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Mb
Dal Vangelo secondo Luca Lc
21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
La gangster
che si fece
suora
pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna
gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che
ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha
data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della
famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori».
Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per
tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di
demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore.
Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una
volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la
sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo
questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una
pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via
Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo,
aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che
levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita
senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come
faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta»,
disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si
fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era
scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa
della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna
inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la
chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e
coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei
punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura.
Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente,
simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il
suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla». Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo,
mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in
carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a
Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa,
sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica
cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a
farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io
mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo
detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non
avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare
la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata
come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era
stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di
Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena
una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta.
Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in
carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno
sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel
circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un
gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre,
Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli
studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella
prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A
sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della
mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra
spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la
compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda
Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle
strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li
chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In
quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore
ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica,
la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei
rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...»,
ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era
uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà,
quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e
nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti
di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio
dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina,
ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto
combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte
violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti
le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate
sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta
comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della
disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei
sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui
e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime
perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti
senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era
partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano
a perdere.
TO.11.07.24
Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura
assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali
E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho
imparato l’ economia industriale dal prof Goss Pietro.
Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con
Gianni Agnelli.
L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia
esperienza formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la
laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a
cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per
riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino.
Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame
da dottore Commercialista che poi supero a Roma.
A 30 anni proposi a Gianni Agnelli superFIAT, LA FUSIONE IFI
FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri ,
con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo,
ma Morchio si oppose .
Muoiono Edoardo Agnelli Gianni Agnelli e Umberto Agnelli
, Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne
che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a Yaky la
sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la
produzione negli stabilimenti italiani.
A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio
PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito
www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA
programmando il più importante stabilimento europeo di
elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da SNAM dopo che se
ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene
convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che
fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la
produzione delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte
, che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono
visioni strategiche.
Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO
ispirando l’art.11 fascista
del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la
democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che
forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura
democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del
paese che avete illustrato ?
Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento
regionale e nazionale ?
Qual’e’ il fine ? il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni
fa Grande Stevens ?
La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee
Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse , sono stato
aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla
vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il
Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete
d’accordo ?
Mb
Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che
mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :
soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
amava la boxe
quando aveva una influenza si curava con la penicellina
Sul prof.GP posso invece ricordare:
che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di
Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza
onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo
TO.12.04.24
Illustre Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni perche' con l'art.11 del DISEGNO DI LEGGE
CAPITALI avete approvato un restringimento di fatto della libertà ?
perché avete voluto dimostrarci di volervi ispirare all'epoca
fascista sfociato nel delitto Matteotti ? Non credo sia
nell'interesse suo e del suo governo e mi spiace, ma devo prenderne
atto.
Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera
Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella
Ill.mo Presidente del Senato
Ill.mo Presidente della Camera
Ill.ma Presidente del Consiglio
In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 ,
Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali
e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in
materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di
società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli
emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .
L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni
quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello
statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano
esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In
tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di
deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato
unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate
al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società
ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione;
inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al
31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee
societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal
decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di
mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo
135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del
1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le
assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il
rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in
commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a
condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto
dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle
assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di
contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in
assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia
da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che
la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente
tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da
tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola,
sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio
di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a
disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione
pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del
consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una
affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che
l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di
confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto
da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione
all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori
istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di
voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare,
all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di
stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto,
chiuse ai risparmiatori, con il management della società in
applicazione delle politiche di engagement.
Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di
esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti
da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto alla
partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che
dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra
cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare
alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di
incontri diretti privati e riservati
con il management della società in applicazione delle politiche di
engagement.
Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata
in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di
partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni
nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal
sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.
Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato
questo restringimento dei diritti costituzionali ?
Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite
legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando
l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto
retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard
Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della
Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al
processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con
Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei
suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di
Tesla.
La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i
nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno
finito per plasmare il diritto societario americano.
Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di
investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric
Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School.
Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di
partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come
Tornetta.
Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi
generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano
lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno
fatto gli avvocati nel caso Musk.
Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui
ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i
miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava
a Musk.
Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per
controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici
desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a
condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate
per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti
hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i
rapporti con Wall Street.
Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.
"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha
detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i
prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella
votata da maggioranza e Pd.
Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi
ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo
sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati
degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e
sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata
preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6
commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e
questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e
senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti
per ragioni pandemiche nel 2024 ?
La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese
per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le
misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi,
il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata
prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo
3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le
società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o
straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo
135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la
medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di
convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente
tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite
deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF.
L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione
statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati
designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono
conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente
la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla
prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle
proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole
proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è
sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita,
senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui
contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento
della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è
stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della
regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento
alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto,
le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e
della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il
soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a
comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia
rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene
altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute
fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali
informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al
medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei
commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato
con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena
descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n.
11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime
da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in
alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo
135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di
esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso
si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio
della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da
ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse
conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di
modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte
all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo
106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono
designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante
al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su
tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo
statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì
prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si
svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale
possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi
dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno
stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga
all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione
della specifica condizione del rappresentante designato dalla società,
esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto
della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies
stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono
applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema
multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il
pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea
introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui
presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per
il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato,
introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario,
ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può
prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di
voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla
società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale
rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai
sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies,
comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze,
dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o
dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.
L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo
mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha
ignorato.
Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo
135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il
diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è
esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno
tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In
sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il
diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del
giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima
dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La
società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso
contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le
domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è
dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima
della stessa, quando le informazioni richieste s
iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del
sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata
pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di
società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle
disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese
permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre
misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non
solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso
dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di
un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente
universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi
: dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono
per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene
ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid, con il rappresentante pagato ,
che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.
Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3
della Costituzione, contro la democrazia e trasparenza societaria
, cos’e ?
Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro
paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o
di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una
classe dirigente qui’ palesemente opaca.
Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà
progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle
minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli
sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo
oggi, forse, e’ diventato di coscienza comune , anche se a me e’
costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e
giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed
ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle
assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non
esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di
fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche
contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando
brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo,
silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa
nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare
la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi
Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da
Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe
solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una
storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche
se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei
diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.
Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto
direttamente.
UNA
ATTUALIZZAZIONE DEL:
DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre
elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al
banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo
avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel
1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio
lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è
semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva
un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero,
sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi
rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori,
interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei!
L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e
nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non
dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi
essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle
elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui
nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a
Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole
Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i
fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore
di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8
giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato.
(Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San
Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli
doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni
deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano
posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia
breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per
improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni
fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento
dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e
senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai
candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro
pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo
al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole
Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo
dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu
impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete
d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta
elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua
conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di
corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera
conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste
condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare
liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio
come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche
dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate!
(Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un
contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero
presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è
vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in
seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere
l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di
circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i
briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a
sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato
rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi
a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano
di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! »
(Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole
Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di
parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho
diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta
delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di
continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente,
ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori.
Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non
potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro
stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le
conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che
accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o
dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li
boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a
nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio
partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la
candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il
destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di
urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte
della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che
oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché
anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le
elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie
più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella
della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in
ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per
disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche
in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal
Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente
di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile,
l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza
del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare.
Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per
cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della
lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno
in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze
che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il
seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e
constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo
reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i
verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi
dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun
rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo,
l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono
svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo
riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche
provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma
questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e
l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu
data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati
dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa
popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione
controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma,
strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo
dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza
di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però,
che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo
le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel
Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni
diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si
ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle
persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito,
secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai
nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo,
danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che
ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata
protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione
avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi.
Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate
all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà
che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati
prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli
elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola
del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un
prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori
un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi
(Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le
combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno,
potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto.
In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di
Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella
venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie
del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a
destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri
opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate
o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi
però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini
sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più
forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia,
la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato
fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il
popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori –
Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini,
sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia
dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on.
Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece
furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era
stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia
prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere
esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per
la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che
non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati
furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano
alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che
certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si
presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva
compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio
pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto,
riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a
fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati
scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il
Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! »
.
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le
cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente
della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare
i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e
verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare
che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla
stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o
addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i
molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della
volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini
ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi
esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere
socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono
più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali,
non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno
esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che
manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del
nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi
all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte
queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose
sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché
ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste
ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di
maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità
dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti
voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione
morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione
divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la
licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere
errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha
dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a
destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il
nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato
con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi,
anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi
difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il
più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il
rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle
elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di
partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso
funebre per me». —
Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .
La storia della targa della Ferrari Testarossa grigia
cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla
destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle
immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece
reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche'
mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso'
Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla
Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece
mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari in uso direttamente
da Enzo Ferrari.
Chi sta chiudendo la Marelli e' KKR che vorrebbe comprare
la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando
fu venduta da Gardini ad Eni.
A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima
che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.
Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat
fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a
Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono
cambiati.
Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5
richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.
Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva
nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece
sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare
concorrenza a Porsche che investe da 50 anni !
Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle
presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto
assistere !
La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete
dimenticata tutti ?
Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato
condannato piu' volte Marchionne ?
Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che
aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo
hanno capito.
Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da
Marchionne e realizzato da Jaky investendo tanti soldi .
Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono
fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello
che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.
Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in
un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato
in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni
Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come
poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di
entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,
mi soprannominò in pubblico Mark Spitz, per comunicarmi che
sapeva tutto .
Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi ,
con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a
MARGHERITA hanno dato l'1%.
Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.
Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi .
Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare
ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di
Mondovi, Bausone non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo
l'omicidio di Edoardo.
L'ex Bertone finirà come Termoli.
IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse
uscira'.
La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a
Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200
metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho
detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta
del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera
economia nazionale, produzione auto compresa che allego.
Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello
di Jaky per me e' a voi noto :Griva.
Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,
Buon lavoro.
Marco BAVA
"L'Avvocato voleva
adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"
Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la
madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro
arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark,
giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo
le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le
vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino
"L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la
prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica"
subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della
madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti
della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann
con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la
conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i
genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che
rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre
figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da
Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi
opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che
sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si
converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E
vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra.
Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi
dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno
assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale
dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono
russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I
figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi
periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per
questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli
la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i
rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla
figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato
sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò
l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte
dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della
Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di
riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto
notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la
gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa
la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del
denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti
i familiari, anche da lei».
NON E' VERO :
EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere
in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta
di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di
più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi
le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la
fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della
Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di
scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà
dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la
presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le
battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i
figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze
potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società
che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa,
Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto
notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se
passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che,
se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si
riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la
sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della
Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di
governare come fa oggi».
Si perché
perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita
ed il 25% Jaky 20% . Mb
TAVARES E JAKY NEL 23
Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il
ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di
versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista
dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato
agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […]
dai manager del gruppo.
A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518
volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta
attuando massicci piani di esuberi […].
[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al
presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per
scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai
fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo
francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi
potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma
fortemente simbolico.
IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU
L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU PIAZZA LIBERTA', il
programma di informazione condotto da Armando Manocchia, su
BYOBLU CANALE 262 DT CANALE
IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE
VIAGGI ERA LUCA GAETANI
EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI
SUOI DIRITTI EREDITARI
NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI
ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA
GARAVICCHIO.
INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL
KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON
EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO
TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E
MARGHERITA .
DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI
ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI
PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA
UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA
NON GLIELO PERMETTEVANO.
NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E
NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO
CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO
TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.
GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?
L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO
RISCHIA DI CROLLARE TUTTO
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”
È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le
conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel
cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva
assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera,
dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di
avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia:
per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto,
permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale
della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e
quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa
indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle
indagini.
1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia
l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel
2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e
le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e
Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio.
Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte
nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari
per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media,
oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”.
Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo
dell’impero Agnelli.
2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte
mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva
non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli
immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del
commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei
riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i
domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.
3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […]
sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno
[…] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia.
Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti
erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio
della nonna.
4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla
Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di
Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero
Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due
diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della
signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio,
la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio
per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le
firme.
5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato
migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse
fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon
Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo,
all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella
Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet
di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza?
Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse
sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle
Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a
“membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola,
aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le
tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”,
la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il
tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a
cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.
2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE
Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia,
che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura
di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati
occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.
Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che
finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia:
la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e
madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane
potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e
questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi
civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.
Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto
Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca
Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della
Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella
Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di
Stellantis ed editore del gruppo Gedi.
L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di
dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base
all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita
accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2
miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a
versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di
questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8
milioni di euro (3,8 milioni di tasse).
Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto
detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era
curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a
Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la
quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla.
Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […]
ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto
lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte
del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio
che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.
Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il
commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi
infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe
controfirmate.
Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli
all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano
alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen,
villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella
Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese
mediche coprivano il solo mese di agosto. […]
GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la
riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di
verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere
rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo
scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti
milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri).
Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre
contestato la ricostruzione di Margherita.
DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI
FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:
Margherita Agnelli vuole costringere per via
giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di
Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).
Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila,
sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann
nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel
sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte
(60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento
dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).
[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione
tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale
di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la
Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e
cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del
testamento della madre».
E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo
all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima
della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre
e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante».
A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota
mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e
condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».
Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i
«mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella
Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua
qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a
restituire i beni dell’eredità del padre».
La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando
Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E
nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le
donazioni anche «indirette e dissimulate».
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al
comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo
la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il
calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna
Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in
cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui
valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia
«effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John
per (...) circa 3 miliardi».
John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel
1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo
statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso —
tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed
esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la
nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al
60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a
Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta
notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti
tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più
influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla
Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di
Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.
«La costruzione di una residenza estera
fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e
concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare
l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali
e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo
ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato
«all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel
decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della
guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e
sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella
Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato:
«truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle
entrate)».
Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto
sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli:
«Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco
Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci
sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella
Caracciolo».
Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John,
Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca
Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la
successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un
documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni
di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015
la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi»,
contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni
in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione
dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
Un secondo "round" si è combattuto ieri
davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo
staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa
ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una
porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.
I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno
disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai
finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti
hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora
inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali
del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.
La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che
domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere
la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in
Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex
dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti
hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando
lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte
dell'anno.
Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i
militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una
ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti,
governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm
ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse
sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale
delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che
«assisteva di fatto Marella Caracciolo».
A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si
occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili
alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7
febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il
commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della
Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe
dovuto "nascondere"».
In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta
del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra
il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui
«giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di
Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da
John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è
deceduta.
Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di
truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di
successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea
Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che
al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece,
gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono
concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella,
con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle
entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di
risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.
Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto
«vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a
chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella
Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore.
L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il
principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo
stesso fatto.
Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura
torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato
dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza,
si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]
EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'
Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA
Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai
nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni
Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a
Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia
Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e
moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne
aveva l'usufrutto.
E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di
Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf
nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la
posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati
di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua
opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.
L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle
testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi,
persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate
degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza
persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che
quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico
erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo
Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che
furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.
Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso
successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono
state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di
Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale
sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua
copia nella pinacoteca di via Nizza.
Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in
particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e.
(Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state
movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che
il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una
perizia che ne ha acclarato l'autenticità.
Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i
colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli
atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che
"i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue)
non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la
proprietà.
Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione.
Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti
invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che
sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione,
quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.
FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il
Fatto quotidiano”
Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione
Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova
dell’avvocato, Marella Caracciolo.
Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al
procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non
sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come
ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero
state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra
Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau
della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.
Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno
svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita
contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà
allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre
Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una
“inesistente residenza svizzera” della nonna.
Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano
visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove
erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze
dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e
nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.
Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli
inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La
Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto
valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La
scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De
Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre
stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il
momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende
legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti
fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una
perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.
Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio
2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini
potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno
lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse
mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe
trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di
opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a
8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai
è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere
in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo
la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie
di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che
avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.
Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore
aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e
di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista
ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta,
Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele
Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere
tra madre e figlia nel 2004.
Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle
opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla
anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che
risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove
si trovi.
I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un
trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del
trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor
Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico,
ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi,
aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada
nell’appartamento romano dell’avvocato.
“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli.
“Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio
sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.
[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte
dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della
presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a
chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge
[…]
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto
l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo
abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento e' andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a
dx.sx, che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
17.12.23
Il Sole 24 Ore:
La Giovanni Agnelli Bv ha deciso
di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […]
identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo
Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre
blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici.
Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque
pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a
cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione
proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni
Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha
indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander
Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel
frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un
altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e
Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero
Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono
nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75
anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda
di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto
Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi).
Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo
non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.
Questa la nuova struttura
societaria della Giovanni Agnelli Bv
per quote di possesso.
Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%
Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%
Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%
Ramo Giovanni Nasi: 8,7%
Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%
Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%
Ramo Susanna Agnelli: 4,7%
Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%
Ramo Emanuele Nasi: 2,5%
Ramo Clara Agnelli: 0,28%
Azioni proprie: 8,2%
Dovranno andare avanti le
indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni
Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma,
sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di
Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità
lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo
in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla
richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le
testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari
dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un
gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione
in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati
trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a
Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere
utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta
da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent,
Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa,
gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo
«riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari
traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere
all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che,
quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di
inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno»
compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad
essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso
da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una
questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in
Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann,
come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito
essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando
l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare -
sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza
abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della
opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione
Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della
Dicembre», la società che fa capo agli eredi.
Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air
Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica
dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta
autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.
Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe
fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica
italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40
anni.
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NON
DIMENTICARE CHE:
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deve
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e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
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come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
Salone Auto Torino, un format diffuso e open-air
Salone Auto Torino sarà a ingresso gratuito e si svolgerà dal 13 al 15
settembre,
percorso partirà dalla stazione ferroviaria di Porta
Nuova passando da
piazza Carlo Felice, via Roma, piazza San Carlo, piazza Castello,
piazzetta Reale e Giardini
Reali, fino in piazza Vittorio Veneto.
- Venerdì 13 settembre – La sfilata che celebra la storia
dell’automobile
h 10.00 parata carrozze di inizio 1800 trainate da cavalli
h 10.20 parata prime vetture del 1900 con motore a scoppio
h 10.45 parata prototipi e one-off dei più grandi carrozzieri dal 1960 a
oggi
h 11.15 premiere parade, la sfilata di novità di prodotto dei brand
espositori
h 12.15 parata Motorsport
- Sabato 14 settembre ore 11.00– La sfilata dei capolavori del design
I prototipi e le edizioni limitate dei grandi carrozzieri sfileranno nel
circuito cittadino insieme
alle one off restomod, a seguire la parata delle Formula 1 storiche e
delle regine di tutti gli
sport motoristici. - Domenica 15 settembre ore 11.00 - La sfilata delle icone del
motorsport oltre 100 leggendarie Delta
integrali che
sfileranno prima delle Formula 1 storiche e delle regine di tutti gli
sport motoristici.
Chiuderanno la parata i prototipi e le edizioni limitate dei grandi
carrozzieri.
PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E
Alexei Navalny IN PARADISO
Un automobilista ha vinto una causa da 6mila euro. La compagnia non
voleva rimborsarlo perché non si era rivolto a un carrozziere
convenzionato
L'assicuratore non paga i danni da grandine Il tribunale lo condanna
al risarcimento elisa sola
La compagnia di assicurazioni non può rifiutarsi di pagare i danni
da grandine soltanto perché l'automobilista ha fatto riparare la
macchina da un carrozziere diverso da quelli convenzionati con la
stessa compagnia. Lo ha stabilito il tribunale di Torino - sezione
civile - che ha condannato un noto assicuratore a risarcire di
10mila euro (di cui seimila di carrozziere e 4mila di spese di lite)
il proprietario di una Fiat Doblò rovinata dalla grandine.
La sentenza è del 29 luglio e si riferisce ai danni di un violento
temporale che risale al 17 giugno 2020. Il provvedimento del
tribunale, se diventerà definitivo, potrebbe marcare in maniera
ancora più profonda la via, già tracciata in giurisprudenza, sulla
tutela dei consumatori che a causa del maltempo si sono ritrovati
con le auto quasi distrutte. Un evento capitato sempre più spesso
negli ultimi mesi nella nostra città, colpita da una raffica di
grandinate.
Il torinese che ha vinto la causa aveva spiegato: «Dopo quella
brutta grandinata ho dovuto pagare 6080 euro di tasca mia. Pensavo
che fosse solo un anticipo. Avevo stipulato con la mia compagnia una
polizza che comprendeva anche i rischi legati a danni da eventi
naturali. Quindi ero tranquillo».
«E per essere ancora più sereno - aveva precisato il proprietario
del Doblò - avevo chiamato l'ufficio sinistri, annunciando che mi
sarei rivolto dal mio carrozziere di fiducia. E a voce, dalla
compagnia, mi avevano detto che mi avrebbero coperto. Al momento di
rimborsarmi però, l'assicurazione si è rifiutata. Mi ha detto che
siccome non ero andato da un carrozziere convenzionato, non avrei
avuto diritto a niente».
La giudice Claudia Gemelli ha dato ragione al cittadino. «La
clausola del contratto che prevede la decadenza dall'indennizzo in
caso di riparazione presso altro centro di autoriparazione è nulla -
c'è scritto nella sentenza - perché è una clausola vessatoria per lo
squilibrio di obblighi e diritti derivanti dal contratto, non
oggetto di specifica trattativa individuale, e non conoscibile in
ragione della modalità di redazione del modulo contrattuale in
violazione dell'articolo 166 del codice di assicurazioni».
I legali della compagnia avevano ribadito che la clausola della
decadenza dell'indennizzo fosse nota.
Ma per il tribunale non ci sono dubbi: includere nella polizza una
clausola per cui si obbliga l'automobilista a rivolgersi a
determinati carrozzieri non sarebbe lecito. Perché è una clausola
che «determina a carico del consumatore un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi». Non solo. La polizza sarebbe stata
scritta in maniera ingannevole. «Il contratto deve essere redatto -
precisa la giudice - dando particolare evidenza alle clausole che
indicano decadenze o limitazioni delle garanzie, in applicazione dei
principi di trasparenza, diligenza e correttezza».
Invece, l'assicurazione avrebbe usato «una tecnica redazionale poco
trasparente e del tutto inidonea a porre l'attenzione
dell'assicurato sul rischio di non vedersi riconosciuto
l'indennizzo, pur a fronte del verificarsi di un rischio assicurato
in vigenza di polizza e del regolare pagamento del premio». «Deve
ritenersi inefficace nei confronti dell'attore - è la conclusione
della sentenza - la clausola volta ad escludere l'indennizzo per
l'ipotesi di riparazione in centro diverso da quelli convenzionati
con l'assicurazione».
La protesta di una trentina di cittadini contrari alla realizzazione
di una Cittadella dello sport . I manifestanti sgomberati dalla
polizia
Tensione per i lavori al parco del Meisino "Verrà danneggiato un
ecosistema unico "
Pier Francesco Caracciolo
Per oltre tre ore hanno bloccato gli operai, impedendo loro di
raggiungere il cantiere. Lo hanno fatto occupando, con la loro
presenza, l'unica strada sterrata diretta all'area dei lavori. Così
ieri, dalle 7, 30 alle 10, 30, una trentina di cittadini hanno
rallentato le operazioni per la realizzazione della Cittadella dello
sport pianificata dal Comune all'interno del parco del Meisino.
Un'operazione di ostruzionismo che si è risolta con lo sgombero da
parte degli agenti della Digos e della polizia, questi ultimi in
tenuta antisommossa. Sono stati loro, prendendo di peso gli
attivisti, a liberare la strada e consentire il passaggio degli
operai, a bordo di camion e ruspe.
Gli agenti hanno operato al termine di una mattinata di tensione.
Fin dalle 6, 30 i cittadini, guidati dal comitato "Salviamo il
Meisino", avevano occupato via Nietzsche, la strada diretta all'area
dei lavori. All'arrivo degli operai, hanno camminato a passo lento
dall'ingresso del parco fino al cantiere, costringendo camion e gru
a fermarsi alle loro spalle. Una volta al fondo di quel tratto di
via, hanno allestito un banchetto e iniziato a fare colazione. È
stato quello il momento in cui, dopo aver intimato loro di lasciare
la strada, i poliziotti sono interventi, liberando la strada.
«Abbiamo cercato, senza violenza, di impedire che il cantiere
procedesse – dice Elena Sargiotto, del comitato – La giunta comunale
si sta accanendo contro il verde di Torino: il Meisino è un'area
protetta, con una eccezionale ricchezza sul piano della
biodiversità».
Si è alzato così il clima di tensione che, da giovedì, si respira al
Meisino. Quel giorno, per la prima volta, gli operai si erano
presentati nel parco per allestire il cantiere. Un gruppo di
attivisti, dialogando con loro, ne aveva rallentato le operazioni.
Venerdì gli operai erano tornati al Meisino e avevano dato il via al
posizionamento di jersey e transenne, operazione propedeutica
all'avvio dei lavori. Gli attivisti, presenti anche quel giorno, si
erano limitati a presidiare l'area. «Difendiamo il Meisino» hanno
invece urlato ieri, a più riprese, gli attivisti. I residenti del
comitato dallo scorso anno si battono a suon di petizioni e
manifestazioni in strada contro la realizzazione del progetto.
Un'opposizione dettata dal fatto che, a loro dire, «un parco
dall'alto valore ambientale verrà irrimediabilmente danneggiato
dalle strutture sportive». I lavori, al Meisino, prevedono la
realizzazione di un «Centro per l'educazione sportiva e ambientale».
Si tratta di un progetto da 11, 5 milioni di euro, finanziato con
fondi Pnrr, i cui lavori dureranno poco più di un anno. Nel verde
saranno montate attrezzature che consentiranno di praticare diverse
discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco e
ciclocross.
Quanto successo ieri rappresenta un déjà-vu dei fatti dello scorso
febbraio in corso Belgio, a Vanchiglietta. In quel caso un gruppo di
residenti era sceso in strada per bloccare gli operai, inviati dal
Comune per abbattere gli oltre duecento aceri presenti. Il progetto,
dopo di allora, è stato messo in stand-by dal Comune. —
Torino è la prima grande città italiana in cui "Letismart" viene
sperimentato
Il bastone smart per ciechi che dialoga con i semafori
Un bastone intelligente per persone cieche o ipovedenti. In grado di
«dialogare», cioè, con i semafori (e non solo), così da rendere più
sicure le camminate di chi, per problemi di vista, in strada fatica
a orientarsi. Si chiama Letismart: all'apparenza è un normale
bastone bianco, ma ha al suo interno un mini-computer. Una
tecnologia grazie alla quale è in grado di far entrare in contatto
la persona che lo impugna con il mondo che lo circonda, agevolandone
gli spostamenti. Un'operazione che avviene grazie all'installazione,
lungo le strade della città, di piccoli radiofari, che trasmettono
gli impulsi captati dal bastone smart.
Il bastone intelligente, prodotto a Trieste dall'azienda Scen, ieri
è sbarcato a Torino. La nostra è la prima grande città italiana in
cui viene sperimentato (dopo i test nella stessa Trieste e a
Mantova). È stato presentato nella sede torinese dell'Unione Ciechi
(Uici), in corso Vittorio Emanuele II 63, nel cuore di Torino. Un
appuntamento cui sono intervenuti il presidente provinciale dell'Uici,
Giovanni Laiolo, e l'assessora all'Innovazione di Torino, Chiara
Foglietta.
Da qualche giorno, viene sperimentato in corso Vittorio, nel tratto
tra corso Re Umberto e la stazione di Porta Nuova. Si tratta di
un'area con cinque incroci, regolati complessivamente da cinquanta
semafori. All'interno dei semafori, con l'aiuto dei tecnici di Iren,
sono stati installati cinquanta radiofari. Quando una persona
ipovedente, passeggiando sul marciapiede, si avvicina a uno di
questi semafori, il bastone lo avverte con un messaggio vocale: «Tra
venti metri c'è un semaforo sonoro».
I radiofari possono essere installati anche in punti strategici
della città. A Torino ne è stato posizionato uno all'ingresso di
corso Vittorio 63. Avvicinandosi alla porta d'entrata, il bastone fa
scattare il messaggio vocale: «Sei a venti metri dalla sede
dell'Unione ciechi, trovi l'ingresso sulla destra». Se chi impugna
il bastone vuole raggiungerla, preme un pulsante sul bastone stesso.
A quel punto dall'ingresso di corso Vittorio 63 parte un cicalino,
che aiuta la persona ipovedente a orientarsi. «Ci auguriamo che -
dice Laiolo - la rete infrastrutturale torinese necessaria al
funzionamento di questo strumento venga ampliata
09.09.24
GLI ERRORI DI JAKY DELL'ELETTO DA DONNA MARELLA IL DISCEPOLO DI
MARCHIONNE : Dietro
le recenti operazioni industriali e le scelte strategiche nel
settore automobilistico sembrano celarsi manovre politiche ed
economiche volte a indebolire l’industria italiana a favore di altri
Paesi europei, in particolare Francia e Polonia. L’acquisizione di
Fiat da parte del gruppo francese PSA, che ha portato alla creazione
di Stellantis, rappresenta un esempio emblematico di come la Francia
abbia ottenuto una significativa influenza su un’importante azienda
italiana, con la possibilità di orientare le decisioni aziendali a
beneficio degli interessi francesi.
Questa situazione potrebbe portare a una diminuzione del peso e
della competitività dell’industria automobilistica italiana. La
strategia sembra implicare il potenziamento degli impianti
produttivi in Polonia, dove i costi di manodopera sono più bassi,
favorendo così la crescita della produzione in quel Paese a
discapito degli stabilimenti italiani. Nel frattempo, gli
stabilimenti francesi verrebbero tutelati da riduzioni di personale,
mantenendo intatta la capacità produttiva e la competitività
dell’industria automobilistica francese. Questa dinamica rischia di
danneggiare il settore industriale italiano, portando a una
riduzione dei posti di lavoro e a una possibile perdita di
competenze tecnologiche.
Un parallelo interessante è rappresentato dal “triangolo di Weimar“,
un forum di cooperazione politica tra Germania, Francia e Polonia,
concepito per rafforzare la collaborazione tra questi paesi. In
questo contesto, il triangolo di Weimar può essere visto come un
mezzo per controbilanciare l’influenza economica e politica della
Germania in Europa, con Francia e Polonia impegnate a consolidare la
loro posizione geopolitica. In questo scenario, l’Italia potrebbe
essere percepita come un concorrente industriale, con alleanze e
decisioni economiche orientate a ridurre il suo peso economico e
industriale a favore di altri Paesi europei.
Le decisioni aziendali e le strategie di mercato sembrano essere
guidate non solo da logiche economiche ma anche da obiettivi
politici e militari, mirati a ristrutturare l’equilibrio del potere
industriale in Europa. Il rafforzamento di specifici settori
industriali in Polonia e Francia, con un contemporaneo indebolimento
dell’industria italiana, potrebbe essere parte di una strategia
geopolitica più ampia, con conseguenze significative per l’economia
e l’occupazione in Italia. Perché a questo punto possiamo allora
parlare in termini legittimi di guerra economica?
L’idea di una “guerra economica” in questo contesto si riferisce
all’uso di strategie economiche e commerciali per ottenere vantaggi
geopolitici e indebolire i concorrenti senza ricorrere a conflitti
armati. Nel caso specifico descritto, le manovre attuate attraverso
l’acquisizione di Fiat da parte del gruppo PSA e la creazione di
Stellantis potrebbero essere viste come parte di una strategia più
ampia per rimodellare l’industria automobilistica europea a
vantaggio di alcuni Paesi, come la Francia e la Polonia, a scapito
dell’Italia.
Questa “guerra economica” si manifesta attraverso diverse tattiche:
potenziando la produzione in Polonia e mantenendo intatti i posti di
lavoro in Francia, mentre si riducono gli investimenti e
l’occupazione in Italia e si indebolisce il sistema industriale
italiano.
Questo potrebbe portare a una perdita di competitività e a una
dipendenza crescente dalle decisioni prese da altri Paesi, riducendo
la capacità dell’Italia di influenzare le dinamiche del settore
automobilistico europeo. Acquisendo una quota significativa di
controllo su un’azienda chiave come Fiat, la Francia, tramite PSA e
Stellantis, ottiene un’influenza diretta su una parte importante
dell’industria automobilistica italiana. Questo controllo consente
di dirigere le decisioni aziendali secondo gli interessi francesi,
limitando l’autonomia italiana nella gestione delle proprie risorse
industriali.
Un’Italia indebolita industrialmente potrebbe avere meno voce in
capitolo nelle decisioni politiche ed economiche dell’UE, mentre la
Francia e altri Paesi alleati rafforzano la loro posizione. In
sintesi, considerare queste azioni come una forma di “guerra
economica” implica riconoscere che le dinamiche economiche e
commerciali vengono utilizzate come strumenti per raggiungere
obiettivi di potere e influenza geopolitica. Queste strategie non
implicano necessariamente un confronto diretto o violento, ma mirano
comunque a ottenere un vantaggio strategico significativo su un
avversario economico attraverso mezzi economici, piuttosto che
militari.
Rania, la regina per Gaza "La pace in cinque punti basta razzismo
anti Palestina" Francesco Spini
Inviato a Cernobbio (como)
Era il 2005 l'ultima volta che Rania di Giordania aveva varcato
l'elegante portone di Villa d'Este. E sembra passato un secolo: «Non
avrei mai immaginato di guardare indietro a quei giorni e pensare:
"Erano tempi più semplici"». Ora la regina torna al Forum di
Cernobbio organizzato da Teh-Ambrosetti e propone cinque punti,
cinque proposte per favorire la pace tra Israele e Gaza e mettere
fine a quello che sua maestà chiama «razzismo anti-palestinese».
Parte rievocando il fatidico 7 ottobre quando «Israele è stato
attaccato da Hamas», con una «escalation violenta che ha scioccato
il mondo». Ma racconta anche la risposta di Israele che ha portato
il suo blocco su Gaza «a nuovi livelli disumani». Dettaglia con i
numeri «una sofferenza civile inimmaginabile», che «viene
normalizzata ogni giorno. Ma vi chiedo: provate a immaginare cosa
deve essere non essere riuniti qui accanto al bellissimo lago di
Como, ma essere un genitore a Gaza…», dove «hai seppellito un
figlio… un altro ha perso una gamba e metà del suo peso. Tutta la
tua famiglia sta morendo di fame», è il racconto, terribile, della
regina di Giordania. E ancora: «Nessun ospedale. Nessuna scuola.
Nessuna università ancora in piedi. Quasi ogni quartiere è in
macerie».
Due pesi e due misure, secondo Rania, quelle che il modo applica
quando parla di sicurezza per Israele e di sicurezza per Gaza.
«Questa svalutazione della vita deve essere chiamata per quello che
è: razzismo anti-palestinese», declama di fronte a manager,
imprenditori, banchieri e politici che affollano la sala. Si chiede
se ci si aspetterebbe da qualunque popolazione occidentale di
«tollerare decenni di occupazione, oppressione e violenza». È
perentoria nel rivolgersi alla platea di Cernobbio: «Il bagno di
sangue si deve fermare». Perché «cosa dovrebbe pensare il Sud
Globale quando vede l'Occidente sostenere il popolo ucraino
lasciando invece i civili innocenti a Gaza sotto una punizione
collettiva senza precedenti?».
Secondo la sovrana è necessario ora superare e respingere tali
«doppi standard» e «trovare un percorso comune verso la pace». I
piani per risolvere la situazione non decollano ma non vuole
rassegnarsi «a una realtà intollerabile». Propone quindi una «base
condivisa, che si fondi su una serie di principi fondamentali su cui
tutti possiamo concordare e a cui possiamo aderire». Cinque principi
«indiscutibili» che «dovrebbero sostenere tutte le vere iniziative
per la pace».
Punto primo: «Il diritto internazionale deve prevalere, senza
eccezioni». Del resto, ammette, «non sono neutrale. Suppongo che
nessuno di noi lo sia veramente, per quanto ci sforziamo. Ecco
perché abbiamo bisogno della legge». Anzitutto «far rispettare le
risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e
rispettare le opinioni e le sentenze dei tribunali internazionali,
anche quando sono politicamente scomode». Secondo: «L'autonomia, la
dignità e i diritti umani sono universali e assoluti». Dunque la
pace «non può essere creata adottando le maniere forti contro una
parte più debole costringendola ad accettare condizioni sfavorevoli.
Israeliani e palestinesi hanno pari diritto alla sicurezza e
all'autodeterminazione. Alcuni Paesi europei hanno riconosciuto
questo diritto riconoscendo lo Stato palestinese. Spero che altri
Paesi in Europa e altrove facciano lo stesso».
Terzo punto: «Affinché la giustizia prevalga, bisogna assumersi le
responsabilità» delle proprie azioni applicando controlli al potere,
sanzionando gli illeciti. «A Gaza, vediamo le conseguenze
catastrofiche di questo squilibrio: una nazione potente, che crea
condizioni di fame e sfollamento di massa, affronta poche
contestazioni». Il rovescio della medaglia della responsabilità «è
l'impunità», ricorda Rania di Giordania. E ancora, quarto punto: «La
vera sicurezza non è a somma zero. Una pace giusta rende la
sicurezza reciproca» perché «l'insicurezza di una parte non serve
all'altra. Essa perpetua solo il problema». Infine il quinto
principio. «È semplice: le voci estreme - indipendentemente da dove
provengano - devono essere escluse dalla conversazione. Il futuro -
dice la regina - non può essere tenuto in ostaggio da coloro che
sostengono la fame di massa, lo sterminio e l'espulsione… che
applaudono la punizione collettiva… che difendono l'indifendibile.
Devono essere denunciati e zittiti»
LA LOGGIA UNGHERIA GODE OTTIMA SALUTE E TANTO POTERE: Dossieraggio,
il dietrofront di Crosetto: "Nessun sospetto sugli apparati di
Sicurezza". La procura di Perugia a caccia delle chat cancellate"
Le carte di Cantone
Dai rapporti col Vaticano ai Servizi segreti Cantone indaga sui
mandanti di Striano
giuseppe legato
I due paragrafi della lunga richiesta di arresto firmata dal
procuratore di Perugia Raffaele Cantone sono collegati e seguono
l'uno all'altro: numerati 13 e 14. E basterebbero i titoli per
spiegare come l'articolata inchiesta su manager politici e vip
spiati sia tutt'altro che conclusa. Il primo recita: «I collegamenti
di Striano con il Vaticano». Il secondo: «Possibili rapporti con i
sistemi di sicurezza (i Servizi ndr)». È questo un fronte misterioso
e ancora incompleto che però gli investigatori hanno deciso di
percorrere partendo da quattro accessi effettuati dal tenente della
Guardia di Finanza all'epoca in cui era in servizio alla Procura
Nazionale Antimafia dove coordinava il gruppo Sos (Segnalazioni
operazioni sospette). I nomi: Cecilia Marogna, Raffaele Mincione,
Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi. Finanzieri, broker, funzionari
amministrativi del Vaticano ed ex fonti dei Servizi segreti, tutti
recentemente condannati, sui quali il principale indagato di Perugia
avrebbe interrogato il terminale per conoscere dati anagrafici,
redditi e catasto. Tutti personaggi coinvolti nell'inchiesta sul
cardinale Becciu. Striano li ha effettuati a partire da luglio 2019
quando cioè non vi era discovery sull'attività investigativa del
Promotore della giustizia della Santa Sede. Sono dunque «di gran
lunga antecedenti al primo atto di indagine» della giustizia
inquirente pontificia ovvero alle prime perquisizioni datate 1
ottobre 2019, si legge agli atti. E non aiuta a normalizzare il
quadro sempre più popolato di singolari coincidenze sapere che
l'inchiesta era partita poco prima dell'estate seguita, il 5 luglio,
da una disposizione di Bergoglio alla gendarmeria affinché
utilizzassero i più ampi mezzi tecnologici per portare avanti gli
accertamenti. La domanda sullo sfondo è semplice: chi ha chiesto al
sottufficiale della Finanza di controllare questi nomi quando gli
stessi erano ancora sconosciuti? Cantone chiosa: «Questo ufficio sta
svolgendo anche su questi accessi effettuati da Striano ulteriori
approfondimenti, ritenendo che l'accesso non ricollegabile ad
un'attività dell'ufficio sia, già solo per questo, privo di ragioni
di servizio e dunque illecito».
Ma cospicue tracce del Vaticano si rivengono anche nel capitolo su
possibili collegamenti «con gli apparati di sicurezza» altro punto
di interesse per gli investigatori. La procura di Perugia cita – a
corredo del titolo del paragrafo – un uomo in contatto con Striano
«che percepisce – si legge – redditi dal comando generale dei
carabinieri dal Comando Generale dei Carabinieri e Presidenza del
Consiglio dei Ministri».
Chiede al tenente informazioni riservate su un monsignore che ha
lavorato a lungo negli anni precedenti nella segreteria di stato
della Santa Sede. Si chiama Giovanni Hermes Viale (non indagato):
«Questo è un pezzo da novanta» dice Striano all'interlocutore nelle
chat. Gli investigatori riferiscono «di un'anomala movimentazione
costituita da rilevante operatività in contanti» sul conto corrente
personale del prelato: «Tale operatività, inusuale e di critica
tracciabilità, potrebbe assumere rilevanza in considerazione di
alcuni pregressi coinvolgimenti del prelato in talune vicende
riportate dai media». Striano e il misterioso carabiniere parlano
anche di alcuni «amici» che vogliono sapere se alcune ditte «da cui
devono rifornirsi» sono «apposto». Un titolare ha precedenti penali
«ma se "gli amici" ci offrono una bistecca glielo diciamo noi chi
scegliere». Parlano dei Servizi? Di certo c'è che «il collegamento
con …(il militare)…, pare essere riconducibile a rapporti con il
Vaticano o comunque a richiesta di informazioni relative a soggetti,
come Viale, che hanno rivestito ruoli di rilievo nello Stato
Pontificio». Intanto sempre i pm di Perugia hanno notato la
stranezza «di alcune chat cancellate» dal telefono di Striano.
«Inimmaginabile» che fonti con cui ha scambiato centinaia di file
non abbiano avuto contatti di messaggistica. Ergo: «Questo ufficio –
scrive Cantone – ha delegato specifici accertamenti in ordine alla
possibilità di recupero di eventuali chat cancellate. Tale dato
potrebbe risultare da apposita interrogazione della società
statunitense Meta, proprietaria e gestore dell'applicativo di
messaggistica istantanea WhatsApp». Infine ieri il ministro Crosetto
è intervenuto sulla notizia di suoi "sospetti" che alcune
informazioni finite ai giornalisti fossero uscite dagli apparati di
Sicurezza. «L'idea stessa – ha detto – che la mia sfiducia
riguardasse» i servizi «o i suoi vertici è più ridicola che falsa.
Mi ero limitato a evidenziare al Procuratore capo di Perugia come
una notizia (irrilevante e anche falsificata) apparsa su un
quotidiano non potesse che provenire dall'interno dell'Aise,
trattandosi di questioni secretate. Su questa vicenda, di cui avevo
informato i vertici del comparto, ho poi avuto totale e piena
cooperazione». Eppure era stata la stessa procura di Perugia, nel
capitolo relativo agli accessi abusivi effettuati da Striano su di
lui (e da Crosetto denunciati) a spiegare come «il ministro ha
rappresentato agli inquirenti le sue perplessità sulla possibile
provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di
sicurezza».
Attenzione! La nuova gabella bancaria: imporre contratti di
consulenza anche col silenzio-assenso
Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 19 agosto
2024 a pag. 15
| Attualità | Danni del risparmio gestito
banca intesa sanpaolo banca investis
Le banche italiane mal sopportano i risparmiatori cui non riescono a
raschiare via molti soldi, perché refrattari ai loro prodotti
finanziari o pseudo-assicurativi. Ci vuole una tempra d’acciaio,
eppure qualcuno pervicacemente resiste: non si lascia spolpare dal
risparmio gestito e continua a fare da sé, comprando alcuni o molti
titoli. Ma la banca premurosa non vuole lasciarlo solo: un tipico
caso per cui vale il proverbio “Meglio soli che male accompagnati”.
Cos’hanno infatti pensato? A chi ha Btp, Cct, azioni ecc. cercano di
appioppare un contratto di consulenza e alcuni addirittura
minacciano di chiudere il conto a chi non obbedisce. Il fenomeno è
generale. Si va da grosse banche come Intesa-Sanpaolo con la
“consulenza evoluta di Valore Insieme”, a realtà minori come per
esempio Banca Investis con la “consulenza Universo”. Le tariffe sono
pesanti, intorno all’1-1,5% annuo del patrimonio, nell’ordine quindi
delle commissioni addebitate da molti fondi comuni.
Sono proposte da rifiutare senza perdere tempo in approfondimenti
inutili. Oltre ai consigli interessati, c’è da aspettarsi di essere
sommersi da una fiumana di analisi, statistiche, report inutili. Nel
caso migliore è beneficienza alla banca, nell’ipotesi più probabile
un modo per trovarsi sul groppone fondi, polizze, piani
pensionistici e simili, consigliati però in modo “evoluto” e non
involuto.
È come se per la propria salute uno s’affidasse per assurdo a un
farmacista disonesto. C’è da attendersi che spingerebbe in
continuazione ogni tipo di medicina; comunque sempre cure
farmacologiche e giammai chirurgiche, che non tratta. Così il
sedicente consulente dietro lo sportello consiglierà prodotti su cui
la banca arraffa più soldi. Mai e poi mai invece i buoni fruttiferi
postali.
Sono inoltre esose le percentuali richieste. Vi sono consulenti
veri, cioè di fatto e non solo di nome, che prendono meno. Che poi
trovarne uno competente sia impresa ardua è un altro discorso; ma
ciò vale pure coi bancari.
Per giunta alcune banche incastrano i clienti col silenzio-assenso.
Non è raro che abbiano fatto accettare a tutti un rapporto di
consulenza gratuito, giustificandolo come una soluzione per
semplificare alcune procedure. A questo punto gli basta comunicare
la modifica unilaterale del contratto, che porta la commissione
annua dallo zero all’1%. Se uno non risponde entro il tempo
previsto, è incastrato. È una specie di pesca a strascico: i più
distratti o incompetenti restano impigliati nella rete.
Come in altri casi, corrono rischi soprattutto quanti hanno
rinunciato a ricevere in forma cartacea la posta della banca al
proprio domicilio (o altro recapito), optando per la documentazione
online. Così gli sfuggono facilmente comunicazioni importanti.
Richiedere quindi senza indugio la ripresa degli invii per posta.
Carta canta.
Beppe Scienza
Il governo vuole dare il TFR ai fondi: ecco perché non funziona
Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di martedì 27 agosto
2024 a pag. 5
| Attualità | Fondi pensione o TFR
La ministra del lavoro Marina Elvira Calderone ha parlato della
«riapertura di un semestre di silenzio-assenso» per la destinazione
del Tfr alla previdenza integrativa, cui avrebbero aderito in pochi
perché «non è stata spiegata bene». In realtà è il contrario. Fosse
stata presentata in modo corretto, avrebbero aderito in meno.
Il sottosegretario Claudio Durigon della Lega ha poi addirittura
annunciato una proposta di legge per il trasferimento obbligatorio
del 25% del Tfr nelle forme previdenziali per ovviare alle pensioni
prevedibilmente troppo basse. Viste tali esternazioni, merita fare
il punto della situazione.
Precisiamo subito che, come risparmio previdenziale, il buon vecchio
TFR ha funzionato in modo egregio in periodi di alta inflazione:
+10% di rivalutazione nel 2022 rispetto a perdite medie del fra il
10 e 11% della previdenza integrativa. Ha rispettato le promesse in
tempi di bassa inflazione e ha offerto rendimenti fra i più alti con
deflazione e tassi negativi. Difficile trovare di meglio per un
risparmiatore non incline agli azzardi borsistici. Sull’altro
versante, cioè per il datore di lavoro, è una fonte di finanziamento
a condizioni ragionevoli. È odiato e attaccato solo da soggetti in
conflitto d’interesse: banche, gestori, assicurazioni, sindacati non
di base e associazioni padronali, con giornalisti al seguito.
Insomma da chi può trarre vantaggi in un modo o nell’altro se esso è
trasferito alla previdenza integrativa.
Ciò chiarito, facciamo due discorsi. Per cominciare è sempre odioso
estorcere un accordo col silenzio-assenso, cioè obbligare uno ad
attivarsi per impedire che gli cambino le carte in tavola. Si tratta
di una furbata per incastrare le persone distratte, meno pronte, non
sempre sul chi vive o momentaneamente in difficoltà. Insomma, per
approfittare dei più deboli.
Passando alla proposta di Durigon, non per nulla di estrazione
sindacale, c’è un motivo specifico che nei fatti la svuota di
validità. Si ricava da dati ufficiali, che però quasi tutti cercano
di tenere ben nascosti. Smontano infatti la narrazione
propagandistica dominante, secondo cui gli aderenti a fondi pensione
e simili se la passerebbero bene nella loro vecchiaia grazie a un
reddito aggiuntivo alla pensione dell’Inps.
Di regola ciò non si verifica affatto. Quasi tutti gli interessati
non ricevono nessuna rendita vitalizia, ma semplicemente incassano
una singola somma di denaro, come col Tfr. Lo si scopre dalle
relazioni annuali dell’organo di vigilanza cioè della Covip, per
altro partigiana sfegatata della previdenza integrativa. Prendiamo
in particolare i tanto decantati fondi negoziali: nel 2023 il 99%
degli interessati ha rinunciato alla rendita e preferito un capitale
una tantum: 62.103 rispetto a 574. È così in generale anche per gli
anni precedenti e per le altre forme previdenziali, quando più
quando meno, dove più dove meno. Nei rari casi poi di rendita spesso
non è stata neppure una scelta, ma il risultato di un’imposizione
normativa.
Quindi la proposta di Durigon non va nella direzione di aumentare
una pensione pubblica troppo bassa. Ci si può aspettare che quasi
tutti gli interessati opterebbero all’età della pensione per un
capitale anziché una rendita: pochi maledetti e subito o anche molti
benedetti, ma comunque subito. Rispetto al mantenimento del suddetto
25% del Tfr in azienda, tale capitale sarà forse superiore, circa
uguale o inferiore; oppure anche sciaguratamente basso in caso di
alta inflazione. Se gli va bene, i lavoratori avranno un vantaggio
modesto contro la perdita della disponibilità immediata dell’intero
Tfr in caso di licenziamento, contro costi che distruggono vantaggi
fiscali e contributo datoriale, sempre in totale mancanza di
trasparenza. Se gli va male, ci rimetteranno su tutti i fronti. Ci
guadagnerebbero i soliti che si avvantaggiano della previdenza
integrativa: l’industria parassitaria del risparmio gestito, in
questo caso alleata ai sindacati e alle associazioni padronali.
Restano comunque valide tutte le obiezioni da altri giustamente
sollevate. In particolare non aiuterebbe i lavoratori precari senza
Tfr, né quelli con redditi talmente bassi che le modestissime cifre
accantonate gli frutterebbero ben poco.
Beppe Scienza
QUELLO CHE DOVEVA FARE JAKY E CHE NON HA FATTO :
Monaco. BMW
prevede di lanciare la sua prima serie in assoluto veicolo elettrico
a celle a combustibile di produzione (FCEV) nel 2028, offrendo così
clienti un'ulteriore opzione di propulsore completamente elettrico
con zero locale emissioni in una BMW. Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation sono mettere in comune la loro forza innovativa e le
loro capacità tecnologiche per portare una nuova generazione di
tecnologia del gruppo propulsore a celle a combustibile al strade.
Entrambe le società condividono l'aspirazione di far avanzare
l'idrogeno economia e hanno esteso la loro collaborazione per
spingere questo a livello locale tecnologia a emissioni zero al
livello successivo.
La principale esperienza di
sviluppo del BMW Group nella trazione elettrica le tecnologie sono
ancora una volta dimostrate dai suoi incessanti sforzi per far
avanzare la tecnologia delle celle a combustibile a idrogeno e il
suo abbraccio a 'approccio ‘tecnologia-apertura’ al fine di fornire
ai clienti un gamma di soluzioni di mobilità per il futuro.
“Questa è una pietra miliare
nella storia dell'auto: la prima serie in assoluto veicolo a celle a
combustibile di produzione che sarà offerto da un premio globale
produttore. Alimentato dall'idrogeno e guidato dallo spirito del
nostro cooperazione, sottolineerà come si sta modellando il
progresso tecnologico mobilità futura, ha detto” Oliver
Zipse, presidente del consiglio di amministrazione di Gestione di
BMW AG. “E
annuncerà un'era di domanda significativa di veicoli elettrici a
celle a combustibile.”
Koji Sato, Presidente
e Membro del Consiglio di Amministrazione (Direttore
rappresentativo) Toyota Motor Corporation, detto,
“Siamo lieti che la collaborazione tra BMW e Toyota abbia entrato in
una nuova fase. Nella nostra lunga storia di partnership, abbiamo
confermato che BMW e Toyota condividono la stessa passione per le
auto e fede in ‘technology openness’ e un approccio ‘multi-pathway’
a neutralità carbonica. Sulla base di questi valori condivisi,
approfondiremo il nostro collaborazione in sforzi come lo sviluppo
congiunto di sistemi di celle a combustibile di prossima generazione
e espansione delle infrastrutture, mirare alla realizzazione di una
società dell’idrogeno. Accelereremo i nostri sforzi insieme a BMW e
partner in vari settori per realizzare un futuro in cui l’energia
dell’idrogeno sostenga la società."
Tecnologia del gruppo
propulsore condiviso utilizzata tra i singoli modelli per offrire
interessanti opzioni FCEV.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation svilupperanno congiuntamente il sistema di propulsione
per veicoli passeggeri, con la cella a combustibile centrale
tecnologia (le singole celle a combustibile di terza generazione)
creando sinergie per applicazioni sia commerciali che di veicoli
passeggeri. Il il risultato di questo sforzo di collaborazione verrà
utilizzato individualmente modelli sia BMW che Toyota ed amplieranno
la gamma di FCEV opzioni a disposizione dei clienti, portando la
visione dell'idrogeno mobilità un passo più vicino alla realtà. I
clienti possono aspettarsi la BMW e Modelli Toyota FCEV per
mantenere le loro identità di marca distinte e caratteristiche,
fornendo loro opzioni FCEV individuali da scegliere da. Realizzare
sinergie e amalgamare il volume totale di unità di propulsione
collaborando allo sviluppo e all'approvvigionamento promette di
ridurre i costi della tecnologia delle celle a combustibile.
BMW lancerà il suo
primo modello di produzione alimentato a idrogeno in 2028.
Dopo aver testato con successo
la flotta pilota BMW iX5 Hydrogen in tutto il mondo, il BMW Group si
sta ora preparando per la produzione in serie di veicoli con sistemi
di azionamento a idrogeno nel 2028 sulla base del tecnologia del
gruppo propulsore di nuova generazione sviluppata congiuntamente. La
serie i modelli di produzione saranno integrati nel portafoglio
esistente di BMW, cioè. BMW offrirà un modello esistente in un
ulteriore combustibile a idrogeno variante del sistema di
azionamento cellulare. Poiché la tecnologia FCEV è un'altra
elettrica tecnologia dei veicoli, il BMW Group la considera
esplicitamente complementare la tecnologia di azionamento utilizzata
dai veicoli elettrici a batteria (BEV) e successivi ai veicoli
elettrici ibridi plug-in (PHEV) e combustione interna motori (ICE).
Un nuovo livello di
partnership.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation possono guardare indietro un decennio di collaborazione
fiduciosa e di successo. Basandosi su questo, le aziende stanno ora
estendendo la loro cooperazione per accelerare innovazione dei
sistemi di propulsione a celle a combustibile di prossima
generazione e pioniere questa nuova tecnologia.
Visione condivisa di
far progredire l'economia dell'idrogeno.
Il percorso per realizzare il
pieno potenziale della mobilità dell’idrogeno comprende il suo
utilizzo nei veicoli commerciali e l'istituzione di un
infrastrutture di rifornimento per tutte le applicazioni di
mobilità, comprese veicoli passeggeri alimentati a idrogeno.
Riconoscere il complementare natura di queste tecnologie, il BMW
Group e il Toyota Motor Le aziende stanno sostenendo l’espansione di
entrambi i rifornimenti di idrogeno e infrastruttura di ricarica per
veicoli elettrici a batteria. Entrambe le società stanno
incoraggiando l’offerta sostenibile di idrogeno creando domanda,
lavorare a stretto contatto con le aziende che stanno costruendo
idrogeno a basse emissioni di carbonio impianti di produzione,
distribuzione e rifornimento.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation sostengono la creazione di un quadro favorevole da parte
di governi e investitori facilitare la penetrazione nella fase
iniziale della mobilità dell'idrogeno e garantire la sua fattibilità
economica. Promuovendo l'infrastruttura corrispondente, mirano a
stabilire il mercato FCEV come pilastro aggiuntivo accanto ad altre
tecnologie di powertrain. Inoltre, le aziende stanno cercando
progetti regionali o locali per promuovere ulteriormente il sviluppo
di infrastrutture per l'idrogeno attraverso iniziative di
collaborazione.
Vantaggi della
tecnologia alimentata a idrogeno.
L'idrogeno è riconosciuto come
un promettente vettore energetico futuro per decarbonizzazione
globale. Agisce come un efficace mezzo di memorizzazione per fonti
energetiche rinnovabili, contribuendo a bilanciare domanda e offerta
e consentire un’integrazione più stabile e affidabile delle energie
rinnovabili nel rete energetica. L'idrogeno è il pezzo mancante per
completare l'elettrico puzzle di mobilità in cui i sistemi di
azionamento elettrico a batteria non sono un soluzione ottimale.
08.09.24
Colpita in Cisgiordania a un corteo contro l'espansione illegale
delle colonie. La protesta della Casa Bianca. Unrwa in allarme: Gaza
allo stremo
Via da Jenin, l'Idf uccide un'attivista Usa Nello Del Gatto
Gerusalemme
Israele è uscito dalle città del nord della Cisgiordania, in
particolare Jenin e Tulkarem, dove dal 28 agosto è in corso una
operazione che i militari hanno definito di antiterrorismo. La
notizia è stata diffusa dall'agenzia di stampa palestinese, ma
l'esercito, pur non parlando di ritiro o di continuazione delle
attività militari nell'area, ha riferito che l'operazione "campi
estivi" continuerà fino al raggiungimento dei suoi obiettivi. Per
intanto i cittadini di Jenin, Tulkarem, Tubas e dei dintorni di
Nablus, hanno potuto riprendere una vita quasi normale, si sono
celebrati i funerali di molte delle 33 vittime degli scontri tra
esercito e miliziani dei diversi gruppi che popolano l'area.
Solo a Jenin, sono stati registrati 21 morti. Il sindaco della
città, Nidal Obeidi, ha parlato di distruzione senza precedenti,
come se fosse un terremoto, con oltre venti chilometri di strade
distrutte dai mezzi blindati israeliani.
In Cisgiordania è stata uccisa da un colpo dei militari, una
ragazzina di tredici anni, Bama Laboum. La ragazzina si trovava in
casa sua quando all'esterno della stessa, nel suo villaggio, c'è
stato uno scontro tra coloni israeliani, protetti dall'esercito, e
locali palestinesi. È morta mentre si trovava in camera con sua
sorella.
Non molto lontano un altro colpo partito dal fucile di un militare
israeliano ha ucciso una cooperante turco-americana di 26 anni.
Aysenur Ezgi era arrivata martedì nei Territori Palestinesi come
volontaria dell'International Solidarity Movement (Ism),
un'organizzazione palestinese che recluta in tutto il mondo
cooperanti per operazione di presenza protettiva. Si trovava a sud
di Nablus, a Beita, insieme ad altri sette attivisti. Erano con i
palestinesi che protestavano contro l'espansione illegale degli
insediamenti a Jabal Sbeih. Per i testimoni, le forze israeliane
hanno lanciato gas lacrimogeni così da disperdere i manifestanti e
questi si sono ritirati. Nonostante fosse tutto relativamente calmo,
soldati israeliani hanno esploso due colpi, uno dei quali è costato
la vita ad Aysenur. I volontari dicono che i colpi sono stati
esplosi per uccidere. L'esercito, che ha annunciato un'inchiesta,
anche se non ha confermato l'uccisione della ragazza americana, ha
riferito che le truppe hanno aperto il fuoco contro un «principale
istigatore» che stava lanciando pietre alle forze e aveva
«rappresentato una minaccia». Il dipartimento di Stato ha espresso
le sue condoglianze alla famiglia della vittima, mentre la Casa
Bianca si è detta «profondamente disturbata» per l'accaduto. La
Turchia ha condannato l'uccisione di Aysenur parlando di «omicidio
commesso dal governo Netanyahu». Intanto a Gaza, mentre si è entrati
nella seconda fase della vaccinazione per la polio, che ha raggiunto
oltre 355 mila bambini secondo l'Unrwa, l'Onu lancia l'allarme sulla
situazione umanitaria, soprattutto l'approvvigionamento di cibo,
reso ancora più difficile dai numerosi ordini di evacuazione, con
più di un milione di persone che non sono riuscite ad avere le
razioni necessarie. Sono almeno 33, secondo i palestinesi, le
vittime degli scontri di ieri nella Striscia.
Hamas, che ha condannato l'uccisione della cooperante
turco-americana, ha aggiunto altre condizioni per l'accettazione
della tregua, soprattutto relative al numero di palestinesi da
liberare dalle carceri israeliane.
I SERVIZI SEGRETI DA CHI DIPENDONO ? LOGGIA UNGHERIA : Le
intercettazioni di Striano prima di iniziare a spiare più di mille
tra vip e manager "Ho ricevuto un ordine preciso, vado a comandare
30 persone, posso fare la guerra"
I sospetti sui dossieraggi Crosetto: "Sono i servizi"
Il documento
giuseppe legato
Febbraio 2019. Poco prima di effettuare il primo di più di un
migliaio di accessi abusivi alle banche dati collegate alla Procura
Nazionale antimafia (e cioè a partire dal 23 marzo successivo), il
tenente della guardia di Finanza Pasquale Striano, al centro di
un'articolata inchiesta della procura di Perugia su presunti dossier
contro vip, politici e manager, prometteva di fare una guerra. Non
era riuscito a rimanere in forza alla Dia e scambia messaggi con
ufficiali e sottufficiali del suo corpo di appartenenza. «Macchè, ma
chi torna alla Dia! Ho ricevuto un ordine ben preciso, vado a
dirigere trenta persone. Posso fare una guerra: alla Dia si devono
vergognare che non hanno fatto niente per trattenermi. Per uno come
me dovevano andare dal capo della polizia». Aggiunge: «Il
procuratore (Laudati ndr, co-indagato) è andato dal capo di Stato
Maggiore per me, che onore!». Nei giorni successivi tutto avverrà: e
l'interessamento per Striano di un generale già capo di Stato
Maggiore verrà confermato al procuratore Cantone, titolare
dell'inchiesta, dal capo della procura nazionale antimafia Giovanni
Melillo: «Mi parlò di Striano come ufficiale di polizia giudiziaria
di grande esperienza sulla materia». Fatto sta che il tenente
"spione", dopo un breve transito nello Scico della Finanza (un
gruppo speciale delle fiamme gialle, di eccellenza investigativa)
rientra nella procura nazionale antimafia come coordinatore del
gruppo Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) proprio grazie a
Laudati. Di lì, il profluvio di accertamenti illeciti anche sul
ministro Guido Crosetto (effettuati tra il 28 luglio e il 20 ottobre
2022 e dalla cui denuncia è originata l'inchiesta). Ministro che in
realtà lo scorso gennaio chiede, in prima persona, alla procura di
Perugia di essere sentito. Preoccupato di aver letto su un
quotidiano (Il Domani), "informazioni riservate coperte da segreto –
si legge agli atti della richiesta di misura cautelare per Striano e
il magistrato Laudati (difeso dal legale Andrea Castaldo, docente
universitario di diritto penale) rigettata nei giorni scorsi dal gip
di Perugia - in quanto relative alla partecipazione della moglie,
Gaia Saponaro, ad un concorso presso l'Aise che, essendo
un'articolazione del Dis, è una struttura le cui procedure di
reclutamento del personale sono sottoposte ad un rafforzato sistema
di protezione dei dati». Il ministro «ha riferito agli inquirenti
anche di aver rappresentato le proprie perplessità sulla possibile
provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di
sicurezza al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Alfredo Mantovano, e di aver poi direttamente conferito
anche con la Presidente del Consiglio (Meloni). Ha aggiunto, altresi,
di aver – si legge nelle 200 pagine firmate da Cantone - esplicitato
le sue perplessità anche al direttore dell'Aise, il Generale
Caravelli, e di aver chiesto di svolgere accertamenti sul punto
anche alla direttrice del Dis, Ambasciatrice Elisabetta Belloni». I
pm di Perugia sono andati a controllare «e la Presidente del
Consiglio, per il tramite del Sottosegretario, ha informato questo
ufficio di aver svolto i dovuti accertamenti, escludendo il
coinvolgimento degli organismi di intelligence interni».
LA DISPARITA' DEL COSTO ENERGETICO : Bollette, la beffa del
mercato libero I vulnerabili pagano le tariffe più alte
giuliano balestreri
Il paradosso è servito. Gli utenti vulnerabili - circa 3,8 milioni
di persone tra gli over 75 e i percettori di bonus sociali destinati
ai bassi redditi - pagano la bolletta della luce più cara di tutti.
Un effetto previsto dagli esperti e di cui il governo era stato
avvertito, ma che l'esecutivo non è stato in grado di gestire con il
passaggio al libero mercato dell'energia.
Adesso, il pasticcio rischia di trasformarsi in un boomerang oltre
ad alimentare nuove tensioni all'interno della maggioranza: la Lega,
infatti, aveva chiesto prima una proroga della transizione dal 30
giugno al 31 dicembre - ma la richiesta era stata stoppata dal
ministro Raffaele Fitto perché l'addio al mercato tutelato era stato
negoziato con la Ue - e poi votato una risoluzione che permette agli
utenti vulnerabili di passare in qualunque momento dal mercato
tutelato alle tutele graduali.
A metà luglio il presidente della Commissione attività produttive
della Camera, Alberto Gusmeroli, esultava: «Con la risoluzione in
commissione approvata dal Governo, anche i clienti vulnerabili, una
volta varato il decreto attuativo, potranno chiedere di passare al
sistema a tutele graduali. I dati ci dicono poi che 8,4 milioni di
utenze vulnerabili si trovano addirittura nel mercato libero,
esposte quindi a prezzi superiori a causa del teleselling spesso
aggressivo di certi operatori». Il problema è che di quel decreto si
sono già perse le tracce. Anche perché i tecnici devono prima capire
come intervenire senza creare distorsioni di mercato aprendo, di
conseguenza, nuovi fronti con l'Unione europea. D'altra parte
l'addio al mercato tutelato dell'Italia - avviato dal governo Renzi
nel 2014 - è stato tutt'altro che semplice. A complicare
ulteriormente lo scenario hanno contribuito le aste indette per
aggiudicarsi gli utenti non vulnerabili rimasti sul mercato
tutelato: per vincere 4,5 milioni di clienti, i big del mercato si
sono fatti la guerra a colpi di ribassi che ora devono riversare
sugli utenti passati al mercato a tutele graduali. L'Arera calcola
che beneficieranno di un risparmio medio annuo di circa 130 euro,
più del 20% della spesa media di una famiglia tipo (600 euro
l'anno).
Per rendere ancora più intricata la partita, però, l'esecutivo ha
permesso a tutti gli utenti già passati al mercato libero di
rientrare nel mercato tutelato entro lo scorso 30 giugno: una
possibilità accolta da migliaia di famiglie convinte dalla
prospettiva di risparmiare decine di euro. Una possibilità
comunicata con chiarezza anche dall'Arera, ma che è rimasta ignota a
milioni di vulnerabili.
«La scelta di permettere a chiunque di rientrare sul mercato
tutelato per poi essere assegnato alle tutele graduali è un
controsenso» ragiona un manager del settore che poi aggiunge: «Frena
il libero mercato, avvantaggia gli operatori più grandi che possono
permettersi di lavorare in perdita sui clienti retail e penalizza
chi avrebbe avuto davvero bisogno di risparmiare». Di certo, a oggi,
l'addio al mercato tutelato ha penalizzato tutti gli utenti: sul
mercato libero le tariffe sono in alcuni casi più care del 50 per
cento. Motivo per cui, già a marzo, il presidente di Arera, Stefano
Besseghini, ipotizzava la necessità di «interventi ulteriori e
diversi in relazione ai clienti vulnerabili».
GRAZIE A FASSINO E MARCHIONNE CHE SPOSTO UN POLONIA LA PANDA :
In un anno richieste 17 milioni di ore. La Uil: "Nel 2025 gli
ammortizzatori potrebbero finire". L'allarme: "A Mirafiori la
produzione è calata dell'83%"
Torino prima in Italia per cassa integrazione La Fiom: "Si temono
nuovi fermi produttivi "
Paolo Varetto
Gli operai sono tornati a Mirafiori questa settimana. Ma il timore
della Fiom, con il segretario generale di Torino Edi Lazzi, è che la
prossima settimana possa arrivare l'annuncio di un nuovo periodo di
cassa integrazione. «Con il rischio che entro la fine dell'anno
possa superare il numero delle giornate di lavoro effettivo».
Il sintomo di un male ormai endemico, visto che Torino si conferma
la città più cassaintegrata d'Italia in tutti i settori, con 17
milioni di ore e un aumento del 72,4% rispetto ai primi sette mesi
dello scorso anno. «Ma è tutto il Piemonte a registrare dati sempre
più preoccupanti – garantisce il segretario regionale della Uil
Gianni Cortese –, con un monte ore doppio: se nel resto d'Italia
l'aumento delle richieste è stato del 20%, noi siamo al 40%».
Ora le preoccupazioni si spostano sul 2025, quando terminerà il
quinquennio sul quale si calcola il tetto massimo dei 36 mesi degli
ammortizzatori sociali. «E sempre più aziende – anticipa Cortese –
sono ormai al limite. Se dovessero esaurirli, la paura è che si
possa passare ai tagli al personale, e quindi ai licenziamenti».
In questo quadro emerge il caso Mirafiori sollevato ieri mattina
dalla Fiom nel corso della presentazione della sua festa allo
Sporting Dora. «Fino a settembre – ha annunciato Lazzi – nello
stabilimento sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello
stesso periodo 2023, con un calo dell'83%. Se il trend proseguirà
così, il 2024 si chiuderà con 20 mila unità prodotte, numero
lontanissimo dalle 200 mila necessarie per mantenere in vita il sito
produttivo. Fossero anche 100 mila non basterebbero a risolvere le
difficoltà. In queste condizioni a preoccupare è il livello di
scontro sociale, destinato ad aumentare: la gente è stufa».
Situazione confermata anche dal segretario piemontese Fiom, Valter
Vergnano: «Le difficoltà del mercato dell'auto pesano anche
sull'indotto. Gli effetti non si stanno facendo sentire solo a
Torino, ma anche sulle altre province». Resta l'interrogativo di
fondo: che fare? «Portare a Mirafiori nuovi modelli – assicura il
segretario cittadino dei metalmeccanici della Cgil –, auto per il
mercato di massa, che costino poco e possano essere acquistate anche
dalle persone normali». Ma il problema è globale: senza ordini non
c'è produzione e lo dimostrano pure gli annunci di Volkswagen (che
sta valutando di chiudere stabilimenti in Germania) e Toyota che
taglia del 30% l'obiettivo di produzione delle elettriche.
Sullo sfondo deve però esserci una strategia che coinvolga il
governo e Stellantis e che vada oltre i semplici incentivi: «Se
vogliamo andare verso la mobilità elettrica – assicura Lazzi –
allora servono investimenti pubblici e privati per l'infrastrutturazione
del Paese». Ma già nelle scorse settimane Stellantis, rispondendo al
ministro Adolfo Urso, aveva ribadito gli impegni presi, che vedono
il polo produttivo di Torino centrale per la trasformazione in
corso: «Stellantis - aveva fatto sapere il gruppo - rimane
concentrata sull'esecuzione del piano per l'Italia per i prossimi
anni, già comunicato ai partner sindacali, che include progetti
importanti come quello per Mirafiori 2030».
IL DIRITTO DI SBAGLIARE : Le motivazioni del proscioglimento
di Chiamparino, Appendino e Fassino Secondo il tribunale non si
poteva mettere in campo alcuna soluzione
Sindaci e amministratori non punibili per lo smog "Impossibile
impedirlo"
giuseppe legato
In 38 pagine, depositate l'altroieri in Cancelleria, il giudice
Roberto Ruscello ha spiegato perché i titoli di reato contestati dal
pm Gianfranco Colace ad amministratori ed ex amministratori che si
sono succeduti alla guida di Comune e regione dal 2015 al 2019, non
potessero condurre a un processo vero e proprio sull'inquinamento
ambientale colposo che ha colpito la città di Torino. Con questo
titolo di reato erano stati indagati Sergio Chiamparino, Piero
Fassino, Chiara Appendino, Alberto Valmaggia, Enzo La Volta,
Stefania Giannuzzi e Alberto Unia (gli ultimi quattro in qualità di
assessori all'Ambiente). Tutti prosciolti. Perché il fatto non
sussiste. Non c'è responsabilità e nemmeno nesso di causalità tra le
misure adottate (o non adottate) dagli amministratori e
l'innalzamento dei livelli di inquinamento. Tra i quali soltanto il
pm10, – o perlomeno in misura preponderante – ha sforato in maniera
significativa le soglie. Non così è stato per il pm 2, 5, per il
biossido di azoto e per altre 4 sostanze indicate dal legislatore
come inquinanti: «È solo il pm10 – scrive il giudice – che si è
manifestato con una durata tale per comportare un deterioramento
dell'aria in termini penalmente rilevanti». La procura ha anche
contestato che la Regione non si sia attivata, in assenza o in
carenza di misure efficaci da parte dei Comuni utilizzando poteri
sostitutivi: Il giudice chiarisce: «Dal testo della norma non si
ricava alcun obbligo specifico e puntuale in ordine all'impedimento
di eventi di inquinamento a carico di alcun soggetto e, tanto meno,
a carico del presidente della Regione e dell'assessore regionale
all'ambiente». Ma è nella chiosa delle motivazioni che si
rintracciano altre valutazioni: «Vero è, piuttosto, che tutte le
indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica
acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l'accumulo di
Pm10 nell'aria della città di Torino sia da attribuire in misura
preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare».
Quindi colpa delle troppe macchine inquinanti. «Ciò comporta che la
principale, se non l'unica, misura che l'amministrazione pubblica
avrebbe dovuto in ipotesi adottare ai fini di impedire il ripetuto
superamento dei valori limite consentiti sarebbe dovuta consistere
nel divieto pressoché assoluto dell'utilizzo di mezzi di trasporto a
combustione e, tuttavia, non può non considerarsi come l'adozione di
simili misure, astrattamente idonee ad impedire l'evento
naturalistico (l'inquinamento), presentano evidenti criticità
rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di
attenzione che attengono». Quali? «La libertà di circolazione delle
persone e la tutela dell'occupazione e delle attività economiche che
vengono inevitabilmente pregiudicati dal blocco del traffico
veicolare». Il legale di Fassino Nicola Gianaria commenta: «Le
motivazioni del giudice accolgono sostanzialmente tutte le tesi
difensive e dimostrano come la sede penale non sia quella corretta
per affrontare questi temi». Aggiunge. «Questa inchiesta è stato il
primo e unico esperimento giuridico in Italia, ma non è riuscito».
07.09.24
contestato il centro sportivo
Protesta dei residenti al parco del Meisino "Fermate il cantiere" Sono scesi in strada e si sono frapposti fra i camion con a bordo
gli operai e l'area di cantiere. Così, l'altro ieri, un gruppo di
residenti di Sassi ha bloccato l'avvio dei lavori al parco del
Meisino. Il riferimento è all'intervento pianificato dal Comune per
la realizzazione di un centro sportivo, contestato da un'ampia fetta
della cittadinanza in nome delle peculiarità naturalistiche del
polmone verde. Si è trattato di una protesta soft, che però si è
trascinata per sette ore, monitorata dagli agenti della Digos. Gli
attivisti di «Salviamo il Meisino» hanno presidiato il parco dalle 9
fino alle 16, quando i mezzi di cantiere hanno lasciato l'area.
Gli operai, dal canto loro, non hanno forzato la mano. Si sono
limitati a posare alcuni jersey in cemento sul prato, senza aprire
un vero e proprio cantiere. Si tratta di un déjà-vu di quanto
accaduto lo scorso febbraio in corso Belgio, dove alcune decine di
residenti si erano messi in mezzo tra gli aceri del corso e gli
operai che, motoseghe alla mano, si erano presentati a Vanchiglietta
per tagliarli. Una protesta, quella di allora, poi sfociata in un
ricorso e nel conseguente stop (temporaneo) ai lavori.
Al Meisino, l'altro ieri, non si sono registrati momenti di
tensione: «Ci siamo limitati a dialogare con gli operai» spiega
Bruno Morra, esponente del comitato «Salviamo il Meisino». Ciò non
toglie, aggiunge, che le iniziative di dissenso proseguiranno a
oltranza: «Quando gli operai torneranno lo faremo anche noi –
assicura – Rappresentiamo gli oltre novemila cittadini che hanno
firmato la petizione online contro il progetto».
Il piano d'intervento del Comune, da 11, 5 milioni, partirà dal
recupero dell'ex galoppatoio. Prevede in uno spicchio di parco la
realizzazione di strutture sportive per diverse attività, tra cui
arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco, ciclocross, biathlon
e cricket. Dalla Città assicurano che la protesta dell'altro ieri
non ha rallentato l'avvio dei lavori: il cantiere, come da
programma, sarà aperto nei prossimi giorni.
06.09.24
SONO ANNI CHE SUGGERISCO LE TETTOIE SULLE SCALE MOBILI DELLA
METRO DI TORINO MA IL SINDACO LORUSSO
ABOLIRA' LE SCALE MOBILI SULLA LINEA 2 PERCHE' NON SI
ROMPANO: " Noi penalizzati
dai temporali I disagi ci costano un milione l'anno"
ANDREA JOLY
«Dopo gli ultimi controlli funzionava tutto. I disservizi della
metro di lunedì sono stati causati da un forte temporale nella
notte». In che senso? «Ha causato uno sbalzo di tensione». Serena
Lancione, ad del Gruppo Torinese Trasporti, risponde così agli
attacchi ricevuti per le 32 scale mobili bloccate nel giorno della
grande riapertura della metropolitana. E sottolinea: «Siamo
intervenuti subito». Restano dieci impianti da riparare: 5
rientreranno in funzione entro il 18 settembre.
Lancione, come spiega i continui disagi su scale mobili e ascensori?
«Quello di lunedì è stato un caso straordinario ed estemporaneo,
causato da un forte temporale nella notte che ha causato uno sbalzo
di tensione».
È colpa della pioggia?
«In questo caso sì. E ovviamente ci scusiamo coi cittadini. Da parte
nostra, possiamo intervenire bene e subito ed è quello che abbiamo
fatto lunedì stesso».
Quando non piove, invece, la colpa di chi è?
«Le scale mobili hanno 17 anni e ci sono dei problemi strutturali.
Per far sì che non si ripetano servirebbe coprire quelle esterne
soggette a interperie».
È una proposta nota. Si sta andando in quella direzione, 17 anni
dopo?
«Sono state fatte delle ipotesi. Il tema, qui, è legato alle
risorse, e una richiesta sarà fatta. Serve un investimento
importante ma alla luce delle nostre spese varrebbe la pena farli».
Quanto spendete per gli interventi?
«Fino a un milione di euro l'anno. E abbiamo raddoppiato il budget
per l'appalto alla ditta che deve intervenire sulla manutenzione
ordinaria e straordinaria».
Risorse che potrebbero essere dirottate altrove?
«Sicuramente».
Magari sulla metropolitana aperta ad agosto?
«No, la scelta della chiusura estiva dipende da Infra.To (società di
proprietà della Città che gestisce i lavori sull'infrastruttura,
ndr). In quel caso è un tema di sicurezza».
Perché le altre metro nel mondo non chiudono per un mese?
«Alla luce del prolungamento della Linea 1 è necessario farlo. Ed è
anche il motivo delle chiusure serali anticipate, eccezion fatta per
il venerdì e sabato».
Da domenica a giovedì chiuderà alle 21,30 ancora per molto?
«Dipende dai lavori. Le chiusure aiutano a velocizzare l'arrivo fino
a Cascine Vica».
Si dovrà aspettare fino al 2026, quando vedrà la luce il nuovo
tratto?
«Speriamo prima. La città ha chiesto a Infra.To di fare un programma
di lavoro che possa prevedere nel prossimo futuro il ripristino di
alcune fasce orarie serali, come già capita in occasione dei grandi
eventi come il Salone del Libro, ma senza rallentare l'opera».
Insomma, citofonare Infra.To. Ma Gtt cosa può fare?
«Lavorare in sinergia con la Città e Infra.To. Sulle scale mobili,
poi, entro prossima settimana attiveremo una task force in
collaborazione col Politecnico».
In cosa consisterà?
«Chiediamo aiuto a un docente esperto per indagare a fondo le cause
degli eventi».
Solo questo?
«Lavoreremo insieme. Intanto proseguiamo con gli altri interventi.
Dal punto di vista del personale le selezioni sono aperte, perché
non manchino gli autisti. Abbiamo attivato servizi con WeTaxi e Bird
per creare un'offerta più ampia. A dicembre arrivano i primi 80 dei
225 nuovi bus elettrici che aumenteranno la qualità del servizio».
Ecco: i cittadini lamentano ritardi e disservizi anche sui pullman.
A partire dai sostitutivi della metro. Soluzioni?
«Quest'estate abbiamo potenziato il servizio e i risultati ci hanno
dimostrato di saper reggere una situazione complessa con la metro
chiusa».
Ha visto le code alle fermate?
«Credo siano fisiologiche. Poi certo: possiamo migliorare e
lavoriamo tutti i giorni per farlo. Siamo consapevoli che dovremo
dedicarsi alla regolarità del servizio offerto. Ma servono anche più
risorse: il fondo nazionale per il trasporto pubblico locale è fermo
dal 2012. Il costo delle materie prime no».
Per questo visto i disservizi non si può abbassare il biglietto
della metro?
«Guardi che abbiamo ritoccato solo il costo della corsa semplice,
non quello degli abbonamenti».
Lo sa che Forza Italia chiede le dimissioni dell'assessora comunale
ai trasporti Chiara Foglietta?
«Per me è la persona giusta. Il lavoro con l'assessora funziona, è
l'interlocutrice ideale. Ha un approccio critico, ma costruttivo».
IA FLOP:
econdo Gartner, almeno
il 30% dei progetti di IA generativa (GenAI)
sarà abbandonato dopo la POC (proof of concept) entro la fine del
2025. Le cause più comuni dei fallimenti dell’IA sono
scarsa qualità dei dati, dell’inadeguatezza dei controlli sui
rischi, dell’aumento dei costi o della scarsa chiarezza del valore
aziendale.
“Dopo
il clamore dello scorso anno, i manager sono impazienti di vedere i
ritorni degli investimenti in GenAI”, spiega Rita
Sallam, Distinguished VP Analyst di Gartner. “Ma
le organizzazioni stanno facendo fatica a dimostrare e realizzare il
valore. Man mano che la portata dei progetti IA si allarga,
l’onere finanziario dello sviluppo e dell’implementazione di modelli
GenAI si fa sempre più sentire”.
Secondo Gartner, una delle principali sfide per le organizzazioni
consiste nel
giustificare gli ingenti investimenti in GenAI per il miglioramento
della produttività, che può essere difficile da tradurre
direttamente in benefici finanziari. Molte organizzazioni stanno
sfruttando la GenAI per trasformare i propri modelli di business e
creare nuove opportunità commerciali. Tuttavia, questi
approcci di implementazione comportano costi significativi, che
vanno da 5 a 20 milioni di dollari.
“Purtroppo non esiste una taglia unica per GenAI e i
costi non sono prevedibili come quelli di altre tecnologie”, aggiunge
Sallam. “La
spesa, i casi d’uso in cui si investe e gli approcci di
implementazione adottati determinano i costi. Sia che si tratti di
un’azienda che vuole rivoluzionare il mercato e infondere l’IA
ovunque, sia che ci si concentri in modo più conservativo
sull’aumento della produttività o sull’estensione dei processi
esistenti, ognuno
di questi aspetti ha diversi livelli di costo, rischio, variabilità
e impatto strategico”.
Indipendentemente dalle ambizioni dell’intelligenza artificiale, la
ricerca Gartner indica che l’IA
richiede una maggiore tolleranza per i criteri di investimento
finanziario indiretto e futuro rispetto al ritorno
immediato sugli investimenti (ROI). Si sa che i CFO non amano
investire sulla base di ritorni incerti sia nei tempi che nelle
dimensioni. Questo chiaramente favorisce i progetti IA più orientati
verso risultati tattici che strategici.
Costi sostenuti in diversi approcci di implementazione della
GenAI
Realizzare il valore aziendale dei progetti IA
I primi che hanno adottato soluzioni IA in tutti i settori e
processi aziendali riportano una serie di miglioramenti aziendali
che variano a seconda del caso d’uso, del tipo di lavoro e del
livello di competenza del lavoratore. Secondo una recente indagine
di Gartner, gli intervistati hanno registrato in media un
aumento dei ricavi del 15,8%, un risparmio sui costi del 15,2% e un
miglioramento della produttività del 22,6%. L’indagine,
condotta tra settembre e novembre 2023 su un campione di 822
dirigenti d’azienda, ha evidenziato che le soluzioni di business
sono state utilizzate in modo mirato.
“Questi dati costituiscono un prezioso punto di riferimento per
valutare il valore aziendale derivante dall’innovazione del modello
di business GenAI”, ha dichiarato Sallam. “Ma
è importante riconoscere le difficoltà che si incontrano nello
stimare tale valore, poiché i benefici sono molto specifici per
l’azienda, il caso d’uso, il ruolo e la forza lavoro. Spesso
l’impatto può non essere immediatamente evidente e può
concretizzarsi nel tempo. Tuttavia,
questo ritardo non diminuisce i benefici potenziali”.
Secondo Gartner, analizzando il valore aziendale e i costi totali
dell’innovazione del modello di business GenAI, le
organizzazioni possono stabilire il ROI diretto e l’impatto sul
valore futuro. Questo è uno strumento fondamentale per
prendere decisioni di investimento informate sull’innovazione del
modello di business GenAI.
“Se i risultati aziendali soddisfano o superano le aspettative, si
presenta l’opportunità di espandere gli investimenti scalando
l’innovazione e l’utilizzo di GenAI su una base di utenti più ampia
o implementandola in ulteriori divisioni aziendali”, conclude
Sallam. “Tuttavia,
se i risultati non sono soddisfacenti, potrebbe
essere necessario esplorare scenari di innovazione alternativi. Queste
informazioni aiutano le aziende ad allocare strategicamente le
risorse e a determinare il percorso più efficace da seguire”.
05.09.24
Giallo anche sulle riunioni per il G7 a Pompei: "Sicuri che non ci
siamo scambiati informazioni? "
La verità della manager sulle trasferte "Mai pagato, rimborsava il
ministero " Grazia Longo
Roma
Durante le ultime ore, nelle sue storie su Instagram Maria Rosaria
Boccia, scrive sostanzialmente due cose. La prima: «Io non ho mai
pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le
spese dei consiglieri». La seconda, in merito al G7 della cultura a
Pompei: «Davvero non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non
abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati
informazioni?» alludendo chiaramente al fatto che le riunioni ci
sono state, eccome. In entrambi casi il ministro della cultura
Gennaro Sangiuliano nega le circostanze. Ma non è il solo. A
proposito della programmazione del G7, anche il sindaco di Pompei,
Carmine Lo Sapio, in linea con il ministro, ribadisce che l'influencer
e imprenditrice di moda non è mai stata coinvolta per l'importante
meeting internazionale. Eppure è stato smentito da un suo post su
Facebook che dimostra esattamente il contrario.
Ieri, infatti, gli abbiamo sottoposto alcune foto che lo ritraggono,
insieme a Boccia e Sangiuliano, in Comune il 3 giugno scorso.
Proprio il giorno in cui è stato effettuato il sopralluogo agli
scavi in previsione del G7. «Ci eravamo visti giusto per un caffè».
Possibile, solo un caffè senza parlare del G7? «Proprio così,
abbiamo parlato solo dell'illuminazione notturna degli scavi».
Nessun cenno al G7? «Nessuno». A dir poco scarsa memoria. Ecco
infatti spuntare fuori il post del sindaco su Facebook del 3 giugno
in cui lui scriveva: «G7 a Pompei. Il ministro della cultura Gennaro
Sangiuliano incontra il sindaco Carmine Lo Sapio al Comune per
definire i dettagli dell'organizzazione del G7, che si svolgerà a
Pompei il prossimo 19 settembre. Al termine dell'incontro il sindaco
Lo Sapio ha accompagnato il ministro Sangiuliano da sua eccellenza
l'arcivescovo monsignor Tommaso Caputo». E poi allegate le foto del
gruppo intorno al tavolo, e un selfie, sempre di gruppo, scattato
proprio da Maria Rosaria Boccia, ben evidente in primo piano.
In merito alle spese per finanziare viaggi e hotel, invece, per la
sua presenza a Taormina per assistere al Taobuk Award Gala 2024, lo
scorso 22 giugno, Maria Rosaria Boccia «ha provveduto personalmente
al pagamento del viaggio e dell'albergo». Lo dichiara una fonte
qualificata del festival internazionale che sottolinea che «è tutto
tracciabile».
E per la presenza di Sangiuliano e Boccia al Festival della bellezza
a febbraio alla trasferta a Riva Ligure, il sindaco Giorgio Giuffra
assicura: «Ho pagato io personalmente la trasferta». Poi il ritorno
della coppia a Sanremo, a spese del casinò per i Martedì Letterari.
E per le altre trasferte? Chi ha pagato? Maria Rosaria Boccia, due
lauree in Economia di cui una telematica, racconta la verità quando
dice che era rimborsata dal ministero della Cultura? Nella biografia
di Instagram si definisce come presidente della Fashion Week Milano
Moda, malgrado la diffida della Camera della Moda del capoluogo
lombardo ad usare quel marchio. Di sicuro è una donna dai vari
interessi alla ricerca di nuove esperienze. Secondo l'opposizione
consiliare di Pompei si deve proprio a lei la scelta degli scavi
come sede del G7. «È grazie alla sua mediazione che si è rafforzato
il rapporto tra il sindaco Lo Sapio e Sangiuliano. Non a caso
quest'ultimo il 23 luglio ha ricevuto anche la chiave d'oro della
città per un costo di 14 mila euro». Ma il sindaco replica: «Queste
sono assolute fantasie. È folle pensare e insinuare che ci sia stato
da parte della signora Boccia o di qualcun altro una minima
collaborazione a questa iniziativa di Pompei. La chiave d'oro, poi,
l'avevo data anche all'ex ministro Franceschini il 20 maggio 2021».
Aziende in crisi per il caro-bollette Pagano il 50% in più della
media Ue
Alessandro Fontana Direttore del Csc
Alberto Clò Economista
Davide Tabarelli Presidente Nomisma Energia
LUIGI GRASSIA
Dice l'Istat che fra giugno e luglio il costo delle bollette di luce
e gas in Italia è aumentato del 6,7%, e questo ha comportato, con
altri effetti negativi, anche un rialzo dei prezzi alla produzione
dell'industria dell'1,3% su base mensile; non poco, in una fase di
inflazione (per altri versi) calante. Confindustria calcola fra il
40% e il 50% la spesa media extra delle aziende italiane per
l'energia rispetto alle concorrenti europee. La segretaria del Pd,
Elly Schlein, attacca: «In Italia abbiamo il prezzo dell'energia più
alto d'Europa. In Germania si pagano 82 euro per megaWatt/ora, in
Spagna 91, in Francia 54, nei Paesi scandinavi 15, in Italia 128.
Davanti a tutto questo il governo non fa nulla, anzi ha cancellato
il regime di mercato tutelato e a rimetterci sono i cittadini». Che
in Italia l'energia costi di più, e che questo danneggi le imprese
rispetto alla concorrenza internazionale (oltre a impoverire le
famiglie) è un fatto atavico, ma al netto della polemica politica,
il governo sta dando una mano a mitigare il problema o lo sta
peggiorando?
Prima ancora: come mai c'è stata questa raffica di rincari
dell'energia in un'estate che sembrava di relativa bonaccia, dopo le
fiammate del recente passato? Alessandro Fontana, direttore del
Centro studi Confindustria, dice a La Stampa che «la tendenza al
rincaro del gas, che poi si è riflessa sull'energia elettrica, ha
cominciato a manifestarsi da febbraio, con la ripresa dei consumi di
metano, e in agosto si è accentuata con l'incursione ucraina in
Russia». Anche Alberto Clò, economista e direttore della Rivista
Energia, sottolinea i fattori geopolitici: «L'attacco a Kursk ha
colpito infrastrutture energetiche strategiche», e Davide Tabarelli,
presidente di Nomisma Energia, aggiunge: «A far salire i prezzi del
gas è anche la fine, attesa per dicembre, delle esportazioni di
metano dalla Russia all'Europa, per la scadenza dei contratti. La
quota residua di export ormai è piccola, ma difficile da sostituire,
e questo rende più costosa la ricostituzione delle scorte invernali.
Poi la speculazione finanziaria amplifica l'effetto sul prezzo del
gas».
Da parte di Confindustria, spiega Fontana, la prima richiesta al
governo in tema di energia riguarda «mettere un po' più di risorse,
in occasione della legge di bilancio, sui diritti di emissione Ets
delle aziende: l'Ue consente agli Stati di rimborsarne una quota
alle aziende, ma l'Italia finora ha concesso molto meno di quanto
potrebbe, limitando la competitività delle nostre imprese. Nel medio
periodo occorre battersi per un diverso mix energetico e far tornare
in Italia la produzione da fonte nucleare».
Per quanto riguarda invece la richiesta al governo, avanzata da più
parti, di ripristinare i vari bonus energia, Andrea Giuricin,
economista dell'Istituto Bruno Leoni, dice che «avevano senso al
culmine della crisi energetica, ma oggi non più»; e sulla
fiscalizzazione delle voci accessorie in bolletta, altra iniziativa
spesso invocata, Tabarelli osserva che «in due anni ha scaricato sul
debito pubblico 70 miliardi di euro, e con il ripristino dei vincoli
europei di bilancio questo non si può più fare».
Alberto Clò sottolinea che «nell'estate 2024 il grande caldo e il
maggiore uso dei condizionatori hanno comportato un aumento dei
consumi energetici dell'8%»; l'economista aggiunge un fattore poco
citato: «Per la scarsa ventosità c'è stato un tonfo del 48% della
produzione di energia eolica. L'energia mancante ha dovuto essere
sostituita con una richiesta extra di gas, che è rincarato anche per
tale motivo».
Daniele Nicolai, dell'Ufficio studi di Cgia, sottolinea che «le
piccole imprese, per loro natura, sono quelle più a corto di
liquidità e le più esposte ai rincari dell'energia»; ma la polemica
monta anche attorno al prezzo del gas per il cliente "vulnerabile"
sul mercato tutelato, che (in base alla nuove regole) viene
calcolato a posteriori: l'Arera, cioè l'Autorità dell'energia, fa
sapere che per agosto è del 6% superiore a quello di luglio.
L'associazione di consumatori Codacons avverte che «in autunno la
situazione peggiorerà» e Assoutenti valuta che per i clienti
vulnerabili «la spesa per il metano segnerà un +25 per cento
rispetto al 2023». —
04.09.24
CANTONE NON VUOLE CAPIRE CHE HANNO AGITO PER CONTO DEI SERVIZI
SEGRETI : Manager e
politici spiati dal "finanziere infedele" Altri mille accessi
sospetti
giuseppe legato
grazia longo
Sono circa un migliaio gli accessi potenzialmente abusivi – in
aggiunta a quelli già contestati – individuati dalla procura di
Perugia a carico del tenente della Finanza Pasquale Striano, in
forza alla Dna all'epoca dei fatti contestati, finito al centro di
un'inchiesta su manager e politici "spiati". E che non fossero
soltanto quelli già emersi lo si è capito ieri mattina da
un'articolata nota inviata dal procuratore di Perugia Raffaele
Cantone, che coordina le indagini «ancora aperte e nelle more delle
quali – ha scritto – sono emersi ulteriori episodi». La nota di
Cantone, che intanto ha presentato ricorso al tribunale del Riesame
per ottenere la misura cautelare a carico dei principali indagati,
nasce dopo il rigetto da parte del gip alla richiesta di arresti
domiciliari per Striano e per il suo co-indagato, l'ex magistrato
della Dna Antonio Laudati, l'uomo che avrebbe coordinato le attività
sulle Sos (segnalazioni di operazioni sospette).
Il giudice, pur condividendo l'impianto accusatorio, ha dissentito
sulle esigenze di disporre i domiciliari che nel caso di Striano
sono aggravati dalla possibile reiterazione del reato in aggiunta
all'inquinamento delle prove («soprattutto alla luce delle
articolate relazioni che lo stesso ha dimostrato di avere e che gli
potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di
ulteriori reati»). Lo ha deciso sostenendo che – nei fatti – che
alcune delle singole contestazioni mosse agli indagati non erano più
coperte da segreto dal «momento che l'esito delle indagini è stato
disvelato con l'invito a presentarsi o con decreti di
perquisizione».
Ed è qui che le distanze tra Cantone e il giudice sono diventate
molto più larghe della fisiologica divergenza giuridica. Il capo dei
pm di Perugia sottolinea come «contestiamo fra l'altro,
l'affermazione del Giudice secondo cui gli indagati avrebbero avuto
"in tutto o in parte" accesso agli atti processuali. Al contrario,
ad oggi, nessuna discovery degli atti vi era mai stata». Parole
chiare e posizioni nette che però, alla vigilia della valutazione
che dovrà fare a breve il Collegio, sono suonate come "stonate" al
legale Andrea Castaldo, difensore di Laudati che bolla la nota del
procuratore come «inusuale per tempi e contenuti». Il ricorso per
ottenere i domiciliari «si fonda sul paventato pericolo di
inquinamento probatorio derivante da non meglio precisati ulteriori
atti di indagine».
Dall'ordinanza di diniego del gip si apprende come Laudati avrebbe
saputo, da una dipendente della procura nazionale antimafia, «di un
incontro tra la Pna e le Dda di Roma e Perugia». Ancora insiste agli
atti della richiesta di arresto «una conversazione tra Laudati e il
magistrato Alberto Cisterna già pm antimafia nel corso della quale
Laudati esplicita la sua convinzione sulla genesi dell'inchiesta».
Per Cantone è dunque «a rischio la genuinità del compendio
probatorio». Per il legale dell'ex magistrato si tratta di «un
legittimo esercizio del diritto di difesa».
L'AVEVO PREVISTO NEL 2008 MA MI HANNO
SBEFFEGGIATO : MULLER E DIES : II colosso tedesco fa saltare
la garanzia del lavoro per circa 110 mila dipendenti. I sindacati:
un attacco all'occupazione
Volkswagen, fabbriche verso la chiusura Maxi-tagli per la crisi
delle auto elettriche
claudia luise
Da un lato «difficoltà del mercato sempre più forti» con l'ingresso
di nuovi concorrenti dalla Cina. Dall'altro una rivoluzione verso
l'elettrico che stenta a decollare. Il gruppo Volkswagen ha
annunciato che non esclude la chiusura di stabilimenti e
licenziamenti in Germania nel quadro di un programma di riduzione
dei costi del principale marchio del gruppo. Un piano di austerità
che prevede lo stop alla cosiddetta "garanzia del lavoro" per circa
110.000 dipendenti in Germania: un accordo di lunga data con i
lavoratori del Paese europeo che escludeva i licenziamenti non
concordati fino alla fine del 2029. L'accordo è in vigore dal 1994.
Nel mirino del management in particolare una delle grandi fabbriche
tedesche e uno stabilimento di componentistica giudicati «obsoleti»
per i piani del gruppo. Si tratterebbe della prima chiusura di un
impianto tedesco negli 87 anni di storia Volkswagen. La casa
automobilistica ha dichiarato che i dirigenti ritengono che il
marchio debba essere ristrutturato in modo completo e che gli
attuali sforzi per ridurre la forza lavoro attraverso modelli di
pensionamento anticipato e incentivi a uscite volontarie non saranno
sufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione.
«L'ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori
stanno investendo in Europa», spiega l'amministratore delegato di
Volkswagen Group, Oliver Blume. «La Germania come sede aziendale sta
restando ulteriormente indietro in termini di competitività»,
aggiunge Blume. Da qui la conferma del gruppo: «Nella situazione
attuale, non si può escludere la chiusura degli impianti di
produzione di veicoli e componenti se non si interviene
rapidamente». I leader sindacali hanno dichiarato che
intraprenderanno una battaglia senza quartiere contro i piani.
Daniela Cavallo, a capo del Consiglio di fabbrica Volkswagen, ha
definito i piani un «attacco all'occupazione e ai contratti
collettivi» aggiungendo che «questo mette in discussione la stessa
Volkswagen e quindi il cuore del gruppo. Ci difenderemo
strenuamente».
Il marchio di punta del gruppo è da anni alle prese con costi
elevati e in termini di redditività è molto indietro rispetto ad
altri brand del gruppo come Skoda, Seat e Audi. Un programma di
riduzione dei costi lanciato nel 2023 avrebbe dovuto cambiare la
situazione e migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il
2026. Tuttavia, l'attuale debolezza delle nuove attività ha
ulteriormente aggravato la situazione. Anche perché Volkswagen è
impegnata in uno dei più ambiziosi piani di investimento
nell'elettrico con investimenti per il quinquennio 2025-2029 per 170
miliardi di euro. Quindi, per migliorare ulteriormente i profitti, i
costi dovranno essere ridotti più del previsto e si parla di altri 4
miliardi di sforbiciata.
Cinica la reazione dei mercati. Il titolo ha avuto un andamento
positivo in Borsa a Francoforte e il titolo della casa tedesca sale
del 2% a 103 euro, dopo un massimo di seduta a quota 104,4.
A pieno regime saranno 1120 i posti nel centro per il trattenimento
dei migranti. Nell'hot spot sulla costa saranno 300 Il sindacato
Uilpa della polizia penitenziaria: "In Italia un sorvegliante ogni 3
detenuti lì l'esatto contrario, è paradossale" Così su La Stampa
Un milione al mese per gli agenti
Le spese folli dietro al Cpr albanese
irene famà
roma
Tutti in corsa per l'Albania. Dove prestare servizio nei nuovi Cpr
comporta un aumento in busta paga, un centinaio di euro in più al
giorno per agenti penitenziari, poliziotti, carabinieri, finanzieri.
Più vitto, alloggio, rientro a casa. E i calcoli, per quanto
riguarda vita e spostamenti di chi parteciperà all'operazione, sono
presto fatti. Trecento unità, spiega chi è ben informato. Per un
costo che si aggira intorno ai 30mila euro al giorno. Novecentomila
euro al mese. Solo per quanto riguarda gli indennizzi di
trasferimento. Il resto delle voci? Ancora da quantificare. Perché
ogni area e ogni attività sono cosa a sé.
Gli agenti della polizia penitenziaria saranno perlopiù destinati in
un carcere a Gjader, piccolo paese a nord dell'Albania. Lì verrà
recluso chi creerà problemi al Centro di permanenza per il
rimpatrio. Si tratterà di un penitenziario maschile con ventiquattro
brandine. Quarantacinque i posti disponibili per gli agenti, oltre
tremila le domande presentate. L'incarico è vantaggioso: 130 euro in
più al giorno, un servizio previsto dai quattro ai sei mesi a
seconda del grado con la possibilità di rientrare in Italia una
volta al mese con spese a carico dell'amministrazione.
Queste le cifre e le regole d'ingaggio. Almeno sulla carta. Perché
le perplessità sono numerose. «È tutto un paradosso», tuona il
segretario generale Uilpa penitenziaria Gennarino De Fazio. Inizia
dai numeri. «Una volta si tendeva a chiudere le carceri sotto i
cento posti perché antieconomiche. Ora se ne costruisce una molto
piccola, con un rapporto agenti – detenuti decisamente
sproporzionato. Se in Italia c'è un poliziotto ogni tre reclusi,
circa 25mila per oltre 61mila persone, lì ce ne saranno tre per ogni
detenuto». E ancora. «La spesa? Sarà esorbitante. In un momento di
emergenza per le carceri italiane». Al momento, in Albania, sono
arrivati solo quattro agenti della polizia penitenziaria. D'altronde
il carcere, che avrebbe dovuto essere pronto a giugno, poi ad
agosto, poi a settembre, ancora non c'è. Si attende il primo lotto,
dicono. Poi si penserà alle partenze. Ed ecco le altre perplessità.
Le riassume bene Aldo Di Giacomo, segretario generale Spp, sindacato
polizia penitenziaria. «Chi lavora con i detenuti, sa che un errore
di comunicazione può creare problemi seri. Eppure nessuno di noi è
stato formato sul come porsi con queste persone. Ad iniziare dal
fattore linguistico». Di Giacomo prosegue. «Un corso, ad esempio
sarebbe stato utile. Così come sapere quali regolamenti faranno fede
sul territorio. Invece ci si è soffermati solo sugli atteggiamenti
da tenere in pubblico, senza considerare il duro lavoro con i
detenuti».
Gjader, un centinaio di abitanti e una manciata di case, ex base
militare durante la Guerra Fredda, ora si trova al centro
dell'accordo tra il governo italiano e quello albanese. Un paese
chiave per il primo centro di detenzione per migranti italiano
costruito in terra straniera.
C'è il penitenziario. E il Cpr vero e proprio con 1120 posti per il
trattenimento. Guai, in questo caso, a chiamarlo carcere. «Chi è al
Cpr non è detenuto», si ripete da sempre. Però da lì non si può
uscire. E ci sono i container, le recinzioni, i muri. Le forze
dell'ordine a controllare con numeri ingenti. A Gjader e a Shengjin,
ventuno chilometri più in là. Quel paese sul mare, che raccoglie
numerose recensioni su Tripadvisor non tutte entusiastiche, è la
prima tappa per i migranti che sognavano l'Italia e si trovano
confinati in Albania. Lì c'è l'hot spot per trecento persone. Lì,
come si legge in una delle ultime circolari del Ministero
dell'Interno, ci si occupa delle «procedure d'ingresso. Con attività
connesse alla gestione delle operazioni di sbarco,
pre-identificazione, registrazione della domanda di protezione
internazionale». A Gjader, poi, «gli accertamenti» per capire chi
potrà raggiungere l'Italia e chi invece dovrà essere rimpatriato.
Ogni area sarà presidiata dalle forze dell'ordine con un
«contingente interforze». Trenta i carabinieri scelti tra la Prima
Brigata Mobile, centosettantasei i poliziotti, di cui settanta del
reparto mobile e gli altri tra squadre mobili, Digos, polizia
scientifica, ufficio immigrazione, uffici tecnico-logistici
provinciali delle Questure. «Il periodo d'impiego sarà di un mese,
salvo casi eccezionali». Cento euro al giorno in più sullo
stipendio, vitto e alloggio «saranno a carico dell'amministrazione»
e la «Direzione centrale individuerà, mese per mese, le aliquote di
personale da impiegare e gli uffici territoriali da cui il personale
sarà tratto».
Chi andrà in Albania, sottolinea chi conosce il progetto, lo farà su
base volontaria. Chi ha già lavorato nei diversi Cpr d'Italia
mormora preoccupato: «E quando i volontari non si troveranno più? »
Altre perplessità. —
Odissea metropolitana pier francesco caracciolo
Uno sbalzo di corrente, che ha sovraccaricato gli impianti,
mandandoli in tilt. Gtt, spiega così i disservizi che ieri mattina,
nel giorno della ripartenza dopo un mese di stop, hanno riguardato
la metropolitana. Alle 5,30, quando i convogli sotterranei hanno
ripreso a viaggiare, all'interno delle stazioni si contavano
trentadue scale mobili ferme e due ascensori bloccati. Trentaquattro
impianti fuori uso, dunque, molti di più di quanti non funzionavano
il 3 agosto scorso, giorno dello stop del servizio.
Risultato: una pioggia di proteste da parte dei passeggeri. In
particolare di quelli con disabilità, con bagagli pesanti o problemi
di deambulazione, in difficoltà nello scendere verso i binari o
risalire in superficie.
«Imbarazzante che dopo un mese di fermo la metropolitana riparta con
questi gravi disservizi» tuona Federica Fulco, del comitato Torino
in Movimento. «Non male per una città che si vanta di esser
turistica» ironizza sui social Patrizia Farina. «Una vergogna» la
definisce invece Paolo Franci. «Ho appena scoperto che la scala
mobile in piazza Bengasi è ancora ferma: da più di un anno
aspettiamo che venga riparata» si sfoga sui social Antonio Lanzano.
Situazione particolarmente critica all'interno di due delle fermate
tra le più utilizzate: quella a Porta Nuova (fermi due scale e un
ascensore) e quella di Porta Susa-XVIII Dicembre (fuori uso due
scale). Ma problemi si sono registrati anche alle stazioni Vinzaglio,
Monte Grappa, Nizza, Racconigi, Spezia, Paradiso.
Il guasto elettrico ha bloccato ventisette delle trentadue scale
mobili ferme (e nessun ascensore). Nei giorni scorsi, durante gli
ultimi test pre-riattivazione del servizio, gli impianti
funzionavano regolarmente. Gtt ipotizza che lo sbalzo di tensione
sia legato ai lavori realizzati nell'ultimo mese quando la
metropolitana era ferma. Per queste ventisette scale mobili si è
trattato di un guasto risolvibile solo manualmente. Ecco perché
ieri, per tutta la giornata, i tecnici Gtt sono stati impegnati nel
far ripartire gli impianti. In serata le scale mobili rimesse in
moto erano ventidue. Le ultime cinque ancora fuori uso saranno
riattivate oggi in mattina.
Come detto, però, non tutte le scale mobili ferme ieri si sono
bloccate a causa dello sbalzo di tensione. Cinque sono ferme per
problemi tecnici che si trascinano da settimane, in alcuni casi da
mesi. Si trovano alle stazioni Massaua, Marche, Bengasi, Porta Nuova
e XVIII Dicembre. Gtt assicura che si tratta di guai che saranno
riparati nel giro di qualche giorno. I due ascensori bloccati si
trovano invece a Porta Nuova e Racconigi. Anche in questi casi,
assicura Gtt, le manutenzioni avverranno a stretto giro.
La linea 1 della metro era ferma dal 3 agosto su disposizione di Gtt.
Obiettivo: consentire a InfraTo (la partecipata che gestisce le
infrastrutture sotterranee) di realizzare un doppio intervento di
manutenzione lungo i tunnel. Ovvero interventi sul sistema di
comunicazione in galleria – che passerà da analogico a digitale – e
di posa dei binari all'altezza di Collegno, serviranno nel 2026, al
momento dell'entrata in funzione delle 4 stazioni in via di
costruzione dopo il capolinea Ovest di Fermi.
La ripartenza della metropolitana avvenuta ieri non decreta però
l'avvio di un'attività a pieno regime. Fino al completamento delle
opere già iniziate funzionerà a orari ridotti. Per cinque giorni a
settimana - dalla domenica al giovedì - il servizio chiuderà alle 22
(dopo quell'ora i tragitti saranno garantiti da bus sostitutivi).
Chiude invece all'1,30 il venerdì e il sabato.
03.09.24
FINALMENTE UN GIUDICE INTELLIGENTE :
Il Tribunale del Riesame : "Questo
è un ammonimento: non si attivi per posti in enti o imprese
utilizzando i suoi amici"
Il giudice a Gallo, il ras delle tessere Pd "Basta favori o può
finire ai domiciliari "
giuseppe legato
Dieci mesi di interdittiva con divieto di esercitare uffici
direttivi, anche di fatto, in seno ad associazioni e imprese.
Nessuna possibilità si svolgere pubblico ufficio o servizio di non
natura non elettiva popolare, anche per interposta persona, in seno
a qualsiasi ente pubblico o privato. «Perché insistono rischi di
possibili reiterazioni di reati». Le modalità dei fatti contestati
«impongono di inibire a Gallo per un periodo di tempo prossimo al
massimo ogni attività come è occorso quando ha instaurato relazioni
improprie con primari ospedalieri volta a influire sulla vita di
enti pubblici e privati». Con «ammonimento». E cioè: «Che anche solo
l'attivarsi per occupare posti strategici in enti e imprese
pubbliche e private tramite l'interposizione "di amici nostri" può
avere rilevanza in termini di aggravamento di esigenze cautelari».
Ergo: potrebbe essere disposta per lui la misura degli arresti
domiciliari.
I giudici del Riesame Gianluca Capecchi e Luca Leandro Ferrero
motivano in 50 pagine circa il perché a Salvatore Gallo, ex uomo
forte del Pd torinese travolto – mediaticamente e non solo –
dall'inchiesta della Dda di Torino Echidna, andava in qualche modo
fermato. Limitato nel suo metodo quantomeno clientelare (a fini
elettorali) di gestire risorse di Sitaf, società «dalla quale è
estraneo da almeno 10 anni» ma sulla quale ha continuato ad avere
influenza tanto da gestire finanche diverse tessere autostradali. Si
legge nell'ordinanza del Riesame che «Gallo, pregiudicato per
emblematici falsi ideologici che ebbero notevole risonanza mediatica
non si è sentito stimolato a continuare solo strategie lecite per
ottenere il consenso politico». Infine: «In seno a Idea-To
(l'associazione politica da lui fondata) e Sitalfa è emerso il
pericolo di come Gallo eserciti la propria influenza in modo
illecito». Come? «Secondo quanto emerso anche in sede di
perquisizioni – scrivono i giudici – vi è stato un pericoloso do ut
des oggetto di peculato». Seguono sfilza di medici, primari e
docenti universitari che hanno beneficiato della tessera
autostradale gratis per raggiungere Bardonecchia percorrendo la A32,
un'autostrada in cui parte dei cantieri in regime di subappalto –
così è emerso dalle indagini dei carabinieri del Ros di Torino -
erano appannaggio di famiglie di ‘ndrangheta: tra queste la famiglia
Agresta di Volpiano, i Pasqua legati alle potenti enclave mafiose di
San Luca). Il Collegio del Riesame ha fatto dunque sue le parole
utilizzate dal pm Valerio Longi in sede di ricorso nel quale di
Gallo viene «stigmatizzato il ruolo di sicura rilevanza in
quell'area grigia tra attività economiche e politica che egli ben
conosce e nella quale recita ancora un ruolo di primissimo piano
benchè sia – da anni – privo di cariche formali nell'ambito di
imprese nelle quali, ciononostante, continua ad avere voce in
capitolo». In che modo? «Fornendo indicazioni cogenti sulle scelte
da adottare, sulle persone da assumere, sui benefit da erogare per
non dimenticare il perdurante potere di condizionamento in occasione
di ogni competizione elettorale».
Nel corpo della pronuncia i togati analizzano anche la situazione
dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia, per il quale hanno accolto il
ricorso sul concorso esterno in associazione mafiosa, contestazione
in prima battuta non condivisa dal gip che ha firmato gli arresti
ormai quattro mesi fa. Sono passati in rassegna i suoi rapporti con
la famiglia Agresta per tramite di persone a loro vicine e legate
alla famiglia Violi ai quali – insieme ai Greco affiliati a una
‘ndrina del Crotonese – ha «consentito di accedere ai propri appalti
mediante le rispettive imprese subappaltatrici».
In definitiva: «Bellavia ha consentito per anni a mafiosi accertati
e/o presunti inserire le proprie imprese – sovente intestate a
prestanomi nelle commesse ottenute nei settori della manutenzione
stradale e dell'edilizia soprattutto per carpenteria e guardiania)
grazie alle società dei Fantini (Sitalfa e Cogefa)». Di più:
«Utilizzando tali imprese come schermi interposti di altri soggetti
pure appartenenti a sodalizi mafiosi dando luogo a fatturazioni per
prestazioni fittizie». Ciò si è tradotto «in una permeabilità di
Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite nonostante le
plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan». Inquieta
dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni presso
alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore edile
che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui (Mattioda,
Fantini)». Ergo: «per lui non basterebbe una misura meno afflittiva
degli arresti domiciliari».
IL SOLITO BLUFF PER DARE SOLDI PUBBLICI AI PRIVATI: doppia gara con
lombardia e puglia: saranno attivate sul territorio in Case e
Ospedali di Comunità, ambulatori medici, RSA
La Regione scommette sulla telemedicina 8 mila postazioni nuove per
le cure a distanza
alessandro mondo
È il tentativo più ambizioso, in termini economici ed organizzativi,
di mettere a sistema un supporto importante per la Sanità pubblica,
finora utilizzato in modo frammentario e comunque al di sotto delle
sue reali possibilità. Parliamo di assistenza domiciliare integrata,
legata a precisi parametri previsti dal Ministero per ogni regione,
e di telemedicina, quest'ultima importante per diversi motivi: per
contribuire a ridurre i divari geografici e territoriali, per
garantire una migliore "esperienza di cura" per gli assistiti, per
migliorare l'efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la
promozione dell'assistenza domiciliare e di protocolli di
monitoraggio da remoto.
I fatti si sostanziano in due gare. La Regione ha aderito a quella
della Regione Capofila Lombardia per l'acquisto di tutti i moduli di
telemedicina: televisita, teleassistenza, teleconsulto,
telemonitoraggio livello uno e due (pacemaker e defibrillatori
impiantabili), nonché dell'Infrastruttura Regionale di telemedicina
(Irt). La piattaforma Irt comprende un'ampia serie di strumenti e
funzionalità estesa, oltre all'erogazione dei servizi di
telemedicina, anche in ambiti quali l'Intelligenza Artificiale, la
gestione del rischio clinico, la configurabilità avanzata (schemi di
refertazione, elenchi di asset e risorse, un pannello di controllo
per il monitoraggio di indicatori e report statistici). La seconda
gara, invece, vede come capofila la Regione Puglia e prevede
l'acquisto di 7.522 postazioni di telemedicina con la relativa
logistica. Si tratta dell'allestimento delle postazioni per la
fornitura dei servizi all'interno di case di comunità, ospedali di
comunità, ambulatori dei medici, Rsa e strutture domiciliari.
Per dare gambe al progetto lo scorso maggio la Regione aveva
approvato una delibera di giunta che ripartisce ad Azienda Zero,
diretta da Adriano Leli, 38 milioni di fondi Pnrr per il progetto:
23 milioni per il software e 15 per le postazioni di lavoro. Una
risposta al progressivo invecchiamento della popolazione, una
declinazione dell'assistenza territoriale, specialmente nei
distretti poco serviti come quelli montani e delle valli,
un'occasione per migliorare le prestazioni e ridurre le liste
d'attesa.
Una fonte di risparmio per il servizio sanitario pubblico, anche,
nella misura in cui riduce l'accesso ai pronto soccorso. Tutto
questo, a patto di superare limiti segnalati dal nostro giornale già
nel 2020. In primis, l'eccesso di software, parcellizzati tra gli
ospedali e sovente incapaci di dialogare. Ora si fa sul serio,
almeno si spera.
02.09.24
ELON MASK AUTODISTRUZIONE PER DROGA:
Da ieri X non cinguetta più in Brasile. Un nuovo Paese si aggiunge
alla lista di quelli che proibiscono il social media di Elon Musk.
Gli operatori di internet e telefonia mobile hanno accolto la
decisione del ministro della Corte Suprema (Stf) Alexandre de Moraes,
chi non lo fa rischia multe salatissime e la revoca della licenza.
Proibita anche la scappatoia via Vpn, il tunnel virtuale attraverso
il quale un utente può navigare come se fosse geolocalizzato in un
altro Paese. Se ti beccano scatta una multa di 50.000 reais - quasi
9.000 euro - e una denuncia penale.
È l'epilogo di un lungo braccio di ferro, una querelle più politica
che giudiziaria, iniziata subito dopo l'assalto ai palazzi del
potere di Brasilia nel gennaio del 2023, quando gli attivisti più
estremi dell'ex presidente Bolsonaro tentarono un colpo di mano per
rovesciare la vittoria del progressista Lula da Silva. La Corte
Suprema ha indagato gli account social dei facinorosi ma anche
quelli di giornalisti, politici e intellettuali che in qualche modo
avessero incitato alla ribellione, considerandoli come i mandanti
intellettuali di quell'azione. Da lì è scattata la richiesta di
sospensione: Meta, che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp ha
"obbedito", quelli di X, invece, hanno fatto orecchie da mercante.
Moraes ha puntato il dito contro Musk, che a sua volta lo ha bollato
di despota e nemico delle libertà d'espressione. La politica si è
divisa: la sinistra con il giudice, tutta la destra, da Bolsonaro in
poi, col patron di Tesla. Quando la multa accumulata da X è salita
fino a tre milioni di euro, Musk ha chiuso gli uffici brasiliani.
«Salviamo i nostri collaboratori - ha spiegato - ma non abbiate
paura; la nostra voce non sarà silenziata». De Moraes gli ha chiesto
di nominare un rappresentante legale e ha pure bloccato i conti
correnti di Starlink, la società che fornisce internet satellitare e
che in pochi mesi ha conquistato una fetta grande quanto lo 0,4% del
mercato brasiliano. Decisione, questa, criticata persino dai
militari già che quei satelliti servono oggi per comunicare in zone
rurali e in Amazzonia. La chiusura, a questo punto, potrebbe durare
a lungo. «Uno pseudo giudice - ha detto Musk - che non è stato
eletto da nessuno vuole uccidere la libertà d'espressione». Per la
Costituzione brasiliana, i giudici della Corte Suprema sono scelti a
dito dai presidenti di turno, un massimo di tre alla volta. De
Moraes, ad esempio, fu nominato da Michel Temer nel 2017. Il
presidente Lula ha appoggiato la Corte. «Chi si crede di essere
questo signore (Musk), solo perché ha tanti soldi pensa che può
agire fuori dalla legge ? Non siamo una repubblica delle banane!».
Per Musk la sospensione è un duro colpo, visto che il Brasile è il
sesto mercato mondiale di X, con 22 milioni di utenti (fonte
Statista). Da Brasilia fanno notare che recentemente il milionario
si è piegato alle regole dettate dall'India e dalla Turchia, il
terzo e settimo mercato di X. E molti si chiedono perché abbia
voluto spingersi fino a tanto proprio in Brasile. La ragione,
probabilmente, è tutta politica.
Musk da tempo si è eretto ad alfiere e voce libera e spregiudicata
della destra delle Americhe. Fa campagna apertamente per Donald
Trump, ha ricevuto due volte negli States l'argentino Javier Milei,
è molto legato a Jair Bolsonaro e ai suoi figli, è intervenuto
recentemente contro la rielezione di Nicolas Maduro in Venezuela. A
differenza dei social Meta, la rete di X / Twitter è diventata il
terreno libero di cospirazionisti e terrapiattisti, antiabortisi e
antigender. Una terra di nessuno gestita da un padrone chiaramente
schierato a destra, che volentieri dà una mano ai suoi amici di
turno.
In Brasile a inizio ottobre si vota per eleggere i sindaci in tutte
le città. X è stata fino ad adesso una delle piattaforme preferite
del mondo conservatore. A livello globale, però, il cerchio si
stringe attorno a Musk e dagli Stati Uniti fanno sapere che il
magnate potrebbe limitare i viaggi all'estero per evitare di fare la
fine del fondatore di Telegram Pavel Durov, arrestato in Francia.
I leoni del free speech devono stare attenti a dove vanno a finire.
Il mondo reale è sempre più pieno di insidie.
Aimaro Isola
L'architetto ex ragazzo partigiano "Abbiamo rispettato il paesaggio
ma i boschi verticali non esistono"
Contro i grattacieli
"
La Borsa di Torino
La Bottega di Erasmo
"Talponia" per la Olivetti
L'enciclopedia di Diderot e D'Alembert è lì, nell'angolo in fondo,
rilegata in bianco pergamena: «È la mia preferita, Voltaire è uno
dei miei riferimenti». Tempi duri per i laici, gli integralismi
imperversano in ogni religione: «Ma noi nuovi illuministi
resisteremo». È curioso sentir pronunciare questa frase nella
biblioteca che fu il quartier generale dei partigiani del Pci del
comandante Barbato, Pompeo Colaianni. Per il barone Aimaro Isola,
uno dei più noti architetti italiani, il castello è la sua casa di
famiglia: «Io ero un ragazzo. Avevo sedici anni. Ma mi piaceva
sentire le discussioni tra i partigiani. C'erano i comunisti come
Barbato ma c'erano quelli come Felice Burdino e Raimondo Luraghi che
non lo erano. Burdino era un uomo atletico, di azione, uno che
conosceva la montagna. Un giorno entrò in questa biblioteca, guardò
in alto e stupì tutti dicendo: "Vedete, quella è una rara edizione
delle Operette morali di Leopardi". Allora capimmo che era uno
addestrato a combattere ma soprattutto un intellettuale». Su che
cosa si accapigliavano in quelle discussioni? «Su quel che si
sarebbe dovuto fare dopo la fine della guerra».
Il castello di Bagnolo, antica roccaforte militare all'incrocio tra
le valli del Pellice e del Po, è da quasi mille anni la residenza
dei Malingri, feudatari degli Acaja. La madre di Aimaro, la contessa
Caterina Malingri, sposò il barone Vittorio Oreglia Isola: «La mia
era una famiglia di letterati, politici, artisti e militari»,
racconta Aimaro, oggi lucidissimo 96enne. Fa un certo effetto
immaginare Pompeo Colajanni che discute della rivoluzione bolscevica
sotto lo sguardo severo del conte Coriolano Malingri di Bagnolo,
senatore del regno di Sardegna e primo traduttore integrale dal
greco delle commedie di Aristofane. «Questi ritratti ne hanno viste
e sentite di tutti i colori. Quando arrivavano i tedeschi e i
fascisti a fare il rastrellamento noi partigiani ci nascondevamo
dove si poteva. Un giorno Plinio Pinna Pintor saltò il muro e finì
nella ghiacciaia. Per molti anni, ogni volta che veniva a trovarmi,
voleva che lo portassi a vedere la fossa del ghiaccio».
Anche Aimaro, come gli antenati che erano generali, studiosi,
politici, avrebbe voluto seguire le tradizioni di famiglia: «Ho
sempre montato a cavallo, fin da ragazzo, ho smesso non molti anni
fa. Pensavo che avrei percorso la carriera militare in cavalleria.
Poi ho incontrato una chiromante». Proprio così, come nei film: «Mi
ha afferrato la mano e ha detto: "Per te vedo un futuro a metà
strada tra il disegno e la matematica". La presi per matta ma alla
fine aveva ragione lei: che cos'è in fondo il mestiere
dell'architetto? ».
All'università incontra il socio di una vita, Roberto Gabetti: «I
nostri padri erano amici di gioventù. Il mio mi spingeva a
frequentare Roberto, io, ovviamente, mi tenevo alla larga. Volevo
fare di testa mia. Poi un giorno ci troviamo fianco a fianco a
ritrarre una modella: allora si faceva il disegno dal vero.
Cominciammo una discussione e dalla sede della facoltà, al castello
del Valentino, finimmo passeggiando fino in centro». Sodalizio
fortunato: «Appena laureati vincemmo il concorso per progettare la
sede della nuova Borsa valori di Torino ". Un edificio che sorge nel
cuore della città, in via San Francesco da Paola, sul luogo dove
allora c'era il laboratorio di una pasticceria torinese, la Daturi e
Motta: «Facendo i sopralluoghi al cantiere si sentiva ancora l'odore
di panettone. Avevamo concepito il progetto come una innovazione che
però si inseriva e rispettava il tessuto urbano. Non ci piaceva
l'idea, allora molto diffusa, di un'architettura moderna che facesse
a pugni con il paesaggio, che rompesse con l'esistente. Utilizzammo
lo stesso criterio pochi anni dopo realizzando, sempre nel centro di
Torino, la Bottega di Erasmo, esaltando i materiali della tradizione
artigiana». Una rivoluzione all'inizio degli anni Sessanta: «Diciamo
pure una provocazione. Era il periodo dei metri cubi, il boom dei
grattacieli, del vetro, dell'acciaio e del cemento. I nostri lavori
erano all'opposto di tutto questo, contro l'idea di un'architettura
come segno violento che spezza l'esistente». Quale fu la reazione?
«Il processo da parte degli architetti modernisti. Venimmo convocati
a una riunione. Ci dissero che i nostri progetti erano contro tutti
i principi della Modernità. Due dei più aspri nella critica furono
Manfredo Tafuri e l'inglese Banham. Tafuri, anni dopo, venne a
chiederci scusa, si ravvide, lo disse e lo scrisse». La provocazione
dà gusto e non di rado entusiasmo: «L'avevamo imparata
all'università dove negli anni Sessanta avevamo organizzato la
rivolta degli assistenti contro i vecchi metodi accademici». Un
barone contro i baroni.
Oggi i principi di Aimaro Gabetti e Roberto Isola sono seguiti dalla
maggioranza degli architetti. Certo allora erano dirompenti.
«L'Italia degli anni Sessanta credeva, come noi, che l'amianto fosse
un isolante meraviglioso. Una volta alla settimana andavamo a Casale
Monferrato a studiare i nuovi materiali da utilizzare nei nostri
cantieri. Ma qualcosa di buono si fece anche allora se, ad esempio,
una parte degli arredi interni della Borsa di Torino oggi sono
esposti al Moma di New York». Al di là del giudizio dei colleghi,
che animava le discussioni accademiche, era quello dei committenti
che contava. E non era facile andare controcorrente. Liti,
incomprensioni? «Liti no. Qualche momento di stupore sì. La Olivetti
aveva necessità di creare a Ivrea una residenza per quei dipendenti
che rimanevano temporaneamente in città. L'idea originaria era
quella di costruire un grattacielo che permettesse ai residenti di
vedere dall'alto gli uffici e la fabbrica. Ci presentammo con una
proposta praticamente opposta: un grande edificio circolare ipogeo,
che si integrava perfettamente nella collina di fronte alla sede
Olivetti. Quasi non si vedeva. Mi ricordo lo stupore e il silenzio:
si passavano i fogli del progetto guardandosi negli occhi senza dire
una parola. Poi l'idea venne approvata. Gli abitanti di Ivrea
chiamarono quella struttura Talponia. Io ne ero molto orgoglioso: fu
l'inizio di una tendenza di attenzione al paesaggio ed ad un nuovo
rapporto tra architettura e natura. Una sera, ci eravamo appena
conosciuti, ci portai Consolata, la mia futura moglie. Purtroppo
c'era la nebbia e non lo potè vedere. Ma ci sposammo lo stesso».
Eppure non sempre l'architettura dirompente è brutta. I francesi
hanno avuto il coraggio di piazzare una piramide di vetro nei
giardini del Louvre. Renzo Piano ha fatto atterrare l'astronave del
Beaubourg a poche centinaia di metri da Notre Dame, avendo il
coraggio di mettere in mostra tutto lo scheletro della struttura.
Non approva? «Beh certo, la piramide del Louvre, Beaubourg, tutte
opere fondamentali, importantissime. Ma quanti altri Beaubourg sono
stati fatti? Nessuno, perché i costi di manutenzione sono alti. E
poi se la natura ci ha creato nascondendoci lo scheletro, ci sarà un
motivo no? ». C'è forse una soluzione: i grattacieli colmi di verde.
«Ah il bosco verticale. Ma i boschi non sono verticali. È una
soluzione innaturale». Insomma lei ce l'ha con i grattacieli:
«Starei molto attento. Hanno costi di gestione alti. Spesso
diventano grattacapi realizzati per coccolare l'orgoglio di
qualcuno». Però offrono una vista spettacolare sulla città: «Se
voglio guardare la città dall'alto mi affaccio quando sto per
atterrare». Quando l'architettura è coraggio, innovazione? «Io credo
che si debba costruire per la vita, per le persone, non per avere un
posto nei libri. I veri innovatori, In Italia, sono stati i Nervi, i
Morandi. Ho lavorato con loro. Loro si che hanno avuto coraggio».
Morandi è inevitabilmente legato alla tragedia di Genova:
«Scommettere sul cemento armato si può fare a patto che ci sia una
manutenzione costante. Tutte le volte che ultimamente passavo sopra
quel ponte l'asfalto faceva le montagne russe. È l'effetto fluage: i
cavi di tensione con il tempo mollano». Che tipo era Morandi? «Un
grande. Me lo figuravo come un costruttore di acquedotti dell'antica
Roma». E Nervi? «Partecipammo anche noi alla gara per costruire il
palazzo del Lavoro di Italia'61 a Torino. Vinse lui con un progetto
di grande eleganza. Oggi il mio studio (con mio figlio Saverio) sta
ristrutturando il palazzo che Nervi realizzò a Torino Esposizioni».
Si è fatto tardi. È venuta l'ora di pranzo, bisogna lasciare la
biblioteca. Ricompare Consolata, la moglie di Aimaro, vera anima
della vita dell'architetto e delle molteplici attività,
dall'agriturismo all'organizzazione di eventi, che si svolgono nelle
cascine ristrutturate ai piedi del castello. In fondo al parco c'è
il laboratorio di scultura di Hilario, figlio di Aimaro e artista di
livello internazionale. Il laboratorio funziona con l'energia
prodotta dal vecchio mulino recuperato. Consolata accompagna gli
ospiti con gentilezza. È lei che tiene i contatti con il mondo. Nel
suo logo di whatsapp c'è uno stemma e la scritta "Virtus fortuna
favente", il coraggio con il favore della fortuna": «È lo stemma
della mia famiglia. Mio padre mi chiamò Consolata per un voto fatto
durante una battaglia aerea in Africa». Ma questa è un'altra storia.
—
01.09.24
Il gioco dei ladri del Terzo valico materiali sbagliati, tutto da
rifare GIAMPIERO CARBONE
NOVI LIGURE
Le "ombre" sul Terzo valico dei Giovi ora non riguardano più
soltanto i tempi di conclusione dei lavori. C'è dell'altro: uno
spreco di risorse pubbliche per un'opera ferroviaria ormai
costosissima - oltre 7 miliardi per 53 chilometri - che si trascina
dal 2012, tra Genova e Tortona. A Novi Ligure (Alessandria) c'è una
distesa di conci stoccati in un'area dismessa. Migliaia di blocchi
in cemento armato. Dovevano servire per realizzare i 27 chilometri
di galleria sotto l'Appennino, tra Liguria e Piemonte, invece da
settimane decine di Tir ogni giorno li trasportano a decine di
chilometri, a Rocca Grimalda e Castellazzo Bormida, perché vengano
demoliti.
La realizzazione del doppio tunnel sta incontrando evidenti
difficoltà, non solo per la presenza di amianto e gas: in
particolare dal 2022, tra Arquata Scrivia e Voltaggio, lo scavo
verso sud è stato bloccato a causa della conformazione delle rocce,
talmente friabili da impedire alle due talpe meccaniche, enormi
macchinari lunghi fino a 100 metri, di procedere. Dopo vari
tentativi nel 2023 Cociv - il consorzio Cociv guidato da Webuild che
ha l'appalto per la maxi opera - ha sventolato bandiera bianca: le
talpe sono state messe da parte e smontate con costi mai resi
pubblici e da allora lo scavo procede a colpi di martellone. I conci
servivano a costruire la volta della galleria ed erano posati in
automatico dalle talpe; invece ora si va avanti con gettate di
cemento. L'appalto per la costruzione dei conci è costato 30 milioni
ed era stato affidato nel 2018 alla Società prefabbricati per
infrastrutture (Spi) di Cremona, che li ha prodotti in provincia di
Alessandria, a Castelletto Monferrato e Carrosio. Da lì venivano
trasferiti nel cantiere di Radimero, ad Arquata Scrivia, finché sono
serviti ma l'azienda lombarda fa sapere che la commessa è stata
comunque conclusa a luglio del 2023, quando le talpe erano già "in
panne" ormai da tempo. Proprio per questo Spi ha dovuto stoccarli a
Novi Ligure in attesa di sapere cosa fare. In cinque anni, l'azienda
lombarda ha prodotto 2.500 "anelli", composti da 8 conci ciascuno.
Circa 1.200 sono stati utilizzati per le gallerie e 1.300 messi a
deposito, 200 nei cantieri e 1.100 a Novi Ligure. «Attualmente –
spiegano da Cremona – a Novi sono ancora stoccati 850 "anelli".
L'area dovrebbe essere liberata entro ottobre». Rfi, società delle
Ferrovie committente del Terzo valico per conto dello Stato, spiega:
«Come noto lo scavo delle gallerie di Valico con l'utilizzo delle
due frese non ha potuto proseguire, a causa dei noti problemi
geologici, e le talpe si sono dovute fermare».
I blocchi di cemento vanno al macero perché non servono più. Nemmeno
in altri cantieri dove si è provato a "piazzarli", perché le
caratteristiche della roccia da scavare e delle frese utilizzate
sono incompatibili. E dunque non resta che polverizzarli. Rfi nulla
rivela sul costo di questa attività di smaltimento dei conci ma è
noto che il costo di costruzione di ciascun blocco - filtra dal
Cociv - si aggira sui 6-7 mila euro. Quelli da smaltire, secondo i
promotori del Terzo valico, sarebbero un migliaio, dato che si
scontra con i dati forniti dalla Spi. Parliamo comunque di almeno
una decina di milioni persi.
L'obiettivo di Cociv è ricavare cemento da rivendere sul mercato per
limitare il danno alle casse pubbliche, già molto generose per il
Terzo valico, visto che il limite di spesa fissato nel 2010 in 6,5
miliardi è stato ampiamente superato. Lo scorso anno il governo ha
assegnato altri 700 milioni per fronteggiare "l'emergenza
geologica", vale a dire proprio lo stop alle talpe meccaniche sotto
l'Appennino e le relative conseguenze, compreso evidentemente lo
smaltimento dei conci.
«Dagli anni ‘90 al 2012 – spiega Mario Bavastro di Legambiente -
Cociv ha eseguito una miriade di sondaggi geognostici sull'Appennino
proprio per comprendere la situazione dal punto di vista geologico
in vista dello scavo del tunnel. Ora ci tocca vedere i conci mandati
allo smaltimento con ulteriori costi per le casse pubbliche». Rfi ha
giustificato il problema geologico con la profondità della montagna
in quel tratto. Di recente un altro intoppo: cantieri fermi a causa
della presenza del gas grisù. È stato necessario potenziare i
sistemi di aspirazione nelle gallerie per evitare pericoli per gli
operai. Ora l'attività è ripresa.
Un'opera che non sembra conoscere pace, il Terzo valico. Anni fa -
come con la Torino-Lione - il primo governo Conte aveva provato a
fermare l'opera. L'analisi costi-benefici commissionata nel 2018 ad
alcuni studiosi indipendenti aveva dato esito negativo, ma i lavori
erano in fase talmente avanzata che fermarli avrebbe comportato
oneri molto più ingenti. Ora il timore dell'attuale governo è
perdere i fondi del Pnrr assegnati all'opera: la data limite entro
cui chiudere i cantieri è il 2026 ma il commissario Calogero Mauceri
parla già del 2027 assicurando però che l'anno prima verrà attivata
la prima canna. Una scommessa sempre più ardua da vincere.
31.08.24
Quell'offensiva in Russia coi droni di legno Le armi "fai da te" che
cambiano la guerra Francesco Semprini
new york
I droni "low cost" che cambiano il corso della guerra. Aziende
ucraine stanno producendo centinaia di droni d'attacco di "sola
andata" a costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per
produrre gli stessi modelli in Occidente. Si tratta sovente di droni
di legno facili da montare, una formula che ricorda quella di un
noto produttore di mobili "fai da te", vista anche per la
coincidenza dei colori nazionali, giallo e blu, con cui vengono
fregiati i velivoli.
Francisco Serra-Martins, ex ingegnere dell'Esercito australiano e
fondatore di Terminal Autonomy, spiega alla Bbc che con un maggiore
sforzo in termini di investimenti in questo genere di armamenti le
sorti del conflitto possono volgere a favore di Kiev.
La sua società, nata non prima di 18 mesi fa, produce più di cento
droni a lungo raggio AQ400 Scythe ogni mese, con una gittata di 750
km. A cui si sommano centinaia di AQ100 Bayonet a corto raggio in
grado di volare per alcune centinaia di chilometri. I droni sono
fatti di legno e vengono assemblati – non a caso – in ex fabbriche
di mobili. Serra-Martins ha fondato l'azienda con il suo socio
ucraino, grazie a finanziamenti americani, diventando una delle
almeno tre realtà che producono nel Paese velivoli senza pilota su
larga scala. «Sono sostanzialmente mobili volanti: li assembliamo
come si fa con quelli di Ikea», spiega l'ex militare. Il Bayonet
vale qualche migliaio di dollari, a fronte del costo di un missile
di difesa aerea russo usato per abbatterlo che può superare il
milione di dollari.
L'Ucraina ha intensificato i suoi attacchi a lungo raggio
all'interno della Russia negli ultimi mesi, lanciando decine di
droni (kamikaze) simultaneamente su obiettivi strategici più volte
alla settimana. Gli obiettivi includono basi dell'aeronautica,
depositi di petrolio e munizioni e centri di comando.
Non sono solo i droni "low cost" a fare la differenza. Palantir,
grande azienda statunitense di programmi e analisi dati, è stata una
delle prime società tecnologiche occidentali a supportare lo sforzo
bellico dell'Ucraina, trasferendo software per migliorare la
velocità e la precisione dell'artiglieria. Ora fornisce nuovi
strumenti per pianificare gli attacchi con droni a lungo raggio,
attraverso una mappatura precisa del territorio.
L'esecuzione degli attacchi è coordinata dalle agenzie di
intelligence ucraine, ne possono essere impiegati sino a sessanta
per colpire un determinato obiettivo. I raid vengono eseguiti
principalmente di notte, affiancati da attività di "jamming" per
contrastare l'interferenza elettronica russa. Sino a oggi solo il
10% dei droni raggiunge l'obiettivo, ma gli esperti stanno lavorando
per migliorarne progressivamente le prestazioni.
L'Ucraina crede di poter fare ancora di più con l'aiuto di armi a
lungo raggio di fabbricazione occidentale, finora tuttavia gli
alleati hanno respinto le richieste di Kiev. Ci sono timori
persistenti, soprattutto a Washington e Berlino, che ciò possa
trascinare la Nato nel conflitto. Questo però non impedisce alle
aziende occidentali, almeno dal punto di vista del "know-how"
tecnologico, di aiutare Kiev che sta già sviluppando un nuovo
missile da crociera, dieci volte più economico dello Storm Shadow
britannico. Al di là dei dubbi degli alleati, l'Ucraina sta
pianificando di intensificare i suoi attacchi alla Russia, secondo
Serra-Martins: «Quello che stiamo vedendo ora non è niente in
confronto a quello che vedremo entro la fine dell'anno» .
Intanto, una fonte americana fa sapere che Kiev ha perso uno dei sei
caccia F-16 forniti da Paesi occidentali in quello che ha definito
«un incidente». Il funzionario statunitense che ha mantenuto
l'anonimato ha detto al Wall Street Journal che il jet, di
fabbricazione americana, è precipitato lunedì durante i massicci
raid russi su una quindicina di regioni ucraine.
Torino rimane agli ultimi posti per lo smog tra 372 città Ue Emanuele Bonini
Paolo Varetto
Bruxelles-torino
L'aria di Torino è irrespirabile. Tante, troppe le polveri
ultra-sottili (Pm 2,5) presenti in atmosfera, che pongono il
capoluogo agli ultimi posti in Europa per qualità ambientale.
L'Agenzia europea dell'ambiente (Eea) ha aggiornato l'indice di
inquinamento urbano, e gli ultimi dati sono senza appello: Torino è
362esima su 372 città censite.
La media di Pm 2,5 nel 2022 e 2023 è di 21 microgrammi per metro
cubo, più di quattro volte la soglia fissata dall'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms) per prevenire morti premature (5
microgrammi per metro cubo).
Qualità dell'aria «povera», dunque, secondo la classificazione dell'Eea,
che conferma le problematiche strutturali della città. Dal 2015 al
2022 la concentrazione di polveri ultrasottili a Torino è sempre
stata elevata. A Lingotto e Rebaudengo, le due principali stazioni
di rilevamento, i valori hanno oscillato tra un minimo di 19,34
microgrammi per metro cubo (2019) e un massimo di 33,41 (2017),
mentre nel 2020 il dato è stato di 22,48.
Il Italia ci sono realtà con concentrazioni di Pm 2,5 anche più
alte, e sono molte le città del Paese con una qualità dell'aria
povera. Nel 2020 la Corte di giustizia dell'Ue ha già condannato
l'Italia per eccesso di sforamenti dei limiti di polveri sottili (Pm
10) e sempre la Corte Ue ha condannato l'Italia nel 2022 per troppo
ossido di azoto (No2).
Lo stato di salute torinese per le Pm 2,5 concorre una volta di più
a mettere il Paese nel mirino comunitario: o si inverte rotta o ci
saranno altre procedure. Un invito che riguarda Torino e tutto il
Piemonte, visto che anche Novara (330esima su 372), Asti (348esima)
e Alessandria (352esima) spingono il Paese verso il basso.
Una condizione di cui il Comune di Torino è consapevole, così come
però attende che la stessa Commissione europea dia il proprio via
libera al "Climate city contract", un pacchetto di azioni che punta
a un taglio rispetto al 2019 di circa l'80% del Co2 entro al 2030.
Un'altra progettualità con l'intento di entrare a far parte nel
ristretto club delle cento città europee che vogliono un impatto
climatico zero.
Dall'Unione al momento la Città può contare sui benefici garantiti
dal Pnrr e dagli altri fondi comunitari. La mobilità sostenibile
resta uno degli asset strategici per il miglioramento della qualità
dell'aria, con le nuove fermate della linea 1 della metro, l'avvio
dei lavori per la linea 2, il prolungamento dei percorsi di bus e
tram. Oltre 380 milioni saranno destinati a rinnovare il 70%
dell'attuale flotta del trasporto pubblico, con mezzi ecologici che
abbatteranno del 98% le emissioni di particolato in quattro anni. Il
trasporto su rotaia passerà da 70 a cento chilometri e si continuerà
a investire sulle piste ciclabili, dopo i 30 chilometri di nuovi
tracciati realizzati negli ultimi due anni. Infine il fronte che
interessa il patrimonio edilizio pubblico, con oltre 850 scuole e
altri edifici di proprietà della Città che entro fine 2029 saranno
riqualificati dal punto di vista energetico, grazie a un accordo
sottoscritto con Iren.
30.08.24
TECNICAMENTE GLI INDAGATI DOVREBBERO ESSERE TUTTI I SOPRAVVISSUTI
MAGGIORENNI:
Altri due indagati per il naufragio del veliero
Il registro degli indagati porta ora tre nomi. Dopo il comandante
James Cutfield che martedì si è avvalso della facoltà di non
rispondere, i pm di Termini Imerese indagano per naufragio colposo e
omicidio colposo plurimo altri due componenti dell'equipaggio del
Bayesian, colato a picco durante una tempesta davanti alle coste
palermitane il 19 agosto. Si tratta dell'ufficiale di macchina Tim
Parker Eaton e del marinaio inglese Matthew Griffiths, che la notte
della bufera era di guardia in plancia. Se per gli inquirenti il
capitano non avrebbe adottato le misure necessarie a mettere in
sicurezza l'imbarcazione e non avrebbe prestato adeguato soccorso ai
passeggeri, Eaton non avrebbe attivato i sistemi di chiusura dei
portelloni della nave. Una disattenzione che ha fatto entrare acqua
nella sala macchine, provocando un blackout, e poi nell'intero
veliero, che si è inabissato in 16 minuti. Il marinaio in plancia,
invece, è accusato di non aver avvertito in tempo della tempesta in
arrivo i passeggeri. In sette, il magnate inglese Mike Linch, la
figlia 18enne, il presidente della Morgan Stanley International
Jonathan Bloomer e sua moglie Anne Elizabeth Judith Bloomer,
l'avvocato Chris Morvillo e la moglie Nada e il cuoco di bordo
Ricardo Thomas hanno perso la vita nel naufragio rimanendo
intrappolati nello scafo. Quindici, invece, i sopravvissuti. Già
domani, salve nuove valutazioni dei pm sulle iscrizioni nel registro
degli indagati, dovrebbe essere dato l'incarico per le autopsie ai
medici del Policlinico di Palermo, mentre gli indagati potranno
nominare loro consulenti che parteciperanno agli accertamenti
medico-legali. Si apprestano intanto a lasciare l'Italia i
componenti dell'equipaggio che, dal giorno dell'incidente,
alloggiano all'hotel Domina-Zagarella. Nei confronti dei tre
indagati non ci sono provvedimenti restrittivi ed eventuali atti
istruttori potranno essere svolti anche nei loro Paesi di residenza.
—
SI ERA CAPITO : Brandizzo, la catena degli errori "Il responsabile
distratto dal telefonino"
giuseppe legato
torino
Pochi minuti prima di «saltare come birilli» investiti in pieno da
un convoglio regionale a traino di 12 carrozze che viaggiava
(vuoto), a 150 km orari da Alessandria verso Torino, i cinque operai
della Sigifer, azienda di borgo Vercelli che effettua manutenzione
per Rfi, avevano avuto un via libera a scendere sui binari per
iniziare i lavori: «Se dico treno buttatevi di là» li avverte,
immortalato dalla più giovane delle vittime in un video-testamento,
Antonio Massa, caposquadra del colosso ferroviario e principale
indagato dalla procura di Ivrea per questa mattanza di operai che è
già passata da un anno.
Sa – o quantomeno questa è l'ipotesi dei pm - che almeno un treno
deve ancora passare, non ha l'interruzione di linea per dare via
libera agli operai, li manda lo stesso e non guarda – per tutto il
tempo - se il convoglio arriva. Anzi: sta fisso con gli occhi sullo
smartphone, naviga su Internet, forse addirittura sui social.
Un'ipotesi ritenuta non fondante ma integrativa delle condotte già
contestate. È dunque quella della distrazione la pista che si
aggiunge, 12 mesi dopo i fatti, a quanto – per i magistrati –
sarebbe già pacifico su dinamiche e responsabilità anche se ancora
ufficialmente un'accusa da provare in giudizio. Sul fatto sarebbero
state effettuati anche riscontri tecnici che avrebbero confermato la
presenza sul web di Massa in orari precedenti al passaggio del treno
che ucciderà poco dopo Kevin Laganà, di 22 anni, Michael Zanera, di
34, Giuseppe Sorvillo, di 43, Giuseppe Aversa, di 49 e Giuseppe
Saverio Lombardo, di 52 anni.
Nelle mani degli inquirenti di Ivrea, coordinati dalla procuratrice
Gabriella Viglione, c'è il video della morte: immagini crude,
consegnate anche alla commissione parlamentare istituita dopo la
strage. Secretate. Dura 8 minuti. Alcuni familiari non hanno avuto
ancora il coraggio di vederlo. Chi lo ha fatto parla, per l'appunto,
di «birilli». Le indagini sono in corso, ma la chiusura è lontana.
La procura di Ivrea ha già deciso che chiederà una proroga di sei
mesi. Molto probabilmente ne seguirà un'altra. I parenti delle
vittime reclamano giustizia e celerità. La procuratrice Viglione lo
sa: «L'inchiesta è complessa, non cerca soltanto di stabilire cosa è
accaduto quella notte, ma intende accertare perché. Ciò detto qui
nessuno ha mai pensato – confida con tono deciso – che quei poveri
operai fossero aspiranti suicidi». Il messaggio è fin troppo chiaro.
E, al netto dell'innegabile impegno per assicurare giustizia alle
vittime e alle loro famiglie, si può spiegare anche con il
pluridenunciato – da Viglione – quadro ridotto degli organici a
disposizione degli inquirenti per affrontare questa inchiesta e
tutte le altre che gravano sulla procura: oltre ai magistrati e alla
polizia giudiziaria del Palagiustizia figurano solamente una decina
di preparati e impegnati ispettori degli Spresal delle Asl To3 e
To5,
Alle difficoltà in termini numerici del primo aspetto si somma la
complessità nel tradurre tutto il materiale acquisito durante le
perquisizioni nelle sedi di Rfi a Torino e Roma e in quella di CLF
(Costruzioni Linee Ferroviarie) a Bologna: file informatici,
contratti che Rete Ferroviarie Italiane hanno appaltato, filmati e
molto altro ancora. In questo senso una vera e propria discovery
ancora non c'è anche se al momento gli indagati restano otto, più
Rfi in qualità di persona giuridica tramite una comunicazione
giudiziaria notificata all'amministratore delegato Gianpiero
Strisciuglio (non indagato). L'azienda Rfi – difesa dal legale Luigi
Chiappero - è chiamata in causa dalla procura di Ivrea in base al
principio, sancito dalla legge 231, secondo il quale è prevista la
responsabilità amministrativa dell'impresa nei casi di omicidio
colposo riconducibili a violazioni delle norme sulla sicurezza sul
lavoro.
I primi ad essere stati iscritti nel registro degli indagati sono
stati Antonio Massa, caposcorta nei cantieri Rfi e Andrea Girardin
Gibin, caposquadra della Sigifer, l'azienda di Borgo Vercelli:
quest'ultimo - abbagliato dai fari del treno in arrivo - si era
gettato d'istinto lungo la massicciata. A loro due la procura
contesta l'omicidio colposo plurimo e il disastro ferroviario, con
dolo eventuale. Avrebbero agito con la consapevolezza di poter
causare la morte degli operai lungo i binari. Indagato anche il
board di Sigifer: Franco Sirianni (direttore generale), i figli
Simona e Daniele e Cristian Geraci, direttore tecnico.
L'inchiesta ha poi subito uno scatto in avanti quando, a seguito
delle perquisizioni nelle sedi torinesi e romane di Rfi, i pm hanno
indagato anche Gaetano Pitisci e Andrea Bregolato: in linea diretta,
ma non immediata, sono i superiori di Antonio Massa. Il primo è
direttore dei lavori relativi alla manutenzione delle linee;
Bregolato è invece uno dei responsabili della sicurezza nei
cantieri. Pitisci, ingegnere, ad esempio, è responsabile di diversi
cantieri nell'area attorno a Brandizzo. È – per capirci – l'uomo che
decide il frazionamento degli appalti. Quanto devono durare i
singoli interventi, quanto è congruo spendere per pagare le ditte
incaricate dei lavori. Più di una volta – secondo l'ipotesi di reato
contestata dalla Procura – Pitisci avrebbe concesso la cosiddetta
deroga implicita: una contrazione di tempi (e costi) per accelerare
la manutenzione, che ha chiaramente un effetto sulla sicurezza
generale del cantiere. Bregolato, invece, ha mansioni di gestione
degli appalti ed è coordinatore della «sicurezza in esecuzione» e se
ne deduce che la procura contesti – a che grado non è noto –
eventuali profili di omissione in tal senso. —
LE REGOLE DI JAKY: Cresce la produzione della Panda a
Pomigliano d’Arco, ma non scompare la cassa integrazione. Nonostante
90 automobili della city car in più al giorno, 50 in meno dell’Alfa
Romeo Tonale, scattano gli ammortizzatori sociali. Stellantis dà il
bentornato in fabbrica agli operai dello stabilimento nel Napoletano
annunciando cinque giorni di cassa integrazione a settembre.
“Secondo Stellantis, la differenziazione della produzione dei due
modelli consente di ricorrere alla cassa integrazione guadagni
ordinaria per i cinque venerdì del prossimo mese di settembre –
spiegano il segretario generale della Fiom Napoli, Mauro Cristiani,
e il responsabile automotive Mario Di Costanzo – Tale scelta fa
comprendere chiaramente il modus operandi della direzione aziendale
che, a fronte di un aumento di produzione sul modello Panda, fa
ulteriore efficienza utilizzando gli ammortizzatori sociali”.
Non solo a Pomigliano. Uno schema simile è stato adottato anche ad
Atessa, lo stabilimento nel Chietino che produce veicoli
commerciali, dove la cassa – attivata già a giugno per 15 giorni,
coinvolgendo 400 dei 600 operai – è stata prolungata anche a
settembre in modo “precauzionale e preventivo” vista “l’attuale
situazione di mercato”, con un calo degli ordini dei cabinati: dal
16 al 22 potrà coinvolgere tutti i dipendenti.
Non solo: il calo produttivo ha già indotto Stellantis a sospendere
il turno notturno fino a nuove comunicazioni, con un impatto sugli
stipendi. E ripercussioni sull’indotto che stanno sperimentando i
462 dipendenti della Magneti Marelli di Sulmona – 40 impiegati e il
resto operai – che fino a fine settembre lavoreranno solo di mattina
e pomeriggio: i volumi della fabbrica sono infatti collegati per
l’80% all’andamento della produzione di Stellantis a Atessa.
Per lo stesso motivo è scattata la cassa integrazione fino al 5
ottobre alla Sodecia automotive di Raiano, in provincia di L’Aquila.
I timori per un ulteriore deterioramento della situazione riguardano
anche Mirafiori, dove i cancelli si sono riaperti lunedì e la
produzione dovrebbe riprendere lunedì 2.
E' GIUSTA UN'EXTRA TASSA SULLE
PLUSVALENZE DERIVANTI DALLA COMPRAVENDITA DEGLI IMMOBILI CHE SONO
STATI OGGETTO DEI LAVORI AGEVOLATI – LA MISURA SI APPLICA GIÀ DAL 1°
GENNAIO 2024 E PUNTA A PENALIZZARE CHI VUOLE SPECULARE DOPO AVERE
BENEFICIATO DELLA MAXI-DETRAZIONE EDILIZIA – EPPURE LA TASSAZIONE AD
HOC NON COGLIE SEMPRE NEL SEGNO PERCHE’ LA PERFEZIONE NON ESISTE:
A complicare il quadro del Superbonus si aggiunge anche una pesante
tassazione sulle plusvalenze derivanti dalla compravendita degli
immobili che sono stati oggetto dei lavori agevolati.
La nuova disciplina si applica già dal 1° gennaio 2024 e mira a
penalizzare chi potrebbe speculare proprio grazie all’aver
beneficiato della maxi-detrazione edilizia, che ha permesso di
realizzare interventi (quasi) gratuitamente, aumentando dunque “a
basso costo” il valore degli immobili.
[…] a introdurre la nuova tassa “anti-speculazione” è stata l’ultima
legge di bilancio per il 2024, emanata lo scorso dicembre, che ha
previsto l’inclusione nella base imponibile Irpef delle plusvalenze
derivanti da vendita di immobili ristrutturati con Superbonus, nei
casi in cui l’operazione avvenga quando ancora non siano passati 10
anni dalla fine dei lavori, e sempre che non si tratti della propria
abitazione principale.
La tassa può essere versata anche direttamente al momento della
stipula del rogito di compravendita, nel qual caso è applicata in
misura fissa al 26%, a prescindere dai redditi complessivi del
venditore.
29.08.24
Il capo dell'Aiea visita la centrale di Kursk "Troppo vicina al
fronte, rischio incidenti"
giuseppe agliastro
mosca «Una centrale nucleare di questo tipo, così vicina ad un
punto di contatto o ad un fronte militare, è un fatto estremamente
serio». Rafael Grossi ha visitato la centrale di Kurchatov e ha
lanciato un chiaro avvertimento sui pericoli legati ai combattimenti
che infuriano non molto lontano da qui, a circa 50 chilometri
dall'impianto, si stima. La centrale sorge infatti nella regione
russa di Kursk, dove i soldati ucraini a inizio agosto hanno
lanciato un'offensiva che ha colto di sorpresa le truppe del
Cremlino. Il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia
atomica – fa sapere l'Afp – ha spiegato che i quattro reattori di
questa centrale (due dei quali sono spenti) sono dello stesso tipo
di quelli di Cernobil, cioè non hanno la cupola di contenimento e la
struttura protettiva tipiche delle centrali moderne. «Questo
significa che il nocciolo del reattore contenente materiale nucleare
è protetto solo da un normale tetto. Ciò lo rende estremamente
esposto e fragile, ad esempio, all'impatto dell'artiglieria, di un
drone o di un missile», ha detto ancora Grossi. «Paragonare Cernobil
a Kursk – ha aggiunto - è un'esagerazione. Ma si tratta dello stesso
tipo di reattore e non esiste una protezione specifica».
Il capo dell'agenzia atomica dell'Onu ha dichiarato di essere «in
stretto contatto» con la Russia e di voler visitare l'Ucraina la
prossima settimana. «Sono stato informato dell'impatto dei droni. Mi
sono stati mostrati alcuni dei resti e i segni dell'impatto che
hanno avuto», ha detto ancora Grossi senza precisare chi possa
esserne responsabile. Nei giorni scorsi Putin ha accusato i soldati
ucraini di aver cercato di attaccare la centrale. In questi due anni
e mezzo di guerra inoltre Mosca e Kiev si sono più volte rimpallate
le accuse per i pericolosissimi raid nella zona di un'altra
centrale, quella di Zaporizhzhia, nell'Ucraina sud-orientale
occupata dalle truppe russe. «Mai e poi mai si deve o si dovrebbe
attaccare una centrale nucleare, in nessun modo», ha rimarcato
Grossi.
GAIA TORTORA CENSURA ANCHE QUESTO ?
Il ceo contro l'Amministrazione Biden: "Volevano togliere i post sul
Covid che sfidavano i medici"
Lo schiaffo di Zuckerberg alla Casa Bianca "Pressioni per cancellare
contenuti su Fb"
alberto simoni
corrispondente da washington
Ci furono pressioni da parte di esponenti dell'Amministrazione Biden,
anche interni alla Casa Bianca, su Meta affinché censurasse i
contenuti legati al Covid 19 che sfidavano il consenso della
comunità medica sui vaccini e le origini del coronavirus. A
riferirlo è il fondatore di Facebook e Ceo della piattaforma, Mark
Zuckerberg, in una lettera inviata lunedì 26 agosto a Jim Jordan,
deputato repubblicano che presiede la Commissione Giustizia della
Camera.
Zuckerberg si pente di non aver rivelato prima le pressioni e
ammette che Instagram, WhatsApp e Facebook hanno sbagliato a
piegarsi alla volontà dell'Amministrazione. Le attenzioni del
governo Usa sono iniziate nel 2021, ha ricostruito Zuckerberg, che
ha spiegato che gli inviati dell'Amministrazione «mostravano
irritazione quando il nostro team non concordava con le loro
conclusioni».
A essere banditi su Facebook sono stati anche alcuni contenuti
ironici legati al Covid. Zuckerberg ha detto che quelle pressioni
erano sbagliate e «mi spiace non averle denunciate prima». «Penso
che abbiamo fatto delle scelte che, con il senno di poi e le nuove
informazioni in nostro possesso oggi non faremmo», ha concluso
l'inventore di Facebook.
C'è un secondo «ripensamento» di Zuckerberg, ovvero la soppressione
nell'autunno del 2020 su Facebook di un articolo del New York Post
sul laptop abbandonato da Hunter Biden in un negozio e contenente le
e-mail sugli affari della famiglia Biden con soggetti stranieri in
Russia, Ucraina e Cina e i rapporti di Hunter con la compagnia
energetica ucraina Burisma di cui era membro, per 50 mila dollari,
del consiglio di amministrazione. L'Fbi contattò Facebook dicendo
che dietro la storia c'era lo zampino russo e che quindi rilanciare
questa storia sui social avrebbe contribuito alla disinformazione.
Zuckerberg si adeguò. Salvo, quattro anni dopo, spiegare ai deputati
che «è chiaro che quel report nulla aveva a che fare con la
disinformazione russa, con il senno di poi non avremmo dovuto
declassare la storia». Un atteggiamento simile era stato tenuto da
Twitter. I cosiddetti Twitter Files hanno rivelato di recente che la
piattaforma soppresse la storia e l'account del New York Post per
presunta violazione della sua politica sui materiali hackerati.
FINALMENTE Il nuovo
Buscetta
«Mi chiamo Vincenzo Pasquino. Sono nato a Torino il 3 ottobre del
1990, un tempo avevo un'impresa edile. Procedimenti penali in corso?
Diversi. Intendo collaborare e rendere dichiarazioni spontanee in
ordine a carichi di cocaina che mi sono contestati. Ammetto tutte le
mie responsabilità».
È il 7 maggio scorso, ore 10,32, Roma, carcere di Rebibbia. Di
fronte a due magistrati e a un alto ufficiale del Ros tra i migliori
investigatori al mondo nella lotta al crimine organizzato, Pasquino,
ora collaboratore di giustizia, già ribattezzato dai media carioca
«Il nuovo Buscetta», parla per ore del business più remunerativo del
mondo: il traffico di cocaina. «Compravamo un chilo a 2 mila
dollari, che diventavamo 3500 euro per pagare "la salita" verso
l'Italia attraverso i porti europei». Elenca 27 spedizioni - tentate
o riuscite - dal 2018 al 2022. La media dell'invio 90 kg «ma con
alcuni – precisa - non ci si muoveva per meno di una tonnellata».
Fa i nomi dei cartelli che lo hanno spedito ormai 7 anni fa in Sud
America a vivere da narcos, da broker, da contractor per le
forniture di coca ai più importanti sodalizi della ‘ndrangheta nel
mondo. Volpiano (Torino), Platì, San Luca.
Nei giorni scorsi il procuratore nazionale antimafia Giovanni
Melillo ha inviato un documento al procuratore generale Paulo Gonet,
informando le autorità brasiliane che una parte delle «dichiarazioni
e confessioni appaiono pertinenti ad indagini riservate alla
giurisdizione della Repubblica del Brasile, riferite al traffico di
droga organizzato da gruppi criminali legati al Pac e al Cv di cui
avrebbe incontrato i vertici». Secondo «O Globo», principale
quotidiano di Rio De Janeiro «Pasquino, ha raccontato di far parte
della 'ndrangheta dal 2011 e di essere il responsabile in Brasile
della logistica per l'invio di droga in Europa dal 2017». Un
eloquente intercettazione lo conferma: «Io ho in mano Brasile ed
Ecuador», dice a un sodale quando già la sua chat «riservata» è
stata bucata come un pallone da calcio e la sua carriera da uomo di
punta dell'Aspromonte sul fronte del narcotraffico mondiale sta per
sgonfiarsi.
Nel Paese sudamericano, aveva stabilito la sua base nel quartiere di
Tatuapé, a San Paolo, area dove i leader del Pcc (Primeiro Comando
da Capital) possiedono numerose proprietà di lusso ed è
soprannominata dai magistrati locali «Little Italy». I carabinieri
del nucleo investigativo di Torino all'epoca comandati dal tenente
colonnello Andrea Caputo lo avevano scovato in Sud America nel 2021
poco dopo l'arresto di altri due grandi broker di coca come Nicola e
Patrick Assisi (una fotocopia del documento di Pasquino fu trovato a
casa loro) al termine di un'indagine complessa. Che - assieme al Ros
- metteva insieme chat Sky Ecc «violate», localizzazione di «criptofonini»
e uno strano viaggio di alcuni familiari dall'Uruguay al Brasile.
Fatta di staffette, macchine, tratti di viaggio percorsi su
un'anonima corriera di turisti, e poi di nuovo treni, auto: un
risiko per eludere i controlli. Invano.
Il tema è che «O Globo» - citando fonti investigative brasiliane
finora mai smentite - riferisce che «Pasquino ha presentato almeno
tre nomi in codice utilizzati nelle conversazioni con membri delle
fazioni criminali brasiliane». Secondo il rapporto degli inquirenti,
l'elenco è importante perché in Europa è stato possibile decifrare
le conversazioni scritte in un'apposita applicazione sequestrata al
mafioso italiano. E che starebbe facendo i nomi delle organizzazioni
con le quali conduceva gli affari in nome e per conto dell'élite
della mafia calabrese. Che sarebbero poi esponenti di rilievo - se
non di vertice - del Pcc, acronimo del «Primeiro Comando da
Capital», la più grande organizzazione criminale brasiliana, con
circa 11.000 membri, presente soprattutto nelle aree di San Paolo e
della Triple Frontera: Paraguay, Argentina, Colombia e Uruguay. «E a
San Paolo - confida un'autorevole fonte investigativa a La Stampa -
il Pcc è come la ‘ndrangheta nella Locride».
È la prima volta che questa joint venture - pur nota agli
investigatori più specializzati - emerge in tutta la sua plasticità.
Stesso discorso vale per i rapporti intrattenuti - sempre secondo «O
Globo» - da Pasquino con il Comando Vermelho (CV) - originariamente
«Falange Vermelha», un'organizzazione criminale fondata nel 1969
nella prigione di Cândido Mendes, nell'Ilha Grande (Rio de Janeiro),
nata come network di prigionieri comuni e di militanti politici
oppositori della dittatura militare.
Pasquino sta parlando da mesi con i magistrati di Torino che per
anni lo hanno braccato con indagini dei carabinieri in serie e
condanne pesanti condotte dal pm Paolo Toso, dai colleghi Livia
Locci, Monica Abbatecola e Antonio Smeriglio (deceduto
prematuramente nelle more dell'inchiesta) e di Reggio Calabria. Ma
non solo. Per dare un'idea della portata potenzialmente esplosiva di
ciò che sta raccontando, vengono in aiuto alcuni stralci dei primi
verbali: «Quando nel 2017 sono andato in Brasile sono partito
dall'aeroporto di Zurigo verso san Paolo. Qui mi sono venute a
prendere persone del posto che collaboravano con noi. E in
elicottero mi portarono a Playa Grande. Ho fatto partire una nave
con 200 kg di coca dal porto di Bolivar, altri 75 provenienti dal
Paranaguà diretti al porto di Anversa. I soldi, attraverso i "doleiro"
di origine cinese e araba arrivavano in Brasile dopo che venivano
trasportati a Torino e Milano attraverso dei camion dalla Calabria.
Tre carichi da 325 kg nascosti negli stock di pellet che non sono
andati a buon fine sono partiti da Santos, un altro container da 170
kg era destinato al Belgio. Per altri 500 kg il carico è partito da
Itapoe (Santa Caterina) con direzione Gioia Tauro». Ancora: «In
quell'occasione "omissis" mi chiese se avessimo modo di spedire
cocaina in Australia via Singapore. Alcune Persone andarono a
Guayaquil (Ecuador) a prendere la droga dai colombiani. Con loro ho
avuto contatti tramite SkyEcc per organizzare la consegna». E poi:
«C'è un successivo carico dei 75 kg ad Anversa caricati nella legna
e provenienti da un altro proto brasiliano». Infine: «Abbiamo fatto
ulteriori 100 Kg partiti dal Porto di Bolivar, con una nave diretta
a Gioia Tauro, nave che ha fatto transito in Colombia o a Panama. La
cocaina era nascosta in un container di trasporto banane. I panetti
erano marroni con scritta nera su fondo bianco "Tarn" o "Tem"». Il
nuovo Buscetta. —
Furti per 3 milioni nei supermercati Borello "I giovani rubano
alcolici, è una piaga sociale"
gianni giacomino
Per diverso tempo ai furti che subiva nei suoi negozi ci è passato
sopra sperando che, forse, un giorno le cose sarebbero cambiate.
Invece niente. Anzi la situazione è peggiorata. E così
l'imprenditore Fiorenzo Borello, al timone della catena di
supermercati sparsi in tutto il Torinese, ha deciso di "predisporre
appositi misure di sorveglianza". «Anche perché, in un anno, abbiamo
patito un danno di circa tre milioni di euro – spiega Borello –
capisce che per la mia azienda è un buco non da poco e, in qualche
modo, questa piaga si deve pur contrastare». Quello che, però, ha
amareggiato di più l'imprenditore partito oltre una cinquantina di
anni fa con un negozio a Rivodora, è che i responsabili delle razzie
sono sempre di più dei giovanissimi. Ragazzini che, probabilmente,
non capiscono nemmeno la gravità delle loro azioni. E, così, qualche
giorno fa l'imprenditore ha deciso di denunciare due ragazzi
sorpresi a rubare nei punti vendita di Giaveno e di Castiglione. «Mi
creda è la prima volta, lo abbiamo fatto a malincuore, ma i
responsabili devono comprendere che i loro atti sono contro il
vivere civile» – dice Borello. «Ma soprattutto – puntualizza - ci
siamo convinti fosse giusto anche perché ci siamo accorti che rubano
spesso alcolici e questo non va bene. Il giovane sorpreso nel nostro
punto vendita di Giaveno era pure minorenne e aveva preso dagli
scaffali una bottiglia di vodka, un superalcolico». «Questa
problematica deve far riflettere e mettere ancora più in guardia le
istituzioni, le forze di polizia e, soprattutto le famiglie –
incalza Borello - perché sta assumendo proporzioni preoccupanti dal
punto di vista sociale. Noi, in alcune realtà, ci siamo accorti che,
dopo la scuola, gli adolescenti entravano nei punti vendita proprio
per rubare bottiglie di birra, vino o liquori». «Al di là del valore
della merce sottratta nell'ultimo episodio - prosegue - abbiamo
deciso, di presentare una denuncia nei confronti del giovane autore
del furto ritenendo che il nostro gesto sia da ritenersi non solo di
monito e di prevenzione per il futuro, ma soprattutto come un gesto
di giustizia riparativa anche in un'ottica di rieducazione e
sensibilizzazione sociale. Ciò per far ben comprendere ai ragazzi
che si tratta di azioni criminose».
E, tra gli adolescenti, il lockdown ha peggiorato le cose in maniera
drammatica per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche.
Anche per questo al Mauriziano, due anni fa, è stato inaugurato il
primo Centro Alcologico di Torino. Un day hospital dedicato a
persone con Disturbo da Uso di Alcol (Dua). In Piemonte sono stati
185 ingressi in pronto soccorso di minori sotto i 17 anni.
Adolescenti, con diagnosi attribuibili all'alcol. E in 350, tra i 18
e i 24 anni, sono arrivati in evidente stato di intossicazione
alcolica. Spesso reduci da feste in discoteca, ma anche in case
private, dopo aver bevuto fino a rasentare il coma etilico.
28.08.24
MI
SONO SBAGLIATO E' STATO un INSIDE JOB, una manomissione dall’interno
CON PORTELLONI APERTI E DERIVA ALZATA PER FARE ENTRARE
L'ACQUA ED AFFONDARE UNA NAVE PER UCCIDERE PER ORDINE DI CHI ?
Come spiegato dalla
magistratura non si è trattato di un tornado (come si pensava
all’inizio) ma una raffica discendente, definita anche come
downburst, un fenomeno meteorologico consistente in forti correnti
di vento discensionali con moto orizzontale in uscita dal fronte
avanzante del temporale. Le folate possono raggiungere velocità
elevate, prossime o superiori ai 100 km/h.Il tg1 ha mostrato le
immagini dell‘accensione del razzo di segnalazione avvenuta mezz’ora
dopo l’affondamento avvenuto durante uno dei tanti temporali che si
sono abbattuti sulle coste italiane nel wee-end per una tempesta
geomagnetica, di dubbia origine, ma ampiamente annunciata da vari
siti meterologici.
Perché il Bayesian è rimasto in rada e non è entrato in porto?
Perché barche più piccole non hanno subito lo stesso naufragio?
E’ vero che la deriva, come emerso dalle prime indiscrezioni sulle
ricognizioni dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco, era stata alzata
a 4 metri e non si trovava quindi nella massima profondità di 7
metri che avrebbe dato maggiore stabilità al veliero?
E’ verso che, come trapelato dalle dichiarazioni di una società di
brokeraggio assicurativo, il portellone di poppa (parte da cui si è
inabissato il superyacht) era rimasto aperto dopo il rientro del
tender con Linch e amici a tarda notte?
Chi ha deciso di alzare la deriva e non ha controllato la chiusura
del portellone posteriore?Si va delineando la catena di errori umani
che avrebbe determinato il disastro marittimo: dalla deriva mobile,
parzialmente alzata, che potrebbe avere avuto un ruolo determinante
nella minore stabilità dello scafo, ad alcuni portelloni aperti, che
avrebbero imbarcato una grande massa d’acqua in poco tempo favorendo
il rapido inabissamento del veliero ai motori spenti e al mancato
funzionamento del sistema che in questi casi dovrebbe sigillare i
boccLynchaporti e gli accessi all’interno». Chamberlain SOCIO DI
LYNCK è morto mentre faceva jogging nella contea inglese del
Cambridgeshire, investito da una signora di 49 anni. Dopo aver
lasciato la società Autonomy nel 2012, il top manager aveva lavorato
come direttore operativo per la Darktrace, multinazionale inglese di
cybersecurity creata da Lynch tramite il suo braccio finanziario
Invoke Capital e fin da subito legata ai servizi segreti britannici,
dall’MI5, che opera all’interno del Regno in funzione di
controspionaggio, all’Agenzia per la sorveglianza elettronica Gchq.
Steve Huxter, un ex uomo dell’MI5, aveva cofondato la società, di
cui era consulente l’ex direttore dello stesso servizio, Sir
Jonathan Evans, molto criticato per aver detto che le informazioni
ottenute attraverso la tortura “devono essere viste nel contesto dei
tempi” quando l’intelligence di Londra era finita sotto accusa per
il trattamento di sospetti terroristi britannici all’estero nel
programma delle ‘rendition’ messo in campo dagli americani dopo l’11
settembre.
Già la prima azienda di Lynch, la Cambridge Neurodynamics, aveva
lavorato per i servizi segreti per cui non possono essere stati loro
ad uccidere lui e i suoi ospiti ma chi Lynch osteggiava con le sue
società per ordine di Usa, Israele e Re Carlo : Putin
affiancato dai BRICS. Perche' tutto cio' sia avvenuto in ITALIA ?
Perche' Lynch ed i suoi ospiti si sentivano sicuri
sottovalutando i rapporti fra la mafia italiana e quella russa PER
CUI LA BARCA ERA PRIVA di
sorveglianza .
Infatti pochi giorni dopo Pavel Durov, il fondatore e Ceo di
Telegram, è stato arrestato mentre scendeva dal suo jet privato
all’aeroporto di Le Bourget, a Parigi. Durov, franco-russo,
39 anni, stava arrivando dall’Azerbaigian, accompagnato dalla sua
guardia del corpo e da una donna, sembra la sua fidanzata, quando è
stato raggiunto dai gendarmi della GTA (Air Transport Gendarmerie).
Nei suoi confronti era stato spiccato un mandato di perquisizione
dalla direzione nazionale della polizia giudiziaria francese emesso
sulla base di un’indagine preliminare. Gli viene contestata la
complicità in molteplici gravissimi reati internazionali senza prove
dirette di connivenze ma sempolicemente perché non avrebbe censurato
i contenuti contrari al mainstream – come ha fatto Zuckerberg con
Meta – e non avrebbe consentito alle forze dell’ordine di spiare gli
iscritti alla piattaforma Telegram che, se il tycoon del social
risultasse colpevole, potrebbe rischiare la chiusura. L’esecuzione
del mandato era subordinata alla presenza di Durov sul territorio
francese.
“Ha commesso un errore stasera. Non sappiamo perché… Era solo una
tappa? In ogni caso è stato preso”, confida a Tf1 una fonte vicina
alle indagini. Durov aveva infatti evitato il più possibile di
recarsi in Europa, dove la sua azienda è nel mirino, e aveva
l’abitudine di viaggiare negli Emirati, nei paesi dell’ex Unione
Sovietica o in Sud America. Quindi si e' consegnato per fornire
informazioni ai G7 attraverso la Francia.
ELON MUSK E TESLA NON HANNO IL FUTURO:
Sreela Venkataratnam, responsabile finance e business operations di Tesla,
ha rassegnato pubblicamente le sue dimissioni con un post su
LinkedIn. La manager, una veterana dell'azienda di Palo Alto, dove
lavorava dal 2013, è l'ultima di una lunga serie di dirigenti di
spicco che hanno deciso di dire addio alla Casa negli ultimi mesi:
"Lascio per trascorrere tempo di qualità con la famiglia,
riconnettermi con gli amici e concentrarmi sul benessere personale".
Illustri abbandoni. Al di là delle motivazioni personali del
caso in questione, l'abbandono di Venkataratnam segue quelli di
Martin Viecha, vice president delle investor relations, Drew Baglino,
responsabile powertrain and energy e Rohan Patel (public policy and
business development), senza contare un paio di licenziamenti
illustri voluti da Musk, quelli di Rebecca Tinucci (senior director
EV charging) e Daniel Ho (director of vehicle programs and new
product introduction).
I nodi all'orizzonte: quello del robotaxi... Sei teste di serie,
in tutto, saltate da aprile a oggi: un piccolo esodo che si staglia
sullo sfondo dei prossimi appuntamenti cruciali per la Casa. Gli
occhi, in particolare, sono puntati sulla data del 10 ottobre,
quando verranno svelate le caratteristiche del robotaxi: un progetto
su cui in tanti hanno espresso riserve, prima di tutto relative alla
scelta di equipaggiarlo solo con camere e non con sensori Lidar,
necessari, secondo il resto dell'industria per livelli
particolarmente elevati di automazione come sui sistemi driverless.
... e il restyling di Model Y. L'altro nodo da sciogliere è
quello del restyling della Model
Y, nome in codice "Juniper": in molti si aspettavano di
vederlo entro la fine di quest'anno, ma Musk stesso ha chiarito lo
scorso giugno che non verrà lanciato prima del 2025. La
"blockbuster" del marchio ha quanto mai bisogno di un aggiornamento:
i cali in doppia cifra accusati in Europa, Cina e Usa nel corso
della prima metà di quest'anno sono lì a dimostrarlo.
27.08.24
PUNTANO AL DITO : AL CAPITANO NON ALLA LUNA CHE HA PROVOCATO
L'INGRESSO DELL'ACUQA. E POI NON ESISTEVANO SISTEMI DI ALLARME ?
SULLA BARCA DI UN ESPERTO DI SICUREZZA ?
L'analisi di Franco Romani, architetto
dello yacht affondato in Sicilia: "L'equipaggio doveva togliere
l'ancora e veri ficare che tutto fosse chiuso"
"
"Il Bayesian progettato per ogni condizione Credo che il portellone
laterale fosse aperto"
La sicurezza
La dinamica
Flavia amabile
inviata a palermo
Un'imbarcazione come il Bayesian non affonda per un po'di vento,
sostiene Franco Romani, architetto nautico, l'uomo che ha progettato
il Bayesian affondato una settimana fa. A causare la tragedia
sarebbe stato, secondo lui, il portellone laterale lasciato aperto.
Com'è nato il Bayesian?
«Le imbarcazioni Perini nascevano nel mio ufficio. Il Bayesian fa
parte della serie 56 metri. Sono state barche fortunate: ne abbiamo
realizzate 10, di cui 9 a due alberi. Un armatore ci ha chiesto,
invece, qualcosa di diverso: a quel punto abbiamo mantenuto il
progetto di base e realizzato uno sloop a un solo albero, con un
grande pozzetto a prora, un ambiente che è un vero spettacolo dove
si svolge in prevalenza la vita di chi è in barca. Era il "più"
della barca».
Insieme all'albero che però ha creato molte polemiche: secondo
alcuni esperti avrebbe reso meno stabile il veliero. Che ne pensa?
«La stabilità di un'imbarcazione è regolamentata dagli enti di
classifica, non si può agire come si crede. Il Bayesian è nato per
andare a vela con qualsiasi tempo».
Quella notte il Bayesian probabilmente aveva la deriva alzata.
«È normale che la deriva sia in posizione sollevata e abbassata
quando si va a vela perché dà maggiore stabilità».
Il Bayesian era in rada ed era previsto cattivo tempo. Si è
calcolato che sia stata una tempesta con vento a 80 nodi. Era
affrontabile?
«Sì, se il comandante si organizza in tempo».
Che cosa deve fare?
«Prima di tutto deve togliere la barca dall'ancora. Invece il
Bayesian era ancorato. Ma c'è qualcosa da fare ancora prima che
arrivi il maltempo. In una casa, quando sta arrivando la pioggia, si
chiudono tutte le finestre. Lo stesso va fatto su una barca. Se sul
Bayesian tutto fosse stato chiuso, non ci sarebbero stati problemi,
è programmata per sbandare e tornare su. Invece si è sottovalutata
la situazione e non ci si è organizzati per affrontare la tempesta.
Quando il maltempo è arrivato la barca ha sbandato e ha imbarcato
acqua».
Da dove?
«Qualcosa deve essere rimasto aperto. Secondo me il portellone che è
sul fianco».
C'è chi in questi giorni ha ipotizzato il portellone di poppa.
«Il portellone di poppa è chiuso, non permette alcun accesso verso
l'interno. Il portellone laterale, invece, dà accesso a un gavone
enorme dove ci sono lo Scuba, le bombole per le immersioni, il
windsurf. Tutto quello che viene utilizzato per andare in mare viene
tenuto lì perché questo portellone è a 60 centimetri dall'acqua: è
più facile immergersi ma, se l'imbarcazione si inclina, fa entrare
subito l'acqua all'interno».
Perché sarebbe rimasto aperto il portellone laterale?
«I passeggeri potrebbero essere andati a fare il bagno e averlo
lasciato così quando sono andati a cena. È solo un'ipotesi e se ne
potrebbero fare mille altre perché quando il tempo è buono è utile e
bello avere il portellone laterale aperto ma, se si sa che arriva
una bufera, bisogna chiudere tutto».
Secondo la procura il Bayesian è affondato di poppa.
«E allora tutto torna. L'acqua è entrata dal portellone laterale, è
finita nel gavone di poppa che è attiguo alla sala macchine. Lì c'è
una porta stagna ma potrebbe essere stata lasciata aperta e quindi
la barca è andata giù».
L'acqua finita nella sala macchine potrebbe aver creato un black out
sull'imbarcazione?
«Ci sono generatori e batterie, ma di sicuro si è creato un black
out come risulta dalle luci dell'albero che si sono spente.
Bisognerà capire quanto hanno funzionato i sistemi di emergenza».
Com'è possibile che chi è rimasto nelle cabine non sia riuscito a
raggiungere chi era in coperta e a salvarsi insieme agli altri?
«Fuori dalle cabine c'è un corridoio, avrebbero potuto prendere le
scale che li portavano su ma forse dalle scale scendeva una montagna
d'acqua e non hanno potuto fare altro che cercare una cabina dove
c'era aria. Di certo sappiamo che hanno ritardato e che, a quanto
sembra, non sono stati allertati».
Chi avrebbe dovuto dare l'allarme?
«Il comandante, se sa che è in arrivo il maltempo, deve innanzitutto
far chiudere porte e portelloni ma poi deve avvertire i passeggeri e
dire: guardate che stanotte ballerete, state attenti in modo che
tutti sappiano che quella notte dovranno fare attenzione».
La domenica mattina l'agenzia marittima che seguiva il Bayesian ha
inviato una mail per chiedere al comandante se avevano bisogno di
assistenza. Non c'è mai stata risposta.
«È un elemento in più che avvalora la tesi che si è sottovalutato il
maltempo. Il comandante della Sir Robert Baden Powell che era vicino
al Bayesian ha tolto l'ancora e acceso il motore, è la manovra da
fare in questi casi e che invece non stata fatta. Ci sono stati una
serie di errori che, tutti insieme, hanno fatto sì che il Bayesian
affondasse. Se tutto fosse stato compiuto in modo corretto non
saremmo qui a parlarne, questa è una barca più sicura di uno yacht a
motore, è progettata per navigare sbandata. Non è un po'di vento che
può mandarla a fondo».
26.08.24
INDAGINI IMPOSSIBILI PER CUI IL SOLO COLPEVOLE IL CAPITANO:
"Eravamo disorientati dai molti specchi Sott'acqua una barca è piena
di ostacoli"
flavia amabile inviata a palermo Le difficoltà dei riflessi creati dagli specchi mentre erano al
lavoro dentro il Bayesian, gli oggetti che volavano ovunque, il filo
di Arianna che li ha aiutati nella complessa operazione di recupero
delle sei vittime rimaste intrappolate all'interno
dell'imbarcazione. È il racconto di Orlando Di Muro, 54 anni,
ispettore dei Vigili del Fuoco, sommozzatore con una lunga
esperienza. Insieme a un collega ha riportato in superficie il primo
corpo rimasto intrappolato in una delle cabine del Bayesian. Era
mercoledì scorso. Come siete arrivati ai dispersi? «Il nostro gruppo ha la possibilità di fare una decompressione
accelerata usando delle miscele arricchite di ossigeno. Questo ci
consente di rendere più rapida la risalita e di allungare i tempi di
permanenza sul fondo, quindi siamo stati utilizzati in modo più
mirato». Da dove siete entrati? «Da dove era possibile per raggiungere i nostri obiettivi. Abbiamo
ispezionato tutta la nave e, di volta in volta, scelto la strada più
conveniente». Che scenario vi siete trovati davanti? «La situazione tipica delle imbarcazioni affondate da poco. C'erano
suppellettili, guanciali, abiti, materassi. Tutto quello che si
potrebbe staccare si stacca. L'affondamento è pur sempre un evento
traumatico, di conseguenza la struttura non è più quella originaria
e questo crea degli ostacoli alla nostra progressione. Ma non è
tanto l'avanzamento il nostro problema maggiore quanto fare in modo
che lo spazio che creiamo non diventi un ostacolo all'uscita
dall'imbarcazione». In che modo potrebbe diventare un ostacolo? «Corridoi e cabine, per quanto lussuosi, sono angusti. Un materasso
che è su un letto non può essere messo al centro della stanza se ho
bisogno di avanzare perché occupa dello spazio e non può essere
messo dietro le spalle perché non potrei più uscire. Bisogna poi
assicurare gli oggetti che tendono a fluttuare per evitare che
creino intralcio. C'è stato poi un altro elemento che abbiamo dovuto
tenere in considerazione». Quale? «Come molte barche di lusso anche il Bayesian era pieno di vetri e
specchi. I riflessi creati dalle nostre torce e le nostre immagini
rinviate su quelle superfici creano molto disorientamento. Ecco
perché è fondamentale progredire con il filo di Arianna che, come
nella leggenda, fissiamo lungo il percorso. È un elemento oggettivo
molto utile se si avanza in un ambiente sconosciuto. Richiede del
tempo per essere collocato ma ci permette di ritrovare rapidamente
l'uscita». Dov'erano i corpi? «I primi cinque erano in una delle cabine dove si dorme. Li abbiamo
visti con le torce che portiamo sui nostri caschi». Come li avete trasportati? «In quella situazione i corpi non hanno un peso eccessivo, ma è
necessario prestare la massima attenzione perché nelle operazioni di
spostamento al buio si rischia involontariamente di farli urtare». Vuole dirci qualcosa di quello che ha provato durante questa lunga
operazione? «Abbiamo tutti dei figli, dei fratelli, delle sorelle ma noi
affrontiamo queste situazioni con il dovuto distacco che ci è dato
dal lavoro. Ognuno adotta delle tecniche personali per non lasciarsi
coinvolgere nel momento dell'immersione». E dopo? Le capita di avere degli incubi? «Sarei poco credibile se dicessi che non mi capita».
25.08.24
ATTACCO DEI BRICS AL G7 A GUIDA ITALIANA SU TERRITORIO
ITALIANO , LA MELONI DOVE E' ? INCONTRO SEGRETO G7 ?:
Cosa ha affondato il Bayesian?
Il Bayesian sembra aver subito un attacco con un’arma alquanto
sofisticata, una probabilmente non molto dissimile da quella che
negli Stati Uniti viene chiamata tecnologia Quicksink, che prevede
il lancio di una bomba aerea contro l’obiettivo che affonda in
pochissimo tempo, come si può vedere in questo video
Una dimostrazione pratica della
tecnologia Quicksink
La nave una volta che è colpita da questa bomba affonda nel giro di
pochissimo tempo e chi è a bordo non ha praticamente il tempo di
fare nulla, talmente devastante è l’attacco subito.
E' una tecnologia che e' nelle disponibilità di pochi Paesi, Stati
Uniti e Russia, Cina. Coloro che hanno lanciato questo attacco hanno
studiato tutto con attenzione. Sapevano ovviamente chi c’era a bordo
di quella barca e sapevano esattamente dove si trovavano i
personaggi da colpire che non avevano possibilità di sopravvivere,
poiché questi si trovavano al chiuso delle loro lussuose cabine, a
differenza invece dell’equipaggio che è riuscito a salvarsi
praticamente per intero e che sa perfettamente cosa e' successo ma
che non palera' mai per non rischiare la vita anche con un banale
incidente. Lynch oltre ad essere coinvolto in un caso per frode che
riguardava la vendita della sua società, la Autonomy, alla Hewlett
Packard, era anche strettamente integrato nel mondo
dell’intelligence britannica e israeliana.
L’imprenditore britannico infatti è stato il fondatore di una
società quale la Darktrace che ha dei legami molto stretti con
l’MI5, poiché come citato in precedenza, nel suo consiglio direttivo
c’è proprio un ex direttore del MI5, Lord Evans of Weardale, e un
altro veterano della CIA, come Alan Wade.
Darktrace però non nasce per pure ricerche matematiche ed
informatiche come fanno credere i fondatori della compagnia.
Una interessante ricostruzione offerta dal sito Unlimited Hangout,
ci aiuta a comprendere meglio le origini di questa società che
risalgono al 2012, quando un ex agente del MI5, Dave Palmer, iniziò
a pensare allo sviluppo di una tecnologia che consentisse agli
agenti dei servizi di poter comunicare in maniera sicura, e si
rivolse per questo a due matematici di Cambridge che lo assistettero
nell’impresa.
L’idea di fondo era quella di utilizzare l’intelligenza artificiale
per consentire alla macchina di gestire la sicurezza cibernetica
fino al punto che questa macchina poi arrivi a sviluppare una sorta
di coscienza di sé, in grado di renderla perfettamente autonoma sul
piano decisionale, tanto poi da separarla dal controllo del suo
creatore umano, in maniera non molto dissimile da come si vede in un
celebre film con protagonista Johnny Depp, Trascendence.
Questi gravi rischi non hanno comunque fermato la corsa di Darktrace
anche quando qualche giornalista ha iniziato a chiedere conto
all’amministratore delegato della compagnia, Poppy Gustafsson, che
quando le è stato chiesto se questa società non era altro che una
copertura per le attività dei servizi, ha provato in maniera
imbarazzata a far sembrare come irrilevante e occasionale il
contributo delle agenzie di intelligence alle attività di Darktrace.
Nel consiglio di amministrazione di Darktrace, troviamo un
personaggio come Amber Rudd, già ministro dell’Interno nel governo
di Theresa May, e parte del gruppo di consulenti di Teneo, nel quale
troviamo un personaggio come Doug Band, amico del famigerato
miliardario pedofilo e agente del Mossad, Jeffrey Epstein. parlera'
mai perche' sa che rischierebbe la vita. Epstein non è un nome
soltanto noto per la sua rete pedofila. Epstein è il risultato
diretto di una operazione di intelligence dei servizi israeliani che
fin dal primo momento si proponeva di controllare tutti i potenti
che contano dell’alta società di New York e americana in generale,
di mettere a loro disposizione ragazzine o ragazzini minorenni, e di
immortalarli durante i loro atti sessuali per poi ricattare questi
personaggi e costringerli a fare gli interessi dello stato ebraico.
Se si guarda l’agenda di appuntamenti di Jeffrey Epstein, si ha una
idea di quanto fossero importanti i nomi che questi frequentava, tra
i quali c’erano quelli di Ariane de Rothschild, moglie di Benjamin,
membro della nota famiglia di banchieri di origine ebraica, Kathryn
Ruemmler, membro dell’amministrazione Obama, il citato Bill Clinton,
Kevin Spacey, il linguista Noam Chomsky, Woody Allen e altri noti
personaggi del mondo dello spettacolo, della politica e dell’alta
finanza. Darktrace era vicino al mondo di Epstein non solo però per
la presenza di Amber Rudd, ma anche per quella di Alan Wade, citato
poc’anzi.
Wade, oltre ad aver passato una vita nella CIA, ha fondato la
società Chiliad assieme a Christine Maxwell, sorella della più
famigerata Ghislaine, sodale di Epstein nella gestione del traffico
di minori gestito per conto dei servizi segreti israeliani.
Christine, oltre ad aver fondato questa società con Wade, aveva
anche il compito di promuovere la distribuzione di un altro noto
software sviluppato dalla NSA, ovvero PROMIS.
PROMIS aveva già riscontrato un certo successo nei primi anni’80 per
la sua efficacia nel consentire di risalire alle fonti del
riciclaggio di denaro sporco, fino a quando una spia israeliana
molto famosa come Rafi Eitan, si adoperò attraverso l’assistenza dei
servizi israeliani, di mettere una backdoor, una sorta di porta di
servizio informatica, nel programma in maniera tale da poter
tracciare tutte le attività nelle quali amici e nemici dello stato
ebraico erano impegnati.
A Robert Maxwell, editore e padre di Ghislaine e Christine, era
affidato il compito di promuovere la distribuzione di questo
software, sempre per conto dello stato di Israele, fino a quando
Robert morì in circostanze misteriose e venne ritrovato cadavere nel
1991 nelle acque delle Canarie, fuori dal suo yacht, che come si
vede sembra essere un luogo privilegiato in queste storie di spie
israeliane che durano da molti anni. A Porticello coloro che
volevano mandare un messaggio a questi ambienti ci sono riusciti
molto bene poiché hanno dimostrato di conoscere in anticipo le mosse
dei loro avversari, e di sapere cosa fanno, dove lo fanno e come lo
fanno. E la Meloni ora deve rispondere perché tutto ciò e' avvenuto
per ben 2 volte in ITALIA. O e' in grado di garantire la sicurezza
nazionale al G7 o verrà sostituita dalla Gentiloni.
OBIETTIVO SINDACI DEL PD :
Scalo Vallino, ok della giunta al superstore di Nova Coop
diego molino
Procede, a piccoli ma importanti passi, il progetto che dovrà
ridisegnare l'ex scalo ferroviario Vallino nel quartiere di San
Salvario, un'area che da diversi anni era in cerca di una nuova
identità. L'ultimo passaggio formale è avvenuto nella giunta
comunale di poche settimane fa, con l'approvazione di una delibera
dell'assessore al Commercio Paolo Chiavarino per far insediare un
Superstore di Nova Coop, una media struttura di vendita alimentare
che si svilupperà su due fabbricati da 2500 metri quadrati, con
annessi spazi per il parcheggio.
È soltanto un tassello della rivoluzione che interesserà tutto il
perimetro compreso fra il cavalcavia di corso Sommeiller, via Nizza,
via Argentero e le sedi ferroviarie ancora in esercizio sul lato
ovest, dove sorgerà anche il futuro Centro di ricerca per le
biotecnologie molecolari promosso dall'Università.
L'intero intervento prevede un investimento complessivo da 60
milioni di euro, le operazioni di bonifica e scavo erano partite già
la scorsa estate, mentre il completamento di tutto il restyling è in
programma tra la fine del 2025 e l'inizio del 2026. Un'opera attesa
da tempo nel quartiere, dove l'ex scalo Vallino rappresenta un vuoto
urbano che, in un certo senso, "taglia in due" il territorio.
Si tratta di 32 mila metri quadrati dove sarà forte la volontà di
valorizzare la vocazione universitaria del borgo: Nova Coop, in
partnership con le società Taurus e Ca Ventures, realizzerà una
residenza per studenti da oltre 10 mila metri quadrati. Un'altra
superficie da 10 mila metri quadri sarà invece dedicata ad attività
commerciali e servizi, di cui fa parte proprio il Superstore Coop,
per cui è stata appena presentata la richiesta del permesso di
costruire.
Nel progetto complessivo dell'area, è stato anche previsto di
realizzare un grande spazio pubblico, per aprire sempre di più l'ex
scalo agli abitanti del quartiere: più di 7500 metri quadri dove
sorgerà anche una piazza attrezzata, oltre a una piastra dedicata
alla pratica di diverse discipline sportive da 5 mila metri quadri.
Sul lato di via Nizza, i tre edifici vincolati come beni
storico-architettonici saranno la vera e propria porta d'ingresso
allo spazio pedonale, dove nell'ultima fase dei lavori si provvederà
anche a mettere a dimora nuovi alberi ad alto fusto.
È uno spicchio di San Salvario di circa 32 mila metri quadrati
complessivi che, passo dopo passo, si prepara a rinascere, mettendo
insieme più anime. L'area fu acquistata da Fs Sistemi Urbani, in
seguito alla gara bandita già nel dicembre del 2015. L'iniziativa è
sviluppata da Nova Coop, il progetto urbanistico è a cura di Ai
Engineering e Ai Studio, mentre a curare il progetto architettonico
ha contribuito anche Picco Architetti.
MOSSA INTELLIGENTE : il sindaco lo russo al forum internazionale
Palazzo Civico va in Corea per studiare la mobilità
I piani di sviluppo della mobilità del futuro, la guida autonoma e
gli scambi di tecnologia fra paesi. Sono questi i temi portanti che
saranno affrontati dal sindaco Stefano Lo Russo nei prossimi giorni,
durante la sua missione istituzionale in Corea, per partecipare al
Forum che si terrà nella città di Gwangju. È una delle prime azioni
concrete, dopo che lo scorso 15 aprile a Palazzo Civico fu ospitato
il sindaco della città coreana, per la firma di un patto di
collaborazione in ambito economico, culturale, turistico e
accademico.
La prima tappa istituzionale è in programma martedì al Cimitero
Nazionale "18 Maggio", istituito nel 2002 in memoria dei
manifestanti uccisi durante la sanguinosa repressione della protesta
contro il regime militare, avvenuta appunto il 18 maggio del 1980.
Poi Lo Russo e il capo del Municipio di Gwangju, Kang Gijung,
interverranno al Forum internazionale sulla mobilità. «La
collaborazione e i progetti condivisi tra istituzioni di paesi
diversi, soprattutto su temi che riguardano da vicino le grandi
sfide che abbiamo di fronte, sono fondamentali per il futuro di
tutti» spiega Lo Russo. La visita proseguirà poi al Gwangju Global
Motors, lo stabilimento che è nato dalla joint venture fra Hyundai
Motor Company e il Governo, che oggi ha raggiunto la capacità di
produrre 100 mila veicoli all'anno. In ambito culturale, invece,
prenderà il via una collaborazione fra Gwangju e la Fondazione
Torino Musei e il Mao, che darà vita all'apertura di una nuova
sezione nel Museo d'Arte orientale dedicata alla Corea, grazie al
prestito di alcune collezioni.
24.08.24
"Difendo gli sfruttati Ma sono senza stipendio perché manca una
firma" chiara comai
«Quando sono mesi che lavori e non vieni pagata inizi a vedere il
mondo come un posto buio. E questo ti porta a fare male il tuo
lavoro. Ti porta al burnout». Ormai è da più di un anno che Serena
Medici, 36 anni, convive con la rabbia. La sua è una frustrazione
particolare: quella di chi lavora per migliorare la vita degli
altri, ma intanto vede peggiorare la propria.
Una situazione che si è venuta a creare da quando, prima il
dipartimento delle Pari Opportunità di Roma e poi la Regione
Piemonte, hanno ritardato a tal punto i pagamenti dei progetti vinti
dalle associazioni che combattono la tratta di essere umani da
mettere in crisi l'intera rete, composta da 19 enti oggi allo
stremo.
Con i pagamenti fermi da marzo 2023 ci sono decine di Serena che
oggi non prendono lo stipendio da mesi a causa dei ritardi in una
firma. Serena lavora per Tampep, una piccola associazione nata
vent'anni fa che ogni giorno aiuta vittime di tratta, ovvero persone
indotte a vivere in un Paese straniero per poi essere vittime di
sfruttamento sessuale, lavorativo o essere impiegate in attività
illecite. L'associazione di Serena non è grande, sette dipendenti.
Ha scelto di puntare su pochi progetti di qualità, per fare la
differenza. Ma ora, dopo aver anticipato i soldi per i progetti a
causa degli enormi ritardi delle istituzioni, è agli sgoccioli. Non
riesce più a pagare stipendi regolari da gennaio, affitti per le
case protette, bollette, materiali. È una situazione comune a tutte
le associazioni della Rete antitratta, anche le più grandi, che
hanno minacciato di chiudere le attività dei progetti. L'equazione è
semplice: senza soldi non si va avanti.
Tre lavori per sopravvivere
«Tramite una raccolta fondi siamo riuscite a pagare due stipendi, ma
non bastano» spiega Serena, che oltre al suo lavoro fa anche parte
del direttivo di Tampep. Lei, in questi mesi, ha dovuto bloccare il
mutuo e rinunciare a tutto: sport, vacanze, svaghi. Una vita
azzerata. «I miei introiti si sono ridotti – spiega – e per riuscire
a sopravvivere sono costretta a svolgere tre lavori: per Tampep, per
un'altra associazione non profit e per un catering». Ma questo non
le lascia tempo per vivere. «Sono esausta – spiega – Questi ritmi
sono insostenibili. Per riuscire a mantenere un equilibrio psico
fisico mi sono imposta di lavorare solo un week end su due». Ma
questo significa lavorare 7 giorni su 7 il resto del mese. «Lavorare
così tanto mi stanca a tal punto che a volte non ho la forza nemmeno
per uscire di casa».
Paradossale per una persona che, come professionista, si occupa di
chi è sfruttato sul lavoro. Ottenere un aiuto? «Alla mia età non ho
più voglia di chiedere prestiti ai genitori. E non mi sembra nemmeno
giusto: sono laureata in antropologia e con un master in studi di
genere, una professionista che lavora da anni ed è corretto che
venga pagata. La politica si deve muovere per far sì che tutto
funzioni».
Adesso Serena si trova a pensare, inevitabilmente, al suo futuro:
«Il lavoro che faccio è importante, ma se non ricevo lo stipendio
dovrò cambiare alcune scelte. Mi chiedo se piuttosto non sia meglio
impiegarmi nel profit, e fare poi l'attivista o la volontaria nel
tempo libero».
La perdita di professionalità
Per lei, ormai, lavorare nel terzo settore è diventato un privilegio
per pochi. «Devi avere qualcuno che ti sostiene alle spalle, oppure
essere impiegato in una cooperativa grande che possa reggere questi
ritardi di pagamenti». La cosa peggiore? Non sapere quando finirà.
«Se avessimo idea di quando ci pagheranno potremmo organizzarci. Ma
così è impossibile ed estenuante».
In questo momento la rete di associazioni è da oltre un mese in
attesa che i fondi arrivati da Roma vengano distribuiti agli enti.
Il credito ammonta a 1.755.370 euro. L'ente capofila ha già
annunciato la riduzione delle attività e minacciato la chiusura dei
progetti.
23.08.24
SIAMO IGNORANTI :
Nell'estate del 1899, l'emozione dei fratelli Auguste e Louis
Lumière davanti alle creste glaciali della Mer de Glace superò
quella dei loro spettatori quando sbiancarono di paura il 6 gennaio
del 1896 al Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi,
guardando la sequenza della locomotiva che pareva uscire dallo
schermo. Oggi quell'onda gli inventori del cinema non la vedrebbero
più: il secondo ghiacciaio d'Europa, sul versante francese del Monte
Bianco, è trecento metri più in basso.
Chi volesse raggiungerlo a piedi dovrebbe scendere 580 gradini nella
roccia, musi arrotondati dall'antico ghiacciaio, come levigati da
una mola. Il gigante che i francesi hanno battezzato Mer, cioè mare,
ogni anno si ritira di quasi 200 metri. Nel film di 45 secondi i
Lumière mostrarono creste alte come palazzi, quasi parallele e
mostrarono la «descente», la discesa di quattro alpinisti in
cordata, vestiti in festa, cappello compreso. Oggi è documento di
quanto quel mare glaciale si sia fuso per il cambiamento climatico,
per quel grado virgola sette di più che ha ammalato il clima, una
febbre che proprio sulle Alpi è più visibile.
I Lumière avevano filmato passeggiando a Montenvers (1.913 metri)
dove arriva il trenino rosso da Chamonix. Alle spalle i larici e
qualche abete, sotto i piedi la roccia del piede del Monte Bianco e
davanti il mare di ghiaccio. E a Montenvers in questo capriccioso
agosto, è arrivata la Carovana dei ghiacciai, che da anni ormai
mostra quello che succede alla montagna, sempre meno fredda, sempre
più fragile. La pellicola dei Lumière mostrava una giornata limpida,
la Carovana di Legambiente Comitato glaciologico italiano e Cipra
(Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) era sotto
la pioggia. E ciò che hanno visto in basso era ghiaccio «sporco»,
lingua sofferente coperta da detriti. Difficile intravedere una
delle caratteristiche di questo ghiacciaio sceso sotto i trenta
chilometri quadrati: le ogive, che appaiono come archi d'ombra a
segnare il flusso glaciale. Ombra dovuta proprio ai detriti. Un
fascino ferito dalla fusione, dai crolli delle sponde ormai alte,
scarpate aride. Il fiume di ghiaccio non corre più, si ritira.
Eppure, proprio pietre e ghiaie moreniche rappresentano una
speranza, rallentano l'agonia della Mer. Lo dice il glaciologo
francese Philip Deline, professore all'università Savoia-Mont Blanc
di Chambéry: «Questo ghiacciaio non sta bene, ma la copertura
detritica è una compensazione rispetto all'ablazione, al consumo del
ghiaccio». E un suo collega, Marco Giardino, vicepresidente del
Comitato glaciologico italiano, offre una visione che coglie anche
l'aspetto storico e l'importanza di un ghiacciaio che definisce
«libro». Ambientalisti e scienziati sono entrati nelle grotte,
scavate nel ghiacciaio per ragioni turistiche, ma che aiutano a
comprendere la vita della Mer de Glace «attraverso gli strati
glaciali e la migrazione delle ogive», dice Giordano. E ancora: «Il
ghiacciaio scandisce così il ritmo della nostra vita».
Proprio dal cucuzzolo di roccia di Montenvers lo sguardo riesce a
percorrere chilometri e a raggiungere la biforcazione dove la Mer si
spacca in profondi crepacci che mostrano varie tonalità del blu e di
lì sale in due rami, uno verso destra e il confine italiano, l'altro
verso il bastione della parete Nord delle Grandes Jorasses. La
Carovana non può che indovinarla tra le nubi. È fra le montagne più
maestose delle Alpi, una parete che ha rappresentato una delle più
grandi sfide alpinistiche. Il cambiamento climatico non le ha rubato
fascino, ma solo qualche blocco di granito. Frane che sono invece
evidenti nella guglia definita «meravigliosa» dalla guida
alpinistica Vallot, il Petit Dru. Una lancia visibile dalla Mer de
Glace, così come le sue ferite. All'inizio del terzo millennio
alcune frane hanno distrutto il pilastro della parete Ovest, in
faccia a Montenvers, su cui Walter Bonatti da solo firmò nell'agosto
del 1955 la sua impresa leggendaria. Pilastro che nessuno potrà più
affrontare. Secondo il professor Deline i crolli di parete rocciose
nel Monte Bianco dal 2000 al 2010 sono stati in media 12 l'anno,
mentre tra il 1940 e il 1950 erano cinque.
Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente Alpi e presidente di
Cipra Italia: «Questo grande ghiacciaio ci racconta un paesaggio
completamente cambiato che in passato ha attirato turisti da tutto
il mondo e che ora deve essere ripensato. Ci ricorda la necessità di
politiche di mitigazione e di impellenti strategie di adattamento
anche in alta quota, di nuove forme di turismo, ma anche di tutela
dell'alta montagna. Aspetti che andrebbero affrontanti con un
percorso di governance internazionale per le alte quote». —
VOTATI PER INCASSARE TANGENTI E ROVINARE IL PIANETA : Nella
insana battaglia, tutta italiana, che si sta combattendo senza
esclusione di colpi fra una straminima minoranza di "padroncini
delle coste", che dire corporativi è dire poco, e la stragrande
maggioranza di fruitori del libero mare, quello che rischia di
rimetterci è, come al solito, l'ambiente. Prima di tutto perché non
si sta sfruttando l'occasione al fine di recuperare e riqualificare
le spiagge, eliminando, distruggendo e abbattendo tutto ciò che è
stato illegittimamente costruito dove non si poteva. Strutture
ricettive, bar, ristoranti, spogliatoi tutt'altro che rimovibili,
attestati sul patrimonio di tutti, senza alcun titolo, accampando
come unica, risibile scusa l'inconcepibile tolleranza delle
amministrazioni e i condoni dei governi che non avevano e non hanno
alcun diritto di essere concessi lungo i litorali (come recita
financo il Codice della Navigazione).
Gli stabilimenti balneari "fissi" e infrastrutturati soffocano e
mettono in pericolo gli ecosistemi costieri, distruggono ambienti,
portano all'abbattimento delle dune e al prosciugamento delle zone
umide. Sono un'aberrazione ecologica che certamente non viene
evitata neanche dalle spiagge libere, quando sono fuori controllo,
ma che almeno evitano, perfino in quei casi, che si instaurino per
sempre strutture e costruzioni.
Le spiagge libere sono qualche volta ricettacolo di rifiuti, ma
questo significa che abbiamo bisogno di educazione e spazzini, non
necessariamente di stabilimenti. Per tacere poi del paesaggio
cancellato e delle linee di spiaggia artificialmente alterate
nell'illusione di contenere l'erosione: moli, pennelli, barriere e
scogliere, oltre ad essere brutti, spostano solo il problema erosivo
più a monte o più a valle, non lo risolvono, e, alla lunga, lo
aggravano.
Ma aspetto culturale particolarmente negativo è dato dall'idea che
il mare possa essere considerato privato, isole comprese, come sta
accadendo all'isola di Palmaria nel Golfo di La Spezia, che, insieme
a Tino e Tinetto, fa parte del patrimonio Unesco e del Parco
Regionale di Porto Venere. Si tratta di un'area marina protetta che
ospita ancora una piccola prateria di posidonia, ed è una delle rare
isole italiane ancora sostanzialmente intatta.
Tuttavia, la Regione ha commissionato un Masterplan con l'intenzione
di trasformare addirittura Palmaria nella "Capri della Liguria".
Peraltro, la "questione Palmaria" è stata da detonatore
dell'inchiesta delle procure di Genova e La Spezia che ha portato
all'arresto del presidente Giovanni Toti, del suo capo di gabinetto,
Matteo Cozzani (già sindaco di Portovenere) e di altri personaggi
della scena imprenditoriale e amministrativa ligure. Il protocollo
d'intesa (firmato nel 2016) è stato redatto seguendo le leggi del
cosiddetto federalismo demaniale, che prevede il trasferimento a
titolo non oneroso alle amministrazioni locali di beni immobili
appartenenti al Demanio.
Il Comune si è impegnato, sottoscrivendo il protocollo, a restaurare
e mantenere in ottimo stato quei beni che rimangono nella
disponibilità della Marina Militare. Si tratta di due stabilimenti
balneari, evidentemente strategici per la sicurezza del Paese,
riservati ai dipendenti o ex dipendenti del Ministero della Difesa e
di alcuni immobili adibiti a residenze estive per gli stessi
dipendenti. Ma il rifacimento/restauro dei beni della Marina
Militare comporta spese di notevole entità che il comune di Porto
Venere non può sostenere, se non vendendo a privati tutti i beni che
gli vengono trasferiti, ad eccezione dei beni storico-artistici,
principalmente fortificazioni e batterie, che saranno dati in
concessione pluriennale sempre a privati e trasformati in parte in
strutture ricettive. Così verrà realizzata una trasformazione
dell'isola sia nella sua natura, sia nella proprietà, che diventerà
in gran parte praticamente privata, con la vendita o la cessione per
lungo tempo di numerosi immobili.
Un altro pezzo di costa infestato da stabilimenti e da "proprietà
private". Dei cinque scenari di sostenibilità ambientale, si poteva
scegliere il numero 1, "Palmaria Paradiso della Natura", con valore
di ecologia + 3 (il massimo). Si è, invece, scelto lo scenario 5
bis, che cambierebbe profondamente l'aspetto dell'isola.
Dal 1985, quando entra in vigore la legge Galasso che tutela i
litorali fino a trecento metri dalla costa, sono stati urbanizzati,
nella penisola, ben 302 chilometri di coste con una media di 13
chilometri all'anno "consumati" dal cemento, 48 metri al giorno. In
Italia complessivamente sono oltre 3.500 i chilometri di paesaggi
costieri trasformati da case, alberghi, palazzi, porti e industrie.
In alcune Regioni i numeri raggiungono situazioni incredibili, come
in Abruzzo e Lazio dove si supera il 63%, in Liguria il 64% e in
Calabria il 65%, e dove si sono salvate solo le aree meno
appetibili, con rilievi, o più difficili da aggredire, come foci di
fiumi e rilievi montuosi. E i dati devono ancora essere aggiornati.
La risorsa spiaggia, nel nostro Paese, è scarsa, visto che per
spiaggia si deve intendere meno della metà delle coste e visto che
non possiamo considerare appetibili quei chilometri vicini alle foci
dei fiumi, alle discariche, ai porti commerciali, agli stabilimenti
industriali o infestati da divieti di balneazione, servitù militari,
aree cittadine o metropolitane.
Invece il tavolo tecnico del Governo ha recentemente statuito che le
coste (si badi bene, non le spiagge) hanno uno sviluppo variabile
che dipende dalla scala: l'Italia ha circa ottomila chilometri di
coste per tutti, salvo che per i balneari, che ne contano 11 mila,
allo scopo di dimostrare che la risorsa non è scarsa e invocare la
non applicazione della direttiva europea. Nell'attesa di vedere
rifatti i conti con la scala 1:1, applicando astute reminiscenze
borgesiane, per arrivare a decine di migliaia di chilometri di
coste, suggerisco di riprenderci le nostre spiagge e di difendere le
isole da un attacco senza precedenti al bene comune. A partire dalle
piccole isole ancora intatte.
METODO AVV.COPPI : SIMULARE I RAGIONAMENTI DELLA CONTROPARTE PER
INFLUNZARLI A PROPRIO VANTAGGIO:
Nessuno ha ancora capito davvero
come sia affondato a Porticello il Bayesian, il mega yacht di Mike
Lynch, in quella notte di tempesta e di tragedia. L'albero maestro non è
rotto e non hanno trovato nemmeno una falla nello scafo. «Un evento
anomalo, senza precedenti, per una imbarcazione di quelle dimensioni»,
ha detto Matthew Schank, presidente del Maritime Search and Rescue
Concil. Il fatto è che quando non si capisce qualcosa fanno in fretta a
fiorire sospetti e misteri. Uno dei primi a scoperchiare questo vaso di
Pandora è stato Mike East, giornalista inglese con solidi trascorsi da
"dietrologo". Ma questa volta non è rimasto solo a spargere i suoi
dubbi, e nel gran calderone delle notizie persino la paludata e prudente
Bbc ha finito per porsi le stesse domande.
È una storia che parte da Mike Lynch e dalla sua creatura, la Darktrace,
un'azienda di cyber technology ben nota ai servizi segreti di tutto il
mondo e che ha intrattenuto sempre rapporti molto stretti con il Mossad.
Attorno alla figura di questo Bill Gates britannico aleggiano con
qualche acquiescente forzatura strane vicende di spionaggio
internazionale, 007 in missione nel cuore dei conflitti, miliardi a
gogò, processi e sentenze varie, più macabre coincidenze, un naufragio
identico a quello di Palermo e altre morti misteriose. Materiale ce n'è
in abbondanza. Pure, segugi complottisti. Basta non affogarci dentro.
Tutto comincia però con l'affondamento a Porticello del Bayesian, un
Perini di 56 metri e 473 tonnellate, a causa di una tromba d'aria alle 4
del mattino di lunedì 19 agosto. Lo yacht sarebbe finito sott'acqua in
un tempo infinitesimale di circa 10 secondi, trascinando con sé i 12
passeggeri e i 10 membri d'equipaggio. Di loro, 15 sono stati salvati.
Fra i dispersi Mike Lynch, sua figlia Hannah di 18 anni e Jonathan
Bloomer, presidente della Morgan Stanley International e fondamentale
testimone della difesa nella lunga causa per frode intestata negli Stati
Uniti a carico di Lynch, conclusa due mesi fa con l'assoluzione del
tycoon. Karsten Borner, capitano di uno yacht ancorato lì vicino, dice
di aver visto l'albero maestro «piegarsi e spezzarsi». Ma la Bbc riporta
la testimonianza di Marco Tilotto, sub dei vigili del fuoco, secondo il
quale la nave era tutta intera e adagiata su un fianco. Anche Matthew
Schank ha spiegato come sia difficile che l'albero maestro possa essersi
rotto. In ogni caso, ha aggiunto, questo evento è senza precedenti.
In effetti sembra strano che uno yacht super tecnologico affondi in un
amen, mentre lì accanto barche più leggere non riportano nessun danno.
Che ci sia qualcosa di poco chiaro non lo si può negare. Ma è
soprattutto sulle figure delle persone scomparse (fra le quali anche
l'avvocato del tycoon) e sui loro trascorsi che si affollano i dubbi. La
compagnia di Mike Lynch, la Darktrace, ha come detto rapporti molto
stretti con il Mossad. Secondo quanto riportato da Agenzia Nova, i
sistemi dell'azienda di Lynch sarebbero stati utilizzati per individuare
alcuni dei comandanti di Hamas. Mike East scrive che avrebbe avuto in
organico e nel Cda diversi ex membri dei servizi segreti inglesi e
americani. Nel comitato consultivo di Darktrace è entrato anche Jonathan
Evans, ex direttore generale dell'MI5, dopo 33 anni - come si legge sul
sito dell'azienda - vissuti a concentrarsi sulla lotta al terrorismo e
le minacce informatiche.
La rivista specializzata This is Money scrive che ad aprile Lynch ha
ceduto silenziosamente molte delle sue quote e Darktrace è stata
acquistata da Thoma Bravo, una società di private equity che possiede le
quote di diversi gruppi di sicurezza informatica tra cui McAfee, il cui
fondatore fu trovato morto in carcere in circostanze mai del tutto
chiarite. Fra un complotto e l'altro, con qualche decesso misterioso,
l'unica cosa certa è che Lynch è sempre riuscito a riempire per bene i
suoi salvadanai. A giugno poi si è chiuso il processo negli Stati Uniti
per truffa e cospirazione, dove rischiava 20 anni di carcere, e lui e il
suo socio Stephen Chamberlain sono stati assolti. Periodo fortunato?
Macché. Nemici e destino sono sempre in agguato. Lo yacht affonda a
Palermo portandosi via Mike e nelle stesse ore Stephen stava facendo
jogging vicino a casa, nel villaggio di Stretham, quando una Opel Corsa
guidata da una signora di 49 anni l'ha travolto e ucciso. Negli stessi
giorni via tutt'e due. Come coincidenze non c'è male.
Nel caravanserraglio dei sospetti qualcuno ha ipotizzato che durante il
processo avessero sfruttato le loro informazioni per condizionare dei
testimoni molto potenti. Qualche volta la fantasia non ha limite. Una
vendetta senza prove. A inseguire le somiglianze ce n'è un'altra che
salta agli occhi. Il 28 maggio del 2023, sul Lago Maggiore, la Gooduria,
una imbarcazione che ospitava a bordo ventun membri dell'intelligence, 8
italiani e 13 israeliani, è colata a picco per una tromba d'aria.
Muoiono due agenti dei nostri servizi e uno di Tel Aviv, oltre alla
compagna dello skipper. Non hanno avuto scampo perché sono rimasti
imprigionati nello scafo. Gli altri si salvano a nuoto. Anche se quella
volta era sembrato evidente che si fosse trattato di un incidente, sono
le coincidenze a destar l'attenzione dei più sospettosi. La barca, il
Mossad, la tromba d'aria, il mare magnum dei James Bond e dei loro
misteri. E poi si sa com'è. La verità qualche volta è solo un segreto
che non si può dire.
22.08.24
Brics contro G7 di cui presidenza italiana che non ha garantito la
sicurezza sul suo Territorio:la Meloni cosa fara' ?
Come è possibile che uno yacht lussuoso e all’avanguardia, di 473
tonnellate di stazza lorda, sia affondato in sessanta secondi a un
chilometro dalla costa siciliana all’alba di lunedì? La procura di
Termini Imerese ha già acquisito alcuni video registrati dalle
telecamere di sorveglianza di una villa vicina al litorale.
In una ricostruzione del Financial Times viene introdotto un tema
importante: si cita il lifting keel, vale a dire quello che in
italiano chiamiamo chiglia mobile o retrattile, un sistema che se
abbassato porta, secondo i dati del costruttore (Perini Navi), la
chiglia a una profondità totale di 10 metri.
Più nel dettaglio: il documento di Perini Navi fornisce le
dimensioni della chiglia in posizione "su" - 4,05 metri - e in
posizione "giù" - 9,83 metri. Se la deriva fosse stata abbassata
completamente l’imbarcazione avrebbe avuto maggiore stabilità
nonostante la tromba d’aria. Scrive il Financial Times: «Se la
chiglia fosse stata per qualche motivo in posizione sollevata
anziché completamente estesa, ciò avrebbe compromesso la stabilità
della barca in caso di vento forte. […]».
C’è stato un errore del comandante? Si affaccia dunque l’ipotesi
dell’errore umano. Secondo alcuni esperti sarebbe affrettato
arrivare a questa conclusione: il veliero si trovava in rada in una
situazione tranquilla, solitamente si abbassa la deriva quando il
mare è grosso. «E quando è arrivata la tromba d’aria - commenta un
esperto - non c’è stato il tempo per abbassarla, perché non è una
operazione che compi spingendo un bottone. Serve almeno mezz’ora».
Il comandante dello yacht nelle prime dichiarazioni ha spiegato: «È
stato tutto improvviso, non abbiamo visto arrivare la tromba
d’aria». Osserva l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di Stato
maggiore della Marina militare: «Lascia perplessi che una nave così
attrezzata e così moderna sia affondata così rapidamente. E se
effettivamente non ci sono lesioni sullo scafo l'acqua deve essere
entrata attraverso dei portelli aperti. La nave a quel punto è
andata rapidamente a fondo perché tonnellate di acqua sono entrate
all'interno».
[…] «Provi a tracciare sulla mappa una linea con un pennarello.
Trovarsi proprio nel punto in cui passa quel segno sottile non è
così probabile. Ecco, immagini che quella linea indichi il tracciato
della tromba d’aria che è stata molto intensa e localizzata. Detta
in altri termini: se il veliero Bayesian si fosse trovato anche a
solo 100 metri più in là rispetto a dove è affondato, l’esito
sarebbe stato differente». A parlare è il professor Antonio
Carcaterra è direttore del Dipartimento Ingegneria Meccanica e
Aerospaziale dell’Università La Sapienza di Roma. […]
Carcaterra: «Non è sorprendente che in presenza di eventi estremi
possano esserci conseguenze anche nefaste, negative. Parliamo di una
tromba d’aria in cui si realizzano delle condizioni di velocità del
vento e del mare particolarmente gravi. Temo che non ci sia stato
proprio il tempo per manovrare l’imbarcazione. Pensi: arriva un
evento meteo di intensità così importante, arriva in un momento in
cui l’allerta dell’equipaggio era bassa perché stava dormendo. E non
hanno avuto neppure la possibilità di vedere avvicinarsi la tromba
d’aria, anche se va detto che probabilmente ci sarebbe stato poco da
fare comunque».
Perché tra le imbarcazioni che si trovavano in quell’area solo il
Bayesian è affondato? Carcaterra: «Perché è stata quella colpita in
maggior misura. Sono fenomeni localizzati. A 150 metri di distanza
l’effetto magari è importante, ma non dirompente. È una barca di
dimensioni ragguardevoli, le forze in gioco devono essere state
importanti. […]». L’albero (72,3 metri in alluminio) è molto alto,
ma dalle prime risultanze non si è spezzato.
2. IL SUPER YACHT A PICCO IN 60 SECONDI L’ALBERO INTATTO, GIALLO
SULLE CAUSE
Estratto dell’articolo di Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”
È un rompicapo, questo veliero affondato. Più passano le ore e più
diventa lunga la lista delle domande che non trovano risposte, né
davanti alla logica, né mettendo assieme le poche certezze raccolte
fin qui. E come se questo non bastasse, anche dal Regno Unito
arrivano notizie che aggiungono ombre — o forse è meglio chiamarle
suggestioni — su una singolare coincidenza di cui diremo in seguito.
Cominciamo da lui, Mike Lynch, il magnate inglese al momento
disperso nel naufragio del Bayesian, il megayacht di famiglia (è
proprietaria sua moglie) affondato da un tornado nella notte fra
domenica e lunedì davanti a Porticello. O meglio: il tornado è stato
il punto di partenza di quel che è successo ma quel gioiello a vela
— ripetono ingegneri navali ed esperti vari — aveva tutte le chance
per resistere a venti fortissimi, fulmini e muri d’acqua. Eppure,
niente: è colato a picco in un lasso di tempo brevissimo, fino ai 50
metri di profondità in cui si trova ora, adagiato sul fianco destro.
[…]
L’albero non si è spezzato e lo scafo non ha falle, almeno non nella
parte che si vede, i boccaporti sono chiusi, le vetrate intere.
Quindi «la barca ha retto», rivendica la «The Italian Sea Group»,
proprietaria della Perini Group di Viareggio che costruì il veliero
nel 2008. Sì, ma allora che cosa l’ha fatta inabissare?
Una delle ipotesi allo studio della Procura di Termini Imerese — che
indaga per naufragio colposo — è che la velocità e l’imponenza
dell’acqua sia stata così forte da non dare il tempo al sistema di
emergenza di bordo di «sigillare» l’imbarcazione quando l’acqua ha
iniziato a entrare.
Altra ipotesi: il veliero sollevato da poppa da un gigantesco muro
d’acqua e inabissato velocemente con la prua puntata verso il
fondale. Possibilità. Com’è possibile che l’ancoraggio abbia avuto
un ruolo nella tragedia. Altro punto da chiarire: è stato prudente
ancorarsi in rada con l’allarme meteo? Era abbastanza sicuro? […]
C’è un video (un minuto e venti secondi, pubblicato da Rai News 24)
girato dalla telecamera di una villa che inquadra la rada proprio
nel punto in cui era ormeggiato il Bayesian. Mostra la rapidità
della tromba marina. Cresce in intensità un secondo dopo l’altro e
mostra le luci del veliero scomparire nel buio «in un minuto» come
dice il proprietario della casa. Sono i momenti più tragici. Ci sono
persone che annaspano nell’acqua e altre intrappolate nelle loro
cabine. Fra i sei passeggeri in trappola c’è Lynch con sua figlia
Hannah, 18 anni. E poi Jonathan Bloomer, il presidente della banca
d’affari Morgan Stanley International, sede londinese (ma con
operatività internazionale) del colosso americano.
Non hanno fatto in tempo a uscire dalle loro cabine ed è lì che i
sommozzatori stanno provando ad arrivare: un’impresa difficilissima
per la difficoltà di muoversi in quegli spazi, una specie di piccola
Concordia. Ciascun sommozzatore può passare laggiù non più di 10-12
minuti; entra nello scafo dall’ingresso principale, chiamiamolo
così: quello di poppa. […]
Dal Regno Unito arrivano due notizie: una sui legami fra Lynch e i
servizi segreti di mezzo mondo, in particolare quelli israeliani,
attraverso le sue società di sicurezza informatica. E l’altra sul
suo amico e uomo di fiducia Stephen Chamberlain: è morto 48 ore
prima di lui in un incidente stradale. Era finito alla sbarra per
frode assieme a Lynch, negli Usa, e come lui era stato assolto, due
mesi fa. […]
Servillo: "Il film su Berlusconi non ha spazio sulle tv italiane"
Fulvia Caprara
Roma I film hanno strane vite, eterne, fugaci, inspiegabili. Ora
anche social, nel senso che tornano a interessare il pubblico
proprio grazie alla riproposizione in pillole che spesso crea nuovi
fan. Per "Loro", il film in due capitoli che Paolo Sorrentino aveva
dedicato all'epopea berlusconiana nel 2018, la riesumazione in forma
di Tik Tok è un bene. Soprattutto, come ha raccontato Toni Servillo
nel podcast di Dario Moccia (feat. Victor), quando accade che il
film originale sia praticamente scomparso dai radar, come se
qualcuno avesse deciso di metterci una pietra tombale: «Sul mercato
tedesco, francese, inglese "Loro" è disponibile – nota l'attore -.
Evidentemente, il film è stato acquistato da chi non ha interesse a
distribuirlo in Italia». Per ragioni produttive la pellicola non è
mai passata in tv, cosa che ne ha accelerato l'oblio: «Non l'ha
trasmesso la Rai, ovviamente non lo ha fatto Mediaset e non è andato
su La7 che fu, invece, l'unica, a suo tempo, a mandare in onda "Il
Divo"». Questioni legate al diritto d'antenna, ossia ai capitali
investiti nelle produzioni cinematografiche. Non avendo avuto
contributi finanziari né da Rai né da Mediaset "Il Divo", dedicato a
Giulio Andreotti, «non andò mai sulle tv generaliste, ma fu
trasmesso da La7».
Il passaggio di spezzoni di "Loro" sul palcoscenico dei social
potrebbe, continua Servillo, stimolare la riproposizione del film,
diventando anche occasione per rivedere critiche e giudizi: «Quando,
tra un bel po' di anni, "Loro" avrà finalmente l'opportunità di
tornare a essere visto, avrà una valutazione superiore rispetto a
quella avuta in precedenza». Nel film, una co-produzione
italo-francese, distribuita, nel nostro Paese, da Universal,
Servillo interpretava una scena madre, centrata su una vendita
telefonica. Performance straordinaria, utile a descrivere i cardini
dell'ideologia berlusconiana: «E' una scena scritta e diretta, non
dico interpretata, perchè non sto qui a incensarmi, che coglie molto
nel segno». Il protagonista è «un uomo che, a un certo punto, deve
verificare se è ancora capace di vendere. Il film, secondo me,
racconta il modo con cui, a un tratto, nella politica, sia entrato
prepotentemente il mercato e, di conseguenza, saper vendere e
comprare siano diventate cose molto importanti». I conduttori del
podcast ricordano che alcuni commentatori avevano avuto da ridire
sul fatto che il Cavaliere, in quella sequenza, si esprimesse in
lingua napoletana: «Si voleva dare la dimensione istrionica del
personaggio – ribatte Servillo -, comunque Berlusconi, per vari
motivi, era molto legato a Napoli e, probabilmente, vendere da
napoletano gli sembrava più efficace».
In "Loro" e nel "Divo" Servillo ha lavorato «su due maschere, perché
dovevo allontanarmi completamente da me stesso, anche sul piano
fisico». Due maschere che, anche oggi, sui social, funzionano
benissimo. —
Il socio in affari del magnate britannico investito e ucciso nel
Cambridgeshire L'hanno già ribattezzata la «maledizione di Autonomy».
Stephen Chamberlain, ex top manager della multinazionale
dell'informatica assolto negli Usa in un processo per frode lo
scorso giugno come il fondatore della società Mike Lynch, è morto
dopo essere stato investito da un'auto sabato scorso mentre correva
nella contea inglese del Cambridgeshire. Lo ha comunicato il legale
dell'ex vicepresidente finanziario all'interno dell'azienda, il
quale era stato accusato di aver gonfiato artificialmente i conti di
Autonomy al fine di spingere il colosso americano Hewlett-Packard (Hp)
ad acquisirla nel 2011 per 11,1 miliardi di dollari. La notizia
viene data con grande risalto sui media del Regno Unito che già
parlano di «maledizione» attorno ai vertici societari.
Estratto dell’articolo di Carmine Fotina
per “il Sole 24 Ore”
Riformare per accorciare i
tempi, evitare una lunga e spesso inutile agonia ad aziende
sull’orlo del fallimento e, perché no, risparmiare risorse
pubbliche. Sono anni che i governi, di qualsiasi estrazione
politica, professano l’intenzione di riordinare le procedure di
amministrazione straordinaria che tengono in vita decine e decine di
imprese decotte e garantiscono lauti compensi a decine e decine di
professionisti nella veste di commissari.
Il quadro però – a leggere l’ultimo aggiornamento del ministero
delle Imprese e del made in Italy, al 31 maggio 2024 - è ancora
ipertrofico, con molti casi di procedure che appaiono infinite,
iniziate quando le rispettive leggi di riferimento entrarono in
vigore - la legge Prodi bis nel 1999 (Dlgs 270) e il decreto Marzano
a fine 2023 (Dl 347) - e oggi ancora, di fatto, aperte.
IMPRESE ITALIANE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA - IL SOLE 24 ORE
IMPRESE ITALIANE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA - IL SOLE 24 ORE
[…] Le singole società ammesse sono state finora 635
(rispettivamente 365 e 270). Ma ciò che colpisce è soprattutto il
numero delle società che risultano ancora in fase di liquidazione,
385 di cui 234 in virtù della Prodi bis e 151 sulla base del decreto
Marzano. In pratica, oltre il 60% del totale. La procedura si è
chiusa invece per 71 società nel primo caso e 87 nel secondo. I
fallimenti sono, rispettivamente, 55 e 1.
Di contro, le società che risultano in esercizio di impresa sono
solo cinque con la Prodi bis e 31 con la Marzano. Si tratta di
imprese riconducibili a dieci gruppi. I più noti sono Ilva e
Acciaierie d’Italia (nota a sua volta come ex Ilva), commissariate
con la Marzano così come Piaggio Aero Industries, Blutec, Condotte
d’Acqua. E poi, in base alla Prodi bis, anche Abramo, Istituto di
vigilanza Ancr, Fimer e Work Service, La Perla.
Le tabelle del ministero consentono di ricostruire anche una
statistica delle amministrazioni più lunghe, quelle che sembrano non
vedere mai il traguardo. Su 137 procedure di gruppi aziendali della
Prodi bis, 36 sono in corso da almeno 20 anni, 87 da almeno 15 anni
e 115 da almeno 10 anni.
La velocità di esecuzione non sembra molto diversa nel caso del
decreto Marzano, pur con la dovuta proporzione dei numeri. Qui, su
31 procedure di gruppi di impresa, 12 si trascinano da almeno 15
anni e 21 da almeno dieci anni. Un posto nella storia se lo sono
guadagnate la vicenda Parmalat, con quattro società su 70 che
risultano in amministrazione straordinaria dopo 21 anni, e
Bongioanni con 14 su 21 dopo 24 anni. […]
[…] il caso dell’azienda di lingerie La Perla, tra i più recenti
esempi di un marchio made in Italy che scivola inesorabilmente verso
l’amministrazione straordinaria, ha riaperto il dibattito su
possibili modifiche legislative. Già in diverse occasioni
precedenti, ne aveva parlato il ministro delle Imprese e del made in
Italy Adolfo Urso, facendo riferimento a un riassetto da mettere a
punto in tandem con il ministero della Giustizia.
Alcuni parziali interventi, in verità, sono stati introdotti nel Dl
sulle procedure di amministrazione straordinaria per le imprese a
carattere strategico - quello varato d’urgenza per salvare l’ex Ilva
nel pieno dello scontro con ArcelorMittal - ma appaiono per ora
ritocchi non risolutivi. Il decreto legge ha stabilito tra l’altro
che, nei casi di programma di cessione dei complessi aziendali
interamente portato a termine nei tempi, il commissario
straordinario possa chiedere al tribunale la conversione
dell’amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale o, per
le start-up innovative, in liquidazione controllata.
Sul tourbillon degli incarichi, invece, al momento fa fede una
direttiva ministeriale replicata quasi integralmente nel 2023 da
Urso dopo quella pubblicata nel 2021 dal suo predecessore Giancarlo
Giorgetti. Ogni anno si apre una procedura di candidatura online per
ricoprire gli incarichi di commissario giudiziale, commissario
straordinario, presidente e membro dei comitati di sorveglianza
delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in stato di insolvenza.
E i professionisti precedentemente iscritti sono tenuti a presentare
una nuova domanda per restare negli elenchi. Il tentativo è stato
anche quello di arginare le prestazioni lunghe quasi una carriera.
[...]
protesta dei dipendenti di la perla
21.08.24
XI E PUTIN, CHIP E CIOP – PECHINO STA AIUTANDO MOSCA AD AGGIRARE LE
SANZIONI AMERICANE E EUROPEE, SPEDENDO PRODOTTI TECNOLOGICI
OCCIDENTALI IN RUSSIA ATTRAVERSO HONG KONG – UN REPORT SVELA CHE UNA
DOZZINA DI AZIENDE, TRA AGOSTO E DICEMBRE 2023, HANNO ESPORTATO CHIP
E SEMICONDUTTORI VERSO LA RUSSIA PER UN VALORE DI 2 MILIARDI DI
DOLLARI – QUESTA SETTIMANA IL PREMIER CINESE, LI QIANG, VISITERÀ “SU
INVITO” LA RUSSIA E LA BIELORUSSIA
1. CINA, IL PREMIER LI QIANG ANDRÀ IN RUSSIA E BIELORUSSIA
(ANSA) - Il premier cinese Li Qiang visiterà "su invito" questa
settimana, dal 20 al 23 agosto, la Russia e la Bielorussia. Lo
riferisce il ministero degli Esteri di Pechino. "Dal 20 al 23
agosto, il premier Li Qiang si recherà in Russia per presiedere il
29/esimo incontro regolare tra i capi di governo cinesi e russi e
visiterà Russia e Bielorussia", ha riferito il ministero degli
Esteri di Pechino in una breve nota.
La visita di Li è maturata in un momento in cui Cina e Russia stanno
intensificando i rapporti di cooperazione economica e diplomatica,
mentre Mosca è alle prese con le difficoltà di fronte all'avanzata
di Kiev nell'oblast russo di Kursk. La partnership strategica
sino-russa si è rafforzata dall'invasione dell'Ucraina voluta dal
Cremlino a febbraio 2022, che la Cina non ha mai condannato.
La Nato ha definito di recente Pechino un "facilitatore decisivo"
della guerra, mentre il leader bielorusso Alexander Lukashenko ha
visitato la Cina due volte nel 2023, promettendo a dicembre di
essere un "partner affidabile" per il Dragone. Minsk, tra l'altro, è
uno stretto alleato di Mosca e a luglio è entrata ufficialmente a
far parte della Organizzazione della cooperazione di Shanghai (Sco),
diventando il decimo Paese del blocco che Pechino vede adesso come
un potenziale contrappeso all'ordine mondiale guidato dagli Stati
Uniti.
2. PER NEUTRALIZZARE LE SANZIONI USA XI OFFRE A PUTIN LO SCUDO DI
HONG KONG
Estratto dell’articolo di Stefano Piazza per “La Verità”
Il flusso di spedizioni da Hong Kong verso la Russia - successivo
all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca nel 2022 - mette in
evidenza il ruolo cruciale della città nel sostenere i nemici degli
Stati Uniti nell’eludere le sanzioni internazionali. Questo è quanto
emerge da una recente analisi pubblicata negli ultimi giorni dalla
Committee for Freedom in Hong Kong Foundation, un’organizzazione
senza scopo di lucro con sede a Washington […]
Il rapporto di 62 pagine intitolato «Sotto il porto: il ruolo guida
di Hong Kong nell’elusione delle sanzioni» illustra come le imprese
di Hong Kong abbiano facilitato l’esportazione di prodotti inclusi
nelle liste degli articoli prioritari di Stati Uniti e Unione
europea, conosciuti come «Common High Priority Items», evidenziando
l’uso di queste tecnologie chiave da parte dell’apparato bellico
russo.
L’indagine si è focalizzata su una dozzina di aziende
precedentemente non identificate, che secondo l’agenzia avrebbero
contribuito a esportare milioni di dollari in chip ad alta
tecnologia verso la Russia - oltre a componenti per droni destinati
all’Iran - e avrebbero facilitato trasferimenti illeciti di petrolio
da nave a nave per la Corea del Nord.
Il report ha esaminato i dati raccolti dall’organizzazione non
profit per la sicurezza globale C4ADS, rivelando che i mittenti di
Hong Kong hanno spedito beni per un valore di 1,97 miliardi di
dollari a compratori russi tra agosto e dicembre 2023. Di questi
beni, il 40% del valore era rappresentato da 11 articoli
classificati come ad alta priorità, tra cui semiconduttori
utilizzati come ricevitori di dati, unità di archiviazione digitale,
processori e controller per computer.
L’analisi ha inoltre evidenziato che 206 aziende di Hong Kong hanno
partecipato alla spedizione di articoli di alta priorità, prodotti
da aziende negli Stati Uniti, nell’Unione europea o da alleati
democratici asiatici, che sono arrivati in Russia a dicembre.
[…] Al quotidiano giapponese Nikkei Asia il colosso tecnologico Dell
ha respinto le accuse: «Dell rispetta le normative globali, compresi
tutti i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti. I nostri
distributori e rivenditori sono tenuti a rispettare tutte le
normative globali e i controlli sulle esportazioni applicabili. Se
veniamo a conoscenza di un distributore o rivenditore che non
rispetta questi obblighi, adottiamo misure appropriate, inclusa la
risoluzione del nostro rapporto».
Il quadro normativo di Hong Kong facilita la creazione di società
fittizie, sia da parte di residenti locali che di cittadini
stranieri. Hong Kong ha mantenuto il suo status di hub di libero
scambio anche dopo essere tornata sotto il controllo cinese nel 1997
e continua a posizionarsi in alto negli indici aziendali grazie alle
basse imposte, alla totale mancanza di controlli sui capitali e a
una valuta locale ancorata al dollaro statunitense.
Il rapporto sottolinea anche che le sanzioni si sono concentrate
principalmente sulle aziende coinvolte nelle spedizioni illecite di
merci, piuttosto che sui singoli individui. Nell’aprile 2023,
l’Office of Foreign Assets Control degli Stati Uniti ha sanzionato
tre società di Hong Kong per i loro legami con la fornitura di beni
elettronici all’Iran per programmi sui veicoli aerei senza pilota.
A questo proposito, Samuel Bickett, autore del report intervistato
da Nikkei Asia, afferma: «Gli attuali schemi di applicazione hanno
dei limiti e, nonostante l’uso di nuove sanzioni secondarie, le
spedizioni di tecnologia occidentale in Russia continuano. Le banche
non sono state soggette a sanzioni secondarie, nonostante tali
politiche per colpire le istituzioni finanziarie siano state
introdotte a dicembre».
Infine, lo scorso 11 luglio è emerso il caso di Agu Information
Technology, un distributore basato a Hong Kong, che sul proprio sito
dichiara di fornire «hardware per server, apparecchiature di rete e
componenti direttamente dal produttore (Intel e Samsung, nda)». Tra
settembre e dicembre 2022, Agu (fondata solo nell’aprile 2022) ha
effettuato sei transazioni di valore pari o superiore a 100.000
dollari con la società russa di vendita all’ingrosso di macchinari
Mistral, come riportato dai dati doganali russi ottenuti da Cybex
Exim, un’azienda di ricerca indiana. [..
2^ TEMPESTA MAGNETICA PROVOCATA IN ITALIA dopo il test sul
LAGO SI E' PASSATI AL MARE : ARRIVA MI6 ?
La strage
veliero
La barca a vela per le crociere vip restaurata nel 2020
flavia amabile
inviata a Palermo
«Che disse u comandante? Che non ha visto arrivare la tromba d'aria.
E così è. Non l'ha vista nessuno». Salvatore Izzillo, sta
aggiustando una rete sul molo di Porticello, il borgo marinaro nel
comune di Santa Flavia alle porte di Palermo, dove è affondato il
Bayesian, un veliero di 56 metri di lunghezza e un albero in
alluminio di 75 metri, il più alto al mondo che nei suoi sedici anni
di navigazione ha collezionato record e suscitato ammirazione nei
mari di mezzo mondo fino all'ultima crociera tra le Eolie, Milazzo e
Cefalù, un premio che il magnate delle telecomunicazioni Mike Lynch
ha voluto regalare ai suoi collaboratori che si è trasformata in una
tragedia in cui sette persone hanno perso la vita.
«Non era una tempesta normale», continua Salvatore senza smettere di
cucire. Come non era una notte normale quella tra domenica e lunedì.
I pescatori di Porticello sono rimasti tutti a casa. «Dava brutto
tempo, non era cosa di uscire», racconta Tonino Sannazzaro, pure lui
pescatore. «Visto che al mattino non dovevo alzarmi presto a
mezzanotte ero sul molo, ho visto le luci del veliero, c'era una
festa a bordo, si sentiva la musica. E poi ho visto le nuvole ma
nessuno di noi avrebbe immaginato che cosa si stava per scatenare».
Tonino resta in giro fino alle due, piano piano sul veliero e sul
borgo marinaro cala il silenzio. Due ore dopo, alle 4,05 quando
ormai tutti stanno dormendo, si scatena la tempesta. Le telecamere
del locale Baia Santa Nicolicchia mostrano la furia del vento che fa
volare tavoli, sedie e ombrelloni. Pochi metri più in là, volano i
massi di cemento del porto e persino un container che pesa migliaia
di chili utilizzato come magazzino della frutta.
«Ero a casa quando c'è stata la tromba d'aria. – racconta il
pescatore Pietro Asciutto – Ho chiuso subito tutte le finestre. Poi
ho visto l'imbarcazione, aveva un solo albero, era molto grande.
L'ho vista affondare all'improvviso». Il veliero è ancorato poco
oltre il molo. Vicino c'è un'altra imbarcazione, il Sir Robert Baden
Powell che batte bandiera olandese. «Il vento era forte, fortissimo.
All'improvviso ho visto l'albero maestro del veliero, alto 72 metri,
piegarsi e poi spezzarsi e cadere in acqua. È successo tutto in
pochissimi istanti», ricorda Karsten Börner, il comandante. «Quando
abbiamo capito che era in corso la tempesta avremmo voluto spostarci
da lì ma non abbiamo avuto il tempo. Abbiamo notato che la barca
accanto alla nostra ha lanciato il razzo rosso di segnalazione, così
io con il primo ufficiale siamo subito saliti sul tender per aiutare
i passeggeri. Abbiamo sentito delle urla e abbiamo perlustrato la
zona per diverso tempo». Sono stati loro a mettere in salvo i 15
superstiti, compresa una bambina di un anno, mentre per gli altri
sette a bordo non c'è stato nulla da fare. «Quando siamo tornati non
c'era più nessuno in acqua», ricorda il comandante.
Poco dopo sono arrivati anche i pescatori. «Al nostro arrivo abbiamo
trovato in acqua soltanto cuscini dell'imbarcazione, ma anche pezzi
di legno e altro materiale. Null'altro. C'era il buio assoluto
attorno», racconta Fabio Cefalù. «Verso le 4 e 20 di questa mattina
abbiamo visto un razzo partito da una barca al largo di Porticello,
abbiamo aspettato che passasse la tromba di mare e ci siamo subito
recati sul posto ma non abbiamo trovato nulla. Poco dopo – aggiunge
il pescatore – abbiamo trovato il segnale gps dell'affondamento
della barca a vela. E basta».
Dopo avere lanciato l'allarme sono arrivate anche le unità della
Guardia costiera. La capitaneria di porto conferma che «i primi
naufraghi, recuperati dapprima da un'imbarcazione presente nelle
immediate vicinanze, sono poi stati portati a terra da 4 mezzi
navali della Guardia Costiera, intervenuti sul luogo del naufragio
da Porticello, Termini Imerese e Palermo.
I sopravvissuti sono stati portati in ospedale per verificare le
loro condizioni mentre sono proseguite le ricerche dei dispersi per
tutto il giorno da parte dei sommozzatori dei vigili del fuoco
provenienti dalla Sardegna. Sono loro a vedere dei corpi
intrappolati all'interno del veliero, purtroppo senza vita. Intorno
alle 18 sono giunti anche i sommozzatori speleosub dei vigili del
fuoco da Roma. L'obiettivo è di andare avanti nelle ricerche per
recuperare i corpi nella notte o al massimo stamattina.
Da lontano i pescatori di Porticello seguono il soccorso e non
nascondono la loro paura. Mostrano una montagna che chiude la baia:
«Quello è capo Zafferano, ci ha sempre protetto creando qui una zona
riparata. Anche quando ci sono state tempeste e trombe d'aria non si
è mai verificata una cosa come quella di domenica notte», spiega
Salvatore Izzillo. «Purtroppo qualcosa sta cambiando – aggiunge
Tonino – la temperatura dell'acqua è sempre più calda e, se arriva
una perturbazione più fredda, non c'è bisogno di essere scienziati
per capire che si creano eventi finora mai visti».
20.08.24
IMMOBILI VATICANI NON PER IMMIGRATI:
Estratto dell’articolo di Filippo Di
Giacomo per il “Venerdì di Repubblica”
La busta paga di luglio di tutti i chierici in servizio presso la
Santa Sede e gli enti collegati, ha subito un prelievo di 50 euro.
Perché e in favore di chi non è dato sapere. Nella disinteressata
acquiescenza papale, l'elevazione dello Stato della Città del
Vaticano a tritacarne della Santa Sede continua senza tentennamenti.
Sempre a luglio l'Apsa, in teoria banca centrale dello Stato, ha
pubblicato il bilancio del 2023.
Chi sa leggere e sa far di conto […] ha motivi per sorridere. Si
apprende che il Vaticano […] ha nel suo portfolio anche1.200
immobili di pregio all'estero: a Londra, Parigi, Ginevra e Losanna.
E che questi immobili sono gestiti dalle seguenti società vaticane:
in Inghilterra, la British Grolux Investement, fondata nel 1932; in
Francia la Sopridex fondata nel 1932; in Svizzera la Profima,
fondata nel 1933. E si apprende che a Parigi si tratta di 752 unità
immobiliari, a Ginevra e Losanna 344, a Londra 27.
A parte la […] mancanza di prudenza che uno Stato degno di questo
nome dovrebbe avere per non mettere il proprio patrimonio in mano
alla speculazione, la domanda che sorge è: perché abbandonare al
pubblico ludibrio il palazzo ex Harrods di Londra, visto che era un
ottimo investimento, comprato prima della Brexit e perciò
beneficiando delle immunità fiscali degli enti sovrani, avendo
ottenuto la licenza di ampliamento e il cambio d'uso a fini
residenziali con utilità consolidate, e risparmi certi, se il mutuo
negato dallo Ior fosse stato concesso? Non è che scannando
pubblicamente un agnello scelto tra i più miti ed obbedienti si è
cercato di nascondere altro, magari a Malta, a Budapest? Ah,
saperlo...
CAPOLAVORO SALVINIANO: Ecco il "piano del generale" Opa sovranista e
addio vecchia Lega
Il logo
ilario lombardo
roma
Sembra tutto così scritto. Un generale, un libro fondativo di un
movimento, tesi forti, scandalose, il salto in politica, un partito
preso a prestito e infine l'approdo al culto personale. Sembra tutto
così già visto. Un gruppo di reduci, veterani, che neanche troppo
velatamente evocano il modello di piazza San Sepolcro dove nacquero
i Fasci di combattimento, sulle parole d'ordine dell'uomo forte
Benito Mussolini. Lì, ieri, erano soldati scampati alla Prima guerra
mondiale, spezzati dalle trincee, rabbiosi per le mutilazioni e il
senso di abbandono. Qui, oggi, sono di nuovo soldati, incursori,
paracadutisti a riposo, che cercano rivalsa e accusano il proprio
esercito e il proprio Stato di averli lasciati esposti agli effetti
dell'uranio impoverito, la battaglia su cui ha lentamente costruito
il proprio mito Roberto Vannacci.
La nascita del partito del generale segue un disegno preciso, che La
Stampa è in grado di ricostruire con fonti dirette e dichiarazioni
ufficiali. C'è un piano, un percorso, un obiettivo, protagonisti,
punti fermi, e diverse variabili che i collaboratori di Vannaci non
vogliono sottovalutare. Il movimento prende forma e coraggio,
guardando già alla prossima tappa che sono i congressi regionali e
poi il congresso federale della Lega, il partito guidato e dominato
da Matteo Salvini nelle cui fila Vannacci è stato eletto
eurodeputato da indipendente, ma dentro il quale in pochi
scommettono resterà a lungo.
Ieri, su questo giornale, annunciando la nascita del movimento
politico, il tenente colonnello Fabio Filomeni ha detto chiaramente
che «al momento non c'è alcun rapporto» tra la Lega e "Il mondo al
contrario", l'organizzazione ispirata dal libro del generale. Il
passaggio chiave della risposta è l'indicazione temporale - «al
momento» - che dà l'idea di una cautela e di un lavoro di attesa
paziente. La stessa espressione viene utilizzata dal braccio destro
di Vannacci poco prima, quando tiene a precisare che il militare,
che è stato suo superiore in divisa in tanti teatri di guerra, «al
momento non è il nostro capo». A spiegarci meglio quale siano le
intenzioni e l'orizzonte che si sono dati il generale e i suoi
uomini è Marco Belviso. Giornalista, fondatore di due testate attive
in Friuli Venezia Giulia – Il perbenista e Il Corsaro della Sera –
che danno grande spazio a autori sovranisti, di destra e di
sinistra, Belviso è il coordinatore per il Nord Est de "Il mondo al
contrario". «Abbiamo diviso l'Italia in sei aree, corrispondenti
alle circoscrizioni per le Europee. Ognuno ha il proprio
coordinatore territoriale». Contemporaneamente sono nati altri
comitati. Uno di questi è "Noi con Vannacci", plasmato sui comitati
che cinque anni fa, sul modello degli Amici di Beppe Grillo, hanno
fatto crescere il consenso nazionale di Salvini. È stato fondato
dall'ex senatore leghista Umberto Fusco, anche lui un militare, e a
settembre sarà battezzato a Viterbo con una festa in onore dell'ex
capo della Folgore.
Ci sarà anche il gruppo di Filomeni, perché, la causa è comune e il
partito del futuro avrà spazio per tutti. Creato come affiliazione
locale, è spuntato pure "Gli amici del Nord Est X Vannacci" (anche
questo esplicitamente ispirato ai primi esperimenti grillini) con
nel simbolo l'evidente e spregiudicato richiamo alla Decima Mas. Di
nuovo, l'animatore è Belviso.
La campagna del Nord Est è quella considerata cruciale da Vannacci e
dai suoi incursori. Da lì passa la vittoria per l'egemonia sui
sovranisti. «Quasi tutto dipenderà dai congressi della Lega» spiega
Belviso: «Se, come prevedibile, vince la linea di Salvini, noi
scommettiamo sulla rottura con la vecchia guardia, quella più legata
al sogno federalista di Umberto Bossi, quella dei governatori del
Veneto e del Friuli Venezia Giulia, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga».
Vannacci farà da spettatore interessato a una scissione. Da mesi,
nel Nord Est i leghisti fedeli a Zaia e a Fedriga sono ferocemente
impegnati a contrastare il generale, criticando la scelta che ne ha
fatto il segretario: «Per Salvini candidarlo è stata una mossa della
disperazione. Non poteva fare altro. Senza Vannacci, senza i suoi
500 mila voti, ora la sua Lega è data al 6%. Se si spacca e c'è una
scissione, può crollare al 3-4%».
A quel punto potrebbe partire l'opa del militare. «È il nostro asso
pigliatutto. Ma più che prendersi la Lega lo immagino come leader di
un polo, un cartello con Salvini. Non credo che quest'ultimo molli
la segreteria». Sono i Patrioti italiani, l'"Europa sovrana" che è
il nome temporaneo immaginato per il futuro partito (anche se non
convince tutti). In quest'ottica «la polarizzazione con Zaia, che è
diventato il paladino dei diritti Lgbt e dei nuovi italiani ci
aiuta», perché sposta verso Vannacci chi ne sposa le tesi che
solleticano omofobia e xenofobia.
Quando la popolarità e il consenso saranno a buon livello, solo a
quel punto, Vannacci vestirà i panni del capo. «È una calcolatore e
uno stratega» ci racconta una fonte dell'Esercito che lo conosce
bene e che per ragioni di divisa non può parlare contro un
eurodeputato. Il ministero della Difesa è un osservatore inquieto di
questo fenomeno che a qualcuno ricorda la comicità di Vogliamo i
colonnelli di Mario Monicelli, mentre ad altri rievoca il tintinnar
di sciabole del "piano Solo". Lo scontro con il ministro Guido
Crosetto ha contribuito a far crescere il mito anti-sistema di
Vannacci. Ieri è stata letta con attenzione dai vertici politici e
militari della Difesa quella battuta di Filomeni: «Tranquilli non
stiamo preparando un golpe». E altre due fonti hanno esposto a La
Stampa dubbi e timori sui potenziali pericoli dell'operazione
Vannacci. Che – ci spiegano – è organizzata da ex ufficiali e ex
militari di grado, ma risulta molto attrattiva per tanti
sottufficiali in carriera.
Due sono i motivi. Primo, le critiche alla Nato e le richieste
pressanti di rafforzare la difesa nazionale ed europea, autonoma
dagli Usa, aumentando il budget e gli armamenti. Secondo, l'uranio
impoverito. Per fine settembre Filomeni e Belviso hanno organizzato
un convegno a Udine: «Ci sarà l'ex ministra Elisabetta Trenta,
scienziati e il colonnello Carlo Calcagni, che più volte ha chiesto,
inascoltato, un intervento di Crosetto. Abbiamo invitato anche
Giorgia Meloni e il presidente Sergio Mattarella». Una provocazione,
perché Filomeni accusa il Capo dello Stato di aver nascosto, quando
era ministro della Difesa, l'uso dei proiettili all'uranio
impoverito a Sarajevo, anche se gli atti parlamentari riportano come
fu proprio Mattarella a volere la Commissione d'inchiesta Mandelli
che indagò su quei fatti, risalenti alla guerra in Jugoslavia.
«Dodici mila ammalati e seicento morti non sono pochi – conclude
Belviso – La battaglia per la verità sull'uranio ha dato un'immagine
di eroismo e nobiltà a Vannacci. Il suo progetto piace ai militari
perché tra di loro c'è grande cameratismo. Sono uomini che si fidano
ciecamente perché si sono coperti le spalle a vicenda e hanno
condiviso la tenda». —
19.08.24
Francoforte aumenta di 335 milioni i btp in portafoglio
La Bce sostiene ancora i conti italiani Fabrizio Goria
Il fardello del debito pubblico italiano veleggia verso quota 3.000
miliardi di euro. E la Banca centrale europea (Bce) continua a
supportarlo, con una gestione oculata degli asset pubblici in
portafoglio. Meno Paesi Bassi, Francia e Germania. Più Italia.Nel
luglio 2024 la Bce ha ridotto la propria esposizione del Pandemic
emergency purchase programme (Pepp), il programma varato per
fronteggiare gli effetti della pandemia.
I dati forniti dalla Bce relativi al portafoglio Pepp nel periodo
compreso fra il 24 giugno e il 24 luglio tracciano una mappa chiara.
A fronte di un aumento di 335 milioni del portafoglio Pepp con
titoli tricolore, Francoforte ha tagliato quello dei titoli dei
Paesi Bassi per 2,8 miliardi di euro, belgi e tedeschi per 2,2
miliardi ciascuno, austriaci per 2,1 miliardi, francesi per 1,4
miliardi, spagnoli per 1,2 miliardi.
La flessione delle consistenze detenute nel Pepp ha comunque
consentito la riduzione mensile di 7,5 miliardi per il complesso del
portafoglio di titoli europei. Opzione che era stata prevista fin
dall'inizio dallo strumento lanciato dalla Bce nel marzo 2020. La
flessibilità del Pepp può consentire di stabilizzare gli spread fra
Paesi e può essere uno strumento mitigare il costo del debito per
l'Italia, che secondo Eurostat nel 2023 - un anno in cui i tassi
d'interesse Bce sono raddoppiati - è continuato a scendere al 2,9%
rispetto al 3,2% del 2022.
il regalo al "macellaio" ceceno
Musk, ammirato da Jaky , Salvini Meloni e Trump, un suv blindato a
Kadyrov
Il miliardario Elon Musk ha regalato un Cybertruck della Tesla al
controverso leader della regione russa della Cecenia, Ramzan Kadyrov,
che lo ha invitato a Grozny. L'alleato di Vladimir Putin, che
governa tra numerose accuse di violazione dei diritti umani, ha
postato su Telegram un video in cui appare al volante del pick-up su
cui è stata una mitragliatrice.
Grazie SALVINI : 'intervista
Fabio Filomeni
"Pronti al partito di Vannacci
Ma non faremo un golpe". Ci proveranno , secondo me !
ilario lombardo
roma
«Le do una notizia. Il movimento culturale "Il mondo al contrario",
ispirato al libro del generale Roberto Vannacci, che ho fondato un
anno fa, diventa un movimento politico». Non dice partito, il
colonnello Fabio Filomeni, amico, camerata, ora braccio destro e
demiurgo di quella "cosa" vannacciana che aspetta di maturare.
«Dipenderà dal generale. Noi faremo quello che dice lui, seguendo le
sue orme e la sua parabola: un militare, poi scrittore e politico».
Non è un personaggio secondario, Filomeni, ma il cuore del progetto
Vannacci, l'incursore che si lancia in suo nome. E in qualche modo è
stato il suo precursore. Al 9° Battaglione d'assalto Col Moschin era
il suo inquadratore. Poi i ruoli si sono capovolti: Vannacci è
diventato suo comandante in tante operazioni: Somalia, Yemen,
Bosnia, Ruanda, Iraq. Quando ha dismesso la divisa, Filomeni ha
iniziato a parlare. Ha scritto un paio di libri autoediti, prima che
lo facesse con il suo best seller il militare eletto nelle liste
della Lega a Bruxelles: il primo con Vannacci eroe protagonista,
Baghdad. La ribellione di un generale, sui pericoli dell'uranio
impoverito. Il secondo è un duro atto d'accusa contro l'Occidente:
Morire per la Nato?.
Perché non chiamarlo subito partito?
«Noi ci evolviamo con il generale. Adesso cambieremo statuto. Saremo
un'organizzazione politica, un contenitore che darà casa a tutte le
persone che lo hanno votato e che si riconoscono nei 12 capitoli e i
7 principi enunciati nel libro».
Ne parla come fosse la Bibbia.
«Lo è. È la nostra Bibbia. Io conosco Vannacci da 35 anni. Ho una
fiducia illimitata in lui, come ce l'ha chi ha messo una croce sul
suo nome».
Vannacci ha detto che è il vostro messia.
«Era una battuta. Noi crediamo in lui. Ma voglio precisare che al
momento non è il capo. Siamo noi che lo seguiamo, organizzandoci in
tutta Italia per stare sempre al suo fianco».
Quale è il vostro orizzonte elettorale? Le legislative?
«Dipenderà da Vannacci, da cosa vorrà fare. Se diventeremo un
partito a tutti gli effetti».
E i rapporti con la Lega?
«A oggi nessuno. Il nostro progetto si basa sul Vannacci pensiero».
Matteo Salvini non gradirà.
«Non abbiamo niente a che fare con la Lega di oggi, né tantomeno con
quella del passato».
Bruno Spatara, già esponente di Forza Nuova e di Casa Pound, oggi è
il vostro segretario nazionale. Siete un movimento di estrema
destra?
«Bruno è un ex Folgore, come Gianluca Priolo, ex paracadutista. La
tendenza è di relegarci all'estrema destra, ma non funziona più.
Siamo oltre».
I valori che enunciate sono di destra.
«Ne è così sicuro? Sa, io sono di Livorno, ho amici comunisti che mi
hanno detto: "Stiamo col generale". Con il mio libro sono stato
invitato sia da CasaPound sia dai circoli Arci».
Avete posizioni anti-Nato e molto filorusse.
«Ecco, io non sono filorusso, gradirei lo scrivesse».
A fine 2022, in piena guerra, per protesta contro la Nato ha dato
indietro la medaglia d'onore con cui era stato insignito dagli Stati
Uniti.
«L'ho fatto quando l'assemblea generale Nato ha definito la Russia
"Stato terrorista"».
Ha invaso un Paese violando il diritto internazionale.
«Come ho scritto nel libro, non è che Vladimir Putin si è svegliato
una mattina e ha deciso di invadere l'Ucraina. Ci sono degli
antefatti. Io sono stato fiero di aver servito nella Nato. Ma quando
è venuto meno il Patto di Varsavia, anche l'Alleanza doveva
ridefinirsi. Invece ha inglobato Paesi dell'orbita russa, diventando
una minaccia per Mosca».
Questa è la propaganda di Putin mentre ordinava massacri di civili.
Lei è per la resa di Kiev o per una pace giusta?
«Non esiste una pace giusta. Le guerre finiscono con vincitori e
sconfitti. L'invasione è stata un errore, ma io voglio un'Europa
sovrana e libera da tutte le superpotenze».
È vero che molti ex ufficiali e molti attuali sottufficiali sono
attratti dal movimento?
«Non è un caso che le dichiarazioni più prudenti sulle armi
all'Ucraina e contro la Nato vengano da ex generali. Da chi ha
conosciuto la guerra. Parlo di militari a riposo perché quelli in
servizio non si esprimono. Sono a disposizione del governo, di
qualunque colore sia».
Questo ci tranquillizza.
«L'Esercito è l'istituzione più fedele allo Stato. Ma responsabilità
della politica è scongiurare il sacrificio di giovani che hanno
deciso di servire la patria, e che non devono essere mandati a
morire, diciamo alla maniera di Cadorna»
Condivide l'orgoglio di Vannacci sulla Decima Mas?
«Il generale ha avuto il merito di andare contro politicamente
corretto, tabù e censura. La Decima è stata uno dei più gloriosi
reparti d'Italia con esponenti coraggiosissimi»
Massacrava partigiani e oppositori per conto di Mussolini.
«La guerra è brutta per tutti. Ci sono stati anche massacri operati
dai partigiani: vuol dire che erano tutti assassini?».
Senta colonnello, noi siamo il Paese del generale Junio Valerio
Borghese.
«Se mi sta chiedendo se ci sarà un golpe, le assicuro che non lo
stiamo preparando (ride, ndr). Crediamo nella democrazia e nella
libertà di espressione di tutti, Vannacci compreso».
Si stanno avvicinando a voi No vax e complottisti.
«Ripeto: siamo aperti a chiunque si riconosca in Vannacci. Io da
anni, assieme a lui, mi batto per la verità sull'uranio impoverito.
Proprio oggi mi ha chiamato un collega malato: mi chiede se saremo
un punto di riferimento. Il 27 settembre sarò a un evento a Udine
con Marco Belviso, coordinatore per il Nord Est. Non smetterò mai di
fare luce sulle responsabilità politiche e militari, a partire da
Sergio Mattarella, ministro della Difesa nel 2002 e 2003, che negò
l'uso dei proiettili all'uranio a Sarajevo».
A Viterbo si riunirà Noi con Vannacci, di Umberto Fusco, ex Lega. Un
concorrente?
«Ma no. È una festa per Vannacci e ci saremo anche noi».
Vi fonderete?
«È prematuro dirlo. Sicuramente andiamo nella stessa direzione».
L'ex detenuto figlio del boss lancia un post provocatorio su
Instagram e deride la strada intitolata a Cesare Terranova,
assassinato dal padre
Riina junior a Corleone la festa per le nozze e l'oltraggio al
giudice
LAURA ANELLO
PALERMO
L'ultimo evento che lo aveva visto in prima fila, nella sua
Corleone, era stato il funerale del padre. Totò Riina, sepolto nel
cimitero del paese il 22 novembre 2017 tra le lacrime della moglie
Ninetta Bagarella e di tre dei quattro figli: la primogenita Maria
Concetta; la più giovane Lucia; e lui, Giuseppe Salvatore detto
Salvuccio, arrivato con un permesso speciale da Padova, dove si
trovava in libertà vigilata dopo una condanna a otto anni e dieci
mesi per associazione mafiosa, riciclaggio ed estorsione. Adesso
Salvuccio, 47 anni, rientrato nel paese d'origine l'anno scorso, ha
scelto di festeggiare in grande, e di dire a tutti che i Riina non
abbassano la testa.
La festa è quella del suo matrimonio, celebrato lo scorso 7 giugno
in Spagna con una ragazza spagnola di nome Elena, ma condiviso con
duecento invitati l'altra sera a Corleone, nel ristorante Mountain
Palace La Schera, dotato di un grande giardino, di una fontana con
giochi d'acqua e di luce, e di un menù «di sapori della tradizione»,
come promette lo chef.
Giusto per chiarire che lui, terzogenito del capo dei capi, il
fratello maggiore Giovanni condannato all'ergastolo, non si vergogna
certo del suo nome e di una storia cui ha dedicato pure un libro,
"Riina family life", dedicato ai ventiquattro anni di vita familiare
durante la latitanza del padre, scomparso dai radar nel 1969,
arrestato nel 2013 nell'operazione Belva e condannato a ventisei
ergastoli per decine di omicidi e stragi. Anzi. Il giorno di
Ferragosto, lo scrittore Salvuccio (così si autodefinisce sui suoi
profili), una laurea conseguita dopo la condanna, l'affidamento ai
servizi sociali, diversi anni vissuti tra il Veneto e l'Abruzzo, ha
pubblicato su Instagram un selfie apparentemente neutro con questo
augurio: «Buon Ferragosto a tutti voi da via Scorsone 24, 90034,
Corleone».
Agli osservatori attenti non è sfuggito che via Scorsone - strada
dove la famiglia abita storicamente e dove è tornata dopo la cattura
del padre boss - si chiama adesso via Cesare Terranova, il giudice
ucciso nel 1979 insieme al suo collaboratore Lenin Mancuso in un
attentato organizzato proprio dai Corleonesi. Simbolica
quell'intitolazione, nel 2018, simbolico quel post sorridente in cui
Riina junior chiama la strada con il suo nome storico.
Un post, quello su via Scorsone, che ha provocato l'indignazione del
giovane sindaco di Corleone, Walter Rà, nato nel 1991, l'anno
precedente alle stragi di Capaci e via D'Amelio, eletto lo scorso
giugno con un programma orientato alla rinascita di questo piccolo
paese pieno di tesori ma schiacciato dalla sua storia di mafia, dal
suo «brand negativo», per dirla con parole sue. «Una spavalderia -
tuona il sindaco - che suona come un vile attacco allo Stato e alle
istituzioni. Pur non volendo dare ulteriore visibilità a chi
periodicamente ne è alla ricerca, il sindaco, la giunta, il
presidente del Consiglio comunale e i consiglieri tutti prendono
nettamente le distanze da tali dichiarazioni e le condannano». Una
solidarietà che sembra condivisa con convinzione anche dal paese,
dove in questi anni sono nati comitati antimafia, associazioni
giovanili, progetti di valorizzazione dei beni culturali della
Diocesi, piccole realtà imprenditoriali che lavorano sul turismo.
Molti cadono dalle nuvole: «Si è sposato e ha festeggiato qui? Non
l'abbiamo neanche saputo».
I social della neo-moglie svelano invece l'abito di lei, bianco e
lungo con ricami in pizzo, una coroncina sulla testa, e l'abito
scuro da cerimonia di lui: un abbigliamento che sembra adatto a una
cerimonia religiosa. Presenti la madre e le sorelle, forzatamente
assente il fratello all'ergastolo e lo zio Leoluca Bagarella, pure
condannato al carcere a vita. A brindare anche i parenti e gli amici
della sposa, arrivati dalla Spagna. E chissà, chissà davvero, qual è
stato il loro augurio di futuro per la nuova coppia Riina.
Lasciate in pace il Tagliamento se ci minaccia è solo colpa nostra
Mario Tozzi
Ancora agli inizi del XIX secolo, il fiume Isar, a Monaco di
Baviera, era un tipico corso d'acqua alpino selvaggio e primordiale,
con isole di ghiaia e banchi di sabbia e il letto in continua
evoluzione. A metà del XIX secolo, dopo le ripetute alluvioni che
avevano colpito il territorio (e diverse città compresa Monaco), fu
dato inizio a una regolamentazione idraulica e il letto del fiume fu
canalizzato secondo rigidi criteri esclusivamente ingegneristici,
gli unici ritenuti possibili allora. Così l'Isar divenne un canale,
perduto a ogni uso della cittadinanza e, paradossalmente, da
continuare a temere in caso di piena, come dimostrarono le
inondazioni degli anni 1999, 2005 e 2013.
Negli anni Duemila, però, la filosofia è cambiata ed è stato
elaborato un nuovo piano per l'Isar che non solo migliorasse il
controllo delle inondazioni, ma anche la biodiversità e la qualità
del territorio.
Il nuovo piano ha aumentato la capacità di ritenzione idrica del
tratto di fiume a Monaco città, e il letto del fiume è stato di
nuovo trasformato in un alveo a larghezza variabile, con banchi e
isole di ghiaia che si sviluppano in modo dinamico, comparendo e
scomparendo come natura comanda. In pratica è stata ripristinata la
situazione naturale prima degli interventi scellerati del XIX
secolo. In questo modo il deflusso dell'acqua è stato migliorato
consistentemente, gli argini, prima fissati con lastre di cemento e
pavimentazioni, sono stati sostituiti con bancate "naturali"
inclinate. Si sono poi impostate rampe con gradini in roccia in un
disegno a nido d'ape con piscine intermedie. Queste misure non solo
hanno ripristinato l'aspetto naturale del fiume, ma hanno anche
migliorato le condizioni di vita e l'habitat per la flora e la fauna
caratteristiche del fiume. In seguito al ripristino, l'acqua delle
inondazioni può defluire senza causare danni, fino a una portata di
1.100 metri cubi al secondo. Un esempio di riqualificazione
naturalistica di un corso d'acqua, in linea con quanto previsto
dalle recenti leggi europee.
E indovinate quale fiume hanno preso a modello gli ingegneri
tedeschi? Il Tagliamento, che si trova in Friuli, e che è il fiume
più naturale d'Europa, e che dovrebbe dunque essere lasciato in
pace, mentre, invece, è fatto oggetto di "opere di sistemazione
idraulica" figlie di una logica superata che sclerotizza i corsi
d'acqua nell'illusione di poterli trattare come canali artificiali.
La Regione Friuli Venezia Giulia ha approvato uno studio di
fattibilità che prevede la costruzione, accanto all'esistente Ponte
di Dignano, di una struttura che appare sovradimensionata: una diga
a paratie mobili per trattenere le acque del Tagliamento in caso di
piene eccezionali, con un accumulo stimato fino a 29 milioni di
metri cubi di acqua, tale da formare un lago cospicuo che lambirebbe
l'abitato di Spilimbergo. La diga si eleverebbe cinque metri più in
alto dell'attuale ponte e si svilupperebbe per quasi un chilometro
di lunghezza: un'opera che necessiterebbe di imponenti fondazioni da
imporre in profondità nel greto del Tagliamento stesso e che
richiederebbe arginature possenti sulle fiancate della diga per
evitare erosioni disastrose. E oltre a questa, un'altra opera per il
contenimento delle piene verrebbe realizzato a sud del corso del
fiume, nei pressi del paese di Varmo. Il tutto dimenticando che
esistono ormai altri modi per difendere i piccoli centri abitati. E
dimenticando che, dove ci sono nello stesso luogo le case e il
fiume, nel posto sbagliato ci sono le prime, non il fiume.
Il Tagliamento è famoso nel mondo per i suoi "canali intrecciati",
una tipica morfologia dei fiumi che trasportano molto sedimento: si
tratta di forme in un equilibrio dinamico molto delicato che può
essere messo in pericolo da interventi sull'asta fluviale. Proprio
quello che la Regione vorrebbe fare per evitare inondazioni come
quelle del 1965 e del 1966, quando il fiume entrò nelle cittadine
(come a Latisana). Come decine di volte dalla loro fondazione. E
cosa avrebbe dovuto fare, visto che quelle città sono costruite
proprio sul fiume? Le dighe e le casse di espansione possono
ospitare parte dell'acqua in eccesso durante le piene e restituirla
una volta che la piena è passata. Tuttavia, dovrebbero essere
un'estrema ratio perché sono una soluzione meno efficace rispetto ad
interventi diffusi basati sulla natura in un'ottica di adattamento
al cambiamento climatico. Un intervento devastante, seppure a
protezione di un singolo centro abitato, non è mai giustificabile,
perché rischia di distruggere un equilibrio millenario, perché non è
neppure sicuro che possa assolvere completamente alla funzione di
protezione e perché oggi la visione è cambiata. Come dimostra il
caso dell'Isar. Del resto la Laguna di Marano, con la Valle Pantani,
dovrebbe ricordare che, fino a inizio XX secolo, tutte le aree
golenali del Tagliamento nel territorio comunale erano ricoperte di
splendidi boschi, foreste e incredibili paludi. Quella era la
naturale protezione del territorio, anche a questo compito servivano
gli ecosistemi, oggi distrutti e bonificati. Ripristinarli potrebbe
essere parte della soluzione.
Mi incammino lungo il Tagliamento: camminando su quei ciottoli
bianchi riconosco l'essenza dei fiumi di Ungaretti (anche se in quel
caso si trattava del fratello Isonzo). Le acque verdi cristalline
rendono merito alla fama di fiume più naturale dell'intero
continente europeo. Un fiume che è diventato minaccia solo per colpa
degli uomini che non lo hanno rispettato. E che non ha bisogno di
interventi idraulici o ingegneristici, ma solo di essere lasciato in
pace, comprendendo che i corsi d'acqua debbono essere in contatto
con il territorio, non esserne isolati da strutture artificiali
prive di senso e di efficacia. E, se fossimo anche solo vagamente
più colti in termini di natura, che ha bisogno di rimanere in
contatto con gli uomini.
Il grande spreco iniziato dalla sinistra !
giulia ricci
Ilavori sono finiti, i dipendenti sono seduti ai loro posti e il
nastro è stato tagliato. Ma i costi per la realizzazione del
grattacielo della Regione Piemonte continuano a lievitare. E così ai
284 milioni di euro annunciati se ne aggiungono altri due causa
rincaro materie prime, che saranno presi dal bilancio. Lo dice una
determina della giunta Cirio del 6 agosto (pubblicata mercoledì sul
Bollettino ufficiale) che prende in considerazione gli aumenti dei
prezzi di acquisto dei materiali da costruzione in seguito alla
pandemia prima e lo scoppio del conflitto in Ucraina dopo.
Un aumento, precisamente di 2 milioni e 147mila euro, che è solo
l'ultimo di un susseguirsi di varianti nei costi ed errori di
costruzione che ha portato il costo finale a lievitare di quasi 80
milioni. Il prezzo iniziale dell'opera, infatti, come si legge nel
documento del 2010, era di 208 milioni e 299 mila euro. «Ma l'elenco
dei lavori e dei costi per il grattacielo - denuncia Giulio Manfredi
dei Radicali - si ferma, sul sito della Regione Piemonte, a giugno
2023. Ma dovrebbero essere rese note almeno fino a quando non ci
sarà il collaudo amministrativo».
Sì perché alla sede dai mille intoppi, rinvii e indagini, manca
ancora il collaudo tecnico (che dovrebbe arrivare a novembre), cioè
i controlli da parte di una commissione ad hoc che attestino come
tutti i lavori siano stati fatti seguendo il contratto. Insomma, se
il materiale utilizzato per vetri e pavimenti è quello giusto, se il
numero di sale riunioni è quello previsto o se i bagni sono quelli
adatti ai 2.200 dipendenti. Se così non fosse, il grattacielo
rischierebbe nuovi guai dopo tutti quelli passati negli ultimi
quindici anni. Sì, perché era il 1999 quando l'allora governatore
Enzo Ghigo lanciava un concorso internazionale di idee per costruire
la nuova grande sede della Regione Piemonte. Due anni dopo, a
vincerlo era lo studio dell'architetto Massimiliano Fuksas, che
aveva proposto una torre di 100 metri in borgo San Paolo. La giunta
Bresso, poi, aveva cambiato idea: si vada nell'area ex Avio e si
riqualifichi tutta l'area. Nel 2006 era stata persino approvata una
variante del piano regolatore che permettesse la nascita di palazzi
più alti della Mole antonelliana (se fuori dal centro). I lavori
erano finalmente iniziati nel 2011 e sarebbero dovuti terminare nel
2015, anno in cui il primo stop al cantiere fu causato dal
fallimento dell'azienda Coopsette. Da lì, partite sbagliate di
piastrelle già macchiate e deteriorabili (ancor prima che qualcuno
ci mettesse piede), quasi metà dei vetri dei grandi finestroni
fallati e da cambiare, ascensori guasti, impianti di climatizzazione
non funzionanti.
Errori che hanno provocato l'aumento pian piano dei costi dei lavori
pubblici, che a loro volta sono stati la base di alcune delle
innumerevoli inchieste aperte su quello che per undici anni è
rimasto un guscio vuoto. Quando i lavori sono ricominciati nel 2017,
l'obiettivo era il 2019. E poi il 2020, il 2021 e infine
quell'ottobre del 2022. Dopo il Covid, dopo lo scoppio della guerra.
Così i rincari, solo gli ennesimi, per un'opera pubblica nata per
risparmiare, radunando tutti i dipendeti in una sola sede. Lunedì
scorso, poi, l'ultimo guaio: un allagamento al 42esimo piano che ha
mandato l'impianto elettrico in tilt e "costretto" i dipendenti a
lavorare in smart. Domani torneranno in sede. Ma la pagheranno (come
tutti i cittadini piemontesi) ancora per dodici anni: «La giunta
Cirio - aggiunge Manfredi - dice che risparmieremo 18 milioni di
euro di affitti. Dovrebbe anche scrivere che fino al 2036 la Regione
dovrà pagare alle banche finanziatrici dell'opera 25 canoni da 11
milioni ogni sei mesi. Quindi, più di quanto avrebbero pagato
d'affitto nelle altre sedi».
Posticipati a primavera i lavori in strada San Vito dove ha la
residenza JAKY.
diego molino
I lavori urgenti eseguiti per garantire un asfalto perfetto ai
ciclisti del Giro d'Italia e del Tour de France, hanno costretto a
posticipare gli interventi previsti in collina. È il caso di strada
San Vito Revigliasco, che da tempo è un percorso a ostacoli per
buche e avvallamenti della pavimentazione. Il ripristino era in
programma entro fine anno, ma gli operai inizieranno i lavori
soltanto nella primavera del 2025. Prima di allora, automobilisti e,
soprattutto, torinesi in bici e in scooter dovranno fare i conti con
carreggiate piuttosto malandate.
La conferma del ritardo è arrivata dall'assessore alla Cura della
città, Francesco Tresso: «L'intervento di ristrutturazione della
carreggiata di strada San Vito, tra viale Curreno e corso Giovanni
Lanza, era previsto per la fine del 2024 – spiega – A causa di altre
opere, che si è reso necessario anticipare per consentire il
ripristino delle pavimentazioni interessate dai tracciati del Giro
d'Italia e del Tour de France, questo intervento così come altri
sono stati posticipati nel nuovo appalto di interventi mirati 2024,
ed è pertanto stato programmato per la primavera del 2025. Al
momento l'appalto è in fase di aggiudicazione».
Serve ancora un po' di pazienza per il ripristino dell'asfalto,
anche se le violente piogge delle ultime settimane non migliorano la
situazione. Ecco perché il consigliere di Torino Bellissima,
Pierlucio Firrao, aveva posto il problema con un'interpellanza: «Le
condizioni delle strade della collina sono disastrose, in più strada
Sant'Anna non è accessibile a bus e corrieri – dice – Anche la
collina fa parte di Torino e i residenti hanno diritto di avere gli
stessi servizi che hanno gli altri cittadini».
In tutto il 2023 sono state quasi 800 le segnalazioni per buche nel
manto stradale in Circoscrizione 8, di cui fanno parte le strade
collinari, più di due al giorno. «Negli ultimi anni abbiamo
impegnato risorse maggiori, passando per la manutenzione ordinaria
dagli 800 mila euro del 2021 ai 2,7 milioni del 2023 – dice ancora
Tresso – Per il prossimo anno, invece, la manutenzione ordinaria
relativa al secondo semestre 2024 e al 2025 è di 4 milioni». Per ciò
che riguarda la manutenzione straordinaria, nel 2024 il Servizio
Suolo e Parcheggi conta su un budget di 4,5 milioni, a cui se ne
aggiungono altri 2 di "interventi mirati", di cui fanno parte le
opere di strada San Vito.
18.08.24
LO FACCIO ANCHE IO , QUANDO ENTRO DA ANNI NEI SUPERMERCATI
CHIEDO DOVE SONO I CIBI IN SCADENZA, E GLI EXTRACOMUNITARI CHE
LAVORANO MI GUARDANO CON DISGUSTO E SENSO DI ORGOGLIOSA
SUPERIORITA': La mia
settimana
anti-spreco
Riccardo Luna
Ora che ho superato anche la prova - oggettivamente ardua - di
Ferragosto, lo posso dire: ho mangiato per una settimana solo con
cibo destinato alla discarica. Non fraintendetemi. Non era affatto
cibo-spazzatura, quello lo servono in certi fast food che non si
curano del nostro colesterolo né del fegato grosso. Si è trattato
sempre di cibo ancora buonissimo ma - attenzione - solo per un
giorno o due, più spesso solo per qualche ora. Un cibo-Cenerentola,
da consumare prima di una ipotetica mezzanotte. Ho mangiato a volte
anche molto bene, spesso condividendo i pasti con la mia mamma; e ho
speso, in tutto, 30 euro e 93 centesimi. In sette giorni.
Il vero obiettivo di questo esperimento non era però, o almeno, non
dovrebbe essere, il risparmio quotidiano, che pure è clamoroso; è
aver contribuito in maniera piccola ma significativa a ridurre una
delle piaghe del nostro tempo: lo spreco alimentare, il cibo buono
che ogni giorno, per vari motivi, finisce nella spazzatura facendo
crescere le emissioni di anidride carbonica che sono la causa
principale del riscaldamento globale. I dati dicono che lo spreco
alimentare è responsabile del 6 per cento delle emissioni globali di
C02; se lo spreco fosse un paese, soltanto Stati Uniti e Cina
emetterebbero di più. Insomma, nei giorni scorsi mi sono nutrito più
che decorosamente, ma stavo anche facendo la mia parte contro il
riscaldamento globale.
L'idea mi è venuta leggendo una storia del Washington Post. Titolo:
"Così ho dato da mangiare per giorni alla mia famiglia con cibo
destinato ad essere buttato". Una bella storia che racconta il
decollo, negli Stati Uniti, di una app che ormai esiste da qualche
anno: Too Good To Go. Un gioco di parole che vuol dire: (questo
cibo) è ancora troppo buono per essere buttato. La startup nasce in
Danimarca nel 2015: erano gli anni in cui nel mondo si era affermata
l'idea che ci potesse essere una app per tutto e che molti problemi
potessero essere risolti meglio da una rete di persone con uno
smartphone a disposizione. Erano gli anni insomma della sharing
economy, l'economia della condivisione, quando un gruppo di giovani
sognatori (Thomas Bjørn Momsen, Stian Olesen, Klaus Bagge Pedersen,
Adam Sigbrand and Brian Christensen) lancia una app per connettere i
ristoranti ed i mercati con chi è disposto ad andarsi a prendere il
cibo avanzato, ma ancora buono, in certi orari, a fine turno. Il
successo è immediato, di critica non di profitti, per quelli i
fondatori dovranno attendere il 2023; ma così funzionano le startup
in fase di lancio, conta soprattutto far crescere gli utenti; e così
Too Good To Go rapidamente scala in diversi paesi europei e dal 2020
negli Stati Uniti.
Quando ho letto la storia del Washington Post ho pensato: facile
farlo in America, chissà da noi. E ho cercato invano qualcuno che
volesse fare un test per una settimana in una grande città italiana
ad agosto. Ma poi ho capito che quel qualcuno ero io: solo a Roma,
in piena estate, senza dover spiegare a nessuno "perché oggi invece
di fare la spesa andiamo in cerca di cibo avanzato". Ho scaricato la
app, creato un profilo e il test è iniziato. Ecco com'è andata.
1° giorno. Mi si è aperto un mondo nuovo. Nonostante le chiusure per
ferie ho visto subito quanti bar, ristoranti, mercati e hotel sono
in questa rete nella mia città. Ho impostato un filtro di tre
chilometri da casa, per poter arrivare ovunque a piedi, e ho
iniziato la ricerca. Prima impressione: se uno volesse cornetti o
brioche alle 11 o pizza al taglio a fine pomeriggio c'è solo
l'imbarazzo della scelta. Ma io mi vedevo già come il protagonista
di quel film che mangia solo da McDonald per un mese e quasi ci
resta secco. Non potendo fare il pieno di grassi, decido di partire
con un supermercato di qualità che già frequento, Natura Sì. La app
mi fa prenotare e pagare una "surprise bag", una busta di cui
conoscerò il contenuto solo al momento del ritiro. Un po' come la
Mistery Box di MasterChef, penso, che poi devi cucinare con quello
che ci trovi dentro. Ordino e sulla app appare un messaggio festoso,
"Sei un eroe! Grazie per aver salvato del cibo ed evitato lo
spreco". "Eroe" mi pare troppo in effetti. Il ritiro è a fine
pomeriggio: quando entro ho come l'impressione che le cassiere mi
guardino strano, come se stessero servendo una persona in difficoltà
economiche. La busta che ricevo è bella piena, a casa scopro il
contenuto: mezzo filone di pane (incellophanato due giorni prima),
sei polpette vegetariane, mezza scamorza, un minestrone liofilizzato
e uno strano panetto giallo. Polenta? Polenta. Ad agosto? Ad agosto.
Comincio a pensare tutti i modi estivi in cui la posso preparare
(fritta, con salse varie o formaggio) e visto che la scadenza è
lontana me la tengo da parte come cibo di emergenza. Metto cinque
stelle di recensione e mi metto a cucinare.
2° giorno. Incoraggiato dalla buona partenza, mi metto in cerca di
una nuova "bag" al mattino presto. Scopro che la pescheria del mio
quartiere (Trieste, dove sta il liceo Giulio Cesare) mette in palio
alcune buste a sorpresa alle 14: pensando ai prezzi che fa di solito
è una opportunità da cogliere al volo. Ma mezz'ora prima del ritiro
arriva una notifica: il pesce è finito, oggi non è avanzato nulla.
Come alternativa fra i supermercati c'è Eataly, che sta alla
Stazione Termini e promette leccornie varie ma alle nove e mezzo di
sera. La Stazione Termini la sera d'estate non è il posto migliore
dove andare a farsi un giro ma lì c'è la mia cena, o almeno così
speravo. Nella busta trovo solo tre cose: un maritozzo con la panna,
che probabilmente avanzato dal mattino; una bomba al cioccolato, che
doveva avere lo stesso destino; e un trancio di pizza bianca ripiena
di mortadella e granella di pistacchi. Torno a casa perplesso, per
fortuna era avanzato del cibo dal giorno prima.
3° giorno. È domenica della settimana di Ferragosto e ho bisogno di
cibo vero, non maritozzi. Cerco un supermercato e mi decido per un
Carrefour poco distante. I due cassieri sono gentili ma confusi,
sembrano non sapere bene cosa mettere nella busta e che scontrino
fare. Ma la busta è una sorpresona: prosciutto cotto, spinaci (ci
farò una vellutata), insalata mista e ben otto polpette della nonna.
Cinque stelle!
4° giorno. Lunedì, a Roma inizia ad essere tutto chiuso o quasi.
Insisto con i supermercati: vado da Penny. La busta me la fanno
davanti agli occhi, è enorme: una pizza margherita, una pinsa, e una
valanga di yogurth, sei da bere, otto con fibre e frutta e uno con
aggiunta di proteine. Problema: scadono il giorno dopo. Li smezzo
con mamma.
5° giorno. Inizio a sentire la mancanza di frutta fresca. La app mi
informa che al mercato di Ponte Milvio c'è un banco che per meno di
quattro euro promette una busta dopo mezzogiorno. La prenoto e mi
presento con il mio sacchetto ecologico ma non basterà per tutto il
cibo che mi porterò via. Il banco è gestito da una coppia, marito e
moglie, due enormi buste sono lì che mi aspettano e prima di darmele
l'uomo aggiunge una confezione di ciliegie. Gli chiedo che ne pensa
del servizio e mi dice: "Va bene, la gente deve mangia', che me le
tengo a fare le cose avanzate, la gente deve mangia'". A casa metto
in frigo più di un chilo di pomodori di tipi diversi, tutti ancora
buoni; due cetrioli, una confezione di uva bianca, mezzo melone
giallo, mezzo melone bianco, le ciliegie e un chilo di albicocche
buone solo per farci la marmellata però. Incrociando con le cose
avanzate dei giorni precedenti il menu si inizia a fare
interessante.
6° giorno. A Roma sono rimasti solo i turisti e la app mi fa
scoprire una opportunità interessante: gli avanzi del buffet delle
colazioni degli hotel a cinque stelle. Ne trovo uno a via Veneto,
imposto il solito budget e alle 11 mi presento. L'aria condizionata
è al massimo, i saloni sono elegantissimi, i camerieri in divisa
sembrano dei modelli e io chiedo sottovoce la mia bag. Nessun
imbarazzo: è già pronta, con il cibo diviso per bene: in un
contenitore trovo una tagliata di frutta, uova strapazzate con
salsicce, uova fritte con prosciutto e formaggi, e un paio di
verdure cotte meno invitanti; in un sacchetto, vari tipi di pane
affettato; in un altro, una super selezione di cornetti, brioche,
bombe e sfogliatelle (che il mattino seguente farò resuscitare con
due minuti in un forno caldo).
7° giorno. Ferragosto di fuoco. Le scelte si riducono ancora eppure
qualcosa c'è: un altro Carrefour di quelli aperti sempre. La busta è
enorme: due confezioni di zucca, una vellutata di zucca, tre
confezioni di hamburger, pancetta dolce, tortellini, funghi
champignon e due confezioni di carne già cotta, cosce di pollo e
costatine. Come cena di Ferragosto non è il massimo, ma ho speso
meno di 4 euro. La app si congratula dicendomi che ho risparmiato 62
euro e che ho evitato l'emissione di anidride carbonica pari a 70
tazze di caffè o oltre quattromila ricariche di cellulare.
La settimana è finita. Ce l'ho fatta, senza particolari eroismi.
Probabilmente spendendo un po' di più sarebbe stato ancora più
facile. Ovviamente in questi giorni è cambiato il rapporto con il
cibo: un conto è andare a fare la spesa e comprare quello che vuoi
mangiare, un altro è aprire una busta e scoprire cosa mangerai.
Meglio se sai cucinare, se sai cosa fare con il pane raffermo (una
panzanella?) o come creare una vellutata saporita. Nelle buste non
ho trovato cose essenziali con scadenze più lunghe, tipo pasta,
scatolette o passata di pomodoro; ma è possibile comprarle, in
quantità maggiori, con consegna a casa in massimo cinque giorni. E
tra le scelte di bag, se non hai problemi a cambiare orario, c'è
anche tanto sushi, ma dopo le undici di sera, e tanto kebab, dopo
mezzanotte.
Insomma, questa cosa funziona, si può fare, magari non tutti i
giorni. Quando l'ho raccontato a miei figli, uno mi ha risposto con
un silenzio preoccupato in cui io ho letto la sua paura: "Papà, ma
siamo diventati poveri?". Mia figlia invece mi ha detto: "Lo scopri
ora, con il mio ragazzo lo facciamo sempre". Sul sito di Too Good To
Go leggo che gli utenti nel mondo sono 95 milioni, che i negozi e i
ristoranti convenzionati sono 160 mila e che finora sono stati
"salvati" oltre 330 milioni di pasti. L'amministratore delegato, la
danese Mette Lykke, 43 anni, celebrando i successi del 2023 (+46 per
cento di pasti salvati), ha detto: "Di tutte le sfide che dobbiamo
affrontare per il cambiamento climatico, lo spreco alimentare è la
più stupida di tutte. Noi continuiamo a credere che cambiare le cose
è sempre possibile, e che anche le piccole azioni di ciascuno di noi
possono avere un grande impatto".
A proposito: il panetto di polenta è ancora in frigo. Domenica la
mangiamo fritta. —
Il Fisco si rafforza: 470 nuovi addetti L'Agenzia delle Entrate si rafforza e apre il bando di
concorso per 470 nuovi addetti. Assunti con contratto a tempo
indeterminato, saranno inquadrati in attività operative di natura
giuridica, economica, tecnica e amministrativa. In ballo c'è anche
una posizione nella lotta all'evasione, delicata in un periodo di
caccia alle risorse per la prossima legge di Bilancio. Per la
candidatura c'è tempo fino al 10 settembre. Questo rimpinguamento di
organico è un percorso avviato da anni dall'Agenzia che porterà
entro fine 2024 al reclutamento di 11.000 unità in tutto. L'anno
scorso l'Agenzia delle Entrate aveva imbastito una maxi selezione
per trovare ben 4.500 funzionari, di cui 3.970 per attività
tributarie e 530 impiegati nell'area dei servizi di pubblicità
immobiliare. E messo in piedi una cernita per rinnovare il personale
nel campo Ict assumendo 50 persone. Una metà come analisti di dati,
l'altra come addetti alle infrastrutture e alla sicurezza
informatica.
In un'audizione in commissione parlamentare di Vigilanza
sull'anagrafe tributaria, il direttore dell'Agenzia, Ernesto Maria
Ruffini, aveva spiegato che «tutti i servizi ai contribuenti e il
recupero dell'evasione sono in mano al personale. Avere meno
personale comporta meno servizi e risposte. C'è bisogno di
investimenti nell'infrastruttura, cura e formazione di funzionari e
dirigenti». In un bilancio sul numero di lavoratori, Ruffini aveva
sottolineato come l'Agenzia fosse «sotto organico di circa 8.000
unità». E quanto sia necessario per combattere l'evasione fiscale:
«A fronte di quella accertata, la capacità di incasso non supera il
20%». Il motivo? «Strumenti che devono essere affinati e una
dotazione di personale che deve essere integrata con sempre maggiori
risorse
SI SONO SVEGLIATI SOLO IN USA ?
la causa
Azionisti Usa contro Stellantis "Utili in calo"
I risultati semestrali di Stellantis, comunicati al mercato a fine
luglio, con un utile in forte calo, hanno colto di sorpresa alcuni
azionisti americani che ritengono di essere stati tratti in inganno,
di non aver avuto in anticipo informazioni utili per poter
comprendere il reale andamento dei conti. Il gruppo automobilistico
«è stato citato in giudizio da azionisti che affermano che la casa
automobilistica li avrebbe ingannati nascondendo l'aumento delle
scorte e altre debolezze, prima di pubblicare risultati deludenti
che hanno causato il calo del prezzo delle azioni». La notizia è
stata diffusa da Reuters. Per Stellantis la «causa è priva di
fondamento e l'azienda intende difendersi vigorosamente». —
17.08.24
La folle svolta dell’industria automobilistica europea: produrre e
vendere di meno, ma a caro prezzo. Intervista a 360° a Pierluigi Del
Viscovo
di Marco De' Francesco ♦︎ Non è il caso di sperare in un nuovo corso
di Stellantis in Italia. L'azienda guidata da Tavares ha cambiato
strategia, come tutti i carmaker europei. Si punta su modelli a
maggiore margine, producendo fuori dall'Italia. Perché da noi non
conviene, nemmeno ai cinesi, che pur ambiscono ad aprire
stabilimenti in Europa. E sulle auto elettriche...
12 Agosto 2024
«Non è il caso di sperare in un nuovo corso di Stellantis in Italia,
con più volumi e posti di lavoro. Anzitutto, perché è cambiato il
mercato dell’auto in Europa: si produce ciò che si vende, e si cerca
di massimizzare i margini. In secondo luogo, perché produrre in
Italia non conviene: non ci vogliono venire neppure i cinesi, che
hanno bisogno di “delocalizzare” in Europa. Infine, perché l’auto
green è stata, com’era prevedibile, un totale fallimento». Parole di
Pierluigi Del Viscovo, il docente di marketing e sistemi di
distribuzione e vendita (ha insegnato a Bologna e alla Luiss di
Roma) nonché grande esperto di automotive: è fondatore e direttore
del Centro Studi Fleet&Mobility.
Il dato di partenza è che la produzione di auto nel Belpaese è in
netto declino. Nel 2023, quella di Stellantis in Italia si è fermata
a 521.842 unità su un totale nazionale di 541mila vetture. Altri
carmaker attivi in Italia, come Lamborghini (Volkswagen), Dodge (la
Dodge Hornet è prodotta a Pomigliano d’Arco), DR (a Macchia
d’Isernia), Automobili Pininfarina, Dallara, Pagani e Ferrari, non
incidono molto sul computo dei numeri totali. Le previsioni per il
2024 non sono più rosee: secondo i dati preliminari di Anfia, la
produzione di autovetture in Italia ha registrato un calo del 31,3%
nel mese di marzo e una diminuzione del 21,1% nel primo trimestre
dell’anno.
Se però guardiamo alle vendite di auto nel Belpaese, il piatto non è
mai stato così ricco: i carmaker nel 2023 hanno fatturato 45
miliardi: non era mai accaduto. Si vendono auto più potenti e
costose (con prezzi di listino superiori a 35mila euro), con grande
ritorno di marginalità. La classe sociale meno abbiente, invece,
forse perché strangolata dal plateau inflazionistico, ha smesso di
acquistare auto. È così in tutta Europa. Insomma, Volkswagen,
Toyota, Renault, Bmw, Audi, ma anche la stessa Stellantis, e tutti
gli altri car maker continuano a fare profitti nel nostro Paese. Ma
l’industria automobilistica in senso di Oem (per i componentisti il
discorso è diverso) sta arrivando anno dopo anno al capolinea. Per
responsabilità divise a metà fra la politica inerte e succube dei
padroni, e quindi incapace di dettare condizioni e di fare una
politica industriale seria, e una classe dirigente economica di
livello basso.
La speranza che un costruttore cinese decida di produrre in Italia è
poi assai remota. Non conviene produrre in Italia. I costi
energetici sono il doppio rispetto alla Francia, creando un
significativo svantaggio competitivo; la lentezza dei processi
civili e penali genera incertezza legale, aumentando i rischi
percepiti dagli investitori; la rigidità del mercato del lavoro e la
fuga di talenti qualificati all’estero complicano il mantenimento e
l’attrazione di forza lavoro competente; la fiscalità oppressiva e
complessa rappresenta un ulteriore ostacolo per le imprese; infine,
la logistica è carente.
Il quadro è complicato dal fallimento della macchina a zero
emissioni, su cui Stellantis aveva puntato: l’auto green non offre
vantaggi sufficienti per giustificare i suoi costi e le sue
limitazioni, e non riesce a soddisfare le esigenze pratiche e di
libertà degli utenti. Per Mirafiori, che produce la 500 elettrica,
sono guai.
D: Ancora a gennaio 2024, il ceo di Stellantis Carlos Tavares ha
dichiarato che la sua azienda avrebbe dato un contributo
significativo all’obiettivo del governo di aumentare la produzione
di auto in Italia, superando il milione di unità all’anno entro il
2030. In realtà Stellantis è a quota mezzo milione; e la quota
Stellantis rappresenta la quasi totalità della produzione italiana.
L’obiettivo è irraggiungibile?
Pierluigi Del Viscovo, docente di marketing e sistemi di
distribuzione e vendita e fondatore e direttore del Centro Studi
Fleet&Mobility.
R: Certo che è irraggiungibile, il risultato; e si sapeva. Era come
dire: vado senza bombole a 400 metri di profondità. Ci sono cose che
non possono accadere. Tavares, d’altra parte, che non è nato ieri,
aveva posto un insieme di “se” e di condizioni: la sua espressione
non era mai all’indicativo. Ma qualcuno si chiede come mai nessuno
venga a produrre auto in Italia? Possibile che di tutti i
costruttori nessuno colga l’opportunità? O forse la verità è che non
c’è nessuna opportunità? In realtà la vicenda è un’altra. Il guaio è
il problema-Paese: produrre auto in Italia non conviene. Il resto,
comprese le dichiarazioni di Tavares, sono tutte belle favole, cose
che non meriterebbero un titolo di giornale.
D: D’altra parte la produzione è in calo: senza Stellantis non si
produce?
R: Sì, ma la minore produzione è un effetto di una strategia a
livello europeo, dell’automotive.
D: Quale strategia?
R: L’industria europea dell’auto ha cambiato strategia. Si produce e
si vende di meno, ma a caro prezzo e a maggiore marginalità. Prima
si trattava di massimizzare i volumi per ottenere convenienti
economie di scala su impianti e componentistica; ora si tratta di
produrre solo quello che si vende e massimizzando i margini. I
supplier non sono più selezionati sul minor costo, ma sulle garanzie
che possono offrire. D’altra parte, veniamo da un periodo un po’
particolare: prima, con il Covid, l’auto è rimasta senza microchip;
poi è arrivata la crisi di alcune materie prime provenienti
dall’Ucraina; poi c’è stato il problema dei rifornimenti di
alluminio dalla Cina, poi l’incaglio di Suez, poi i ritardi
derivanti dagli attacchi degli Houti in Mar Rosso. La strategia
produttiva è stata riconsiderata sulla scorta dei problemi di
approvvigionamento. Ma al mondo dell’auto è andata bene così.
Alfa Romeo Giulia GTA. Se guardiamo alle vendite di auto nel
Belpaese, il piatto non è mai stato così ricco: i carmaker nel 2023
hanno fatturato 45 miliardi, cosa che non non era mai accaduta. Ai
produttori sembra andare bene così, nonostante la produzione sia in
pesante calo.
D: In che senso ai produttori dell’auto è andata bene così?
R: Si pensi al Belpaese: il mercato italiano non è mai stato così
ricco, nonostante si siano vendute meno auto che nel passato. Nel
2023 le vendite in Italia hanno superato i 45 miliardi di euro. Non
era mai accaduto. Lo scorso anno sono state vendute 1,6 milioni di
auto nel Belpaese, ma i carmaker hanno incassato più soldi di quando
se ne vendevano 2,5 milioni. Ripeto, più soldi con quasi un milione
di macchine in meno. A questo mercato il ministro delle imprese e
del Made in Italy Adolfo Urso ha appena dato incentivi per circa un
miliardo di euro di soldi dei contribuenti, per aiutare le vendite
che stanno andando benissimo facendo un sacco di soldi. Può sembrare
strano, ma il governo sta sponsorizzando tutto questo. E poi, non si
vendono più le macchine a basso prezzo di listino.
Nel 2023 le vendite in Italia hanno superato i 45 miliardi di euro.
Non era mai accaduto. Lo scorso anno sono state vendute 1,6 milioni
di auto nel Belpaese, ma i carmaker hanno incassato più soldi di
quando se ne vendevano 2,5 milioni. (Fonte: Anfia)
D: Non si vendono più le macchine a basso costo? Come si è orientato
il mercato?
R: Nel 2019 si sono vendute quasi 130mila auto con un prezzo di
listino inferiore a 14mila euro; nel 2022 solo 4mila, poco più dello
0%. Si sono vendute invece oltre 400mila auto con prezzi di listino
superiori a 35mila euro, contro le 280mila del 2019. Il mercato si è
indubbiamente spostato verso l’alto.
D: I veicoli Leapmotor saranno commercializzati grazie alla joint
venture tra il costruttore asiatico e Stellantis. Ma non saranno
prodotti in Italia. Perché?
Carlos Tavares, ceo di Stellantis, e Jiangming Zhu, fondatore,
presidente e ceo di Leapmotor. Stellantis supporterà la
commercializzaizone delle auto di Leapmotor, ma la produzione non
sarà in Italia. Pesano i lunghi tempi dei processi, il costo elevato
dell’energia, la carenza di talenti.
R: Come dicevo, produrre macchine in Italia non conviene, perché il
quadro è negativo. Chi potrebbe farlo, non lo fa; e chi lo fa
vorrebbe scappare. Per una serie di ragioni che nulla hanno a che
vedere con l’auto. Nel Belpaese l’energia costa il doppio che in
Francia e molto di più rispetto ad altri Paesi; la Giustizia è
disastrosa: processi legali prolungati creano un ambiente di
incertezza che può scoraggiare gli investimenti. Il mercato del
lavoro è rigido e ingessato; inoltre, le competenze migliori se ne
vanno all’estero. Quanto alla fiscalità, è oppressiva e complicata.
La logistica è infine del tutto insufficiente: porti poco efficienti
e con strade di accesso inadeguate, trasporto ferroviario ancora
peggio, autostrade asfittiche e intasate. Insomma, non c’è ragione
per produrre in Italia; e di conseguenza Stellantis commercializza
ma non realizza i prodotti Leapmotor nel Belpaese. E ciò in un
contesto in cui i Cinesi hanno già messo un piede in Italia, e lo
hanno fatto in brevissimo tempo.
D: I produttori cinesi hanno messo un piede in Italia in breve
tempo?
R: I Giapponesi sono sbarcati alla fine degli anni Ottanta, e hanno
l’11%, il 12% del mercato. I coreani venti anni fa, e ora detengono
una quota del 5%-6%. I Cinesi tre anni fa, e considerate tutte le
macchine prodotte in Cina (e commercializzate con altri marchi) sono
già al 6%. È tantissimo. Ora i Cinesi hanno bisogno di produrre in
Europa. Per l’Italia sarebbe una grande occasione, ma che non si
tradurrà mai in realtà, per via degli ostacoli generali di cui
abbiamo parlato.
D: Perché i Cinesi hanno bisogno di produrre in Europa?
R: Un po’ per bypassare i dazi del Vecchio Continente; e soprattutto
perché per l’industria automobilistica è poco conveniente fabbricare
auto in luoghi lontani e oltremare. Le auto sono scatole vuote, che
pesano poco rispetto al volume occupato. Quante ce ne stanno di auto
in un container? Pochissime. Dunque, considerati i costi del nolo, è
più conveniente spedire dei motori che delle auto complete. E sono
costi che oggi incidono molto, sotto una certa soglia di prezzo.
Pesano poco, se sposto Ferrari o Lamborghini; tantissimo se lo
faccio con una utilitaria, anche se è elettrica. È il motivo per cui
Ford produce in Europa, o per cui produttori europei e asiatici
fabbricano in Messico, per servire gli Usa.
D: E in quali Paesi si produrranno le auto cinesi in Europa?
R: In realtà, quando si tratta di favorire l’insediamento di uno
stabilimento produttivo, i Paesi europei si fanno la guerra tra di
loro, a colpi di offerte, concessioni e aiuti al produttore. Byd è
sbarcata a Szeged, in Ungheria. Il governo Orban ha promesso di
prendersi carico delle infrastrutture necessarie e altri aiuti
statali. Da noi c’è una strana classe politica. Urso ha dichiarato
che l’Italia è pronta ad entrare nel capitale di Stellantis.
La produzione di vetture è in costante calo in tutta l’Europa.
Nonostante questo, i margini per i produttori sono in aumento, dal
momento che si è praticamente smesso di vendere vetture a basso
costo. (Fonte: Anfia)
D: A Mirafiori è rimasta la 500 elettrica. A proposito, sembra
andare tutto male. Perché l’elettrico non decolla? Era scritto?
R: Perché avrebbe dovuto decollare? È una cosa che non funziona:
costa di più, ma non ha nulla di più di un’auto termica, anzi offre
di meno. Poniamo che una persona intenda portare la famiglia tra i
borghi della Toscana. Dovrebbe impegnare il proprio tempo per
studiare i tracciati, capire se c’è la colonnina, se è funzionante e
se è libera. Ammesso che nel borgo tal dei tali la colonnina ci sia,
e ammesso che sia libera, una volta collegata la batteria per la
ricarica, uno esattamente cosa deve fare? Rimanere in macchina per
un’ora e passa con la famiglia? Ma andiamo. È il contrario della
libertà personale. Mi viene in mente il Gattopardo, il romanzo di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa: quando Don Fabrizio e la famiglia
Salina si recano a Donnafugata, devono cambiare i cavalli.
Nel 2019 si sono vendute quasi 130mila auto con un prezzo di listino
inferiore a 14mila euro; nel 2022 solo 4mila, poco più dello 0%. Si
sono vendute invece oltre 400mila auto con prezzi di listino
superiori a 35mila euro, contro le 280mila del 2019.
Ecco: l’auto elettrica ci ha riportato a quella condizione; ed è per
questo che non la vuole nessuno. Non è un caso che su circa un
miliardo di incentivi auto per il 2024, 610 milioni sono i “nuovi”
soldi, e 320 milioni sono avanzati dal 2023 perché destinati alle
elettriche e non utilizzati. Eppure, le auto con maggiore
possibilità di accesso fondi come sempre sono quelle con emissioni
minori.
D: All’auto elettrica hanno aderito solo gli early adopters. Ora
sarà un lungo inverno?
La Fiat 50e è uno dei modelli elettrificati di maggior successo di
Stellantis. Ma l’auto elettrica oggi non interessa più a nessuno:
l’hanno acquistata solo gli early adopter.
R: Per qualsiasi novità, ci sono sempre gli early adopters. Qui la
citazione è meno colta. Mi viene in mente il personaggio di Furio,
il marito di Magda interpretato da Carlo Verdone, che pianificava
tutto del viaggio. Quel tipo di mobilità oggi non può esistere.
Cerchiamo la libertà di decidere all’ultimo momento dove andare e
quando partire. Gli early adopters non mancano mai, come non mancano
i disagiati. Quanto ai vantaggi relativi all’ambiente, nel caso
dell’auto green sono inesistenti. È pura follia.
D: Le case automobilistiche hanno preso un abbaglio?
R: Ad un certo punto si è creato un ambiente in cui era diventato
impossibile esprimere dei dubbi; benché chiunque si occupasse a
vario titolo della materia di dubbi ne avesse parecchi. Un ambiente
avvelenato. Chiunque si opponesse, passava per mostro. Un ambiente
pericoloso.
D: Dalla vicenda di Alfa Romeo, di fatto “regalata” alla Fiat dei
tempi, si ha l’impressione che i governi italiani abbiano sbagliato
tutto in tema di strategia per produrre in Italia. Siamo solo
all’ultimo capitolo di una lunga saga?
R: Ma perché, logicamente, un governo dovrebbe fare gli interessi
dell’industria, o quelli della Nazione? Alla fine, un esecutivo è
una coalizione di partiti che si nutre di voti attraverso delle
narrazioni che piacciono al proprio elettorato, la clientela
politica. Tante forze politiche hanno danneggiato, anche seriamente,
il Paese, eppure sono ancora lì. Ciò che conta è la soddisfazione
delle folle, non fare le cose giuste.
16.08.24
BORSE BLUF : DIETRO I
CROLLI A PIAZZA AFFARI DELLA PRIMA SETTIMANA DI AGOSTO CI SONO LE
MOSSE DEGLI ALGORITMI ULTRAVELOCI, GLI “HIGH FREQUENCY TRADER” CHE
NELLA SEDUTA DEL PRIMO AGOSTO HANNO GESTITO IL 74% DEGLI SCAMBI – I
ROBOT AGISCONO CON UNA RAPIDITÀ IMPENSABILE PER GLI INVESTITORI
“TRADIZIONALI”. MA È LEGALE? NON SEMPRE. UN ESEMPIO? IL COSIDDETTO
“SPOOFING” OVVERO...
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Estratto dell’articolo di Vittorio Carlini per "il Sole 24 Ore”
Prima: contribuire alla spinta all’ingiù. Poi: lo stare un po’ più
alla finestra (mentre gli operatori tradizionali, presi anche dal
panic selling, vendono a mani basse). Infine: tornare sul mercato in
acquisto, sfruttando l’abbozzo di rimbalzo. Così può riassumersi la
strategia dei robot trader ultraveloci nelle giornate dei crolli a
Piazza Affari dell’1, 2 e 5 agosto.
La riprova? La offrono i dati, calcolati da Ematrend su richiesta
del Sole 24 Ore, in merito all’operatività degli High frequency
trader (Hft). Nella seduta del primo crollo (1 agosto), i volumi
degli Hft, riguardo al future Ftse Mib, sono saliti - rispetto al
giorno precedente - del 61,7%. Un balzo che porta - sempre il primo
agosto - la quota attribuibile agli algoritmi flash sul totale dei
volumi del derivato al 74,38%.
Il valore, inutile negarlo, è molto elevato. Vero! Nei giorni
successivi la percentuale è rimasta in linea, o è leggermente
calata. Ciò detto, però, la dinamica di fondo resta immutata.
«A ben vedere -spiega Enrico Malverti, fondatore di Ematrend - gli
High frequency trader hanno agito soprattutto il 2 agosto,
anticipando il crollo ulteriore del lunedì successivo». Una
strategia che, da una parte, ha sfruttato la caduta dei listini; e
che, dall’altra, «ha contribuito allo stesso iniziale scivolone il
quale, evidentemente, è stato cavalcato dagli operatori
ultraveloci».
Quegli Hft che, per l’appunto, hanno leggermente ridotto le loro
mosse il 5 agosto, portando al 69% il loro peso sugli scambi totali
del future sul FtseMib. «In quella seduta, il ribasso del mercato è
da attribuirsi maggiormente agli investitori tradizionali che, anche
in scia al “panic selling”, hanno buttato giù i corsi azionari».
Si tratta di un contesto in cui il “flash boys” hanno un po’ frenato
le loro mosse. Sebbene […] l’attività di vendita sia rimasta
sostenuta. Poi, nelle giornate successive - mentre il retail è
rimasto in modalità sell - «gli High frequency trader hanno ripreso
la strada degli acquisti, sia per ricoprirsi che per avvantaggiarsi
dei nuovi prezzi più bassi».
[…] Già, prezzi più bassi. Ma quali le società maggiormente nel
radar degli Hft? «In generale - risponde Malverti - si tratta delle
società finanziarie. Il primo e il 2 agosto, BPER, Unicredit, Mps,
Mediolanum e Mediobanca sono tra le azioni maggiormente “lavorate”
da questa tipologia di operatori».
L’istituto di piazza Gae Aulenti, in particolare, ha «avuto, sempre
venerdì - un balzo nei volumi che per il 51% è ascrivibile proprio
ai robot ultraveloci». Quegli algoritmi i quali, peraltro, non si
sono dimenticati di un titolo hi tech come StMicroelectronics.
Dopodiché, gli Hft sono rimasti a vendere nella seduta del 6 agosto
(con l’eccezione di A2A, Amplifon, Enel e Nexi) per, infine, tornare
in massa all’acquisto il giorno successivo.
[…] Insomma: come era lecito attendersi gli algoritmi super veloci,
complice il balzo della volatilità, hanno recitato un ruolo da
protagonisti nelle giornate in rosso di Piazza Affari. Una
situazione che, inevitabilmente, suscita polemiche. […] Diversi
esperti ed operatori invitano a non scagliare pietre contro gli Hft.
«Sono state introdotte molte restrizioni alla loro operatività», è
il leit motiv. Cui si aggiunge il commento di Malverti: «Danno
liquidità al sistema, lubrificando il motore delle Borse».
Potrà anche essere! E, tuttavia, non deve dimenticarsi che le loro
molteplici strategie, non così di rado, sono fuori della legalità.
Un esempio? Il cosiddetto “spoofing”. Cioè, in parole semplici,
l’invio - in un millisecondo - di migliaia di proposte di
negoziazione con l’intenzione non di effettuare la compravendita,
bensì di indurre il mercato a pensare ci sia in arrivo una finta
operatività (al rialzo o al ribasso).
Al di là di ciò, i flash boys possiedono comunque diversi mezzi
(leciti) per fare leva sulla loro superiorità tecnologica rispetto
agli altri attori del mercato. E, di certo, non avranno posto limiti
alle varie strategie proprio durante le recenti sedute negative a
Piazza Affari.
Così può pensarsi, tra le altre cose, alla tattica con cui gli
algoritmi sfruttano la pervasività dell’analisi tecnica. I robot
possono, ad esempio, puntare a determinati livelli di supporto
(valori di prezzo dove la pressione rialzista è maggiore di quella
ribassista).
Si tratta di quote ben note agli operatori, al di sotto delle quali
molti investitori tradizionali posizionano i cosiddetti “stop loss”.
Vale a dire: livelli di prezzo che, se rotti all’ingiù, fanno
scattare le vendite per limitare le perdite. Ebbene: gli Hft,
sfruttando la crisi in Borsa e grazie alla loro potenza di fuoco,
hanno creato flussi di vendita proprio sui supporti.
L’effetto? Di lì sono partiti ulteriori “sell”, ad opera di quegli
operatori che avevano posizionato gli “stop loss”.
Con il che, da una parte, è stata amplificata la caduta del titolo;
e, dall’altra, il robot ultraveloce […] si è portato a casa la
plusvalenza.
Ma non è solo questione di supporti, resistenze e analisi tecnica.
Quando i mercati salgono sull’ottovolante, la differenza tra le
proposte di negoziazione in vendita e quelle in acquisto normalmente
si allarga. È una condizione dove l’High frequency trade,
posizionandosi su entrambe le parti del mercato, riesce a lucrare le
differenze di prezzo.
In altre parole: effettua degli arbitraggi. Quegli arbitraggi che, a
fronte della presenza di molteplici sedi di esecuzione […] vengono
portati a termine tra le diverse quotazioni presenti sulle
piattaforme digitali. Si dirà: ma questo possono farlo anche gli
investitori tradizionali. Corretto! Eppure, nella iper
tecnologizzazione della microstruttura dei listini, è chiaro che chi
è più veloce ha un vantaggio importante.
Non solo perché riesce […] a sfruttare operativamente lo sfasamento
di prezzo. Ma anche perché, solitamente, ha alle spalle
un’infrastruttura hi tech che gli consente, ad esempio, di vedere
prima lo scarto tra le quotazioni. Insomma: sul medio lungo periodo
gli investitori tradizionali, che magari si basano sui fondamentali
delle aziende e tengono in considerazione i multipli di mercato,
potranno ancora dire la loro. Sul breve invece, ad eccezione di
qualche “scalper”, non c’è partita. Chi dice il contrario o è in
mala fede oppure conosce poco le dinamiche dei listini.
FARANNO IL COPIA ED INCOLLA: ALL YOU CAN FLY - "WIZZ AIR" LANCIA
L'ABBONAMENTO PER VOLARE SENZA LIMITI: CON 599 EURO POTRANNO
PRENDERE TUTTI GLI AEREI CHE SI VORRANNO, PAGANDO SOLO 9,99 EURO A
BIGLIETTO - SE SI SOTTOSCRIVE ENTRO FERRAGOSTO IL COSTO DELL'OFFERTA
E' DI 499 EURO - MA FATE BENE I CONTI, LE ROTTE NAZIONALI SONO
ESCLUSE DAL PASS E PER PRENOTARE I VOLI AL PREZZO STRACCIATO E'
NECESSARIO UN ANTICIPO DI ALMENO 72 ORE...
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Estratto da www.corriere.it
Wizz Air, la compagnia aerea low cost ungherese, lancia la
membership card «All You Can Fly» che offre una ampia scelta di voli
per un periodo di 12 mesi al prezzo di 599 euro (499 euro in fase di
lancio, fino a Ferragosto) verso oltre 800 destinazioni, a cui vanno
aggiunti 9,99 euro per ogni tratta.
La «Wizz All You Can Fly» membership è la prima carta di questo
genere in Europa e la compagnia aerea è l’unica ad offrire un numero
così esteso di voli a prezzo fisso.
La membership annuale da 599 euro darà ai viaggiatori accesso ai
voli su tutta la rete Wizz Air, con una tariffa di prenotazione a
soli 9,99 euro. Questa nuova membership card offrirà dunque ai
viaggiatori un’opportunità per viaggiare quanto desiderano,
permettendo loro di risparmiare sul prezzo abituale dei biglietti.
Le mete previste spaziano dal Mare del Mediterraneo alle escursioni
nelle Alpi Austriache, fino alle grandi capitali europee come Parigi
e Londra. La Wizz All You Can Fly membership connetterà i
viaggiatori alle migliori destinazioni per un city break, sia in
Europa che oltre.
Lo strumento si adatta ai frequent flyer e la membership è valida
per un passeggero per un periodo di 12 mesi. Gli affiliati potranno
scegliere tra le destinazioni disponibili 72 ore prima della data e
dell’ora di partenza.
La compagnia aerea, come detto, ha lanciato anche un’offerta di
prevendita limitata della All You Can Fly membership a un prezzo
scontato di 499 euro. La prevendita è iniziata alle 10 del 13 agosto
2024 e durerà fino alle 23:59 CET del 15 agosto. Dopo la prevendita,
la membership sarà disponibile al prezzo regolare di 599 euro.
I passeggeri potranno prenotare voli all’interno della Wizz All You
Can Fly membership a partire dal 25 settembre 2024. I clienti Wizz
Air potranno utilizzare la membership per volare quanto vorranno.
Potranno viaggiare da quasi 200 città in oltre 50 Paesi su 800
rotte.
La carta promozionale prevede alcune limitazioni. La principale di
questa è che le rotte nazionali italiane sono escluse dal pass:
questo vuol dire che non sarà possibile sfruttare questo abbonamento
se si è pendolari tra due aeroporti italiani serviti da Wizz Air.
Con la registrazione a Wizz All You Can Fly inoltre è possibile
prenotare voli di sola andata disponibili entro 3 giorni di
calendario (72 ore) prima della partenza. È possibile inoltre
prenotare un massimo di 3 voli di sola andata per 1 giorno (24 ore).
Wizz All You Can Fly può essere utilizzato per la prenotazione solo
se si è l’unico passeggero. E una volta prenotato un volo con Wizz
All You Can Fly la prenotazione non può essere modificata in
seguito. Servizi aggiuntivi possono essere acquistati e aggiunti
alla prenotazione del/i rispettivo/i volo/i prima della partenza. Il
pagamento di tali servizi (come bagaglio o priorità) non è coperto
da Wizz. [...]
Comprare questo abbonamento significa «investire» 600 euro
anticipatamente e senza alcuna possibilità di rimborso. Occorre
quindi leggere bene e fare i conti. Se si è pendolari dei cieli
italiani non ha senso comprarlo. Al contrario se si vola spesso da
un aeroporto servito da Wizz Air, verso destinazioni internazionali
allora potrebbe avere senso.
Certo bisogna calcolare che ogni volta che si staccherà un biglietto
si avrà un costo aggiuntivo, al netto di eventuali supplementi, di
9,99 euro. L’ultima considerazione è che dalla proposta sono esclusi
i voli last minute, dato che viga l’obbligo di prenotare con almeno
72 ore di anticipo.
Mandato d'arresto per l'ucraino che danneggiò il gasdotto Nord
Stream
Germania, sabotaggio in una base Nato "Inquinati i sistemi
dell'acqua potabile"
Uski Audino
Per un sabotaggio che comincia a chiarirsi - quello del gasdotto
Nord Stream 1 e 2 a due anni dalla sua esplosione - due nuovi ne
spuntano in luoghi altrettanto strategici: le basi militari
dell'aviazione tedesca.
Ieri è venuto alla luce il primo mattone di una verità giudiziaria
ancora da costruire nel complicato caso del gasdotto che collegava
la Russia alla Germania, la principale arteria di diffusione del gas
russo in Europa fatta saltare da ignoti il 26 settembre del 2022. La
storia è questa. La Procura generale federale tedesca emette in
giugno un mandato di cattura europeo per un cittadino ucraino
residente in Polonia, Wolodymyr Zhuravlov, che vive nella cittadina
polacca di Pruszkow a Sud-Ovest di Varsavia. Si tratta di un
istruttore subacqueo di 44 anni. Le autorità polacche, che hanno 60
giorni per eseguire il mandato, arrivano a casa del presunto membro
del commando responsabile dell'esplosione di Nord Stream ma non
trovano nessuno. Zhuravlov ha già ha lasciato la Polonia ed è
tornato in Ucraina in luglio. Segue un rimpallo di responsabilità
tra Berlino e Varsavia, dove le autorità polacche sostengono che
quelle tedesche avrebbero mancato di inserire il sospetto nel
registro dei ricercati europei, cosa che gli avrebbe permesso di
tornare indisturbato in Ucraina senza essere fermato dalle guardie
di frontiera polacche. Il primo mattone della verità giudiziaria si
rivela instabile. Ma l'impalcatura investigativa resta salda.
Secondo la ricostruzione della procura, Zhuravlov faceva parte di un
commando di tre persone, due uomini e una donna, Evgen U. e Svitlana
U. fondatori di una scuola di sub. I tre avrebbero affittato in
Polonia un'imbarcazione - la Andromeda. Successivamente, durante una
crociera di 18 giorni che aveva toccato l'isola tedesca di Rügen, le
isole danesi di Bornholm e Christiansø, e la località svedese di
Sandhamn nel Mar Baltico, i tre avrebbero raggiunto la posizione
giusta per compiere un'immersione a 80 metri di profondità. La
carica esplosiva fatta detonare aveva danneggiato tre elementi del
gasdotto su quattro. Poi il commando era sparito nel nulla. Ma le
tracce rimaste erano innumerevoli: resti di esplosivo Hmx sulla
barca, tracce di dna, passaporti falsi per affittare l'imbarcazione,
testimoni che ne riconoscono i volti, infine una foto dell'autovelox
scattata in autostrada la notte dell'8 settembre 2022 vicino
all'isola di Rügen che ritrae proprio Volodymyr. Ma la foto da sola
non sarebbe bastata a reggere l'intero impianto accusatorio, è solo
l'ennesimo indizio corroborato da testimonianze. Ma il punto
scottante dell'indagine resta ancora da chiarire e riguarda il
mandante politico dell'esplosione del gasdotto. Qual era la
copertura dell'intera operazione? A chi faceva capo il commando?
Secondo Washington Post e Spiegel il gruppo faceva riferimento a
Roman Tscherwynsky, un ufficiale decorato dei servizi segreti
militari ucraini, che a sua volta riferiva a Valerij Fedorovy?
Zalužnyj, ex comandante in capo delle Forze armate ucraine, ora
inviso a Zelensky.
Il secondo caso di sabotaggio è quello avvenuto in due basi militari
tedesche, una Nato a Geilenkirchen e l'altra della Bundeswehr a
Colonia-Wahn. In entrambi i casi il sospetto è di sabotaggio al
sistema idrico, cioè di una voluta contaminazione del sistema
d'acqua potabile che ha reso inagibili le due caserme. E non si
tratta di sedi qualunque ma Colonia-Wahn è la più grande base aerea
delle forze armate tedesche. —
LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI BRESCIA: "NON sono al SICURO"
Orfani ospitati in Italia, "stop al rimpatrio" Kiev aveva chiesto il
rientro da Bergamo
Restano in Italia i 57 orfani tra i 6 e i 16 anni, ospitati in tre
centri bergamaschi dall'inizio del conflitto con la Russia. Lo ha
deciso il tribunale per i minorenni di Brescia che, con un decreto,
ha confermato, con effetto immediato, l'affido dei minori ucraini
ospitati in provincia di Bergamo ai Servizi sociali italiani «perché
li mantengano collocati negli attuali luoghi di accoglienza», di
fatto senza limiti temporali. In precedenza si era parlato di una
proroga di due settimane per la loro permanenza, ma di fatto il
decreto del tribunale scavalca questa decisione e la rende al
momento senza limiti di tempo. Inizialmente infatti il tribunale
aveva dato il via libera al rientro chiesto dalle autorità ucraine,
sottolineando «l'assenza di ragioni» alle richieste dei
rappresentanti di Kiev sui ragazzi «solo provvisoriamente ospitati
in Italia» su richiesta ucraina. Il decreto rileva però che «come
segnalato negli ultimi giorni dai tutori, dal ministero della
Giustizia e dall'Unhcr» numerosi ragazzi hanno presentato, e altri
hanno intenzione di presentare, domanda di protezione internazionale
alla commissione territoriale «temendo per la propria incolumità in
relazione al rientro in zone prossime al teatro delle operazioni
belliche in fase di recrudescenza». E quindi «alla luce di tale
fatto nuovo» ritiene «di sospendere temporaneamente il rientro in
Ucraina dei predetti minori onde consentire alla commissione di
svolgere la propria istruttoria e assumere le decisioni del caso in
relazione alle richieste presentate dai minori».
Secondo il Kiel Institute, munizioni e forniture per 111 miliardi di
dollari da Bruxelles e Washington
Dai droni turchi a i blindati del Regno Unito Ecco come gli alleati
riforniscono Zelensky
francesco semprini
new york
Tra il febbraio 2022 e il febbraio 2024, secondo uno studio del Kiel
Institute, osservatorio di ricerca tedesco, ripreso da Bbc, gli
Stati Uniti hanno consegnato o impegnato armi e attrezzature per un
valore di 46,2 miliardi di dollari all'Ucraina. La Germania ha
donato all'Ucraina armi e attrezzature per un valore di 10,7
miliardi di dollari, il Regno Unito 5,7 miliardi di dollari, la
Danimarca 5,2 miliardi di dollari e i Paesi Bassi 4,1 miliardi di
dollari. A questi si aggiungono i pacchetti da 61 e 50 miliardi
approvati quest'anno rispettivamente da Usa e Ue. Ma quali armi
hanno fornito i Paesi occidentali all'Ucraina?
Armi anticarro
I Paesi occidentali hanno risposto all'invasione russa nel febbraio
2022 fornendo alle forze armate ucraine armi difensive per
contrastare le brigate corazzate russe. Gli Usa e il Regno Unito
hanno fornito migliaia di missili anticarro Javelin e Nlaw. Per il
combattimento via terra l'Italia ha inviato anche mitragliatrici M2
Browning e Mg.
Sistemi di difesa aerea
Per contrastare la superiorità aerea russa e i suoi attacchi alle
città e alle infrastrutture ucraine, l'Ucraina ha ricevuto diversi
tipi di sistemi di difesa aerea. Questi vanno dall'arma antiaerea a
corto raggio del Regno Unito, Starstreak, al sistema missilistico
Patriot, i cui costi di utilizzo sono tuttavia elevati visto che
ogni missile vale 3 milioni di dollari. Gli Stati Uniti e la
Norvegia hanno anche fornito i Nasam (National Advanced
Surface-to-Air Missile System) per la difesa aerea, e la Germania ha
messo a disposizione l'Iris-T. L'Italia avrebbe inviato anche
lanciatori terra-aria Stinger.
Artiglieria e missili
Dopo la ritirata della Russia da Kiev, l'uso di artiglieria e
missili è stato ampio e intenso da entrambe le parti. In favore
dell'Ucraina, Australia, Canada, Usa e altri Paesi hanno inviato
obici e munizioni M777. Anche gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno
fornito sistemi missilistici tra cui Himars e M270 Mlrs. L'Ucraina
ha anche ricevuto missili a lungo raggio come Scalp dalla Francia,
Storm Shadow dal Regno Unito, e presumibilmente dall'Italia, e
Atacms dagli Stati Uniti. Questi ultimi hanno anche fornito la
versione a più lungo raggio dell'Atacms, che può percorrere 300 km.
Da qui è nata la polemica sull'utilizzo di tali armamenti oltre i
confini.
Bombe
Nel luglio 2023, gli Stati Uniti dichiararono di aver fornito bombe
a grappolo all'Ucraina, per aiutare a spostare le truppe russe dalle
posizioni difensive. Queste armi, consegnate per lo più sotto forma
di proiettili di artiglieria, disperdono molteplici bombe e sono
vietate da più di 100 paesi a causa del rischio che rappresentano
per i civili, come spiega Bbc.
Tank
All'inizio del 2023, le nazioni occidentali hanno accettato di
inviare carri armati in Ucraina. Si sperava che avrebbero consentito
all'Ucraina di violare le linee difensive russe. Il Regno Unito ha
fornito il Challenger 2. Gli Stati Uniti hanno inviato 31 carri
armati Abrams e le nazioni europee hanno inviato diversi carri
armati Leopard 2 di fabbricazione tedesca. L'M1 Abrams costruito
negli Usa è stato descritto come il carro armato più avanzato al
mondo.
Droni
I velivoli senza pilota hanno avuto un ruolo importante durante la
guerra, per la sorveglianza, il targeting, il lancio di missili e
come armi "kamikaze". All'inizio della guerra la Turchia ha fornito
droni Bayraktar TB2 lanciamissili, gli Stati Uniti hanno fornito
droni kamikaze "Switchblade" e diversi paesi hanno inviato droni di
sorveglianza commerciale, come il DJI Mavic 3 di fabbricazione
cinese. Nel febbraio 2024, il governo del Regno Unito ha dichiarato
che si sarebbe unito a una coalizione di paesi che avrebbero fornito
all'Ucraina migliaia di droni con «visione in prima persona», per
l'osservazione e l'individuazione dei bersagli.
Velivoli
L'Ucraina ha costantemente chiesto agli Stati Uniti aerei da
combattimento, per contrastare la superiorità aerea della Russia.
Nel maggio 2023, Washington ha acconsentito la fornitura di F-16 di
fabbricazione statunitense da parte di altre nazioni. Danimarca,
Paesi Bassi e Norvegia si sono offerti. Le prime forniture sono
giunte ad agosto. I piloti ucraini ricevono addestramento in undici
Paesi occidentali.
tentativo di contatti per un progetto
nell'est europa Hunter Biden, l'intrigo
arriva in Italia
Si apre un caso italiano per Hunter Biden. Nel 2016 il figlio del
presidente uscente degli Stati Uniti, allora vice di Barack Obama,
ha chiesto aiuto al dipartimento di Stato e all'ambasciata americana
in Italia per un affare nel settore geotermico che coinvolgeva la
società energetica ucraina Burisma, di cui era consigliere, e la
Regione Toscana.
A svelare l'intreccio è il New York Times, entrato in possesso di
documenti che l'attuale amministrazione «per anni aveva evitato di
rendere pubblici». La richiesta all'ambasciatore statunitense a Roma
di quel periodo, John Phillips, era di ottenere un contatto con il
governatore della Toscana, Enrico Rossi, per imbastire un incontro
sul progetto per cui la compagnia aveva difficoltà a ottenere il via
libera normativo. Imbarazzo dai diplomatici. Anche perché Burisma
non era statunitense. Ma l'avvocato di Hunter Biden, Abbe Lowell,
minimizza ribadendo che la richiesta fosse «appropriata». E che il
suo assistito aveva contattato «varie persone» riguardo il progetto.
Alla fine, nessun incontro è andato in porto, spiega il legale.
Anche Rossi conferma. Dalla Casa Bianca assicurano che Joe Biden non
sapeva nulla della vicenda. Ma ad alimentare sospetti e accuse dei
repubblicani è il dipartimento di Stato che ha iniziato a diffondere
i documenti una volta che il Nyt gli ha fatto causa dopo essersi
visto rifiutare una richiesta in base al Freedom of Information Act
(Foia). E la lettera di Hunter all'ambasciatore è iniziata a
circolare post ritiro dalla corsa di Biden.
Per la Casa Bianca è solo un caso: l'ok alla pubblicazione c'è stato
una settimana prima del passo indietro di Biden. I dubbi restano.
Con Hunter Biden che aggiunge un nuovo capitolo in chiaroscuro dopo
la condanna di giugno nel processo per acquisto e possesso di
un'arma.
15.08.24
LE SOLITE ILLUSIONI :
Nelle casse dem grazie al 2per mille sono entrati oltre 8 milioni di
euro. Boom di adesioni dopo l'ultima campagna elettorale per le
Europee
Pd, i conti tornano: è record di donazioni
flavia amabile
roma
Crescita record del 2 per mille per il Pd. Al 31 luglio 2024 ha
raccolto 1.758.613 euro con un aumento di 75.902 scelte rispetto al
31 luglio dello scorso anno. Si tratta di una conferma ma non solo.
«Il Pd è da sempre il primo partito in termini di scelte. - spiega
Michele Fina, senatore e tesoriere nazionale del partito - Da solo
raccoglie circa un terzo dell'intero plafond e quasi il doppio del
secondo partito che lo scorso anno è stato Fratelli d'Italia. In
questi mesi avevamo capito che la raccolta stava andando bene ma non
ci aspettavamo questo record».
Dopo l'abolizione dei rimborsi elettorali, il 2 per mille è l'unica
forma di finanziamento pubblico rimasta ufficialmente a disposizione
dei partiti, una scelta che viene fatta in modo volontario dalle e
dai contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi. Alla
fine del 2023 il Pd aveva raccolto 8.118.192 euro mentre il secondo
partito, Fratelli d'Italia, ne aveva incassati 4.807.551. Una
distanza che, se dovesse essere confermata la tendenza dei primi
sette mesi del 2024, potrebbe aumentare ancora. In base ai dati di
fine luglio il Pd ha ottenuto 495.021scelte per un equivalente
economico di 7.530.654,96 euro (con un imponibile totale di
3.765.327.478 euro). Al 31 luglio 2023, il numero di scelte per il
Pd fu di 419.119 con un equivalente di 5.772.041 euro (e un
imponibile di 2.886.020.786 euro). «È un record storico per il Pd da
quando esiste il 2x1000», sottolinea Fina. A spiegare il record,
secondo il tesoriere dem sono quattro elementi: «Durante la campagna
elettorale abbiamo avuto un ritorno chiaro di persone che tornavano
a scegliere il 2 per mille per il Pd perché la nostra comunità si è
sentita rappresentata da una linea politica netta su lavoro, sanità
e diritti. In secondo luogo c'è stato il fattore Elly con un affetto
nei suoi confronti e il desiderio di dare una mano. E poi c'è stato
l'apprezzamento per l'unità del Pd pur all'interno del pluralismo.
C'è stato però anche un quarto fattore su cui ho lavorato da un anno
e mezzo: il fattore territorio».
Dallo scorso anno, infatti, il Pd ha deciso di restituire ai
territori l'aumento dei fondi arrivati attraverso il 2 per mille
secondo quella che Fina definisce «una ripartizione premiale»
calcolata in base all'aumento realizzato nelle varie province. Alla
fine «il 70 per cento della crescita è stata inviata ai territori e
il resto utilizzato a livello centrale. Questo ha fatto sì che la
rete presente a livello locale abbia sentito ancora più sua questa
forma di raccolta e si sia impegnata ancora di più quest'anno»,
spiega Fina.
Quello che infatti spiega il successo costante del Pd nella raccolta
del 2 per mille è proprio la rete presente sul territorio formata da
migliaia di circoli, amministratrici e amministratori locali, feste
dell'Unità, iscritte e militanti. «Il 2 per mille è uno strumento
poco conosciuto, funziona se la rete lo promuove. Sarebbe opportuno
quindi, che lo Stato informasse attraverso la tv i cittadini della
sua esistenza. Questo consentirebbe di far fare ai partiti un salto
in avanti significativo nella raccolta di fondi», sottolinea il
tesoriere. Per il Pd il 2 per mille rappresenta l'80% del bilancio.
Nessuna nostalgia del finanziamento pubblico? A questa domanda Fina
risponde in modo netto: «Bisogna prima aprire una discussione per
arrivare a una legge sui partiti definendo la loro organizzazione in
totale trasparenza. Solo dopo si può affrontare la questione del
finanziamento pubblico». —
14.08.24
LADRI : Un guasto ha
mandato in tilt l'impianto elettrico. Il Pd: "Dov'è il documento che
certifica la conformità dell'edificio?" La Regione: arriva a
novembre
Grattaci elo allagato, dipendenti in smart Il giallo del collaudo
tecnico mancante
Pier Francesco Caracciolo Giulia Ricci
In smart working fino a domani, ultimo giorno lavorativo della
settimana. Questo il provvedimento disposto dalla Regione per i
dipendenti del grattacielo, da ieri mattina al lavoro da casa. È
l'effetto del guasto che, nella notte tra domenica e lunedì, ha
interessato la torre in piazza Piemonte. Ma a distanza di quasi due
anni dal taglio del nastro, manca ancora il certificato di collaudo
tecnico e amministrativo, il documento che indica se l'edificio
rispetta quanto scritto nero su bianco sul contratto d'appalto (e
nelle norme).
A causa di una copiosa perdita d'acqua in un locale tecnico al
quarantaduesimo piano, ieri l'impianto elettrico dell'edificio è
andato in tilt, lasciando gli uffici al buio. Il contrattempo ha
indotto la direzione generale a rispedire a casa i dipendenti che si
erano presentati davanti alla porta d'ingresso. A metà pomeriggio il
guasto è stato riparato dagli operai ma la direzione, in accordo con
i tecnici, ha deciso di non riaprire la torre. Il sistema di
climatizzazione interna, infatti, ha bisogno di 48 ore per
riavviarsi e rinfrescare tutti gli ambienti: in questi giorni di
caldo afoso i dipendenti sarebbero stati accolti da una temperatura
non idonea.
Quello di ieri è solo l'ultimo di una serie di inconvenienti per il
grattacielo, inaugurato a ottobre 2022 dopo 11 anni di lavori (sette
in più del previsto). Ad agosto dello scorso anno, complice l'errore
di un tecnico, un pannello del controsoffitto di un ufficio era
venuto giù al sesto piano, fortunatamente senza conseguenze. Nei
giorni precedenti i sindacati avevano denunciato altri problemi, tra
cui l'assenza di defibrillatori, il malfunzionamento dell'impianto
di climatizzazione, diversi guasti agli ascensori e la continua
mancanza di acqua nei bagni. Sempre nel 2023 era scoppiato il caso
del collaudatore Natale Comito, che aveva dato le dimissioni dopo
aver denunciato di sentirsi «pressato» nel suo lavoro, utile a
conseguire il «certificato di collaudo tecnico amministrativo». Un
controllo che non riguarda la stabilità e la sicurezza
dell'edificio, ma la conformità dei lavori a quanto scritto nel
contratto: per fare degli esempi, se il materiale usato per il
pavimento o per le finestre sia quello concordato, così come il
numero di piani o la quantità di rastrelliere per le bici. E che
deve essere effettuato entro sei mesi dalla fine dei lavori.
«Il 27 febbraio 2023 (5 mesi dopo il termine fissato per legge) –
denuncia il consigliere del Pd Daniele Valle – mancava ancora il
collaudo. Rispondendomi in quella data, l'assessore Tronzano
dichiarava che la ragione del ritardo era dovuta al fatto che a fine
luglio 2022 i collaudatori non erano "in possesso dei documenti
necessari, tra cui il conto finale dei lavori". Conto arrivato
proprio a febbraio 2023, un anno e sette mesi dopo la dichiarazione
di fine lavori. Tronzano, quindi, annunciava che vi erano le
condizioni di predisporre la relazione finale e che entro sei mesi
sarebbe arrivato il certificato».
Quel documento, però, ancora non c'è. Dalla Regione fanno sapere che
arriverà a novembre 2024, perché si tratterebbe di un'analisi da
concludersi entro un anno dal termine di tutte le lavorazioni, anche
le "finiture" ( e quindi novembre dell'anno scorso, dicono).
Insomma, è "giallo" su quale sarebbe la data in cui inserire la
conclusione ufficiale del cantiere del grattacielo, e quindi la vera
deadline entro la quale andrebbe presentato il tanto atteso
certificato di collaudo. Giulio Manfredi dei Radicali, intanto,
aspetta ancora «le analisi sulla potabilità dell'acqua».
FUTURI FURTI :In prima battuta la giunta si era rivolta a
Cassa Depositi e Prestiti per sostenere i costi Secondo i giudici
della Corte dei Conti l'indebitamento complessivo preclude
l'operazione
Nuovi ospedali, proibito il mutuo Per i progetti si attinge dal
bilancio
alessandro mondo
Nuovi ospedali, mutui off limits, si cambia in corsa. Una decisione
obbligata, quella della giunta regionale, stante il recente richiamo
della Corte dei Conti. Dal Grattacielo Piemonte preferiscono parlare
di "invito", ma la sostanza non cambia: l'indebitamento è quello che
è, chiedere soldi a prestito è fuori discussione, le coperture per
le spese di progettazione dei futuri presidi sanitari devono essere
assicurate con fondi regionali.
Pochi giorni fa l'approvazione della delibera con cui la giunta ha
corretto il tiro: via il mutuo da 42 milioni con Cassa Depositi e
Prestiti, riassegnati soldi per la progettazione.
Se non altro, la cifra necessaria è inferiore a quella iniziale:
quando la Regione aveva stanziato i fondi la progettazione dei nuovi
ospedali era andata in gara, quindi l'importo richiesto era quello
per dare copertura alla gara; ora che le gare sono state
aggiudicate, con un ribasso del 50%, viene data copertura al valore
del contratto.
Per ora il discorso riguarda essenzialmente gli ospedali previsti a
Torino, Ivrea e forse Alessandria. I progetti per il presidio di
Cambiano e quello di Savigliano avevano già fondi ordinari e non
utilizzavamo il mutuo. Per il presidio di Alessandria, che da solo
vale una ventina di milioni (ndr: parliamo sempre di progettazione),
è da vedersi: la Regione aveva una proposta di partneriato pubblico
privato in corso di valutazione, perciò non sarebbero state
necessarie spese di progettazione.
Si tratta di capire cosa prevede il decreto del Ministero che
aggiorna il piano investimenti Inail: stando alla legge finanziaria
2024 avrebbe dovuto essere fatto entro il 30 giugno, quindi Roma ha
già sforato i tempi. E l'ospedale di Cuneo? Già in principio non era
stato finanziato, come progettazione, perché era in corso la
valutazione del partenariato pubblico-privato, non ancora terminata.
In conclusione, allo stato dell'arte la Regione ha riassegnato 14,5
milioni: fondi regionali in conto capitale per edilizia sanitaria.
In ogni caso, precisano dalla giunta, le progettazioni vengono
anticipate ma poi sono restituite da Inail, al quali ci si è rivolti
per un piano di edilizia sanitaria da 4,3 miliardi che supplirà,
ovviamente nei prossimi anni, al deficit edilizio accumulato dal
Piemonte degli ultimi decenni.
Funziona in queto modo: le Regioni, Piemonte compreso, fanno i
progetti anticipando la spesa, poi li mandano a Inail, che rimborsa
i costi sostenuti. Dopodichè: Inail costruisce gli ospedali con
propri fondi (fa gli appalti e realizza) per poi metterli a
disposizione delle aziende sanitarie a canone calmierato.
Tutto a posto? Fino a un certo punto, dato che l'impossibilità di
contrarre nuovi mutui, non solo in ambito sanitario, non è certo un
buon segnale.
LOBBY: a torino ancora nessuna sanzione
Divieto di fumare all'aperto i produttori ricorrono al Tar
diego molino
Quattro mesi fa a Torino fu introdotto il divieto di fumare
all'aperto "a una distanza inferiore a cinque metri da altre
persone, senza il loro esplicito consenso". Una stretta che riguarda
non soltanto sigarette, sigari e pipe, ma anche le sigarette
elettroniche. Non si può fumare, ma nemmeno swapare. Un
irrigidimento delle norme che ha fatto balzare sulla sedia l'Anafe,
l'Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico, aderente a
Confindustria, che ha deciso di ricorrere al Tar del Piemonte per
far annullare la delibera. Un'azione che ha spinto il Comune a
costituirsi parte civile.
A proporre il provvedimento, che modifica il Regolamento di polizia
urbana, era stato il capogruppo di +Europa e Radicali, Silvio Viale.
«Una misura sanitaria – dice – Ma soprattutto una questione di
rispetto per i non fumatori e di buona educazione – spiega Viale –
Se fumo, mi sposto». Altrimenti la sanzione prevista è pari a 100
euro, anche se qui si è già aperto un confronto su come garantire
controlli ed efficacia del divieto. In questi primi mesi non ci sono
ancora state multe ai trasgressori perché, spiegano da Palazzo
Civico, «come per tutte le nuove regole che entrano in vigore, prima
ancora che con un'attività di sanzione, la polizia locale interviene
con un'attività di informazione per prevenire le violazioni». In
realtà Torino è solo l'ultima delle città italiane ad aver istituito
il divieto di fumo all'aperto: Milano lo fece nel 2020, così come
Modena, mentre a Napoli il divieto esiste dal 2007. Adesso si apre
un nuovo fronte con il ricorso al Tar regionale, con cui Anafe punta
a rendere carta straccia le nuove norme contro il fumo nei parchi,
alle fermate del bus e in qualunque luogo dove non sia rispettata la
distanza di 5 metri dalle altre persone.
13.08.24
aggredita dagli agenti durante una protesta a evin
La Nobel Mohammadi picchiata in cella Da giorni, mentre minaccia Israele di rappresaglia per
l'assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh, il regime iraniano
colpisce duramente l'opposizione interna. Nelle strade, dove non si
contano più gli arresti per "insurrezione armata contro la
Repubblica islamica", un'accusa punibile con la morte, e in
prigione. «Anche Narges Mohammadi è stata picchiata» racconta da
Teheran un attivista che da quasi due anni affianca le compagne del
movimento "Donna vita e libertà". La conferma arriva dalla Free
Narges Coalition: «Siamo allarmati dalle notizie secondo cui Narges
Mohammadi ha subito un'aggressione fisica nel carcere di Evin
insieme ad altri prigionieri in occasione di una protesta pacifica.
Stiamo studiando i rapporti secondo cui Mohammadi ha sofferto di
dolore toracico acuto e di un attacco respiratorio»
Non è la prima volta che la premio Nobel per la pace 2023, rinchiusa
a Evin per scontare poco meno di 13 anni di detenzione, viene
sottoposta a trattamenti punitivi che aggravano la sua condizione di
estrema fragilità cardiaca e polmonare. Ieri sera la sua famiglia
(il marito e i due figli, in esilio da anni), ha diffuso un
comunicato e un appello: «Il telefono di Narges è disconnesso dal
novembre 2023 e da allora i fratelli, che si trovano in Iran, non
riescono a mettersi in contatto con lei. Attraverso i suoi compagni
di cella siamo venuti a sapere che il 10 agosto Narges Mohammadi ha
scritto alla direzione del carcere di Evin chiedendo il permesso di
incontrare il suo avvocato alla presenza di un rappresentante
dell'Organizzazione di Medicina Legale per documentare le contusioni
e le lesioni sul lato destro del torace nonché sul braccio sinistro
e in otto aree diverse»
DOPO 20 anni:
Centomila euro dalla Regione alla Città per incentivare il lavoro
dei vigili e comprare nuove apparecchiature per "scovare" i veicoli
più inquinanti
Blocchi smog, la task force contro i furbetti L'obiettivo dei 26mila
controlli in sette mesi
giulia ricci
Una task force per fermare (ed eventualmente sanzionare) i veicoli
che non rispettano i blocchi anti-smog grazie a un investimento da
100mila euro. E l'obiettivo minimo di controllare quasi 26mila
persone tra settembre e aprile 2025. È la stretta messa in campo
dalla Città di Torino, che martedì scorso ha dato il via libera in
giunta all'accordo con la Regione per ricevere i finanziamenti utili
a pagare gli stipendi della Polizia locale e comprare nuove
apparecchiature.
Fatto salvo il divieto di circolare in città per chi ha
un'automobile a benzina fino all'Euro 2 e per i diesel anche 3 e 4,
restano i cosiddetti "semafori" contro l'inquinamento: stop anche
agli Euro 5 se i valori di Pm10 superano i 50 milligrammi al metro
cubo per tre giorni (arancione), divieto che riguarda anche gli Euro
5 di chi ha un mezzo commerciale (come gli ambulanti) se si supera
la soglia dei 75 (rosso). Quando scattano i semafori, a Torino si
fermano circa 533mila auto e 81mila camion. Ma il problema
principale è sempre uno: chi fa rispettare il divieto?
Ecco perché nel settembre dell'anno scorso la Regione ha incontrato
i Comuni più grandi sottolineando la necessità di stringere le
maglie; le amministrazioni, dal canto loro, hanno chiesto di essere
supportati nell'acquisto di nuove tecnologie e nella
digitalizzazione della notifica delle multe a chi circola con mezzi
inquinanti. Da qui è nato l'accordo tra l'ente governato da Alberto
Cirio e il capoluogo, che secondo il piano regionale della mobilità
e dei trasporti rappresenta il polo principale con 600.000
spostamenti al giorno. Anche il nuovo Piano di qualità dell'aria
approvato dalla giunta piemontese lo scorso 16 luglio chiede che le
Città interessate dalle limitazioni del traffico monitorino e
comunichino alla Regione «un numero minimo di controlli annuali»,
adottando ulteriori misure in caso di sforamenti per più di 20
giorni dall'autunno a febbraio.
Quel "numero minimo di controlli" è anche conditio sine qua non
perché la giunta Lo Russo possa ricevere i 100mila euro inseriti
nell'accordo (70mila per quest'anno, 30.000 per il prossimo), utili
tra le altre cose a «incentivi a titolo di performance
organizzativa» (si legge nella delibera) per la Polizia locale.
Entro il 10 gennaio, infatti, gli uffici di Palazzo Civico dovranno
rendicontare i controlli svolti nel 2024, ed entro maggio 2025
quelli attuati nei primi mesi del prossimo anno, con tanto di
relazione con il numero di veicoli fermati, l'esito (con o senza
sanzione), il luogo preciso e la tipologia di auto o camion; ma
anche le modalità organizzative adottate per aumentare i controlli.
A tal proposito, il Comune ha intenzione di mettere in campo
«personale dedicato in via esclusiva all'attività di verifica»,
insomma agenti della Polizia locale che dovranno occuparsi solamente
di fermare gli automobilisti sospettati di non star rispettando le
limitazioni anti-smog con il proprio mezzo.
Ma c'è anche un numero minimo di veicoli che vanno fermati, tanti
quanto il 3% della popolazione. Facendo un calcolo veloce, circa
25.500 persone tra il 15 settembre e il 15 aprile, il periodo degli
stop. Con i fondi ricevuti dalla Regione, inoltre, Torino metterà in
campo anche più strumenti per informare tutti i cittadini che
dovranno lasciare la propria auto parcheggiata in garage.
12.08.24
DOPO AVER UCCISO GESU' inferno carceri
Israele Francesca Mannocchi
«Siamo stati portati a Megiddo. Quando siamo scesi dall'autobus, un
soldato ci ha detto: "Benvenuti all'inferno"». Con queste parole si
apre il rapporto sulla condizione dei detenuti palestinesi nelle
carceri israeliane, diffuso dal gruppo israeliano in difesa dei
diritti umani B'Telem la settimana scorsa.
A parlare è Fouad Hassan, 45 anni, padre di cinque figli e residente
a Qusrah, nel distretto di Nablus e trattenuto nella tristemente
nota prigione di Megiddo.
La sua è solo una delle decine di voci raccolte da B'Tselem, che
conclude che il governo israeliano stia «commettendo torture che
equivalgono a crimini di guerra e persino a crimini contro
l'umanità» nelle carceri.
Un rapporto di 118 pagine, intitolato Welcome to Hell (Benvenuti
all'inferno) che si basa su 55 testimonianze di ex detenuti della
Striscia di Gaza, della Cisgiordania occupata, di Gerusalemme Est,
quasi tutti trattenuti in carcere senza processo. Tutti le
testimonianze descrivono una campagna e una politica sistematica di
abusi e torture: «Frequenti atti di violenza grave e arbitraria;
aggressioni sessuali; umiliazione e degradazione, fame deliberata,
privazione del sonno, divieto e misure punitive per il culto
religioso, confisca di tutti i beni comuni e personali, e negazione
di cure mediche».
Scrivono i ricercatori di B'Tselem che «gli intervistati hanno
descritto gli abusi con dettagli orribili e somiglianze
agghiaccianti», sia in strutture civili che militari. Abusi che in
meno di dieci mesi hanno provocato la morte di almeno 60 palestinesi
sotto custodia israeliana.
Secondo B'Tselem l'istituzionalizzazione, la natura sistematica
degli abusi in tutte le strutture menzionate dai detenuti
palestinesi non lascerebbe dubbi sul fatto che tali condotte
equivalgano a una «politica organizzata e dichiarata delle autorità
carcerarie israeliane».
La direttrice esecutiva di B'Tselem, Yuli Novak, dopo l'uscita del
rapporto ha dichiarato che il governo Netanyahu abbia «sfruttato
cinicamente il trauma collettivo del 7 ottobre per mettere in
pratica l'agenda razzista e violenta del ministro della sicurezza
nazionale Itamar Ben Gvir», che supervisiona le autorità carcerarie.
Ha aggiunto: «Questo governo ci ha portato a un livello morale
minimo storico, dimostrando ancora una volta il suo totale disprezzo
per le vite umane, degli ostaggi israeliani a Gaza, degli israeliani
e dei palestinesi che vivono la guerra in corso e dei palestinesi
detenuti nei campi di tortura».
«Durante l'interrogatorio, mi chiedevano: "Dov'è Sinwar? ".
Rispondevo che non lo sapevo. Il soldato disse: "Confessa, così puoi
tornare a casa". La soldatessa in piedi dietro di me mi mise un
dispositivo elettrico sul collo e ricevetti una scossa elettrica che
mi spinse a due metri di distanza». 'Dalla testimonianza di Rushdi
Zaza, 30 anni, padre di due figli e residente nel quartiere di
a-Zeitun a Gaza City, detenuto nella prigione di Negev (Ketzio)
Il rapporto Onu
Anche l'Onu, negli stessi giorni, ha pubblicato un rapporto sulle
carceri israeliane che conferma le conclusioni di B'tselem: «I
detenuti hanno affermato di essere stati tenuti in strutture simili
a gabbie, spogliati nudi per periodi prolungati, indossando solo
pannolini. Le loro testimonianze parlavano di bende sugli occhi
prolungate, privazione di cibo, sonno e acqua, e di essere stati
sottoposti a scosse elettriche e ustioni con sigarette», è quanto si
legge in un recente rapporto che anche le Nazioni Unite hanno
stilato e diffuso sulla condizione delle carceri israeliane.
Secondo gli esperti dell'Onu i palestinesi prelevati da Gaza e dalla
Cisgiordania occupata, detenuti nelle prigioni israeliane dopo il 7
ottobre hanno subito waterboarding, privazione del sonno, torture
con i cavi elettrici, sono stati aggrediti dai cani, e afferma anche
che Israele non abbia fornito informazioni né sulla loro sorte né
sulla prigione cui sono stati effettivamente destinati.
Né alle organizzazioni umanitarie, né alle agenzie Onu, né alla
Croce Rossa cui pure è stato negato l'accesso alle strutture.
Volker Turk, a capo dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per
i diritti umani ha detto: «Le testimonianze raccolte dal mio ufficio
e da altre entità indicano una serie di atti spaventosi in flagrante
violazione del diritto internazionale dei diritti umani e del
diritto internazionale umanitario».
Motivo per cui i risultati del rapporto potrebbero essere utilizzati
dai procuratori della Corte penale internazionale che stanno
indagando sui crimini commessi nella feroce campagna militare in
corso a Gaza.
Il rapporto Onu è stato inviato a Israele, la polizia carceraria,
consultata da Associated Press per un commento, non ha ritenuto
rispondere.
Il Ministero da cui dipende, quello della sicurezza nazionale, è
presieduto dall'ultranazionalista Itamar Ben Gvir, che non ha mai
nascosto di aver scientemente peggiorato le condizioni dei detenuti.
Da tempo chiede pene più severe. Inclusa la pena di morte per i
palestinesi detenuti con accuse di terrorismo.
«Durante le visite, ci hanno spiegato i metodi di repressione e
tortura usati contro di noi. Li hanno portati nelle celle e ci hanno
costretti a tenere la testa bassa, così non abbiamo visto i
visitatori. Una volta ci hanno detto che Ben Gvir era lì in persona.
Quelle visite umilianti duravano almeno 40 minuti ciascuna e per
tutto il tempo dovevamo inginocchiarci. A volte i visitatori
prendevano parte attiva nell'umiliarci, imprecare e urlare contro di
noi». Dalla testimonianza di Musa Aasi, 58 anni, padre di cinque
figli e residente a Ramallah, che è stato trattenuto nel centro di
detenzione di Etzion e nelle prigioni di Nafha, Ofer e Negev (Ketziot),
dal report di B'tselem
La fame come deterrente
A giugno scorso il ministro Ben Gvir aveva dichiarato di aver
ordinato una riduzione della quantità di cibo per i detenuti
palestinesi nelle carceri israeliane. Non era la prima volta, si
trattava infatti di una riduzione ulteriore che si sommava a quelle
già precedentemente approvate.
Dopo il 7 ottobre Ben Gvir si era vantato di aver chiuso le mense
per i prigionieri di sicurezza, e ordinato che non venisse
distribuita carne ai prigionieri, riducendo già significativamente
la quantità di cibo loro somministrata. Molti dei detenuti
rilasciati nei mesi successivi avevano perso decine di chili, e
varcato il cancello di uscita delle carceri con un aspetto
irriconoscibile.
Il consulente legale del Prison Service (organo anch'esso sotto il
controllo del ministero della sicurezza nazionale, quindi di Ben
Gvir), Eran Nahon, a maggio, alla convention dell'Israel Bar
Association aveva annunciato che le razioni alimentari dei
prigionieri sarebbero state ulteriormente, sistematicamente ridotte:
«Riceveranno il minimo richiesto dalla legge, nemmeno un grammo in
più. Questo è uno scopo di sicurezza, ma non escludo che potrebbe
essere una politica».
E infatti lo era e lo è diventata sempre di più.
Dopo aver raccolto decine di testimonianze (molte provenivano da
persone che sono state arrestate ma non sono mai state processate),
l'Associazione per i diritti civili in Israele (Acri) ha presentato
una petizione alla Corte di Giustizia, contestando le restrizioni
alimentari in tribunale e sostenendo che equivalgono ad affamare
volontariamente i detenuti.
Ben Gvir ha risposto così: «La mia politica richiede di ridurre le
condizioni, tra cui cibo e calorie. Non è fame, è una misura
deterrente».
L'assalto alla base militare
Il 29 luglio scorso un gruppo di manifestanti legati all'estrema
destra sionista, accompagnati e incoraggiati da politici e membri
del governo ultranazionalisti, hanno assaltato la base militare di
Sde Teiman, che le organizzazioni per i diritti umani chiamano "la
Guantanamo israeliana" e un'altra base sede del tribunale militare
delle Forze armate israeliane. A Sde Teiman sono detenuti i
prigionieri legati ad Hamas e i sospettati arrestati a Gaza e
portati lì per essere interrogati, secondo il quotidiano Haaretz
sono trenta i detenuti morti nella struttura dal 7 ottobre.
Gli scontri erano cominciati con l'arresto, da parte delle forze
armate di Tel Aviv, di nove riservisti della Forza 100, un'unità
dell'esercito israeliano responsabile della supervisione dei
detenuti palestinesi e della repressione delle rivolte nelle
prigioni militari.
Da ottobre, l'unità ha anche gestito la base militare di Sde Teiman,
dove sono detenuti i palestinesi arrestati nella Striscia di Gaza.
I nove riservisti e un comandante dell'unità sono accusati di aver
picchiato, torturato e sodomizzato un presunto agente dell'unità di
élite di Hamas, Nukhba, detenuto nella struttura. L'uomo in
questione era stato portato d'urgenza all'ospedale con una
perforazione intestinale, una grave ferita all'ano, danni ai polmoni
e costole rotte. Il medico che lo ha visitato, il professor Yoel
Donchin, intervistato da Haaretz sconvolto, ha detto: «Non riuscivo
a credere che una guardia carceraria israeliana potesse fare una
cosa del genere. Il mio dovere è verso i pazienti, se lo Stato e i
membri della Knesset pensano che non ci siano limiti a quanto si
possano abusare dei prigionieri, dovrebbero ucciderli loro stessi,
come fecero i nazisti, o chiudere gli ospedali. Se mantengono un
ospedale solo per difendersi alla Corte penale internazionale
dell'Aia, non va bene».
Dopo l'arresto dei nove soldati, accusati delle torture e dello
stupro, i manifestanti hanno fatto irruzione nella base nel
tentativo di liberare i riservisti, e hanno accusato l'avvocato
generale militare, che ha ordinato gli arresti, di essere un
«criminale e un traditore di Israele».
Tra i manifestanti, membri della Forza 100 a volto coperto,
kahanisti, giovani coloni dalla Cisgiordania occupata, e sostenitori
delle frange più estremiste del governo. Ad accompagnarli non
c'erano, tra gli altri, il parlamentare Tzvi Succot (del partito
Sionismo Religioso) e il ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu,
che è stato registrato mentre urlava «Morte ai terroristi».
Un tempo questi gruppi erano minoranza politica, oggi sono al
governo. Non solo, uno dei ministri di riferimento, Itamar Ben Gvir,
è a capo del Ministero della Sicurezza Nazionale, cioè quello
responsabile delle prigioni.
La polizia israeliana, che è sotto l'autorità diretta del ministro
della Sicurezza Nazionale Ben-Gvir, è rimasta relativamente passiva
durante gli assalti alle basi, quasi solidale, e non ha arrestato né
identificato nessuno dei manifestanti.
Il giorno dopo l'assalto, il quotidiano israeliano Haaretz, aveva in
prima pagina un editoriale allarmato, in cui si legge: «In questo
mondo capovolto, il problema non sono i riservisti che avrebbero
abusato di un detenuto, non i soldati che si sono barricati
all'interno della struttura e hanno rifiutato l'ordine della Polizia
militare di andarsene, non i parlamentari che avrebbero fatto
irruzione nella base, non gli ufficiali di polizia che sono rimasti
a guardare, non i ministri che si sono precipitati a esprimere
sostegno ai riservisti ma piuttosto l'ufficio dell'avvocato generale
militare».
I due ministri ultranazionalisti del governo Netanyahu Itamar Ben
Gvir e Bezalel Smotrich hanno sostenuto le tesi degli assaltatori.
Per loro l'ordine di arresto «stava umiliando i soldati che
affrontano i terroristi», era legittimo appoggiare i rivoltosi,
perché «l'avvocato generale militare deve togliere le mani dai
nostri eroici combattenti», così il ministro Smotrich il giorno
dell'assalto.
Attualmente nelle prigioni israeliane ci sono 10mila palestinesi.
Molti non sanno perché sono lì. La maggioranza non ha accesso a un
legale, non può avere contatti con il mondo esterno. Tra loro
persone detenute per aver espresso compassione per la sofferenza dei
palestinesi, o uomini portati via da Gaza – tra i 3500 e i 5 mila –
e imprigionati perché ritenuti, semplicemente, in età da
combattimento. —
Era stato condannato per la morte dell'oppositore di Putin ucciso
nel 2015
Scarcerato il killer di Boris Nemtsov "Ora combatte sul fronte
settentrionale" Pur di rimpinguare le forze impiegate nell'invasione
dell'Ucraina, la Russia manda al fronte uno dei killer di Boris
Nemtsov: Tamerlan Eskerkhanov. Condannato nel 2017 insieme ad altri
quattro uomini per l'omicidio del politico oppositore di Vladimir
Putin, è stato scarcerato dopo aver firmato un contratto per unirsi
«all'operazione militare speciale», come Mosca definisce la guerra
in Ucraina. Una mossa accolta con sdegno da Ilya Yashin, l'ex
portavoce di Nemtsov liberato la scorsa settimana nello storico
scambio di prigionieri tra Russia, Bielorussia, Stati Uniti e
diversi Paesi europei: il dissidente russo ha definito il rilascio
di Eskerkhanov «un'offesa alla memoria del mio amico morto». «Nel
marzo 2024, Eskerkhanov ha firmato un contratto con il ministero
della Difesa, è stato graziato e rilasciato» e «ora svolge missioni
di combattimento nella zona del distretto militare settentrionale»,
hanno detto le forze dell'ordine russe. Eskerkhanov, ex ufficiale di
polizia che ha prestato servizio in una delle unità del ministero
degli Affari interni ceceno, era stato condannato a 14 anni di
carcere e a una multa di 100mila rubli per l'omicidio di Nemtsov,
critico del presidente Putin ed ex vice primo ministro sotto Boris
Eltsin, ucciso a colpi di arma da fuoco nel 2015 mentre attraversava
un ponte vicino al Cremlino. Insieme a lui, le autorità
investigative russe arrestarono altri quattro sospettati, tutti
ceceni, mentre un altro presunto partecipante all'omicidio, Beslan
Shavanov, resistette al tentativo di arresto e si fece esplodere.
Secondo gli investigatori, il presunto ideatore e organizzatore del
delitto è invece l'ex ufficiale del battaglione ceceno Nord, Ruslan
Mukhudinov. È stato accusato in contumacia ed è sulla lista dei
ricercati internazionali dal novembre 2015, ed è tuttora latitante
Migranti, il miracolo di Mariam salvata sul barchino spezzato eleonora camilli
roma
Si chiama Mariam e ha appena un mese. Ha viaggiato tutto il tempo
accoccolata alle braccia della sua giovanissima mamma, avvolta in
una tutina a righe e un vestito di jeans troppo largo per la sua
taglia. È la più piccola delle 55 persone salvate in mare al largo
di Lampedusa, ieri dal veliero Astral dell'ong Open Arms. Con lei
viaggiavano su una carretta del mare (una barca di metallo divisa in
due parti legate insieme soltanto da alcuni lacci, corde e vecchi
stracci) altri 5 bambini, alcuni molto piccoli. I naufraghi,
provenienti da Burkina Faso, Camerun, Senegal e Chad, erano partiti
3 giorni fa da Sfax, in Tunisia. Ed erano già alla deriva.
I soccorritori di Open Arms raccontano che la barca era in pessime
condizioni. Una parte era affondata e almeno 20 persone erano già
finite in acqua. «Ancora una volta siamo di fronte a una tragedia
annunciata e fortunatamente scampata. - sottolinea Valentina Brinis
advocacy officer dell'ong spagnola -. La situazione del Mediterraneo
Centrale è molto critica, lo dimostrano i tanti contatti con
imbarcazioni in difficoltà che stiamo avendo in queste ore». La
prima a essere soccorsa è stata proprio la piccola Mariam, seguita
dagli altri piccoli naufraghi. Tra i salvati ci sono anche 16 donne,
alcune molto giovani. Tutte le persone sono state poi trasbordate su
una nave della Guardia costiera. «Oggi siamo riusciti a salvare le
loro vite, ma non succede tutti i giorni», sottolinea l'ong. Secondo
Brinis, le attività di ricerca e soccorso messe in atto dalle
organizzazioni non governative «sono fondamentali e devono dunque
essere accolte e supportate, e non ostacolate o rallentate dallo
Stato italiano e dall'Europa». Mentre gli accordi che si continuano
a fare con Stati come Libia e Tunisia «risultano totalmente
inaffidabili e vanno solo ad aggravare le condizioni di partenza:
non fermando assolutamente i traffici e portando chi è costretto a
partire a ideare soluzioni drastiche e drammatiche, come il barchino
di ferro che abbiamo soccorso questa mattina».
Dall'inizio dell'anno sono 35.725 le persone arrivate via mare in
Italia, con una diminuzione marcata rispetto allo scorso anno
quando, nello stesso periodo, si contavano 94mila approdi. Ma gli
sbarchi in netto calo non fermano le tragedie del mare: si contano
infatti già 1.023 morti. «Un'emergenza non numerica ma umanitaria»,
sottolineano le ong, ricordando che questo numero è da considerarsi
al ribasso e non tiene conto infatti dei tanti naufragi fantasma,
che avvengono sulla rotta del Mediterraneo centrale, nel silenzio e
senza testimoni.
PERCHE' IL LAGO MAGGIORE ? La
vicenda
Lo strano naufragio degli 007 nel Lago Maggiore
Che la triestina Tiziana Barnobi facesse l'agente segreto lo
sapevano in pochi, pochissimi, aldilà dei colleghi che condividevano
con lei l'attività a Forte Braschi, quartiere generale dell'Aise, la
nostra agenzia che si occupa dello spionaggio all'estero e dove ogni
giorno puntuale superava la sbarra controllata dai militari in
mimetica del Rud, il Raggruppamento unità Difesa. I più lo hanno
scoperto dalla sua morte improvvisa, una tragedia ancora oggi
avvolta nel mistero, avvenuta sul lago Maggiore nel primo pomeriggio
del 23 maggio dello scorso anno. All'improvviso, il cielo si fece
nero sullo specchio d'acqua, si alzò il vento con raffiche
fortissime e l'imbarcazione "Good…uria" in un attimo si ribaltò,
inabissandosi per 16 metri. A bordo c'erano 23 persone rispetto alle
15 consentite. Erano tutti agenti segreti italiani e israeliani.
Sono affogati in quattro, un funzionario del Mossad, Shimoni Erez,
la moglie russa dello skipper, Anna Bozhkova, e due 007 italiani:
Claudio Alonzi, nato ad Alatri nel 1960 e, appunto, Tiziana,
promettente risorsa arrivata da poco tra le barbe finte. Altri due
agenti dell'Aise, il capo delegazione e un collega, invece, finirono
in ospedale, ricoverati per giorni.
Sì perché, Tiziana Barnobi, classe 1969, laureata in economia nel
1994, era entrata nell'Aise, la nostra agenzia che si occupa dello
spionaggio all'estero, solo dal 2016 dopo una brillante carriera
cresciuta in alcune multinazionali nel settore dell'elettronica. E
divideva le giornate tra spionaggio e la famiglia seguendo i
progressi a scuola del figlio, giocatore di scacchi, e i successi
del marito, apprezzato dirigente di un'azienda automobilistica.
Insomma, una famiglia normale con la mamma e moglie che crede e
serve le istituzioni del suo Paese. Una vocazione tardiva che però
aveva garantito risultati alla divisione per la controproliferazione
dov'era impiegata. Si tratta di una delle branchie strategiche per
contrastare la produzione di armi di distruzione di massa, ovvero
gli ordigni nucleari e le armi chimiche, biologiche e radiologiche.
Barnobi, in buona sostanza, era impegnata a rallentarne e sabotare
la fabbricazione, in coordinamento con le agenzie straniere, in
primis i colleghi di Cia e Mossad. E quel giorno sul lago, nell'Alta
Lombardia, era reduce da un'attività congiunta tesa a colpire
interessi iraniani per un'operazione coperta da segreto di Stato.
"Perde la vita – si legge nella targa a memoria esposta negli uffici
– nelle acque del lago Maggiore il 28 maggio nel corso dello
svolgimento di una delicata attività operativa con servizi collegati
esteri".
La cinematografia ha dedicato decine di pellicole, tra film e
docufiction, alle 007 donne con storie mozzafiato nelle quali
prevalgono figure operative, esperte in arti marziali, eccelse nel
tiro con qualsiasi arma da fuoco, capaci di sconfiggere il cattivo
di turno tra seduzione e superpoteri. In realtà, la vita femminile
nell'intelligence è assai diversa o, almeno, quella rappresentata
garantisce effetti sul pubblico e sull'incasso, ma è una narrazione
che riduce lo spettro d'azione di chi invece è impegnato a evitare
che i conflitti degenerino nel mondo con l'utilizzo di armi non
convenzionali. In particolare, Barnobi era coinvolta in operazioni
non cruente ma tese a individuare il traffico dei materiali "dual
use" ovvero quelli impegnati nelle produzioni civili che vengono
convertiti da paesi nemici nella realizzazione di ordigni. E tra i
maggiori "clienti" dell'Aise in questo periodo ci sono paesi come
Iran, Russia e Corea del Nord e loro satelliti tra paesi di
transito, società compiacenti e gruppi d'interesse in paesi off
shore. Per meglio capire basterebbe ricordare quando agli inizi del
conflitto tra Kiev e Mosca, i militari invasori caricavano sui
camion le lavatrici trovate nelle case ucraine. Nessuno ne capiva il
motivo fino a quando si capì che parti di quegli elettrodomestici –
quindi componentistica civile – erano indispensabili per allestire
ulteriori droni da impiegare al fronte.
Quando muore uno 007 è sempre una brutta faccenda tra dolore
indicibile dei familiari, operazioni coperte e segreti di Stato. Se
poi è una vera e propria strage come quella del lago, il procuratore
capo di Busto Arsizio, Carlo Nocerino, si è trovato di certo a
gestire un'inchiesta delicatissima. Il punto di partenza è stato
Claudio Carminati, varesotto del 1963, proprietario della barca "Good…uria",
costruita nel 1982, e quel giorno a bordo, sopravvissuto alla
tragedia. L'uomo viveva con la compagna e il cane nella barca –
deceduti entrambi – che affittava per gite ed escursioni. Si è
chiarito che lo stesso era stato contattato da un suo cliente, uno
degli agenti italiani, con il quale aveva organizzato alle 11 di
quella domenica la trasferta, quindi l'appuntamento per il rientro
all'isola dei Pescatori per le 16, dopo che il gruppo avrebbe
pranzato al ristorante "Il Verbano", meta prediletta – per
coincidenza – da Benjamin Netanhayu quando si trova in Italia.
Carminati, indagato per naufragio e omicidio colposo plurimo, ha
raccontato di aver concordato 800 euro per questo servizio, convinto
che i clienti fossero dei carabinieri in licenza per un momento
conviviale. In realtà, il lunch faceva parte dell'operazione stessa,
dopodiché gli israeliani dovevano ritornare nel loro paese e i
nostri ripartire per la capitale, ad eccezione di quelli dell'Aise
presenti e che lavorano tra Milano e Malpensa. Alla fine, alcuni
sono stati ricoverati mentre gli 007 israeliani e la salma del
collega sono stati rimpatriati al volo con un jet privato.
In realtà, si scoprirà che sull'imbarcazione non c'era un numero
sufficiente di salvagenti e, soprattutto, erano state compiute di
recente delle modifiche, rivelatesi fatali al momento della
tragedia, in particolare sovrastrutture a prua e sul fly bridge. Lo
mette nero su bianco l'ingegnere Giovanni Ceccarelli, lo stesso
impiegato per il naufragio della Costa Concordia all'Isola del
Giglio, chiamato dalla procura come consulente per analizzare il
relitto. Dai controlli emerge una situazione davvero allarmante,
soprattutto sulle presunte migliorie eseguite: "Non sono lavori
eseguiti da un cantiere nautico – si denuncia nel relativo verbale
–, sono stati utilizzati materiali da casa, una sorta di bricolage".
Ceccarelli ha anche ispezionato tutte le modifiche: "Sono stati
analizzati visivamente – prosegue il documento – anche gli impianti
elettrici all'esterno, pure modificati di recente dal Carminati con
metodologia adatta forse per una casa ma non per una barca in
relazione ai gradi di tenuta all'acqua". Concluse le indagini,
Carminati ha chiesto ora di patteggiare con quattro anni di
reclusione visto che il maltempo, secondo il difensore, Marco
Vittoria, non era proprio prevedibile: "furono cinque minuti di
eccezionale intensità impossibili da gestire e non previsti con una
tale forza".
In realtà, ci sarebbe da interrogarsi su chi e come mai non chiese
le dovute garanzie dal capitano di quella barca. Chi cioè fece
salpare il mezzo con un numero non previsto di ospiti e senza i
necessari salvagenti. Non è detto che la tragedia si sarebbe potuta
evitare visto il repentino cambio del tempo ma immaginare tanti
agenti esposti a rischi evitabili, lascia un collettivo, profondo,
amaro dopo questa tragedia. Soprattutto nei colleghi e nelle
colleghe che ancora lavorano a Forte Braschi, consapevoli dei
pericoli impliciti in questo tipo d'attività e che di certo non ne
richiede di superflui. Le figure femminili, le nostre 007 sono, in
genere, donne di alta competenza e specializzazione, soprattutto
dopo i ricambi e le riforme. A iniziare da quelle che svolgono
attività molto lontane dall'immaginario comune, da quello che tutti
noi possiamo ipotizzare, influenzati da cinema e letteratura. Come
le geologhe, esperte nella valutazione della composizione e
dell'alterazione dei terreni per studiare gli impatti sugli stessi
di ordigni, test che la controparte può effettuare durante la
produzione di nuove armi. Un contrasto che si sviluppa con
operazioni che possono durare anni, creando realtà societarie
fittizie, le cosiddette "piattaforme" e ruoli di coperture, ovvero
le "leggende" per introdurre 007 in mondi sommersi dove – in pratica
– si produce morte. Tiziana Barnobi credeva totalmente nel suo
lavoro. Era riservata, senza spiegare quello che nella sua vita
faceva: «Sono impiegata alla presidenza del Consiglio», rispondeva
in fretta quando qualcuno glielo chiedeva per poi cambiare discorso
con un sorriso che sapeva conquistare fiducia e attenzione. —
PERCHE' PICHETTO VUOLE IL NUCLEARE ? Le chiamano "le doppie",
forse evocando gli agenti doppi che dall'Ottocento, dalla Cortina di
ferro fino ad oggi, animano le storie nel mondo delle spie. Di
fatto, "le doppie" sono quelle donne che vivono nella terra di mezzo
della controproliferazione tra chi determina le cosiddette minacce
Wmd (dall'inglese Weapon of mass destruction, armi di distruzione di
massa) e Cbrne (agenti chimici, biologici, radiologici, nucleari ed
esplosivi) e chi appunto dà loro la caccia. Perché se è noto e ovvio
che tra gli 007 di ogni paese vengano reclutate anche donne, come
nell'ultima infornata di maggio scorso quando all'Aise, l'ex Sismi
per le proiezioni estere, cercavano esperti/e in intelligenza
artificiale, metodologia di penetration testing, algoritmica per la
crittoanalisi, fino alla steganografia e le scienze comportamentali,
è anche vero che dall'altra parte esistono donne pericolose,
spregiudicate che agevolano i produttori di morte e che magari
talvolta occhieggiano con chi li ha nel mirino. O, ancor più in
generale, 007 donne si trovano spesso a combattere contro
altrettante donne che lavorano per agevolare la vendita sottobanco
di preziosi materiali dual use o per rafforzare reti di "procurement".
Si tratta di un traffico, un mercato assai più sofisticato, vasto e
nascosto di quanto si possa immaginare dove chi compra cerca
macchinari e componentistica dell'industria civile da utilizzare,
previe potenziali modifiche, per lo sviluppo di sistemi d'arma e
armi devastanti. Una guerra quindi insolita, di donne contro donne
che sfugge ai racconti dei media per il segreto di stato che copre
ogni attività della nostra intelligence e, ancor più per
l'impermeabilità di questi mondi dove la discrezione e il segreto
sono le uniche possibilità non solo per concludere affari ma spesso
anche per sopravvivere.
In Europa e con ponti societari nei paradisi fiscali in Oriente,
agiscono numerose società paravento dove troviamo al lavoro alcune
donne "doppie" che magari ufficialmente si occupano di convegnistica,
import-export di prodotti italiani ed eccellenze alimentari europee
ma che di fatto portano avanti gli interessi di dittatori, stati
canaglia e organizzazioni terroristiche. Magari reclutano ex 007
cacciati dalle loro agenzie, faccendieri senza scrupoli e riescono a
costituire società ombra, filiere clandestine, triangolazioni
fittizie per far arrivare quei componenti di elettrodomestici o
d'arredo all'apparenza innocui ma che, al contrario, posso essere
modificati per diventare essenziali nella realizzazione di armi
micidiali. Oggi, infatti, la situazione è assai più parcellizzata di
un tempo. Il quadro geopolitico si è ulteriormente compromesso dal
fatto che si sia da tempo passati dal periodo cosiddetto simmetrico
di confronto nella Guerra Fredda tra Est e Ovest quindi tra stati
nazionali a quello che vede uno spostamento degli assi ortogonali
con la competizione tra nord e sud.
Tuttavia, ad allarmare non è questa divisione, quanto che ai
naturali player si sono affiancati foreign entities, attori non
convenzionali, incapaci di affrontare le sfide tradizionali
politiche e militari e quindi tesi a spostare e drammatizzare il
confronto. Chi non fa la guerra, intenta la guerriglia, anima il
terrorismo. Ecco, quindi i noti "Stati canaglia", la creazione in
laboratorio di gruppi eversivi alimentati semi-clandestinamente da
paesi ostili. In questo quadro si allargano le aree di crisi, gli
interlocutori, i giochi di specchi dove la diplomazia rischia di
agire senza efficacia. E così aumentano le zone d'ombra e un sistema
parassitario che sfrutta i vulnus delle democrazie per
commercializzare prodotti che modificati e assemblati possono
costituire armi mortali. In definitiva, per queste donne nell'ombra
si aprono praterie di affari, aumenta il potenziale portafoglio di
clienti, la possibilità di sfruttare anche apparenti contraddizioni
e situazioni delicate come ad esempio con l'Iran, da noi considerato
nemico ma che resta uno dei fornitori privilegiati di greggio del
nostro paese.
In questa chiave, diventa interessante rileggere quanto già nel 2018
Mikhail Gorbaciov prevedeva con particolare acume e consueta
lungimiranza: «si preannuncia una nuova corsa agli armamenti… La
spesa militare è salita a livelli astronomici e continua a
crescere…Un'incessante corsa agli armamenti, tensioni
internazionali, ostilità e sfiducia generalizzata non faranno che
accrescere il rischio».
11.08.24
Berlino difende la scelta di sostenere l'ucraina
Carri tedeschi in Russia, è polemica Almeno tre carri armati Marder, di produzione tedesca, sono
stati impiegati nell'incursione ucraina nella regione russa del
Kursk. Lo testimoniano le riprese aeree effettuate dai droni,
secondo quanto riporta Bild. Si tratta di cingolati da combattimento
(con cannoni da 20 mm) in uso alla Bundeswehr progettati durante la
guerra fredda come veicoli di fanteria e fanno parte del pacchetto
di sistemi di difesa forniti da Berlino a partire dal 2022 per una
cifra stimata intorno ai 5,2 miliardi di euro. In tutto i panzer di
questo tipo consegnati all'esercito ucraino sono 120 e la notizia
del loro impiego sta suscitando dibattito in Germania. Una portavoce
del governo sostiene che in Cancelleria non si hanno informazioni di
quale tipo di armi tedesche siano in uso nella "campagna di russa"
dell'esercito ucraino, ma il ministero della Difesa ribadisce che "è
obiettivo dichiarato del governo tedesco sostenere l'Ucraina nella
sua lotta difensiva contro l'aggressore russo". Dopo un lungo
dibattito sull'impiego delle armi in Russia a fine maggio il governo
Scholz aveva fatto sostanzialmente cadere le riserve di fronte al
caso di Charkiv, colpita da missili provenienti dal territorio russo
- dando via libera all'impiego di armi tedesche anche sul suolo
russo. Non è quindi una novità ma il clima elettorale rende tutto
materia di polemica rovente. —
Il contropiede di Zelensky che ha umiliato lo Zar Il disastro del sottomarino Kursk del 12 agosto 2000 è stato
la peggiore umiliazione militare per Vladimir Putin nei primi anni
da presidente della Russia: tutti i 118 marinai a bordo persero la
vita quando un'esplosione accidentale fece inabissare il sottomarino
a propulsione nucleare. A distanza di quasi ventiquattro anni
esatti, l'intrepida decisione dell'Ucraina di varcare i suoi confini
e invadere la regione (e il sito di una famosa battaglia della
Seconda guerra mondiale) da cui aveva preso il nome quel sottomarino
sta infliggendo a Putin un'altra umiliazione militare.
È prematuro valutare se l'invasione di Kursk da parte dell'Ucraina
porterà a un successo nei suoi obiettivi strategici, soprattutto
perché non è ancora chiaro quali questi possano essere. Tuttavia, è
già evidente che questa invasione – insieme a due attacchi in
simultanea su aeroporti russi e depositi di munizioni a Lipetsk e
Morozovsk, entrambe distanti centinaia di chilometri dalla linea del
fronte ucraino – rappresenta un colpo molto duro assestato
all'esercito russo.
Da quando la Russia ha lanciato la sua invasione il 24 febbraio
2022, per poi doversi ritirare nell'area del Donbass dell'Ucraina
orientale che in buona parte controllava già dal 2014, è davvero
complicato effettuare una valutazione precisa su quale delle due
parti in conflitto sia in vantaggio. Ciò dipende dal fatto che, una
volta fallita l'invasione russa, questa è diventata una guerra con
molte linee del fronte e nessun indicatore evidente di fallimento o
di successo.
La sopravvivenza come Stato sovrano indipendente è stata il primo
banco di prova dell'Ucraina, che il Paese ha superato magnificamente
nel 2022. Da allora ha dato pochi segni di possibile cedimento.
Tuttavia, dopo un primo iniziale successo nel respingere i soldati
russi nell'autunno del 2022, la controffensiva ucraina nel 2023 non
è riuscita a recuperare molto più territorio. Poi, nella primavera
del 2024, la Russia ha fatto scattare la sua nuova offensiva, ha
cercato di riconquistare il terreno perso l'anno precedente e, molto
probabilmente, di logorare il morale delle truppe ucraine e,
soprattutto, la società nel suo complesso.
Metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, le più consistenti
forze militari russe hanno respinto le meno numerose forze ucraine,
seppur pagando un prezzo molto alto in termini di vite umane.
Laddove nel febbraio 2022 la Russia aveva lanciato la sua invasione
vera e propria con un esercito che si ritiene fosse composto da
150mila uomini, oggi si pensa che in Ucraina orientale si trovi
mezzo milione di soldati russi, dotati di più munizioni degli
ucraini anche dopo che lo scorso aprile il Congresso americano ha
approvato l'invio di ulteriori aiuti militari.
In ogni caso, quella in corso non è soltanto una guerra di terra con
una lunga linea del fronte. Mentre perdeva terreno molto lentamente
nella sezione settentrionale di quella linea, l'Ucraina ha
conseguito successi significativi nel Mar Nero, nelle zone
circostanti la Crimea occupata dai russi, ha affondato un discreto
numero di navi nemiche e distrutto i suoi depositi di munizioni, al
punto da costringere la marina russa a ritirarsi a Est nel suo porto
di Novorossiysk. Questo ha permesso all'Ucraina nel 2023 e nel 2024
di riaprire le sue esportazioni di grano attraverso il Mar del Nord,
supporto vitale e fondamentale per l'economia del Paese che,
oltretutto, contribuisce ad abbassare i prezzi globali dei generi
alimentari.
Di fronte a una penuria sia di uomini sia di armi, vincolata dalle
regole dei governi di America e Germania su come devono essere
utilizzate le armi più avanzate, l'Ucraina ha dovuto concentrarsi e
impegnarsi per buona parte di quest'anno sul tentativo di attaccare
e fiaccare le linee di approvvigionamento dei russi e i loro
depositi logistici. Gli attacchi hanno riscosso un discreto
successo, ma non sufficiente a costringere i russi a una ritirata. E
così, dopo aver indebolito il controllo russo sulla Crimea e
logorato le sue linee di approvvigionamento, dopo aver riaperto il
versante occidentale del Mar Nero alle esportazioni di grano, adesso
l'Ucraina ricorre a una nuova tattica per cercare di togliere vigore
all'incessante seppur lenta offensiva di terra dei russi. L'aspetto
che più colpisce dell'invasione di Kursk è il modo con il quale le
forze ucraine sono riuscite a cogliere i russi del tutto in
contropiede, malgrado quello che deve essere stato un lungo periodo
di pianificazione e di spostamenti strategici delle forze corazzate.
Questo successo contraddice l'opinione comune secondo cui l'esercito
ucraino sarebbe propenso a diffondere informazioni e soffiate e
continuerebbe a essere affetto da corruzione. Come in molti altri
momenti passati di questa guerra, le truppe ucraine appaiono ben più
professionali e meglio organizzate delle truppe russe loro nemiche.
L'invasione di Kursk è arrivata talmente a sorpresa, perfino per gli
alleati americani ed europei, che tuttora non è chiaro quanto sia
grande il contingente di uomini mandati oltre confine. Le prime
ipotesi, secondo cui quello portato a segno sarebbe stato una sorta
di piccolo raid delle forze speciali, si sono rivelate errate, in
quanto la forza d'incursione è meglio attrezzata e più grande di
quanto si pensasse. Venerdì 9 agosto, l'affondo a Kursk ha portato a
conquistare in tre giorni un territorio (si calcola circa 350
chilometri quadrati) più esteso di quanto sia riuscita a prendere
l'offensiva di attrito russa nel nord del Donbass verso Kharkiv in
più di tre mesi. Molto adesso dipenderà dalla volontà delle forze
ucraine di mantenere a lungo questo territorio conquistato – in
questo caso sarà indispensabile costruire postazioni difensive e
linee di approvvigionamento – o se Kiev si accontenterà di aver
colpito in profondità la Russia e aver segnato un punto a proprio
favore.
Possiamo già constatare che questa invasione a sorpresa ha alterato
gli equilibri della Russia e ha anche dimostrato quanto essa sia
sempre esposta ad attacchi da parte di un nemico agile, ben
equipaggiato e ben organizzato. L'occupante imperialista è sempre
vulnerabile nei confronti dei contrattacchi, specialmente quando ha
in comune un lungo confine di terra con il Paese che occupa. A
seconda dei costi, in termini di vittime e di equipaggiamento
perduto, l'operazione Kursk ha già conseguito un primo potenziale
obiettivo: distogliere l'attenzione e i soldati russi dalla
battaglia sul fronte principale. Tutto ciò rende ragionevole
ipotizzare che possono essere pianificate altre sorprese di questo
tipo, forse nella regione meridionale della linea del fronte dove,
fino a questo momento, il largo fiume Dnipro ha fatto da barriera
contro le incursioni degli ucraini, o forse altrove lungo il confine
settentrionale.
Ancora una volta, a seconda dell'esito che avrà questa nuova
Battaglia di Kursk, finora l'Ucraina di fatto è riuscita a
sconvolgere l'immagine che i propagandisti filorussi hanno coltivato
di un esercito ucraino debole e in inferiorità numerica che stava
andando incontro a una sconfitta lenta ma inesorabile. Per come
stanno le cose al momento, invece, è la Russia che sembra dover far
fronte a rapide e ripetute umiliazioni. La lezione da trarre è
semplice: non conviene mai sottovalutare l'Ucraina.
il precedente
La battaglia di Kursk del luglio 1943 La battaglia di Kursk - anche nota come Operation Zitadelle -
nel luglio 1943 - è l'ultimo tentativo - fallito - della Wehrmacht
tedesca di contrattaccare sul fronte russo dopo il disastro di
Stalingrado e segna un punto di svolta nella Seconda guerra
mondiale. Per la Germania nazista Kursk è sinonimo di disfatta in
una dei più grandi combattimenti aerei e corazzati del conflitto
mondiale. La battaglia, durata dal 5 al 12 luglio, è stata anche
definita "il più grande scontro fra carri armati della storia".
Quasi 160 divisioni tedesche, già indebolite, affrontarono 400 unità
dell'Armata rossa. L'obiettivo iniziale di Hitler e del suo Stato
maggiore era circondare la città di Kursk con una manovra a
tenaglia, e intrappolare le armate sovietiche schierate su quella
porzione di fronte, in modo da vendicare Stalingrado e dare un colpo
mortale all'Armata rossa. Ma l'Intelligence russa era al corrente
del piano e le linee erano state fortificate in profondità. Complice
anche lo sbarco in Sicilia, Hitler fu costretto a ritirare le sue
divisioni con gravi perdite.
Dal predellino agli 11 milioni di debiti
Pdl, il partito "fantasma" in vita grazie al Cavaliere ROMA
Da undici anni non esiste più politicamente, ma ha solo una vita
giuridica. Pur avendo chiuso i battenti nel 2013 per lasciare il
posto alla «nuova» Forza Italia, il Popolo della libertà è un
partito fantasma, ma non proprio invisibile. Spulciando l'ultimo
bilancio si legge infatti che i suoi conti continuano ad essere in
rosso: il «disavanzo patrimoniale complessivo», come si dice nel
gergo tecnico, è di oltre 11 milioni di euro. Ma quel che colpisce è
che a garantire la sopravvivenza della formazione politica ormai
«estinta», con un «prestito infruttifero» di quasi 3 milioni di euro
concesso nel 2013, ci pensa ancora uno dei suoi fondatori, Silvio
Berlusconi, che è scomparso il 12 giugno di un anno fa. Il
«contributo» dell'ex premier è contenuto nella voce «debiti verso
altri finanziatori» per un valore pari 2 milioni 800mila euro. Nei
documenti contabili non c'è nessun accenno in proposito, ma morto il
leader azzurro ora il «prestito» dovrebbe gravare sulle spalle degli
eredi, ovvero dei figli. Allo stato, il Pdl, carte alla mano, di
fatto, è debitore non solo nei confronti dell'ex premier ma anche di
Forza Italia per oltre 1 milione e mezzo di euro e An per poco meno
di 700mila euro.
"Una lobby che difende privilegi e non sa neppure restare unita"
Le concessioni
Le pretese illegittime
flavia amabile
Roma
Avete voglia di fare un giro al Twiga, il lido di Flavio Briatore?
Potete entrare e stendere i vostri asciugamani sulla battigia.
Nessuno potrà costringervi ad andare via, assicura Roberto Biagini,
presidente dell'associazione Mare Libero, che da anni si batte per
restituire a chiunque il diritto di andare al mare ovunque, in
totale libertà.
Con i balneari la battaglia è in corso. Loro però adesso sono andati
allo scontro anche con il governo e hanno organizzato lo sciopero
degli ombrelloni. Che ne pensa?
«In genere lo sciopero ha fini nobili, viene organizzato per
difendere e rivendicare dei diritti. E' stato invece banalizzato da
una lobby per difendere privilegi e rendite di posizione esercitate
in regime di monopolio. Inoltre non riescono nemmeno a essere
compatti, solo una parte ha aderito alla protesta».
Gli imprenditori degli stabilimenti balneari contestano la direttiva
Bolkestein, sostengono di non dover essere inclusi all'interno del
provvedimento e che, in base alla mappatura, le spiagge non sono un
bene scarso e quindi non c'è necessità di ricorrere alle gare come
prevede la direttiva.
«La verità è che i balneari si comportano come se fossero i
proprietari dell'arenile e vorrebbero esercitare la funzione
concessoria fino al 2030 nonostante le sentenze di Tar, consigli
regionali, consigli di stato e pareri Ue».
Sostengono di aver fatto investimenti importanti e che andare via
vorrebbe dire perdere tutto.
«Una balla colossale. I concessionari hanno firmato dei contratti
per la concessione della licenza e si sono impegnati ad abbattere
tutto quello che hanno installato rinunciando a qualsiasi
indennizzo. Sapevano perfettamente di chiedere o di rilevare una
concessione che da marzo del 2010 quando è andata in vigore la
Bolkestein era scaduta. E quindi come sancito da Tar, Consigli di
Stato e da quasi tutta la giurisprudenza non può esser considerato
legittimo l'affidamento successivo al 2010 e quindi l'investimento
successivo al 2010. Non gliel'ha ordinato il dottore di fare il
balneare e di ostinarsi a bloccare un settore in cui da anni c'è un
monopolio impedendo ai giovani di entrare perché lo Stato non mette
a bando le concessioni».
Da anni rivendicate il diritti di avere più spazio per le spiagge
libere entrando negli stabilimenti. Per i balneari siete dei
rompiscatole, che intralciano il loro lavoro.
«Ci siamo costituiti a ottobre del 2019. La nostra iniziativa
annuale è la presa della battigia il 14 luglio quando non solo
rievochiamo la presa della Bastiglia che rappresenta il trionfo
della Rivoluzione francese ma celebriamo anche il 14 luglio del 2016
quando la Corte di Giustizia dichiarò incompatibili con il diritto
comunitario le proroghe automatiche delle concessioni demaniali. Da
allora, a cascata, tutti gli enti hanno iniziato a dichiarare
illegittime le concessioni e noi andiamo in spiaggia a spiegare agli
utenti del mare che loro in battigia ci possono stare e che si
devono far transitare gratis tutti gli utenti. Si può essere
respinti solo se si è di impedimento alla libera fruizione
dell'arenile o al passaggio dei mezzi di soccorso».
In primavera siete stati anche al Twiga. Quindi chiunque può andare
a stendersi al sole con il proprio asciugamano in uno dei più
costosi stabilimenti italiani?
«Siamo andati al Twiga, a Ostia, a Gaeta, a Rapallo, Marina di
Ravenna, Tarquinia e in molti altri stabilimenti in tutt'Italia dove
le concessioni sono scadute».
E che cosa è accaduto?
«Abbiamo fatto il bagno, abbiamo preso il sole. Al Twiga e a Ostia
hanno chiamato le forze di polizia ma abbiamo dovuto soltanto
spiegare la nostra attività. Nessuno ci ha identificati, è stato
invece spiegato ai concessionari che non rappresentiamo un pericolo
e che la nostra attività è perfettamente legittima. Sono le numerose
pretese dei balneari a non essere legittime».
Per esempio?
«Impedire agli utenti di uno stabilimento di entrare con il cibo. Il
gestore non può imporre regole diverse da quelle che sono contenute
nella concessione. Se si viene bloccati bisogna telefonare
all'ufficio del demanio e denunciare la violazione delle regole
concessorie. In questo caso il gestore rischia fino alla revoca
della concessione. ma il problema non sono i balneari».
E qual è il problema?
«La politica. Totalmente complice e succube nella difesa della casta
dei balneari».
10.08.24
RADIOTAXI 3570 INOTTEMPERANTE,140MILA EURO MULTA ANTITRUST
(ANSA) -L'Autorità Antritrust ha comminato una multa da 140mila euro
alla cooperativa Radiotaxi 3570 per inottemperanza ad un
provvedimento del 2018 dell'Autorità. Si tratta - spiega l'Autorità
- della seconda inottemperanza per Radiotaxi 3570 "che non si è
impegnata a riconoscere ai tassisti soci la possibilità di
accettare, nei momenti in cui ci sia capacità produttiva eccedente,
le chiamate provenienti da piattaforme terze, senza
l'intermediazione obbligata della piattaforma proprietaria ItTaxi".
In particolare, l'Autorità non ha ritenuto idonea la misura grazie
alla quale i tassisti di Radiotaxi 3570 avrebbero potuto liberare la
capacità produttiva inutilizzata solo a favore delle piattaforme che
avessero sottoscritto accordi di interoperabilità con la piattaforma
ItTaxi. In questo modo si sarebbe attribuito alla stessa cooperativa
la scelta delle piattaforme per le quali i tassisti avrebbero potuto
operare, definendone anche le condizioni economiche.
Dovrebbero invece essere i singoli tassisti a individuare
direttamente le piattaforme di intermediazione cui rendere
disponibile la propria capacità eccedente. Solo in questo modo,
scrive l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, possono
essere garantite, infatti, adeguate condizioni di apertura del
mercato dei servizi di intermediazione della domanda di taxi alla
concorrenza di altre piattaforme. Considerati il perdurare
dell'infrazione e la pervicace inottemperanza alla diffida,
l'Autorità ha anche imposto una penalità di mora per 214,40 euro al
giorno (da calcolarsi fino al giorno dell'ottemperanza).
CODACONS, MULTA ANTITRUST A RADIOTAXI 3570 CONFERMA ANOMALIE
(ANSA) - Bene per il Codacons la sanzione da 140mila euro elevata
dall'Antitrust alla cooperativa Radiotaxi 3570, una multa che
secondo l'associazione "conferma le troppe anomalie nel settore dei
taxi a Roma". "La pratica sanzionata dall'Autorità ha ripercussioni
dirette sul servizio di trasporto pubblico non di linea e, quindi,
sugli utenti finali, pesantemente danneggiati dalla carenza di auto
bianche a Roma", spiega l'associazione in una nota. Conclude il
presidente Carlo Rienzi: "A Roma, tuttavia, si assiste al paradosso
che mentre l'Antitrust sanziona le cooperative dei taxi per i loro
comportamenti scorretti, il Comune le premia regalando loro pesanti
aumenti tariffari, come quelli decisi di recente
dall'amministrazione capitolina e che finiranno ora al vaglio del
Tar Lazio grazie al ricorso promosso dal Codacons".
quindici anni di carcere a una Donna con Doppia cittadinanza
Condannata per 50 dollari agli ucraini Quindici anni di reclusione: è questa la pesantissima pena
che i giudici russi hanno chiesto per Ksenia Karelina, una giovane
donna con doppio passaporto russo e americano. La accusano di «alto
tradimento», sostengono che « abbia donato denaro destinato ad armi
e munizioni per le forze armate ucraine». Ma secondo diversi
giornalisti e difensori dei diritti umani, sotto queste imputazioni
che pesano come macigni ci sarebbe in realtà solo una presunta
donazione da poco più di 50 dollari. E non ci sarebbero prove che di
questa somma (così esigua) abbia beneficiato l'esercito ucraino. Su
questa vicenda sembrano di fatto stagliarsi ancora una volta le
tensioni politiche tra Washington e Mosca, accusata di arrestare
cittadini americani per motivi politici per poi usarli come "pedine
di scambio" per il rilascio di russi detenuti nei Paesi occidentali.
Come nel mega scambio di detenuti della settimana scorsa, il più
imponente dai tempi della guerra fredda, con ben 24 persone
rilasciate. Ksenia Karelina è stata arrestata all'inizio dell'anno,
quando da Los Angeles - dove vive da ben 12 anni lavorando in un
centro termale e come ballerina - era tornata a Yekaterinburg, nella
sua Russia, per rivedere la famiglia. L'accusa di "alto tradimento"
deriverebbe dal fatto che i servizi segreti del Cremlino avrebbero
trovato sul suo cellulare tracce di un versamento da 51,80 dollari.
Ma i media internazionali sottolineano che a beneficiare di questa
somma sarebbe stata un'organizzazione con base a New York che si
occuperebbe di "assistenza non militare" all'Ucraina. Secondo i
giornali americani, si tratterebbe di Razom for Ukraine. «Il suo
sito web afferma che sostiene una serie di progetti umanitari, tra
cui la fornitura di kit di pronto soccorso, stufe a legna,
generatori, radio e veicoli ai medici ucraini in prima linea»
Il leader indipendentista torna in Catalogna dopo sette anni
nonostante il mandato di cattura
Il blitz di Puidgemont a Barcellona Torna, arringa la folla e si dà
alla fuga francesco rodella
madrid
L'effetto suspense è già garantito. E anche per il nome in codice
un'idea ci sarebbe: "Waterloo", come la località belga in cui si era
stabilito per eludere i tentativi di cattura della giustizia
spagnola. La rocambolesca vicenda delle ultime ore con protagonista
Carles Puigdemont è da fare invidia a un episodio de La Casa di
Carta, seguitissima serie tv iberica. Comparso a sorpresa a
Barcellona, nonostante un mandato di arresto ancora vigente, il
leader secessionista che, alla guida della Catalogna, sfidò lo Stato
nel 2017 ha avuto tempo di rivolgere un discorso ad alcune migliaia
di sostenitori, per poi abbandonare la scena e far perdere del tutto
le sue tracce all'interno di un'area piena di poliziotti. Il ritorno
nell'epicentro del conflitto alla base di tutta questa storia non
poteva essere più clamoroso.
Il sentore di una possibile riapparizione di Puigdemont in terra
catalana era in realtà già nell'aria da tempo. Perché, rispetto a
sette anni fa, di cose ne sono cambiate parecchie. A partire dalla
linea adottata dall'attuale premier socialista Pedro Sánchez nei
confronti dell'indipendentismo. Anche se per il leader più
riconoscibile del secessionismo non tutto è stato rose e fiori
ultimamente. Da una parte, c'è stata la perdita di consensi alle
ultime elezioni catalane: appuntamento a cui Puigdemont si era
presentato con l'aspirazione, nettamente disattesa dai risultati, di
vincere e riconquistare il potere. Dall'altra, perché la giustizia
spagnola non si è dimostrato disponibile a sconti nei suoi confronti
neanche dopo l'ok all'amnistia che Sánchez.
Puigdemont ha comunque rispettato la promessa fatta ai suoi di
essere presente di persona in occasione del''investitura del nuovo
governatore catalano (il candidato eletto dal Parlamento è il
socialista Salvador Illa, appoggiato dagli indipendentisti moderati
di Esquerra Republicana e dalla sinistra alternativa dei Comuns). Il
resto è già storia: il leader secessionista è comparso a Barcellona,
di primo mattino, venendo poi scortato verso un palco allestito a
poche centinaia di metri dalla sede parlamentare. «Oggi sono qui per
ricordare che ci siamo ancora», ha detto ai circa 4.000
simpatizzanti. Subito dopo, è sparito dalla vista dei più. Ore di
ricerche da parte dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana
sommersa dalle critiche proprio per questa apparente e quasi
inverosimile fuga, non sono state sufficienti a intercettarlo,
mentre due agenti sono finiti in manette per presunto
favoreggiamento. —
Le difficoltà crescenti della malattia e il taglio o i ritardi dei
fondi decisivi per l'assistenza Da Laura ai fratelli Marco e Carlo,
le storie di chi ha chiesto (senza successo) il suicidio assistito
"Noi, lasciati soli e senza aiuti Adesso almeno fateci morire" valeria d'autilia
La difficoltà di chi convive con una malattia che toglie tutto.
L'autonomia dei gesti quotidiani così come la speranza di cura. E si
trova a dover fronteggiare un altro carico che può diventare
insostenibile: quello di tagli o ritardi di risorse fondamentali per
l'assistenza. In Campania c'è Lola, da aprile è senza assegno di
cura. Nel Lazio ci sono i fratelli Marco e Carlo: «Quando le risorse
sono poche se la prendono sempre con i più deboli». Sono disabili
gravissimi, colpiti da Sla.
Daniela aveva 37 anni e un tumore al pancreas incurabile. Il suo
unico desiderio era la morte volontaria assistita. Non ha fatto in
tempo. Fabio Ridolfi è stato immobilizzato a letto per 18 anni, poi
se n'è andato con la sedazione profonda e continua. Laura Santi, da
due anni, è in attesa di risposta sul possesso dei requisiti.
Martina Oppelli attende di sapere se l'assistenza continuativa e
l'utilizzo di una macchina per la tosse possano soddisfare il
criterio del «trattamento di sostegno vitale». Sono le storie
dolorose di chi ha chiesto - ma non ottenuto - il via libera per
accedere al suicidio assistito in Italia. Nomi di chi lotta contro
la malattia e per il diritto a porre fine alle sue sofferenze. Ci
sono anche due donne venete: entrambe hanno ricevuto parere negativo
dalle Asl competenti. Una senza le motivazioni, l'altra totalmente
dipendente dall'assistenza continuativa per ogni funzione vitale.
Poi due uomini, nel Lazio e nel Friuli Venezia Giulia, in attesa
delle verifiche e una malata che, per la commissione medica, non
soddisfa i criteri indicati dalla sentenza Cappato-Antoniani dal
momento che ha deciso di rimuovere la stomia. Qualcuno vuole restare
anonimo, altri hanno un volto. A raccogliere queste battaglie e
schierarsi al loro fianco è l'associazione Luca Coscioni. «Non
esiste un monitoraggio nazionale. Conosciamo – dice il tesoriere,
Marco Cappato - chi si è rivolto a noi per un aiuto alla morte
volontaria, ma potrebbero essere molti di più. Il diritto è stato
chiarito dalla Corte Costituzionale, ma mancano le procedure di
attuazione che potrebbero essere dettate dal Parlamento o dalle
regioni che hanno competenza in materia sanitaria. In questo modo ci
sarebbero iter e scadenze certi e le Asl non andrebbero per conto
proprio».
Poi c'è chi ha ottenuto l'accesso alla morte volontaria in Italia.
Dal 2019 l'associazione ne ha seguite tre. Federico Carboni è stato
il primo. Aveva 44 anni, la strumentazione per l'autosomministrazione
del farmaco venne acquistata con una raccolta fondi. «È stato il
primo italiano – spiegano - ad aver ottenuto il suicidio
medicalmente assistito, reso legale dalla sentenza della Corte
costituzionale 242/2019, dopo quasi due anni dalla prima richiesta
all'azienda sanitaria e un lungo scontro legale».
Ma c'è anche chi è dovuto andare in Svizzera e chi ha scelto di
farsi accompagnare, tramite un'azione di disobbedienza civile. E se
in Italia manca una legge sul fine vita, dati alla mano,
l'associazione fa sapere che nel 2023 sono arrivate 15.559 richieste
di informazioni su eutanasia e suicidio medicalmente assistito,
interruzione di terapie e sedazione palliativa profonda. Una media
di 43 telefonate al giorno con un aumento del 28 per cento rispetto
al 2022.
Intanto a Cava de' Tirreni, in quel letto dove – da 22 anni – è
immobile, Lola D'Arienzo inizia a mollare. «Noi familiari non
vogliamo assecondarla in questo progetto di sedazione, non posso
accettare di accompagnarla alla morte». Maria Rosaria è sua sorella,
le è accanto da 28 anni. Quando tutto è iniziato, con la diagnosi di
Sla. Racconta di un'assistenza onerosa: fondi decurtati, assegno di
cura ridotto a mille euro e bloccato da 4 mesi. «Per noi anche 200
euro in meno sono importanti». Lola abita con una cugina che si
prende cura di lei, con le badanti. Chi è in queste condizioni ha
bisogno di figure presenti h24, in grado di fare manovre specifiche.
Praticamente ospedaliere. «È un suo diritto rimanere in casa con
un'assistenza dignitosa».
Da un lato la battaglia per il fine vita, dall'altro le difficoltà
quotidiane. Due temi paralleli e non sovrapponibili. Perché il
suicidio assistito – come hanno sempre spiegato i sostenitori di
questa libertà di scelta – è autodeterminazione, attiene alla sfera
personale. E, va da sé, non può avere mai ragioni economiche.
Dalla Campania al Lazio, tra vittime della malattia prima e della
burocrazia dopo. Il mese scorso l'associazione Coscioni aveva
sollevato la questione del distretto sociosanitario di Viterbo. «La
regione Lazio aveva comunicato che i fondi regionali mensili di 700
euro non saranno più disponibili come contributo di cura erogato
alla persona con disabilità gravissima, ma solo attraverso
l'intervento di cooperative o l'assunzione di personale
qualificato». Settanta le famiglie interessate. Tra loro ci sono i
fratelli Gentili. Marco e Carlo, affetti da Sla. Mamma Sabrina è la
principale caregiver di entrambi. «Finché non assumiamo una persona
non ci danno quei fondi. Un conto è chiamare direttamente, diverso
passare da una cooperativa. Non sappiamo neppure chi ci mandano.
Serve personale specializzato visto che gli affidi un figlio». La
Regione rassicura: «Il piano nazionale prevede una progressiva
trasformazione dei contributi economici alle persone con disabilità
in acquisto di servizi professionali. Riguarderà inizialmente i
nuovi utenti e non quelli in continuità assistenziale».
Marco è nato con la Sclerosi laterale amiotrofica. Oggi ha 34 anni e
non può più muoversi e comunicare. «Per l'assistenza serve una
persona di fiducia, che riesce a capirti al volo» dice, parlando
attraverso un sintetizzatore vocale. —
IL LUPO : nuovo caso
Toti e Spinelli accusa di corruzione per la cena elettorale
L'ultima cena elettorale rischia di costare caro all'ormai ex
presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Una cena con una
quota minima di ingresso di 450 euro a testa. La raccolta fondi si è
trasformata in una nuova accusa di corruzione per l'ex governatore e
l'imprenditore portuale Aldo Spinelli. I pm Federico Manotti e Luca
Monteverde hanno iscritto la nuova ipotesi di reato il 24 aprile,
poco prima dell'arresto avvenuto il 7 maggio. Alla cena
parteciparono 10 dipendenti delle società di Spinelli per un importo
versato di 4. 500 euro. L'episodio era stato riportato anche dal
giudice Paola Faggioni contro la revoca dei domiciliari.
«Particolarmente significativo è il fatto che, nel corso della
predetta conversazione, Toti – evidentemente sulla base di
preventivi accordi sempre con lo Spinelli – faceva riferimento a una
somma che avrebbe ricevuto da Spinelli, ulteriore rispetto a quella
"ufficiale" della partecipazione alla cena elettorale ("Spinelli mi
ha detto che fa 10 posti. Poi il resto. .. ci aggiustiamo" ),
utilizzando un'espressione ("il resto") di frequente usata sia da
Toti che da Spinelli per fare riferimento, in modo allusivo, alle
utilità oggetto degli accordi corruttivi».
09.08.24
Dopo le proteste E La fuga della premier
Bangladesh , il premio nobel Yunus da oggi sarà primo ministro ad
interim Il premio nobel per la pace Muhammad Yunus, 84 anni, è
arrivato a Dacca per prestare giuramento come primo ministro ad
interim del Bangladesh. La cerimonia dovrebbe tenersi oggi intorno
alle 20 (le 16 ora italiana), ha detto il capo dell'esercito, il
generale Waker-Uz-Zaman. Yunus - insignito del Nobel nel 2006 per
aver ideato il microcredito e aver fondato la Grameen Bank - è stato
scelto per l'incarico dal presidente Mohammed Shahabuddin per andare
incontro alle richieste dei dimostranti che per settimane hanno
invaso le strade, anche dopo che la premier aveva schierato
l'esercito, provocando 400 morti. Yunus, che ha supportato a
distanza il movimento di dissenso, ha definito l'addio della premier
Sheik Hasina - fuggita in India il 5 agosto - «un secondo giorno
della liberazione».
INDIFENDIBILE ANCHE DALLO SCUDO SALVIANO:
L'accusa: "Soldi del Comitato elettorale
girati su depositi personali "
Toti, nuove carte della Finanza "Bonifici sospetti fino al 2024"
Tommaso Fregatti
Matteo Indice
genova
Per l'Ufficio informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia
sono «sospette» in primis numerose erogazioni ricevute dal comitato
elettorale Giovanni Toti fino al biennio 2023/2024. Ma soprattutto:
la Guardia di finanza, con una dettagliata informativa depositata in
Procura il 16 luglio scorso, spiega che dopo quell'alert sono
scattati rilievi sia sui ripetuti movimenti in uscita dal Comitato
ai depositi formalmente «personali» del governatore, sia da questi
ultimi a ulteriori conti. Le nuove annotazioni dei militari del
nucleo di polizia economica e finanziaria sono state allegate agli
atti depositati alle parti in vista del processo con rito immediato
che comincerà il prossimo 5 novembre. L'Uif ha stilato un elenco di
finanziatori collegati alle movimentazioni apparentemente «anomale»,
compiute a loro parere fino a poche settimane prima della retata.
Vengono citati gli impresari Aldo Spinelli, Alberto Luigi Amico
(quest'ultimo a sua volta indagato per corruzione), Mario
Costantino, patron dell'azienda petrolifera Europam e da anni tra i
principali sostenitori economici dell'ex presidente regionale,
Alberto Pozzo, avvocato del comitato elettorale arancione. Ma il
capitolo più significativo agli occhi di chi indaga è quello sui
movimenti avvenuti dopo che il Comitato Toti, anche di recente, ha
incamerato le generose sovvenzioni dei privati, e così viene
riassunto dalle Fiamme Gialle. «La Banca d'Italia - scrive la
Finanza - dichiara sospette le operazioni in uscita dal conto del
Comitato Toti, dove sono stati disposti più bonifici a favore di due
rapporti personali intrattenuti da Giovanni Toti presso altre due
banche». Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, sono cinque
le erogazioni al partito di Toti finite negli ultimi mesi sotto la
lente degli ispettori. L'avvocato di Toti, contattato per una
replica, ha risposto sostenendo che non vi sia alcun illecito e
rimarcando che tutto è avvenuto secondo le norme vigenti. —
SALVINI TROVA I SOLDI PER TUTTI MA NON PER LEI ?Lola
che vuole morire
valeria d'autilia
Con il suo corpo ha sempre comunicato. Prima, quando danzava
leggera. E anche ora, nonostante la malattia che da 22 anni la
costringe in un letto. Se non può più contare sulle sue gambe, ci
sono le ciglia. Piccoli battiti per parlare agli altri. Così, dalla
sua casa di Cava de' Tirreni, Apollonia D'Arienzo ha scritto libri,
poesie, fondato un'associazione di volontariato, organizzato eventi.
Non si è mai fermata. In un modo diverso, ha continuato a vivere.
Anche quando la Sla ha iniziato a consumarla sempre più, impedendole
di muoversi, parlare, respirare in maniera autonoma, deglutire.
Anche quando le scarpette da punta e la scuola di ballo - che aveva
fondato appena maggiorenne - sono diventate un lontano ricordo.
La diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica è arrivata a 32 anni. I
medici le avevano dato un paio di anni di vita. Oggi ne ha 63. È
stanca, pensa di arrendersi. «Voglio l'eutanasia, mi sento
abbandonata». Alle difficoltà quotidiane si sono aggiunte quelle
economiche: da maggio l'assegno di cura è bloccato. La sua famiglia,
da sola, rischia di non farcela. L'assistenza ha costi altissimi.
Psicologici e materiali. «Non è (solo) questione di soldi, ma di
frustrante condizione di abbandono» per lei e chi le sta accanto.
Esattamente un anno fa, con queste parole, l'associazione "Gli Amici
di Lola" si era rivolta ai ministri della Salute e per le
Disabilità. Una richiesta di aiuto, dopo la progressiva riduzione
dell'assistenza domiciliare del Servizio sanitario nazionale e
dell'assegno di cura. Suo figlio, la sorella, il fratello e una
cugina – da soli – non bastano. Le badanti, sempre più costose, sono
introvabili per la mole di lavoro e le attenzioni che un'ammalata di
Sla richiede. Di giorno e di notte.
Ma ora la situazione, senza quell'assegno, è sempre più complicata.
«Da quattro mesi – dice la sorella, Maria Rosaria - ci sono stati
tolti anche questi 1000 euro che già erano una goccia nell'oceano».
Alcune persone che assistevano Lola, nel frattempo, hanno trovato
altro.
«Questo ritardo – spiega l'assessore ai Servizi sociali di Cava de'
Tirreni, Giovanni Del Vecchio – non è ascrivibile alla regione o ai
comuni. Il programma degli assegni di cura è regionale, ma il fondo
è ministeriale e il governo non ha ancora operato questo
trasferimento». Si tratta di risorse erogate a chi è in condizioni
di disabilità gravissime e necessita di assistenza h24.
Per Lola, così come la chiamano i suoi affetti più cari, questo
sostegno è essenziale. Anche se non copre tutti i costi. Al ribasso,
la stima è una spesa mensile che supera i 3000 euro. «La mia vita è
stata un inferno, sono stanca di combattere». Sente che sta per
cedere. Vorrebbe andare all'estero, in una struttura specializzata
per il fine vita. E lì lasciarsi andare. «Penso che forse sia
l'unico modo, sono quasi trent'anni di malattia e di lotte».
Già l'anno scorso aveva contattato l'associazione Luca Coscioni. Per
morire con dignità. «Ogni tanto – ricostruisce Maria Rosaria - mi
parlava del fatto che si era stancata, ma sapeva bene che ero
contraria». Eppure la forza e il coraggio non le sono mai mancati.
Quando iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una malattia che
diventa presto invalidante, Lola ha un figlio ancora piccolo. Può
scegliere come affrontarla. Lei la guarda in faccia. Nel 2002, la
tracheotomia è uno dei momenti più duri. Ma si aggrappa alla vita e
va avanti grazie a un sondino nello stomaco per nutrirsi e un
macchinario per respirare. La mente resta lucida e i suoi occhi
azzurri diventano l'unico modo di comunicare. Con il movimento delle
palpebre indica le lettere dell'alfabeto e anche il computer si
rivela un supporto fondamentale quando sceglie di consegnare alla
scrittura la sua storia. Racconta la fine del matrimonio e
l'affidamento del figlio al padre. «A causa della malattia mi era
stato negato il diritto di essere mamma». Adesso Vittorio è un uomo,
le sta accanto. I suoi familiari sono la roccia, anche quando i
pensieri si fanno sempre più bui. Adesso che deve scegliere di
nuovo.
«La Sla ti divora tutto – aveva detto qualche anno fa- ma lascia
intatta la capacità di pensare e sentire. E non capivo se era un
bene o un male».
08.08.24
L'accusa del nuotatore britannico: "A Tokyo e a Rio il cibo era
incredibile, ma qui a Parigi..."
Nuove polemiche sul Villaggio olimpico Peaty: "Ho trovato i vermi
nel pesce" DANILO CECCARELLI
PARIGI
Ci mancavano solo i vermi nel pesce per alimentare la già infuocata
polemica sul Villaggio olimpico, finito al centro di accuse da parte
di molti atleti per il cibo servito alla mensa e per le condizioni
degli alloggi. A lanciare l'ennesimo sasso ci ha pensato Adam Peaty,
nuotatore britannico vincitore dell'argento nei 100 rana in queste
Olimpiadi dietro al nostro Nicolò Martinenghi, raccontando il
disgustoso aneddoto in un'intervista rilasciata a Inews. Uno
sfortunato episodio capitato ad alcuni atleti, ha spiegato lo
sportivo inglese, che si è aggiunto al già numeroso coro di voci che
si è alzato contro la qualità dei piatti serviti: «A Tokyo il cibo
era incredibile, anche a Rio. Ma questa volta…». Peccato, però, che
il team della Gran Bretagna e gli organizzatori dei Giochi abbiano
fatto sapere di non aver trovato nessun riscontro alle accuse di
Peaty, che nelle sue critiche non si è limitato alla questione dei
vermi.
Il nuotatore, che nel suo curriculum olimpico conta tre ori, ha
sollevato come molti altri il problema della mancanza di proteine
nei pasti, che secondo le volontà degli organizzatori presentano il
60% dei piatti senza carne per dare più spazio a menù bio e
vegetariani. I disagi, inoltre, sono di natura logistica. «Bisogna
aspettare più di 30 minuti per avere del cibo», ha detto Peaty,
parlando delle lunghe file d'attesa alla mensa. Tutti problemi già
denunciati da molti altri sportivi, tra cui gli italiani Gregorio
Paltrinieri e Thomas Ceccon. Ma alla fine Peaty ha voluto vedere
anche l'aspetto postivo di queste Olimpiadi. «Si tratta senza dubbio
dei migliori Giochi dal punto di vista del coinvolgimento dei
tifosi». Anche perché, per la stessa ammissione del nuotatore, non
ci saranno mai «dei Giochi perfetti».
07.08.24
Occupato il Parlamento, abbattute le statue del padre della "Lady di
ferro", fondatore del Paese
Bangladesh, i militari prendono il potere la premier Sheikh Hasina
fugge in India lorenzo lamperti
taipei
Sheikh Hasina si è dimessa, dopo una fuga all'estero mentre la sua
residenza veniva presa d'assalto. E mentre le statue di suo padre,
primo presidente e martire dell'indipendenza, venivano tirate giù
dalla folla. Appena qualche giorno fa, pensare a tale scenario
sembrava fantascienza, in un Bangladesh che la premier "di ferro"
era convinta di avere in pugno dopo essere giunta al quinto mandato.
Invece è realtà, al culmine di settimane di violente proteste che
hanno causato oltre 300 morti, un centinaio solo domenica e un'altra
ventina ieri. Tra di loro, secondo l'Unicef, oltre 30 bambini.
Hasina si era arroccata, definendo «terroristi filo pakistani» i
manifestanti che ne volevano le dimissioni e chiedendo agli agenti
(tra cui ci sono almeno 14 morti) di sparare a vista. Dopo un
consulto con le forze armate, è stata costretta ad arrendersi. È
scappata in elicottero in India, suo principale sponsor
internazionale, mentre la folla si avvicinava al palazzo di Dacca,
poi "conquistato" insieme ad altri luoghi del potere. Lo scettro
passa all'esercito. Il comandante Waker-Uz-Zaman ha dichiarato che
formerà un governo ad interim, chiedendo cooperazione agli studenti
e rassicurando sull'apertura di indagini sulle violenze di queste
settimane.
Hasina, che pare destinata in Europa, ha fatto sapere di essere
«profondamente delusa» per aver dovuto lasciare il Paese, la cui
crescita economica degli ultimi anni si appunta come medaglia. Non è
bastato per frenare il malcontento dei giovani, dopo anni di
repressione del dissenso in nome della «difesa dagli islamisti». In
realtà, la miccia delle proteste è stata la reintroduzione delle
quote di accesso ai posti di lavoro pubblici, col 30% riservato alle
famiglie dei veterani della guerra d'indipendenza. Una zavorra
troppo grande per i giovani, che in un Paese dall'età media molto
bassa sono sempre più spesso disoccupati. Non è bastato l'intervento
della Corte suprema, che ha abbassato le quote al 5%. La protesta si
è trasformata in una rivolta contro il governo, dopo che Hasina
aveva colto l'occasione per completare lo smantellamento
dell'opposizione, tra irruzioni e arresti. Ma ora è successo
l'impensabile. E Hasina è dovuta fuggire da quel Bangladesh che
pensava fosse cosa sua. —
Nel 2023 raccolta in contrazione rispetto al passato: i prodotti da
banco recuperati sono considerati rifiuto e non possono essere
riutilizzati
Lasciati nelle farmacie e poi inceneriti Medicinali, in 4 anni
buttate 221 tonnellate ALESSANDRO MONDO
Il dato del 2023 è il più contenuto degli ultimi quattro anni. Anche
così, 48,3 tonnellate raccolte a Torino non sono uno scherzo. Erano
56,35 nel 2022, 62,94 nel 2021, 54,34 nel 2020. Farmaci,
essenzialmente da banco, che escono dalle case e finiscono nei
centri di raccolta Amiat, sia perché portati dagli utenti sia perché
conferiti dai mezzi che li raccolgono presso le farmacie che hanno
richiesto questo servizio.
Numeri importanti, con diverse interpretazioni: la flessione
dell'anno scorso, per esempio, può rimandare alle crescenti
difficoltà economiche delle famiglie e quindi alla minore spesa per
le cure, se non addirittura alla rinuncia alle cure, come denunciato
a più riprese dai sindacati e dalle associazioni di volontariato.
Quanto alle cause, in assenza di un monitoraggio puntuale, si va per
ipotesi. Tra quelle plausibili, un aumento delle prescrizioni: per
quanto, in base ad un recente report di Agenas, il Piemonte, con un
aumento appena dell'8%, rappresentano la punta più bassa rispetto a
tutte le altre regioni. Ma possono incidere anche l'uscita a ciclo
continuo sul mercato di nuovi prodotti in sostituzione dei vecchi,
il cambio dei piani terapeutici. E naturalmente il lascito
farmacologico di anziani deceduti, di cui parenti e famigliari si
disfano.
Numeri importanti, dicevamo. Numeri, altra precisazione, che non
tengono conto della quota di farmaci, probabilmente non meno
rilevante, gettati direttamente nei cassonetti (cosa da non fare per
nessun motivo), e che quindi non vengono smaltiti all'inceneritore
ma finiscono in discarica, dove contribuiscono all'impatto
ambientale.
Inutile chiedere ad Amiat quali sono i prodotti più ricorrenti tra
quelli raccolti, non per marca ma per categoria
(antidecongestionanti, antiepiretici, analgesici, etc): non vengono
analizzate le tipologie. Inutile, anche, domandare se si tratta di
prodotti scaduti o se capita di raccogliere farmaci ancora validi:
di nuovo, le tipologie non vengono analizzate. Impossibile, per lo
stesso motivo, determinarne il valore economico dei quantitativi
raccolti.
I farmaci che vengono raccolti da Amiat sono un "rifiuto" agli occhi
della legge (è rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il
detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di
disfarsi"), pertanto non possono più essere riutilizzati. Se invece
i farmaci non più utilizzati sono integri, non ancora scaduti e
nelle loro confezioni originali, si può evitarne lo spreco
consegnandoli alle farmacie che aderiscono al progetto Recupero
Farmaci Validi promosso dal Banco Farmaceutico (https://www.bancofarmaceutico.org/cosa-facciamo/recupero-farmaci-validi):
i farmaci scaduti possono essere conferiti anche presso gli appositi
Centri di Raccolta.
Come premesso, si parla essenzialmente di farmaci da banco. La
raccolta, da parte dei circa 300 netturbini di zona per conto del
Comune, è dedicata ai farmaci da banco: quelli ospedalieri hanno un
circuito autonomo di smaltimento e non si mescolano con i farmaci
"urbani". Lo smaltimento avviene presso l'inceneritore TRM. Di
recuperare qualcosa, da questo mare magnum di pillole e compresse,
ad esempio i blister o gli imballi, non se ne parla. «I farmaci che
entrano nelle isole ecologiche di Amiat non possono essere
sottoposti a selezione», precisano dall'azienda.
A fronte di molte domande oggi senza risposta, resta la necessità di
una riflessione, che probabilmente non è mai stata fatta. «Ogni
giorno vengono buttati in modo non corretto farmaci, scaduti e non,
direttamente nell'indifferenziato, molti per semplice incuria, ma
molti altri perché non si conosce il corretto conferimento - spiega
Paola Bragantini, presidente dell'azienda -. Oggi Amiat collabora
con molte farmacie che raccolgono i medicinali usati e scaduti, ma
questo tipo di raccolta va valorizzata in modo più efficace.
Chiederemo un incontro alle associazioni di categoria per un
confronto che potrà essere di stimolo per tutti i soggetti
coinvolti: se la Regione intende farsi capofila, possiamo costruire
una strategia più efficace per portare tutti i farmaci al loro
corretto smaltimento». Una buona idea, da non lasciare cadere.
06.08.24
Pavel Kushnir aveva criticato l'invasione dell'Ucraina con alcuni
video. Era in sciopero della fame Morto in carcere il pianista contro la guerra
Il pianista e attivista pacifista russo Pavel Kushnir, incarcerato
per aver criticato la guerra in Ucraina, è morto in carcere a 39
anni. A darne notizia è stata la madre, citata dalla testata
Mediazona. Secondo la donna, Irina Levina, le autorità le hanno
comunicato che il figlio è deceduto per uno sciopero della fame e
della sete in un centro di detenzione a Birobizhan, nell'Estremo
Oriente russo. Il Servizio penitenziario russo non ha commentato la
notizia. «Abbiamo ricevuto lettere dai suoi compagni di prigionia e,
provenendo da questo centro di detenzione, non ci sono più dubbi che
sia morto», ha detto a Current Times Olga Romanova, direttrice in
esilio di una Ong che difende i prigionieri russi. Oggi, il team del
defunto oppositore Aleksei Navalny, morto in prigione lo scorso
febbraio, ha chiesto donazioni su X per rimpatriare il corpo del
pianista nella sua città natale di Tambov. Nel maggio 2024, un
canale Telegram con notizie dalla regione di Birobizhan aveva
annunciato l'arresto di Kushnir - solista della Filarmonica locale
dal 2023 - affermando che era stato accusato di «appelli pubblici ad
attività terroristiche», un crimine punito con lunghe pene detentive
in Russia, anche se il suo arresto non è mai stato annunciato
ufficialmente. Nella regione autonoma ebraica Kushnir era arrivato
nel 2023, dopo una carriera che lo aveva portato prima alla
Filarmonica regionale di Kursk, poi a Kurgan. In una intervista
all'emittente statale Bira aveva detto di voler «correre il rischio
e restare», anche di fronte all'eventualità di essere «mandato in
prigione, arruolato o licenziato». Secondo il sito Vot Tak, nel
novembre 2022 il pianista aveva pubblicato su un canale YouTube
quattro video seguiti da alcune decine di persone in cui criticava
il Cremlino e l'invasione dell'Ucraina, lanciata nel febbraio di
quell'anno. —
05.08.24
UNA RIFLESSIONE SUL NEO FASCISMO :
Per Libero Mancuso, uno dei magistrati
che portò a processo Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi
Ciavardini, i terroristi neofascisti condannati per la strage di
Bologna, le parole di Giorgia Meloni «sono un tentativo di occultare
la verità». Mancuso arrivò a Bologna nel 1982, qui si occupò della
strage del 1980, ma anche di P2, terrorismo, depistaggi. E oggi come
allora, sottolinea, «la destra non vuole assumersi alcuna
responsabilità. Ha sempre bramato – prosegue Mancuso – una
riabilitazione del suo passato eversivo».
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parlando della strage
di Bologna, per la prima volta ha usato la parola "neofascismo".
«Ma lo ha fatto solo per riferirsi a quella che definisce come
"verità giudiziaria". Parlare di verità giudiziaria a proposito
delle stragi e dei tentativi golpisti portati a segno nel nostro
Paese, che miravano a ostacolare il faticoso affermarsi dei valori
della Costituzione, vuol dire negare le verità emerse in tutti i
processi, ma non è solo questo».
Cos'altro?
«Con questo atteggiamento di negazione ci si pone dalla parte di chi
per anni ha tentato di coprire le responsabilità dei terroristi
neofascisti. È la parte di chi ha giocato un ruolo pesante
nell'occultamento e nel depistaggio che sono avvenuti in occasione
di tutti i tentativi eversivi portati a segno in quegli anni da chi,
attraverso di essi, intendeva fermare il percorso della nostra
democrazia».
Come risponde a chi sembra ritenere la verità giudiziaria una verità
"minore"?
«Che è ora che prendano coscienza del loro passato».
Meloni ha anche attaccato il presidente dell'Associazione delle
vittime della strage di Bologna, dicendo che sia grave sostenere che
la destra di governo ha delle radici che affondano nel mondo dei
movimenti eversivi neofascisti.
«Se non ci fosse un filo che li lega, per quale motivo gli esponenti
politici della destra italiana hanno sempre provato a coprire e
distorcere la verità su quegli attentati? Tentativi che, come si
vede, sono in corso ancora oggi e che fin dall'inizio sono stati
portati avanti ricorrendo a tutti i mezzi di cui disponeva la
propaganda legata a quel mondo, da certi organi di stampa fino ai
circoli massonici».
Il presidente della commissione Cultura alla Camera, Federico
Mollicone, di Fratelli d'Italia, agita apertamente il sospetto di un
errore giudiziario.
«L'obiettivo è sempre quello di scardinare le verità definitive
sancite in tutti i processi. Dalla strage di piazza Bologna a quella
di piazza Fontana di undici anni prima, fino all'attentato
dinamitardo al treno Italicus di cui ricorre questa notte (ieri
notte, ndr) il cinquantesimo anniversario. Questi episodi hanno
visto all'opera la destra neofascista, sorretta ostinatamente dagli
ambienti di destra. Sfuggono alle proprie responsabilità».
Gli attentati di matrice neofascista di quegli anni crede quindi che
rappresentino una macchia che l'attuale destra deve ancora lavare
via?
«Quello che abbiamo detto finora, a proposito dell'occultamento
della verità, pur a distanza di anni dall'accadimento di quelle
stragi e dei tentativi eversivi, è segno che si tratta di temi forse
troppo ingombranti per la destra. Per questo non riesce ad accettare
il suo passato».
Come vede le continue spinte politiche per la nascita di commissioni
parlamentari con cui indagare sulle stragi?
«Come un tentativo di utilizzare le tante risorse della politica per
offuscare la limpidezza delle tante decisioni della giurisdizione».
Con un occhio al futuro, crede sia possibile un clima di
pacificazione intorno all'anniversario della strage di Bologna?
«Occorre che il nostro Paese non rinunci alla memoria e che la
destra prenda atto del suo passato eversivo quale strumento di lotta
politica. Solo allora, forse, sarà possibile.
04.08.24
Paolo Bolognesi
"La premier ci prende in giro non rispetta quegli 85 morti"
bologna Paolo Bolognesi è arrabbiato. Il 2 agosto è un momento sacro
per le vittime della strage di Bologna e lui, che le rappresenta dal
1996, si è sentito attaccato dal capo del governo. Certo, è stato
lui il primo a muovere delle critiche alla destra. Alla vigilia
della commemorazione, in cui storicamente tiene un discorso di
rivendicazione davanti a centinaia di persone, ha denunciato
l'influenza delle idee piduiste sulla politica italiana. Si è
riferito a diverse fasi storiche, ma non ha risparmiato l'attuale
amministrazione, accusandola di aver pescato a piene mani dal piano
eversivo di questa loggia massonica, per scrivere l'attuale riforma
della giustizia. La premier Meloni dice che queste affermazioni sono
ingiuste e mettono in pericolo la sua incolumità. Lui le risponde
che «sta solo facendo la vittima» e rincara la dose: «Nordio ha
copiato la riforma dal piano di rinascita democratica di Gelli».
Bolognesi, crede che le sue dichiarazioni mettano in pericolo
l'incolumità personale di Giorgia Meloni?
«Non scherziamo. Meloni come al solito fa la vittima, ma farlo il
giorno in cui commemoriamo la strage è particolarmente offensivo.
Non deve dimenticare che le vittime siamo noi, sono i nostri parenti
che sono morti e chi è stato ferito. Ne ho visti altri fare le
vittime ai processi, poi però sono stati condannati. Ci sta solo
prendendo in giro».
Per la premier sostenere che la riforma della giustizia del governo
sia ispirata dai progetti della P2 è molto grave. Lei
nell'intervista a La Stampa ricordava che la proposta di separare le
carriere dei magistrati, compariva nel piano piduista. Lo ribadisce?
«Mi domando se Giorgia Meloni abbia mai letto il Piano di Rinascita
Democratica che fu sequestrato alla moglie di Licio Gelli. Lì non
solo c'è scritto chiaramente che le carriere dei magistrati vanno
tenute separate, ma si parla per esempio anche dei test
psicoattitudinali per i pubblici ministeri. La riforma che ha
scritto Nordio è presa pari pari dal piano della P2».
Quando Meloni dice «le sentenze che attribuiscono la strage di
Bologna a esponenti di organizzazioni neofasciste», si esprime in
modo ambiguo?
«La prima ambiguità riguarda il fatto che, citando le sentenze, lei
non precisa se ne condivide o meno il contenuto. Le sentenze sul 2
agosto però sono il frutto di una mole di prove solide emerse nei
processi. Se le si riconosce, allora bisogna ammetterne la validità
o chiarire perché no. La seconda è che se sono "esponenti di
organizzazioni neofasciste" e non "neofascisti" , si potrebbe
pensare che abbiano agito autonomamente e contro l'interesse delle
sigle eversive a cui appartenevano. È una tesi che sostenne per
esempio anche Stefano Delle Chiaie, che del neofascismo armato è
stato il padre in Italia».
Per lo meno il ministro Piantedosi nel suo discorso è stato
categorico. Ha parlato di neofascisti e ribadito l'appoggio del
governo alla vostra causa».
«Con Piantedosi io ero scettico, perché mi erano arrivate voci che
contestasse gli importi che noi famigliari delle vittime chiediamo a
modo di risarcimento, attraverso la legge sugli indennizzi per
episodi di questo tipo che stiamo cercando di far approvare. Però mi
è stato detto: stai tranquillo, non viene a fare polemiche e ho
deciso di dargli la possibilità di dimostrare se questa vicinanza
governativa nella ricerca della verità sarà effettiva. Ora, staremo
a vedere».
Dopo le condoglianze del presidente turco per il leader di Hamas
ucciso
Instagram blocca l'omaggio a Haniyeh Erdogan probisce l'accesso al
social Instagram blocca i post di condoglianze per Ismail Haniyeh,
compreso quello del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E la
Turchia blocca Instagram. «Questa è censura, pura e semplice», si è
lamentato il funzionario delle comunicazioni turco Fahrettin Altun
quando la piattaforma di social media ha impedito la diffusione dei
messaggi per la morte del leader di Hamas. Dalle lamentele alle
contromisure, ieri la Turchia ha bloccato l'accesso all'applicazione
della società Meta di Mark Zuckerberg, senza tuttavia collegare
direttamente l'effetto alla sua causa. E senza specificare la durata
del provvedimento. Così come, secondo Altun, Instagram non ha
fornito una ragione o un'indicazione che spiegasse in che modo i
post segnalati violassero le sue politiche.
Anche il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz è intervenuto
su un comportamento "sgradito" da parte della missione turca a Tel
Aviv, dove il titolare della sede diplomatica di Ankara ha ordinato
di abbassare la bandiera a mezz'asta, in segno di lutto per
l'uccisione del capo politico di Hamas. Katz ha predisposto la
convocazione del vice ambasciatore turco per un severo rimprovero.
«Se i rappresentanti dell'ambasciata vogliono piangere - ha detto il
capo degli Esteri di Gerusalemme - che vadano in Turchia e piangano
assieme al loro maestro Erdogan, che abbraccia l'organizzazione
terroristica di Hamas e sostiene i suoi atti e le sue atrocità»
DOVREBBERO FARE I COMPLIMENTI AI MEDICI E CHIEDERE LE DIMISSIONI DEL
PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIA :
Non potrebbe essere più emblematica dello stato agonico della
macchina della salute italica (dal livello nazionale a quello
regionale), la foto diffusa dall'ospedale di Palmi (Messina) che
mostra la gamba di un giovane siciliano col perone rotto,
immobilizzata alla meglio con scatole di cartone, di cui si
intravvedono le scritte originarie, indicanti l'originaria
destinazione d'uso commerciale.
Rendiamoci conto. Dietro quell'immagine non c'è una storia di
ordinaria malasanità o di bad practice dovuta a errore medico, a
negligenza o errata diagnosi: i due medici di turno, anzi, stando a
quanto raccontano le cronache dei quotidiani locali, ce l'hanno
messa davvero tutta, anche a detta dei congiunti del paziente per
utilizzare a suo vantaggio, come impone il Giuramento di Ippocrate,
tutte le risorse della conoscenza.
Ma cosa può fare quella parte dei medici , fedeli allo spirito del
Ssn a tener fede alle proprie responsabilità verso i pazienti e la
società, quando, in alcuni inespugnabili feudi, gestione
sconsiderata, clientelismo, politica impegnata ad amministrare le
nomine dei vertici di Aziende ospedaliere e Asl, erogatrici di
poltrone più che di cure, producono la terrificante condizione di
cui dà conto questa vicenda? Da cui emerge la mancanza di
fondamentali elementi come le stecche per stabilizzare gli arti, di
cui l'ospedale «Barone a San Piero Patti» sarebbe privo, a quanto
pare, da più di un mese. Possibile mai che nessuno dei responsabili
della catena di comando, nessuna delle figure ai vertici i vertici
dell'azienda sanitaria di Messina, fosse informata
dell'inadeguatezza di un servizio come il Pronto Soccorso a cui si
rivolgono i cittadini per trovare risposte immediate ai bisogni
urgenti di salute e, nei casi di emergenza, per il recupero e la
stabilizzazione delle funzioni vitali (come in questo caso in cui ,
sembrerebbe, era necessario applicare alla gamba un gesso o una
stecca per prevenire i movimenti in modo che la frattura possa
guarire)? Facendo un salto indietro di un paio di millenni si può
dire che era più «guarnita» - si potrebbe dire - la famosa «casa del
chirurgo», una delle tante residenze scoperte nell'antica città di
Pompei, sepolta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e costruita
fra il IV e il III secolo a.C.. Quel sanitario - oltre che di un
dovizioso armamentario chirurgico, in ferro e bronzo, che
comprendeva sonde, forcipi ginecologici, cateteri di varia
dimensione e maneggevolezza, bisturi, pinze, sonde (per drenaggi),
aghi da sutura, disponeva - in un tempo vertiginosamente lontano dal
nostro - di quanto occorreva per rispondere alle richieste di cure
per traumi di varia natura: una specie di pronto soccorso di duemila
anni fa che disponeva di materiale da medicazione costituito da
bende di lino, da lana e stoppa, usata per le sue proprietà
assorbenti.
Che dire nell'anno del Signore 2024? Dall'avamposto locale della
sanità pubblica, pilastro della politica nazionale, ci saremmo
aspettati un accorato mea culpa. E non il solito, fastidioso e
inutile profluvio di dichiarazioni e solenni promesse di interventi-
tampone che lasceranno le cose come stanno. Si scusa il governatore
della Sicilia, Renato Schifani, e annuncia provvedimenti esemplari.
Promette interventi ispettivi l'assessora regionale alla Sanità che
in base agli esiti, ha informato i suoi corregionali, verificherà
«le eventuali responsabilità». Si resta senza parole, e si rilegge
la frase virgolettata, per verificare che abbia usato l'innocua
parola «criticità», a proposito della vicenda di Palmi. Nessun
errore. L'ispezione per verificare le responsabilità sarà effettuata
a tamburo battente e in base agli esiti saranno adottati «i
provvedimenti idonei al superamento delle criticità accertate». —
03.08.24
La repubblica islamica è una delle prime potenze militari
Un arsenale di migliaia di missili e droni L'Iran ha a sua disposizione decine di caccia e migliaia di
droni e missili che la rendono una delle prime potenze militari
della regione. Dall'altra parte, Israele può contare su un sistema
di difesa aerea multilivello tra i più efficaci e avanzati al mondo,
sviluppato con l'aiuto degli Usa dopo la Guerra del Golfo del 1991.
Il sistema a più alta quota è Arrow, che intercetta missili
balistici nello spazio; per il medio raggio Israele può contare sul
David's sling (la Fionda di Davide) in grado di contrastare missili
balistici e da crociera. Infine, il più famoso Iron dome a corto
raggio è pensato per intercettare il tipo di razzi e mortai di
Hamas. Sono invece nove i missili iraniani in grado di colpire lo
Stato ebraico, tra cui il Sejil, in grado di volare a più di 17.000
km all'ora e con una gittata di 2.500 km; il Kheibar con una gittata
di 2.000 km e l'Haj Qasem, che ha una gittata di 1.400 km e prende
il nome dal comandante della Forza Quds Qasem Soleimani. L'Iran
possiede anche missili da crociera come il Kh-55, un'arma di
capacità nucleare lanciata da aerei con una gittata fino a 3.000 km.
Negli ultimi anni, ha assemblato poi un vasto inventario di droni,
il cui numero si aggirerebbe intorno alle poche migliaia. Tra
questi, tutte le declinazioni dei temibili Uav kamikaze Shahed,
impiegati anche in Ucraina. Meno avanzata è invece l'aeronautica
iraniana, duramente penalizzata dalle sanzioni. —
PERCHE' SI LASCIA CHE NASCA UN BAMBINO ?
Il bambino
che non poteva
disegnare
francesca del vecchio
milano
Dimenticare o fingere di dimenticare. Fingersi smemorato pur di non
dire la verità. E cioè che mamma e papà non possono comprare l'album
da disegno per la scuola. Che tra la bolletta della luce, la spesa,
il mutuo e i pastelli, a malincuore devono scegliere cosa
sacrificare.
Andrea ha 11 anni, a settembre andrà in seconda media. È il primo di
quattro figli, gli altri hanno 2, 6 e 9 anni. Tra un mese anche il
terzo dei suoi fratelli inizierà la scuola. La sua famiglia fa
fatica a stare dietro alle spese scolastiche: libri, materiali
tecnici, quaderni che con il caro materiali costano sempre di più.
(Un album da 10 fogli va dai 5 agli 8 euro).
Nonostante la "Dote scuola", che è riuscita a tamponare solo in
parte le esigenze dell'inizio d'anno scolastico, dopo pochi mesi, le
difficoltà erano già venute a galla. E così Andrea ha pensato che
mentire per «prendere tempo» fosse una buona soluzione. «Tanti
compagni non ricordano di portare la colla, i pastelli. Così anche
io ho finto di essere smemorato: ho detto di aver dimenticato
l'album, la professoressa non sa che non ce l'ho proprio. Ma era
troppo difficile dirle la verità, mi vergognavo. Ho mentito ma mi
sembrava che tutti sapessero», confida alle educatrici dello Spazio
Libellula, dell'omonima Fondazione a Milano, che frequenta da circa
un anno per le attività di potenziamento didattico. «Un giorno lo
abbiamo visto triste, malinconico: non era da lui. È un bambino
solare, socievole. Sempre disponibile e partecipe», racconta Marzia
Scuderi, responsabile sviluppo e gestione dei progetti di cura della
Fondazione. «Ci ha raccontato quello che era accaduto in classe. Ci
ha sorpreso perché non avremmo mai immaginato che dietro un bimbo
così sereno si nascondessero disagi così importanti».
La maturità di Andrea è tale che la sua preoccupazione va
all'indomani: «Oggi ho detto di aver lasciato l'album a casa, ma
come farò domani?», è il suo drammatico interrogativo.
A 11 anni, infatti, gli è già piuttosto chiaro quello che accade
intorno. La famiglia ha iniziato un percorso di consapevolizzazione,
soprattutto dopo che la mamma, che lavorava come cameriera, ha perso
il lavoro a causa della pandemia. Dopo il covid è nata l'ultima
figlia e siccome fino a tre anni il nido non è gratuito, quello che
lei guadagnava con il part time veniva speso interamente in baby
sitter e asilo. Così ha deciso di lasciare per dedicarsi alla cura
dei figli. Da allora, la famiglia di Andrea è monoreddito. Il papà
lavora come operaio in una piccola impresa ma il carovita non lascia
molto scampo a chi, con quattro figli, cerca di garantire loro una
educazione «corretta e dignitosa». Quelle piccole mancanze a scuola
«cominciavano a incidere sul rendimento di un bambino intelligente,
studioso… uno che è bravo da far copiare pure gli esercizi agli
amici», dice ancora Scuderi.
Dopo la "confessione" di Andrea le educatrici cercano un contatto
con la famiglia per approfondire la situazione. L'imbarazzo è
dominante in quell'incontro in cui - prima di aprirsi e raccontare
la cruda realtà delle cose - l'istinto è quello di chiudersi in se
stessi e cercare di serbare la dignità. «Alla fine - spiega Scuderi
- hanno capito che volevamo aiutarli. La mamma di Andrea ci conosce,
frequenta i corsi di educazione emotiva genitori-figli con i più
piccoli. Così hanno accettato di raccontarci». Le difficoltà non
riguardavano solo Andrea ma anche l'altro fratello, che frequenta le
elementari. Lì i libri di testo vengono forniti dalla scuola ma a
diventare di difficile gestione è la narrativa da leggere a casa,
durante le vacanze. «La mamma di Andrea ci ha raccontato che negli
anni scorsi si accordavano con la biblioteca per prendere i testi in
prestito»: ma a che prezzo? Quello di una lettura con il cronometro
alla mano senza poi la garanzia di ritrovarli a settembre, per le
lezioni in classe.
Grazie all'aiuto delle educatrici, ad Andrea e ai suoi fratellini è
stato fornito un "kit scolastico di emergenza" ad anno iniziato.
«Quando lo abbiamo convocato con i suoi per dirgli che avevamo una
sorpresa per lui, ci ha guardati perplesso. Poi, vedendo
quell'album, i suoi occhioni marroni si sono illuminati ed è tornato
l'Andrea di sempre».
Ma la povertà materiale ed educativa, colpisce molti bambini: oltre
ad Andrea: secondo i dati di Save the Children, quasi un adolescente
su quattro, il 23,9%, inizia l'anno scolastico senza aver potuto
acquistare tutti i libri e il materiale scolastico, 1 adolescente su
10 vive in condizioni di grave deprivazione materiale e più di un
adolescente su 4 che vive in questa condizione pensa che non
riuscirà a finire la scuola e sarà costretto ad andare a lavorare.
Le gite scolastiche sono un obiettivo irraggiungibile per il 24%
degli studenti, così come i corsi di lingua per il 17,4%.
«La storia di Andrea e di tanti come lui ci ha fatto capire quanto
sia necessario un aiuto ai genitori. - spiegano dalla Fondazione
Libellula - Per questo ci è venuta l'idea delle donazioni di kit
scolastici. Un modo per supportare le famiglie in difficoltà, con un
piccolo gesto in forma anonima».
Affinché sempre meno bambini debbano fingersi smemorati.
SOTTOSTIMA FINORA:Gtt, aggressioni in aumento: 57 da inizio
anno
Aumentano le aggressioni ai danni degli autisti Gtt e dei
passeggeri: secondo il report presentato ieri in Comune, durante la
Commissione Trasporti, nei primi sei mesi dell'anno, si contano 57
episodi. Numeri in leggera crescita rispetto allo stesso periodo del
2023, quando se ne erano verificati 54.
«Gli eventi di aggressione - si legge nel documento - non hanno una
concentrazione in punti precisi della città, sono distribuiti sul
territorio». Ma c'è una linea, la 4, che dai dati risulta più
esposta delle altre: nel 2024 si sono verificati 10 episodi di
aggressione, contro i 9 dell'anno precedente.
Come illustra il report, il sistema di videosorveglianza diffuso si
conferma uno dei più efficaci deterrenti per questi reati: ad oggi
risultano essere dotati di telecamere a bordo 118 tram su un totale
di 181 (65,1%), 628 bus urbani su 730 (86%) e 224 bus extraurbani su
295 (75,9%). «Con il rinnovo del parco autobus e tram - annunciano
da Gtt - si prevede l'incremento dei mezzi dotati di telecamere di
nuova generazione più affidabili dei vecchi sistemi».
Da inizio anno sono stati controllati 6.793 passeggeri con servizi
coordinati con carabinieri e polizia, oltre ai 5.760 nell'ambito del
progetto Linea Sicura in collaborazione con la polizia municipale. —
02.08.24
UCCIDENDO GESU' HANNO ACQUISITO DA SATANA LA Licenza
di uccidere nel mondo Per i pochi come me che ancora credono che l'omicidio
volontario sia una delle peggiori fattispecie di reato e che la
punizione dei colpevoli passi non per la vendetta ma attraverso le
faticose procedure di tribunali dibattimenti e sentenze, è stato
motivo di stupore la lettura delle definizioni attribuite alla
operazione del Mossad a Beirut e poi ancor più fragorosamente a
Teheran. Il duplice omicidio è «l'episodio», «l'eliminazione», «la
risposta», «il messaggio», «l'avvertimento» e via così metaforando.
Filtra una non troppo contenuta ammirazione per il doppio colpo
messo a segno dal Servizio Omicidi di Netanyahu. Confessiamolo con
devozionale raccapriccio: il killer con licenza governativa di
uccidere è diventato un eroe del nostro tempo, maturano condizioni
per le maniere forti. La caccia all'uomo, la imboscata risolutiva,
la vendetta realizzata in un attimo: tali pratiche esentate da
cautele legalistiche non suscitano più scandalo. Israele in
particolare le ha imposte come pratica abitudinaria, ne ha fatto una
scienza, le ha normalizzate. Anzi: ho sentito ieri lodare perché a
Teheran, con grande abilità operativa, si sono evitati sgradevoli
effetti collaterali, ovvero spedire agli inferi con il condannato a
morte anche ignari inquilini e passanti. Fatto così va bene:
bisognerà aggiornare il codice penale internazionale.
Le due operazioni sottolineano un'altra novità, rispetto alle epoche
primitive in cui "far fuori'' esigeva infiltrazioni di agenti in
luoghi ostili, pedinamenti faticosi, veleni, cariche di tritolo da
affiggere a vetture e appartamenti, armi portatili dotate di
silenziatore. Stiamo sul terra terra: il drone ha apportato
straordinarie ed economiche possibilità. Un assassino silenzioso e
invisibile guidato a distanza da mani sapienti vola sul bersaglio e
il terrorista evapora in una spettacolare esplosione. Nessuna
necessità di mettere in salvo gli esecutori, in fondo nessuna
traccia. Chi deve sapere capisce. Si può perfino far finta di
niente, tacere.
Dunque. Il Mossad come descriverlo? Guerrieri senza nome, identità
fittizie, la guerra delle ombre, sabotaggi a centrali atomiche e
ecatombi di terroristi, scienziati sospetti, nemici di Israele
generici, operazioni spettacolari e clamorose sconfitte come il 7 di
ottobre. Ah, dimenticavo: anche loschi commerci, traffici di armi,
bugie, delitti per errore. Gli agenti della guerra fredda
occidentali e sovietici sapevano se scoperti di avere una
possibilità, prima o poi sarebbero stati scambiati con colleghi
dell'altra parte o con refuznik e dissidenti: un ponte a Berlino,
nebbia, silenzio. Pagina chiusa. Pensione. Nelle guerre del Mossad
non ci sono prigionieri, si paga, cacciatore o preda, con la vita. E
poi: con una organizzazione che è costruita per la segretezza e
l'inconfessabile, come si individua il vero dal falso, la leggenda
creata ad arte e il buio su malefatte ed errori?
Proviamo isolando due personaggi, una leggenda e un protagonista
della sua parte oscura, vergognosa. Il primo è Meir Dagan
considerato il più grande ramsad, capo del Mossad della storia.
Quando Sharon lo chiamò nel 2002 a dirigere il Servizio era un
generale in pensione che si dedicava nella sua casa in Galilea alla
tavolozza di pittore dilettante. Eppure i trentanni precedenti della
sua vita erano stati una spettacolare overture per questo destino.
Lo chiamavano l'uomo dell'ombra, il creatore di Rimon il primo
commando israeliano clandestino. Se non lo conoscevi era solo un
ufficiale che zoppicava leggermente per aver calpestato una mina
nella Guerra dei sei giorni. La sua unità sulle carte non esisteva
perché doveva combattere a Gaza i terroristi con operazioni "non
convenzionali''. Dicono girasse per le viuzze letali della città con
un bastone, un doberman al guinzaglio e un arsenale di mitra e
pistole: «Ci sono degli arabi cattivi che vogliono ammazzarci -
sintetizzava - il nostro dovere è ammazzarli per primi». Non si
sente già una più vasta filosofia? Il commando omicida di Arik
dicono la applicasse liquidando gli arrestati a sangue freddo: «ti
diamo due minuti, se ce la fai a fuggire sei vivo...» e poi arrivava
il colpo di pistola. Oppure si fingeva di dimenticare un coltello,
l'arrestato lo prendeva e si sparava a vista. Scene che sembrano
rubate dai western di serie B. «Leggende» negava lui: «In una guerra
come la nostra il confine tra lecito ed illecito tende ad
annullarsi, per questo devono essere gli uomini più onesti a farsi
carico delle azioni più sporche…». Potrebbe essere il motto del
Mossad. Gaza per un po' fu un posto quasi tranquillo e Sharon
commentava, in estasi: la specialità di Meir è far saltare le teste
degli arabi...
Quando lo chiamarono a dirigere il Mossad l'organizzazione era in
crisi, urgeva sistemar le cose. Soprattutto la macchia del fallito
tentativo di uccidere ad Amman uno dei leader di Hamas, nel 1996.
Bisognava vendicare un attentato a Gerusalemme, due kamikaze in un
mercato, sedici morti. Il capo di Hamas aveva passaporto americano,
possibili i guai con Washington. Bersaglio più disponibile era
Khaled Meshal, leader di prima schiera, bell'uomo, ingegnere
informatico, casa e ufficio ad Amman quindi a portata di mano. Le
operazioni in Giordania erano vietate per opportunità politica ma il
premier Netanyahu, già lui!, decise che valeva la pena. «Operazione
discreta!'» raccomandò e anche questo dice molte cose. Si pensò così
di usare il veleno, preparato dall' istituto di biologia di Ness
Ziona. Poche gocce sulla pelle e non c'era scampo, non lasciava
tracce neppure all'autopsia. Già sperimentato con Wadid Addad. uno
dei capi del Fronte di liberazione della Palestina, ucciso con una
scatola di cioccolatini alla crema. L'agguato fu un disastro, i
malaccorti killer arrestati, Netanyahu dovette scusarsi con il re.
Il nemico preferito di Dagan fu il progetto nucleare iraniano. Le
sue vittime principali gli scienziati. Come il dottor Masur
Mohammadi esperto di fisica quantistica. Biografia in realtà
misteriosa tra le voci che lo volevano un pasdaran fanatico e chi
diceva fosse solo un teorico innocuo e perfino vicino ai dissidenti
del regime. Alle 7.50 in punto del 12 gennaio 2010 non c'era più
tempo per i distinguo. Il professore uscì di casa in via Shatiati,
zona nord di Teheran, per andare al laboratorio. Quando inserì la
chiave l'auto saltò in aria. Almadinejad, allora presidente, non
ebbe dubbi: tipico metodo sionista.
Un nome che il Mossad non mette di certo tra i busti degli eroi è
Michail Hahari, capo delle squadre di killer che setacciavano
l'Europa per eliminare bersagli palestinesi. Dopo l'attentato di
Monaco i suoi agenti uccisero per sbaglio in Norvegia un cameriere
marocchino scambiandolo per uno dei capi di Settembre nero. Peccato
veniale, se non fosse stato aggravato dal farsi arrestare. Lo
punirono mandandolo a dirigere "le operazioni'' in America Latina.
Fu lì che divenne amico del dittatore Manuel Antonio Noriega, "un
amabile mascalzone'', come lo definiva la Cia, altra agenzia di
spregiudicati che gli pagava i sudici servizi 200 mila dollari
l'anno. Con lui Harari fece buoni affari, da commesso viaggiatore di
armi israeliane per 500 milioni di dollari. Lo chiamavano signor
sessanta per cento, con le armi viaggiava la coca colombiana, gli
americani sapevano ma tacevano, le armi andavano anche ai contras.
Quando i marines perquisirono il suo appartamento Harari era già a
casa, a Tel Aviv. —
IL NUMERO CHIUSO DEI MEDICI
Senza
Paolo Russo
Di infermieri sicuramente ne mancano ancora di più, circa 70mila
dicono le stime del loro ordine, ma una cosa è sicura: senza medici
che visitano, refertano, eseguono tac, risonanze e altri
accertamenti complessi abbattere le liste d'attesa resta un'utopia.
Lo sa bene il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che proprio
oggi andrà a battere cassa al collega dell'Economia Giorgetti,
chiedendogli almeno un miliardo in più per detassare gli stipendi e
assumere.
Due modi per arginare la grande fuga di 6.000 giovani l'anno dalle
scuole di specializzazione e di altri 4.000 che si sono addirittura
licenziati nel 2023 per andare all'estero o approdare al privato,
che paga più o meno uguale del pubblico ma senza imporre turni di
lavoro massacranti. E magari lasciando più tempo alla remunerativa
libera professione. Se a questo aggiungiamo la cattiva
programmazione dei posti in medicina che non sta facendo trovare
giovani sostituti ai vecchi dottori che vanno in pensione, ecco
arrivati a un buco nero di circa 25 mila camici bianchi mancanti,
che se si aggiungono quelli di famiglia sfiorano il tetto dei 30
mila. Una carenza destinata ancora a crescere di qualche migliaio
perché la gobba pensionistica delle uscita toccherà l'apice nel
2026. Così tra ancora troppi pochi giovani attratti dalle specialità
più usuranti, medici in fuga dal servizio pubblico e specializzandi
che potrebbero dare una mano in corsia, ma che i "baroni"
universitari continuano a tenere legati al guinzaglio, pensare di
ridurre le liste di attesa sembra oggi un miraggio. «Di medici ne
servono 50mila - spara alto in una intervista di qualche giorno fa a
La Stampa il governatore veneto Luca Zaia -, ma il problema è che i
concorsi vanno deserti perché c'è stata una sbagliata programmazione
del numero chiuso».
«Lettura del problema vera solo in parte - replica Pierino Di
Silverio, segretario nazionale del più importante sindacato dei
medici ospedalieri Anaao -, perché i concorsi vengono sì spesso
snobbati, ma la cattiva programmazione è stata quella dei posti
nelle scuole di specializzazione, perché dalle Facoltà di medicina
di giovani ne sono sono usciti a sufficienza». Per questo il
sindacato, così come l'Ordine dei medici, è contrario
all'abbattimento del numero chiuso, che a loro avviso da qui al 2032
rischia di generare un problema inverso: quello di una pletora
medica, ossia di disoccupati. I conti li ha fatti l'Anaao. Dopo il
2027 la curva pensionistica sarà in netto calo, mentre le scuole di
specializzazione dopo i forti incrementi dei posti disponibili, pur
considerando quelli che andranno deserti, sforneranno 32mila medici
in più rispetto a quelli che nel frattempo appenderanno il camice al
chiodo. «Anche se bisogna considerare la variabile impazzita degli
ultimi anni, ossia la crescita esponenziale del numero di medici che
per cause varie lasciano anzitempo il servizio pubblico, 4.288 solo
nell'ultimo anno», rivela Di Silverio. Per il quale però far saltare
oggi il numero chiuso a medicina creerebbe solo uno stuolo di
disoccupati da qui a dieci anni, «mentre l'emergenza è ora e si
affronta rendendo nuovamente attrattiva la professione e
utilizzando, come avviene in larga parte d'Europa, i giovani
specializzandi». Già dal 2018, in base al "decreto Calabria" si
sarebbero potuti utilizzare nei reparti dietro la supervisione di un
tutor, se solo le Università l'avessero concesso. L'ultimo ostacolo
al loro utilizzo lo ha alzato una circolare del Miur dell'8 luglio,
che dopo la conquista di poter formare gli specializzandi facendoli
lavorare anche in una struttura non universitaria, ora fa un passo
indietro, reintroducendo l'esame di fine anno da parte delle stesse
Università. Come a dire che 25 mila specializzandi continueranno ad
essere bloccati. E nel frattempo in Parlamento si è arenato e
rischia di decadere il decreto che avrebbe dovuto far debuttare già
nell'anno accademico 2025-2026 la riforma dell'accesso programmato
alle Facoltà di medicina, imperniata su un primo semestre aperto a
tutti gli aspiranti "camici bianchi" e lo sbarramento spostato
all'inizio del secondo.
Intanto, però, c'è da convincere i giovani a riaffezionarsi a quelle
specialità mediche ritenute da sempre fondamentali, ma con le quali
si fa poca attività privata. I dati elaborati dall'Anaao dicono che
il 78,3% delle borse di studio per microbiologia e virologia non
sono state assegnate o i posti sono stati abbandonati, percentuale
che è del 70,2% per patologia clinica, 67,7% per radiologia, 60,7%
per medicina di emergenza e urgenza, 54,7% nella medicina nucleare.
Al contrario fanno il pieno le scuole di dermatologia, oftalmologia
e chirurgia plastica, dove il business è assicurato. Per questo
Schillaci vorrebbe incentivare economicamente soprattutto le
specialità meno attrattive.
Nel frattempo, è guerra aperta tra le Asl, pronte a offrire di tutto
pur di strappare la firma di un dottore sul contratto. All'Elba,
come un po' in tutte le piccole isole, i medici non voglio andare,
così una delibera offre loro ombrellone, biglietti del cinema,
sconti in palestre, ristoranti ed autonoleggi, più incentivi
economici. Venezia assicura lo studio gratis ai medici di famiglia
mentre per le zone montane del Veneto c'è un bonus di quasi 8.000
euro. E in Piemonte il nuovo ospedale di Alba-Bra mette a
disposizione vitto e alloggio ai medici specializzandi. Sempre che
l'Università molli l'osso. —
ED EMANUELA ORLANDI ? "Insabbiò il dossier su mafia e appalti"
Indagato Pignatone
riccardo arena
caltanissetta
A rileggere le cronache di un paio di decenni fa, a rivedere gli
scontri interni alla Direzione antimafia di Palermo tra «caselliani»
e «grassiani», sostenitori dei due procuratori succeduti al più che
discusso Pietro Giammanco, si rimane sorpresi per il fatto che oggi
a Caltanissetta siano indagati insieme Gioacchino Natoli -
considerato tra i fedelissimi di Gian Carlo Caselli - e Giuseppe
Pignatone, mente giuridica che nel capoluogo siciliano aveva
«assistito» una serie di procuratori, da Salvatore Curti Giardina a
Giammanco, fino a Piero Grasso. Nemici ai tempi della Dda, indagati
insieme ora a Caltanissetta per avere insabbiato il rapporto «Mafia
e appalti», quel dossier quanto mai voluminoso che i carabinieri del
Ros ritenevano la possibile madre di tutte le inchieste. Mentre
invece in procura le diverse anime, che pure fra loro erano rivali,
lo consideravano più o meno carta straccia.
Pignatone ieri è stato interrogato dai pm del pool guidato da un suo
ex allievo, Salvatore De Luca. L'attuale presidente del Tribunale di
Città del Vaticano si è prudentemente avvalso della facoltà di non
rispondere: e del resto la prudenza, l'avvedutezza, la moderazione e
la cautela sono sempre stati il tratto distintivo dell'ex
procuratore aggiunto di Palermo, poi divenuto capo dei pm di Reggio
Calabria e di Roma, dove è ricordato soprattutto per «Mafia
Capitale», ma non solo. Agli ex colleghi nisseni, Pignatone (in
pensione in Italia dal 2019), ieri ha però detto solo di dichiararsi
innocente rispetto all'ipotesi di favoreggiamento aggravato che
viene contestata a lui e a Natoli. Ipotesi che parte da alcuni atti
ritrovati dal legale di parte civile della famiglia Borsellino
(l'avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia e genero di Paolo
Borsellino) ai processi per la strage di via D'Amelio e per il
depistaggio delle indagini: carte e intercettazioni spedite dalla
procura di Massa Carrara nel 1991, che evidenziavano ante litteram i
rapporti tra i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, proprietari di
cave, palazzinari e capimafia di Passo di Rigano e il Gruppo
Ferruzzi Gardini, coinvolgendo anche Lorenzo Panzavolta e Giovanni
Bini. Le intercettazioni erano state ritenute irrilevanti da Natoli
che, nel chiedere e ottenere l'archiviazione del caso, ne aveva
chiesto la distruzione. Una parte poi sono state trovate nei mesi
scorsi, anche su indicazione dello stesso allora sostituto. I
magistrati di Caltanissetta non la pensano come Natoli e parlano di
«formidabili riscontri» alle indagini. Per questa parte è iscritto
nel registro anche il generale della Guardia di Finanza - trentatré
anni fa capitano - Stefano Screpanti. Fra le intercettazioni
comunque ce ne sono un centinaio mai trascritte. Il dossier «Mafia e
appalti» aveva trovato il consenso di Borsellino: convinto, dopo
Capaci, che potesse essere quella la chiave per scoprire gli
assassini del suo amico Giovanni Falcone.
01.08.24
Kj1, l'orsa assassinata DAGLI ELETTORI DI SALVINI :
L'ordinanza di abbattimento dell'orsa Kj1 è stata reiterata nel
tardo pomeriggio, quando sarebbe stato impossibile impugnarla di
nuovo (era già accaduto due volte) e quando nessun Tribunale avrebbe
potuto agire. L'orsa è stata poi assassinata durante la notte, a
testimonianza che i «sicari» erano già stati allertati e che solo
una fretta omicida e vendicativa guidava le decisioni. Agendo di
nascosto, approfittando del favore delle tenebre per evitare
eventuali controrisposte istituzionali, il Presidente della
Provincia Autonoma di Trento e della Regione, il dottore
commercialista Maurizio Fugatti, raggiunge il suo unico obbiettivo,
uccidere gli orsi secondo il programma provinciale che prevede
l'abbattimento di otto individui l'anno. Non ci sono parole per
esprimere compiutamente l'orrore e il dolore per questa esecuzione e
per le altre che l'hanno purtroppo preceduta, però facciamo nostre
quelle del Ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin: «l'uccisione non
è mai una soluzione», e partiamo da qui.
Prima di tutto perché è stata uccisa l'orsa Kj1? Ufficialmente
perché l'amministrazione locale (Ispra ha smentito la sua
approvazione e ha parlato di misura politica) la riteneva un'orsa
pericolosa, in ragione di un'ultima sua reazione contro un turista
francese e di almeno 11 incontri ravvicinati con i sapiens (11, va
detto, in 22 anni, in media uno all'anno): un animale troppo
confidente, che rischiava di avere una familiarità eccessiva con gli
uomini. Alla stessa maniera, a inizio anno, era stato abbattuto M90,
a causa di alcuni «inseguimenti intenzionali» (due) e dodici
«avvicinamenti ai centri abitati e alle case», fatti ritenuti
sufficienti per decretare l'esecuzione di un animale selvatico reo
di aver fatto l'animale selvatico. In questo, come nell'altro caso,
nessun esito fatale per i sapiens, ma in questo, in più, la ragione
dirimente dei cuccioli: Kj1 era una mamma in giro con i suoi
piccoli, che avranno difficoltà a sopravvivere e resteranno comunque
traumatizzati. C'erano comunque soluzioni alternative alla pena
capitale? Certamente, a iniziare dalla deportazione degli individui
«problematici» in altre zone disposte ad accoglierli, o la
sterilizzazione, non certo la prigionia in gabbioni angusti e
improbabili che portano solo alla follia e alla morte. Alternative
valide se i veri motivi dell'esecuzione non fossero, in realtà, la
vendetta e il calcolo politico.
Ma prima di queste considerazioni, l'uccisione proditoria dell'orsa
è condannabile per una ragione di fondo: il progetto europeo Life
Ursus è stato accettato (e finanziato) senza alcuna opposizione,
neanche da parte dell'attuale presidente scanna-orsi. Prevedeva
l'attuazione di una serie di misure precauzionali che vanno dai
cassonetti per i rifiuti anti-intrusione ai cani da guardiania
all'educazione della popolazione: quasi nulla è stato fatto in
termini di prevenzione e questa è una gravissima responsabilità
degli stessi amministratori comminatori della pena capitale. Come si
possono accogliere progetti di ripopolamento dei grandi carnivori e
poi pretendere che gli orsi si comportino come Yoghi e non
respingano chi si avvicina troppo ai propri cuccioli? Amministratori
ipocriti che non hanno il coraggio di sostenere che l'unico orso
buono è quello ucciso (e magari mangiato…) e che non riescono a
assicurare una convivenza fra sapiens e fauna selvatica. Hanno
voluto gli orsi, poi, se questi fanno gli orsi, li abbattono
adducendo ragioni incomprensibili di una sicurezza dei cittadini,
che non viene certo minacciata, e nascondendo motivi più oscuri, ben
visti da cacciatori, agricoltori e allevatori: gli uomini si ergono
al vertice di una piramide su cui nessuno li ha mai messi. E
pretendono di decidere della vita di altri individui, anche se non
umani. Individui, esattamente come noi.
Un tempo non eravamo a conoscenza del mondo interiore dei viventi
non umani: davamo quasi per scontato che non ci fosse o che si fosse
atrofizzato, chissà perché, a un livello inferiore. Sì, gli animali
domestici mostrano comportamenti e reazioni vicine alle nostre, ma
da qui ad attribuire loro un sentire paragonabile al nostro ce ne
passava. Questa la ragione principale per cui giustifichiamo i
macelli, le sperimentazioni, le cavie, le indicibili sofferenze, gli
abbandoni, le torture, le angherie e le crudeltà sugli animali:
perché dovremmo preoccuparcene? Mica sono uomini, diciamo. Gli
ultimi studi nel campo dell'etologia stanno dimostrando che questa
situazione non ha alcun diritto di cittadinanza scientifica: gli
animali non umani hanno le stesse emozioni dei sapiens, possono
esserci differenze «nei dettagli, nelle elaborazioni, nelle
applicazioni e nelle intensità» (per citare le parole di uno dei
protagonisti di questa vera e propria rivoluzione delle conoscenze
etologiche, Frans de Waal, recentemente scomparso). Tutte le
emozioni a noi familiari (rabbia, invidia, gelosia, delusione
eccetera) si ritrovano, in un modo o nell'altro, in tutti gli
animali. Tutti.
Se questo è vero (come testimoniato anche da Marc Bekoff e Jane
Goodall) l'uccisione di un animale colpevole di comportarsi come
tale e giudicato dai sapiens con i loro parametri non ha alcun
senso, meno di quanto ne abbia la condanna a morte di un uomo che si
sia macchiato di orrendi reati. E sarebbe il caso che anche nelle
amministrazioni locali si prendessero in considerazione le
conclusioni dell'etologia moderna, ad oggi l'unica possibile sul
campo, per modificare le loro «vecchie» convinzioni su eventuali
problematicità di orsi e lupi. Un animale selvatico «sente» proprio
come noi, ha il suo carico emozionale, la sua personalità, è un
individuo formato e in continua interazione con il suo mondo, un
mondo che noi abbiamo invaso sconvolgendone gli equilibri e
pretendendo che tutti gli altri viventi si adattino al nostro modo
predatorio di gestire le cose.
Un tempo i sapiens deificavano gli altri animali: perciò esistono
stelle che hanno poi preso il nome di Orsa Maggiore e Minore, e
guardiamo verso un cielo settentrionale che ancora oggi si chiama
artico, cioè vicino all'orso. I sapiens avrebbero un compagno di
strada nell'orso, come il caso abruzzese dimostra: nessun incidente
a memoria d'uomo, molti turisti, convivenza pacifica. E potrebbero
sviluppare un'economia sostenibile attorno a quelle specie-bandiera
che le persone amano, come lupi e orsi. Se le massacriamo in nome di
un diritto che è destituito di ogni fondamento biologico non
facciamo un buon servizio ecologico, ma nemmeno economico né sociale
e dimostriamo che il nome che ci siamo auto attribuiti non è valido
per tutti. La violenza è sempre l'ultimo rifugio degli incapaci.
le auto in vendita da settembre
Da Shanghai verso nove Paesi europei Parte il primo lotto di veicoli
Leapmotor È salpata da Shanghai, verso i porti europei, il primo lotto
di veicoli elettrici Leapmotor International: i Suv C10 e le auto
T03. Si tratta di una tappa importante per la joint venture tra
Leapmotor e Stellantis e, come spiega il ceo Carlos Tavares, «segna
una svolta cruciale» perché «dimostra la nostra volontà di offrire
soluzioni di mobilità innovative e sostenibili». L'intenzione è
incrementare il numero di punti vendita di veicoli Leapmotor in
Europa dai 200 del 2024 a 500 entro il 2026. Nei prossimi tre anni è
prevista la commercializzazione di almeno un modello all'anno.
Chiesto il giudizio immediato per Toti, Spinelli e Signorini
Marco Fagandini
Genova
Per la Procura le prove raccolte sono granitiche e numerosissime.
Capaci insomma di rendere evidente un modus operandi che, secondo
gli inquirenti, era votato all'interesse personale anziché a quello
pubblico. E per questo ieri i pm genovesi hanno depositato la
richiesta di giudizio immediato nei confronti di Giovanni Toti, ex
presidente della Regione Liguria, dell'imprenditore Aldo Spinelli e
dell'ex presidente dell'Autorità portuale genovese, nonché ex
amministratore delegato di Iren, Paolo Emilio Signorini. Tutti
accusati di corruzione e l'ex governatore anche di finanziamento
illecito. Arrestati il 7 maggio scorso nell'ambito dell'inchiesta su
quello che, per gli investigatori, era il sistema corruttivo che
aveva avvelenato Regione e porto.
La giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni avrà ora
cinque giorni per decidere sulla richiesta di immediato, un processo
che evita la fase dell'udienza preliminare per passare direttamente
al dibattimento, accelerando i tempi. Qualora, cosa che pare
probabile, dovesse dare il via libera, i tre indagati avranno altri
15 giorni per richiedere eventuali riti alternativi. Come un
patteggiamento o l'abbreviato, capaci di assicurare sconti di pena.
Ieri i difensori di Toti e Spinelli hanno escluso questa
possibilità. Mentre i legali di Signorini non si sono sbilanciati.
È l'elenco delle fonti di prova, per i pm Luca Monteverde e Federico
Manotti, a rappresentare l'elemento definitivo che giustificherebbe
un processo da avviare senza indugi.
Comincia dalle 28 informative prodotte dal nucleo di polizia
economico-finanziaria della Guardia di finanza che nel tempo hanno
cristallizzato le condotte ritenute illecite. I soldi che Spinelli è
accusato di aver assicurato al movimento politico di Toti in cambio
del suo interessamento per garantirgli favori in porto. E i regali
che sempre Spinelli, sostengono i finanzieri, ha ripetutamente fatto
a Signorini, per assicurarsi anche i suoi servigi per quelle
pratiche. Ancora, il pressing di Spinelli sull'ex presidente
regionale per ottenere l'uso esclusivo della spiaggia di Punta
Dell'Olmo, così da accrescere il valore del proprio complesso
immobiliare.
Nell'ultima informativa poi, i Finanzieri hanno ricostruito con
ancora maggiore precisione la corruzione che, per i pm, si annida
dietro alla vicenda Esselunga. Toti è accusato di aver velocizzato
le pratiche per l'apertura di nuovi punti vendita assieme al suo ex
capo di gabinetto Matteo Cozzani, in cambio di una serie di spot per
la sua lista di candidati alle comunali e alle politiche 2022.
Pagati, per chi indaga, da Esselunga per volere del suo ex manager
Francesco Moncada. E trasmessi sul maxi schermo gestito dall'editore
di Primocanale Maurizio Rossi. Signorini infine, per i pm, si è
fatto corrompere anche dall'ex presidente dell'Ente Bacini Mauro
Vianello.
I magistrati hanno inserito nella richiesta le trascrizioni di 35
interrogatori di testimoni ritenuti cruciali. Così come l'analisi di
44 dispositivi elettronici sequestrati il 7 maggio, fra cellulari,
tablet, computer e memorie informatiche. Infine le intercettazioni:
trenta pagine che contengono il semplice elenco di quelle ritenute
importanti dalla Procura.
Ecco, lo scenario appena delineato vale per i tre indagati di cui
sopra. Nei confronti dei quali il processo, salvo bocciatura della
richiesta, potrebbe iniziare già a metà ottobre.
Restano da definire invece tutte le altre posizioni. Cozzani,
Moncada, Vianello e il figlio di Aldo Spinelli, Roberto, sono
indagati per corruzione. Rossi per finanziamento illecito. Ma lo
stesso Toti deve rispondere, assieme a Cozzani, ai consiglieri
regionali Stefano Anzalone e Domenico Cianci, al consigliere
comunale Umberto Lo Grasso e ad altri, anche dell'accusa di voto di
scambio. —
La consigliera del Csm indagata per rivelazione di segreto non
intende lasciare. Ma Meloni spinge per il passo indietro
Natoli convocata in Procura a Roma FdI si spacca sull'ipotesi
dimissioni
IRENE FAMà
ROMA
L'ultimo scandalo che ha colpito palazzo Bachelet rischia di
diventare un terremoto politico. Tra chi vuole che Rosanna Natoli
lasci il Consiglio Superiore della magistratura e chi invece la
spinge a restare al suo posto. Lei, consigliera laica del Csm in
quota Fratelli d'Italia finita al centro di uno scandalo per
violazione di segreti per aiutare una giudice, non pensa di lasciare
l'organo di autogoverno delle toghe. Almeno così racconta chi la
conosce bene. Ostinata, dicono, prova a rimanere nel Plenum.
Nonostante la procura di Roma, diretta dal procuratore capo
Francesco Lo Voi, l'abbia indagata per violazione di segreto
d'ufficio e abuso d'ufficio. Oggi i magistrati di piazzale Clodio
l'hanno convocata per fare chiarezza sulla questione. Molti pensano
che non si presenterà, ma nessuno ne ha la certezza.
Dimissioni? Nemmeno a pensarci. Posizione che avrebbe aperto una
spaccatura all'interno di Fratelli d'Italia. Raccontano che la
premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano
vorrebbero che Natoli facesse un passo indietro. Contrarissimo, si
vocifera, il presidente del Senato Ignazio La Russa. Il legame tra i
due è cosa nota. Entrambi di Paternò, la consigliera deve a lui la
sua ascesa alla Capitale dalla vita del comune in provincia di
Catania che conta 48 mila abitanti. Ignazio La Russa aveva fatto il
suo nome. E, a gennaio 2023, il Parlamento la votò tra i quattro
laici.
Questo il fronte politico. Poi c'è quello interno al Csm. Natoli ora
risulta iscritta nel registro degli indagati e il comitato di
presidenza può attivare la procedura di sospensione. Preparare
un'istruttoria, in cui si riassume la faccenda, e presentarla al
Plenum. E il Csm, a scrutinio segreto e con una maggioranza dei 2/3,
potrebbe votarne la sospensione. Una procedura, spiegano i ben
informati, mai attivata nella storia del Consiglio Superiore della
magistratura. Nemmeno per le trame che avevano travolto Luca
Palamara, il più giovane presidente dell'associazione nazionale
magistrati.
Il primo Plenum, dopo la pausa estiva, è previsto l'11 settembre. E
l'istruttoria dev'essere depositata entro il 4 settembre.
Tra i corridoi di palazzo Bachelet però circola una suggestione.
Ieri il comitato di presidenza si è riunito. Ma, dopo qualche ora,
non è arrivata la tradizionale email con il resoconto dell'incontro.
Ed è di qualche giorno fa l'incontro tra il presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, che è a capo del Consiglio Superiore
della magistratura, e il suo vice al Csm Fabio Pinelli. Un colloquio
di quaranta minuti, durante il quale il Presidente non avrebbe
nascosto di essere piuttosto sconcertato per la vicenda.
L'incontro sotto accusa tra Natoli e la giudice catanese Maria
Fascetto Sivillo, alle spalle dei guai giudiziari e ora sotto
inchiesta disciplinare, avviene nel novembre 2023 a Paternò. «Mi
sono presa sto processo perché lei è amica dei miei amici. E questa
situazione la dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una mano»,
diceva la consigliera. Dispensando pareri e raccomandazioni. Non
potrebbe farlo. Lo sa bene. E lo dice chiaro: «Sì, sto violando il
segreto».
E la procura sottolinea: «Ha rivelato notizie che sarebbero dovute
rimanere segrete, in particolare quelle relative allo svolgimento
della Camera di consiglio dopo l'audizione» della magistrata.
Sivillo registra il colloquio. Il suo avvocato, il legale Carlo
Taormina, lo rende pubblico due settimane fa durante la seduta della
commissione disciplinare. Sconcerto. La magistrata catanese si
sarebbe alzata in piedi: «Ho delle gravi cose da raccontare».
Pennetta usb depositata. E pure le centotrenta pagine di
trascrizione del colloquio.
Natoli, raccontano, a quel punto si è alzata in piedi e ha
annunciato le sue dimissioni dal Consiglio di disciplina. Quelle dal
Csm non sono ancora arrivate. Pure se, spiegano, potrebbe inviarle
anche solo via email. In questo caso, però, gli equilibri in gioco
sono diversi e delicati.
Da Palazzo Bachelet, la registrazione di quel colloquio finisce in
procura a Roma. Natoli indagata. Parallelamente, i magistrati romani
hanno aperto un fascicolo, senza indagati né ipotesi di reato, dopo
la denuncia presentata dall'avvocato Taormina in cui ipotizzava il
falso contro la sezione disciplinare del Csm. Il penalista aveva
ricusato l'intera commissione disciplinare: ieri mattina la
richiesta è stata respinta. —
"Il nemico delle gare nel fiume è la pioggia servono fino a 48 ore
perché torni pulito"
PARIGI
«Alle Olimpiadi di Parigi il nemico delle prove di nuoto del
triathlon è la pioggia». Ad affermarlo è Lionel Cheylus, portavoce
di Surfrider, una Ong che lavora sulle problematiche riguardanti le
qualità dell'acqua, i rifiuti in mare e la gestione dei litorali.
«Da fine giugno la Senna è nettamente migliorata perché è arrivato
il sole che ha la capacità di uccidere i batteri che sono in
superficie», spiega Cheylus parlando delle attività
dell'organizzazione, che a partire dallo scorso settembre ha
analizzato in modo indipendente le acque del fiume parigino. «A
luglio abbiamo effettuato due sessioni di analisi, il 4 e il 5,
dalle quali sono emersi dei buoni risultati».
E poi cosa è successo?
«Alle prime precipitazioni la qualità è peggiorata. Probabilmente
perché anche a monte del fiume ci sono state delle precipitazioni o
dei problemi nelle stazioni di depurazione e nei collegamenti delle
abitazioni alle reti per le acque reflue. Da quello che abbiamo
osservato, in genere bisogna attendere tra le 24 e le 48 ore dopo le
piogge per tornare ad avere un miglioramento della situazione».
Come si può risolvere un problema del genere?
«Secondo noi è necessario avere un approccio multisettoriale. Questo
significa che è necessario pensare anche a dei lavori preventivi,
come ad esempio l'impermeabilizzazione del terreno per evitare il
ruscellamento delle acque».
Come giudica l'atteggiamento delle autorità?
«È stato positivo il fatto che abbiano rinviato le competizioni.
Tuttavia, potrebbero migliorare il modo in cui vengono comunicati i
dati sulle rilevazioni. Vorremmo che i risultati fossero resi
pubblici per sapere se c'è veramente un tasso di batteri molto forte
o se sia solamente poco al di sopra dei parametri consentiti».
Con tutte queste difficoltà la promessa di rendere la Senna
balneabile dal prossimo anno fatta dalla sindaca Hidalgo sembra
essere irrealizzabile.
«Anche quando si va al mare d'estate può succedere che venga imposto
il divieto di balneazione dopo delle forti piogge. Sarà la stessa
cosa. Visti gli investimenti fatti, noi ci auguriamo che sarà
possibile immergersi in acqua, anche se certamente ci saranno dei
giorni nei quali non verrà consentito».
31.07.24
Abusi su un prigioniero, 9 soldati arrestati La destra irrompe nella
base per protesta gerusalemme
Nove soldati dell'esercito sono stati arrestati dalla polizia
militare israeliana nella prigione di Sde Teiman, a seguito delle
accuse mosse da un detenuto arrestato a Gaza di essere stato
maltrattato, torturato e violentato. L'irruzione della polizia
militare nella base-prigione che ospita gli arrestati a Gaza, già
nota per le diverse denunce di maltrattamenti, ha scatenato momenti
di tensione tra la polizia militare e i soldati. Un decimo militare
è indagato ma non arrestato.
Dalla base nel Neghev, le polemiche si sono spostate a Gerusalemme,
dove politici di destra, con in testa i ministri Ben Gvir e Smotrich,
hanno protestato contro gli arresti. Gruppi di esponenti di destra
hanno fatto irruzione nella base-prigione, per manifestare
solidarietà ai militari. Netanyahu chiesto a tutti di calmare gli
animi e ha fermamente condannato l'irruzione. Invito alla calma
anche dal presidente Herzog, per il quale «l'irruzione in una base
militare da parte di civili, e certamente quando avviene con
l'incoraggiamento e il coinvolgimento di funzionari eletti, è un
atto serio, pericoloso, illegale e irresponsabile». Il ministro
della difesa Gallant ha detto che «anche in tempi di rabbia, la
legge si applica a tutti. L'Idf continuerà ad agire in conformità
con la legge».
La struttura di Sde Teiman, chiamata la "Guantanamo israeliana", si
trova a circa 30 chilometri dalla frontiera con Gaza ed è un'ex base
militare nei pressi del piccolo aeroporto di Beersheva. Stando al
racconto degli ex carcerati, è divisa in due parti: una con recinti
dove circa 70 detenuti palestinesi sono posti sotto rigido
controllo, e un ospedale da campo dove i detenuti feriti sono
ammanettati ai loro letti, indossando pannolini e vengono alimentati
attraverso cannucce. Di notte, cani liberati nel cortile e lanci di
granate stordenti come altri rumori assordanti, impediscono di
dormire. Altri hanno denunciato ambienti puzzolenti, con divieto di
parola, dove non è possibile spostarsi e si deve stare in posizione
eretta, il più delle volte con occhi bendati. Hanno parlato di
amputazioni degli arti a causa delle ferite provocate dal fatto di
portare sempre le manette; di procedure mediche eseguite da medici
alle prime armi, con l'aria piena dell'odore di ferite lasciate a
marcire. Secondo un'inchiesta di Haaretz di alcuni mesi fa, circa
una trentina i detenuti morti mentre erano nelle mani dei militari.
Le epidemie atroci a
Gaza di
Francesca Mannocchi
"
Medici Usa
«Presidente Biden vorremmo che udiste gli incubi che affliggono così
tanti di noi da quando siamo tornati: sogni di bambini mutilati, e
mutilati dalle nostre armi, e le loro madri inconsolabili che ci
implorano di salvarli. Vorremmo che udiste le grida e le urla che le
nostre coscienze non ci faranno dimenticare».
La settimana scorsa quarantacinque tra chirurghi, medici di pronto
soccorso e infermieri statunitensi che hanno lavorato come volontari
a Gaza negli ultimi mesi hanno scritto una lettera aperta di otto
pagine al presidente Joe Biden, a sua moglie e alla vicepresidente
Kamala Harris. Denunciano che il numero reale delle vittime è molto
più alto di quanto riportato finora (a oggi 39 mila vittime) e
chiedono agli Stati Uniti di ritirare il sostegno diplomatico e il
supporto militare a Israele per ottenere, finalmente, un cessate il
fuoco e fermare il «massiccio tributo umano dell'attacco israeliano
a Gaza, e in particolare quello di donne e bambini».
«Nessuno di noi sostiene gli orrori commessi il 7 ottobre da gruppi
armati e individui palestinesi in Israele» scrivono i medici, che
chiedono però agli Stati Uniti di sospendere ogni supporto, e in più
un embargo internazionale sia di Israele che di tutti i gruppi
armati palestinesi perché mai nessuno di loro si era trovato di
fronte a una catastrofe di tale portata.
Un chirurgo ortopedico, Mark Perlmutter scrive che per la prima
volta a Gaza ha tenuto in mano il cervello di un bambino. Un
chirurgo di terapia intensiva, Feroze Sidhwa, scrive di non aver mai
visto ferite così orribili su scala così massiccia, senza strumenti.
Donne che hanno partorito con tagli cesarei senza anestesia. Bambini
nati sani e morti di fame, perché non c'era latte artificiale, non
c'era acqua per nutrirli.
Secondo i medici americani, con solo eccezioni marginali, tutti a
Gaza sono malati, feriti o entrambe le cose. Ciò include ogni
operatore umanitario nazionale, ogni volontario internazionale e
probabilmente ogni ostaggio israeliano: uomini, donne, giovani e
anziani. In più, avverte la lettera, il ripetuto spostamento di
decine di migliaia di persone malnutrite, senza acqua corrente e
senza servizi igienici sta favorendo la diffusione di epidemie. Il
16 luglio l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha affermato
che il poliovirus di tipo 2 derivato dal vaccino era stato
identificato in sei località in campioni di liquami raccolti il mese
scorso da Khan Younis e Deir Al-Balah, due città di Gaza ormai
ridotte in macerie. Ancora secondo l'Oms dal 7 ottobre più di 100
mila persone hanno contratto la sindrome da ittero acuto, o sospetta
epatite A, e che ci sono quasi un milione di casi di infezioni
respiratorie acute, mezzo milione di casi di diarrea e 100 mila casi
di pidocchi e scabbia.
La consigliera del Csm vicina a La Russa nel mirino dei pm per
l'incontro con la giudice Fascetto Sivillo
Rivelazione di segreti e abuso d'ufficio Natoli indagata dalla
procura di Roma IRENE FAMÀ
roma
Rosanna Natoli, la componente del Consiglio di disciplina del Csm
finita al centro dello scandalo del salvataggio pilotato di una
giudice, la settimana scorsa è andata in ferie. Disertando l'ultimo
Plenum in programma prima dell'estate. «Per evitare problemi al
Consiglio», avrebbe spiegato agli amici. Ma l'inchiesta della
procura di Roma, diretta dal procuratore capo Francesco Lo Voi,
prosegue. E Natoli è stata iscritta nel registro degli indagati per
rivelazione di segreti d'ufficio e abuso d'ufficio. Al centro
dell'indagine c'è l'incontro, avvenuto nel novembre 2023, nel suo
ufficio d'avvocato a Paternò (Sicilia), tra la consigliera e Maria
Fascetto Sivillo, giudice civile di Catania condannata in primo
grado a tre anni e sei mesi per aver preteso la cancellazione di una
cartella esattoriale da parte dell'agenzia delle riscossioni
siciliana e ora sotto inchiesta disciplinare. Natoli dovrebbe
giudicare la posizione della magistrata, valutare la sua
sospensione. Invece le fornisce dei consigli su come affrontare la
situazione. «Sì, sto violando il segreto – dice – Ma lei è amica
degli amici». Secondo la procura di Roma, la consigliera avrebbe
rivelato notizie che sarebbe dovute rimanere segrete. Inoltre,
sostiene la Procura, «partecipava allo svolgimento del procedimento
disciplinare e alla decisione, procurando intenzionalmente alla
magistrata un ingiusto profitto». Alla Sivillo avrebbe «rivelato
l'orientamento espresso dai componenti della Commissione». La
giudice catanese registra la conversazione. E il suo avvocato, il
legale Carlo Taormina, la rende pubblica durante una seduta della
commissione disciplinare. A Palazzo Bachelet è bufera. Il vice
presidente del Consiglio supremo della magistratura, il leghista
Fabio Pinelli, invia la pennetta Usb con la registrazione e il plico
con le trascrizioni a piazzale Clodio. Natoli, consigliera laica del
Csm in quota FdI, che deve la nomina al presidente del Senato, e suo
compaesano, Ignazio La Russa, ha ricevuto un invito a comparire. Ora
starà alla procura di Roma valutare se inviare gli atti a Catania
per competenza territoriale. Anche se il reato d'abuso d'ufficio
radicherebbe il procedimento nella Capitale. Dopo che la
registrazione è stata resa nota, Natoli si è dimessa dal consiglio
di disciplina. Ma non hai mai presentato le dimissioni dal Csm. I
ben informati dicono che, dopo essersi confrontata con il suo
partito, avrebbe deciso di temporeggiare. Almeno sino a settembre.
Ora le cose cambiano. Natoli è stata iscritta nel registro degli
indagati. E il Csm, a scrutinio segreto e con una maggioranza dei
2/3, potrebbe votarne la sospensione. —
30.07.24
IL
FASCISMO NON E' LONTANO
Elena
Ottolenghi è stata una preziosa divulgatrice quel periodo: la sua
vicenda ha ispirato il libro di Bruno Maida "La Shoah dei bambini"
Addio all'ultima testimone delle leggi razziali a nove anni fu cacciata
da scuola perchè ebrea
gianni oliva
Sino alla terza elementare la vita di Elena Ottolenghi, classe 1929,
scorre nella normalità di una famiglia della buona borghesia torinese:
la scuola, i giochi, le festicciole, i libri illustrati, le vacanze, i
sogni per il futuro. Nell'autunno 1938, all'improvviso, la rottura: le
leggi razziali, volute da Benito Mussolini e sottoscritte da Vittorio
Emanuele III, impongono, tra le altre misure discriminatorie, il divieto
di iscrizione dei ragazzi ebrei alle scuole pubbliche. E gli Ottolenghi
sono ebrei. Per Elena, così come per le sue compagne di classe Andreina
e Nora, questo significa espulsione dall'ambiente nel quale sino al
giorno prima sono state inserite: a comunicarglielo è una bidella, che
le consegna il premio di merito per i risultati conseguiti, ma la
diffida dal presentarsi alla premiazione. Un'unica spiegazione,
incomprensibile per una bambina di nove anni (e, più in generale,
incomprensibile per la ragione): espulse dalla scuola "per non
profanarla", perché gli ebrei sono una minaccia alla purezza della razza
italica.
La storia personale di Elena Ottolenghi, scomparsa nei giorni scorsi a
95 anni, è profondamente legata a questo episodio drammatico, sul quale
è tornata nel corso della sua lunga vita in interviste e testimonianze.
Da un lato essa ricorda i pochi che hanno saputo esprimere una
solidarietà coraggiosa, dagli insegnanti della scuola ebraica, nella
quale continua gli studi tra mille difficoltà, ma che le garantiscono la
preparazione necessaria per affrontare il liceo a guerra finita;
all'impiegato dell'anagrafe Silvio Rivoir che fornisce a lei e a tutta
la famiglia i documenti falsi nel momento dell'emergenza; agli amici e
agli sconosciuti che permettono agli Ottolenghi di sfuggire alla cattura
e alla deportazione. È l'Italia nobile dell'impegno civile, antifascista
più per istinto esistenziale che per consapevolezza ideologica: è
l'Italia che inorgoglisce, spesso utilizzata dalla narrazione storica
come strumento di autoassoluzione collettiva.
Dall'altro lato essa ricorda il silenzio che circonda il suo
allontanamento. Non sono i maestri a parlarle, ma una collaboratrice
scolastica, perché nei momenti difficili la viltà suggerisce di
nascondersi. E quando una compagna di classe, nell'ingenuità
dell'infanzia, chiede perché "Elena, Nora e Andreina non vengono più
scuola", viene bruscamente zittita, prima dall'insegnante, poi a casa
dai genitori ("non sono affari tuoi, non fare domande"). Sono questi
riferimenti, ricordati da Elena Ottolenghi senza acrimonia, ma
registrati con precisione, a far riflettere. Le leggi razziali furono
volute dal regime, ma di fatto accettate da un'opinione pubblica
irretita dalla propaganda ufficiale. Non si tratta di condannare o di
assolvere gli Italiani degli Anni Trenta, ma di comprendere ciò che è
accaduto e perché. Dietro le vergogne del 1938 c'è un'intera classe
dirigente fascista o fascistizzata: ci sono gli scienziati e gli
intellettuali che firmano il manifesto della razza; ci sono i
giornalisti che titolano a piena pagina "Approvate le leggi per la
difesa della razza", contrabbandando per "difesa legittima" ciò che è
"offesa" e "aggressione"; ci sono i professori universitari "ariani" che
di fronte all'espulsione di oltre duecento colleghi ebrei tirano fuori i
coltelli, non per difendere i discriminati, ma per accaparrarsi i posti
rimasti liberi.
Con questa Italia della complicità e dell'acquiescenza bisogna fare i
conti, perché è la stessa che il 10 giugno 1940 inneggia alla guerra e
prepara la sua rovina.
Di questa esperienza Elena Ottolenghi è stata una testimone preziosa e
discreta: laureata in agraria, docente negli istituti tecnici per
geometri, membro attivo della comunità ebraica torinese e
dell'associazionismo antifascista, è stata la voce autorevole di chi ha
pagato le leggi razziali sulla propria pelle. Con lei se ne va una delle
ultime protagoniste, lasciando a tutti noi un'eredità di memorie da
difendere e trasmettere. —
29.07.24
Tav, la fine dei lavori slitta
al 2033 e aumentano i costi:
11,1 miliardi
Telt presenta l'aggiornamento del conto economico con una crescita
di circa il 30%. A incidere il rincaro di materiali, mano d'opera e
la mole di appalti attivati. La consegna dell'intera sezione
transfrontaliera era inizialmente ipotizzata per la fine del 2032
Sale a 11,1 miliardi, da 8,6, il costo della tratta internazionale
della Torino-Lione in fase di realizzazione a
cavallo del confine italo-francese, con un aumento intorno al 30%.
Telt, il promotore pubblico responsabile dei
lavori, partecipata da Italia e Francia,
come si legge sul Sole24 Ore, ha presentato al cda
l’attualizzazione del costo previsto per la costruzione e l’attrezzaggio
della linea ferroviaria, passaggio validato da un ente terzo, la
società di consulenza Grant Thornton Financial Advisory
Services.
L’aggiornamento dei costi è uno degli impegni di Telt nei
confronti degli stati italiano e francese e tiene conto sia
dell’affidamento dei grandi appalti di lavori e del loro
avanzamento, sia del calcolo preciso degli accantonamenti per rischi
e imprevisti, oltre che del contesto economico. La consegna
dell’intera sezione transfrontaliera attrezzata e collaudata,
inizialmente ipotizzata per la fine del 2032, è ora prevista per la
fine del 2033.
28.07.24
Vertice a Roma tra arabi, Cia e Mossad Il capo del Mossad David Barnea incontrerà domenica a Roma il
direttore della Cia William Burns, il premier del Qatar Mohammed bin
Abdel Rahman al-Thani e il capo dell'intelligence egiziana Abbas
Kamal per discutere dell'accordo sugli ostaggi. Fonti israeliane e
Usa riferiscono che il premier Benyamin Netanyahu ha indurito le sue
posizioni e per questo non si attende una svolta nei negoziati. Il
premier, com'è noto, vuole l'istituzione di un meccanismo per
monitorare il movimento di armi e militanti palestinesi dal Sud
della Striscia di Gaza al Nord e il mantenimento del controllo
israeliano del Corridoio Filadelfia, la striscia di terra tra Gaza e
l'Egitto. Secondo quanto riportato dal sito israeliano Walla,
l'incontro di domenica «non dovrebbe includere negoziati dettagliati
sulle restanti lacune, ma concentrarsi principalmente sulla
strategia da seguire». Non è previsto che il capo del Mossad Barnea
in questa fase sia affiancato dal capo dello Shin Bet Ronen Bar, né
dal capo del team che si occupa degli ostaggi, il generale Nitzan
Alon. Un funzionario israeliano ha escluso che a Roma si possa
arrivare a una svolta. Secondo lui, non ci sono segnali che la
pressione di Biden su Netanyahu abbia convinto il premier ad
ammorbidire le sue nuove richieste. «Netanyahu – ha spiegato – vuole
un accordo che non può essere raggiunto. In questo momento non è
pronto a muoversi, quindi potremmo finire in una crisi nei negoziati
e non in un accordo». Walla riferisce che la Cia ha rifiutato di
commentare.
SOSPENSIONE IMMEDIATA SENZA STIPENDIO E PROCESSO :
«Non ci siamo sentiti al sicuro
fin quando non siamo andati via da quell'ostello». Dopo la
testimonianza di Anna, studentessa di un liceo astigiano che ha
subito una molestia (sminuita dalla scuola), altre ragazze trovano
il coraggio di parlare. «Voglio raccontare quello che è successo a
me, non per togliere risalto a quando accaduto ad Anna, ma per
confermare la sua versione», racconta Chiara, studentessa della
stessa scuola di Anna. È stata molestata verbalmente. «Era un uomo
di mezza età, si è avvicinato mentre eravamo a cena».
È il secondo giorno di gita nell'ostello a Berlino. Non trovando il
sale al buffet la ragazza lo chiede ai compagni in coda. Ecco che
interviene uno sconosciuto sulla cinquantina che, con accento
italiano, le risponde «Ce l'ho io», indicandosi le parti intime. «Mi
sono sentita in forte imbarazzo, anche nei giorni successivi». Poi
arriva l'ultima sera. La voce di un uomo adulto che ha palpato il
sedere di una compagna serpeggia tra gli studenti. «Poi anche i
professori ci hanno raccontato che un'alunna di un'altra classe era
stata molestata, raccomandandoci di stare attenti», continua la
giovane.
Le parole di Chiara ricordano molto quelle di Anna. Un ostello non a
misura di gita scolastica. Uomini adulti ubriachi o sotto l'effetto
di stupefacenti e camere sporche. C'era anche una camera
insonorizzata a luci rosse con telecamere. Lo racconta Daniela,
amica e compagna di stanza di Anna. Era con lei quando l'uomo l'ha
palpata. «Eravamo in tre all'entrata dell'ostello. C'erano diversi
uomini che facevano festa con la musica alta dentro». Uno
sconosciuto passa e palpa il sedere della ragazza. «Anna si è subito
girata e gli ha urlato contro arrabbiata», ricorda la giovane. «L'ho
visto in faccia. Ha fatto finta di niente». Quando lo sconosciuto
mette le mani in tasca Daniela si spaventa: «Mi è venuto un colpo.
Temevo potesse avere un coltellino. La rappresentante di classe
aveva trovato una recensione all'ostello di una persona che era
stata inseguita con un coltellino».
Tra compagni se ne discute, la voce arriva anche alle altre classi
presenti in gita, dalla terza alla quinta. I ragazzi non hanno
dubbi. Quello che ha subito Anna è inammissibile. E anche i
professori sono preoccupati, tanto da darsi i turni per fare la
guardia tutta la notte. Così Chiara capisce che non può stare in
silenzio. Si fa forza e spiega agli insegnanti cosa le è successo
qualche sera prima. Di quell'uomo di mezza età che si era preso il
diritto di fare allusioni sconce a una ragazzina. «Mi hanno
ascoltato e sono stati comprensivi - ricorda - ma erano già passati
alcuni giorni e quell'uomo era impossibile da rintracciare». Al
ritorno ad Asti non ci ha più pensato. E non si è rivolta alla
dirigente scolastica.
Le sue parole però ricordano molto quelle di Anna. Nella sua voce la
stessa ansia. La stessa delusione per una gita trasformata in
incubo. In un ostello non a misura di studenti: posto isolato,
uomini adulti ubriachi o sotto l'effetto di stupefacenti e camere
sporche. «Alcuni ragazzi condividevano l'anticamera con uomini
adulti - spiega Chiara - infatti poi li hanno fatto cambiare di
stanza».
Il motivo che ora spinge Chiara a uscire allo scoperto lo spiega lei
stessa: «Voglio far capire quando grave fosse la situazione. La
preside sapeva tutto ancor prima del nostro ritorno, ma non ha
comunque fatto nulla per toglierci da quel posto. Per tutelarci e
proteggerci come avrebbe dovuto». Anna e Chiara non sarebbero le
uniche. «So per certo che altre studentesse hanno subito battute e
allusioni a sfondo sessuale in quel posto».
Anche Anna durante l'incontro con la dirigente scolastica aveva
parlato delle numerose recensioni negative sull'ostello tedesco. «Ma
lei mi ha risposto che delle recensioni non ci si può fidare. Anzi,
spesso i posti di cui le persone parlano male si rivelano i
migliori». Sono queste parole che hanno spinto Chiara a uscire allo
scoperto: «Trovo inaccettabile che una persona che avrebbe dovuto
proteggerci abbia fatto così poco per noi».
INGIUSTIFICABILE UNA SCUOLA SENZA MORALE COME UN MATTATOIO:
Pochi giorni fa sosteneva: "Per una mano sul sedere meglio scapp
are, lo direi anche a mia figlia"
L'autodifesa della dirigente scolastica "Non ho mai detto che
bisogna abituarsi"
paolo viarengo
asti
La preside del liceo di Asti accusata dalle studentesse adesso prova
a difendersi. Lo fa attraverso il suo avvocato, Luigi Florio:
«Smentisco che la dirigente abbia mai detto "ti ci devi abituare a
questa cosa" e abbia "quasi impedito di parlare" alla ragazza. L'ha
invece ascoltata e le ha fatto presente che è sempre opportuno
denunciare fatti illeciti, ma in questo caso la denuncia avrebbe
dovuto essere presentata dove il fatto si è verificato, opportunità
che risulta essere stata proposta alla studentessa dall'insegnante
partecipante alla gita». La dirigente continua a negare che si
tratti di una molestia: «Dal racconto della studentessa è parso un
tentativo di violenza più che una violenza consumata. Quando la
studentessa ha avuto il colloquio con la dirigente quest'ultima,
alla presenza dell'insegnante che aveva accompagnato gli studenti in
gita scolastica e di un altro dipendente della scuola, dopo averne
ascoltato il racconto, le ha espresso solidarietà, pur evidenziando
il suo scetticismo sull'utilità di una denuncia presentata in Italia
e riguardante un fatto come quello descritto, commesso all'estero da
uno sconosciuto».
Dichiarazioni che poco si conciliano con quelle rilasciate a caldo
dalla stessa preside pochi giorni fa, interpellata in merito alla
denuncia di Anna. Allora aveva risposto stizzita: «Ma se uno ti
mette una mano sul sedere tu cosa fai? Vai a denunciare? No. Scappi.
Direi lo stesso a mia figlia. Comunque alla studentessa abbiamo
detto che era libera di denunciare, certo. Ci mancherebbe. Glielo
abbiamo detto chiaramente. Del resto è maggiorenne». Il quadro che
emerge con chiarezza è che il racconto di Anna, secondo la preside,
non sarebbe veritiero. «Non parliamo di molestie o violenza. Non è
questo il caso – il suo punto di vista –. Al massimo avrà avuto
qualche apprezzamento per la gonna corta. Per quanto riguarda le
responsabilità della scuola non c'erano gli elementi per segnalare
il fatto in procura. E assicuro che quando ci sono dei fatti di
violenza nella scuola, siamo i primi a segnalarli. Da sempre».
Interrogata sul perché mai, secondo lei, Anna avrebbe detto di
essere stata palpata se così non fosse, la risposta rinvia a
malumori interni precedenti la gita. «È in atto una vendetta da
parte di alcuni studenti per la scelta dell'ostello. I ragazzi si
sono lamentati, volevano un'altra sistemazione. E adesso tirano
fuori questa storia. Ci sono studenti che sarebbe meglio se ne
stessero a casa se il programma della gita secondo loro non va
bene».
Adesso invece l'avvocato Florio precisa anche un altro punto:
«Contrariamente a quanto sembrerebbe lasciar intendere il racconto
della giovane la dirigente ha voluto ricevere la studentessa con la
massima celerità, vale a dire il giorno successivo alla sua
richiesta, nonostante attraversasse un periodo assai difficile per
gravi problemi di salute a causa dei quali due giorni dopo ha subito
un intervento chirurgico che l'ha costretta a una convalescenza di
oltre due mesi».
27.07.24
Dopo il rifiuto di collaborazione arriva l'intesa tra Comune,
Regione e governo transalpin o
La rivincita di Torino su Milano-Cortina "Il pattinaggio di Francia
20 30 all'Oval" giulia ricci
Dove l'Italia dice no, la Francia ci guadagna. È il caso dell'Oval
di Torino, che ospiterà il pattinaggio di velocità alle Olimpiadi e
Paralimpiadi invernali del 2030. La notizia è arrivata da Parigi,
dove il Cio ha assegnato i Giochi alle Alpi francesi. «È il frutto
di mesi di lavoro in sinergia con la Regione Piemonte», dice il
sindaco della città della Mole Stefano Lo Russo. «Siamo orgogliosi
di questo importante risultato, significa che abbiamo tutte le carte
in regola per ospitare le grandi competizioni internazionali»,
aggiunge il governatore Alberto Cirio. Che nel sottolineare
l'orgoglio sabaudo fa riferimento a tutti i «no» ricevuti dal suo
territorio.
Il primo è arrivato nel 2018, quando i tentennamenti del M5S e
dell'allora sindaca Chiara Appendino hanno portato all'esclusione di
Torino dai Giochi olimpici. L'anno dopo, con la vittoria di
Milano-Cortina, sono iniziati i tentativi di rientrare dalla
«finestra», tentativi che non sono andati a buon fine, complici le
spinte politiche del leader della Lega Matteo Salvini che ha sempre
preferito le regioni più a Est. E così nella primavera dell'anno
scorso la Fondazione Milano-Cortina ha ufficialmente detto no a
Torino per il pattinaggio, nonostante a Rho debba essere costruito
un impianto temporaneo da zero. A fine anno, la pietra tombale con
la bocciatura della pista da bob di Cesana.
Ma ad aiutare la sponda di Lo Russo-Cirio (che fanno politicamente
coppia fissa nonostante le barricate opposte) è stata la scelta del
Cio di organizzare Olimpiadi sostenibili e a impatto zero, e quindi
cercare una sede entro 100 chilometri per non costruire nuovi
impianti. Anche a costo di superare i confini francesi. Ecco perché
i membri italiani del Cio, come Giovanni Malagò e Ivo Ferriani,
avrebbero alzato la mano e indicato l'Oval, che aveva già ospitato
il pattinaggio di velocità nel 2006.
Il suo utilizzo, però, non sarà a costo zero per il Piemonte (che
dovrà cercare l'aiuto finanziario del governo e probabilmente delle
fondazioni bancarie). Come scritto nero su bianco nel vecchio
dossier utilizzato per entrare nella partita Milano-Cortina, la
struttura torinese avrà bisogno di un investimento di almeno 9,5
milioni di euro per ricostruire la pista di pattinaggio, le
palestre, gli spogliatoi e rimettere tutto a norma. L'ultima volta
che ha ospitato un evento sportivo, infatti, risale al 2009. —
A TORINO C'E' UN PROBLEMA 112:
TORINO, IL RACCONTO DEI RESIDENTI:
"ERAVAMO SPAVENTATI"
Quattro chiamate al 112 la notte del pestaggio del giornalista "Ci
minacciavano, ma le forze dell'ordine non sono arrivate"
Quattro telefonate al 112 in un'ora e 23 minuti. «Ci sono cento
persone che esplodono petardi e urlano cori fascisti. Mandate
qualcuno». «Sono minacciosi, abbiamo paura». «Hanno aggredito un
ragazzo, perché non siete ancora passati?». Nella notte - tra sabato
e domenica - in cui il giornalista de La Stampa Andrea Joly è stato
aggredito da un gruppo di sei militanti di Casa Pound fuori dal loro
storico luogo di ritrovo torinese, l'Asso di bastoni, molti
residenti hanno chiesto l'intervento delle forze dell'ordine. «Ma -
denuncia uno di questi - non è venuto nessuno. Io ho telefonato tre
volte: la prima alle 23,43. La seconda alle 23,58. La terza all'una
e zero cinque. Non ho visto alcuna pattuglia. Eppure questi sono
rimasti per tre ore in mezzo alla strada. E ci hanno minacciato
quando, dai balconi, abbiamo urlato loro di fermarsi mentre
picchiavano quel ragazzo».
Quanto descritto dai residenti non sarebbe confermato dalla questura
di Torino che, dopo l'aggressione, aveva fatto sapere che sarebbe
stata operativa una "vigilanza dinamica" con il passaggio di agenti
borghese su auto civetta. «Siamo stati spaventati per tutta la
notte», sottolinea una delle prime persone che ha telefonato al 112
la sera di sabato, alle 23,42. «Ho sentito dei colpi che parevano
essere di armi da fuoco, insieme al suono dei petardi e ai fuochi
d'artificio. Ho chiesto alle forze dell'ordine di intervenire. C'era
un fracasso inquietante. Erano in tanti. Siccome non è arrivato
nessuno, sono scesa per la strada. Speravo che arrivasse una
volante. Invece sono arrivati tre di loro vestiti di nero che mi
hanno detto con fare minaccioso: "Vattene via, qui non c'è niente da
vedere"» Nei telefoni di alcuni residenti in via Cellini e nelle
strade vicine ci sono le tracce delle richieste di aiuto alla
Centrale unica dell'emergenza
Joly, quelle quattro chiamate disperate al 112 "I fascisti ci
minacciano, perché non venite?"
elisa sola
La prima telefonata è delle 23.42. «Per favore mandate qualcuno. Ho
sentito tre colpi che mi sembrano di arma da fuoco. Esplodono
petardi e fuochi d'artificio». La seconda arriva un minuto dopo:
«C'è una folla nera che fa saluti romani. Sento la strofa: "La
Brigata siam di Mussolin". Vedo duecento persone rispondere, al
richiamo di un militante: Presente! È da venti minuti che urlano. E
qui abbiamo paura». Mancano 14 minuti all'aggressione di Andrea Joly.
E in via Cellini, sbatao sera, davanti all'Asso di bastoni, il pub
di CasaPound, più di un residente osserva un contesto che inquieta.
Per questo motivo, già prima che il cronista de La Stampa venga
picchiato, almeno due residenti chiamano le forze dell'ordine. «Ma
non è arrivato nessuno», esclama la persona che ha fatto la prima
chiamata. «Sono scesa per strada ad aspettare. Mi si sono avvicinati
tre signori vestiti di nero. Mi hanno detto: "Vai via. Non c'è
niente da vedere". Non avevo nemmeno il telefono». La terza
telefonata è delle 23.58. Joly è appena stato picchiato. «Ma anche a
quell'ora ci hanno lasciati da soli», dicono adesso, sull'asfalto
che scotta davanti alle palazzine che si affacciano sul pub chiuso,
i residenti che hanno visto l'onda nera. Tutti hanno solo una
domanda: «Perché abbiamo chiesto aiuto e non è venuto nessuno?».
C'è un uomo, che quella notte lavorava al computer di fronte alla
sede degli estremisti di destra che ha fatto tre telefonate in
un'ora e 23 minuti.
Ricorda i particolari di ogni conversazione. La memoria di
un'escalation di paura. «Alle 23.43 - racconta - mi hanno promesso
che avrebbero mandato qualcuno. Non è stato così. Ho richiamato due
minuti prima di mezzanotte urlando che c'era un ragazzo aggredito.
Chiedendo aiuto. E ricordando che avevo già chiamato prima. Ma non è
successo niente».
Dalla seconda alla terza telefonata passa un'ora e dieci minuti.
«Hanno continuato a urlare inni al Duce - ricorda il testimone - e a
esplodere fumogeni come se nulla fosse successo. Anche dopo che
avevano picchiato quel giornalista. Continuavano a fare saluti
romani in mezzo alla strada. Prima e dopo il pestaggio. Hanno
festeggiato per tre ore. Noi avevamo paura perché quella gente ci
sembrava minacciosa. Fuori controllo. Ho richiamato per la terza
volta all'una e zero cinque». Questa è la chiamata più concitata.
Perché Joly è appena stato aggredito. E soltanto perché voleva
filmare una manifestazione. Perché chi ha visto le botte non è
riuscito a fermare il branco. Perché chi dal balcone gridava:
«basta!» si è sentita dire «puttana». Perché anche altri residenti
oltre a lei sui balconi sono stati minacciati.
«Perché non siete ancora arrivati?», tuona alla terza telefonata.
«Lei è in pericolo?», gli chiede l'operatore. Risponde di no.
«Quindi perché chiama?». «Sono spaventato -dice - perché ci sono i
fascisti che inneggiano a Mussolini. Perché hanno aggredito un
ragazzo. Vi abbiamo chiamati prima e dopo e voi non siete venuti.
Come facciamo a stare tranquilli?».
Dalla questura fanno sapere che dalla mezzanotte in avanti, ovvero
nella fascia notturna durante la quale la competenza degli
interventi del 112 spetta alla polizia (prima della mezzanotte era
dei carabinieri), sarebbe arrivata una sola telefonata. La volante è
stata inviata, ma per motivi di ordine pubblico non si sarebbe
fermata in via Cellini. Ma avrebbe atteso indicazioni poco più
avanti, aspettando l'auto civetta della Digos che invece,
mimetizzata, transitava davanti al pub di CasaPound. La pattuglia
era stata chiamata per soccorrere Joly. C'è una testimone che
ricorda di avere visto una volante bianca e blu anche in via Cellini.
«Era l'una e mezza. E' passata senza fermarsi davanti all'Asso dei
bastoni, dava l'idea di andare in un altro luogo, per un altro
intervento, perché non ha rallentato. C'erano ancora una cinquantina
di militanti rimasti per strada. Quando hanno visto la pattuglia
hanno gridato "merde"». L'ultimo messaggio conservato che possa dare
l'idea di quanto sia durata la manifestazione nera che ha spaventato
San Salvario risale all'alba. L'uomo che ha chiamato tre volte il
112 scrive alla sua ragazza: «Alle quattro hanno chiuso il pub e se
ne sono andati a casa. E' stato un inferno».—
NUMERO CHIUSO A MEDICINA: Con il Covid che avanza e
gli anziani con malattie croniche che in vacanza non ci vanno, gli
studi dei medici di famiglia chiudono per ferie. Perché con la
carenza che c'è di camici bianchi quest'anno quelli che giustamente
vogliono andarsene in ferie non trovano i sostituti che portino
avanti i loro studi medici. Così in qualche caso c'è chi proprio
chiude i battenti, anche se per legge non si potrebbe fare, chi si
arrangia, come in Piemonte, con ambulatori di emergenza solo per i
casi più urgenti e chi, magari tornato dalle vacanze, si sobbarca il
compito di prendersi in carico anche i pazienti del collega in
ferie. Con il risultato che i suoi 1.500 pazienti raddoppiano e per
farsi visitare diventa obbligatorio prenotarsi. «Sapendo che
l'appuntamento arriverà bene che vada dopo 5 giorni se non
settimane», spiega il vice segretario nazionale della Federazione
dei medici di base (Fimmg), nonché segretario provinciale di Torino,
Alessandro Dabbene. Che ci tiene a precisare che il quadro è questo
più o meno in tutta Italia, «anche se al Nord va peggio perché qui
di medici di famiglia ce ne sono ancora meno».
«Torino –spiega ancora– non ha grandi problemi, ma più ci
allontaniamo dalle città e più troviamo un deserto, dove gli studi
chiudono e le Asl, falliti gli altri tentativi, tirano su degli
ambulatori di emergenza che però si occupano solo di fatti acuti
come Covid o gastroenteriti oppure del rilascio delle ricette. Senza
una vera presa in carico dei pazienti, con cronici e oncologici che
di fatto non possono essere seguiti».
«A Roma come altrove mancano i sostituti, ovvero i nostri
specializzandi che pagati da noi ci davano il cambio durante il
periodo di ferie, ma che ora o hanno aperto un loro studio o
lavorano con la Asl, perché con la carenza che c'è di medici è
facile trovare lavoro», spiega Pierluigi Bartoletti, anche lui vice
segretario nazionale Fimmg, con uno studio nel quartiere casilino
della Capitale.
La soluzione più semplice è quella di farsi sostituire da un
collega, che di assistiti solitamente ne ha però 1. 500 che a quel
punto diventano 3. 000. Cosa significhi questo per i pazienti ce lo
calcola il centro studi della Federazione. Considerando che a ogni
paziente, proprio ad andare di corsa, bisognerebbe dedicare almeno
sei minuti, immaginando di doverne visitare un decimo vuol dire che
per vederli tutti ci vogliono almeno 30 ore. E poiché l'orario medio
settimanale di apertura di uno studio è di 15 ore (visite a
domicilio escluse), vuol dire che per ottenere un appuntamento
d'estate si rischia di dover attendere due settimane.
La situazione è così al limite che, come ammettono quelli della
Fimmg, c'è chi arriva ad anticipare di un paio di mesi il
pensionamento pur di non dover rinunciare a mare o monti. «L'altro
giorno ho fatto un tampone e ho scoperto di essere positiva al Covid
– racconta Simona L. , impiegata cinquantenne– ebbene quando ho
chiamato il mio medico per avvisarlo e avere la terapia ho scoperto
che era andato in pensione e che, quindi, non ne avevo più uno
assegnato. Mi ha spiegato che non era riuscito a trovare un
sostituto o altri colleghi disponibili a fare da "ponte" nel
frattempo. Quindi, mi sono trovata in difficoltà e, alla fine,
attraverso il portale regionale mi sono associata al primo dottore
di zona che mi è capitato». E non si dica ai nostri dottori di
fiducia che tanto d'estate la gente va di meno dal medico. «Gli
studi e le farmacie – mette in chiaro Cristina Patrizi, segretaria
dell'Ordine dei medici di Roma– sono stracolmi anche in estate.
Senza contare che stiamo assistendo a una recrudescenza di forme
influenzali e virali, anche di Covid. Per i medici di famiglia è un
aggravio enorme, gli studi sono pieni di assistiti in fila che
attendono di essere visitati, sentiti e di avere le prescrizioni,
altro che pazienti in vacanza».
«Arrivano nei nostri studi verso sera, sono i pazienti orfani del
medico di famiglia e non sanno da chi farsi prescrivere farmaci e
certificati», racconta Alberto Vaona, medico di famiglia veronese.
«Sento di colleghi che trascorrono le notti a fare ricette e la
situazione fino al 2025 con i pensionamenti in arrivo andrà ad
aggravarsi. Tanto che la Asl di Verona sta definendo un accordo
affinché le guardie mediche siano aperte anche di giorno la dove ci
sono almeno 500 cittadini rimasti senza medico di riferimento». E i
numeri raccolti da Istat e Agenas confermano che egli ultimi 15 anni
tra medici di base, pediatri e guardie mediche si sono persi per
strada 13. 788 camici bianchi schierati sul territorio. In pratica è
venuto a mancare un medico su cinque. Uno spopolamento che d'estate
si fa deserto.
MEDICI CONTRO MEDICI: l'intervista
Silvestro Scotti
"Tra due anni sarà il deserto 15 milioni privi di assistenza base "
Le soluzioni
"
roma
Dottor Silvestro Scotti, da segretario nazionale della Fimmg, il
sindacato di categoria, da tempo lancia l'allarme. Ma veramente il
nostro caro medico di famiglia è in via di estinzione?
«Ci crede se le dico che tra quelli che andranno in pensione e i
nuovi che non arrivano nel 2026 avremo 15 milioni di italiani senza
medico di famiglia? Oppure in alternativa ognuno di loro si troverà
a dover assistere fino a 2.500 pazienti. Una situazione in entrambi
i casi ingestibile».
Già oggi siamo messi molto male però….
«Si, c'è già una carenza cronica con il 30% in meno dei
professionisti dei quali ci sarebbe bisogno. Il che vuol dire che
già oggi 4 milioni di italiani sono senza medico o ne hanno uno che
deve seguire troppi pazienti. Per questo adesso che arrivano le
vacanze diventa praticamente impossibile trovare un sostituto per
godersi il meritato riposo».
Ma come si è arrivati a questa situazione?
«Per la solita cattiva programmazione. Bastava che qualche anno fa
si andassero a vedere i codici fiscali di chi era in servizio per
scoprire, data di nascita alla mano, che ci sarebbe stata una fuga
verso la pensione tra il 2023 e il 2025. E se una volta i medici di
famiglia chiedevano di poter rimanere in servizio fino a 72 anni ora
scappano in anticipo. Magari quando arriva l'estate per non perdersi
le vacanze. Per non parlare dei carichi di lavoro, perché non solo
sono aumentati gli assistiti da ciascun medico, ma tra loro ci sono
sempre più anziani afflitti da policronicità che richiedono molte
più attenzioni e tempo che non c'è».
Perché un mestiere una volta ambito non attrae più i giovani?
«Che è così ce lo dice il fatto che il 50% delle borse di studio per
la formazione è andata deserta. Ma non deve stupirsene chi durante
il Covid ha fatto un racconto della medicina di base che è quello di
un fallimento. Che se c'è stato è dipeso da chi aveva il compito di
organizzare l'assistenza territoriale, non certo dei medici che sono
rimasti soli a sopportarne il peso. E poi ci stanno caricando sempre
più di pratiche burocratiche. Pensi che durante la pandemia ci hanno
chiesto persino di stampare i Green pass».
Cosa si può fare per rendere la professione nuovamente attraente?
«Tanto per cominciare investire sull'università, inserendo tra le
materie dei primi anni anche la medicina generale, che qualcuno
chiama "di base, ma che poi è quasi sempre ignorata nei corsi. Poi
nella fase successiva di formazione specialistica servirebbe
accreditare gli studi medici che hanno attrezzature e organizzazione
al passo con i tempi. Infine, ma non da ultimo, sburocratizzare e
garantire un coordinamento tra i nostri studi, l'ospedale e le
università, che oggi invece sono corpi separati. I giovani cercano
ancor prima della gratificazione economica quella professionale, mi
creda».
Intanto però manca chi sostituisca chi va in pensione…
«È così. In Lombardia per 1.349 posti vacanti si sono presentati in
399, nelle Marche c'erano da coprire 227 studi medici, sono stati
assegnati solo 15 incarichi. In Piemonte sono stati banditi 440
posti ma si è riusciti ad assegnarne solo 200, di cui 150 a medici
in formazione».
In attesa che ai giovani torni la vocazione quindi che facciamo?
«Con pazienti sempre più anziani e affetti da più malattie croniche
un medico da solo non può farcela. Per questo la mia idea è quella
di promuovere micro-team all'interno degli studi, composti oltre che
dal medico di famiglia anche da un infermiere e un impiegato con
ruoli amministrativi. Così negli studi potremmo assolvere al meglio
l'assistenza di base, lasciando alle Case di comunità il compito di
dare risposte a bisogni di salute più complessi, ma non tali da
richiedere il ricovero.
SE QUESTA E' UNA EDUCATRICE : La 18enne astigiana palpeggiata
durante la gita scolastica: "La dirigente mi ha detto che ormai sono
maggiorenne e responsabile delle mie azioni"
Su La Stampa
"Io molestata, in lacrime dalla preside non mi ha dato neanche un
fazzoletto"
valentina moro
asti
«Sul pullman al ritorno vedevo ancora la faccia di quell'uomo».
Anna, 18 anni, lo ricorda quel viaggio di ritorno dalla gita a
Berlino. E quell'uomo che le ha palpato il sedere. Un episodio che
il liceo di Asti da dove si è appena diplomata ha sminuito.
Rientrata in Italia, Anna l'ha raccontato alla preside ricevendo per
tutta risposta una frase che l'ha raggelata: ti ci devi abituare,
denunciare non serve a niente. Una frase che ieri il questore di
Asti, Marina Di Donato, ha stigmatizzato: ragazze, denunciate
sempre. Una reazione, quella della preside, che ha sconvolto Anna al
punto da indurla a raccontare pubblicamente la sua vicenda.
Cosa ricorda di quel giorno?
«Era l'ultima sera. Avevamo finito di cenare, ero fuori,
all'ingresso dell'ostello. C'era un clima poco rassicurante: il
posto era pieno di uomini adulti ubriachi, non c'erano famiglie».
Era da sola quando è successo?
«No, con due amiche. Dalla hall vedevamo uomini più grandi che
facevano festa. Faceva freddo, ero in tuta. A un certo punto mi
sento una mano sul sedere».
Come ha reagito?
«Mi sono girata e gli ho urlato in italiano: "Che cosa hai fatto?"».
E lui?
«Ridendo si è messo le mani in tasca chiedendomi in inglese se
volessi un accendino. Le mie compagne mi hanno subito portato via,
da uno dei professori che ci accompagnavano».
Cosa gli avete raccontato?
«Inizialmente ha parlato una delle mie amiche: io tremavo, non
riuscivo a dire niente. È intervenuta anche la guida che ci
accompagnava e la guardia di sicurezza dell'ostello. Io ho indicato
l'uomo».
Cosa hanno fatto a quel punto?
«Niente. Mi hanno detto che non si poteva fare niente e non aveva
senso denunciare, visto che saremmo partiti il giorno dopo».
E lei?
«Ero arrabbiatissima: stavano completamente sminuendo il fatto. Sono
scoppiata a piangere e sono andata nella mia stanza. Sono rimasta lì
tutta la notte».
Qual è stata la reazione degli insegnanti?
«Il mio professore è stato gentile, mi ha poi scritto che non si
immaginava nemmeno cosa significhi subire pressioni e violenze
quotidiane e che come scuola educano affinché questi episodi non
avvengano. Gli insegnanti si sono poi dati il turno per fare la
guardia fuori dalla porta della nostra stanza per tutta la notte».
Una volta tornati in Italia cosa è accaduto?
«Ne ho parlato con i miei genitori che hanno chiesto un appuntamento
alla dirigente scolastica, ma la segretaria ha risposto che non
c'era. Noi siamo tornati il venerdì; il martedì dopo mi convoca la
preside nel suo ufficio».
Non c'erano i suoi genitori?
«No, ero sola. La preside mi ha subito detto: "Sei maggiorenne, sei
responsabile delle tue azioni". C'erano anche altri tre insegnanti
tra cui quello che ci ha accompagnati in gita. Sempre la preside mi
chiede: "Cosa vuoi ottenere?". Io volevo solo parlarne».
Ci è riuscita?
«Pochissimo. Continuavano a interrompermi. La dirigente diceva che
ci aveva messo mesi per organizzare una gita che andasse bene. Mi ha
detto: "Sei una bella ragazza, ti ci devi abituare"».
Come si è sentita?
«Piangevo, non mi hanno neanche dato un fazzoletto. Continuavano a
sminuire la cosa. Mi hanno solo voluto spaventare con
quell'incontro, eppure la preside è sempre in prima linea nelle
manifestazioni contro la violenza sulle donne».
La dirigente sostiene che non si tratti di violenza, «al massimo di
un apprezzamento per la gonna corta».
«Non è vero. E io non avevo la gonna ma un giaccone e i pantaloni
lunghi».
Successivamente i suoi genitori hanno incontrato la dirigente?
«No. Hanno provato a ricontattarla per un appuntamento, ma non si è
mai resa disponibile».
Come ha vissuto i suoi ultimi mesi al liceo?
«Dovevo fare la maturità, mi sono buttata sullo studio e non mi sono
permessa di elaborare il trauma. Di starci male. Ma sono rimasta
disgustata».
PIU' CIVILTA' AL SUD CHE NEL NORD DI ASTI: La Corte d'Appello
dell'Aquila: 60 mila euro alla vittima, all'epoca 12enne come il suo
aggressore
Insultata e seguita da un bullo condannata la scuola: non la difese
saverio occhiuto
pescara
La seguiva ovunque e la insultava: «Sei grassa, brutta, sporca come
tua madre. Guardati, sei una p...». Un inferno costante per una
ragazzina di allora 12 anni. Il tutto avveniva nei corridoi di una
scuola media di Pescara che la studentessa e il suo molestatore, un
coetaneo, frequentavano all'epoca dei fatti (9 anni fa). Avveniva in
classe, all'ingresso e all'uscita dell'istituto, tra testimoni,
anche gli stessi insegnanti, indifferenti o comunque pronti a
minimizzare gli atti di bullismo con cui il ragazzo feriva la
compagna con la costanza dello stalker.
Uno stato di sofferenza inaudito per la vittima. Sino a portarla a
rifiutare il cibo, a farle perdere molti chili, a dover ricorrere,
ancora oggi che è una donna di 22 anni, al sostegno psicologico di
specialisti.
Ora, dopo i fatti del 2015, è arrivata la sentenza della Corte
d'Appello dell'Aquila, che condanna la scuola a risarcire la ragazza
con la somma di 60mila euro, ritenendo gli stessi insegnanti
colpevoli di non essere riusciti a far fronte a una situazione che
per quella ex bambina di 12 anni e i suoi genitori era diventata un
buco nero per quasi un anno.
Il bullo se l'era cavata con la sospensione di una settimana dalla
scuola, e secondo i giudici di secondo grado anche questo è un
segnale di sottovalutazione da parte degli insegnanti e della
direzione scolastica, che per un periodo così lungo avrebbero
lasciato la ragazzina in preda ai deliri di un adolescente
pericoloso sia per la salute fisica che mentale della compagna.
Erano stati gli stessi genitori della ragazzina a rivolgersi al
Tribunale, esasperati anche per il modo con cui gli insegnanti
rispondevano a ogni rimostranza su quanto accadeva alla figlia
quotidianamente.
I giudici della Corte d'Appello dell'Aquila ora hanno dato loro
ragione accogliendo, le istanze degli avvocati e stabilendo che quei
genitori avevano visto bene: a forza di ignorare e sottovalutare la
gravità del comportamento del bullo di turno, la loro bambina aveva
rischiato di scivolare in un vortice che avrebbe potuto
comprometterne lo sviluppo in un'età delicatissima, con conseguenze
imprevedibili.
L'ex parlamentare aquilana Stefania Pezzopane conosce bene
l'argomento. Da deputata e componente della Direzionale nazionale
del Pd, ha seguito molto da vicino l'iter dei disegni di legge sul
cyberbullismo. Lei stessa è stata al centro di una campagna di odio
e di insulti pesantissimi via social. Sul caso specifico si affida a
una riflessione: «Le sofferenze di quella ragazza e di tante come
lei producono ferite che durano tutta una vita. Il fenomeno non può
essere sottovalutato, né dal punto di vista sociale, né giudiziario.
È la scuola il luogo dove certe cose spesso accadono, nel silenzio e
nell'omertà. Questo non è più accettabile».
Cinque condanne per 28 anni di carcere;
per un imputato non c'è reato associativo Truffe imprenditori e
traffico di droga il core business della 'ndrina di Ivrea
Ludovica Lopetti
Si è chiuso con cinque condanne tra 3 e 8 anni di carcere il filone
con rito abbreviato del processo nato dall'indagine Cagliostro,
sulla presenza della 'ndrangheta a Ivrea e dintorni. Il gup ieri ha
inflitto 8 anni ad Antonino Mammoliti, 6 anni a Flavio Carta, 5 anni
e 10 mesi a Stefano Marino (l'unico imputato scarcerato con
provvedimento del Riesame), 5 anni e 6 mesi a Maurizio Buondonno e 3
anni a Francesco Vavalà (difesi dagli avvocati Celere Spaziante,
Enrico Scolari, Mario Benni, Leo Davoli, Ferdinando Ferrero ed
Ercole Cappuccio).
Le ipotesi d'accusa formulate dai pm Livia Locci e Dionigi Tibone
della Dda erano di associazione mafiosa, truffa aggravata,
estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e
porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso. Il gup ha
ritenuto provato il reato associativo per quattro dei cinque
imputati, Marino a titolo di concorso esterno.
Nei confronti di Vavalà invece è stata esclusa l'associazione, ma
per i reati satellite è stata riconosciuta l'aggravante del metodo
mafioso.
L'indagine, condotta a partire dal 2015 dai carabinieri del Nucleo
Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Dda del
capoluogo, ha svelato la presenza di una locale di 'ndrangheta tra
Ivrea, Chivasso e zone limitrofe, sotto l'egida della cosca Alvaro
di Sinopoli.
L'esponente di spicco è ritenuto Domenico Alvaro, 45enne residente a
Chivasso nonché figlio del boss Carmine, imputato in veste di
«promotore». Al vertice dell'articolazione secondo i pm c'era anche
Antonio Mammoliti, che, tra le altre attività, si sarebbe occupato
di rintracciare le armi.Secondo gli investigatori, la cellula aveva
due core business: il traffico di droga su scala internazionale e
reati contro il patrimonio, principalmente truffe a imprenditori.
Si svolgerà a Torino anche il processo con rito ordinario nei
confronti di altri 16 indagati tra cui i fratelli Francesco e
Giuseppe Belfiore, Pancrazio Chiruzzi, Piero Speranza e la figlia
Marta. Lo ha stabilito, all'inizio di luglio, il collegio di Ivrea
presieduto dalla giudice Stefania Cugge ritenendo che il processo si
debba celebrare nel tribunale dove sarebbe stata commessa
l'estorsione .
26.07.24
L'attentatore di Trump si era informato sull'assassino di Kennedy su
Internet Ha cercato ispirazione nell'assassinio di Kennedy del 1963
prima di compiere il suo attacco a Butler. Lo rivela l'Fbi dopo le
ultime indagini sull'attentatore di Donald Trump - Thomas Matthew
Crooks - che cercò online informazioni sull'assassinio di John
Fitzgerald Kennedy, concentrandosi in particolare sulla distanza da
cui Lee Harvey Oswald riuscì a mirare - in quel caso con successo -
al presidente degli Stati Uniti, uccidendolo. Un «dettaglio
significativo che descrive il suo stato d'animo», ha dichiarato il
direttore dell''Fbi Christopher Wray in audizione al Congresso.
Intanto le ultime ricerche confermano che Crooks fece volare un
drone nell'area del comizio dell'ex presidente due ore prima
dell'inizio dell'evento elettorale
LICENZIAMENTO IMMEDIATO : La denuncia di Anna, astigiana di 18 anni
, dopo il viaggio a Berlino "Tremavo e non dormivo più , la mia
dignità calpestata due volte"
"Io molestata in gita" La preside minimizza "Ti ci devi abituare"
Le tappe della vicenda Laura Secci
Asti
Non è vero che la vita cambia un po'alla volta. Gli eventi, quelli
importanti, non danno un preavviso. Non li freni, non li capisci, li
subisci e basta. Sentenziano che da quel momento non sarai più la
stessa. E per giorni vorresti diventare la prima che passa, una
qualunque. Tranne te. Poi scatta lo spirito di sopravvivenza o
quello che il lessico un po' arrugginito chiama "amor proprio".
Tutto questo è nello sguardo di Anna, 18 anni, nel suo cercar parole
che nascono, inciampano e si rialzano quando dice «dignità», mentre
si aggiusta meccanicamente la maglia senza spostarla di un
millimetro. «Sono stata molestata in gita e la preside ha sminuito
l'accaduto – racconta tutto d'un fiato scivolando sul bordo della
sedia – Mi hanno tolto la
dignità due volte. Prima l'uomo che mi ha palpato, poi la scuola che
mi ha detto che devo farci l'abitudine. Io non voglio farci
l'abitudine».
È febbraio. Anna è all'estero con il resto della classe di un liceo
astigiano. L'ostello dove passano le ultime notti prima del rientro
a casa è un melting pot di viaggiatori adulti di mezza età con una
comune inclinazione al bere. «Niente famiglie. Solo adulti, maschi,
alcuni ubriachi – ricorda– L'ultima sera, sono fuori dalla hall con
le mie amiche quando sento una mano palparmi con forza il sedere. Mi
giro di scatto, lo guardo e urlo "Ma cosa fai? " in italiano. Lui,
ridendo, si allontana lentamente. Quella risata mi rimbomba ancora
in testa. Come i suoi occhi divertiti». Poi la corsa dal professore,
l'amica racconta l'accaduto, scatta la segnalazione alla guardia di
sicurezza. «Tremavo. Ma il mio insegnante mi ha tranquillizzato. E
per tutta la notte, lui e gli altri docenti, hanno vigilato a turno
davanti alla porta della stanza. Il giorno dopo siamo partiti. Ho
capito che non potevo bloccare tutta la classe lì per sporgere
denuncia – alza gli occhi come a cercare conferme – Sì. Forse ho
sbagliato. Ci ho pensato. Ma neanche io volevo stare in quel posto.
Sentivo solo il bisogno di tornare a casa il prima possibile».
Dimenticare. Cancellare tutto. Come quegli incubi che la mattina
strappano un sospiro di sollievo: menomale, era solo un sogno.
«Invece non riuscivo più a dormire e ho raccontato tutto ai miei
genitori. Erano furiosi e hanno chiesto subito un appuntamento con
la preside. Non c'era». L'incontro avviene pochi giorni dopo, ma
senza di loro.
Il bidello bussa: «Ti aspetta la preside». Pochi passi incerti nel
corridoio che non è mai stato così lungo. Le labbra si muovono
veloci in una conversazione interna che cerca di mettere ordine tra
pensieri sparsi. Non c'è più tempo. La porta è lì. «Ma non ci sono i
miei genitori», l'obiezione, mentre entra nella stanza con la
convinzione di chi vorrebbe trovarsi altrove. «Sei maggiorenne, sei
responsabile delle tue azioni» la risposta. Il dialogo ad Anna è
parso più un monologo. «Perché racconti questo adesso, una settimana
dopo? Ci abbiamo messo mesi a organizzare questa gita. Tu con questo
a cosa vuoi arrivare? Non è successo chissà cosa». Frasi che
seppelliscono quel po'di coraggio raggranellato alla veloce. «Io
volevo solo parlarne. Non ho un'idea precisa». Il silenzio è sospeso
in attesa di una risposta. Arriva ma non è quella sperata. «Ti ci
devi abituare a queste cose». Queste le parole, per chiudere la
questione, raccontate dalla ragazza. Delle ore che seguono ricorda
il senso di impotenza alimentato dall'amarezza. Ma la delusione,
convertita in azione, spesso ha il pregio di esercitare i nostri
diritti senza chiederci il permesso. Nasce così un articolo
pubblicato sul giornalino scolastico regionale dal titolo
"L'arroganza dell'illuso" in cui scrive quello che avrebbe voluto
dire alla preside se le parole non si fossero bloccate in gola. «Non
mi sarei mai aspettata di sentire che è normale che accadano questi
episodi – scrive – Avrei voluto dirvi che non ho la vostra età, non
lo so come va il mondo quanto sapete voi. Però ecco quello che la
scuola mi ha insegnato: se qualcosa non funziona bisogna lottare,
perché è per le donne che hanno fatto la differenza che lei preside
svolge un ruolo importante, non grazie a quelle che si sono abituate
alle molestie. Come è possibile che in una scuola che manifesta
pubblicamente contro la violenza sulle donne, privatamente vengano
dette parole così pesanti? » . Un interrogativo che riapre l'eterna
ferita della doppia morale. Condannare in pubblico ciò che si
tollera nel privato. «In questo liceo mi hanno insegnato che le
molestie sono gravi. Quindi mi aspettavo di sentirmi dire che un
uomo che mi tocca senza consenso è da condannare e basta». La
preside, contattata per un commento, nega con fermezza. «La scuola
disconosce il fatto che ci sia stata violenza. Al massimo avrà avuto
un apprezzamento per la gonna corta. Ma poi cosa avremmo dovuto fare
noi? Ho ascoltato la ragazza, le ho detto che è importante non
allontanarsi per non finire in situazione spiacevoli. Poi è successo
a Berlino. Se nell'ostello c'è qualche deficiente alticcio come
prima cosa ti allontani. Le ho anche detto che se voleva sporgere
denuncia poteva farlo. È maggiorenne. Ho solo aggiunto che secondo
me in casi come questo è sterile». Sulla risposta riferita dalla
ragazza: «Ti ci devi abituare» si riversa in un fiume di parole.
«Mai pronunciato una frase simile. Possiamo averle detto che la vita
è anche questa. Se mia figlia mi raccontasse di essere stata
palpeggiata da un ubriaco le risponderei: ma sei scappata subito,
tesoro? Perché, diciamoci la verità, se uno ti mette la mano sul
sedere qual è la prima cosa che fai? Denunciare? No. È scappare».
Una società che ci insegna fin da piccoli a rendere conto agli altri
di ciò che facciamo ma non ci abitua a rendere conto a noi stessi,
Anna sembra aver trovato il suo modo, non barattabile, di stare al
mondo. Quando una donna dice no. È no. Perché no è una frase di
senso compiuto.
IL VERO VOLTO DEL PCI:L'autore
Anna Maria Ortese
fece licenziare
Quando il Pci
«Sai, passiamo dei periodi come se uno fosse avvelenato, pieno di
cose che ti staccano dal profondo di te». Scriveva così Anna Maria
Ortese alla sua amica Angela, moglie dello scrittore pesarese Fabio
Tombari, in una lettera rimasta fino ad oggi inedita e che siamo in
grado di rivelare grazie a un paziente lavoro di ricerca. Era il 7
novembre del 1948, e la scrittrice era stata ospite della coppia nel
maggio dell'anno precedente, appassionandosi, grazie a loro,
entrambi seguaci di Steiner, all'antroposofia. Nel periodo di cui
parla nella lettera, pur seguitando a collaborare con i quotidiani
napoletani La Voce e Risorgimento, la Ortese aveva colto al balzo
una ghiotta occasione d'assunzione al settimanale milanese Omnibus,
diretto da Salvato Cappelli, che all'epoca ospitava articoli di
Calvino, Vittorini, Pavese e aveva un profondo radicamento con la
linea del Pci di Palmiro Togliatti. Vi era arrivata grazie al suo
amico Pasquale Prunas, che in coppia con Cappelli creò qualche anno
dopo Le ore, un rotocalco rivoluzionario, e che era già
collaboratore della testata.
«Da quando sono partita per Milano la prima volta - scrive la Ortese
all'amica - ho vissuto un'esistenza febbrile e angosciata perché
troppo crudo era il passaggio da un sistema all'altro. Ero con
Omnibus, sai: morivo dal dolore di non vedere più Napoli, di
trovarmi a Milano. Era l'estate, vivevo in casa di Lelj, che è stato
un ottimo carissimo amico (si riferisce con ogni probabilità a
Massimo Lelj, autore Bompiani ed ex inviato di guerra del Corriere
della Sera, ndr); ma non ero lieta! Quanto al lavoro, prendevo lo
stipendio di redazione (ma non facevo nulla, non perché non volevo,
ma perché non c'era lavoro) e il compenso dei radi articoli in cose
di Milano. Il lavoro che mi era stato assegnato non mi piaceva, mi
urtava». In effetti nei pochi servizi da lei firmati in quell'agosto
milanese (sull'ippodromo di San Siro e l'Idroscalo) la sua prosa è
irriconoscibile: legnosa, prevedibile, a tratti burocratica. I
colori con cui dipinge qualunque ambiente sono corruschi,
rispecchiano un profondo disagio interiore. Milano, che in seguito
sarà da lei ampiamente rivalutata, le appare come il luogo dove ogni
cosa reca il cartellino del prezzo. «Si è soli. Molto più soli che a
Napoli» si lagnava con Prunas nel carteggio pubblicato anni fa da
Archinto (Alla luce del Sud, a cura di Renata Prunas e Giuseppe Di
Costanzo). «Ti coprono col mantello dell'ironia, non altro».
Cappelli, pur sapendo che Ortese non è una comunista militante, la
sprona a essere più faziosa e ficcante, ma lei rifiuta «la violenza
di parte»: «I pezzi che vorrei fare per Omnibus - confida a Prunas -
dovrebbero essere una cronaca disintossicata della vita milanese,
del mondo borghese di qui, ma non contro gli uomini veri e propri
(com'è possibile odiare?) solo contro quanto di fatuo e mortale c'è
nel loro costume». Il nodo a quel punto va sciolto: Anna Maria
Ortese è o non è idonea a militare in una testata apertamente
schierata? Cappelli la mette alla prova affidandole un'inchiesta
delicata: «Decisero di mandarmi a Trieste per provare in pieno le
mie possibilità giornalistiche» rivela la Ortese all'amica. «Rimasi
là dieci giorni, molto felice, perché vedevo il mare e gente bella e
serena. Poi tornai a Milano e mi misi a scrivere gli articoli su
Trieste. Dopo aver consegnato il primo, che fu accolto con
entusiasmo, tornai a Napoli».
Trieste era ancora uno staterello autonomo a quel tempo (il
Territorio libero di Trieste), sebbene diviso in due zone: la A
governata dagli Alleati, la B sotto il controllo jugoslavo. Dopo le
elezioni politiche d'aprile e soprattutto dopo la rottura delle
relazioni tra Tito e Stalin, il movimento comunista locale s'era
scisso in due spezzoni: da una parte, la maggioranza kominformista
fedele alla linea di Mosca, capeggiata dal famigerato Vittorio
Vidali, un duro coinvolto in varie vicende di sangue, compreso
l'omicidio di Trotsky; dall'altra, la minoranza filotitina. Il
pendolo del comunismo comandato da Mosca oscillava ora nella
direzione del Pci, anche se questo non significava che il Pci
triestino fosse diventato un partito italiano. E comunque,
l'obiettivo primario, comune sia a Togliatti che alle forze
kominformiste, era liberarsi del controllo angloamericano. La prima
puntata dell'inchiesta ortesiana ("L'amante slavo", 14/10/1948), pur
incentrata sulle posizioni della Lega nazionale, l'associazione
irredentista risorta dalle sue ceneri nel ‘46, suggellava perlomeno
quest'aspirazione: «Solo lo Slavo e nessun altro che lo Slavo
(scaduto per sempre il decorosissimo Austriaco), è grande come
nemico». Per contro, la seconda puntata ("Ma di che cosa è malata
Trieste?", 21/10/1948), spedita da Napoli, esaltava senza mezzi
termini l'irredentismo: «Oggi, a Trieste, non c'è nulla di più
commovente, di più straordinariamente importante della "Lega
nazionale" (…) … gli anni in cui Trieste non ebbe la Lega, non fu
cioè irredentista, ci paiono per Trieste brutti anni, fortunatamente
passati». Giudizio che non poteva esser sottoscritto né da Botteghe
oscure né da un Cappelli ligio osservante dell'ortodossia
togliattiana. «Trovai tutti, a Omnibus, pieni di benevolenza e
simpatia» prosegue laconicamente la Ortese. «Il servizio andava
bene. Ma, dopo pochi giorni, saltò fuori la notizia che il Partito
non era contento, e che bisognava troncare tutto. Rimasi senza
fiato, umiliata e impensierita, anche perché lo stipendio di
redazione non lo prendevo più e anticipi sul lavoro non me ne
potevano dare. Come vivere?».
Con il licenziamento da Omnibus per volere del Pci, inizia per Anna
Maria Ortese un periodo segnato da grandi difficoltà economiche, che
la portò a dipendere da amici e conoscenti per il sostentamento e la
ricerca di alloggi, sempre temporanei. «La verità è che io
appartengo prima di tutto al P.C.D.D. (leggi: Partito Cercatori Di
Dio), io non posso sentire la lotta di classe se non in funzione di
quella contro il Male (bisogna proprio chiamarlo con lettere
maiuscole), ch'è tanto, è solo in parte dovuto al fattore economico,
in gran parte dipende invece da cose più grandi di noi, misteriose
quanto difficili a intendersi», scriveva sempre in quell'estate del
1948 al suo amico Prunas; e mai avrebbe cambiato idea, assumendosi i
rischi che ogni battitore libero della stampa dovrebbe mettere in
conto.
Non per nulla la sua carriera giornalistica è lastricata di trionfi
e crucifige feroci: ai maggiori allori corrisponde quasi sempre una
reazione uguale e contraria di fischi e pollici versi. Tutte
sollevazioni di sinistra, di militanti del Pci e intellettuali di
quell'area in cui anche lei, a quel tempo, si collocava. Il mare non
bagna Napoli, premio giornalistico Saint Vincent e premio letterario
Viareggio 1953, è per metà costituito da inchieste sul campo. Quella
sui Granili, pubblicata sul Mondo nel gennaio del ‘52, smosse
addirittura i vertici dello Stato, il presidente Einaudi, che
decretò ipso facto la smantellamento di quel falansterio degli
orrori. Plausi seguiti da botte fragorose. "Il silenzio della
ragione", l'inchiesta sugli scrittori napoletani che le aveva
commissionato Vittorini, scatenò un finimondo. La Ortese aveva
descritto i vecchi compagni d'avventura di Sud, la rivista ideata e
diretta da Prunas, come dei falliti, dei rinunciatari che avevano
deposto istanze e armi illuministiche. Di più: li aveva messi in
caricatura. Le avevano replicato, sdegnati, Compagnone, Domenico Rea
e Gianni Scognamiglio; e tutto quel mondo di ferventi gazzettieri
idealisti che palpita nelle pagine del Mistero napoletano di Ermanno
Rea s'era riconosciuto nell'attacco sferratole da Nino Sansone sulle
colonne di Rinascita. Era per quella cerchia il racconto d'una
rinnegata, una che non credeva più alle magnifiche sorti e
progressive della capitale del Sud.
L'anno dopo, ovvero nel ‘54, la Ortese partì per un lungo reportage
a puntate tra Praga e la Russia assieme a una delegazione dell'Udi.
Ebbene, con il suo meraviglioso racconto riuscì a scontentare tanto
la destra che la sinistra. «C'era molto sacrificio, molta pena,
molta sofferenza e obbedienza, e questo era sconsigliabile a dirsi
per i Credenti di sinistra; ma anche bontà, speranza, saldezza, e
questo non andava bene per i Credenti di destra». Già era stata
isolata dalle compagne durante il soggiorno per il precedente del
Mare non bagna Napoli; ma, al ritorno, fu anche accolta «con il viso
dell'armi» (parole sue) dal «mondo della sinistra milanese». Tutti
contro, meno Luchino Visconti. L'anno dopo, per quelle straordinarie
corrispondenze e altri servizi giornalistici, le assegnarono un
secondo premio Saint Vincent. Avrebbe continuato a collaborare a
fogli di sinistra come Milano sera e L'Unità, grazie anche
all'appoggio del suo compagno Marcello Venturi, che di quel giornale
era caposervizio cultura, ma a quel punto Anna Maria divorziò per
sempre da Botteghe oscure: «Sono uscita dal partito - dichiarò
lapidariamente - perché volevano che io non ragionassi con la mia
testa ma con la loro».
ANCORA OGGI "Il Partito non gestiva il dissenso Sulla
Jugoslavia divisioni profonde"
Ritanna Armeni
La chiusura
Gli intellettuali
L'indifferenza
La polemica sul Gattopardo
«Io non ero nel Pci, quindi nessuno mi ha potuto cacciare», ricorda
Ritanna Armeni, giornalista, scrittrice e fondatrice del Manifesto
nel 1972. «Sono arrivata al Manifesto quando era un giornale
dissidente, e me ne sono andata perché quell'esperienza aveva
esaurito, per dirla con le parole di Berlinguer, la sua "forza
propulsiva"». Ma di quella intensa fase professionale Armeni dice di
aver ricevuto una lezione fondamentale "di spirito critico", e di
rivedere, nella vicenda di Anna Maria Ortese, alcuni dei dilemmi che
hanno segnato la storia della sinistra.
Il caso di Anna Maria Ortese risale a un'epoca molto precedente agli
strappi che segnarono la storia del comunismo italiano negli anni
Settanta e Ottanta: siamo nel 1948, la guerra è finita da pochi anni
e l'allineamento del Pci con Mosca a quell'epoca non conosceva
esitazioni. Il legame in particolare con la Jugoslavia di Tito, che
per Togliatti rappresentava un esempio positivo di realizzazione
socialista, metteva le rivendicazioni della "Trieste italiana" in
assoluto secondo piano: i comunisti italiani erano infatti convinti
che Trieste e l'Istria, in quanto area con una consistente
popolazione slava, dovesse essere parte della Jugoslavia perché
questo avrebbe facilitato la costruzione del socialismo in entrambi
i paesi.
Ragione per cui il primo reportage di Ortese – "Lo slavo" – fu
approvato, e il secondo – in cui si sostenevano le ragioni
dell'irredentismo e della "Lega Nazionale" – le valse
l'allontanamento definitivo da Omnibus, la rivista per cui lavorava,
su diretta indicazione dei vertici comunisti.
Armeni, il PCI aveva un rapporto difficile con le donne
intellettuali?
«Il Pci aveva un rapporto insieme intenso e difficile con gli
intellettuali in genere: intenso perché il mondo della cultura
faceva riferimento al partito, difficile perché spesso non riusciva
a gestire il dissenso, come dimostra, nel 1969, il fatto che radiò
gli intellettuali che avevano fondato il Manifesto. Non credo che
nel caso di Anna Maria Ortese il problema fosse il suo essere donna.
La Jugoslavia e Trieste erano un problema scottante, anche
all'interno della sinistra. Ortese scrive nel 1948. Ricordo che
Rosario Bentivegna , uno dei Gap protagonisti dell'attentato contro
i tedeschi a via Rasella nel 1944, dopo che era andato a combattere
in Jugoslavia nel 1945 non esitò a criticare la gestione
dell'esercito guidato da Tito, e rimase fermamente anti-titino per
tutta la vita. Questo per dire quanto acceso fosse allora il
dibattito sul tema...».
Il rapporto difficile dunque era in generale con gli intellettuali?
«Assolutamente. Basti pensare all'ostracismo ricevuto in una prima
fase dal Gattopardo, il libro di Tomasi di Lampedusa, e a tutti i
problemi avuti da Luchino Visconti quando voleva realizzarne la
versione cinematografica. Fu ritenuto di destra da Alicata, da
Moravia, da Pratolini. Vittorini non lo pubblicò per l'Einaudi…
Certo, nel caso di Ortese, fa impressione il fatto che si trovasse
in condizioni economiche così precarie, e che questo non fu tuttavia
sufficiente a invocare ripensamenti».
Ortese oltretutto era considerata un'intellettuale vicina alla
sinistra…
«Infatti. Il problema, di nuovo, era il dissenso, che d'altra parte
rappresentava il contraltare dialettico dell'ideologia. Possiamo
arrivare a dire che senza dissenso anche l'ideologia sarebbe andata
in pezzi».
Secondo lei cosa ci dice una storia come questa in un momento in cui
si parla spesso di censura e di scrittori censurati?
«Che la censura è un problema che riguarda la destra. Ma che la
sinistra ha sempre avuto un problema con il dissenso. Non è mai
riuscita a comprenderlo, a dargli la giusta considerazione e
comprensione, né a farne occasione di autocritica. Questo è forse il
motivo per cui la sinistra in genere si divide. Ogni voce
dissenziente o viene allontanata o si allontana. E se non si è
d'accordo ognuno va per i fatti suoi».
Colpa di scelte ideologiche troppo rigide?
«La sinistra si fondava – e uso il passato - su un sistema di
valori, la cosiddetta ideologia. Non la disprezzo. Credo che
l'ideologia intesa come visione del mondo presente sia importante, e
altrettanto importante credo sia addirittura l'utopia, intesa come
visione del tempo futuro. Senza di esse la sinistra non esiste. Ma
non è riuscita a farla convivere con l'altro, con quello che viene
da fuori. Anzi, si è sempre espressa ferocemente contro di esso.
Tornando al caso di Ortese, nel 1948 l'ideologia, lo schieramento di
campo, erano più importanti di tutto. Poi però cinque anni dopo
Ortese vince il premio Viareggio con Il mare non bagna Napoli e dopo
ancora vincerà lo Strega». —
25.07.24
La settimana scorsa la giudice era intenzionata a lasciare
l'incarico Ma dal suo partito, Fratelli d'Italia, ora c'è chi la
spinge a ripensarci
Scandalo Csm Natoli tiene duro e non si dimette irene famà
roma
Rosanna Natoli non ha nessuna intenzione di dimettersi. Così si
mormora nei corridoi di Palazzo Bachelet. La componente del
Consiglio di disciplina del Csm finita al centro dello scandalo del
salvataggio pilotato di una giudice, l'avrebbe fatto capire alla
presidente Cassano e al procuratore generale della Cassazione
Salvato. Prima, così dicono, si sarebbe confrontata con il suo
partito, Fratelli d'Italia. Con chi di preciso, non si sa. Certo è
che la consigliera deve la sua ascesa dalla vita comunale di Paternò
a piazza Indipendenza a Roma grazie al presidente del Senato, e suo
compaesano, Ignazio La Russa. Era stato lui, infatti, a fare il suo
nome. E, a gennaio 2023, il Parlamento la votò tra i quattro laici
in quota meloniana.
La scorsa settimana, lo scandalo. La consigliera ha incontrato, nel
suo studio da avvocato a Paternò, Maria Fascetta Sivillo, giudice
civile di Catania sotto inchiesta disciplinare. Un colloquio molto
più che inopportuno, visto che Natoli è tra chi l'avrebbe dovuta
giudicare. Il tutto viene registrato dalla magistrata sotto accusa.
E reso pubblico durante la commissione disciplinare.
Rosanna Natoli ascolta l'audio. Si alza in piedi. Annuncia
dimissioni immediate dalla commissione. Non dal Csm. E sembra non
sia intenzionata a farlo nemmeno oggi. Al contrario. La consigliera
pare lascerà vuoto il suo posto al Plenum. Partirà per le vacanze.
«Per evitare problemi al Csm», avrebbe spiegato agli amici. «Un modo
per temporeggiare», si sussurra a Palazzo Bachelet. Unica certezza?
Il rinvio della questione a settembre.
È vero. È possibile votare, a scrutinio segreto e con una
maggioranza dei 2/3, la sospensione di un membro del Csm. Ma solo se
è indagato. E qui si apre un altro capitolo della vicenda. Il Csm ha
inviato gli atti - la pennetta usb con la registrazione e la
trascrizione del colloquio - alla procura di Roma, ma il reato
sarebbe stato commesso a Paternò. Quindi, per questione di
competenza territoriale, l'intera faccenda è destinata ad essere
trasferita a Catania. E non esiste una procedura che prevede la
decadenza automatica dal Csm.
Insomma. Rosanna Natoli, spalleggiata e consigliata dai suoi, prova
a restare al suo posto. Un posto che condivide sotto i riflettori
del presidente della Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
che è a capo del Consiglio superiore della magistratura. Mattarella,
l'altro ieri ha incontrato il suo vice al Csm Fabio Pinelli. E,
durante un colloquio di quaranta minuti, non avrebbe nascosto di
essere piuttosto sconcertato per una situazione considerata
insostenibile.
Per ricostruire questa intricata faccenda bisogna risalire al
novembre 2023. Rosanna Natoli incontra la giudice Maria Fascetta
Sivillo, condannata a tre anni e sei mesi dal tribunale di Catania
per aver preteso la cancellazione di una cartella esattoriale da
parte dell'agenzia delle riscossioni siciliana. Dovrebbe giudicare
la sua posizione, valutare la sua sospensione, invece le fornisce
consigli. «Sì, sto violando il segreto», dice. «Mi sono presa sto
processo perché lei è amica dei miei amici. E questa situazione la
dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una mano».
Sivillo registra. E insieme al suo avvocato, il legale Carlo
Taormina, rende tutto pubblico. Non solo. L'avvocato Taormina, ex
deputato di Forza Italia, l'altro ieri ha presentato in procura una
denuncia di sei pagine contro l'intera sezione disciplinare del Csm
che ha trattato il caso della sua assistita. Perché, questa la
sintesi dell'esposto, Natoli in quella registrazione mostra di
parlare in nome e per conto dei componenti della sezione
disciplinare di cui fa parte.
"
Solo marketing politico"
niccolò carratelli roma
L'ennesimo scontro in tema di sanità pubblica è in programma questa
mattina nell'Aula della Camera. Dove si svolgeranno le dichiarazioni
di voto e il voto finale sul decreto "Liste d'attesa", con le
opposizioni che daranno battaglia fino all'ultimo. Per il Pd
interverrà la segretaria, Elly Schlein, pronta a rilanciare la sua
proposta di legge, affossata dalla maggioranza, per l'incremento
graduale dei fondi al Servizio sanitario nazionale fino al 7,5% del
Pil. Proposta che era stata inserita dentro a uno dei circa 60
emendamenti depositati dai partiti di centrosinistra e tutti
puntualmente respinti. Come sono state bocciate le pregiudiziali di
costituzionalità presentate da Pd, M5s e Avs.
I deputati di questi partiti hanno monopolizzato la discussione
generale, per mettere agli atti critiche e preoccupazioni.
«Riteniamo che questo decreto sia una scatola vuota, senza norme di
sostanza e interventi strutturali – attacca Marco Furfaro,
responsabile Welfare al Nazareno –.
Un provvedimento mirato a distruggere il Servizio sanitario
nazionale e a favorire il sistema privato, che non inciderà per
niente sulle lunghissime liste d'attesa». Mentre il vicepresidente 5
stelle, Riccardo Ricciardi, parla di una «schifosissima operazione
di marketing politico, in cui si individua nei problemi della sanità
un bacino di voti – dice –. Si fa un decreto per prendere dei voti
senza però metterci niente, è una becera e gravissima
strumentalizzazione». Il Movimento ha presentato un emendamento per
potenziare l'assistenza territoriale, con l'assunzione di medici di
base e pediatri di libera scelta, che non sono interessati dal tetto
di spesa.
«Ma per il governo queste non sono priorità – sottolinea la deputata
Gilda Sportiello – sono interessati solo a spot vuoti e giocano con
il diritto alla salute». E la capogruppo di Avs, Luana Zanella,
mette in guardia dalla prospettiva di vedere aumentare «solo la
burocrazia, prevedendo almeno sette decreti attuativi, ma non le
risorse e le assunzioni del personale sanitario». Critiche a cui il
relatore del provvedimento, Luciano Ciocchetti di Fratelli d'Italia,
risponde assicurando che le nuove misure ridurranno «drasticamente i
tempi di attesa nelle prestazioni sanitarie», e potranno anche
«migliorare la trasparenza e l'efficienza del sistema sanitario
nazionale».
In sintesi, il decreto prevede la creazione di una piattaforma
nazionale per le liste d'attesa presso l'Agenzia per i servizi
sanitari regionali (Agenas) con l'obiettivo di monitorare, in tempo
reale e in tutte le Regioni, i tempi di erogazione delle
prestazioni. Se non vengono garantite entro i termini prestabiliti
dalle classi di priorità, le Asl devono assicurarle o attraverso un
centro privato accreditato o in modalità intramoenia, cioè al di
fuori del normale orario di lavoro dei medici ospedalieri. Le cui
ore di straordinario (come quelle degli infermieri) verranno
retribuite con un prelievo fiscale ridotto: una flat tax al 15%
rispetto alla trattenuta attuale che supera il 40%. Le prestazioni
disponibili nelle strutture pubbliche e private convenzionate
saranno raggruppate ovunque in un Cup (centro prenotazioni) unico
regionale o intraregionale, con il divieto per gli ospedali di
sospendere o chiudere le agende. I direttori generali delle Asl
saranno così valutati anche in base alle performance registrate,
attraverso il lavoro dei nuovi responsabili unici regionali
dell'assistenza sanitaria: dopo le proteste dei presidenti di
Regione, infatti, è stata accantonata l'idea di far gestire i
controlli direttamente al ministero della Salute. Lo scontro sul
decreto, del resto, non si è consumato solo tra maggioranza e
opposizione, ma anche dentro la stessa maggioranza, con la Lega che
ha sostenuto le critiche dei governatori, spingendo per una
revisione del testo, in particolare dell'articolo 2, come poi è
avvenuto al Senato. È dovuta intervenire in prima persona la premier
Giorgia Meloni per favorire una soluzione di compromesso.
Scongiurato il rischio di una spaccatura a Palazzo Madama, il
centrodestra ha trovato un accordo sulla versione finale del
provvedimento, che oggi verrà approvato senza alcuna modifica a
Montecitorio.
24.07.24
NO COMMENT : La rivincita del bravo
avvocato
del vigile
La fotografia
Il risarcimento "
Il nuovo impiego
Paolo Isaia
Sanremo
«Ho sempre saputo di non aver fatto qualcosa di sbagliato, l'ho
spiegato a tutti, dal pm ai vari giudici, fin dall'inizio. Avevo
ragione, anche se questo non mi ripaga di 9 anni di sofferenza». Suo
malgrado, Alberto Muraglia resterà per tutti - «il vigile in
mutande». L'immagine mentre timbrava il cartellino in slip e
canottiera, nell'ottobre 2015 ha fatto il giro del mondo. Accusato
di truffa ai danni del Comune di Sanremo, è stato però assolto con
formula piena, e ora è arrivata anche l'ultima sentenza sul suo
licenziamento. La Cassazione ha confermato quanto deciso dalla Corte
d'Appello di Genova: la decisione del Comune era illegittima.
Muraglia, questa sentenza mette la parola fine alla sua vicenda.
Come si sente?
«Ero sereno e lo rimango. Mi aspettavo questa conclusione, perché
conferma quello che ho detto subito al primo giudice del lavoro. Non
mi aveva creduto, e nonostante tutte le testimonianze a mio favore,
aveva respinto il mio ricorso. Ma la corte d'appello di Genova ha
ribaltato tutto perché c'era una logica. Era chiaro che la
timbratura in mutande avvenisse o prima o dopo l'orario di lavoro,
la macchinetta era davanti all'alloggio di servizio. Una volta
dimostrato quello, è finito il discorso».
Ecco, l'immagine di lei in mutande. Secondo lei la procura ha
sbagliato a diffonderla?
«Sì, perché quella fotografia penderà per sempre sulla mia testa.
Ancora oggi esplodono i commenti sui social quando compare. La gente
non si convince che c'è stato un errore di base della magistratura,
c'è stato un giudizio basato su una singola foto. E uno scatto non
poteva certo spiegare che stavo facendo il mio lavoro, le persone
vedevano altro. Un furbetto del cartellino».
Prova rancore nei confronti della procura, o del Comune che l'ha poi
licenziata?
«No. La cattiveria non sta nel mio dna, e nemmeno il rancore. Non ho
motivi contro l'ex amministrazione, o contro la procura, anche se le
indagini, oltre all'immagine rovinata per sempre, mi sono costate 86
giorni di arresti domiciliari, che non auguro a nessuno. Resta solo
un po' di dispiacere per il comportamento dell'ex segretaria
generale del Comune, che mi aveva dato la speranza di essere pronta
ad accogliere la mia tesi, e poi mi ha licenziato. Poteva essere
sufficiente anche una sospensione, in attesa del processo penale».
È stata una battaglia lunga. Non ha mai pensato di perderla?
«Mai, ero nel giusto. Lo sapevo io e lo sapeva la mia famiglia, lei
è stata la mia forza, e io ho avuto la forza di lasciarla fuori.
Ringrazio anche i miei
avvocati, Alessandro Moroni e Luigi Zoboli, per avere sempre creduto
in me. Sono andato sempre avanti a testa bassa per dimostrare la mia
innocenza. Non è stato facile, ero diventato il nemico
pubblico numero uno. Eppure tre giorni dopo gli arresti ero dal gip
a spiegare tutto. Mi aspettavo quasi le scuse, invece hanno aperto
altri tre fascicoli su di me, tutti archiviati. Ho perfino
rinunciato alla prescrizione, non puoi accettarla quando sai di non
avere fatto niente. Ed è arrivata sia l'assoluzione "perché il fatto
non sussiste" che il reintegro sul posto di lavoro».
Reintegro che però non ha accettato. Per quale motivo?
«Da una parte non volevo più lavorare per persone che non avevano
creduto in me, nella mia onestà, nonostante avessi sempre portato la
divisa con onore e dignità. E poi il Comune ha presentato ricorso
anche contro la sentenza di reintegro».
Sperava che fosse finita con il secondo grado?
«Sì, lo ammetto. La decisione dell'amministrazione mi ha sorpreso,
era palese che anche la Cassazione avrebbe deciso a mio favore.
Bastava leggere le carte».
Con il Comune ora il capitolo è definitivamente chiuso?
«Non del tutto, almeno per la questione economica. Mi sono stati
liquidati 132 mila euro, togliendo dalla cifra iniziale di 227 mila
euro quello che secondo i loro calcoli avevo guadagnato nel
frattempo. Invece secondo la mia commercialista c'è una differenza
di 60 mila euro. Quattro mesi fa ho chiesto al Comune come
risultasse la cifra che mi hanno versato, sta ancora aspettando la
risposta».
I guadagni sono arrivati con il lavoro di aggiustatutto, vero?
«Sì, dopo il licenziamento ho aperto un piccolo laboratorio, adesso
va a gonfie vele. Con me c'è mia figlia Aurora, si occupa della
parte amministrativa, delle etichette per citofoni, delle chiavi. Si
sta laureando in informatica, deve solo discutere la tesi. C'è anche
mio nipote».
Crede che un giorno riuscirà a dimenticare questi nove anni?
«Sono io che non voglio dimenticare, anzi. Anche se la mia immagine
è stata rovinata per sempre, e non me lo meritavo, per il resto sono
contento così. È stato un percorso lungo, difficile e doloroso. Ma
ne sono uscito vincente».
23.07.24
CONOSCO BUONO MA NON RIESCO AD IMMAGINARE UN FUTURO PER IL
NUCLEARE: "Una torre accanto al grattacielo di Intesa come sede
italiana del nucleare pulito" leonardo di paco
Nella sede di Lione, a due passi dalla stazione ferroviaria, sulla
facciata di una delle torri più alte della città da qualche giorno
troneggia un'enorme insegna della sua azienda.
Adesso Stefano Buono, fondatore e ceo di newcleo, scaleup
italo-britannica (sede a Londra) nata nel 2021 e impegnata nello
sviluppo di reattori nucleari di ultimissima generazione, si lancia
in un progetto per colmare un vuoto urbano della città che lo ha
adottato: «Costruire una torre completamente nuova a Torino, dove
già lavorano 350 dipendenti di newcleo, prima che l'alta velocità la
colleghi con Lione in poco più di un'ora».
L'area prescelta per la sede di newcleo è quella davanti al
grattacielo di Intesa Sanpaolo e si inserisce nel progetto di
riqualificazione dell'asse che porta dal Politecnico alla stazione
Dora, con la stazione di Porta Susa al centro. Un piano, chiamato
"Torino Innovation Mile", nato pochi mesi fa su spinta di Davide
Canavesio, il fondatore dell'associazione Nexto. Fra i promotori,
oltre alla stessa newcleo, anche Politecnico, Ogr, Environment Park,
Infra.To, Liftt, New Cleo, Nexto e Planet Smart City.
Lo spazio fisico dove far troneggiare la nuova sede di newcleo
abbonda. L'area di oltre 45 mila metri quadrati di superficie è di
FS Sistemi Urbani. E a Buono i capitali non mancano. Entro l'estate
newcleo chiuderà infatti il maxi round di raccolta da un miliardo di
euro annunciato lo scorso marzo.
Ma si tratta solo del primo di una serie di grandi round di
finanziamento. Entro i prossimi 7-8 anni, infatti, la società avrà
bisogno di un totale nel range di 3-4 miliardi di euro per
sviluppare due reattori in Francia e Regno Unito, un prototipo non
nucleare in fase di studio in Italia (nel laboratorio di Brasimone,
sull'Appennino bolognese) e una fabbrica di combustibile nucleare
per soddisfare la richiesta di combustibile radioattivo che non sia
l'uranio proveniente dalla Russia, fra i più grandi produttori al
mondo.
«In Italia c'è sempre più attenzione nei confronti del nucleare,
anche da parte del governo, e se la crescita di newcleo proseguirà
su questi ritmi avremo bisogno di così tante nuove persone da
riuscire a riempire un nuovo grattacielo» spiega Buono, che ipotizza
un luogo dove ospitare «anche delle attività del Politecnico oltre
alla nuova sede di Liftt». Cioè la società di venture capital
specializzata in investimenti deeptech con soci Fondazione Compagnia
di San Paolo e Poli attraverso la Fondazione Links, stabilita da
tempo alle Ogr Tech e presieduta dalla stesso Buono.
Ma prima bisogna dare un'accelerata alle trattative con Fs Sistemi
Urbani, che da tempo prova a vendere l'area. Poi si potrà cominciare
a lavorare per trasformare i rendering della torre in cantieri. La
macchina burocratica si è già messa in moto. Alla fine di marzo si è
tenuto il primo incontro tra il Comitato e la società del gruppo
Ferrovia dello Stato. I tempi per la realizzazione del progetto
dovrebbero essere di tre anni dal momento in cui verrà finalizzato
l'acquisto delle aree.
Buono, per parlare delle tempistiche realizzative della torre, torna
sulla suggestione di vedere Lione e Torino distanti poco più di
un'ora di treno. E lancia una frecciatina sui tempi pachidermici di
realizzazione dell'infrastruttura che renderebbe possibile il
collegamento veloce. «L'intento è rendere il nuovo grattacielo
realtà prima della fine dei cantieri della Tav (oggi l'entrata in
funzione dell'opera è previsto nel 2032, ndr). Se si continua con
questi ritmi, non penso sarà un problema».
Alle Molinette intervento unico in Italia: sette ore in sala
operatoria per rimuovere un aneurisma L'organo è stato estratto,
mantenuto in vita, riparato e poi reimpiantato nel corpo del
paziente
Autotrapianto di rene con robot " È stato una specie di miracolo"
alessandro mondo
«Quando l'ho saputo mi è mancata la terra sotto i piedi. E ancora
adesso ne parlo con fatica. Per fortuna ho trovato persone
splendide, sotto il profilo umano, oltre che professionale, pronte
ad aiutarmi anche sotto il profilo psicologico. Non sono credente ma
per me è stato una specie di miracolo».
Un miracolo che si è dipanato nelle sette ore trascorse da Roberto
Galanti, 56 anni, operaio specializzato nel settore automotive,
salvato da un aneurisma di 2 centimetri a carico dei rami
dell'arteria renale con un intervento autotrapianto di rene, il
primo in Italia, utilizzando il sistema robotico di ultima
generazione "da Vinci Single Port".
E' accaduto all'Ospedale di Molinette di Torino, non nuovo ad
interventi eccezionali, ad opera di diverse équipe. «Mai avuto
sintomi, ho scoperto di questa cosa per caso a seguito di
un'ecografia addominale di routine - spiega Roberto . Certo: alcuni
valori del sangue erano fuori norma, ma mai avrei immaginato. Invece
il radiologo mi ha messo sull'avviso. Poi gli accertamenti urgenti e
le visite in ambulatorio, alle Molinette, dove il quadro clinico è
risultato ancora più grave. Infine l'intervento programmato in
urgenza, ed ora eccomi qua: a due settimane dall'operazione sto
abbastanza bene, i medici mi hanno letteralmente preso per mano».
Era necessario intervenire per prevenire l'elevato rischio di
rottura spontanea dell'arteria, spiegano dalle Molinette, ma la
complessa posizione dell'aneurisma non rendeva possibile un
intervento tradizionale, cioè con il rene nella sua posizione
naturale.
Per questo è stato utilizzato il rivoluzionario sistema robotico,da
tre settimane in dotazione presso l'Urologia universitaria delle
Molinette, diretta dal professor Paolo Gontero. Il nuovo approccio
chirurgico attraverso un'unica piccola incisione di appena 2,5
centimetri ha permesso di prelevare il rene sinistro da riparare.
«L'estrema raffinatezza di questa tecnologia operatoria robotica
unitamente alla capacità di lavorare in uno spazio relativamente
ristretto, tanto quanto una pallina da tennis, ha permesso di
effettuare il prelievo di rene passando al di fuori dell'addome -
spiega Gontero -. Una via di accesso consente una ulteriore
riduzione del trauma chirurgico rendendo possibile una rapida
ripresa postoperatoria».
Il rene è stato estratto mantenendo sempre una via di accesso al di
fuori del peritoneo e posizionato in un apposito campo operatorio,
dove è stato raffreddato e mantenuto in vita con liquidi speciali
per prevenire i danni da ischemia, e quindi sottoposto ad una
delicata riparazione della malformazione da parte del dottor Aldo
Verri (direttore Chirurgia vascolare ospedaliera). Sempre
utilizzando la stessa incisione, è stato effettuato l'autotrapianto.
La parte anestesiologica è stata seguita dall'équipe del dottor
Roberto Balagna. L'intervento è stato coronato da successo
comportando una pronta ripresa della funzione dell'organo d una
dimissione del paziente in buone condizioni.
Tutto ciò è stato reso possibile in primis grazie alla Fondazione
CRT, che mesi fa ha creduto in un progetto di ricerca finalizzato
all'utilizzo di questa tecnologia in ambiti chirurgici urologici
selezionati: grazie alla donazione sarà possibile disporre per un
anno di questa tecnologia per effettuare una cinquantina di
interventi urologici.
22.07.24
Studiosa uccisa in Ucraina. Il ministro dell'Interno di Kiev non
esclude l'ipotesi di un omicidio su commissione
Leopoli, assassinata l'ultra nazionalista Farion Combatteva la
lingua russa, sospetti su Mosca Giuseppe Agliastro
Mosca
Un omicidio ha scosso l'Ucraina. Nella serata di venerdì uno
sconosciuto ha sparato all'ex deputata nazionalista Iryna Farion ed
è subito fuggito. Poche ore dopo la donna è morta in ospedale. Per
"una ferita da arma da fuoco alla testa", fanno sapere gli
investigatori. L'aggressione è avvenuta a Leopoli, importante città
dell'Ucraina occidentale. Ma i motivi di questo terribile crimine
restano al momento ignoti. "Abbiamo già diverse versioni. Le
principali, posso dire, sono collegate alle attività sociali e
politiche di Farion e all'avversione personale verso di lei", ha
dichiarato il ministro dell'Interno, Ihor Klymenko, aggiungendo di
non poter escludere l'ipotesi dell'omicidio su commissione. Mentre
il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che "vengono
indagate tutte le possibilità: inclusa quella che conduce alla
Russia".
Iryna Farion, deputata del partito di ultra destra Svoboda dal 2012
al 2014, era stata al centro di dure critiche per le sue
dichiarazioni aspramente polemiche in difesa dell'utilizzo della
lingua ucraina. La professoressa di linguistica del Politecnico di
Leopoli l'anno scorso aveva persino puntato il dito contro alcuni
membri del battaglione ucraino Azov per il fatto che parlassero tra
di loro in russo. "Quanto bisogna essere pazzi per combattere
nell'esercito ucraino e parlare russo?" aveva dichiarato secondo la
Bbc bollando il russo come "la lingua del nemico" nonostante sia una
lingua molto diffusa nelle regioni orientali e meridionali
dell'Ucraina (lo stesso Zelensky è russofono). Accusata di "violare
l'eguaglianza dei cittadini" – scrive l'Ukrainska Pravda - Farion
aveva perso la cattedra al Politecnico di Leopoli lo scorso
novembre, ma due mesi fa aveva vinto il ricorso in tribunale ed era
stata reintegrata nella posizione.
La guerra in Ucraina continua intanto a mietere vittime. Le autorità
di Kiev denunciano la morte di due persone e il ferimento di altre
tre in un raid sulla regione di Kharkiv, e l'uccisione di altri
quattro civili in un bombardamento su Mykolaiv. —
almeno 25 vittime negli attacchi su tutta la striscia
Gaza, nuova strage nel campo di Nuseirat Almeno 25 per
sone sono state uccise nei raid
israeliani di ieri nella Striscia di Gaza. Cinque persone sono morte
in seguito ad un attacco nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City.
Altre 4, tra cui due bambini, sono morte in un attacco a Jabalia, e
tre in un attacco nel campo profughi di Bureij. Nuova strage nel
campo profughi di Nuseirat, con dodici vittime in tutto. Infine, una
persona è morta a Khan Younis in un attacco con droni. L'esercito
israeliano ha precisato di aver colpito un edificio nella zona
umanitaria di Deir al-Balah che sarebbe stato utilizzato da una
società legata ad Hamas per convogliare fondi al gruppo
terroristico. L'edificio ospitava gli uffici della società Elkahira,
«parte centrale dell'infrastruttura utilizzata per immagazzinare e
trasferire grandi quantità di fondi alle organizzazioni
terroristiche nella Striscia di Gaza». L'esercito ha dichiarato che
l'attacco è stato eseguito dopo aver ordinato l'evacuazione dei
civili palestinesi nella zona. Caldo anche il fronte al confine
libanese. Quattro persone sono rimaste uccise in un raid israeliano
nel villaggio libanese di Borj al-Mlouk, vicino al distretto di
Marjaayoun. Hezbollah ha risposto con il lancio di 45 razzi sul
Golan e l'Alta Galilea .
Occupazione
forzata
Francesca Mannocchi
Wadi al-Seeq
Il 12 ottobre Abu Bashar si è svegliato nel suo villaggio, a Wadi al
Seeq e non sapeva che sarebbe stato l'ultimo giorno che avrebbe
trascorso lì.
Il pomeriggio cento coloni – alcuni in abiti civili e volto coperto,
e altri in uniformi militari – hanno fatto irruzione nella comunità,
hanno sparato in aria, e hanno dato un'ora di tempo ai palestinesi
per lasciarla. Altrimenti sarebbero stati uccisi.
Poi tre uomini della comunità sono stati picchiati, spogliati,
costretti a terra, legati e fotografati.
I coloni hanno urinato addosso a due di loro e spento sigarette sul
corpo dell'altro.
Wadi al-Seeq era una piccola comunità beduina, le case poco più che
baracche arroccate sulle pietre e la terra arida a Est di Ramallah.
Le trenta famiglie, circa trecento persone che la abitavano, tutti
pastori, da allora non hanno più una casa.
Altre dieci famiglie avevano lasciato le baracche e venduto il
gregge all'inizio del 2023 per cercare un posto sicuro perché già
vittime di ripetuti attacchi da parte dei coloni che avevano già
distrutto la scuola della comunità. E anche gli abitanti di Ein
Samiya, il villaggio vicino, se n'erano già andati, così come quelli
di al-Baqa e Ras al-Tin. Per chi era rimasto a pascolare a Wadi
al-Seeq era chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo perché
il progetto dei coloni «è svuotare l'area C di tutti i palestinesi e
dire: non c'è più nessun palestinese qui, è tutto nostro, non ci
resta che costruire ovunque».
Così riassume Abu Bashar quello che sta accadendo nella Cisgiordania
occupata.
Più o meno quello che accadde alla sua famiglia quando nel 1948,
l'anno della Naqba, lasciò il deserto del Negev per non farvi più
ritorno.
È dagli sfollati di settant'anni fa che nacque la comunità di Wadi
al Seeq.
Dopo che i beduini hanno lasciato il villaggio i coloni hanno chiuso
le strade intorno, così per arrivare nelle vicine città di Rammoun e
Taybeh e chiedere ospitalità, i pastori hanno attraversato
chilometri di campi. Con loro il bestiame, i bambini e le poche cose
che sono riusciti a portare via.
Quando sono tornati a vedere cosa restava delle loro baracche, una
settimana dopo, davanti agli occhi hanno trovato un ammasso di
lamiera.
I coloni avevano distrutto tutto. Quello che non era distrutto
l'avevano portato via: cisterne dell'acqua, persino il mangime per
il bestiame.
Avevano saccheggiato gli armadi, distrutto i letti dei bambini.
Oggi, mesi dopo, ci sono a terra ancora pezzi di giocattoli, i
quaderni dei bambini.
È così che da decenni va avanti l'annessione dei territori
palestinesi.
Oggi la sponda è interna al governo. Agli esponenti di estrema
destra sono affidati ministeri chiave. Una è Orit Strock, ministra
degli Insediamenti e delle Missioni Nazionali, a giugno ha visitato
un avamposto vicino Hebron dicendo a chi lo abita che «l'espansione
degli insediamenti è la sua massima priorità».
Strock, membra del partito Sionismo Religioso, ha esortato i
presenti alla sua visita ad avere fiducia perché «per anni i governi
non hanno investito nella zona della Colline a Sud di Hebron, ma –
ha detto – ho sempre promesso a chi mi ha dato fiducia che se un
giorno avessi avuto una posizione influente, avrei per prima cosa
colonizzato questa zona».
L'ha comunicato anche al leader del partito, Bezalel Smotrich, a sua
volta colono e a sua volta ministro, delle finanze.
Il 29 maggio, l'Amministrazione civile dell'esercito israeliano,
istituita nel 1981 per supervisionare tutte le questioni civili per
i coloni israeliani e i residenti palestinesi nell'Area C della
Cisgiordania, ha trasferito il controllo delle normative edilizie e
della gestione di terreni agricoli, all'Amministrazione degli
insediamenti, guidata anch'essa da Smotrich. Che così ha potuto
approvare velocemente i permessi per la costruzione di nuovi
insediamenti israeliani e le demolizioni delle case palestinesi.
Lo scorso aprile aveva assegnato "simboli di località" a Mishmar
Yehuda, Beit Hogla, Shacharit e Asa'el, avamposti che in attesa di
diventare insediamenti riconosciuti. Il "simbolo di località" è il
passo prima della legalizzazione. Consente agli insediamenti di
ottenere fondi governativi per il suo sviluppo, per avere cioè
infrastrutture: strade, scuole, asili, acqua. Tutto ciò che è negato
alle comunità e ai villaggi palestinesi.
I "simboli di località" per gli avamposti ad aprile anticipavano
l'ulteriore espansione cui stiamo assistendo oggi.
Smotrich, cioè colui che nel 2017 pubblicò il suo "Piano decisivo"
sulla rivista Hashiloach, i cui punti principali erano già
l'annessione della Cisgiordania e l'incoraggiamento di «decine e
centinaia di migliaia di residenti a venire a vivere in Giudea e
Samaria» (nomi biblici della Cisgiordania, ndr).
Smotrich, cioè colui dice pubblicamente non solo che l'annessione
israeliana della Cisgiordania sia necessaria e inevitabile, ma anche
che non sia sufficiente.
Cioè guarda a Gaza.
La prova che questi non siano solo proclami e propaganda urlata ai
propri sostenitori la danno i numeri. Senza riavvolgere il nastro e
riassumere cosa è successo negli ultimi decenni, basta avere alla
mano le statistiche degli ultimi mesi.
Due settimane fa il Consiglio Supremo di Pianificazione ha dato il
benestare alla costruzione di 5300 unità in diversi insediamenti in
Cisgiordania e a vari avamposti (illegali persino per la legge
israeliana) tra cui Givan Hanan (quello visitato dalla ministra
Strock) e Eviatar (che La Stampa aveva visitato due mesi fa e che
oggi è un insediamento a tutti gli effetti) e ha dichiarato oltre
3.100 acri nella valle settentrionale del Giordano come territorio
statale. Quindi territorio che in futuro potrà essere edificato e da
cui i palestinesi dovranno andarsene.
In una conferenza stampa congiunta Strock e Smotrich hanno
esplicitato che l'approvazione di tali misure serva a «combattere il
riconoscimento di uno Stato palestinese». Come a dire: più
insediamenti ci sono, più avamposti illegali vengono resi legittimi,
meno sarà possibile garantire la continuità territoriale che è
condizione imprescindibile alla creazione di uno Stato palestinese.
Nonché l'ordinaria mobilità delle persone, di fatto prigioniere nei
loro villaggi.
Smotrich l'ha detto ancor più chiaramente: questi passaggi sono una
risposta alla decisione del procuratore capo della Corte Penale
Internazionale che ha richiesto i mandati di arresto per il Primo
Ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant,
nonché un messaggio indiretto a diversi paesi europei che hanno
dichiarato di riconoscere lo stato palestinese.
Ieri, dopo la diffusione della sentenza della Corte internazionale
di Giustizia secondo cui la politica israeliana nei territori viola
il diritto internazionale, Smotrich e l'altro ministro di estrema
destra, quello della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir hanno
dichiarato che la sola risposta che hanno per la Corte è
l'annessione di nuove, vaste parti della Cisgiordania.
Peace Now è un'organizzazione non governativa israeliana, nata con
lo scopo di informare l'opinione pubblica e fare pressione sul
governo sulla necessità di giungere a una pace giusta e alla
riconciliazione con il popolo palestinese secondo la formula "pace
in cambio di territori". Per questo da decenni monitorano gli
episodi di violenza nei territori occupati e gli espropri.
Coi loro dati alla mano, gli ultimi permessi abitativi sono «il più
grande sequestro di terra dagli Accordi di Oslo», dati che fanno del
2024 l'anno record di espropri di terreni (cioè un totale di 5800
acri della Cisgiordania occupata dichiarati terreni statali
israeliani dall'inizio dell'anno).
Secondo un'altra organizzazione israeliana che mappa gli abusi nei
territori palestinesi occupati, B'Tselem, «la violenza dei coloni
non è separata dalla violenza dello Stato. È un braccio non
ufficiale dello Stato per impossessarsi della terra palestinese. Era
il loro piano prima, e lo è adesso. Ora in più stanno sfruttando la
guerra a Gaza per impossessarsi in massa della terra palestinese».
Solo dal 7 ottobre sono 18 le comunità pastorali sfollate
forzatamente dalle loro case che hanno lasciato centinaia di
palestinesi in rifugi temporanei o senza casa. Come Wadi al Seeq.
Da quando sono scappati via, la figlia di Abu Bashar che ha undici
anni, non vuole più andare a scuola. Dice solo che ha una «paura
terribile» di incontrare i coloni e i soldati. Così trascorre il
tempo al primo piano di una casa in costruzione di Rammoun, dove due
delle trenta famiglie hanno trovato ospitalità per qualche mese,
insieme al loro gregge.
Le altre sono sparse altrove. È la comunità, prima delle baracche, a
essere stata distrutta. La sua storia, il suo passato e – nella
dispersione di tutti– anche il suo futuro.
Abu Bashar dice che la morte di un villaggio è come la morte di una
persona cara, amata. E dice che la comunità di Wadi al Seeq, che non
esiste più, era come un albero. Che ora è stato strappato via con la
forza dalle sue radici e buttato via.
INACCETABILE : Raid israeliano sullo Yemen in fiamme la città di
Hodeidah QUALE "Risposta ai terroristi"?
«Quando è troppo è troppo», ha sintetizzato un funzionario militare
israeliano commentando i dettagli dell'operazione "Lunga mano". I
jet dello Stato ebraico – 12 aerei da combattimento tra cui F-15 –
hanno colpito «obiettivi militari» nel porto di Hodeidah in Yemen.
Non un porto «innocente», ha precisato il premier Benjamin Netanyahu
commentando la missione alla vigilia della sua partenza per
Washington. Perché Israele ritiene che anche alla regia di questa
nuova ed ennesima accelerata verso il caos nella regione ci sia il
regime degli ayatollah, che nelle parole del capo di Stato maggiore
Herzi Halevi è la «piovra» i cui tentacoli si estendono oltre ogni
confine della guerra multifronte che Israele sta combattendo dal 7
ottobre.
L'attacco, ha dettagliato l'esercito, ha preso di mira «depositi
dove gli Houthi immagazzinavano armi dall'Iran» allo scopo di
inibirne l'importazione e, obiettivo non secondario, danneggiare le
entrate del gruppo islamico sciita. A generare l'impressionante
colonna di fumo e fiamme sono stati «raffinerie di petrolio e
infrastrutture elettriche», ha denunciato il portavoce degli Houthi.
Si è trattato di «target che avevano un duplice utilizzo: come base
per attività terroristiche e altre infrastrutture, incluse alcune
per produrre energia», ha precisato una fonte militare israeliana.
Il bombardamento, rivendicato dal portavoce di Tsahal, è stato
lanciato in «risposta alle centinaia di attacchi sferrati contro lo
Stato di Israele negli ultimi mesi». Ma, inequivocabilmente, la
linea rossa che adesso fa temere un nuovo salto verso l'escalation
regionale è stata varcata dai "Sostenitori di Dio" con il lancio del
drone verso Tel Aviv, nella notte tra giovedì e venerdì, ed esploso
nella micrometropoli sul Mediterraneo, nei pressi dell'ambasciata
statunitense, provocando una vittima civile.
Incassata la solidarietà e la gratitudine di Hamas e registrati
«diversi morti e feriti» in numero imprecisato dal Ministero della
Sanità dello Yemen citato dalla tv Al Masirah e da altri media della
regione, gli Houthi hanno minacciato «una ritorsione efficace»
all'operazione israeliana "Lunga mano" a Hodeidah.
Lasciando il centro di comando dell'aviazione militare dopo la
riunione di aggiornamento con il primo ministro Netanyahu e il
ramatkal Halevi, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha commentato
l'azione israeliana compiuta a 2 mila chilometri di distanza.
«L'incendio che sta bruciando a Hodeidah è visibile in tutto il
Medio Oriente – ha detto – e il suo significato è chiaro. Gli Houthi
hanno sferrato oltre 200 attacchi contro di noi. Abbiamo risposto la
prima volta che hanno fatto del male a un cittadino israeliano».
«Israele ha informato gli Stati Uniti, ma l'attacco è stato opera
esclusivamente di Israele», ha precisato il portavoce militare
Daniel Hagari. L'ha confermato la Casa Bianca. Il presidente Joe
Biden ha ricevuto un briefing sugli sviluppi in Medio Oriente ma gli
Usa non sono stati coinvolti e non hanno coordinato la missione in
Yemen. E non c'è stata nemmeno partecipazione dell'Italia,
nonostante la voce sia circolata in rete in Libano e in alcuni Paesi
arabi. L'hanno smentito fonti del governo italiano, definendo tali
indiscrezioni nient'altro che «informazioni false».
Questa sera Netanyahu partirà per Washington. Ha in programma un
incontro con il presidente Biden e il suo staff sta cercando di
ottenere udienza anche dal candidato Donald Trump, favorito da Bibi
(il diminutivo del premier israeliano) che non ne fa mistero.
Mercoledì, scopo ufficiale del viaggio, interverrà al Congresso Usa,
per la quarta volta nel suo ruolo. —
MOLTO BENE : I ribelli
mafia
Riccardo Arena
Giuseppe Legato
Ci sono due narcos (oltre che affiliati di rango) che hanno spostato
tonnellate di cocaina e hashish per i principali cartelli della
‘ndrangheta dai porti di Santos e Paranagua verso l'Italia, passando
dagli scali commerciali di Rotterdam e Anversa. C'è un rampollo del
clan Palermiti di Japigia finito nella maxi retata che a marzo ha
scatenato un putiferio politico a Bari alla vigilia delle elezioni
comunali ed europee, ma anche il killer della mafia etnea. Ci sono –
ancora – l'ex capo stragista della Mafia Garganica e il figlio (e
nipote) dei grande boss di Limbadi, roccaforte della malavita
calabrese in provincia di Vibo Valentia.
La generazione dei trentenni
Tutti hanno tra i 30 e i 40 anni. Alcuni di loro sarebbero stati le
colonne del futuro, sono diventati invece la dinamite per far
saltare in aria almeno un pezzo di passato. Profili e pesi specifici
diversi, ma tutti hanno seguito il copione scelto da Domenico
Agresta di Volpiano (Torino) che nel 2016 ha aperto il libro mastro
delle cosche e si è pentito di fronte alla Dda di Torino a 28 anni
appena compiuti.
Se fosse un film sarebbe "Le mafie tradite dai figli più giovani",
ma questa è una storia vera e racconta come il fenomeno del
pentitismo, negli ultimi tempi, viva una stagione particolare (o
comunque rara) che conta sempre più rampolli, poco più (o poco meno)
che trentenni nei ranghi di chi collabora con lo Stato. Bando a
trionfalismi inopportuni (i numeri non sono rivoluzionari e continua
ad esserci una richiesta di ingresso nella malavita), tantomeno ad
analisi sociologiche complesse e figlie – comunque - di spinte
eterogenee, ma è un fatto che il vincolo di omertà con
organizzazioni chiuse che di questo (dell'omertà) hanno fatto per un
secolo e mezzo il principale muro di contenimento a defezioni e
voltaspalle, vacilli di più all'ombra delle generazioni giovani.
Diranno, i boss ancora in pectore, che «non ci sono più i mafiosi di
una volta» e che i giovani «non reggono più il carcere, non se lo
vogliono fare» (dichiarazioni agli atti di inchieste), ma appare
limitante (e fin troppo interessata) l'analisi in questi termini.
Qualcosa di più dell'esclusiva propria convenienza (che pure esiste)
si intravede dietro queste scelte: in alcune c'è forse un filo che
non è più "corda" e che si rompe. Che non regge alle spinte della
modernità e che tradisce per prima la mafia calabrese così
visionaria nella gestione avanguardistica degli affari, così
incapace di flettere la propria ancestralità per trasportarla nei
tempi contemporanei. Ve ne è ampia traccia in un testo del saggista
Arcangelo Badolati edito da Luigi Pellegrini editore.
Convenienza e famiglia
L'ultimo in ordine di tempo è Vincenzo Pasquino, 34 anni, nato a
Volpiano, provincia di Torino, ma con salde radici a Platì, capitale
delle cosche nel mondo. Se – lo scorso maggio - si è pentito perché
ha accolto in ritardo le richieste della moglie non si sa ancora.
Certo è che i suoi primi tre verbali depositati dall'Antimafia sono
più di un presagio del futuro che attende le cosche del Torinese, in
Lombardia e Calabria. Memorabile la sua (intercettata) professione
di fede di fronte alla consorte che lo metteva in guardia dal farsi
"usare" dai boss di Volpiano: «Non mi chiedere di scegliere tra te e
loro perché se lo fai allora caccio te. Questi mi hanno cresciuto!
Quando non avevo 5 euro per le sigarette loro c'erano».
Agresta, il più giovane padrino della ‘ndrangheta pentito, dice a La
Stampa da una località segreta che per cambiare vita davvero «serve
che fuori dalla mafia ci sia qualcosa che ti affascina di più, che
ti appassiona al tal punto da farti lasciare indietro finte regole e
pseudo valori. Può essere un amore, una moglie, un figlio. Io ho
scelto la mia libertà».
E in nome di una catarsi di questo tenore (almeno negli intenti) si
è pentito lo stragista del Gargano Marco Raduano. Il 24 febbraio
2023 era clamorosamente evaso dal supercarcere Badu e Carros. Il
video era diventato virale sui social sulle note della canzone
"Maresciallo non mi prendi". Una beffa in mondovisione. Ricatturato
dai carabinieri del Ros guidati dal colonnello Massimo Corradetti e
dal procuratore di Bari Roberto Rossi, ha fatto trascorrere poche
settimane e ha scritto una lettera agli inquirenti. Nel carcere
dell'Aquila, lo scorso 20 marzo dice ai magistrati di aver maturato
questa scelta «per dare un futuro a mio figlio, per cambiare vita e
anche perché sono stato vittima di diversi tentativi di omicidio,
perché vorrei condurre una vita da normale cittadino e perché sono
pentito e dispiaciuto per quello che ho fatto». Si è autoaccusato di
5 omicidi «ma sono coinvolto in altri 10».
"Mio padre sempre in carcere"
Ed è di due anni fa una eloquente intervista a uno speciale del Tg1
di Emanuele Mancuso, 36 anni, figlio di Pantaleone "L'Ingegnere" e
di Luigi alias "Il Supremo" principale imputato della più grossa
inchiesta contro la ‘ndrangheta nella storia, Rinascita Scott (445
imputati): racconta che lui decise di saltare il fosso «quando
mancavano 7 giorni alla nascita di mia figlia e io ero in carcere».
Aggiunse: «Volevo un maschio per continuare la tradizione
‘ndranghetista, ma poi quando è nata mia figlia ho sentito qualcosa
dentro che mi ha convinto a pentirmi. Ho vissuto – ha detto -
un'infanzia difficile. Nemmeno il tempo di uscire che mio padre già
era in carcere, avrò trascorso due o tre festività con la mia
famiglia. Mia figlia non deve vedere quello che ho visto io, non
deve vivere come me». Ovvero? «Stavo sempre alla finestra e
piangevo, i carabinieri andavano e venivano da casa mia: era un
incubo». E sempre di famiglia parla nei primi verbali l'ultimo – in
ordine di tempo – collaboratore della mafia barese Michelangelo
Maselli. Sta chiarendo in prima battuta alcuni omicidi del passato:
c'è tempo per raccontare come i clan Palermiti e gli alleati Parisi
abbiano inquinato i gangli vitali del capoluogo pugliese.
La decisione dopo gli arresti
Ha solo 27 anni e fa parte di uno dei clan più sanguinari
irriducibili di Catania: Salvatore Privitera, nel suo ambiente
conosciuto come Sam, si è pentito da pochi giorni, dopo avere
rimediato una condanna all'ergastolo per l'omicidio di Enzo
Timonieri, detto Caterina o il Ballerino, assassinato nel 2021,
quando "Sam" aveva solo 24 anni. La scelta di parlare con i
magistrati è legata alla prospettiva di trascorrere in carcere tutta
la vita, dopo la condanna alla massima pena. La famiglia di Sam
Privitera fa parte del gruppo dei Nizza, legato ai
Santapaola-Ercolano, i signori della mafia etnea, legati – in
particolare don Nitto Santapaola, in cella al 41 bis dal 1993 – agli
stragisti corleonesi della Sicilia occidentale. Nonostante il
collegamento con l'élite di Cosa nostra catanese. Il suo prozio,
omonimo, aveva già intrapreso la strada della collaborazione circa
trent'anni fa. Le sue orme ora sono state seguite dal pronipote,
classe 1997, che all'epoca non era nemmeno nato.
Da un anno e mezzo collabora con i magistrati della Dda di Torino
Vittorio Raso, 42 anni, narcos di livello internazionale di stanza
in Spagna legato mani e piedi («È il loro Vangelo») alle potenti
famiglie Crea egemoni nel Torinese. Nella doppia veste di boss e
broker, ha – per anni – inviato in Italia tonnellate di droga
soprattutto hashish, ma anche cocaina. Il suo "pentimento" arriva
all'esito di una complessa indagine della squadra Mobile di Torino:
viene fermato sull'Avenida dels Banys, località a cinquanta metri
dalla spiaggia di Castelldefels, comune in provincia del capoluogo
catalano dimora di vip e di numerosi giocatori del Barcellona
calcio. A luglio 2023 la procura chiude una grossa inchiesta della
polizia: arrestano fiancheggiatori e fedelissimi, i poliziotti gli
sequestrano quasi 2 milioni di euro in contanti nascosti dentro una
giara dell'olio e imbustati insieme a chicchi di riso per non
ammuffire sottoterra. Ha sul groppone una condanna a 18 anni ormai
definitiva. L'11 agosto atterra all'aeroporto di Caselle e la Mobile
lo aspetta ai piedi della scaletta, lui in quel momento ha già
deciso. Vuole parlare col pm Valerio Longi: «Non voglio più stare
lontano da mio figlio».
21.07.24
"I giudici smentiscono la Lega Il governo cambi la legge quadro" Edoardo Izzo
ROMA
«La decisione della Consulta dimostra che il problema dell'accesso
di nuovi operatori nel mercato del Ncc non è una questione che
riguarda solo il Ministero dei Trasporti, ma ha forti impatti sul
turismo, sull'economia, sulla reputazione del nostro Paese
all'estero e perfino sul diritto alla mobilità negato ai cittadini,
ai lavoratori e alle imprese. A questo punto è necessario un
intervento immediato del governo per riformare la legge quadro».
Francesco Artusa, presidente di Sistema Trasporti, l'associazione
per il trasporto privato di Ncc e bus turistici con più iscritti,
commenta così la sentenza di ieri.
Avete provato a parlare con Salvini?
«Più volte ma le nostre proposte non sono mai state prese in
considerazione. Gli ultimi scioperi dei tassisti, scarsamente
partecipati, hanno dimostrato che Salvini ormai conduce una
battaglia residuale a difesa di una legge di trentadue anni fa che
ormai non ha più senso, mentre l'abusivismo - fenomeno sempre più
dilagante - sembra non interessi a nessuno».
Quali sono gli effetti della sentenza?
«Saltato il blocco, gli oltre 8 mila Comuni italiani potrebbero
teoricamente emettere nuove autorizzazioni Ncc senza alcuna
programmazione, col rischio di passare dalla carenza all'eccesso di
offerta in pochi mesi. Per questo è indispensabile una modifica
della legge quadro che sposti la programmazione a livello regionale,
dove è possibile avere norme in grado di mantenere l'equilibrio tra
domanda e offerta. Lo hanno capito in tutta Europa: solo in Italia
sono ancora i Comuni a ricoprire questo ruolo».
Cosa vi ha colpito di questa sentenza?
«I toni molto duri usati dai giudici nel descrivere un Ministero
totalmente disinteressato ai pareri delle autorità garanti, alla
costituzione, al diritto comunitario, ma ciò che è peggio ai
cittadini. Amministratori senza scrupoli che non esitano a
calpestare tutto e tutti pur di accontentare una categoria ritenuta
amica. La sentenza era già stata ampiamente annunciata con una
ordinanza di un paio di mesi fa. Ciononostante il ministro ha varato
il 2 luglio un decreto attuativo per prolungare il blocco e per
obbligare gli Ncc a violare la privacy dei propri clienti. Per
questo saremo costretti, con la federazione MuoverSì, a impugnare il
decreto davanti al Tar».
Le ripercussioni nei confronto dei taxi?
«La riforma della legge quadro può essere l'occasione per trovare un
compromesso ragionevole tra le parti. Il mondo è cambiato e la
domanda di mobilità non solo è cresciuta in modo esponenziale, ma ha
ancora grandi potenzialità di crescita: penso che ci sia spazio per
tutti. La tensione dipende anche da quella politica che ha
assecondato i tassisti per troppi anni. Ora bisogna sedersi a un
tavolo per trovare una soluzione accettabile per tutti. Noi siamo
disponibili come lo siamo sempre stati»
l'intercettazione tra rossi e moncada
Il tecnico "stupido" e le pubblicità in tv
genova L'editore di Primocanale Maurizio Rossi, nonché numero uno
della Programmazioni Televisive spa (Ptv) e di Terrazza Colombo,
location sopra la quale è posizionato il maxi schermo al centro
delle indagini, intercettato dalla Finanza nello studio di Giovanni
Toti mentre programmava quello che per i pm era un accordo volto al
finanziamento illecito, aveva già una exit strategy ben delineata.
«Io posso dire - spiegava Rossi all'ex manager di Esselunga
Francesco Moncada - che gli do 10 passaggi al giorno (spot
elettorali alla lista Toti, ndr). Poi gliene do 50. Ho uno che fa la
programmazione che la sbaglia regolarmente... è veramente stupido».
Così i finanzieri hanno rintracciato e interrogato quel tecnico
definito «scemo» da Rossi. È una donna, F.C. le sue iniziali, di 49
anni, che è stata sentita il 7 luglio scorso dalle Fiamme Gialle.
Ora quelle parole rischiano di aprire un ulteriore filone di
indagine. La programmatrice ha spiegato ai militari di «essere lei
l'addetta incaricata di inserire il numero di passaggi delle clip».
E ha aggiunto: «Per i contratti della lista Toti ricordo che abbiamo
ricevuto indicazione da Rossi di caricare qualche passaggio in più».
Non è escluso ora che i finanzieri cerchino ulteriori passaggi
"clandestini" a favore di altri partiti politici. Scrive la Procura
nel capo di imputazione, contenuto nell'ordinanza di custodia
cautelare firmata dalla giudice Paola Faggioni: «I passaggi erogati
da Ptv spa sono stati offerti da Esselunga in maniera occulta»
Spot elettorali 2022, nuovi guai per Toti Più vicina l'ipotesi del
processo immediato
Marco Fagandini
Tommaso Fregatti
Genova
Nel giorno in cui il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti,
ora sospeso dalla carica, non risponde alle domande del giudice dopo
aver ricevuto la seconda ordinanza cautelare, a parlare sono le
nuove accuse che, ora dopo ora, vengono meglio cristallizzate dagli
inquirenti. Toti e Maurizio Rossi, ex senatore, responsabile della
società Programmazioni Televisive spa (Ptv) ed editore
dell'emittente locale Primocanale, sono indagati per finanziamento
illecito anche per quanto riguarda la campagna elettorale per le
politiche del 2022. Nel mentre, la Procura sta valutando se
richiedere il processo immediato per Toti, l'imprenditore portuale
Aldo Spinelli e l'ex capo del porto genovese Paolo Emilio Signorini.
Tutti accusati di corruzione e ai domiciliari (Signorini è uscito
dal carcere lunedì).
Le pubblicità nel mirino
Come riferisce anche la gip Paola Faggioni nell'ultima ordinanza
che, giovedì, ha disposto nuovi arresti domiciliari per il
presidente ligure, il nucleo di polizia economico-finanziaria della
Finanza ha ricostruito come Rossi avrebbe di fatto regalato alla
lista "Noi moderati - Italia al centro con Toti", i cui esponenti
erano candidati alle politiche, più di 1.500 spot elettorali sul
maxi schermo gestito da Ptv spa e che sovrasta la sede di
Primocanale. A fronte di un contratto stipulato con il Comitato
Giovanni Toti Liguria per soli 30 passaggi di una clip, per un
totale di 450 euro. Mentre il valore complessivo degli spot
trasmessi sul maxischermo - 1.598 per la precisione - per chi indaga
è stato di 24.420 euro. Chi ha pagato quei 23.970 euro mancanti?
Le ipotesi su cui lavorano gli investigatori, sono di fatto due: o
qualcuno ha pagato i passaggi in più, com'è accusato di aver fatto
l'ex manager di Esselunga Francesco Moncada per le comunali del
2022, oppure sono stati un regalo dello stesso Rossi a Toti. E
quindi l'editore avrebbe violato la legge, erogando un finanziamento
sotto forma di spot «senza alcuna delibera da parte dell'organo
sociale competente, senza una regolare iscrizione a bilancio e senza
procedere ad alcuna dichiarazione congiunta» con lo stesso Toti, da
inviare poi alla Camera dei deputati, come scrive Faggioni
nell'ordinanza. Fondi, quindi, «occulti», spiega la magistrata. I
finanzieri stanno cercando di comprendere se vi siano altri
contratti collegati a questa partita, come ritengono sia accaduto
per Esselunga alle comunali 2022. Oppure se, come ipotizza la
giudice sulla scorta di quanto raccolto sinora dai militari, a
sovvenzionare la lista di Toti sia stato in quell'occasione
direttamente Rossi.
In Cassazione senza Riesame
La nuova ordinanza è relativa all'accusa di finanziamento illecito,
che per chi indaga è alla base dell'episodio corruttivo che riguarda
l'apertura di nuovi punti vendita Esselunga a Sestri Ponente e
Savona. Sono indagati rispetto a questa tranche Toti, Rossi, l'ex
capo di gabinetto della giunta regionale Matteo Cozzani e l'ex
manager di Esselunga Francesco Moncada (gli ultimi due si sono
dimessi dalle loro cariche).
L'avvocato di Toti, Stefano Savi, ha depositato ieri il ricorso in
Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame di non
revocare i domiciliari cui è sottoposto dal 7 maggio il presidente
regionale. Per quanto riguarda l'ultima ordinanza invece, è molto
probabile, ha spiegato il legale, che non vi sia il passaggio al
Riesame, ma un ricorso direttamente alla Corte suprema. Savi, ieri,
ha rivendicato le prerogative della difesa, spiegando che «in questa
fase i diritti dell'indagato sono importanti ma non tantissimi. Non
chiederemo di essere sentiti dai pm, Toti ha già parlato».
I requisiti per il rito immediato
Crescono le possibilità che i pm decidano di chiedere il giudizio
immediato per Toti, Aldo Spinelli e Signorini per l'accusa di
corruzione per le concessioni in porto del Terminal Rinfuse e di
Calata Concenter, per la spiaggia di Punta dell'Olmo, tra Varazze e
Celle Ligure, che Spinelli voleva ad uso privato per collegarla al
proprio complesso residenziale e per l'apertura del nuovo
supermercato Esselunga a Sestri Ponente.
Per chiedere l'immediato, si devono attendere i dieci giorni di
tempo che Toti ha per contestare la nuova ordinanza al Riesame.
Dovesse farlo, l'ipotesi immediato si allontanerebbe, come prevede
la norma. Insomma, ai primi di agosto la richiesta potrebbe partire.
A quel punto il gip fisserebbe la prima udienza saltando la fase
dell'udienza preliminare. La prima seduta potrebbe essere a
novembre.
Il via libera della giudice
In stand by dopo la tempesta della seconda ordinanza di custodia,
ieri gli incontri politici chiesti da Toti sono stati nuovamente
autorizzati (di persona). Ieri non è stato possibile confermare
quello con il leader della Lega Matteo Salvini. E oggi non ci sarà
l'incontro con l'assessore regionale Marco Scajola. Verrà stilato un
nuovo calendario. Che oltre a questi due esponenti includerà, come
autorizzato dalla giudice, anche il vice ministro della Lega Edoardo
Rixi e il coordinatore regionale di Forza Italia Carlo Bagnasco.
La replica dell'Anm a Nordio
«Il ministro della Giustizia non perde occasione per mostrare quanto
sia poco interessato a tutelare nei fatti l'indipendenza della
magistratura e la credibilità dell'istituzione giudiziaria», ha
fatto sapere l'Associazione nazionale magistrati in risposta alle
frasi del Guardasigilli che durante un question time aveva detto di
«non aver capito nulla» del testo del provvedimento che rigettava la
richiesta di revoca dei domiciliari a Toti. «Non v'è spazio nella
nostra democrazia – precisano nella nota - per pretese di impunità
per quanti hanno ricevuto un mandato elettorale, perché anche la
sovranità popolare, di cui gli eletti sono espressione, incontra
limiti, quelli posti in Costituzione».
Un'altra tegola sull'assessore all'Urbanistica della giunta Lo Russo
L'inchiesta a Milano su tre palazzine chiamate "Residenze Lac"
" Abuso edilizio" Mazzoleni indagato per la seconda volta
monica serra
Un'altra piccola frana sulla giunta del sindaco Stefano Lo Russo. Il
suo assessore all'Urbanistica Paolo Mazzoleni è indagato (di nuovo).
A Milano, città di nascita dell'ex presidente degli Architetti, è
stato sequestrato un altro cantiere che anche una giudice, oltre
alla procura diretta da Marcello Viola, ritiene fuori legge. Si
tratta delle "Residenze Lac": tre palazzine di nove, dieci e tredici
piani (per un totale di 77 appartamenti) che sorgono in via Cancano
sulle ceneri di un vecchio sito industriale ormai dismesso davanti
al parco delle Cave, un'area che il piano del governo del territorio
approvato dal Comune riconosce di «interesse ecologico e preordinata
alla realizzazione di interventi naturalistici a tutela degli
elementi rilevanti del paesaggio e dell'ambiente».
Anche questa volta tra gli otto indagati accusati a vario titolo di
lottizzazione abusiva, abuso edilizio, abuso d'ufficio e falso
figura l'assessore all'urbanistica di Torino, Paolo Mazzoleni, in
qualità di progettista incaricato dalla Lake park srl in fase di
istruttoria. L'architetto era già stato indagato ad aprile 2023 con
l'accuso di abuso edilizio nella realizzazione di una palazzina in
fase di costruzione in piazza Aspromonte, zona città Studi, sempre a
Milano.
Su ordine della gip Lidia Castellucci, il Nucleo di polizia
economico finanziaria della Gdf ha ieri messo i sigilli all'intero
cantiere di via Cancano pensato – come si legge nel decreto -
«vanificando la potestà pubblica di programmazione territoriale» a
«vantaggio di interessi privatistici», cioè senza valutare la
«concreta conformazione del territorio» su base «razionale» ed
«equilibrata». Come emerge dall'inchiesta dei pm Marina Petruzzella,
Mauro Clerici e Paolo Filippini, l'opera è stata progettata in base
a una «convenzione urbanistica», stipulata da un dirigente comunale
davanti a un notaio e non sottoposta all'approvazione del Consiglio
o della giunta, perdipiù tramite una semplice Scia e sacrificando
gli oneri di urbanizzazione. Tant'è che il sequestro è motivato
dalla necessità di fermare il «pericolo di aggravamento» dati i
«lavori ancora in corso» e la «prosecuzione delle opere» che
aumentando il «carico urbanistico» provocano il «pericolo, concreto
ed attuale, di lesione degli interessi presidiati dalla normativa
edilizia.
Ma Mazzoleni non è l'unico indagato nella giunta Lo Russo. A fargli
"compagnia" è Marco Porcedda, il neo assessore alla Sicurezza, sotto
accusa per abuso d'ufficio e rivelazione del segreto istruttorio:
avrebbe sfruttato il suo ruolo di militare per aiutare un'amica,
procurandole un documento riservato su una vicenda che la coinvolge
la donna e il suo ex marito. Con lui anche l'assessore ai Grandi
Eventi Mimmo Carretta, che con la presidente del Consiglio comunale
Maria Grazia Grippo (e il deputato dem Mauro Laus) sono iscritti nel
registro degli indagati nell'inchiesta sulla Rear, la cooperativa
multiservizi che si occupa di vigilanza di cui sono stati
dipendenti.
Ad attaccare sulla vicenda è Forza Italia, che si riferisce alla
protesta di piazza in Liguria contro Giovanni Toti: «Il secondo
avviso di garanzia raccolto dall'assessore all'Urbanistica del
Comune di Torino Paolo Mazzoleni ci sconcerta. Forza Italia come
sempre è garantista e coerentemente è convinta che l'assessore
riuscirà ad uscire estraneo agli addebiti. Ci domandiamo però dove
sia il Pd, dove siano le manifestazioni di piazza per chiedere le
dimissioni di esponenti politici raggiunti da provvedimenti
giudiziari».
20.07.24
Chiuso il terzo plenum del partito comunista: misure di emergenza
per il settore immobiliare
Xi punta sull'hi-tech e prenota il potere fino al 2033
lorenzo lamperti
taipei L'era della crescita imponente e sregolata è finita. Da un
po' ne è cominciata un'altra, in cui va anche «mangiata amarezza»,
come ammesso dallo stesso Xi Jinping un anno fa, mentre si completa
la difficile transizione da fabbrica del mondo a società di consumi
ad alta qualità. La Cina prova ad accelerare il processo, come si
evince dalla chiusura del terzo plenum, cruciale vertice del
Comitato centrale del Partito comunista sulle politiche economiche.
Ma dal documento finale, diffuso dopo quattro giorni di incontri a
porte rigorosamente chiuse, non traspaiono quelle imponenti misure
di stimolo alla domanda e al settore immobiliare che diversi
analisti speravano di vedere. E nemmeno grandi riforme, nonostante i
media di stato paragonino Xi a Deng Xiaoping, il leader
dell'apertura al mondo e al mercato.
Tra gli impegni del Partito, ci sono quelli di contenere il debito
dei governi locali e ridurre le disuguaglianze sociali, con una
migliore allocazione delle risorse tra città e campagne. Si legge
poi della necessità di «disinnescare il rischio» del crollo
dell'immobiliare, che lascia pensare a operazioni tampone come
l'acquisto di case invendute. Predisposta anche l'eliminazione delle
restrizioni sul mercato, «garantendo al contempo una
regolamentazione efficace». Tradotto: il guinzaglio alle imprese
private verrà allentato, ma non troppo.
La sensazione è che il focus principale sia su produzione e messa in
sicurezza delle catene di approvvigionamento. Ecco allora la
centralità delle «nuove forze produttive», l'ultimo mantra di Xi. Il
riferimento è ai settori innovativi dello sviluppo high-tech:
microchip e intelligenza artificiale, coi funzionari che testano le
applicazioni generative per garantire che «incarnino i valori
socialisti». Ma anche e soprattutto l'industria tecnologica verde
con batterie, pannelli solari e auto elettriche. Vale a dire il
comparto nel mirino dei dazi dell'Occidente, preoccupato
dall'eccessivo export cinese. Basti guardare agli ultimi dati. Da
una parte, i consumi cresciuti solo del 2% a giugno, quasi la metà
del 3,7 di maggio e ben sotto le attese del 3,3. Dall'altra parte,
il +8,6% dell'export contestuale a un -2,3% dell'import e al record
storico di surplus commerciale dal 1990.
Gli obiettivi fissati dal plenum vanno raggiunti entro il 2029. Un
orizzonte temporale di medio periodo che pare implicitamente
anticipare un quarto mandato di Xi dopo il prossimo Congresso del
2027. Nel frattempo, il leader si è ufficialmente sbarazzato di Li
Shangfu, ex ministro della Difesa espulso per corruzione, e di Qin
Gang, ex ministro degli Esteri di cui il plenum ha accettato le
«dimissioni».
GOVERNO IN CADUTA LIBERA :
Rosanna Natoli, avvocata siciliana e membro laico del Consiglio, ha
incontrato un giudice sotto inchiesta. Registrata di nascosto,
ammette: "Sto violando il segreto"
La pupilla di La Russa dà le dimissioni dal Csm "Ha violato le
regole"
irene famà
roma
Palazzo Bachelet, Olimpo istituzionale delle toghe, ripiomba nella
bufera dopo le trame che avevano travolto Luca Palamara, il più
giovane presidente dell'associazione nazionale magistrati. Rosanna
Natoli, componente della sezione disciplinare, consigliera laica del
Csm in quota Fratelli d'Italia scelta dal suo concittadino più
illustre, il presidente del Senato Ignazio La Russa, si è dimessa
travolta da uno scandalo. A novembre 2023 ha incontrato la giudice
civile Maria Fascetto Sivillo, sottoposta a un procedimento
disciplinare. Un colloquio privato durato tre ore. Con tanto di
consigli su come affrontare la vicenda. Inopportuno, certo. E pure
non consentito. Tra chi deve giudicare e chi dev'essere giudicato.
A documentarlo è stata proprio Maria Fascetto Sivillo. Che ha
registrato tutto. E il suo avvocato, il legale Carlo Taormina, che
martedì, per il suo coup de théâtre, ha scelto la seduta della
commissione disciplinare. Durante il plenum, deposita la pennetta. E
centotrenta pagine di trascrizione del colloquio.
«Ho una cosa grave da raccontare» sarebbero state le parole della
Sivillo. Poi l'intervento dell'avvocato. E Rosanna Natoli che si
alza e annuncia le sue dimissioni. Il vice presidente del Csm, il
leghista Fabio Pinelli, invia pennetta Usb e plico con le
trascrizioni a piazzale Clodio. E l'avvocato Taormina chiede la
ricusazione di tutti i componenti della sezione disciplinare del
Csm.
Nel frattempo resta lo scandalo. C'è la versione della Sivillo e di
chi la rappresenta. Secondo la quale tutto avrebbe origine intorno
al 2016, da una serie di scontri a Catania con la presidente della
sezione Acagnino e alcuni magistrati come Bruno Di Marco. «Loro
erano della corrente di Palamara, la Sivillo no. Non apparteneva a
nessuna corrente». La Sivillo, così raccontano, avrebbe segnalato
alcune prese di posizioni spavalde in merito ad alcune vicende
immobiliari. Da lì sarebbero nate «denunce incrociate».
Sivillo viene condannata a tre anni e sei mesi dal tribunale di
Catania per aver preteso la cancellazione di una cartella
esattoriale da parte dell'agenzia delle riscossioni siciliana.
«Sentenza annullata in secondo grado. Ora siamo all'appello bis –
dice l'avvocato Taormina –. E verrà tutto prescritto». Restano i
procedimenti disciplinari. «Di cui si è occupato Palamara», è la
parola della difesa di Sivillo. Nel 2019, la giudice viene sospesa
dal Csm. «Misura revocata un anno fa. E rimessa dopo un giorno».
Martedì, a palazzo Bachelet, si discuteva proprio di questo.
Il 3 novembre 2023 l'incontro tra Sivillo e Natoli nello studio di
quest'ultima a Paternò. Alla presenza di due avvocati testimoni.
L'intermediario? Un avvocato pure lui che, per conto di Natoli,
avrebbe contattato la Sivillo. «Per chiarire alcuni punti».
«La sua causa l'hanno perorata in tanti», esordisce la consigliera.
«Mi sono presa sto processo perché lei è amica dei miei amici. E
questa situazione la dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una
mano». Si parla di correnti. «Ma poi ci sono stati tanti, c'è stata
Claudia Eccher che mi ha chiesto anche un occhio…un occhio di
riguardo su tante cose». E il riferimento è all'avvocata di Matteo
Salvini, laica del Csm in quota Lega.
Natoli continua con i consigli: «La deve smettere di attaccare certi
magistrati. Lei quel giorno, con quel suo sfogo, mi rovinò il lavoro
che avevo fatto. Se lei, anziché parlare e raccontare tutta la sua
vicenda, avesse detto "io ho subito un sopruso dall'Acagnino in
questi anni", noi a quest'ora oggi eravamo alla censura. E lei se ne
usciva alla grande».
Ad un certo punto Sivillo avrebbe reagito con stizza. «Guarda, puoi
fare tutte le denunce che ti pare ma noi ci facemu i pernacchi». Le
discussioni interne al collegio? La consigliera: «Sto violando il
segreto». Dopo aver sentito la registrazione, Natoli ha dato
immediate dimissioni.
19.07.24
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha accolto il ricorso di
cittadini ed europarlamentari sulla mancata trasparenza in merito ai
contratti per l'acquisto dei vaccini contro il Covid-19 stipulati
tra Commissione europea e aziende farmaceutiche
Questo mercoledì il Tribunale dell'Unione europea ha dichiarato che
la Commissione europeanon ha fornito al pubblico un accesso
sufficientemente ampio ai contratti di acquisto dei vaccini Covid-19
stipulati durante la pandemia, accogliendo un ricorso presentato da
europarlamentari e privati cittadini contro la gestione degli
accordi da parte dell'esecutivo europeo.
Tra il 2020 e il 2021 la Commissione europea ha firmato una serie di
contratti di grandi dimensioni con diverse aziende farmaceutiche per
assicurarsi i vaccini contro il Covid-19. Alcuni legislatori del
Parlamento europeo e privati cittadini hanno richiesto, come loro
diritto, di esaminare i contratti e i documenti correlati per
comprenderne termini e condizioni e per assicurarsi che l'interesse
pubblico fosse tutelato.
Alla loro richiesta la Commissione ha risposto concedendo solo un
accesso parziale a tali documenti, che sono stati pubblicati online
in una versione censurata con la motivazione di dover proteggere gli
interessi commerciali e il processo decisionale. A quel punto
eurodeputati e privati si sono rivolti alla Corte di giustizia
dell'Unione europea, chiedendo l'annullamento della decisione
dell'esecutivo europeo di oscurare alcune parti dei contratti.
La sentenza del Tribunale dell'Unione europea
Con la sentenza del 17 luglio il Tribunale dell'Unione europea ha
accolto parzialmente entrambi i ricorsi e ha annullato la decisione
della Commissione europea di pubblicare solo versioni ridotte dei
contratti per l'acquisto dei vaccini Covid-19, in quanto ritenuta
irregolare.
La corte europea ha dichiarato che la Commissione non è riuscita a
dimostrare che l'accesso a determinate clausole - oscurate - avrebbe
compromesso gli interessi commerciali delle aziende coinvolte. Il
Tribunale ha inoltre affermato che la Commissione avrebbe potuto
fornire maggiori informazioni sulle dichiarazioni dei membri del
team che ha negoziato i contratti in merito all'assenza di conflitti
di interesse.
La decisione può essere impugnata dalla Commissione europea entro
due mesi.
Dilemma per i Verdi
La sentenza arriva appena un giorno prima che il Parlamento europeo
voti la riconferma di von der Leyen alla presidenza della
Commissione europea.
Finora la questione non ha influito sulla sua candidatura, ma ora
potrebbe rappresentare un dilemma per i Verdi, tra coloro che hanno
presentato il ricorso alla Corte di giustizia europea contro la
Commissione. Negli ultimi giorni il gruppo è stato corteggiato da
von der Leyen, che spera di ottenere il loro endorsement nel voto di
giovedì.
"Questi contratti riguardano la salute pubblica ed è nell'interesse
pubblico che le informazioni che contengono sui prezzi delle dosi,
sulla responsabilità per gli effetti collaterali, sui tempi di
consegna e su altre informazioni essenziali siano il più possibile
trasparenti e accessibili al pubblico", aveva dichiarato
l'eurodeputata olandese Kim van Sparrentak in un comunicato stampa
dopo aver presentato la domanda alla Cgue.
18.07.24
Arrestato l'assessore Boraso, tra i 20 indagati il sindaco Brugnaro.
Un imprenditore edile e un magnate di Singapore al centro di un giro
di mazzette
Venezia, lo scandalo degli appalti pilotati I pm: "Politici a
disposizione dei privati" LAURA BERLINGHIERI
VENEZIA
Per determinati affari, esisteva un "sistema Venezia". Fatto di un
tessuto imprenditoriale che chiedeva di forzare la mano, per
aggiudicarsi gli appalti alle condizioni più favorevoli. E fatto di
politici compiacenti, che non si tiravano indietro nel piegare la
macchina amministrativa per assecondare i privati.
Una metastasi nella "cosa pubblica" veneziana, nuovamente travolta
10 anni dopo lo scandalo del Mose. Coinvolta dalla testa ai piedi:
Giunta, dirigenti, funzionari del Comune e delle sue società
partecipate. Il sindaco Luigi Brugnaro indagato per corruzione in
concorso con il suo capo di gabinetto e direttore generale del
Comune, Morris Ceron, e con il vice capo di gabinetto, Derek
Donadini. L'assessore alla Mobilità Renato Boraso indagato per
corruzione, concussione e autoriciclaggio, arrestato e ora in
carcere a Padova. Indagati anche Giovanni Seno e Fabio Cacco,
direttore generale e responsabile del settore appalti di Avm, la
società del trasporto pubblico locale.
Più di 20 indagati, 15 misure cautelari e sequestri preventivi per
un milione di euro. Duecento agenti della guardia di finanza al
lavoro ieri, dalle prime ore dell'alba: culmine di un'indagine
innescata da un esposto di fine 2021, coordinata dai pm Roberto
Terzo e Federica Baccaglini e che si è svolta soprattutto
nell'ultimo anno e mezzo. «Indagini classiche, con le
intercettazioni telefoniche e ambientali. E con il riscontro di
quanto emerso nelle telefonate» ha spiegato il procuratore capo di
Venezia, Bruno Cherchi.
Dall'ordinanza del gip Alberto Scaramuzza emerge questo: 6 persone
interdette per 12 mesi dai pubblici uffici, 7 funzionari ai
domiciliari e due indagati in carcere in via cautelare. Si tratta
dell'imprenditore edile Fabrizio Ormenese e di Renato Boraso.
È lui l'uomo chiave attorno alla quale ruota buona parte
dell'inchiesta. Si rivolgeva a lui, il 17 marzo 2023, il sindaco
Brugnaro in una telefonata (intercettata): «Tu non mi ascolti, tu
non capisci un c… Mi stanno domandando che tu domandi soldi. Tu non
ti rendi conto, rischi troppo. Se io ti dico di stare attento, ti
devi controllare». E l'assessore lo avrebbe ascoltato, ma un anno
dopo, tentando di disfarsi delle prove a suo carico.
Renato Boraso, una vita nel centrodestra cittadino: da Forza Italia
alla lista Brugnaro, accanto al simbolo di Coraggio Italia, il
partito fondato dal sindaco con Giovanni Toti. Uomo della pubblica
amministrazione, in realtà a disposizione degli imprenditori, per
conto dei quali interveniva sugli uffici comunali – «ridotti al
servizio del privato», si legge nell'ordinanza del gip – per
orientare le aggiudicazioni degli appalti. Uomo della pubblica
amministrazione, che «ha sistematicamente mortificato la propria
pubblica funzione, svendendola agli interessi privati».
La procura gli contesta 11 episodi, dal 2015. Macroscopico è il caso
della vendita al ribasso di Palazzo Papadopoli, a Venezia, dal 2018
di proprietà del magnate Ching Chiat Kwong, riuscito ad
aggiudicarselo per poco più di 10 milioni di euro, nonostante il suo
valore si attestasse attorno ai 14 milioni. Per il favore,
l'assessore avrebbe ottenuto 73.200 euro sotto forma di consulenze -
mai avvenute - da parte della società Stella Consulting, di cui
Boraso è azionista insieme alla moglie.
E alla svendita del palazzo sono legate anche le posizioni di
Brugnaro e dei suoi due collaboratori. I quali – è la teoria della
procura – avrebbero accettato di abbassarne sensibilmente il prezzo
di vendita, «attraverso atti contrari ai doveri di ufficio», per
agevolare un'altra operazione, sempre con il magnate di Singapore,
decisamente più cara al sindaco: la cessione dell'area dei Pili.
Si tratta di un terreno affacciato sulla laguna, di proprietà di
Brugnaro, che lo acquistò per 5 milioni di euro, ma che vide
schizzare il suo valore negli anni della sua amministrazione, grazie
al nuovo Piano comunale urbano di mobilità sostenibile, che proprio
lì avrebbe piazzato il nuovo palasport. Circostanza che aveva fatto
ingolosire Ching Chiat Kwong.
Ha queste coordinate l'imputazione di Brugnaro, Ceron e Donadini. I
quali avrebbero concordato con il magnate di Singapore il versamento
di 150 milioni di euro «in cambio della promessa di far approvare,
grazie al loro ruolo nell'ente comunale, il raddoppio dell'indice di
edificabilità sui terreni in questione e l'adozione delle varianti
urbanistiche che si sarebbero rese necessarie per l'approvazione del
progetto edilizio ad uso anche commerciale e residenziale della
volumetria di 348.000 mq, che sarebbe stato approntato e presentato
da una società di Ching».
Brugnaro nega - le accuse sui Pili e su palazzo Papadopoli, ceduto
«secondo una procedura trasparente» - e si dice a disposizione della
magistratura. Ma intanto ha convocato una riunione urgente della
Giunta, per oggi, mentre l'opposizione ne chiede le dimissioni. —
17.07.24
Otto anni a Masha Gessen in contumacia
La repressione politica in Russia non conosce tregua. Un
tribunale di Mosca ha condannato in contumacia a otto anni di
reclusione la giornalista e attivista per i diritti delle minoranze
sessuali Masha Gessen: una delle voci più critiche nei confronti del
regime di Putin.
Gessen – nota firma del New Yorker e del New York Times - è stata
incriminata in base alla legge bavaglio che di fatto proibisce di
schierarsi apertamente contro l'invasione dell'Ucraina. L'accusa
ufficiale rivolta alla giornalista russo-americana è quella di
«diffusione di notizie false sull'esercito»: un'imputazione di ovvia
matrice politica che secondo la testata online MediaZona deriva
dalla sua denuncia delle terribili atrocità che i soldati russi sono
accusati di aver commesso a Bucha.
L'intervista pare sia stata vista oltre 6,5 milioni di volte in meno
di due anni su YouTube e Masha Gessen era stata inserita nella lista
dei ricercati del regime di Putin già lo scorso dicembre. —
PALESE INGIUSTIZIA :
La Corte d'Appello ha confermato il verdetto del primo grado: "Ci fu
una condotta incauta" I familiari protestano: "Adesso c'è anche la
beffa di dover pagare 26 mila euro di spese legali"
Le tappe della vicenda
L'Aquila, no ai risarcimenti per i ragazzi uccisi dal sisma Un papà:
"Né soldi, né scuse"
flavia amabile
roma
È stata colpa loro se quindici anni fa, mentre la terra tremava a
l'Aquila, sono morti. Ieri la Corte d'Appello ha cancellato le
speranze delle famiglie di sette studenti vittime del crollo della
palazzina in via Gabriele D'Annunzio 14, nel centro storico
dell'Aquila. I giudici hanno confermato la sentenza del tribunale
civile di due anni fa: i giovani non sono morti per effetto delle
parole rassicuranti della Protezione civile. La morte è la
conseguenza di una loro «scelta incauta», senza alcun «nesso» con le
parole arrivate dalle istituzioni. Le famiglie dei sette giovani,
quindi, non solo non hanno diritto al risarcimento ma dovranno
pagare anche le spese legali.
«Ci sono tante cose illogiche in questa sentenza che non riesco a
capire», è il primo commento di Sergio Bianchi, padre di Nicola, una
delle vittime. Le altre sono Ivana Lannutti, Enza Terzini, Michele
Strazzella, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti e Nicola Colonna.
Già in primo grado, i familiari delle vittime hanno dovuto
corrispondere circa 12 mila euro di spese processuali a cui si
aggiungono i circa 15 mila del processo in Corte d'Appello, ma
alcune famiglie annunciano il ricorso in Cassazione.
«Come si può demandare la sicurezza ad un ragazzo di 22 anni?»,
chiede Bianchi. «Mio figlio è rimasto a casa perché nessuno gli ha
spiegato come comportarsi. Quella sera spettava alla Protezione
civile creare un'alternativa: non doveva dire di stare tranquilli,
avrebbe dovuto creare un campo con delle tende e spiegare che se si
aveva qualche timore si poteva andare lì. È questo il compito della
Protezione civile».
I giudici la pensano diversamente, sia in primo sia in secondo grado
hanno scagionato la Commissione grandi rischi che pochi giorni prima
aveva rassicurato chi si trovava a L'Aquila nonostante le scosse si
susseguissero da un mese e hanno scagionato la presidenza del
Consiglio dei ministri. «In linea generale, il compendio probatorio
acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa,
deposizioni testimoniali, ndr) - al di là del convincimento del Capo
del Dpc emerso nel corso della conversazione casualmente
intercettata tra lo stesso (Bertolaso, ndr) e l'assessore regionale
(Stati, ndr) - ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della
tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo - ad
esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale,
peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico -
avessero, a priori, l'obiettivo di tranquillizzare la popolazione e,
quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati
oggetto della loro valutazione scientifica», scrivono i giudici.
La colpa, quindi, è degli studenti, di chi come Nicola Bianchi, che
frequentava da fuorisede la facoltà di Biotecnologie. Veniva da
Monte San Giovanni Campano, un piccolo paese della provincia di
Frosinone, abitava in un appartamento del centro storico e stava
studiando per un esame fissato l'8 aprile, due giorni dopo.
«Mio figlio non poteva sapere che cosa era giusto fare quella notte.
Da anni denuncio le mancanze della Protezione civile e ora non
riesco a non pensare che la sentenza voglia colpire me che da anni
mi espongo e cerco di far capire che cosa non ha funzionato quella
notte. Non hanno capito che non chiedevo risarcimenti stratosferici.
Né i soldi né una sentenza avrebbero potuto restituirmi mio figlio,
mi sarebbe bastato che qualcuno avesse ammesso di aver sbagliato e
mi avesse chiesto scusa. Invece mi hanno colpito di nuovo e ora non
so che fare».
Sergio Bianchi ha lavorato per oltre 40 anni come operatore del 118,
da qualche mese è in pensione. Dal 6 aprile del 2009 la vita
dell'intera famiglia è stata stravolta. «Ho anche una figlia che non
si è mai ripresa dal dolore per la perdita del fratello. Deve
sottoporsi alle visite con il logopedista e lo psicologo», racconta.
«Oltre a tutto questo, devo trovare 26mila euro per pagare le spese
tra primo e secondo grado e non so assolutamente dove trovarli»,
confessa. Poi, aggiunge: «Forse ricorreremo in Cassazione ma non ho
grandi speranze. La decisione è questa e io non so più che fare,
sono avvilito, sfiduciato. Forse scriverò al presidente Mattarella,
spero che almeno lui vorrà ascoltarmi».
Schiaffo alla Crt, resta fuori Lucia Calvosa L'ente torinese resta
senza rappresentanti
La vicenda della Fondazione Crt fa capolino anche dietro le quinte
delle nomine in Cassa depositi e prestiti. Il giorno in cui si era
insediato il nuovo consiglio di indirizzo della fondazione torinese,
l'allora presidente ad interim Maurizio Irrera aveva deciso di
"suggerire" Lucia Calvosa nel board di Cdp. Infatti sarebbe spettato
a Palazzo Perrone scegliere e il nome proposto è stato quello
dell'ex presidente di Eni. Il vento, però, è poi cambiato e
l'indicazione non è stata confermata. Anzi. Alla fine Calvosa è
stata esclusa e sembra che non sia stata nemmeno davvero considerata
nella lista dei personaggi tra cui scegliere. Fondazione Crt intanto
ha votato per Anna Maria Poggi come presidente. E altri enti di
origine bancaria hanno approfittato per far valere le loro
preferenze. Uno schiaffo a Irrerra? Possibile, ma anche un indice di
quanto l'incognita del commissariamento stia incidendo. Da ambienti
romani si vocifera pure di un tentativo dia parte di persone vicine
a Guzzetti di scongiurare commissariamento accettando il cambio
dello statuto con l'ampliamento del numero di consiglieri che ha
portato a superare la questione delle quote rosa. E sempre
sottotraccia si dice anche che a pesare sarebbe stato proprio il
passato dell'avvocata e professoressa universitaria in Eni. A far
discutere erano stati i rimborsi spesa: l'Eni «dal 14 maggio al 31
dicembre 2020 ha sostenuto spese e oneri per servizi di alloggio e
trasporto collegati all'esercizio del ruolo di presidente per 206
mila euro». Da qui la richiesta del cda di limitare l'esborso
dell'alloggio della presidente a centomila euro l'anno.
16.07.24
Sull'abuso d'ufficio Cassese si sbaglia davanti alla Pa il cittadino
sarà indifeso" Grazia Longo
Roma
«Diversamente da Sabino Cassese, non credo che l'abrogazione
dell'abuso d'ufficio sia un bene per il nostro Paese». Così Marcello
Basilico, presidente della sesta commissione del Csm e togato della
corrente progressista Area, replica all'intervista del noto
giurista.
Perché ritiene che l'abolizione non sarà indolore?
«Avremo cittadini privi di tutela verso le condotte prevaricatrici
dei pubblici ufficiali. Il docente che favorisce un candidato perché
figlio di un amico o il sindaco che nega per ritorsione
un'autorizzazione dovuta non saranno perseguibili».
Quali i pericoli maggiori?
«Da un'ipotesi di abuso d'ufficio spesso l'indagine risaliva a reati
più gravi. Ora invece il pubblico ministero non potrà partire da lì.
Peraltro, c'è un pericolo anche per il pubblico ufficiale sospettato
di tale condotta, perché ora potrà essere sentito senza assistenza
del difensore. Inoltre c'è una questione culturale: si accredita
l'idea che esistano cittadini più uguali degli altri».
Si riferisce all'accusa di Cassese ai magistrati di non essere
equilibrati rispetto al governatore ligure Toti?
«Mi sembra che i magistrati stiano applicando le regole processuali.
Finora non ho letto critiche tecniche sul loro operato. Al
contrario, noto che più l'azione dei pm genovesi trova conferme
giudiziarie, più si alza il tiro verso un preteso loro ruolo
politico. Persino le due colleghe del Csm, chiedendo il vaglio
disciplinare sull'ordinanza del tribunale del riesame di Genova, vi
contribuiscono: pretendono di sostituirsi ai soli titolari
dell'azione disciplinare, ministro della giustizia e procuratore
generale presso la Cassazione, e vogliono sottoporre il lavoro dei
giudici a una valutazione sul merito, che compete invece ai gradi
superiori di giudizio».
Chi è stato eletto ha più diritti di un comune cittadino?
«Secondo Cassese il consenso popolare giustificherebbe
un'applicazione meno rigorosa delle cautele verso chi commette
reati. Non saremmo dunque tutti uguali davanti alla legge penale.
Invece, il giudice deve guardare solo al rapporto tra diritto alla
libertà, ed eventualmente alla salute, e tutela dei cittadini verso
le condotte antisociali. Nelle altre democrazie liberali ci si
dimette spesso solo per un sospetto di scorrettezza. Da noi invece
il diritto penale continua a essere la misura dell'affidabilità
politica».
Il Pd disapprova la posizione di Cassese che difende l'ipotesi del
premierato. Qual è la sua posizione?
«Esula dal mio campo di competenza. Ma osservo che l'introduzione
del doppio Csm e dell'Alta Corte disciplinare desta ancora maggiore
preoccupazione se letta alla luce della riforma sul premierato.
15.07.24
HANNO UCCISO PANTANI ?
Venticinque anni di esposti e inchieste giudiziarie non sono ancora
riusciti a fare chiarezza sulla morte dell'indimenticato Marco
Pantani. Neppure sull'inizio della fine quando, poco prima della
penultima tappa del Giro d'Italia del 1999, a un passo dalla
vittoria, il campione fu squalificato dopo i risultati delle analisi
del sangue eseguite a Madonna di Campiglio, in provincia di Trento.
La presunta manipolazione di quegli esami e l'ombra degli interessi
della Camorra, emersi a più riprese ed evidenziati dall'ultima
Commissione parlamentare antimafia, sono finiti al centro di un
nuovo fascicolo d'inchiesta aperto dalla procura diretta da Sandro
Raimondi che indaga, per ora contro ignoti, per associazione per
delinquere finalizzata alle scommesse e collegata, appunto, alla
morte del Pirata, a Rimini, il 14 febbraio del 2004.
Il fascicolo è stato aperto dalla pm della Direzione distrettuale
antimafia Patrizia Foiera che, venerdì mattina, in carcere a
Bollate, ha provato a sentire, come persona informata sui fatti,
l'ex boss della Mala milanese Renato Vallanzasca, ormai
settantaquattrenne e malato. Tanto che, dal poco che trapela, non
sarebbe riuscito ad aggiungere nulla di utile alle indagini che, nel
più stretto riserbo, vanno avanti oramai da quasi un anno.
Era stato proprio il Bel René il primo a parlare degli interessi
della Camorra sulla squalifica del ciclista. In una mail a Tonina,
la madre del campione che da sempre si batte per la verità, e in
seguito davanti ai carabinieri di Forlì (nel corso di un'inchiesta
poi archiviata) aveva spiegato che sei o sette giorni prima della
tappa di Madonna di Campiglio del Giro d'Italia, in prigione, era
stato avvicinato da un detenuto campano che gli proponeva di fare
una «scommessa che non poteva perdere»: Marco Pantani non avrebbe
vinto la gara e non sarebbe arrivato a Milano. Vallanzasca aveva
rifiutato l'offerta. E, nei giorni successivi, nonostante le
vittorie di Pantani, il detenuto avrebbe continuato a ripetere le
sue previsioni fino alla squalifica del 5 giugno, quando
avvicinandolo gli avrebbe detto: «Renà hai visto? A Marco l'hanno
fatto fuori… O'doping! Hai visto che avevo ragione io?». A conferma
della pista, gli investigatori avevano sentito altri detenuti
campani in carcere e acquisito intercettazioni telefoniche raccolte
nell'ambito di un'altra indagine: «Quindi praticamente la camorra ha
fatto perdere il giro a Pantani, cambiando le provette e facendolo
risultare dopato!» .
Tutto questo materiale è stato raccolto e valorizzato anche
dall'ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia del
novembre del 2022 che sottolinea le «numerose anomalie» che
«contrassegnarono la vicenda di Madonna di Campiglio». Come si legge
nel testo, «diverse e gravi furono le violazioni alle regole
stabilite affinché i controlli eseguiti sui corridori fossero
genuini e il più possibile esenti dal rischio di alterazioni».
Prendendo spunto da questo lavoro, la famiglia del campione, lo
scorso anno ha presentato un nuovo esposto alla procura di Trento
«chiedendo di indagare sui depistaggi e sulla manipolazione degli
esami - spiega il legale dei genitori, l'avvocato Fiorenzo Alessi -
perché era oramai evidente che i medici che effettuarono quei
controlli antidoping avevano dichiarato il falso rispetto a tempi,
circostanze e modalità». Pantani sapeva di doversi sottoporre a
quegli accertamenti ed era a un passo dal trionfo. Eppure, nel
campione di sangue che gli era stato prelevato di primo mattino, fu
riscontrato un valore di ematocrito di 52, oltre il limite
consentito che è di 50. La squalifica fu immediata.
Ma la procura di Trento è andata oltre alle istanze della famiglia e
ha allargato l'inchiesta anche agli interessi della Camorra sulla
gara. Da quel che emerge, i carabinieri, a cui sono state delegate
le nuove indagini, hanno già sentito numerosi testimoni tra
ciclisti, medici e massaggiatori dell'epoca per provare a svelare
uno dei tanti misteri rimasti irrisolti sulla fine del Pirata.
14.07.24
Stretta social per i dipendenti di Palazzo Civico "Vietato esprimere
giudizi sull'amministrazione"
leonardo di paco
Stop alle fughe di informazioni, ai bisbiglii da corridoio che
diventano notizie di dominio pubblico, a interviste o commenti
sull'attività dell'ente non concordati con l'ufficio stampa. Massima
cautela nell'utilizzo dei social media per esprimere opinioni «che
possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine
dell'amministrazione comunale» e divieto di comunicazioni (sempre
via social) afferenti al lavoro di Palazzo Civico eccezion fatta
«per esigenze di carattere istituzionale».
Sono le principali novità contenute nell'aggiornamento del codice di
comportamento per i dipendenti del Comune di Torino (7 mila persone)
approvato dalla giunta del sindaco Stefano Lo Russo, che recependo
le indicazioni arrivate dal ministero della Pubblica amministrazione
ha messo mano con severità ai doveri che i dipendenti di Palazzo
Civico sono tenuti ad osservare.
La parte più consistente delle modifiche riguarda l'utilizzo dei
mezzi di informazione e dei social media, ambito fino ad oggi mai
disciplinato. Nell'utilizzo dei propri account, si legge nel nuovo
regolamento, il personale è invitato a utilizzare «ogni cautela»
affinché «le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o
persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla
civica amministrazione». Inoltre Palazzo Civico ricorda che «al fine
di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni,
afferenti direttamente o indirettamente, il servizio non si
svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante
l'utilizzo di piattaforme digitali o social media». Anche i rapporti
con la stampa saranno "controllati". Il personale dipendente «prima
di rilasciare interviste o giudizi di valore su attività della
Città, diffuse attraverso organi di informazione rivolti alla
generalità della cittadinanza» dovrà sempre «informare
preventivamente il competente ufficio stampa della Città».
Nell'elaborazione del nuovo codice di comportamento è stato anche
inserito un divieto per la pratica del pantouflage, le cosidette
"porte girevoli". Il personale dipendente che negli ultimi tre anni
di servizio, ha esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto
della Città di Torino «non può svolgere, nei tre anni successivi
alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività
lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari
dell'attività della civica amministrazione». L'obiettivo è prevenire
uno scorretto esercizio dell'attività istituzionale da parte degli
ex dipendenti, un conflitto di interessi ad effetti differiti.
Su questo aspetto, spiega la vicesindaca con delega al Personale,
Michela Favaro, per redigere il nuovo regolamento «abbiamo recepito
molti indirizzi e linee guida che arrivano dalla normativa
nazionale. Ci sono sempre più aspetti che rendono le Pa simili ad
un'azienda, anche nell'ambito della concorrenza in ottica di
anti-corruzione».
13.07.24
FINE BLUFF ELETTORALE ANGELUCCI PASSA AL COMANDO DI SALVINI :
la maggioranza si divide sulla sanità
Le Regioni e la Lega vanno all'attacco No al decreto Schillaci
anti-liste di attesa
Regioni e Lega vanno all'attacco del decreto anti-liste di attesa.
Nel mirino di entrambe è finito in particolare l'articolo 2 del
provvedimento, quello che istituisce presso il ministero di Orazio
Schillaci una specie di ispettorato che, supportato anche dai
Carabinieri, dovrebbe controllare l'applicazione delle disposizioni
taglia-coda e irrogare sanzioni che prevedono anche la possibilità
che i direttori generali delle Asl inadempienti perdano la poltrona.
Per i governatori, riuniti ieri in conclave, un atto di lesa maestà,
«con profili di illegittimità costituzionale», puntualizzano nel
documento approvato dalla Conferenza delle Regioni con il solo
laziale Francesco Rocca a smarcarsi.
Lo stralcio dello stesso articolo lo chiede anche la Lega, con un
emendamento a firma del capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo,
che ha mandato in fibrillazione la maggioranza. Al punto da far
sospendere al governo la presentazione dei pareri, nonostante il
decreto sia in ritardo sulla tabella di marcia che dovrebbe portarlo
all'approvazione entro il 7 agosto, ma che lo vede ancora fermo alla
prima lettura in Senato.
I partiti di opposizione hanno fatto sapere di voler appoggiare
l'emendamento del Carroccio, che così avrebbe buone possibilità di
passare. Uno smacco per la premier Giorgia Meloni che molto punta
sulle norme anti liste di attesa, che senza l'organismo di controllo
del Ministero della salute rischiano però di essere scritte
sull'acqua. Perché sarà anche vero che la possibilità di andare
senza pagare dal privato quando i tempi di attesa sono più lunghi di
quelli massimi consentiti e le prestazioni da erogare anche nei week
end, per fare due esempi, erano già previste da passati
provvedimenti. Ma è altrettanto vero che sono rimaste a oggi
inapplicate, proprio perché le Regioni non hanno mai esercitato
controlli sulle Asl e i loro vertici. Che sono poi nominati dagli
stessi ipotetici controllori.
Per la leader del Pd, Elly Schlein «questo governo da una parte
sventola la bandiera dell'autonomia dall'altra presenta un decreto
che accentra i poteri e del regole sulle liste d'attesa, senza
metterci un euro» . Il presidente del gruppo Pd al Senato, Francesco
Boccia rileva come «da un lato si spacca l'Italia con la legge
Calderoli dall'altro il partito della premier cerca di accentrare
tutto».Dietro l'assalto delle Regioni al decreto c'è però anche una
questione di soldi. «L'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti
privati accreditati –scrivono le Regioni– l'assunzione di personale
ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive, lo svolgimento di
attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli
indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti
informatici, necessitano di un'adeguata disponibilità di risorse
economiche e di personale». E su questo è difficile dare torto ai
governatori, perché di soldi, a parte 200 milioni scarsi per gli
straordinari dei medici, non c'è traccia nel decreto.
12.07.24
IL DIRITTO ALL'OBLIO CANCELLERA' TUTTO COME SEMPRE :
Sono tre le persone indagate, due
agli arresti domiciliari: decine i lavoratori sfruttati e pagati
meno di 5 euro con turni di nove ore
I caporali nelle vigne delle Langhe "Botte e sprangate a chi si ri
bellava"
Massimiliano Peggio
Lamin e Yaya, arrivati su un barcone dalla Tunisia e poi approdati
nel mare di vigneti delle Langhe, pensavano che quel marocchino, che
reclutava braccianti di fronte alla stazione di Alba, fosse in fondo
dalla loro parte. «Vi do sette euro l'ora per lavorare con me».
L'offerta era allettante e lo hanno seguito fiduciosi. Dopo una
settimana, nove ore tra i filari, hanno chiesto di essere assunti e
pagati. Lui si è infuriato. «Vi do solo 5 euro». I due braccianti
hanno protestato. Si sono rifiutati di tornare tra le vigne. Così
lui li ha caricati a forza sull'auto per riportarli ad Alba e
rispedirli in strada. Lungo il tragitto si è fermato in mezzo al
nulla. Li ha fatti scendere e li ha picchiati con una spranga di
ferro, sradicata da un vigneto. La scena è stata ripresa da un
bracciante con il suo telefonino. Il video è stato consegnato alla
polizia di Cuneo.
Lavoro in nero tra le vigne nobili delle Langhe, braccianti
picchiati per un rifiuto, una grande casa alle porte del paese di
Mango, celebrato nei romanzi di Fenoglio, trasformato in un
dormitorio per schiavi dell'uva. «Uomini trattati come bestie». A
decine, stipati in stanze. Letti a castello, un bagno comune, una
mensa ricavata in un garage. Questo ha svelato l'ultima inchiesta
della procura di Asti, competente per territorio, individuando una
rete di caporali che gestiva manodopera a basso costo per conto di
alcuni produttori di vino. Tre persone indagate: due finite agli
arresti domiciliari, una sottoposta al divieto di esercitare
attività imprenditoriali per 8 mesi. Gli arresti sono scattati per
l'autore del primo episodio, il caporale marocchino, Nabil Aknouz,
39 anni, e il gestore del dormitorio, Demirali Grutkov, 43 anni,
origini macedoni. Il terzo è un albanese, Mirash Lugaj, 48 anni.
L'indagine, coordinata dal pm Stefano Cotti, è stata sviluppata
dalla Squadra Mobile di Cuneo. Sono accusati di sfruttamento di
manodopera, per lo più migranti irregolari, controllati a vista e
minacciati per 6 euro l'ora.
I tre indagati sono titolari di imprese individuali. Tutte con lo
stesso oggetto sociale: «Attività di supporto alla produzione
vegetale». Sembra innocuo, in questa formula commerciale, l'altro
volto del caporalato. In realtà raccoglievano migranti di fronte
alla stazione di Alba, crocevia degli aspiranti braccianti, e li
portavano tra i nobili filari di Treiso, Novello, Farigliano. Ma è
in quel dormitorio di Mango, messo ora sotto sequestro, che si può
toccare con mano lo sfruttamento. Lì, al piano superiore vive
Demirali Grutkov. Quelli inferiori sono dedicati a dormitorio per i
braccianti. La cantina è la mensa: una fila di fornelli tra pile di
pneumatici e cavi della corrente appesi alle pareti. Di fronte alla
casa, nel piazzale lungo la strada, ci sono i furgoni utilizzati per
portare i braccianti nelle vigne. Tutti i mezzi sono marchiati con
il nome del titolare: «Demo, impresa individuale, lavori in vigneti
e noccioleti».
Non tutti i lavoratori sono in nero. Alcuni sono assunti, ma la paga
non supera gli 8 o i 9 euro l'ora. «Lavorare in vigna è duro. Con il
sole è massacrante. Nove ore e mezz'ora di pausa» racconta Alassane,
22 anni, del Mali. Dorme in una stanza con altre cinque persone.
L'edificio ne ospita una ventina. «Qui ci sono stati fino a 60
braccianti» ha detto alla polizia l'ex moglie del titolare, mesi fa,
all'avvio dell'indagine.
La casa era già finita nel mirino delle autorità sanitarie. Il
Comune aveva fatto dei controlli e preso dei provvedimenti nei
confronti dell'imprenditore macedone. Provvedimenti per arginare il
sovraffollamento e ripristinare le condizioni igieniche. «Quell'uomo
è un genio del male» dice il sindaco, Damiano Ferrero, raccontando
la sua battaglia contro il caporalato, diventata anche oggetto della
sua recente campagna elettorale. E aggiunge: «Mi ha anche minacciato
ma non mi fa paura: non può permettersi di trattare quelle persone
come bestie. Ogni anno chiude e riapre una società. Spadroneggia.
Speriamo GRAZIE che questa volta la giustizia riesca a fermarlo».
Roberta Ceretto : "immagini spregevoli che provocano tristezza"
La condanna dei grandi produttori di vino "Scene disumane, ma il
sistema è sano" PER IL DIRITTO ALL'OBLIO ?
ROBERTO FIORI
«Ho visto immagini spregevoli e disumane, che provocano rabbia e
tristezza. Ma diciamolo a voce alta: le Langhe del vino non sono
affatto questo. Qui c'è gente perbene che lavora con grande rispetto
per le persone e per la natura, consapevole della grande fortuna di
vivere in una terra che si chiama Barolo o Barbaresco. Blocchiamo
ogni forma di sfruttamento, ma non facciamo di ogni erba un fascio».
Roberta Ceretto parla dal quartier generale della cantina di
famiglia, alle porte di Alba. «Abbiamo 80 dipendenti che si occupano
dell'azienda agricola e siamo quasi del tutto autonomi, ma capita
anche a noi di dover fare ricorso a manodopera esterna. Selezioniamo
e collaboriamo esclusivamente con chi ci offre tutte le garanzie e
sono sicura che la stragrande maggioranza delle cantine faccia
altrettanto».
Poche colline più in là, a Barolo, anche Maria Teresa Mascarello, si
dice «sconcertata per notizie che mai avrei associato ai nostri
vigneti. Si tratta di veri e propri comportamenti criminali e come
tali vanno perseguiti, punto e basta. Certi atteggiamenti non
appartengono alla nostra cultura e sono inconcepibili anche solo per
il fatto che nessuno vende il Barolo al prezzo dei pomodori.
Tuttavia, la questione della manodopera che scarseggia è reale e
questo deve indurci a creare un sistema in grado di garantire
l'arrivo di lavoratori professionali e completamente in regola».
Per il presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco, Sergio
Germano, «è giusto non nascondersi dietro a un dito e far emergere i
problemi che riguardano gli operai in vigna, ma occorre sottolineare
che i casi di irregolarità o sfruttamento sono estremamente limitati
e che il comparto da anni si sta impegnando per garantire agli
stagionali le giuste condizioni di lavoro e di soggiorno». E
aggiunge: «Proprio lunedì alla Scuola Enologica di Alba presenteremo
i risultati della seconda annualità dell'Accademia della Vigna, la
prima academy a impatto sociale sulla viticoltura».
Un'opera di sensibilizzazione che era stata lanciata due anni fa
dall'ex presidente del Consorzio, Matteo Ascheri. «Non possiamo più
far finta di niente – ribadisce l'ex presidente -: le Langhe hanno
un ruolo e un posizionamento che richiedono un'assunzione di
responsabilità e interventi concreti per contrastare i comportamenti
non eticamente corretti che possono danneggiare l'intera filiera e
incidere negativamente sull'immagine dell'intera produzione di
qualità dei nostri territori».
Per Andrea Farinetti, alla guida di una grande azienda come
Fontanafredda di Serralunga, «le cooperative non sono il male
assoluto, dipende da come operano. Noi siamo certificati Equalitas e
controlliamo scrupolosamente il loro operato. Chi è fuorilegge va
contrastato senza alcun indugio». E aggiunge: «Oggi la sostenibilità
di un'azienda non si misura solo con l'attenzione verso il suolo e i
sistemi di coltivazione, ma con la qualità del lavoro nel suo
complesso. Il rispetto della terra, se non si traduce anche in
rispetto per le persone, è fine a sé stesso e non serve a nulla
11.07.24
Gli esperti confermano: il missile era russo
giuseppe agliastro
mosca
Sono giorni di dolore per l'Ucraina. Ma anche di accuse. Mentre si
fa ancora più drammatico il bilancio delle vittime dei raid che
lunedì hanno scosso il Paese seminando morte e devastazione. Le
autorità ucraine denunciano che almeno 41 civili sono stati uccisi
dalla pioggia di missili che si è abbattuta in pieno giorno su
cinque città. I feriti sarebbero 190. Una strage di innocenti che ha
indignato il mondo. E che non ha risparmiato neanche l'ospedale
pediatrico di Kiev: devastato da un'esplosione mentre ben 627
bambini si trovavano lì per essere curati. Un'esplosione che secondo
le Nazioni Unite è stata «probabilmente» provocata da «un colpo
diretto» di un missile russo. L'Onu punta insomma il dito contro le truppe di Putin che
hanno invaso l'Ucraina. Non si tratta ancora di conclusioni
definitive, ma secondo la responsabile della missione di
monitoraggio dei diritti umani, Danielle Bell, «l'analisi dei
filmati e una valutazione effettuata sul posto» sembrano indicare
che il missile sia stato lanciato dalla Russia. E intanto montano le
accuse di «crimini di guerra». Anche da parte delle stesse Nazioni
Unite. «Condurre attacchi intenzionali contro un ospedale protetto è
un crimine di guerra e i responsabili devono essere chiamati a
risponderne», ha dichiarato la sottosegretaria generale per gli
affari umanitari, Joyce Msuya. Mentre la Corte penale internazionale
ha annunciato di aver inviato a Kiev una squadra di investigatori.
Il Cremlino respinge come sempre ogni imputazione e sostiene che a
colpire l'ospedale sia stato un razzo della contraerea ucraina. Poi
lancia una pesantissima accusa al governo ucraino: parla di
«un'operazione di public relations basata sul sangue», di una
tragedia «utilizzata intenzionalmente per creare uno sfondo per la
partecipazione di Zelensky al vertice Nato». Ma la versione di Mosca
è respinta fermamente da Kiev, che sostiene di aver trovato i resti
di un missile russo Kh-101. E messa in dubbio da diversi esperti.
Uno di questi è Fabian Hoffman, dell'università di Oslo, che sulla
base di un filmato del raid verificato dal New York Times ha detto
al giornale americano di ritenere che a colpire sia stato in effetti
un Kh-101 russo e di sospettare, in base alla traiettoria, che «la
Russia abbia intenzionalmente preso di mira l'ospedale».
Per ora le autorità ucraine danno notizia di due morti e 32 feriti –
tra cui otto bambini – dopo l'attacco all'ospedale. Secondo il
direttore sanitario, nel raid ha perso la vita una dottoressa che
quando era scattato l'allarme aveva portato i suoi piccoli pazienti
in un rifugio antiaereo e poi era tornata a controllare che nessuno
fosse rimasto indietro. —
Il racconto del dottore della struttura colpita dai russi: "In
reparto c'erano pazienti già traumatizzati da altri attacchi Siamo
stati scaraventati a terra nel bunker. Ora, non sappiamo dove
evacuarli. Molti a casa, hanno sospeso le cure"
Kiev, il medico dell'ospedale "I miei piccoli persi per sempre"
letizia tortello
«Questi bambini non si riprenderanno mai più. Una mia paziente era
in cura da me, perché era rimasta gravemente traumatizzata da un
precedente bombardamento nel suo villaggio. Da medico, dico: non so
con che coraggio questi bambini torneranno in ospedale, il luogo che
doveva curarli e proteggerli, dopo quello che è successo». Valery
Bovkun è il capo del dipartimento di microchirurgia ricostruttiva e
plastica dell'ospedale di Okhmatdyt, a Kyiv.
Dopo trentasei ore dal più pesante degli attacchi russi da gennaio,
che ha colpito la più famosa struttura pediatrica di tutta
l'Ucraina, il dottore ha passato la giornata di ieri a fare la spola
tra reparti e sotterranei, dove i piccoli in cura sono stati
evacuati. Ha visitato tutti i baby-pazienti rimasti, ha telefonato a
quelli malati meno gravi, che i sanitari hanno dovuto mandare a
casa. Perché il nosocomio da oltre 600 posti, attualmente, funziona
solo per il dieci per cento. Ci sono danni ovunque. I macchinari che
si sono salvati, sono stati protetti da polvere e detriti che cadono
dai tetti.
Una palazzina è andata distrutta, centrata dal missile da crociera
russo Kh-101, uno dei quaranta piovuti sulla capitale lunedì
mattina: è quella in cui i bambini facevano la dialisi. Sono otto i
piccoli pazienti feriti, su 120 persone ferite in tutta la città,
nel circondario di Okhmatdyt e nel quartiere di Shevchenkiv. Ieri il
bilancio dei morti ne contava 32 in tutta Kyiv.
Il resto dell'ospedale ancora in piedi, un casermone in ferro alto
nove piani, è scoppiato per l'onda d'urto dell'impatto del missile.
Sono esplose porte e finestre, «anche le porte blindate», spiega il
dottore, «solo trenta nel mio reparto, e questo dimostra che cosa
violenta abbiamo vissuto». Trecentocinquanta soccorritori e 76 mezzi
hanno lavorato un giorno per ripulire le macerie più ingombranti,
per riavviare il traffico attorno alla struttura e permettere alle
ambulanze di circolare. Mentre i 627 pazienti bambini sono in via di
trasferimento in altri ospedali, dove c'è posto, oppure sono in
attesa di essere trasportati all'estero, in Germania e Polonia, ma
anche in Italia, dove molte strutture tra cui il Regina Margherita
di Torino si sono date disponibili ad accoglierli.
Il dottor Bovkun racconta a La Stampa le scene del bombardamento, al
telefono, concitato mentre cammina tra un paziente e l'altro. Prova
a spiegare il terrore negli occhi dei "suoi" bimbi, ricoverati
perché affetti da malformazioni dalla nascita, feriti bisognosi di
ricostruzione degli arti e altre operazioni, o traumatizzati. «Sono
sotto choc, hanno lo sguardo fisso, sono terrorizzati – dice –. Da
me non ci sono gli oncologici, ma ovviamente abbiamo anche loro. Da
me c'erano i fragili, quelli che hanno problemi di salute anche
gravi. Hanno cominciato a piangere e non hanno più smesso. Pregano
di andare a casa, dai genitori. Ma molti non possono lasciare le
cure».
La guerra obbliga anche a queste scelte di sopravvivenza, obbliga a
dover decidere chi ha aspettative di vita maggiori degli altri:
«Quelli che hanno problemi minori li abbiamo lasciati andare, ma non
erano certo pazienti da dimettere».
Il film dell'attacco ha dato la possibilità di capire cosa stava
accadendo, pochi secondi prima dell'inferno in cui non sapevi se
restavi vivo o venivi spazzato via per sempre. «Abbiamo sentito il
segnale dell'allarme aereo – continua il medico –. I nostri pazienti
hanno cominciato a scendere nel bunker. Quando la maggior parte era
nei sotterranei, è arrivato il missile. In un secondo, tutto è
andato in frantumi. Polvere, fumo. Siamo stati tutti scaraventati
fuori dalle sale operatorie e nei corridoi. Noi dottori siamo andati
giù per ultimi, per controllare che tutti i reparti fossero
sgomberati». E continua: «La sensazione era che ci fosse cascato il
mondo in testa. C'erano vetri ovunque, in ogni parte della clinica.
Purtroppo, è morta una collega, cinque dottori sono rimasti feriti».
Dai video che ci gira su Telegram, si vedono mamme e papà con in
braccio bimbi di tutte le età che gridano, al buio, tra la polvere.
A un certo punto, anche lo shelter prende fuoco, e chi si è
rifugiato deve uscire in superficie, senza protezione.
Nei bombardamenti a Kyiv, dicono i giornali ucraini, è rimasto
ucciso un bambino ucraino di 10 anni, con la madre e la sorella.
Maksym Simanyuk era un campioncino di karate, gareggiava per la
federazione nazionale.
Bovkun, rispondendo alle nostre domande, si arrabbia quando gli
chiediamo di replicare alle dichiarazioni dei russi, che negano ogni
responsabilità: «Ma li guardate i video? – dice –. Si vede molto
bene che è stato un missile diretto verso la clinica. L'esplosione è
stata così forte che non può essere stata la contraerea. Qui ci sono
e c'erano solo civili. Bambini. Non militari. Ora, non sappiamo
quando l'ospedale ripartirà. Senza contare i danni per i piccoli
pazienti, che devono sospendere le cure».
Ha collaborato Valentina Garkavenko .
C'è solo un luogo in Italia - ed è Roma - in cui quattro mafie e
pezzi dell'ultradestra convivono sotto lo stesso – sterminato -
cielo criminale. Non ci sono grandi dissidi a scuotere i
delicati equilibri capitolini, anzi – a leggere le carte
dell'operazione della Dia ribattezzata "Assedio" – c'è un grande
suk, un network criminale. Oppure per dirla con le parole del gip
che ha firmato 18 arresti, 57 indagati e sequestri per 132 milioni
di euro «un laboratorio». Mafia romana tradizionale, Cosa Nostra,
‘Ndrangheta, Casalesi, Camorra respirano la stessa aria, calpestano
con rigore la stessa mattonella In cui la violenza è poco
raccomandata «e al netto della fisiologica aggressività» spiccano
«nuovi paradigmi e sovrastrutture che vanno alla conquista di uno
spazio economico». Nel caso dell'operazione di ieri il settore è
quello degli idrocarburi «in cui le organizzazioni mafiose italiane
prosperano fino ad assurgere a posizioni dominanti». Fatturazioni
per operazioni inesistenti in materia tributaria, frodi su Iva e
accise, estorsioni, riciclaggio e reimpiego in attività di soldi
«dei clan di ‘ndrangheta Mancuso, Morabito, Piromalli e Mazzaferro,
dal clan di camorra D'Amico/Mazzarella, da elementi storici
dell'ultradestra e dal gruppo Senese operativo nella città di Roma».
Ci sono tutti. C'è Antonio Nicoletti, figlio dell'ex cassiere della
banda della Magliana che eredita il potere del padre e diventa
«punto di riferimento delle dinamiche criminali» e c'è Vincenzo
Senese, figlio di Michele, boss della camorra a Roma. Non manca il
filo dell'eversione nera con Roberto Macori, cresciuto all'ombra di
Massimo Carminati, diventato prima l'alter ego dell'imprenditore
legato alla banda della Magliana Gennaro Mokbel per poi diventare il
principale referente dei clan calabresi. E occuparsi di ripulire i
soldi della malavita con il business degli idrocarburi.
Si spartivano Roma e non solo. Con l'aiuto, così hanno ricostruito
gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Ilaria Calò e dal
pubblico ministero Francesco Cascini, di imprenditori del calibro di
Domitilla Strina. Figlia di Lady Petrolio, cantante finita nei guai
già in passato sempre per vicende legate al riciclaggio, prestava il
suo nome in società fantasma. Con l'accortezza della prudenza in una
città complessa non solo nella sua cifra criminale: «Aho'! Non
dobbiamo metterci a fare casino. Perché qua siamo in una Capitale,
mica è Napoli: qua girano politici, vescovi, quello e quell'altro
ancora. E dobbiamo stare calmi, perché qua, se vogliono, ci alzano
da terra in un quarto d'ora» diranno due indagati. Altri
aggiungeranno: «Perché la politica là è mafia...là se vai a Roma
politici onorevoli tutti corrotti, perché è proprio la politica di
Roma che è così». E di questa personalissima interpretazione della
Capitale si farà portavoce anche un imprenditore legato mani e piedi
alle cosche del Vibonese (i Mancuso), tale Piero Monti, uomo che
acquista società legate al petrolio, commette «una serie indefinita
di frodi» e poi «redistribuisce il ricavato tra le organizzazioni
mafiose investitrici». Dirà, intercettato: «Le pompe bianche di
tutto il Triveneto sono tutti clienti miei che io chiaramente non
faccio neanche entrare qua dentro perché mo' stiamo parlando di
soldi. E se devo far intervenire... (qualcuno ndr) io sorpasso la
Campania ed il Molise e vado direttamente a Limbadi (paese di
influenza dei Mancuso ndr) dove sono accolto come un figlio là e poi
facciamo la guerra con tutto il mondo...». In definitiva: «Faccio
quello che mi pare. A Roma faccio proprio la carne di porco, faccio
proprio lo schifo».
È qui, sotto questo cielo, che i vari mondi si incontrano. E che il
produttore cinematografico Daniele Muscariello reclutava gli
imprenditori e metteva tutti in contatto: criminali, uomini
d'affari, forze dell'ordine, istituzioni. C'è un dirigente di
polizia che avvertì alcuni indagati: «Allora state attenti, c'è una
doppia indagine in corso: una ce l'ha la Finanza e l'altra l'abbiamo
presa noi con la squadra Mobile. Siete tutti sotto». —
BIS DI LE PEN È sotto un cielo capriccioso che i deputati del
Nuovo Fronte popolare hanno fatto il loro ingresso all'Assemblea
nazionale francese in vista dell'inizio della nuova legislatura, tra
sprazzi di sole e qualche goccia di pioggia. Un meteo tipicamente
parigino nonostante il periodo estivo, che ben riflette gli umori
della sinistra dopo la vittoria alle legislative, tra il desiderio
di salire al governo nonostante la maggioranza relativa e le
divisioni interne, diventate voragini con il passare del tempo.
Il pomo della discordia è incarnato dal nome del futuro premier da
presentare al presidente Emmanuel Macron, sul quale la gauche non
riesce a raggiungere un accordo. Mentre le trattative continuano
nella speranza di trovare un profilo entro questa settimana come
promesso all'indomani del voto, il segretario del Partito
socialista, Olivier Faure, ha gettato nuova benzina sul fuoco,
dicendosi «pronto ad assumere la funzione» di capo del governo.
L'ennesimo nome nella già lunga lista di papabili, alla quale La
France Insoumise vuole aggiungere a tutti i costi anche quello del
suo tribuno, Jean-Luc Mélenchon, figura sempre più scomoda e
divisiva, assieme alla 33enne Clemence Guetté. In questi ultimi
giorni, però, si parla sempre di più della leader ambientalista
Marine Tondelier.
Ma il malessere nel campo dei vincitori sembra più profondo, come
dimostra l'aria da regolamento di conti che tira all'interno
dell'alleanza. Cinque frondisti de La France Insoumise, tra cui
alcuni volti noti come François Ruffin e Alexis Corbière, hanno
proposto ai comunisti e agli ecologisti di creare un "gruppo comune"
nella Camera bassa. Un modo per vendicarsi del loro ex leader,
Mélenchon, tenendolo fuori dai giochi.
Intanto, il tempo passa e Macron mantiene Gabriel Attal alla guida
di Matignon, sede dell'esecutivo. Per questo il Nuovo Fronte
popolare in un messaggio diffuso nel tardo pomeriggio ha intimato
«solennemente» al capo dello Stato di non prolungare ad oltranza
l'incarico del suo premier. Sarebbe «un tradimento dello spirito
della nostra Costituzione e un colpo di forza democratico al quale
ci opporremo con tutte le nostre forze», promette la sinistra. Ma il
presidente negli ultimi giorni è chiuso in un impenetrabile
silenzio, rimanendo a guardare senza fare nemmeno una telefonata ai
rivali vincitori. Sicuramente una strategia volta a logorare gli
avversari. La sinistra teme un possibile accordo tra la maggioranza
uscente e quello che resta dei Repubblicani, ormai deflagrati tra
coloro che seguono la linea pro-lepenista del loro presidente Eric
Ciotti e quelli che invece vogliono rilanciare il partito con un
altro nome, sotto la guida di Laurent Waquiez, presidente della
regione Auvergne-Rhône-Alpes.
A fare pressione su Macron ci sarebbero anche i suoi fedelissimi
che, secondo quanto riferito da Le Figaro, nelle ultime ore
avrebbero cercato di convincerlo a non partire alla volta di
Washington, dove è atteso oggi per il vertice della Nato, vista la
situazione interna. Ma l'Eliseo alla fine ha confermato il viaggio.
Tra le fila del Rassemblement National, intanto, è arrivato il
momento di far saltare qualche testa dopo il deludente risultato di
domenica scorsa. La prima è quella del direttore generale,
l'eurodeputato Gilles Pennelle, deus ex machina del "Piano Matignon":
un progetto preparato da tempo che prevedeva la strategia da
adottare in caso di elezioni anticipate, soprattutto in merito alla
scelta dei candidati. Troppi quelli che si sono rivelati essere
impresentabili, tra dichiarazioni antisemite, posizioni razziste e
fedine penali non proprio limpide. Un'uscita di scena "prevista" da
tempo nell'ambito di una "riorganizzazione generale del partito, ha
spiegato a Le Mo