul luogo di lavoro. L’evoluzione normativa è poi proseguita con l’attuazione della Direttiva europea sul Whistleblowing, recepita in Italia con il D.Lgs. 24/2023, che ha ulteriormente rafforzato i meccanismi di segnalazione e tutela.

    Parallelamente, l’Anac ha intensificato il suo impegno nella regolamentazione degli appalti pubblici, introducendo strumenti di controllo più efficaci e promuovendo la creazione di un database pubblico. Questo sistema, oltre a garantire maggiore trasparenza, rappresenta un esempio virtuoso a livello regionale, contribuendo a rafforzare la fiducia nelle istituzioni e nei processi amministrativi.

    PER L’ITALIA LA PRIMA INVERSIONE DI TENDENZA DAL 2012
    “Le più recenti riforme ed alcune questioni irrisolte – puntualizza nel report l’associazione – stanno però indebolendo i progressi del Paese nel contrasto alla corruzione ed incidono negativamente sulla capacità del sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico. Dalla mancanza di una regolamentazione in tema di conflitto di interessi nei rapporti tra pubblico e privato, all’assenza di una disciplina in materia di lobbying – per la quale dal 2021 chiediamo una svolta con la coalizione Lobbying4change”.

    L’Italia – viene evidenziato – ha mostrato ritardi significativi nell’attuazione di misure chiave per la lotta al riciclaggio di denaro, tra cui l’operatività del Registro dei titolari effettivi, fondamentale per garantire la trasparenza sulla proprietà delle società. Il registro è stato poi istituito, ma la sua implementazione è stata nuovamente rinviata, mettendo a rischio – è l’osservazione – l’efficacia complessiva delle strategie antiriciclaggio.

    Leggi qui il report di Transparency International
    Dal 2019, è in corso la campagna “Reforming global standards on beneficial ownership transparency”, mirata a migliorare gli standard internazionali sulla trasparenza della proprietà effettiva. A partire dal 2024, inoltre, con il progetto “Strengthened enforcement capacities of public authorities in the European Union” (Step EU) viene monitorata la situazione negli Stati membri dell’UE, con particolare attenzione agli ostacoli normativi che rallentano i progressi nella lotta al riciclaggio di denaro.

    A livello normativo, l’Italia – come emerge dal report – ha anche mostrato scarsa apertura nei confronti della Direttiva europea anticorruzione: nel luglio 2023, infatti, la Commissione Politiche dell’UE della Camera dei deputati ha espresso un parere negativo sulla proposta, segnando un ulteriore freno alle riforme in materia di trasparenza e contrasto ai reati finanziari.

    IN EUROPA “SFORZI FERMI O IN CALO”
    A livello europeo il Cpi 2024 fotografa nel complesso un Continente in cui, pur rimanendo la regione con il punteggio più alto (64), gli sforzi per combattere la corruzione sono fermi o in diminuzione. Le maggiori economie della regione (Francia e Germania) registrano un calo e persino quelle tradizionalmente più forti (Norvegia e Svezia) ottengono i loro punteggi più bassi. Questo stallo compromette la capacità di affrontare le sfide più urgenti: la crisi climatica, la questione dello Stato di diritto e l’efficienza dei servizi pubblici.

    Per far fronte all’indebolimento degli sforzi anticorruzione, nel 2023, la Commissione europea ha proposto alcune misure per rafforzare gli strumenti a disposizione degli Stati membri dell’UE per combattere la corruzione. Prima fra tutte una Direttiva Anticorruzione che consentirebbe all’Unione Europea di consolidare il proprio ruolo nella lotta alla corruzione, armonizzando la legislazione anticorruzione degli Stati membri e rendendo obbligatoria nel diritto comunitario l’incriminazione per i reati previsti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

    CALLERI: “IN ITALIA CONFLITTO INTERESSI E LOBBYING PRIMI OBIETTIVI”
    “Prevenzione, regolamentazione e cooperazione sono le parole chiave per un’Europa e un’Italia che mettono al primo posto la lotta alla corruzione a tutti i livelli, a partire da quello culturale – commenta Michele Calleri, presidente Transparency International Italia (nella foto) -. In Europa, la direttiva anticorruzione è un’opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire per migliorare gli standard anticorruzione dell’intera regione, delle Istituzioni europee e di ogni Stato membro. In Italia, la regolamentazione di questioni chiave come il conflitto di interessi e il lobbying sono il primo obiettivo di questa nuova stagione di cambiamento”.
  2. Il festival delle multe
    ANDREA JOLY
    DIEGO MOLINO
    Nel giorno in cui la Città traccia il bilancio sulle multe nel 2024, con l'incasso record di 62,8 milioni di euro, la Procura di Cosenza mette sotto sequestro il velox di corso Unità d'Italia. Proprio l'impianto fisso che, insieme a quello in corso Regina, ha collezionato 54.214 violazioni in dodici mesi. Ora a rischio ricorsi.
    Da ieri, niente più multe. L'impianto non è attivo. Il velox fissato all'altezza del civico 96/A, in funzione dall'1 agosto 2013, è un misuratore di velocità T-Expeed 20 prodotto dalla società Kria Srl. Proprio il modello (e la società) finiti nel mirino della magistratura cosentina che già nei mesi scorsi aveva disposto il sequestro di impianti "gemelli" di quello in corso Unità d'Italia in altre città, tra cui Venezia e Reggio Emilia. Dalle indagini sarebbe emersa la non conformità degli apparecchi utilizzati con il prototipo depositato al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 2011. E ora è fuori gioco anche quello torinese.
    Ma anche con il velox disattivato, i torinesi al volante dovranno stare più attenti. Divieti di sosta, circolazione nelle corsie riservate al trasporto pubblico, rossi "bruciati": il campionario delle infrazioni è variegato. Nel 2024 sono state più di 960 mila le multe.
    E spicca un dato: rispetto al 2023 il numero delle contravvenzioni è diminuito del 6% (i verbali erano più di un milione) ma gli incassi sono aumentati del 12% (pari a 7 milioni di euro). Un trend che l'assessore alla Polizia Municipale Marco Porcedda spiega così: «L'incremento degli incassi è determinato da un miglioramento dell'efficacia nella riscossione delle sanzioni degli anni precedenti, sotto forma di ingiunzioni Soris, ma anche dall'aumento della riscossione spontanea grazie all'adozione di pagamenti automatici ed elettronici come AppIo e posta certificata». Insomma, si stringono le maglie dei controlli stradali e della riscossione delle multe.
    Per cosa sono le sanzioni? Sul gradino più alto del podio salgono le infrazioni legate alla sosta irregolare nelle zone a pagamento, le cosiddette strisce blu: in tutto il 2024 sono state 213.701. Al secondo posto la circolazione e la sosta nelle strade riservate al passaggio dei mezzi pubblici e nelle zone a traffico limitato, per cui le multe sono state 156.172. Sul terzo gradino del podio ci sono le violazioni semaforiche, le cui sanzioni sono state 119.255 (di cui 116.822 rilevate con strumentazione elettronica). Chiudono le irregolarità sulla patente di guida (69.661) e il superamento dei limiti di velocità (61.762 sanzioni, di cui 54.214 rilevate dai due autovelox fissi presenti in città).
    Il consigliere Pierlucio Firrao (Torino Bellissima), firmatario dell'interpellanza presentata in Sala Rossa, commenta così: «Questi numeri sono destinati ad aumentare. Possiamo tranquillamente cambiare il nome da Municipio di Torino a Multificio Torino, in una città che non sa più come prendere i soldi dalle tasche dei cittadini, visto che questa giunta ha già aumentato tutto». E punta il dito contro la segnaletica: «Spesso e volentieri i torinesi sono multati per una segnaletica fuorviante e non conforme al codice della strada».
    E non è finita qui. Per l'anno in corso tra le novità introdotte dal nuovo Codice della Strada c'è l'installazione di nuovi autovelox e l'introduzione di telecamere per sorvegliare le corsie preferenziali per bus, tram e taxi. La "stangata" è destinata a ripetersi. Tant'è vero che nel bilancio previsionale 2025-2027 il Comune, lo scorso novembre, ha stimato un incasso di 89,7 milioni di euro dalle sanzioni nell'anno in corso, di cui ben 85,4 milioni per violazioni del Codice della strada. —
  3. Incontro Regione-sindacati: blocco della intramoenia per le specialità con liste di attesa fuori controllo, sì alle visite serali su base volontaria
    Stop alle visite private, i medici aprono
    alessandro mondo
    Tre giorni fa era il muro contro muro. «Ricattatorio lo stop alle visite private negli ospedali», attaccavano i sindacati medici, pronti a ricorrere al Tar. «La mia non è arroganza ma forte determinazione a ridurre le liste di attesa», ribatteva l'assessore alla Sanità Federico Riboldi.
    Ieri - nel corso di un confronto vis a vis durato tre ore con Anaao Assomed, Cimo Fesmed, Cgil, Aaroi, Fassid, primo di una serie - le nubi si sono diradate. Non che i sindacati siano andati a Canossa, anzi - tengono la guardia alzata, hanno posto condizioni e demandano ad altri colloqui - ma hanno aperto. L'assessore, a sua volta, ha mediato, correggendo il tiro rispetto a precedenti dichiarazioni un po' troppo perentorie.
    Primo punto sul quale le parti hanno convenuto per cominciare a sminare il terreno: la libera professione in intramoenia, svolta dai medici fuori dall'orario di lavoro e assolutamente legittima, non è di per sè la causa delle liste di attesa. Sembra una formalità ma non lo è. Lo stesso Ordine dei Medici di Torino, non presente all'incontro, la considera un conditio sine qua non. «L'intramoenia non ha alcun rapporto con l'esistenza delle liste di attesa. Se invece i medici che oggi fanno intramoenia vogliono fare volontariamente le prestazioni aggiuntive, allora il discorso cambia - puntualizza Guido Giustetto, il presidente -. Si rischia deriva semplicistica e demagogica nei confronti dei medici».
    Secondo passaggio: lo stop protempore alla intramoenia può contribuire a ridurre le liste di attesa. Qui entrambe le parti hanno fatto passo indietro. Riboldi ha assicurato che la misura si applicherebbe negli ospedali piemontesi solo protempore e solo nei casi-limite, ovvero per le specialità in cui si registra una forte sofferenza: garantito il pagamento aggiuntivo per i medici che accetteranno di convertire le ore dedicate alla intramoenia allo smaltimento delle agende pubbliche. I sindacati non hanno potuto eccepire su quanto disposto dal recente decreto Schillaci: prevede chiaramente che l'attività libero professionale può essere sospesa se comporta per ciascun dipendente un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per l'attività istituzionale (in regime pubblico). Difficile per i sindacati, anche, difendere senza se e senza ma le prestazioni svolte privatamente a fronte di tempi di attesa che nel pubblico penalizzano fatalmente le fasce più deboli della popolazione.
    Quanto alle visite/esami in orario extraconvenzionale, la sera e nei weekend, l'intesa è stata trovata sulla volontarietà delle medesime e, ancora una volta, sulla retribuzione aggiuntiva. Resta da capire se i fondi per garantire il pagamento aggiuntivo siano sufficienti. Un tema demandato ai prossimi incontri, sul quale l'Ordine nutre perplessità. «Non è chiaro se ci sono le risorse per remuinerare l'attività aggiuntiva, al posto della intramoenia e per le visite svolte fuori dagli orari canonici», commenta ancora Giustetto.
    Sia come sia, toni più distesi e prime aperture. «Un incontro positivo e risolutivo in cui abbiamo impostato un percorso che verrà sancito con un documento di intesa», spiega Clara Peroni, Cgil Medici. «La gestione delle liste d'attesa è una priorità sia per i pazienti che per i medici, assolutamente disponibili a collaborare»», commenta Anaao. E Riboldi? «Ai sindacati ho ribadito che per affrontare i grandi problemi della Sanità è necessaria la collaborazione di tutti, compresi i medici di famiglia: l'ottica è quella di unire le forze, nell'interesse dei cittadini», chiosa l'assessore.
    Già, i medici di famiglia. Ieri il secondo incontro di Riboldi è stato con Fimmg Piemonte, la principale associazione di categoria, sul varo delle ormai famose Aft, le Aggregazioni funzionali territoriali destinate a riunire i medici di base in ben definiti ambiti del territorio. Una riforma che, stante il deficit dei dottori (in Piemonte ne mancano circa 500), annaspa ancora prima di partire. Tanto più se dei tre sindacati di categoria - Fimmg, Smi, Snami - ne viene convocato solo uno, come è accaduto ieri. Ma questa è un'altra storia. —

 

10.02.25
  1. FINALMENTE LA VERITA':  il dossier
    Il tesoro
    ucraino
    La prima volta che Donald Trump ha manifestato le sue intenzioni sull'Ucraina era il 3 febbraio scorso. Nello Studio Ovale, davanti a una pletora di giornalisti, ha detto di voler fare un accordo con Kyiv, dando al Paese devastato dalla guerra armi e aiuti in cambio delle sue «terre rare e altre cose». Se il messaggio non fosse stato abbastanza chiaro ha ribadito: «Hanno delle terre rare fantastiche, le voglio».
    Il presidente Usa starebbe lavorando da tempo a un accordo con il presidente Volodymyr Zelensky per l'accesso ai minerali, i metalli e il gas ucraino in cambio di garanzie di sicurezza in un potenziale accordo di pace. Se non è stato del tutto esplicito su cosa intenda con «terre rare e altre cose» non è difficile capire che si riferisca a quel tesoro conservato nel sottosuolo ucraino, tra materie prime, minerali, gas, litio, titanio e uranio, tutti componenti essenziali per le industrie che sviluppano computer, batterie e tecnologie energetiche all'avanguardia. Ed è altrettanto chiaro perché Trump le voglia: la Cina controlla il 70% della capacità estrattiva globale di terre rare e il 90% della capacità di lavorazione. Avere accesso a questi materiali potrebbe aumentare la competitività degli Stati Uniti nei confronti di Pechino, che poi sarebbe la prima voce dell'agenda "America First" del presidente.
    La ricchezza sepolta
    L'Ucraina ha 20 dei minerali e metalli essenziali a livello globale, come il titanio, utilizzato nell'industria aerospaziale e della difesa, e il litio, componente essenziale delle batterie dei veicoli elettrici. Ma possiede anche cerio, ittrio, lantanio e neodimio, la cui domanda sta aumentando tanto vertiginosamente quanto cresce la produzione di energie rinnovabili. Secondo il Ministero delle Finanze l'Ucraina occupa il primo posto in Europa per le riserve di titanio e ha un terzo delle riserve di litio europee, nonché il 20% delle risorse di grafite. Per i metalli non ferrosi, occupa il 4° posto in Europa per il rame, il 5° per il piombo, il 6° per lo zinco e il 9° per l'argento.
    Il problema, tuttavia, è la geografia. Le materie prime sono distribuite in modo non uniforme e circa 12 trilioni di dollari sono finiti nel territorio occupato dalla Russia: oggi oltre il 50% delle risorse minerarie di terre rare dell'Ucraina si trovano in regioni annesse illegalmente da Vladimir Putin e parzialmente occupate dalle sue forze armate. Per questo il Cremlino, che si vedrebbe strappare di mano il bottino di guerra, non è per nulla felice del "piano" di Trump. Basta ricordare che, a proposito di risorse, Oleksandr Yanukovych, figlio dell'ex presidente ucraino filorusso Viktor Yanukovych (fuggito un Russia nel 2014 dopo la Rivoluzione EuroMaidan), ha guadagnato miliardi vendendo alla Turchia carbone estratto dai territori ucraini occupati dalla Russia. Per questo il Cremlino, di fronte all'accordo ventilato da Trump, si è affrettato a ribadire che qualsiasi dialogo dovrà tener conto degli «interessi della Russia». Nessuna sorpresa insomma, che l'invasione su larga scala non abbia un movente "ideologico". Il tesoro ucraino fa gola a molti, lo ha sempre fatto, anche se i modi per appropriarsene differiscono drasticamente.
    Molti dei depositi minerali non sono ancora stati sfruttati e il loro valore è quindi sconosciuto. Secondo un'analisi della Kyiv School of Economics l'unica stima possibile indica un valore complessivo dei minerali critici dell'Ucraina tra i 3 e i 26 mila miliardi di dollari (12 secondo Forbes Ucraina). Le materie prime nei territori controllati dal governo ucraino ammontano a circa 120 milioni di tonnellate di riserve esplorate o parzialmente esplorate e 305 milioni di tonnellate di risorse stimate, tra cui 46 riserve di titanio, 34 depositi polimetallici, 11 depositi di grafite e due depositi di litio.
    I metalli diventati cruciali
    Le terre rare sono un gruppo di 17 metalli, la maggior parte dei quali pesanti. In una valutazione del 2024, lo United States Geological Survey ha stimato la presenza di 110 milioni di tonnellate di depositi in tutto il mondo, di cui 44 milioni in Cina, di gran lunga il più grande produttore mondiale. Si stima che in Brasile ne siano presenti altri 22 milioni di tonnellate, in Vietnam 21 milioni, mentre la Russia ne ha 10 milioni e l'India 7. Ma l'estrazione di questi metalli richiede un uso massiccio di sostanze chimiche, che generano enormi quantità di rifiuti tossici e hanno causato diversi disastri ambientali, rendendo molti Paesi restii ad assumersi i notevoli costi di produzione.
    Le terre rare sono metalli con proprietà chimiche e fisiche simili, come la capacità di condurre elettricità e calore. Sono generalmente caratterizzate da una bassa reattività e da elevate temperature di fusione e sono diventate essenziali per la produzione di smartphone, computer e televisori a schermo piatto. Sono fondamentali nella produzione di magneti permanenti, utilizzati in turbine eoliche e veicoli elettrici e per la raffinazione del petrolio e in vari processi chimici.
    Zelensky ha lavorato a lungo per sviluppare le risorse minerarie del Paese. Nel 2021, ha proposto incentivi fiscali agli investitori esteri per facilitare l'estrazione. Tuttavia, i suoi sforzi sono stati interrotti dall'invasione, avvenuta un anno dopo. Un tempismo "perfetto". Prevedendo l'interesse di Trump, Zelensky aveva incluso l'estrazione di questi minerali nel suo piano per la vittoria elaborato l'anno scorso.
    La ricostruzione
    Ma non c'è vittoria senza ricostruzione. Stati Uniti e alleati hanno già iniziato ha guardare al "dopo". In questa partita l'Europa vuole e deve giocare in primo piano.
    Qualsiasi vittoria che lasci l'Ucraina distrutta e in preda a un'economia stagnante sarà comunque una sconfitta. E un incoraggiamento a Putin per tornare ad aggredire. Per questo, nonostante la guerra su vasta scala in corso, il governo ucraino, con il supporto dei partner internazionali, continua a implementare un programma di ripresa rapida. La stima per la ricostruzione varia a seconda delle fonti e degli aggiornamenti, ma una delle valutazioni della Banca Mondiale e Unione europea, indica un costo di ricostruzione di circa 500 miliardi di dollari. Questa cifra include danni alle infrastrutture, all'economia e ai settori sociali, ed è destinata a crescere man mano che il conflitto continua e i danni si accumulano.
    Negli ultimi giorni la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) ha accelerato il passo, comunicando lo stanziamento record di quasi 2,4 miliardi di euro nel 2024, dopo i 2,1 miliardi di euro del 2023. Anche l'Italia, che il 10 e 11 luglio ospiterà a Roma la "Ukraine Recovery Conference", non è rimasta con le mani in mano: dall'inizio del conflitto l'assistenza bilaterale all'Ucraina, al netto di quella militare e del contributo italiano all'assistenza europea, ammonta a più di 2 miliardi di euro. —
  2. la sanità negata
    Migranti

    Paolo Russo
    roma
    Sono immigrati con regolare permesso di soggiorno, ma senza reddito o con entrate ridotte ai minimi termini. E spesso hanno seri problemi di salute, tanto da percepire una piccola pensione di invalidità.
    Lo Stato fornisce le cure, medico di famiglia compreso, anche alle persone senza permesso. Ma loro, paradossalmente, si trovano in un limbo, quello dei migranti regolari, ma poveri: il Governo Meloni, con la Finanziaria 2024, ha presentato loro un conto da 2 mila euro l'anno per iscriversi al Servizio sanitario nazionale, da versare tutti insieme. Solo l'anno prima ne bastavano 357. Un salasso che la maggior parte di queste persone non è in grado di pagare. E così in circa 50 mila, 3.811 solo in Piemonte, certifica il Gris, Gruppo regionale salute immigrati, sono diventati invisibili alla nostra sanità pubblica. Garantita invece a tutti gli stranieri in Italia che, con regolare lavoro, versando le tasse pagano la sanità.
    «Il paradosso - spiega Federica Tarenghi, medico della Simm, la Società italiana medicina dell'immigrazione e del GrIS-Piemonte - è che se sei irregolare puoi richiedere alla Asl il codice STP, quello di straniero temporaneamente presente che dà diritto ad accedere all'assistenza pubblica, mentre se hai regolare permesso di soggiorno devi pagare una somma irraggiungibile per molti. Così tanti immigrati regolari ma poveri si trovano nella assurda condizione di dover scegliere tra i diritti civili garantiti ai regolari e diritto alla salute».
    In molti così hanno abdicato la sanità, come documenta il calo del 65% delle iscrizioni volontarie all'Ssn dopo il maxi-aumento. Approvato il quale il Governo si era affrettato a precisare che la quota di iscrizione non veniva aggiornata da un ventennio e che comunque il pagamento era richiesto a chi se lo poteva permettere. A leggere infatti il testo del comma 240 dell'articolo 1 della manovra 2024, si vede che il contributo è dovuto dal personale religioso temporaneamente in Italia, da diplomatici, dipendenti stranieri di organizzazioni internazionali, stranieri che partecipano a programmi di volontariato. Oltre che da studenti stranieri, over 65 arrivati in Italia dopo il 5 novembre 2008 per ricongiungersi ai loro cari e «dai titolari di permesso di soggiorno per residenza elettiva che non svolgono attività elettiva». Va da sè che, tra studenti e pensionati, ci siano anche stranieri che versano in condizioni economiche di difficoltà. Ma il grosso degli "invisibili" della nostra sanità si annida in quella voce: gli stranieri con "residenza elettiva". Ricconi tipo Sting che si sono potuti comprare la villa in Italia per risiedervi qualche mese l'anno e che vogliono garantirsi le cure del nostro Ssn, non poi così bistrattato all'estero. «Peccato però che quella voce raccolga anche tanti immigrati extracomunitari, per i quali la residenza elettiva, a volte una casa comunale, è servita come espediente per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per altri due anni» spiega l'avvocato Vincenzo Papotti dell'Associazione studi giuridici per l'immigrazione (Asgi), che assiste molti di questi fantasmi della nostra sanità: «L'assurdo - aggiunge- è che mi trovo costretto a dire: "Guarda che se paghi poi non possiamo fare ricorso contro una norma che è a mio avviso palesemente discriminante e anticostituzionale"».
    «Ad essere stati così ingiustamente estromessi dall'assistenza sanitaria pubblica – aggiunge la dottoressa Tarenghi - sono ad esempio tanti africani che non hanno più un lavoro che gli consenta di ottenere il permesso di soggiorno e ai quali si assegna così una residenza elettiva. La scorsa settimana è venuto da noi un ragazzo con problemi psichiatrici che i duemila euro da versare non sapeva proprio dove trovarli, così ora si paga farmaci e visite specialistiche. Spende di più ma almeno non tutto in una volta» racconta sempre Federica Tarenghi, che ci mostra la lettera inviata a governo e regioni con la quale il GrIS avanza una serie di proposte, tra cui la rateizzazione del pagamento e una deroga all'intero pagamento per le persone in carico ai servizi sociali.
    Anche perché le storie raccolte dai suoi medici volontari reclamano giustizia. Come quella della signora marocchina, prima trapiantata di rene alle Molinette di Torino e poi lasciata senza cure. O quella della donna dominicana rimasta senza terapia anti-Hiv. O ancora il caso del ragazzo albanese costretto in carrozzina e con gravi deficit cognitivi che non può permettersi con la sua pensioncina di pagare la somma richiesta da uno Stato forte con i deboli e debole con i forti. Quelli che, come documentato dal rapporto Crea sanità, guadagnano ma non pagano le tasse e così nemmeno la sanità pubblica. Negata invece a chi ne avrebbe più bisogno. —

 

 

09.02.25
  1. la relazione del Comitato parlamentare per la sicurezza
    E il Copasir lancia l'allarme sulla Libia " In 700 mila pronti a partire per l'Italia"
    FRANCESCO MALFETANO
    ROMA
    Del caso Almasri, ovviamente, non c'è traccia. Eppure di Libia nella relazione del Copasir sull'Africa (testualmente «Sulla situazione geopolitica del continente africano e sui suoi riflessi sulla sicurezza nazionale») approvata nella seduta del 5 febbraio scorso, si parla eccome.
    Il documento di 88 pagine offre diversi spunti che aiutano ad inquadrare l'importanza del Paese nordafricano per l'Italia e i rapporti che oggi legano Tripoli e Roma. In primo luogo perché è lo Stato «da cui parte la maggioranza dei migranti» che approdano sulle nostre coste e perché "contiene" almeno «700 mila migranti irregolari». In seconda battuta perché la regione, specie sul fronte che dà verso il Sahel, è considerata terra di nessuno. Qui si concentrano - si legge - «traffici illeciti di esseri umani, di carburante, di droghe e, recentemente, di armi, favoriti dal fatto che la Libia non sembra essere in grado di controllarli». Il governo con cui «viene regolarmente svolta un'attività di collaborazione con i Servizi», con cui si è stabilito il regolare svolgimento delle molte attività di colossi italiani come Eni e con cui sono concordate almeno tre diverse operazioni militari in atto (Miasit, Eubam e quella delle Nazioni Unite), non pare in grado di garantire stabilità.
    Una posizione aggravata dalla pesante influenza esercitata dalle «modalità predatorie» che la Cina applica in tutto il Continente, e dalle operazioni di Russia e Turchia. Se Ankara sta provando ad aumentare «l'influenza politica» con l'apertura «di numerose ambasciate e consolati» nell'Africa occidentale, Mosca e il sostegno al generale Haftar rappresentano un vero fattore di instabilità. Dalla Libia i russi fanno passare, «spesso attraverso società militari private» le armi destinate a Paesi oggetto di golpe come Mali e Burkina Faso. —
  2. oggi l'allaccio con quella europea, era l'ultima eredità dell'urss
    I Baltici si staccano dalla rete elettrica russa

    Da oggi, Estonia, Lettonia e Lituania si staccheranno dalla rete elettrica regionale russa nota come Brell per passare alla rete sincrona condivisa dell'Europa continentale, in una transizione che è stata preparata per molti anni e liberandosi finalmente di una delle ultime vestigia di 50 anni di occupazione sovietica: una rete elettrica controllata dalla Russia. Sei mesi fa, i paesi baltici avevano notificato ufficialmente alla Russia la loro intenzione di "desincronizzarsi" e così, il 7 febbraio, è scaduto il cosiddetto accordo Brell (Bielorussia, Russia, Estonia, Lettonia, Lituania) che regola la rete condivisa. Ieri, Estonia, Lettonia e Lituania si sono disconnesse simultaneamente da quella rete, c'è stato un interregno in cui hanno funzionato come un'isola, sopravvivendo solo con l'elettricità che producono. Oggi, avverrà la sincronizzazione della loro nuova rete indipendente con la Continental Europe Synchronous Area, che copre la maggior parte dell'Unione Europea. I Paesi baltici si sono preparati a questo momento per quasi tutti i due decenni da quando sono entrati a far parte dell'Ue e poi nel 2024 nella Nato, ristrutturando le infrastrutture esistenti e costruendo nuove linee elettriche, tra cui diversi cavi sottomarini per la Finlandia e la Svezia e un collegamento via terra cruciale alla rete europea continentale, la linea LitPol che collega Lituania e Polonia. Dopo che la Russia ha invaso l'Ucraina nel 2022, tutti e tre i Paesi sono stati in grado di smettere di acquistare elettricità da Mosca. Ma la Russia aveva ancora il controllo totale del funzionamento della rete, ha affermato Susanne Nies, responsabile del progetto presso l'istituto tedesco di ricerca energetica Helmholtz-Zentrum. E, in un altro retaggio dei tempi sovietici, forniva ancora questi servizi gratuitamente. Oggi, l'ultima spina dalla Russia è stata staccata.
  3. In corteo anche un 99enne sopravvissuto all'olocausto
    Germania ancora in piazza contro Afd

    Uski Audino
    berlino
    Nonostante i suoi 99 anni il signor Albrecht Weinberg, sopravvissuto alla Shoah, ha deciso di scendere in piazza, a Leer, con temperature vicino allo zero, per manifestare contro il rischio di nuove alleanze politiche con l'estrema destra di Afd in Germania. «Che questo mi potesse accadere a quasi cent'anni è incredibile», ha dichiarato l'anziano signore all'agenzia di stampa tedesca, dalla cittadina della Frisia orientale. Weinberg la scorsa settimana aveva annunciato di voler restituire la croce al merito della Repubblica federale per protestare contro il primo voto congiunto al Bundestag tra i conservatori dell'Unione Cdu-Csu e la destra radicale di Alternative für Deutschland sul respingimento dei migranti ai confini, un voto comune senza precedenti nella storia della Germania del dopoguerra. Il vecchio signore – sopravvissuto a tre campi di concentramento: Auschwitz, Mittelbau-Dora e Bergen-Belsen, oltre diverse "marce della morte" – ha partecipato in sedia a rotelle alla manifestazione di ieri, che si è snodata attraverso il centro cittadino. Weinberg si è detto felice di lanciare un segnale insieme a così tante persone radunate per lo stesso motivo. Nella piccola Leer si sono ritrovati in strada in 1800, mentre in altre città sono state diverse migliaia e a Monaco erano oltre duecentomila. «Il messaggio è molto chiaro per noi», ha aggiunto il suo amico fotografo Luigi Toscano, insieme al quale Weinberg ha deciso di restituire l'onorificenza la scorsa settimana: "Ci opponiamo all'antisemitismo, al razzismo e a tutte le forme di xenofobia". Il messaggio è stato raccolto dal presidente della Repubblica federale Frank Walter Steinmeier che sentirà al telefono il quasi centenario Weinberg nei prossimi giorni. —
  4. La campagna ristagna, le dosi andranno fuori termine tra agosto e novembre. Di Perri, infettivolgo: "I più anziani non devono sottovalutare il virus"
    Covid, 140 mila vaccini in scadenza

    alessandro mondo
    Non si sa quale sia il loro valore: li compera lo Stato, quindi non si trovano in commercio, e il prezzo di acquisto è secretato. Un dato è certo: oggi come oggi, ci sono più vaccini che vaccinandi, l'offerta supera ampiamente la domanda.
    Parliamo del Covid, caratterizzato da numeri incomparabilmente più bassi rispetto a quelli degli anni spaventosi della pandemia, e da un paio di anni oscurato dall'influenza, che gli ha rubato la scena. Covid e vaccini anti-Covid, giacenti nei depositi e in gran parte destinati allo smaltimento.
    I numeri, per capiure: nei magazzini regionali ci sono 136.656 dosi del nuovo vaccino Pfizer per adulti e 2.688 del vaccino per bambini; i vaccini utilizzati per la campagna in corso scadranno tra agosto 2025 (tipologia 6 mesi-4 anni e 5-11 anni) e novembre 2025-gennaio 2026 (tipologia adulti). Dati forniti dalla Regione.
    Considerato che le dosi somministrate da ottobre 2024 al 26 gennaio 2025 nel corso della campagna vaccinale sono state 72.707, la prospettiva che una buona parte della riserva finisca all'inceneritore è molto più di una possibilità.
    «In Piemonte si registra un andamento decrescente - conferma l'ultimo bollettino regionale -. Il tasso di occupazione dei posti letto in area medica è 0.4 %, quello dei posti letto in terapia intensiva è 0.2%, la positività dei tamponi è al 2.62%. Nel periodo 30 gennaio-5 febbraio i casi medi giornalieri dei contagi sono stati 2.9 (-43%) rispetto al periodo precedente. Nel periodo 30 gennaio-5 febbraio l'incidenza regionale (ovvero l'incremento settimanale di nuovi casi di Covid per 100 mila abitanti) tra gli adulti è stata 3.6 (-30%) rispetto a 5.2 del periodo precedente. Nella fascia di età 19-24 anni l'incidenza è 2.1, tra i 25 e i 44 anni l'incidenza è 1.4 casi, tra i 45 ed i 59 anni si attesta a 2.7, tra i 60-69 anni è 3.5, tra i 70-79 anni è 8.4. Nella fascia over 80 l'incidenza è 11.5 casi. Venendo all'età scolastica, nello stesso periodo nella fascia 0-2 anni 4.9 casi, nelle fasce 3-5, 6-10 e 11-13 anni non si sono registrati, tra 14-18 anni 0.5 casi.
    Di converso, l'influenza, che questa settimana ha raggiunto il picco, macina contagi e innesca polmoniti tra gli anziani: il Seremi stima che da metà ottobre i piemontesi con sindrome simil-influenzale siano stati circa 660mila, di cui circa 60 mila nella quinta settimana dell'anno. Il virus "nostrano" e i suoi parenti, diciamo così, primeggiano in termini di virulenza: la Sorveglianza virologica RespiVirNet segnala nell'ultima settimana positività (in ordine di frequenza decrescente) a: Virus Influenzali, Virus Respiratorio Sinciziale, Rhinovirus, Coronavirus diversi da SARS CoV-2, Metapneumovirus, SARS CoV-2.
    Una sommatoria di fattori che, insieme alla memoria corta, porta gran parte della popolazione ad archiviare il Covid come un brutto ricordo, e il vaccino come un arnese ormai inutile. Al netto delle diffidenze, dure a morire. Una sciocchezza, avverte il professor Giovanni Di Perri, responsabile Malattie infettive all'Amedeo si Savoia, soprattutto se a disertare la vaccinazione è la fascia più anziana e vulnerabile della popolazione, quasi sempre caratterizzata da un quadro clinico già precario che il Covid, virus tuttora circolante e multistagionale, può far precipitare nè più nè meno dell'influenza. «Altro dato - aggiunge Di Perri -: tra gli anziani i vaccini anti-Covid suscitano una risposta immunitaria inferiore, ragion per cui i richiami andrebbero rispettati tassativamente».
    Ecco perchè la giacenza nei depositinon è una buona notizia. La Regione rimetterà i vaccini in eccedenza, e in scadenza, nelle disponibilità nazionali, sapendo che, oggi come oggi, tutte le Regioni vivono più o meno la stessa situazione e quindi nemmeno la struttura centrale sa che farsene, di tutti questi vaccini. Come si premetteva, la gran parte verranno avviati allo smaltimento: soldi buttati e minore prevenzione. —
  5. Esposto Pd contro l'assessore Chiarelli "Contributi elettorali da una cooperativa"
    Esposto contro l'ex vicesindaco e attuale assessore regionale Marina Chiarelli (Fratelli d'Italia) per il contributo elettorale che le è stato erogato dalla cooperativa sociale Silvabella di Mortara (Novara). A presentarlo è stato il gruppo del Pd, che aveva già portato alla luce la vicenda a dicembre. I destinatari dell'esposto sono due: la procura della Repubblica e il collegio di garanzia presso la Corte d'appello di Torino. A prescindere dall'importo, che è modesto (su un primo rendiconto erano indicati 2. 500 euro, cifra in seguito corretta a 3 mila), la legge 195 del 1974 vieta a una serie di soggetti di versare contributi ai partiti politici, ai quali un'altra legge, la 659 del 1981, equipara i candidati alle elezioni.

 

 

08.02.25
  1. I testimoni nella class action Usa: "Chery sapeva che i risultati non sarebbero stati raggiunti" Nel mirino anche il direttore finanziario: venduti milioni di azioni. Il portavoce non commenta
    I protagonisti
    L'accusa degli ex manager "L'ad di StMicroelectronics ha nascosto l'allarme conti"
    claudia luise
    L'amministratore delegato di StMicroelectronics, Jean-Marc Chery, e il cfo, Lorenzo Grandi, avrebbero saputo già dai primi mesi del 2023 che le previsioni per la società, e in generale per tutto il settore dei semiconduttori, erano in peggioramento ma avrebbero ignorato questi segnali. Anzi, avrebbero comunicato false attese al mercato mascherando le difficoltà che stavano emergendo in un periodo intricato per il management, che era in scadenza di mandato. Nello stesso periodo, entrambi avrebbero venduto azioni della società. È questo il "cuore" della class action intentata da alcuni azionisti contro Stm negli Usa e che emerge nella memoria depositata presso la Southern District Court di New York il 21 gennaio scorso dai promotori della causa - Faith Close, Hassan Ibrahim, Aya Zalat e Ferdinando Garbuglio. Una causa che si concentra nel periodo compreso tra il 14 marzo del 2023 e il 30 ottobre 2024. Gli studi legali avevano nei mesi scorsi lanciato degli appelli a eventuali azionisti danneggiati incoraggiandoli a partecipare alla class action e ora il giudice dovrà decidere se autorizzare l'investigazione o procedere all'archiviazione, come probabilmente chiederà la società. Quindi gli avvocati hanno presentato una memoria che raccoglie le testimonianze volontarie di otto ex manager della multinazionale partecipata dai governi italiano e francese. Testimonianze anonime, ma tra cui spicca quella del teste numero 1 che viene riportato essere presidente della divisione automotive e discrete di Stm dal 2012 a fine 2023 e membro dell'executive committee. Facile intuire che si possa trattare di Marco Monti, che il 10 gennaio del 2024 ha lasciato il gruppo.
    «Nel corso del 2023, il teste 1 ha partecipato alle riunioni mensili con circa 25 manager di alto livello, tra cui Chery, che ha presieduto le riunioni. Secondo il testimone 1, in questi incontri si sono discusse previsioni, visibilità della domanda, reporting pubblico e informativa. Durante questi incontri - si legge nella memoria - testimone 1 ha detto a Chery che Stm avrebbe dovuto riportare pubblicamente le previsioni che erano coerenti con il mercato dei semiconduttori in generale: la società prevedeva un rallentamento significativo nel 2023 in linea con l'industria». Inoltre, lo stesso testimone, avrebbe anche «avvertito Chery che gli impegni resi pubblici agli investitori nel terzo e nel quarto trimestre del 2023 non potevano essere mantenuti sulla base delle informazioni già note alla società». E infatti per il resto del 2023 e per il 2024 si è realizzata la tendenza al ribasso prevista. Il manager sostiene anche di essersi lamentato per iscritto con il ceo Chery dopo aver «scoperto che il personale di vendita di Stm offriva sconti eccessivi ai clienti per incrementare le vendite del settore Adv (la divisione che lo stesso testimone 1 presiedeva, ndr), senza la sua approvazione». Comportamento che avrebbe «gonfiato le vendite e riempito i canali di distribuzione dell'azienda per nascondere il calo della domanda». Ancora, si legge nella memoria, «secondo testimone 1, questo schema di riempimento dei canali ha creato una bolla che ha alimentato la falsa apparenza di migliori performance finanziarie nel corso del 2023». Nello stesso periodo, infatti, ad e cfo hanno indicato al mercato una previsione di fatturato per l'anno 2024 di 17 miliardi di dollari, poi consuntivati a 13 circa. Intanto l'azione si è svalutata del 50%.
    Ma c'è anche un altro capitolo della memoria che apre scenari significativi. Secondo i promotori della class action «durante il periodo considerato, Chery e Grandi hanno sfruttato il prezzo gonfiato delle azioni di Stm e la mancata informazione agli investitori riguardo il crescente problema della domanda di Stm per guadagnare complessivamente quasi 8 milioni di dollari in vendite interne di azioni. In particolare, Chery ha venduto oltre 4,1 milioni di dollari in azioni ordinarie, mentre Grandi ha venduto poco più di 3,7 milioni di dollari in azioni ordinarie. Questi guadagni derivanti dalla vendita di azioni superano di gran lunga lo stipendio di Chery di 1,21 milioni di dollari nel 2023». Condotta, è scritto nel documento, che sarebbe stata dettata anche dal fatto che «la posizione di Chery nel consiglio di gestione di Stm e il suo incarico di ceo sarebbero scaduti dopo l'assemblea annuale degli azionisti della società nel 2024. Il sentiment negativo nei confronti di Chery era in crescita durante quei mesi specialmente tra i membri italiani del Consiglio di sorveglianza della società. Per mantenere la sua posizione, doveva riportare risultati positivi. Chery è riuscito a fare questo grazie allo schema fraudolento descritto sopra».
    Il portavoce italiano di Stm, interpellato sull'argomento, non commenta le cause legali per policy aziendale ma ricorda che, in merito alle polemiche dei giorni scorsi dopo la negativa reazione dei mercati ai bilanci presentati, sui possibili tagli ai dipendenti «nessuna decisione è ancora stata presa» e che per ora c'è solo un piano di riduzione delle spese fino al 2027 che riguarda anche «allontanamenti volontari nel mondo, non solo in Italia».
  2. Nel 2024 casi in aumento a Torino e provincia. Se l'attesa sfora i parametri, le aziende devono garantire la prestazione in intramoenia e a loro carico
    Sanità, tempi troppo lunghi per gli esami Alle Asl 3 mila richieste di visite private
    alessandro mondo
    Sono migliaia, in aumento. Il fenomeno tuttora irrisolto delle liste di attesa, ovvero la difficoltà e talora l'impossibilità di prenotare una visita o un esame, si può misurare anche attraverso le richieste dei cittadini per accedere al "percorso di tutela": se la prenotazione supera il termine indicato nell'impegnativa, è possibile chiedere la prestazione a pagamento, ma a carico del servizio pubblico.
    Non è una gentile concessione ma l'applicazione di una legge dello Stato che pur datando al 1998, finora è stata sostanzialmente disattesa: per carenza di informazione da parte degli addetti del Centro unico di prenotazione regionale e delle Asl, ma anche perché, dato l'impatto che il pieno esercizio di questo diritto avrebbe sui bilanci delle aziende, nessuno ha mai avuto interesse a parlarne più di tanto, anzi.
    Disattesa, la legge, con riferimento ai numeri potenziali rispetto a quelli reali, di per sè già abbastanza alti. Così, ora che per il 2024 è tempo di bilanci, risulta che all'Asl Città di Torino sono arrivate 1.861 istanze da parte di cittadini per la richiesta di attivazione del "Percorso di tutela per il rispetto dei tempi di attesa per le prestazioni specialistiche: di queste 1.787 sono state risolte, pari al 96% del totale. Un buon risultato, a valle, di un problema a monte.
    Numeri inferiori nelle Asl della provincia dove la popolazione è inferiore e dove è possibile che pesi anche una minore informazione: 411 i percorsi di tutela attivati dall'Asl Torino 3 nel 2024, 362 nell'Asl Torino 4, 145 nell'Asl Torino 5. Fatte le somme, sono quasi 3 mila richieste in dodici mesi da parte di persone che non sono riuscite a trovare un posto al primo colpo, soltanto a Torino e nel Torinese.
    E questo, nonostante sulle liste di attesa i dati siano talora controversi. E' il caso dell'Asl di Torino, che in risposta al dossier di Federconsumatori sui tempi per le prestazioni ambulatoriali di fine novembre–inizio dicembre 2024 nella medesima azienda, pubblicato sul nostro giornale, replica: «Pur comprendendo le difficoltà del sistema di prenotazione, va precisato che la rilevazione dei tempi d'attesa deve essere fatta all'interno di tutto il territorio dell'Asl, considerando tutte le strutture sanitarie territoriali e ospedaliere, pubbliche e private convenzionate e non relativamente ad ogni singolo ambulatorio». Il 3 febbraio l'azienda ha effettuato una verifica al Cup, Centro unico prenotazione, sui tempi di attesa delle stesse visite specialistiche analizzate da Federconsumatori, con tempistiche brevi o molto brevi, comunque nei parametri.
    Quanto alla legge di cui sopra, la Regione la ricorda periodicamente ai direttori generali delle Asl per incentivarli al raggiungimento degli obiettivi. Cosa prevede, esattamente? «Al termine della ricerca, qualora non si riuscisse a soddisfare la richiesta di prenotazione entro i termini del codice di priorità specifico, o dai tempi massimi stabiliti, l'Asl di appartenenza, a seguito di un'ulteriore verifica, anche in termini di appropriatezza della prescrizione, dovrà erogare la prestazione nell'ambito dell'attività professionale intramuraria, rispettando sia il criterio di rotazione tra i professionisti sia il rapporto tra i volumi di attività istituzionale e in libera professione».
    L'attivazione del percorso è subordinata alla presentazione dell'impegnativa e alla prenotazione, comprensiva della data che oltrepassa il limite indicato, in base alle quali chiedere una nuova prenotazione in intramoenia a carico dell'Asl. Di rimborsi non si parla. Chi non ha avuto la possibilità di prenotare nei tempi e con i canali previsti ha diritto alla visita o all'esame gratuito (al netto dell'eventuale ticket). La scelta del medico o della struttura per la prestazione resta di pertinenza dell'Asl, vincolata a garantirla nei tempi indicati dall'impegnativa. —
  3. Il tribunale: l'azienda non ha riconosciuto per quasi 6 anni la pausa di 15 minuti. La Filt Cgil: "Pronti ad aiutare altri lavoratori"
    Un magazziniere batte Amazon "Va risarcito per i turni notturni"
    giovanni turi
    Amazon Italia Transport, filiale italiana della multinazionale in capo a Jeff Bezos, è stata condannata a pagare gli arretrati di quasi sei anni a un magazziniere del suo centro di smistamento a Grugliasco. È la decisione assunta della sezione lavoro del Tribunale di Torino. La vicenda è arrivata in aula il 25 giugno dell'anno scorso e ruota intorno al turno notturno di Gaetano L.M., il lavoratore assunto da agosto 2018 in Amazon che ha fatto causa all'azienda supportato dalla Filt-Cgil. Dalle 23 alle 7 scarica e carica merci sui camion.
    Otto ore continuative (che valgono anche nei turni avvicendati e/o sfalsati) di lavoro. Che però il contratto nazionale di logistica, trasporto merci e spedizione scala a 7 ore e 45 minuti per il "personale non viaggiante" - come, appunto, i magazzinieri - tenendo conto anche di una pausa retribuita di 30 minuti in mezzo. «Un modo per rendere meno pesante la mole di lavoro in questo frangente di orario», spiega i coordinatore regionale del dipartimento trasporto, merci e logistica della Filt Cgil, Francesco Imburgia.
    Quelle otto ore piene e continuative, Gaetano le ha sempre lavorate. Anche dal maggio 2021, quando è stato inaugurato il deposito di Grugliasco, dove è stato spostato dopo tre anni di servizio nel centro di Brandizzo. Quasi ogni notte, esclusi un mese e mezzo a cadenza annuale e le ferie. I quindici minuti di arretrati che si sono accumulati nel tempo sono così diventati un risarcimento di 2.059 euro. Al lavoratore, assistito dalle avvocate Marta Lavanna e Silvia Ingegneri, ricompensate anche le spese legali.
    «Nel corso delle udienze, l'azienda si è giustificata nel mancato adempimento della normativa legata al Ccnl sostenendo che bastava il pagamento della mezz'ora di pausa», racconta Imburgia. Dai due avvocati di Amazon, sotto la società Seyfarth, non arrivano commenti su eventuali ricorsi. Esulta la Filt Cgil che vede nella decisione del Tribunale di Torino «un importante passo nella corretta applicazione del contratto collettivo». E si dice «pronta a chiedere all'azienda di coprire anche l'importo che spetta al lavoratore dal giugno 2024 fino a oggi e ad assistere tutti quei lavoratori che si trovano nella stessa situazione».
    Sono oltre 250 i dipendenti contrattualizzati nei centri di smistamento del colosso statunitense a Grugliasco e Brandizzo. «Si tratta di una sentenza che avrà un impatto rilevante, di portata nazionale - afferma Imburgia - Replicheremo cause come questa in tutte le altre province piemontesi».

 

07.02.25
  1. 007 LICENZA DI UCCIDERE : Bayesian
    I fantasmi
    La trama del misterioso naufragio del Bayesian si intreccia anche a quella altrettanto interessante in cui finanza, tecnologia e intelligence si incrociano, proiettandosi ben oltre il golfo di Palermo, fino alla prestigiosa Università di Cambridge, sin nel cuore della Silicon Valley.
    La persona che lega tutti questi Paesi e tutti questi contesti è Mike Lynch, il proprietario dello yacht e imprenditore dei big data: per alcuni, pioniere dell'intelligenza artificiale, per altri, un rider finanziario capace di trasformare codici digitali in valori miliardari. Già questo aspetto collega Mike Lynch a ciò che sta avvenendo nella Silicon Valley alle prese con la tecnologia di Chat GPT, un modello di linguaggio sviluppato da OpenAI, progettato per generare testo in modo autonomo e rispondere a domande in modo conversazionale sul cui valore oggi si addensa la minaccia di DeepSeek, che usa le stesse reti neuronali al servizio di analisi di dati e contesti specifici. Il tutto, come nella vicenda di Mike Lynch, genera ancora oggi ampissimi up e down borsistici e non solo.
    Dunque la storia di Mike Lynch è un caso di studio per chiunque voglia comprendere come il valore delle imprese tecnologiche sia oggetto di aggiornamenti quando non di vere e proprie dispute che generano i più grandi utili (o perdite) dei nostri tempi.
    I primi passi nell'IA
    Quando nel 1983 Lynch arriva a Cambridge, la lezione dell'antesignano dell'intelligenza artificiale Alan Turing, padre dell'algoritmo e del machine learning, è quanto mai attuale. Turing a sua volta aveva messo a frutto le intuizioni di Bayes, uno scienziato teologo ante litteram che nel 1700 aveva già posto le basi teoriche del calcolo delle probabilità delle cause che avrebbero generato un evento noto: è il primo arcaico mattone dell'IA.
    Siamo all'alba del big bang informatico e nel 1983 il TIME magazine mette il Computer in copertina come personaggio dell'anno. Lynch con uno stratagemma riesce a mettere le mani sul microchip più sofisticato dell'epoca. Applicando il Teorema di Bayes alle enormi potenzialità di calcolo disponibile scaturisce un programma capace di automatizzare il riconoscimento di impronte digitali. Subito dopo arriva il riconoscimento delle targhe automobilistiche.
    Il software mette nelle mani di Mike Lynch i primi lucrosi contratti ed è soprattutto la chiave per lo sfruttamento dell'enorme quantità di dati che la crescita esponenziale di internet stava generando. Ne è convinto il professor Varese, oggi criminologo all'Università di Oxford, che ha studiato a Cambridge proprio in quegli anni e che riconosce a Lynch il merito della creazione del primo nucleo di IA.
    La nascita di Autonomy: il sogno imprenditoriale
    Nel 1996, Lynch fonda Autonomy, un'azienda specializzata in software per l'analisi dei dati non strutturati, un campo allora quasi inesplorato. L'idea alla base di Autonomy è rivoluzionaria: utilizzare algoritmi di intelligenza artificiale per estrarre informazioni significative da grandi volumi di dati testuali, come email, documenti e registrazioni audio.
    La start-up nata nella stanza di uno studente di Cambridge è quotata al London Stock Exchange, poco dopo l'11 Settembre e l'attacco terroristico alle Torri Gemelle genera la necessità da parte della National Security Agency di leggere e interpretare migliaia di conversazioni telefoniche intercettate. Il riconoscimento vocale e la correlazione di singole parole produce il miracolo di rendere disponibili gigantesche quantità di dati altrimenti inutilizzabili.
    Mike Lynch diventa l'eroe nazionale inglese, archetipo del self-made man, metà scienziato, metà businessman, capace di scalare le vette del successo imprenditoriale, corteggiato dalla politica. Diventa consigliere di Dowing Street per le nuove tecnologie, consigliere di amministrazione della BBC, le porte del potere inglese sono spalancate. La sua sensibilità scientifica unita a un fortissimo fiuto per gli affari lo rende in breve la figura più in vista della City di Londra, al punto da essere definito il Bill Gates inglese. L'azienda cresce rapidamente, attirando l'attenzione di investitori e clienti in tutto il mondo.
    La Hewlett Packard, allora una delle old big tech che non aveva saputo cavalcare l'innovazione prodotta da internet, è alla ricerca di uno strumento per rientrare nel nuovo flusso tecnologico e riconosce in Autonomy la società ideale per ridargli slancio. La HP riesce ad aggiudicarsene l'acquisto per 11 miliardi. È la più grande operazione finanziaria mai realizzata tra Gran Bretagna e Usa. Le cose però non vanno come dovrebbero: il matrimonio tra società così diverse non funziona e Mike Lynch viene accusato di aver frodato l'HP, facendo apparire ricavi che non si vedono. Prima di finire nel gorgo della giustizia inglese e americana, Lynch fa in tempo a creare un fondo di private equity che finanzia start-up. Quella che gli riesce meglio però è nient'altro che una versione aggiornata della sua Autonomy. Si chiama Dark Trace, nel suo consiglio siedono l'ex n. 1 del MI5 inglese e il suo equivalente della Cia.
    Dark Trace
    Dark Trace si specializza in cybersecurity grazie all'utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale che rilevano possibili minacce informatiche. Anche in questo caso, Lynch dimostra la sua capacità di anticipare le tendenze del mercato e Dark Trace cresce rapidamente, diventando una delle aziende più innovative del settore. Nel frattempo, negli Stati Uniti le nuvole della tempesta giudiziaria si addensano e grazie a una vecchia legge usata per contrastare la criminalità organizzata, che facilita l'estradizione in Usa, Mike Lynch viene trasferito di forza - in catene come racconta più volte lui stesso - per subire un processo federale il cui esito è pressoché statisticamente scontato: solo lo 0,5% degli imputati ne esce assolto.
    Il conservatore Lord Deben, grande amico di Lynch, non ha dubbi sul fatto che gli Usa abbiano usato la leva giudiziaria impropriamente. Il voltafaccia di HP, che accusa l'imprenditore inglese e il suo team di aver gonfiato artificialmente i ricavi e il valore dell'azienda, secondo Lord Deben «non è giustificato: poiché aveva accuratamente potuto accertare per più di un anno il vero valore di Autonomy».
    La vicenda di Lynch allora assume le dimensioni di epifenomeno dell'intera vicenda dell'IA. Cosiccome l'arrivo della cinese DeepSeek, cancellando la "segreta unicità" dell'IA made in Usa, ha messo in crisi la narrazione dell'IA come esclusiva americana, la vicenda di Autonomy e di Dark Trace dimostra che in Europa ci possono essere talenti e business models in grado di competere, che la partita è sempre aperta.
    Nel giugno dello scorso anno, Lynch viene prosciolto dalle accuse, poco dopo il naufragio anche Dark Trace viene venduta a un fondo americano per oltre 4 miliardi di dollari, confermando ancora una volta il fiuto imprenditoriale di Lynch. La sua prediletta manager Poppy Gustaffson, già ceo di Dark Trace, viene nominata baronessa e re Carlo III ratifica la scelta del governo laburista di concederle un seggio a vita alla Camera dei Lord. Il titolo di baronessa le permetterà soprattutto di essere nominata ministro dell'Innovazione nel Governo Starmer.
    Il segreto dei software
    Oltre le cause specifiche dell'affondamento del Bayesian, l'aspetto più misterioso riguarda i codici sorgente dei software di Autonomy e Dark Trace. Una tesi vuole che Lynch, consapevole del loro immenso valore strategico, li portasse sempre con sé, memorizzati su dispositivi portatili, una pratica che sarebbe continuata anche dopo la vendita di Autonomy a HP nel 2011, e che potesse avere copie di backup o versioni modificate dei software, utilizzate per scopi personali o legati a progetti segreti.
    Un'eredità di enigmi
    Mike Lynch rimane una figura enigmatica, capace di suscitare ammirazione e sospetti in egual misura. La sua passione per l'agente segreto più famoso al mondo, James Bond, che lo portò a acquistare la sua celebre Aston Martin e a battezzare le sale del suo ufficio con i nomi dei personaggi di 007, sono solo la scenografia dei suoi legami con i servizi segreti inglese, americano, israeliano.
    Il mistero dell'esistenza dei codici sorgente aggiunge un ulteriore strato di complessità alla sua storia, trasformandola in un racconto che sfuma tra realtà e finzione. Che i codici siano ancora nella cassaforte del Bayesian o meno, una cosa è certa: Lynch ha lasciato un'impronta indelebile nel mondo della tecnologia, e la sua ombra continua a ispirare dibattiti e speculazioni. Forse, come ogni grande mistero, questa storia non sarà mai completamente svelata. —
  2. I segreti
    memorandum
    del
    Francesco Grignetti
    Roma
    Diceva due giorni fa il ministro Matteo Piantedosi, in Parlamento, riferendosi alla Libia: «Scenari di rilevante valore strategico ma, al contempo, di enormi complessità e delicatezza». Un eufemismo per dire che la Libia preme assai a questo governo essendo un gigantesco deposito di petrolio, ma è anche il suo tallone d'Achille. Perché si può disquisire a lungo del Piano Mattei (che peraltro è ancora sulla carta e gli investimenti per la Libia sono assai scarsi), ma la sostanza è che gli sbarchi proseguono e per frenarli Giorgia Meloni si muove nel solco dei suoi predecessori. Né una virgola in più, né una in meno rispetto a quel che è scritto nel famoso Memorandum del 2017, che lei ha ereditato e coltiva con dedizione.
    Forse la novità di oggi è che i libici chiedono al nostro governo più tecnologia di un tempo. Adesso vogliono anche vigilanza satellitare, droni, e torri di vigilanza elettronica da sistemare nel Sahara, ma è roba troppo più grande di noi. Vedi le richieste del ministro dell'Interno, Imed Trabelsi, a Piantedosi per meglio fermare i migranti clandestini. Va anche ricordato che il ministro Trabelsi è uno dei grandi sponsor del famigerato Almasri; evidentemente a Roma hanno pensato che a contrariarlo c'era il rischio di una reazione inconsulta.
    Da quelle parti ci sono particolari suscettibilità. Un solo esempio recente: per un'indagine della Guardia civil spagnola nei confronti del rampollo del generale Haftar, per rappresaglia lo stesso Haftar ha cacciato la società petrolifera iberica Repsol dal suo campo di estrazione nel Sahara, il maggiore che gestiva nel mondo.
    I rapporti tra Roma e Tripoli sono dunque regolati dal famoso Memorandum del 2017. Prima ancora, in verità, venne Berlusconi. Il Cavaliere srotolò i tappeti rossi e Gheddafi fece una clamorosa quanto scombiccherata visita di Stato in Italia. Intanto si predisponevano le carte perché a Bengasi il 30 agosto 2008 era stato firmato un Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione. Al punto 19 si prevedeva di rafforzare la "collaborazione in atto" nella lotta all'immigrazione clandestina. E subito l'allora ministro Roberto Maroni andò a Tripoli annunciando l'arrivo di sei motovedette, sistemi informatici, equipaggiamenti, autovetture. La Selex avrebbe supervisionato con occhi elettronici i confini terrestri.
    Come si ricorderà, però, nel 2011, con l'esplodere delle primavere arabe e vista la repressione armata sui civili, l'amico Gheddafi divenne nostro nemico. Fu guerra vera. Come inevitabile contraccolpo dovemmo fronteggiare una prima ondata di immigrazione, poi una seconda, e una terza. Tanti arrivavano, tanti morivano in mare. Con il governo Letta, tra 2013 e 2014, si pensò di risolvere il problema mandando le navi militari a raccogliere i profughi in mare con la missione "Mare Nostrum". Dopo un anno l'Europa ci impose di chiuderla perché ci stavamo trasformando in un formidabile scalo tecnico per migranti.
    La Libia intanto era divenuta sinonimo di caos. Nel 2016 arrivarono 180mila migranti. Si calcolava che sarebbero stati 250mila l'anno dopo. Di qui la corsa del governo Gentiloni e del ministro Minniti a chiudere la falla. Costasse quel che costasse. E venne il famoso Memorandum del febbraio 2017, tanto contestato a sinistra, maldigerito fin da subito da mezzo Pd, ora del tutto abiurato. Gentiloni strinse l'accordo con l'allora premier ad interim Serraj (benedetto dalle Nazioni Unite) nella prospettiva di consolidarlo. Gli europei applaudirono e ci misero altri soldi.
    Molti dettagli del Memorandum restano oscuri, ma si sa di motovedette per la Guardia costiera libica, addestramento agli equipaggi, divise, stipendi, pure una nave-officina nel porto di Tripoli per riparare ai danni dei natanti usati per la caccia al migrante. Militari italiani hanno gestito una sala operativa nel porto. Abbiamo inviato anche jeep, visori notturni, droni e sistemi di rilevamento per controllare la frontiera verso Sud.
    Nel Memorandum, all'articolo 2, è scritto che le Parti "si impegnano all'adeguamento e al finanziamento dei centri di accoglienza già attivi". Merito di Minniti è aver preteso che la Libia ammettesse sul suo territorio le diverse agenzie delle Nazioni Unite, tipo Unhcr o Oim, fin lì escluse. Gli italiani avrebbero fornito medicinali e attrezzature mediche. "Inoltre, l'Italia si impegna a sostenere la formazione del personale libico all'interno dei centri di accoglienza".
    Questo è forse il punto più sensibile sotto un profilo politico ed etico, perché s'è visto nel tempo che razza di predoni e torturatori sia il personale libico che gestisce i centri. E la politica italiana lo sa. Siccome il Memorandum si rinnova tacitamente ogni tre anni, chiedere a chi lo ha confermato nel 2020 (governo Conte II, maggioranza Pd-M5S) e di nuovo nel 2023 (governo Meloni, maggioranza FdI-Lega-FI). Quel tipo di "aiuti" continua infatti indefesso da 8 anni. Come è evidente, non c'è partito italiano che possa dirsi estraneo a quei patti scellerati. —
  3. L'azienda dello spyware ha interrotto il contratto col governo dopo il caso dei telefoni monitorati Due i clienti: un'agenzia di polizia e una di intelligence. Un team di esperti canadesi alla ricerca di indizi
    Attivisti e giornalisti spiati Paragon chiude con l'Italia "Violati gli accordi etici "
    Flavia Amabile
    Grazia Longo
    Roma
    S'infittisce il giallo dei sette giornalisti e attivisti politici spiati in Italia con il sofisticato software Graphite della Paragon Solutions. Nonostante il governo abbia smentito di aver mai svolto questo genere di spionaggio, dall'Inghilterra e da Israele arriva una smentita. The Guardian e Haaretz sostengono infatti che Paragon abbia interrotto il contratto con il governo italiano, per contravvenzione al codice etico, dopo aver appreso che il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e uno dei fondatori e capo missione della ong Mediterranea saving humans, Luca Casarini, erano stati monitorati proprio con il loro spyware. Haaretz riporta che «Paragon aveva in Italia due clienti, un'agenzia di polizia e un'organizzazione di intelligence» a cui ha rescisso il contratto.
    E ora gli spiati insistono nel chiedere verità e giustizia. «Il governo ci vuole chiarire una volta per tutte se ha usato Paragon e perché - afferma Francesco Cancellato - io non sono né un terrorista né una persona pericolosa per la sicurezza del Paese, condizioni per cui Paragon tollera lo spionaggio. Sono il direttore di un giornale che ha fatto inchieste sulle lobby nere e i giovani meloniani. A chi do dunque fastidio?». E aggiunge: «Chi ha spiato nel mio telefono l'ha fatto perché cercava documenti, o indizi sulle nostre attività d'inchiesta. Questo non si può fare: quando un governo compra Graphite di Paragon, deve dichiarare di rispettare le condizioni di utilizzo del software, che proibiscono esplicitamente di colpire giornalisti e altri membri della società civile».
    Luca Casarini è certo di essere stato controllato per il suo impegno in difesa dei migranti, contro i trafficanti libici e contro il torturatore libico Almasri. E a breve farà un esposto alla magistratura e al Centro per la sicurezza cibernetica della Polizia di Stato. «Forniremo agli inquirenti - precisa l'attivista - tutti gli elementi necessari ad avviare le indagini: vogliamo capire cosa è successo, chi ha ordinato di spiare il telefono e soprattutto per quanto tempo è andata avanti questa attività illecita. Vogliono provare a farci paura. Ma noi non abbiamo mai avuto nulla da nascondere. Chi ha rapporti con i torturatori, chi li riporta in Libia, chi fa morire la gente in mare forse sì, ma noi no».
    L'esposto di Casarini verrà coordinato dai pm dell'antiterrorismo. Nella sua comunicazione Meta consigliava di cambiare subito il cellulare e di rivolgersi ai propri consulenti, un team di ricerca all'Università di Toronto, The Citizen Lab. I tecnici Usa sono si sono messi al lavoro sul cellulare utilizzato da Casarini con l'obiettivo di ricostruire l'arco temporale in cui è stata effettuato il monitoraggio illecito delle comunicazioni. E da Toronto, John Scott Railton, senior researcher di Citizen Lab che sta indagando sul caso come suggerito da WhatsApp, che ha segnalato la presenza dello spyware sui cellulari delle vittime, dichiara: «La notizia che è stata diffusa da The Guardian mette il governo italiano in una posizione scomoda visto che ha negato di essere a conoscenza di questa vicenda».
    Il governo riferirà presto al Copasir sull'utilizzo dello strumento da parte degli 007, mentre l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale sta svolgendo tutte le verifiche tecniche sulla vicenda. Tra i bersagli di Paragon Graphite (la società lavora esclusivamente con enti statali, tra cui i servizi di Tel Aviv e l'Fbi) c'è anche Husam El Gomati, attivista libico che vive in Svezia ed ha posizioni critiche sugli accordi dell'Italia con il Paese nordafricano. Così come critici verso il governo sono anche Casarini e Cancellato.
    Altre 83 persone sono state spiate con Paragon in Belgio, Lettonia, Lituania, Austria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Svezia e Grecia. Anche in quest'ultimo Paese è in corso un'indagine per far luce su chi si nasconda dietro lo spionaggio. —
  4. Anche Beppe Caccia di Mediterranea e un rifugiato colpiti dal software. Le accuse ai servizi italiani
    Libia e ong al centro dello spionaggio
    Quelle strane coincidenze col governo
    ilario lombardo
    roma
    Seguire i profili di chi, inconsapevole, ha scoperto di avere lo smartphone inquinato dallo spyware Graphite, aiuta a disegnare una prima mappa per orientarsi in una storia ancora piena di ombre. Una storia che ne intreccia un'altra, in cima alle cronache politiche di questi giorni: la vicenda della scarcerazione di Almasri, torturatore libico inseguito da un mandato di cattura della Corte penale dell'Aja che l'Italia ha volutamente deciso di non eseguire. Una scelta politica che solo nelle ultime ore trova la sua motivazione in due parole, inconfessabili fino a qualche giorno fa per la premier Giorgia Meloni e i suoi ministri: sicurezza nazionale.
    La Libia è il grande buco nero delle certezze democratiche italiane, il terreno dove gli apparati di intelligence operano su diversi livelli di intesse: la lotta al terrorismo, le politiche di contrasto all'immigrazione nel Mediterraneo, gli affari dell'Eni, colosso dell'energia in mano pubblica. Da quello che sta emergendo, i target dello spyware prodotto dall'israeliana Paragon vanno cercati tra le Ong, nella galassia degli attivisti che si battono per i diritti umani calpestati dai miliziani libici e che, per gli innumerevoli salvataggi in mare, sono entrati più volte nel mirino del governo italiano.
    Secondo la nota pubblicata mercoledì da Palazzo Chigi, con l'intenzione evidente di allontanare i sospetti dalla presidenza del Consiglio e dai servizi segreti, le utenze italiane colpite dall'attacco hacker sarebbero sette. Finora, assieme a Francesco Cancellato, direttore del sito Fanpage – autore di una documentatissima inchiesta sui fenomeni di razzismo e antisemitismo tra i giovani di Fratelli d'Italia - era emerso il nome di Luca Casarini, di Mediterranea Saving Humans. La Stampa è venuta a conoscenza del fatto che altri due attivisti della stessa organizzazione hanno subito l'infiltrazione nel proprio smartphone: uno è un rifugiato sudanese, l'altro è Beppe Caccia, l'armatore della nave umanitaria. È un indizio incontrovertibile di dove sarebbero state indirizzate le attività di spionaggio. A cui se ne aggiunge un altro che abbiamo ricostruito. Il software israeliano di sorveglianza, come è noto, ha puntato anche su Husam el Gomati, oppositore libico che vive in Svezia e che su Telegram denuncia i rapporti indicibili e di ferro tra il governo italiano e i trafficanti di esseri umani. Da anni El Gomati sostiene la tesi della complicità degli 007 italiani in Libia, arrivando a ipotizzare un loro coinvolgimento addirittura nell'omicidio di Bija, forse il più noto trafficante libico, ucciso nella sua auto a Tripoli lo scorso settembre. Appena una settimana fa, il 31 gennaio, El Gomati denuncia come «falso» un articolo pubblicato su Il Giornale. Siamo nel pieno del caso Almasri. Il quotidiano vicino al governo Meloni, edito da Antonio Angelucci, eletto con la Lega, assume la difesa dell'esecutivo e prova a far emergere dalla polveriera libica le ragioni che avrebbero portato alla liberazione del comandante accusato di sistematici stupri e vari omicidi. Partendo dai documenti pubblicati da El Gomati, l'articolo racconta di un «piano per indebolire il governo italiano» orchestrato «ad arte dai servizi segreti di Tripoli che rispondevano a fazioni non favorevoli all'Italia».
    I quotidiani The Guardian e Haaretz hanno svelato (non smentiti) che l'azienda Paragon ha interrotto il contratto con il governo italiano perché sarebbe stato violato il codice etico per l'utilizzo dello spyware. Palazzo Chigi continua a sostenere di non c'entrare nulla con questa storia, emersa dopo gli alert partiti da Meta, la multinazionale che controlla WhatsApp. E di fronte a una mancanza di prove contrarie, va presa per buona la nota in cui, tirandosi fuori da qualsiasi responsabilità sul software, la presidenza del Consiglio parla di una questione «di particolare gravità» e annuncia di aver attivato l'Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. Se né la premier Meloni né il delegato ai servizi di sicurezza, il sottosegretario Alfredo Mantovano, erano informati, chi ha ordinato di entrare nelle comunicazioni WhatsApp di figure che sono considerate in qualche modo una controparte avversaria del governo: un giornalista che ha scoperchiato le nefandezze neofascisteggianti di Gioventù Nazionale, almeno tre attivisti di una Ong entrata in collisione con le norme sui migranti della destra, e un oppositore libico che accusa i servizi segreti italiani? Paragon ha solo confermato che i suoi clienti italiani erano «un'agenzia di polizia e un'organizzazione di intelligence» e Haaretz ha precisato come la società israeliana lavori esclusivamente con entità statali. La risposta che fonti di primo piano del governo hanno fornito in queste ore aprirebbe due piste: o qualche agente troppo solerte che si è mosso di propria iniziativa per accreditarsi, nella convinzione di fare un favore a Meloni; o più semplicemente è in corso un'indagine della magistratura, che ha tutto il potere di ordinare intercettazioni di questo tipo, magari per provare l'associazione a delinquere nel favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Tutte le opposizioni hanno comunque chiesto al governo di chiarire e di riferire in Parlamento. —
  5. Pubblicato un report di denuncia. Il coordinatore delle emergenze: "Qui si muore perché non c'è assistenza"
    Cisgiordania, la denuncia di Medici senza frontiere "Ospedali assediati e cure negate ai palestinesi"
    Nello Del Gatto
    Gerusalemme
    La guerra a Gaza, con il suo pesante bilancio di morte e distruzione, ha spostato l'attenzione sulla Striscia, ma vittime e scontri ci sono stati anche nei Territori Palestinesi. In Cisgiordania, secondo l'Ocha, l'ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, dall'ottobre 2023 al gennaio 2025, almeno 870 palestinesi sono stati uccisi e oltre 7.100 feriti. Sono invece 1.500 gli attacchi di coloni israeliani contro palestinesi registrati tra ottobre 2023 e ottobre 2024.
    In una situazione nella quale l'assistenza sanitaria in Cisgiordania, come a Gaza, il più delle volte è una chimera. Lo denuncia Medici senza Frontiere in un nuovo rapporto pubblicato ieri, "Violenza e cure negate", secondo il quale nei Territori le violenze con i palestinesi sono anche aumentate dal 7 ottobre.
    Nel rapporto, l'organizzazione internazionale riporta le interviste di 38 persone, tra pazienti, staff di Msf, paramedici e volontari che, in un anno dal 7 ottobre 2023, denunciano prolungate e violente incursioni militari israeliane e restrizioni di movimento più severe, che hanno ostacolato gravemente l'accesso ai servizi essenziali, in particolare all'assistenza sanitaria.
    L'operazione israeliana "Muro di Ferro", che ha preso di mira principalmente il campo profughi di Jenin, base per diversi gruppi terroristi come Hamas e Jihad Islamico, ma che mano mano si sta allargando a diverse città palestinesi, è cominciata dopo la tregua a Gaza e alla fine di una simile, di un mese, condotta dalle truppe speciali dell'Autorità Nazionale Palestinese che aveva già creato problemi alle strutture sanitarie della zona.
    «I pazienti palestinesi stanno morendo perché semplicemente non possono raggiungere gli ospedali» afferma Brice de le Vingne, coordinatore delle emergenze di Msf. «Vediamo ambulanze bloccate dalle forze israeliane ai posti di blocco mentre trasportano pazienti in condizioni critiche, strutture mediche circondate e danneggiate e operatori sanitari sottoposti a violenza fisica mentre cercano di salvare vite umane».
    Msf ha registrato un numero crescente di attacchi al personale e alle strutture mediche, nonché molestie, detenzione, lesioni e uccisioni di soccorritori e operatori sanitari da parte delle forze israeliane. Tra ottobre 2023 e dicembre 2024, l'Oms ha registrato 694 attacchi all'assistenza sanitaria in Cisgiordania, con ospedali e strutture sanitarie spesso assediati dalle forze militari.
    Nel rapporto si denunciano diversi casi nei quali, soprattutto a Jenin, Tulkarem e Nablus, le restrizioni di movimento e l'impossibilità di raggiungere gli ospedali hanno avuto conseguenze mortali. In più di una occasione, ambulanze e mezzi di soccorso sono stati bloccati o colpiti, senza contare che la distruzione di infrastrutture civili essenziali come strade e servizi sanitari, impediscono la fruizione delle cure che rappresentano una condanna a morte in particolare per i pazienti affetti da patologie croniche, come chi ha bisogno di dialisi, costretti a rimanere a casa. —
  6. ERA ORA : I sindacati pronti a diffidare la Regione, poi il ricorso al Tar. Gli infermieri contro i colleghi: "Noi collaboreremo, la polemica non serve a nessuno"
    I medici: "Stop alle visite private ricattatorio" Riboldi: "Seguo la legge e non il modello Usa"
    giulia ricci
    Si alza il livello di scontro su liste d'attesa e visite private negli ospedali. Sono i medici a levare gli scudi contro l'assessore alla Sanità Federico Riboldi, promettendo una diffida: «Atti ricattatori, siamo pronti a difendere i nostri diritti nelle sedi legali opportune». Ma lui ribatte: «Ci sono padri che mi chiamano perché non riescono a curare i propri figli, io rispetto solo la legge». E con la Regione si schierano gli infermieri.
    Il primo a lanciare il diktat, su La Stampa, è stato Thomas Schael, che dal primo marzo sarà ufficialmente commissario della Città della Salute: l'idea è quella di un intervento strutturale (come quello già adottato nella sua attuale Asl Lanciano Vasto Chieti) che prevede lo stop pro tempore alle visite private in intramoenia da parte dei medici ospedalieri, fuori orario di lavoro e a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa. In Abruzzo, i professionisti sanitari hanno potuto scegliere se impiegare quei giorni rimasti "liberi" per smaltire le agende pubbliche (prendendo il compenso da turno aggiuntivo) o restare a casa; la maggioranza ha optato per la prima opzione. Proposta ribadita da Riboldi: «Il blocco transitorio dell'attività privata negli ospedali è un'opzione».
    Da qui, la rabbia delle sigle sindacali piemontesi dei medici e dirigenti sanitari Aaroi Emac, Anaao Assomed, Cimo-Fesmed, Fassid, FpCgil e Fvm: «Quello che cerchiamo con l'assessore è un confronto – spiega Chiara Rivetti, segretaria regionale Anaao –; la mediana di chi fa l'Alpi (Prenotazioni in libera professione intramoenia, ndr) guadagna 10 mila euro l'anno mentre ha un importante carico di lavoro nei reparti, ma noi vediamo un accanimento contro i medici, come se i cardiologi, i pneumologi, tutti i professionisti non lavorassero nelle proprie ore in attesa dei pazienti privati». Nel caso di stop, il pool di avvocati di tutte le sigle sindacali si occuperanno di mandare una diffida ad Asl e Regione; poi, in seconda battuta, ci sarà il ricorso al Tar. Diffida che il sindacato avrebbe già indirizzato alle Asl e alla Regione Abruzzo dopo la mossa di Schael, nel settembre scorso. «Ma la libera professione – ribadiscono ancora i medici nella nota – viene esercitata dopo l'orario di lavoro, nel tempo libero e dopo ore di straordinario non retribuito. Si tratta di una punizione aggressiva che non risolverà il problema delle liste d'attesa».
    L'assessore Riboldi, dal canto suo, non fa passi indietro: «La mia non è arroganza, ma fortissima volontà di abbattere le liste d'attesa: oggi c'è una fascia di piemontesi, tra l'8 e il 12%, che ha dovuto rinunciare alle cure. Io ho papà che mi scrivono perché non possono curare i figli, e da padre non riesco nemmeno a immaginare come sia. Che società vogliamo? Il modello americano, dove la gente muore a casa?». Per l'uomo della giunta Cirio non è solo una questione di scelte politiche, ma di leggi dello Stato: «La 104/2024 consente l'operatività dell'intramoenia, ma dice anche chiaramente che in caso di liste d'attesa inaccettabili questa può essere sospesa. Ovviamente, si tratta dell'estrema ratio, di una soluzione che sarà attuata solo dopo che saranno state messe in campo tutte le altre misure che partono dall'esercizio volontario dei turni in orari festivi e serali».
    Ad aprire alla Regione (e a rispondere ai medici) è invece il sindacato degli infermieri Nursind: «Noi siamo pronti a dare il nostro contributo, non ci interessano le polemiche e gli scontri che sembrano avere più il sapore di una difesa di alcune posizioni che la ricerca di soluzioni. Se si continuano a fare le stesse cose, i risultati saranno sempre gli stessi. Siamo consapevoli che il potenziamento del personale sia condizione imprescindibile, ma siamo disponibili a prestazioni volontarie con il giusto riconoscimento economico». —

 

 

06.02.25
  1. L'inchiesta di Milano che ha svelato una lunga attività di dossieraggio contro magistrati e carabinieri di Torino
    Gli errori del corvo della procura una cella telefonica lo ha tradito
    giuseppe legato
    monica serra
    La fabbrica dei dossier contro magistrati e investigatori della procura di Torino compare sulla scrivania degli inquirenti milanesi Giovanni Polizzi e Cristian Barilli (coordinati dall'aggiunta Tiziana Siciliano) a gennaio del 2023. Ed è l'allora procuratore del capoluogo piemontese Anna Maria Loreto a scrivere ai colleghi una lunga missiva catalogata come «trasmissione atti per competenza». Degli accertamenti verrà investita la sezione di pg della Guardia di Finanza della procura meneghina.
    Loreto racconterà l'invio di otto dossier firmati da sedicenti mittenti e pochi mesi dopo uno dei pm bersaglio del "corvo" che aleggia sulla procura di Torino, Gianfranco Colace, invierà – sempre a Milano – una dettagliata denuncia/querela. Sarà anche sentito come persona informata sui fatti.
    Emergerà da atti e audizioni che gli esposti riguardano diverse persone indagate dal dottor Colace e dai carabinieri della procura coordinati dal colonnello Luigi Isacchini (anche lui parte offesa e bersaglio di false accuse): inchieste su sanità e appalti, su politica e amministrazione, su presunte turbative d'asta: Loreto dirà ai pm di Milano che l'inizio della stagione dei corvi combacerà in sostanza con la discovery sull'inchiesta a carico del magistrato Andrea Padalino (poi assolto da tutte le accuse, non dal disciplinare).
    Gli invii di dossier
    Certo l'investigatore Giovanni Carella, 35 anni, torinese, indagato a Milano avrebbe trasmesso alcuni dei dossier a un ampio indirizzario disseminato su diversi uffici giudiziari. Procuratori, ministeri, conmandanti dei carabinieri, della Finanza, della Dia. Ma se lo avesse fatto davvero, non sarebbe stato di certo solo. Tradito dal codice Imei del telefonino nel quale è stata inserita la Sim da cui è partita la mail con gli esposti falsi. Uno di questi sarebbe stato inviato mentre il cellulare agganciava una cella compatibile con la sua residenza. I finanzieri di Milano hanno messo a punto una ricostruzione certosina: celle, sim, telefoni.
    Al pm Colace, i corvi attribuirono presunti favori (per i pm di Milano mai avvenuti) in termini di consulenze a parenti, altri vantaggi avrebbe avuto in occasione dell'acquisto e della ristrutturazione della dimora in cui vive nella cintura ovest di Torino (stesse accuse mosse falsamente contro il colonnello Isacchini). Ancora avrebbe usufruito gratuitamente dello Sky-Box (Vip Hospitality) all'Allianz Stadium. Niente di vero. Il pm Colace – con l'accordo se non la complicità del colonnello Isacchini - avrebbe nell'ordine nascosto prove a favore di alcuni imputati, aperto inchieste (è citata quella contro l'imprenditore dello spettacolo Giulio Muttoni) «per gestire le informazioni con i vari amici che avevano interesse a distruggere i concorrenti per accaparrarsi i lavori e toglierli dal mercato». Ancora Colace avrebbe "coperto" un maresciallo, Giuseppe Carboni, in un'inchiesta che avrebbe visto il sottoufficiale coinvolto in un misterioso furto di hard disk nell'ex carcere Le Nuove (in realtà sarà proprio Colace a indagarlo in un altro procedimento per aver consigliato a un imprenditore come rispondere a eventuali domande in sede di interrogatorio). Tutto falso per i magistrati che hanno svolto gli accertamenti e che ieri hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio per Carella. Calunnie su calunnie.
    Gli atti segreti rubati
    E però corredate da atti veri e in parte coperti da segreto d'ufficio. Come quelli sull'inchiesta (oggi archiviata) che ha coinvolto un ex comandante del Nas di Torino, o come una bozza di annotazione su un'indagine che soltanto la polizia giudiziaria interna al palazzo poteva avere a disposizione. Chi li ha dati ai corvi?
    L'inchiesta restituisce l'immagine di magistrati e carabinieri assediati dagli anonimi. Come quello inviato alla gip Lucia Minutella che si occuperà dell'udienza preliminare del processo Bigliettopoli in cui era coinvolto anche l'imprenditore Muttoni: «Attenzione, Colace è un problema» c'è scritto su un foglio imbustato e consegnato in ufficio. Un clima pesante che lo stesso magistrato e la procuratrice dell'epoca Loreto racconteranno ai colleghi milanesi sul cui sfondo restano "ignoti" coloro che avrebbero aiutato Carella. Gente dentro le istituzioni. Scrivono i pm: «Incaricati di pubblico servizio».

 

 

 

05.02.25
  1. Corvi sulla procura
    Torino

    giuseppe legato
    monica serra
    torino-milano
    Per due anni (e fino a novembre 2023) un anonimo mittente celato sotto l'acronimo "RaffiGuari" (che richiama goffamente l'ex procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, estraneo alla vicenda) ha inviato alle autorità giudiziarie di tutta Italia esposti falsi contro la procura di Torino. Calunniosi. Che ipotizzavano una sfilza di presunti reati, di nefandezze, di complotti, di favori commessi – secondo l'autore - da ex vertici della procura di Torino, da magistrati, da ufficiali e sottufficiali dei carabinieri. Corredati da atti di indagine secretati, ancora sconosciuti agli indagati. Che avrebbero dovuto rimanere nei cassetti degli investigatori coperti dal massimo riserbo, e che sono invece finiti nelle mani di una banda di fabbricanti di dossier. Corvi sulla procura.
    Al termine di un'articolata inchiesta, i pm di Milano Giovanni Polizzi e Cristian Barilli coordinati dall'aggiunta Tiziana Siciliano hanno identificato uno dei presunti membri del gruppo. Si chiama Giovanni Carella, ha 35 anni, originario di Airasca, nel Torinese, difeso dai legali Mauro Anetrini e Mariangela Melliti.
    È una sorta di investigatore privato per nulla sconosciuto agli uffici giudiziari del capoluogo piemontese: figura tra gli imputati nell'inchiesta su una presunta rete di spioni impegnata anche nella raccolta di informazioni riservate sul gigante della malta Kerakoll. In quest'ultimo procedimento, Carella risponde di aver fatto parte di un'associazione a delinquere capeggiata – secondo l'accusa - dall'ex maresciallo del Ros dei carabinieri Riccardo Ravera (indagato in quel procedimento e non nell'odierna indagine), meglio noto come Arciere, nome di battaglia col quale arrestò Salvatore Riina insieme al capitano "Ultimo".
    Occhio agli incastri: il magistrato di quell'inchiesta – che si trova in udienza preliminare proprio oggi – è Gianfranco Colace, il principale bersaglio della banda dei corvi. Banda, sia chiaro, perché la stessa procura di Milano ipotizza che l'investigatore privato abbia trasmesso i dossier insieme con altri «ignoti». Con Colace, invece, figurano come parti offese (quindi come destinatari di false accuse) l'ex procuratore generale Francesco Saluzzo, il colonnello dei carabinieri Luigi Isacchini, a capo dell'aliquota carabinieri della procura e il luogotenente Giuseppe Carboni. «Incolpati sapendoli innocenti» si legge nell'atto di chiusura indagini a carico di Carella.
    Le accuse contenute nei dossier facevano riferimento a supposti (falsi) «reati nella direzione e nell'esecuzione delle indagini dagli stessi rispettivamente coordinate ed effettuate». Alcuni dei documenti inviati dai corvi consistono in «informative di polizia giudiziaria, verbali di interrogatorio e di sommarie informazioni testimoniali coperti da segreto». Non solo: Carella è ancora indagato per una rivelazione di segreto d'ufficio che sarebbe poi una grave fuga di notizie e atti a proposito di un'inchiesta – ancora in corso – da parte della procura di Torino sul caso della cooperativa Rear che vede sei indagati per malversazione tra cui l'ex presidente della struttura – e deputato Pd – Mauro Laus.
    Nei dossier inviati a diverse procure italiane i corvi sostengono che il luogotenente Carboni avesse avvertito l'ex Pg Saluzzo di intercettazioni in corso che lo riguardavano «per evitare possibili imbarazzi». Si parla di sedicenti biglietti per una serie di spettacoli che sarebbero stati recapitati all'ex magistrato (adesso in pensione). A proposito di Colace e del colonnello Isacchini diversi sono i riferimenti a presunte irregolarità nelle indagini svolte anche a carico dell'ex sindaco di Torino Fassino nella cornice degli accertamenti sul Salone del Libro (da cui Fassino è stato assolto ndr.) «fatte – scriveva il corvo – solo per delegittimare Fassino e i suoi amici di Crt per poi far posto agli amici degli amici». Falso.
    Come ancora false erano altre accuse messe nero su bianco e veicolate anche ad alcune testate giornalistiche sulle inchieste svolte dal pm Colace sul conto dell'imprenditore dello spettacolo Giulio Muttoni «che – corvo dixit - servivano solo a gestire le informazioni con i vari amici che avevano interesse a distruggere i concorrenti per accaparrarsi i lavori e toglierli dal mercato». L'ufficiale Isacchini avrebbe – secondo gli autori dei falsi dossier – ottenuto l'assunzione di una parente in un'azienda del settore sanitario e anche il luogotenente Carboni avrebbe ottenuto qualcosa. Pure questo, secondo Milano, falso.
    Nei documenti si fa riferimento a presunte (non veritiere, come tutto il resto secondo gli inquirenti) presunte responsabilità del sottoufficiale in un misterioso furto di un hard disk avvenuto nell'ex carcere di Torino "Le Nuove" nel 2017. Non mancano i riferimenti al dottor Andrea Padalino (in veste di potenziale testimone) su una rilettura di una "guerra" tra carabinieri che si sarebbe consumata all'interno della procura della Repubblica durante la reggenza di Armando Spataro. Insomma: chi più ne ha, più ne metta. Ora il tema non è solo l'attribuzione di condotte (false) che pure ha creato nel palazzo un ambiente di tensione. Il tema forse più inquietante è che in questi atti – per i pm milanesi – ci fossero documenti secretati, legati a indagini in corso. E quindi, come gli stessi magistrati annotano, gli ignoti concorrenti nel reato di Carella debbano essere per forza «pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio». —
  2. Achille Serra
    I reati
    "
    Il primo ad affacciarsi alla porta di casa di Achille Serra è un barboncino marrone vivacissimo. Si chiama Pedro. «Da giovane ero un casinista come lui», dice a La Stampa il suo padrone, l'ex «poliziotto senza pistola», chiamato così già negli anni '70 prima di diventare questore, prefetto e vicecapo della polizia. «Sono cresciuto a Roma, nel quartiere di San Giovanni - spiega Serra -. Litigavo con tutti, ero un piccolo boss. Un giorno rubai persino una campana in una chiesa sconsacrata».
    Uno così non sembrerebbe destinato a lavorare in polizia.
    «E infatti volevo fare l'avvocato. Mentre preparavo il concorso - era il '68 - uscì quello di commissario. Lo superai, andai al ministero, mi chiesero: "Preferenze?". Risposi: "Milano". Era costosa, fredda, violenta: nessuno voleva andarci. E infatti mi ci spedirono di corsa».
    Poche settimane e se ne voleva già andare.
    «Mi misero a smistare carte in un piccolo commissariato. Andai dal questore e dissi: "Se è così, torno a Roma e faccio l'avvocato". Lo stesso giorno fui trasferito alle Volanti: in pochissimo tempo capii che quel mestiere l'avrei fatto per sempre».
    Il primo funzionario che affiancò a Milano fu Luigi Calabresi.
    «Un uomo eccezionale, che non avrebbe fatto male a una mosca. Dopo la morte di Pinelli, per la quale non ebbe alcuna responsabilità, venne ucciso ogni giorno nei cortei e sui giornali. Gli chiesi: "Perché non te ne vai?". Mi rispose: "Tu te ne andresti?". Per anni odiai il governo (il primo di Andreotti, ndr) perché non lo trasferì d'ufficio e non gli diede la scorta».
    Che ricordo ha delle proteste studentesche di quegli anni?
    «I tram rovesciati, le molotov, le macchine bruciate. Poi, puntualmente, alle otto di sera, prima del quiz in tv, finiva tutto: i manifestanti erano perlopiù figli di papà».
    Nella sua autobiografia ha raccontato che salvò la pelle a Mario Capanna.
    «Durante i funerali di Antonio Annarumma, l'agente rimasto ucciso negli scontri del novembre '69, Capanna lanciò un drappo rosso sul feretro. La folla gli si riversò addosso. Insieme a Calabresi lo prendemmo di peso e ci serrammo in una farmacia, salvandolo dal linciaggio».
    Il leader del '68 le avrebbe presto restituito il favore.
    «A un altro funerale, di Giangiacomo Feltrinelli. Mi ero intrufolato tra estremisti. Capanna mi scorse, ci fissammo a lungo. Se avesse alzato un solo dito, in centinaia mi sarebbero saltati addosso. Capii che dovevo andarmene».
    Fu il primo a raggiungere Piazza Fontana dopo la strage del '69.
    «Ero in questura quando arrivò una chiamata al 113. "Sarà esplosa una caldaia", dicevano, così mandarono il più giovane. Appena entrai, vidi un uomo tagliato in due. E poi le urla dei feriti, la puzza di bruciato. Milano non aveva mai vissuto una pagina così».
    Tre anni dopo arrestò Renato Vallanzasca.
    «Facemmo irruzione nel suo appartamento grazie a una soffiata, ma non avevamo prove. Renato si sfilò l'orologio e mi disse: "Vale tre anni di stipendio, se riesci a incastrarmi è tuo". Le prove le trovammo nel cestino: centinaia di pezzetti di carta che, ricomposti, riportavano gli importi esatti del colpo. Gli restituii l'orologio e lo accompagnai in galera».
    A Milano si sparava tanto: in media c'erano 150 omicidi l'anno. E a un certo punto iniziarono pure i rapimenti.
    «Cominciammo a indagare come se fossero crimini comuni. Poi creammo un vero e proprio pool. L'exploit fu nel '78, col sequestro di Carlo Lavezzari: riuscimmo a catturare il telefonista mentre chiedeva il riscatto. Disattivammo metà delle cabine telefoniche e disponemmo gli agenti in modo che ce ne fosse uno a non più di trenta secondi da quelle funzionanti».
    Una delle confessioni più incredibili che raccolse non fu però legata alla mala.
    «Era il '71, stavo finendo il turno quando si presentò una maestra delle elementari. Esile, composta, appoggiò la borsetta sulla scrivania e tirò fuori un pene grondante di sangue. Aveva evirato l'amante. Corremmo nell'abitazione e riuscimmo a salvarlo».
    Ha guidato il Servizio centrale operativo, poi è tornato a Milano da questore nel '93: fu allora che conobbe Berlusconi?
    «Lo incontrai a un Milan-Roma, subito dopo mi invitò a cena con Fabio Capello. A fine pasto, disse: "Se divento presidente del Consiglio, la nomino capo della polizia"».
    Divenne invece "solo" vicecapo vicario.
    «Fu Oscar Luigi Scalfaro a opporsi: odiava così tanto Berlusconi da contestargli ogni nomina. Finii in quello scontro e ne pagai lo scotto anche dopo».
    Il governo cadde, arrivò Dini e le chiesero di andare a Palermo.
    «La città era in preda alla disperazione. In piena emergenza misero 20 agenti a piantonare l'albero di Falcone. Volevo toglierli. "E se lo fanno saltare?", mi chiesero. "Lo ripiantiamo. Ma intanto usiamo quegli uomini contro la criminalità". Non ci riuscii. Il procuratore Caselli voleva la scorta per tutti i suoi sostituti. Erano 46. Gli dissi: "Impossibile, servirebbero 2000 uomini". L'indomani andò da Scalfaro, ne ottenne 2200. Fui costretto a usarli così».
    Fu in quei mesi che decise di candidarsi con Forza Italia. Ma durò poco: dopo due anni si dimise.
    «Di solito, in questi casi, i funzionari li mettono in ghiacciaia. Ma Giorgio Napolitano, allora ministro dell'Interno, mi rassicurò: "La facciamo ricominciare da Firenze o Bologna"».
    Si ritrovò invece ad Ancona.
    «Anche lì per scelta di Scalfaro. Quando andai a ringraziarlo per cortesia istituzionale, mi gelò: "Non c'è di che, lei adesso starà quei 4-5 anni ad Ancona…"».
    Lo prese come un avvertimento?
    «Lo era. Quando uscii dal Colle mi tremavano le gambe».
    Ad Ancona ci stette però solo undici mesi.
    «Perché nel frattempo Scalfaro se ne andò. Ma ciò non gli impedì, da presidente emerito, di chiamare il gabinetto della ministra Iervolino per chiedere conto della mia nomina a prefetto di Firenze».
    Dove si ritrovò a gestire il Social forum del 2002, l'anno dopo il G8 di Genova.
    «Chiedevano di manifestare in centro senza vedere agenti. Oriana Fallaci mi si scagliò contro: "Farà bruciare la mia città!". Ma grazie al dialogo non ci furono scontri. Fu un successo».
    Rimpiange di non essere mai diventato capo della polizia?
    «No. Ci si diventa solo se si ha a lungo lavorato a Roma. E io, che pure sono romano, nella capitale sono stato poco».
    Qual è l'aspetto che è più cambiato nei suoi 40 anni di attività?
    «Un tempo si indagava con intuito e determinazione, oggi ci sono più strumenti, ma spesso sono proprio quegli strumenti a limitare l'intuizione».
    Meno furti, meno omicidi: tra ieri e oggi non c'è confronto. Perché la percezione della sicurezza non è migliorata?
    «Colpa di una malavita di strada che forse oggi è peggio di allora. La baby gang che taglieggia il vecchietto all'ingresso di casa fa molta più paura di una rapina in banca».

 

 

04.02.25
  1. l'accusa di favoreggiamento
    Una delle vittime denuncia il governo "Così mi impediscono di avere giustizia"
    Lam Magok Biel Ruei, una delle vittime di Osama Elmasry Najim, detto Almasri, ha presentato alla Procura di Roma una denuncia per "favoreggiamento" contro i ministri di Giustizia e Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e contro la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nella denuncia, il ragazzo, originario del Sudan e oggi ospite a Roma di una struttura di Baobab Experience, sottolinea che l'operato del governo ha consentito ad Almasri «di ritornare impunemente nel suo Paese di origine, impedendo così la celebrazione del processo a suo carico». Già il 29 gennaio scorso, Magok aveva raccontato gli abusi subiti da Almasri in una conferenza stampa alla Camera. «La prima volta che sono stato imprigionato in uno dei suoi centri, mi ha picchiato con le sue mani» ha detto. « E dopo avermi legato, ha tolto la croce che portavo al collo e ha iniziato a colpirmi sulla testa, senza pietà». Secondo l'avvocato Francesco Romeo, che lo assiste «la denuncia è un atto di giustizia per una vittima di un torturatore. Ma anche per le altre persone che sono ancora lì e che sono vittime come lui». ele.cam. —
  2. Accusò di revenge porn l'ex fidanzato, allora giocatore del Toro. Ventun mesi al magistrato tifoso che aveva archiviato
    Depistaggio Seck, condannato il pm Veronica: "Voleva che mi fermassi"
    elisa sola
    «Non ho mai smesso di crederci. La giustizia c'è. Per questo dobbiamo denunciare. E proteggerci. Sempre. A me dicevano di non farlo, che con un calciatore famoso e un magistrato, nessuno avrebbe creduto a me. Ma non era vero. Oggi sono felice. La giustizia ha fatto il suo corso». Veronica Garbolino, 24 anni, è sveglia da pochi minuti quando riceve la notizia che aspettava da due anni. A Los Angeles, dove è andata a vivere in seguito alla bufera giudiziaria, è appena sorto il sole. A Milano è pomeriggio. Il gup ha condannato a un anno, 9 mesi e 10 giorni l'ex pm di Torino Enzo Bucarelli (tifoso granata) imputato per frode in processo penale e depistaggio in merito al caso Demba Seck, l'ex calciatore del Toro, indagato per revenge porn. Seck era accusato di aver divulgato i video che filmò di nascosto quando stava con Garbolino. Bucarelli ha chiesto e ottenuto l'archiviazione.
    Veronica, come si sente?
    «Sono contenta. Quasi non ci credo. Due anni fa entravo nello studio delle mie legali per la prima volta. Avevo appena scoperto che il mio ex aveva girato i video dei nostri rapporti sessuali a mia insaputa. È passato tanto tempo da quel giorno. Ci sono stati mesi di silenzio. Non era un caso facile».
    Si aspettava la condanna?
    «Ho creduto nella giustizia dall'inizio. Mi dicevano che non mi sarei dovuta esporre per evitare scandali. Ma io volevo solo giustizia. Ci sono delle cose che mi hanno confortata. Come lo sguardo dei due agenti della Guardia di finanza che mi hanno fatto capire che lo Stato c'è, quando mi hanno sentita in procura».
    A cosa si riferisce?
    «Avevo denunciato Seck per revenge porn. Il pm titolare dell'indagine mi aveva convocata nel suo ufficio. Mi diceva cose che mi sembravano strane. Intendo dire, strane perché dette da un magistrato. Diceva che non mi conveniva andare avanti. Che Seck non aveva diffuso i video. Ma io sapevo che non era vero. I due agenti erano nella stanza. Mi hanno guardata. Quando sono rimasta, dopo, sola con loro, mi hanno detto: Veronica, potresti essere nostra figlia. Vai avanti con questa storia perché c'è qualcosa che non va».
    E lei è andata avanti?
    «Sì. Anche se non sono esperta, lo sentivo, da donna, che nelle parole di quel pm c'era qualcosa di strano. Voleva convincermi a non procedere contro il calciatore. Mi ha convinta del fatto che Seck non avesse divulgato video. E così ho firmato una transazione tombale. Senza sapere il vero. La posizione di Seck è stata archiviata».
    Qual è stato il momento in cui ha sofferto di più?
    «Quel giorno. E quello in cui il gip ha archiviato. Ho saputo solo dopo, che altri magistrati stavano indagando sul comportamento del pm. Sono contenta della sentenza per questo. Ha un valore psicologico per me. Non mi importa nulla dei soldi che il magistrato dovrà risarcirmi».
    Cosa le ha dato speranza, in questa vicenda?
    «L'atteggiamento dei carabinieri di Ciriè, a cui mi sono rivolta la prima volta per la denuncia. La forza che mi hanno dato le mie avvocate, Alessandra Lentini e Silvia Lorenzino. Lo sguardo e le parole di quei due finanzieri che, mentre il pm mi diceva che avrei dovuto lasciare perdere, mi guardavano facendomi intendere che non avrei dovuto ascoltarlo».
    È stata la relazione di quei due agenti a dare la svolta all'indagine a carico del pm...
    «Sono stati coraggiosi. Si sono resi conto che stava accadendo qualcosa di sbagliato. È grazie a loro, anche, che credo nello Stato. E che sento, oggi, il senso della giustizia. Rifarei tutto. Bisogna denunciare. Tutte dobbiamo farlo. Non siamo noi a doverci vergognare, ma chi commette abusi». —
  3. Controlli in ogni ospedale, verso lo stop dove le liste di attesa sforano. Parco della Salute: una torre pediatrica per accorpare Regina e Sant'Anna
    La stretta della Regione sulle visite private
    alessandro mondo
    Prestazioni private negli ospedali, da fine mese scatteranno i controlli in tutte le Asl e gli ospedali del Piemonte, uno per uno: la possibilità di uno stop pro tempore alle attività in intramoenia, nelle specialità dove le liste di attesa sforano i parametri, è più di una possibilità.
    Parliamo dell'applicazione su scala regionale della misura che il nuovo commissario della Città della Salute, Thomas Schael, si propone di disporre nell'azienda di corso Bramante. E non perchè la Regione intenda copiarlo, ma perchè, spiegano dal Grattacielo Piemonte, il recente decreto del ministro della Sanità Schillaci per governare le liste di attesa dettaglia in modo puntuale come intervenire, e permette nuovi margini di manovra. Da fine febbraio, quindi, una task force della direzione regionale e della neonata Unità di gestione delle liste di attesa si recherà in ogni Asl e ospedale per verificare sul campo l'attività privata (la rilevazione da remoto è già in corso) in rapporto ai tempi delle prestazioni pubbliche. Nei casi di specialità con tempi fuori range, i medici saranno invitati a compensare, diminuendo le prime a favore delle seconde. Se la "moral suasion" non sarà possibile, o se i risultati non saranno quelli attesi, si applicherà in concorso con i direttori generali delel aziende l'articolo 4 del decreto-Schillaci: "Presso ogni azienda sarà assicurato il corretto ed equilibrato rapporto tra attività istituzionale e attività libero professionale, con il divieto che la seconda possa comportare per ciascun dipendente un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali. A tal fine l'attività libero professionale è soggetta a verifica, con la conseguente applicazione di misure, consistenti anche nella sospensione del diritto alla attività stessa».
    Sempre in tema sanitario, ma alla voce "edilizia ospedaliera", continua il sempiterno dibattito sull'assetto del nuovo Parco della Salute. Nella quarta commissione del Consiglio regionale l'assessore Federico Riboldi ha prospettato, per ora in forma ipotetica, il rientro degli ospedali Regina Margherita e Sant'Anna nel costituendo polo sanitario ma con lo status di aziende autonome. Come? Acquistando il terreno delle Ferrovie, attiguo a quello su cui sorgerà il Parco, per ospitarvi una torre pediatrica di 350 posti letto collegata al futuro ospedale da un percorso sotterraneo e finanziata con 200 milioni di fondi Inail. La stessa torre prospettata illo tempore da Luigi Icardi, il predecessore di Riboldi.
    Perplessi, per usare un eufemismo, i partiti di opposizione. «A parte il fatto che Inail non può essere la bacchetta magica per finanziare di tutto e di più, accorpare Regina e Sant'Anna equivale a disinvestire sulla salute della donna, sulla prevenzione e sulla cura ginecologica, ma anche sulla neonatologia - obiettano Pentenero, Valle, Canalis e Conticelli -. Significherebbe riportare queste aziende all'indietro, al materno infantile, rispetto ai progressi nella prevenzione e nel trattamento di malattie ginecologiche. Si indebolirà anche l'ostetricia». «A questo punto non vediamo soluzione alternativa a quella di realizzare il nuovo Regina in una zona adiacente al Parco», commentano per il M5s Disabato, Unia e Coluccio. «Come è possibile avere le idee così confuse su opere che costano centinaia di milioni e da cui dipende il diritto alla salute per donne e bambini?», protestano per Avs Ravinale e Cera.
    Ad oggi la sola certezza è che da parte del ministero non è ancora arrivato il via libera all'utilizzo degli 84,4 milioni aggiuntivi necessari per compensare l'aumento delle materie prime e costruire il Parco della Salute, in assenza dei quali il commissario Marco Corsini non può chiudere il contratto con l'impresa aggiudicataria. —
  4. L'ex assessore regionale di Forza Italia colpevole in primo e secondo grado Per gli ermellini il processo d'Appello è da rifare. Assolto il manager Burlò
    Politica e 'ndrangheta la Cassazione annulla la condanna di Rosso
    giuseppe legato
    Colpo di scena in Cassazione al processo che vedeva imputati l'ex assessore regionale di centrodestra Roberto Rosso, accusato – insieme a due presunti faccendieri che rispondono dello stesso reato in concorso – di voto di scambio politico mafioso in relazione alle elezioni regionali del 2019.
    Annullata con rinvio a un nuovo processo d'Appello la condanna (in realtà una doppia conforme) che era maturata a Torino in primo e secondo grado: 4 anni e 4 mesi. Annullata senza rinvio – quindi nei fatti un'assoluzione definitiva – per l'imprenditore Mario Burlò e per l'agente immobiliare di Nichelino Ivan Corvino (avvocato Saverio Ventura). In attesa delle motivazioni che saranno depositate entro 90 giorni si può immaginare – con il beneficio della prudenza – che essendo state annullate (sempre con rinvio) tutte e tre le posizioni che coinvolgevano Rosso e i suoi presunti complici, la Cassazione abbia immaginato un vizio di motivazione a proposito della consapevolezza di Rosso che i due signori Onofrio Garcea e Francesco Viterbo che pagò in cambio di appoggio elettorale, fossero dei mafiosi. E cioè che abbia condiviso quello che in due gradi di giudizio era stato il focus del difensore del politico, l'avvocato Giorgio Piazzese (Rosso è stato difeso in Cassazione dal professor Franco Coppi).
    Come – per onor di cronaca va detto – che gli stessi Garcea e Viterbo sono già stati condannati in via definitiva (con altro rito) per voto di scambio in relazione allo stesso episodio. Giurisprudenze divergenti.
    «Posso essere stato superficiale e imprudente, ma di una cosa sono certo: non ho mai raggiunto accordi con la ‘ndrangheta né comprato voti. La ndrangheta è una terribile piaga del nostro paese e tale la considero» ha sempre detto Rosso che a – suo dire – si sarebbe fidato delle persone sbagliate: «Un ex carabiniere, oggi nei servizi segreti, marito di una mia collaboratrice non mi ha detto nulla. A lui ho consegnato i 5000 euro dicendogli di farne ciò che meglio intendeva. Da anni mi aiutavano nelle campagne elettorali. non potevo immaginare che quei due (Garcea e Viterbo) fossero criminali».
    Burlò, imprenditore nel mondo dell'outsourcing, a capo di una fitta rete di realtà imprenditoriali, difeso in primo grado dai legali Domenico Peila e Maurizio Basile, commenta l'esito del processo: «Ci ho sempre creduto. Nei tre gradi di giudizio e, nonostante due condanne in primo e secondo grado, finalmente ho ricevuto giustizia. Questi anni di immensa sofferenza per me e per la mia famiglia non me li restituisce nessuno, ma sono sereno, perché da oggi per me ricomincia la vita». L'inchiesta su Rosso e Burlò aveva messo nel mirino la ‘ndrina Bonavota radicata a Carmagnola e nella cintura sud I Torino con proiezioni anche a Moncalieri. Diverse condanne sono fioccate per i leader delle famiglie mafiose inquisite dai pm Paolo Toso e Monica Abbatecola. Rosso era stato arrestato all'alba del 20 dicembre 2019 dagli investigatori del Gico della guardia di Finanza.
    Avrebbe pagato 7900 euro a due boss della ‘ndrangheta in cambio di sostegno elettorale. Ora dovrà tornare in corte d' Appello per un nuovo processo.

 

 

03.02.25
  1. Avrà il controllo di ogni spesa compreso il programma Medicare di contrasto alla povertà
    Il dipartimento del magnate di Starlink mette le mani sulle agenzie federali Usa
    Alberto Simoni
    corrispondente da Washington
    Il controllo di Musk, tramite Doge (Dipartimento per l'Efficienza governativa), penetra nel cuore delle agenzie federali e afferra i cordoni della borsa. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent confermato dal Senato in questa posizione nei giorni scorsi, ha autorizzato alcuni collaboratori del team di Musk, guidati da Tom Krause manager di Silicon Valley vicino al patron di Tesla, ad accedere al sistema di pagamento del Dipartimento.
    La decisione ha messo la parola fine a un braccio di ferro costato il posto a David Lebryk, funzionario del Tesoro e che sino alla ratifica di Bessent ha svolto l'incarico di ministro ad interim. Lebryk, infatti, aveva resistito alle pressioni degli uomini di Musk per avere accesso al sistema contabile. Donald Trump l'ha dapprima messo in aspettativa pagata e venerdì Lebryk ha rassegnato le dimissioni inviando una lettera ai colleghi spiegando le ragioni della sua fuoriuscita.
    Il funzionario difendeva una regola e una consuetudine nel governo Usa che prevede che solo poche persone, dirigenti di carriera, possano avere accesso al sistema che gestisce i pagamenti dell'apparato federale proprio per evitare che questi possano essere sospesi, discussi, contestati da scelte politiche.
    Musk e il suo Doge godono però di spazi di azione inusuali e dell'appoggio di Trump che attorno alla riduzione degli sprechi e delle spese ha costruito parte della campagna elettorale e ora vuole snellire la burocrazia di Washington.
    Il Tesoro gestisce quasi 6mila miliardi di dollari di esborsi. Da qui passano oltre che gli stipendi dei dipendenti federali anche sussidi e i fondi dei programmi sociali e di contrasto alla povertà come Medicare e Medicaid, oppure i rimborsi fiscali, i pagamenti dei contractors e le concessioni di sovvenzioni fra una miriade di altre funzioni. Un vero e proprio archivio che riassume le spese del governo federale. Sono soldi già autorizzati dal Congresso e quindi un eventuale blocco – di qualsiasi programma – avrebbe risvolti legali.
    Secondo quanto rivela il New York Times, che per primo ha scritto del blitz degli uomini di Musk, al momento non ci sono state conseguenze. Nessun pagamento è stato bloccato o sospeso. Agli operativi del Doge, infatti, mancano ancora le competenze.
    Sabato Musk aveva pubblicato un post su X nel quale criticava alcuni programmi federali. L'accesso al sistema consentirà ai consulenti del Doge di monitorare il flusso delle uscite e soprattutto a individuare, come da piani di Musk, "esborsi impropri e truffe ai danni del governo Usa".
    La vicenda del Tesoro è emblematica di come il Doge abbia esteso i tentacoli in ogni agenzia governativa e creato tensioni con i funzionari. La CNN ha rivelato che due alti dirigenti dell'Agenzia Usa per gli aiuti internazionali (Usaid) sono stati messi in aspettativa retribuita sabato dopo essersi rifiutati di consentire agli "inviati" di Musk di accedere al sistema informatico degli uffici. L'opposizione non è cessata nemmeno quando i delegati del Doge hanno minacciato di chiamare la polizia. —
  2. Federico Riboldi
    l'intervista
    "Con tempi d 'attesa intollerabili stop all'attività privata in ospedale"
    alessandro mondo
    Assumere nuovo personale sanitario. Arginare la fuoriuscita di quello in servizio. Ridurre le liste di attesa, garantendo visite ed esami in linea con i parametri ministeriali. Federico Riboldi, assessore regionale della Sanità, ha appena partecipato al congresso di Nursind Piemonte, sindacato degli infermieri.
    Partiamo dagli infermieri: per Ordine e sindacati in Piemonte ne mancano circa 6 mila. Come procederà?
    «Stiamo assumendo, sfruttando tutte le graduatorie aperte: vale per gli infermieri come per i medici, nel secondo caso è anche più difficile».
    Ma come si fa se si formano 400 infermieri l'anno a fronte di 500 che nello stesso periodo vanno in pensione?
    «Non a caso, cerchiamo risorse interne ed esterne. Il reclutamento di personale dall'estero non è solo un annuncio, lavoriamo per stipulare protocolli con gli Atenei finalizzati al riconoscimento dei titoli di studio di chi arriva da altri Paesi».
    Intanto molti di quelli in servizio lasciano.
    «È una emergenza che va affrontata con risposte diverse, in concorso con i sindacati: dalla remunerazione alla sicurezza, alla conciliazione dei tempi casa-lavoro, soprattutto per le donne. In questa ottica rientra il progetto degli asilo nido aziendali in prossimità delle strutture in cui lavorano: come quello già realizzato a Omegna» .
    Liste di attesa, per una lunga serie di prestazioni la risposta resta insufficiente. Il nuovo commissario della Città della Salute vuole bloccare l'attività privata negli ospedali aziendali. Caso isolato o modello da estendere?
    «Una premessa. Negli ultimi 15 anni, il 10% dei piemontesi hanno dovuto rinunciare alle cure. I soggetti più fragili: mamme sole, anziani con pensione minima, abitanti dei quartieri a minor inclusività sociale. Riportarli nell'alveo della sanità pubblica, che per noi è l'unico modello possibile, è la nostra priorità».
    Come?
    «Unendo la comunità sanitaria: operatori sociosanitari, infermieri, medici, amministrativi degli ospedali delle Asl. Ciascuno deve sentirsi parte di questo grande obiettivo».
    Quindi?
    «In luoghi dove il distacco tra le esigenze e l'operatività raggiungono limiti non tollerabili, è giusto intervenire anche con misure innovative. Compreso il blocco transitorio dell'attività privata negli ospedali».
    I conti, altra nota dolente. A proposito: vogliamo sciogliere il mistero dei bilanci 2024 delle Asl?
    «In attesa di quelli definitivi, saranno chiusi a fine aprile, siamo a meno 314 milioni di euro, molto al di sotto della soglia del piano di rientro. La Città della Salute di Torino e l'azienda ospedaliera di Cuneo, per esempio, oggi chiudono a meno 41 e a meno 8 milioni: sono in atto dei correttivi, entrambe hanno già un ripiano perdita, ex ante, di 139 e 23 milioni".
    Intanto in Consiglio si consuma lo scontro con i partiti di opposizione sul bilancio previsionale 2025: la accusano di tagliare di tutto e di più. È vero?
    «Nessun taglio. I progetti per il contrasto al gioco d'azzardo patologico, sui disturbi alimentari, per il supporto psicologico nelle scuole, gli interventi sulla salute mentale, sulle malattie rare, sullo screening neonatale, sono tutti confermati, con fondi nazionali e regionali. Idem per le malattie rare, la fibromialgia gli screening natali e neonatali. Sono progetti avviati da tempo, che continueranno anche nel 2025 e nei prossimi anni. E per ridurre le liste di attesa passiamo da 25 a 37 milioni. Affermare il contrario significa creare allarmismo e preoccupazioni infondate».
    Conferma le prestazioni in orario extraconvenzionale?
    «Sì, lanceremo un piano straordinario per estendere il servizio anche di sera e nei giorni festivi, venendo incontro alle esigenze delle persone che lavorano. Chiediamo la collaborazione di tutto il personale sanitario, che ringrazio ogni giorno per la dedizione e l'impegno»".
    Nuovi ospedali?
    «Il percorso è avviato, va monitorato con grande attenzione. Parliamo di un piano del valore di 4,5 miliardi. Procediamo spediti anche sul fronte dei fondi Pnrr, con la realizzazione degli Ospedali di Comunità, delle Case di Comunità e delle Centrali operative territoriali. Con buona pace delle opposizioni, in Piemonte non si era mai visto nulla del genere ».

 

 

02.02.25
  1. Sul tavolo di Xi le possibili risposte: anche una stretta sulle terre rare necessarie alla tecnologia
    Svalutazione e vendita di buoni Usa Pechino prepara la controffensiva
    Lorenzo Lamperti
    Taipei
    L'improbabile luna di miele è già finita, ma è ancora presto per parlare di divorzio. Donald Trump ha annunciato il 10% di dazi aggiuntivi sulle importazioni dalla Cina, motivati col flusso dei precursori chimici per la produzione del Fentanyl. Pechino sfoglia l'arsenale delle possibili ritorsioni, che appare più affilato rispetto al primo mandato di Trump. Nei prossimi giorni, in arrivo dure reazioni soprattutto a livello retorico. «Non ci sono vincitori in una guerra commerciale», è la frase più ricorrente tra diplomazia e media, accompagnata da impegni a favore del libero commercio e contro il protezionismo. Nel concreto, la risposta sarà multiforme e modulata a seconda delle possibilità di dialogo intraviste con la Casa Bianca, con Trump che ha annunciato di voler visitare Pechino entro i primi cento giorni di mandato. La certezza è che la postura negoziale mantenuta nel 2018 e 2019 sarà accompagnata da una pratica più assertiva, soprattutto se il potenziale summit tra leader non dovesse produrre accordi. Il governo cinese sa che i dazi al 10% sono solo un primo passo. In caso di scontro, Trump ha già minacciato tariffe al 60%, o addirittura fino al 100%, qualora i Brics procedessero nella costruzione di una moneta alternativa al dollaro. Tra gli strumenti a disposizione di Pechino per avviare ritorsioni c'è la svalutazione dello yuan. Un renminbi più economico renderebbe le esportazioni cinesi meno costose per gli acquirenti d'oltreoceano, mitigando l'impatto delle tariffe su un'economia ancora molto dipendente dall'export, come segnala il surplus da quasi 105 miliardi di dollari registrato a dicembre: un record. C'è anche chi ipotizza la vendita in massa dei titoli del Tesoro americano. A fine 2024 la Cina ne deteneva 768 miliardi, in leggero aumento rispetto a ottobre ma all'interno di un calo costante, accentuato rapidamente dall'autunno 2021. Pechino resta comunque il secondo maggior detentore di bond Usa dopo il Giappone.
    Rispetto al passato, Xi Jinping pare anche più disposto a utilizzare la leva delle risorse minerarie. «Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare», disse un tempo l'ex presidente Deng Xiaoping. Oggi la Cina domina estrazione, raffinazione ed esportazione di molti metalli critici per l'industria elettronica, il green tech e il settore della difesa. Dallo scorso 1° ottobre sono entrate in vigore una serie di norme che legano indissolubilmente terre rare e materiali strategici alla sicurezza nazionale, con una supervisione diretta dello Stato. Il 1° dicembre sono stati inaspriti i controlli sulle esportazioni di materie prime come tungsteno, magnesio e grafite, utili alla produzione delle batterie per i veicoli elettrici. Precedentemente era stato fatto lo stesso per l'antimonio, ampiamente utilizzato per le munizioni militari, ma anche per gallio e germanio, fondamentali per la produzione di chip.
    L'entità della possibile stretta sarà modulata dall'entità delle tariffe di Trump. I recenti successi di Huawei e DeepSeek su chip e intelligenza artificiale danno alla Cina la speranza di poter attutire l'effetto di nuove sanzioni e restrizioni sulle catene di approvvigionamento. Fu proprio la guerra commerciale del primo mandato di Trump a convincere Xi ad accelerare il perseguimento dell'autosufficienza tecnologica, insieme al riorientamento dell'export verso i paesi del cosiddetto Sud globale. Il tutto sostituendo la manifattura semplice con le «nuove forze produttive» come auto a nuova energia, pannelli solari e turbine eoliche. Processi avviati, ma non completati. Per di più, in un contesto interno di rallentamento della crescita e una sfiducia diffusa che congela i consumi. Per questo, si mira a un qualche tipo di accordo, contando sull'animo negoziale di Trump e magari su Elon Musk, che in Cina ha enormi interessi con Tesla. Nel frattempo, Pechino si prepara a una guerra che spera ancora di non dover combattere. —
  2. ritorsione sugli investigatori dell'assalto a capitol hill
    Licenziati agenti e dipendenti dell'Fbi avevano indagato sul presidente Usa
    corrispondente di Washington
    Una lettera di licenziamento è stata recapitata a sei alti funzionari dell'Fbi e ad altre figure chiave del Bureau negli uffici di tutta America. È la modalità con cui prende forma la ritorsione di Donald Trump nei confronti di coloro che hanno partecipato – a diverso livello – a inchieste e operazioni contro di lui e hanno indagato sugli assalitori di Capitol Hill del 6 gennaio del 2021.
    La lettera chiede la rimozione proprio in base al ruolo che questi funzionari hanno avuto nelle indagini sull'insurrezione al Congresso di quattro anni fa definite, le indagini, «una grave ingiustizia nazionale perpetrata ai danni del popolo americano negli ultimi quattro anni». A fianco a queste lettere di licenziamento è stato inviato anche un memo a tutti i dipendenti dell'Fbi e a Brian Driscoll Jr, che è il capo ad interim dell'Fbi in attesa della ratifica della nomina di Kash Patel, nel quale si chiede di fornire al vice procuratore generale degli Usa, Emil Bove, la lista di tutti i dipendenti che hanno lavorato al "caso 6 gennaio" con l'obiettivo «valutare se devono essere presi provvedimenti». Lo stesso Driscoll ha ammesso di essere in quella lista. La decisione dell'Fbi arriva mentre Patel, esponente Maga, è sottoposto allo scrutinio del Senato. Il voto per la sua ratifica dovrebbe avvenire la prossima settimana. Patel ha detto giovedì alla Commissione Giustizia che «tutti i dipendenti dell'Fbi devono essere tutelati contro ritorsioni politiche». Agenti speciali dell'Fbi dell'ufficio di Washington sono stati coinvolti nelle indagini che il procuratore speciale Jack Smith ha condotto nei confronti di Trump in due casi: la sottrazione dei documenti classificati dalla Casa Bianca e portati a Mar-a-Lago; e l'accusa di sovversione legata all'assalto di Capitol Hill. Il team di Smith è stato smantellato e lo stesso procuratore ha lasciato l'Fbi dopo la vittoria di Trump.
  3. "Inventai il manuale quasi per ridere Andreotti mi salvò dal servizio militare"
    Massimiliano Cencelli
    Quando, più di mezzo secolo fa, Massimiliano Cencelli ideò il meccanismo di spartizione degli incarichi di governo in base al peso elettorale, pensava quasi a «una cosa per ridere». Venne invece fuori il manuale più noto della politica italiana, così tanto citato da diventare persino una voce del dizionario Treccani. «Era il 1967 - spiega oggi, a ottantotto anni, dal telefono della sua casa romana - Al congresso della Dc, il futuro ministro Adolfo Sarti, di cui ero collaboratore, aveva fondato con Paolo Emilio Taviani e Francesco Cossiga una nuova corrente: "i pontieri". In vista del nuovo governo, dissi: "Abbiamo ottenuto il 12%, dobbiamo avere un numero equivalente di incarichi, come nel cda di una società per azioni"».
    Come reagirono?
    «Mi dissero: "Lavoraci su". Classificai così gli incarichi di governo a seconda dell'importanza, attribuendo a ognuno un coefficiente e dividendo tutto per il peso delle correnti della Democrazia cristiana. Funzionò. Taviani mantenne il ministero dell'Interno, mentre Cossiga e Sarti furono confermati come sottosegretari».
    Era un calcolo confidenziale che presto, però, sarebbe diventato pubblico.
    «Durante le crisi di governo, Sarti, che amava scherzare, per schermirsi dalle domande dei giornalisti che lo assediavano per conoscere i nomi degli incaricati, diceva sempre: "Chiedete a Cencelli"».
    E lei rispose. Nacque così il manuale che, anni dopo, finì davvero per essere pubblicato. Andreotti lo definì «uno dei libri da dimenticare, purché lo dimentichino tutti». Si offese?
    «Nient'affatto. Andreotti è stato un grand'uomo a cui sono rimasto affezionato: non m'ha fatto fare il servizio militare. Ogni anno, da quando è morto, gli porto una rosa al cimitero».
    Ma quel metodo ha sempre funzionato, anche con Andreotti?
    «Regolarmente. Era proprio preciso, puntuale».
    Cossiga non sembrava d'accordo. Durante una consultazione in cui si decidevano i sottosegretari, disse che «le stanze grondavano sangue».
    «Di battute se ne facevano, e Cossiga ne faceva più di altri perché era colto e spiritoso. La lotta di potere era viva, ma sempre in un clima di civiltà e gentilezza».
    Il «Cencelli» arrivò anche nella Seconda Repubblica: pure Berlusconi si congratulò con lei.
    «Lo incontrai quando era presidente del Consiglio. Si avvicinò dicendomi: "Suo padre è stato davvero eccezionale!". Fu Gianni Letta a fargli notare che mio padre non c'entrava nulla: quel manuale, in realtà, era roba mia».
    Lei è sempre stato democristiano?
    «Sempre. A diciassette anni, frequentavo, qui a Roma, la sezione della Dc di Borgo-Cavalleggeri, di cui mio zio era segretario. Un giorno entrò Alcide De Gasperi. Scoprì che ero minorenne e che perciò non potevo ancora iscrivermi. Chiese così una nuova tessera e scrisse di suo pugno: "Socio aggiunto". Da allora non ho più smesso».
    De Gasperi era suo vicino di casa.
    «Sì, una mattina lo incrociai a piedi: portava a risuolare le scarpe della figlia. Si immagini oggi un presidente del Consiglio che porta a riparare le scarpe dei propri familiari!».
    Per anni, lei ha vissuto a Città del Vaticano.
    «Il nonno materno era di Carpineto Romano. Da giovane raggiunse Roma a piedi, iniziò a interessarsi di illuminazione, studiò e ristudiò fino a quando non si occupò dell'elettrificazione della Basilica di San Pietro. Quando il papa, Leone XIII, vide il risultato, chiese: "Ma chi ha fatto 'sto miracolo?". E il nonno si trovò così a lavorare nella società elettrica vaticana».
    Suo padre Armando, invece, fu l'autista di un altro papa, Pio XII.
    «Quando la mattina andava a prenderlo, il pontefice gli chiedeva sempre: "Hai dato il maritozzo a Massimiliano?". Mio padre, immancabilmente, rispondeva: "Sì". E lui: "Bene, allora possiamo andare". Il Vaticano di allora era una famiglia, come la Dc».
    Ha nostalgia della Prima Repubblica?
    «Certo. Una volta, i partiti erano comunità. C'erano le poltrone, ma c'erano anche la gavetta, i dibattiti, il volontariato. E, soprattutto, c'era una classe dirigente».
    E adesso?
    «Adesso, niente. Adesso, caro amico, non è rimasto più niente».
  4. Pfas nelle acque della Valsusa "Il Cnr faccia ricerca"
    francesco falcone
    Alla luce delle analisi che hanno più volte evidenziato la presenza dei Pfas (perfluoroalchilici) nelle sorgenti idriche di diversi Comuni della Val di Susa, da mesi desta apprensione l'inquinamento delle acque di Valle da parte di queste sostanze impiegate in molte produzioni industriali, benché potenzialmente nocive per l'uomo. E anche in seguito agli incontri tra sindaci, Unioni montane, Asl e Smat per sollecitare l'attenzione degli enti preposti sul tema, la preoccupazione di parecchi cittadini non è venuta meno.
    I primi allarmi sui Pfas in Valle risalgono alla fine del 2023. Quando le analisi periodicamente condotte dalla Società metropolitana delle acque ne hanno evidenziato la presenza, a macchia di leopardo, da Villar Dora e Caselette a Oulx e Bardonecchia, passando per Gravere, Chiomonte e Bussoleno. Fortunatamente, a livelli inferiori alle soglie di riferimento per il consumo potabile. E mai nel bacino della diga di Rochemolles, che da anni (attraverso l'acquedotto di Valle) fornisce l'acqua che esce dai rubinetti delle abitazioni di buona parte dei valsusini.
    Nonostante le rassicurazioni fornite da Smat e Regione in più occasioni, le Unioni dei Comuni e il Comitato popolare acqua sicura invocano ulteriori verifiche sulla presenza in Valle dei Pfas, che in alcune varianti (quali i Pfoa) sono potenzialmente cancerogeni. Una decina di giorni fa, analisi indipendenti di Greenpeace hanno, peraltro, nuovamente riportato l'attenzione sul tema, con l'annuncio che tra centinaia di cittadine d'Italia prese a campione dall'associazione ambientalista (e risultate accomunate dal problema) proprio in Valle sono emersi alcuni valori particolarmente elevati, seppur entro i limiti di legge.
    «L'acqua del Torinese è sicura» ribadisce Smat. Utilitalia, la federazione che associa le maggiori imprese italiane dei servizi idrici, all'indomani delle analisi di Greenpeace riguardanti in particolare Bussoleno ha sottolineato come «la qualità dell'acqua del rubinetto in Italia sia tra le migliori d'Europa». Rassicurazioni, tuttavia, insufficienti per il Comitato acqua sicura valsusino, che sollecita da tempo «azioni concrete» per individuare le cause di questo inquinamento.
    Anche per i sindaci è tempo di fare chiarezza. Le Unioni montane hanno stretto i tempi per affidare a studiosi del Cnr di riconosciuta esperienza nel settore studi indipendenti sui Pfas in Val Susa. Un atto che, alla vigilia dell'assemblea pubblica di venerdì 6 febbraio a Bussoleno (sala consiliare ore 20,45), «il Comitato accoglie come segnale positivo: ben vengano i passaggi avviati dall'Unione per definire la collaborazione con il Cnr-Irsa su analisi ambientali e studi per comprendere come il Pfoa finisca nelle acque della Valle».

 

 

01.02.25
  1. L'intervista
    Gian Carlo Perego
    "Un dispendio di denaro pubblico che potevano usare per accogliere"
    Eleonora Camilli
    roma
    Monsignor Perego, presidente della Fondazione Migrantes e della commissione migrazioni della Cei, come giudica il progetto Albania alla luce della terza mancata convalida dei trattenimenti da parte dei giudici?
    «I giudici delle Corti d'appello hanno confermato quanto fatto dai giudici delle sezioni specializzate, che avevano quindi agito secondo legge e non in maniera ideologica. In generale, siamo di fronte a un'operazione costosissima, con un grande dispendio di denaro pubblico, quasi un miliardo, che poteva essere usato per migliorare l'accoglienza e l'integrazione dei richiedenti asilo in Italia. Un tema che ci vede al 16° posto in Europa. E poi c'è la questione non secondaria dei diritti».
    E cioè?
    «Lo Stato deve accogliere chi arriva ed esaminare le domande d'asilo sul proprio territorio. La procedura accelerata, invece, per definizione comprime il tempo e i diritti. Nell'ultimo viaggio, inoltre, mancando il personale di Oim per lo screening, ci sono state meno garanzie per minori e vulnerabili. Così l'operazione Albania dimostra l'incapacità di onorare l'articolo 10 della Costituzione, che impegna a tutelare chi fugge da situazioni di guerra e violenza».
    Secondo Lei perché il governo ha deciso di andare avanti nonostante le bocciature precedenti?
    «Credo che di base ci sia un'ingenuità politica nel pensare di fermare le migrazioni in questo modo. Invece, è solo un'operazione di immagine sbandierata come sicurezza. Il fatto che il governo abbia stilato una lista di Paesi sicuri non significa che il diritto d'asilo non debba essere riconosciuto come diritto personale. E cioè che non si debbano valutare le storie di chi chiede asilo, perché anche se in un Paese non ci sono guerre ci possono essere persecuzioni di tipo religioso o politico o altro, che mettono a rischio le persone. L'Italia considera sicuri 19 Paesi, altre nazioni come la Germania ne considerano 9. Questo significa che c'è molta discrezionalità. E lo sappiamo bene, guardiamo l'Egitto e cosa succede lì, a partire dal caso Regeni».
    Il governo giustifica il progetto con l'effetto deterrenza che dovrebbe avere sui migranti.
    «Per i migranti non cambia nulla, vista la situazione in Libia. Chi è destinato a torture e violenze cercherà sempre un domani migliore provando a fuggire. Il sogno di chi parte non può essere infranto evocando i campi in Albania».
    A proposito di Libia, cosa pensa del caso Almasri?
    «Aver rilasciato e rimandato indietro un torturatore per il governo implica una responsabilità morale e politica. Vedremo se ci sarà anche una responsabilità penale. Di certo in questo modo si indebolisce un organismo internazionale come la Corte penale internazionale. Se si firmano accordi si devono rispettare».
    Si è parlato di ragion di Stato. C'è anche, più o meno rivendicata, l'idea del rilascio per evitare un aumento degli arrivi sulle nostre coste.
    «Se fosse così sarebbe ancora più grave. Per una ragione di Stato non si indebolisce un accordo internazionale. Inoltre gli accordi fatti con Stati come Libia, Tunisia ed Egitto, cioè con Stati che non tutelano i diritti, sono pericolosissimi. Gli mettiamo in mano una un'arma di ricatto. Lo abbiamo visto nei giorni scorsi con l'aumento degli sbarchi. Quello che si dovrebbe fare, invece, è creare dei canali regolari. Ma purtroppo questo tema è in fondo all'agenda della politica. A oggi non esiste un canale regolare d'ingresso, fatto salvo qualche corridoio creato dalle Chiese cattoliche ed evangeliche e dalle organizzazioni per il volontariato. —
  2. I giudici dell'Aia hanno ricevuto la segnalazione dalla Germania venerdì 17 e il giorno dopo hanno emesso il mandato
    "Almasri scoperto solo il 16 gennaio" Le carte che smontano il complotto
    MARCO BRESOLIN
    CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
    Perché la Corte penale internazionale ha emesso il mandato di arresto nei confronti di Osama Almasri Njeem soltanto il 18 gennaio, quando era appena arrivato in Italia, nonostante fosse in Europa dal 6 gennaio? Secondo quanto La Stampa è riuscita a ricostruire attraverso fonti informate sul dossier, la risposta sembra essere molto più semplice di quanto si possa pensare: perché è venuta a conoscenza della sua presenza sul territorio europeo soltanto il 17 gennaio, quando ha ricevuto la prima comunicazione dalle autorità tedesche. E perché Berlino ha informato l'Aja soltanto quel giorno se, da quanto risulta, era in Germania almeno dal 13 gennaio? Perché la polizia tedesca – stando a quanto è stato comunicato alla Corte – lo ha individuato grazie a un controllo (di routine) solo il 16 gennaio, non prima.
    E ancora: perché i Paesi nei quali è transitato – Regno Unito, Francia, Belgio – non lo hanno segnalato alla Corte? Perché su di lui, durante quei giorni, non pendeva alcuna richiesta di arresto né esisteva un'allerta speciale sul suo nome nei database di polizia al di fuori della Germania. Le autorità di Berlino avevano ricevuto una "nota blu" il 10 luglio scorso per attivare una "sorveglianza discreta", utile a ricavare informazioni sul generale libico, ma a quell'epoca non esisteva nemmeno la richiesta di arresto da parte del procuratore dell'Aja. Probabilmente se tale nota fosse stata estesa anche ad altri Paesi, magari il suo ingresso nel Regno Unito o nell'area Schengen avrebbe fatto scattare il campanello d'allarme con qualche giorno d'anticipo. Ma quell'iniziativa di luglio era stata intrapresa solo nei confronti della Germania, Paese nel quale godeva di appoggi, proprio per raccogliere elementi utili all'indagine che era ancora in corso. Di certo i suoi spostamenti in Europa dal 6 gennaio in poi, contrariamente a quanto viene lasciato intendere, non erano "monitorati" e sono stati ricostruiti con esattezza soltanto a posteriori.
    Basta mettere al loro posto questi tasselli per capire che i sospetti e i complottismi che vengono agitati in ambienti di governo in merito alla vicenda del generale libico appaiono privi di fondamento. Sono stati fatti filtrare probabilmente per insinuare dubbi e confondere le acque attorno a una vicenda che in questo momento ha un unico punto fermo: la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d'arresto nei confronti di un individuo e il governo italiano non solo non lo ha eseguito, ma ha rimpatriato il destinatario dell'ordine di cattura con un volo di Stato che lo ha di fatto messo "al sicuro". Andando così inevitabilmente incontro alle conseguenze previste dal paragrafo 7 dell'articolo 87 dello Statuto di Roma: "Se uno Stato parte non aderisce a una richiesta di cooperazione della Corte, diversamente da come previsto dal presente Statuto, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri in forza del presente Statuto, la Corte può prenderne atto e investire del caso l'Assemblea degli Stati parti, o il Consiglio di Sicurezza se è stata adita da quest'ultimo".
    Che poi è lo stesso concetto ribadito anche ieri da un portavoce della Commissione europea, istituzione che in questa partita non gioca alcun ruolo, ma è uno spettatore interessato: "Come da conclusioni del Consiglio europeo del 2023 – ha ricordato –, il Consiglio ha invitato tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti". E quindi, pur senza entrare nel merito del caso italiano, il portavoce ha sottolineato un passaggio che appare in netto contrasto con i dubbi e le insinuazioni alimentati da esponenti della maggioranza circa la condotta dei giudici dell'Aja: "Non spetta alla Commissione far rispettare il mandato della Corte penale internazionale – questa la premessa – ma ciò che possiamo dire è che sosteniamo la Corte, la sua indipendenza e la sua imparzialità".
    Dalla Corte dell'Aja filtra una certa irritazione per gli attacchi ricevuti da Roma, anche se si è deciso di non rilasciare ulteriori commenti dopo la dura nota emessa il 22 gennaio scorso nella quale si dava conto dei chiarimenti chiesti all'Italia. Formalmente, la procedura prevista dall'articolo 87.7 non è stata ancora avviata, ma attualmente è in corso un carteggio propedeutico per cercare di fare chiarezza sull'accaduto. Nel frattempo, il 24 gennaio scorso la Corte ha deciso di desecretare e rendere pubblico il mandato d'arresto, che è stato redatto "per correggere alcuni errori tipografici e materiali e per allegare l'opinione dissenziente del giudice Flores Liera". Come già reso noto precedentemente, infatti, la prima Camera preliminare aveva emesso il mandato d'arresto decidendo "a maggioranza", con il voto favorevole di due giudici su tre.
    Un altro interrogativo emerso nelle scorse settimane riguarda i tempi della decisione dell'Aja. Perché se il procuratore aveva depositato la richiesta il 2 ottobre scorso, i giudici ci hanno messo così tanto tempo per decidere? Anche qui ci sarebbe un falso mito da sfatare: non esiste una tempistica standard per questo tipo di decisioni e tre mesi e mezzo per l'analisi del caso non sembrano essere affatto eccessivi. Se è vero che nel 2023 il verdetto su Vladimir Putin era arrivato in tempi record, nel giro di un mese, nel caso dell'ex ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, sono serviti quattro mesi e in quello del premier israeliano Benjamin Netanyahu sei mesi. I giudici stavano lavorando al caso di Almasri sin dalla richiesta del procuratore e il 17 gennaio, una volta ricevuta dai tedeschi la segnalazione della sua presenza in Europa che rendeva concreta la possibilità di eseguire l'arresto, si è deciso di accelerare con la richiesta emessa sabato 18 ed estesa a sei Stati membri. —
  3. GRAZIE MELONI : L'ex commissario straordinario per l'emergenza covid
    Arcuri assolto per le mascherine cinesi "Ora l'abuso d'ufficio non è più reato"
    Assolto «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato». Finisce così la lunga vicenda giudiziaria di Domenico Arcuri, ex commissario straordinario per l'emergenza Covid. L'abuso d'ufficio, di cui era accusato nell'ambito dell'inchiesta sulla fornitura di mascherine dalla Cina nella prima fase dell'emergenza pandemica, è stato ormai abrogato. Da qui la decisione del giudice per l'udienza preliminare di Roma. L'inchiesta era nata dall'acquisto di 800 milioni di dispositivi di protezione individuale, che sarebbero stati irregolari e pericolosi per la salute. Un affare da 1, 25 miliardi di euro.
    Arcuri ha sempre rivendicato la correttezza del suo operato e aveva chiesto il rito abbreviato per difendersi nel merito durante il processo. I tempi della giustizia non l'hanno permesso e, cinque anni dopo, l'avvocata Grazia Volo, legale di Arcuri, sottolinea il «ritardo» e precisa di non aver «mai invocato una legge salvifica», ma di essere «sempre stata convinta della piena e totale innocenza» del suo assistito. Nel corso del procedimento la procura aveva chiesto una condanna a un anno e quattro mesi di carcere per il manager, a cui, in una prima fase, erano state contestate anche la corruzione e il peculato, entrambe accuse poi archiviate. Per quanto riguarda gli altri imputati, circa una decina, che hanno scelto il rito ordinario, il giudice ha sollevato la questione di costituzionalità relativa all'attuale formulazione del reato di traffico di influenze illecite, inviando gli atti alla Consulta e accogliendo la richiesta della procura di Roma risalente allo scorso dicembre. Tra loro anche Mario Benotti, imprenditore ed ex giornalista, morto nel 2023. Mentre il responsabile della struttura emergenziale per il Covid, all'epoca dei fatti guidata da Antonio Fabbrocini, dovrà rispondere di frode nelle pubbliche forniture e falso.

 

 

 

31.01.25
  1. RICATTO DI STATO :  Anm
    Assedio
    Lo Voi
    a
    irene famà
    roma
    Lo Voi sotto assedio. Gli attacchi al Procuratore capo di Roma, che ha indagato il governo per il caso del generale Almasri, si intensificano. Si alzano i toni, si moltiplicano i fronti. I consiglieri laici del centrodestra del Consiglio superiore della magistratura chiedono che venga aperto un fascicolo sul suo operato, i senatori di Fratelli d'Italia lasciano intendere di voler portare in Parlamento la discussione sul suo utilizzo dei voli di sto. E ancora. Sempre al Csm si rincorrono le voci di un possibile esposto per la vicenda Caputi, spy story all'italiana su alcuni accertamenti dei servizi segreti sul capo di gabinetto della premier. Tutte storie slegate tra loro. Per tempistiche e modalità. Ma che, se ben intrecciate, possono costituire l'accerchiamento perfetto.E in campo, al fianco del procuratore di Roma, scende l'Associazione nazionale magistrati. Il segretario generale Salvatore Casciaro si dice «sorpreso e preoccupato». Francesco Lo Voi «si è limitato a non rinnegare i propri doveri, assolvendo all'obbligo impostogli da una legge costituzionale. I magistrati non fanno politica, sarebbe auspicabile che i politici non provassero a sostituirsi ai magistrati, lasciando loro il compito istituzionale di esaminare e valutare gli atti processuali senza impropri condizionamenti».
    Vicenda chiave è quella della scarcerazione del rimpatrio dell'alto militare libico. In procura a Roma arriva la denuncia dell'ex politico e avvocato Luigi Li Gotti. Nome di peso, legale d'esperienza, presenta un esposto dove indica nomi e possibili reati. Il procuratore Francesco Lo Voi apre un fascicolo, indaga la premier, il ministro della Giustizia e dell'Interno, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, e trasmette il plico al tribunale dei ministri. Molti addetti ai lavori spiegano che l'iscrizione nel registro degli indagati è un atto dovuto. Praticamente obbligato. Pena la commissione di un illecito. Per alcuni consiglieri del Csm, invece, non solo l'atto non era dovuto. Ma il procuratore Lo Voi dovrebbe essere sottoposto a un provvedimento disciplinare. E lo scrivono nero su bianco su una richiesta presentata al Comitato di presidenza del Csm. Le firme? Isabella Bertolini, quota FdI molto vicina alla premier, Claudia Eccher, quota Lega, Daniela Bianchini, sponsorizzata dal sottosegretario Mantovano, Enrico Aimi, quota Forza Italia e Felice Giuffré, quota Fratelli d'Italia.
    Le motivazioni sono estremamente tecniche. E si possono sintetizzare così: nessun automatismo, il procuratore Lo Voi aveva un margine di discrezionalità che non ha utilizzato. Per questo i consiglieri chiedono «l'apertura di una pratica, anche al fine di eventuali profili disciplinari», per analizzare tempi e modalità. Sarà il Comitato di presidenza del Csm a decidere se archiviare il tutto o darne seguito.
    Sempre dal Csm, poi, pare si stia preparando un esposto contro Lo Voi per il fascicolo sulla vicenda Caputi, aperto a carico di alcuni giornalisti del "Domani" per rivelazione di segreto e nato dopo la denuncia del capo di gabinetto della presidenza del Consiglio. E si potrebbe anche profilare il rischio di un'iniziativa disciplinare del ministro della Giustizia, preceduta dall'invio di ispettori. O l'apertura di una pratica di trasferimento per incompatibilità ambientale. A creare malumori nel governo per una presunta violazione sarebbe stato l'inserimento di un documento dell'Aisi classificato come riservato, che invece sarebbe stato messo a disposizione delle parti.
    Tra annunci e iniziative, l'assedio prende forma. E si aggiunge il fronte dei voli di stato. Diventato notissimo proprio nei giorni scorsi, durante la polemica sull'inchiesta aperta con la scarcerazione e il rimpatrio del generale Almasri. Tempo fa Francesco Lo Voi aveva fatto ricorso al Presidente della Repubblica e al Consiglio di Stato contro un provvedimento adottato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel gennaio 2023, infatti, Alfredo Mantovano aveva sospeso l'uso dei voli di Stato per il procuratore di Roma. Ne era nato, stando ai documenti diffusi dal Tg1, un acceso botta e risposta. E ora una decina di senatori di Fratelli d'Italia sembrano intenzionati a presentare un'interrogazione per «fare chiarezza». Il vicecapogruppo Salvo Sallemi attacca: «Sarebbe imbarazzante scoprire che il procuratore è in contrasto con Palazzo Chigi, perché vuole utilizzare l'aereo di Stato il fine settimana per tornare a casa nella sua Sicilia». E il vicecapogruppo Raffaele Speranzon aggiunge: «Il procuratore Lo Voi aveva in passato utilizzato il volo di Stato per ragioni di sicurezza per spostarsi da Roma a Palermo. Ci vuole davvero una bella faccia tosta.

 

 

30.01.25
  1. La complessa rete di rapporti del generale libico, che con sé aveva il documento degli Stati Uniti rilasciato a novembre e un passaporto domenicano
    la vignetta di rolli
    Almasri, quel visto Usa di dieci anni e i legami con la Cia e i Servizi di Londra
    irene famà
    ilario lombardo
    roma
    Un visto per gli Stati Uniti rilasciato il novembre scorso e valido per dieci anni. Un passaporto della Repubblica Dominicana. E un lungo periodo in Germania finito sotto il monitoraggio della Corte penale internazionale. Dettagli che rendono ancora più intricata la vicenda del generale Njeem Osama Almasri, arrestato su mandato dell'Aia e poi rilasciato per un cavillo giudiziario. Chi è davvero l'alto militare libico? Quali interessi porta avanti in Europa? O per gli alleati americani?
    Al vertice della Rada, una delle milizie più potenti in Tripolitania, gestisce il carcere di Mitiga. Senza pietà. Lo accusano di torturare, uccidere, violentare. Si è formato prima contro i gheddafiani, poi l'Isis, infine i mercenari di Haftar. Ora dirige la prigione dove vengono reclusi i presunti terroristi. Uomo dei servizi segreti libici, raccontano, Almasri pare intrecci legami anche con Cia e Mi6, l'agenzia di spionaggio britannica. Certo è che lo scacchiere internazionale è complesso. Gli equilibri difficili. I rapporti tra i miliziani della Rada e gli americani e i britannici si erano già sviluppati durante la guerra contro Muammar Gheddafi. Poi consolidati durante la battaglia anti-Isis a Sirte nel 2016. In gioco diversi interessi: i russi che appoggiano Khalifa Haftar nell'Est della Siria e la Turchia che cerca spazio a Tripoli. Ecco. Questo è il contesto in cui il generale Almasri prende potere. E si afferma. E fa affari.
    Quel che sappiamo, da fonti di intelligence e diplomatiche, è che il libico è una figura conosciuta dai servizi segreti italiani, e che ha contatti diretti con gli 007 degli Usa e del Regno Unito. E d'altronde un visto di dieci anni con timbro americano non è una cosa rilasciata così facilmente a tutti. Almastri e i suoi compagni della Rada si rivelano una sponda necessaria nella lotta al terrorismo, anche a costo di chiudere più di un occhio sulla gestione sanguinaria del potere.
    È ormai noto, anche se è un aspetto coperto da confidenze non ufficiali trapelate con La Stampa, che al momento dell'arresto i servizi segreti comunicano il possibile ricatto esercitato dal gruppo militare di Almasri, affiliato al governo di unità nazionale di Tripoli. Gli agenti presenti in Libia comunicano il rischio di ritorsioni su cittadini italiani e su giacimenti dell'Eni. Il governo, alle richieste delle opposizioni, avrebbe potuto opporre la ragione di Stato ma non lo ha fatto. E certamente avrebbe voluto passasse sotto silenzio il trasferimento di Almasri. C'è un precedente che in questi giorni è tornato alla mente. E riguarda un altro esponente di primo piano della Libia. Questa volta della Cirenaica: a fine luglio 2024 Saddam Haftar, figlio del generale Khalifa, viene fermato all'aeroporto Capodichino di Napoli dalla polizia, perché inseguito da un mandato d'arresto spagnolo per contrabbando di armi. Dopo un'ora viene rilasciato. La storia non suscita clamore, e viene gestita nel riserbo più assoluto. Qualche giorno dopo le agenzie libiche battono la notizia della chiusura del giacimento di El Sharara, controllato dalla spagnola Repsol. È un gesto di pura rappresaglia. Se nel caso di Almasri l'epilogo è stato diverso, ed è esploso pubblicamente, è anche grazie alle Ong e ai partiti di opposizione, su tutti Alleanza Verdi e Sinistra, che hanno segnalato la partenza da Ciampino e l'arrivo a Torino di un aereo a disposizione del governo italiano la mattina del 21 gennaio, quando ancora la Corte d'Appello non si era espressa sulla scarcerazione. Un aereo che era pronto e che al termine di quella giornata è finito, con tanto di bandiera italiana ben in vista, nella foto di Almasri accolto trionfalmente a Tripoli.
    Questo è il contesto che potrebbe aiutare a comprendere i suoi viaggi per l'Europa. E i numerosi documenti che aveva nel portafoglio. Il 6 gennaio parte da Tripoli. Fa scalo all'aeroporto di Fiumicino e poi raggiunge Londra, dove si ferma sette giorni. Il 13 gennaio si trasferisce a Bruxelles in treno. Poi prosegue per Bonn e Monaco, in Germania. Spostamenti registrati. Dalla Corte penale internazionale, infatti, lo monitorano da tempo. Il nome del generale Almasri viene inserito nei canali di comunicazione e cooperazione internazionale il 10 luglio dello scorso anno. Con una cosiddetta "nota di diffusione blu" diretta solo alla Germania, si chiede di raccogliere informazioni su dati, documenti, telefoni, incontri e contatti di Almasri in territorio tedesco. Si chiama "sorveglianza discreta": la persona non deve essere messa in allarme e non dev'essere arrestata. Una sorta di testimone da monitorare.
    Poi l'accelerata. Il 18 gennaio, la Cpi estende la nota di diffusione blu anche a Belgio, Regno Unito, Austria, Svizzera e Francia. E nella serata di sabato 18, la polizia tedesca invia alla Corte dell'Aia una scheda riassuntiva con gli accertamenti effettuati in Germania. Non solo. Tra le informazioni che forniscono, comunicano anche che il generale sembra intenzionato a raggiungere l'Italia.
    Alle 22.25, la Cpi sostituisce la nota blu con quella rossa: viene emesso un mandato d'arresto internazionale. L'Interpol lo valida. A Torino la polizia lo arresta in hotel, di ritorno dallo stadio. E, si legge negli atti della Corte d'appello di Roma, avvisa tutti, compreso il ministro della Giustizia. Almasri è responsabile di crimini atroci, almeno per la Corte dell'Aia. E il procuratore della Cpi, dopo 13 anni di indagine, aveva chiesto il mandato d'arresto già il 2 ottobre. La decisione di procedere è di due sabati fa. Viene presa a maggioranza. Arrestarlo è necessario «per garantire che il generale compaia davanti alla Corte», si legge negli atti. «Poiché è improbabile che possa arrendersi volontariamente e anche che le autorità libiche possano collaborare». Di diverso avviso la giudice María del Socorro Flores Liera: «Non concordo con l'emissione di un mandato di arresto contro il signor Njeem - scrive - e in particolare non sono d'accordo con i miei colleghi nella misura in cui concludono che la Corte ha giurisdizione per giudicare questi crimini». Due voti a favore, uno contro: il mandato viene emesso. —
  2. Tra i migranti deportati in Albania. Mistero sugli avvocati d'ufficio
    "Anche a Gjader le vittime dei lager in mano alla Rada"
    flavia amabile
    inviata a Gjader (Albania)
    Piange Ahmed mentre è seduto nella stanza del centro di Gjader dove da oggi avranno il via le udienze di convalida dei 43 stranieri portati in Albania sulla nave Cassiopea. Nella stanza c'è un computer che oggi verrà utilizzato per la videoconferenza con i giudici della Corte d'Appello un tavolo e alcune sedie. Ahmed ha al massimo trent'anni, è originario dell'Egitto. «Avevo bisogno di lavoro, ho incontrato delle persone, mi hanno promesso un posto ben retribuito in Libia e sono partito». In Libia il lavoro ben retribuito si è rivelato un impiego da falegname. E i soldi sono finiti presto. «La polizia mi ha preso e portato dalla mafia», racconta Ahmed. A quel punto si è trovato a contatto con l'oleato meccanismo del sistema di torture libico. Dal racconto di Ahmed emerge una realtà di persone appese a testa in giù, percosse, torture filmate e mandate ai parenti. «Per uscire di lì hanno costretto la mia famiglia a mandarmi dei soldi. Ho pagato 5mila dinari per essere liberato e 7 mila euro per imbarcarmi e arrivare in Italia».
    Nella stanza c'è Nadia Romeo, deputata dem, giunta ieri per parlare con gli uomini rinchiusi nel centro. «Ma tu volevi venire in Italia?». «No», risponde Ahmed. In un ufficio vicino Rachele Scarpa, anche lei deputata del Pd, sta ponendo la stessa domanda a Abdul un ragazzo di una ventina d'anni. Lui è partito dal Bangladesh attirato dall'offerta di un lavoro in Libia. Gli è toccato fare l'imbianchino poi anche per lui il sequestro da parte della polizia libica e la consegna nelle mani dei torturatori di professione. «Noon volevo venire in Italia, mi hanno costretto», risponde.
    «Nel centro di Gjader ci sono le vittime di Almasri che il nostro governo ha deportato in Albania e ora attendono di conoscere il loro destino, mentre Almasri è stato riaccompagnato a casa con un volo di Stato», sintetizza Rachele Scarpa. Anche in autunno, quando altri due gruppi di stranieri erano stati trasferiti in Albania, a Gjader erano risuonati gli stessi racconti di orrori commessi dalla polizia insieme alla mafia libica. Sono i racconti che ieri i 44 stranieri, 38 del Bangladesh e 6 egiziani, hanno ripetuto alle commissioni territoriali, l'organo amministrativo responsabile della loro domanda di asilo. Dopo uno di questi racconti, si è deciso di rivalutare la posizione di uno degli uomini.
    Per le torture subite è stato considerato vulnerabile e si è dovuto organizzare un ulteriore trasporto rapido verso l'Italia dopo il trasferimento avvenuto già due giorni fa di 4 minori e di un vulnerabile illegittimamente portati in Albania.
    «Hanno raccontato storie di vita che potremmo replicare almeno negli ultimi due secoli di emigrazione italiana. - spiega Toni Ricciardi, deputato del Pd. «Sono persone partite per andare a fare lavori umili e improvvisamente si trovano vittime di un gioco più grande e messa sotto ricatto. La cosa straordinaria è che nessuno di loro sapeva dell'Albania quindi non c'è nessun effetto deterrenza». Da riconsiderare anche la nozione di paese sicuro secondo gli uomini ascoltati. «Hanno spiegato di avere paura di tornare e che per loro il luogo di origine non è un paese sicuro», spiega Francesco Ferri di Action Aid e componente del Tavolo Asilo e immigrazione che fa parte della delegazione in visita nei centri.
    Oggi le udienze di convalida dei 43 uomini rimasti a Gjader. In serata ancora non erano stati nominati gli avvocati d'ufficio. Per la prima volta a decidere se convalidare o meno il trattenimento in Albania saranno i giudici della Corte d'Appello. Domani si saprà se al terzo tentativo, dopo aver modificato la procedura di convalida del trattenimento, il governo raggiungerà l'obiettivo di non far rimanere di nuovo desolatamente vuoto il centro di Gjader come è avvenuto da ottobre quando è stato inaugurato. Oggi le udienze di convalida dei 43 uomini rimasti a Gjader. In serata ancora era mistero sulla nomina degli avvocati d'ufficio. Nell'elenco appare numerose volte il nome di un legale che non ha ricevuto alcuna comunicazione e non erano ancora indicate le date delle udienze.
  3. La ragnatela
    libica
    Francesco Grignetti
    Roma
    Il boom di partenze dalla Libia negli ultimi quindici giorni non è un abbaglio. Quei 3354 migranti arrivati nel giro di due settimane sono vissuti come un'emergenza che costringe palazzo Chigi a convocare una riunione alla presenza di Giorgia Meloni, con i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro Matteo Piantedosi. C'è infatti da esaminare la novità del premier e dei ministri indagati, ma soprattutto capire cosa stia accadendo sull'altra sponda del Mediterraneo (non in Tunisia, dove il governo autoritario di Kais Saied, pur con metodi brutali che nulla hanno da invidiare a quelli libici, è riuscito a cancellare i nuovi arrivi e le partenze verso l'Europa) e se ci sia un collegamento tra la vicenda del ras libico Almasri e il boom inatteso dei flussi.
    Già, perché, a dispetto della propaganda, il sospetto d'un uso strumentale delle partenze da parte libica c'è eccome. Non sarebbe poi così strano. Sono più di vent'anni, dall'epoca del dittatore Gheddafi, che di tanto in tanto i libici usano la leva dei migranti per far pressioni sui nostri governi. Al termine del meeting, però, a cui partecipa ovviamente anche l'intelligence, prevale la convinzione che non ci siano complotti, bensì il sovrapporsi del meteo favorevole a una particolare instabilità a Tripoli.
    Spiegano fonti bene informate: «Anche se non se ne parla sui media occidentali, da alcune settimane ci sono due tribù libiche che si sparano addosso. Questo ha generato una fase di grande destabilizzazione sulla costa e in alcuni porti. Almasri non c'entra nulla».
    Agghiacciante prospettiva, comunque: le milizie si contendono il controllo dei porti perché il traffico di migranti è talmente lucroso da giustificare perfino una guerra intestina.
    A supporto di questa tesi parlano alcuni dati. Se è vero che il risveglio delle partenze data 20 gennaio, il giorno dopo l'arresto a Torino di Almasri, c'è da dire che le partenze sono proseguite per i restanti 7, 8 giorni quando il caso era ormai chiuso con particolare soddisfazione da parte del "generale" libico restituito alla sua formazione paramilitare, il gruppo armato Rada guidato dal salafita Abdul Rauf Kara.
    Analizzando poi le nazionalità di chi è sbarcato a gennaio in Italia, salta agli occhi che i gruppi di gran lunga più numerosi sono bengalesi (1189) e pakistani (721). Seguono distanziati siriani (426), egiziani, eritrei e etiopi. Quasi scomparsi gli africani. «Il ragionamento da fare – insiste la fonte – è che si sono drasticamente ridotti i flussi dall'Africa sub-sahariana verso il Mediterraneo, mentre sono saldi quelli dall'Asia o dal Corno d'Africa». Ovvero quei flussi più strutturati, che possono contare su intermediari ben piazzati lungo le rotte, tutto o quasi alla luce del sole, che convergono sull'Egitto e da lì preparano il passaggio via terra per la Libia.
    Nessun complotto, allora? Il solito business? Concorda un analista indipendente come Matteo Villa, del centro studi Ispi, che su Twitter ha mostrato come i trend di partenze dalla Libia in realtà siano costanti da anni e semmai in ripresa da novembre scorso. Scrive, polemico con tutti quelli che hanno spiegato l'aumento degli sbarchi dalla Libia come una conseguenza dell'arresto di Almasri: «La politica italiana è incredibile, ma anche il giornalismo che gli va dietro». Detto ciò, Villa trova risibile che si possa parlare di un effetto "deterrente" del Protocollo Albania quando vi sono stati trasferiti 49 migranti (di cui 5 subito rimpatriati) a fronte delle migliaia che arrivano nonostante tutto. Difficile dargli torto.
    Tutti questi bengalesi, pakistani, siriani, eritrei, etiopi sono partiti avendo pagato migliaia di euro in anticipo e a prescindere dalle contingenze italiane del momento. La spinta migratoria dal Bangladesh e dal Pakistan, in particolare, pare incontenibile. Fino a qualche mese fa potevano contare addirittura su un vettore aereo siriano, la controversa compagnia Cham Wings dietro cui si celavano i sodali del dittatore Assad, che faceva la spola dagli aeroporti pakistani e bengalesi con Damasco e da lì con l'aeroporto di Bengasi, nella Libia orientale. Era tutto molto facile. E quando poi i migranti erano atterrati, i trafficanti li nascondevano in appartamenti o capannoni dove aspettavano il primo barcone utile.
    Se il governo ritiene quindi che la vicenda di Almasri non incida sulle partenze, ciò non toglie che il trend in ascesa li preoccupi moltissimo, ma Meloni e Chigi possono fare ben poco. Devono solo sperare che ci sia una tregua tra i combattenti tribali, che le "autorità" locali riprendano il controllo dei porti e che rispettino l'impegno di frenare le partenze. Con quali metodi, si sa. —
  4. Impoveriti
    sanità
    dalla
    Federico Spandonaro
    Paolo russo
    roma
    È una sanità che rende poveri quella che emerge dal 20° rapporto del Crea-Sanità, dove dalla marea di dati ne spunta uno, inedito, che attribuisce il 23% di quei 41,4 miliardi di spesa privata alle famiglie povere. Che così, quando non finiscono per rinunciare del tutto alle cure, scivolano inesorabilmente nell'indigenza. Definendo con l'Oms «catastrofiche» le spese che superano il 40% della "Capacity To Pay" delle famiglie (pari ai consumi totali della famiglia al netto delle spese di sussistenza), si scopre infatti che sono colpite dal fenomeno l'8,6% delle famiglie residenti (11,8% di quelle che sostengono spese sanitarie), ovvero 2,3 milioni di nuclei.
    Il Mezzogiorno continua ad essere la zona più colpita, con il 9,9% delle famiglie, segue il Nord-Est con il 9,0% il Nord-Ovest ed il Centro con il 7,0%. É la Puglia la Regione più afflitta dal fenomeno, con il 13,2% delle famiglie residenti; la Liguria quella meno (7,0%). Le famiglie più esposte sono quelle degli anziani over 75 (soli o in coppia), con una incidenza rispettivamente del 15,1% e 17,7%.
    Che a determinare l'impoverimento delle famiglie non sia il consumismo sanitario, o detta in altri termini la spesa per prestazioni inutili, lo conferma un altro dato elaborato dall'Università Bocconi, che attribuisce il 40% della spesa privata a visite, accertamenti e farmaci prescritti sulla ricetta rosa utilizzata dai medici pubblici. Come dire che in prima battuta ci si rivolge all'Ssn per poi dirottare verso il privato quando ci si accorge che questo non riesce a garantire quel che ci serve in tempi ragionevoli. Se le cose stanno così, non ci si deve poi stupire se 3,4 milioni di nuclei familiari dichiarano di rinunciare a qualche consumo sanitario e se 1,2 milioni azzerano completamente le cure.
    Le sperequazioni però non finiscono qui, perché le ritroviamo anche quando si parla di finanziamento, visto che questo è concentrato su appena il 20% della popolazione, mentre il restante 80% versa meno dei servizi sanitari che riceve in cambio. «Un'esagerata sperequazione dei redditi a livello nazionale – si afferma nel rapporto – con conseguenze in termini di sostenibilità, visto che il servizio sanitario pubblico economicamente pesa sulle spalle di una quota davvero esigua della popolazione». Il rapporto non lo dice, ma è chiaro che questo sbilanciamento è figlio dell'evasione fiscale, che lascia ai soliti noti l'onere di sostenere la Sanità così come il welfare in generale.
    Resta comunque il fatto che in termini di risorse destinate alla sanità pubblica l'Italia arranchi sempre più rispetto al resto dell'Europa. Se infatti il nostro Pil pro capite è inferiore del 19,7% rispetto alla media dei Paesi originari dell'Ue, la forbice si allarga e di molto quando si parla di spesa sanitaria pubblica, dove il gap sale al 44,1%. Una distanza dall'Europa che cresce dell'1,2% rispetto al 2022 e dell'11,4% nel decennio. Minore, anche se in crescita del 2,3% rispetto a due anni fa, il gap in termini di spesa privata, che è dell'8,7%.
    Tutto questo nonostante il rapporto Crea riconosca che dopo l'ultima manovra il finanziamento pubblico ha raggiunto il livello massimo mai conseguito. Passando però a un confronto basato su una analisi statistica della relazione fra risorse dei Paesi (Pil pro-capite, al netto degli interessi sul debito pubblico che sono indisponibili per il finanziamento del Welfare) e spesa sanitaria pro-capite, la spesa per la sanità in Italia risulta inferiore al livello atteso dell'11,3 per cento. Che tradotto in soldoni fanno circa 15 miliardi mancanti all'appello.
    Ma poiché con il nostro debito pubblico è impensabile un rifinanziamento di queste dimensioni, ecco che affianco al rapporto un Think Tank, composto tra gli altri dal Presidente del Crea, Federico Spandonaro, dall'altro economista sanitario della Bocconi, Francesco Longo e dall'ex deputato e presidente della Federazione di Asl e Ospedali, Giovanni Monchiero, è stato elaborato un documento per una riforma del nostro Ssn. «Se la situazione economica generale e il deficit di finanziamento della nostra sanità pubblica sono questi- sintetizza Spandonaro-, è allora necessaria una operazione verità sul modello universalistico del tutto a tutti, che in realtà a causa anche delle liste di attesa, sta creando sempre più discriminazioni sul piano della tutela della salute».
    Da qui l'idea «di prevedere una selezione di prestazioni fondamentali e più a rischio di spese catastrofiche da continuare a garantire in tempi certi anche ai più abbienti, chiedendo loro di rinunciare in cambio di prestazioni meno onerose o essenziali. Questo continuando a garantire tutto quel che va appropriatamente garantito a chi non può permettersi di pagare». Magari senza più sottostare alla gogna delle liste di attesa.—
  5. Il saldo negativo del 2024, comunicato alla Regione, è di oltre 200 milioni solo per le aziende di Torino e provincia: a fine aprile i conti definitivi
    Energia, materie prime, farmaci, personale Asl piemontesi, oltre 300 milioni di extracosti
    alessandro mondo
    Giornata frenetica, ieri e l'altroieri, negli uffici amministrativi delle Asl e degli ospedali piemontesi, alle prese con una scadenza tassativa e dirimente, per le aziende sanitarie come per la Regione. Si trattava infatti di certificare, su richiesta della Regione e in anticipo rispetto agli anni precedenti, i conti del quarto trimestre 2024 per poi girarli ai ministeri competenti (Salute, Economia e Finanze). Relazioni di spesa dettagliate, voce per voce: personale, farmaci, dispositivi medici, mobilità attiva (pazienti in entrata da altre Regioni) e passiva (ovvero in uscita), etc.
    Il quadro che emerge non è roseo, diciamo così. Città della Salute: - 41 milioni. Asl Città di Torino: - 70. Asl Torino3: - 35. Asl Torino 4: - 10,9. Asl Torino 5: - 55. San Luigi Gonzaga: - 4.
    Siamo nella fase dei bilanci consuntivi 2024, uno step intermedio tra gli iniziali bilanci di previsione (adottati dalle aziende tra dicembre-gennaio 2024), i preconsuntivi e i consuntivi, cioè quelli definitivi, che andranno approvati entro fine aprile.
    Una accelerazione, da parte della Regione, motivata dalla necessità di avere quanto prima un quadro il più aggiornato possibile sui conti 2024 - il 2023 si era chiuso a - 223 milioni, coperti con una "riserva di programmazione" - per correggere la rotta rispetto ai rendiconti preventivi, poco attendibili, accertando le perdite e calcolando una serie di poste nazionali e regionali, cioè di entrate, non ancora incassate. E' il caso del "payback", che prevede il recupero di una parte dei pagamenti effettuati alle aziende produttrici di dispositivi medici nel caso in cui la spesa complessiva superi il tetto stabilito dalle Regioni. Il San Luigi, per esempio, conta di chiudere il bilancio definitivo se non in pareggio, con un saldo negativo di meno di un milione.
    Ecco perchè i dati inviati ieri vanno presi con le molle, nel senso che siamo ancora alle stime, tenendo comunque conto che i conti delle Asl risentono di un aumento dei costi su tutta la linea: energia, materie prime, nuovi farmaci in commercio, sempre più costosi, per nuove terapie, dispositivi medici, etc. Il personale, anche, alla luce delle assunzioni per cercare di coprire i vuoti che si aprono negli organici ed emanciparsi nei limiti del possibile dai gettonisti (altra voce di costo). Stime ormai abbastanza attendibili, però, che denotano un quadro di forte difficoltà - a livello regionale il saldo negativo supera i 300 milioni -, al netto delle ulteriori entrate e limature.
    «Nessun allarmismo sui conti delle Asl - aveva precisato il 17 gennaio la Regione, dopo le prime indiscrezioni a mezzo stampa-. Per questa amministrazione la Sanità rappresenta una priorità e una spesa strategica a cui destiniamo risorse aggiuntive anche rispetto a quelle del fondo nazionale, che lo scorso anno è stato aumentato per il Piemonte per oltre 300 milioni e sarà incrementato anche nel 2025, grazie ai 3 miliardi supplementari destinati dal governo alla Sanità. Il bilancio della Sanità nel 2024 risulterà in equilibrio e così sarà per il 2025, anche in considerazione delle azioni di efficientamento in corso e che continueranno l'anno prossimo, in linea con il trend positivo di gestione della sanità certificato dalla parifica positiva della Corte dei Conti».
    Il che è vero: alla fine il bilancio definitivo delle Asl per il 2024 sarà in equilibrio, come lo era stato quello del 2023, nè potrebbe essere altrimenti. Ma solo perchè la Regione ripianerà il debito, accollandoselo. —

 

 

29.01.25
  1. Può arrivare l'invio al procuratore
    Ora il fascicolo al Tribunale dei ministr i 90 giorni per archiviare o procedere
    Novanta giorni per decidere. Questa è la tempistica che ha il Tribunale dei ministri per valutare se archiviare o inviare il fascicolo al procuratore. Dopo la trasmissione degli atti relativi al procedimento che vede iscritti nel registro degli indagati Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario Alfredo Mantovano, ci saranno 90 giorni di tempo per compiere l'attività. Compiute le indagini preliminari e sentito il pm, può decidere l'archiviazione - nel qual caso il decreto non è impugnabile - oppure la trasmissione degli atti con una relazione motivata al procuratore, affinché chieda l'autorizzazione a procedere alle Camere. —
  2. L'intervista
    "
    L'attacco a Nordio
    I migranti
    Ha detto
    Luigi Li Gotti
    Roma
    «Liberare il generale Almasri è una scelta peggiore di quella di Trump. Il presidente americano ha incatenato i migranti, noi abbiamo scarcerato un boia». Luigi Li Gotti, ex politico e avvocato, sul caso del generale libico ha denunciato la premier Giorgia Meloni e i ministri coinvolti. E ora risponde agli attacchi del centrodestra.
    Avvocato, perché ha presentato l'esposto?
    «Come cittadino mi sono sentito ingannato».
    Ingannato?
    «Analizziamo i fatti. Il generale libico è stato arrestato e poi rimandato indietro con un aereo di Stato solo perché il ministro della Giustizia è stato inerte».
    Il ministro Nordio ha detto di non essere stato avvisato in tempo.
    «Prima che la Corte d'Appello di Roma si pronunciasse, il volo era già pronto. È evidente che il ministro ha detto una falsità».
    Lei si è detto indignato. Da cosa?
    «Abbiamo restituito alla Libia, con tutti gli onori, un criminale che continuerà a fare ciò che ha fatto sino ad ora».
    Cioè?
    «Gestire un centro di detenzione con torture, lavori forzati, omicidi».
    Secondo lei, perché questa scelta?
    «Al governo serve un boia».
    Non pensa che ci possa essere una "ragione di Stato"?
    «La apponessero. Dicessero: "Noi non possiamo parlarne". Invece non l'hanno fatto. Al contrario, Piantedosi presenterà un'informativa».
    Che è stata però cancellata...
    Ma lei perché ha deciso di presentare un esposto proprio su questa vicenda?
    «Perché sono indignato. E non mi pare ci siano dei precedenti».
    Mai successo un caso simile?
    «L'Italia ha liberato un boia. E sono state dette innumerevoli bugie».
    Ad esempio?
    «Che non eravamo stati informati».
    La premier l'ha attaccata pubblicamente. Ha detto che lei è un ex politico di sinistra vicino a Prodi.
    «Sono stato sottosegretario alla Giustizia dal 2006 al 2008 con il governo Prodi».
    Difficile vederla come un uomo di sinistra, visto che è nato come militante del Msi.
    «Noi eravamo della corrente di sinistra, ci rifacevamo a un parlamentare dell'Msi che era Luigi Filosa. Che era un socialista, ma eletto nelle file dell'Msi. Il Movimento sociale italiano era un contenitore di diverse anime. C'era di tutto».
    Lei però è rimasto di destra per 30 anni. Sbaglio?
    «È vero. Poi ci fu il processo sulla strage di piazza Fontana. E ci furono delle polemiche».
    Come mai?
    «Ero del Msi. E c'era chi diceva che non potevo rappresentare le parti civili».
    Questo spiega il suo passaggio all'Italia dei Valori?
    «No. Era il periodo in cui c'era la vicenda di Berlusconi. Si discuteva del legittimo impedimento, delle leggi ad personam, della riforma della prescrizione. Erano interventi normativi fatti per favorire Berlusconi».
    Sta dicendo che non si è più sentito rappresentato?
    «No. Assolutamente. Non mi riconoscevo più in quello schieramento».
    Lo scontro tra governo e magistratura ritorna. Con diverse critiche da parte del ministro della Giustizia. Come la vede?
    «Queste critiche aspre da parte non le condivido. Mi sembrano toni troppo violenti».
    Anche nella vicenda Almasri sono stati attaccati i magistrati. La premier ha detto che la decisione di scarcerare il generale è stata dei giudici romani.
    «La premier sa benissimo che non è così. Perché prima che la magistratura intervenisse, avevano già preparato un aereo?».
    Meloni ha dichiarato che lei è conosciuto «per aver difeso dei pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi».
    «Sì, ho difeso tante persone. Ho anche rappresentato i famigliari del commissario Calabresi. Ho fatto diverse cose».
    È stato descritto come l'avvocato dei mafiosi. Ribatte?
    «Ho preso la difesa di alcuni. Ad esempio quando Giovanni Falcone mi chiese di assistere Francesco Marino Mannoia che non aveva più difensori».
    Glielo chiese Falcone?
    «Sì. In quel periodo stavo facendo il processo Calabresi. Falcone mi chiamò e mi chiese se me la sentivo di assistere Mannoia. E io per rispetto per me stesso, per la deontologia, dissi di sì. Poi arrivarono altri. Io difendo la persona, non il reato».
    Ora è tra i difensori dei famigliari della tragedia di Cutro. E torniamo al tema migranti.
    «Con Almasri c'è la longa manus».
    In che senso?
    «Il generale gestiva le partenze. Questo dice la Corte penale internazionale. E a chi giova?».
    Secondo lei?
    «Trump espelle, il governo italiano ha mandato un boia per continuare a fare quello che ha fatto finora».
    «Impedire le partenze per l'Italia». i. fam. —
  3. Oltre al rischio dei domiciliari per il concorso sul progetto della Biblioteca europea di Milano, l'archistar affronta un'ulteriore vicenda giudiziaria
    Boeri va a processo per il Bosconavigli "Una grande lottizzazione abusiva"
    monica serra
    milano
    Mentre rischia gli arresti domiciliari nell'inchiesta sulla Beic, l'archistar Stefano Boeri è già a processo per il Bosconavigli. Proprio la settimana scorsa, infatti, la procura ha trasmesso alla decima sezione penale del Tribunale la citazione diretta a giudizio - senza passare dall'udienza preliminare - dell'architetto di fama internazionale accusato a vario titolo con altri sei tra costruttori e dirigenti comunali di lottizzazione abusiva e abusi edilizi per la realizzazione, oramai quasi ultimata, della grande costruzione che ricorda il nome del suo più noto Bosco Verticale: 90 lussuosi appartamenti su 12 piani, in un'area di 8.050 metri quadrati che, nel quartiere San Cristoforo a Sud-Ovest di Milano, accoglieranno 333 nuovi abitanti, costruiti nel segno della tanto acclamata "rigenerazione urbana" e venduti a partire da 6.300 euro al metro quadrato per i tagli più "popolari". Il tutto, per l'accusa, «in assenza di un piano particolareggiato esecutivo o di un piano di lottizzazione» e in base a una convenzione che, invece di passare dal voto del Consiglio o della giunta comunale, è stata firmata davanti al notaio, da un semplice dirigente comunale e dal costruttore Marco Nolli, dopo il via libera della Commissione al paesaggio. Tra gli imputati nel processo che si aprirà in autunno compare anche Giovanni Oggioni, considerato tra i «registi» dell'operazione, all'epoca direttore dell'area Sportello unico per l'edilizia del Comune, già al centro di altre inchieste sull'urbanistica milanese del pool diretto dalla aggiunta Tiziana Siciliano.
    Tornando all'inchiesta sulla Beic, martedì, come previsto dalla riforma Nordio, Boeri e il collega Cino Zucchi saranno interrogati preventivamente dal gip Luigi Iannelli che dopo deciderà se accogliere la richiesta di domiciliari avanzata dai pm Giancarla Serafini, Mauro Clerici e Paolo Filippini. Con loro saranno sentiti anche Pier Paolo Tamburelli, uno dei progettisti della cordata vincitrice del concorso internazionale per la Biblioteca europea di informazione e cultura che, per l'accusa, avrebbe avuto «un ruolo di primo piano» nel pilotare la gara: anche lui ora rischia i domiciliari. E poi gli altri due progettisti, Angelo Raffaele Lunati e Giancarlo Floridi di Onsitestudio, ricercatori del dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano, dove insegnano Boeri e Zucchi: per loro la procura ha chiesto l'interdizione. Sulla Beic ha aperto un fascicolo conoscitivo anche la procura della Corte dei Conti, per valutare eventuali danni erariali.
    Sono tanti i contatti tra Boeri e Tamburelli via whatsApp e Telegram, ma su entrambe le chat il primo, presidente della commissione, avrebbe cancellato «i propri messaggi» tanto da permettere la lettura del solo «monologo» di Tamburelli. Il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha contato oltre mille messaggi in sei anni, fino a quell'ultimo incontro in zona stazione centrale proprio la notte prima del 5 luglio, quando la commissione ha decretato vincitrice la sua cordata. Di ritorno dalla Sardegna, Boeri si sarebbe precipitato da Tamburelli. All'inizio però il suo progetto, il numero 29, era stato escluso dall'archistar, invitato a rivalutarlo da Zucchi che aveva tenuto a precisare: «Non conosco gli autori». E poi aveva aggiunto: «Qualsiasi risultato esce qualcuno avrà da dire "Boeri Zucchi e la cupola milanese", e proprio per questo mi sono posto l'obiettivo della massima purezza». Per l'accusa, solo una «excusatio non petita» dell'architetto. Qualche giorno prima della proclamazione dei vincitori, Tamburelli scrive a Boeri: «Amico della realtà virtuale, è tutto come previsto nella realtà virtuale?». Per la Gdf, un modo per cercare «rassicurazioni» sull'aggiudicazione. Anche in questo caso Boeri ha cancellato la risposta.
    Significativo per l'accusa anche il suo comportamento con il terzo classificato, Andrea Caputo: Boeri si sarebbe fatto mandare alcune note per riconoscere il progetto e lo avrebbe avvisato in anticipo sul suo terzo posto, che gli ha garantito un premio di oltre 44 mila euro.
  4. il provvedimento al voto
    Sala difende il Salva Milano in Senato "Non abbiamo mai fatto favori a nessuno"
    La legge Salva Milano «non è un salvacondotto o un liberi tutti». Davanti alla commissione Ambiente del Senato Giuseppe Sala difende il provvedimento che serve alla sua città per superare lo stallo dell'urbanistica dopo le inchieste della Procura su presunti abusi edilizi. «Non abbiamo mai fatto favori a nessuno», assicura il sindaco nell'audizione, negando che la legge possa rappresentare una sorta di condono in tutti i Comuni italiani. «Ho letto ambiguità nell'interpretazione, ma dico che tutti i Comuni restano vincolati ai limiti» delle leggi statali e regionali «e alle decisioni dei Consigli comunali, quando hanno fatto programmazione urbanistica». Un modo per rassicurare i tanti, anche dentro al Pd, che dopo il voto favorevole alla Camera stanno frenando sull'opportunità di approvare il testo senza modifiche a Palazzo Madama. Ma Sala ha fretta, perché il Comune di Milano ha perso lo scorso anno 165 milioni di oneri di urbanizzazione e le pratiche edilizie sono bloccate, si stima la perdita di tremila posti di lavoro e «il perdurare di questa situazione può produrre una carenza cronica di fondi anche dopo il mio mandato», spiega. Quindi, bisogna chiudere la partita: «Dopo tutto il lavoro fatto ci aspetteremmo di arrivare a una conclusione. Spero si trovi una convergenza». Una convergenza tra il «suo» Pd, tutt'altro che compatto, e Fratelli d'Italia, dove aumentano i dubbi tecnici e politici.

 

 

 

 

28.01.25
  1. Caso Caputi: chi sono i protagonisti della spy story che preoccupa Palazzo Chigi
    28 Gennaio 2025 Ettore Bellavia Insider
    CAPUTI
    Storie di 007, scoop giornalistici, appalti e spionaggi: Palazzo Chigi pronto a riferire al Copasir sulla vicenda che avrebbe visto l’AISI indagare sulle attività di Gaetano Caputi


    I servizi segreti italiani avrebbero condotto accertamenti su Gaetano Caputi, capo di gabinetto della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Autori dello scoop che potrebbe far tremare Palazzo Chigi i giornalisti di Domani, Stefano Iannacone e Nello Trocchia. Un episodio che getta ombre sulla gestione delle informazioni riservate da parte del nostro servizio di intelligence.

    LO SPIONAGGIO A PALAZZO CHIGI SU GAETANO CAPUTI
    La vicenda ha origine con un esposto dello stesso Caputi alla Procura di Roma. Lo scorso febbraio, a seguito della pubblicazione di una serie di articoli su Domani che ipotizzavano un’incompatibilità tra il ruolo di capo di gabinetto e alcune sue attività parallele, Caputi avrebbe chiesto alla Procura di indagare sulla fonte di tali notizie.

    Le indagini hanno portato alla luce tre accessi compiuti da agenti dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) sulla banca dati dell’Agenzia delle Entrate Punto Fisco che avevano per oggetto proprio il profilo di Caputi.

    A giugno del 2024 Giuseppe Lo Voi, procuratore capo di Roma, scrive al Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), allora diretto da Elisabetta Belloni, chiedendo lo scopo di tali ricerche e l’identità di chi le aveva condotte.

    Della risposta s’incarica Bruno Valensise, direttore dell’Aisi, che spiega nella sua missiva come le verifiche siano state autorizzate per indagare sul conto di alcuni soggetti che gravitavano intorno a Palazzo Chigi per interessi personali.

    Come riporta Domani, alla base di uno di questi accertamenti ci sarebbe stato l’interesse del vicedirettore dell’AISI Giuseppe Del Deo, che – su richiesta di Mario Parente a quel tempo alla guida dell’Agenzia – si sarebbe attivato per cogliere informazioni sul legame familiare tra la moglie di Gaetano Caputi e un soggetto sotto osservazione dei servizi.

    CHI È GAETANO CAPUTI
    Pugliese classe 1965, avvocato di formazione con un passato in magistratura civile, penale e del lavoro, vanta una lunga lista di incarichi di rilievo nella pubblica amministrazione. Tra questi la guida dell’ufficio legislativo in seno al Ministero delle Finanze, di cui fu anche vicecapo di gabinetto, in virtù della sua vicinanza a Giulio Tremonti, e in seguito, la direzione e la segreteria della Consob.

    A ottobre 2022 viene nominato capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Com’è noto, il ruolo di capo di gabinetto è una posizione molto delicata e rilevante, rendendolo di fatto uno dei collaboratori più vicini alla Presidenza del Consiglio.

    Un anno fa il quotidiano diretto da Emiliano Fittipaldi si era interessato delle attività di Gaetano Caputi, chiamato a condurre “uno dei capitoli più delicati per le casse dello stato: il gioco d’azzardo legale”. Questione spinosa, scriveva Domani, “non solo per via del suo ex, recente, socio Roberto Alesse, già storico collaboratore di Gianfranco Fini e nominato un anno fa dal governo a capo dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli”. Alesse e Caputi, spiega il quotidiano, “fino a gennaio 2023 sono stati azionisti di un’azienda che si occupava di vendita di software e consulenza finanziaria. Tra le questioni più spinose passate al vaglio del capo dei Monopoli c’è anche il prolungamento della concessione alla società Global Starnet, ora in amministrazione giudiziaria”.

    L’EX UFFICIALE DELL’ESERCITO GIUSEPPE DEL DEO
    Ex ufficiale dell’esercito, considerato vicino a Fratelli d’Italia, vanta una carriera trentennale all’interno dell’AISI, dove ha ricoperto il ruolo di capo del Reparto economico-finanziario. Nel luglio dello scorso anno, è stato nominato vicedirettore dell’AISI, subentrando a Vittorio Pisani, promosso nel frattempo a capo della Polizia.

    IL VICEDIRETTORE DEL DIS BRUNO VALENSISE
    Dal 2019, Bruno Valensise, direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), ricopre il ruolo di vicedirettore vicario del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), l’organo che coordina le agenzie di intelligence AISI e AISE. In passato, ha anche diretto la Scuola di formazione del comparto e l’Ufficio centrale per la Segretezza del DIS. Valensise è insignito di diverse onorificenze: è stato nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana il 27 dicembre 2009, Ufficiale dell’Ordine il 2 giugno 2013 e, successivamente, Commendatore il 2 giugno 2017.

    VITTORIO GRILLI, L’EX MINISTRO OGGI A JP MORGAN
    A Caputi è legato un altro nome di rilievo che sta rimbalzando nelle cronache di queste ore. Si tratta dell’ex ministro Vittorio Grilli, oggi a JP Morgan, incaricata da Mps per fare da advisor nell’Ops (Offerta pubblica di scambio) da 13 miliardi in vista della scalata a Mediobanca. A lungo direttore generale del Dipartimento del Tesoro, vice e poi ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Monti, è oggi tra i banchieri più influenti a livello europeo, Grilli ha lavorato a stretto contatto con Caputi in occasione del delicato dossier relativo alla vendita delle rete Tim al fondo americano Kkr.
  2. Milano, gli architetti sono accusati di turbativa d'asta e falso nel progetto della biblioteca europea. L'inchiesta dopo la segnalazione di un professore
    "Hanno pilotato il concorso per la Beic"
    Chiesti gli arresti per Boeri e Zucchi
    Monica serra
    milano
    Contatti continui su whatsapp che i pm definiscono «collusioni» tra le archistar in commissione e i candidati del concorso internazionale per la realizzazione della nuova Beic, la Biblioteca europea di informazione e cultura, che ha permesso al gruppo vincitore di aggiudicarsi incarichi per oltre 8 milioni e mezzo di euro. Al termine degli accertamenti della Gdf, la procura di Milano ha chiesto gli arresti domiciliari per gli architetti di fama internazionale Stefano Boeri e Cino Zucchi, indagati per turbativa d'asta aggravata e falso, ma anche per Pier Paolo Tamburelli, uno dei progettisti della cordata vincitrice, strettamente legato al presidente della commissione Boeri e che avrebbe avuto «un ruolo di primo piano» nel pilotare la gara. Quattro sono state invece le richieste di interdizione, due delle quali già scremate dal gip Luigi Iannelli che, il 4 febbraio, ha convocato gli indagati per gli interrogatori preventivi – come previsto dalla riforma Nordio – prima di decidere se applicare o meno le misure cautelari. E che ha già bocciato anche la richiesta di un sequestro di circa 5 milioni di euro a carico degli indagati.
    «Sono sorpreso e molto turbato – è il commento di Boeri – Attendo con fiducia l'incontro con il giudice per poter finalmente chiarire la mia posizione». Nel frattempo, in una nota, la Fondazione Beic rinnova «la piena fiducia nell'operato della commissione presieduta dall'architetto Boeri, come anche nel lavoro della magistratura».
    Agli atti dell'inchiesta coordinata dalla procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano e aperta dopo la segnalazione di un docente in pensione, la «messaggistica whatsapp e telegram» intercorsa tra il 6 e l'8 luglio 2022, «successivamente cancellata da Boeri», che aveva come «oggetto l'esito della gara», e che è stata sequestrata nel corso delle perquisizioni dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf. «Violando l'anonimato previsto dal bando» della gara indetta dal Comune di Milano, Tamburelli «entrava ripetutamente in contatto con i commissari Zucchi e Boeri durante l'iter di valutazione dei progetti e nelle fasi immediatamente precedenti alla scelta del vincitore, così che i commissari potessero individuare, valorizzare e sostenere il progetto presentato dal suo raggruppamento "Onsitestudio-Baukuh-Sce+altri" ai fini dell'aggiudicazione della gara, come effettivamente è successo». Un pressing fatto di richieste di incontri e sollecitazioni. Agli atti anche un'immagine controversa: la foto di un suo libro che Tamburelli aveva regalato a Zucchi. Nel volume c'è un ventaglio di banconote da 50 euro: se ne contano diciotto. L'archistar che gli scrive: «Un po' sfrontato, non c'è che dire… Comunque ben accolto, avevo il bollo della moto da pagare». Per i pm Paolo Filippini e Mauro Clerici una «evidente è l'allusione a ricchi guadagni di cui Tamburelli beneficerà».
    Né il presidente della commissione Boeri, né Zucchi avevano dichiarato – come previsto dalla legge – i rapporti con i candidati con cui entrambi condividevano il lavoro nel dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano (dove i commissari sono professori ordinari e Angelo Raffaele Lunati, Giancarlo Floridi di Onsitestudio sono ricercatori). Neppure erano state dichiarate le collaborazioni professionali e quindi il presunto conflitto di interessi con altri componenti della cordata vincitrice. Tant'è che quando per la prima volta è esploso sui quotidiani il caso Beic anche i dipendenti del Comune interessati alla pratica ne hanno parlato tra loro in chat: «Abbiamo fatto le verifiche anche noi. I rapporti in varie occasioni ci sono stati. Non è possibile che architetti famosi non abbiano incontrato colleghi. Si dovrebbe a questo punto annullare tutto. Ma un altro concorso rivedrebbe potenzialmente ripetersi la situazione», si legge nei messaggi. Agli atti la ricostruzione di un «incontro» a Milano tra Boeri e Tamburelli «la sera prima» dell'aggiudicazione, il 5 luglio. Qualche giorno più tardi, sarà Floridi a ringraziare Zucchi in chat: «Evviva! ! ! grazie!!!!»
  3. coinvolte Nell'inchiesta altre 15 persone . Rinvenuti anche 370 mila euro
    Il blitz a Bruxelles: sequestrati cocaina, armi e gioielli
    Traffico internazionale di stupefacenti e coinvolgimento in un'organizzazione criminale che importava la cocaina dall'America Latina all'Europa, attraverso il porto d'Anversa, e la distribuiva in Belgio. È il reato di cui è accusato Radja Nainggolan, 36 anni calciatore, ex di Roma, Inter e della nazionale belga, fermato ieri a Bruxelles al termine di una maxi operazione della Polizia federale. Un blitz che ha portato all'arresto di altre 15 persone. Gli agenti hanno sequestrato 2,7 chili di cocaina, due giubbotti antiproiettile e armi. Rinvenuti anche oltre 370 mila euro, gioielli e orologi di lusso, due dei quali hanno un valore stimato di 360 mila euro ciascuno. Sequestrati anche un centinaio di monete d'oro per un valore di 116 mila euro, oggetti di lusso e 14 veicoli.
    Il legale di Nainggolan, Me Omar Souidi, dopo l'interrogatorio a cui è stato sottoposto nella sede della Polizia giudiziaria di Bruxelles, ha negato ogni coinvolgimento del suo assistito. «Mi aspetto che torni in campo a Lokeren (Serie B belga) il prima possibile. È menzionato nel fascicolo ma non è stato accusato. La polizia ha interrogato molto adeguatamente il mio cliente. Ha collaborato e ha risposto alle domande». Gli inquirenti, secondo la legge belga, hanno 24 ore per vedere il loro fermo trasformato in un arresto e un rinvio a giudizio da parte del magistrato. Già oggi si capiranno gli sviluppi di questa vicenda. —
  4. Città della Salute, i pm allargano l'inchiesta su carte di credito e visite nelle cliniche private
    elisa sola
    Relazione di servizio del 29 dicembre 2022, nucleo investigativo dei carabinieri. I due militari che hanno incontrato in un bar una fonte riservata, un medico, scrivono cosa ha riferito: «Ho chiesto più volte all'ufficio della libera professione come funziona la ripartizione dei costi che l'azienda trattiene dalla tariffa pagata dall'utente. Ma non ho mai ricevuto risposte. Quando faccio visite in libera professione in studi privati, non è presente personale del comparto sanitario e la trattenuta si aggira intorno al 18 o 20 percento. Mi chiedo perché trattengano questa percentuale, che viene posta a noi dirigenti medici, ma anche e soprattutto cosa se ne faccia l'azienda. Nessuno mi ha mai risposto». Quali erano e quali sono gli accordi che regolano le visite svolte dai medici dipendenti di Città della Salute nelle strutture private? A chi vanno i soldi che paga il paziente?
    La procura continua a scavare sull'azienda. Non solo sui presunti falsi in bilancio, inchiesta madre che vede 25 direttori, o ex, e vari funzionari iscritti sul registro degli indagati. Ma anche su alcune ipotesi di peculato. Sono due i nuovi filoni d'indagine scaturiti dall'inchiesta principale dopo la chiusura di quest'ultima e la recente richiesta di una proroga d'indagine di sei mesi da parte dei pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni. Il primo riguarda le visite a pagamento nei centri privati da parte dei medici di Città della Salute. Il faro degli inquirenti si allarga. Dagli ospedali pubblici alle grandi cliniche private: Fornaca, Cellini, Larc. Ci sarebbero timbrature che non paiono in regola. Dirigenti in ospedale e in clinica nella stessa fascia oraria. Ma non si tratta solo di questo. Già nel 2022 la fonte riservata diceva ai carabinieri: «In generale questo sistema non è molto chiaro. Verificate il sistema Alpi, che regola dal punto di vista informatico tutta la libera professione. E' nato sotto la direzione dell'ex direttore generale Gian Paolo Zanetta e dell'ex direttrice amministrativa, Andreana Bossola, moglie dell'ex pm Antonio Rinaudo (non indagato, ndr)». È una trama complicata. Nella quale spunta un altro mistero. «Durante il periodo del Covid - afferma il testimone - alla clinica privata Cellini sono stati riconosciuti ristori sanitari superiori a quelli ricevuti dal pubblico. Tremila euro sono andati alla Cellini e mille al singolo ospedale. Perché?». Il motivo non è chiaro. Sui rapporti tra pubblico e privato continua a indagare la procura, che sta approfondendo un altro filone, relativo all'uso delle carte di credito aziendali. Sempre con l'ipotesi del peculato. Una parte degli accertamenti è concentrata sul ruolo di Franca Fagioli, direttrice Oncoematologia pediatrica all'ospedale infantile Regina Margherita. Fagioli, che non ha ricevuto avvisi di garanzia, dice: «Sono tranquillissima. Ho sempre agito con la massima correttezza».
    Ma il filone più intricato è quello delle visite mediche intramoenia. Un altro testimone alla procura ha dichiarato: «Sulla libera professione c'è un impianto sulla contabilità analitica, ma è una scatola vuota. Io ho rilevato una perdita di un milione e 35 mila euro. Ma nel bilancio, di ciò, non c'è alcuna indicazione. La perdita non è scritta perché la legge parla chiaro. Se fosse iscritta a bilancio una perdita così, andrebbe chiusa la libera professione». Ci sarebbe un giro di affari non irrilevante. «Nelle cliniche non c'era controllo - spiega il teste - perché, per loro politica, non chiedono l'integrazione ai pazienti. Lo fanno per non perdere clienti. La Fornaca, poi, ha una convenzione relativa solo alle attività di ricovero. Il sistema delle prestazioni occasionali era uno strumento per eludere il tracciamento. Si faceva, in sostanza, figurare come occasionale una prestazione di ricovero. Così si poteva eludere l'Iva al 19 percento sulla quota. La strategia fa risparmiare le assicurazioni, ma potrebbe esserci un falso da parte del medico». —

 

 

 

 

27.01.25
  1. Nel 2017 il principe ereditario ha lanciato la sua strategia. Il ruolo del fondo sovrano Pif
    Nuove tecnologie, energie rinnovabili e Ai i piani di Mbs per competere con Usa e Cina
    C'è un nome che bisogna tenere a mente quando si parla dei risultati economici dell'Arabia Saudita negli ultimi anni. È quello del Public investiment fund (Pif), il fondo sovrano domestico, che ha una potenza di fuoco da oltre 900 miliardi di dollari.
    Dal 2017, anno della sua nomina a principe ereditario, Mohammed bin Salman ha avviato un'agenda di trasformazione che sta ridisegnando il Paese. Con la Vision 2030 come quadro strategico e investimenti da oltre 1.000 miliardi di dollari, Riyadh si sta muovendo verso una diversificazione economica mirata a ridurre la dipendenza dal petrolio e volta a competere su scala globale con Usa e Cina. Al centro di questa strategia si trova il Pif. che rappresenta una colonna portante di questa ambiziosa visione.
    Sotto la guida del principe ereditario, il Paese sta investendo in settori come tecnologia, intrattenimento, turismo ed energie rinnovabili. Il Pif è funzionale a questo scopo. Nel 2021, il fondo ha lanciato una strategia quinquennale per raddoppiare i suoi asset a 1.070 miliardi di dollari entro il 2025, investendo almeno 40 miliardi di dollari all'anno nell'economia locale e creando 1,8 milioni di posti di lavoro. Questi obiettivi sono legati alla visione del principe ereditario di ridurre i legami con l'export di greggio.
    I progetti sostenuti dal Pif sono il simbolo delle ambizioni saudite. La città futuristica di Neom, un progetto da 500 miliardi di dollari, è forse il più iconico, con l'obiettivo di creare una metropoli high-tech basata su AI e rinnovabili. Altri progetti come The Red Sea Project e Qiddiya evidenziano il forte impulso verso il turismo e l'intrattenimento.
    A supporto ci sono anche le riforme. L'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto al 15% e incentivi fiscali per le imprese hanno rafforzato la stabilità fiscale, attirando al contempo investimenti diretti esteri (Fdi). Riyadh punta ad attrarre 103,4 miliardi di dollari di Fdi all'anno entro il 2030. F. Gor. —
  2. L'alleato di Putin sanzionato dall'Occidente controlla il Paese con la forza da oltre trent'anni
    Minsk, presidenziali senza opposizione l'ultimo dittatore d'Europa sfiora il 90%
    giovanni pigni
    minsk
    Stabilità, sicurezza, pace. Per molti bielorussi diretti alle urne queste sono le promesse che spingono a sostenere il presidente in carica Alexander Lukashenko. «Grazie al nostro presidente siamo sicuri del nostro domani, che non ci sarà la guerra come in Ucraina», dice Olga, una giovane donna che ha appena votato per l'attuale leader.
    Noto come "l'ultimo dittatore d'Europa", Lukashenko governa la Bielorussia con il pugno di ferro dal 1994 e sarà rieletto per il settimo mandato consecutivo (i primi exit poll ufficiali di ieri sera parlano dell'87,6% di voti in suo favore) al termine di un'elezione senza reale opposizione. L'unica volta in cui il suo potere fu messo in discussione risale alle elezioni del 2020: allora, accuse di frode elettorale portarono a proteste di massa, a cui le autorità risposero con una repressione brutale, migliaia di arresti e procedimenti penali aperti contro i manifestanti.
    All'uscita da un seggio, Timofey, 25 anni, rivela con esitazione che nel 2020 votò per Svyatlana Tikhanovskaya, la leader dell'opposizione ora in esilio. «Oggi è rischioso dire queste cose», afferma abbassando la voce. Uno dei suoi amici, che partecipò alle proteste, è ancora in prigione. Ora Timofey ha segnato l'opzione "contro tutti" sulla scheda elettorale, praticamente l'unico mezzo rimasto per manifestare dissenso.
    L'Unione Europea, gli Stati Uniti e l'opposizione bielorussa in esilio hanno annunciato che non riconosceranno i risultati delle elezioni, definendole una «farsa», citando la totale repressione del dissenso. Con i principali leader dell'opposizione incarcerati o in esilio, i quattro candidati ammessi alle elezioni di quest'anno appaiono come una mera facciata e raramente criticano Lukashenko.
    Quest'ultimo ha snobbato la campagna elettorale, rifiutando ogni dibattito. «Onestamente, non sto seguendo, non ho tempo per questo», ha dichiarato alla stampa alla vigilia del voto. «Lukashenko vincerà queste elezioni», ammette Oleg Gaidukevich, uno dei candidati che non nasconde il suo pressoché completo sostegno al presidente. «Dal 2020, molte cose sono cambiate, abbiamo rafforzato lo Stato», spiega. «Ora le elezioni sono come devono essere: tranquille. Nessuna protesta di strada».
    Isolato e sanzionato dall'Occidente, il regime di Lukashenko dipende totalmente dall'alleanza con Mosca per la sua sopravvivenza. Con l'invasione russa dell'Ucraina, la Bielorussia ha servito da base per il primo assalto di Putin e ha recentemente accolto armi nucleari russe sul proprio territorio. Allo stesso tempo, sullo sfondo della guerra che sta devastando il Paese vicino, Lukashenko si presenta come un garante della stabilità.
    «Non è il momento di cambiare presidente», dice Aleksandr, un giovane ingegnere. «Nel 2020 volevamo cambiare qualcosa. Ma ora è un periodo turbolento, e vogliamo stabilità». Intanto, le repressioni politiche hanno causato un'emigrazione di massa: secondo Eurostat, i bielorussi sono stati la seconda nazionalità più numerosa, dopo gli ucraini, a ottenere permessi di soggiorno nell'Ue nel 2023.
    «Tutti hanno paura di tornare», dice Viktoria, una casalinga fuggita in Polonia con la famiglia. In queste elezioni, le autorità hanno inasprito il controllo sul processo di voto, impedendo ai cittadini all'estero di partecipare. Anche se potessero, Viktoria non voterebbe. «Non porterebbe a nulla», dice sconsolata. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Vyasna, ci sono 1.246 prigionieri politici nel Paese. Nei mesi prima delle elezioni, Lukashenko ha graziato oltre 200 di loro, gesto che gli analisti vedono come un tentativo di migliorare i rapporti con l'Occidente. Allo stesso tempo, le repressioni si sono intensificate in vista delle elezioni, dicono gli attivisti.
    «Le autorità continuano a cercare e arrestare chi partecipò alle proteste del 2020, aprendo procedimenti penali contro di loro» racconta Natallia Satsunkevich, attivista di Vyasna costretta all'esilio.
    «Mi dispiace per queste persone», dice Aleksey, un insegnante di 40 anni che ha votato per Lukashenko. Aveva sempre sostenuto il presidente, tranne nel 2020, quando alcuni conoscenti lo convinsero a votare per Tikhanovskaya. Ora si pente di quella decisione. «È stata una scelta impulsiva e irrazionale, mi sono lasciato trascinare dalla folla», confessa. Suo cugino partecipò alle proteste, fu picchiato dalla polizia e messo in cella per dieci giorni. Allora Aleksey ha realizzato che opporsi a Lukashenko porta solo guai. «Quando votavo per lui, non c'erano queste repressioni», riflette. «Sono iniziate quando ho votato contro di lui». —
  3. Dal disastro dell'operazione Antonveneta fino all'assalto di venerdì scorso alla finanza milanese L'ingresso del Mef nel 2017 ha evitato il fallimento, con le cessioni recuperata parte dei soldi
    Crisi, salvataggio pubblico e rinascita Lo Stato è in rosso di quattro miliardi

    ALESSANDRO BARBERA
    ROMA
    Della banca che fu, a Siena è rimasta la toponomastica. Non c'è strada, angolo o edificio pubblico che non ricordi i fasti di una storia costata agli italiani più di quattro miliardi, euro più euro meno. E' quel che si evince da una rapida contabilità fra ciò che lo Stato ha dovuto sborsare e ciò che ha incassato negli ultimi due anni dalla vendita delle quote del Monte dei Paschi: se oggi può permettersi di lanciarsi alla conquista di Mediobanca, lo si deve anche agli italiani. La storia della crisi e resurrezione di Mps inizia nel 2007, quando il vento sembra in poppa. La banca - allora guidata dall'intraprendente Giuseppe Mussari - acquista dal Santander l'italiana Antonveneta per la cifra iperbolica di 10,3 miliardi: pochi mesi prima gli spagnoli l'avevano pagata 6,6. Solo l'imprudenza poteva spingere a un azzardo a pochi mesi dalla più grave crisi finanziaria della storia. Nel 2008 la Banca d'Italia vede le prime crepe. I nomi hanno poco a che spartire con il toscano: Fresh, lo strumento finanziario che accompagna l'aumento di capitale di Antonveneta. O i titoli Alexandria, che provocano perdite enormi e vengono ceduti alla giapponese Nomura. La fregatura per il contribuente inizia lì: Nomura spalma le perdite su trent'anni e prenota 1,9 miliardi di un prestito pubblico, i "Tremonti bond".
    Nel 2010 la Banca d'Italia avvia un'ispezione, impone a Mps un aumento di capitale e pretende aggiornamenti quotidiani sulla liquidità. A luglio 2011 Fondazione Mps - che fino ad allora aveva avuto il controllo incontrastato della banca - sottoscrive un aumento di capitale da due miliardi. E' la vigilia del secondo tsunami sulla finanza italiana, con la crisi dello spread e il governo Monti. A novembre Fondazione Mps ha un miliardo di debiti con i finanziatori di Antonveneta: per evitare il peggio vende partecipazioni e il 15 per cento delle azioni. A cinque anni da quell'operazione disastrosa la quota dei senesi è scesa dal 56 al 33 per cento.
    Mps chiude i conti 2011 con quattro miliardi di perdite. Ad aprile Giuseppe Mussari lascia e arriva Alessandro Profumo. Nel 2013 è necessario un aumento di capitale da tre miliardi, ma Siena è ormai un pozzo senza fondo: i conti 2014 si chiudono con un rosso di oltre cinque. Nel 2015 è necessario un altro aumento di capitale da tre miliardi. Nel 2016 Mps è la peggior banca fra le cinquantuno sottoposte a test europei e il governo deve stanziare altri 5,4 miliardi. Nel 2017, in ossequio ad una norma comunitaria, lo Stato salva la banca dal dissesto e diventa azionista al 68 per cento. Nel frattempo - siamo nel 2019 - il tribunale di Milano condanna Mussari a 7 anni e 6 mesi di carcere. Nel 2020 Mps è ancora una banca in pessime condizioni e cede 8,1 miliardi di crediti deteriorati. Con l'avanzare del risanamento sembrano imminenti le nozze con Unicredit, ma la trattativa salta. Nel 2022 Mario Draghi - fra le proteste della Lega - sceglie per guidare la banca Luigi Lovaglio. Quell'anno lo Stato sborsa altri 1,6 miliardi, ma è l'ultima volta. Fra il 2023 e il 2024 il governo Meloni vende a pezzi quote della banca, e scende dal 68 per cento all'11, restituendo ai contribuenti 2,7 miliardi. L'anno scorso Mps ha distribuito un dividendo per la prima volta dopo 13 anni: allo Stato sono andati quasi 90 milioni. —
  4. La memoria dei bambini
    Francesco munafò
    Èil 7 ottobre 1938. Un'alunna della scuola elementare Rignon apre in lacrime il suo quaderno: «Caro diario - scrive - dimmi se ti ho mai annunziato una notizia brutta come questa: debbo lasciare la mia amata scuoletta». La bambina è Elena Ottolenghi: ha 9 anni e i capelli rossi e come tutti i coetanei di origine ebraica non è più gradita tra i banchi della scuola pubblica. Lo dispongono le leggi razziali, che Benito Mussolini ha annunciato un mese prima.
    Elena è disorientata: lei, così diligente, amata dalle insegnanti, deve ricominciare tutto altrove. Riprende la quarta elementare alla scuola ebraica "Colonna e Finzi" e le nuove maestre le piacciono, così come i compagni. Ma continua a non capire. Una notte di aprile, mesi dopo l'allontanamento, fa un sogno che la sveglia di soprassalto: c'è la sua vecchia insegnante che le dà un bacio sulla fronte dopo averle consegnato due libri. «Io a quel bacio mi commossi - annota - pensando che io non potrò più stare con quella maestra che mi insegnò a leggere, a scrivere, e piansi, piansi, piansi, e poi mi svegliai sempre molto triste e con gli occhi bagnati».
    Quando la fondatrice dell'associazione Atelier Heritage, Mariachiara Guerra, ha letto queste pagine, ha pensato di farne un laboratorio per gli alunni della scuola elementare Aristide Gabelli, in via Santhià, a Barriera di Milano. Mentre recitava quei passi ad alta voce, l'anno scorso, in classe qualcuno bisbigliava: «Non è giusto». In tanti avevano compreso la sofferenza di Elena e questo ha spinto Guerra a ripetere l'esperimento didattico quest'anno: oggi, per il Giorno della Memoria, saranno gli alunni della 5^A ad ascoltare i passi di quei diari.
    «Con loro faccio spesso questo esempio - spiega Guerra - "Immaginate che tutti i bimbi con gli occhi blu o con i capelli neri non possano più entrare a scuola"». È il suo modo per raccontare come il fascismo si accanì contro tutte le diversità: politiche, etniche, culturali. Ma è anche un monito a lavorare perché non accada più. Un'idea che ha più valore in un quartiere multietnico come Barriera e in una scuola come la Gabelli, frequentata da allievi di trenta nazionalità: «Per noi non esistono italiani e stranieri - spiega il dirigente scolastico, Luca Bollero - ma solo bambini che oggi sono in Italia e condividono gli stessi valori. Così come era solo una bambina Elena: per questo gli alunni si identificano in lei».
    Dopo averne ascoltato la lettura, la classe sarà chiamata a illustrare il diario con l'aiuto dell'artista Alessandro Rivoir: fu suo zio Silvio, impiegato all'anagrafe, ad aiutare la famiglia Ottolenghi a scampare alla deportazione procurando loro dei documenti falsi.
    Una storia custodita dall'Istituto piemontese per la storia della resistenza, cui Elena Ottolenghi, morta l'anno scorso all'et, aveva consegnato i suoi diari scolastici. Documenti preziosi perché, oltre a raccontare il dramma dei più piccoli, «rappresentano l'angoscia di chi visse da adulto gli stessi momenti» spiega Riccardo Marchis, coordinatore delle attività didattiche di Istoreto. Di chi cioè «fu di colpo relegato - aggiunge - in un mondo di discriminazioni e disuguaglianza: non deve più accadere».
  5. A beneficiarne il compositore Diego Josè Ferrero, il campione di pallamano Josè Guilherme De Toledo e il calciatore dell'Arsenal Gabriel Martinelli
    False cittadinanze italiane a 68 brasiliani L'ex sindaca di Lauriano andrà a processo
    andrea bucci
    False cittadinanze italiane rilasciate a brasiliani attraverso l'ufficio anagrafe di Lauriano, comune sulla collina chivassese.
    Inizierà il 3 aprile a Ivrea il processo che vede imputate l'ex sindaca Matilde Casa, la responsabile dell'ufficio anagrafe del comune Barbara Anselmino, l'addetto all'ufficio anagrafe Giuseppe Marcucci, l'ex titolare del B&B di Lauriano dove i brasiliani alloggiavano, Niva Detti (il compagno Mauro Franchini è stato invece prosciolto) e gli agenti della società d'intermediazione "Rotunno-Immigration Solutions & Business" di San Paolo in Brasile, Gabriela Rotunno Val De Sousa, Silvia Rotunno Simoes e Ileana Pastrone. A processo andrà anche il responsabile dell'anagrafe del Comune di Asciano (Siena), Marco Petrioli in quanto alcune cittadinanze sarebbero state rilasciate in Toscana. Sono stati tutti rinviati a giudizio.
    A beneficiare delle cittadinanze italiane figuravano anche il compositore brasiliano, Diego Josè Ferrero, il campione della nazionale verdeoro di pallamano, Josè Guilherme De Toledo e la stella della nazionale di calcio brasiliana e dell'Arsenal, Gabriel Martinelli. Risulterebbero, fino al 2023, tutti residenti a Lauriano, iscritti all'Aire (anagrafe per i residenti all'estero). Proprio il calciatore, insieme al padre (anche lui residente a Lauriano) aveva postato sul suo profilo instagram la foto in piazza Risorgimento a Lauriano. Era l'agosto 2019.
    Per la procura di Ivrea tra Lauriano, la Toscana e il Brasile c'è un'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale. Per ottenere la cittadinanza a Lauriano – secondo la ricostruzione della pm Valentina Bossi – cittadini brasiliani (in tutto 68) versavano cifre comprese tra i mille e 500 e 10 mila euro. Denaro che sarebbe stato versato alla Rotunno Immigration Solution&Business, i cui agenti si interessavano per far ottenere la residenza e la successiva cittadinanza italiana attraverso il principio dello "Ius sanguinis", ovvero attraverso discendenti italiani.
    E per pochi giorni i brasiliani alloggiavano a Lauriano, nel B&B immerso nel verde.
    Su Lauriano si abbatte dunque un'inchiesta giudiziaria avviata sei anni fa dalle indagini dei carabinieri. In mezzo ci sono state le elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale. Ora Matilde Casa non è più sindaca. A parlare per lei è il suo legale, l'avvocato Mauro Carena: «Rispetto alla decisione del giudice che non condivido perché in un capo d'imputazione generico emerge chiaramente come Casa non abbia commesso alcuna irregolarità avendo semplicemente attestato residenze su pratiche istruite da anagrafe e dalla Prefettura». E dice ancora: «Le viene contestata di aver ottenuto in regalo una stampante, che non è mai stata consegnata». Esce dal processo, invece, l'intermediario della società brasiliana, Stefano Bardelli: ha patteggiato 2 anni e 6 mesi. «Abbiamo voluto evitare l'ansia e i costi di un processo» ha commentato l'avvocato Tommaso Servetto. —

 

 

 

26.01.25
  1. L'intervista
    Nicola Gratteri
    "Le carriere separate servono a indebolire i pm Ecco perché ho disertato"
    inviata a napoli
    Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, ieri ha disertato l'inaugurazione dell'anno giudiziario. «Troppe accuse contro la magistratura», troppe scelte non condivise. «Non me la sono sentita di rispettare il protocollo». È rimasto alla sua scrivania, a lavorare, come ogni giorno. Un'assenza, la sua, carica di significato. «Non ritengo utile la mia presenza, dato che nel corso di tutto questo tempo, mesi e anni, nessuno ha chiesto e ha voluto un confronto per discutere sul piano pratico, tecnico e giuridico della riforma», aveva anticipato al mattino ospite di Agorà su RaiTre. «Quindi andare lì a sentire lo stesso discorso fatto ieri, fatto in televisione ieri sera o fatto l'altro ancora, non ne vale la pena».
    Alla guida dell'Ufficio requirente più grande d'Italia, non ha mai risparmiato critiche alla riforma della giustizia. Dalla separazione delle carriere, che «serve solo a indebolire il pubblico ministero», alla questione intercettazioni. Dal Governo, poi, sono state lanciate «accuse gravissime» contro la magistratura. Impossibile restare indifferenti. Sacrosanta, quindi, la protesta dell'Associazione nazionale magistrati. Anzi. Secondo il procuratore, l'Anm «sinora è stata sin troppo timida rispetto anche ad altre riforme».
    Procuratore, ieri ha dato forfait alla cerimonia. E in Sala dei Busti nessuno l'ha vista.
    «No, non sono andato».
    Dov'era in quel momento?
    «In procura, in ufficio nella mia stanza. Ho preferito non presenziare all'inaugurazione».
    Come mai?
    «È stata la prima volta da quando ricopro un ruolo istituzionale che non partecipo ad una inaugurazione dell'anno giudiziario, ma ritengo troppo gravi le accuse che sono state fatte contro la magistratura. Non me la sono sentita di rispettare il protocollo».
    Il ministro Nordio, nel suo intervento, ha difeso la riforma. Cito: «Come si può pensare che un ex magistrato, che per 40 anni ha svolto quel ruolo, abbia come obiettivo l'umiliazione della magistratura?». Come risponde?
    «Guardi, io credo che dobbiamo tutti ringraziare il ministro Nordio perché è riuscito a fare quello che nessuno era riuscito a fare».
    Ovvero?
    «Rendere unita e compatta la magistratura. Non ci speravo più, era dalla epoca delle stragi che non accadeva. Grazie a lui ora tutti i magistrati, iscritti a correnti e non, penalisti, civilisti sono uniti e compatti come mai prima».
    Meno dell'1% passa da pm a giudice. A chi serve la separazione delle carriere?
    «Ripeto quello che ho detto più volte: serve per indebolire il pubblico ministero».
    Quale il passaggio successivo?
    «La sua sottoposizione al controllo dell'esecutivo. Ma voglio ribadire quello che ho detto due giorni fa a un suo collega».
    Mi dica.
    «Spesso si grida allo scandalo e si invoca la separazione delle carriere dopo un'assoluzione eccellente».
    Come mai, a suo parere?
    «Ma scusate: se il giudice ha assolto che senso ha la separazione delle carriere? Lo avrebbe solo se condannasse e si scoprisse che si è messo d'accordo con il pm, in quanto colleghi. Al contrario, l'assoluzione, eccellente o meno, è sintomatica dell'autonomia del giudice rispetto al pubblico ministero».
    Dal Governo continuano a ripetere che anche il giudice Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere. Una strumentalizzazione?
    «È falso. Giovanni Falcone come anche Paolo Borsellino hanno cambiato funzione. Sono stati giudici e pm».
    Sempre il ministro Nordio ieri ha dichiarato: «Non potrei mai volere una magistratura non indipendente». Poi, però, accusa i pm di essere «superpoliziotti».
    «Quelle fatte sono accuse gravissime. Il ministro avrebbe dovuto nel caso fare riferimento a casi specifici, precisando se abbia esercitato i suoi poteri in punto di azione disciplinare, ovvero se abbia disposto ispezioni mirate o inchieste amministrative. Io non so quali pm conosce, a chi si riferisce. Quelli descritti dal ministro non sono i pm che conosco io». —
  2. La novità con una circolare dell'Ad Rossi
    Rai, polemica sui supervisori dei programmi "Vogliono controllare le inchieste di Report"
    L'hanno già ribattezzata «norma anti Ranucci», una misura pensata per colpire il conduttore di "Report". La circolare firmata dall'amministratore delegato della Rai, Giampaolo Rossi, stabilisce che tutti i programmi debbano avere un capostruttura che ne presidi il percorso e che questa funzione non possa essere delegata al conduttore del programma stesso. Come avviene, al momento, proprio a "Report", perché Ranucci è anche vicedirettore e non ha un supervisore. «Scelta normale», assicurano dai piani alti di viale Mazzini, spiegando che il provvedimento è conseguenza di un audit interno di due mesi, che avrebbe evidenziato la sovrapposizione di ruoli in alcune direzioni.
    Per il sindacato Usigrai, invece, si tratta di «un attacco alla professione giornalistica: un modo ulteriore per mettere sotto stretto controllo l'informazione del servizio pubblico». E anche le opposizioni vanno all'attacco: «Il governo Meloni ora pretende di controllare quelli che funzionano, non è accettabile», avverte Sandro Ruotolo, responsabile Informazione del Pd. Mentre per Dolores Bevilacqua, 5 stelle in commissione di Vigilanza Rai, si tratta di «un tentativo di addomesticare le trasmissioni che rispondono solo al diritto/dovere di informare i cittadini». Stessa lettura da parte di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Avs, convinti che l'obiettivo sia «commissariare i programmi Rai e, in particolare, "Report" – sottolineano –. È un atto contro la libertà d'informazione e l'autonomia dei giornalisti». —
  3. L'ex capostazione che sfidò Trenitalia "Ora riparto dalle linee fantasma"
    Giuseppe Arena
    Ha detto
    Il matrimonio
    Il progetto
    "
    La battaglia
    PAOLA SCOLA
    CUNEO
    Quando il treno ha attraversato, ieri, dopo 13 anni, le stazioni da Cuneo a Savigliano (nella pianura della provincia Granda), era a bordo. Perché quello è il "suo" treno, con la livrea Arenaways, marchio oggi della Longitude Holding. Lui è Giuseppe Arena, il capostazione che per primo, a fine Anni '90, ha sfidato il colosso Trenitalia. Fu una scommessa allora e lo è adesso, con la presa in concessione di due tratte, chiuse dal 2012: corse ogni ora, a misura di pendolari, su Cuneo-Saluzzo-Savigliano e in seguito Ceva-Ormea.
    Arena inizia con un altro lavoro, poi in ferrovia. Infine realizza il sogno: creare una compagnia privata che, dal trasporto merci, passa ai convogli passeggeri. Cioè contrasta il monopolio di Fs. Fra mille difficoltà, nel 2010 avvia il servizio, ma l'"anello" da Milano a Novara, Vercelli, Torino, Alessandria, Asti e Milano gli viene limitato, senza fermate intermedie. Impossibile sopravvivere: Arenaways finisce in procedura fallimentare. Anni dopo il Garante della concorrenza multerà Fs, per abuso di posizione dominante.
    Il sogno di Giuseppe Arena non muore. E quando la Regione Piemonte, un anno fa, sonda il mercato per riaprire quei "rami secchi", Longitude Holding (la nuova società di cui lui è presidente onorario, con il figlio Matteo direttore generale, gli spagnoli di Renfe e altre aziende) si fa avanti. Con il marchio Arenaways.
    Arena, come inizia la sua vita in ferrovia?
    «Sono stato progettista di macchine tessili, poi all'Ufficio Brevetti di Torino, negli Anni ‘70. Ho lavorato al carrello del Pendolino dell'allora Fiat Ferroviaria di Savigliano e mi sono appassionato ai treni. In Fs si accedeva solo per concorsi, ho vinto quello da capostazione. Una soddisfazione. Mi hanno assegnato Racconigi e affidato i corsi di formazione. Intanto inventavo cosette per migliorare e rendere il lavoro più efficiente».
    Quali "cosette"?
    «Mi affidarono il compito di istruttore di movimento, per preparare i capistazione. Ho introdotto novità, come insegnare con la lavagna luminosa o i fumetti, che disegnavo io, per rendere meno noioso il regolamento ferroviario. Usavo anche filmati, sceneggiati da colleghi».
    Si è sposato su un treno?
    «Ho usato il treno per dimostrare che anche le linee minori andavano mantenute, inventando iniziative particolari, e non chiuse: la Ceva-Ormea rischiava il taglio, che poi venne comunque. La sposa l'ho accolta sul predellino a Torino Porta Susa. Ci sposò il sindaco di Ormea, in Comune, poi il pranzo si fece in treno, attrezzato a ristorante per 75 ospiti. Compimmo il tour delle Langhe e alla stazione di Alba tagliammo la torta sul primo binario».
    Ma dalle Fs si è licenziato.
    «Stava cambiando tutto, rispetto al clima in cui ero cresciuto. Mi sono detto: "Ora la ferrovia la faccio io". Ho creato Rail Service, un piccolo tour operator. Nel '91 era stata emessa la direttiva comunitaria, la mamma di tutte le direttive per la liberalizzazione del mercato ferroviario: l'ho letta e sono partito per fare qualcosa di nuovo. Mi dissero che ero pazzo ad andare via».
    E quindi?
    «Ho fondato la "Strade ferrate del Mediterraneo" con sede ad Alessandria, ottenendo la prima certificazione di sicurezza. Un momento epocale ed emozionante. Mi ero presentato nel '97 al direttore generale del Ministero, per chiedere la licenza da impresa ferroviaria. Ho impiegato tre anni per averla. Avevo studiato tutto, ma occorreva avere un treno».
    Come ci è riuscito?
    «Nelle mie scorribande per l'Europa, ho conosciuto un docente del Politecnico di Zurigo e un imprenditore tedesco. Come nelle barzellette, ci mettemmo in tre: lo svizzero lasciò il Poli per fare il venditore di treni usati, il tedesco ci affiancò. All'officina Fervet di Castelfranco Veneto facemmo sistemare un treno da crociera. E organizzai un tour della Mitteleuropa di 10 giorni».
    Poi è nata Arenaways.
    «Era il mio pallino toccare il mercato dei passeggeri. Sono nato prima di Italo, hanno fatto di tutto per sbattermi fuori dai binari. Non ero appoggiato politicamente, ma un battitore libero e mi è costato caro. Il mercato non era maturo. I miei azionisti si sono spaventati, davanti al rischio che i nostri treni non potessero circolare. Avevo creato un modello nuovo per il Piemonte: mi dissero, anche dalle Regioni Piemonte e Lombardia, che non lo avrei potuto fare, perché rompevo gli equilibri economici. Anche se avevo creato posti di lavoro. Ho dovuto arrendermi».
    Non si è ritirato, ha solo atteso.
    «Per principio voglio sempre concludere quello che ho iniziato, anche se ho preso batoste. Non ho gettato la spugna e ho ricominciato da capo. Ho collaborato con altre imprese, poi con mio figlio Matteo».
    Una passione di famiglia?
    «L'ho cresciuto senza che fosse costretto a seguire la mia strada, poi si è appassionato allo stesso mondo. È lui il direttore generale di Longitude Holding».
    La sua scommessa?
    «Una cosa nuova. Non Alta Velocità, ma una piccola tratta, con altri progetti entro un paio d'anni. Quella riaperta non è una linea commerciale. Con Regione e Agenzia della Mobilità ci siamo seduti ad affrontare il problema delle linee sospese: quando il pubblico si mette a un tavolo per trovare soluzioni in tempi brevi, in un periodo con pochi soldi, e ci sono tecnici appassionati, ce la si può fare. Nessuno ci credeva, in un anno abbiamo fatto qualcosa da guinness, considerando che il mercato non è facile e non lo è trovare un treno. Non è come entrare in un concessionario per un'auto».
    Il suo pensiero a bordo della prima corsa?
    «Spero che non salgano solo macchinista e capotreno, altrimenti abbiamo perso tutti. Ho fatto promozione, anche nelle scuole. Non sono qui per prendere un contributo che copra i costi: la mia sfida è portare la gente a bordo. Anche perché le strade della provincia di Cuneo sono pessime».

 

 

25.01.25
  1. Cadono gli ex collaboratori, l'immunologo È stato minacciato per le sue decisioni sul covid
    Donald toglie la scorta a Fauci: "Se la paghi da solo"
    corrispondente da washington
    Cadono una dopo l'altra "le teste" degli ex collaboratori di Donald Trump diventati poi critici. Dopo aver tolto le misure di protezione a John Bolton, che fu suo consigliere per la Sicurezza nazionale nel primo mandato, ieri il presidente ha annunciato che anche l'immunologo Anthony Fauci, oltre 40 anni spesi nelle agenzie governative e volto della lotta contro il Covid-19, non avrà più la sicurezza garantita dal governo federale. Lo stop alla protezione è arrivato in realtà giovedì, tanto che Fauci si è prontamente cautelato ingaggiando la sicurezza privata. Rispondendo a una domanda se si sentirebbe responsabile se accadesse qualcosa a Fauci o a Bolton, il presidente ha replicato con un secco no. Spiegando che non si può avere a vita la protezione del governo. Bolton e Fauci «hanno fatto un sacco di soldi, possono assumere una sicurezza privata», ha detto Trump.
    Nel mirino sono finiti anche Mike Pompeo, che fu segretario di Stato del tycoon, e il suo principale collaboratore Brian Hook. Misure di protezione tolte nonostante su di loro pendano minacce dall'Iran da quando hanno assunto posizioni molto dure nei confronti della Repubblica Islamica. L'ex presidente Biden ogni anno della sua presidenza ha rinnovato le credenziali di sicurezza.
    Lo scorso anno in un'audizione al Congresso Fauci aveva raccontato delle minacce di morte costanti cui sono bersaglio lui e la sua famiglia. «Arriva di tutto, da molestie vie email, a sms, lettere».
    In luglio aveva raccontato che «ogni volta che qualcuno si alza – e succede anche nei media con la Fox News – e fa una dichiarazione pubblica che io sono responsabile della morte di chissà quante persone per le politiche fatte o per la folle idea che io ho creato il virus, immediatamente, come un orologio, le minacce di morte aumentano».
    L'immunologo è diventato uno dei nemici giurati del popolo Maga che lo accusa di non aver voluto indagare a sufficienza sull'origine del Covid e di essere sostenitore di una campagna vaccinale (e dell'uso dalla distanza fisica e delle mascherine ovunque) intesa. Il Congresso a guida repubblicana ha più volte promesso che avrebbe aperto un'indagine su di lui. Durante la deposizione della estate scorsa, la deputata Marjorie Taylor Greene si era rifiutata di rivolgersi a lui come dottore, «Non sei un dottore, nei miei pochi minuti di intervento sei il signor Fauci».
    Lunedì scorso, poche ore prima di lasciare la Casa Bianca, Biden ha esteso un perdono preventivo a Fauci e ai membri della Commissione 6 gennaio per evitare inchieste e rappresaglie del congresso a guida repubblicana. a . sim. —

 

 

24.01.25
  1. Le accuse al comandante libico "Ha torturato, stuprato e ucciso"
    roma
    Spietato. Sadico. Osama Almasry Njeem, «Mr Njeem», il comandante libico arrestato a Torino su mandato internazionale e lasciato libero per un cavillo giudiziario, è un uomo crudele. Lo racconta il mandato di cattura della Corte dell'Aja. Che lo accusa di crimini di guerra e contro l'umanità. Di stupri, omicidi, torture, botte. È vero, si legge negli atti, Almasri «non ha un titolo ufficiale». Ma nella prigione di Mitiga, ad ovest della Libia, «tutto avviene sotto il suo controllo e con il suo consenso». Lì occupa «la posizione più alta». È il direttore di quel lager. Dispone della vita e della morte.
    Dodici sezioni, celle che si susseguono. Quelle di isolamento, quelle in cui i detenuti vengono ammassati. Oltre 5140 dal febbraio 2015 a marzo 2024. Ci sono, dicono, alcuni terroristi di Al Qaeda e altri jihadisti. E poi ci sono tanti altri. Arrestati dalla Rada, gruppo paramilitare a supporto del Governo di unità nazionale, di cui Almasri è tra i personaggi al vertice. Ci sono tanti altri imprigionati per motivi politici, religiosi. Per atteggiamenti considerati immorali, perché omosessuali o transgender. Perché non rispettano la legge islamica.
    «Gli interrogatori sono brutali», scrive la Corte penale internazionale. A Mitiga «non vengono rispettati i più basilari diritti umani». Torture fisiche e mentali per «sottomettere, togliere la dignità». I bambini vengono divisi dalle madri, alle donne «vengono negati anche gli assorbenti». I prigionieri sono «stuprati, seviziati». Si tortura con gli elettrodi, con finte esecuzioni. In «un'atmosfera di terrore e oppressione». Si lasciano uomini appesi a testa in giù per ore. Ad altri viene tolto il respiro: la testa viene spinta nell'acqua, come a volerli annegare. Poi vengono ripresi. E poi di nuovo giù, quasi a soffocarli.
    A Mitiga non ci sono regole. O meglio. È il generale Almasri a dettarle. «Mr Njeem era presente - si legge nel mandato d'arresto della Corte dell'Aja - quando le guardie picchiavano e uccidevano i detenuti». E ha promesso di «punire quelli che i reclusi li hanno aiutati». Magari con del cibo, magari consentendo una telefonata a casa, magari non infierendo su corpi esanimi. «Lui stesso ha picchiato, torturato, ammazzato, stuprato. Ha abusato, anche di minori». Per la Corte dell'Aja, il generale «sapeva cosa stava facendo». Sapeva di violare non solo l'umana pietà, ma anche le leggi internazionali. Eppure «oltraggiava con crudeltà». La sua «violenza - si legge - è inflitta di proposito». Non solo. Tra le accuse c'è anche «la persecuzione, la riduzione in schiavitù». E «l'emettere sentenze» di condanna senza un giusto processo.
    Trentaquattro le persone ammazzate nella prigione di Mitiga, di cui la Corte racconta nel dettaglio. «Dodici morte per le torture subite, sedici lasciate senza cure mediche anche se malate. In due poi, sono stati chiusi in una cella al gelo, senza coperte né vestiti». Il generale Almasri sa. Gli viene comunicata ogni cosa. E di numerose brutalità è proprio lui il protagonista.
    «L'arresto è necessario» per la Corte penale internazionale. Almasri deve finire in manette: solo così «finirà davanti a un giudice», solo così «non potrà danneggiare le indagini». Solo così «non potrà continuare a commettere crimini».
    Il 2 ottobre 2024, il procuratore generale della Cpi chiede un mandato d'arresto per Osama Almasri Njeem. «Per i crimini commessi in Libia dal febbraio 2015 all'ottobre 2024». Il 18 gennaio 2025, la decisione di procedere viene presa a maggioranza. E Almasri viene intercettato dalla Digos di Torino mentre, con alcuni amici, sta tornando in hotel dopo essere stato allo stadio a vedere la sua squadra del cuore. In un borsello nero di marca ha tre passaporti intestati a suo nome, un portafoglio, carte di credito tra le più svariate, qualche moneta, un accendino, una penna. Al polso un Rolex fasullo. Almasri, destinatario «di un mandato d'arresto internazionale a fini estradizionali» a quanto risulta nella banca dati dell'Interpol, finisce in manette. I suoi amici, Ayoub Yousef Sghiar, Murad Shiboub Bramithah e Osama Mohamed Uta, vengono indagati per favoreggiamento. E raggiunti da un ordine di espulsione: devono lasciare l'Italia entro domani.
    Il generale viene scarcerato tre giorni dopo, il 21 gennaio. Per un «errore di procedura», sostiene la Corte d'appello di Roma. Il ministro della Giustizia non sarebbe stato avvertito in tempo. La Corte dell'Aja, in una nota, assicura: «L'Italia sapeva».
    Esplode la bagarre politica, il rimpallo di responsabilità. Il generale Almasri, nel frattempo, viene rimpatriato. Lo scorso martedì, in tarda serata, torna in Libia, a Tripoli. E c'è una foto, diffusa sui social, che lo immortala mentre scende sorridente, accolto da braccia amiche e fuochi d'artificio, sotto le scalette dell'aereo che lo ha riportato a casa: un aereo che sul lato, ben in vista, la bandiera italiana.
    Per la Corte dell'Aja, Almasri è un torturatore, da punire con la pena massima dell'ergastolo. Per chi era ad aspettarlo a Tripoli, il generale è una sorta di eroe nazionale. Per chi lavora nella prigione di Mitiga, Almasri è la legge. Per chi è detenuto, il generale è sinonimo di vita. O di morte
  2. Il parlamentino dei magistrati compatto: il ministro ha superato il limite
    Il Csm contro le accuse di Nordio ai pm "Chiediamo la tutela per tutte le toghe"
    Dura critica del Csm al ministro della giustizia Carlo Nordio. Tutti i componenti togati - unitamente al consigliere laico Roberto Romboli, un costituzionalista vicino al Pd- hanno depositato, al Comitato di presidenza, la richiesta di apertura di una pratica a tutela dell'ordine giudiziario dopo le parole pronunciate l'altro ieri dal Guardasigilli in Parlamento. «Nel descrivere l'attività del pm - si legge in una nota - ha riferito di "clonazioni" di fascicoli, di indagini "occulte ed eterne", di "disastri finanziari" descrivendo tali condotte come prassi diffuse e condivise dalle procure della Repubblica». Nordio, prosegue la richiesta dei togati e del laico Romboli, «ha poi spiegato come i pubblici ministeri siano già "superpoliziotti" che godono, però, delle garanzie dei giudici proponendo così un'erronea ricostruzione dell'attività del pm e del suo ruolo nell'attuale assetto ordinamentale».
    Il consigliere togato della corrente progressista Area Marcello Basilico ribadisce: «Con la nostra sollecitazione vogliamo segnalare il limite oltre il quale la mera dialettica politica non può andare. Le parole del ministro ledono fortemente la credibilità dei magistrati».
    I sostenitori della richiesta ritengono che «le parole di Nordio, pronunciate perraltro in una sede istituzionale, integrino un comportamento lesivo del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento alla credibilità della funzione giudiziaria e richiedono, pertanto, l'apertura di una pratica a tutela dell'ordine giudiziario». Ma non sono tutti d'accordo. Si dissocia infatti il consigliere laico Enrico Aimi (in quota Fi), che definisce «surreale» la richiesta di apertura pratica a tutela del prestigio dell'ordine giudiziario. «A poche ore dalle cerimonie per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2025, queste suggestioni allarmistiche - osserva Aimi - non fanno altro che esacerbare i già tesi rapporti tra magistratura e esecutivo. Ricordo ai colleghi che il Consiglio superiore della magistratura non è la terza Camera».
    E il deputato Fi Enrico Costa stigmatizza: «Il Csm anziché aprire inutili pratiche a tutela contro le sacrosante parole del ministro farebbe bene ad approfondire le modalità della protesta voluta dall'Anm all'inaugurazione dell'anno giudiziario». Avs chiede invece le dimissioni del ministro Nordio, perché «fomenta una guerra interna al sistema giudiziario». GRA.LON. —
  3. Gli epidemiologi: da ottobre oltre 500 mila casi in Piemonte. Vaccinazioni in aumento: già 800 mila somministrazioni
    Virus respiratori, boom tra i bambini In una settimana contagi raddoppiati
    alessandro mondo
    Virus respiratori, ora sotto scacco ci sono i bambini. Casi contenuti del vero e proprio virus influenzale, molti di più quelli che rimandano agli altri componenti della popolosa famiglia degli agenti infettivi. In ordine di frequenza: Rhinovirus, Coronavirus diversi da SARS CoV-2, Virus Respiratorio Sinciziale, Adenovirus, Metapneumovirus, Virus Parainfluenzali, Covid.
    E' una delle novità di questa stagione epidemica, insieme al ritardo nel raggiungimento del picco, cioè dell'apice della diffusione tra la popolazione prima della lenta decrescita della curva. Conferma il Seremi, Servizio di Epidemiologia Regionale, confermano i pediatri, come sempre sul campo. «In effetti, riscontriamo un aumento significativo di forme respiratorie dovute, più che alla classica influenza, ad altri virus, nel mio studio vedo una media di almeno sette-otto pazienti al giorno nella fascia zero-sei anni, quindi in ambito prescolare», conferma il dottor Renato Turra, presidente Fimp Torino e provincia». Una recrudescenza che ha coinciso con la fine delle festività e la riapertura delle scuole. «La prima regola è la prevenzione in termini di azioni igieniche, cominciando dal frequente lavaggio delle mani - spiega Turra -. Dopodichè: queste forme virali si trattano al limite con antinfiammatori. Al limite perchè non bisogna dimenticare che la febbre è un meccanismo di difesa dell'organismo, quindi vanno somministrati solo se ci sono sintomi importanti. No agli antibiotici, almeno nelle prime 72 ore. Poi riposo, idratazione, vitamina C naturale con spremute di agrumi».
    Insomma: nessun allarmismo ma nemmeno sottovalutazione. Per rendere l'idea, spiegano dal Seremi, l'incidenza nei bimbi è raddoppiata: nella seconda settimana dell'anno si attestava a 14.5 casi ogni mille assistiti nella fascia 0-4 anni, nell'ultima è salita a 33,8.
    Il tasso di incidenza resta invece di media intensità nella popolazione con più di 14 anni, primi segnali di cedimento tra gli adulti. Si stima che da metà ottobre i piemontesi con sindrome simil-influenzale siano stati circa 534 mila, di cui 60 mila soltanto nella terza settimana dell'anno.
    Quanto alla campagna antinfluenzale, dalla Regione calcolano la somministrazione di 804 mila vaccinati in Piemonte, numero che tiene conto di tutte le fasce d'età, in aumento rispetto alle 760 mila della passata stagione. Secondo gli infettivologi l'influenza e i virus simil-influenzali dovrebbero cominciare ad allentare la presa»: una buona notizia anche per i pronto soccorso degli ospedali.
  4. Colpo di scena all'udienza preliminare contro l'ex del Ros "Arciere" La sentenza della Consulta sull'inchiesta Renzi fa escludere le prove
    Inchiesta sugli spioni Inutilizzabili mail e chat dell'ex uomo di Ultimo
    giuseppe legato
    Colpo di scena ieri pomeriggio a Torino all'udienza preliminare per i presunti dossieraggi illegali in cui compare anche la Kerakoll di Sassuolo (il gigante della malta con sede a Modena). La gup Manuela Accurso Tagano ha dichiarato l'inutilizzabilità di una mole di email e chat acquisite dalla procura nel corso delle indagini su una presunta rete di "spioni" una parte dei quali indagati anche nella maxi inchiesta della procura di Milano su "Equalize". Il gup ha assunto questa decisione basandosi su una pronuncia (la 170 del 2023) della Corte Costituzionale sul concetto di "corrispondenza" (la cosiddetta 'sentenza Renzi' in un procedimento in cui l'ex premier era indagato a Firenze) e ha ribadito che, in questi casi, per procedere a un sequestro occorre un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria.
    Secondo uno degli avvocati difensori, Fabrizio Siggia, legale (insieme al collega Francesco Romito) di uno dei principali imputati Riccardo Ravera, ex membro della squadra del capitano Ultimo che arrestò a Palermo il sanguinario capo dei Corleonesi di Cosa Nostra Salvatore Riina, il provvedimento «investe - ha detto all'Ansa - una parte preponderante del materiale, tanto che per quel che ci riguarda ora non c'è più niente». Il prosieguo dell'udienza – prossimo appuntamento il 30 gennaio), dirà se ha ragione o meno. Certo è che le mail al tempo – prima della pronuncia della Consulta – sequestrate dalla procura sui computer di Ravera e altre tre coimputati escono dal compendio probatorio. Inutilizzabili. Così come le chat sui telefoni dei quattro e i documenti recuperati sui device. «Difetto di legittimo provvedimento di sequestro». Restano le chat di altri coindagati.
    Durante le indagini la Cassazione era già intervenuta annullando una serie di sequestri che però, in seguito, la procura aveva ripetuto. Il legale di Ravera ha sollevato un'altra questione, relativa alle modalità con cui la procura prelevò non meno di 14 mila messaggi di posta elettronica riconducibili all'account di Ravera. A suo giudizio era necessario inoltrare una richiesta a Google tramite rogatoria. La giudice non si è pronunciata. In ogni caso la procura afferma che si è trattato di normali operazioni di copia forense che sono state debitamente messe a verbale. Il fascicolo resta a Torino. Respinta l'eccezione di competenza territoriale sollevata da diversi difensori secondo i quali il procedimento avrebbe dovuto essere trasferito a Modena. Ravera è indagato insieme ad altri 21 e avrebbe promosso – secondo il pm Gianfranco Colace - un'associazione a delinquere finalizzata a una serie di reati. Tra questi figura il presunto incarico a una società investigativa molto nota di Milano "affinchè bucasse" i dispositivi elettronici in possesso di alcuni investigatori torinesi, gli stessi che stavano indagando su Arciere.
    Agli atti si legge che «Ravera avrebbe affidato ad alcuni ingegneri l'incarico di accessi abusivi ai sistemi informatici del tenete colonnello Luigi Isacchini capo della aliquota carabinieri della procura e del suo sottoposto, il brigadiere Salvatore Sechi». —
  5. Dopo Platti e Caffè Norman, il gruppo continua lo shopping di bar in città Ufficiale il passaggio di proprietà della caffetteria in via Duchessa Jolanda
    Gerla 1927 si allarga e acquista Dezzutto "Ma il marchio resta"
    diego molino
    La nuova vita dello storico bar caffetteria Dezzutto, che da quasi settant'anni affaccia le sue vetrine nel quartiere di Cit Turin, riparte dal gruppo Gerla 1927. L'azienda torinese, guidata dal patron Roberto Munnia, ha ufficializzato l'acquisto dei locali che si trovano in via Duchessa Jolanda 23. Le serrande si erano abbassate da poco più di un mese, dopo l'addio della precedente gestione, ma in questi giorni partono i lavori di restyling per rinfrescare gli ambienti. L'inaugurazione è in programma per marzo. Si tratta di un ulteriore tassello dell'universo Gerla, che negli ultimi anni ha acquisito altri storici locali come Platti e il Caffè Norman, senza dimenticare la Pista, iconico locale sul tetto del Lingotto.
    «L'acquisto di Dezzutto nasce su proposta della vecchia gestione. Sono andato a vedere il locale e ho visto importanti possibilità di sviluppo – racconta Roberto Munnia, presidente di Gerla 1927 – È un'attività che rientra nel format classico del nostro gruppo, un contesto in cui si parte fin dal mattino con la preparazione della colazione per proseguire con il pranzo veloce, le merende e l'aperitivo che termina alle 21». Una nuova vita, nel rispetto però della tradizione di Dezzutto. Anche con la prossima riapertura, insegna e nome saranno mantenuti. Si punterà forte sulla sinergia con gli altri locali di Gerla per quanto riguarda la produzione di dolce e salato, ma una delle linee guida sarà anche quella di affidarsi al servizio dell'Academy del gruppo, allo scopo di migliorare la formazione del personale e, di conseguenza, la qualità e professionalità all'interno del locale.
    «Gerla, e adesso anche Dezzutto, rappresentano bene quello che io sono solito definire il lusso democratico. In altre parole, sono due locali che offrono un contesto aperto un po' a tutti. Allo stesso tempo, però, di classe, con un'ampia gamma di prodotti che spaziano dal dolce al salato, dai tramezzini particolari alla cucina che cambia il proprio menù tutti i giorni» racconta Munnia. Dezzutto continuerà a puntare molto anche sulla categoria dell'area business, visto e considerato che tutta la zona in cui si trova è molto frequentata da professionisti, avvocati, notai, commercialisti e medici.
    Con l'acquisizione di Dezzutto, il panorama di Gerla 1927 aggiunge un altro tassello. In questi anni, il gruppo ha già acquisito il locale storico d'Italia Platti, che nonostante abbia una posizione non così centrale continua a essere un punto di riferimento per i turisti il sabato e la domenica, ma anche nelle più recenti festività natalizie. Più di recente, l'acquisizione del bar Norman, sotto i portici all'angolo con piazza Solferino, ha ridato nuova vita a un altro locale storico cittadino, dove nacque anche il Torino Calcio.
    Allargando l'orizzonte di riflessione sulla città, Munnia ha una propria stella polare per il prossimo passo da fare. «Penso che sarebbe molto importante spingere sempre più sulla partnership con Milano, dal momento che la nostra città si trova a nemmeno un'ora di treno dal capoluogo lombardo – spiega – Qui da noi il costo degli appartamenti è molto più basso rispetto a loro, incrementare e potenziare i collegamenti ferroviari fra le due città potrebbe convincere tante persone a fare i pendolari e vivere in pianta stabile a Torino». Un ulteriore passo in avanti per una città che, complici i grandi eventi internazionali arrivati sotto la Mole negli ultimi anni, sta mettendo sempre più in mostra le sue eccellenze. Compresi i caffè storici che sono pronti a rinascere, come Dezzutto.

 

23.01.25
  1. Per trattenere il militare libico basta vano un altro fermo e la correzione degli errori
    Dall'arresto al rimpallo di responsabilità Tutti i dubbi sui 4 giorni italiani del generale
    irene famà
    roma
    La versione che vede il «crudele» Almasri rimesso in libertà per «un errore di procedura» lascia perplessi i più.
    Per ricostruire questa vicenda intricata, dove date, orari e comunicazioni hanno un forte valore, bisogna partire dallo scorso weekend. Il generale libico si trova in Germania da circa una settimana. Sabato 18 gennaio si presenta a un autonoleggio. Affitta una macchina, chiede se può riconsegnarla all'aeroporto di Fiumicino, poi parte diretto a Torino. Ha appuntamento con tre amici di origini libiche e residenti in Francia per andare a vedere la partita della Juventus.
    Il gruppo, a quanto emerge dalle prime informazioni, viene fermato dagli agenti delle volanti, insospettiti da volti e targa tedesca. Un semplice controllo, registrato come da procedura. Almasri e gli amici, raccontano vicini ai servizi segreti libici, tornano in hotel. Ma nel frattempo scatta l'alert: sul generale c'è un ordine di arresto della Corte penale internazionale, emesso il giorno stesso. Digos e squadra mobile si presentano in albergo e procedono all'arresto. Almasri finisce in manette per crimini di guerra e contro l'umanità, stupri, tortura, omicidio, gli altri tre ricevono un ordine di espulsione.
    La Digos di Torino, si legge nell'ordinanza, il 19 gennaio comunica il tutto al ministero della Giustizia. Tre giorni dopo, il 21 gennaio, la Corte d'appello di Roma dispone la scarcerazione immediata. L'arresto, sostengono i giudici, avrebbe seguito «le procedure dell'estradizione» regolate dall'articolo 716 del codice di procedura penale e non quelle previste dalla legge 237/2012 che regolano i rapporti tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale. In particolare il riferimento è all'articolo 2: «I rapporti con la Cpi sono curati in via esclusiva dal ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito».
    Insomma, il torturatore libico dev'essere scarcerato perché il ministro non è stato avvisato in tempo. A sconfessare questa ricostruzione è la stessa Corte penale internazionale: «Erano informati». E lo stesso giorno in cui la Cpi ha spiccato il mandato d'arresto, un funzionario dell'Aja ha preso contatti con un funzionario dell'ambasciata italiana in Olanda per comunicargli che il generale sarebbe entrato in Italia. E ancora. Come spiegano gli esperti del settore, se ci fosse stata la volontà di tenere Almasri in carcere, pare sarebbe bastato ripetere l'arresto osservando correttamente le procedure.
    «L'Italia ha l'obbligo di rispondere ad ogni richiesta di arresto e di consegna di sospettati con mandati di arresto pendenti», sottolineano diverse associazioni per i diritti umani, tra cui Strali. Che non nascondono l'indignazione. «La mancata consegna di Almasri costituisce una grave violazione dell'articolo 89 dello Statuto di Roma». E l'Asgi attacca: «È un'occasione mancata in cui il Governo poteva provare concretamente, non con proclami, a combattere il traffico di esseri umani e a fermare le torture che avvengono sistematicamente nelle prigioni libiche».
    Ad analizzare date e orari si fa sempre più strada l'idea che quell'errore di procedura sia un semplice escamotage per lasciare libero il generale. Personaggio chiave nei rapporti con la Libia: è al vertice delle Forze speciali di deterrenza e direttore della prigione di Mitiga, dove sono trattenuti guerriglieri di Al Qaeda e altri jihadisti.
    Ancora un particolare. Il mandato d'arresto per il comandante libico è stato chiesto dal procuratore della Corte penale internazionale lo scorso 2 ottobre. La decisione di procedere, presa a maggioranza, è di sabato scorso. Almasri, con gli amici, va in Italia per tifare la sua squadra del cuore. Difficile crederlo uno sprovveduto. Viene arrestato. Poi rilasciato per un errore procedurale che appare sempre più come un cavillo. —

 

 

22.01.25
  1. 'intervista
    Walter Isaacson
    "Macché saluto romano Musk ha bisogno di Trump per arrivare su Marte"
    NEw york
    «Non credo che Musk abbia voluto fare il saluto romano». Lo afferma Walter Isaacson, giornalista, già autore di biografie prestigiose - Henry Kissinger, Steve Jobs- e autore anche di quella sull'imprenditore sudafricano. Un libro per scrivere il quale Isaacson ha trascorso due anni non solo intervistando Musk e tutte le persone più vicine a lui, ma anche seguendolo 24 ore su 24 nelle sue attività, dalle visite alla catena di montaggio della Tesla alle riunioni con gli ingegneri di SpaceX o di Neurolink, in quello che è un ritratto puntuale, informato e intimo.
    Gesto a parte, negli ultimi tempi Musk ha apertamente sostenuto il partito tedesco di estrema destra AfD.
    «È indubbio che negli ultimi due anni si sia spostato verso una visione populista più nazionalista, ha sostenuto Milei in Argentina, è amico di Giorgia Meloni. È parte di una tendenza verso un sentimento populista di marca nazionalista e anti-immigrazione».
    Nel tempo che lei ha trascorso con lui gli ha mai sentito dire cose positive su Hitler?
    «Assolutamente no».
    Da dove viene la sua fascinazione per le figure autoritarie?
    «Li vede come persone di azione, all'opposto dei burocrati. Pensa che Stati Uniti e Europa in passato si siano assunte rischi, fossero pieni di innovatori, mentre oggi soprattutto gli Usa siano diventati una nazione di arbitri e regolatori. Crede che, sia che si tratti di esplorazione spaziale o di nuove forme di energia, dobbiamo incoraggiare l'imprenditorialità».
    Basta per spiegare il suo spostamento a destra?
    «È entrato in una crociata verso quello che lui definisce "il virus della mente woke". Per lui è una questione personale: da quando, tre anni fa, la figlia trans Vivian ha rotto i rapporti, lui si è convinto che sia stata in qualche modo manipolata dalla scuola californiana ultra progressista che frequentava. Poi ci sono altri fattori: ha patito l'iper regolamentazione governativa durante il Covid e nel 2021 Tesla non è stata invitata da Biden al vertice alla Casa Bianca sul futuro delle auto elettriche, una cosa che lo ha molto irritato».
    Come si informa?
    «Legge libri di storia, è appassionato di Napoleone, ma la maggior parte delle notizie le legge online, non si fida dei media tradizionali».
    Parliamo della sua relazione con il neo presidente.
    «Nel libro lo definisce un ciarlatano, un imbonitore carnevalesco, un fantasista. E che gli ricorda suo padre, non esattamente un complimento. All'inizio ha sostenuto Ron DeSantis, ma quando ha capito che Trump sarebbe stato il candidato si è spostato su di lui. E quando Musk prende una decisione del genere, va "all in". Non si tira mai indietro né dice, beh, sono al 60% a favore e al 40% contro. È estremo, totalizzante e mentre fa le cose non si preoccupa dei danni che fa, delle macerie che lascia per strada, il che va bene forse per le sue aziende, ma è problematico nella società, quando hai bisogno di equilibrio tra varie forze. Ecco, non è molto bravo a ottenere equilibri».
    Musk che cosa vede in Trump?
    «Crede che Trump sia l'unico in grado di sostenerlo nella sua impresa di arrivare su Marte. È la sua ossessione: sente l'urgenza per gli esseri umani di diventare multi-planetari. Pensa che potrebbe esserci una crisi sulla Terra, o che potrebbe succedere qualcosa, e che dobbiamo essere una specie multi-planetaria. Non sostiene Trump per ottenere più sussidi dal governo, non è un fatto finanziario».
    Che rapporto ha con il denaro?
    «I soldi sono come i punti in un videogioco. Elon è dipendente dai videogiochi, vuole avere il punteggio più alto e sta sveglio tutta la notte a giocare. Allo stesso modo vuole essere il più ricco, ottenere il punteggio più alto in termini di soldi, ma poi non compra isole caraibiche né barche lussuose, non va in vacanza, non ha ville di lusso».
    Nel libro racconta che a un certo punto ha venduto tutte le sue case.
    «È stato dopo la transizione della figlia che è diventata molto progressista, odia i miliardari e le persone che sperperano. Elon aveva circa cinque case e le ha vendute. All'epoca del libro viveva in una piccola casa con due camere da letto nel sud del Texas, vicino alla base di lancio di SpaceX».
    Dove trova il tempo per fare tutto? Dorme?
    «Non molto. È interessante il modo in cui gestisce le sue aziende: stabilisce la strategia complessiva, ma non gestisce gli aspetti quotidiani. Entra in gioco solo quando ci sono problemi da risolvere. In quel caso può passare un'ora per cercare di capire come eliminare gli scudi termici dei motori della Starship o stare due ore a progettare la catena di montaggio del robot Taxi che Tesla costruirà. Dice che la strategia l'ha imparata appunto da Napoleone che arrivava sul campo di battaglia in modo che le truppe lo vedessero immergersi nelle situazioni più difficili ma per il restante 95% del tempo erano senza di lui».
    Nel libro lo descrive come affetto da personalità multiple.
    «Può essere molto entusiasta, ma può anche diventare molto dark in quello che la sua ex compagna Grimes chiama "modalità demone". E può anche diventare molto intenso in quella che io chiamo "modalità ingegneristica", in cui filtra tutte le distrazioni e si concentra su una questione di scienza dei materiali molto specifica».
    L'intesa con Trump può durare?
    «Musk non ha mai lavorato per nessuno prima ad ora e Trump non è uno che divide volentieri la scena, ma al momento Trump ha bisogno che Musk sia dirompente con la spesa federale e Musk ha bisogno che Trump lo sostenga nella sua visione. Bannon in un'intervista credo proprio a un giornale italiano ha detto che avrebbe fatto fuori Musk prima dell'inaugurazione: abbiamo visto tutti come è andata. La mia previsione è che magari non durano dieci anni, ma almeno un altro anno sì».
    Musk vuole essere visto come un eroe?
    «Fin da quando era un bambino solitario senza amici, seduto nell'angolo di una libreria in Sud Africa a leggere i fumetti e la fantascienza, la sua fantasia è stata di indossare il mantello da supereroe, ma un supereroe dark a cui non dispiace essere maltrattato. Gli piace la lotta, gli piace essere controverso, ama il dramma perché ha imparato fin da piccolo una forma di amore che è sempre legata al dramma e al trauma».
    Alla fine dipende sempre tutto dall'infanzia.
    «Noi biografi sappiamo bene che per gli uomini potenti la grande influenza è spesso il padre. Nel mio libro non cerco di essere uno psicoanalista, ma se guardi al rapporto di Elon con suo padre capisci quanto sia il fattore motivante. Errol Musk è stato un padre abusivo, uno che quando il figlio è stato vittima di bullismo ha preso le parti del bullo che gli aveva quasi spaccato la faccia sul marciapiede e non di Elon. A me ha detto di averlo cresciuto perché fosse un duro, ma le cicatrici che gli ha lasciato sono profonde e sono quelle stesse cicatrici che lo hanno reso avventuroso, ma che allo stesso tempo lo fanno sentire così a suo agio con il dramma». —
  2. La sveglia di Von der Leyen "L'Europa deve cambiare ci apriremo a Cina e India"
    Ha detto
    "
    marco bresolin
    corrispondente da bruxelles
    La «prima priorità» sarà quella di negoziare con l'America di Trump. Ma «in un mondo che cambia, l'Europa deve cambiare e impegnarsi oltre i blocchi e oltre i tabù». E dunque guardare ben al di là dell'Oceano Atlantico: «Cercare nuove opportunità ovunque si presentino», se necessario «persino espandendo i legami» con la Cina come «risposta alla crescente competizione globale».
    In quello che è stato probabilmente il suo discorso più geopolitico da quando è alla guida della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha sorpreso molti osservatori nel suo intervento al forum economico di Davos. Dove ha anche annunciato la meta del suo primo viaggio del nuovo mandato: non gli Stati Uniti, bensì l'India.
    Una filosofia anti-trumpiana negli obiettivi, ma al tempo stesso trumpiana nella visione, laddove anche agli occhi di Bruxelles la linea di demarcazione tra democrazie e resto del mondo sembra svanire per lasciare spazio a uno scenario caratterizzato da una crescente «concorrenza geostrategica» in cui ognuno pensa a usare gli strumenti a disposizione per «proteggere la propria economia e la propria sicurezza nazionale». Von der Leyen ha preso atto della fine del disincanto della «iperglobalizzazione» che aveva segnato l'inizio del millennio e aveva promesso un mondo «più integrato e cooperativo»: venticinque anni dopo, ha riconosciuto, stanno emergendo «nuove linee di frattura».
    Secondo la presidente della Commissione, però, bisogna «evitare una corsa al ribasso che non è nell'interesse di nessuno». Ed è convinta che l'Europa continui a rappresentare «uno spazio unico al mondo», attrattivo per gli altri partner globali «perché noi rispettiamo le regole del gioco senza condizioni nascoste», mentre «gli altri sono interessati soltanto a esportare e a estrarre». Ed per questo che emerge «una crescente volontà di stringere partnership con noi»: Von der Leyen ha citato le recenti intese con i Paesi del blocco Mercosur, con la Svizzera o con il Messico e ha annunciato l'imminente viaggio in India. «I nostri valori non cambiano – ha aggiunto –, ma per difenderli in un mondo che cambia, dobbiamo cambiare il modo in cui agiamo». Ha rilanciato il rapporto Draghi sulla competitività e ricordato i tre punti della strategia europea: il completamento dell'unione dei mercati di capitali, il miglioramento delle condizioni per chi fa impresa in Europa (con riferimento al ventottesimo regime comune proposto da Enrico Letta) e la spinta verso la transizione energetica.
    Interessante poi il passaggio sulla Cina, con la quale l'Ue dovrebbe cercare «benefici reciproci». Certo, bisogna tenersi pronti a rispondere con misure difensive (leggasi i dazi adottati sulle auto elettriche), «ma dobbiamo continuare a discutere in modo costruttivo». Perché «c'è un'opportunità di intensificare le nostre relazioni diplomatiche e, laddove possibile, persino espandere i nostri legami in termini di commercio e investimenti».
    Parole che certamente non faranno piacere all'amministrazione Trump, ma il dialogo con gli Stati Uniti – «i nostri partner più vicini» – rappresenta per Von der Leyen la «prima priorità». E dunque la Commissione è disposta a impegnarsi per «discutere i nostri impegni comuni» e «aumentare la cooperazione». Il commissario all'Economia, Valdis Dombrovskis, ha confermato che un primo terreno d'intesa potrebbe essere quello del gas naturale liquefatto per aumentare gli acquisti da parte dell'Ue. I ministri delle Finanze ne hanno discusso lunedì sera a cena in un'ottica di prezzi dell'energia: «L'annuncio di Trump di aumentare la produzione di gas naturale e di altre risorse – ha spiegato Dombrovskis – potrebbe avere l'effetto di abbassare i prezzi globali dell'energia».
    Con la Casa Bianca, l'Unione europea vuole negoziare «in modo pragmatico», dunque non ideologico, ma «difendendo i nostri princìpi». A differenza di Trump che ha deciso di uscirne, Von der Leyen continua a considerare gli accordi di Parigi sul Clima come «la miglior speranza per tutta l'umanità». Bruxelles guarda poi «con preoccupazione» all'annuncio del ritiro degli Stati Uniti dall'Organizzazione mondiale della Sanità, ma anche al memorandum Usa che prevede l'uscita dal sistema della minimum tax previsto dall'accordo raggiunto in sede di Ocse: «Noi restiamo impegnati a rispettare i nostri obblighi internazionali», ha avvertito Dombrovskis.
  3. ERA GIA' TUTTO PREVISTO:   Scarcerato e rimpatriato in Libia Il dietrofront su Almasri è un caso
    irene famà
    ilario lombardo
    roma
    GGli ingredienti per un nuovo mistero internazionale ci sono tutti. Un arresto, su mandato della Corte internazionale de L'Aja, un detenuto libico accusato di crimini contro l'umanità, un pasticcio procedurale – o presunto tale –, il rimpallo di responsabilità, il ministro della Giustizia Carlo Nordio che si dice scavalcato, orari che non tornano, la quasi immediata liberazione e la conseguente espulsione, non sgradita al governo di unità nazionale di Tripoli, riconosciuto dall'Onu, dall'Italia, e protetto dagli Stati Uniti.
    Alle 20.09 di ieri sera Njeem Osama Almasri Hoabish è già in volo verso casa, in Libia, quando l'Ansa batte la notizia della sua scarcerazione. In realtà, come scopriremo, l'aereo, messo a disposizione, era già pronto al mattino, in attesa della decisione della magistratura. Decolla alle 11.14 da Ciampino e arriva a Torino Caselle alle 12.13. Alle 19.51 l'aereo riparte, con a bordo Almasri, per Tripoli Mitiga dove atterra alle 21.50 e da dove rientra in Italia subito dopo. Qualcosa non torna rispetto a quanto fa intendere Nordio, nel pomeriggio. E non è l'unico aspetto poco chiaro di questo ennesimo giallo diplomatico.
    Arrestato sabato a Torino, Almasri torna in libertà e viene rimpatriato su provvedimento del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi. A suo favore – stando alle ufficiosità di fonti di governo e investigative – avrebbe giocato un errore nell'esecuzione della procedura del mandato di arresto internazionale. Un arresto «irrituale» si legge nell'ordinanza della Corte di appello di Roma, che nel tardo pomeriggio ne dispone la scarcerazione immediata. Il fermo, scrivono i giudici, «non è stato preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Cpi». E ancora: «Il ministro è stato interessato da questo ufficio il 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito». In sintesi: ci sarebbero stati degli intoppi di comunicazione tra le parti. Da regola, il ministro avrebbe dovuto ricevere la richiesta d'arresto prima, per poi inoltrarla tramite la Procura generale di Roma alla Corte d'Appello. Questioni tecniche, sembrerebbe. Ma potrebbe esserci dell'altro. Come avvenuto per l'ingegnere iraniano Mohammed Abedini, arrestato per conto degli Usa, in attesa di estradizione ma liberato per ottenere in cambio, da Teheran, la giornalista Cecilia Sala.
    Solo in tarda serata fonti di governo ammettono che Almasri è una pedina troppo importante per il governo di Tripoli e per l'amministrazione americana che, tramite la parte libica alleata, monitora la lotta al terrorismo nell'area del Mediterraneo. Quarantasette anni, era stato arrestato sabato scorso dalla Digos su un ordine de L'Aja emesso il 18 gennaio «per crimini contro l'umanità e crimini di guerra commessi – si legge – nella prigione di Mitiga dal 15 febbraio 2011 e puniti con la pena massima dell'ergastolo». La ong Mediterranea saving humans l'aveva denunciato più volte. Più volte si era fatta portavoce delle torture raccontate dalle vittime salvate in mare. Più volte il nome di Almasri era risuonato in quelle testimonianze dell'orrore. Il libico è personaggio chiave nella gestione dei centri dei migranti in Libia, sarebbe uno dei capi dell'Unità della polizia militare islamica di Tripoli, al vertice delle Forze speciali di deterrenza, la Rada, gruppo paramilitare che opera nella regione ad Est di Tripoli a supporto del governo, ed era a capo delle prigioni di Ain Zara e di Mitiga, dove sono trattenuti guerriglieri di Al Qaeda e altri jihadisti. Un uomo in tutto e per tutto affiliato all'esecutivo guidato – in teoria ad interim – dal 2021 da Mohammed Dbeibeh, sponda strategica per gli obiettivi di Giorgia Meloni, decisa a fermare le partenze verso l'Italia.
    Il sospetto di un favore a Tripoli e a Washington circola già prima della scarcerazione, quando si muove Nordio, annunciando – «considerato il complesso carteggio e i rapporti con la Corte de L'Aja» – di star valutando la trasmissione del fascicolo al procuratore generale di Roma, così come prevedono le norme della convenzione internazionale. Quando il Guardasigilli dichiara queste intenzioni, però, c'è già un volo pronto. Tutto sembra pianificato dal mattino. L'aereo Dassault Falcon 900, sigla Icarg, di proprietà della Compagnia Aeronautica Italiana parte da Ciampino, arriva a Torino a mezzogiorno e attende fino alle 19. 51 il passeggero speciale. Un quadro che sembra smontare la ricostruzione del pasticcio tecnico. «Quella di Nordio era solo una scusa» attacca Nicola Fratoianni di Avs, tra i primi partiti a reagire: «Il governo Meloni protegge i trafficanti di esseri umani». Subito dopo la scarcerazione, intervengono anche gli altri leader di opposizione, da Riccardo Magi, di Più Europa, a Matteo Renzi («cosa c'è sotto? ») fino alla segretaria dem Elly Schlein: «Meloni non era quella che voleva inseguire i trafficanti di esseri umani in tutto il globo terracqueo? Invece ne hanno rimandato uno impunito in Libia. Il governo deve chiarire». Anche perché l'Italia aderisce alla Cpi: «E dunque – aggiunge Arturo Scotto del Pd – deve essere conseguente ai trattati internazionali». È proprio su Almasri che l'Ecchr, il Centro europeo per i diritti umani e costituzionali, aveva inviato a L'Aja un dossier dell'orrore, con una lunga serie di testimonianze, sul suo coinvolgimento nella gestione dei flussi migratori. Proprio quella che Meloni ha più volte dichiarato di voler combattere, «in una guerra globale», anche con strumenti usati nella lotta alla mafia. Almasri era stato fermato a Torino mentre con tre connazionali, già espulsi, stava tornando dallo stadio, dove avevano assistito a una partita della Juventus. Gli accertamenti rivelano chei era arrivato in città dalla Francia, a bordo di un'auto con targa tedesca. E pare molto strano, sostengono fonti investigative, che un personaggio di quel calibro si sia potuto muovere liberamente in Italia senza che gli apparati di sicurezza si allertassero. —
  4. Chiusa l'inchiesta "Echidna" che ha colpito anche la 'ndrangheta infiltrata nei subappalti dell'autostrada A32 Torino-Bardonecchia
    Nuove accuse a Gallo: traffico di influenze "Soldi a IdeaTo per sbloccare una pratica"

    giuseppe legato
    Non ci sono solo corruzione elettorale, concorso in estorsione e peculato tra le contestazioni mosse dalla procura di Torino all'ex ras dei Dem Salvatore Gallo. Da ieri, al lungo elenco delle accuse maturate nella cornice dell'inchiesta della Dda ribattezzata Echidna, si è aggiunta quella di traffico di influenze illecite. L'indagine – che conta 35 imputati complessivi - è chiusa e si snoda su due filoni. Uno riguarda l'infiltrazione della ‘ndrangheta nei subappalti dei lavori di manutenzione della A32 e ha messo nel mirino la famiglia Pasqua, ‘ndrina molto vicina – secondo il pm Valerio Longi che ha coordinato l'inchiesta eseguita dal Ros dei carabinieri – alle famiglie mafiose di San Luca (Nirta e Pelle). Che ci sarebbero riuscite avvalendosi del rapporto con il manager Roberto Fantini (anche lui indagato ma per concorso esterno in associazione mafiosa). Fantini «nella sua veste di componente del Cda e prima di amministratore delegato (dal 2006 al 2021) di Sitalfa – si legge agli atti - concorreva nell'associazione di tipo mafioso, traendo egli stesso vantaggio dalla consorteria e contribuendo al consolidamento della stessa curando l'inserimento dei mezzi di ditte riferibili ai Pasqua nei lavori di trasporto e movimento terra affidati da Sitalfa e Cogefa».
    Su Gallo resta da raccontare il perché della nuova contestazione: a settembre del 2022 il direttore del Centro fisioterapico canavesano Paolo Mattana ha da tempo una pratica ferma: vuole ampliare i locali e quadruplicare le attività specialistiche. Da quattro a quindici. C'è però bisogno di un lasciapassare della commissione di vigilanza dell'AslTo4. Che non arriva. Così Fantini interessa Gallo. «Gli fai fare un giro e alla fine gli sottoponi la questione, gli dici dov'è la pratica, che cosa hai fatto, quando l'hai presentata. Fatti un promemoria». Scrive il Ros: «L'incontro avviene il 29 ottobre 2020». Gallo sin interessa e a novembre scrive all'amico imprenditore: «Ti volevo dire che la pratica procede bene, le cose stanno andando avanti». Il 23 dicembre Gallo informa Fantini «che l'assessorato regionale alla Sanità aveva espresso parere favorevole all'istanza di Mattana».
    Ma Gallo mette subito le cose in chiaro: «Ho fatto telefonare a quelle persone che hai conosciuto anche tu, di Chivasso, di Torino. E gli ho detto: "Mettetegli la pratica sotto il naso e fategliela firmare". Adesso – dice Gallo a Mattana – possiamo anche festeggiare e poi speriamo di non avere bisogno ma se così fosse mi fai la radiografia o qualcos'altro no?». In realtà la procura sostiene nella contestazione che «come prezzo di questa mediazione illecita» Paolo Mattana (ora indagato anche lui in concorso) abbia emesso un bonifico da 500 euro a favore dell'associazione politica fondata da Gallo IdeaTo.Perima di questo sarà Fantini a dire – intercettato – a Mattana: «Se non era per me ci impiegavi tre anni. C'è Gallo che vuole vederti prepara il portafoglio».

 

 

 

 

21.01.25
  1. NAPOLI BATTE JUVE :  Aurelio De Laurentiis è riuscito in un mezzo miracolo: guadagnare e pure molto bene da proprietario di una squadra di calcio. Negli ultimi due anni il suo Napoli oggi affidato ad Antonio Conte, ha fatto registrare 142,7 milioni di euro di utili, ed è la squadra di calcio che ha reso più ricco il suo proprietario nel campionato italiano.



    Basti pensare che al secondo posto in classifica c’è l’Atalanta dei Percassi, che in due anni ha prodotto utili dieci volte inferiori a quelli del Napoli: 13,6 milioni di euro. Anche il Milan nel biennio è riuscito a guadagnare, in tutto 10,7 milioni di euro. Tutte le altre grandi squadre però hanno fatto perdere soldi ai loro azionisti. Il biennio è stato negativo per la Lazio di Claudio Lotito, in rosso di 5,3 milioni di euro (ma il bilancio 2023-24 si è chiuso con 25,5 milioni di euro di utile).

    In perdita la Fiorentina, che fra il 2022 e il 2024 è andata in rosso per 25,5 milioni di euro. Profondo rosso per le altre grandi del campionato come l’Inter (-121,1 milioni di euro), la Roma (-184,11 milioni di euro) e il record della Juventus (-322,9 milioni di euro).



    Il Napoli per risultato di bilancio è anche fra le primissime squadre in Europa, alle spalle del Manchester City (+180,7 milioni di euro) e del Barcellona che però nell’ultimo anno ha perso 91 milioni di euro e l’anno precedente ha fatto registrare un utile superiore ai 300 milioni di euro, drogato però dall’incasso tutto in un anno di 250 milioni di euro di diritti tv pluriennali. Guadagna assai meno il Real Madrid (28 milioni di euro nel biennio), mentre perdono tanto sia il Manchester United che il Paris St. Germain.
    L’ottimo risultato di bilancio del Napoli si spiega soprattutto con l’ottima gestione del parco giocatori, presi a cifre non colossali e venduti assai meglio generando ricche plusvalenze. Anche se verrà contabilizzata nel bilancio prossimo la plusvalenza record è proprio quella appena ottenuta con la cessione del georgiano Kvicha Kvaratskhelia al Paris St. Germain.



    La cessione ha fatto piangere Napoli, ma certo non De Laurentiis. “Kvara” è stato acquistato dal Napoli per 11,5 milioni di euro. Il suo costo è stato ogni anno ammortizzato e nell’ultimo bilancio il valore residuo era ancora di 3,312 milioni di euro. Ai francesi però è stato venduto fra cartellino e premi per 75 milioni di euro, quindi il Napoli incassa una plusvalenza di 72,67 milioni di euro, che nella storia del calcio italiano è seconda solo alla cessione da parte dello stesso Napoli di Gonzalo Higuain alla Juventus.

    Grazie alle plusvalenze nette (sottratte quindi le minusvalenze) del calciomercato il Napoli ha incassato nelle ultime due stagioni 150,39 milioni di euro (senza contare Kvara) e la squadra azzurra è prima anche in questa speciale classifica.



    Alle sue spalle c’è l’Atalanta di Gian Piero Gasperini, che ha incassato poco meno: 134,17 milioni di euro. Terza in classifica l’Inter, con 92,9 milioni di euro. Seguono la Roma (71,03 milioni di euro), la Juventus (69,09 milioni), la Lazio (45,51 milioni), il Milan (44,57 milioni) e la Fiorentina (33,59 milioni). […]
  2. I PRODI BOYS : A sinistra si cerca, disperatamente, un centro di gravità permanente! C’è fermento dentro e intorno al Pd dopo che il fronte centrista e cattolico si è riunito tra Milano e Orvieto. Cosa vogliono fare i demo-cristi dem: una nuova Margherita o rivitalizzare la corrente riformista all’interno del Pd?



    L’idea di fondare un partito catto-progressista sembra essere stata bocciata. L’esperienza di Matteo Renzi, che come leader del Pd è arrivato al 41% e quando ha mollato il Nazareno per creare Italia Viva è sprofondato a percentuali da prefisso telefonico, consiglia prudenza. Piuttosto che creare un altro partitino destinato a sparire nella giungla centrista meglio stare dentro il Pd.



    Anche nella topografia delle correnti Pd, la situazione è in evoluzione. Franceschini è stato il demiurgo che ha portato Elly Schlein sulla tolda di comando del Pd e ora è vincolato al patto con la segretaria multigender. “Base riformista” si è via via sfaldata: l’ex governatore dell’Emilia Romagna e presidente del partito, Stefano Bonaccini, è stato spedito in Europa; Lorenzo Guerini si è “rinchiuso” al Copasir, a occuparsi di servizi segreti; in trincea è rimasto solo Alessandro Alfieri. Un po’ poco per dare ossigeno alle istanze riformiste. L’obiettivo, con l’arrivo di Ernesto Maria Ruffini e dell’evergreen Paolo Gentiloni, è quello di riesumare l’anima catto-progressista nel Partito democratico.

    Per costruire una alternativa al governo Meloni la sfida parte dal programma. Sanità, lavoro, occupazione. Quel vecchio volpone di Romano Prodi chiede di mettere in chiaro le priorità politiche del Pd che non possono essere solo tutela delle minoranze, temi Lgbtq+ e diritti civili anche perché la linea woke ha portato la sinistra alla sconfitta in ogni parte del mondo, a partire da Kamala Harris negli Stati uniti. L’ex premier Gentiloni ha fiutato l’importanza del tema della sicurezza su cui Salvini ha fondato il suo impero: “Sia un nostro tema, dovremmo fare il poliziotto di quartiere come Berlusconi”.



    Schlein ascolta in silenzio. Di sicuro non vuole “pupari” intorno a lei e vive con insofferenza le vecchie dinamiche di corrente e i giochi di potere dei cacicchi. La segretaria, per ora, se la sente caldissima: rivendica di aver preso in eredità il Pd da quel grissino di Enrico Letta a un modesto 18% e di averlo portato al 24%.
    Una posizione rinfrancata dai sondaggi. Certo, non mancano le rogne per Elly a partire dal caso-De Luca. I catto-dem hanno aperto al terzo mandato per governatori e sindaci. Si sono, infatti, resi conto che gli amministratori locali sono una risorsa per il Pd: rappresentano il partito sul territorio moltop meglio di quanto facciano i maggiorenti di Roma e, dato non trascurabile, prendono molti voti. Perché, è il ragionamento, dovremmo privarci di volti così amati dai cittadini dopo solo dieci anni? Cosa farà ora Elly: tace, acconsente o si risente? Ah, saperlo…


    Federico Geremicca per “la Stampa” - Estratti

    GENTILONI PRODI



    Ripetono di non voler fondare un nuovo partito: tantomeno un partito cattolico. E assicurano, naturalmente, che non puntano a diventare una nuova corrente del Pd. Però chiedono – a voler sintetizzare tanto – un cambio di passo, un "riequilibrio" nei temi, nelle politiche e nella gestione del partito. E lo chiedono, se la faccenda ha un senso, soprattutto ad Elly Schlein.



    Ecco, il "cuore" di questo fine settimana "centrista" – tra Milano e Orvieto, con Romano Prodi, Paolo Gentiloni, Beppe Sala ed Ernesto Maria Ruffini – rischia di esser tutto qui. Le due iniziative, naturalmente, hanno alimentato sospetti e qualche interpretazione malevola, fuori e dentro il Pd. Ma immaginiamo che gli stessi "centristi" sapessero perfettamente che sarebbe andata a finire proprio così...

    Che la segretaria del Partito democratico – leader in pectore dell'intera coalizione – sia stata oggettivamente interlocutore e bersaglio di qualche polemica in entrambi i convegni, non può sorprendere: nel Pd, infatti, la "questione cattolica" è stata ciclicamente trasformata in un'arma contundente... È ipotizzabile, insomma, che qualche discussione fosse stata messa in conto. Nessuno stupore, insomma. Quel che piuttosto colpisce, sono il linguaggio, l'orizzonte e le proposte messe in qualche modo in campo tra Milano e Orvieto.



    Qui bisogna esser chiari: per i democratici italiani ed i riformisti di mezzo mondo, è da anni un continuo andare controvento. Cioè navigare contro la corrente che ormai muove l'opinione pubblica e l'elettorato in ogni continente. Un capovolgimento ed una rivoluzione di valori – dal globalismo al sovranismo, con tutto quel che ha significato – che hanno spinto il progressismo in un angolo, in tutto il mondo. Un lavoro improbo. Come dopo un lungo sonno, si sono risvegliati in Paesi che faticano a riconoscere...



    Tutto questo – cioè il fatto che ovunque «così vanno le cose» – naturalmente non vuol dire dover adeguarsi e aderire «al nuovo modo di pensare». Ma almeno farci i conti, sì: se non s'intende fermarsi ad un non richiesto lavoro di testimonianza. Occorrerebbe aprire una discussione (non semplice) partendo da poche cose.



    La sicurezza – alcuni sindaci di sinistra lo avevano detto vent'anni fa – non è né di destra né di sinistra: è necessaria. Il leaderismo non è una parolaccia, il mondo è cambiato e Angela Merkel, Emmanuel Macron e Barack Obama sono stati leader come lo saranno Donald Trump, Javier Milei e forse la Le Pen: a contare non è più il ruolo, ma la maniera in cui lo si esercita e gli obiettivi prefissati.



    Parlare, parlare, parlare va bene. E confrontarsi anche: ma oggi gli elettori premiano chi decide e chi si espone. Perfino chi esagera. Come Trump. O come Giorgia Meloni, che va a Mar-a-Lago a trattare per Cecilia Sala tenendo all'oscuro perfino il suo vicepremier e ministro degli Esteri.

    Si può non tenerne conto?



    (…) i convegnisti di Milano e di Orvieto hanno comunque battuto un colpo. Il prossimo, forse, avrà come oggetto la titolarità della leadership del centrosinistra: o meglio, il ruolo di candidato-premier. Ne seguirà una discussione ormai nota: il Pd lo rivendicherà, qualcuno proporrà delle primarie, già ma di partito o di coalizione, e aperte a chi? Film visti e rivisti: senza gran successo, fatta qualche eccezione.

    (…) Il Pd, i Cinquestelle e il centro – nelle sue imprevedibili declinazioni – faticano e faticheranno come sempre a trovare un accordo, e la destra potrebbe nuovamente incassare e ringraziare. A meno che – e nessuno può escluderlo – qualcosa cambi. E non nei rapporti politici, ma nelle regole elettorali: una nuova legge, dichiaratamente proporzionale, ha più fan di quello che si possa immaginare...

 

20.01.25
  1. MODELLO CINESE :   il caso
    Ling, ragazza fantasma per 18 anni Mai a scuola, ora cerca un lavoro legale
    Le tappe della vicenda
    monica serra
    milano
    È rimasta invisibile in Italia per diciassette anni e undici mesi. Non è mai stata iscritta né ha frequentato una scuola, non si è mai rivolta a un medico, a un ospedale, neppure banalmente per sottoporsi a degli esami. È rimasta chiusa in uno di quei laboratori del Nord Italia dove, dopo i turni estenuanti, i lavoratori in nero si fermano anche a dormire su brandine e giacigli di fortuna tra le macchine da cucire, la polvere e i tessuti accatastati.
    È la storia di una ragazza cinese diventata un fantasma, uscita dall'ombra soltanto nella primavera scorsa, nel corso di un'operazione congiunta della polizia locale e della Guardia di Finanza, in un Comune di 13 mila abitanti della bassa Bresciana. Gli investigatori sono entrati nello scantinato per verificare l'esistenza di un calzificio irregolare e si sono trovati davanti anche lei: Ling, un nome di fantasia che adotteremo per tutelare la sua privacy.
    Ling non conosceva una parola in italiano, qualche giorno dopo avrebbe compiuto la maggiore età e, almeno in base agli accertamenti condotti fino a oggi, nel nostro Paese non ha quasi lasciato tracce della sua presenza. Se non fosse per un atto di nascita registrato all'ufficio anagrafe del Comune di Rovigo, in Veneto, nel 2006, dove la madre l'ha partorita. Da quel momento in poi, ha vissuto solo nella sua ombra.
    La storia di Ling è stata anticipata ieri dal quotidiano Brescia Oggi, che racconta anche come in questo momento la ragazza stia cercando di riscattarsi. Secondo le cronache locali, avrebbe trovato finalmente l'offerta di un'occupazione regolare, che potrebbe aiutarla a ottenere la regolarizzazione della sua presenza in Italia. La diciottenne si sarebbe già rivolta alla questura di Brescia per chiedere il permesso di soggiorno e, in caso di diniego, è pronta a fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
    Si deciderà così il destino di una ragazza che, senza avere alcuna responsabilità, per diciotto anni è cresciuta passando da una città all'altra, da un opificio all'altro, rimanendo sconosciuta a ogni forma di sistema di istruzione o sanitario del nostro Paese. Prima in Veneto, sembrerebbe tra Rovigo e Padova, poi nell'hinterland di Brescia, ma è difficile ricostruire le tappe di una esistenza che finora non ha lasciato traccia.
    Quando Ling è nata, con lei c'erano la madre, il padre e un fratello. Poi la coppia si sarebbe separata, il padre sarebbe andato via con il figlio abbandonando il resto della famiglia e lei sarebbe sempre rimasta con la madre, anche lei irregolare in Italia, che in tutti questi anni avrebbe pensato soltanto a lavorare per ore e ore, piegata su una macchina da cucire. L'unico modo per garantire la propria sopravvivenza e quella della figlia.
    La donna si è mossa tra i laboratori tessili dei connazionali e Ling sarebbe cresciuta solo con loro. In quegli spazi angusti e clandestini dove uomini e donne cinesi cuciono e stirano a ciclo continuo senza un orario, di giorno e di notte. Dove mangiano, dormono, vivono.
    La sensazione e il timore è che questo possa non essere un caso isolato. Che Ling possa non essere l'unica bambina in Italia divenuta adulta nell'ombra, senza che nessuno, oltre alla madre, al padre e ai connazionali che ha incrociato nei diversi opifici clandestini dove è vissuta, abbia mai saputo della sua esistenza. Proprio per fare luce su quel lavoro e quelle vite sommerse, scoperte in uno scantinato dell'hinterland, la procura di Brescia, diretta da Francesco Prete, sta lavorando per ricostruire gli spostamenti e le storie di quegli operai cinesi irregolari e impiegati in nero, scoperti da vigili urbani e Guardia di Finanza della primavera scorsa. —

 

 

 

 

19.01.25
  1. uno era nella "commissione della morte"
    Iran, uccisi 2 giudici della Corte suprema Erano noti per le esecuzioni dei dissidenti
    Un agguato in pieno giorno nel tribunale da dove per anni hanno emesso condanne a morte contro dissidenti, attivisti, lavoratori e giornalisti. Due giudici della Corte Suprema iraniana, Ali Razini, 71 anni, Mohammad Moghiseh, 68 anni, , sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco al Palazzo della Giustizia di Teheran. Un terzo giudice è rimasto ferito insieme a una delle guardie del corpo. L'assalitore, identificato come un dipendente del ministero della Giustizia con nessuno caso pendente, si è suicidato dopo aver tentato la fuga. Il movente dell'attacco non è chiaro, ma entrambi i magistrati hanno avuto un ruolo nella persecuzione e nell'uccisione di massa degli oppositori del regime islamico durante gli Anni 80 e 90. Il giudice Razini, insieme all'ex presidente Raisi, è accusato di essere uno dei giudici coinvolti nella famigerata «Commissione della Morte» che ha supervisionato il processo e l'esecuzione di migliaia di prigionieri politici nel 1988. «Il loro omicidio è il risultato di comportamenti, procedure e repressioni del sistema giudiziario. Ciò che il vento semina, la tempesta raccoglie», ha commentato del premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi. —
  2. Un nuovo social cinese sostituisce quello messo al bando: quasi un milione di utenti americani
    E gli orfani di TikTok migrano su "Libretto Rosso"
    lorenzo lamperti
    taipei
    «Ciao, rifugiato. Sono la tua nuova spia cinese. Ora fammi vedere il tuo gatto, oppure dammi i tuoi dati». Da qualche giorno, c'è un'app che è piena di messaggi di questo tipo. Ironici autori alcuni dei 300 milioni di utenti di Xiaohongshu, letteralmente "libretto rosso". L'applicazione è conosciuta nel mondo come RedNote e da qualche giorno sta accogliendo un numero senza precedenti di nuovi utenti stranieri. In molti si fanno chiamare "TikTok refugees" e arrivano soprattutto dagli Stati Uniti. Già, perché mentre l'app di proprietà del colosso cinese ByteDance è pronta allo spegnimento negli States, è partita una migrazione di massa verso un altro dei tool digitali made in Pechino. Oltre 700 mila dei 170 milioni di utenti statunitensi di TikTok hanno scaricato RedNote, facendo schizzare l'app in cima alla graduatoria dei download. Lanciata nel 2013, Xiaohongshu è stata inizialmente concepita come piattaforma per la condivisione di recensioni di prodotti. Da allora si è evoluta in una sorta di Instagram cinese.
    È come se gli utenti americani avessero improvvisamente oltrepassato la cosiddetta grande muraglia digitale e si trovassero in un ecosistema con regole, e censura, cinesi. Gli scambi tra cinesi e nuovi arrivati sono per ora pieni di stimoli. Si parla di sistema sanitario, lavoro, soldi, Taiwan in un confronto tra i sistemi delle due potenze. Elemento che sta facendo nascere un dibattito in Cina. In molti prevedono un imminente stretta della censura, ma c'è anche chi la pensa diversamente. «Non è un rischio, ma un'opportunità», ha scritto Hu Xijin, influente commentatore ed ex direttore del tabloid di stato Global Times.
  3. Federica Bottiglione L'ex manager che ha accusato la ministra sul caso Covid: "La legge non è uguale per tutti"
    " Per aver denunciato Visibilia non trovo più lavoro Le istituzioni mi hanno lasciata completamente sola"
    monica serra
    milano
    È stata l'unica a denunciare e ha perso tutto. Da due anni Federica Bottiglione, ex investor relator di Visibilia, la società di Daniela Santanchè e del compagno Dimitri Kunz, è stata licenziata, non ha più un lavoro ed è sospesa in una causa civile infinita. Quando ha scoperto di essere stata «coinvolta in un reato», di aver continuato a lavorare mentre era a sua «insaputa» in cassa integrazione Covid a zero ore, faceva anche la consulente a palazzo Madama dell'attuale presidente Ignazio La Russa, fatturando al Senato. Non era l'unica dipendente di Visibilia in quella situazione. A Milano è in corso l'udienza preliminare del procedimento che vede la ministra accusata di truffa ai danni dello Stato: la difesa ha chiesto di trasmettere tutto a Roma per competenza e il 29 gennaio deciderà la Cassazione.
    Bottiglione, cosa ha provato quando ha saputo del rinvio a giudizio degli imputati, compresa Santanchè, per falso in bilancio?
    «Conforto e speranza da cittadina, ho molta fiducia nella magistratura che è un potere autonomo».
    A che punto è la sua causa d lavoro contro l'azienda?
    «Dopo due anni siamo all'inizio, nonostante gli inviti del giudice non c'è stato margine di trattativa con l'amministrazione giudiziaria di Visibilia».
    Quante difficoltà ha incontrato?
    «La prima è stata trovare un avvocato che accettasse di difendermi. Per mesi ho contattato studi legali, ho inviato i documenti e tutti hanno declinato l'incarico con le motivazioni più disparate».
    Tipo?
    «Qualcuno mi ha anche detto: "Facciamo finta di non esserci mai sentiti"».
    Lei ha una laurea e ha conseguito il secondo master. Ha cercato un altro lavoro?
    «Ho inviato decine di curricula, la mia età non aiuta ma ogni colloquio si interrompe quando viene fuori il motivo per cui sono disoccupata».
    Secondo lei pesa il ruolo politico di Santanchè?
    «Pesa il suo ruolo pubblico e il fatto che mi sono esposta in prima persona. Che nel frattempo lei sia diventata ministra, credo non mi abbia agevolata anche nella ricerca di un legale».
    Che cosa le fa più rabbia?
    «Sono rimasta completamente isolata anche dalle istituzioni e ho dovuto combattere per riprendermi la dignità di cittadina e lavoratrice».
    Di recente, ha scritto anche una lettera aperta al presidente Sergio Mattarella.
    «Non ho ancora ricevuto risposta. Volevo solo rappresentargli l'amarezza di una cittadina che ha provato a rispettare le regole sacrificando la sua vita personale e professionale, dando fondo ai risparmi di una vita e grazie all'aiuto dei miei. Non tutti se lo possono permettere e finiscono per accettare l'ingiustizia».
    Che cosa pensa dei colleghi che non hanno denunciato?
    «Provo delusione e compassione ma capisco che con una famiglia, un mutuo, degli impegni economici si sarebbero ritrovati senza un lavoro come me».
    Crede ancora nella giustizia?
    «Non credo nella legge, che non è uguale per tutti».
    Se potesse tornare indietro lo rifarebbe?
    «Non ho dormito per molte notti ma rifarei tutto, in nome della mia onestà».
    Che cosa vede nel futuro?
    «Voglio essere positiva, troverò un lavoro e saranno riconosciute le mie competenze».
    In Italia?
    «Sto pensando di trasferirmi in Francia. Il nostro purtroppo non è un Paese democraticamente maturo, l'ho scoperto sulla mia pelle». —
  4. Federica Bottiglione L'ex manager che ha accusato la ministra sul caso Covid: "La legge non è uguale per tutti"
    " Per aver denunciato Visibilia non trovo più lavoro Le istituzioni mi hanno lasciata completamente sola"
    monica serra
    milano
    È stata l'unica a denunciare e ha perso tutto. Da due anni Federica Bottiglione, ex investor relator di Visibilia, la società di Daniela Santanchè e del compagno Dimitri Kunz, è stata licenziata, non ha più un lavoro ed è sospesa in una causa civile infinita. Quando ha scoperto di essere stata «coinvolta in un reato», di aver continuato a lavorare mentre era a sua «insaputa» in cassa integrazione Covid a zero ore, faceva anche la consulente a palazzo Madama dell'attuale presidente Ignazio La Russa, fatturando al Senato. Non era l'unica dipendente di Visibilia in quella situazione. A Milano è in corso l'udienza preliminare del procedimento che vede la ministra accusata di truffa ai danni dello Stato: la difesa ha chiesto di trasmettere tutto a Roma per competenza e il 29 gennaio deciderà la Cassazione.
    Bottiglione, cosa ha provato quando ha saputo del rinvio a giudizio degli imputati, compresa Santanchè, per falso in bilancio?
    «Conforto e speranza da cittadina, ho molta fiducia nella magistratura che è un potere autonomo».
    A che punto è la sua causa d lavoro contro l'azienda?
    «Dopo due anni siamo all'inizio, nonostante gli inviti del giudice non c'è stato margine di trattativa con l'amministrazione giudiziaria di Visibilia».
    Quante difficoltà ha incontrato?
    «La prima è stata trovare un avvocato che accettasse di difendermi. Per mesi ho contattato studi legali, ho inviato i documenti e tutti hanno declinato l'incarico con le motivazioni più disparate».
    Tipo?
    «Qualcuno mi ha anche detto: "Facciamo finta di non esserci mai sentiti"».
    Lei ha una laurea e ha conseguito il secondo master. Ha cercato un altro lavoro?
    «Ho inviato decine di curricula, la mia età non aiuta ma ogni colloquio si interrompe quando viene fuori il motivo per cui sono disoccupata».
    Secondo lei pesa il ruolo politico di Santanchè?
    «Pesa il suo ruolo pubblico e il fatto che mi sono esposta in prima persona. Che nel frattempo lei sia diventata ministra, credo non mi abbia agevolata anche nella ricerca di un legale».
    Che cosa le fa più rabbia?
    «Sono rimasta completamente isolata anche dalle istituzioni e ho dovuto combattere per riprendermi la dignità di cittadina e lavoratrice».
    Di recente, ha scritto anche una lettera aperta al presidente Sergio Mattarella.
    «Non ho ancora ricevuto risposta. Volevo solo rappresentargli l'amarezza di una cittadina che ha provato a rispettare le regole sacrificando la sua vita personale e professionale, dando fondo ai risparmi di una vita e grazie all'aiuto dei miei. Non tutti se lo possono permettere e finiscono per accettare l'ingiustizia».
    Che cosa pensa dei colleghi che non hanno denunciato?
    «Provo delusione e compassione ma capisco che con una famiglia, un mutuo, degli impegni economici si sarebbero ritrovati senza un lavoro come me».
    Crede ancora nella giustizia?
    «Non credo nella legge, che non è uguale per tutti».
    Se potesse tornare indietro lo rifarebbe?
    «Non ho dormito per molte notti ma rifarei tutto, in nome della mia onestà».
    Che cosa vede nel futuro?
    «Voglio essere positiva, troverò un lavoro e saranno riconosciute le mie competenze».
    In Italia?
    «Sto pensando di trasferirmi in Francia. Il nostro purtroppo non è un Paese democraticamente maturo, l'ho scoperto sulla mia pelle». —

 

 

 

18.01.25
  1. Processo di secondo grado per l'ammanco da 6 milioni di euro nella finanziaria
    Buco Finpiemonte, il pm insiste in Appello "Condannate Gatti a sette anni e mezzo"
    giuseppe legato
    Condannare l'ex presidente di Finpiemonte Fabrizio Gatti a 7 anni e mezzo di reclusione e confermare tutte le pene già statuite in primo grado per gli altri imputati (tra gli altri 8 anni per Pio Piccini 7 anni e sei mesi per Massimo Pichetti, entrambi rampanti imprenditori), con la sola eccezione di Cristina Perlo ex direttore generale di Finpiemonte, che da quattro anni e mezzo dovrebbe scendere, secondo il magistrato Francesco Pelosi, titolare dell'indagine e rappresentante dell'accusa in primo e secondo grado, a due anni. Il processo d'Appello riguarda la presunta distrazione di quasi sei milioni di euro dalle casse di Finpiemonte. Secondo gli inquirenti il denaro fu dirottato da un conto aperto da Finpiemonte in Vontobel (uno degli imputati era, all'epoca dei fatti, il direttore di una filiale dell'istituto bancario), in favore di una società immobiliare riconducibile a Gatti che versava in difficoltà finanziarie. La storia ruota intorno al destino di tre bonifici partiti da un conto corrente di FinPiemonte aperto in una filiale svizzera della Vontobel Bank e destinati a «Gesi Spa» e alla «P&P Management» di Massimo Pichetti e Pio Piccini, imprenditori che coltivavano contatti e appoggi. Denaro che, secondo la procura, sarebbe servito a salvare un'altra società, la Gem Immobiliare, riconducibile proprio a Gatti. Di Gatti, il pm ha descritto una fotografia di uomo molto influente che trasmetteva un grande senso di gerarchia e il cui parere non veniva mai messo in dubbio «che sostiene di essere stato truffato dai due coimputati, peccato non si capisca come mai gli stessi (Piccini e Pichetti ndr) garantiscano per evitare il fallimento della società a lui riconducibile». A febbraio toccherà a Gatti, per la procura l'architetto del piano per sottrarre il denaro, o meglio al suo legale Luigi Chiappero, spiegare la linea difensiva.

 

17.01.25
  1. AL FRONTE CON LE TRUPPE DI MOSCA
    Soldati nordcoreani, la denuncia della Nato "Sono 11 mila, un terzo è già morto o ferito"
    «Sappiamo che nella regione di Kursk ci sono circa 11 mila soldati nordcoreani utilizzati dai russi. Quello di cui siamo a conoscenza ora, e che sanno anche gli ucraini, è che un terzo di loro sono feriti o morti».
    Lo ha affermato il presidente del Comitato militare della Nato, Rob Bauer, in conferenza stampa la termine della riunione del Comitato. L'ammiraglio olandese ha sottolineato che le truppe inviate da Pyongyang «non vengono utilizzate in modo molto efficace» perché «c'è un problema linguistico con i russi, quindi il coordinamento tra russi e nordcoreani non è realmente possibile». Ha precisato che «non sono necessariamente usati come uno scudo», ma ha sottolineato che la Russia non li usa in modo molto favorevole, quindi «molti di loro moriranno, ed è cossì che vanno le cose».
    Tuttavia, «il più isolato Paese del mondo com'è la Corea del Nord è diventato un attore» nella guerra e questo rappresenta «un cambiamento enorme, in un modo che nessuno pensava possibile», ha osservato ancora Rob Bauer, presidente del Comitato militare Nato.

 

 

 

 

16.01.25
  1. Il governo promette l'immunità a Netanyahu sotto mandato di cattura internazionale Tajani: "Pronti a inviare un contingente militare a Gaza per favorire il processo di pace"
    L'Italia ignora l'Aja "Se Bibi viene da noi non l'arresteremo"
    Grazia Longo
    Roma
    Il governo italiano vede con favore la tregua tra Israele e Hamas. Al punto tale da aver deciso di inviare un contingente militare di caschi blu che vigili sulla pace.
    Lo annuncia il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Siamo pronti anche a dare una presenza militare in previsione di una eventuale scelta delle Nazioni Unite di dar vita ad una sorta di amministrazione modello Unifil in Palestina per unificare la Striscia di Gaza con la Cisgiordania». Il ministro precisa che si tratta di una scelta «per favorire il processo di pace fra due popoli, due Stati». E a conferma delle sue parole lunedì volerà in Israele e Palestina.
    Dove lo attende un delicato lavoro diplomatico, soprattutto, in Palestina. Qui infatti Tajani punta a rafforzare il ruolo di Anp su Hamas. Ma si tratta di una partita complessa perché al momento non è facile individuare un nuovo leader Anp che possa essere apprezzato dai palestinesi. L'obiettivo, comunque, è quello di supportare la pace al più a lungo possibile. «Martedì - precisa il titolare della Farnesina - ho parlato a lungo con il ministro degli Esteri di Israele e con il primo ministro palestinese, ad entrambi ho illustrato la posizione italiana. Noi faremo di tutto perché si possa creare una situazione di stabilità».
    La sua posizione viene ribadita in una nota di Palazzo Chigi: «L'Italia accoglie con grande favore l'annuncio di un accordo per un cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas e si congratula con Egitto, Qatar e Stati Uniti per il risultato raggiunto dopo un lungo impegno negoziale che il Governo italiano - anche in qualità di Presidenza del G7 - ha sempre sostenuto con convinzione». E ancora: «Il cessate il fuoco fornisce un'importante opportunità per aumentare in maniera consistente l'assistenza umanitaria alla popolazione civile di Gaza. L'Italia continuerà a impegnarsi in questo ambito, anche attraverso l'iniziativa "Food for Gaza" incentrata sulla sicurezza alimentare e la salute. L'Italia è pronta a fare la sua parte, insieme ai partner europei e internazionali, per la stabilizzazione e la ricostruzione di Gaza e per consolidare in modo permanente la cessazione delle ostilità, anche nell'ottica di rilanciare un processo politico verso una pace giusta e duratura in Medio Oriente, basata sulla soluzione dei due Stati, con Israele e uno Stato di Palestina che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, all'interno di confini mutualmente riconosciuti».
    Anche il ministro della Difesa Guido Crosetto sostiene un impegno militare per la pace: «La nostra priorità è una pace duratura, che veda ripristinate le condizioni di legalità e rispettati i diritti fondamentali. Continuiamo a credere, testardamente, che due popoli e due Stati possano coesistere in un futuro con dignità e rispetto reciproco. Quello che fino a ieri poteva apparire una pia illusione, oggi è diventata una tregua, domani deve diventare una pace. L'Italia, il suo governo e le Forze armate non si tireranno indietro, come non lo hanno mai fatto, per aiutare e consolidare questo percorso».
    In questo contesto si inserisce anche la garanzia del governo italiano di non arrestare Benjamin Netanyahu in base al mandato della Cpi qualora il premier israeliano dovesse visitare il nostro Paese. È il ministro degli Esteri dello Stato ebraico Gideon Sa'ar, dopo la sua visita ieri a Roma, a divulgare la notizia: «Ho parlato con i ministri Tajani e Nordio. Non ho l'abitudine di riferire ciò che si dice, ma non c'è nessun problema per chiunque venga a Roma, nemmeno per Netanyahu». E Tajani assicura: «Ci sono delle immunità, e le immunità vanno rispettate».
    L'intesa in Medioriente viene apprezzata anche dall'opposizione. La segretaria del Pd Elly Schlein, intervenendo a Metropolis, dichiara: «È un accordo che attendiamo da più di un anno, da quando abbiamo chiesto il cessate il fuoco. Purtroppo non cancella il massacro di 50 mila civili palestinesi, così come non dimentichiamo le vittime del 7 ottobre di Hamas. Abbiamo chiesto il riconoscimento dello Stato di Palestina e questo passaggio non è rinviabile. Se c'è l'accordo, è un primo passo perché come gli israeliani anche i palestinesi hanno diritto a uno Stato in cui vivere in pace e sicurezza».
  2. Craxi e l'ingerenza americana la vera storia della crisi di Sigonella
    Da ottant'anni un Paese di frontiera come l'Italia ha scelto di restare sotto l'ombrello americano e quei pochissimi leader - Bettino Craxi e Aldo Moro - che hanno provato a far rispettare la sovranità nazionale in momenti critici, hanno poi dovuto affrontare un destino avverso. Da decenni un enigma si rincorre senza trovare una risposta precisa: gli americani hanno fatto pagare un qualche prezzo ai leader meno accondiscendenti? Ora, a 25 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, documenti desecretati e nuove testimonianze contribuiscono a capire come andarono le cose. A cominciare dalla vicenda di Sigonella (...), passata alla storia come un evento spartiacque: la prima occasione nella quale un presidente del Consiglio italiano – tra coraggio e azzardo – respinse un'interpretazione hard del concetto di sovranità da parte degli Stati Uniti. Quella vicenda si dipanò lungo l'arco di tre settimane, costò una crisi diplomatica con Washington e una crisi politica a Roma (…), oscurando ciò che l'aveva realmente motivata: l'attacco trasversale ad un piano italiano di pace per il Medio Oriente che Craxi in quella fase stava coltivando, d'intesa col presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. L'attacco alla Achille Lauro fu mosso dalle frange palestinesi fondamentaliste, che osteggiavano Arafat e il piano italiano. A dispetto della fama filo-palestinese di Craxi, il piano aveva un impianto gradualista, puntava, non ancora sui due Stati, ma sull'autogoverno di Gaza e della Cisgiordania e avrebbe messo ai margini gli integralismi israeliani e arabi. Alla prova del tempo, un piano lungimirante. Dunque, in quella occasione accanto all'arroganza americana, Craxi dovette fronteggiare un radicalismo palestinese che nel tempo porterà ad Hamas (…).
    Un piano osteggiato anche da Israele. Peres arriva a Roma il 18 febbraio 1985: è la prima visita di un Capo del governo israeliano in Italia. Il faccia a faccia si svolge nello studio di palazzo Chigi: Craxi cerca il consenso di Peres e quel che accadde allora, lo racconta dettagliatamente l'unico testimone, l'ambasciatore Antonio Badini. Peres si alzò quasi di scatto e disse: «Io non compirò un salto nel buio, Craxi sei in anticipo con la Storia». E Craxi replicò: «Peres, credo ad che essere in ritardo sia tu». I due restarono per qualche attimo in silenzio. La mediazione era fallita. Tutto era partito sull'Achille Lauro (…).
    Certo, Craxi si espose con gli americani con la prova di forza di Sigonella, di nuovo nell'ottobre 1986, facendo avvisare in tempo Gheddafi per un attacco improvviso degli F111 americani che avrebbe dovuto colpire il leader libico, ma per diverse ragioni non si era infranta la fiducia personale che il presidente Reagan aveva per Craxi che tuttavia si era indebolìto: in quelli che Badini chiama «i corridoi del potere» di Washington, nel "deep state", come lo definisce Beppe Scanni. Dunque, quei segmenti formati da Servizi, Fbi, mondo finanziario, consiglieri (…).
    Ma gli americani ordirono una trappola durante la stagione di Mani pulite? Davanti alla gravissima crisi italiana - che è politica, giudiziaria, finanziaria e di protagonismo mafioso - nel giro di tre anni (1991-1993) si manifestano "due Americhe", dietro le quinte drasticamente diverse tra loro: l'amministrazione Bush appoggia incondizionatamente il pool di Mani pulite e non fa nulla per coprire la vecchia classe dirigente della stagione anti-comunista. I dispacci della Ambasciata americana sono espliciti e descrivono una innaturale consuetudine del Console americano a Milano con tutti gli esponenti del Pool. Ma dal 1993 l'amministrazione democratica di Clinton cambia radicalmente, ritira l'appoggio al pool e lo fa con un'iniziativa riservata, del tutto irrituale. Proprio per spezzare quel legame tra ambasciata e Pool, l'ambasciatore Reginald Bartholomew, approfittando della presenza a Roma del giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, lo fa incontrare a Villa Taverna con sette magistrati italiani, il cui nome resterà sempre segreto. Ma non il contenuto del discorso di Scalia: parlando dell'esperienza in corso in Italia, rilevò una «violazione dei diritti di difesa», a cominciare dall'abuso della detenzione preventiva, che «violava i diritti basilari degli imputati». L'ambasciatore scioglie ogni legame con il Pool, ma al tempo stesso investe decisamente su una nuova classe politica. E punta, incontrandoli, su tre personaggi: Silvio Berlusconi, Massimo D'Alema e Gianfranco Fini. La migliore sintesi l'ha fatta Daniel Serwer, capo della rappresentanza diplomatica tra le due Presidenze: Andreotti, Craxi, Martelli, «erano nostri amici» e «però non facemmo nulla per proteggerli». Che è cosa diversa da un complotto, da un "piano x" e tuttavia le due Amministrazioni, pur perseguendo disegni diversi, finirono però per determinare il risultato finale: l'espulsione definitiva dei principali protagonisti della Prima Repubblica (…).
    Craxi fu tra i pochi leader del secondo dopoguerra che provò a superare i rigidi confini stabiliti a Jalta. La sua vita politica è segnata dalla sfida per conquistare il massimo di sovranità, il massimo di libertà possibile per il proprio partito e per il proprio Paese. Un obiettivo che Craxi perseguì senza cedere a scorciatoie verso il facile consenso. Nel 2021 un maestro della scienza politica come Gianfranco Pasquino ha scritto: «Il decisionismo di Craxi, nella misura in cui si esplicitò, non voleva avere e non ebbe nulla di populista». —
  3. Città della Salute, profondo rosso Bilancio in perdita per 62 milioni
    alessandro mondo
    «Prestazioni ad alta complessità in una struttura che sta cadendo a pezzi». La frase di un medico delle Molinette è la sintesi perfetta delle condizioni in cui versa la Città della Salute di Torino, da anni alle prese con una lunga serie di problemi. In primis, conti che non tornano.
    Sia chiaro: tornare, non tornano in nessuna Asl, ma l'azienda ospedaliera-universitaria, la più grande del Piemonte e tra le maggiori in Italia, rappresenta un caso a sè. E non a caso, proprio il bilancio consuntivo 2024, da approvare a fine aprile, è il fronte che inquieta di più Thomas Schael, il nuovo commissario di governo che si insedierà a marzo. Il previsionale 2024, già approvato, si chiude con un saldo negativo di 62 milioni. Più o meno la stessa cifra per il previsionale 2025: 59,4. Per rendere l'idea, il consuntivo 2023 era stato chiuso a - 25 milioni. E' vero che per il 2024 parliamo di un bilancio previsionale, quindi di cifre calcolate sulla stima di perdite da certificare e di poste, cioè di entrate, non del tutto incassate. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, c'è poco da stare allegri. Altrettanto vero che anche quest'anno il passivo sarà coperto dalla Regione (come per le altre aziende). La quale, però, ha già il fiato corto di suo, e per questo la Città della Salute rappresenta un problema.
    «Ci sono due commissari (ndr: Messori Ioli per il Regina Margherita, Schael per Molinette, Cto, Sant'Anna), che contribuiranno a creare due aziende nuove e a risanare quella parte dell'azienda che ha un bilancio che mette oggettivamente in difficoltà il bilancio della Regione», ha rimarcato Alberto Cirio ieri, a margine di una conferenza stampa in Regione. «Il bilancio della Città della Salute è solo parte di un problema di squilibrio di bilancio sanitario regionale, che si ripercuote su tutte le altre poste - spiega il consigliere Daniele Valle, Pd -. Faccio una facile previsione: tra qualche settimana arriverà un nuovo emendamento al bilancio per raccattare qualche decina di milioni e tamponare l'emorragia ai danni di cultura, welfare, trasporti».
    Restando alla Sanità, e all'azienda in corso Bramante, la parole chiave è, per l'appunto, risanamento". Risanamento contabile e risanamento edilizio, facce della stessa medaglia in un'azienda che, per rendere l'idea, spende 30 milioni l'anno per la manutenzione di locali comunque obsoleti. Se poi si domanda a cosa è dovuto l'incremento dei costi nonostante il susseguirsi di "piani di efficientamento", con e senza advisor, mai risolutivi, l'elenco delle voci di costo è interminabile: dalla farmaceutica ai dispositivi medici, dalla manutenzione ai consumi energetici e delle materie prime. Giusto qualche esempio. Voci, tra l'altro, che negli ultimi due anni hanno registrato un'impennata. Senza considerare le vere e proprie eccellenze - dai trapianti alle terapie per la sclerosi multipla all'impiego delle staminali -, remunerate a livello nazionale e regionale meno dei costi che presuppongono.
    Tanto che molti si chiedono se un'azienda così complessa possa effettivamente permettersi di raggiungere il pareggio, se non l'attivo di bilancio. L'attivo magari no, e forse nemmeno il pareggio, ma almeno un passivo meno marcato sì, è la posizione della Regione. Tagliare i costi senza intaccare i servizi: sarà il compito primario del nuovo commissario. —
  4. l rendiconto sarà preparato tra Torino e Chieti, dove si trova il manager. Il direttore amministrativo anticipa l'arrivo a Torino
    Conti ai raggi X e uomini di fiducia Cirio telefona e media con Schael
    «Ci siamo sentiti, Schael farà la sua parte, da uomo delle istituzioni, anche per quanto riguarda gli adempimenti formali necessari all'approvazione dei bilanci: va da sè che chiunque, prima di firmare una cosa fatta da altri, vuole leggerla». Così Alberto Cirio e l'assessore alla Sanità Federico Riboldi ieri, a margine di una conferenza stampa in Regione.
    Messa così, verrebbe da pensare che la levata di scudi del nuovo commissario sul bilancio consuntivo 2024 della Città della Salute - «I patti con la Regione erano diversi, non firmo conti ereditati da altri» - possa essere derubricata come un equivoco, o una crisi di nervi preventiva.
    In realtà le cose sono un po' più complesse. Schael, è vero, ha trasformato in disponibilità la mezza disponibilità manifestata nell'intervista rilasciata ieri al nostro giornale. Ad alcune condizioni e nel corso di una "call" avvenuta ieri mattina - a tambur battente, subito dopo avere letto La Stampa - con Cirio, Riboldi e il direttore dell'assessorato, Antonino Sottile. Le condizioni rimandano alle perplessità sui conti preliminari del 2024, che Schael non conosce ma che presuppongono un passivo a sei zeri. Conti, peraltro, "attenzionati" dalla procura come dalla Corte dei Conti. Un po' troppo per mettere disinvoltamente la firma su quelli definitivi - il bilancio consuntivo, appunto - senza interrogarsi sulle possibili conseguenze. In quest'ottica, la prima uscita a mezzo stampa potrebbe essere letta anche come un segnale alle autorità giudiziarie: un modo per prendere preventivamente le distanze dal bilancio, con e senza firma.
    Ecco perchè i conti della Città della Salute prenderanno a breve la via per Chieti, e per l'Asl che Schael ancora dirige, onde essere passati ai raggi X, parlando di sanità, dal commissario e da Giampaolo Grippa, il direttore amministrativo che gode della sua fiducia. E' lo stesso Grippa che, rispetto alle previsioni, raggiungerà Schael a Torino già a metà marzo, in anticipo rispetto al previsto: la dimostrazione di come il fronte amministrativo e gestionale sia preminente per cominciare ad orientarsi in un'azienda «con una situazione critica», come il commissario ha dichiarato nell'intervista.
    Non ci si limiterà alla lettura del bilancio in questione: più che prevedibili integrazioni e correttivi in corso d'opera, nel solco dei rilievi mossi dalla Corte dei Conti, previa richiesta di chiarimenti da Chieti a Torino. In fase di costituzione il pool di esperti di cui Schael intende avvalersi una volta alla Città della Salute, in comando ad altre Asl o in convenzione con enti strumentali (Agenas, Aifa, Istituto Superiore di Sanità), arruolati pro tempore per aiutarlo a districarsi nei meandri contabili di un'azienda tanto grande quanto complessa: una delle prime ricognizioni riguarderà la spesa per farmaci e dispositivi medici.
    Solo a queste condizioni a fine aprile Schael metterà la firma sul bilancio consuntivo che poi andrà ad aggiungersi a quelli degli ultimi sessant'anni, custoditi con altri documenti in un grande magazzino a Parma, affidato dalla Città della Salute ad una ditta specializzata nella classificazione e conservazione documentale. Magazzino dal quale, su richiesta della direzione o della magistratura, talora uno o più documenti escono prendendo la strada alla volta del Piemonte, e di Torino. Il servizio di custodia e consultazione a seguito della gara conclusa nel 2023 è stato affidato per otto anni per complessivi 852 mila euro: quasi 9 mila euro al mese. ale.mon . —

 

15.01.25
  1. La Guardia di Finanza ne ha già denunciati 23; per tutti gli altri sono in arrivo multe da 27 mila euro La frode inventata da un cittadino ucraino: si faceva pagare 500 euro per il contratto d'affitto fasullo
    Residenze false per truffare Edisu Ottanta studenti stranieri nei guai
    chiara comai
    gianni giacomino
    Sono arrivati a Torino sognando una laurea al Politecnico o in Economia e una vita migliore lontano dai loro Paesi. Ma anche di poter usufruire dei benefit che l'università italiana garantisce agli studenti fuori sede. Borse di studio da migliaia di euro l'anno, per chi ha un Isee basso ed è al passo con gli esami.
    Ed è qui che entra in gioco lui: un uomo di origine ucraina. Un 37enne che, secondo la guardia di finanza, avrebbe venduto dei contratti di affitto falsi, al fine di ottenere la residenza a quegli universitari che non erano riusciti a trovare casa entro il termine per presentare la richiesta di borsa di studio. Il risultato? Un'ottantina di studenti stranieri sono finiti nei guai per truffa.
    Le borse di studio variano dai tre agli ottomila euro all'anno per ogni beneficiario. Undici di loro sono già stati esclusi dai fondi di quest'anno con il rischio di dover lasciare l'Italia, non avendo un sostegno economico. Altri 23 sono stati denunciati e altri 47 – che avevano ricevuto solo la prima rata dei soldi – sono stati sanzionati dovranno pagare multe per un totale di 400 mila euro. «Ogni euro che abbiamo ricevuto è stato destinato alle spese essenziali, soprattutto l'affitto – spiega con un comunicato un gruppo di 35 di questi studenti – La nostra capacità di sopravvivere e di continuare a studiare in Italia dipendeva interamente da questo sostegno finanziario. È illogico pensare che metteremmo a rischio il nostro futuro accademico, la nostra residenza legale e tutto ciò per cui abbiamo lavorato solo per ottenere una frazione di euro in più».
    La maggior parte di loro frequenta il Politecnico e viene dall'Iran. Molti hanno già presentato ricorso al Tar per chiedere l'annullamento della sanzione di Edisu che ha chiesto di pagare circa 27mila euro di multa per ciascuno. Intanto dovranno rispondere di "indebita percezione di erogazioni pubbliche". «Ma non è stata colpa loro, si sono trovati in difficoltà anche a tradurre ciò che dovevano firmare – dice Paolo Barisone, dell'Unione sindacale di base – La maggior parte sono poveri studenti che speravano di avere il permesso di soggiorno e studiare qui».
    Le indagini, però, raccontano una storia chiara. Più di un anno fa gli investigatori del 1°Nucleo Operativo Metropolitano Torino scoprono che un 37enne ucraino affitta i suoi quattro appartamenti in periferia a 66 ragazzi. Affittuari che nel frattempo vivono in altri domicili sparsi per la città, in case di amici e connazionali. Con annunci su Facebook e Telegram e il passaparola, grazie all'aiuto di un mediatore, incontravano il 37enne ucraino per 500 o 600 euro forniva agli studenti un contratto d'affitto necessario per dimostrare a Edisu di abitare in città e così ottenere i fondi: l'uomo è stato denunciato per indebita percezione di erogazioni pubbliche in concorso. Con lui è finito nei guai un 34enne torinese che, con lo stesso meccanismo, aveva permesso a tre aspiranti ingegneri di ottenere altre borse di studio. —
  2. MARY Una delle giovani coinvolte nella vicenda "Non avrei mai messo a rischio i miei studi"
    La ragazza iraniana "Non conosco le leggi mi sono solo fidata"
    «Ci siamo trovati in questa situazione a pochi giorni dall'arrivo in Italia, senza conoscere la lingua né il sistema giuridico. Siamo stati truffati e adesso però siamo noi a dover pagare, rischiando di perdere anche il percorso accademico». Mary ha 24 anni ed è una studentessa iraniana venuta a Torino per studiare Biologia. È arrivata a metà novembre 2023, quando l'anno accademico era già iniziato e a pochi giorni dalla scadenza del termine per caricare i documenti sul portale Edisu per ottenere la borsa di studio.
    Come si è trovata in questa situazione?
    «Ci sono voluti più di due mesi per ottenere il visto per venire qui. Quando sono arrivata qui ero già indietro con le lezioni e senza un posto dove vivere».
    Come ha trovato il proprietario degli alloggi ucraino?
    «I suoi annunci circolavano su Facebook, sui gruppi Telegram e con il passaparola. Per paura di rimanere senza casa mi sono affidata a uno sconosciuto. Mi ha inviato delle fotografie e mi ha chiesto un deposito. Ho firmato un contratto validato dall'Agenzia delle entrate, che ho caricato sul portale Edisu. Invece sono stata truffata».
    Quando se n'è accorta?
    «Dopo aver firmato il contratto. Quando ho cercato di trasferirmi nella casa il proprietario mi ha bloccata e ha cancellato tutte le nostre conversazioni».
    Come mai non avete allertato subito l'Edisu?
    «Non sapevo cosa fare, non parlavo italiano, non conoscevo le leggi e mi sentivo persa. Ero ancora senza casa e molto indietro con gli studi, quindi ho accettato la perdita finché no ho trovato un altro appartamento. Siccome non sapevo come funziona, non ho caricato il nuovo contratto all'Edisu».
    Finché non ha scoperto di essere stata multata e di dover restituire i soldi.
    «La maggior parte di noi ha un Isee inferiore ai 12 mila euro, cosa che Edisu sa, e adesso dobbiamo pagarne 20 mila a testa. Non mi sarei mai messa in questa situazione».
    Quindi lei non era consapevole che fosse una truffa?
    «Non farei mai qualcosa che possa compromettere tutti i miei sforzi per ottenere un visto ed essere accettata per studiare in Italia a un master. Siamo davvero disperati e adesso le nostre vite sono rovinate. Siamo rimasti senza soldi e senza speranza solo perché non conoscevamo le regole e siamo stati sfruttati».
    Vi siete attivati in qualche modo in questi mesi?
    «Abbiamo intrapreso alcune azioni legali e scritto ricordi alla prefettura. Siamo scappati dal nostro Paese per un futuro migliore». c.com. —
  3. LA VERITA' COSTA CARA :  Imprese italiane più pessimiste a fine 2024. Come segnala l'indagine trimestrale della Banca d'Italia presso le imprese italiane dell'industria e dei servizi non finanziari con almeno 50 addetti, nel quarto trimestre dell'anno i giudizi sulla situazione economica generale sono peggiorati.



    Le imprese hanno valutato un indebolimento della domanda, in particolare quella proveniente dall'estero e quella rivolta al comparto dei servizi. Le prospettive sulle proprie condizioni operative a breve termine - continua l'indagine - "sono complessivamente sfavorevoli; vi incidono l'incertezza economico-politica e, in misura più contenuta, i timori sull'andamento dei prezzi delle materie prime energetiche e, specialmente tra le imprese esportatrici, sulle politiche circa gli scambi commerciali internazionali".

    Quanto al 2025 "le imprese prefigurano un'espansione degli investimenti nella prima metà" dell'anno, "nonostante continuino a ritenere sfavorevoli le condizioni per investire. Le condizioni di accesso al credito - continua l'analisi - sono valutate invariate e la posizione complessiva di liquidità è considerata ancora soddisfacente".



    Sul fronte occupazione "la maggior parte delle imprese prevede di mantenere invariata la propria forza lavoro". "La crescita dei prezzi di vendita si è stabilizzata su livelli contenuti nei servizi e nell'industria in senso stretto; nelle costruzioni è diminuita, rimanendo tuttavia più sostenuta rispetto agli altri comparti. Nei prossimi 12 mesi la dinamica dei listini resterebbe sostanzialmente stabile in tutti i settori, a fronte di attese di aumenti salariali contenuti. Le aspettative delle imprese sull'inflazione al consumo sono diminuite su tutti gli orizzonti temporali" conclude l'indagine di Via Nazionale.
     

 

 

 

 

14.01.25
  1. I segreti di Abedini (per ora) restano in Italia Nella scheda madre i piani di una "bomba sporca"
    irene famà
    francesco semprini
    roma – new york
    I segreti di Mohammad Abedini Ajafabadi restano in Italia. Almeno per ora. Dopo la liberazione, decisa in tempi record dal ministro della Giustizia, l'ingegnere iraniano è tornato a casa a Teheran. Ma il cellulare e i dispositivi informatici, presi in consegna il giorno dell'arresto, rimangono sotto sequestro, custoditi dalla procura di Milano.
    Abedini viene bloccato su mandato Usa il 16 dicembre a Malpensa. Per Washington è «l'uomo dei droni» dei Pasdaran di Teheran. E, tramite le sue società tra cui una in Svizzera, avrebbe fornito materiali elettronici all'Iran aggirando l'embargo statunitense. Non solo. Gli americani sono convinti che Abedini sia tra i responsabili dell'attentato avvenuto in Giordania lo scorso gennaio in cui sono morti tre militari Usa. Accuse che, almeno in Italia, non hanno trovato i riscontri necessari. E così l'altro giorno il ministro Carlo Nordio gli ha revocato la misura cautelare. Nessuna estradizione, Abedini è tornato libero.
    Attorno alle 11 di domenica ha lasciato il carcere di Opera e ha raggiunto casa a bordo di un aereo militare Falcon. Un'operazione gestita dall'Aise in gran segreto. L'ingegnere «è contento e sereno, anche se non ha praticamente dormito», racconta il suo legale, l'avvocato Alfredo De Francesco. «Accolto a Teheran dalla famiglia, si è dedicato al figlio piccolo».
    Il suo passaporto, il cellulare, il pc portatile, le chiavette usb, il tablet, i device e gli hard disk che Abedini aveva nel trolley sequestrato all'aeroporto, però, restano in Italia. In una cassaforte al quarto piano del Palazzo di Giustizia di Milano. Ora resta da capire se il legale del trentottenne depositerà una richiesta di dissequestro. E se il Dipartimento di Giustizia americano, tramite rogatoria internazionale, ne chiederà copia al Procuratore di Milano Marcello Viola e all'aggiunto Eugenio Fusco passando dagli uffici di via Arenula. C'è poi la possibilità che i dispositivi rimangano nel "limbo" di una non decisione da parte degli attori coinvolti e quindi custoditi nell'ufficio corpi di reato.
    Segreti. Di cui l'Fbi vorrebbe venire in possesso. E di cui pare siano in possesso i nostri servizi di intelligence. Da fonti americane, sentite da La Stampa, tra il materiale sequestrato ad Abedini ci sarebbero tre "schede madri". Una in particolare sarebbe quella che interessa agli inquirenti Usa. E conterrebbe, secondo quanto rivelato da fonti informate, tecnologie per l'acquisizione di una "bomba sporca", un ordigno fabbricato in maniera rudimentale e impiegabile per attentati contro obiettivi civili.
    Fonti dell'Fbi confermano al giornale l'interesse per i contenuti di tale valigetta. «Imprescindibili» per gli accertamenti, dicono, le «tre schede madri, di cui una di interesse assoluto». E potrebbe essere questo uno degli elementi su cui l'incontro tra la premier Giorgia Meloni e Donald Trump a Mar-a-Lago di sabato scorso si è appoggiato per arrivare al via libera sulla non estradizione di Mohammad Abedini.
    Il punto è capire se questo materiale, di cui la procura di Milano era ed è in possesso, sia stato consegnato ai servizi e a loro volta agli americani che lo vogliono visionare. Oppure se l'intelligence ne ha una copia e ha intenzione di condividerla con gli interlocutori americani. Un altro punto interrogativo, poi, riguarda l'utilizzo di questa tecnologia. Dove avrebbe dovuto essere impiegata? Infine, rimane da comprendere, e non è un dettaglio, se tutto questo intreccio abbia collegamenti con Roma. Gli americani, infatti, stanno cercando di capire se la Capitale fosse un punto di riferimento di Abedini o solo una sorta di piattaforma per fare affari. Il giorno dell'arresto, il trentottenne iraniano è arrivato a Milano da Teheran con un volo con scalo a Istanbul, ma originariamente diretto all'aeroporto Fiumicino di Roma.
    Una volta raggiunta la città turca, Abedini, dicono probabilmente avvisato da qualcuno, ha cambiato destinazione su Malpensa. Ecco quindi spiegato lo scalo all'aeroporto lombardo dove è stato fermato dagli agenti della Digos e arrestato come da indicazioni americane il 16 dicembre. Ovvero tre giorni prima dell'arresto in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala.
    Abedini ora è libero. I suoi dispositivi tecnologici ancora sotto sequestro. E proprio lì, spiegano dagli Usa «ci potrebbe essere scritta la mappa degli spostamenti del signore al servizio di Teheran». Dove ora è tornato, lasciandosi dietro collegamenti. Non pochi. —

 

 

13.01.25
  1. QUALI INFORMAZIONI HANNO I SERVIZI SEGRETI IRANIANI SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SULLE POSSIBILI RESPONSABILITA' DI CIA E MOSSAD ? Con nuovi capi d'accusa sarebbe stato impossibile rilasciare l'uomo che è in possesso anche del passaporto svizzero
    L'improvvisa accelerazione del Guardasigilli e il timore di nuove prove contro Abedini

    Su Mohammad Abedini era attesa la decisione della Corte d'appello di Milano. E mercoledì si sarebbe dovuta tenere l'udienza per discutere dell'eventuale scarcerazione. Tappe precise. Poi l'accelerazione nelle ultime dodici ore. Con il ministro Nordio che ha esercitato la facoltà di poter, in qualunque momento, comunicare ai giudici, obbligati ad attenervisi, la revoca della custodia cautelare.
    Cos'è successo? La spiegazione fornita dal ministero della Giustizia è squisitamente tecnica. Tra le varie contestazioni, Washington accusa Abedini di «associazione a delinquere per violazione dell'International emergency economic powers act», la legge sui poteri economici in caso di emergenza internazionale. Ma il reato previsto dalla norma federale Usa non è contemplato nell'ordinamento italiano. E quindi i presupposti per l'estradizione vengono meno. Inoltre, il periodo di indagine conoscitiva non ha portato a prove evidenti delle accuse americane mosse nei confronti dell'ingegnere.
    Questione di prove e di reciprocità, dunque. La spiegazione dell'improvvisa accelerata sarebbe da cercare proprio lì, raccontano i ben informati. Per rispettare quando promesso all'Iran per ottenere la liberazione della reporter italiana Cecilia Sala, il ministro Nordio si sarebbe affrettato a disporre la scarcerazione immediata. A far passare il tempo, dice chi conosce bene la vicenda, le accuse a carico dell'ingegnere avrebbero potuto irrobustirsi. E sarebbero potute emergere altre ipotesi di reato. Queste configurabili in Italia. A quel punto sarebbe stato impossibile lasciare libero Mohammad Abedini.
    Doppia cittadinanza, iraniana e svizzera, il trentottenne è stato arrestato dalla Digos su mandato americano all'aeroporto di Malpensa il 16 dicembre. Partito dall'Iran, aveva fatto scalo a Istanbul. E avrebbe voluto raggiungere Roma. Ma, poco prima della partenza dalla Turchia, «probabilmente su indicazioni arrivatagli da qualcuno» spiegano fonti americane e italiane, decide improvvisamente di cambiare biglietto. Modifica i suoi piani e si dirige a Milano. Per poi, chissà, magari tornare in Svizzera noleggiando un auto, per evitare i controlli.
    Quali interessi portavano Mohammad Abedini nella Capitale? Chi doveva incontrare? Perché? Per quale motivo, nel trolley che aveva con sé e poi sequestrato, custodiva dei documenti? Suggestioni e ipotesi si rincorrono. Compresa quella che l'ingegnere volesse rivolgersi a dei centri di money transfer a Roma, magari nella zona di piazza Vittorio, per riuscire a pagare i dipendenti iraniani di una delle sue aziende con dollari americani. Oppure che seguisse la partenza e l'arrivo di un flusso di denaro anche per altre faccende su cui sembra sia stato acceso un faro dagli organismi internazionali. Trasferire valuta dall'Italia ad un Paese sotto embargo può configurare fattispecie di reato tali che, se provate, avrebbero allargato il fascicolo giudiziario contro l'ingegnere in Italia. Un aggravio di accuse che avrebbe potuto compromettere la sua scarcerazione immediata.
    Sembra che non fosse la prima volta a Roma per Mohammad Abedini, considerato dall'intelligence un vero e proprio emissario del regime iraniano. Gli americani hanno pochi dubbi: il trentottenne è «un affiliato dei Pasdaran che da tempo si sarebbe infiltrato in Italia» per poi fare base in Svizzera. Gli spostamenti dell'ingegnere, spiegano fonti Usa, erano monitorati da tempo. I suoi e quelli del socio in affari Mahdi Sadeghi, per cui sono scattate le manette sempre il 16 dicembre in Massachussetts. Entrambi, sostengono gli americani, avrebbero cospirato per esportare tecnologia statunitense in Iran, aggirando le sanzioni, e avrebbero supportato le Guardie rivoluzionarie che gli Usa considerano un'associazione terroristica.
    E tra i dissidenti in Italia c'è chi è arrivato a definire Mohammad Abedini una sorta di erede di Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare e generale della Guardia rivoluzionaria iraniana ucciso in un agguato nel novembre 2020 ad Abasard, in provincia di Teheran. ire. fam
  2. Quelle valigette con dati sul nucleare che fanno gola ai Servizi americani
    Francesco Semprini
    New York
    C'è qualcosa che manca nel mosaico della ricostruzione della vicenda che riguarda Mohammad Abedini-Najafabadi, il cittadino di origini iraniane fermato all'aeroporto di Malpensa su indicazione della autorità Usa. «Un affiliato dei Pasdaran che da tempo si sarebbe infiltrato in Italia», secondo gli americani, per poi fare base in Svizzera, dove ha fondato la società con la quale girava tecnologie vietate a Teheran, dicono a La Stampa fonti informate dei fatti che considerano Abedini un ganglo della lunga mano della Guardia rivoluzionaria iraniana in occidente. Informate al punto tale da spiegare che nella sua valigetta ci sarebbero stati alcuni hard disk esterni, uno dei quali conterebbe segreti che riguardano tecnologie nucleari. E che gli inquirenti americani vogliono a tutti i costi. Perché? Di quale genere o entità o contenuti non è al momento dato saperlo, ma presumibilmente potrebbero essere tecnologie nucleari. Fonti della Fbi confermano al giornale l'interesse per i contenuti della valigetta. Sono «imprescindibili», «tra i dischi rigidi, uno è di interesse assoluto». Quindi potrebbe essere questo uno degli elementi su cui l'incontro (definito «costruttivo» dallo staff del presidente entrante) tra Giorgia Meloni e Donald Trump a Mar-a-Lago si è appoggiato per avere il via libera sulla non estradizione di Abedini.
    Secondo quanto riferito a La Stampa da Alan Dershowitz, avvocato, giurista, professore di Harvard e già legale del 47 esimo presidente degli Stati Uniti, il trentottenne iraniano, peraltro, il giorno dell'arresto arrivava da Teheran con un volo con scalo a Istanbul ma originariamente diretto all'aeroporto Fiumicino di Roma. Una volta raggiunta la città turca avrebbe però cambiato destinazione su Malpensa, «probabilmente su precise indicazioni che gli sono state date», spiegano fonti americane e italiane. Ecco quindi spiegato lo scalo all'aeroporto lombardo dove poi, sempre il 16 dicembre, è stato fermato dagli agenti della Digos e arrestato come da indicazioni americane. Tutto questo tre giorni prima dell'arresto della giornalista italiana Cecilia Sala evidentemente legato a quello di Abedini, i cui spostamenti erano attenzionati da tempo. La tempistica dell'arresto, avvenuta in contemporanea a quella del socio in affari, Mahdi Sadeghi - per cui sono scattate le manette sempre il 16 dicembre in Massachussetts - è dovuta più al rischio di nuovi «trasferimenti pericolosi» che al pericolo di fuga.
    Rimane il fatto che Abedini sembra essere più di un faccendiere, forse, addirittura un emissario del regime, così come rimane da capire perché volesse giungere a Roma e con quali scopi. Cosa che era già accaduta in passato. Nel dossier di 36 pagine consegnato dall'agente speciale dell'Fbi Ronald Neal alla Corte distrettuale del Massachusetts, di cui La Stampa è in possesso, viene tratteggiato un profilo chiaro dei due soggetti finiti nel mirino della Giustizia Usa.
    Secondo i documenti del tribunale, Abedini è il fondatore e amministratore delegato di una società iraniana, San'at Danesh Rahpooyan Aflak (Sdra), che produce moduli di navigazione utilizzati nel programma militare dei Pasdaran. L'attività principale è, in particolare, la vendita di un sistema di navigazione utilizzato in velivoli senza pilota, missili da crociera e balistici. Abedini ha fondato una compagnia svizzera collegata a Sdra, Illumove, attraverso cui, assieme a Sadeghi, ha stipulato un contratto con una società con sede nel Massachusetts per sviluppare componenti elettronici, tra cui sofisticati semiconduttori. Sadeghi e Abedini hanno quindi provveduto, secondo le accuse, al trasferimento di beni, servizi e tecnologia dagli Usa all'Iran, attraverso la Svizzera (ovvero Illumove), a beneficio di Sdra, eludendo i divieti imposti dalle sanzioni sul trasferimento di componentistica a uso militare alla Repubblica islamica. Tecnologia che sarebbe stata impiegata appunto nella produzione di droni, tra cui quello che ha causato la morte dei tre militari a stelle strisce di stanza nella Tower 22. Da questo quadro nascono l'incriminazione per «cospirazione per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all'Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni» e la richiesta della autorità federali a quelle italiane di arresto con successiva estradizione dello stesso Abedini. «Il dipartimento di Giustizia riterrà responsabile coloro che consentiranno al regime iraniano di continuare a colpire e uccidere gli americani e minare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha commentato il ministro Merrick B. Garland. Ecco perché gli Usa volevano l'estradizione di Abedini, perché avrebbe violato le sanzioni, «contribuito» all'uccisione di tre militari americani, e soprattutto - è questa la novità - non sarebbe solo una pedina o un faccendiere, ma un esponente dei Pasdaran che avrebbe tramato e agito a lungo ai danni degli Stati Uniti. Il dipartimento Giustizia Usa, interpellato da La Stampa, ha preferito non commentare. Ultimo punto: quale era il giro di Abedini a Roma? Non era la prima volta che passava nella capitale. Su questo si aspettano chiarimenti dagli inquirenti. —
  3. ALTRO CASO DI INTERESSE NAZIONALE a dicembre il precedente dell'ingegnere italo-svizzero
    Falciani, l'altra estradizione negata
    L'ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, tornato libero ieri dopo l'intervento del ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio, non è di certo il primo caso che riguarda la mossa di un membro del governo per bloccare un'estradizione. L'ultimo e freschissimo precedente risale allo scorso 18 dicembre, quando ritornò in libertà Hervè Falciani, dopo essere stato arrestato a Milano lo scorso 7 dicembre in esecuzione di un mandato d'arresto internazionale emesso dalle autorità svizzere. L'ingegnere italo-svizzero era passato alla ribalta delle cronache per essere stato il "whistleblower", la "gola profonda" di una vicenda legata ad alcuni segreti finanziari passati attraverso i dati bancari della Hsbc. Anche in quel caso la quinta Corte d'Appello di Milano firmò un provvedimento con cui recepì una nota del ministero della Giustizia che disponeva di non mantenere alcuna misura cautelare nei suoi confronti. In Svizzera Falciani era stato condannato nel 2015 a cinque anni per spionaggio economico ai danni della banca di cui era stato dipendente. —
  4. ISTRAELE E' DIVENTATO UN AGGRESSORE :  La premio Nobel in difesa dei diritti in Medio Oriente: "Non legittimate i talebani, cancellano le donne"
    La denuncia di Malala: "Nella Striscia Israele ha decimato il sistema educativo"
    Fabiana Magrì
    «In poche parole, i talebani in Afghanistan non considerano le donne come esseri umani». Lo dice con contezza Malala Yousafzai, che a 15 anni è stata colpita alla testa da un proiettile dei talebani. La pallottola avrebbe dovute metterla a tacere, lei che già da due anni era diventata celebre come attivista per il diritto delle bambine all'istruzione grazie a un blog sul sito della Bbc in cui denunciava le violenze dei talebani pakistani. Invece, dopo altri due anni da quell'imboscata a bordo dello scuolabus, nel 2014 è diventata la più giovane onorata del Premio Nobel per la pace. La 27enne Yousafzai oggi vive a Birmingham e continua dall'esilio la sua lotta. Tornata in Pakistan solo poche altre volte dopo l'attentato - la prima è stata nel 2018 - ieri si è presentata a Islamabad, al cospetto dei leader di Paesi a maggioranza musulmana, per denunciare il governo talebano in Afghanistan per aver «nuovamente creato un sistema di apartheid di genere». L'attivista pakistana, «sopraffatta dalla felicità» di essere tornata nel suo paese d'origine, ha voluto precisare che «non c'è nulla di islamico» nelle politiche dei talebani che impediscono alle ragazze e alle donne di accedere all'istruzione e al lavoro. Quindi l'appello a «non legittimare» quel regime di fondamentalisti tornati al potere a Kabul nel 2022 che, non a caso, ha declinato l'invito a partecipare al vertice.
    La Nobel per la Pace ha denunciato anche i bombardamenti di Israele a Gaza che, in q5 mesi di guerra, «hanno decimato l'intero sistema educativo, distrutto più del 90% delle scuole e attaccato indiscriminatamente i civili che si rifugiavano negli edifici scolastici».
  5. Le mancate disdette delle prestazioni specialistiche e diagnostiche sottraggono posti a chi è in lista e non ha alternative
    Il 20% prenota le visite e non si presenta

    alessandro mondo
    Nei Paesi anglosassoni li chiamano "no show". Tradotto in italiano, coloro che prenotano visite specialistiche ed esami diagnostici, salvo non presentarsi il giorno fissato. E senza disdire prima l'appuntamento. Senza curarsi del fatto che, così facendo, ambulatori e laboratori di analisi non hanno più il tempo di chiamare chi era in attesa, da tempo, per ottenere la stessa prestazione.
    Quando si parla di liste di attesa, meglio: di riduzione delle liste di attesa, bisogna parlare anche di questo. Un dato, per chiarire subito il quadro: i "no show" rappresentano il 20 per cento di chi prenota. Lo ha ricordato venerdì l'assessore alla Sanità Federico Riboldi durante la presentazione in Regione della nuova squadra dei direttori generali di Asl e ospedali. Un dato passato quasi inosservato, subito sepolto dal susseguirsi di altri dati - come i pazienti cronici da prendere in carico, in Piemonte il 30 per cento - e dichiarazioni, che solleva il velo su un problema significativo per implicazioni: prestazioni diagnostiche e specialistiche saltate, che vanno ad allungare l'attesa di chi invece aspetta mesi, se non anni. Per non parlare del danno economico, perché dietro agli accertamenti saltati ci sono comunque costi per il personale e di ammortamento dei macchinari.
    Calcolando che per la specialistica e la diagnostica il costo stimato si aggira intorno ai 20 miliardi l'anno, ha spiegato il ministro della Salute Orazio Schillaci, si parla di uno spreco di circa 4 miliardi, risorse che si sarebbero potute utilizzare per garantire un surplus di ossigeno alla Sanità pubblica, con il fiato perennemente corto.
    Non a caso, il decreto "taglia liste di attesa" del giugno scorso prevede che il Cup due giorni prima contatti l'assistito chiedendogli conferma dell'appuntamento. Dopodiché: chi non si presenta senza disdire paga il ticket. Altre risorse recuperate.
    Per questo bisogna attendere la parte applicativa del decreto, spiegano dalla Regione e da Azienda Zero. Mentre nel Cup riformato al quale si lavora in Piemonte, con riferimento al software implementato con l'Intelligenza artificiale (la gara partirà entro gennaio), «è previsto un sistema di accettazione automatica della visita, in assenza della quale si verrà richiamati». Così spiega Riboldi. In altri termini: una volta ricevuto il messaggio sms con cui il Cup ricorda l'appuntamento, questo accade già oggi, l'utente potrà/dovrà confermare o meno, via messaggio o tramite l'app (per chi l'ha scaricata).
    Un sistema utile per affrontare un problema che però sarebbe riduttivo liquidare come «maleducazione sanitaria». «La percentuale di quanti non si presenta cresce con l'aumentare del tempo di attesa - commenta Chiara Rivetti, segretaria del sindacato medico Anaao Assomed Piemonte - In alcuni casi perché per accelerare i tempi ci si è rivolti al privato, in altri perché il problema di salute si è risolto e la richiesta del medico si rivela essere stata poco appropriata. Purtroppo, però, ci sono anche pazienti che nell'attesa peggiorano e non si presentano alle visite, sono tra quelli che in questi giorni affollano i pronto soccorso». Per dirla tutta. —

 

12.01.25
  1. CHI BLOCCA ORCEL ? Il governo tira dritto sul dossier Unicredit-Banco Bpm e punta ad avviare la procedura formale di golden power. La pre-notifica che i legali di Andrea Orcel hanno inviato a Palazzo Chigi il 13 dicembre non è bastata a placare la politica: dopo meno di un mese di riflessioni, l’esecutivo vuole avere più documenti a disposizione prima di pronunciarsi sull’offerta da 10,1 miliardi di euro promossa su Banco Bpm.



    Il gruppo di coordinamento che si occupa di valutare le applicazioni di golden power, infatti, ha deliberato che rientra nei casi in cui è possibile l’applicazione e quindi ora si aspetta la notifica dell’operazione da parte di Unicredit per poi avviare il provvedimento che potrà dettare i paletti entro cui muoversi.

    Con l’avvio della procedura, Palazzo Chigi guarderà nel dettaglio i documenti che riguardano l’Ops per valutare possibili rischi per Banco Bpm che è giudicata strategica dal governo. Piazza Meda in autunno è stata prescelta come il giusto partner di Montepaschi di Siena, prima che Orcel complicasse i piani del terzo polo e accendesse il risiko bancario. Ma l’idea di legare Siena e Milano resta viva e rallentare la scalata di Unicredit, che ha sempre il suo fronte aperto in Germania con Commerzbank, può essere funzionale a salvare il progetto iniziale.

    Proprio nei giorni scorsi l’azionariato di Mps ha avuto un nuovo scossone: Delfin, la finanziaria degli eredi Del Vecchio, è salita al 9,78% delle azioni, diventando il primo socio privato di Rocca Salimbeni. E Francesco Gaetano Caltagirone, al 5% ufficialmente, avrebbe arrotondato la sua quota nella libertà di movimento che è concessa sotto il 9,9%. Movimenti che lasciano trasparire fiducia sul futuro di Siena e nelle cartucce del governo per portare al traguardo il progetto del terzo polo. Mentre fonti politiche legate alla maggioranza sottolineano il tentativo ostacolare l’interesse di Orcel per Banco Bpm e indirizzarlo verso un altro obiettivo: Bper.

    Guardando a quelli che potrebbero essere i paletti che Palazzo Chigi potrebbe imporre con il golden power, secondo fonti finanziarie gli ambiti di applicazione ipotizzati sono due: si potrebbero, infatti, mettere vincoli per mantenere il numero degli sportelli e tutelare i dipendenti impedendo licenziamenti. Del resto era stato proprio il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, appena Unicredit aveva comunicato l’operazione, a sottolineare che «vedremo, come è noto esiste la golden power. Il governo farà le sue valutazioni». Ora queste valutazioni sono state fatte e il passo successivo sarà proprio definire nel dettaglio cosa comporta la scelta di proseguire nell’applicazione.

 

 

 

11.01.25
  1. 1,5°
    Abbiamo superato la soglia critica adesso il Pianeta ci presenta il conto
    L'anno 2024 ha segnato un momento storico nella crisi climatica: per la prima volta, l'aumento della temperatura media globale ha raggiunto la soglia critica di 1,5°C rispetto all'era preindustriale. A stabilirlo, da un punto di vista scientifico, è stato Copernicus, il servizio europeo per il cambiamento climatico. Un aumento della temperatura senza precedenti che abbiamo avuto modo di vedere anche con i nostri occhi nella furia del ciclone Chido in Mozambico, nelle inondazioni di Valencia in Spagna, e ora con gli incendi che bruciano la California.
    Le fiamme che divorano ettari di vegetazione rappresentano la manifestazione più visibile di un sistema climatico che sta cambiando a una velocità mai vista prima nella storia recente.
    Il principale motore del surriscaldamento globale è «l'accumulo di gas serra in atmosfera, dovuto principalmente alla combustione di carbone, petrolio e gas», dice Copernicus, aggiungendo che la concentrazione di Co2 non è mai stata così elevata negli ultimi due milioni di anni.
    Paradossalmente, proprio mentre le evidenze scientifiche si accumulano e gli eventi estremi si intensificano, assistiamo a una preoccupante recrudescenza del negazionismo climatico ai più alti livelli politici. Il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, continua a descrivere il cambiamento climatico come una «bufala», proponendo politiche che andrebbero a smantellare gli accordi internazionali sul clima e le misure di protezione ambientale. Al cuore di questo negazionismo si nasconde una forma particolarmente insidiosa di egoismo sistemico. Le forze politiche che negano l'emergenza climatica stanno perpetrando quello che potrebbe essere definito un vero e proprio furto generazionale: sacrificano consapevolmente il futuro dei giovani e delle generazioni a venire sull'altare del profitto immediato e degli interessi di pochi. Non si tratta solo di miopia politica, ma di una deliberata mancanza di solidarietà intergenerazionale, un tradimento del patto sociale che dovrebbe legare le generazioni tra loro.
    I dati parlano chiaro: negli ultimi decenni, la stagione degli incendi si è allungata di quasi due mesi, e gli incendi stessi sono diventati più intensi, più estesi e dunque più difficili da contenere. Queste non sono opinioni politiche, ma fatti documentati dalla comunità scientifica. E le conseguenze non sono solo ambientali: intere comunità vengono sfollate, la qualità dell'aria peggiora drammaticamente, e i costi economici si moltiplicano al punto che negli Stati Uniti le assicurazioni si chiamano fuori. Gli esperti dicono che ci stiamo dirigendo verso un mondo non assicurabile: i rischi climatici aumentano di anno in anno e le compagnie assicurative non sono in grado di coprirli (del resto è più facile fare i negazionisti con i soldi degli altri).
    Eppure il contrasto tra la realtà fisica e materiale in cui viviamo e la retorica negazionista non potrebbe essere più stridente. La questione climatica si configura sempre più come una cartina di tornasole che rivela la vera natura del conflitto politico contemporaneo: da una parte chi è disposto a sacrificare il benessere collettivo e il futuro delle nuove generazioni per preservare un sistema basato sull'energia fossile e dunque l'attuale status quo economico, dall'altra chi comprende che la solidarietà intergenerazionale non è solo un imperativo morale, ma una necessità di sopravvivenza.
    Mentre i vigili del fuoco combattono fiamme sempre più aggressive e le comunità locali fanno i conti con i danni, il dibattito politico continua a essere inquinato da narrazioni che negano l'evidenza scientifica attraverso una sistematica disinformazione. Perché l'epoca in cui viviamo è un'epoca di cambiamenti del clima, ma anche le parole che usiamo per raccontarli stanno cambiando. C'è una differenza cruciale tra allarme e allarmismo. Mentre i dati sul riscaldamento globale e sugli incendi sono indubbiamente preoccupanti, la società civile e molte amministrazioni locali stanno reagendo, anche in opposizione alle posizioni negazioniste.
    Il superamento della soglia di 1,5°C nel 2024 non rappresenta un punto di non ritorno, ma piuttosto un campanello d'allarme che richiede un'azione ancora più decisa. Gli incendi della California ci ricordano che il cambiamento climatico non è una teoria politica da dibattere, su cui ognuno può esprimere la propria opinione, ma una realtà scientifica, fisica, che richiede risposte immediate e concrete.
    Nell'epoca della post-verità, la vera sfida è quindi culturale prima ancora che tecnologica o politica: si tratta di scegliere tra un modello sociale fondato sull'egoismo sistemico e uno basato sulla solidarietà intergenerazionale. Le immagini apocalittiche della California che brucia ci mostrano drammaticamente che il tempo delle scelte è ora.
    Le soluzioni esistono e stanno già dando risultati, ma richiedono un impegno continuo e coordinato a tutti i livelli della società, basato su evidenze scientifiche e non su convenienze politiche: un cambio di paradigma che metta al centro la responsabilità verso le generazioni future e verso i nostri figli.
    Solo così potremo sperare di stabilizzare il clima e proteggere le nostre comunità da eventi estremi che già oggi sono la nostra nuova normalità. —
  2. è il disastro naturale più costoso. decine di migliaia di polizze non rinnovate
    Danni per 150 miliardi, le assicurazioni non coprono più
    simona siri
    new york
    Il disastro naturale tra i più costosi nella storia degli Usa - si parla di danni per 150 miliardi - rischia un altro primato: la fine delle polizze assicurative sulle case. Negli ultimi tre anni le compagnie assicurative private hanno tagliato la copertura nelle aree a rischio, lasciando i proprietari di case senza alternative. State Farm, il più grande assicuratore immobiliare dello Stato, a marzo aveva annunciato che non avrebbe rinnovato 72.000 polizze, mentre Chubb e le sue controllate avevano già smesso di sottoscrivere nuove case di alto valore e con un rischio di incendi più elevato. La conseguenza è stata che California Fair Plan - assicuratore di ultima istanza, con copertura limitata, creato negli anni Sessanta per assicurare i quartieri di Los Angeles devastati dalle rivolte che nessun privato voleva coprire - ha più che raddoppiato le sue polizze tra il 2020 e il 2024. Nella sola Pacific Palisades, Fair Plan assicura proprietà per quasi 6 miliardi di dollari, mentre State Farm l'anno scorso abbandonava quasi il 70% delle sue polizze nel quartiere. «Una delle maggiori compagnie di assicurazioni circa quattro mesi fa ha annullato tutte le polizze di Palisades», ha scritto l'attore James Woods su X. Anche Trump, tra una critica al governatore democratico Newsom sulla gestione delle riserve d'acqua e l'altra, ha commentato: «Gli incendi a Los Angeles potrebbero considerarsi, in termini di dollari, i peggiori nella storia del nostro Paese. In molti dubitano che le compagnie assicurative abbiano abbastanza soldi per pagare questa catastrofe». «Siamo consapevoli della disinformazione pubblicata online riguardo alla capacità del Fair Plan di pagare i sinistri», ha detto la portavoce, affermando che l'assicurazione sarà in grado di rimborsare. Ciò significa non andare in bancarotta, ma per sperare di salvarsi la compagnia dovrebbe aumentare i tassi su tutte le altre polizze dello stato, facendo salire i prezzi alle stelle. A dicembre, lo Stato della California aveva approvato un nuovo regolamento non ancora in vigore che imporrà alle compagnie assicurative di offrire copertura ai residenti nelle aree a rischio pari almeno all'85% della loro quota di mercato. —
  3. Cimitero
    Gaza
    Francesca Mannocchi
    A dicembre Jonathan Dumont, capo della comunicazione per le emergenze del Programma alimentare mondiale (Wfp) ha visitato la Striscia di Gaza.
    Dopo aver atteso ore al valico di frontiera israeliano di Kerem Shalom, una delle poche rotte usate per la consegna degli insufficienti aiuti umanitari, ha raggiunto Khan Younis, nel Sud della Striscia.
    Al valico, oltre ai convogli degli operatori, chilometri di rifornimenti. Cibo, carburante, medicine che aspettano autorizzazioni non arrivano.
    Dumont ha trascorso dieci giorni a Khan Younis e ha scritto un toccante quanto severo resoconto di quello che ha visto. Uomini, donne e bambini che si prendevano a spintoni l'uno con l'altro per non perdere una ciotola di riso, folle disperate che gridavano solo: ho fame.
    Dumont è un operatore umanitario d'esperienza, ha lavorato ad Haiti devastata dalle bande armate, in Congo, ha visitato il Sudan in guerra. Eppure, scrive, a Gaza la scala è diversa.
    Una disperazione stretta tra il mar Mediterraneo e la distruzione infinita. Ma soprattutto «c'è un'altra differenza rispetto a molte altre zone di guerra: per i cittadini di Gaza non c'è modo di sfuggire al conflitto. Sono intrappolati».
    Non c'è via d'uscita e non c'è cibo. Quasi tutti gli abitanti della Striscia hanno disperato bisogno di aiuti umanitari, quello che entra non basta e le organizzazioni come il Wfp sono state costrette a tagliare le razioni alimentari, e poi tagliarle ancora.
    Il cibo che è entrato nella missione di dicembre, quella di Dumont, bastava per un milione di persone (metà della popolazione di Gaza) e solo per dieci giorni.
    Israele ostacola gli aiuti e le bande armate assaltano i camion, per rivedere il cibo al mercato nero. Un sacco di farina costa 150 dollari, un chilo di peperoni 190 dollari. Nessuno compra niente, perché nessuno ha più soldi. Gli adulti, scrive Dumont, aspettano le razioni quando ci sono, i bambini camminano anche due chilometri per prendere un po' d'acqua.
    Della strada verso l'uscita da Gaza, alla fine della sua missione, ricorda i corpi a terra, in decomposizione «lungo il corridoio militarizzato di Netzarim - che divide il nord e il sud dell'enclave - abbiamo visto cadaveri sparsi a sinistra e a destra, in decomposizione al sole. Qualche centinaio di metri dopo, un piccolo gruppo di donne e bambini si è diretto in quella direzione, trasportando pochi averi».
    Il 5 gennaio un altro convoglio del Programma alimentaremondiale, segnalato come mezzo umanitario, è stato colpito dalle forze armate israeliane vicino al check point di Wadi Gaza.
    I tre veicoli, che dovevano trasferire otto membri dello staff dell'organizzazione internazionale, sono stati raggiunti da 18 proiettili nonostante la traiettoria fosse stata concordata in precedenza e pertanto autorizzata dall'esercito di Israele.
    È solo l'ultimo esempio dei rischi che corrono le agenzie umanitarie per provare a garantire l'assistenza umanitaria all'interno della Striscia sempre più affamata. Secondo gli esperti, il 90 percento della popolazione affronta livelli di "crisi" di insicurezza alimentar e 300.000 persone stanno vivendo uno stato di "fame catastrofica" cioè il livello più alto di insicurezza alimentare. Un sondaggio condotto dall'Unicef tra il 20 e il 26 novembre ha rivelato che l'80 percento delle famiglie intervistate nella Striscia di Gaza aveva almeno un bambino senza cibo nei tre giorni precedenti al sondaggio.
    Le vittime palestinesi, i numeri
    Sono almeno 74 i bambini uccisi solo nella prima settimana del 2025, in diversi attacchi soprattutto notturni a Gaza City, Khan Younis ad Al-Mawasi, designata come zona sicura dalle forze armate israeliane.
    Settantaquattro bambini che vanno ad allungare una lugubre lista di vittime dell'offensiva israeliana su Gaza che un recente studio di Lancet afferma essere superiore rispetto alle cifre del ministero della Salute di Gaza.
    La rivista scientifica stima, infatti, che nei primi nove mesi ci siano stati 64.260 decessi per ferite traumatiche, cifra decisamente maggiore rispetto ai 37.877 decessi registrati dalle autorità nel territorio palestinese. La cifra è stata calcolata utilizzando uno schema che incrocia tre elenchi separati e confronta registri sovrapposti di tre fonti: i decessi documentati in ospedali e obitori dal Ministero della Salute, un sondaggio online gestito anch'esso dal ministero e necrologi condivisi su varie piattaforme di social media, tecnica questa che è ampiamente utilizzata per stimare le popolazioni quando condurre conteggi completi è poco pratico o i dati disponibili non sono affidabili.
    Secondo questo schema, la cifra dei decessi risulta superiore del 69,95% rispetto alle cifre rese pubbliche dalle autorità sanitarie di Gaza, organismo sotto il controllo di Hamas e in conclusione, l'articolo di Lancet suggerisce che, in base alla metodologia, il numero delle vittime potrebbe essere superiore a 70.000.
    I rischi delle prossime settimane
    Due giorni prima che il convoglio del Programma Alimentare Mondiale venisse colpito, otto membri del Comitato per gli affari esteri e la difesa della Knesset, il Parlamento israeliano, hanno chiesto al ministro della Difesa Israel Katz di ordinare la distruzione di tutte le fonti d'acqua, energia e cibo nel Nord della Striscia.
    I parlamentari, membri del Likud, il partito di Netanyahu, di Sionismo Religioso, il cui leader è Smotrich, e di Otzma Yehudit, guidato da Ben Gvir, chiedono all'esercito esplicitamente di «ripulire» la parte settentrionale di Gaza dai residenti rimasti, aggravando l'assedio, distruggendo le infrastrutture e «uccidendo chiunque non abbia una bandiera bianca».
    La lettera al ministro della Difesa Katz è esplicita: secondo i firmatari le strategie militari non funzionano, o almeno non consentono lo smantellamento totale delle capacità militari di Hamas, quindi i piani di guerra vanno riconsiderati. Prima affamare, e poi «entrare gradualmente per una completa pulizia dei nidi del nemico».
    Non solo nella parte settentrionale della Striscia, ma a Gaza in tutta la sua estensione.
    L'esercito israeliano, che ha assediato la parte nord di Gaza dal 6 ottobre, ha sempre negato di mettere in pratica il famigerato "piano dei generali". Il piano imporrebbe una completa evacuazione della parte Nord, considerando ogni civile che resta all'interno dell'area come obiettivo militare, bloccando l'ingresso di ogni tipo rifornimento, siano cibo, acqua o medicine. Ma, nonostante le prese di distanza, quello che da tre mesi avviene a Nord del corridoio Netzarim è uno svuotamento dall'area dei palestinesi, e un blocco totale dei viveri.
    L'Ufficio delle Nazioni unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha riferito che, tra il 6 ottobre e il 30 dicembre 2024, l'Onu ha tentato di raggiungere le aree assediate nella parte settentrionale di Gaza 164 volte: 148 tentativi sono stati respinti dalle autorità israeliane e 16 sono stati ostacolati. La Palestinian Civil Defence stima che in tre mesi siano state uccise circa 2.700 persone e più di 10.000 ferite, ma è impossibile sapere con esattezza quante persone restino a Nord.
    Le prossime settimane saranno cruciali per la popolazione della Striscia di Gaza sia per l'insediamento di Trump e per le sorti dell'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Secondo un funzionario israeliano intervistato dalla Cnn pochi giorni fa, Israele starebbe valutando di limitare ancora l'accesso degli aiuti umanitari dopo l'insediamento del nuovo presidente, e alla fine del mese dovrebbero entrare in vigore le leggi votate dal Parlamento israeliano a ottobre che vieterebbero all'agenzia di operare su territorio israeliano.
    Per i palestinesi sarebbe una catastrofe.
    Israele ha accusato l'Unrwa di essere una copertura di Hamas, sovrapponendo spesso l'agenzia Onu con il gruppo. Per i palestinesi, l'Unrwa, è uno strumento indispensabile di sopravvivenza, che svolge una funzione quasi statuale e fornisce cibo, acqua e medicine a centinaia di migliaia di abitanti di Gaza e ai milioni di palestinesi che vivono tra Giordania, Libano e Siria. Philippe Lazzarini, direttore dell'Agenzia, poche settimane fa ha scritto pubblicato sul britannico The Guardian, il cui titolo è "Unrwa potrebbe essere costretta a smettere di salvare vite a Gaza. Il mondo permetterà che questo accada?".
    Guterres avverte, allarmato, sull'impatto devastante e multigenerazionale che il divieto di accesso all'istruzione, alla sanità e ai servizi sociali avrebbe.
    E conclude: «Abbiamo ancora una finestra di opportunità per scongiurare un futuro catastrofico in cui potenza di fuoco e propaganda costruiscono l'ordine globale, determinando dove e quando i diritti umani e lo stato di diritto si applicano, se mai lo fanno. Gli strumenti e le istituzioni necessari per difendere e rafforzare il nostro sistema multilaterale e l'ordine basato sulle regole esistono e sono adeguati: dobbiamo solo trovare il coraggio politico di usarli».
  4. Tre morti per la calca alla Grande Moschea della capitale. Poi la tappa a Beirut dal neopresidente Aoun
    Tajani a Damasco per un "ponte" tra Siria e Ue
    Fabiana Magrì
    L'Italia si offre alla Siria come «ponte» di collegamento con l'Europa. Ma chiede al nuovo leader Ahmed Al Sharaa di ergere una diga per fermare «l'immigrazione illegale». Il vice premier Antonio Tajani è andato ieri a Damasco con l'intenzione di confermare l'impegno italiano per «accompagnare il processo di pacificazione e ricostruzione del Paese» nel quadro «dei più ampi sforzi per una stabilizzazione della regione». E per rilanciare in Siria «la cooperazione economica in settori cruciali». La diplomazia italiana, l'unica con una rappresentanza operativa a Damasco, sta moltiplicando gli sforzi nell'area. Giovedì Roma ha ospitato i ministri del Quint, ai quali Tajani ha suggerito di favorire «i segnali incoraggianti» dalla nuova amministrazione siriana. Nell'incontro con i nuovi vertici, tra cui il ministro degli Esteri Hassan Al Shibani, «ci siamo soffermati anche sulla possibilità di combattere i trafficanti di essere umani - ha detto Tajani - che sono anche i trafficanti di droga». Proprio mentre il ministro conduceva gli appuntamenti diplomatici, nel cortile della moschea Omayyadi, soffocate nella calca creata dall'annuncio sui social di un'imminente distribuzione di pasti gratuiti, sono morte almeno tre donne. «Esprimo cordoglio per le vittime del grave incidente», ha scritto Tajani su X. Poi, sulla via del ritorno, il capo della Farnesina ha fatto tappa a Beirut per congratularsi con il neopresidente libanese, Joseph Aoun, «amico dell'Italia». La sua elezione «rappresenta un momento storico per il Libano e un segnale importante» per il Medioriente, ha detto Tajani, augurandosi che il cessate il fuoco con Israele «rappresenti il primo passo verso una pace sostenibile». Cessate il fuoco in cui l'esercito israeliano «continua a essere impegnato», ha detto il portavoce militare dopo l'attacco di ieri, con un drone, su agenti di Hezbollah che caricavano armi su un veicolo nel Libano meridionale. Tsahal ha spiegato che l'azione era mirata a «rimuovere la minaccia». Israele ha invece lanciato un'offensiva aerea contro obiettivi houthi in Yemen «in risposta ai ripetuti attacchi con missili balistici e droni contro Israele». Nel mirino, la centrale elettrica di Hezyaz vicino alla capitale Sanaa e le infrastrutture nei porti di Hodeidah e Ras Isa sulla costa occidentale. —
  5. il caso
    Maduro schiaccia la protesta ma gli Usa mettono una taglia "A chi lo arresta 25 milioni"
    emiliano guanella
    san paolo
    Una sala contigua e più piccola rispetto all'aula del Parlamento, una cerimonia blindata con i vertici delle Forze Armate in prima fila e pochissimi capi di stato e di governo presenti. Nicolas Maduro ha giurato così, tra volti più seri che festivi, per il suo terzo mandato consecutivo alla guida del Venezuela. Un mandato viziato in partenza, perché nasce da una vittoria elettorale che fa acqua da tutte le parti, senza le prove e con la condanna ferrea dell'opposizione e di parte della comunità internazionale. Il presidente ha ricevuto la spada di Simon Bolivar e ringraziato i militari, di fatto l'unico potere che gli è rimasto. L'erede di Chavez avanza di un'ulteriore casella nella scala dell'autoritarismo e ormai sono sempre di più i paesi che definiscono il suo governo come una dittatura. Gli Stati Uniti hanno fissato a 25 milioni di dollari la ricompensa per la sua cattura, Canada, Regno Unito e Unione Europea hanno ampliato le sanzioni a funzionari del suo governo. Il regime chiuso in un bunker si auto proclama come rappresentante di un popolo che da tempo ha abbandonato la spinta rivoluzionaria del socialismo bolivariano. Il parterre degli invitati è minimo: oltre ai premier dei minuscoli stati-isole dei Caraibi spiccano i due dittatori Diaz Canel di Cuba e Daniel Ortega del Nicaragua, alleati di ferro che non si scandalizzano certo per l'assenza di legittimità popolare di tutto il processo in corso. A confermare il clima da operetta anche lo spostamento di orario, giuramento anticipato di due ore, per evitare nuove manifestazioni dell'opposizione come quelle viste il giorno prima. Caracas da giorni è letteralmente sotto assedio, l'esercito ha controllato l'autostrada che collega la capitale con l'aeroporto internazionale, lo spazio aereo è stato chiuso su tutto il territorio nazionale per 72 ore, sigillate le frontiere con Colombia e Brasile. Il blitz a sorpresa di Maria Corina Machado della vigilia ha spiazzato il regime e ci sono ancora molti misteri sullo stato di fermo a cui è stata sottoposta per quasi un'ora prima di essere rilasciata. Un nipote del potentissimo Diosdado Cabello, a capo dei militari, ha diffuso una versione che nelle assurdità del momento è parsa a molti possibile. «La verità è che l'abbiamo fermata e poi l'abbiamo liberata. Sapete perché? Perché nos dio la gana , ci è andato di fare così, giusto per farvi capire che possiamo fare quello vogliamo». Anche se Maduro proclama pace e fratellanza, è chiaro a tutti che le cose possono solo peggiorare: è solo, non ha l'appoggio della popolazione né la legittimità del voto e anche gli alleati storici sembrano proclivi a un graduale distanziamento. Vladimir Putin ha mandato a Caracas il presidente della Duma Volodin, non proprio un pezzo da novanta, Pechino gioca sempre di più al basso profilo. La strada verso un regime dittatoriale, del resto, è spianata e lo stesso Maduro ha voluto spiegarne il cammino. Si vuole riformare la costituzione creata dal 2000 da Hugo Chavez e il modello istituzionale a cui si farà riferimento è proprio Cuba: non ci saranno più elezioni libere, ma un'assemblea del Popolo con delegati provenienti da organizzazioni legate al governo ed una legge antiterrorista che di fatto impedirà qualsiasi voce oppositrice. Se Maduro è sempre più isolato l'opposizione non è messa poi così bene. Hanno promesso per mesi che il 10 gennaio Edmundo Gonzalez sarebbe stato proclamato presidente, ora devono cercare altri stimoli per continuare ad alimentare la speranza di un miracolo. La Machado chiama alla resistenza e si guarda soprattutto a Trump, ma tutti sanno che tra Ucraina, dazi e Medio Oriente, alla Casa Bianca avranno tutt'altro che pensare nei prossimi mesi. È stata apprezzata la presa di posizione forte di Giorgia Meloni, anche se è impensabile una rottura delle relazioni diplomatiche con l'Italia visto che in Venezuela ci sono quasi 200.000 nostri connazionali e alcuni interessi economici da tutelare, a cominciare dall'Eni. Gli otto milioni di venezuelani scappati all'estero continueranno sicuramente a fare pressione sui rispettivi Paesi d'adozione, ma molti di loro stanno ormai rassegnandosi, come hanno fatto da tempo i cubani, a passare il resto della loro vita in esilio.
  6. Le carte di Abedini finiscono nel mirino dell'Fbi
    Milano
    Nel trolley con cui viaggiava Mohammad Abedini Najafabadi, quando è stato arrestato all'aeroporto Malpensa, c'erano «computer, alcuni fogli documentali commerciali e qualche sim che serve per strumenti personali e cellulari. Nulla di delinquenziale», ha assicurato l'avvocato Alfredo De Francesco, legale dell'ingegnere iraniano, dopo averlo incontrato ieri nel carcere di Opera, il penitenziario in cui il 38enne rimane in attesa di sapere se sarà estradato negli Stati Uniti o rilasciato.
    I dispositivi sequestrati dalla Digos di Milano, su cui è forte l'interesse dell'Fbi per le loro indagini sui collegamenti di Abedini con i Pasdaran, sono tenuti sotto custodia dal procuratore di Milano, Marcello Viola. Finora non è pervenuta dalle autorità statunitensi – tramite rogatoria internazionale – alcuna richiesta di copia del contenuto, analisi o di consegna. E nessuna attività è stata svolta d'iniziativa dagli investigatori italiani anche perché su Abedini non ci sono inchieste aperte.
    Tutto il materiale, se non ci sarà l'estradizione, potrebbe anche essere dissequestrato e riconsegnato ad Abedini. In attesa di conoscere il suo futuro il 38enne – come riferito dal suo legale – «ha saputo della liberazione di Cecilia Sala, ovviamente è sollevato per non essere più collegato alle sue condizioni».
    Una prima indicazione la riceverà, dopo l'udienza del 15 gennaio sulla richiesta di scarcerazione: «Abbiamo predisposto una brevissima dichiarazione spontanea da parte sua in cui confermerà la sua disponibilità e il fatto di non volere scappare dall'Italia». And. Sir. —
  7. la vigilanza dell'istituto: "l'avanzo deve essere investito"
    Inail, critiche sul miliardo non speso
    Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell'Inail ha criticato l'avanzo finanziario di un miliardo di euro contenuto nel bilancio di previsione 2025 dell'istituto, aprendo un caso che potrebbe avere importanti ripercussioni.
    La tesi sostenuta dal Civ è che «tutti gli avanzi di bilancio vanno destinati alle attività caratteristiche dell'istituto e devono essere restituiti ad imprese e lavoratrici e lavoratori, soprattutto in termini di investimenti in prevenzione». In particolare, il totale delle entrate ammonta a oltre 12,9 miliardi di euro, in aumento di circa 144 milioni di euro (+1,13%) rispetto alle previsioni del 2024 ed in aumento di 463 milioni di euro (+3,73%) rispetto al consuntivo 2023, con entrate per contributi e premi di assicurazione a carico dei datori di lavoro e/o iscritti pari a più di 9,8 miliardi. Di contro, le spese ammontano a circa 11,8 miliardi di euro, in aumento di 955,6 milioni di euro (+8,76%) rispetto alle previsioni del 2024 ed in aumento di 2,5 miliardi (+26,62%) rispetto al consuntivo 2023.
    Il presidente del Civ, Guglielmo Loy, ha rimarcato la necessità di destinare l'avanzo a imprese e lavoratori, soprattutto in termini di investimenti in prevenzione. R. E.
  8. Manifestare non è un reato Archiviate le denunce
    Manifestare dissenso non è un reato. E così il tribunale di Torino, accogliendo la richiesta della procura, ha archiviato decine di denunce ai movimenti ecologisti, da Extinction Rebellion ai partecipanti al Climate Social Camp.
    Le prime denunce risalgono al Climate Social Camp del luglio 2023: 14 persone furono individuate dalla Questura come le presunte organizzatrici della pedalata che in quei giorni attraversò la città. Erano state denunciate per «manifestazione non preavvisata», «invasione» e «imbrattamento». A queste, si aggiungono le denunce per due azioni di Extinction Rebellion. La prima risale al 30 marzo 2023, quando venne rovesciato un quintale di letame all'ingresso del grattacielo della Regione, per denunciare l'assenza di politiche strutturali per far fronte allo stato di siccità. La seconda si è svolta il 29 aprile 2024, quando un gruppo di persone si arrampicò sul tetto della facoltà di biologia, in piazza Carlina durante il G7 Energia, Clima e Ambiente per appendere uno striscione con scritto «Il re è nudo, il G7 è una truffa». Quel giorno, due persone erano state fermate e perquisite da agenti in borghese e denunciate per «detenzione abusiva d'armi», per il solo fatto di avere, negli zaini, dei coltellini svizzeri.
    Tutte le denunce sono state archiviate perché «il fatto non sussiste».
    Nel caso dell'azione al grattacielo della Regione, la pm Sellaroli ha chiarito che «non c'è stata violenza privata né deturpamento o imbrattamento stabile», ha sottolineato che «l'accesso al palazzo era comunque garantito ai dipendenti» e ha precisato che «non è stato occupato alcun terreno con la finalità di trarne profitto». Infine, per quanto riguarda le denunce relative al Climate Social Camp e alla pedalata che, partendo dal Parco La Marmora, ha attraversato la città per concludersi al palazzo della Regione di luglio 2023, il decreto di archiviazione evidenzia che «lo speakeraggio e il ruolo di guida verso i luoghi delle manifestazioni, o l'appartenenza al centro sociale Askatasuna, non sono elementi sufficienti a qualificare gli indagati come promotori». —

 

 

 

 

 

10.01.25
  1. l'agenzia giudiziaria: "Si è suicidato"
    Detenuto muore in cella L'Iran: una spia svizzera
    Un cittadino svizzero, arrestato in Iran e accusato di spionaggio, ieri «si è suicidato nella prigione di Semnan». A darne notizia attraverso l'agenzia di stampa giudiziaria Mizan è stato Mohammad Sadeq Akbari, presidente della provincia iraniana di Semnann nel Nord del Paese. Senza fornire ulteriori dettagli sull'identità del detenuto, Akbari ha detto che «era stato arrestato dalle agenzie di sicurezza per spionaggio e che il suo caso è stato oggetto di indagine». Ha poi aggiunto che i tentativi di rianimare il prigioniero non hanno avuto successo. La Svizzera svolge un importante ruolo di intermediario tra Washington e Teheran perché rappresenta gli interessi americani in Iran e trasmette messaggi e facilita le comunicazioni tra i due Paesi.
  2. Il dialogo tra 007 italiani e i pasdaran si è sbloccato i primi di gennaio anche grazie all'emiro al-Thani Meloni a Mar-a-Lago si sarebbe fatta ambasciatrice delle richieste di Teheran su nucleare e sanzioni
    La mediazione del Qatar il ponte tra Iran e Trump Così Sala è stata liberata
    federico capurso
    francesco semprini
    roma-new york
    Il ruolo del Qatar, il canale di dialogo tra intelligence e Pasdaran, la missione di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, sono alcuni degli elementi chiave che hanno portato alla liberazione della giornalista Cecilia Sala dal carcere di Evin, a Teheran. E che riflettono, come davanti a uno specchio, la complessità del caso di Mohammad Abedini, l'imprenditore militare iraniano legato alle Guardie della rivoluzione, arrestato e tutt'ora detenuto in Italia su mandato degli Stati Uniti. Una vicenda che il governo italiano vorrebbe chiudere arrivando alla sua scarcerazione, ma lungo il percorso per centrare questo obiettivo devono essere sbrogliati, uno a uno, i tanti fili che si sono intrecciati in queste settimane.
    Secondo la ricostruzione fatta a La Stampa da diverse fonti, gli sforzi di Meloni si sono articolati su diversi piani. Il primo, utilizzare il canale di dialogo col presidente iraniano Masoud Pezeshkian, attivato già in estate nell'ambito dei confronti sul Medio Oriente. Il secondo, individuare una sponda efficace nella regione che potesse "facilitare" ulteriormente le comunicazioni con Teheran.
    L'emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani mostra subito sensibilità al caso. Del resto il valore diplomatico di Doha è innegabile, come dimostra la sua presenza in diversi tavoli di trattative, a partire da quello tra Hamas e Israele. Il coinvolgimento di al-Thani risulta incisivo - sembra - anche nella svolta che arriva i primi di gennaio, quando l'Aise, il servizio di intelligence esterno, riesce ad aprire un canale di dialogo con gli omologhi delle Guardie rivoluzionarie, diretta emanazione dell'Ayatollah, coloro a cui spetta sempre l'ultima parola in Iran.
    Viene così confermata la disponibilità a un confronto a tutti i livelli, nell'ambito del quale emerge l'interesse di Teheran per Donald Trump e per il ruolo di interlocutrice che Meloni può svolgere con il presidente eletto. D'altronde, l'arrivo alla Casa Bianca di Trump fa paura alla Repubblica islamica, che teme una pesante stretta anti-Iran. E anche di questo si sarebbe parlato nella missione lampo a Mar-a-Lago della premier, voluta per accelerare la liberazione di Sala e discutere di Abedini (di cui gli Usa hanno chiesto l'estradizione).
    Dopo la consultazione formale con Joe Biden, il quale - di fatto - si sarebbe fatto da parte vista l'imminente scadenza del suo mandato, il 20 gennaio, Meloni porta all'attenzione di Trump temi che potrebbero essere legati al sistema di sanzioni nei confronti di Teheran e al programma nucleare iraniano (lunedì prossimo l'Iran terrà a Ginevra colloqui in materia col terzetto Francia, Germania e Regno Unito). Un corollario al ragionamento sulla «via di uscita» per la vicenda Sala, che scatta attraverso una sorta di apertura di credito degli Usa all'Italia.
    In questa apertura, però, c'è un tema che viaggia sotterraneo e che lega gli interessi dei servizi segreti italiani e americani. Riguarda alcuni degli effetti personali che aveva con sé Abedini quando è stato arrestato all'aeroporto di Malpensa, tra cui due smartphone, un pc, documenti commerciali e bancari. Il loro contenuto viene ovviamente ritenuto d'interesse dall'Fbi, sulle cui indagini poggia l'accusa ad Abedini di aver esportato illegalmente dagli Usa tecnologie utili a scopi militari e di aver supportato le Guardie della rivoluzione (che Washington considera un'associazione terroristica). Ma sono elementi preziosi anche per la nostra intelligence. Perché Abedini - come ha rivelato questo giornale - aveva inizialmente preso da Istanbul un volo diretto a Roma, dove sarebbe dovuto scattare l'arresto. Invece, poco prima della partenza, l'industriale decide improvvisamente di cambiare i suoi piani e di dirigersi a Milano, dove avrebbe poi preso un treno per la Svizzera se non avesse comunque trovato le forze dell'ordine ad attenderlo.
    Sorgono, dunque, interrogativi su quali impegni avesse a Roma e sul motivo per cui stesse portando con sé dei documenti bancari. È nota ai servizi, ad esempio, la necessità di Abedini di pagare i dipendenti iraniani della sua azienda "Sdra" con dollari americani. Questo perché li aveva messi al lavoro su progetti legati all'azienda statunitense Analog Device, con cui aveva firmato un contratto mascherando la matrice "iraniana" della "Sdra" con la sua altra società "fantoccio" aperta in Svizzera, la Illumove. La possibilità che volesse rivolgersi a dei negozi di money-transfer in zona piazza Vittorio, a Roma, non viene esclusa dalle nostre fonti. Quel che è stato sequestrato a Abedini potrebbe contenere la risposta, a questa come ad altre domande che si pongono invece negli Usa. —
  3. Elisabetta Canalis La showgirl vive a Los Angeles con la figlia e il nuovo compagno
    " Cause naturali, ma anche scelte scellerate la mia casa aperta per aiutare chi ha bisogno"
    Simona Siri
    New York
    «Sono in viaggio, una questione di famiglia che non potevo rimandare, ma l'unico posto dove vorrei essere in questo momento è proprio Los Angeles». Parla al telefono, tra un volo e l'altro, Elisabetta Canalis che nella città degli angeli abita dal 2012. Nei giorni scorsi, dalla casa che divide con la figlia e con il nuovo compagno Georgian Cimpeanu, aveva documentato sul suo Instagram l'inizio degli incendi. «Loro e tre dei cani sono rimasti, io sono partita con uno, ma il mio cuore è con loro. Non sono in pericolo, anzi mia figlia volendo potrebbe anche tornare a scuola, ma l'aria è terribile, il fumo è ovunque. Casa mia è vicina alle Hollywood Hills, a 20 minuti da Santa Monica e siccome è al centro prende un po' il fumo proveniente da zone diverse. Dal mio terrazzo si vedono chiaramente due degli incendi (Eaton e Hurst, ndr) e si vede salire il fumo salire da quello di Pacific Palisades, il più ampio. Ho amiche che lì hanno perso tutto, le case rase al suolo, alcune non hanno neanche fatto in tempo a portare via le cose, i pompieri impedivano l'accesso per ragioni di sicurezza, persino Arnold Schwarzenegger non è riuscito a entrare in casa sua. È tutto molto surreale. A Los Angeles siamo preparati agli incendi, li abbiamo più o meno sempre, ma uno di questa portata non si era mai visto. Ci sono intere comunità distrutte: non ci sono più scuole, non ci sono più i supermercati, le banche, non c'è niente. Palisades Village non esiste più, andato, scomparso».
    Canalis, che è nata e cresciuta in Sardegna, dice che ai venti è abituata, ma che questo fosse eccezionale lo ha capito il giorno in cui è andata a lavare la macchina. «Per un pelo non sono stata presa in pieno da uno di quei bidoni di metallo dell'immondizia che stava volando».
    Con un vento così forte, partito il primo incendio tutto è precipitato velocemente: il fuoco di Palisades è passato in poche ore da quattro ettari a milletrecento. «È stata la tempesta perfetta: da una parte la causa naturale, e su quella non c'è niente da fare, ma dall'altra ci sono le scelte scellerate di chi amministra la città e lo stato che ha preferito salvare una specie di pesce in via di estinzione (il Delta Smelt: sulla sua protezione e sull'utilizzo dell'acqua che servirebbe per salvarlo c'è una polemica in atto tra Trump e il governatore Newsom, ndr) invece di mettere via acqua per poterla utilizzare dopo, con il risultato che gli idranti sono a secco e i pompieri non hanno acqua a sufficienza per spegnere il fuoco. Non mi sono mai espressa prima, ma ora lo dico: spero che la carriera del governatore Newsom finisca qua e che lui e la sindaca Karen Bass siano ritenuti responsabili: non si può lasciare una città come questa senza acqua».
    Intanto, come spesso accade nelle tragedie americane, è già scattata la solidarietà. «Io stessa nel mio piccolo ho messo a disposizione casa mia, ma c'è gente che ha messo a disposizione ettari di terreno per mettere in salvo gli animali, specialmente i cavalli, e altri che stanno aprendo le loro case. In questo gli americani si attivano subito e sono molto generosi. Sono un popolo che non si piange addosso, sono sicura che appena ripartirà la ricostruzione sarà rapida, ma ora ci siamo ancora in mezzo, è ancora presto per valutare i danni, c'è dolore e molta rabbia. Bisogna dire che i pompieri, i poliziotti e i volontari stanno facendo un lavoro incredibile. I premi e i riconoscimenti che Los Angeles dà sempre agli attori questa volta spetterebbero a loro, a chi sta lavorando per salvare la città». —

 

 

09.01.25
  1. Mario Tozzi
    Caldo africano e venti a 160 all'ora il clima malato piega la California
    Come nei più catastrofici film, e nei classici incubi statunitensi, le fiamme divorano migliaia di ettari attorno a Los Angeles e attaccano Malibù, Palisades, Pasadena e Altadena. I vigili del fuoco non riescono in alcun modo a contenere le fiamme: circa 80.000 persone sono in fase di evacuazione (tra questi Tom Hanks e Steven Spielberg) e a 200.000 abitanti non arriva più corrente elettrica; le vittime sono, al momento, cinque. Dall'altra parte della nazione, la Casa Bianca dichiara l'emergenza federale, mentre fonti statali affermano senza mezzi termini che il peggio deve ancora venire. Gli automobilisti bloccati in coda raccontano di una situazione terrificante, che ha mobilitato i ricordi di quanto già accaduto appena un mese fa. Solo qualcuno, però, avrà avuto memoria della impressionante regolarità con cui, anche in altre stagioni, il fuoco ha attaccato la costa orientale statunitense nell'ultimo quarto di secolo.
    Mentre il tasso di contenimento delle fiamme è prossimo allo 0 per cento, ci si interroga sulle cause: in tempi moderni quasi mai boschi e praterie prendono fuoco per autocombustione, e difficilmente in inverno. Quasi sempre l'origine è dolosa, vuoi per disegno criminale, vuoi per incuria o disattenzione. Ma forse il punto reale è perché gli incendi stanno periodicamente flagellando regioni così diverse del globo con una frequenza sconosciuta in passato? Tradizionalmente l'Australia, il continente più secco, ma anche le foreste equatoriali, che secche non sono, e perfino la Siberia, per non dire del Mediterraneo e dell'Italia. Per quali ragioni iscriviamo anche i colossali roghi californiani come uno dei sintomi più evidenti che la crisi climatica che ci attanaglia non accenna certo a placarsi? In altre parole, è possibile sostenere che anche quell'inferno sia connesso al surriscaldamento atmosferico e oceanico in forsennato incremento negli ultimi anni?
    Il primo elemento è il forte vento secco e caldo che spira da giorni e che, anzi, si sta irrobustendo. In particolare, la velocità di quelle raffiche, che si stima raggiungerà in queste ore i 160 km/h, avendo abbondantemente già spirato a circa 130 km/h (dati Nws, National Weather System). Alcuni testimoni hanno visto il vento trascinare braci per decine di metri e il Nws certifica che velocità simili non si registravano almeno dal 2011. Non è difficile intuire come, quale che sia l'origine dell'incendio stesso, tali velocità propaghino le fiamme dovunque in pochissimo tempo, impedendo qualsiasi tipo di risposta adeguata. Anzi, diventando concausa nel mancato intervento proprio a causa dell'impossibilità di muoversi in quei frangenti, tanto meno con mezzi aerei. Ricordando comunque che, quando intervengono i Canadair, vuole dire che la battaglia contro le fiamme è persa, perché in quelle condizioni la maggior parte del lavoro va fatto a terra e va fatto in prevenzione, non in emergenza.
    Venti anomali che diventano più frequenti, esattamente come la siccità, causa non meno importante degli incendi e non meno legata alla crisi climatica nell'innesco e nella propagazione delle fiamme. La California è disseccata da mesi di gran caldo: nonostante siamo in pieno inverno le temperature non scendono sotto i 10°C e arrivano quotidianamente oltre i 20°C. E non piove. Dalla primavera a fine anno si sono registrati solo due giorni di pioggia, per sei millimetri di precipitazioni (Nws) complessive, una quantità irrisoria. Questo significa che le falde idriche si abbassano e il sottosuolo e il suolo diventano più secchi. Di conseguenza foreste, boschi, arbusti e praterie si ingialliscono e si seccano, diventando bersaglio di elezione delle fiamme. Una vegetazione priva di acqua e umidità brucia più rapidamente e per tratti più lunghi. E la siccità contemporanea è figlia della crisi climatica in tutto il mondo, California compresa. Anni di siccità, temperature estive dell'atmosfera prossime ai 50°C, abbassamento delle falde acquifere e impoverimento delle acque dolci di superficie hanno il minimo comune denominatore del clima, non del destino cinico e baro.
    Senza essere dichiarati millenaristi, è facile prevedere che un'era del fuoco è vicina, con le fiamme che si accompagneranno alle perturbazioni meteorologiche a carattere violento, in crescita soprattutto per intensità. Da un lato il fuoco, dall'altro l'aria riportati al loro capo comune di un clima estremizzato, in una nazione che continuerà a puntare ai combustibili fossili come fulcro dello sviluppo economico, quei combustibili responsabili del surriscaldamento. Una nazione in cui ogni singolo cittadino emette oltre 14 tonnellate di CO2/anno (un cittadino cinese sette, un indiano tre) e che non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il suo stile di vita predatorio. Sotto un presidente che vorrebbe devastare anche il Polo Nord pur di continuare a trivellare come se non ci fosse un domani.

 

 

08.01.25
  1. COSÌ LA GRANDE SPECULAZIONE DEI FONDI SPECIALIZZATI SULL’ENERGIA HA RADDOPPIATO I PREZZI DEL METANO

    Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

    Ieri il prezzo del gas in Europa, misurato alla cosiddetta Title Transfer Facility (Ttf) di Amsterdam, è sceso rapidamente: meno 4,89% in un giorno a 47,2 euro a megawattora, la quotazione più bassa dell’ultima decina di giorni. Ma quel valore fissato all’Intercontinental Exchange (l’Ice) in Olanda resta il doppio rispetto a undici mesi fa e quasi un quarto sopra ai livelli di metà dicembre.



    L’interruzione del flusso di metano dalla Russia attraverso l’Ucraina è la ragione apparente; i movimenti degli hedge fund e altri fondi d’investimento sul quel mercato invece è quella reale.
    Un’analisi del Ttf mostra che, almeno negli ultimi dodici mesi, il prezzo del gas ha seguito le mosse di una specifica categoria di partecipanti all’Ice: un gruppo di 380 fra hedge fund e altri fondi d’investimento. Sembrano essere stati loro a determinare le quotazioni con le loro scelte, non di rado puramente speculative. Il prezzo del gas alla Ttf è infatti salito nell’ultimo anno con il crescere dei volumi delle posizioni rialziste assunte dai fondi attraverso i futures, cioè attraverso contratti derivati a scadenza fra un mese o su altri periodi per lo più brevi.
    I dati dell’Ice dicono che in gennaio e febbraio scorsi le posizioni nette sulla Ttf dei fondi erano ribassiste in misura crescente. E il prezzo del gas infatti è sceso, da 29 a circa 23 euro a megawattora. Da marzo alla fine di giugno però i volumi su posizioni rialziste nette — cioè sul saldo fra «long» e «short» — sono saliti sempre di più, fino a scommesse al rialzo dei prezzi per volumi di forniture da 149 milioni di megawattora. Con quelle, il prezzo del gas alla Tff è salito in parallelo a 34 euro a megawattora.



    Di solito un investitore speculativo compra un contratto a scadenza con consegna del prodotto - per esempio - fra un mese o fra tre mesi a un prezzo superiore a quello del momento, se pensa che quel prezzo salirà. Che troverà dunque qualcuno disposto a comprare a quel prezzo. Ma il fatto stesso di rastrellare futures con prezzi più alti ne alimenta la domanda, altera la percezione del prezzo «giusto» e finisce per trascinare al rialzo le quotazioni.
    È ciò che accaduto da giugno in poi. Da quel momento, i fondi all’Ice di Amsterdam hanno continuato ad ammassare posizioni rialziste. A fine novembre erano raddoppiate, come volumi, rispetto ai livelli di cinque mesi prima. E il prezzo del gas Ttf aveva seguito fedelmente le loro mosse, salendo fino quasi a 50 euro a megawattora. […]



    Certo ad alimentare quelle posizioni rialziste dei fondi sono stati due fattori: prima l’attesa dell’interruzione a fine anno dei flussi dalla Russia, pari al 5% delle forniture via gasdotto all’Europa; poi le previsioni meteo di un inverno freddo. Così i prezzi sono saliti anche se in realtà l’offerta di gas è sempre rimasta abbondante.



    Il paradosso è che gran parte dei prezzi su volumi immensi di gas fisico in Europa sono trainati dalle quotazioni della Ttf, cioè dalle scelte di pochi hedge fund su piccoli volumi virtuali espressi in contratti futures. Così il mercato reale funziona malamente. Ma quello finanziario all’Ice funziona così bene, per gli hedge fund, che il loro numero quali investitori sulla Ttf è raddoppiato negli ultimi due anni da 186 a 380.



    2 - ALLARME GAS, NEGLI USA SALE DEL 10%

    Estratto dell’articolo di Fausta Chiesa per il “Corriere della Sera”
    […] nel frattempo si apre un altro fronte: negli Stati Uniti, diventati il primo fornitore di gas naturale liquefatto dell’Europa assieme al Qatar, il prezzo del gas ieri è balzato fino a un massimo del + 10,7% in un solo giorno. Sul mercato Henry hub ha toccato i 3,71 dollari per million British thermal units, tre mesi fa scambiava sotto 2,5 dollari.



    Un rialzo stabile delle quotazioni americane causerebbe rincari anche nella Ue, che già paga il Gnl più del metano via gasdotto. Ieri il presidente Joe Biden, il cui mandato scade tra due settimane, ha vietato nuove trivellazioni offshore di petrolio e gas nella maggior parte delle acque costiere, uno sforzo dell’ultima ora per bloccare un’eventuale azione dell’amministrazione Trump volta a espandere le esplorazioni.
    Ma è stato soprattutto il freddo intenso a far schizzare il prezzo negli Usa. Freddo a cui si guarda anche in Europa per la tenuta del livello degli stoccaggi. Per far scendere le quotazioni, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha proposto di mettere un tetto al prezzo.



    «La stampa internazionale finora non ha dato seguito alla proposta italiana — commenta Simona Benedettini, economista dell’energia — e per vedere quali sono le opinioni dei partner Ue il primo Consiglio europeo dell’energia sarà il 17 marzo. Ma introdurre un tetto sarebbe rischioso in un momento in cui dobbiamo sostituire il gas russo e c’è una ripresa della domanda asiatica, soprattutto da parte della Cina. Il tetto renderebbe il mercato europeo meno attrattivo».

    Sul consenso nella Ue, poi, ci sarebbe da mettere in conto una prevedibile opposizione dei Paesi Bassi, grandi produttori ed esportatori di metano, e probabilmente anche della Francia, che esporta energia elettrica da fonte nucleare facendola pagare più delle tariffe che applica internamente. L’Italia l’anno scorso ha importato 52 Terawattora di energia su poco più di 300 Thw di consumi annuali nazionali (dati Terna).



    Ma anche se il gas non dovesse salire più e si stabilizzasse attorno a 48-50 euro al megawattora si tratterebbe comunque di livelli più alti di un anno fa e con aumenti del 20% nelle ultime tre settimane. Rincaro che — riporta un’analisi del centro studi di Unimpresa — rischia di costare caro alle piccole e medie imprese italiane. Il consumo delle Pmi è di circa 10 miliardi di metri cubi annui su 61 miliardi complessivi in Italia. L’aumento di 15 euro comporterebbe un aggravio di 1,575 miliardi. […
  2. Nel palazzo milanese dove è registrata la filiale del gruppo Usa: "Mai sentita nominare"
    Clienti in Italia e fatture in Irlanda "La sede? Qui nessuno ne sa niente"
    francesco moscatelli
    gianluca paolucci
    milano
    Nessuna insegna. Nessun logo. Nessuna cassetta postale. «Starlink Italy Srl? Mai sentita. Sicuri che abbia sede qui?». Il portiere di "Abruzzi 94" - grattacielo formato mignon affacciato all'angolo fra la circonvallazione e piazzale Loreto nel quale hanno sede gruppi multinazionali, brand come Shiseido e Wella - di Elon Musk e della sua azienda di comunicazioni satellitari non ha mai sentito parlare. «Se ci fossero dei dipendenti lo saprei, qui conosco tutti», aggiunge consultando un librone zeppo di sigle e nomi di società. Starlink non compare né nell'elenco delle aziende di cui accettare la posta, né in quello delle aziende la cui corrispondenza è invece da respingere. Probabilmente ex inquilini. «Niente, nessuno ne sa niente» conferma il custode dopo aver fatto un paio di telefonate. «Forse si tratta di una società che qui ha solo il domicilio. Però non è nemmeno delle più grosse, perché quelle anche solo per sentito dire me le ricordo».
    Eppure, la filiale italiana del colosso Musk, quella che starebbe trattando un contratto da 1,5 miliardi per cinque anni con il governo, ha sede proprio in questo palazzo milanese.
    Starlink Italia ha anche un account X. Attivato nel 2020, è stato abbandonato pochi mesi dopo. Salvo riattivarsi nell'estate del 2021 per un singolo post che recita così: «P am. P@Laogauzill.pv m p. L'ho p in mn.M l po. m. Nel». Poi più nulla.
    Per trovare l'unica esile traccia italiana di Starlink, bisogna contattare gli uffici della Bdo Italia Spa, un network di società di consulenza e revisione contabile dove lavorano fiscalisti e legali. Un colosso che opera in 167 Paesi con oltre 1.650 uffici e che in Italia ha oltre 1.200 dipendenti e 80 partner. A Milano ha sede proprio al decimo piano di "Abruzzi 94". «Eccola qui, Starlink Italy Srl» confermano dalla segreteria di Bdo dopo aver a loro volta controllato un lungo elenco. Parlare con il commercialista associato che se ne occupa, però, risulta alquanto complicato. «Il partner ci ha detto di riferirvi che senza il permesso di Starlink non può rilasciare alcuna dichiarazione in merito alla loro attività» si congedano con gentilezza dalla segreteria. Eppure, la società è viva e vegeta. Guidata da due manager di SpaceX (Richard J. Lee e Lauren Ashley), lo scorso 2 gennaio ha depositato in Camera di commercio, con singolare tempismo, l'ultimo bilancio. È quello del 2023, è stato approvato in ritardo e non è ancora disponibile. Ma cercare qui i numeri veri del servizio Starlink con i circa 40 mila clienti italiani è inutile. I servizi vengono infatti fatturati in Irlanda, dalla Starlink Internet Services ltd. Con uno schema classico dei colossi hi-tech che scelgono di registrare ricavi in Irlanda per abbattere il proprio carico fiscale, nel 2023 questa società ha avuto ricavi per 358 milioni di euro, letteralmente esplosi dai 122 milioni dell'anno prima. L'utile netto - dopo le tasse - è stato di 6,2 milioni. Quanta parte dei ricavi venga realizzata nei vari paesi europei dove Starlink opera e con che tipologie di clienti è però complicato da stabilire. «Un'analisi dei ricavi per categorie di attività e mercati geografici non è fornita in quanto, secondo gli amministratori, potrebbe essere seriamente pregiudizievole per gli interessi della società», è scritto nel bilancio.—
  3. Stop ai consulenti, saranno gli utenti a segnalare post falsi. Zuckerberg : "Ritorno alle origini"
    Facebook cancella il fact-checking: basta censura
    Facebook eliminerà il programma fact-checking per il controllo delle informazioni condivise sulla piattaforma. Lo ha annunciato Mark Zuckerberg in un video pubblicato sui social della galassia Meta. Una svolta che pone fine all'era dei social network controllati da figure esterne, i cacciatori di bufale. Il controllo delle informazioni sarà affidato agli utenti stessi che potranno aggiungere note ai post quando riterranno che le informazioni contenute siano false o fuorvianti.
    Di fatto il social si affida alla competenza dei suoi stessi iscritti, esattamente come avviene su X.com, il social di Elon Musk. «Per noi è un ritorno alle origini, ai nostri valori sulla libertà di espressione», ha detto Zuckerberg in video, accusando l'attuale sistema di fact-checking di essere scivolato troppo spesso nella censura. Avviato nel 2016, affidato a una serie di società chiamate a controllare e verificare le informazioni condivise (90 organizzazioni in 60 lingue), il programma fact-checking nasceva per cercare di arginare il fenomeno della disinformazione online. Il controllo si è poi allargato ai contenuti in grado di offendere minoranze, orientamenti sessuali e religiosi.
    Per Zuckerberg le maglie di questo controllo sono diventate troppo strette. Impedendo la libera circolazione di idee. Forse la causa sono stati i controllori stessi e i loro pregiudizi, che avrebbero penalizzato i contenuti politici degli utenti di estrazione repubblicana, o in generale di destra, a volte più inclini alla condivisione di post più aggressivi. Ma quella è una fetta importante di utenti delle piattaforme. E Meta non vuole più penalizzarla. «Voglio solo assicurarmi che le persone possano condividere i loro pensieri e le loro convinzioni sulle nostre piattaforme, senza censura», ha ragionato Zuckerberg. Consapevole che la scelta è comunque dettata da una situazione politica radicalmente cambiata. Donald Trump, l'uso disinvolto dei social di Musk (che ha elogiato la svolta), sono effetto di un clima diverso. Sono testimoni non solo della fine di un approccio politicamente corretto alla comunicazione online. Ma forse anche alla fine di aziende chiamate a sposare cause sociali per vendere prodotti. E anche alla fine dell'illusione che la grande piazza globale possa essere indirizzata da un pool di esperti e dalle loro idee su cosa sia vero e cosa no. a. roc.
  4. l bando che sembra su misura per la compagnia usa
    La Lombardia apre al web spaziale
    Sperimentazione di satelliti per portare internet nelle aree periferiche a bassa connettività. La Regione Lombardia pubblicherà il bando di gara entro uno o due giorni sulla piattaforma telematica Sintel. E non il 7 gennaio come previsto in precedenza, vista la decisione del rinvio per verificare l'adeguamento al Dlgs correttivo al codice degli appalti.
    Governo e giunta regionale hanno dato mandato ad Aria, azienda della Regione per l'innovazione e gli acquisti, diselezionare i fornitori interessati a cui affidare la tecnologia complementare alla fibra. C'è attesa di una partecipazione da parte di Starlink di Elon Musk.
    Ma nella schiera di operatori noti ci sono anche le società Viasat, le australiane NBN Sky Muster e Telstra, la canadese TeleSat, la lussemburghese SES SA, OneWeb dell'inglese Eutelsat, Project Kuiper di Amazon, l'inglese EchoStar Mobile e l'araba Thuraya. Se dal progetto pilota arrivasse un feedback positivo, peraltro, potrebbero seguire altre regioni, probabilmente una del Centro Italia e una del Sud, sebbene la connessione satellitare non sostituisca né riesca a competere con quella in fibra.
    Nel dettaglio della sperimentazione delle «reti space-based per la fornitura di capacità di backhauling satellitare in sinergia con quelle terrestri nelle aree a difficile connettività» in Lombardia, è previsto un finanziamento di 5 milioni di euro, per la quota del Dipartimento per l'innovazione, e di 1,5 milioni dalla Regione Lombardia. Per il capogruppo del Pd regionale, Pierfrancesco Majorino, questo bando «sembra disegnato per Elon Musk. Vogliamo vederci chiaro. La connessione nelle zone non coperte è fondamentale, ma dovrebbe essere garantita dal pubblico». g.tur. —
  5. L'inarrestabile ascesa di Starlink Obiettivo, il monopolio dei satelliti
    Arcangelo Rociola
    Roma
    Alle 20:43 di lunedì 6 gennaio, mentre in Italia si ragionava sull'opportunità o meno di considerare Starlink un'azienda affidabile per la comunicazione di dati governativi, un razzo di SpaceX partiva da Cape Canaveral per portare in orbita 24 nuovi satelliti della sua controllata. Si è trattato del lancio numero 221 per la società di Elon Musk. Lancio che ha portato il numero di satelliti Starlink mandati in orbita a 7.656. Di questi 6.906 funzionanti, il resto si è perso o è andato distrutto. Numeri che confermano il primato dell'azienda nel mercato dei satelliti a bassa orbita (Costellazioni Leo, acronimo inglese per Low Earth Orbit). Starlink è la costellazione satellitare per la trasmissione dati più estesa e capillare al mondo. Ed è il dato da cui partire prima di porsi domande e ragionare.
    l1Perché internet via satellite è diventata così importante?
    Internet via satellite è fondamentale in situazioni critiche: catastrofi ambientali, emergenze, guerre. In caso di guerra cinetica, uno stato potrebbe attaccare le infrastrutture di comunicazione (come in Ucraina). Ma un satellite è più difficile da distruggere o hackerare.
    l2Quali sono i numeri di Starlink e SpaceX?
    Starlink è un'azienda controllata da SpaceX (fondata nel 2002 in Texas, ha 13 mila dipendenti). Ha circa 3 milioni di abbonati. 40 mila in Italia. Non ci sono dati ufficiali sui conti della società, che non è quotata, ma secondo Bloomberg contribuisce per circa 3 miliardi ai 10 miliardi di ricavi di SpaceX.
    l3Quali servizi offre a governi e eserciti?
    SpaceX una divisione destinata alle applicazioni governative e militari. Si chiama Starshield. Un centinaio di satelliti in grado di raccogliere dati terrestri, offrire soluzioni di comunicazione crittografata per scopi militari e governativi. Attualmente è ampiamente in uso dal Dipartimento della Difesa americana. L'Italia, nel caso in cui decidesse di affidarsi a SpaceX, sarebbe la prima nazione europea a farlo.
    l4Quali i servizi per cittadini e imprese? Conviene?
    Internet via satellite porta la rete veloce in aree difficilmente raggiungibili dalle normali connessioni via cavo. Aree di montagna, zone remote, alto mare. In Italia si è ipotizzato che Starlink possa aiutare a raggiungere gli obiettivi di copertura delle aree grigie, quelle senza banda larga, per centrare gli obiettivi del Pnrr. Ma privati e imprese che possono avere una normale rete veloce via cavo non hanno un motivo reale di scegliere quella che viene da una costellazione Leo.
    l5Cosa intendiamo per costellazioni Leo?
    Sono costellazioni a orbita bassa, gruppi di satelliti che orbitano sulla Terra, generalmente tra i 160 e i 2.000 chilometri.
    l6Quanti ce ne sono al momento intorno alla Terra?
    Il numero di satelliti a orbita bassa lanciati da progetti pubblici e privati è circa 10.000.
    l7Quali sono le alternative a Starlink?
    Esistono diversi progetti alternativi. Ma minori. Amazon sta sviluppando una costellazione di satelliti simile a Starlink. Il piano prevede 3.236 satelliti. In Europa il progetto più grande è il progetto franco-inglese OneWeb, che al momento ha una rete di 620 satelliti. Altri progetti sono Telesat Lightspeed, canadese, che ha una rete di 198 satelliti. AST SpaceMobile, texana, ne ha al momento 243.
    l8Cosa sta facendo l'Unione europea?
    Per creare un'alternativa europea a Starlink, l'Ue ha finanziato a dicembre un piano da 10 miliardi il lancio di 300 satelliti. Dovrebbero essere pronti entro il 2030. Il progetto si chiama Iris2. Nello stesso arco di tempo, i satelliti Starlink dovrebbero diventare 30.000.
    l9Scegliere Starlink è incompatibile con i piani dell'Ue?
    No. Un eventuale accordo tra Starlink e altri paesi, come l'Italia, è compatibile con Iris2, progetto al quale l'Italia partecipa. Un portavoce dell'Ue ieri ha spiegato che l'Italia, come paese sovrano, ha pieno potere decisionale.
    l10Perché è diventata una questione di interesse geopolitico?
    Starlink ha contribuiti a dare agli Stati Uniti un vantaggio competitivo senza pari nelle Costellazioni Leo. E il potere tecnologico che ne deriva è una sfida strategica di primaria importanza. Tutti i grandi paesi si stanno muovendo in questo senso, perché possedere l'infrastruttura satellitare è diventato sinonimo di autonomia e sovranità tecnologica. Soprattutto in caso di necessità. O di cambiamenti improvvisi degli assetti geopolitici. Ma al momento tutti, anche l'Europa, devono rincorrere. E una partnership (temporanea) con SpaceX o concorrenti può essere un modo per tutelare gli interessi nazionali nel breve periodo.
    l11Cosa si rischia ad affidarsi a un'azienda privata invece di creare una propria infrastruttura?
    Il timore più diffuso è che Musk, o chi per lui, possa decidere di ‘spegnere' internet, come è avvenuto in Ucraina quando ha impedito l'uso dei suoi satelliti per consentire a Kiev di colpire obiettivi in territorio russo. Una gestione privata, seppur motivata dal timore di violare trattati internazionali o contratti, potrebbe esporre a rischi. Nel caso di Musk, a questi timori sono più gravi. Nelle ultime settimane è intervenuto in modo aggressivo in questioni di politica interna di nazioni alleate come la Gran Bretagna o la Germania. Sollevando timori sulla sua capacità di gestire i suoi impulsi del momento. —
  6. Strage alla stazione di Bologna "Fu Bellini a portare la bomba"
    filippo fiorini
    bologna
    Era un «aviere» neofascista e non un «corriere» palestinese. Era lui l'uomo coi baffi ritratto in un Super8 amatoriale quel giorno alla stazione. Era lì per mettere la bomba. Forse, l'aveva addirittura portata. Intera o una parte, da assemblare in loco insieme agli altri complici già condannati. Per questo, l'ergastolo ricevuto in primo grado da Paolo Bellini come autore della strage di Bologna è giusto.
    Lo aveva deciso l'8 luglio scorso la Corte d'Appello della città che ha subito il più grave attentato del Dopoguerra, il 2 agosto dell'80. Ieri sono arrivate le motivazione dei giudici. Hanno rigettato tutte le istanze della difesa, così come anche per gli altri due imputati di questo ramo processuale. Hanno confermato, per l'ennesima volta, la matrice neofascista, il finanziamento della P2 di Licio Gelli, le coperture date prima e durante l'azione, divenute depistaggi in seguito, da parte di spie che, tradito il giuramento alla Repubblica, tramavano col resto della banda per l'avvento di uno Stato autoritario.
    La vicenda è lunga, tortuosa, in parte irrisolta. Sappiamo che 85 persone sono morte in un attimo e altre 200 sono rimaste ferite per mano di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini e Bellini stesso. Reggiano, terrorista, pluriomicida, pregiudicato, Bellini e i suoi avvocati le hanno provate tutte per scansare le accuse. Hanno evocato la Costituzione e scovato cavilli.
    In una guerra di perizie, hanno tentato di resuscitare la falsa pista palestinese, per cui un ordigno trasportato da terroristi mediorientali era esploso per errore. In un'intercettazione tra un fascista veneto e il figlio, dicevano di ascoltare la frase «è stato lo sbaglio di un corriere», invece che «i nostri ambienti erano in contatto con il padre di sto' aviere e dicono che portava una bomba». Bellini ha il brevetto di volo e in tribunale è stato dimostrato che i due parlavano di lui.
    Poi, l'alibi «appositamente preordinato» per cui il 2 agosto era altrove in compagnia della nipote bambina. È durato 40 anni, finché sua moglie non ha smesso di coprirlo e lo ha identificato nel video che un turista tedesco girò per caso, attimi prima dello scoppio. Ciò che è certo «senza ombra di dubbio», scrivono ora i magistrati bolognesi, è che Bellini in stazione c'era, e che era lì per partecipare «in piena consapevolezza» a una strage ordinata e pagata dai piduisti. Il problema è che anche in questo recente documento processuale compare un'espressione che, nella ricostruzione delle responsabilità, finora non è mai mancata: «Restano altre persone da identificare». Sono sempre meno, ma chi sono?

 

 

07.01.25
  1. Lascia la coordinatrice dei servizi segreti. A pesare i rapporti col fedelissimo di Meloni Tra i motivi delle liti la volontà di introdurre la figura del Consigliere per la Sicurezza
    La gestione del caso Sala e gli attriti con Mantovano dietro l'addio di Belloni
    Elisabetta Belloni
    ilario lombardo

    roma
    Le dimissioni della coordinatrice dei servizi segreti nei giorni di una delicata trattativa internazionale, condotta dall'intelligence e da tutto il governo, per arrivare alla liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta senza ragioni dall'Iran, è un cratere istituzionale che in pochi minuti si riempie di indiscrezioni, sospetti, ombre sulla verità ufficiale. Perché Elisabetta Belloni lascia quattro mesi in anticipo il Dis, il Dipartimento che sotto la presidenza del Consiglio ha la responsabilità sulle due principali agenzie dei servizi, Aisi (interni) e Aise (Esteri)? La risposta formale, dopo le rivelazioni de La Repubblica, la dà l'ambasciatrice passata, durante il governo di Mario Draghi e confermata da Giorgia Meloni, dalla carriera diplomatica alla testa dell'intelligence: «Ho maturato questa decisione da tempo ma non ho altri incarichi. Lascerò il posto di direttore del Dis il 15 gennaio».
    I fatti sono questi. Il 23 dicembre Belloni comunica alla premier e al sottosegretario della presidenza del Consiglio che è anche autorità delegata, l'intenzione di lasciare l'incarico cinque mesi prima la scadenza naturale del mandato. Ancora la notizia dell'arresto di Cecilia Sala, avvenuto a Teheran il 19 dicembre, viene tenuta segreta dal governo italiano: verrà resa pubblica solo il 26 dicembre. Una settimana prima dell'incontro tra Belloni, Meloni e Mantovano, c'è il fermo di Mohammad Abedini, su cui pende un mandato di cattura americano e una richiesta di estradizione. Meloni chiede a Belloni di aspettare fino a metà gennaio. Ieri esce la notizia dell'addio, Belloni conferma e da Palazzo Chigi tutto tace. Neanche un ringraziamento formale. Il gelo. Fin qui i fatti. Tutto quello che segue è la ricostruzione di cosa avrebbe portato alla decisione di lasciare in anticipo il Dis, basata su diverse fonti, alcune vicine all'ambasciatrice, altre apparentemente ostili. Di certo, Belloni si era fatta diversi nemici un po' ovunque: a Palazzo Chigi, alla Farnesina, nelle agenzie dell'intelligence. E non è difficile, ora che non è più sotto l'ombrello protettivo della presidente del Consiglio, sentir parlare con disappunto o con veleno di lei.
    Si racconta di un rapporto sempre più complicato con Mantovano. Che si è compromesso definitivamente sulla gestione delle trattative per la liberazione di Sala, già nelle prime ore, quando resta il sospetto che la Farnesina o i servizi abbiano agito in ritardo per mettere al riparo la giornalista dopo l'arresto di Abedini in Italia. Belloni non fa mistero con alcuni collaboratori che si sarebbe mossa diversamente. Contraria all'idea di indispettire gli alleati americani, avrebbe cercato contropartite con l'Iran – nell'area geografica di influenza e sul fronte economico - invece di insistere subito con lo scambio di Abedini. Ma a quel punto, dentro di sé, ha già maturato il desiderio di andarsene. Si sente costantemente scavalcata da Mantovano, che contatta il direttore dell'Aise Giovanni Caravelli senza passare da lei. Anche Meloni la marginalizza nella scelta di nominare vice dell'Aise il generale Francesco Paolo Figliuolo, poco esperto di servizi, al posto di Nicola Boeri, uomo di fiducia di Belloni. Il giorno della nomina di Figliuolo è lo stesso dell'arresto di Sala: 19 dicembre. Sono scelte che arrivano al termine di mesi tesi, con Palazzo Chigi che ha nutrito sospetti di scarsa riservatezza da parte dei servizi e di alcuni agenti di polizia.
    Dopo una carriera sempre in ascesa da segretario generale della Farnesina, Belloni è stata candidata un po' a tutto, diverse volte al ministero degli Esteri ed è stata a un passo dal diventare la prima donna presidente della Repubblica nel 2022. Per un profilo del genere non è facile restare nelle seconde file della trincea politica e istituzionale. Mantovano è l'autorità che ha la diretta responsabilità sugli 007, lei ha invece un incarico più amministrativo che operativo, ruolo che invece spetta ai capi dell'agenzia di sicurezza interna Bruno Valensise ed esterna Caravelli. Belloni ha in testa un modello americano che vorrebbe importare in Italia: il Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Quello che ha fatto in questi anni Jake Sullivan per Joe Biden: gestire il coordinamento tra il presidente, l'intelligence, la Difesa e il Dipartimento di Stato (cioè gli Esteri). È un'idea che non piace a Mantavano, né al capo della Farnesina, Antonio Tajani. E così, progressivamente, Belloni viene tagliata fuori dal sottosegretario. I malumori dell'ambasciatrice cominciano a emergere con forza tra fine novembre e inizi dicembre. In quei giorni si è concluso da poco il G20 di Rio de Janeiro, che l'ha vista al centro della missione in qualità di sherpa della presidenza italiana del G7. Il ruolo era in scadenza il 31 dicembre e Meloni glielo aveva affidato dopo aver licenziato l'ambasciatore Luca Ferrari, spedito a Tel Aviv.
    La destinazione che Belloni avrebbe voluto per sé diventa oggetto di insinuazioni e retroscena che non trovano dirette conferme dall'interessata. Nella cerchia vicina a Meloni raccontano che avrebbe puntato insistentemente a prendere il posto di Raffaele Fitto - promosso vicepresidente della Commissione europea - al superministero degli Affari europei e del Pnrr, e che anche in questo caso Mantovano e Tajani avrebbero sollevato forti perplessità. Altra delusione, questa, che l'avrebbe allontanata dalla premier. E ancora: la presidenza dell'Eni. Una poltrona sfumata dopo l'altra, Belloni sembra essere finita lontana dal cuore del potere meloniano. In queste ore si è parlato di un nuovo incarico in Europa, alla Commissione, accanto a Ursula von der Leyen. Qualcuno però sussurra di guardare ai vertici di realtà private, grandi società o banche
  2. È la garanzia informale che la premier avrebbe ottenuto da Trump nella visita a Mar-a-Lago Sulla trattativa con Teheran il sottosegretario Mantovano al Copasir si è detto "fiducioso"
    Se l'iraniano verrà liberato nessuna ritorsione dagli Usa
    FRANCESCO MALFETANO
    ROMA
    L'eventuale rilascio di Mohammad Abedini Najafabadi non causerà un incidente diplomatico tra Roma e Washington. È la garanzia, assolutamente informale, che il presidente eletto Donald Trump avrebbe offerto a Giorgia Meloni sabato notte, nel corso della visita lampo della premier a Mar-a-Lago rivelata dalla Stampa. Un via libera sostanziale che, con modalità e tempi ancora tutti da definire, aprirebbe la strada allo sblocco delle trattative con Teheran per la liberazione di Cecilia Sala, detenuta nel carcere di Evin. Un potenziale punto di svolta che però nasconde ancora numerosi interrogativi. Non solo perché è oggi ignoto cosa il tycoon repubblicano possa aspettarsi in cambio da Meloni o dall'Italia (ieri intanto è arrivata secca la smentita di palazzo Chigi sulla chiusura di un appalto da 1,5 miliardi di euro con SpaceX, il colosso di Elon Musk). E neanche perché ora sarà necessario intavolare nuove e delicatissime interlocuzioni tra gli emissari nostrani e il regime degli Ayatollah. In questa fase il benestare trumpiano sul destino dell'ingegnere 38enne detenuto nel carcere di Opera, su cui pende un mandato di cattura internazionale spiccato proprio dagli Stati Uniti, deve restare per forza di cose coperto.
    «Formalmente, e soprattutto legalmente, Trump non è autorizzato a parlare con i suoi omologhi dei dossier» che lo attenderanno nello Studio Ovale solo dopo il giuramento del prossimo 20 gennaio. Come spiega una fonte di rilievo ai vertici dell'esecutivo, questo è un protocollo su cui gli americani sono molto rigidi e che, se rotto, innescherebbe una lunga serie di malintesi e rimostranze con gli apparati statunitensi. Il sottotesto è quindi che «l'igiene istituzionale» impone che la questione venga affrontata da Meloni nel fine settimana, quando a villa Doria Pamphilj incontrerà per l'ultima volta il presidente uscente Joe Biden, in arrivo in Italia per incontrare Papa Francesco. Nello stesso filone della trattativa e delle sue eventuali contropartite regionali può essere inquadrato anche il vertice internazionale promosso da Antonio Tajani per giovedì. A Roma, il ministro degli Esteri incontrerà gli omologhi di Usa, Francia, Germania e Regno Unito (oltre all'Alta rappresentante della politica estera Ue Kaja Kallas) per discutere di Siria, Iran e, in generale, della situazione regionale in Medioriente.
    Tornando a Trump e Meloni, non sarebbe un caso che ieri il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano si sia limitato a definire «conviviale» il viaggio della premier in Florida. Al Copasir, dov'era stato convocato a gran voce dalle opposizioni per riferire sulla gestione del caso della giornalista 29enne da parte del governo, il braccio destro della premier ha appunto spiegato come sul tavolo del golf club di proprietà di Trump non possa aver trovato spazio la vicenda della giovane italiana. Formalità istituzionale ed equilibrio diplomatico vanno di pari passo. A dimostrarlo anche i «no comment» dietro cui si trincera Mantovano parlando con i giornalisti in piazza San Macuto, a cui destina solo dei ripetuti auguri di buon anno. Silenzi replicati dal sottosegretario anche quando gli si chiede delle dimissioni della presidente del Dis Elisabetta Belloni, che in molti riconducono alle incomprensioni maturate proprio nei suoi confronti.
    In ogni caso le quasi due ore e trenta di riunione hanno consentito a Mantovano di leggere una relazione in cui ha ripercorso tutte le tappe della vicenda Sala, dall'arresto della giornalista di Foglio eChora Media il 19 dicembre fino alle più recenti informazioni disponibili sul suo stato di salute. Senza entrare sull'ipotetico ruolo recitato da Trump e registrando il "segnale" iraniano che ieri ha per la prima volta provato a tenere separati i due casi, il sottosegretario ha anche analizzato l'intreccio dell'arresto di Sala e quello di Abedini. Un po' come fatto da Meloni nel giorno del faccia a faccia con la madre della giornalista, Mantovano ha garantito al Comitato che non si sta lasciando nulla di intentato, riportando tutte le strade percorse per liberare al più presto la 29enne e – in attesa del suo rientro – alleggerire le condizioni della sua detenzione. —
  3. L'agonia di Naima torturata in Libia e quelle vite negate dopo i respingimenti
    Don Mattia Ferrari
    «Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome». Queste parole di Primo Levi tornano alla mente guardando il video dell'ennesima donna torturata nei lager libici, diffuso il 6 gennaio. In questo caso la donna però un nome ce l'ha, grazie a Refugees in Libya, il movimento sociale dei migranti che conduce la resistenza della solidarietà e della fraternità.
    La donna si chiama Naima Jamal, ha 20 anni ed è originaria di Oromia, una regione dell'Etiopia in cui la popolazione è colpita dal duplice flagello della guerra e della siccità dovuta alla crisi ecologica. Naima ha dovuto lasciare l'Oromia e, non potendo accedere a canali di migrazione legali e sicuri, ha dovuto percorrere, come tanti altri, la strada del deserto. Poco dopo il suo arrivo in Libia nel maggio 2024 è stata rapita dai trafficanti. Da allora la sua famiglia è stata sottoposta a varie richieste di riscatto, che non aveva la possibilità di pagare. Fino a quando, ieri, i trafficanti hanno mandato ai suoi familiari un video in cui Naima viene brutalmente torturata e chiedono 6.000 dollari di riscatto. Hanno inviato anche una foto, in cui si possono vedere più di 50 altre vittime, con i corpi incatenati e gli sguardi abbassati.
    Queste notizie non sono le uniche arrivate in questi giorni. Mentre si dice che gli arrivi in Europa sono diminuiti, non bisogna dimenticare due elementi. Il primo è l'alto numero dei naufragi, almeno tre intorno al Capodanno, con circa 50 vittime, tra cui bambini, perché non ci sono operazioni strutturali di soccorso e si ostacolano le navi delle ong. L'altro elemento sono le violenze terribili che avvengono ai danni delle persone migranti bloccate in Libia e in Tunisia.
    Il 3 gennaio un gruppo di 8 ragazzi provenienti dal Gambia ci ha contattato dal deserto. Cinque giorni prima avevano cercato di raggiungere l'Europa via mare, ma erano stati catturati dalla Garde Nationale sulla base degli accordi fatti con l'Unione Europea e l'Italia. In seguito alla cattura in mare, sono stati riportati indietro, sbarcati sulle coste tunisine e contestualmente deportati nel deserto. Risultano dispersi.
    Il 4 gennaio le milizie libiche hanno deportato nei deserti di Dirkou, al confine con il Niger, oltre 600 persone migranti provenienti da Paesi dell'Africa subsahariana.
    Tutto questo è il risultato delle nostre politiche di respingimento, che consistono nel finanziare le autorità libiche e tunisine perché blocchino le persone migranti, le catturino in mare e le riportino indietro, costi quel che costi. Si parla di lotta ai trafficanti, ma ci vuole chiarezza su questo. Gli accordi Italia-Libia del 2017 sono stati fatti, come ha dimostrato Nello Scavo, coinvolgendo ai tavoli uno dei più efferati boss della mafia libica, Bija. Quegli accordi sono stati puntualmente rinnovati e grazie ad essi il potere della mafia libica è cresciuto: molti dei suoi boss occupano ora posizioni apicali negli apparati libici. Il caso più eclatante è quello di Emad Trabelsi, attuale ministro dell'Interno del governo di Tripoli. In più di un rapporto internazionale dell'Onu, del Dipartimento di Stato Usa e di Amnesty International proprio Trabelsi viene indicato come «uno dei peggiori violatori di diritti umani e del diritto umanitario internazionale». Nonostante sia considerato da tutti i massimi esperti come uno dei capi dei trafficanti, in questi anni Trabelsi è stato ricevuto più volte dalle autorità italiane come interlocutore nel contenimento dei migranti.
    In tutto questo, si leva il grido delle persone migranti, attraverso Refugees in Libya. Nei giorni scorsi il loro portavoce, David Yambio, ha fatto una lunga dichiarazione, in cui ha affermato: «L'Europa finanzia le milizie, fa costruire i centri di detenzione e chiama questi accordi "controllo delle frontiere". Condanna nei discorsi la violenza ma distribuisce denaro a coloro che la eseguono. La Libia è la creazione dell'Europa, il suo oscuro segreto, l'inferno che ha costruito per tenersi le mani pulite». David e le altre persone che sono con lui hanno subito quelli che l'Onu definisce «orrori indicibili». Eppure nelle loro parole c'è anche la speranza. Una speranza che nasce dalla solidarietà, dall'amore. «La giustizia deve essere un'azione che spezza le catene e costruisce ponti. Deve essere riparativa, affrontando le ferite della storia, e trasformativa, rimodellando i sistemi che perpetuano queste ingiustizie. Per noi la giustizia non è un ideale astratto, è l'atto quotidiano di alzarsi in piedi, di parlare apertamente, di rifiutarsi di scomparire. È la solidarietà che troviamo l'uno nell'altro, la luce che condividiamo anche nei luoghi più bui. È la consapevolezza che, nonostante abbiano cercato di cancellarci, siamo ancora qui e non rimarremo in silenzio. Fino ad allora, ci sosterremo a vicenda, come abbiamo sempre fatto. Perché anche negli angoli più oscuri di questo mondo, troviamo la luce nella forza l'uno dell'altro».
    Questa luce è proprio quello di cui noi abbiamo bisogno, in una società individualista e affascinata dall'autoritarismo a tal punto che la solidarietà sembra diventata sovversiva. La strada per sconfiggere i trafficanti è molto chiara: fermare gli accordi per i respingimenti, prendersi per mano con le persone migranti stesse e con la società civile tunisina e libica che resiste alle mafie. Nella notte della storia, la luce di questa resistenza della solidarietà e della fraternità è l'unica che può salvarci.
  4. I torinesi Regina e Galliano traditi a Bressanone dalla paletta sul cruscotto Sono pensionati: lui aveva prestato servizio nella Stradale, lei alla Polfer
    Porsche, Rolex e soldi Arrestati in Alto Adige due ex agenti di polizia
    gianni giacomino
    Avevano deciso di trascorrere le festività natalizie in Alto Adige, ma le vacanze non sono andate come previsto. Anzi. Dal paradiso delle Dolomiti e dei mercatini di Natale due ex poliziotti torinesi sono finiti in carcere alle Vallette.
    Angelo Regina, 63 anni, fino a qualche anno fa in servizio alla polstrada è accusato di riciclaggio e detenzione abusiva di arma da sparo. Stefania Galliano, 60enne in forza alla Polfer fino a un anno fa, dovrà rispondere di ricettazione e detenzione illegale di munizionamento da guerra.
    Di essere finiti in guai seri i due ex agenti in pensione lo hanno capito quando hanno visto dei poliziotti veri che li aspettavano intorno alla loro Porsche Cayenne parcheggiata in divieto di sosta nel centro di Bressanone, il giorno di Capodanno. Sul cruscotto era appoggiata una paletta originale della Stradale, ma senza l'indicazione bilingue, prevista per tutte le dotazioni dei mezzi della polizia in Alto Adige. «Scusate ma siamo in servizio» – avrebbero tentato di giustificarsi i due con gli ex colleghi. Che, però, non gli hanno creduto. Poco più tardi gli investigatori della Mobile di Bolzano hanno perquisito Galliano e Regina che, in passato, aveva già avuto delle noie con la giustizia. Li hanno trovati in possesso di due distintivi veri, in uso ai due all'epoca in cui erano in servizio (in relazione a quello in della donna in passato era anche stata presentata una denuncia di smarrimento). Poi due tesserini di servizio falsi che ne attestavano ancora l'appartenenza alla polizia. E, nascosto nella Posche, un giubbotto ad alta visibilità originale, di quelli utilizzati durante i posti di blocco. Nella perquisizione della camera dell'albergo di San Genesio, affittato dai due per trascorrere il periodo delle festività, gli investigatori hanno sequestrato dei gioielli e 3mila euro in contanti. Tutto sequestrato, pure la Porsche Cayenne. La coppia è stata così denunciata per ricettazione e possesso di segni e distintivi contraffatti, e la donna anche per il peculato della placca di cui aveva denunciato lo smarrimento. Oltre al divieto di non presentarsi nel comune di Bressanone per i prossimi tre anni.
    Ma un'altra sorpresa è arrivata quando gli agenti di Bressanone, insieme ai colleghi della Polfer, hanno perquisito le abitazioni dei due, a Torino. Nell'appartamento di Regina sono stati ritrovati una pistola semiautomatica Beretta calibro 7,65 mai denunciata, con caricatore inserito e cinque colpi pronti per essere utilizzati. La riproduzione di una Beretta ma senza tappo rosso, un'uniforme originale della polizia e un falso esserino di riconoscimento. Poi 34mila euro in contanti, diversi orologi Rolex e di altri marchi di lusso, tre telefoni cellulari e un I-pad. In casa della Galliano sono invece stati rinvenuti tre proiettili calibro 9x19, diverse divise originali complete della polizia e ben dieci telefonini con diverse sim. E, infatti le indagini sono tutt'altro che concluse.
    Perché gli inquirenti, come ha spiegato il questore di Bolzano Paolo Sartori (che per i due ha già dispostola misura dell' avviso orale di pubblica sicurezza, in vista della successiva richiesta di applicazione della Sorveglianza Speciale), sospettano che i due ex poliziotti - che dovranno anche giustificare la provenienza di tutti i beni sequestrati - possano avere dei collegamenti con la criminalità organizzata. Come e in che modo resta ancora tutto da chiarire. Intanto, oggi o, al più tardi domani, si terrà l'udienza di convalida.

 

 

06.01.25
  1. L'ora
    X
    dell'Italia
    Il governo italiano accelera e si prepara a chiudere un maxi accordo da 1,5 miliardi di euro con SpaceX, la società spaziale fondata da Elon Musk. Nello specifico, come rivelato da Bloomberg News, Roma sta spingendo per sottoscrivere un contratto di cinque anni per utilizzare a scopi governativi e militari le tecnologie di Starlink, la costellazione di satelliti per telecomunicazioni che sta rivoluzionando l'industria di riferimento. Dopo uno stallo di due anni arrivano i primi risultati della visita a sorpresa della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella residenza del prossimo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump.
    Il progetto con SpaceX, secondo l'agenzia Bloomberg sarebbe già stato approvato dai servizi di intelligence italiani così come dal Ministero della Difesa e potrebbe essere il maggior in Europa. E, se sarà concluso, potrebbe rappresentare il preludio di altre intese fra i due lati dell'Atlantico dopo l'insediamento di Trump, previsto per il prossimo 20 gennaio, quando prenderà il posto dell'attuale presidente Joe Biden.
    La firma definitiva non c'è ancora, come evidenziano fonti vicine al dossier interpellate dall'agenzia di stampa statunitense, ma diversi capitoli sarebbero stati sbloccati nelle ultime ore. Dai telefoni dei funzionari governativi, passando per l'utilizzo di internet per gli uffici, arrivando ad altre soluzioni accessibili attraverso Starlink, come la crittografia di ultimo livello, l'intesa con l'azienda di Musk potrebbe cambiare il panorama delle telco della Repubblica. Il piano in discussione includerebbe anche servizi di comunicazione per l'esercito italiano nell'area del Mediterraneo, nonché l'implementazione dei cosiddetti servizi satellitari direct-to-cell in Italia per l'uso in emergenze come attacchi terroristici o calamità naturali, hanno affermato le fonti interpellate da Bloomberg. Non è la prima volta che si discute dell'interazione fra Roma e Starlink, dal momento che il possibile accordo è in fase di revisione dalla metà del 2023. Una intesa che, tuttavia, è stata osteggiata da alcuni funzionari italiani preoccupati di come i servizi potrebbero sminuire i vettori locali. In questo contesto, l'Italia è tra i Paesi già serviti da Starlink e già lo scorso anno vi erano state alcune schermaglie con gli operatori domestici. Come ricordato da Bloomberg, la società di Musk aveva affermato che Telecom Italia stava ostacolando il lancio dei suoi servizi internet ad alta potenza.
    Nello specifico, l'accordo di cui si sta discutendo è con SpaceX, che controlla in forma diretta Starlink. La prima è la società di Elon Musk capace di lanciare razzi, anche riutilizzabili come lo Starship, nello spazio. La seconda crea satelliti per le tlc. Starlink ha circa 6.700 satelliti in bassa orbita, la costellazione di satelliti più grande capace di portare internet veloce dallo spazio. Nel 2024 SpaceX ha aggiunto più di 20 nazioni, dal Ghana all'Argentina, al suo servizio Internet satellitare Starlink. Ora serve più di 4 milioni di persone in oltre 100 Paesi e territori. Di fatto ricopre il globo di servizi a banda larga. Una sfida agli operatori tradizionali e ad altre aziende e nazioni, come la Cina, che sembrano più indietro rispetto allo sviluppo di questa tecnologia. Ma soprattutto uno degli assi nella manica utilizzati dall'Ucraina per contrastare la brutale invasione da parte della Federazione Russa di quasi tre anni fa.
    Nei mesi scorsi ci sono stati diversi incontri tra Musk e Meloni. Alcuni di questi si sono tenuti a Palazzo Chigi, a suggello di un rapporto che si sta consolidando giorno dopo giorno. Ora il passo in avanti. Ma sono ancora valide le possibili alternative, che hanno degli oneri maggiori. A oggi il governo italiano stava esaminando l'opzione della Satellite Constellation Company IRIS² dell'Unione europea e la costruzione della propria costellazione satellitare. In ambo i casi, il costo complessivo dei progetti avrebbe superato quota 10 miliardi di dollari. Vale a dire molto di più rispetto a quanto si pagherebbe per la tecnologia statunitense. Che, oltre a essere già stata testata sul campo per anni, si sta rivelando come una delle possibilità più credibili per la diffusione di internet ad altissima velocità e con uno standard di sicurezza più elevato rispetto alla concorrenza. Del resto, nel suo campo, Starlink (e SpaceX) ha raggiunto un significativo livello di penetrazione del mercato.
    In attesa di un commento dalle parti in gioco, i buoni rapporti transatlantici e l'affidabilità di Starlink, insieme con il risparmio in previsione, potrebbero essere stati determinanti per la svolta definitiva che si sta prospettando. —
  2. entro la primavera sarà attivo il servizio wi-fi sui voli
    Intesa con United, per internet sugli aerei
    United Airlines accelera l'adozione del servizio Wi-Fi satellitare di Starlink sui propri aerei in volo. I test per la tecnologia di SpaceX di Elon Musk erano prevista per la primavera, ma ieri la compagnia ha annunciato che avverranno già dal mese di febbraio. Il primo volo commerciale operato da un velicolo regionale Embraer E-175 con questo equipaggiamento è in programma dalla primavera. United Airlines ha chiarito che l'accesso sarà gratuito solo per i membri MileagePlus, mentre in precedenza aveva assicurato Wi-Fi gratis a tutti i passeggeri.
    L'obiettivo di United Airlines è ambizioso: entro la fine dell'anno, l'azienda prevede tutta la sua flotta di aerei regionali con due classi di servizio dotata del servizio. Inoltre, c'è l'intenzinoe di far volare il primo aereo di linea principale, equipaggiato con questa innovazione, già entro la fine del 2025. Più a lungo termine, l'intera flotta, composta da oltre un migliaio di aeromobili, sarà equipaggiata con il Wi-Fi satellitare.
    SpaceX, d'altra parte, ha già intese con varie compagnie aeree per fornire servizi Internet in volo. Il fornitore di servizi Internet via satellite ha già firmato accordi con Hawaiian Airlines e il vettore regionale Jsx. —
  3. Le tasse contro le diseguaglianze sociali La modernità di Matteotti sul fisco
    Ernesto Maria Ruffini
    È da poco terminato l'anno in cui articoli e libri hanno commemorato il centenario dell'assassinio di Giacomo Matteotti, rapito e ucciso nel giugno 1924 da una squadraccia fascista. Gran parte di questi lavori ne ricostruiscono l'esistenza, l'impegno politico, la lungimiranza e, in particolare, la morte. E da pochi giorni è stata ricordata la data – il 3 gennaio – in cui Mussolini rivendicò il suo assassinio.
    La tragica fine, tuttavia, ha oscurato molto della sua attività precedente alla marcia su Roma. Conosciamo per lo più il Matteotti oppositore del fascismo, che paga con la vita la contrarietà alla nascente dittatura. Conosciamo meno, invece, dei suoi studi e dei suoi interessi.
    Pochi sanno, ad esempio, che una parte centrale della sua attività fu rivolta alla questione fiscale, intesa come uno strumento per costruire una società più giusta, ridurre gli squilibri, alleviare la miseria delle classi più povere e ridistribuire la ricchezza.
    A rivelare questo volto inedito di Giacomo Matteotti è Francesco Tundo, che nel suo La Riforma Tributaria. Il metodo Matteotti esplora uno dei lati meno noti dell'esponente socialista. Si scopre così che l'Italia uscita dalla Grande guerra rivelava sorprendenti analogie con quella odierna, a cominciare dalla pressione fiscale, già all'epoca fra le più alte d'Europa. In questo contesto, le principali critiche riguardavano gli «accertamenti rilassati sulla base di medie, contrattazioni e concordati» con cui il fisco procedeva verso i contribuenti (come denunciava Luigi Einaudi), lo sbilanciamento del prelievo sui lavoratori dipendenti, le rendite catastali non aggiornate da decenni, l'insuccesso nella tassazione degli (extra)profitti conseguiti dall'industria bellica durante il primo conflitto mondiale, lo svuotamento del ruolo del Parlamento operato dalla decretazione d'urgenza.
    Con le sue proposte Matteotti è assolutamente moderno rispetto ai suoi tempi. In primo luogo, è uno dei pochi – forse l'unico – ad avere piena consapevolezza che il debito pubblico è una minaccia che incombe sul futuro: «Stiamo percorrendo una strada molto pericolosa in Italia – afferma nel 1920 con straordinaria lungimiranza –. Viviamo tutti sui debiti e ci creiamo un baratro per domani». Al tempo stesso, è profondamente critico verso quei provvedimenti, come le imposte sui consumi, utilizzate per ripianare il deficit causato dalla guerra, ma che colpivano le fasce più povere della popolazione.
    Tuttavia Matteotti è anche colui che propone la progressività delle imposte (oggi scontata, all'epoca un'eresia); è favorevole all'introduzione di un'imposta personale progressiva (l'odierna Irpef) e di calcolarla su base familiare anziché individuale, come qualcuno sostiene ancora oggi, ritenendo possa fotografare meglio l'effettiva capacità contributiva; addirittura suggerisce di far partecipare i Comuni nel contrasto all'evasione, incentivandoli attraverso la destinazione di parte delle risorse recuperate, come sarebbe poi stato previsto più mezzo secolo dopo.
    Per Matteotti il fisco non è un aspetto a sé, ma è ciò su cui si fonda il patto alla base della comunità ed è dunque inserito in una più ampia visione politica fondata sull'uguaglianza dei contribuenti, un tema che all'epoca non era affatto scontato. Di conseguenza il sistema tributario è concepito come perno attorno al quale costruire una comunità, una specie di tessuto connettivo della società che necessita di una sistemazione razionale per poter realizzare la giustizia sociale. L'idea del fisco come leva per ridurre le differenze sociali è lungimirante per l'inizio del Novecento, tanto che avrebbe trovato degna collocazione – terminata la dittatura – nella nostra Carta, dove la progressività delle imposte è divenuto addirittura un principio costituzionale. Un principio che deve la sua presenza anche ai semi gettati da Matteotti, convinto che far pagare a tutti i cittadini una stessa cifra o richiedere proporzionalmente lo stesso sacrificio economico avrebbe contribuito a perpetuare le disuguaglianze di partenza. Come avrebbe detto don Lorenzo Milani qualche decennio dopo, «Non c'è ingiustizia più grande che fare parti uguali fra disuguali».
    Matteotti, però, è avanti anche rispetto alla sua stessa parte politica, che predica la rivoluzione con un'oratoria incendiaria, ma trascura le questioni concrete. E così, consapevole che per un politico sia fondamentale capire come funziona un bilancio, nel 1920 collabora al Manuale per gli amministratori degli enti locali, pensato per fornire gli strumenti di base alle giunte socialiste che si trovano a governare un numero crescente di città e paesi.
    Quando viene eletto deputato, questa visione pragmatica e scientifica confluisce nell'attività parlamentare, fatta di studi, ricerche e statistiche, che gli servono come base per i suoi interventi in Aula. Perché Matteotti non affrontava i temi politici prima di un attento e scrupoloso studio di ogni aspetto, senza lasciarsi trasportare da una facile e inutile retorica assai in auge all'epoca. Anche questa è una novità pressoché assoluta, che per la sua lungimiranza fa tornare alla mente le parole pronunciate pochi anni dopo da Alcide De Gasperi, quando era un semplice impiegato della Biblioteca Vaticana, strettamente sorvegliato dall'Ovra: «Dobbiamo prepararci a quello che verrà dopo il fascismo».
    È facile capire, insomma, come – al di là della stima di cui godeva – ben prima del fascismo Matteotti fosse una spina nel fianco per ogni esecutivo. Al tempo stesso, Matteotti rifugge il populismo fiscale che ancora oggi riscuote tanta fortuna: «È dannoso l'additare all'odio del popolo le tasse, le imposte – scrive nel 1907, ad appena 22 anni –; noi dobbiamo limitarci a dimostrare che le imposte sono mal distribuite, ma diffondere nel tempo stesso la persuasione che sono assolutamente necessarie».
    Insomma, sembra argomentare Matteotti, le tasse non sono belle né brutte, ma soltanto indispensabili, perché senza risorse non può esistere nessun progetto politico, non può essere scritto nessun programma di governo e non può essere raggiunto nessun obiettivo. E la scelta di come le risorse possano essere trovate e impiegate è una scelta puramente politica. Nel nostro Paese, invece, a distanza di un secolo, sembra ancora che le tasse vengano imposte da un'entità avvertita come estranea.
    Viene in mente una frase pronunciata in quegli anni da un altro brillante intelletto: «Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana». La frase è di Piero Gobetti e risale proprio al 1924. Nel giro di un paio di anni, ironia del destino, anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte di Matteotti: morire a causa di un'aggressione di camicie nere. —
  4. Francesco La Licata
    Bombe, depistaggi, ricatti e politica il lungo filo nero di Cosa Nostra
    Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese, detto "Lucchiseddu", sono dunque indicati - con tanto di imprimatur giudiziario - come due degli esecutori materiali dell'omicidio di Piersanti Mattarella,
    fratello dell'attuale Capo dello Stato, assassinato a Palermo il giorno dell'Epifania del 1980. Sono trascorsi 45 anni ma, alla fine, quello che era sulla bocca di tutti sembra aver ricevuto un qualche riscontro investigativo.
    Non sembri, questo, un traguardo trascurabile (i due stanno scontando più di un ergastolo per altri delitti) nell'attività che magistrati e inquirenti svolgono da anni nel tentativo di offrire una chiara matrice per un delitto oggettivamente identificabile come "politico" e quindi attribuibile alla mafia, ma anche ad "interessi alti" di gruppi di potere occulti. Sembra perciò, in questo senso, abbastanza stucchevole e fuorviante il dibattito che focalizza tutta l'attenzione sul fatto che Lucchese e Madonia sono mafiosi e quindi il "delitto è solo di matrice mafiosa".
    Non è così e la storia di Cosa nostra e di questi due personaggi ne rappresenta la prova più evidente. Cosa nostra e "fasci" hanno attraversato, soprattutto in Sicilia, lunghi periodi di sinergia e di scambio di favori, coinvolti nella loro principale missione che era quella di fermare l'avanzata della sinistra e impedire al Pci l'ingresso nei governi. Attività intrapresa già all'indomani della fine della guerra (subito dopo lo sbarco degli Alleati) con il terrorismo banditesco di Salvatore Giuliano (Portella della Ginestra, 1947), eterodiretto dai servizi di sicurezza, dalla mafia e dagli agrari che difendevano i loro privilegi.
    Certo, Nino Madonia non era ancora nato e neppure "Lucchiseddu", ma Cosa nostra c'era già e c'era per esempio Bernardo Brusca (padre di Giovanni il bombarolo di Capaci) che "mediava" tra la banda Giuliano e l'Alto commissariato per la lotta al banditismo. Ma i legami e gli abbracci inconfessabili durano nel tempo e si tramandano grazie alla grande forza ricattatrice che possono esercitare.
    Per questo chi ha vissuto in Sicilia gli anni del compromesso e del "quieto vivere" non può stupirsi nell'apprendere degli indizi (nuovi e vecchi) emersi nelle indagini sull'assassinio politico di Piersanti Mattarella. Chi ha superato una certa età ricorda come spesso coincidessero le attività criminali di mafiosi e militanti "neri". Gli Anni Settanta "siciliani" meritano di essere, in questo senso, ripensati.
    Nino Madonia è il figlio maschio grande di Francesco, detto "Cicciobomba" per la sua "passione" verso gli esplosivi e nei confronti della "polizia senza divisa", i Servizi. Era il 1970 e Cosa nostra aveva da poco aderito al progetto di golpe del comandante Junio Valerio Borghese salvo, poi, ripensarci quando l'ufficiale golpista chiese un elenco dei mafiosi partecipanti. Lì saltò l'accordo che era stato sottoscritto in una riunione in Svizzera cui avevano partecipato i capi di Cosa nostra, tra cui Luciano Liggio, mentore e protettore dei Madonia. Una promessa infranta, però, non può rinnegare una solida amicizia.
    Così negli Anni Settanta le strade di mafia e neri spesso si incrociano. Palermo, Trapani e Catania vantano i gruppi criminali egemoni e pure le punte di diamante del terrorismo nero. Due nomi su tutti: Pierluigi Concutelli e Francesco "Ciccio" Mangiameli, che navigano a vista nella galassia neofascista con l'occhio alla lotta armata. E, dunque, può accadere che, mentre forma Ordine Nuovo, Concutelli venga candidato alle elezioni dal Movimento Sociale di Almirante. E Mangiameli rompa col partito d'origine per dirigersi verso quella Terza Posizione che lo porterà a morire, ucciso in una faida tutta interna ai "fasci" di Fioravanti e Cavallini. Verrà ripescato in fondo al lago di Tor de' Cenci, a Roma, dopo essere stato a Palermo e forse messo al corrente del progetto per eliminare Piersanti Mattarella, politico inviso alla mafia, certo, per le sue prese di posizione che mettevano in crisi il sistema di corruzione tenuto in piedi dai grandi appalti regionali e nazionali, ma odiato anche per la sua politica di apertura verso la sinistra. Ecco perché spesso la sua figura viene accostata a quella di Aldo Moro.
    Era, quello, il periodo in cui i fascisti compivano a Palermo attentati molto mirati - famosi quelli ai tralicci dell'Enel e ai negozi di Luisa Spagnoli - e li rivendicavano a nome di formazioni della sinistra. Tenevano campi militari e organizzavano convegni a copertura di esercitazioni belliche (a Menfi, tra Agrigento e Trapani). A Campofelice di Fitalia (Palermo) fu tenuto un seminario sulla "cultura di destra" (lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle), "arricchito" da una sana attività militaresca. Ma soprattutto era un periodo in cui "ballava" una quantità impressionante di esplosivi. Ma non la gestivano i "neri", i candelotti erano una specialità di "Cicciobomba". Ne fu prova ciò che accadde la notte dell'ultimo dell'anno 1970, quando cinque cariche esplosive colpirono in contemporanea altrettanti siti istituzionali (assessorati regionali e la sede del Comune di Palermo).
    Le bombe di Capodanno provocarono panico e clamore, fu chiaro che si "trattava di soldi", nel senso che la mafia chiedeva qualcosa che l'amministrazione pubblica negava. Ovvio che fosse una questione di appalti che aspettavano di essere sbloccati, come auspicava, per esempio, Vito Ciancimino. Poche ore dopo i "botti", l'allora capitano dei carabinieri Giuseppe Russo (che di azzardi si intendeva) si precipitò in via Castelforte a perquisire casa e magazzino di "Cicciobomba" trovando 400 candelotti di dinamite. Come faceva a sapere, Russo? Forse l'ufficiale e "Cicciobomba" si conoscevano da prima?
    Questo era il clima: Mangiameli gestiva un club di picchiatori (Il Trocadero), menava gli studenti di sinistra e non veniva mai arrestato mentre Concutelli, tra una riunione e l'altra dentro Ordine Nuovo, si assentava per frequentare la Camea, Loggia massonica imbottita di politici e mafiosi o per esercitarsi nella pineta di Bellolampo con mitragliette clandestine. C'è da meravigliarsi se il terrorista sia riuscito a ottenere, da ergastolano semilibero, il posto di guardiano al cimitero del Verano, prima di morire per una grave malattia?
    E meno male che simile considerazione non ha ricevuto Madonia quando ha chiesto un permesso premio, forse approfittando del "buonismo" di cui hanno goduto fior di boss in queste ultime settimane. —

 

 

05.01.25
  1. la storia
    La guerra di Piero contro la Sla e l'Inps "Mi negano il sussidio per un cavillo"
    Dopo una vita da ufficiale dell'Aeronautica in giro per il mondo, il signor Piero Scurpa si trova immobilizzato in un letto di una Rsa della Lombardia. L'unica parte del corpo che riesce a muovere sono le palpebre, oltre a un dito. La respirazione è indotta con un ventilatore meccanico. Ha 46 anni, due figli. Faceva il manutentore dei Tornado. Nel 2018 ha accusato i primi sintomi: «Una pesantezza anomala degli arti inferiori». La situazione è degenerata in pochi mesi. «Dopo una serie di esami, sono stato ricoverato all'ospedale Besta di Milano. Lì mi hanno diagnosticato la malattia del motoneurone, più nota come Sla, quella che ha decretato il mio passaggio al regno dei malati incurabili».
    La malattia avanza. Ferma i muscoli uno dopo l'altro, ma lascia il cervello intatto. Il signor Scurpa è perfettamente lucido, immobilizzato e lucido. Avrebbe diritto a un'indennità di accompagnamento da 500 euro al mese per poter rallentare questa corsa verso il nulla e alleviare le sue sofferenze. Ma l'Inps, che nel 2021 gliel'aveva concessa quando le sue condizioni erano meno gravi, adesso gliel'ha revocata con questa spiegazione: «Per concedere l'accompagnamento serve una data di fine ricovero». «Solo che nessuno conosce quella data», dice l'avvocato Gian Maria Mosca di Torino. «Questa è una storia vera da non poterci credere».
    Tutte le parole virgolettate che leggete in questo articolo sono il pensiero preciso dell'ufficiale in congedo Piero Scurpa. Le ha scritte di notte, con il puntatore oculare. Una lettera dopo l'altra, frase per frase. Il suo sembra l'incubo di un servitore dello Stato che vuole vivere, ma che adesso si trova lo Stato contro. «Non sono io contro lo Stato, non lo sarò mai. Casomai io sono contro una burocrazia troppo rigida nei formalismi, che ostacola accessi a misure che mi spettano sicuramente per la condizione in cui mi trovo. Mi hanno rincuorato le parole pronunciate dal nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno. Mi spingono a combattere per avere le cure».
    Di fronte alla domanda scritta direttamente dal signor Scurpa, sempre con il suo puntatore oculare, dall'Inps è arrivata la più paradossale delle risposte: «Attualmente l'istituto non dà la possibilità di ricevere l'accompagnamento, se non dopo la fine del ricovero. Si consiglia di iniziare una azione giudiziaria per capire se un giudice possa riconoscere questo diritto». E cioè: l'Inps gli ha consigliato di fare causa all'Inps. Ma da quando l'avvocato Mosca è stato incaricato di sostenere questa battaglia legale, non dorme più neanche lui. «Stiamo promuovendo la causa, certamente. C'è una sentenza della Cassazione molto chiara nello stabilire il diritto all'accompagnamento anche in caso di ricovero. Ma conosciamo i tempi della giustizia italiana e sappiamo che non corrispondono affatto a quelli della malattia».
    La malattia è veloce, la giustizia è lenta. Il signor Scurpa non può avere quel minimo sostegno – due ore al giorno – che sarebbe fondamentale. Anche la struttura in cui si trova ricoverato ha fornito un certificato per suffragare la sua domanda: «Si certifica che il signor Scurpa è affetto da sclerosi laterale amiotrofica, in ventilazione meccanica... Durante questo periodo di degenza abbiamo rilevato la necessità che venga supportato emotivamente durante la giornata e con anche una opportuna stimolazione individuale. L'attività individuale permetterebbe a Piero di essere più sereno e protetto dalle ansie di malattia in un ricovero per lui necessario».
    Niente. Risposta negativa. Lo Stato contro. Anche se a Piero Scurpa non piace pensarla così. «Io sono un ufficiale dell'Aeronautica Militare italiana in congedo, ho svolto numerose missioni anche all'estero. Mi occupavo della manutenzione del Tornado, il velivolo che ci era stato assegnato. Il mio compito, con la squadra, era di consegnarlo in condizioni perfette al pilota. Intanto ho cercato di essere un buon marito e un buon padre».
    Già, un padre. Ha due figli di 7 e 13 anni. «I motivi che mi spingono a lottare ancora contro questa malattia sono semplici: il primo è la mia indole combattiva, per cui troverei troppo facile mollare e lasciarmi andare. Il secondo motivo sono i miei figli. Mi hanno letto quello che ha scritto il più piccolo, nella consueta lettera di Babbo Natale: non voleva nessun regalo, perché ha detto di avere già tutto, ma ha chiesto se poteva guarire suo padre. Queste parole mi danno una forza enorme».
    E così, sono loro: il signor Piero Scurpa, la sua famiglia, i due figli, il cugino Massimiliano Subiaco - «Dobbiamo essere rapidi, perché questa malattia è rapidissima» – con l'avvocato Gian Maria Mosca, tutti davanti al grande Moloch della burocrazia italiana. Eppure, ecco come viene definito l'assegno di accompagnamento dalla stessa Inps: «È una prestazione economica, erogata a domanda, a favore dei soggetti mutilati o invalidi totali per i quali è stata accertata l'impossibilità di deambulare senza l'aiuto di un accompagnatore oppure l'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita». Chi più del signor Scurpa, purtroppo per lui, ne avrebbe diritto?
  2. PERCHE' NO A TORINO ?: firmato dalla regista giorgia furlan
    "Il delitto perfetto", arriva anche il docufilm Il 9 gennaio l'anteprima a Roma e Bologna
    Il docufilm di Giorgia Furlan Magma. Mattarella, il delitto perfetto è un'indagine su quello che viene descritto come il delitto più grave dopo quello di Aldo Moro. Piersanti Mattarella era un suo pupillo e un suo erede: in Sicilia, di cui era presidente, ne aveva ripreso la linea di un rinnovamento della vita politica e di convinte aperture verso il Pci. Il docufilm – prodotto da Mauro Parissone per 42° Parallelo, Antonio Campo dell'Orto e Ferruccio De Bortoli – verrà presentato a Roma con un'anteprima nazionale il 9 gennaio 2025 al cinema Moderno, e a Bologna con una proiezione speciale al cinema Modernissimo. Attorno al caso Mattarella vengono ricostruite le vicende che avevano visto la nascita di un governo regionale che aveva alzato il velo sul sistema siciliano delle connivenze e della convergenza di interessi tra mafia, poteri occulti e politica. —
  3. il caso
    "Ecco chi erano i killer di Mattarella" La nuova pista grazie alle foto d'archivio
    Riccardo Arena
    Palermo
    Del patto inconfessabile tra neri e mafiosi era convinto lo stesso Giovanni Falcone e la pista che indicava come esecutori materiali due terroristi neofascisti è stata a lungo seguita, anche in tempi recenti, pure quando - pure contro ogni ostacolo processuale - Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini erano stati ancora ritenuti al centro della complessa trama dell'omicidio di Piersanti Mattarella, fratello di Sergio. La stessa pistola che avrebbe ucciso il presidente di una Sicilia che voleva avere «le carte in regola» avrebbe poi assassinato il giudice Mario Amato, pochi mesi dopo, a giugno del 1980: mancavano però i riscontri, l'identità tra le ogive esplose nei due delitti non era certa. E lasciamo stare che i due "neri" sono stati assolti con una sentenza che è definitiva da un quarto di secolo, ostacolo processuale tecnicamente insormontabile.
    Ora però vengono fuori gli indagati e i due possibili esecutori materiali sarebbero nomi di peso nell'universo mafioso: uno è Nino Madonia, superkiller e appartenente a una famiglia di rango, figlio di Francesco, un componente della commissione condannato (con Riina e Provenzano) come mandante del delitto. Madonia da anni ormai è sospettato di avere sparato a Piersanti Mattarella anche per via della sua somiglianza - all'epoca - con Fioravanti. L'altro è Giuseppe Lucchese, "Lucchiseddu", superkiller di mafia. Scontano entrambi ergastoli, potrebbe non fare alcuna differenza, per loro, uno in più o in meno. E però quel delitto di 45 anni fa si porta dietro ancora mille misteri, sebbene si parli del fratello dell'attuale presidente della Repubblica, tra i primissimi a intervenire – inutilmente – in soccorso del prossimo congiunto. Il grumo di interessi mafiosi e di altro genere, politici e imprenditoriali innanzitutto, contro quell'anomalo democristiano allievo di Aldo Moro e insensibile ai richiami all'ordine e all'equilibrio costituito di pacifica convivenza e connivenza del tempo, non è mai emerso con nettezza. Se dovessero essere individuati i killer, ci sarebbe comunque un tassello di verità in più.
    Il processo che fu celebrato all'epoca, su input del procuratore aggiunto Giovanni Falcone e dei sostituti Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte, prendeva in considerazione - non a caso - i "delitti politici" (Mattarella, Reina, La Torre, Dalla Chiesa) nel loro complesso. Un'auto sospetta, fotografata per caso sul luogo del delitto, in via Libertà: ci sarebbe questo, alla base della nuova ipotesi investigativa che ha portato a una decisa accelerazione dell'inchiesta, già riaperta anni fa. Un riscontro possibile per circoscrivere il novero dei sospetti e anche per escludere definitivamente che quel giorno avesse agito Fioravanti e non Madonia. La somiglianza tra i due potrebbe avere tratto in inganno la vedova del presidente, Irma Chiazzese, che in aula si era detta sicura che a sparare fosse stato Fioravanti. Nei mesi scorsi una lettera anonima era stata recapitata ai familiari: lì si indicava il killer, con tanto di identikit e foto del possibile colpevole. Poi gli investigatori della Dia erano andati nelle redazioni di quotidiani, televisioni e agenzie di stampa, alla ricerca di foto e articoli. Avevano riprodotto tantissimo materiale, anche fogli di vecchi giornali dell'epoca e si sarebbero imbattuti nella foto di un'auto non rubata, riconducibile a soggetti legati a Cosa nostra.
    Il 6 gennaio 1980 un killer dagli occhi di ghiaccio, con estrema freddezza, sparò una prima volta quattro colpi con una calibro 38 Special e, dopo che la pistola si era inceppata, andò a cambiarla, facendosi passare una Smith&Wesson dal complice che lo aspettava su una 127 rubata. Camminando con andatura ballonzolante si riavvicinò alla Fiat 132 su cui c'erano il presidente siciliano, che la domenica rinunciava alla scorta per andare a messa, la moglie, che cercò di fargli scudo col corpo, rimanendo ferita, la madre di lei e i figli della coppia: Maria, recentemente scomparsa, e Bernardo, ex deputato regionale del Pd. Sergio Mattarella, che abitava di fronte (e ha ancora casa lì) venne immortalato mentre cercava di tirare fuori dalla 132 il fratello morente, in una storica foto di Letizia Battaglia, che passava di là per caso e scattò senza sapere chi fosse la vittima. Si moriva tanto, a Palermo, allora, si faceva fatica persino a capire che avevano sparato al presidente della Regione. —
  4. recensioni
    Il bazar

    delle
    lorenzo cresci
    «Comprare recensioni su TripAdvisor». Basta un clic. Il motore di ricerca si avvia e restituisce il paradiso, anzi, la «reputation». Perché di quella si vive, in fondo, soprattutto se fai ristorazione. Ci sono siti – che si presentano come agenzie – che mettono in vendita pacchetti di voti tra gli 11,90 e i 15,90 euro. La selezione è ampia: il commerciante può scegliere tra due Opzioni («I tuoi commenti» oppure «Commento su misura») e anche quante recensioni al giorno: una, due o tre. D'altro canto, garantisce l'agenzia «con sedi a Roma e New York», ormai «più dell'80% degli utenti Internet consulta le recensioni dei clienti e le loro stelle su un sito prima di andarci. I buoni commenti aiutano a indirizzare questi utenti alla tua piattaforma». Secondo un sondaggio di Fipe-Confcommercio il valore percentuale è del 65%, ma comunque resta molto alto.
    Questa è l'offerta low cost, perché le agenzie considerate di alto livello – GetAFollower, Media Mister o Buy Real Media – chiedono anche 57 euro a recensione su TripAdvisor. L'aspetto curioso è che non necessariamente si possono acquistare soltanto recensioni a 5 stelle. Sono in commercio anche quelle a 1 o 2 stelle, per cercare evidentemente di mitigare l'entusiasmo. Una delle ricerche più recenti della stessa TripAdvisor – il Review transparency report datato 2022 – sostiene che «oltre 1,3 milioni di recensioni al mondo sono risultate false», ovvero il 4,3% di quelle complessive, un dato in crescita rispetto agli anni precedenti, anche se condizionato dal periodo del Covid, quando soprattutto associazioni come Confesercenti denunciarono le false recensioni scritte dai No Green Pass. Ma c'è un elemento importante: i pareri manipolati perché a pagamento in realtà sono stati appena 24.500, e l'Italia è tra i primi Paesi al mondo, quinta, tra Turchia e Vietnam.
    È un grande bazar, insomma, quello delle recensioni, se non fosse che di mezzo c'è autenticamente la credibilità: del ristoratore e del cliente. Il ristoratore mettendoci la faccia, il cliente spesso l'anonimato. Un po' come nel caso avvenuto a Roma negli scorsi giorni: «Esperienza del tutto inaspettata, completamente deludente per il nostro gruppo», scrive il cliente. «Peccato che un ragazzo abbia avuto la brillantissima idea di lanciarsi dalla finestra, e gli altri abbiano giocato a tennis con i taglieri dei salumi», risponde il proprietario del ristorante.
    Chi non si è piegato a una pioggia di improvvise recensioni negative – dopo centinaia di giudizi positivi – è il ristoratore dell'Hostaria Ducale di Genova, Enrico Vinelli. Che ha fatto causa (vincendola) a Google. «Improvvisamente mi sono arrivati decine di giudizi negativi, ma non credibili – racconta Vinelli – Un sedicente cliente addirittura diceva di "aver mangiato qui la peggiore pizza di Roma". Erano tutte in inglese, fioccavano una dopo l'altra». A quel punto l'imprenditore si rivolge a Google chiedendo di verificare le recensioni, ma il colosso dice che non è così, in fondo quelle recensioni non hanno contenuti offensivi. Si arriva in procura e, dimostrata la falsità dei contenuti, Google viene costretta a rimuovere le recensioni lasciate da un cosiddetto "bot", e, si legge nell'ordinanza, «usando l'ordinaria diligenza, ne avrebbe potuto facilmente riconoscere la falsità, provvedendo quindi autonomamente alla loro eliminazione».
    Si è scagliato direttamente contro un cliente, invece, Simone Angeli, proprietario del ristorante "Chi Burdlaz" di Marina centro a Rimini (2.542 recensioni su Google, media di 4,3 stelle su 5), che ha querelato per diffamazione aggravata un cliente tedesco che aveva pubblicato online una recensione negativa, aggiungendo che non gli era stato rilasciato uno scontrino fiscale (accusa giudicata falsa, perché il pagamento elettronico del conto dimostrerebbe il contrario). I fatti sono del 2022, «la querela è rimasta» conferma il proprietario al telefono, anche se la pratica è ferma e non c'è stato uno sviluppo giudiziario. Altri casi? «Ogni tanto capita, rispondo solo se mi fanno realmente arrabbiare, altrimenti lascio perdere», conferma. Altri casi arrivano in ordine sparso da ogni parte d'Italia: il ristorante Rigoletto di Mantova è stato tempestato di giudizi negativi dopo aver partecipato alla trasmissione tv di Alessandro Borghese per l'atteggiamento della sua proprietaria, così come un ristoratore di Arezzo che nella stessa trasmissione aveva affermato di essere gay. E c'era un autista di autobus romagnolo (condannato) dietro decine di recensioni negative al ristorante Artrov di Rimini, reo di non somministrare spritz, mentre era un vicino di casa indispettito dalla musica che proveniva dal locale a scrivere «Very bad... pessimo» dell'agriturismo di Jesi "bocciato" nelle recensioni.
    C'è di tutto, insomma ma in generale il problema secondo i ristoratori è uno: «Chiunque può lasciare una recensione in forma anonima, mentre piattaforme come The Fork sono sulla carta più affidabili perché offrono un servizio di prenotazione. Il cliente, arrivato al ristorante, viene "segnato" presente e solo a quel punto potrà scrivere una recensione». Sulla carta sicuro, ma siccome non sempre è solo il cliente ad avere torto, c'è chi ha scoperto un inganno: può essere lo stesso ristoratore a prenotare – magari usando il nome di un conoscente o di un parente – quindi segnalare l'arrivo del presunto cliente con l'apposita app, pagare 2,50 euro di commissione e infine liberare il tavolo. E rilasciare un giudizio (positivo). In fondo, business is business: e 2,50 euro è meglio dei 57 euro proposti dalle agenzie di vendita recensioni. —
  5. Le carte degli Usa
    di
    La rete
    Abedini
    Roma
    Della storia di Mohammad Abedini, l'ingegnere iraniano arrestato a Malpensa su mandato degli Stati Uniti, restano alcuni aspetti da chiarire. Si è scritto ieri, su questo giornale, della sua carriera folgorante nell'industria militare, alla guida dell'azienda "Sdra", e del rapporto con i suoi principali clienti, i Pasdaran. Washington l'accusa di aver esportato illegalmente tecnologie americane in Iran, fornendo un supporto all'associazione terroristica delle Guardie della rivoluzione. Ma Abedini, per quanto intraprendente e potente sia diventato, non può aver fatto tutto da solo. Quella che segue è quindi la ricostruzione degli eventi fornita da un resoconto delle indagini condotte dall'unità di controspionaggio dell'Fbi di Boston, di cui La Stampa è in possesso. Da questo fascicolo emergono il metodo e la rete di relazioni che avrebbero permesso ad Abedini di penetrare nel mondo delle aziende statunitensi, esportare le loro tecnologie e alimentare l'industria dei droni iraniana.
    Nella storia di Abedini svolge un ruolo da protagonista un altro ingegnere iraniano, Mahdi Sadeghi. È laureato all'Università di Teheran e ha un dottorato alla Michigan University dove da ricercatore guida un progetto per lo sviluppo di Mav, droni poi rimpiazzati dai moderni Uav. Vive in Massachusetts e qui nel 2015 fonda insieme a due soci la "Tacit Motion", un'azienda che si dovrebbe occupare di sensori di movimento per il fitness. Nell'agosto dello stesso anno chiede e ottiene un prestito da 790 mila dollari dalla "Fondazione nazionale per le élite iraniane", un ente governativo di Teheran sospettato di svolgere un ruolo di scouting per i Pasdaran. L'accordo dietro questo prestito prevede - secondo l'Fbi - che Sadeghi crei una società gemella di "Tacit Motion" in Iran e che condivida la proprietà intellettuale dei prodotti che svilupperà negli Usa. I due soci di Sadeghi sanno di essere entrati nel territorio dell'illegalità. Il 3 dicembre 2015 avviene questo scambio di mail: «Avrei bisogno dei weekend liberi» - «Puoi avere tutti i weekend liberi che vuoi, se prometti di portarmi un po' di chai in prigione». E ancora, il 1 agosto 2016, Sadeghi interroga uno dei soci sulla società gemella iraniana. «Immagino - è la risposta - che dovrei sapere almeno che nome abbia quando verrò condannato in tribunale».
    Subito dopo aver ricreato l'azienda di sensori per il fitness a Teheran, nel 2016 viene messo in contatto con Abedini e la sua "Sdra", che già da anni progetta componenti di missili balistici per i Pasdaran. Abedini - per l'intelligence - capisce che la presenza di Sadeghi negli Usa può rivelarsi utile: ha bisogno di tecnologia americana per far crescere la Sdra. Prima, però, devono fidarsi l'uno dell'altro. Così, Sadeghi firma un contratto da 250 mila dollari per acquisire da Sdra firmware e prototipi di hardware. Poi, nel dicembre 2016, ordina del materiale elettronico da un'azienda statunitense e nella bolla di spedizione del pacco, che arriva in Massachusetts, si specifica che alcuni di quei prodotti verranno esportati e viene segnato come "riferimento cliente" la Sdra per due di quei prodotti. Il 2 gennaio 2017 vola quindi a Teheran, per tornare negli Usa il 10 gennaio, portando con sé – sospettano gli Usa – i due materiali per Abedini, violando i divieti di esportazione. Abedini ora sa che può contare su Sadeghi e tra il 2 e il 10 gennaio lo invita spesso nella sede della Sdra. In almeno tre occasioni, infatti, l'Fbi registra che Sadeghi consulta le sue mail dall'indirizzo IP della Sdra. E anche dopo la partenza di Sadeghi, i due restano in contatto.
    Nell'agosto 2017 Sadeghi parla a Abedini della sua idea: una collaborazione tra la sua Tacit Motion e l'azienda americana A.D.. Sa che è la preferita di Abedini, quella con cui l'amministratore della Sdra ha intrattenuto rapporti fin dall'inizio delle sue operazioni. Sadeghi dice di avere un contatto in quell'azienda: un suo ex compagno della Michigan University. È un'occasione perfetta.
    L'inasprimento delle sanzioni americane voluto da Donald Trump nel maggio 2018 porta a un'accelerazione. Abedini, pochi mesi più tardi, fonda una nuova società in Svizzera, la Illumove: una vetrina europea per poter ricevere materiale elettronico dagli Usa e - si sospetta - esportarlo in Iran. Ma l'obiettivo - secondo l'Fbi - è più ambizioso: infiltrarsi in una delle più importanti aziende tecnologiche americane. Sadeghi continua quindi a lavorare sul suo contatto in A.D. e nel marzo 2019 (un mese dopo essere stato di nuovo a Teheran nella sede della Sdra) ottiene il primo successo: riesce a farsi assumere in A.D. come ingegnere. Si è aperta una breccia. E i due la sfruttano. Sadeghi presenta Abedini come Ceo della Illumove, ne tesse le lodi, fino a ottenere nell'agosto 2021un contratto di collaborazione tra A.D. e Illumove. Abedini dovrà sviluppare uno strumento per valutare prodotti di A.D., che si chiamerà "Evaluation Board Project". A.D. inizia quindi a inviare materiale in Svizzera e i viaggi di Abedini da Losanna a Teheran aumentano. Tra i prodotti inviati ci sono sensori e semiconduttori che verranno utilizzati, poi, sul sistema di navigazione Sepehr prodotto dalla Sdra e venduto ai Pasdaran per i loro droni militari. Compreso quello che ucciderà nel gennaio 2024 tre militari americani in una base in Giordania. Quando l'Fbi recupera e analizza il chip di quel drone, estrapola dei dati dal microcontroller e scopre che è stato prodotto dalla Sdra. Anche il chip è, a vista, sostanzialmente identico a quello fornito dalla Sdra, come testimonia la foto di un chip prodotto dall'azienda di Abedini che l'Fbi trova nel suo archivio mail.
    Abedini intanto è lanciato e a nome di Illumove propone alla A.D. di sviluppare prodotti che ha già creato, come «NavStudio», un sistema di navigazione sviluppato dalla Sdra iraniana e che può essere applicato al sistema Sepehr per droni militari. Mette quindi al lavoro sul progetto i dipendenti della Sdra a Teheran, pagandoli in dollari americani. E i dipendenti si lamentano: «I pagamenti in dollari a chi lavora in Iran sono una cosa ingiusta!», si legge in una mail. «Dovrebbero considerarlo un lavoro della Sdra», replica il collega. Condivide con i dipendenti della Sdra, da marzo 2022 ad aprile 2024, innumerevoli schede tecniche e informazioni su prodotti della A.D., anche se "riservati" o etichettati dal governo Usa come «materiale antiterrorismo». Nell'indagine Fbi ci sono nomi, numeri, date, mail, documenti. E su queste prove dovrà decidere la Corte d'Appello di Milano se estradare Abedini negli Usa o se, come prova a dire Teheran, sono solo «false accuse». —
  6. STATO DI SALUTE
    liste d'attesa
    I fantasmi
    delle
    Così su La Stampa
    Paolo Russo
    roma
    Dietro le liste di attesa che si allungano ci sono anche gli assistiti habitué della "buca". Quelli che si rivolgono al Cup per prenotare e che poi, il giorno fatidico, al momento di dover effettuare una visita specialistica o un esame diagnostico non si presentano, senza nemmeno degnarsi di disdire prima l'appuntamento.
    Senza curarsi del fatto che così facendo ambulatori, centri diagnostici e laboratori di analisi non hanno più il tempo di chiamare chi era in lunga attesa per ottenere la stessa prestazione. Un gesto di "maleducazione sanitaria" che secondo i calcoli del ministero della Salute fa saltare ogni anno circa il 20% di visite e accertamenti vari programmati. Detta così sembra non poi così grave. Salvo scoprire che di prestazioni diagnostiche e specialistiche il nostro Ssn ne eroga qualcosa come 760 milioni l'anno e che quindi sono oltre 150 milioni le analisi, le tac, risonanze e gli appuntamenti dal medico saltati, che vanno ad allungare l'attesa di chi invece aspetta mesi se non anni, quando si parla di prestazioni diagnostiche come tac, risonanze o ecografie.
    Per non parlare anche del danno economico, perché dietro a quegli accertamenti per cui si è "dato buca" ci sono comunque costi per il personale e di ammortamento dei macchinari. Calcolando che per la specialistica e la diagnostica il costo stimato si aggira intorno ai 20 miliardi euro l'anno, si parla di uno spreco di circa 4 miliardi, che si sarebbero potuti utilizzare per risollevare un po' le sorti della nostra sanità pubblica in perenne debito di ossigeno.
    Considerando sempre due assistiti su dieci che non si presentano, ecco che, nel dettaglio, ad andare in fumo sono 114 milioni di prestazioni di laboratorio su 572 milioni erogati ogni anno. A questi si aggiungono circa 12 milioni di diagnostica, 6 di sedute per la riabilitazione, 7 milioni di attività terapeutiche varie e quasi 11 milioni di visite specialistiche.
    Usando ancora di più la lente di ingrandimento, parliamo di quasi un milione di Tac non fatte, 2,8 milioni di radiografie, due milioni di ecografie e 900 mila risonanze magnetiche che si potevano casomai effettuare a chi ne aveva realmente bisogno. Anche se non è detto che dietro il fenomeno di chi salta l'appuntamento ci sia sempre una sorta di consumismo sanitario. Quello che fa prescrivere visite e accertamenti senza una vera ragione, ai quali poi si rinuncia vari motivi, anche futili. In molti casi infatti c'è la cattiva abitudine di prenotare anche dopo aver già ottenuto un appuntamento, cogliendo caso mai l'offerta del Cup di uno a distanza di tempo più ravvicinata. Questo però senza degnarsi di disdire la visita o l'accertamento già fissato precedentemente.
    Della cattiva abitudine si è accorto il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che nel decreto taglia liste di attesa del giugno scorso all'articolo 3, comma 5, prima prevede che il Cup due giorni prima contatti l'assistito chiedendogli conferma dell'appuntamento.
    Poi al successivo comma 7 stabilisce che a quel punto «l'assistito, anche se esente, che non si presenta nel giorno previsto senza giustificata disdetta, salvi i casi di forza maggiore e impossibilità sopravvenuta, è tenuto al pagamento all'erogatore pubblico o privato accreditato della quota ordinaria di partecipazione al costo, stabilita dalle norme vigenti alla data dell'appuntamento, per la prestazione prenotata e non usufruita». Tradotto: se non ti presenti all'appuntamento e non hai disdetto prima paghi il ticket. Che per quel 20% di assenti ingiustificati a visite e accertamenti vari fa 1,8 miliardi in un anno. Altri soldi che lo Stato potrebbe incassare ma che non incamera. Perché lo stesso decreto legge per applicare la tassa prevede, sempre all'articolo 3, comma 5, l'emanazione di specifiche linee di indirizzo che a distanza di sei mesi dall'approvazione del Dl non risultano ancora essere state predisposte e nemmeno sembrano in procinto di esserlo.
    Così come tra i provvedimenti attuativi del medesimo decreto manca quello che doveva dar vita al tassello forse più importante: la norma taglia coda, che consentirebbe agli assistiti di rivolgersi direttamente al privato pagando solo l'eventuale ticket, qualora nel pubblico i tempi di attesa superino quelli massimi previsti per legge. Che sono di 72 ore nei casi urgenti, 30 giorni per quelli differibili (che diventano 60 per gli accertamenti diagnostici), 120 giorni per le prestazioni programmabili. Il "decreto Schillaci" prometteva un passo avanti rispetto a oggi, perché al momento prima si anticipano i soldi e poi si chiede il rimborso con tanto di Pec e prova documentale di non aver ottenuto la prestazione nei tempi massimi stabiliti per legge. Un percorso a ostacoli che rende di fatto inesigibile questo diritto. Che tale resterà fino a quando non verrà alla luce un qualche provvedimento o circolare che spieghi come saltare la fila senza sborsare denaro in anticipo, sperando poi nella remota possibilità di vederselo restituire dalla propria Asl.

 

 

04.01.25
  1. L'atto di accusa dell'Fbi ad Abedini "Così lavorava per i pasdaran"
    Federico Capurso
    Roma
    Sono intrecciati, ormai, i destini di Cecilia Sala e di Mohammad Abedini, il cittadino iraniano arrestato il 16 dicembre scorso all'aeroporto di Malpensa su mandato degli Stati Uniti. Teheran pretende che non venga consegnato agli Usa. Washington invece ha già chiesto l'estradizione ed entro 21 giorni invierà alla Farnesina il fascicolo dell'inchiesta sulla base del quale la Corte d'appello di Milano deciderà del destino di Abedini. La Stampa è in possesso di un resoconto delle indagini portate avanti dal controspionaggio americano su cui si fonda l'accusa contro Abedini e contro Madhi Sadeghi. Entrambi sono imputati di aver cospirato per esportare tecnologia statunitense in Iran, aggirando le sanzioni, e di aver supportato le Guardie rivoluzionarie che gli Usa considerano un'associazione terroristica.
    Quella che segue è la ricostruzione della rapida ascesa di Abedini nel mondo dei pasdaran, ottenuta attraverso il lavoro dell'intelligence americana e le informazioni ricavate da fonti open source. Ne emerge un personaggio che supera la semplice definizione di «ingegnere dei droni». Come risulta chiaro, ad esempio, dal ruolo di consulente, dal 2019 al 2021, al servizio dell'Ente di ricerca per l'autosufficienza del jihad, un'organizzazione collegata alle Forze aerospaziali delle Guardie rivoluzionarie. In questo ramo delle milizie pasdaran vengono sviluppati sistemi missilistici, veicoli militari, equipaggiamento per cyber attacchi, radar, e ha tra i suoi "clienti" organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah.
    La carriera di Abedini inizia prestissimo. Ed è folgorante. Nel 2010, mentre sta svolgendo un dottorato in ingegneria meccanica all'università Sharif di Teheran, viene avvicinato dal dipartimento per le Relazioni industriali dell'ateneo, grazie al quale nel 2011, appena 24enne, fonda insieme a due soci l'azienda San'at Danesh Rahpooyan Aflak, nota come "Sdra". E ottiene il ruolo di amministratore delegato, oltre al 32% delle quote della società. Non sembra una start-up qualunque, almeno a giudicare dall'identità di uno dei due soci, Amid Fazeli, già amministratore dell'Agenzia spaziale iraniana. Dal 2011 al 2013 l'azienda di Abedini raccoglie soprattutto informazioni, struttura l'azienda, abbozza i primi progetti. È un periodo che coincide con gli anni centrali del dottorato di Abedini alla Sharif University. Per l'intelligence americana, già dal 2014 il giovane Ceo della Sdra è a conoscenza del divieto di esportare in Iran tecnologia statunitense. Manda infatti una mail a un'azienda in Massachussets - che chiameremo A.D. -, vuole farsi spedire dei sensori per la sua tesi di dottorato in robotica e meccatronica. Un dipendente di A.D. gli risponde, però, che non può fornirglieli a causa del divieto di esportazione dovuto alle sanzioni.
    Nonostante questo, secondo il business plan della Sdra ottenuto dall'intelligence, nel 2014 l'azienda di Abedini inizia comunque a stipulare contratti con i pasdaran tramite il Centro industriale di ricerca per la Marina e le Forze aerospaziali Shahed. Dalle carte dell'inchiesta risulta, poi, che i tecnici della Sdra abbiano lavorato con e per le Forze aerospaziali delle Guardie rivoluzionarie su progetti per la produzione di missili balistici.
    Abedini, però, compie il primo salto di qualità quando, grazie anche al doppio passaporto iraniano e svizzero, nel 2015 ottiene un posto da ricercatore all'École polytechnique fédérale di Losanna, in Svizzera. Dunque, è in Europa. E dal gennaio 2016 - si legge nel rapporto - è in grado di procurarsi materiale tecnologico americano. Si rivolge ancora all'azienda A.D., ma questa volta chiede di spedire tutto al nuovo indirizzo di Losanna. «Destinatario: Mohammad Abedini, Sdra», si legge sui pacchi che contengono componenti per sistemi di navigazione, utilizzabili su droni militari. L'obiettivo successivo è riuscire a portarli in Iran. Sempre nel gennaio 2016 Abedini invia quindi una mail alle autorità dell'aeroporto di Ginevra chiedendo se può trasportare «campioni» di prodotti di A.D. sul volo per Teheran. Per i servizi Usa «mente alle autorità svizzere» quando sostiene che siano «prodotti generici, non coperti da restrizioni», utilizzati per progetti universitari. Gran parte di quei materiali - si legge nel report - erano invece soggetti a restrizioni. Sarebbe un reato, ma il viaggio è un successo. Nei successivi due anni, Abedini inizia a ordinare materiale elettronico da molte aziende Usa, sempre con lo stesso metodo. Attraverso queste spedizioni ottiene - secondo l'intelligence - anche i microtelecomandi che utilizzerà per il futuro prodotto di punta della Sdra: il sistema di navigazione Sepehr per i droni "Uav" dei pasdaran.
    Nel 2018 Abedini deve però superare un nuovo ostacolo. L'8 maggio l'allora presidente Donald Trump annuncia l'uscita degli Usa dal Jpcoa, l'accordo sul nucleare iraniano che, in cambio di restrizioni sullo sviluppo della tecnologia nucleare, allentava le sanzioni alla Repubblica islamica. Poco dopo, gli Usa tornano a imporre un massiccio sistema di sanzioni sull'export verso l'Iran. Per Abedini è un problema serio. Non può continuare a farsi spedire materiale per scopi universitari dalle aziende americane. Il 9 agosto un professore universitario, suo amico, gli dice quindi che, «alla luce delle proposte di partnership e del ritorno delle sanzioni americane, deve spostare i suoi affari lontano dall'Iran. La Svizzera - lo consiglia - sembra una buona opzione». E Abedini si è già dimostrato intraprendente. Appena un mese dopo, il 10 settembre 2018, insieme a un nuovo socio svizzero, invia un business plan in cui risulta cofondatore di una nuova società, la "SadraLab", che - si legge nel business plan - si occuperà di fornire sistemi di navigazione alle aziende. Viene omesso, invece, qualunque riferimento alla Sdra e ai collegamenti con i pasdaran. A metà 2019 il nome SadraLab viene però bocciato dal "board" (l'intelligence pensa che si tratti del consiglio d'amministrazione della Sdra), perché se l'azienda deve essere una "vetrina pulita" attraverso cui far arrivare materiale tecnologico dagli Usa, non può avere un riferimento così smaccato alla Sdra iraniana. Nasce, così, "Illumove". In un documento interno dell'azienda (secondo i servizi è una bozza di accordo tra Abedini e il socio svizzero) si stabilisce che: «Illumove è stata fondata con la funzione di ramo d'azienda per le vendite e il branding della Sdra»; che Abedini è «l'azionista di maggioranza», perché le sanzioni all'Iran non permettono a Sdra di avere un ruolo diretto in un'azienda svizzera; che i guadagni di Illumove sarebbero stati «trasferiti alla Sdra tramite Abedini».
    Il documento indica poi - scrive l'intelligence - che lo scopo principale di Illumove è quello di aggirare le sanzioni all'Iran e spiega, in parte, il modo in cui pensa di farlo. Così, nasce quello che per gli Usa diventerà il cavallo di Troia attraverso cui Abedini e la Sdra si avvicineranno alle aziende tech americane, penetreranno al loro interno e riporteranno informazioni e tecnologie in Iran. Due anni dopo nasce il sistema di navigazione Sepehr e i pasdaran lo adorano. Nel 2021 l'87% di vendite del sistema di navigazione per droni della Sdra è rappresentato da contratti con le Guardie della rivoluzione. Nel 2022, con la guerra in Ucraina e la vendita di droni a Mosca - si legge nel resoconto - le vendite del Sepehr aumentano del 556% e i contratti con i pasdaran rappresentano, ormai, il 99,5% dei profitti della Sdra. Il trucco funziona. —

 

 

03.01.25
  1. Per la pg le garanzie sull'iraniano sono insufficienti. America in allarme: "Altissimo pericolo di fuga"
    Parere negativo sulla scarcerazione di Abedini Dall'America stoccata all'Italia: 7 ricercati già evasi
    monica serra
    milano
    Per la procura generale di Milano, le garanzie offerte dalla difesa di Mohammad Abedini Najafabadi sono «insufficienti». I domiciliari in un appartamento privo di controlli, messo a disposizione dal consolato iraniano ma a tre chilometri dalla sua sede milanese, e la revoca in caso di evasione del sostegno economico che Teheran gli assicura sono ritenute «circostanze non adeguate» a escludere il pericolo di fuga dell'uomo dei droni.
    Con queste motivazioni, la procuratrice generale Francesca Nanni ha dato parere negativo all'istanza di scarcerazione o, in alternativa, di domiciliari avanzata dal legale dell'ingegnere iraniano, su cui deciderà la Corte d'Appello in un'udienza che per legge non può essere fissata prima del 13 gennaio.
    Solo qualche ora prima, il ministero della Giustizia aveva trasmesso a Milano una nota datata 2 gennaio con cui il Department of Justice bacchetta l'Italia. E in cui, avendo «appreso dell'istanza di domiciliari», gli Usa ricordano l'«altissimo rischio di fuga» di Abedini, che può «compromettere il procedimento di estradizione» e «vanificare risorse giudiziarie e processuali dell'Italia e degli Stati Uniti». Come del resto – si sottolinea – è già capitato in almeno sette casi negli ultimi quattro anni. Il primo e più noto latitante dell'elenco è il figlio dell'oligarca russo Artem Uss, fuggito dai domiciliari nel marzo del 2023 prima della decisione sull'estradizione. Ma prima di lui – si ricorda nella nota – ci erano riusciti la spagnola Laura Virginia Fernandez Ibarra, scappata da Firenze, il nigeriano Efeturi Simeon, sospettato di truffe informatiche, l'americano Christopher Charles Gardner, fuggito da Genova, il greco Christos Panagiotakoupoulous scomparso in Veneto, la svizzera Daisy Teresa Rafoi Bleuler, accusata di riciclaggio e sparita da Milano, il tedesco Uwe Bangert, che nel 2019 ha ottenuto i domiciliari a Trento. Tutti casi che «rafforzano» il fatto che i domiciliari non «garantiscono efficacemente» la consegna del latitante.
    Nel file si fanno presenti le «ingenti risorse finanziarie» e i «legami con il regime iraniano» di Abedini su cui pesano accuse gravi. È sospettato di cospirazione per l'esportazione di componenti elettronici sofisticati e di fornire sostegno materiale alle Guardie della Rivoluzione islamica, inserite da Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche e che hanno portato alla morte di tre militari statunitensi nel corso di un attacco con un drone a una base militare in Giordania. Come ha spiegato anche al legale dell'ingegnere, Alfredo De Francesco, che ieri ha ricevuto nel suo ufficio, nel parere negativo la pg Nanni non è entrata nel merito delle accuse «riservandosi un'approfondita e completa valutazione all'esito degli atti» che si attendono dagli Usa e riguardano il procedimento di estradizione per cui i tempi saranno più lunghi. Si è limitata a valutare che le garanzie offerte «per il momento» nella richiesta di domiciliari non bastano, anche se accompagnate da una affidavit del consolato. Anche perché l'appartamento messo a disposizione non è neppure frequentato da personale consolare.
    E a poco servirebbe imporre ad Abedini il divieto di espatrio e l'obbligo di firma come chiede la difesa. Nessun cenno compare, ovviamente, negli atti all'arresto di Cecilia Sala. I giudici non possono entrare nel caso diplomatico ma il governo potrebbe intervenire sul fronte giudiziario: la legge prevede, infatti, che in qualsiasi momento il ministro Nordio autonomamente possa decidere di scarcerare Abedini. —

 

 

02.01.25
  1. LA PROF.SSA MARIA GRAZIA SESTERO MI HA LASCIATO DIRE QUELLO CHE PENSAVO CONDIVIDENDO 30 ANNI FA LE MIE PROPOSTE DELLE PISTE CICLABILI :  L'ex deputata e presidente dell'Anpi aveva 82 anni. Da titolare della Viabilità trasformò il centro e le periferie che continuava a sognare "pedonali"
    Addio Sestero, l'assessora che ridisegnò Torino Tolse le auto da via Lagrange e piazza San Carlo
    ANDREA JOLY
    Ha trasformato via Lagrange, nonostante le polemiche. Ha ridisegnato piazza San Carlo, rendendola il "salotto di Torino" senza auto. Ma anche piazza Vittorio, con il parcheggio interrato lungo tutta la spina dorsale del centro, e via Carlo Alberto, «resa pedonale con i risparmi degli altri cantieri – racconta l'ex sindaco Sergio Chiamparino, che le ha affidato le deleghe alla Viabilità in Comune dal 2001 al 2011 – uno dei suoi tanti colpi da grande assessora». E ancora: la Metro 1, la Spina centrale, le prime ciclabili in centro come via Principe Amedeo e via dell'Arcivescovado: Maria Grazia Sestero ha ridisegnato tutta Torino nel suo viaggio al servizio della città, dall'esordio in Consiglio comunale nel 1978 a ieri, quando si è spenta all'età di 82 anni alle prime ore del nuovo anno.
    Torino, all'alba del nuovo anno, ha dovuto dire addio alla «madre delle pedonalizzazioni». Ma non solo: Maria Grazia Sestero, volto storico della politica torinese prima con il Pci e poi con Rifondazione Comunista, Movimento dei Comunisti Unitari e Democratici di Sinistra, è stata docente e preside del liceo Einstein. E anche presidente dell'Anpi provinciale, missione per la Memoria che ha portato avanti fino alle ultime ore della sua vita, come ricorda l'attuale presidente della sezione torinese Nino Boeti: «Nel nostro ultimo incontro a casa sua, durante la malattia, abbiamo parlato di politica, dell'attuale governo così lontano da noi e dai nostri ideali, dell'Anpi, del 25 Aprile prossimo e dell'Ottantesimo, con tutte le iniziative che stiamo portando avanti».
    L'impegno politico ha toccato tutti i fronti, dalla Città al Parlamento come deputata della Repubblica dal 1992 al 1994. Ma è nel suo ruolo da assessora alla Viabilità e ai Trasporti, tra il 2001 e il 2011, che ha cambiato volto a Torino. «Gli angoli della città che portano la sua firma sono troppi per citarli tutti - aggiunge Chiamparino - ma tra i tanti mi piace citarne uno in periferia, forse il fronte più nascosto di tutto il suo enorme lavoro per la città». Quale? «Il sottopasso in piazza Rivoli. Senza quell'incrocio sarebbe anche peggio di piazza Baldissera». Ridisegnare le periferie è stato il suo ultimo sogno per la città. Tanto che, nell'ultima intervista a La Stampa di luglio, suggeriva: «Le auto spariscano anche lontano dal centro». «In giunta era una protagonista anche quando le discussioni non trattavano le sue deleghe - conclude Chiamparino - e sapeva arricchire sempre il dibattito».
    Il primo a ricordarla, ieri mattina, è stato l'attuale sindaco Stefano Lo Russo: «Ci lascia una parte importante della nostra storia, sempre a disposizione della comunità. Ci mancheranno molto la sua intelligenza e la sua ironia». «Ne ricordo la competenza, la passione civile, l'attenzione e la cura per le persone, l'amore per l'insegnamento e per una scuola aperta all'innovazione» è il cordoglio dell'ex sindaco Piero Fassino. Nino Boeti, sull'impegno da assessora, aggiunge: «Ha reso Torino una città europea», mentre l'ex sindaca e parlamentare Chiara Appendino ha scritto: «Chiunque abbia lavorato per Torino ha avuto a che fare con lei e col suo impegno per la nostra città». In Parlamento l'hanno ricordata anche i dem Andrea Giorgis - «Un esempio di impegno e di passione politica e civile» - e Anna Rossomando: «Un riferimento autorevole e battagliero, laddove la dialettica più aspra comprendeva sempre l'ascolto dell'altro». E Marco Grimaldi, di Avs, studente dell'Einstein ai tempi di Sestero preside: «Occupavamo ed eri sempre pronta all'ascolto. Eri una grande donna, erede della storia partigiana».
    Da oggi Torino può salutarla presso la Casa Funeraria Memoria della cooperativa Astra in lungo Dora Colletta 113/12 (14,30-17,30). —

 

 

01.01.25
  1. LA LEGGE CALTAGIRONE-GROSS PIETRO : DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO INVESTIMENTI MILIARDARI IN ITALIA - I VARI BLACKSTONE, KKR, MACQUARIE, BLACKROCK, CHE ALL’INIZIO AVEVANO INVESTITO IN AZIENDE DI STATO, BANCHE, ASSICURAZIONI, RITENENDO IL GOVERNO DUCIONI STABILE E AFFIDABILE, DOPO APPENA DUE ANNI SI SONO ACCORTI DI AVER BUSCATO UNA SOLENNE FREGATURA - DAL DECRETO CAPITALI AD AUTOSTRADE, DALLA RETE UNICA ALLE BANCHE, E’ IN ATTO UN BRACCIO DI FERRO CON NOTEVOLI TENSIONI TRA I “POTERI FORTI” DELLA FINANZA MONDIALE E QUEL GRUPPO DI SCAPPATI DI CASA CHE FA IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO A PALAZZO CHIGI, IGNORANDO I TAPINI DEL MANGANELLO, COSA ASPETTA LORO NELL’ANNO DI GRAZIA 2025...La bozza è pronta e non manca molto per completare il regolamento attuativo della legge capitali. In vigore da domani, è ormai quasi certo che la Consob riesca a concludere il lavoro per rendere operativa la norma già entro la fine di gennaio - o al massimo per la metà di febbraio - in modo che possa essere pienamente utilizzata per i rinnovi dei cda che si aprono nella primavera del 2025.

    Il secondo giro di consultazioni tra esperti, infatti, termina tra due settimane e poi non resta che finalizzare il regolamento. Ma intanto i principali dubbi espressi da giuristi e gestori di fondi d'investimento nell'applicazione della norma sono stati sciolti. Questo non vuol dire che il giudizio sulla riforma del mercato dei capitali, approvata l'anno scorso alle Camere, sia cambiato: resta una scelta del governo indigesta a molti, soprattutto agli investitori internazionali che la considerano «bizantina e poco comprensibile».

    Il governo, però, ha deciso di tirare dritto (per i critici la norma è stata scritta appositamente per favorire la prossima primavera la modifica degli equilibri all'interno del cda delle Generali). E ora il parere degli esperti è che, con i chiarimenti predisposti dalla Consob, almeno i nodi operativi sono risolti.



    Il principale riguarda la presentazione della lista del cda, una prassi che si era diffusa in passato ma che non era mai stata regolamentata. È giudizio diffuso che possa diventare più complessa la presentazione.



    A partire dall'obbligo che contenga un numero di candidati superiore di un terzo rispetto ai posti disponibili liste: quindi ci saranno elenchi meno "studiati a tavolino" e con qualche margine di effetto sorpresa.
    Per quanto riguarda le liste di minoranza, spetterà nel cda un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti e la Consob precisa che sarà stabilito «in misura proporzionale ai voti realizzati da ciascuna lista che abbia conseguito una percentuale di voti non inferiore al tre per cento, ma tenendo fermo il principio di default secondo il quale, a tutela della governabilità della società, la maggioranza degli amministratori da eleggere debba essere tratta dalla lista risultata prima».



    Un ultimo punto è quello della seconda votazione: dopo la prima tornata che indica la lista vincitrice, ci sarà un secondo voto per scegliere i componenti. In questo caso la Consob ha chiarito che potrà votare solo chi aveva espresso la propria preferenza per la lista di maggioranza, evitando quindi i timori di molti sull'ingovernabilità.
    […] Con queste premesse, la prima socità che andrà al rinnovo dei vertici con la nuova legge sarà proprio Generali. E secondo fonti finanziarie appare sempre più scontato che il cda non presenterà una propria lista, come invece fece la scorsa tornata: lo scontro si profila tra la lista di maggioranza che dovrebbe essere presentata da Mediobanca e quella di minoranza guidata da Caltagirone e dalla Delfin di Del Vecchio.



    Per la legge capitali resta però un'ultima incognita che arriva da Bruxelles. La Commissione Ue starebbe valutando se l'articolo 11, quello relativo alle assemblee a porte chiuse scritto nel 2020 per il Covid e inserito anche nella nuova norma, violi la Shareholders Right, che invece prevede l'ampliamento della partecipazione.

 

 

 

 

 

 

31.12.24
  1. L'anno nero
    del
    clima
    In un contesto di ignoranza selvaggia, malafede politica, e qualche volta istituzionale, menefreghismo irresponsabile e affidamento allo stellone o agli dei, i dati relativi agli eventi climatici estremi dell'anno appena passato non incutono il timore che dovrebbero e non inducono nessuno ad alcuna decisione di rilievo. Si va tutti sulla stessa barca dentro un vortice che ci inghiottirà tutti, senza prestare alcuna attenzione alla voce dei dati e degli scienziati, senza preoccuparci, se non di noi, almeno del benessere dei nostri figli e nipoti: avanti tutta, per carità senza cambiare niente, senza mettere in discussione un modello di sviluppo che sarà pure l'unico, ma che certamente è il primo responsabile di questo stato di cose. Sapiens perennemente sull'orlo di un futuro incerto. Ma partiamo dai fatti.
    Secondo il bilancio 2024 di Legambiente su città e clima, in Italia, siamo arrivati a 351 eventi meteorologici estremi. Una leggera crescita di appena il 485% rispetto al 2015: che volete che sia, non vorrete mica entrare in ecoansia ed agitarvi? La siccità, in particolare, che dobbiamo a tutti gli effetti considerare maltempo, si è prolungata con danni per oltre il 50% in più rispetto al 2023, le esondazioni sono aumentate del 24% e le inondazioni del 12; Emilia-Romagna la regione più colpita, Roma la città più presa di mira. Per non dire dei danni da vento, grandine e mareggiate. Con montagne in cui gli effetti del riscaldamento globale sono sempre più tangibili, con impatti sui ghiacciai, sempre più sottili e in arretramento, ecosistemi e biodiversità. Nel 2024, in Piemonte, lo zero termico in quota è arrivato a 5.206 metri, sfiorando il record di 9 anni fa, quando era salito fino a 5.296 metri.
    Tutto questo causato, in termini di numero di eventi, potenza e frequenza degli stessi, dalla crisi climatica globale che stiamo subendo impassibili da anni. Una crisi che riguarda il mondo intero e che, dunque, non ci fa ritenere al sicuro solo perché, magari, noi europei e italiani "inquiniamo" meno degli altri: se considerassimo, come dovremmo, la curva cumulata di anidride carbonica dal XVIII secolo scopriremmo che, dopo gli Stati Uniti, è l'Europa il continente più inquinante, prima dell'Asia. E che, per persona, un indiano emette 3 tonnellate di CO2 all'anno, contro le 7 nostre e dei cinesi e le 14 degli statunitensi: indovinate chi dovrebbe cambiare il proprio stile di vita. Secondo tutti i dati (Copernicus in particolare), il 2024 sarà l'anno più caldo da quando si effettuano registrazioni strumentali. Non solo: per la prima volta, viene superata la soglia di 1,5 °C sopra i livelli pre-industriali. Ricordate? Quella soglia di incremento che gli scienziati del clima raccomandavano di non superare assolutamente? Quella che negli accordi di Parigi del 2015 era posta come limite invalicabile? Ecco, quella è diventata un ricordo, in attesa di porci altri obiettivi che, non facendo assolutamente nulla, saranno poi comunque disattesi. Il mese di novembre 2024 è stato il secondo più caldo a livello globale, dopo il novembre 2023, con una temperatura media dell'aria superficiale di 14,1°C, +0,7°C, al di sopra della media di quel mese, del periodo compreso tra il 1991 e il 2020. Il novembre 2024 è stato di 1,6°C al di sopra del livello pre-industriale ed è stato il 16° mese, in un periodo di 17 mesi, in cui la temperatura superficiale media globale dell'aria ha superato di 1,5°C i livelli pre-industriali. Anche la temperatura superficiale media marina per il mese di novembre 2024 ha registrato livelli record, con 20,6°C, il secondo valore più alto registrato per il mese, e solo 0,13°C al di sotto del novembre 2023.
    Ma invece di trarre elementi di riflessione critica su quanto non è stato fatto per contrastare le cause della crisi climatica, generata dalle attività produttive dei sapiens, come asserisce il 98% degli specialisti, noi ci arrabattiamo su una presunta possibilità di adattamento, non avendo compreso che ci stiamo inoltrando in territori inesplorati, in cui opere e piantumazione di alberi serviranno a molto poco. Non solo: sapendo che dovremmo lasciare sottoterra oltre il 60% degli idrocarburi per non vedere crescere ancora la temperatura atmosferica, continuiamo allegramente a trivellare e a sovvenzionare, direttamente o indirettamente, le Oil Companies, vero male assoluto, responsabili coscienti della crisi e indisponibili a ogni forma di riconversione. Infine, prestiamo ascolto a chi dice che il clima è sempre cambiato e perché questa volta dovrebbe essere diverso? Ma la risposta la conosciamo bene: non è mai esistita sulla Terra una specie così pervicace, invasiva e prepotente come la nostra, una specie che si illude di superare i limiti fisici del pianeta solo perché è in grado di studiarlo e raccontarlo. Scimmie nude lanciate a tutta velocità sulla corsia di sorpasso che non si domandano più nemmeno se quell'ombra lontana laggiù è un muro. —
  2. PAGA I DEBITI DI CALENDA : Un imprenditore offre un impiego a Baudissone Esodato dell'Embraco, da un anno vive in strada
    "Commosso dalla storia di Andrea: lo assumo io"
    andrea bucci
    pier francesco caracciolo
    «Un impiego? Te lo offro io». Lo avevamo lasciato in Galleria San Federico, seduto su un sacco a pelo, intento a chiedere una moneta ai passanti. Ieri Andrea Baudissone, 61 anni, esodato dell'Embraco che da un anno vive in strada, ha ricevuto una visita inattesa: quella di Riccardo Gorrieri, 36 anni, imprenditore, che gli ha proposto di andare a lavorare nella sua azienda: «Ne sarei felicissimo», la risposta di Andrea.
    Baudissone era stato costretto a lasciare lo stabilimento di Riva di Chieri nel 2018, a un anno dalla pensione. Da allora cercava un lavoro, ma senza successo. «Sono troppo vecchio, non mi vuole più nessuno» spiegava l'altro giorno alla Stampa. Negli ultimi tempi aveva ripulito qualche cantina e dato il bianco a casa di un amico. Niente di più. «Abbiamo bisogno di qualcuno che si occupi del servizio di portierato» gli ha spiegato Gorrieri, seduto con Andrea al tavolino di un bar.
    L'azienda di cui è socio, la "Sicurezza 360", che si occupa si sicurezza non armata, con sede a Orbassano, nel 2025 si ingrandirà: «Un impiego perfetto per me» ha risposto entusiasta Baudissone. I due si rivedranno dopo Capodanno per definire i dettagli dell'accordo. L'obiettivo è consentire ad Andrea di iniziare a lavorare tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio.
    «Ho letto la storia di Andrea sulla Stampa: mi sorprende che sia stato abbandonato dalle istituzioni» dice Gorrieri. Ieri, arrivato sotto i portici del centro, ha donato ad Baudissone e agli altri senzatetto una busta con una bottiglia d'acqua, un succo di frutta, un trancio di pizza e due focacce. «Aiuteremo Andrea ad arrivare a una pensione dignitosa», promette Gorrieri. Un traguardo, aggiunge, che dovrebbe rappresentare «un elemento cardine per la democrazia».
    «Non mi sembra vero» dice Baudissone, uno dei 537 lavoratori dell'Embraco rimasti senza impiego dopo il fallimento dell'azienda. Lui, che per quasi vent'anni aveva caricato e scaricato compressori per elettrodomestici, a suo tempo era stato spesso in prima fila nelle manifestazioni di protesta post-chiusura. Poi, dopo aver ripianto qualche debito, si era ritrovato da solo e senza un euro in tasca. Da un anno la sua casa è Galleria San Federico, nel cuore della città, dove trascorre la notte insieme a una ventina di senzatetto.
    «Sono felice - ha aggiunto ieri - Ma lo sarei ancora di più se aiutassi anche lui». Nel dirlo all'imprenditore, Baudissone ha indicato Giacomo Boetto, 55 anni, ex consulente finanziario, uno degli "invisibili" di Galleria San Federico, che vive in strada con la mamma di 84 anni e il loro cane malato, Sky: «Sono loro, ora, la mia famiglia» spiega Andrea.
    «Troverò un posto anche a te» ha assicurato Gorrieri, rivolgendosi a Boetto. Finito il caffè, ha salutato tutti ed è entrato in farmacia, dove ha acquistato una medicina per Sky. Oggi, assicura, la porterà in Galleria. —

 

 

30.12.24
  1. Le deportazioni in Libia e Tunisia producono solo morte e sofferenza
    Don Mattia Ferrari
    «Cittadini e cittadine italiani ed europei, vi preghiamo, ascoltateci! Aiutateci a salvarci da queste deportazioni: ve lo chiediamo in nome della giustizia e della fraternità!». È questo il grido che giunge dalla Tunisia e che i movimenti sociali Refugees in Tunisia e Refugees in Libya, composti dai migranti stessi, stanno cercando di far giungere alle nostre orecchie. Molti migranti si sono accampati vicino a Sfax e stanno diffondendo il video del loro grido.
    La situazione in Tunisia peggiora costantemente. Dopo gli accordi con l'Unione Europea, fatti su spinta dell'Italia, le milizie tunisine hanno intensificato le violenze ai danni dei migranti presenti nel Paese. La Garde Nationale cattura i migranti in mare e li riporta indietro, dove spesso vengono poi caricati sui pullman e deportati. Quella delle deportazioni è una pratica che continua da più di un anno. Il caso più noto delle vittime di queste deportazioni è quello di Fati e Marie, la moglie e la figlia di Pato, uccise dalla sete nel deserto. È un caso spesso citato da Papa Francesco. Ma è solo uno dei tanti casi che si ripetono continuamente. Il 12 novembre scorso due gruppi di migranti catturati in mare e deportati nel deserto sono riusciti a diffondere la posizione gps del punto nel deserto in cui si trovavano e hanno supplicato di essere soccorsi. Tra loro c'erano varie donne incinte e vari bambini. Il loro grido è stato diffuso dai media vaticani, da Scomodo, la rivista giovanile indipendente più grande d'Italia, e da altre testate. Tuttavia nessuno è andato a soccorrerli e queste persone sono così state risucchiate dal buco nero del deserto.
    Nei giorni scorsi è peggiorata la situazione nei campi profughi vicino a Sfax. Le violenze delle milizie sono continue e non c'è assistenza sanitaria. L'ennesima vittima è una donna, Bintu, originaria della Guinea. La sua tenda è stata distrutta la settimana scorsa e non ha potuto prepararla di nuovo correttamente perché faceva troppo freddo. Non aveva abbastanza coperte, quindi ha provato ad accendere la carbonella, ma è rimasta soffocata. Molti altri sono in pericolo di vita a causa delle infezioni che si diffondono e non osano lasciare il campo profughi perché se escono li attendono le violenze delle bande armate.
    Tutto questo è il risultato degli accordi per respingere i migranti. In Tunisia si è scelto di replicare in sostanza quel modello Libia applicato nel 2017: finanziare un Paese che si trova sull'altra sponda del mare perché blocchi i migranti per conto nostro, anche a costo di sacrificare i diritti umani sull'altare del cinismo. In Libia quegli accordi hanno portato a un grande rafforzamento del potere della mafia libica, come hanno dimostrato le inchieste di giornalisti coraggiosi. E hanno portato a quelli che l'Onu definisce «orrori indicibili» ai danni dei migranti. Nonostante questo quegli accordi sono ancora in vigore, perché sono stati rinnovati.
    Il dramma dell'Italia e dell'Europa è che il cinismo delle politiche si salda con l'indifferenza di larga parte della popolazione e il risultato é il dilagare di questa violenza indicibile ai danni di persone che cercano solo vita degna e fraternità, in fuga dalle guerre, dal disastro ecologico, dalla miseria causata dal neocolonialismo. A denunciare tutto questo sembrano rimasti solo il Papa, alcuni vescovi, i movimenti sociali, le associazioni e le Ong. Per il resto domina un silenzio complice, frutto dell'individualismo che ha preso possesso dei nostri cuori. Un individualismo esasperato che non ci rende più felici e che anzi ci ha fatto entrare in quella che autorevoli psichiatri definiscono "l'epoca delle passioni tristi". Sì, perché una società che si chiude nella ricerca del benessere individuale e sottomette tutti al principio di prestazione genera solo sofferenza mentale, come sta denunciando da anni ad esempio la Rete degli Studenti Medi. Questo avviene perché abbiamo dimenticato la fraternità.
    Ora queste persone migranti gridano verso di noi e ci chiedono proprio di riscoprire la fraternità. Martin Luther King proclamava: «Ho il sogno che un giorno gli uomini si leveranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli». Quel sogno è lontano dal realizzarsi. E quel grido risuona oggi nelle voci e nei volti di Refugees in Tunisia e Refugees in Libya. Sta a noi dare risposta. Ecco perché attraverso le pagine del quotidiano La Stampa, che ringrazio, voglio far risuonare l'appello di tutte le persone di buona volontà che si sono fatte prossime ai migranti che gridano a noi e voglio esclamare: cari e care concittadini italiani ed europei, liberiamoci dalle catene dell'individualismo che tiene prigionieri i nostri cuori e le nostre menti e ascoltiamo il grido di fraternità che giunge a noi dalla Tunisia e dalla Libia! Poniamo fine a questi respingimenti e queste deportazioni, e accettiamo la sfida di costruire insieme un altro mondo possibile, la civiltà dell'amore. È giunto il momento di levarsi in piedi, di riappropriarci della nostra identità più profonda, quella di fratelli e sorelle tutti, e di darle carne. —
  2. Disastro Embraco-CALENDA
    leonardo di paco
    antonella torra
    Quella di Andrea Baudissone, ex operaio Embraco diventato homeless, costretto a dormire sul marmo freddo di Galleria San Federico, è la storia di un grande fallimento collettivo. La fotografia di un disastro industriale e politico. Quasi 500 persone rimaste senza lavoro dopo anni di promesse, passerelle di politici, manifestazioni, decine di trasferte a Roma da parte degli operai per piantonare le riunioni dei tavoli di crisi al ministero dello Sviluppo Economico. E la speranza di rilancio tramite reindustrializzazione poi rivelatosi una truffa.
    Lo stabilimento di Riva di Chieri fu costruito negli Anni Settanta dalla Aspera, divisione di Fiat specializzata nella produzione di frigoriferi che nel 1985 venne venduta a Whirlpool, colosso Usa degli elettrodomestici che investì nello stabilimento arrivando, alla fine Anni Novanta, a occupare circa 2.500 dipendenti. Lavorare per quella multinazionale era garanzia di sicurezza. E la Embraco era una grande fabbrica-famiglia dove c'era posto per tutti. Mogli e figli dei dipendenti. Negli anni d'oro i lavoratori avevano la mensa interna, i bus che li andavano a prendere e portare a casa. E lavoro a volontà.
    Quando l'azienda consegnò ai lavoratori le lettere di licenziamento dopo aver deciso di spostare la produzione in Slovacchia, era l'inizio del 2018, l'allora numero uno del Mise, Carlo Calenda, si lanciò in una grande campagna personale per trovare una soluzione e ricollocare i lavoratori. Venne individuata una società, la Ventures srl, che rilevò la Embraco, lavoratori inclusi, con la promessa di reindustrializzare il sito producendo bici elettriche, robot pulitori di pannelli fotovoltaici e distributori automatici. Ma trenta giorni dopo aver rilevato al prezzo simbolico di 10 euro il ramo d'azienda, compreso lo stabilimento di Riva di Chieri, alcuni dei vertici Ventures, acquistarono cinque auto: due Bmw serie 5, un'Audi A4, due Audi A5. Valore totale 250 mila euro: soldi, secondo la procura, distratti dalle somme vincolate all'investimento promesso. Che infatti non si concretizzò.
    Nel pieno della crisi l'ex candidato sindaco di Torino, l'imprenditore Paolo Damilano, si offrì per dare un'occupazione a una decina di operai sfruttando una norma che consentiva ai datori di lavoro che assumono con un contratto a tempo indeterminato lavoratori di aziende per le quali sono aperti tavoli di crisi al Mise, di ottenere l'esonero totale dei versamenti dei contributi previdenziali. «Facemmo diversi colloqui ma poi il progetto non si concretizzò complice anche la lontananza dal Chierese dei posti di lavoro che avevo offerto nelle mie aziende». Ma anche con i progetti di ricollocamento proposti dalla Regione, negli anni sono stati in pochissimi a ritrovare un'occupazione stabile, nonostante corsi di aggiornamento e decine di colloqui.
    Federico Bellono è l'ex segretario della Fiom di Torino. C'era lui alla guida del sindacato delle tute blu della Cgil quando scoppiò il caos Embraco. «Negli ultimi anni, il territorio torinese ha visto molte aziende attraversare crisi profonde. In situazioni di disimpegno da parte dell'impresa, sia per fallimento che per altre ragioni, spesso emergono figure di pseudo-imprenditori o venditori di fumo, i cosiddetti "cavalieri bianchi" , che si rivelano semplicemente faccendieri. La storia di Embraco, come molte altre a Torino, riflette il dramma delle aziende in crisi, dove spesso le uniche soluzioni sono gli ammortizzatori sociali. È un racconto che parla di multinazionali che, dopo decenni di radicamento in un territorio, possono decidere di andarsene, guidate da strategie globali che ignorano le realtà locali. In questo contesto, i lavoratori di Embraco hanno dimostrato determinazione e generosità, ma sono stati anche oggetto di strumentalizzazioni inopportune».
  3. i fratelli tesauro: " traditi da tutti"
    "Scaricati anche dalle famiglie siamo tornati con la mamma"
    Franco e Vito, i due fratelli Tesauro, 59 e 54 anni, sono ex operai Embraco: «Tornati a vivere con nostra madre, altrimenti ora saremmo in strada». Anche perché, sempre grazie alla mamma, riescono a mangiare: «Viviamo con la sua pensione, noi un lavoro non lo troviamo e sussidi non ce ne sono più. Non avremmo mai pensato di finire così». Con la perdita del lavoro, sono andate distrutte anche le loro vite: «Le mogli o fidanzate se ne sono andate, poi abbiamo perso anche la casa. Non abbiamo più niente». Le loro giornate sono sempre uguali: «Ci alziamo al mattino – raccontano i fratelli – e andiamo a cercare un lavoro. Guardiamo gli annunci, passiamo nelle agenzie. Ma tutti ci dicono che siamo vecchi. Riusciamo a tirare su 10 o 20 euro perché diamo una mano ad un amico a pulire il bar, oppure scarichiamo della merce. Nulla che ci permetta di vivere». La vicenda dell'Embraco brucia ancora: «Siamo stati traditi, presi in giro, truffati. Dai politici, dai sindacati, da tutti. La Regione continua a proporci dei corsi, ma di lavoro poi nemmeno l'ombra. E noi con i corsi non mangiamo». a. tor. —
  4. "Campo con 350 euro al mese Il caffè al bar è il mio lusso"
    Michele Trasente ha 53 anni, è di Torino. Ha passato trent'anni all'Embraco: «E ora non ho più niente. Vivo nella casa di mia madre, sarebbe anche di mia sorella ma lei abita con il compagno e non mi ha mai fatto pesare che non le ho mai dato la sua parte. Anzi mi aiuta pagando metà Imu». Michele vive con 350 euro al mese: «E meno male che sono solo, altrimenti non so come farei». Una moglie l'aveva ma se n'è andata poco dopo la fine del lavoro all'Embraco: «Quella storia mi ha portato via tutto. Ora vivo con i residui della liquidazione di Embraco prima e Ventures poi, 350 euro al mese appunto, non posso spendere di più. Lavoro per me non c'è». Per la spesa Michele usa 30 euro a settimana: «Vado nei discount e compro solo prodotti in offerta. Se non ho bollette da pagare mi concedo anche qualche sigaretta e il caffè al bar. Sono i miei unici vizi». a. tor

 

 

29.12.24
  1. VITTIMA DI CALENDA :strada
    Dall'
    Embraco
    Andrea Baudissone
    alla
    Andrea Bucci
    Pier Francesco Caracciolo
    «Mi occupavo di caricare e scaricare i compressori. L'ho fatto per quasi vent'anni. E guardi ora come sono ridotto».
    Ore 23,45: in Galleria San Federico, elegante scrigno nel cuore di Torino, per terra dormono in venti. Sfidano il freddo pungente - il termometro segna 2 gradi - accucciati nei loro sacchi a pelo. Qualcuno ogni tanto butta giù un sorso di vino da una bottiglia nascosta accanto alle coperte, stese addosso o ammonticchiate in buste e zaini. La città dell'accoglienza, dei Santi sociali, delle mense per i poveri non è in grado di accogliere tutti.
    Poi, tra gli invisibili noti lui. Il nome è Andrea Baudissone. Ha 61 anni. Indossa un giubbotto rosso, un paio di pantaloni stazzonati di colore blu stinto, un paio di scarpe da ginnastica. Andrea Baudissone è uno dei 537 esodati della Embraco, la fabbrica che produceva compressori per elettrodomestici a Riva presso Chieri, a due passi dal capoluogo piemontese. Ex «stabilimento d'avanguardia» definitivamente chiuso dopo mesi di lotte sindacali e manifestazioni in strada. Era il 2018. E Baudissone - come tutti gli altri suoi colleghi - si trovò da un giorno all'altro senza lavoro. Gli mancava un solo anno per raggiungere la pensione.
    Baudissone aveva iniziato ad occuparsi di compressori nel 1989. All'epoca lo faceva in via Passo Buole, a Torino, in un'altra azienda, la Aspera. Due anni dopo l'impresa era stata assorbita dalla Embraco e lui si era trasferito nello stabilimento a Riva di Chieri. Ricorda: «Guadagnavo due milioni di lire al mese. Lavoravo anche di notte». Poi tornava a casa, in via Stradella, periferia Nord di Torino, dove all'epoca lo aspettava la compagna. Una vita stabile, la sua. O almeno così sembrava: «Era un periodo felice».
    Nato a Torino nel 1963, Baudissone ha iniziato a lavorare a 16 anni. Per sei anni ha fatto il macellaio in un quartiere popolare. Poi si è occupato dello scarico merci per conto di una cooperativa. Infine, l'ingresso in fabbrica.
    «Quando sono entrato all'Embraco era il 1991 e c'erano 5 mila operai - ricorda Baudissone - Le linee di produzione erano sette». Sembrava un mondo felice. Ma le cose erano cambiate quasi subito. «Dopo un anno si era già ridotta la produzione. I nostri stipendi erano calati. Abbiamo protestato, ma non è servito». Una lenta discesa, fino alla chiusura.
    Oggi le sue giornate sono un lento lasciar scorrere il tempo, scandito dalla ricerca di un pasto caldo. «Pranzo in una mensa per i poveri - racconta -. Ma spesso ci sono code lunghissime e rischi di restare a pancia vuota. Nei fine settimana mangio se riesco: le mense sono chiuse».
    Le monete dei passanti gli permettono di racimolare quel che basta per un panino: «Ma su mille persone che ti passano davanti - dice - ti aiutano in due». E la notte? Inutile pensare di andare a riposarsi in un dormitorio. «Si dorme con un occhio aperto: spesso ti rubano scarpe e vestiti». A dare una mano a lui, e agli altri che dormono sotto i portici di Torino, sono i volontari delle associazioni: «Ci portano spesso un bicchiere di latte caldo e dei vestiti».
    Andrea racconta senza commozione. Ma poi il discorso torna lì, all'Embraco, a quelli che lui chiama «i miei anni più felici». Ricorda: «Quando la crisi dell'azienda si è fatta acuta, ero uno dei più attivi nella protesta». E ancora: «In quel periodo il mio stipendio era sceso a mille euro al mese. Delle sette linee di produzione ne era rimasta soltanto una». Il Natale davanti alla fabbrica. I picchetti. Gli incontri con la politica: «Ricordo quello con l'allora sindaca Chiara Appendino. Venne da noi anche Alessandro Di Battista. Tutti ci hanno fatto grandi promesse. E tutte sono cadute nel vuoto».
    Quindi l'Embraco è stata dichiarata fallita: «Mi hanno riconosciuto un Tfr di 30 mila euro. Ma nel frattempo avevo accumulato molti debiti. Per ripianarli sono rimasto quasi senza soldi. Ho perso anche la casa».
    Con i pochi soldi rimasti è andato a vivere in bed and breakfast, dove dava una mano nelle piccole manutenzioni. Quindi ha trascorso qualche mese a casa del fratello. Un anno fa è rimasto solo. E senza denaro. E ha iniziato a vivere in strada. «Nei primi mesi mi sono accampato alla stazione di Porta Nuova. Un posto dove qualcuno che ti dà una moneta lo trovi sempre».
    Poi si è spostato in galleria San Federico. Un posto più riparato. E, nelle notti più fredde, un po' più caldo. È qui che ha conosciuto Giacomo, 55 anni, la mamma Fernanda, 84, e il loro cane malato. «Sono loro la mia nuova famiglia».
    Nell'ultimo anno non ha smesso di cercare lavoro. «Ho svuotato qualche cantina e dato il bianco a casa di un amico». Nulla che gli permetta di avere quei dodici mesi di contributi in più, che gli garantirebbero i soldi della pensione. «Alla mia età chi volete che mi offra un impiego?» —

 

  1. I due iraniani legati al regime nel mirino della giustizia statunitense
    I due maghi dei droni dei Pasdaran che Washington vuole a tutti i costi
    new york
    «Non colpevole». Questa è stata la dichiarazione di Mahdi Sadeghi dinanzi al giudice del tribunale Federale di Boston, nel corso dell'udienza preliminare che si è tenuta venerdì in merito alla sua incriminazione. L'ingegnere di origini iraniane è accusato di aver venduto illegalmente tecnologia utilizzata nella costruzione di droni impiegati dalle Guardie rivoluzionarie e dalle loro procure in Medio Oriente. Non ultima la formazione irachena che alla fine di gennaio ha condotto il raid in Giordania costato la vita a tre militari americani.
    Dagli Usa all'Italia
    L'arresto di Sadeghi avvenuto in Massachusetts, ha una doppia valenza per l'Italia, prima di tutto perché scattato in parallelo con quello del suo "socio in affari", Mohammad Abedini-Najafabadi arrestato dagli investigatori della Digos milanese all'aeroporto di Malpensa, dov'era in transito proveniente da Istanbul, ora in attesa che la Corte d'Appello decida sulla sua estradizione negli Usa. Secondo la procura americana è fondatore di una società della Repubblica islamica che produce moduli di navigazione utilizzati nel programma di droni militari dei Pasdaran. «Il dipartimento di Giustizia riterrà responsabile coloro che consentiranno al regime iraniano di continuare a colpire e uccidere gli americani e minare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha commentato il ministro Merrick B. Garland. Il secondo elemento di interesse per l'Italia è che la cattura dei due potrebbe essere stata il motivo dell'arresto di Cecilia Sala.
    I militari Usa uccisi
    Per comprendere l'importanza del doppio blitz condotto per mano e su indicazione di Washington occorre riavvolgere il nastro della storia indietro al 28 gennaio 2024, quando la polveriera mediorientale mieteva le prime vittime americane dal 7 ottobre 2023, inizio della guerra tra Hamas e Israele. Si tratta di tre militari Usa caduti sotto il fuoco di un drone scagliato da formazioni irachene riconducibili all'Iran. Erano impiegati alla Tower 22, l'avamposto giordano distaccato dalla base di Al-Tanf situata in una (ex) zona franca del governatorato di Homs, in Siria a 24 km a Ovest del valico di Al-Walid a ridosso del confine tra Iraq e Siria. A confermare qualche giorno dopo a La Stampa la matrice di quel raid è stato Haider Al-Ami, leader dell'ufficio politico di Harakat Hezbollah al-Nujaba (Movimento del Partito dei Nobili di Dio), ufficialmente la 12ª Brigata, formazione sciita irachena vicina all'Iran e appartenente alla rete della Resistenza islamica in Iraq (Iri), una delle principali procure militari di Teheran in Iraq. Quel drone, secondo la ricostruzione compiuta in quasi un anno di indagini dall'Fbi, incorporava tecnologie "made in Usa" che Sadeghi e Abedini avevano venduto al regime iraniano aggirando le sanzioni imposte dagli Usa e dall'Occidente.
    "Il navigatore"
    Nel dossier di 36 pagine consegnato dall'agente speciale dell'Fbi, Ronald Neal alla Corte distrettuale del Massachusetts, viene tratteggiato un profilo chiaro dei due soggetti finiti nel mirino della Giustizia Usa. Secondo i documenti del tribunale, Abedini è il fondatore e amministratore delegato di una società iraniana, San'at Danesh Rahpooyan Aflak (Sdra), che produce moduli di navigazione utilizzati nel programma militare dei Pasdaran. L'attività principale è, in particolare, la vendita di un sistema di navigazione utilizzato in velivoli senza pilota, missili da crociera e balistici. Abedini ha fondato una compagnia svizzera collegata a Sdra, Illumove, attraverso cui, con la complicità di Sadeghi, ha stipulato un contratto con una società con sede nel Massachusetts per sviluppare componenti elettronici, tra cui sofisticati semiconduttori. Sadeghi e Abedini hanno quindi provveduto al trasferimento di beni, servizi e tecnologia dagli Usa all'Iran, attraverso la Svizzera, a beneficio di Sdra, eludendo i divieti imposti dalle sanzioni sul trasferimento di componentistica a uso militare alla Repubblica islamica. Tecnologia impiegata appunto nella produzione di droni, tra cui quello che ha causato la morte dei tre militari a stelle strisce. Da qui nasce l'incriminazione per «cospirazione per esportare componenti elettronici sofisticati dagli Stati Uniti all'Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni» e la richiesta della autorità federali a quelle italiane di arresto e successiva estradizione dello stesso Abedini.
    Scenari
    La vicenda dei due iraniani è, almeno sulla sponda americana, ancora nei canali di Intelligence, Fbi, dipartimento di Giustizia e, come da prassi in questi casi, il presidente non agisce direttamente, pur rimanendo informato dei fatti. In questa fase quindi, che alla Casa Bianca ci sia Joe Biden o Donald Trump cambia poco. Nel caso la vicenda dovesse assumere una rilevanza politica, il presidente Usa, su sollecitazione del governo di Roma, potrebbe muoversi valutando eventuali ipotesi. Rimane da dire che, essendo gli Stati Uniti assai attenti alle attività di infiltrazione iraniane, è chiaro che la priorità del governo è prima ottenere il massimo delle informazioni possibili dai due detenuti e poi individuare un "ritorno" a un eventuale scambio come quelli già avvenuti in passato. A quel punto, - ci si muove sempre nel campo delle ipotesi -, le valutazioni potrebbero assumere diversi contorni sulla base delle esigenze fissate dal presidente in carica in quel momento. —
  2. Le intercettazioni dell'inchiesta che ha sgominato la presunta associazione a delinquere : 35 indagati dalla Guardia di finanza
    Esami della patente truccati e revisioni false "Io e te siamo due che mangiano bene insieme"
    elisa sola
    «Io e te mangiamo bene insieme». Primo agosto 2023. Albino Fornaca, funzionario della Motorizzazione e William Antoniello, gestore di una società d'auto e di una scuola guida di Venaria, non sanno di essere intercettati. Si complimentano a vicenda per come «mangiano bene». E rimpiangono i tempi del passato. Quelli in cui ogni documento esisteva solo di carta. «Minchia oramai con i computer…». «Eh non scappi più porco Giuda». «Una volta era più facile». «Una volta spariva la pratica e dov'è? E che ne so io!».
    È questa, secondo il pm Giovanni Caspani, e anche secondo il tribunale del Riesame, l'intercettazione chiave dell'inchiesta che ha sgominato la presunta associazione a delinquere che fabbricava revisioni false e che, dietro pagamento, faceva sì che candidati ignoranti passassero il test per conseguire la patente. Sono 35 gli indagati dalla Guardia di finanza di Torino. Due quelli con la posizione più grave. Tra cui Antoniello, che nei giorni scorsi si è rivolto al tribunale delle libertà per chiedere una misura meno afflittiva rispetto ai domiciliari. Ma il collegio, composto dai giudici Luca Ferrero, presidente, Cristiano Trevisan, estensore e Loretta Bianco) ha respinto la richiesta.
    «Io e te mangiamo bene insieme» è per i giudici «l'intercettazione manifesto» dell'operazione. Mangiare vuole dire guadagnare. Fornaca avrebbe preso mazzette da Antoniello. Dai 500 ai 1.800 euro, quelle documentate.
    E Antoniello, a sua volta, avrebbe fatto affari garantendo ai propri clienti pratiche false ottenute in tempi record. Revisioni e certificati di ogni tipo. «Pratiche fantasma» ottenute senza alcun controllo dei mezzi.
    Ma il grande raggiro contestato ai presunti membri dell'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e altri reati, sarebbe stato quello delle patenti facili.
    Secondo la procura, lo schema era semplice. Antoniello e la moglie cercavano clienti disposti a pagare – mille euro – per tentare l'esame di guida. Prima della prova i candidati venivano "vestiti". Dotati di un kit di strumenti necessari per collegarsi con l'esterno. La vestizione avveniva in un camper parcheggiato davanti al McDonald's di Nichelino, a otto chilometri dalla sede della Motorizzazione. A bordo c'era chi forniva ai candidati gli smartphone e gli auricolari. E i "sapientoni" che, collegati in diretta, suggerivano le risposte, dopo aver visto su un monitor le foto delle domande.
    Il sistema non poteva reggere senza il vigilantes addetto ai controlli. Per 200 euro a sessione, chiudeva un occhio riguardo ai candidati che avevano pagato per trassare. Di buon mattino, oltre alla bustarella, prendeva un mazzetto di pizzini: su ognuno c'era scritto il nome dell'esaminando da non guardare. Anche i pizzini sono stati sequestrati dalla Finanza durante le perquisizioni.
    Erano molte le cose che il vigilantes faceva finta di non vedere. Il cellulare nascosto sotto la maglietta del candidato. La telecamerina nascosta nel buco del tessuto, di modo che potesse inquadrare il pc. Gli auricolari collegati con il suggeritore esterno. Ma le telecamere nascoste dagli investigatori hanno ripreso tutto.
    È il sei maggio 2023. Il giorno della prima tornata d'esame. Entrano Chanel, Nikita, Manuel e Claudia. Nessuno ha studiato. Due di loro si sono iscritte a scuola guida solo sette giorni prima del test. Alla Fenice di Venaria. Eppure sono di Bergamo. Non proprio una scelta comoda.
    Il 23 giugno si presentano due fratelli, Claudia e Denny. Antoniello intercettato, dice a Fornaca: «Il padre (sinti potente e facoltoso, ndr) è una persona seria. C'ha in mano tutta la Lombardia». Ma la sorte è avversa. La ragazza non supera l'esame. Il giorno dopo si scopre il motivo: «La strumentazione non prendeva». «Peraltro – scrivono i giudici del Riesame – neanche il fratello di costei subisce miglior fortuna. Prima di sostenere l'esame resta coinvolto in un incidente stradale».
    A settembre andrà meglio per tutti e due. Ma anche questa volta qualcosa va storto. La candidata Marylin non passa il test. «È una scimunita», commentano i due indagati. «Motorino di avviamento rotto», il testo del messaggio sulla non ammissione, che suscita la disapprovazione degli indagati. Mostrano disprezzo anche per il vigilantes, per il comportamento che avrebbe tenuto durante la perquisizione. «Hanno trovato i biglietti! Doveva mangiarseli, invece che farseli sequestrare».

 

 

 

28.12.24
  1. L'ALTER TRUMP :    Mentre tutti si chiedono fino a che punto Elon Musk condizionerà le politiche di Donald Trump e trarrà vantaggio dal ruolo che si è conquistato per favorire le sue imprese, un altro tycoon della Silicon Valley, meno noto del capo di Tesla, emerge come figura di grande potere economico e, forse, politico.



    Peter Thiel, un precursore (primo a investire in Facebook mentre PayPal è una sua creatura) e intelletto più acuto e raffinato della Silicon Valley (è un leader dell’industria tech e della finanza, ma a Stanford si è laureato in filosofia e lì dal 2018 tiene corsi sui limiti della globalizzazione), torna a pesare nel mondo di Trump del quale era stato grande sostenitore all’inizio del primo mandato.

    Poi, deluso dall’assenza di sue riforme radicali […] si è defilato. Ma ha continuato a finanziare senatori repubblicani «eccellenti» ed ora torna alla ribalta da capo di Palantir, gigante dell’analisi dei dati per i servizi segreti e il Pentagono e da promotore di Anduril, start up dell’intelligenza artificiale (AI) per la difesa: sono le due società che, secondo il Financial Times e altre fonti, lanceranno a gennaio un consorzio di 12 aziende, tra le quali la OpenAI di Sam Altman e la SpaceX di Elon Musk, per conquistare il grosso dei contratti federali per la difesa sostituendo l’oligopolio dei giganti storici del «complesso militare-industriale»: Lockheed, Boeing, Raytheon, Grumman, Northrop.



    Già fioccano accuse di conflitto d’interessi di Musk e anche di Thiel: vecchi monopolisti rimpiazzati da giovani monopolisti? [...]

    Ma ci sono altre conseguenze inquietanti: Silicon Valley sempre più impegnata nelle tecnologie militari (dopo Palantir e AWS di Amazon, scendono in campo anche Facebook-Meta e Anthropic, azienda che si considera iper-etica, mentre anche Google che aveva voltato le spalle al Pentagono, cambia rotta) e nella corsa alle armi autonome. E, poi, Thiel, un tempo profeta dell’autoritarismo tecnologico, che riemerge con le sue idee radicali.

 

 

 

 

 

27.12.24
  1. Colpiti 3,4 milioni di utenti in regime di "maggior tutela"
    Luce, stangata sui clienti vulnerabili A gennaio rincaro in bolletta del 18%
    Stangata di inizio anno sulle bollette della luce degli utenti più vulnerabili, cioè quelli che sono rimasti sotto l'ombrello del servizio di "maggior tutela" anche dopo il passaggio ai contratti di mercato per tutti gli altri. Lo annuncia l'Arera (l'Autorità per l'energia) che prevede un aumento del 18,2% per la fascia dei cosiddetti clienti di tipo 1 nel primo trimestre del 2025. La super-bolletta elettrica colpirà circa 3,4 milioni di utenti, che sono persone sopra i 75 anni, oppure percettori di bonus sociale, disabili, residenti in moduli abitativi di emergenza o nelle isole minori e utilizzatori di apparecchiature salva-vita.
    Nonostante gli aumenti, segnala l'Arera, la spesa annuale di chi usufruisce del regime di maggior tutela diminuirà del 2,1% nel periodo compreso tra il primo aprile 2024 e il 31 marzo 2025 (523 euro anziché 534) rispetto al periodo primo aprile 2023 e 31 marzo del 2024. Alla base del rincaro annunciato ieri c'è il rally del gas di fine anno, che coincide con l'imminente scadenza dell'accordo tra Russia e Ucraina per il transito del metano verso l'Europa Centrale. È un contratto che il prossimo 31 dicembre sarà lettera morta in assenza di un rinnovo.
    Sulla piazza finanziaria Ttf di Amsterdam, che fa da riferimento in Europa per il metano, i contratti "future" sul mese di gennaio ieri hanno concluso le contrattazioni con un rialzo del 4,3% a 47,7 euro al Mwh.
    Lo scorso 19 dicembre, il presidente ucraino Zelensky aveva escluso il rinnovo dell'intesa con Mosca. Risultano basse le scorte di gas nell'Unione europea, scese sotto la soglia del 75% della capacità, ben al di sotto della media dell'82% degli ultimi 5 anni. Restano sopra l'80% l'Italia (80,5%) e la Germania (82,1%). Il presidente russo Putin nelle sue ultime dichiarazioni ha dsostemuto che non è la Russia a creare problemi ma l'Ucraina, rifiutando il transito del gas russo. Gli analisti non escludono un accordo in extremis. Nonostante il grande sforzo fatto dall'Europa per trovare alternative al gas russo. Le importazioni di Mosca costituiscono ancora il 19% del fabbisogno dell'Ue. l. g.
  2. L'intervista
    "L'oro di Mosca finiva sui conti del Pci toccò a me chiudere i rubinetti"
    Gianni Cervetti
    La militanza
    L'Urss
    "
    Filippo Maria Battaglia
    Milano
    Si è iscritto al Pci dopo aver incontrato Togliatti ed è stato uno dei più stretti collaboratori di Berlinguer. A ventidue anni il suo partito l'ha spedito a Mosca per studiare economia e, ventidue anni dopo, è stato lui, sempre per conto di quel partito, a chiudere i rubinetti dell'oro sovietico che lo finanziavano.
    Gianni Cervetti è tra i pochi superstiti comunisti nati prima della seconda guerra mondiale. Del Pci è stato militante, dirigente, deputato ed europarlamentare. Basterebbe metà della sua vita per trarne, con profitto, un intenso biopic. Ma Cervetti - 91 anni compiuti a settembre - è stato un comunista di stampo ambrosiano: «Uno che pensa quattro volte prima di parlare», dice di sé nel soggiorno di casa sulla circonvallazione interna di Milano. Pragmatismo e disciplina di partito lo hanno indotto a scegliere sempre vie discrete e laterali. Le stesse percorse, peraltro, nel pamphlet I ragazzi di via Rovello, pubblicato da poco da De Piante, in cui racconta alcune sue passioni: i libri, Dante, la musica, Machiavelli. E, ovviamente, la politica.
    Si ricorda la sua prima manifestazione pubblica?
    «Nel luglio del '43. Avevo poco meno di dieci anni, eravamo sfollati nel Monferrato. Centinaia di civili si radunarono davanti alla sede del dopolavoro fascista per festeggiare la caduta di Mussolini. Provarono ad abbattere la porta: non ci riuscirono. Due di loro mi spinsero così attraverso un piccolo varco. Una volta dentro, lanciai dalle finestre i quadri del duce e del re. Quando la folla si disperse, mi rimase la sensazione di essere stato protagonista di un atto di sacrosanta ribellione».
    Era già comunista?
    «No. Mi iscrissi nel '49, a Milano, in una sezione intitolata ad Antonio Gramsci».
    Cinque anni dopo, su richiesta del Pci, sarebbe andato via dall'Italia.
    «Studiavo Medicina quando venni convocato in una stanza della federazione. Ci trovai anche Aldo Lampredi, il partigiano che aveva guidato il plotone per l'esecuzione di Mussolini. Mi disse: "Andrai a studiare all'estero. Te lo chiede il partito"».
    E lei?
    «Rimasi di stucco, ma al contempo ne fui onorato. Cercai di capire almeno in quale Paese e in quale facoltà. Mi rispose: "Studi politici". Avvisai solo la mia famiglia, poi partii, senza dire nulla».
    Nemmeno alla fidanzata?
    «Mi comportai da mascalzone, ma non avevo scelta: mi fu raccomandato di non parlarne con nessun altro».
    La destinazione era Mosca, la facoltà Economia politica.
    «Eravamo quattro italiani e un vietnamita. Nessuno di noi conosceva il russo, facemmo sei mesi di lezioni con un'insegnante con cui comunicavamo a gesti».
    Su quei banchi c'era anche Gorbaciov.
    «Quando entrai in università, lui la stava terminando. Lo conobbi bene solo nel 1985, dopo l'elezione a segretario del Pcus. Era sempre un fiume di parole, io un po' meno».
    Nell'anno in cui arrivò a Mosca, il 1956, iniziò la " destalinizzazione". Che aria tirava?
    «Il sabato andavamo a ballare con le ragazze, la domenica sentivamo i concerti dei grandi musicisti. Sembrerà strano ma in realtà, in quegli anni, a Mosca, in fatto di relazioni e di morale, c'era più libertà lì che in Italia».
    Dopo la laurea rientrò a Milano. Che città trovò?
    «Totalmente diversa da quella di sei anni prima. Il traffico intenso, il centro che si ampliava a dismisura, un'infinità di palazzi in costruzione».
    E il partito?
    «A guidare la federazione c'era Armando Cossutta. Con un discorso enfatico, mi fece capire che non mi volevano nell'apparato politico».
    Il motivo?
    «Lo capii solo dopo: ero stato troppo tempo a Mosca, non era opportuno che lavorassi lì».
    Detto da Cossutta, uno dei più filosovietici del partito…
    «Non aveva ancora posizioni così marcate. Ma, anni dopo, il ricordo di quell'incontro mi rafforzò nella convinzione che alla politica, come alla vita, si deve guardare sempre senza schematismo».
    Nel partito però ci tornò presto. Prima da segretario cittadino e poi da membro della segreteria nazionale: il più giovane scelto da Enrico Berlinguer.
    «Pochi mesi prima della nomina, nel '73, il leader Pci venne a Milano con uno dei dirigenti, Salvatore Cacciapuoti. Fu lui, a un certo punto, a indicare una borsa a Berlinguer, che assentì senza dire una parola».
    Cosa voleva dire?
    «Che sarei andato a Roma a occuparmi dell'organizzazione e della cassa del partito. Non servì aggiungere altro».
    Come andò?
    «Mi gettai a capofitto per conoscere la situazione finanziaria, a cominciare dal cosiddetto "oro di Mosca": polizie e cancellerie di mezza Europa sapevano dei soldi che arrivavano dall'Urss, ma tutti facevano finta di niente».
    Tutti?
    «A cominciare dall'allora ministro dell'Interno Cossiga. Anni dopo mi raccontò che quando il nostro uomo, un certo Schiapparelli, andava a convertire i dollari che ricevevamo, i Servizi li acquistavano per verificare che non fossero falsi. E la questione finiva lì, nessuno ne parlava più».
    Quando fu deciso lo stop al finanziamento?
    «Nel febbraio del '74. Eravamo a Mosca. Una sera, Berlinguer mi propose di uscire in giardino. Si gelava. Gli dissi: "Dobbiamo prendere le distanze da questi qui". Assentì».
    Fu una svolta.
    «Ci vollero altri quattro anni. Quando comunicai la decisione a Boris Ponomariov, l'uomo che teneva i contatti con noi, disse: "È una vostra scelta". Ma aggiunse: "In ogni caso, avete i soldi del petrolio'". Lo guardai incredulo: "Quali soldi?". E lui: "Ah, se è così, chissà dove vanno finire"».
    A cosa faceva riferimento?
    «Non riuscii a capirlo mai».
    Nel Pci lei faceva parte dell'ala riformista guidata da Napolitano. Quando lo conobbe?
    «Nel '63, su una spiaggia delle Marche. Clio, sua moglie, era di quelle parti. Erano da poco diventati genitori: Giorgio, sorridente, teneva il primogenito Giovanni in braccio».
    Eravate i "miglioristi": non suonava come un complimento.
    «Non lo era. Ci chiamò così per la prima volta Pietro Ingrao. Napolitano non gliela perdonò mai».
    Quando, nel 2006, venne eletto capo dello Stato, lei seguì lo spoglio nel suo studio.
    «Appena raggiunto il quorum, mi commossi. Giorgio mi guardò e disse: "Fuori i piangenti!". Ovviamente scherzava».
    Che giudizio dà di Putin?
    «Molto critico. È stato uno dei frutti della presidenza di Eltsin, un vero disastro per la Russia».
    Nel suo ultimo libro racconta la sua passione per Dante.
    «Ereditata da mio fratello. Nel mio studio ho più di duecento edizioni della Commedia».
    Quale dei sette vizi capitali, rievocati nei suoi versi, è più pericoloso in politica?
    «La superbia».
    E nella vita?
    «L'invidia. Entrambi, in modo diverso, si distaccano dalla realtà e dalle sue istanze. Un errore imperdonabile». —

 

 

26.12.24
  1. Bombe, faccendieri e poteri occulti Gli angoli ancora bui degli anni Settanta
    Raccontare gli anni Settanta, impresa folle e disperatissima. Enrico Deaglio, dopo gli anni Sessanta, si è buttato nella grande opera. E ne è venuto fuori un epico ma anche drammatico scanzonato e affettuoso racconto di storia e di costume. Il decennio in verità finisce presto perché i Settanta muoiono nel maggio 1978 con i colpi di pistola che uccidono Aldo Moro. E perciò sul libro campeggia una foto che è un pugno nello stomaco: l'immagine della camicia insanguinata dello statista ucciso dalle Br. Scrive Deaglio: «Quegli spari scellerati, a bruciapelo, all'alba, che abbiamo messo – non senza sofferenza – in copertina di questo volume, resteranno, come avrebbe detto Borges, nella "storia universale dell'infamia", il trauma che ci porteremo sempre appresso».
    Se il delitto Moro è il punto finale di un processo venefico che brucia gli anni Settanta e tanti suoi protagonisti, speranze di cambiamento comprese, c'è però una storia oscura che gli corre accanto, s'interseca come un fiume carsico, a volte si sovrappone. È la storia dei poteri criminali.

    Un po' ce lo siamo dimenticato, quel periodo. Ma ci pensa Enrico Deaglio a rinfrescarci la memoria su come l'eversione di destra mettesse bombe in treni, stazioni, università e come avesse preparato numerosi colpi di Stato. Come i gruppi criminali – banda della Magliana, Cosa nostra, P2, l'allora sconosciuta 'ndrangheta – si associassero al potere e facessero i "lavori sporchi" in cambio di impunità.
    Ci siamo dimenticati, ad esempio, come al crocevia di finanza, mafia, traffico di droga, corruzione, ci fosse un tal Michele Sindona. Breve ripasso: l'uomo nasce dalle parti di Messina nel 1920, in Sicilia stringe utili contatti con gli americani nel periodo di occupazione, negli anni Cinquanta si trasferisce a Milano e il suo studio di fiscalista diventa famoso tra i "cummenda". L'ascesa pare inarrestabile. Rileva un'antica banca e poi un'altra, domina la Borsa, amministra le proprietà immobiliari del Vaticano. Si scoprirà solo in seguito che le sue banche erano coinvolte nei movimenti dell'Anonima sequestri e riciclavano soldi della mafia siciliana. Per qualche anno gli va tutto benissimo. Ricostruisce Deaglio: «In America è addirittura proprietario della decima banca del Paese, la Franklin Bank di Long Island, che gode di una buona clientela legata al Partito repubblicano e alla comunità italoamericana. Ma il più grande sogno è crollato in pochi mesi, anno 1974. La Franklin ha fatto improvvisamente bancarotta, e beati i depositanti che sono riusciti a recuperare i loro soldi. E in Italia è crollato "l'impero Sindona", quando – finalmente – gli ispettori della Banca d'Italia hanno avuto il permesso dal governatore Guido Carli di andare a guardare i conti delle sue banche».
    Inseguito da due giustizie, Sindona ripara a New York. Dall'Italia, comunque, lo aiutano in tanti con i cosiddetti "affidavit", cioè lettere a garanzia di quanto fosse una brava persona. «A garantire per Michele Sindona troviamo il procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma, Carmelo Spagnuolo, il segretario del Psdi Flavio Orlandi, la vulcanica imprenditrice milanese Anna Bolchini, due persone a noi sconosciute, Paul Rao esponente del Partito repubblicano americano e soprattutto figlio di un giudice della Corte suprema, Philip Guarino, che si presenta come rappresentante della comunità italoamericana di New York, John McCaffery, già capo del controspionaggio inglese ai tempi della guerra, il nobiluomo torinese Edgardo Sogno, appena uscito dalle accuse di aver tramato un colpo di Stato, il fresco ministro "tecnico" del Tesoro nel governo Moro, ed ex presidente della Banca Commerciale, Gaetano Stammati». E naturalmente c'è Licio Gelli.
    A raccontarci poi chi fosse il segreto sponsor politico di Sindona sarà Aldo Moro, nel suo Memoriale scritto quand'era nelle mani delle Brigate rosse. E così due storie tanto diverse s'incontrano fino a diventare un tutt'uno. Racconta infatti Moro che Giulio Andreotti, in quel momento senza incarichi di governo, era andato appositamente in America per partecipare a un pranzo in onore di Sindona, libero su cauzione. Tentarono invano di sconsigliarlo sia l'ambasciatore Egidio Ortona, sia Moro stesso. «Andreotti si impuntò e sarà l'ospite d'onore (da solo) al banchetto offerto all'hotel St. Regis in cui dichiarerà Sindona l'italiano più importante della storia».
    Andreotti disponeva a New York di un "ufficio di rappresentanza", tenuto dalle sorelle Grattan, antica famiglia di politici repubblicani, di fede anticomunista. Una delle sorelle, interrogata nel 1994 dai pm di Palermo, confermò che tra il 1978 e il 1979 aveva incontrato per otto volte Sindona nel suo studio.
    Si moriva, all'epoca, a toccare Sindona. Un incorruttibile avvocato milanese, Giorgio Ambrosoli, che si occupava della liquidazione delle sue banche fu fatto uccidere da un sicario italo-americano. Il banchiere Enrico Cuccia fu convocato a New York e minacciato di morte, lui e i figli, affinché non si mettesse di traverso al salvataggio delle banche a spese dello Stato italiano. A Palermo, l'investigatore Boris Giuliano, fu ammazzato in strada perché aveva scoperto chi era il banchiere dei clan.
    Infine Sindona organizzò un auto-sequestro a immagine e somiglianza del dramma di Aldo Moro: scomparve a New York nell'agosto 1979 e ricomparve nella Grande Mela due mesi dopo facendo un racconto farneticante di comunisti che lo avrebbero rapito e torturato. In realtà era andato clandestinamente in Sicilia ad incontrare massoni e capi mafiosi che volevano sapere come avrebbero riavuto indietro i miliardi che gli avevano affidato. Tutto fu organizzato meticolosamente: mentre era ospitato da un medico della polizia a Palermo, massone, scriveva lettere di finta disperazione che ogni volta un picciotto portava in aereo fino a New York per essere imbucate a Brooklyn. Incontrò il famoso avvocato Vito Guarrasi, il potentissimo esattore Nino Salvo, il cavaliere del lavoro Gaetano Graci, il capo della massoneria siciliana Barresi. «Ma più che assicurare ai clienti che avrebbe restituito loro i soldi perduti – contava di ricattare i politici italiani che gli avevano affidato i loro risparmi perché li esportasse all'estero, ma quelli si erano salvati dal suo crack –, Sindona era venuto a vendere l'idea di un colpo di Stato separatista, il vecchio sogno del 1943; si diceva sicuro di avere l'appoggio americano, dell'amministrazione Carter, della Cia, dell'ambasciata a Roma; vantava rapporti diretti – li aveva finanziati, perbacco! – con i vertici dei servizi segreti italiani, parlava addirittura di strategie militari». Finì come doveva finire. Con un caffè alla stricnina in cella. E chissà quanti altri segreti sono stati sepolti con i fantastici anni Settanta. —

 

 

 

 

25.12.24
  1. "Spot e slogan ingannevoli non si conoscono i rischi"
    Silvio Garattini
    Le frasi
    flavi aamabile
    ROMA
    A 96 anni, Silvio Garattini, presidente e fondatore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, sta trascorrendo il pomeriggio di Santo Stefano a calcolare quanti principi attivi in eccesso esistono nel Prontuario farmaceutico nazionale. Interrompe volentieri per analizzare i pericoli dei farmaci per perdere peso.
    Per il quotidiano The Guardian, nel Regno Unito il mercato dei farmaci per perdere peso sta diventando sempre più aggressivo, con pubblicità che aggirano i divieti e propongono prodotti ai consumatori senza controllo. Qual è la situazione in Italia?
    «In Italia abbiamo un problema preliminare: a fornire le informazioni sui prodotti sono solo le aziende dell'industria farmaceutica che hanno tutto l'interesse a far crescere il settore attraverso notizie che sfuggono a ogni controllo. Secondo un'elaborazione di Unione Italiana Food su dati New Line, nel 2023 il fatturato del comparto dell'integrazione alimentare in Italia ha raggiunto i 4,5 miliardi di euro in valore delle vendite e le 300 mila tonnellate in quantità. L'Italia si conferma il primo mercato europeo, con il 26% del fatturato totale e nel 2024 dovrebbe raggiungere quota 5 miliardi. Tutto questo è senza senso, non c'è alcuna base scientifica che i prodotti abbiano efficacia ma sono comunque molto utilizzati. Si preferisce mangiare in eccesso e usare dei prodotti per perdere peso basandosi sulle promesse di una pubblicità senza controllo».
    Quindi anche in Italia i consumatori non sono protetti dai messaggi che arrivano dalla pubblicità delle aziende farmaceutiche?
    «In televisione, sui giornali, sulle riviste, sui social, assistiamo a comportamenti molto aggressivi. A volte si usano delle formule indirette e si aggirano le regole fornendo messaggi fuorvianti. Sarebbero necessari controlli perché il compito della pubblicità è di comunicare attraverso affermazioni vere che nel settore della salute rivestono particolare importanza sia per i singoli sia per le conseguenze sul Servizio sanitario nazionale, eppure non ho mai visto ritirare una pubblicità su un farmaco per aver trasmesso notizie non vere. Si può fare e dire quello che si vuole, al contrario del principio presente nella Costituzione che lo Stato deve proteggere la salute di tutti».
    Come si fa a capire quali farmaci per perdere peso sono davvero efficaci?
    «Per approvare un nuovo farmaco la legislazione europea si basa su tre caratteristiche: qualità efficacia e sicurezza. Non ci chiarisce nulla, però, su un aspetto fondamentale e cioè il rapporto con farmaci che già esistono per la stessa indicazione. Per le industrie questa mancanza è molto comoda: si può quindi ottenere l'approvazione anche se il nuovo farmaco è meno attivo o uguale, questo consente alle industrie di poter affermare liberamente che il proprio farmaco è il migliore perché non è possibile fare un confronto. Inoltre i farmaci vengono studiati sui maschi, le donne usano farmaci non studiati per loro, il 75% degli studi controllati non permette di stabilire quale sia l'efficacia di un farmaco in base al genere ma sappiamo che la stessa malattia non si presenta in modo uguale nei maschi e nelle femmine».
    Che cosa sappiamo degli effetti negativi dei farmaci per perdere peso?
    «Il sistema è tutto orientato a capire l'efficacia dei farmaci, sulla tossicità si sa poco. Dagli studi clinici controllati sappiamo che gli effetti negativi che accadono più di frequente sono di natura gastrointestinale, infatti molti devono abbandonare l'impiego di questi farmaci per questo motivo. Possiamo dire che conosceremo le reali conseguenze sulle persone solo in futuro. Non abbiamo un'organizzazione per raccogliere le informazioni sugli effetti tossici dei farmaci, non abbiamo un'agenzia o una struttura che se ne occupi. Ci si basa sui gesti volontari di farmacisti o persone che scrivono all'Aifa per comunicare le conseguenze negative riscontrate. In questo modo emerge solo il 10 per cento degli effetti tossici di un farmaco. Questo deve rendere i medici più attenti e responsabili nel fare prescrizioni».
    Ad aumentare la confusione è anche il fatto che molti di questi farmaci in realtà dovrebbero essere usati per altre malattie come il diabete o l'ipertensione.
    «È un uso irrazionale da evitare. Fra le informazioni che mancano su questi farmaci non sappiamo quanto in un soggetto che non è diabetico assumere questi farmaci che fanno perdere peso ma anche calare la glicemia potrebbe essere dannoso se non si è iperglicemici».
    C'è anche chi, in vista delle feste, fa scorta di questi farmaci.
    «Lo trovo ridicolo, un esempio di ignoranza in materia di salute. Non si ingrassa per quello che si mangia a Natale o a Capodanno ma per quello che si mangia il resto dell'anno. Questi farmaci dovrebbero essere assunti solo in caso di grave obesità o per evitare interventi chirurgici. In tutti gli altri casi non servono a nulla: è provato che, se non si è imparato a mangiare, quando si smette il trattamento si prende di nuovo rapidamente il peso perso»

 

 

 

 

24.12.24
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18
 
...
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.

 
Gli israeliani hanno avuto questi segnali ma non li hanno voluti vedere.
Da allora si sono alleati con satana.
Perche' non prenderne atto :

Matteo 6,24

Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona.
 

Luca 16,13

Nessun domestico può servire due padroni: perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona”.

 

23.12.24
  1. PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA'  "Betlemme senza natività è un luogo monco C'è bisogno di speranza"
    Pierbattista Pizzaballa
    Nello del Gatto
    Gerusalemme
    «A Gaza è tutto distrutto, la situazione è molto grave, ma qualche segno di speranza, di vita, c'è ancora». È la prima immagine che ha fornito ieri il cardinale di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, appena tornato da una visita alla comunità cattolica della Striscia. Il patriarca gerosolimitano, unico esponente straniero ad aver effettuato due visite a Gaza (la prima era stata a maggio), glissa anche sulle polemiche scaturite dalle parole del Papa circa un rifiuto, poi smentito dalle autorità israeliane, del suo ingresso a Gaza. «Io alla fine sono entrato, questi sono i fatti. L'ingresso a Gaza non è mai semplice, ci sono tante questioni, di protocollo, di sicurezza e così via. È importante restare sui fatti. Sono entrato e voglio ringraziare quelli che mi hanno aiutato. Ci sono stati dei problemi, degli ostacoli, ma ci sono state anche persone che poi hanno aiutato a risolvere e questo è quello che conta».
    Le polemiche non sono mancate, anche rispetto alle parole del Papa che negli ultimi tempi ha usato espressioni forti sulla guerra. Il cardinale è una figura molto apprezzata da ogni parte in Terra Santa, dove vive da 35 anni, per la sua opera anche di mediazione. Da qui i suoi buoni uffici con i governi israeliano, giordano e palestinese. All'inizio della guerra si offrì per sostituirsi agli ostaggi. E non si tira indietro rispetto alle polemiche, dice, ci sono sempre state ma lo lasciano indifferente, non distraendolo e proseguendo per la sua strada. «Il Papa è sempre stato molto chiaro. Forse non siamo abituati a un Papa che non usa molte sfumature. Ha chiesto la fine della guerra, di questa come di tutte le altre, chiedendo la liberazione degli ostaggi. Lo ha detto parecchie volte. E ha anche condannato in maniera chiara la reazione considerata sproporzionata. Questa guerra come tutte le guerre è molto crudele ed ha avuto e ha un impatto molto forte su tutto e su tutta la popolazione».
    A Gaza, Pizzaballa ha incontrato le poche centinaia di cattolici rimasti. Che al pastore della chiesa di Gerusalemme, hanno chiesto cibo, aiuti e scuole per i figli. Segno di vita, di speranza, dice il cardinale. Per il quale è necessario anche non tanto un cambiamento di leader, ma la ricerca di una leadership. «Abbiamo bisogno di creare un contesto di un gruppo o di una squadra dove le persone con responsabilità hanno il coraggio di incontrarsi e organizzare qualcosa insieme. E noi, come Chiesa cattolica, siamo pronti. Dopo questa crisi, dove vediamo anche la debolezza di una leadership politica e istituzionale, qualcosa di nuovo deve uscire. Non possiamo costruire un nuovo futuro con le stesse facce».
    Domani è Natale. A Betlemme come l'anno scorso ci sarà la messa della vigilia, ma non le luminarie. L'amministrazione locale e quella dell'Autorità palestinese in segno di cordoglio per Gaza le hanno vietate. «Avremmo voluto qualcosa, non una festa normale ma almeno qualcosa di un po' più vivace, anche perché la gente ha bisogno di un po' di respiro. Speriamo sia l'ultimo Natale in tono minore perché, soprattutto Betlemme, senza Natale, è monca». La città, come tutti i Territori, vive una profonda crisi economica che ha portato molti ad emigrare. «Questa guerra ha avuto un impatto enorme sulla popolazione sia israeliana sia palestinese. Si sa che non si tornerà com'era prima, ma non si capisce come sarà il futuro, con chi, come e quando, come finirà. Ecco, questa mancanza di certezze per il futuro, questa insicurezza un po' su tutto, ha creato un sentimento molto pesante nella vita della popolazione. Dobbiamo lavorare. È chiaro che noi come Chiesa cerchiamo di aiutare il più possibile, ma senza un cambiamento nella prospettiva politica sarà molto difficile avere un'influenza determinante sul sentimento della popolazione».

 

 

22.12.24
  1. Mavi e l'intervista da sogno al Presidente "Gli ho chiesto se è felice, mi ha detto di sì"
    «Lei è felice? O questa grande responsabilità la preoccupa troppo?». Mariavittoria Belleri è appena entrata nello studio del presidente della Repubblica salutata dal batter di tacchi dei due corazzieri alla porta: ora lei e Sergio Mattarella sono seduti l'una davanti all'altro per l'intervista che questa bambina di dieci anni sognava da tempo e che adesso, grazie a Telethon e all'idea di ricavarne un corto firmato da Francesca Archibugi, è diventata realtà. Cinque minuti trascorsi a tu per tu che "Mavi", come la chiamano i genitori e i compagni di classe, non dimenticherà facilmente: «Lui ha risposto di sì, che è felice, ma non posso dire nient'altro – racconta -: un po' perché deve restare un segreto fra me e il presidente e io non posso spoilerare nulla, ma anche perché ero talmente emozionata che non mi ricordo più niente…».
    A Mariavittoria, quando aveva un anno d'età, è stata diagnosticata la Sma, l'atrofia muscolare spinale per cui non ha mai potuto camminare e che la obbliga a muoversi su una sedia a rotelle elettrica. «Ha iniziato a parlare prestissimo e da subito ha inondato di domande me e mio marito - spiega Eleonora Fontana, la mamma -. Le abbiamo chiarito sempre tutti gli aspetti della sua malattia, e a un anno e mezzo ha saputo che non avrebbe mai camminato. Siamo convinti che le bugie non possano funzionare».
    Avere un incontro col presidente Mattarella, dice Mavi, che sentiamo al telefono mentre sta tornando in macchina a Brescia, dove vive con i genitori, «era il mio obiettivo, ci ho pensato la prima volta un anno fa, perché mi piace l'idea di intervistare i capi di Stato». E così, di sogno in sogno, si scopre che la prossima volta le piacerebbe fare qualche domanda al Pontefice: «Ora mi piacerebbe intervistare il Papa... In passato avevo pensato a Biden e anche a Putin, ma in questo caso avevo paura che, se avessi fatto una domanda non gradita, se poi si fosse arrabbiato avrebbe potuto schiacciare il pulsante rosso della bomba atomica». Paure di bambina che riflettono l'incubo risvegliato negli ultimi anni dal mondo degli adulti.
    Molto più tranquillizzante il dialogo con Sergio Mattarella: «Ero emozionatissima, quasi non so come descriverlo - dice Mavi -; è stato gentile e accogliente, un pochino dà l'idea di un nonno buono , ma non vorrei sminuire la sua figura». I corazzieri? «Altissimi». Il personale del Quirinale che l'ha accolta e scortata dal presidente con tutti gli onori? «Molto disponibile». Fino al suo ingresso nello studio di Mattarella, perché da quel momento in poi non ci sono stati testimoni del colloquio. Il suo passaggio nei saloni del Quirinale, d'altra parte, ha osservato tempi e scene che appartengono a qualsiasi fiction, perché tale è Una giornata pazzesca, realizzato per la 35esima Maratona di Fondazione Telethon. Mariavittoria, da brava interprete, «si è attenuta alle indicazioni della regista, ci sono state numerose inquadrature e riprese, ha dovuto ripetere le battute: un'attrice a tutti gli effetti che interpreta sé stessa», dice la mamma. Di professione avvocata, non ha mai voluto abbandonare la professione: «Io e mio marito, che fa l'ottico, abbiamo voluto mantenere le nostre individualità e le nostre abitudini per quanto possibile. Avere ognuno il suo spazio lavorativo dà più valore al tempo che trascorriamo insieme. E a casa c'è una persona preziosa che ci aiuta».
    Il commento di Mavi è pronto e risoluto: «Non vorrei neanche io avere mia mamma ventiquattr'ore al giorno, vorrei anche un po' di calma. Bastano la sera e la mattina». La madre parla del rapporto che ha con sua figlia come qualcosa di «simbiotico» e intensissimo: «L'aspetto cognitivo di Mavi, che è molto sveglia e curiosa, ci ha sempre aiutati a superare la sua disabilità motoria. La nostra è una vita normale anche se con le sue specificità. In ogni caso è un vivere, non un sopravvivere».
    Il che ovviamene non significa che sia semplice: «Anche lei fa le sue osservazioni e in un certo senso è il peggior giudice. Un esempio? Mia figlia chiede tanto aiuto, anche per i suoi movimenti, e noi la riprendiamo quando non chiede "per favore". La sua reazione è stata: "Ma allora se chiedo per favore per ogni movimento passo la mia vita così..."». Il ruolo di Telethon, che ha trasmesso alla presidenza della Repubblica la richiesta d'intervista di Mavi propiziando l'iniziativa, viene sottolineato così: «È fondamentale quello che fa per la ricerca. La presenza del presidente Mattarella inoltre dà un sigillo importante alla campagna contro le malattie genetiche rare».
  2. "Salvini? Non vede il dolore degli altri Follia un mondo governato da miliardari"
    Richard Gere
    Il mondo è sull'orlo del baratro, ma la naturalezza rasserenante con cui Richard Gere espone le sue convinzioni spinge a pensare che, forse, non tutto è perduto: «Dobbiamo provare a tenere aperti i nostri cuori, per ascoltare il dolore dei nostri simili, per interessarci delle tragedie che avvengono ovunque. Penso che tutti noi siamo qui sulla Terra con un obiettivo comune, che è proprio quello di aiutarci l'un l'altro».
    Nell'agosto del 2019 ha visitato l'"Open Arms", ormeggiata al largo di Lampedusa e carica di migranti che non potevano raggiungere la terraferma. L'allora Ministro degli Interni Matteo Salvini, che aveva impedito lo sbarco, è stato processato e ora appena assolto. Che cosa ne pensa?
    «Quando sali su un'imbarcazione come quella, cosa che ho fatto in quell'occasione e poi anche in altre, vedi le stesse cose che, in questi anni, abbiamo visto in tanti luoghi del pianeta, India, Honduras, Bangladesh, Africa e anche in America. Gente che cerca una casa, un posto dove vivere, un riparo. In un certo senso siamo tutti rifugiati e, anche se non conosco i dettagli di questo caso giudiziario, penso che, se non riusciamo a specchiarci nelle sofferenze dei nostri fratelli, vuol dire che, come razza umana, abbiamo fallito».
    L'America ha di nuovo scelto Trump, che effetto si aspetta dalla ri-elezione?
    «È difficile rispondere a una domanda del genere in pochi minuti. Posso dirle però che di recente sono stato a Washington, per un evento speciale dedicato al Tibet, una campagna internazionale in cui, alla presenza di Nancy Pelosi, è stato proiettato il documentario sul Dalai Lama che ho prodotto. Sono stato in giro, ho incontrato rappresentanti del Congresso, sia repubblicani che democratici con l'obiettivo di capire quale percezione abbiano del futuro che ci aspetta. Sa come è andata? Nessuno ha saputo rispondere».
    Che cosa la preoccupa di più?
    «Trovo davvero molto inquietante il fatto che, del governo Trump, facciano parte due tra le persone più ricche dell'intero pianeta e che esse abbiano, quindi, la facoltà di esercitare il loro potere. Il fatto che siedano nell'ufficio presidenziale è per me molto allarmante. Nella Costituzione americana ricorre più volte la formula "noi, il popolo", non certo "noi, i miliardari". Dimenticare il popolo americano, quello vero, che non è certo fatto da super-milionari, è la cosa che più mi spaventa, quella che veramente fa tremare se pensiamo alle nostre sorti future. In America, ma anche in tante altre nazioni».
    Fra gli scenari più preoccupanti c'è quello riguardante il sistema sanitario. Il neo-presidente Trump sarebbe pronto ad annunciare il ritiro degli Usa dall'Oms, nel primo giorno del suo mandato. Che ne dice?
    «Mia moglie è spagnola e, quando è venuta a vivere con me in America, è rimasta letteralmente scandalizzata nel constatare che, negli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo, non esiste un sistema sanitario pubblico. Per motivi che ancora non sono del tutto chiari il Partito repubblicano si rifiuta di crearlo. È una cosa incredibile, ci ho riflettuto a lungo, la nostra priorità dovrebbe essere proprio la salute, il fatto che tutti abbiano la possibilità di curarsi, di nutrirsi, di avere un tetto, insomma il minimo, le cose più semplici. Credo che se ci impegnassimo tutti in questo senso le cose andrebbero subito meglio. E questo dovrebbe valere ovunque, per tutti i cittadini del mondo. Se ognuno dei nostri Paesi mettesse a disposizione dei soldi per garantire i diritti basilari, gran parte dei problemi sarebbero risolti».
    La diffusione delle armi è un'altra piaga americana.
    «Restiamo sconvolti ogni volta che assistiamo alle stragi nelle scuole, con ragazzini che vengono ammazzati, ma la vendita delle armi continua a proliferare e l'esercizio della violenza in Usa è onnipresente, sempre in crescita. Mi sono attivato in questo senso, cerco di promuovere movimenti che controllino la diffusione delle armi».
    Nel suo ultimo film Oh Canada I tradimenti (dal 16 gennaio nei cinema) interpreta, diretto da Paul Schrader, il documentarista Leo Fife che, prossimo alla fine della vita, rivive la sua giovinezza, a iniziare dalla fuga in Canada per evitare di andare a combattere in Vietnam. Lei è nato nel '49, in un'America molto diversa da quella di oggi. Che ricordi ha di quel periodo?
    «Faccio parte esattamente di quella generazione che ha ricevuto la prima chiamata al fronte, quando è scoppiata la guerra in Vietnam. Era un periodo molto particolare, c'è stato come un risveglio universale, una voglia di reagire da parte dei ragazzi di allora, di dire no a quello che stava succedendo, forse anche perché gli orrori dell'Olocausto e del Secondo conflitto mondiale erano ancora vicini e allora quei giovani hanno saputo dire "no, non voglio essere parte di una nuova guerra"».
    Ha rimpianti?
    «Ha una giornata libera? Ce ne vorrebbe almeno una per poterglieli dire tutti. Certo che ne ho, credo che ognuno di noi, nell'arco della propria esistenza, sappia di essersi comportato male nei confronti di altre persone, in modi più o meno gravi, e che questo ci abbia fatto vergognare di noi stessi». —
  3. Battaglia aerea nello Yemen abbattuto un F-18 americano
    New York
    Benjamin Netanyahu annuncia il pugno duro a oltranza contro gli Houthi per assestare un altro colpo all'Iran, da dove arrivano nuove smentite sull'impiego da parte di Teheran di procure militari nella regione in funzione anti-israeliana. Il tutto mentre gli americani rischiano di perdere due piloti impegnati nei raid contro le postazioni dei ribelli yemeniti per colpa - sembra - del fuoco amico. Si è ormai chiaramente spostato in Yemen il baricentro bellico del conflitto in Medio Oriente, dopo aver toccato Gaza, Libano (inteso come Hezbollah), Iran e di sponda la Siria. E a sentire il premier israeliano, la campagna contro gli Houthi, considerati vicini all'Iran, si preannuncia dura e prolungata.
    «Come abbiamo agito contro i terroristi iraniani, agiremo forza e determinazione contro gli Houthi dello Yemen», afferma Netanyahu dopo che nella notte tra venerdì e sabato un missile balistico ha bucato la difesa aerea israeliana colpendo un parco di Tel Aviv e causando 16 feriti. Si è trattato dell'ultimo raid di una serie che la formazione yemenita ha intensificato nelle ultime settimane. In una dichiarazione video rilasciata dopo la riunione del suo gabinetto di sicurezza a Safed, Netanyahu ha promesso che, anche se l'operazione contro gli Houthi potrebbe richiedere del tempo, i risultati saranno gli stessi delle campagne di Israele contro altre procure iraniane nella regione, tra cui Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano.
    Poco prima era stata Teheran a farsi sentire rilanciando la campagna di resistenza "spontanea" nella regione: «Yemen, Hezbollah, Hamas e Jihad Islamica non sono procure iraniane, ma combattono per propria convinzione. Se volessimo entrare in azione, non avremmo bisogno di alcuna forza per procura», tuona la Guida suprema, Ali Khamenei. Il quale è intervenuto anche sulla caduta del regime siriano di Bashar Al-Assad: «Gli Stati Uniti progettano di dominare (la regione), stimolando caos e scontri in quel Paese». Una strategia che, secondo Teheran, vorrebbe essere replicata anche in Iran. «Un personaggio di nazionalità statunitense ha detto che se la gente in Iran si rivoltasse, gli Usa l'aiuterebbero - ha affermato Khamenei -. Ma si tratta solo di un idiota. Il popolo iraniano schiaccerà sotto i suoi piedi chiunque accetti di diventare un mercenario Usa e aiuti i disordini nel nostro Paese».
    Le attività militari Usa nella regione intanto proseguono con intensità sullo Yemen non senza presentare rischi. Due piloti della Us Navy sono stati abbattuti sul Mar Rosso domenica mattina in «un apparente caso di fuoco amico», afferma l'esercito americano. Entrambi sono vivi e al sicuro ma «le valutazioni iniziali indicano che uno dei membri dell'equipaggio ha riportato ferite lievi», riferisce il Comando centrale (Centcom) degli Usa. «È in corso un'indagine completa», spiega il Centcom. L'incrociatore lanciamissili Uss Gettysburg «ha fatto fuoco per errore e ha colpito l'aereo caccia F/A-18» che era pilotato dai piloti di Marina provenienti da un'altra nave, la Uss Harry S. Truman.
    L'errore, potenzialmente letale, mette in evidenza i rischi e le insidie della missione in cui gli Stati Uniti sono coinvolti da più di un anno. I ribelli yemeniti hanno lanciato più di 200 missili e 170 droni contro Israele in 13 mesi, riferisce il Times of Israel. Secondo l'Idf (Forze di difesa israeliane), la stragrande maggioranza non ha raggiunto Israele o è stata intercettata dall'esercito e dagli alleati israeliani nella regione. Nell'ultima operazione americana in ordine di tempo, avvenuta appunto la notte scorsa, sono stati colpiti obiettivi "nemici" nella capitale Sanaa. «Le forze di Centcom hanno condotto attacchi aerei di precisione contro un impianto di stoccaggio missilistico e una struttura di comando e controllo gestita dagli Houthi», si legge in una nota del Comando.
    L'operazione condotta dai militari Usa è avvenuta in risposta, appunto, all'attacco condotto dalla formazione yemenita in cui è stata "bucata" la copertura israeliana. L'esercito israeliano ha ammesso di non essere riuscito a intercettare un missile balistico che ha colpito quello che gli Houthi hanno affermato di essere «un obiettivo militare» a Tel Aviv. Il raid, che ha causato anche il ferimento di una bambina di tre anni, sarebbe andato a segno a causa di un guasto tecnico del sistema di intercettazione dei missili Arrow. Fra.Sem. —
  4. l ministro degli Esteri turco a Damasco
    Segnali di nuovo corso politico in Siria Una donna nell'esecutivo provvisorio
    Ahmad Al-Shara rinnova la promessa di proteggere le minoranze, sottolinea il valore della coesistenza e assicura di essere già al lavoro sugli obiettivi. In un faccia a faccia a Damasco tra il ministro degli Esteri della Turchia, Hakan Fidan e il leader della nuova Siria, Al-Shara ha garantito che tutte le armi presenti nel Paese passeranno sotto il controllo dello Stato, comprese quelle detenute dalle forze a guida curda, invise ad Ankara, che ha sostenuto la sua avanzata sulla capitale siriana. A una delegazione libanese guidata dal leader druso Walid Jumblatt, Al-Shara ha assicurato che la nuova Siria - slegata da Teheran, non eserciterà più un'influenza «negativa» in Libano. Il nuovo corso politico comprende anche l'entrata in scena di una donna, Aisha al-Dibs, nominata capo dell'ufficio per gli affari delle donne nell'amministrazione provvisoria istituita dopo la caduta del regime. R.E.
  5. Anke Julie Martin L'attivista: "Le autorità lo conoscevano, ma negavano: è emersa la verità". L'allarme sui social
    "Sono stata la prima a segnalare il saudita Diceva follie, ma nessuno mi ha dato retta"
    Anke Julie Martin
    dall'inviata a magdeburgo
    Anke Julie Martin scrive da Israele e in questi giorni su X è attivissima (supponiamo che sia una femmina, perché non vuole rivelare la vera identità), dopo l'attentato di Magdeburgo. È stata lei la prima a denunciare la pericolosità di Taleb al-Abdulmohsen, l'uomo di origine saudita che ha compiuto la strage. Ci risponde da lontano con solerzia. Ci racconta i dettagli di una conoscenza solo virtuale con il presunto assassino del mercatino, con i dettagli di conversazioni che i due avevano avuto nel 2017. «L'aggressore era noto alle autorità tedesche da allora – ci spiega –. Io stessa avevo segnalato due volte alla polizia del Nordreno-Westfalia alcuni suoi tweet. Aveva accusato il servizio di assistenza ai rifugiati e aveva fatto nomi di uomini che sfruttavano la gente vulnerabile».
    Uno dei deliri diventata la ragione per cui Abdulmohsen avrebbe architettato l'attentato del mercatino di Natale: a suo dire, il comportamento delle forze dell'ordine della Germania nei confronti dei migranti ex musulmani come lui. «La polizia tedesca vuole islamizzare il Paese», diceva recentemente lo psichiatra paranoico e complottista. Ma da tempo parla di abusi e di obbligo di assumere droghe, per destabilizzare i rifugiati. «Quando ho letto i suoi tweet – racconta Anke Julie Martin – l'ho invitato ad andare a denunciare alla polizia, se era vero». Poi, però, l'utente di X ha notato in Taleb altri post strani: «In uno rivelava la presenza in Germania di un uomo arabo con background islamista. Il tweet di Taleb conteneva il nome di quest'uomo, la data, la città, l'hotel e il numero della camera d'albergo in cui si trovava. Questa persona era ricercata all'estero».
    All'epoca, altri utenti di Twitter avevano reagito a al post di Taleb in arabo, dicendo che doveva smetterla, che quel che stava facendo era scorretto. «Ho pensato di informare le autorità locali, in modo che sapessero che quell'uomo pericoloso si trova in città. Oppure, se non era vero e le informazioni contenute nei tweet di Taleb erano inventate, la polizia poteva avvertire l'hotel in anticipo, per proteggere gli ospiti».
    A queste segnalazioni, Anke Julie Martin non ha ricevuto risposta. Lei non è la sola ad aver denunciato i comportamenti strani del saudita: anche l'attivista americana-saudita Nora Abdulkarim ha raccontato di aver conosciuto Taleb mentre seguiva il rimpatrio di una donna a Riad, e lo ha descritto come «aggressivo, egocentrico, instabile». «Non è vero che non lo conoscevano», continua Anke, «chi dice questo mente. E, infatti, ora viene fuori la verità». Giudica le sue azioni come un atto dovuto: «Non ho fatto nulla di che – spiega –. Ho semplicemente preso sul serio le accuse contenute nei suoi tweet, ad esempio contro gli aiuti ai rifugiati, e le ho trasmesse alla polizia». Ha comunicato con lui sempre nel mondo digitale, «gli ho chiesto ripetutamente di contattare le forze dell'ordine. Se necessario, anche gli agenti di un'altra città, se non l'avessero preso sul serio».
    Dal 2017 e 2018 ad oggi più nulla, nessun contatto. Fino alla strage di Natale e il thread che Anke Julie Martin ha scritto sul social, riannodando i fili sulla rete che tiene in memoria tutto. Anche quegli stessi post di Taleb che ora sono all'esame degli inquirenti. l. tor.
  6. Tutti i misteri
    Falciani
    di
    ELISA SOLA
    Da Milano a Roma. Da Alassio alle Cinque terre. Nel 2024 Hervé Falciani, l'ingegnere che vive sotto copertura da quando ha rivelato i nomi di oltre 130mila evasori fiscali, è stato almeno quattro volte in Italia, prima del 7 dicembre. Negli hotel in cui ha dormito si è sempre registrato con il proprio nome. Ha mostrato il passaporto. Eppure, per quattro volte, non è mai scattato il sistema di allerta che segnala alle forze dell'ordine la presenza di un ricercato. E Falciani, destinatario di un mandato d'arresto internazionale per «spionaggio economico» emesso dalla Svizzera, non è mai stato arrestato. Ha fatto il bagno ad Alassio. Ha cenato a Roma con amici di vecchia data. Ha visitato i borghi più spettacolari del Levante. Fino al 7 dicembre, quando alle tre di notte i poliziotti di Milano hanno bussato alla stanza 508 del The corner Duomo hotel. Poche ore prima, alla reception, il whisteblower che ha sottratto dalla Hbsc migliaia di liste sui fondi neri, aveva mostrato il passaporto. Come aveva fatto nei mesi precedenti a Roma e ad Alassio. Ma, come Falciani stesso pochi giorni fa ha detto alla Corte d'appello di Milano, prima di essere liberato grazie (anche) al provvedimento del ministro della Giustizia: «Nessuno mi aveva mai fermato prima di oggi».
    Il primo mistero della «spy story» dell'esperto di finanza che collabora con i servizi di 40 Paesi è racchiuso in questa domanda. Perché nessuno in Italia, se era ricercato da anni, l'ha arrestato prima del 7 dicembre? Le ipotesi possibili non sono molte. La prima è legata al suo doppio passaporto. Su quello francese il nome è scritto completo: Hervé Daniel Marcel Falciani. Su quello italiano compare solo il primo nome, senza accento. Forse, il sistema di allerta scatta soltanto se viene inserito il nome completo accentato. E in effetti l'esperto di finanza, il 7 dicembre, ha mostrato il documento francese. Una seconda spiegazione potrebbe essere legata a eventuali, ma ben più improbabili, problemi tecnici di connessione degli hotel in cui ha soggiornato prima di dicembre, che avrebbero reso impossibile l'allerta. La terza tesi è che qualcuno - legato alle intelligence - abbia deciso di fare scattare l'allarme Falciani in Italia soltanto adesso. Perché il contesto storico e geopolitico sarebbe favorevole soltanto ora a una sua eventuale nuova collaborazione con il governo italiano. «Sono a disposizione e chiedo protezione», ha ribadito Falciani ai giudici, a fianco del suo avvocato difensore Giorgio Bertolotti. Ma sul contenuto delle informazioni rilevanti che intenderebbe comunicare, mantiene un riserbo assoluto.
    Così come erano coperte dal segreto totale le celebri liste che Falciani aveva consegnato alla procura di Torino nel 2010. C'erano i nomi di settemila evasori fiscali. Il procuratore dell'epoca, Gian Carlo Caselli, con l'aggiunto Alberto Perduca, aveva fatto stampare tutto. L'operazione era durata una settimana. Le indagini si erano arenate perché le autorità svizzere non collaborarono. Anche la loro fine costituisce un mistero. Perché non è mai trapelato nulla dal Palazzo di Giustizia. In ogni caso «le liste Falciani», in Europa, sono state utili per rintracciare molti evasori e per recuperare tesoretti anche milionari.
    Tornando ad oggi. Falciani sostiene di possedere informazioni importanti per il nostro governo. Potrebbe trattarsi di liste nuove. Quelle che ha consegnato finora nel mondo, dopo averle sottratte alla Hsbc dal 2008 in avanti, «sono solo una minima parte di quelle che aveva», fa sapere una fonte autorevole. «Lui non ha mai consegnato tutti i file, li ha dosati selezionandoli di volta in volta».
    C'è un filo rosso che collega il valore potenziale delle notizie che l'ingegnere informatico possiederebbe alla vita sotto copertura che conduce. Falciani è ricercato da molti evasori che ha fatto stanare e che cercano vendetta. Nessuno lo ha mai trovato perché è protetto dai servizi. Non di un unico Paese, ma di molti. Da 15 anni vive in località segrete, spostandosi da un luogo all'altro. Protetto. All'anagrafe, la sua residenza figura a Beausoleil, circoscrizione di Nizza. Poco distante da Montecarlo, il luogo dove è nato. «Viaggio spesso, amo l'Italia e la sua dolce vita», ha detto Falciani. Gode della dolce vita con il rigido protocollo di sicurezza che regola la sua vita. Ma non ne parla. Ai giudici milanesi ha detto: «Ho lavorato nel campo delle investigazioni scientifiche e nella lotta al terrorismo». È un uomo misterioso. Dice di non sapere perché, dopo quattro visite in Italia, le manette siano scattate solo il 7 dicembre. Quando glielo abbiamo chiesto, ha risposto: «Sarà la forza del destino», alludendo all'opera di Verdi che ama. Ha sorriso. Dopo un po', ha aggiunto: «Ci sono cose importantissime da riformare oggi nel mondo dei servizi». Questa volta con un'espressione seria. —
  7. POTEVANO EVITARLO NON LO HANNO FATTO PERCHE' NON ERA ROBA LORO: Ladri di orologi d'epoca e microscopi storici triplice assalto all'ex Manifattura Tabacchi
    Piero Bianucci
    caterina stamin
    Due furti in un solo mese. Il primo a fine novembre: i ladri hanno forzato le porte e fatto razzia di rame, ferro e acciaio. Cose di poco conto rispetto al bottino del secondo furto: un intero laboratorio di orologeria, saccheggiato a metà dicembre. Pezzi unici, secoli di storia spariti nel nulla.
    Sono più di diecimila gli oggetti custoditi dall'Archivio Scientifico e Tecnologico dell'Università di Torino (Astut), e 1. 500, di particolare valore, risultano già studiati e schedati. Strumenti scientifici, prototipi di laboratorio, attrezzature sanitarie, elettrodomestici d'epoca: accolti nei 34 mila metri quadrati della ex Manifattura Tabacchi, in corso Regio Parco 142, questi materiali documentano la scienza e le sue applicazioni dalla fine del Settecento ad oggi. Ma negli ultimi otto mesi il patrimonio dell'Astut ha subito atti di vandalismo. Già il 5 aprile i carabinieri avevano registrato una prima denuncia per effrazione e furto in un magazzino. Poi, a fine novembre, una seconda per danneggiamento dell'impianto elettrico, sottrazione di cavi di rame, con conseguente disattivazione dell'allarme, e furto di materiali museali. Pochi giorni fa, a metà dicembre, un'altra denuncia ancora, la più pesante: chi è entrato nell'ex Manifattura ha divelto le sbarre di ferro e rotto i vetri dei portoni, portando via diversi pezzi delle collezioni storiche di orologeria e oculistica. «È sparito un intero laboratorio di orologeria, apparecchi e strumenti come torni, frese, dentatrici – spiega l'ex direttore Marco Galloni– Avremmo potuto fare delle mostre eccezionali sull'orologeria antica, adesso non più».
    Diretto oggi da Enrico Pasini, professore di Storia della filosofia e della scienza all'Università di Torino, l'Astut negli anni ha organizzato varie mostre e allestito un percorso per le scuole e il pubblico. Poi la scoperta di amianto negli edifici ha bloccato tutto: la struttura è stata chiusa al pubblico e al personale, ogni accesso all'ex Manifattura è stato proibito per le precarie condizioni di sicurezza della struttura. «Sono ventiquattro anni che queste collezioni sono lì dentro e non abbiamo mai subito furti di questo genere – prosegue Galloni – Per mesi, visto l'abbandono totale della struttura, nessuno è più potuto entrare. Eccetto i ladri che hanno neutralizzato l'allarme, aperto le porte e rubato tutto». Il valore del bottino? «Migliaia di euro, oltre all'immensa ricchezza storica e culturale».
    L'Ateneo comunica che anche durante le vacanze di Natale si lavorerà per mettere in sicurezza l'immenso patrimonio museale dell'Astut. Verranno murate alcune porte e incentivati ulteriori atti di vandalismo. Poi, per gli oggetti custoditi nell'ex Manifattura – tra cui il primo rudimentale simulatore di volo, la sala operatoria di Achille Mario Dogliotti e lo scafandro metallico di Angelo Mosso – già nei prossimi mesi inizierà il trasferimento. L'intero patrimonio verrà custodito nei tre piani interrati dell'ex stabilimento de La Stampa in via Marenco. E lì inizierà la sua nuova vita.

 

 

 

 

 

 

21.12.24
  1. La replica di israele: "atroce è farsi scudo dell'infanzia"
    Il Papa: "Bombardati i bambini a Gaza"
    Papa Francesco torna a condannare gli attacchi aerei israeliani a Gaza. «Ieri sono stati bombardati dei bambini», ha denunciato il Pontefice, sempre più esplicito nel condannare la campagna militare di Israele contro Hamas, in apertura del suo discorso di Natale ai cardinali in Vaticano. Attacchi, quelli di venerdì, che secondo le fonti mediche nella Striscia hanno ucciso almeno 25 palestinesi, tra cui sette bambini, nel campo profughi di Nuseirat e nella città di Jabalia. «Questa è crudeltà. Questa non è guerra. Volevo dirlo perché tocca il cuore». Lo Stato ebraico va al contrattacco sul Vaticano: «Crudeltà è che i terroristi si facciano scudo dietro i bambini», risponde il ministero degli Esteri di Gerusalemme con un post su X indirizzato direttamente a Francesco. «Crudeltà - continua - è tenere in ostaggio 100 persone, tra cui un neonato e bambini, per 442 giorni e abusare di loro». Israele ritiene le dichiarazioni del Papa «particolarmente deludenti, in quanto sono slegate dal contesto reale e fattuale della lotta di Israele contro il terrorismo jihadista, una guerra su più fronti a cui è stato costretto a partire dal 7 ottobre». Il Papa ha anche accusato le autorità israeliane di non avere consentito al Patriarca di Gerusalemme, il cardinale Pierluigi Pizzaballa, di entrare a Gaza, nonostante gliel'avessero «promesso»
  2. Il fantasma
    armi chimiche
    Francesca Mannocchi
    Zamalka
    La notte del 21 agosto 2013 Belal Hussein era in casa con i suoi figli e sua moglie, a Zamalka, periferia di Damasco, quando razzi pieni di gas Sarin hanno colpito il quartiere.
    Ha preso i suoi figli, li ha avvolti nelle coperte e li ha portati ai piani più alti insieme a sua moglie. Aveva capito che non fosse un attacco come gli altri, e sapeva che le sostanze chimiche sono più pesanti dell'aria, così - prima di prestare aiuto a chi si era nascosto negli scantinati - ha salvato la sua famiglia, portandola all'ultimo piano dell'edificio in cui vivevano.
    Poi ha messo un asciugamano bagnato sul viso ed è sceso prima in strada, poi nei seminterrati dove il quartiere cercava riparo dalle bombe.
    Nell'attacco di quella notte, Belal Hussein ha perso sua madre, suo padre e il fratello minore coi suoi due figli più piccoli. Quando racconta dei bambini con le convulsioni e la bava alla bocca, le sue mascelle si irrigidiscono. Oggi parla seduto su una sedia di plastica all'esterno di casa sua, o meglio di ciò che ne resta. La prospettiva dell'intero quartiere è lugubre. Non c'è un singolo edificio che non porti i segni dei bombardamenti. Ciononostante, da quando i gruppi ribelli guidati da Hayat Tharir Al-Sham (Hts), hanno lanciato l'offensiva che in 12 giorni ha deposto cinquant'anni di regime di Assad padre e figlio, molte famiglie stanno tornado a casa. Ricorda che hanno cercato di portare le persone negli ospedali sotterranei e ricorda che morivano anche medici e infermieri. Che, negli scantinati, il giorno dopo non hanno trovato solo chi si era andato a nascondere ma anche chi, in un tentativo disperato, era sceso in cerca dei propri cari per metterli in salvo e aveva trovato la morte.
    Il regime di Assad e gli attacchi chimici
    La Ghouta, area alle porte di Damasco, era stata un focolaio di dissenso durante i giorni delle proteste di piazza in Siria nel 2011, tanto che nel 2012 l'area era quasi interamente controllata dalle forze di opposizione. Poi, all'inizio del 2013, Assad ha circondato le zone in mano ai ribelli, imponendo un assedio totale e tagliando fuori cibo, gas e comunicazioni alle circa 400.000 persone intrappolate all'interno.
    Alla fine di agosto del 2013, la regione di Ghouta è stata colpita con missili contenenti Sarin, un mortale gas nervino. Le organizzazioni umanitarie e i team medici sul campo hanno stimato un bilancio di circa 1400 vittime, più della metà donne e bambini. Il regime siriano ha sempre negato di aver utilizzato armi chimiche, e la Russia - che per anni è stato il principale alleato di Assad - ha sostenuto che l'attacco fosse stato messo in atto dalle forze di opposizione e ha ripetutamente utilizzato il suo veto come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per ritardare o bloccare le indagini o istituire un tribunale penale internazionale speciale per la Siria. Gli specialisti sul luogo, però, affermarono che i sistemi missilistici coinvolti nell'attacco fossero nell'arsenale dell'esercito siriano. Tuttavia, benché il regime di Bashar Al-Assad sia ampiamente ritenuto responsabile dell'attacco, il crimine resta a oggi ancora impunito. Dopo l'attacco alla Ghouta gli Stati Uniti minacciarono rappresaglie, per l'allora presidente Barack Obama l'uso delle armi chimiche avrebbe dovuto essere la "linea rossa" per passare all'intervento in guerra di Washington. Però né l'opinione pubblica americana, né il Congresso, mostrarono sostegno per una nuova guerra e così Obama si accontentò di un accordo: Assad avrebbe rinunciato e distrutto le scorte di armi chimiche, e gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti in guerra. Così nel 2013 il regime ha firmato la Convenzione sulle armi chimiche che vieta queste armi e sotto la supervisione dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l'organizzazione internazionale incaricata di implementare questo trattato, ha distrutto la sua scorta (almeno quella dichiarata) di armi chimiche, che includeva 1.300 tonnellate di armi chimiche e ingredienti.
    Ma, sebbene la Siria affermi di aver eliminato il suo arsenale chimico ai sensi di quell'accordo, una ricerca del Global Public Policy Institute con sede a Berlino ha rilevato 336 attacchi chimici distintivi durante il conflitto, il 98 percento dei quali può essere attribuito al regime di Assad e secondo Human Rights Watch, ci sono stati almeno 85 attacchi con armi chimiche registrati tra il 2013 e il 2018, anni in cui l'esercito siriano ha iniziato a utilizzare un nuovo tipo di arma chimica, le barrel bombs di cloro, come parte della campagna contro l'opposizione.
    Nel 2018, la città di Douma, l'ultima enclave ribelle nella Ghouta orientale, è stata il luogo di un altro mortale attacco chimico: un elicottero dell'aeronautica militare siriana ha sganciato due bombole gialle su un paio di edifici residenziali, rilasciando gas di cloro. Sono morte soffocate almeno 40 persone.L'attacco mise fine all'assedio, il gruppo ribelle di Jaish Al-Islam, che allora controllava l'area si arrese il giorno dopo.Centomila persone furono sfollate forzatamente a Nord, a Idlib.
    I residenti che oggi stanno tornando a casa ricordano che quando, pochi giorni dopo, il regime permise agli investigatori dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di accedere al sito dell'attacco, agli abitanti fu imposto di dire che i loro vicini e parenti erano morti per aver inalato «fumo e polvere, non sostanze chimiche». Se avessero detto la verità, sarebbero stati puniti, o uccisi. A conferma di quanto racconta la gente a Douma oggi, una delle conclusioni del rapporto Opcw del 2019 su Douma afferma: «Alcuni testimoni hanno affermato che molte persone sono morte in ospedale il 7 aprile a causa dei pesanti bombardamenti e/o soffocamento dovuto all'inalazione di fumo e polvere». Delle armi chimiche, nelle parole della gente, non c'era traccia.
    L'arsenale dopo la caduta del regime
    Dopo il crollo del regime di Assad l'urgenza è localizzare e mettere in sicurezza le scorte di armi chimiche. Il leader ribelle siriano, Ahmad Al-Sharaa mercoledì scorso ha dichiarato a Reuters che il suo gruppo Hts avrebbe lavorato con la comunità internazionale per proteggere potenziali siti di armi chimiche.
    Come scrive Gregory D. Koblentz, direttore del Biodefense Graduate Program presso la George Mason University «la cooperazione di Damasco con l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche è stata limitata. Il regime ha negato l'accesso ad alcuni dei suoi membri del personale, si è rifiutato di rivelare la vera portata della sua ricerca, produzione e test sulle armi chimiche. Damasco non ha mai reso conto del destino di 360 tonnellate di iprite (abbastanza per riempire migliaia di proiettili di artiglieria) che afferma di aver distrutto all'inizio della guerra civile. E i sospetti che la Siria avesse trattenuto armi chimiche non dichiarate sono stati confermati nell'aprile 2017, quando l'aeronautica militare ha lanciato un attacco con gas Sarin a Khan Shaykhun, una città controllata dai ribelli nel Nord-Ovest del paese, uccidendo quasi 100 civili, tra cui 33 bambini».
    Secondo l'ultimo rapporto dell'organizzazione, pubblicato a fine novembre, «grandi quantità di agenti e munizioni per la guerra chimica» del regime di Assad rimangono disperse.
    Nel corso di una riunione di emergenza del consiglio esecutivo dell'Opcw, pochi giorni fa, il direttore generale, l'ambasciatore Fernando Arias, ha espresso preoccupazione per il fatto che la Siria potrebbe ora avere armi chimiche che «includono non solo elementi residui ma anche potenziali nuovi componenti di un programma di armi chimiche».
    «La situazione politica e di sicurezza nel Paese rimane instabile - ha detto - e le preoccupazioni includono non solo elementi residui ma anche potenziali nuovi componenti di un programma di armi chimiche e anche il programma del cloro».
    È il tramonto quando alcuni camion si fermano davanti allo spiazzo di Belal Hussein. Sono i suoi vicini, hanno caricato tutto quello che avevano nelle tende o nelle abitazioni di fortuna dove hanno vissuto negli ultimi anni, e sono tornati a casa. Anche se le case non ci sono più. Sopravvissuti come lui ai bombardamenti e agli attacchi chimici, e come lui, nei giorni successivi, costretti a tacere o mentire alle squadre investigative che indagavano sull'attacco. Il figlio più piccolo di Belal Hussein siede accanto al padre, mentre racconta di come lui e gli altri uomini di Zamalka hanno accatastato i corpi, degli animali - morti soffocati anche loro - e dei bambini nati morti, mesi dopo l'attacco. E di come per giorni non hanno dormito temendo di aver seppellito qualcuno ancora vivo, insieme ai cadaveri. Non dice una parola e non mostra un'emozione. Ha undici anni, è nato dopo l'inizio delle proteste. Conosce solo guerra e sfollamento. Non ha mai avuto una casa che avesse tutte le pareti intatte.
  3. Carissimo
    Giubileo
    Roscioli (Federalberghi)
    PAOLO BARONI
    ROMA
    Un caffè a 4 euro, come una bottiglietta d'acqua. «Una speculazione» inaccettabile hanno denunciato già a metà novembre Cgil e Uil di Roma scrivendo al sindaco Gualtieri per segnalare il «comportamento opportunistico di molti operatori» che nelle zone turistiche della Capitale, in vista del Giubileo, avevano applicato rincari del 300%. Le associazioni dei pubblici esercizi hanno risposto piccate smentendo queste cifre, ma intanto il sasso è stato lanciato.
    A Roma inflazione record
    Il problema è che questi rincari, secondo i due sindacati, non solo colpiscono molti visitatori ma anche chi vive, lavora o studia a Roma spingendoli sia a ridurre i propri consumi che a vedere il proprio potere d'acquisto ridotto. Ed in effetti, secondo l'analisi dell'Unione consumatori a novembre, Roma dopo Bolzano risultava la seconda più cara d'Italia con un'inflazione del 2% contro una media nazionale dell'1,3% ed un aumento delle spesa media annua nell'ordine di 518 euro a famiglia.
    Alberghi e B&b
    L'aumento dei prezzi è un incubo che ormai da settimane tormenta la Capitale. Aumenta, o rischia di aumentare, un po' tutto, dai pubblici esercizi, ai taxi, dai musei ad alberghi e B&b, sino ai prezzi delle case.
    Secondo le stime di Assoutenti, per effetto dell'aumento della domanda, i prezzi minimi di una notte in albergo aumenteranno del 51% mentre i B&b rincareranno del 27%. Tanto per fare un esempio: già a fine novembre il costo di una notte in albergo in camera doppia in Zona Vaticano-Prati oscillava da 92 a 605 euro, da 85 a 372 euro il prezzo di un B&b, mentre per un appartamento andava messo in conto una spesa compresa tra 106 e 840 euro. Volendo prenotare il 28 marzo la stessa tipologia di camera per Assoutenti il prezzo di una notte in hotel lievita a 139-858 euro, il B&b a 108-1.202 euro mentre l'appartamento può arrivare anche a 1.912 euro.
    «Escludo fenomeni di speculazione. Certo, in base al principio della domanda e dell'offerta, in occasione degli 8-9 appuntamenti più importanti ci saranno delle concentrazioni di clientela e lì ci saranno degli aumenti dei prezzi - spiega il presidente di Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli -. Ma ad esempio in questi giorni i prezzi delle camere sono leggermente più bassi di quelli dell'anno passato e in generale sono più bassi di quelli di Milano, Parigi e di tutte le altre grandi capitali». Per il 2025 Roscioli prevede lo stesso numero di presenze di quest'anno, attorno ai 50 milioni, ma siccome «ci sarà una "sostituzione" di turisti, mancherà cioè la clientela altospendente, il settore dovrà certamente mettere in conto un calo del fatturato».
    Bar e pizzerie
    Sperando che i 4 euro dell'espresso siano un caso limite secondo Assoutenti anche i listini di bar, pizzerie, fast food e ristoranti sono dati in metto aumento. Stando alle previsioni il caffè da 1 euro e 10 potrebbe salire di 10 centesimi segnando un aumento del 9%, +12,8% per il cappuccino che passa da una media 1,33 euro a 1,50, e ancora + 13,8% il panino al bar (4 euro e 20), +10,9% un pasto al fast food (10,25) e +14,9% un pasto in pizzeria che da una media di 10,88 euro sala a 12,50.
    Ristoranti nel mirino
    Per arginare i rincari l'Associazione Consumerismo ha lanciato la proposta di un «patto della carbonara», ovvero di un «accordo volontario tra gli esercenti della ristorazione ed i consumatori» recepito tra l'altro con voto bipartisan dall'assemblea capitolina, che impegna gli esercenti a praticare la sua offerta secondo il concetto del «giusto profitto» e, ad esempio, a fissare a 12 euro il prezzo di una pasta alla carbonara, ovvero uno dei piatti simbolo di Roma, che oggi viene proposto anche a 14-19 euro.
    Musei, bus e taxi
    Con la scusa dell'aumento dell'affluenza e dei relativi costi anche l'amministrazione di Roma, a sua volta, ha approvato una serie di aumenti che interessano trasporti e servizi turistici. E così il prezzo della versione da 72 ore del «Romapass», che consente di accedere a musei e mezzi pubblici, è passato da 52 a 58 euro e 50 e quello da 48 ore da 32 euro è passato a 36,50. Il costo dei permessi Ztl per i bus turistici è stato invece triplicato per disincentivare l'assalto al centro e più cari sono diventati anche i taxi con l'introduzione di una quota minima di 9 euro e ritocchi ai prezzi a tariffa fissa verso gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino ed il porto di Civitavecchia. Sventato invece, grazie ai fondi della Regione Lazio, il rincaro a 2 euro della corsa singola su bus e metropolitane dell'Atac, ad aumentare saranno solo il biglietto quotidiani e quello settimanale.
    Mattone…d'oro
    Molto pesante l'effetto Giubileo anche sul mercato immobiliare. Gli esperti del settore parlano di «effetti nefasti» prodotti dalla calata dei 30-35 milioni di visitatori previsti per l'ocasione. In particolare nelle zone vicine al Vaticano i prezzi al metro quadro segnano aumenti a due cifre, disponibilità zero invece per gli affitti a lungo termine perché i proprietari in questa fase guadagnano di più con le locazioni brevi. Secondo il sito Idealista.it i prezzi di vendita delle case in centro a Roma quest'anno sono cresciuti del 10,2% arrivando anche a toccare i 7 mila ero al metro quadro. In zona Vaticano il quartiere Prati fa segnare n +8,8% ( e 5.802 euro di media al metro quadro), +6,7% l'Aurelio a quota 3.712 euro. In parallelo anche lo stock delle case in vendita è diminuito in maniera significativa: -18,5 in centro, -13,1 Aurelio e -11,4 Prati, aggravando così l'emergenza casa in atto già da tempo nella capitale. —
  4. Ha detto
    L'opera
    "Aiuto gli Stati a stanare i grandi evasori Vorrei incontrare Nordio per collaborare"
    Le radici
    "
    Hervé Falciani
    Su La Stampa
    La collaborazione
    elisa sola
    «Lavoro con le pubbliche amministrazioni, i servizi e le intelligence da tanti anni. Sono esposto. Lotto contro l'opacità del sistema bancario per stanare gli evasori fiscali. All'Italia chiedo protezione». Dopo l'arresto avvenuto a Milano su mandato della Svizzera e la scarcerazione ottenuta su disposizione del ministero della Giustizia italiano, Hervé Falciani, che ha rivelato i nomi di 130 mila correntisti di Hsbc Private Bank di Ginevra sospettati di evasione, si racconta. Lo fa in video collegamento da una località segreta. Compare in dolce vita nera sullo schermo del pc del suo legale di fiducia, l'avvocato Giorgio Bertolotti, che con il collega Riccardo Magarelli assiste l'ingegnere informatico italo-francese.
    Falciani, come sta?
    «Sto come sempre. Centrato sugli obiettivi di vita da oltre vent'anni. Ormai io, i miei familiari e amici siamo consapevoli che possono succedere cose come l'arresto di Milano. Fanno parte del cammino».
    Si aspettava di essere arrestato?
    «Vivo sapendo che può accadere. Non solo in Italia Perché c'è l'Interpol e perché siamo in un contesto di lawfare, di uso della legge come arma di conflitto. Un elemento fondamentale della guerra economica. Ma io continuo a collaborare».
    Che lavoro fa?
    «Varie cose. Gestisco il mio patrimonio familiare. Ma l'attività che mi piace di più è la collaborazione con la pubbliche amministrazioni per capire meglio il ruolo e come si possa gestire il rientro dell'off shore».
    Ed è un lavoro pagato?
    «Anche. Ma non è quello che mi ha fatto ricco. Tutto ciò che ho fatto con le pubbliche amministrazioni, l'ho fatto quasi del tutto in maniera gratuita. Per me è una fortuna poterlo fare. Ma certo, comporta tanti rischi».
    Lei si definisce ricco?
    «Ho sufficienti mezzi per dedicarmi alla lotta contro l'evasione anche senza guadagnare».
    Dopo l'arresto di Milano, è tornato libero grazie al ministero della Giustizia. Cosa ne pensa?
    «Finora la giustizia mi ha sempre protetto. Quello che c'è di nuovo oggi è che esiste una consapevolezza politica e identitaria. Nel provvedimento del ministro si fa riferimento alla mia cittadinanza, che è anche italiana. Ho subito dalla Svizzera una condanna per spionaggio economico. Una condanna politica. È importante che la politica italiana prenda una decisione. Ma non solo su di me».
    In che senso?
    «In un contesto di guerre ibride economiche, qualsiasi persona che fa il whistleblower come me dovrebbe essere accolta e protetta, al di là della cittadinanza».
    Lei si sente italiano?
    «Certamente. Sono nato a Monte Carlo, dove ci sono più italiani che francesi. Mi sento italiano per cittadinanza, ma soprattutto per cultura. E per la dolce vita».
    Cosa intende per dolce vita?
    «Il valore sociale delle relazioni. Quello che rappresenta di più l'Italia è la vita sociale. E per me la socialità ha un valore prioritario».
    Ha degli amici in Italia?
    «Sì. Vivo la dolce vita con loro. Ma da vent'anni ho una vita semplice».
    Qual è la sua giornata tipo?
    «La mattina passo due o tre ore a leggere e studiare. Poi gestisco gli affari familiari e faccio in video collegamento riunioni di lavoro con agenzie che lottano contro la frode e la corruzione».
    Nessuno svago?
    «Faccio sport. Amo l'opera. Nei giorni scorsi ero a Milano per vedere la prima della Scala. La forza del destino di Verdi. Mi hanno arrestato la sera prima. L'opera l'hanno trasmessa in carcere, alla tv».
    Come ha passato la sua prima notte in cella?
    «Ho fatto amicizia con il mio compagno. Gli hanno portato un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Me ne ha dato metà».
    Lei ha detto ai giudici che è pronto a collaborare con l'Italia. Cosa vuol dire, in concreto?
    «Non c'è niente di più concreto di quello che mi è successo. Informare in modo corretto è l'azione più forte che esista».
    Adesso lei resterà in Italia?
    «Sì. Era già previsto. Per motivi familiari, di lavoro e di affari. Vorrei tornare a Milano, ma non vorrei mai che alla tre della notte, quando sono in hotel, vengano a cercarmi». (Sorride).
    Lei ha detto di essere stato in Italia molte volte nel 2024. Come è possibile che non l'abbiano mai arrestata prima del 7 dicembre?
    «Parlavamo di Verdi. Sarà la forza del destino». (Sorride di nuovo).
    Con chi vorrebbe parlare della sua volontà di collaborare?
    «Con il ministro Nordio».
    E cosa gli direbbe?
    «Credo di potere dare una mano all'Italia. Il mio passato e la mia esperienza lo dimostrano». —

 

 

21.12.24
  1. Falciani arrestato, Nordio lo fa liberare
    Hervé Falciani, l'ex informatico della filiale di Ginevra della banca Hsbc noto per avere svelato i dati di centinaia di migliaia di evasori fiscali consegnandoli alle procure di 40 Paesi, è stato arrestato a Milano il 7 dicembre. Le manette sono scattate su esecuzione di un mandato d'arresto internazionale emesso dalla Confederazione elvetica per «servizio di intelligence economico aggravato». Un reato che in Italia non esiste ma che è punito severamente in Svizzera. Si tratta, in sostanza, di "spionaggio economico". Falciani era a Milano in vacanza con la moglie. Dopo dieci notti passate in una cella nel carcere di San Vittore, il noto whistleblower – che vive sotto protezione e in località segrete per motivi di sicurezza – è stato scarcerato, il 17 dicembre, e sottoposto ai domiciliari, come stabilito dalla Corte d'appello di Milano.
    I giudici hanno accolto la richiesta dei difensori italiani di Falciani, gli avvocati Giorgio Bertolotti e Riccardo Magarelli, che ai giudici hanno spiegato, in sintesi: «Falciani in Italia ha legami affettivi e un domicilio». La Corte ha accolto la tesi difensiva considerando, tra l'altro, che nel suo caso il pericolo di fuga non esisterebbe. Falciani non si è mai nascosto. È arrivato in hotel a Milano, si è registrato con il suo nome vero. Ha dato alla polizia il suo cellulare quando lo hanno fermato. Tra l'altro nel 2024 l'ex informatico, che è un informatore delle intelligence di tutto il mondo, è stato in Italia quattro o cinque volte, senza celarsi dietro a un'identità fittizia. E nessuno lo aveva mai fermato prima di due settimane fa. I motivi sono ignoti.
    Il 18 dicembre, 24 ore dopo l'ordinanza di scarcerazione della Corte d'appello (presidente Francesca Vitale, consigliere estensore Ilaria De Magistris), Falciani è tornato definitivamente libero. In un tempo record la misura dei domiciliari è stata revocata dopo che la direzione generale Affari internazionali del ministero della Giustizia italiano ha disposto che nessuna misura cautelare sarà eseguita o mantenuta nei confronti di Falciani. Nemmeno il divieto di espatrio. L'atto del ministero è stato mandato anche alla Corte d'appello di Milano. La motivazione è in una pagina e mezza. Il punto chiave in tre righe: «Considerata la nazionalità francese e italiana, l'Italia potrebbe, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea di estradizione, rifiutare l'estradizione essendo Falciani suo cittadino». Falciani è anche italiano. E dunque, ora, è un uomo libero. e. sol. —
  2. Gli agenti delle volanti hanno bussato alla stanza di Hervé Falciani alle 19 e 30 del 6 dicembre. Era nella camera 508 dell'hotel The corner Duomo di Milano. Al quinto piano. «C'è un mandato d'arresto europeo a suo carico. È stato emesso il 3 maggio 2017. Ci segua in questura». Falciani è rimasto sereno, hanno detto di lui. Poche ore dopo, l'ex informatico che da anni collabora con i servizi segreti contro gli evasori e i fondi neri entrava in una cella del San Vittore. Ha dormito lì per dieci notti. «Mi hanno trattato benissimo», ha confidato ai suoi avvocati Giorgio Bertolotti e Riccardo Magarelli. E ha aggiunto: «Sono tranquillo. Mi aspettavo l'arresto. In fondo forse volevo essere arrestato. Sono pronto a collaborare con il governo italiano».
    Falciani era stato arrestato in Spagna nel 2018 e poi liberato. L'estradizione lì era stata rifiutata. «Vedo l'arresto in Italia come una opportunità», ha detto Falciani in sala colloqui a Bertolotti dopo le prime 48 ore di carcere . «È un'opportunità questo arresto anche per l'Italia. Perché adesso può prendere una posizione. Su di me, e sul tema dell'evasione fiscale. La Spagna lo ha già fatto».
    Poche ore dopo quel colloquio, davanti alla Corte d'appello Falciani ha parlato per quattro ore. Ha risposto alle seguenti domande: «Come si chiama?». «Che lavoro fa?». E Falciani, rispondendo, ha spiegato cosa si aspetta dal nostro Paese. L'udienza si chiama « di individuazione». Per Falciani c'è stata due giorni dopo l'arresto. La procedura prevede che debba svolgersi entro i primi cinque. Alla domanda «Acconsente all'estradizione?», il whistleblower ha risposto: «No». E ha spiegato i suoi motivi: «Collaboro con 40 paesi nel mondo. Non voglio scappare dall'Italia. Voglio collaborare anche qui. Credo di avere una responsabilità pubblica sul tema della lotta contro l'evasione fiscale, l'opacità bancaria e a quello della difesa dei whistleblowers». «Aggiungo che – ha aggiunto - essendo possibile che la notizia del mio arresto abbia una risonanza mediatica importante, sono disponibile a incontrare un rappresentante del ministero della Giustizia prima di rilasciare tramite i miei difensori dichiarazioni pubbliche. Il tutto in un'ottica collaborativa».
    L'ex informatico ha ricordato di avere messo a disposizione elenchi di presunti evasori fiscali, consegnando decine di faldoni alla procura di Torino, 15 anni fa, quando era guidata da Gian Carlo Caselli e dall'aggiunto Alberto Perduca. C'era il sospetto che nell'elenco ci fossero i nomi di colletti bianchi collusi con la criminalità organizzata. Falciani ha raccontato anche questo, ai giudici, pochi giorni fa. «Sto combattendo da anni perché si possano contrastare i metodi e l'opacità del sistema bancario svizzero, che mantiene segreti contrari agli interessi nazionali di altri Stati. So che c'è un mandato d'arresto internazionale contro di me. Ma io ero disposto a essere arrestato. Dal 2012 sono entrato in Italia centinaia di volte. Non mi sono mai nascosto. Ho collaborato coi servizi di intelligence mondiali sui segreti bancari svizzeri. Non voglio danneggiare gli interessi italiani. Ma aiutare».
    È un'udienza decisiva. Un'ora dopo i difensori chiedono che l'ingegnere informatico italo francese venga scarcerato.
    «È un'opportunità per il governo italiano e l'autorità giudiziaria italiana dimostrare di volere proteggere i whister blowers», l'ultimo appello di Falciani alla Corte. «Vorrei che anche in Italia, che considero anche il mio Paese, venisse riconosciuta protezione a me e a chi come me potrà farlo in seguito. Rifiutare la mia estradizione da parte dell'Italia significherebbe affermare che anche qui, come in Francia, in Spagna e negli Stati Uniti, si tutela la prevalenza dell'interesse nazionale e il valore di chi, mettendo in pericolo se stesso, intende tutelarlo dal sistema svizzero».
    Poche ore dopo l'udienza arriva il primo punto a favore di Falciani. Dal carcere passa ai domiciliari. La Corte d'appello accoglie la richiesta di scarcerazione accogliendo la richiesta difensiva: «Non vuole scappare, una parte della sua famiglia vive qui». Nell'ordinanza di scarcerazione del 12 dicembre, compare, il primo, esplicito riferimento al ministero della Giustizia che, sei giorni dopo, stabilirà che l'informatico debba essere libero del tutto, senza alcun divieto di espatrio. I giudici scrivono che il ministero della Giustizia «ha chiesto con urgenza informazioni e documenti al ministro dell'Interno circa le procedure di estradizione avviate in Spagna e Francia il 12 dicembre». Ribadendo, infine, il punto cruciale : «Falciani in Italia non si è mai nascosto». Nemmeno il 6 dicembre. Al The Corner hotel Duomo di Milano si è registrato con il suo nome. Era quasi sera. All'addetto al ricevimento ha detto: «Buonasera, sono Hervé Falciani. Camera 508 per favore». —
  3. Anas non ci ha dato nessun programma
    Egregio Direttore,
    Le scrivo questa lettera, che vorrei fosse pubblicata in seguito all'articolo dal titolo «Ora è ufficiale: il Tenda bis non aprirà a dicembre 2024» pubblicato il 16 dicembre 2024, riguardante la riunione della Commissione intergovernativa italo– francese (CIG) tenutasi lo stesso giorno e che ha trattato anche del tunnel stradale del Colle di Tenda.
    In effetti, in particolare il commento presente nel vostro articolo secondo il quale «l'Anas era pronta ad aprire la nuova galleria... ma si è trovata davanti al "no" dei Francesi» non rispecchia a