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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

La gangster
che si fece
suora

pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori». Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore. Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo, aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta», disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura. Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente, simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla».
Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo, mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa, sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta. Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre, Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica, la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...», ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà, quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina, ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano a perdere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TO.11.07.24

 

Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali

  • E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
  • Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho imparato l’ economia industriale  dal prof Goss Pietro.
  • Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con Gianni Agnelli.
  • L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia esperienza  formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino. Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame da dottore Commercialista  che poi supero a Roma.
  • A 30 anni proposi a Gianni Agnelli  superFIAT, LA FUSIONE IFI FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri , con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
  • Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo, ma Morchio si oppose .
  • Muoiono Edoardo Agnelli  Gianni Agnelli  e Umberto Agnelli ,  Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne  che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a  Yaky la sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la produzione negli stabilimenti italiani.
  • A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA programmando il più importante stabilimento europeo di elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da  SNAM dopo che se ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la produzione  delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte , che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono visioni strategiche.
  • Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO ispirando l’art.11 fascista del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
  • Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del paese che avete illustrato ?
  • Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento regionale e nazionale ?
  • Qual’e’ il fine ?  il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni fa Grande Stevens ?
  • La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse ,  sono stato aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
  • Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete d’accordo ?                                       Mb

Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :

  1. soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
  2. amava la boxe
  3. quando aveva una influenza si curava con la penicellina

Sul prof.GP posso invece ricordare:

  1. che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
  2. che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo

 

 

 

TO.03.02.23

 

Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera

Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella

Ill.mo Presidente del Senato

Ill.mo Presidente della Camera

Ill.ma Presidente del Consiglio

 

In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 , Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .

L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione; inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al 31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo 135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del 1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola, sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che  l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare, all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto, chiuse ai risparmiatori,  con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto  alla partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di incontri diretti privati e riservati con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.

Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato questo restringimento dei diritti costituzionali ?

Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di Tesla.

La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno finito per plasmare il diritto societario americano.

Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School. Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come Tornetta.

Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno fatto gli avvocati nel caso Musk.

Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava a Musk.

Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i rapporti con Wall Street.

Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.

"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella votata da maggioranza e Pd.

Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6 commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti per ragioni pandemiche nel 2024 ?

La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi, il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo 135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF. L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita, senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto, le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n. 11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo 135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo 106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione della specifica condizione del rappresentante designato dalla società, esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato, introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario, ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies, comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze, dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.

L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha ignorato. Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo 135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima della stessa, quando le informazioni richieste s

 

iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi : dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid,  con il rappresentante pagato , che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.

Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3 della Costituzione,  contro la democrazia e trasparenza societaria , cos’e ?

Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una classe dirigente qui’ palesemente opaca.

Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo oggi, forse,  e’ diventato di coscienza comune ,  anche se a me e’ costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo, silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.

Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto direttamente.

 

UNA ATTUALIZZAZIONE DEL:

DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero, sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! » (Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori – Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». —

 

 

 

LO SFASCIO DI JAKY-MARCHIONNE:

 

https://www.la7.it/100minuti/rivedila7/100-minuti-autostop-30-04-2024-539867

 

Cara Giovanna Boursier

Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .

La storia della targa della Ferrari Testarossa  grigia cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche' mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso' Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari  in uso direttamente da Enzo Ferrari.

Chi sta chiudendo la Marelli e'  KKR che vorrebbe comprare la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando fu venduta da Gardini ad Eni.

A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.

Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono cambiati.

Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5 richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.

Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare concorrenza a Porsche  che investe da 50 anni ! 

Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto assistere !

La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete dimenticata tutti ?

Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato condannato piu' volte Marchionne ?

Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo hanno capito.

Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da Marchionne e realizzato da Jaky  investendo tanti soldi .

Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.

Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,  mi soprannominò in pubblico Mark Spitz,  per comunicarmi che sapeva tutto .

Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi , con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a MARGHERITA hanno dato l'1%.

Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.

Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi . Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di Mondovi, Bausone non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo l'omicidio di Edoardo.

L'ex Bertone finirà come Termoli.

IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse uscira'.

La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200 metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera economia nazionale, produzione auto compresa che allego.

Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello di Jaky per me e' a voi noto :Griva.

Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,

Buon lavoro.

Marco BAVA

 

"L'Avvocato voleva adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"

Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark, giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino "L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica" subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra. Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti i familiari, anche da lei».

NON E' VERO : EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa, Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che, se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di governare come fa oggi».

Si perché perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita ed il 25% Jaky 20% . Mb

 

 

 

 

 

TAVARES E  JAKY NEL 23

 

Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […] dai manager del gruppo.



A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518 volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta attuando massicci piani di esuberi […].



[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma fortemente simbolico.

 

 

IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU  PIAZZA LIBERTA', il programma di informazione condotto da Armando Manocchia,  su BYOBLU CANALE 262 DT CANALE

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

https://www.youtube.com/watch?v=ej0LPowV9YI

 

OSSERVAZIONI

  1. IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE VIAGGI ERA LUCA GAETANI
  2. EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI SUOI DIRITTI EREDITARI
  3. NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA GARAVICCHIO.
  4. INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
  5. I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E MARGHERITA .
  6. DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
  7. L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA NON GLIELO PERMETTEVANO.
  8. NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
  9. LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
  10. LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.

 

 

GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?

L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO RISCHIA DI CROLLARE TUTTO

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”

È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera, dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia: per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto, permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle indagini.



1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel 2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio. Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media, oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”. Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo dell’impero Agnelli.



2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.



3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […] sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno […] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia. Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio della nonna.

4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio, la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le firme.



5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo, all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza? Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a “membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola, aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”, la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.


2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE

Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”

IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME

Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia, che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.

Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia: la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.

Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di Stellantis ed editore del gruppo Gedi.

L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2 miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8 milioni di euro (3,8 milioni di tasse).

Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla. Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […] ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.

Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe controfirmate.

Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen, villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese mediche coprivano il solo mese di agosto. […]

GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri). Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre contestato la ricostruzione di Margherita.

 

 

DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:

Margherita Agnelli vuole costringere per via giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).

Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila, sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte (60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).


[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del testamento della madre».



E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante». A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».

Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i «mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a restituire i beni dell’eredità del padre».



La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le donazioni anche «indirette e dissimulate».



JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO

Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia «effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John per (...) circa 3 miliardi».



John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel 1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso — tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al 60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.

 

«La costruzione di una residenza estera fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato «all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato: «truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle entrate)».

Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli: «Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella Caracciolo».

Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John, Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015 la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi», contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».

 

Un secondo "round" si è combattuto ieri davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.



I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.



La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte dell'anno.

Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti, governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che «assisteva di fatto Marella Caracciolo».


A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7 febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe dovuto "nascondere"».



In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui «giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è deceduta.


Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece, gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella, con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.



Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto «vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore. L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo stesso fatto.

Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza, si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]

EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'

Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA

Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne aveva l'usufrutto.



E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.

L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi, persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.

Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua copia nella pinacoteca di via Nizza.

Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e. (Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una perizia che ne ha acclarato l'autenticità.



Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che "i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue) non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la proprietà.



Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione. Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione, quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.


FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il Fatto quotidiano”



Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova dell’avvocato, Marella Caracciolo.



Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.

Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una “inesistente residenza svizzera” della nonna.



Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.



Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.



Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio 2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a 8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.

Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta, Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere tra madre e figlia nel 2004.



Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove si trovi.



I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico, ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi, aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada nell’appartamento romano dell’avvocato.

“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli. “Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.

[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge […]
 

 

 

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento e' andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018)

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

Dopo 60 anni il danno del Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare, giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)

 

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

email

 

 

Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI  , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

 

17.12.23

Il Sole 24 Ore:
 

La Giovanni Agnelli Bv ha deciso di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […] identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici. Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75 anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi). Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.


Questa la nuova struttura societaria della
Giovanni Agnelli Bv per quote di possesso.

Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%

Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%

Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%

Ramo Giovanni Nasi: 8,7%

Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%

Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%

Ramo Susanna Agnelli: 4,7%

Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%

Ramo Emanuele Nasi: 2,5%

Ramo Clara Agnelli: 0,28%

Azioni proprie: 8,2%

 

Dovranno andare avanti le indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent, Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa, gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo «riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che, quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno» compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann, come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare - sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della Dicembre», la società che fa capo agli eredi.

 

 

Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air

Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.

Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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www.ipetitions.com PETIZIONI

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http://www.comune.torino.it/ambiente/bm~doc/report-siti-procedimenti-di-bonifica_informambiente.pdf AREE EX SITI INDUSTRIALI TORINESI DA BONIFICARE

 

 

 

 

 

ULTIMO AGGIORNAMENTO 10/09/2024 01.25.58

 

Salone Auto Torino, un format diffuso e open-air
Salone Auto Torino sarà a ingresso gratuito e si svolgerà dal 13 al 15 settembre, percorso partirà dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova passando da
piazza Carlo Felice, via Roma, piazza San Carlo, piazza Castello, piazzetta Reale e Giardini
Reali, fino in piazza Vittorio Veneto.
- Venerdì 13 settembre – La sfilata che celebra la storia dell’automobile
h 10.00 parata carrozze di inizio 1800 trainate da cavalli
h 10.20 parata prime vetture del 1900 con motore a scoppio
h 10.45 parata prototipi e one-off dei più grandi carrozzieri dal 1960 a oggi
h 11.15 premiere parade, la sfilata di novità di prodotto dei brand espositori
h 12.15 parata Motorsport
- Sabato 14 settembre ore 11.00– La sfilata dei capolavori del design
I prototipi e le edizioni limitate dei grandi carrozzieri sfileranno nel circuito cittadino insieme
alle one off restomod, a seguire la parata delle Formula 1 storiche e delle regine di tutti gli
sport motoristici.

- Domenica 15 settembre ore 11.00 - La sfilata delle icone del motorsport oltre 100 leggendarie Delta integrali che
sfileranno prima delle Formula 1 storiche e delle regine di tutti gli sport motoristici.
Chiuderanno la parata i prototipi e le edizioni limitate dei grandi carrozzieri.

 

PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E    Alexei Navalny IN PARADISO 

https://twitter.com/i/status/1763518366122168632

 

In linea con l'omicidio di Gesu' Israele continua ad uccidere

 

PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO MATTEOTTI PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI

 

 

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POTETE 

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LA VERITA' SULLA FIAT E LA FAMIGLIA AGNELLI,  PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA VERITA':

  1. GABETTI, GRANDE STEVENS, DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.

  2. L'AVVOCATO ED UMBERTO NON HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.

  3. GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA MARELLA CON JAKY hanno danneggiato  la FIAT.

  4. GIANNI AGNELLI FREQUENTAVA BOBBIO , YAKY ELON MUSK.

  5. CARO YAKY GESU' AVEVA AUTOREVOLEZZA NON AUTORITA' ed il fatto che citi piu' spesso Marchionne che tuo nonno dimostra quanto poco avevate in comune.

 

LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

 https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pgSdXDIwzmDgGSLkE

 

COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI

Libro Mb

LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

TESI SEN AGNELLI

VEDETE  COME LAVORA UIBM   CHE MI HA BLOCCATO OGNI ATTIVITA' MENTRE CON EUIPO RIESCO A LA LAVORARE NORMALMENTE  

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

Presentazione del libro “JUVENTUS SEGRETA”, autore Gigi MONCALVO

Martedì 5 marzo, alle ore 18, nella Sala Musica del Circolo dei Lettori di Torino

VIDEO:

https://youtu.be/jfPFSm35_W0

ALTRI VIDEO SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI :

 

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

 

10.09.24
  1. Un automobilista ha vinto una causa da 6mila euro. La compagnia non voleva rimborsarlo perché non si era rivolto a un carrozziere convenzionato
    L'assicuratore non paga i danni da grandine Il tribunale lo condanna al risarcimento
    elisa sola
    La compagnia di assicurazioni non può rifiutarsi di pagare i danni da grandine soltanto perché l'automobilista ha fatto riparare la macchina da un carrozziere diverso da quelli convenzionati con la stessa compagnia. Lo ha stabilito il tribunale di Torino - sezione civile - che ha condannato un noto assicuratore a risarcire di 10mila euro (di cui seimila di carrozziere e 4mila di spese di lite) il proprietario di una Fiat Doblò rovinata dalla grandine.
    La sentenza è del 29 luglio e si riferisce ai danni di un violento temporale che risale al 17 giugno 2020. Il provvedimento del tribunale, se diventerà definitivo, potrebbe marcare in maniera ancora più profonda la via, già tracciata in giurisprudenza, sulla tutela dei consumatori che a causa del maltempo si sono ritrovati con le auto quasi distrutte. Un evento capitato sempre più spesso negli ultimi mesi nella nostra città, colpita da una raffica di grandinate.
    Il torinese che ha vinto la causa aveva spiegato: «Dopo quella brutta grandinata ho dovuto pagare 6080 euro di tasca mia. Pensavo che fosse solo un anticipo. Avevo stipulato con la mia compagnia una polizza che comprendeva anche i rischi legati a danni da eventi naturali. Quindi ero tranquillo».
    «E per essere ancora più sereno - aveva precisato il proprietario del Doblò - avevo chiamato l'ufficio sinistri, annunciando che mi sarei rivolto dal mio carrozziere di fiducia. E a voce, dalla compagnia, mi avevano detto che mi avrebbero coperto. Al momento di rimborsarmi però, l'assicurazione si è rifiutata. Mi ha detto che siccome non ero andato da un carrozziere convenzionato, non avrei avuto diritto a niente».
    La giudice Claudia Gemelli ha dato ragione al cittadino. «La clausola del contratto che prevede la decadenza dall'indennizzo in caso di riparazione presso altro centro di autoriparazione è nulla - c'è scritto nella sentenza - perché è una clausola vessatoria per lo squilibrio di obblighi e diritti derivanti dal contratto, non oggetto di specifica trattativa individuale, e non conoscibile in ragione della modalità di redazione del modulo contrattuale in violazione dell'articolo 166 del codice di assicurazioni».
    I legali della compagnia avevano ribadito che la clausola della decadenza dell'indennizzo fosse nota.
    Ma per il tribunale non ci sono dubbi: includere nella polizza una clausola per cui si obbliga l'automobilista a rivolgersi a determinati carrozzieri non sarebbe lecito. Perché è una clausola che «determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi». Non solo. La polizza sarebbe stata scritta in maniera ingannevole. «Il contratto deve essere redatto - precisa la giudice - dando particolare evidenza alle clausole che indicano decadenze o limitazioni delle garanzie, in applicazione dei principi di trasparenza, diligenza e correttezza».
    Invece, l'assicurazione avrebbe usato «una tecnica redazionale poco trasparente e del tutto inidonea a porre l'attenzione dell'assicurato sul rischio di non vedersi riconosciuto l'indennizzo, pur a fronte del verificarsi di un rischio assicurato in vigenza di polizza e del regolare pagamento del premio». «Deve ritenersi inefficace nei confronti dell'attore - è la conclusione della sentenza - la clausola volta ad escludere l'indennizzo per l'ipotesi di riparazione in centro diverso da quelli convenzionati con l'assicurazione».
  2. La protesta di una trentina di cittadini contrari alla realizzazione di una Cittadella dello sport . I manifestanti sgomberati dalla polizia
    Tensione per i lavori al parco del Meisino "Verrà danneggiato un ecosistema unico
    "
    Pier Francesco Caracciolo
    Per oltre tre ore hanno bloccato gli operai, impedendo loro di raggiungere il cantiere. Lo hanno fatto occupando, con la loro presenza, l'unica strada sterrata diretta all'area dei lavori. Così ieri, dalle 7, 30 alle 10, 30, una trentina di cittadini hanno rallentato le operazioni per la realizzazione della Cittadella dello sport pianificata dal Comune all'interno del parco del Meisino. Un'operazione di ostruzionismo che si è risolta con lo sgombero da parte degli agenti della Digos e della polizia, questi ultimi in tenuta antisommossa. Sono stati loro, prendendo di peso gli attivisti, a liberare la strada e consentire il passaggio degli operai, a bordo di camion e ruspe.
    Gli agenti hanno operato al termine di una mattinata di tensione. Fin dalle 6, 30 i cittadini, guidati dal comitato "Salviamo il Meisino", avevano occupato via Nietzsche, la strada diretta all'area dei lavori. All'arrivo degli operai, hanno camminato a passo lento dall'ingresso del parco fino al cantiere, costringendo camion e gru a fermarsi alle loro spalle. Una volta al fondo di quel tratto di via, hanno allestito un banchetto e iniziato a fare colazione. È stato quello il momento in cui, dopo aver intimato loro di lasciare la strada, i poliziotti sono interventi, liberando la strada. «Abbiamo cercato, senza violenza, di impedire che il cantiere procedesse – dice Elena Sargiotto, del comitato – La giunta comunale si sta accanendo contro il verde di Torino: il Meisino è un'area protetta, con una eccezionale ricchezza sul piano della biodiversità».
    Si è alzato così il clima di tensione che, da giovedì, si respira al Meisino. Quel giorno, per la prima volta, gli operai si erano presentati nel parco per allestire il cantiere. Un gruppo di attivisti, dialogando con loro, ne aveva rallentato le operazioni. Venerdì gli operai erano tornati al Meisino e avevano dato il via al posizionamento di jersey e transenne, operazione propedeutica all'avvio dei lavori. Gli attivisti, presenti anche quel giorno, si erano limitati a presidiare l'area. «Difendiamo il Meisino» hanno invece urlato ieri, a più riprese, gli attivisti. I residenti del comitato dallo scorso anno si battono a suon di petizioni e manifestazioni in strada contro la realizzazione del progetto. Un'opposizione dettata dal fatto che, a loro dire, «un parco dall'alto valore ambientale verrà irrimediabilmente danneggiato dalle strutture sportive». I lavori, al Meisino, prevedono la realizzazione di un «Centro per l'educazione sportiva e ambientale». Si tratta di un progetto da 11, 5 milioni di euro, finanziato con fondi Pnrr, i cui lavori dureranno poco più di un anno. Nel verde saranno montate attrezzature che consentiranno di praticare diverse discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco e ciclocross.
    Quanto successo ieri rappresenta un déjà-vu dei fatti dello scorso febbraio in corso Belgio, a Vanchiglietta. In quel caso un gruppo di residenti era sceso in strada per bloccare gli operai, inviati dal Comune per abbattere gli oltre duecento aceri presenti. Il progetto, dopo di allora, è stato messo in stand-by dal Comune. —
  3. Torino è la prima grande città italiana in cui "Letismart" viene sperimentato
    Il bastone smart per ciechi che dialoga con i semafori
    Un bastone intelligente per persone cieche o ipovedenti. In grado di «dialogare», cioè, con i semafori (e non solo), così da rendere più sicure le camminate di chi, per problemi di vista, in strada fatica a orientarsi. Si chiama Letismart: all'apparenza è un normale bastone bianco, ma ha al suo interno un mini-computer. Una tecnologia grazie alla quale è in grado di far entrare in contatto la persona che lo impugna con il mondo che lo circonda, agevolandone gli spostamenti. Un'operazione che avviene grazie all'installazione, lungo le strade della città, di piccoli radiofari, che trasmettono gli impulsi captati dal bastone smart.
    Il bastone intelligente, prodotto a Trieste dall'azienda Scen, ieri è sbarcato a Torino. La nostra è la prima grande città italiana in cui viene sperimentato (dopo i test nella stessa Trieste e a Mantova). È stato presentato nella sede torinese dell'Unione Ciechi (Uici), in corso Vittorio Emanuele II 63, nel cuore di Torino. Un appuntamento cui sono intervenuti il presidente provinciale dell'Uici, Giovanni Laiolo, e l'assessora all'Innovazione di Torino, Chiara Foglietta.
    Da qualche giorno, viene sperimentato in corso Vittorio, nel tratto tra corso Re Umberto e la stazione di Porta Nuova. Si tratta di un'area con cinque incroci, regolati complessivamente da cinquanta semafori. All'interno dei semafori, con l'aiuto dei tecnici di Iren, sono stati installati cinquanta radiofari. Quando una persona ipovedente, passeggiando sul marciapiede, si avvicina a uno di questi semafori, il bastone lo avverte con un messaggio vocale: «Tra venti metri c'è un semaforo sonoro».
    I radiofari possono essere installati anche in punti strategici della città. A Torino ne è stato posizionato uno all'ingresso di corso Vittorio 63. Avvicinandosi alla porta d'entrata, il bastone fa scattare il messaggio vocale: «Sei a venti metri dalla sede dell'Unione ciechi, trovi l'ingresso sulla destra». Se chi impugna il bastone vuole raggiungerla, preme un pulsante sul bastone stesso. A quel punto dall'ingresso di corso Vittorio 63 parte un cicalino, che aiuta la persona ipovedente a orientarsi. «Ci auguriamo che - dice Laiolo - la rete infrastrutturale torinese necessaria al funzionamento di questo strumento venga ampliata

 

 

 

 

 

 

09.09.24
  1. GLI ERRORI DI JAKY DELL'ELETTO DA DONNA MARELLA IL DISCEPOLO DI MARCHIONNE  :  Dietro le recenti operazioni industriali e le scelte strategiche nel settore automobilistico sembrano celarsi manovre politiche ed economiche volte a indebolire l’industria italiana a favore di altri Paesi europei, in particolare Francia e Polonia. L’acquisizione di Fiat da parte del gruppo francese PSA, che ha portato alla creazione di Stellantis, rappresenta un esempio emblematico di come la Francia abbia ottenuto una significativa influenza su un’importante azienda italiana, con la possibilità di orientare le decisioni aziendali a beneficio degli interessi francesi.

    Questa situazione potrebbe portare a una diminuzione del peso e della competitività dell’industria automobilistica italiana. La strategia sembra implicare il potenziamento degli impianti produttivi in Polonia, dove i costi di manodopera sono più bassi, favorendo così la crescita della produzione in quel Paese a discapito degli stabilimenti italiani. Nel frattempo, gli stabilimenti francesi verrebbero tutelati da riduzioni di personale, mantenendo intatta la capacità produttiva e la competitività dell’industria automobilistica francese. Questa dinamica rischia di danneggiare il settore industriale italiano, portando a una riduzione dei posti di lavoro e a una possibile perdita di competenze tecnologiche.

    Un parallelo interessante è rappresentato dal “triangolo di Weimar“, un forum di cooperazione politica tra Germania, Francia e Polonia, concepito per rafforzare la collaborazione tra questi paesi. In questo contesto, il triangolo di Weimar può essere visto come un mezzo per controbilanciare l’influenza economica e politica della Germania in Europa, con Francia e Polonia impegnate a consolidare la loro posizione geopolitica. In questo scenario, l’Italia potrebbe essere percepita come un concorrente industriale, con alleanze e decisioni economiche orientate a ridurre il suo peso economico e industriale a favore di altri Paesi europei.

    Le decisioni aziendali e le strategie di mercato sembrano essere guidate non solo da logiche economiche ma anche da obiettivi politici e militari, mirati a ristrutturare l’equilibrio del potere industriale in Europa. Il rafforzamento di specifici settori industriali in Polonia e Francia, con un contemporaneo indebolimento dell’industria italiana, potrebbe essere parte di una strategia geopolitica più ampia, con conseguenze significative per l’economia e l’occupazione in Italia. Perché a questo punto possiamo allora parlare in termini legittimi di guerra economica?

    L’idea di una “guerra economica” in questo contesto si riferisce all’uso di strategie economiche e commerciali per ottenere vantaggi geopolitici e indebolire i concorrenti senza ricorrere a conflitti armati. Nel caso specifico descritto, le manovre attuate attraverso l’acquisizione di Fiat da parte del gruppo PSA e la creazione di Stellantis potrebbero essere viste come parte di una strategia più ampia per rimodellare l’industria automobilistica europea a vantaggio di alcuni Paesi, come la Francia e la Polonia, a scapito dell’Italia.

    Questa “guerra economica” si manifesta attraverso diverse tattiche: potenziando la produzione in Polonia e mantenendo intatti i posti di lavoro in Francia, mentre si riducono gli investimenti e l’occupazione in Italia e si indebolisce il sistema industriale italiano.

    Questo potrebbe portare a una perdita di competitività e a una dipendenza crescente dalle decisioni prese da altri Paesi, riducendo la capacità dell’Italia di influenzare le dinamiche del settore automobilistico europeo. Acquisendo una quota significativa di controllo su un’azienda chiave come Fiat, la Francia, tramite PSA e Stellantis, ottiene un’influenza diretta su una parte importante dell’industria automobilistica italiana. Questo controllo consente di dirigere le decisioni aziendali secondo gli interessi francesi, limitando l’autonomia italiana nella gestione delle proprie risorse industriali.

    Un’Italia indebolita industrialmente potrebbe avere meno voce in capitolo nelle decisioni politiche ed economiche dell’UE, mentre la Francia e altri Paesi alleati rafforzano la loro posizione. In sintesi, considerare queste azioni come una forma di “guerra economica” implica riconoscere che le dinamiche economiche e commerciali vengono utilizzate come strumenti per raggiungere obiettivi di potere e influenza geopolitica. Queste strategie non implicano necessariamente un confronto diretto o violento, ma mirano comunque a ottenere un vantaggio strategico significativo su un avversario economico attraverso mezzi economici, piuttosto che militari.
  2. Rania, la regina per Gaza "La pace in cinque punti basta razzismo anti Palestina"
    Francesco Spini
    Inviato a Cernobbio (como)
    Era il 2005 l'ultima volta che Rania di Giordania aveva varcato l'elegante portone di Villa d'Este. E sembra passato un secolo: «Non avrei mai immaginato di guardare indietro a quei giorni e pensare: "Erano tempi più semplici"». Ora la regina torna al Forum di Cernobbio organizzato da Teh-Ambrosetti e propone cinque punti, cinque proposte per favorire la pace tra Israele e Gaza e mettere fine a quello che sua maestà chiama «razzismo anti-palestinese».
    Parte rievocando il fatidico 7 ottobre quando «Israele è stato attaccato da Hamas», con una «escalation violenta che ha scioccato il mondo». Ma racconta anche la risposta di Israele che ha portato il suo blocco su Gaza «a nuovi livelli disumani». Dettaglia con i numeri «una sofferenza civile inimmaginabile», che «viene normalizzata ogni giorno. Ma vi chiedo: provate a immaginare cosa deve essere non essere riuniti qui accanto al bellissimo lago di Como, ma essere un genitore a Gaza…», dove «hai seppellito un figlio… un altro ha perso una gamba e metà del suo peso. Tutta la tua famiglia sta morendo di fame», è il racconto, terribile, della regina di Giordania. E ancora: «Nessun ospedale. Nessuna scuola. Nessuna università ancora in piedi. Quasi ogni quartiere è in macerie».
    Due pesi e due misure, secondo Rania, quelle che il modo applica quando parla di sicurezza per Israele e di sicurezza per Gaza. «Questa svalutazione della vita deve essere chiamata per quello che è: razzismo anti-palestinese», declama di fronte a manager, imprenditori, banchieri e politici che affollano la sala. Si chiede se ci si aspetterebbe da qualunque popolazione occidentale di «tollerare decenni di occupazione, oppressione e violenza». È perentoria nel rivolgersi alla platea di Cernobbio: «Il bagno di sangue si deve fermare». Perché «cosa dovrebbe pensare il Sud Globale quando vede l'Occidente sostenere il popolo ucraino lasciando invece i civili innocenti a Gaza sotto una punizione collettiva senza precedenti?».
    Secondo la sovrana è necessario ora superare e respingere tali «doppi standard» e «trovare un percorso comune verso la pace». I piani per risolvere la situazione non decollano ma non vuole rassegnarsi «a una realtà intollerabile». Propone quindi una «base condivisa, che si fondi su una serie di principi fondamentali su cui tutti possiamo concordare e a cui possiamo aderire». Cinque principi «indiscutibili» che «dovrebbero sostenere tutte le vere iniziative per la pace».
    Punto primo: «Il diritto internazionale deve prevalere, senza eccezioni». Del resto, ammette, «non sono neutrale. Suppongo che nessuno di noi lo sia veramente, per quanto ci sforziamo. Ecco perché abbiamo bisogno della legge». Anzitutto «far rispettare le risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e rispettare le opinioni e le sentenze dei tribunali internazionali, anche quando sono politicamente scomode». Secondo: «L'autonomia, la dignità e i diritti umani sono universali e assoluti». Dunque la pace «non può essere creata adottando le maniere forti contro una parte più debole costringendola ad accettare condizioni sfavorevoli. Israeliani e palestinesi hanno pari diritto alla sicurezza e all'autodeterminazione. Alcuni Paesi europei hanno riconosciuto questo diritto riconoscendo lo Stato palestinese. Spero che altri Paesi in Europa e altrove facciano lo stesso».
    Terzo punto: «Affinché la giustizia prevalga, bisogna assumersi le responsabilità» delle proprie azioni applicando controlli al potere, sanzionando gli illeciti. «A Gaza, vediamo le conseguenze catastrofiche di questo squilibrio: una nazione potente, che crea condizioni di fame e sfollamento di massa, affronta poche contestazioni». Il rovescio della medaglia della responsabilità «è l'impunità», ricorda Rania di Giordania. E ancora, quarto punto: «La vera sicurezza non è a somma zero. Una pace giusta rende la sicurezza reciproca» perché «l'insicurezza di una parte non serve all'altra. Essa perpetua solo il problema». Infine il quinto principio. «È semplice: le voci estreme - indipendentemente da dove provengano - devono essere escluse dalla conversazione. Il futuro - dice la regina - non può essere tenuto in ostaggio da coloro che sostengono la fame di massa, lo sterminio e l'espulsione… che applaudono la punizione collettiva… che difendono l'indifendibile. Devono essere denunciati e zittiti»
  3. LA LOGGIA UNGHERIA GODE OTTIMA SALUTE E TANTO POTERE: Dossieraggio, il dietrofront di Crosetto: "Nessun sospetto sugli apparati di Sicurezza". La procura di Perugia a caccia delle chat cancellate"
    Le carte di Cantone
    Dai rapporti col Vaticano ai Servizi segreti Cantone indaga sui mandanti di Striano

    giuseppe legato
    I due paragrafi della lunga richiesta di arresto firmata dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone sono collegati e seguono l'uno all'altro: numerati 13 e 14. E basterebbero i titoli per spiegare come l'articolata inchiesta su manager politici e vip spiati sia tutt'altro che conclusa. Il primo recita: «I collegamenti di Striano con il Vaticano». Il secondo: «Possibili rapporti con i sistemi di sicurezza (i Servizi ndr)». È questo un fronte misterioso e ancora incompleto che però gli investigatori hanno deciso di percorrere partendo da quattro accessi effettuati dal tenente della Guardia di Finanza all'epoca in cui era in servizio alla Procura Nazionale Antimafia dove coordinava il gruppo Sos (Segnalazioni operazioni sospette). I nomi: Cecilia Marogna, Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi. Finanzieri, broker, funzionari amministrativi del Vaticano ed ex fonti dei Servizi segreti, tutti recentemente condannati, sui quali il principale indagato di Perugia avrebbe interrogato il terminale per conoscere dati anagrafici, redditi e catasto. Tutti personaggi coinvolti nell'inchiesta sul cardinale Becciu. Striano li ha effettuati a partire da luglio 2019 quando cioè non vi era discovery sull'attività investigativa del Promotore della giustizia della Santa Sede. Sono dunque «di gran lunga antecedenti al primo atto di indagine» della giustizia inquirente pontificia ovvero alle prime perquisizioni datate 1 ottobre 2019, si legge agli atti. E non aiuta a normalizzare il quadro sempre più popolato di singolari coincidenze sapere che l'inchiesta era partita poco prima dell'estate seguita, il 5 luglio, da una disposizione di Bergoglio alla gendarmeria affinché utilizzassero i più ampi mezzi tecnologici per portare avanti gli accertamenti. La domanda sullo sfondo è semplice: chi ha chiesto al sottufficiale della Finanza di controllare questi nomi quando gli stessi erano ancora sconosciuti? Cantone chiosa: «Questo ufficio sta svolgendo anche su questi accessi effettuati da Striano ulteriori approfondimenti, ritenendo che l'accesso non ricollegabile ad un'attività dell'ufficio sia, già solo per questo, privo di ragioni di servizio e dunque illecito».
    Ma cospicue tracce del Vaticano si rivengono anche nel capitolo su possibili collegamenti «con gli apparati di sicurezza» altro punto di interesse per gli investigatori. La procura di Perugia cita – a corredo del titolo del paragrafo – un uomo in contatto con Striano «che percepisce – si legge – redditi dal comando generale dei carabinieri dal Comando Generale dei Carabinieri e Presidenza del Consiglio dei Ministri».
    Chiede al tenente informazioni riservate su un monsignore che ha lavorato a lungo negli anni precedenti nella segreteria di stato della Santa Sede. Si chiama Giovanni Hermes Viale (non indagato): «Questo è un pezzo da novanta» dice Striano all'interlocutore nelle chat. Gli investigatori riferiscono «di un'anomala movimentazione costituita da rilevante operatività in contanti» sul conto corrente personale del prelato: «Tale operatività, inusuale e di critica tracciabilità, potrebbe assumere rilevanza in considerazione di alcuni pregressi coinvolgimenti del prelato in talune vicende riportate dai media». Striano e il misterioso carabiniere parlano anche di alcuni «amici» che vogliono sapere se alcune ditte «da cui devono rifornirsi» sono «apposto». Un titolare ha precedenti penali «ma se "gli amici" ci offrono una bistecca glielo diciamo noi chi scegliere». Parlano dei Servizi? Di certo c'è che «il collegamento con …(il militare)…, pare essere riconducibile a rapporti con il Vaticano o comunque a richiesta di informazioni relative a soggetti, come Viale, che hanno rivestito ruoli di rilievo nello Stato Pontificio». Intanto sempre i pm di Perugia hanno notato la stranezza «di alcune chat cancellate» dal telefono di Striano. «Inimmaginabile» che fonti con cui ha scambiato centinaia di file non abbiano avuto contatti di messaggistica. Ergo: «Questo ufficio – scrive Cantone – ha delegato specifici accertamenti in ordine alla possibilità di recupero di eventuali chat cancellate. Tale dato potrebbe risultare da apposita interrogazione della società statunitense Meta, proprietaria e gestore dell'applicativo di messaggistica istantanea WhatsApp». Infine ieri il ministro Crosetto è intervenuto sulla notizia di suoi "sospetti" che alcune informazioni finite ai giornalisti fossero uscite dagli apparati di Sicurezza. «L'idea stessa – ha detto – che la mia sfiducia riguardasse» i servizi «o i suoi vertici è più ridicola che falsa. Mi ero limitato a evidenziare al Procuratore capo di Perugia come una notizia (irrilevante e anche falsificata) apparsa su un quotidiano non potesse che provenire dall'interno dell'Aise, trattandosi di questioni secretate. Su questa vicenda, di cui avevo informato i vertici del comparto, ho poi avuto totale e piena cooperazione». Eppure era stata la stessa procura di Perugia, nel capitolo relativo agli accessi abusivi effettuati da Striano su di lui (e da Crosetto denunciati) a spiegare come «il ministro ha rappresentato agli inquirenti le sue perplessità sulla possibile provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di sicurezza».
  4. Attenzione! La nuova gabella bancaria: imporre contratti di consulenza anche col silenzio-assenso
    Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 19 agosto 2024 a pag. 15

    | Attualità | Danni del risparmio gestito
    banca intesa sanpaolo banca investis
    Le banche italiane mal sopportano i risparmiatori cui non riescono a raschiare via molti soldi, perché refrattari ai loro prodotti finanziari o pseudo-assicurativi. Ci vuole una tempra d’acciaio, eppure qualcuno pervicacemente resiste: non si lascia spolpare dal risparmio gestito e continua a fare da sé, comprando alcuni o molti titoli. Ma la banca premurosa non vuole lasciarlo solo: un tipico caso per cui vale il proverbio “Meglio soli che male accompagnati”.

    Cos’hanno infatti pensato? A chi ha Btp, Cct, azioni ecc. cercano di appioppare un contratto di consulenza e alcuni addirittura minacciano di chiudere il conto a chi non obbedisce. Il fenomeno è generale. Si va da grosse banche come Intesa-Sanpaolo con la “consulenza evoluta di Valore Insieme”, a realtà minori come per esempio Banca Investis con la “consulenza Universo”. Le tariffe sono pesanti, intorno all’1-1,5% annuo del patrimonio, nell’ordine quindi delle commissioni addebitate da molti fondi comuni.

    Sono proposte da rifiutare senza perdere tempo in approfondimenti inutili. Oltre ai consigli interessati, c’è da aspettarsi di essere sommersi da una fiumana di analisi, statistiche, report inutili. Nel caso migliore è beneficienza alla banca, nell’ipotesi più probabile un modo per trovarsi sul groppone fondi, polizze, piani pensionistici e simili, consigliati però in modo “evoluto” e non involuto.

    È come se per la propria salute uno s’affidasse per assurdo a un farmacista disonesto. C’è da attendersi che spingerebbe in continuazione ogni tipo di medicina; comunque sempre cure farmacologiche e giammai chirurgiche, che non tratta. Così il sedicente consulente dietro lo sportello consiglierà prodotti su cui la banca arraffa più soldi. Mai e poi mai invece i buoni fruttiferi postali.

    Sono inoltre esose le percentuali richieste. Vi sono consulenti veri, cioè di fatto e non solo di nome, che prendono meno. Che poi trovarne uno competente sia impresa ardua è un altro discorso; ma ciò vale pure coi bancari.

    Per giunta alcune banche incastrano i clienti col silenzio-assenso. Non è raro che abbiano fatto accettare a tutti un rapporto di consulenza gratuito, giustificandolo come una soluzione per semplificare alcune procedure. A questo punto gli basta comunicare la modifica unilaterale del contratto, che porta la commissione annua dallo zero all’1%. Se uno non risponde entro il tempo previsto, è incastrato. È una specie di pesca a strascico: i più distratti o incompetenti restano impigliati nella rete.

    Come in altri casi, corrono rischi soprattutto quanti hanno rinunciato a ricevere in forma cartacea la posta della banca al proprio domicilio (o altro recapito), optando per la documentazione online. Così gli sfuggono facilmente comunicazioni importanti. Richiedere quindi senza indugio la ripresa degli invii per posta. Carta canta.

    Beppe Scienza
  5. Il governo vuole dare il TFR ai fondi: ecco perché non funziona
    Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di martedì 27 agosto 2024 a pag. 5
    | Attualità | Fondi pensione o TFR

    La ministra del lavoro Marina Elvira Calderone ha parlato della «riapertura di un semestre di silenzio-assenso» per la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa, cui avrebbero aderito in pochi perché «non è stata spiegata bene». In realtà è il contrario. Fosse stata presentata in modo corretto, avrebbero aderito in meno.

    Il sottosegretario Claudio Durigon della Lega ha poi addirittura annunciato una proposta di legge per il trasferimento obbligatorio del 25% del Tfr nelle forme previdenziali per ovviare alle pensioni prevedibilmente troppo basse. Viste tali esternazioni, merita fare il punto della situazione.

    Precisiamo subito che, come risparmio previdenziale, il buon vecchio TFR ha funzionato in modo egregio in periodi di alta inflazione: +10% di rivalutazione nel 2022 rispetto a perdite medie del fra il 10 e 11% della previdenza integrativa. Ha rispettato le promesse in tempi di bassa inflazione e ha offerto rendimenti fra i più alti con deflazione e tassi negativi. Difficile trovare di meglio per un risparmiatore non incline agli azzardi borsistici. Sull’altro versante, cioè per il datore di lavoro, è una fonte di finanziamento a condizioni ragionevoli. È odiato e attaccato solo da soggetti in conflitto d’interesse: banche, gestori, assicurazioni, sindacati non di base e associazioni padronali, con giornalisti al seguito. Insomma da chi può trarre vantaggi in un modo o nell’altro se esso è trasferito alla previdenza integrativa.

    Ciò chiarito, facciamo due discorsi. Per cominciare è sempre odioso estorcere un accordo col silenzio-assenso, cioè obbligare uno ad attivarsi per impedire che gli cambino le carte in tavola. Si tratta di una furbata per incastrare le persone distratte, meno pronte, non sempre sul chi vive o momentaneamente in difficoltà. Insomma, per approfittare dei più deboli.

    Passando alla proposta di Durigon, non per nulla di estrazione sindacale, c’è un motivo specifico che nei fatti la svuota di validità. Si ricava da dati ufficiali, che però quasi tutti cercano di tenere ben nascosti. Smontano infatti la narrazione propagandistica dominante, secondo cui gli aderenti a fondi pensione e simili se la passerebbero bene nella loro vecchiaia grazie a un reddito aggiuntivo alla pensione dell’Inps.

    Di regola ciò non si verifica affatto. Quasi tutti gli interessati non ricevono nessuna rendita vitalizia, ma semplicemente incassano una singola somma di denaro, come col Tfr. Lo si scopre dalle relazioni annuali dell’organo di vigilanza cioè della Covip, per altro partigiana sfegatata della previdenza integrativa. Prendiamo in particolare i tanto decantati fondi negoziali: nel 2023 il 99% degli interessati ha rinunciato alla rendita e preferito un capitale una tantum: 62.103 rispetto a 574. È così in generale anche per gli anni precedenti e per le altre forme previdenziali, quando più quando meno, dove più dove meno. Nei rari casi poi di rendita spesso non è stata neppure una scelta, ma il risultato di un’imposizione normativa.

    Quindi la proposta di Durigon non va nella direzione di aumentare una pensione pubblica troppo bassa. Ci si può aspettare che quasi tutti gli interessati opterebbero all’età della pensione per un capitale anziché una rendita: pochi maledetti e subito o anche molti benedetti, ma comunque subito. Rispetto al mantenimento del suddetto 25% del Tfr in azienda, tale capitale sarà forse superiore, circa uguale o inferiore; oppure anche sciaguratamente basso in caso di alta inflazione. Se gli va bene, i lavoratori avranno un vantaggio modesto contro la perdita della disponibilità immediata dell’intero Tfr in caso di licenziamento, contro costi che distruggono vantaggi fiscali e contributo datoriale, sempre in totale mancanza di trasparenza. Se gli va male, ci rimetteranno su tutti i fronti. Ci guadagnerebbero i soliti che si avvantaggiano della previdenza integrativa: l’industria parassitaria del risparmio gestito, in questo caso alleata ai sindacati e alle associazioni padronali.

    Restano comunque valide tutte le obiezioni da altri giustamente sollevate. In particolare non aiuterebbe i lavoratori precari senza Tfr, né quelli con redditi talmente bassi che le modestissime cifre accantonate gli frutterebbero ben poco.

    Beppe Scienza
  6. QUELLO CHE DOVEVA FARE JAKY E CHE NON HA FATTO :

    Monaco. BMW prevede di lanciare la sua prima serie in assoluto veicolo elettrico a celle a combustibile di produzione (FCEV) nel 2028, offrendo così clienti un'ulteriore opzione di propulsore completamente elettrico con zero locale emissioni in una BMW. Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation sono mettere in comune la loro forza innovativa e le loro capacità tecnologiche per portare una nuova generazione di tecnologia del gruppo propulsore a celle a combustibile al strade. Entrambe le società condividono l'aspirazione di far avanzare l'idrogeno economia e hanno esteso la loro collaborazione per spingere questo a livello locale tecnologia a emissioni zero al livello successivo.

    La principale esperienza di sviluppo del BMW Group nella trazione elettrica le tecnologie sono ancora una volta dimostrate dai suoi incessanti sforzi per far avanzare la tecnologia delle celle a combustibile a idrogeno e il suo abbraccio a 'approccio ‘tecnologia-apertura’ al fine di fornire ai clienti un gamma di soluzioni di mobilità per il futuro.

    “Questa è una pietra miliare nella storia dell'auto: la prima serie in assoluto veicolo a celle a combustibile di produzione che sarà offerto da un premio globale produttore. Alimentato dall'idrogeno e guidato dallo spirito del nostro cooperazione, sottolineerà come si sta modellando il progresso tecnologico mobilità futura, ha detto” Oliver Zipse, presidente del consiglio di amministrazione di Gestione di BMW AG. “E annuncerà un'era di domanda significativa di veicoli elettrici a celle a combustibile.”

    Koji Sato, Presidente e Membro del Consiglio di Amministrazione (Direttore rappresentativo) Toyota Motor Corporation, detto, “Siamo lieti che la collaborazione tra BMW e Toyota abbia entrato in una nuova fase. Nella nostra lunga storia di partnership, abbiamo confermato che BMW e Toyota condividono la stessa passione per le auto e fede in ‘technology openness’ e un approccio ‘multi-pathway’ a neutralità carbonica. Sulla base di questi valori condivisi, approfondiremo il nostro collaborazione in sforzi come lo sviluppo congiunto di sistemi di celle a combustibile di prossima generazione e espansione delle infrastrutture, mirare alla realizzazione di una società dell’idrogeno. Accelereremo i nostri sforzi insieme a BMW e partner in vari settori per realizzare un futuro in cui l’energia dell’idrogeno sostenga la società."

     

    Tecnologia del gruppo propulsore condiviso utilizzata tra i singoli modelli per offrire interessanti opzioni FCEV.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation svilupperanno congiuntamente il sistema di propulsione per veicoli passeggeri, con la cella a combustibile centrale tecnologia (le singole celle a combustibile di terza generazione) creando sinergie per applicazioni sia commerciali che di veicoli passeggeri. Il il risultato di questo sforzo di collaborazione verrà utilizzato individualmente modelli sia BMW che Toyota ed amplieranno la gamma di FCEV opzioni a disposizione dei clienti, portando la visione dell'idrogeno mobilità un passo più vicino alla realtà. I clienti possono aspettarsi la BMW e Modelli Toyota FCEV per mantenere le loro identità di marca distinte e caratteristiche, fornendo loro opzioni FCEV individuali da scegliere da. Realizzare sinergie e amalgamare il volume totale di unità di propulsione collaborando allo sviluppo e all'approvvigionamento promette di ridurre i costi della tecnologia delle celle a combustibile.

     

    BMW lancerà il suo primo modello di produzione alimentato a idrogeno in 2028.  

    Dopo aver testato con successo la flotta pilota BMW iX5 Hydrogen in tutto il mondo, il BMW Group si sta ora preparando per la produzione in serie di veicoli con sistemi di azionamento a idrogeno nel 2028 sulla base del tecnologia del gruppo propulsore di nuova generazione sviluppata congiuntamente. La serie i modelli di produzione saranno integrati nel portafoglio esistente di BMW, cioè. BMW offrirà un modello esistente in un ulteriore combustibile a idrogeno variante del sistema di azionamento cellulare. Poiché la tecnologia FCEV è un'altra elettrica tecnologia dei veicoli, il BMW Group la considera esplicitamente complementare la tecnologia di azionamento utilizzata dai veicoli elettrici a batteria (BEV) e successivi ai veicoli elettrici ibridi plug-in (PHEV) e combustione interna motori (ICE).

     

    Un nuovo livello di partnership.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation possono guardare indietro un decennio di collaborazione fiduciosa e di successo. Basandosi su questo, le aziende stanno ora estendendo la loro cooperazione per accelerare innovazione dei sistemi di propulsione a celle a combustibile di prossima generazione e pioniere questa nuova tecnologia.

     

    Visione condivisa di far progredire l'economia dell'idrogeno.

    Il percorso per realizzare il pieno potenziale della mobilità dell’idrogeno comprende il suo utilizzo nei veicoli commerciali e l'istituzione di un infrastrutture di rifornimento per tutte le applicazioni di mobilità, comprese veicoli passeggeri alimentati a idrogeno. Riconoscere il complementare natura di queste tecnologie, il BMW Group e il Toyota Motor Le aziende stanno sostenendo l’espansione di entrambi i rifornimenti di idrogeno e infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici a batteria. Entrambe le società stanno incoraggiando l’offerta sostenibile di idrogeno creando domanda, lavorare a stretto contatto con le aziende che stanno costruendo idrogeno a basse emissioni di carbonio impianti di produzione, distribuzione e rifornimento.

    Il BMW Group e la Toyota Motor Corporation sostengono la creazione di un quadro favorevole da parte di governi e investitori facilitare la penetrazione nella fase iniziale della mobilità dell'idrogeno e garantire la sua fattibilità economica. Promuovendo l'infrastruttura corrispondente, mirano a stabilire il mercato FCEV come pilastro aggiuntivo accanto ad altre tecnologie di powertrain. Inoltre, le aziende stanno cercando progetti regionali o locali per promuovere ulteriormente il sviluppo di infrastrutture per l'idrogeno attraverso iniziative di collaborazione.

     

    Vantaggi della tecnologia alimentata a idrogeno.

    L'idrogeno è riconosciuto come un promettente vettore energetico futuro per decarbonizzazione globale. Agisce come un efficace mezzo di memorizzazione per fonti energetiche rinnovabili, contribuendo a bilanciare domanda e offerta e consentire un’integrazione più stabile e affidabile delle energie rinnovabili nel rete energetica. L'idrogeno è il pezzo mancante per completare l'elettrico puzzle di mobilità in cui i sistemi di azionamento elettrico a batteria non sono un soluzione ottimale.

 

 

 

08.09.24
  1. Colpita in Cisgiordania a un corteo contro l'espansione illegale delle colonie. La protesta della Casa Bianca. Unrwa in allarme: Gaza allo stremo
    Via da Jenin, l'Idf uccide un'attivista Usa
    Nello Del Gatto
    Gerusalemme
    Israele è uscito dalle città del nord della Cisgiordania, in particolare Jenin e Tulkarem, dove dal 28 agosto è in corso una operazione che i militari hanno definito di antiterrorismo. La notizia è stata diffusa dall'agenzia di stampa palestinese, ma l'esercito, pur non parlando di ritiro o di continuazione delle attività militari nell'area, ha riferito che l'operazione "campi estivi" continuerà fino al raggiungimento dei suoi obiettivi. Per intanto i cittadini di Jenin, Tulkarem, Tubas e dei dintorni di Nablus, hanno potuto riprendere una vita quasi normale, si sono celebrati i funerali di molte delle 33 vittime degli scontri tra esercito e miliziani dei diversi gruppi che popolano l'area.
    Solo a Jenin, sono stati registrati 21 morti. Il sindaco della città, Nidal Obeidi, ha parlato di distruzione senza precedenti, come se fosse un terremoto, con oltre venti chilometri di strade distrutte dai mezzi blindati israeliani.
    In Cisgiordania è stata uccisa da un colpo dei militari, una ragazzina di tredici anni, Bama Laboum. La ragazzina si trovava in casa sua quando all'esterno della stessa, nel suo villaggio, c'è stato uno scontro tra coloni israeliani, protetti dall'esercito, e locali palestinesi. È morta mentre si trovava in camera con sua sorella.
    Non molto lontano un altro colpo partito dal fucile di un militare israeliano ha ucciso una cooperante turco-americana di 26 anni. Aysenur Ezgi era arrivata martedì nei Territori Palestinesi come volontaria dell'International Solidarity Movement (Ism), un'organizzazione palestinese che recluta in tutto il mondo cooperanti per operazione di presenza protettiva. Si trovava a sud di Nablus, a Beita, insieme ad altri sette attivisti. Erano con i palestinesi che protestavano contro l'espansione illegale degli insediamenti a Jabal Sbeih. Per i testimoni, le forze israeliane hanno lanciato gas lacrimogeni così da disperdere i manifestanti e questi si sono ritirati. Nonostante fosse tutto relativamente calmo, soldati israeliani hanno esploso due colpi, uno dei quali è costato la vita ad Aysenur. I volontari dicono che i colpi sono stati esplosi per uccidere. L'esercito, che ha annunciato un'inchiesta, anche se non ha confermato l'uccisione della ragazza americana, ha riferito che le truppe hanno aperto il fuoco contro un «principale istigatore» che stava lanciando pietre alle forze e aveva «rappresentato una minaccia». Il dipartimento di Stato ha espresso le sue condoglianze alla famiglia della vittima, mentre la Casa Bianca si è detta «profondamente disturbata» per l'accaduto. La Turchia ha condannato l'uccisione di Aysenur parlando di «omicidio commesso dal governo Netanyahu». Intanto a Gaza, mentre si è entrati nella seconda fase della vaccinazione per la polio, che ha raggiunto oltre 355 mila bambini secondo l'Unrwa, l'Onu lancia l'allarme sulla situazione umanitaria, soprattutto l'approvvigionamento di cibo, reso ancora più difficile dai numerosi ordini di evacuazione, con più di un milione di persone che non sono riuscite ad avere le razioni necessarie. Sono almeno 33, secondo i palestinesi, le vittime degli scontri di ieri nella Striscia.
    Hamas, che ha condannato l'uccisione della cooperante turco-americana, ha aggiunto altre condizioni per l'accettazione della tregua, soprattutto relative al numero di palestinesi da liberare dalle carceri israeliane.
  2. I SERVIZI SEGRETI DA CHI DIPENDONO ? LOGGIA UNGHERIA : Le intercettazioni di Striano prima di iniziare a spiare più di mille tra vip e manager "Ho ricevuto un ordine preciso, vado a comandare 30 persone, posso fare la guerra"
    I sospetti sui dossieraggi Crosetto: "Sono i servizi"
    Il documento
    giuseppe legato
    Febbraio 2019. Poco prima di effettuare il primo di più di un migliaio di accessi abusivi alle banche dati collegate alla Procura Nazionale antimafia (e cioè a partire dal 23 marzo successivo), il tenente della guardia di Finanza Pasquale Striano, al centro di un'articolata inchiesta della procura di Perugia su presunti dossier contro vip, politici e manager, prometteva di fare una guerra. Non era riuscito a rimanere in forza alla Dia e scambia messaggi con ufficiali e sottufficiali del suo corpo di appartenenza. «Macchè, ma chi torna alla Dia! Ho ricevuto un ordine ben preciso, vado a dirigere trenta persone. Posso fare una guerra: alla Dia si devono vergognare che non hanno fatto niente per trattenermi. Per uno come me dovevano andare dal capo della polizia». Aggiunge: «Il procuratore (Laudati ndr, co-indagato) è andato dal capo di Stato Maggiore per me, che onore!». Nei giorni successivi tutto avverrà: e l'interessamento per Striano di un generale già capo di Stato Maggiore verrà confermato al procuratore Cantone, titolare dell'inchiesta, dal capo della procura nazionale antimafia Giovanni Melillo: «Mi parlò di Striano come ufficiale di polizia giudiziaria di grande esperienza sulla materia». Fatto sta che il tenente "spione", dopo un breve transito nello Scico della Finanza (un gruppo speciale delle fiamme gialle, di eccellenza investigativa) rientra nella procura nazionale antimafia come coordinatore del gruppo Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) proprio grazie a Laudati. Di lì, il profluvio di accertamenti illeciti anche sul ministro Guido Crosetto (effettuati tra il 28 luglio e il 20 ottobre 2022 e dalla cui denuncia è originata l'inchiesta). Ministro che in realtà lo scorso gennaio chiede, in prima persona, alla procura di Perugia di essere sentito. Preoccupato di aver letto su un quotidiano (Il Domani), "informazioni riservate coperte da segreto – si legge agli atti della richiesta di misura cautelare per Striano e il magistrato Laudati (difeso dal legale Andrea Castaldo, docente universitario di diritto penale) rigettata nei giorni scorsi dal gip di Perugia - in quanto relative alla partecipazione della moglie, Gaia Saponaro, ad un concorso presso l'Aise che, essendo un'articolazione del Dis, è una struttura le cui procedure di reclutamento del personale sono sottoposte ad un rafforzato sistema di protezione dei dati». Il ministro «ha riferito agli inquirenti anche di aver rappresentato le proprie perplessità sulla possibile provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di sicurezza al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Alfredo Mantovano, e di aver poi direttamente conferito anche con la Presidente del Consiglio (Meloni). Ha aggiunto, altresi, di aver – si legge nelle 200 pagine firmate da Cantone - esplicitato le sue perplessità anche al direttore dell'Aise, il Generale Caravelli, e di aver chiesto di svolgere accertamenti sul punto anche alla direttrice del Dis, Ambasciatrice Elisabetta Belloni». I pm di Perugia sono andati a controllare «e la Presidente del Consiglio, per il tramite del Sottosegretario, ha informato questo ufficio di aver svolto i dovuti accertamenti, escludendo il coinvolgimento degli organismi di intelligence interni».
  3. LA DISPARITA' DEL COSTO ENERGETICO : Bollette, la beffa del mercato libero I vulnerabili pagano le tariffe più alte
    giuliano balestreri
    Il paradosso è servito. Gli utenti vulnerabili - circa 3,8 milioni di persone tra gli over 75 e i percettori di bonus sociali destinati ai bassi redditi - pagano la bolletta della luce più cara di tutti. Un effetto previsto dagli esperti e di cui il governo era stato avvertito, ma che l'esecutivo non è stato in grado di gestire con il passaggio al libero mercato dell'energia.
    Adesso, il pasticcio rischia di trasformarsi in un boomerang oltre ad alimentare nuove tensioni all'interno della maggioranza: la Lega, infatti, aveva chiesto prima una proroga della transizione dal 30 giugno al 31 dicembre - ma la richiesta era stata stoppata dal ministro Raffaele Fitto perché l'addio al mercato tutelato era stato negoziato con la Ue - e poi votato una risoluzione che permette agli utenti vulnerabili di passare in qualunque momento dal mercato tutelato alle tutele graduali.
    A metà luglio il presidente della Commissione attività produttive della Camera, Alberto Gusmeroli, esultava: «Con la risoluzione in commissione approvata dal Governo, anche i clienti vulnerabili, una volta varato il decreto attuativo, potranno chiedere di passare al sistema a tutele graduali. I dati ci dicono poi che 8,4 milioni di utenze vulnerabili si trovano addirittura nel mercato libero, esposte quindi a prezzi superiori a causa del teleselling spesso aggressivo di certi operatori». Il problema è che di quel decreto si sono già perse le tracce. Anche perché i tecnici devono prima capire come intervenire senza creare distorsioni di mercato aprendo, di conseguenza, nuovi fronti con l'Unione europea. D'altra parte l'addio al mercato tutelato dell'Italia - avviato dal governo Renzi nel 2014 - è stato tutt'altro che semplice. A complicare ulteriormente lo scenario hanno contribuito le aste indette per aggiudicarsi gli utenti non vulnerabili rimasti sul mercato tutelato: per vincere 4,5 milioni di clienti, i big del mercato si sono fatti la guerra a colpi di ribassi che ora devono riversare sugli utenti passati al mercato a tutele graduali. L'Arera calcola che beneficieranno di un risparmio medio annuo di circa 130 euro, più del 20% della spesa media di una famiglia tipo (600 euro l'anno).
    Per rendere ancora più intricata la partita, però, l'esecutivo ha permesso a tutti gli utenti già passati al mercato libero di rientrare nel mercato tutelato entro lo scorso 30 giugno: una possibilità accolta da migliaia di famiglie convinte dalla prospettiva di risparmiare decine di euro. Una possibilità comunicata con chiarezza anche dall'Arera, ma che è rimasta ignota a milioni di vulnerabili.
    «La scelta di permettere a chiunque di rientrare sul mercato tutelato per poi essere assegnato alle tutele graduali è un controsenso» ragiona un manager del settore che poi aggiunge: «Frena il libero mercato, avvantaggia gli operatori più grandi che possono permettersi di lavorare in perdita sui clienti retail e penalizza chi avrebbe avuto davvero bisogno di risparmiare». Di certo, a oggi, l'addio al mercato tutelato ha penalizzato tutti gli utenti: sul mercato libero le tariffe sono in alcuni casi più care del 50 per cento. Motivo per cui, già a marzo, il presidente di Arera, Stefano Besseghini, ipotizzava la necessità di «interventi ulteriori e diversi in relazione ai clienti vulnerabili».
  4. GRAZIE A FASSINO E MARCHIONNE CHE SPOSTO UN POLONIA LA PANDA  : In un anno richieste 17 milioni di ore. La Uil: "Nel 2025 gli ammortizzatori potrebbero finire". L'allarme: "A Mirafiori la produzione è calata dell'83%"
    Torino prima in Italia per cassa integrazione La Fiom: "Si temono nuovi fermi produttivi "
    Paolo Varetto
    Gli operai sono tornati a Mirafiori questa settimana. Ma il timore della Fiom, con il segretario generale di Torino Edi Lazzi, è che la prossima settimana possa arrivare l'annuncio di un nuovo periodo di cassa integrazione. «Con il rischio che entro la fine dell'anno possa superare il numero delle giornate di lavoro effettivo».
    Il sintomo di un male ormai endemico, visto che Torino si conferma la città più cassaintegrata d'Italia in tutti i settori, con 17 milioni di ore e un aumento del 72,4% rispetto ai primi sette mesi dello scorso anno. «Ma è tutto il Piemonte a registrare dati sempre più preoccupanti – garantisce il segretario regionale della Uil Gianni Cortese –, con un monte ore doppio: se nel resto d'Italia l'aumento delle richieste è stato del 20%, noi siamo al 40%».
    Ora le preoccupazioni si spostano sul 2025, quando terminerà il quinquennio sul quale si calcola il tetto massimo dei 36 mesi degli ammortizzatori sociali. «E sempre più aziende – anticipa Cortese – sono ormai al limite. Se dovessero esaurirli, la paura è che si possa passare ai tagli al personale, e quindi ai licenziamenti».
    In questo quadro emerge il caso Mirafiori sollevato ieri mattina dalla Fiom nel corso della presentazione della sua festa allo Sporting Dora. «Fino a settembre – ha annunciato Lazzi – nello stabilimento sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell'83%. Se il trend proseguirà così, il 2024 si chiuderà con 20 mila unità prodotte, numero lontanissimo dalle 200 mila necessarie per mantenere in vita il sito produttivo. Fossero anche 100 mila non basterebbero a risolvere le difficoltà. In queste condizioni a preoccupare è il livello di scontro sociale, destinato ad aumentare: la gente è stufa». Situazione confermata anche dal segretario piemontese Fiom, Valter Vergnano: «Le difficoltà del mercato dell'auto pesano anche sull'indotto. Gli effetti non si stanno facendo sentire solo a Torino, ma anche sulle altre province». Resta l'interrogativo di fondo: che fare? «Portare a Mirafiori nuovi modelli – assicura il segretario cittadino dei metalmeccanici della Cgil –, auto per il mercato di massa, che costino poco e possano essere acquistate anche dalle persone normali». Ma il problema è globale: senza ordini non c'è produzione e lo dimostrano pure gli annunci di Volkswagen (che sta valutando di chiudere stabilimenti in Germania) e Toyota che taglia del 30% l'obiettivo di produzione delle elettriche.
    Sullo sfondo deve però esserci una strategia che coinvolga il governo e Stellantis e che vada oltre i semplici incentivi: «Se vogliamo andare verso la mobilità elettrica – assicura Lazzi – allora servono investimenti pubblici e privati per l'infrastrutturazione del Paese». Ma già nelle scorse settimane Stellantis, rispondendo al ministro Adolfo Urso, aveva ribadito gli impegni presi, che vedono il polo produttivo di Torino centrale per la trasformazione in corso: «Stellantis - aveva fatto sapere il gruppo - rimane concentrata sull'esecuzione del piano per l'Italia per i prossimi anni, già comunicato ai partner sindacali, che include progetti importanti come quello per Mirafiori 2030».
  5. IL DIRITTO DI SBAGLIARE : Le motivazioni del proscioglimento di Chiamparino, Appendino e Fassino Secondo il tribunale non si poteva mettere in campo alcuna soluzione
    Sindaci e amministratori non punibili per lo smog "Impossibile impedirlo"
    giuseppe legato
    In 38 pagine, depositate l'altroieri in Cancelleria, il giudice Roberto Ruscello ha spiegato perché i titoli di reato contestati dal pm Gianfranco Colace ad amministratori ed ex amministratori che si sono succeduti alla guida di Comune e regione dal 2015 al 2019, non potessero condurre a un processo vero e proprio sull'inquinamento ambientale colposo che ha colpito la città di Torino. Con questo titolo di reato erano stati indagati Sergio Chiamparino, Piero Fassino, Chiara Appendino, Alberto Valmaggia, Enzo La Volta, Stefania Giannuzzi e Alberto Unia (gli ultimi quattro in qualità di assessori all'Ambiente). Tutti prosciolti. Perché il fatto non sussiste. Non c'è responsabilità e nemmeno nesso di causalità tra le misure adottate (o non adottate) dagli amministratori e l'innalzamento dei livelli di inquinamento. Tra i quali soltanto il pm10, – o perlomeno in misura preponderante – ha sforato in maniera significativa le soglie. Non così è stato per il pm 2, 5, per il biossido di azoto e per altre 4 sostanze indicate dal legislatore come inquinanti: «È solo il pm10 – scrive il giudice – che si è manifestato con una durata tale per comportare un deterioramento dell'aria in termini penalmente rilevanti». La procura ha anche contestato che la Regione non si sia attivata, in assenza o in carenza di misure efficaci da parte dei Comuni utilizzando poteri sostitutivi: Il giudice chiarisce: «Dal testo della norma non si ricava alcun obbligo specifico e puntuale in ordine all'impedimento di eventi di inquinamento a carico di alcun soggetto e, tanto meno, a carico del presidente della Regione e dell'assessore regionale all'ambiente». Ma è nella chiosa delle motivazioni che si rintracciano altre valutazioni: «Vero è, piuttosto, che tutte le indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l'accumulo di Pm10 nell'aria della città di Torino sia da attribuire in misura preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare». Quindi colpa delle troppe macchine inquinanti. «Ciò comporta che la principale, se non l'unica, misura che l'amministrazione pubblica avrebbe dovuto in ipotesi adottare ai fini di impedire il ripetuto superamento dei valori limite consentiti sarebbe dovuta consistere nel divieto pressoché assoluto dell'utilizzo di mezzi di trasporto a combustione e, tuttavia, non può non considerarsi come l'adozione di simili misure, astrattamente idonee ad impedire l'evento naturalistico (l'inquinamento), presentano evidenti criticità rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di attenzione che attengono». Quali? «La libertà di circolazione delle persone e la tutela dell'occupazione e delle attività economiche che vengono inevitabilmente pregiudicati dal blocco del traffico veicolare». Il legale di Fassino Nicola Gianaria commenta: «Le motivazioni del giudice accolgono sostanzialmente tutte le tesi difensive e dimostrano come la sede penale non sia quella corretta per affrontare questi temi». Aggiunge. «Questa inchiesta è stato il primo e unico esperimento giuridico in Italia, ma non è riuscito».

 

 

07.09.24
  1. contestato il centro sportivo
    Protesta dei residenti al parco del Meisino "Fermate il cantiere"
    Sono scesi in strada e si sono frapposti fra i camion con a bordo gli operai e l'area di cantiere. Così, l'altro ieri, un gruppo di residenti di Sassi ha bloccato l'avvio dei lavori al parco del Meisino. Il riferimento è all'intervento pianificato dal Comune per la realizzazione di un centro sportivo, contestato da un'ampia fetta della cittadinanza in nome delle peculiarità naturalistiche del polmone verde. Si è trattato di una protesta soft, che però si è trascinata per sette ore, monitorata dagli agenti della Digos. Gli attivisti di «Salviamo il Meisino» hanno presidiato il parco dalle 9 fino alle 16, quando i mezzi di cantiere hanno lasciato l'area.
    Gli operai, dal canto loro, non hanno forzato la mano. Si sono limitati a posare alcuni jersey in cemento sul prato, senza aprire un vero e proprio cantiere. Si tratta di un déjà-vu di quanto accaduto lo scorso febbraio in corso Belgio, dove alcune decine di residenti si erano messi in mezzo tra gli aceri del corso e gli operai che, motoseghe alla mano, si erano presentati a Vanchiglietta per tagliarli. Una protesta, quella di allora, poi sfociata in un ricorso e nel conseguente stop (temporaneo) ai lavori.
    Al Meisino, l'altro ieri, non si sono registrati momenti di tensione: «Ci siamo limitati a dialogare con gli operai» spiega Bruno Morra, esponente del comitato «Salviamo il Meisino». Ciò non toglie, aggiunge, che le iniziative di dissenso proseguiranno a oltranza: «Quando gli operai torneranno lo faremo anche noi – assicura – Rappresentiamo gli oltre novemila cittadini che hanno firmato la petizione online contro il progetto».
    Il piano d'intervento del Comune, da 11, 5 milioni, partirà dal recupero dell'ex galoppatoio. Prevede in uno spicchio di parco la realizzazione di strutture sportive per diverse attività, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco, ciclocross, biathlon e cricket. Dalla Città assicurano che la protesta dell'altro ieri non ha rallentato l'avvio dei lavori: il cantiere, come da programma, sarà aperto nei prossimi giorni.

 

 

 

 

06.09.24
  1. SONO ANNI CHE SUGGERISCO LE TETTOIE SULLE SCALE MOBILI  DELLA METRO DI TORINO MA IL SINDACO  LORUSSO ABOLIRA'  LE SCALE MOBILI SULLA LINEA 2 PERCHE' NON SI ROMPANO:  " Noi penalizzati dai temporali I disagi ci costano un milione l'anno"
    ANDREA JOLY
    «Dopo gli ultimi controlli funzionava tutto. I disservizi della metro di lunedì sono stati causati da un forte temporale nella notte». In che senso? «Ha causato uno sbalzo di tensione». Serena Lancione, ad del Gruppo Torinese Trasporti, risponde così agli attacchi ricevuti per le 32 scale mobili bloccate nel giorno della grande riapertura della metropolitana. E sottolinea: «Siamo intervenuti subito». Restano dieci impianti da riparare: 5 rientreranno in funzione entro il 18 settembre.
    Lancione, come spiega i continui disagi su scale mobili e ascensori?
    «Quello di lunedì è stato un caso straordinario ed estemporaneo, causato da un forte temporale nella notte che ha causato uno sbalzo di tensione».
    È colpa della pioggia?
    «In questo caso sì. E ovviamente ci scusiamo coi cittadini. Da parte nostra, possiamo intervenire bene e subito ed è quello che abbiamo fatto lunedì stesso».
    Quando non piove, invece, la colpa di chi è?
    «Le scale mobili hanno 17 anni e ci sono dei problemi strutturali. Per far sì che non si ripetano servirebbe coprire quelle esterne soggette a interperie».
    È una proposta nota. Si sta andando in quella direzione, 17 anni dopo?
    «Sono state fatte delle ipotesi. Il tema, qui, è legato alle risorse, e una richiesta sarà fatta. Serve un investimento importante ma alla luce delle nostre spese varrebbe la pena farli».
    Quanto spendete per gli interventi?
    «Fino a un milione di euro l'anno. E abbiamo raddoppiato il budget per l'appalto alla ditta che deve intervenire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria».
    Risorse che potrebbero essere dirottate altrove?
    «Sicuramente».
    Magari sulla metropolitana aperta ad agosto?
    «No, la scelta della chiusura estiva dipende da Infra.To (società di proprietà della Città che gestisce i lavori sull'infrastruttura, ndr). In quel caso è un tema di sicurezza».
    Perché le altre metro nel mondo non chiudono per un mese?
    «Alla luce del prolungamento della Linea 1 è necessario farlo. Ed è anche il motivo delle chiusure serali anticipate, eccezion fatta per il venerdì e sabato».
    Da domenica a giovedì chiuderà alle 21,30 ancora per molto?
    «Dipende dai lavori. Le chiusure aiutano a velocizzare l'arrivo fino a Cascine Vica».
    Si dovrà aspettare fino al 2026, quando vedrà la luce il nuovo tratto?
    «Speriamo prima. La città ha chiesto a Infra.To di fare un programma di lavoro che possa prevedere nel prossimo futuro il ripristino di alcune fasce orarie serali, come già capita in occasione dei grandi eventi come il Salone del Libro, ma senza rallentare l'opera».
    Insomma, citofonare Infra.To. Ma Gtt cosa può fare?
    «Lavorare in sinergia con la Città e Infra.To. Sulle scale mobili, poi, entro prossima settimana attiveremo una task force in collaborazione col Politecnico».
    In cosa consisterà?
    «Chiediamo aiuto a un docente esperto per indagare a fondo le cause degli eventi».
    Solo questo?
    «Lavoreremo insieme. Intanto proseguiamo con gli altri interventi. Dal punto di vista del personale le selezioni sono aperte, perché non manchino gli autisti. Abbiamo attivato servizi con WeTaxi e Bird per creare un'offerta più ampia. A dicembre arrivano i primi 80 dei 225 nuovi bus elettrici che aumenteranno la qualità del servizio».
    Ecco: i cittadini lamentano ritardi e disservizi anche sui pullman. A partire dai sostitutivi della metro. Soluzioni?
    «Quest'estate abbiamo potenziato il servizio e i risultati ci hanno dimostrato di saper reggere una situazione complessa con la metro chiusa».
    Ha visto le code alle fermate?
    «Credo siano fisiologiche. Poi certo: possiamo migliorare e lavoriamo tutti i giorni per farlo. Siamo consapevoli che dovremo dedicarsi alla regolarità del servizio offerto. Ma servono anche più risorse: il fondo nazionale per il trasporto pubblico locale è fermo dal 2012. Il costo delle materie prime no».
    Per questo visto i disservizi non si può abbassare il biglietto della metro?
    «Guardi che abbiamo ritoccato solo il costo della corsa semplice, non quello degli abbonamenti».
    Lo sa che Forza Italia chiede le dimissioni dell'assessora comunale ai trasporti Chiara Foglietta?
    «Per me è la persona giusta. Il lavoro con l'assessora funziona, è l'interlocutrice ideale. Ha un approccio critico, ma costruttivo».
  2. IA FLOP:  

    econdo Gartner, almeno il 30% dei progetti di IA generativa (GenAI) sarà abbandonato dopo la POC (proof of concept) entro la fine del 2025. Le cause più comuni dei fallimenti dell’IA sono scarsa qualità dei dati, dell’inadeguatezza dei controlli sui rischi, dell’aumento dei costi o della scarsa chiarezza del valore aziendale.

    Dopo il clamore dello scorso anno, i manager sono impazienti di vedere i ritorni degli investimenti in GenAI”, spiega Rita Sallam, Distinguished VP Analyst di Gartner. “Ma le organizzazioni stanno facendo fatica a dimostrare e realizzare il valore. Man mano che la portata dei progetti IA si allarga, l’onere finanziario dello sviluppo e dell’implementazione di modelli GenAI si fa sempre più sentire”.

    Secondo Gartner, una delle principali sfide per le organizzazioni consiste nel giustificare gli ingenti investimenti in GenAI per il miglioramento della produttività, che può essere difficile da tradurre direttamente in benefici finanziari. Molte organizzazioni stanno sfruttando la GenAI per trasformare i propri modelli di business e creare nuove opportunità commerciali. Tuttavia, questi approcci di implementazione comportano costi significativi, che vanno da 5 a 20 milioni di dollari.

    “Purtroppo non esiste una taglia unica per GenAI e i costi non sono prevedibili come quelli di altre tecnologie”, aggiunge Sallam. “La spesa, i casi d’uso in cui si investe e gli approcci di implementazione adottati determinano i costi. Sia che si tratti di un’azienda che vuole rivoluzionare il mercato e infondere l’IA ovunque, sia che ci si concentri in modo più conservativo sull’aumento della produttività o sull’estensione dei processi esistenti, ognuno di questi aspetti ha diversi livelli di costo, rischio, variabilità e impatto strategico”.

    Indipendentemente dalle ambizioni dell’intelligenza artificiale, la ricerca Gartner indica che l’IA richiede una maggiore tolleranza per i criteri di investimento finanziario indiretto e futuro rispetto al ritorno immediato sugli investimenti (ROI). Si sa che i CFO non amano investire sulla base di ritorni incerti sia nei tempi che nelle dimensioni. Questo chiaramente favorisce i progetti IA più orientati verso risultati tattici che strategici.

    progetti ia

    Costi sostenuti in diversi approcci di implementazione della GenAI

    Realizzare il valore aziendale dei progetti IA

    I primi che hanno adottato soluzioni IA in tutti i settori e processi aziendali riportano una serie di miglioramenti aziendali che variano a seconda del caso d’uso, del tipo di lavoro e del livello di competenza del lavoratore. Secondo una recente indagine di Gartner, gli intervistati hanno registrato in media un aumento dei ricavi del 15,8%, un risparmio sui costi del 15,2% e un miglioramento della produttività del 22,6%. L’indagine, condotta tra settembre e novembre 2023 su un campione di 822 dirigenti d’azienda, ha evidenziato che le soluzioni di business sono state utilizzate in modo mirato.

    “Questi dati costituiscono un prezioso punto di riferimento per valutare il valore aziendale derivante dall’innovazione del modello di business GenAI”, ha dichiarato Sallam. “Ma è importante riconoscere le difficoltà che si incontrano nello stimare tale valore, poiché i benefici sono molto specifici per l’azienda, il caso d’uso, il ruolo e la forza lavoro. Spesso l’impatto può non essere immediatamente evidente e può concretizzarsi nel tempo. Tuttavia, questo ritardo non diminuisce i benefici potenziali”.

    Secondo Gartner, analizzando il valore aziendale e i costi totali dell’innovazione del modello di business GenAI, le organizzazioni possono stabilire il ROI diretto e l’impatto sul valore futuro. Questo è uno strumento fondamentale per prendere decisioni di investimento informate sull’innovazione del modello di business GenAI.

    “Se i risultati aziendali soddisfano o superano le aspettative, si presenta l’opportunità di espandere gli investimenti scalando l’innovazione e l’utilizzo di GenAI su una base di utenti più ampia o implementandola in ulteriori divisioni aziendali”, conclude Sallam. “Tuttavia, se i risultati non sono soddisfacenti, potrebbe essere necessario esplorare scenari di innovazione alternativi. Queste informazioni aiutano le aziende ad allocare strategicamente le risorse e a determinare il percorso più efficace da seguire”.

 

05.09.24
  1. Giallo anche sulle riunioni per il G7 a Pompei: "Sicuri che non ci siamo scambiati informazioni? "
    La verità della manager sulle trasferte "Mai pagato, rimborsava il ministero "
    Grazia Longo
    Roma
    Durante le ultime ore, nelle sue storie su Instagram Maria Rosaria Boccia, scrive sostanzialmente due cose. La prima: «Io non ho mai pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le spese dei consiglieri». La seconda, in merito al G7 della cultura a Pompei: «Davvero non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati informazioni?» alludendo chiaramente al fatto che le riunioni ci sono state, eccome. In entrambi casi il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano nega le circostanze. Ma non è il solo. A proposito della programmazione del G7, anche il sindaco di Pompei, Carmine Lo Sapio, in linea con il ministro, ribadisce che l'influencer e imprenditrice di moda non è mai stata coinvolta per l'importante meeting internazionale. Eppure è stato smentito da un suo post su Facebook che dimostra esattamente il contrario.
    Ieri, infatti, gli abbiamo sottoposto alcune foto che lo ritraggono, insieme a Boccia e Sangiuliano, in Comune il 3 giugno scorso. Proprio il giorno in cui è stato effettuato il sopralluogo agli scavi in previsione del G7. «Ci eravamo visti giusto per un caffè». Possibile, solo un caffè senza parlare del G7? «Proprio così, abbiamo parlato solo dell'illuminazione notturna degli scavi». Nessun cenno al G7? «Nessuno». A dir poco scarsa memoria. Ecco infatti spuntare fuori il post del sindaco su Facebook del 3 giugno in cui lui scriveva: «G7 a Pompei. Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano incontra il sindaco Carmine Lo Sapio al Comune per definire i dettagli dell'organizzazione del G7, che si svolgerà a Pompei il prossimo 19 settembre. Al termine dell'incontro il sindaco Lo Sapio ha accompagnato il ministro Sangiuliano da sua eccellenza l'arcivescovo monsignor Tommaso Caputo». E poi allegate le foto del gruppo intorno al tavolo, e un selfie, sempre di gruppo, scattato proprio da Maria Rosaria Boccia, ben evidente in primo piano.
    In merito alle spese per finanziare viaggi e hotel, invece, per la sua presenza a Taormina per assistere al Taobuk Award Gala 2024, lo scorso 22 giugno, Maria Rosaria Boccia «ha provveduto personalmente al pagamento del viaggio e dell'albergo». Lo dichiara una fonte qualificata del festival internazionale che sottolinea che «è tutto tracciabile».
    E per la presenza di Sangiuliano e Boccia al Festival della bellezza a febbraio alla trasferta a Riva Ligure, il sindaco Giorgio Giuffra assicura: «Ho pagato io personalmente la trasferta». Poi il ritorno della coppia a Sanremo, a spese del casinò per i Martedì Letterari.
    E per le altre trasferte? Chi ha pagato? Maria Rosaria Boccia, due lauree in Economia di cui una telematica, racconta la verità quando dice che era rimborsata dal ministero della Cultura? Nella biografia di Instagram si definisce come presidente della Fashion Week Milano Moda, malgrado la diffida della Camera della Moda del capoluogo lombardo ad usare quel marchio. Di sicuro è una donna dai vari interessi alla ricerca di nuove esperienze. Secondo l'opposizione consiliare di Pompei si deve proprio a lei la scelta degli scavi come sede del G7. «È grazie alla sua mediazione che si è rafforzato il rapporto tra il sindaco Lo Sapio e Sangiuliano. Non a caso quest'ultimo il 23 luglio ha ricevuto anche la chiave d'oro della città per un costo di 14 mila euro». Ma il sindaco replica: «Queste sono assolute fantasie. È folle pensare e insinuare che ci sia stato da parte della signora Boccia o di qualcun altro una minima collaborazione a questa iniziativa di Pompei. La chiave d'oro, poi, l'avevo data anche all'ex ministro Franceschini il 20 maggio 2021».
  2. Aziende in crisi per il caro-bollette Pagano il 50% in più della media Ue
    Alessandro Fontana Direttore del Csc
    Alberto Clò Economista
    Davide Tabarelli Presidente Nomisma Energia
    LUIGI GRASSIA
    Dice l'Istat che fra giugno e luglio il costo delle bollette di luce e gas in Italia è aumentato del 6,7%, e questo ha comportato, con altri effetti negativi, anche un rialzo dei prezzi alla produzione dell'industria dell'1,3% su base mensile; non poco, in una fase di inflazione (per altri versi) calante. Confindustria calcola fra il 40% e il 50% la spesa media extra delle aziende italiane per l'energia rispetto alle concorrenti europee. La segretaria del Pd, Elly Schlein, attacca: «In Italia abbiamo il prezzo dell'energia più alto d'Europa. In Germania si pagano 82 euro per megaWatt/ora, in Spagna 91, in Francia 54, nei Paesi scandinavi 15, in Italia 128. Davanti a tutto questo il governo non fa nulla, anzi ha cancellato il regime di mercato tutelato e a rimetterci sono i cittadini». Che in Italia l'energia costi di più, e che questo danneggi le imprese rispetto alla concorrenza internazionale (oltre a impoverire le famiglie) è un fatto atavico, ma al netto della polemica politica, il governo sta dando una mano a mitigare il problema o lo sta peggiorando?
    Prima ancora: come mai c'è stata questa raffica di rincari dell'energia in un'estate che sembrava di relativa bonaccia, dopo le fiammate del recente passato? Alessandro Fontana, direttore del Centro studi Confindustria, dice a La Stampa che «la tendenza al rincaro del gas, che poi si è riflessa sull'energia elettrica, ha cominciato a manifestarsi da febbraio, con la ripresa dei consumi di metano, e in agosto si è accentuata con l'incursione ucraina in Russia». Anche Alberto Clò, economista e direttore della Rivista Energia, sottolinea i fattori geopolitici: «L'attacco a Kursk ha colpito infrastrutture energetiche strategiche», e Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, aggiunge: «A far salire i prezzi del gas è anche la fine, attesa per dicembre, delle esportazioni di metano dalla Russia all'Europa, per la scadenza dei contratti. La quota residua di export ormai è piccola, ma difficile da sostituire, e questo rende più costosa la ricostituzione delle scorte invernali. Poi la speculazione finanziaria amplifica l'effetto sul prezzo del gas».
    Da parte di Confindustria, spiega Fontana, la prima richiesta al governo in tema di energia riguarda «mettere un po' più di risorse, in occasione della legge di bilancio, sui diritti di emissione Ets delle aziende: l'Ue consente agli Stati di rimborsarne una quota alle aziende, ma l'Italia finora ha concesso molto meno di quanto potrebbe, limitando la competitività delle nostre imprese. Nel medio periodo occorre battersi per un diverso mix energetico e far tornare in Italia la produzione da fonte nucleare».
    Per quanto riguarda invece la richiesta al governo, avanzata da più parti, di ripristinare i vari bonus energia, Andrea Giuricin, economista dell'Istituto Bruno Leoni, dice che «avevano senso al culmine della crisi energetica, ma oggi non più»; e sulla fiscalizzazione delle voci accessorie in bolletta, altra iniziativa spesso invocata, Tabarelli osserva che «in due anni ha scaricato sul debito pubblico 70 miliardi di euro, e con il ripristino dei vincoli europei di bilancio questo non si può più fare».
    Alberto Clò sottolinea che «nell'estate 2024 il grande caldo e il maggiore uso dei condizionatori hanno comportato un aumento dei consumi energetici dell'8%»; l'economista aggiunge un fattore poco citato: «Per la scarsa ventosità c'è stato un tonfo del 48% della produzione di energia eolica. L'energia mancante ha dovuto essere sostituita con una richiesta extra di gas, che è rincarato anche per tale motivo».
    Daniele Nicolai, dell'Ufficio studi di Cgia, sottolinea che «le piccole imprese, per loro natura, sono quelle più a corto di liquidità e le più esposte ai rincari dell'energia»; ma la polemica monta anche attorno al prezzo del gas per il cliente "vulnerabile" sul mercato tutelato, che (in base alla nuove regole) viene calcolato a posteriori: l'Arera, cioè l'Autorità dell'energia, fa sapere che per agosto è del 6% superiore a quello di luglio. L'associazione di consumatori Codacons avverte che «in autunno la situazione peggiorerà» e Assoutenti valuta che per i clienti vulnerabili «la spesa per il metano segnerà un +25 per cento rispetto al 2023». —

 

 

 

 

 

04.09.24
  1. CANTONE NON VUOLE CAPIRE CHE HANNO AGITO PER CONTO DEI SERVIZI SEGRETI :  Manager e politici spiati dal "finanziere infedele" Altri mille accessi sospetti
    giuseppe legato
    grazia longo
    Sono circa un migliaio gli accessi potenzialmente abusivi – in aggiunta a quelli già contestati – individuati dalla procura di Perugia a carico del tenente della Finanza Pasquale Striano, in forza alla Dna all'epoca dei fatti contestati, finito al centro di un'inchiesta su manager e politici "spiati". E che non fossero soltanto quelli già emersi lo si è capito ieri mattina da un'articolata nota inviata dal procuratore di Perugia Raffaele Cantone, che coordina le indagini «ancora aperte e nelle more delle quali – ha scritto – sono emersi ulteriori episodi». La nota di Cantone, che intanto ha presentato ricorso al tribunale del Riesame per ottenere la misura cautelare a carico dei principali indagati, nasce dopo il rigetto da parte del gip alla richiesta di arresti domiciliari per Striano e per il suo co-indagato, l'ex magistrato della Dna Antonio Laudati, l'uomo che avrebbe coordinato le attività sulle Sos (segnalazioni di operazioni sospette).
    Il giudice, pur condividendo l'impianto accusatorio, ha dissentito sulle esigenze di disporre i domiciliari che nel caso di Striano sono aggravati dalla possibile reiterazione del reato in aggiunta all'inquinamento delle prove («soprattutto alla luce delle articolate relazioni che lo stesso ha dimostrato di avere e che gli potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di ulteriori reati»). Lo ha deciso sostenendo che – nei fatti – che alcune delle singole contestazioni mosse agli indagati non erano più coperte da segreto dal «momento che l'esito delle indagini è stato disvelato con l'invito a presentarsi o con decreti di perquisizione».
    Ed è qui che le distanze tra Cantone e il giudice sono diventate molto più larghe della fisiologica divergenza giuridica. Il capo dei pm di Perugia sottolinea come «contestiamo fra l'altro, l'affermazione del Giudice secondo cui gli indagati avrebbero avuto "in tutto o in parte" accesso agli atti processuali. Al contrario, ad oggi, nessuna discovery degli atti vi era mai stata». Parole chiare e posizioni nette che però, alla vigilia della valutazione che dovrà fare a breve il Collegio, sono suonate come "stonate" al legale Andrea Castaldo, difensore di Laudati che bolla la nota del procuratore come «inusuale per tempi e contenuti». Il ricorso per ottenere i domiciliari «si fonda sul paventato pericolo di inquinamento probatorio derivante da non meglio precisati ulteriori atti di indagine».
    Dall'ordinanza di diniego del gip si apprende come Laudati avrebbe saputo, da una dipendente della procura nazionale antimafia, «di un incontro tra la Pna e le Dda di Roma e Perugia». Ancora insiste agli atti della richiesta di arresto «una conversazione tra Laudati e il magistrato Alberto Cisterna già pm antimafia nel corso della quale Laudati esplicita la sua convinzione sulla genesi dell'inchiesta». Per Cantone è dunque «a rischio la genuinità del compendio probatorio». Per il legale dell'ex magistrato si tratta di «un legittimo esercizio del diritto di difesa».
  2. L'AVEVO PREVISTO NEL 2008 MA MI HANNO SBEFFEGGIATO : MULLER E  DIES : II colosso tedesco fa saltare la garanzia del lavoro per circa 110 mila dipendenti. I sindacati: un attacco all'occupazione
    Volkswagen, fabbriche verso la chiusura Maxi-tagli per la crisi delle auto elettriche
    claudia luise
    Da un lato «difficoltà del mercato sempre più forti» con l'ingresso di nuovi concorrenti dalla Cina. Dall'altro una rivoluzione verso l'elettrico che stenta a decollare. Il gruppo Volkswagen ha annunciato che non esclude la chiusura di stabilimenti e licenziamenti in Germania nel quadro di un programma di riduzione dei costi del principale marchio del gruppo. Un piano di austerità che prevede lo stop alla cosiddetta "garanzia del lavoro" per circa 110.000 dipendenti in Germania: un accordo di lunga data con i lavoratori del Paese europeo che escludeva i licenziamenti non concordati fino alla fine del 2029. L'accordo è in vigore dal 1994. Nel mirino del management in particolare una delle grandi fabbriche tedesche e uno stabilimento di componentistica giudicati «obsoleti» per i piani del gruppo. Si tratterebbe della prima chiusura di un impianto tedesco negli 87 anni di storia Volkswagen. La casa automobilistica ha dichiarato che i dirigenti ritengono che il marchio debba essere ristrutturato in modo completo e che gli attuali sforzi per ridurre la forza lavoro attraverso modelli di pensionamento anticipato e incentivi a uscite volontarie non saranno sufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione.
    «L'ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori stanno investendo in Europa», spiega l'amministratore delegato di Volkswagen Group, Oliver Blume. «La Germania come sede aziendale sta restando ulteriormente indietro in termini di competitività», aggiunge Blume. Da qui la conferma del gruppo: «Nella situazione attuale, non si può escludere la chiusura degli impianti di produzione di veicoli e componenti se non si interviene rapidamente». I leader sindacali hanno dichiarato che intraprenderanno una battaglia senza quartiere contro i piani. Daniela Cavallo, a capo del Consiglio di fabbrica Volkswagen, ha definito i piani un «attacco all'occupazione e ai contratti collettivi» aggiungendo che «questo mette in discussione la stessa Volkswagen e quindi il cuore del gruppo. Ci difenderemo strenuamente».
    Il marchio di punta del gruppo è da anni alle prese con costi elevati e in termini di redditività è molto indietro rispetto ad altri brand del gruppo come Skoda, Seat e Audi. Un programma di riduzione dei costi lanciato nel 2023 avrebbe dovuto cambiare la situazione e migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il 2026. Tuttavia, l'attuale debolezza delle nuove attività ha ulteriormente aggravato la situazione. Anche perché Volkswagen è impegnata in uno dei più ambiziosi piani di investimento nell'elettrico con investimenti per il quinquennio 2025-2029 per 170 miliardi di euro. Quindi, per migliorare ulteriormente i profitti, i costi dovranno essere ridotti più del previsto e si parla di altri 4 miliardi di sforbiciata.
    Cinica la reazione dei mercati. Il titolo ha avuto un andamento positivo in Borsa a Francoforte e il titolo della casa tedesca sale del 2% a 103 euro, dopo un massimo di seduta a quota 104,4.
  3. A pieno regime saranno 1120 i posti nel centro per il trattenimento dei migranti. Nell'hot spot sulla costa saranno 300 Il sindacato Uilpa della polizia penitenziaria: "In Italia un sorvegliante ogni 3 detenuti lì l'esatto contrario, è paradossale"
    Così su La Stampa
    Un milione al mese per gli agenti
    Le spese folli dietro al Cpr albanese
    irene famà
    roma
    Tutti in corsa per l'Albania. Dove prestare servizio nei nuovi Cpr comporta un aumento in busta paga, un centinaio di euro in più al giorno per agenti penitenziari, poliziotti, carabinieri, finanzieri. Più vitto, alloggio, rientro a casa. E i calcoli, per quanto riguarda vita e spostamenti di chi parteciperà all'operazione, sono presto fatti. Trecento unità, spiega chi è ben informato. Per un costo che si aggira intorno ai 30mila euro al giorno. Novecentomila euro al mese. Solo per quanto riguarda gli indennizzi di trasferimento. Il resto delle voci? Ancora da quantificare. Perché ogni area e ogni attività sono cosa a sé.
    Gli agenti della polizia penitenziaria saranno perlopiù destinati in un carcere a Gjader, piccolo paese a nord dell'Albania. Lì verrà recluso chi creerà problemi al Centro di permanenza per il rimpatrio. Si tratterà di un penitenziario maschile con ventiquattro brandine. Quarantacinque i posti disponibili per gli agenti, oltre tremila le domande presentate. L'incarico è vantaggioso: 130 euro in più al giorno, un servizio previsto dai quattro ai sei mesi a seconda del grado con la possibilità di rientrare in Italia una volta al mese con spese a carico dell'amministrazione.
    Queste le cifre e le regole d'ingaggio. Almeno sulla carta. Perché le perplessità sono numerose. «È tutto un paradosso», tuona il segretario generale Uilpa penitenziaria Gennarino De Fazio. Inizia dai numeri. «Una volta si tendeva a chiudere le carceri sotto i cento posti perché antieconomiche. Ora se ne costruisce una molto piccola, con un rapporto agenti – detenuti decisamente sproporzionato. Se in Italia c'è un poliziotto ogni tre reclusi, circa 25mila per oltre 61mila persone, lì ce ne saranno tre per ogni detenuto». E ancora. «La spesa? Sarà esorbitante. In un momento di emergenza per le carceri italiane». Al momento, in Albania, sono arrivati solo quattro agenti della polizia penitenziaria. D'altronde il carcere, che avrebbe dovuto essere pronto a giugno, poi ad agosto, poi a settembre, ancora non c'è. Si attende il primo lotto, dicono. Poi si penserà alle partenze. Ed ecco le altre perplessità. Le riassume bene Aldo Di Giacomo, segretario generale Spp, sindacato polizia penitenziaria. «Chi lavora con i detenuti, sa che un errore di comunicazione può creare problemi seri. Eppure nessuno di noi è stato formato sul come porsi con queste persone. Ad iniziare dal fattore linguistico». Di Giacomo prosegue. «Un corso, ad esempio sarebbe stato utile. Così come sapere quali regolamenti faranno fede sul territorio. Invece ci si è soffermati solo sugli atteggiamenti da tenere in pubblico, senza considerare il duro lavoro con i detenuti».
    Gjader, un centinaio di abitanti e una manciata di case, ex base militare durante la Guerra Fredda, ora si trova al centro dell'accordo tra il governo italiano e quello albanese. Un paese chiave per il primo centro di detenzione per migranti italiano costruito in terra straniera.
    C'è il penitenziario. E il Cpr vero e proprio con 1120 posti per il trattenimento. Guai, in questo caso, a chiamarlo carcere. «Chi è al Cpr non è detenuto», si ripete da sempre. Però da lì non si può uscire. E ci sono i container, le recinzioni, i muri. Le forze dell'ordine a controllare con numeri ingenti. A Gjader e a Shengjin, ventuno chilometri più in là. Quel paese sul mare, che raccoglie numerose recensioni su Tripadvisor non tutte entusiastiche, è la prima tappa per i migranti che sognavano l'Italia e si trovano confinati in Albania. Lì c'è l'hot spot per trecento persone. Lì, come si legge in una delle ultime circolari del Ministero dell'Interno, ci si occupa delle «procedure d'ingresso. Con attività connesse alla gestione delle operazioni di sbarco, pre-identificazione, registrazione della domanda di protezione internazionale». A Gjader, poi, «gli accertamenti» per capire chi potrà raggiungere l'Italia e chi invece dovrà essere rimpatriato.
    Ogni area sarà presidiata dalle forze dell'ordine con un «contingente interforze». Trenta i carabinieri scelti tra la Prima Brigata Mobile, centosettantasei i poliziotti, di cui settanta del reparto mobile e gli altri tra squadre mobili, Digos, polizia scientifica, ufficio immigrazione, uffici tecnico-logistici provinciali delle Questure. «Il periodo d'impiego sarà di un mese, salvo casi eccezionali». Cento euro al giorno in più sullo stipendio, vitto e alloggio «saranno a carico dell'amministrazione» e la «Direzione centrale individuerà, mese per mese, le aliquote di personale da impiegare e gli uffici territoriali da cui il personale sarà tratto».
    Chi andrà in Albania, sottolinea chi conosce il progetto, lo farà su base volontaria. Chi ha già lavorato nei diversi Cpr d'Italia mormora preoccupato: «E quando i volontari non si troveranno più? » Altre perplessità. —
  4. Odissea metropolitana
    pier francesco caracciolo
    Uno sbalzo di corrente, che ha sovraccaricato gli impianti, mandandoli in tilt. Gtt, spiega così i disservizi che ieri mattina, nel giorno della ripartenza dopo un mese di stop, hanno riguardato la metropolitana. Alle 5,30, quando i convogli sotterranei hanno ripreso a viaggiare, all'interno delle stazioni si contavano trentadue scale mobili ferme e due ascensori bloccati. Trentaquattro impianti fuori uso, dunque, molti di più di quanti non funzionavano il 3 agosto scorso, giorno dello stop del servizio.
    Risultato: una pioggia di proteste da parte dei passeggeri. In particolare di quelli con disabilità, con bagagli pesanti o problemi di deambulazione, in difficoltà nello scendere verso i binari o risalire in superficie.
    «Imbarazzante che dopo un mese di fermo la metropolitana riparta con questi gravi disservizi» tuona Federica Fulco, del comitato Torino in Movimento. «Non male per una città che si vanta di esser turistica» ironizza sui social Patrizia Farina. «Una vergogna» la definisce invece Paolo Franci. «Ho appena scoperto che la scala mobile in piazza Bengasi è ancora ferma: da più di un anno aspettiamo che venga riparata» si sfoga sui social Antonio Lanzano.
    Situazione particolarmente critica all'interno di due delle fermate tra le più utilizzate: quella a Porta Nuova (fermi due scale e un ascensore) e quella di Porta Susa-XVIII Dicembre (fuori uso due scale). Ma problemi si sono registrati anche alle stazioni Vinzaglio, Monte Grappa, Nizza, Racconigi, Spezia, Paradiso.
    Il guasto elettrico ha bloccato ventisette delle trentadue scale mobili ferme (e nessun ascensore). Nei giorni scorsi, durante gli ultimi test pre-riattivazione del servizio, gli impianti funzionavano regolarmente. Gtt ipotizza che lo sbalzo di tensione sia legato ai lavori realizzati nell'ultimo mese quando la metropolitana era ferma. Per queste ventisette scale mobili si è trattato di un guasto risolvibile solo manualmente. Ecco perché ieri, per tutta la giornata, i tecnici Gtt sono stati impegnati nel far ripartire gli impianti. In serata le scale mobili rimesse in moto erano ventidue. Le ultime cinque ancora fuori uso saranno riattivate oggi in mattina.
    Come detto, però, non tutte le scale mobili ferme ieri si sono bloccate a causa dello sbalzo di tensione. Cinque sono ferme per problemi tecnici che si trascinano da settimane, in alcuni casi da mesi. Si trovano alle stazioni Massaua, Marche, Bengasi, Porta Nuova e XVIII Dicembre. Gtt assicura che si tratta di guai che saranno riparati nel giro di qualche giorno. I due ascensori bloccati si trovano invece a Porta Nuova e Racconigi. Anche in questi casi, assicura Gtt, le manutenzioni avverranno a stretto giro.
    La linea 1 della metro era ferma dal 3 agosto su disposizione di Gtt. Obiettivo: consentire a InfraTo (la partecipata che gestisce le infrastrutture sotterranee) di realizzare un doppio intervento di manutenzione lungo i tunnel. Ovvero interventi sul sistema di comunicazione in galleria – che passerà da analogico a digitale – e di posa dei binari all'altezza di Collegno, serviranno nel 2026, al momento dell'entrata in funzione delle 4 stazioni in via di costruzione dopo il capolinea Ovest di Fermi.
    La ripartenza della metropolitana avvenuta ieri non decreta però l'avvio di un'attività a pieno regime. Fino al completamento delle opere già iniziate funzionerà a orari ridotti. Per cinque giorni a settimana - dalla domenica al giovedì - il servizio chiuderà alle 22 (dopo quell'ora i tragitti saranno garantiti da bus sostitutivi). Chiude invece all'1,30 il venerdì e il sabato.

 

 

 

03.09.24
  1. FINALMENTE UN GIUDICE INTELLIGENTE :    Il Tribunale del Riesame : "Questo è un ammonimento: non si attivi per posti in enti o imprese utilizzando i suoi amici"
    Il giudice a Gallo, il ras delle tessere Pd "Basta favori o può finire ai domiciliari "
    giuseppe legato
    Dieci mesi di interdittiva con divieto di esercitare uffici direttivi, anche di fatto, in seno ad associazioni e imprese. Nessuna possibilità si svolgere pubblico ufficio o servizio di non natura non elettiva popolare, anche per interposta persona, in seno a qualsiasi ente pubblico o privato. «Perché insistono rischi di possibili reiterazioni di reati». Le modalità dei fatti contestati «impongono di inibire a Gallo per un periodo di tempo prossimo al massimo ogni attività come è occorso quando ha instaurato relazioni improprie con primari ospedalieri volta a influire sulla vita di enti pubblici e privati». Con «ammonimento». E cioè: «Che anche solo l'attivarsi per occupare posti strategici in enti e imprese pubbliche e private tramite l'interposizione "di amici nostri" può avere rilevanza in termini di aggravamento di esigenze cautelari». Ergo: potrebbe essere disposta per lui la misura degli arresti domiciliari.
    I giudici del Riesame Gianluca Capecchi e Luca Leandro Ferrero motivano in 50 pagine circa il perché a Salvatore Gallo, ex uomo forte del Pd torinese travolto – mediaticamente e non solo – dall'inchiesta della Dda di Torino Echidna, andava in qualche modo fermato. Limitato nel suo metodo quantomeno clientelare (a fini elettorali) di gestire risorse di Sitaf, società «dalla quale è estraneo da almeno 10 anni» ma sulla quale ha continuato ad avere influenza tanto da gestire finanche diverse tessere autostradali. Si legge nell'ordinanza del Riesame che «Gallo, pregiudicato per emblematici falsi ideologici che ebbero notevole risonanza mediatica non si è sentito stimolato a continuare solo strategie lecite per ottenere il consenso politico». Infine: «In seno a Idea-To (l'associazione politica da lui fondata) e Sitalfa è emerso il pericolo di come Gallo eserciti la propria influenza in modo illecito». Come? «Secondo quanto emerso anche in sede di perquisizioni – scrivono i giudici – vi è stato un pericoloso do ut des oggetto di peculato». Seguono sfilza di medici, primari e docenti universitari che hanno beneficiato della tessera autostradale gratis per raggiungere Bardonecchia percorrendo la A32, un'autostrada in cui parte dei cantieri in regime di subappalto – così è emerso dalle indagini dei carabinieri del Ros di Torino - erano appannaggio di famiglie di ‘ndrangheta: tra queste la famiglia Agresta di Volpiano, i Pasqua legati alle potenti enclave mafiose di San Luca). Il Collegio del Riesame ha fatto dunque sue le parole utilizzate dal pm Valerio Longi in sede di ricorso nel quale di Gallo viene «stigmatizzato il ruolo di sicura rilevanza in quell'area grigia tra attività economiche e politica che egli ben conosce e nella quale recita ancora un ruolo di primissimo piano benchè sia – da anni – privo di cariche formali nell'ambito di imprese nelle quali, ciononostante, continua ad avere voce in capitolo». In che modo? «Fornendo indicazioni cogenti sulle scelte da adottare, sulle persone da assumere, sui benefit da erogare per non dimenticare il perdurante potere di condizionamento in occasione di ogni competizione elettorale».
    Nel corpo della pronuncia i togati analizzano anche la situazione dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia, per il quale hanno accolto il ricorso sul concorso esterno in associazione mafiosa, contestazione in prima battuta non condivisa dal gip che ha firmato gli arresti ormai quattro mesi fa. Sono passati in rassegna i suoi rapporti con la famiglia Agresta per tramite di persone a loro vicine e legate alla famiglia Violi ai quali – insieme ai Greco affiliati a una ‘ndrina del Crotonese – ha «consentito di accedere ai propri appalti mediante le rispettive imprese subappaltatrici».
    In definitiva: «Bellavia ha consentito per anni a mafiosi accertati e/o presunti inserire le proprie imprese – sovente intestate a prestanomi nelle commesse ottenute nei settori della manutenzione stradale e dell'edilizia soprattutto per carpenteria e guardiania) grazie alle società dei Fantini (Sitalfa e Cogefa)». Di più: «Utilizzando tali imprese come schermi interposti di altri soggetti pure appartenenti a sodalizi mafiosi dando luogo a fatturazioni per prestazioni fittizie». Ciò si è tradotto «in una permeabilità di Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite nonostante le plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan». Inquieta dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni presso alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore edile che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui (Mattioda, Fantini)». Ergo: «per lui non basterebbe una misura meno afflittiva degli arresti domiciliari».
  2. IL SOLITO BLUFF PER DARE SOLDI PUBBLICI AI PRIVATI: doppia gara con lombardia e puglia: saranno attivate sul territorio in Case e Ospedali di Comunità, ambulatori medici, RSA
    La Regione scommette sulla telemedicina 8 mila postazioni nuove per le cure a distanza

    alessandro mondo
    È il tentativo più ambizioso, in termini economici ed organizzativi, di mettere a sistema un supporto importante per la Sanità pubblica, finora utilizzato in modo frammentario e comunque al di sotto delle sue reali possibilità. Parliamo di assistenza domiciliare integrata, legata a precisi parametri previsti dal Ministero per ogni regione, e di telemedicina, quest'ultima importante per diversi motivi: per contribuire a ridurre i divari geografici e territoriali, per garantire una migliore "esperienza di cura" per gli assistiti, per migliorare l'efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la promozione dell'assistenza domiciliare e di protocolli di monitoraggio da remoto.
    I fatti si sostanziano in due gare. La Regione ha aderito a quella della Regione Capofila Lombardia per l'acquisto di tutti i moduli di telemedicina: televisita, teleassistenza, teleconsulto, telemonitoraggio livello uno e due (pacemaker e defibrillatori impiantabili), nonché dell'Infrastruttura Regionale di telemedicina (Irt). La piattaforma Irt comprende un'ampia serie di strumenti e funzionalità estesa, oltre all'erogazione dei servizi di telemedicina, anche in ambiti quali l'Intelligenza Artificiale, la gestione del rischio clinico, la configurabilità avanzata (schemi di refertazione, elenchi di asset e risorse, un pannello di controllo per il monitoraggio di indicatori e report statistici). La seconda gara, invece, vede come capofila la Regione Puglia e prevede l'acquisto di 7.522 postazioni di telemedicina con la relativa logistica. Si tratta dell'allestimento delle postazioni per la fornitura dei servizi all'interno di case di comunità, ospedali di comunità, ambulatori dei medici, Rsa e strutture domiciliari.
    Per dare gambe al progetto lo scorso maggio la Regione aveva approvato una delibera di giunta che ripartisce ad Azienda Zero, diretta da Adriano Leli, 38 milioni di fondi Pnrr per il progetto: 23 milioni per il software e 15 per le postazioni di lavoro. Una risposta al progressivo invecchiamento della popolazione, una declinazione dell'assistenza territoriale, specialmente nei distretti poco serviti come quelli montani e delle valli, un'occasione per migliorare le prestazioni e ridurre le liste d'attesa.
    Una fonte di risparmio per il servizio sanitario pubblico, anche, nella misura in cui riduce l'accesso ai pronto soccorso. Tutto questo, a patto di superare limiti segnalati dal nostro giornale già nel 2020. In primis, l'eccesso di software, parcellizzati tra gli ospedali e sovente incapaci di dialogare. Ora si fa sul serio, almeno si spera.

 

 

02.09.24
  1. ELON MASK AUTODISTRUZIONE PER DROGA:  Da ieri X non cinguetta più in Brasile. Un nuovo Paese si aggiunge alla lista di quelli che proibiscono il social media di Elon Musk. Gli operatori di internet e telefonia mobile hanno accolto la decisione del ministro della Corte Suprema (Stf) Alexandre de Moraes, chi non lo fa rischia multe salatissime e la revoca della licenza. Proibita anche la scappatoia via Vpn, il tunnel virtuale attraverso il quale un utente può navigare come se fosse geolocalizzato in un altro Paese. Se ti beccano scatta una multa di 50.000 reais - quasi 9.000 euro - e una denuncia penale.
    È l'epilogo di un lungo braccio di ferro, una querelle più politica che giudiziaria, iniziata subito dopo l'assalto ai palazzi del potere di Brasilia nel gennaio del 2023, quando gli attivisti più estremi dell'ex presidente Bolsonaro tentarono un colpo di mano per rovesciare la vittoria del progressista Lula da Silva. La Corte Suprema ha indagato gli account social dei facinorosi ma anche quelli di giornalisti, politici e intellettuali che in qualche modo avessero incitato alla ribellione, considerandoli come i mandanti intellettuali di quell'azione. Da lì è scattata la richiesta di sospensione: Meta, che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp ha "obbedito", quelli di X, invece, hanno fatto orecchie da mercante.
    Moraes ha puntato il dito contro Musk, che a sua volta lo ha bollato di despota e nemico delle libertà d'espressione. La politica si è divisa: la sinistra con il giudice, tutta la destra, da Bolsonaro in poi, col patron di Tesla. Quando la multa accumulata da X è salita fino a tre milioni di euro, Musk ha chiuso gli uffici brasiliani. «Salviamo i nostri collaboratori - ha spiegato - ma non abbiate paura; la nostra voce non sarà silenziata». De Moraes gli ha chiesto di nominare un rappresentante legale e ha pure bloccato i conti correnti di Starlink, la società che fornisce internet satellitare e che in pochi mesi ha conquistato una fetta grande quanto lo 0,4% del mercato brasiliano. Decisione, questa, criticata persino dai militari già che quei satelliti servono oggi per comunicare in zone rurali e in Amazzonia. La chiusura, a questo punto, potrebbe durare a lungo. «Uno pseudo giudice - ha detto Musk - che non è stato eletto da nessuno vuole uccidere la libertà d'espressione». Per la Costituzione brasiliana, i giudici della Corte Suprema sono scelti a dito dai presidenti di turno, un massimo di tre alla volta. De Moraes, ad esempio, fu nominato da Michel Temer nel 2017. Il presidente Lula ha appoggiato la Corte. «Chi si crede di essere questo signore (Musk), solo perché ha tanti soldi pensa che può agire fuori dalla legge ? Non siamo una repubblica delle banane!». Per Musk la sospensione è un duro colpo, visto che il Brasile è il sesto mercato mondiale di X, con 22 milioni di utenti (fonte Statista). Da Brasilia fanno notare che recentemente il milionario si è piegato alle regole dettate dall'India e dalla Turchia, il terzo e settimo mercato di X. E molti si chiedono perché abbia voluto spingersi fino a tanto proprio in Brasile. La ragione, probabilmente, è tutta politica.
    Musk da tempo si è eretto ad alfiere e voce libera e spregiudicata della destra delle Americhe. Fa campagna apertamente per Donald Trump, ha ricevuto due volte negli States l'argentino Javier Milei, è molto legato a Jair Bolsonaro e ai suoi figli, è intervenuto recentemente contro la rielezione di Nicolas Maduro in Venezuela. A differenza dei social Meta, la rete di X / Twitter è diventata il terreno libero di cospirazionisti e terrapiattisti, antiabortisi e antigender. Una terra di nessuno gestita da un padrone chiaramente schierato a destra, che volentieri dà una mano ai suoi amici di turno.
    In Brasile a inizio ottobre si vota per eleggere i sindaci in tutte le città. X è stata fino ad adesso una delle piattaforme preferite del mondo conservatore. A livello globale, però, il cerchio si stringe attorno a Musk e dagli Stati Uniti fanno sapere che il magnate potrebbe limitare i viaggi all'estero per evitare di fare la fine del fondatore di Telegram Pavel Durov, arrestato in Francia.
    I leoni del free speech devono stare attenti a dove vanno a finire. Il mondo reale è sempre più pieno di insidie.
  2. Aimaro Isola
    L'architetto ex ragazzo partigiano "Abbiamo rispettato il paesaggio ma i boschi verticali non esistono"
    Contro i grattacieli

    "
    La Borsa di Torino
    La Bottega di Erasmo
    "Talponia" per la Olivetti
    L'enciclopedia di Diderot e D'Alembert è lì, nell'angolo in fondo, rilegata in bianco pergamena: «È la mia preferita, Voltaire è uno dei miei riferimenti». Tempi duri per i laici, gli integralismi imperversano in ogni religione: «Ma noi nuovi illuministi resisteremo». È curioso sentir pronunciare questa frase nella biblioteca che fu il quartier generale dei partigiani del Pci del comandante Barbato, Pompeo Colaianni. Per il barone Aimaro Isola, uno dei più noti architetti italiani, il castello è la sua casa di famiglia: «Io ero un ragazzo. Avevo sedici anni. Ma mi piaceva sentire le discussioni tra i partigiani. C'erano i comunisti come Barbato ma c'erano quelli come Felice Burdino e Raimondo Luraghi che non lo erano. Burdino era un uomo atletico, di azione, uno che conosceva la montagna. Un giorno entrò in questa biblioteca, guardò in alto e stupì tutti dicendo: "Vedete, quella è una rara edizione delle Operette morali di Leopardi". Allora capimmo che era uno addestrato a combattere ma soprattutto un intellettuale». Su che cosa si accapigliavano in quelle discussioni? «Su quel che si sarebbe dovuto fare dopo la fine della guerra».
    Il castello di Bagnolo, antica roccaforte militare all'incrocio tra le valli del Pellice e del Po, è da quasi mille anni la residenza dei Malingri, feudatari degli Acaja. La madre di Aimaro, la contessa Caterina Malingri, sposò il barone Vittorio Oreglia Isola: «La mia era una famiglia di letterati, politici, artisti e militari», racconta Aimaro, oggi lucidissimo 96enne. Fa un certo effetto immaginare Pompeo Colajanni che discute della rivoluzione bolscevica sotto lo sguardo severo del conte Coriolano Malingri di Bagnolo, senatore del regno di Sardegna e primo traduttore integrale dal greco delle commedie di Aristofane. «Questi ritratti ne hanno viste e sentite di tutti i colori. Quando arrivavano i tedeschi e i fascisti a fare il rastrellamento noi partigiani ci nascondevamo dove si poteva. Un giorno Plinio Pinna Pintor saltò il muro e finì nella ghiacciaia. Per molti anni, ogni volta che veniva a trovarmi, voleva che lo portassi a vedere la fossa del ghiaccio».
    Anche Aimaro, come gli antenati che erano generali, studiosi, politici, avrebbe voluto seguire le tradizioni di famiglia: «Ho sempre montato a cavallo, fin da ragazzo, ho smesso non molti anni fa. Pensavo che avrei percorso la carriera militare in cavalleria. Poi ho incontrato una chiromante». Proprio così, come nei film: «Mi ha afferrato la mano e ha detto: "Per te vedo un futuro a metà strada tra il disegno e la matematica". La presi per matta ma alla fine aveva ragione lei: che cos'è in fondo il mestiere dell'architetto? ».
    All'università incontra il socio di una vita, Roberto Gabetti: «I nostri padri erano amici di gioventù. Il mio mi spingeva a frequentare Roberto, io, ovviamente, mi tenevo alla larga. Volevo fare di testa mia. Poi un giorno ci troviamo fianco a fianco a ritrarre una modella: allora si faceva il disegno dal vero. Cominciammo una discussione e dalla sede della facoltà, al castello del Valentino, finimmo passeggiando fino in centro». Sodalizio fortunato: «Appena laureati vincemmo il concorso per progettare la sede della nuova Borsa valori di Torino ". Un edificio che sorge nel cuore della città, in via San Francesco da Paola, sul luogo dove allora c'era il laboratorio di una pasticceria torinese, la Daturi e Motta: «Facendo i sopralluoghi al cantiere si sentiva ancora l'odore di panettone. Avevamo concepito il progetto come una innovazione che però si inseriva e rispettava il tessuto urbano. Non ci piaceva l'idea, allora molto diffusa, di un'architettura moderna che facesse a pugni con il paesaggio, che rompesse con l'esistente. Utilizzammo lo stesso criterio pochi anni dopo realizzando, sempre nel centro di Torino, la Bottega di Erasmo, esaltando i materiali della tradizione artigiana». Una rivoluzione all'inizio degli anni Sessanta: «Diciamo pure una provocazione. Era il periodo dei metri cubi, il boom dei grattacieli, del vetro, dell'acciaio e del cemento. I nostri lavori erano all'opposto di tutto questo, contro l'idea di un'architettura come segno violento che spezza l'esistente». Quale fu la reazione? «Il processo da parte degli architetti modernisti. Venimmo convocati a una riunione. Ci dissero che i nostri progetti erano contro tutti i principi della Modernità. Due dei più aspri nella critica furono Manfredo Tafuri e l'inglese Banham. Tafuri, anni dopo, venne a chiederci scusa, si ravvide, lo disse e lo scrisse». La provocazione dà gusto e non di rado entusiasmo: «L'avevamo imparata all'università dove negli anni Sessanta avevamo organizzato la rivolta degli assistenti contro i vecchi metodi accademici». Un barone contro i baroni.
    Oggi i principi di Aimaro Gabetti e Roberto Isola sono seguiti dalla maggioranza degli architetti. Certo allora erano dirompenti. «L'Italia degli anni Sessanta credeva, come noi, che l'amianto fosse un isolante meraviglioso. Una volta alla settimana andavamo a Casale Monferrato a studiare i nuovi materiali da utilizzare nei nostri cantieri. Ma qualcosa di buono si fece anche allora se, ad esempio, una parte degli arredi interni della Borsa di Torino oggi sono esposti al Moma di New York». Al di là del giudizio dei colleghi, che animava le discussioni accademiche, era quello dei committenti che contava. E non era facile andare controcorrente. Liti, incomprensioni? «Liti no. Qualche momento di stupore sì. La Olivetti aveva necessità di creare a Ivrea una residenza per quei dipendenti che rimanevano temporaneamente in città. L'idea originaria era quella di costruire un grattacielo che permettesse ai residenti di vedere dall'alto gli uffici e la fabbrica. Ci presentammo con una proposta praticamente opposta: un grande edificio circolare ipogeo, che si integrava perfettamente nella collina di fronte alla sede Olivetti. Quasi non si vedeva. Mi ricordo lo stupore e il silenzio: si passavano i fogli del progetto guardandosi negli occhi senza dire una parola. Poi l'idea venne approvata. Gli abitanti di Ivrea chiamarono quella struttura Talponia. Io ne ero molto orgoglioso: fu l'inizio di una tendenza di attenzione al paesaggio ed ad un nuovo rapporto tra architettura e natura. Una sera, ci eravamo appena conosciuti, ci portai Consolata, la mia futura moglie. Purtroppo c'era la nebbia e non lo potè vedere. Ma ci sposammo lo stesso».
    Eppure non sempre l'architettura dirompente è brutta. I francesi hanno avuto il coraggio di piazzare una piramide di vetro nei giardini del Louvre. Renzo Piano ha fatto atterrare l'astronave del Beaubourg a poche centinaia di metri da Notre Dame, avendo il coraggio di mettere in mostra tutto lo scheletro della struttura. Non approva? «Beh certo, la piramide del Louvre, Beaubourg, tutte opere fondamentali, importantissime. Ma quanti altri Beaubourg sono stati fatti? Nessuno, perché i costi di manutenzione sono alti. E poi se la natura ci ha creato nascondendoci lo scheletro, ci sarà un motivo no? ». C'è forse una soluzione: i grattacieli colmi di verde. «Ah il bosco verticale. Ma i boschi non sono verticali. È una soluzione innaturale». Insomma lei ce l'ha con i grattacieli: «Starei molto attento. Hanno costi di gestione alti. Spesso diventano grattacapi realizzati per coccolare l'orgoglio di qualcuno». Però offrono una vista spettacolare sulla città: «Se voglio guardare la città dall'alto mi affaccio quando sto per atterrare». Quando l'architettura è coraggio, innovazione? «Io credo che si debba costruire per la vita, per le persone, non per avere un posto nei libri. I veri innovatori, In Italia, sono stati i Nervi, i Morandi. Ho lavorato con loro. Loro si che hanno avuto coraggio». Morandi è inevitabilmente legato alla tragedia di Genova: «Scommettere sul cemento armato si può fare a patto che ci sia una manutenzione costante. Tutte le volte che ultimamente passavo sopra quel ponte l'asfalto faceva le montagne russe. È l'effetto fluage: i cavi di tensione con il tempo mollano». Che tipo era Morandi? «Un grande. Me lo figuravo come un costruttore di acquedotti dell'antica Roma». E Nervi? «Partecipammo anche noi alla gara per costruire il palazzo del Lavoro di Italia'61 a Torino. Vinse lui con un progetto di grande eleganza. Oggi il mio studio (con mio figlio Saverio) sta ristrutturando il palazzo che Nervi realizzò a Torino Esposizioni».
    Si è fatto tardi. È venuta l'ora di pranzo, bisogna lasciare la biblioteca. Ricompare Consolata, la moglie di Aimaro, vera anima della vita dell'architetto e delle molteplici attività, dall'agriturismo all'organizzazione di eventi, che si svolgono nelle cascine ristrutturate ai piedi del castello. In fondo al parco c'è il laboratorio di scultura di Hilario, figlio di Aimaro e artista di livello internazionale. Il laboratorio funziona con l'energia prodotta dal vecchio mulino recuperato. Consolata accompagna gli ospiti con gentilezza. È lei che tiene i contatti con il mondo. Nel suo logo di whatsapp c'è uno stemma e la scritta "Virtus fortuna favente", il coraggio con il favore della fortuna": «È lo stemma della mia famiglia. Mio padre mi chiamò Consolata per un voto fatto durante una battaglia aerea in Africa». Ma questa è un'altra storia. —

 

01.09.24
  1. Il gioco dei ladri del Terzo valico materiali sbagliati, tutto da rifare
    GIAMPIERO CARBONE
    NOVI LIGURE
    Le "ombre" sul Terzo valico dei Giovi ora non riguardano più soltanto i tempi di conclusione dei lavori. C'è dell'altro: uno spreco di risorse pubbliche per un'opera ferroviaria ormai costosissima - oltre 7 miliardi per 53 chilometri - che si trascina dal 2012, tra Genova e Tortona. A Novi Ligure (Alessandria) c'è una distesa di conci stoccati in un'area dismessa. Migliaia di blocchi in cemento armato. Dovevano servire per realizzare i 27 chilometri di galleria sotto l'Appennino, tra Liguria e Piemonte, invece da settimane decine di Tir ogni giorno li trasportano a decine di chilometri, a Rocca Grimalda e Castellazzo Bormida, perché vengano demoliti.
    La realizzazione del doppio tunnel sta incontrando evidenti difficoltà, non solo per la presenza di amianto e gas: in particolare dal 2022, tra Arquata Scrivia e Voltaggio, lo scavo verso sud è stato bloccato a causa della conformazione delle rocce, talmente friabili da impedire alle due talpe meccaniche, enormi macchinari lunghi fino a 100 metri, di procedere. Dopo vari tentativi nel 2023 Cociv - il consorzio Cociv guidato da Webuild che ha l'appalto per la maxi opera - ha sventolato bandiera bianca: le talpe sono state messe da parte e smontate con costi mai resi pubblici e da allora lo scavo procede a colpi di martellone. I conci servivano a costruire la volta della galleria ed erano posati in automatico dalle talpe; invece ora si va avanti con gettate di cemento. L'appalto per la costruzione dei conci è costato 30 milioni ed era stato affidato nel 2018 alla Società prefabbricati per infrastrutture (Spi) di Cremona, che li ha prodotti in provincia di Alessandria, a Castelletto Monferrato e Carrosio. Da lì venivano trasferiti nel cantiere di Radimero, ad Arquata Scrivia, finché sono serviti ma l'azienda lombarda fa sapere che la commessa è stata comunque conclusa a luglio del 2023, quando le talpe erano già "in panne" ormai da tempo. Proprio per questo Spi ha dovuto stoccarli a Novi Ligure in attesa di sapere cosa fare. In cinque anni, l'azienda lombarda ha prodotto 2.500 "anelli", composti da 8 conci ciascuno. Circa 1.200 sono stati utilizzati per le gallerie e 1.300 messi a deposito, 200 nei cantieri e 1.100 a Novi Ligure. «Attualmente – spiegano da Cremona – a Novi sono ancora stoccati 850 "anelli". L'area dovrebbe essere liberata entro ottobre». Rfi, società delle Ferrovie committente del Terzo valico per conto dello Stato, spiega: «Come noto lo scavo delle gallerie di Valico con l'utilizzo delle due frese non ha potuto proseguire, a causa dei noti problemi geologici, e le talpe si sono dovute fermare».
    I blocchi di cemento vanno al macero perché non servono più. Nemmeno in altri cantieri dove si è provato a "piazzarli", perché le caratteristiche della roccia da scavare e delle frese utilizzate sono incompatibili. E dunque non resta che polverizzarli. Rfi nulla rivela sul costo di questa attività di smaltimento dei conci ma è noto che il costo di costruzione di ciascun blocco - filtra dal Cociv - si aggira sui 6-7 mila euro. Quelli da smaltire, secondo i promotori del Terzo valico, sarebbero un migliaio, dato che si scontra con i dati forniti dalla Spi. Parliamo comunque di almeno una decina di milioni persi.
    L'obiettivo di Cociv è ricavare cemento da rivendere sul mercato per limitare il danno alle casse pubbliche, già molto generose per il Terzo valico, visto che il limite di spesa fissato nel 2010 in 6,5 miliardi è stato ampiamente superato. Lo scorso anno il governo ha assegnato altri 700 milioni per fronteggiare "l'emergenza geologica", vale a dire proprio lo stop alle talpe meccaniche sotto l'Appennino e le relative conseguenze, compreso evidentemente lo smaltimento dei conci.
    «Dagli anni ‘90 al 2012 – spiega Mario Bavastro di Legambiente - Cociv ha eseguito una miriade di sondaggi geognostici sull'Appennino proprio per comprendere la situazione dal punto di vista geologico in vista dello scavo del tunnel. Ora ci tocca vedere i conci mandati allo smaltimento con ulteriori costi per le casse pubbliche». Rfi ha giustificato il problema geologico con la profondità della montagna in quel tratto. Di recente un altro intoppo: cantieri fermi a causa della presenza del gas grisù. È stato necessario potenziare i sistemi di aspirazione nelle gallerie per evitare pericoli per gli operai. Ora l'attività è ripresa.
    Un'opera che non sembra conoscere pace, il Terzo valico. Anni fa - come con la Torino-Lione - il primo governo Conte aveva provato a fermare l'opera. L'analisi costi-benefici commissionata nel 2018 ad alcuni studiosi indipendenti aveva dato esito negativo, ma i lavori erano in fase talmente avanzata che fermarli avrebbe comportato oneri molto più ingenti. Ora il timore dell'attuale governo è perdere i fondi del Pnrr assegnati all'opera: la data limite entro cui chiudere i cantieri è il 2026 ma il commissario Calogero Mauceri parla già del 2027 assicurando però che l'anno prima verrà attivata la prima canna. Una scommessa sempre più ardua da vincere.

 

 

31.08.24
  1. Quell'offensiva in Russia coi droni di legno Le armi "fai da te" che cambiano la guerra
    Francesco Semprini
    new york
    I droni "low cost" che cambiano il corso della guerra. Aziende ucraine stanno producendo centinaia di droni d'attacco di "sola andata" a costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per produrre gli stessi modelli in Occidente. Si tratta sovente di droni di legno facili da montare, una formula che ricorda quella di un noto produttore di mobili "fai da te", vista anche per la coincidenza dei colori nazionali, giallo e blu, con cui vengono fregiati i velivoli.
    Francisco Serra-Martins, ex ingegnere dell'Esercito australiano e fondatore di Terminal Autonomy, spiega alla Bbc che con un maggiore sforzo in termini di investimenti in questo genere di armamenti le sorti del conflitto possono volgere a favore di Kiev.
    La sua società, nata non prima di 18 mesi fa, produce più di cento droni a lungo raggio AQ400 Scythe ogni mese, con una gittata di 750 km. A cui si sommano centinaia di AQ100 Bayonet a corto raggio in grado di volare per alcune centinaia di chilometri. I droni sono fatti di legno e vengono assemblati – non a caso – in ex fabbriche di mobili. Serra-Martins ha fondato l'azienda con il suo socio ucraino, grazie a finanziamenti americani, diventando una delle almeno tre realtà che producono nel Paese velivoli senza pilota su larga scala. «Sono sostanzialmente mobili volanti: li assembliamo come si fa con quelli di Ikea», spiega l'ex militare. Il Bayonet vale qualche migliaio di dollari, a fronte del costo di un missile di difesa aerea russo usato per abbatterlo che può superare il milione di dollari.
    L'Ucraina ha intensificato i suoi attacchi a lungo raggio all'interno della Russia negli ultimi mesi, lanciando decine di droni (kamikaze) simultaneamente su obiettivi strategici più volte alla settimana. Gli obiettivi includono basi dell'aeronautica, depositi di petrolio e munizioni e centri di comando.
    Non sono solo i droni "low cost" a fare la differenza. Palantir, grande azienda statunitense di programmi e analisi dati, è stata una delle prime società tecnologiche occidentali a supportare lo sforzo bellico dell'Ucraina, trasferendo software per migliorare la velocità e la precisione dell'artiglieria. Ora fornisce nuovi strumenti per pianificare gli attacchi con droni a lungo raggio, attraverso una mappatura precisa del territorio.
    L'esecuzione degli attacchi è coordinata dalle agenzie di intelligence ucraine, ne possono essere impiegati sino a sessanta per colpire un determinato obiettivo. I raid vengono eseguiti principalmente di notte, affiancati da attività di "jamming" per contrastare l'interferenza elettronica russa. Sino a oggi solo il 10% dei droni raggiunge l'obiettivo, ma gli esperti stanno lavorando per migliorarne progressivamente le prestazioni.
    L'Ucraina crede di poter fare ancora di più con l'aiuto di armi a lungo raggio di fabbricazione occidentale, finora tuttavia gli alleati hanno respinto le richieste di Kiev. Ci sono timori persistenti, soprattutto a Washington e Berlino, che ciò possa trascinare la Nato nel conflitto. Questo però non impedisce alle aziende occidentali, almeno dal punto di vista del "know-how" tecnologico, di aiutare Kiev che sta già sviluppando un nuovo missile da crociera, dieci volte più economico dello Storm Shadow britannico. Al di là dei dubbi degli alleati, l'Ucraina sta pianificando di intensificare i suoi attacchi alla Russia, secondo Serra-Martins: «Quello che stiamo vedendo ora non è niente in confronto a quello che vedremo entro la fine dell'anno» .
    Intanto, una fonte americana fa sapere che Kiev ha perso uno dei sei caccia F-16 forniti da Paesi occidentali in quello che ha definito «un incidente». Il funzionario statunitense che ha mantenuto l'anonimato ha detto al Wall Street Journal che il jet, di fabbricazione americana, è precipitato lunedì durante i massicci raid russi su una quindicina di regioni ucraine.
  2. Torino rimane agli ultimi posti per lo smog tra 372 città Ue
    Emanuele Bonini
    Paolo Varetto
    Bruxelles-torino
    L'aria di Torino è irrespirabile. Tante, troppe le polveri ultra-sottili (Pm 2,5) presenti in atmosfera, che pongono il capoluogo agli ultimi posti in Europa per qualità ambientale. L'Agenzia europea dell'ambiente (Eea) ha aggiornato l'indice di inquinamento urbano, e gli ultimi dati sono senza appello: Torino è 362esima su 372 città censite.
    La media di Pm 2,5 nel 2022 e 2023 è di 21 microgrammi per metro cubo, più di quattro volte la soglia fissata dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per prevenire morti premature (5 microgrammi per metro cubo).
    Qualità dell'aria «povera», dunque, secondo la classificazione dell'Eea, che conferma le problematiche strutturali della città. Dal 2015 al 2022 la concentrazione di polveri ultrasottili a Torino è sempre stata elevata. A Lingotto e Rebaudengo, le due principali stazioni di rilevamento, i valori hanno oscillato tra un minimo di 19,34 microgrammi per metro cubo (2019) e un massimo di 33,41 (2017), mentre nel 2020 il dato è stato di 22,48.
    Il Italia ci sono realtà con concentrazioni di Pm 2,5 anche più alte, e sono molte le città del Paese con una qualità dell'aria povera. Nel 2020 la Corte di giustizia dell'Ue ha già condannato l'Italia per eccesso di sforamenti dei limiti di polveri sottili (Pm 10) e sempre la Corte Ue ha condannato l'Italia nel 2022 per troppo ossido di azoto (No2).
    Lo stato di salute torinese per le Pm 2,5 concorre una volta di più a mettere il Paese nel mirino comunitario: o si inverte rotta o ci saranno altre procedure. Un invito che riguarda Torino e tutto il Piemonte, visto che anche Novara (330esima su 372), Asti (348esima) e Alessandria (352esima) spingono il Paese verso il basso.
    Una condizione di cui il Comune di Torino è consapevole, così come però attende che la stessa Commissione europea dia il proprio via libera al "Climate city contract", un pacchetto di azioni che punta a un taglio rispetto al 2019 di circa l'80% del Co2 entro al 2030. Un'altra progettualità con l'intento di entrare a far parte nel ristretto club delle cento città europee che vogliono un impatto climatico zero.
    Dall'Unione al momento la Città può contare sui benefici garantiti dal Pnrr e dagli altri fondi comunitari. La mobilità sostenibile resta uno degli asset strategici per il miglioramento della qualità dell'aria, con le nuove fermate della linea 1 della metro, l'avvio dei lavori per la linea 2, il prolungamento dei percorsi di bus e tram. Oltre 380 milioni saranno destinati a rinnovare il 70% dell'attuale flotta del trasporto pubblico, con mezzi ecologici che abbatteranno del 98% le emissioni di particolato in quattro anni. Il trasporto su rotaia passerà da 70 a cento chilometri e si continuerà a investire sulle piste ciclabili, dopo i 30 chilometri di nuovi tracciati realizzati negli ultimi due anni. Infine il fronte che interessa il patrimonio edilizio pubblico, con oltre 850 scuole e altri edifici di proprietà della Città che entro fine 2029 saranno riqualificati dal punto di vista energetico, grazie a un accordo sottoscritto con Iren.

 

 

30.08.24
  1. TECNICAMENTE GLI INDAGATI DOVREBBERO ESSERE TUTTI I SOPRAVVISSUTI MAGGIORENNI:     Altri due indagati per il naufragio del veliero
    Il registro degli indagati porta ora tre nomi. Dopo il comandante James Cutfield che martedì si è avvalso della facoltà di non rispondere, i pm di Termini Imerese indagano per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo altri due componenti dell'equipaggio del Bayesian, colato a picco durante una tempesta davanti alle coste palermitane il 19 agosto. Si tratta dell'ufficiale di macchina Tim Parker Eaton e del marinaio inglese Matthew Griffiths, che la notte della bufera era di guardia in plancia. Se per gli inquirenti il capitano non avrebbe adottato le misure necessarie a mettere in sicurezza l'imbarcazione e non avrebbe prestato adeguato soccorso ai passeggeri, Eaton non avrebbe attivato i sistemi di chiusura dei portelloni della nave. Una disattenzione che ha fatto entrare acqua nella sala macchine, provocando un blackout, e poi nell'intero veliero, che si è inabissato in 16 minuti. Il marinaio in plancia, invece, è accusato di non aver avvertito in tempo della tempesta in arrivo i passeggeri. In sette, il magnate inglese Mike Linch, la figlia 18enne, il presidente della Morgan Stanley International Jonathan Bloomer e sua moglie Anne Elizabeth Judith Bloomer, l'avvocato Chris Morvillo e la moglie Nada e il cuoco di bordo Ricardo Thomas hanno perso la vita nel naufragio rimanendo intrappolati nello scafo. Quindici, invece, i sopravvissuti. Già domani, salve nuove valutazioni dei pm sulle iscrizioni nel registro degli indagati, dovrebbe essere dato l'incarico per le autopsie ai medici del Policlinico di Palermo, mentre gli indagati potranno nominare loro consulenti che parteciperanno agli accertamenti medico-legali. Si apprestano intanto a lasciare l'Italia i componenti dell'equipaggio che, dal giorno dell'incidente, alloggiano all'hotel Domina-Zagarella. Nei confronti dei tre indagati non ci sono provvedimenti restrittivi ed eventuali atti istruttori potranno essere svolti anche nei loro Paesi di residenza. —
  2. SI ERA CAPITO : Brandizzo, la catena degli errori "Il responsabile distratto dal telefonino"
    giuseppe legato
    torino
    Pochi minuti prima di «saltare come birilli» investiti in pieno da un convoglio regionale a traino di 12 carrozze che viaggiava (vuoto), a 150 km orari da Alessandria verso Torino, i cinque operai della Sigifer, azienda di borgo Vercelli che effettua manutenzione per Rfi, avevano avuto un via libera a scendere sui binari per iniziare i lavori: «Se dico treno buttatevi di là» li avverte, immortalato dalla più giovane delle vittime in un video-testamento, Antonio Massa, caposquadra del colosso ferroviario e principale indagato dalla procura di Ivrea per questa mattanza di operai che è già passata da un anno.
    Sa – o quantomeno questa è l'ipotesi dei pm - che almeno un treno deve ancora passare, non ha l'interruzione di linea per dare via libera agli operai, li manda lo stesso e non guarda – per tutto il tempo - se il convoglio arriva. Anzi: sta fisso con gli occhi sullo smartphone, naviga su Internet, forse addirittura sui social. Un'ipotesi ritenuta non fondante ma integrativa delle condotte già contestate. È dunque quella della distrazione la pista che si aggiunge, 12 mesi dopo i fatti, a quanto – per i magistrati – sarebbe già pacifico su dinamiche e responsabilità anche se ancora ufficialmente un'accusa da provare in giudizio. Sul fatto sarebbero state effettuati anche riscontri tecnici che avrebbero confermato la presenza sul web di Massa in orari precedenti al passaggio del treno che ucciderà poco dopo Kevin Laganà, di 22 anni, Michael Zanera, di 34, Giuseppe Sorvillo, di 43, Giuseppe Aversa, di 49 e Giuseppe Saverio Lombardo, di 52 anni.
    Nelle mani degli inquirenti di Ivrea, coordinati dalla procuratrice Gabriella Viglione, c'è il video della morte: immagini crude, consegnate anche alla commissione parlamentare istituita dopo la strage. Secretate. Dura 8 minuti. Alcuni familiari non hanno avuto ancora il coraggio di vederlo. Chi lo ha fatto parla, per l'appunto, di «birilli». Le indagini sono in corso, ma la chiusura è lontana. La procura di Ivrea ha già deciso che chiederà una proroga di sei mesi. Molto probabilmente ne seguirà un'altra. I parenti delle vittime reclamano giustizia e celerità. La procuratrice Viglione lo sa: «L'inchiesta è complessa, non cerca soltanto di stabilire cosa è accaduto quella notte, ma intende accertare perché. Ciò detto qui nessuno ha mai pensato – confida con tono deciso – che quei poveri operai fossero aspiranti suicidi». Il messaggio è fin troppo chiaro. E, al netto dell'innegabile impegno per assicurare giustizia alle vittime e alle loro famiglie, si può spiegare anche con il pluridenunciato – da Viglione – quadro ridotto degli organici a disposizione degli inquirenti per affrontare questa inchiesta e tutte le altre che gravano sulla procura: oltre ai magistrati e alla polizia giudiziaria del Palagiustizia figurano solamente una decina di preparati e impegnati ispettori degli Spresal delle Asl To3 e To5,
    Alle difficoltà in termini numerici del primo aspetto si somma la complessità nel tradurre tutto il materiale acquisito durante le perquisizioni nelle sedi di Rfi a Torino e Roma e in quella di CLF (Costruzioni Linee Ferroviarie) a Bologna: file informatici, contratti che Rete Ferroviarie Italiane hanno appaltato, filmati e molto altro ancora. In questo senso una vera e propria discovery ancora non c'è anche se al momento gli indagati restano otto, più Rfi in qualità di persona giuridica tramite una comunicazione giudiziaria notificata all'amministratore delegato Gianpiero Strisciuglio (non indagato). L'azienda Rfi – difesa dal legale Luigi Chiappero - è chiamata in causa dalla procura di Ivrea in base al principio, sancito dalla legge 231, secondo il quale è prevista la responsabilità amministrativa dell'impresa nei casi di omicidio colposo riconducibili a violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro.
    I primi ad essere stati iscritti nel registro degli indagati sono stati Antonio Massa, caposcorta nei cantieri Rfi e Andrea Girardin Gibin, caposquadra della Sigifer, l'azienda di Borgo Vercelli: quest'ultimo - abbagliato dai fari del treno in arrivo - si era gettato d'istinto lungo la massicciata. A loro due la procura contesta l'omicidio colposo plurimo e il disastro ferroviario, con dolo eventuale. Avrebbero agito con la consapevolezza di poter causare la morte degli operai lungo i binari. Indagato anche il board di Sigifer: Franco Sirianni (direttore generale), i figli Simona e Daniele e Cristian Geraci, direttore tecnico.
    L'inchiesta ha poi subito uno scatto in avanti quando, a seguito delle perquisizioni nelle sedi torinesi e romane di Rfi, i pm hanno indagato anche Gaetano Pitisci e Andrea Bregolato: in linea diretta, ma non immediata, sono i superiori di Antonio Massa. Il primo è direttore dei lavori relativi alla manutenzione delle linee; Bregolato è invece uno dei responsabili della sicurezza nei cantieri. Pitisci, ingegnere, ad esempio, è responsabile di diversi cantieri nell'area attorno a Brandizzo. È – per capirci – l'uomo che decide il frazionamento degli appalti. Quanto devono durare i singoli interventi, quanto è congruo spendere per pagare le ditte incaricate dei lavori. Più di una volta – secondo l'ipotesi di reato contestata dalla Procura – Pitisci avrebbe concesso la cosiddetta deroga implicita: una contrazione di tempi (e costi) per accelerare la manutenzione, che ha chiaramente un effetto sulla sicurezza generale del cantiere. Bregolato, invece, ha mansioni di gestione degli appalti ed è coordinatore della «sicurezza in esecuzione» e se ne deduce che la procura contesti – a che grado non è noto – eventuali profili di omissione in tal senso. —
  3. LE REGOLE DI JAKY: Cresce la produzione della Panda a Pomigliano d’Arco, ma non scompare la cassa integrazione. Nonostante 90 automobili della city car in più al giorno, 50 in meno dell’Alfa Romeo Tonale, scattano gli ammortizzatori sociali. Stellantis dà il bentornato in fabbrica agli operai dello stabilimento nel Napoletano annunciando cinque giorni di cassa integrazione a settembre.

    “Secondo Stellantis, la differenziazione della produzione dei due modelli consente di ricorrere alla cassa integrazione guadagni ordinaria per i cinque venerdì del prossimo mese di settembre – spiegano il segretario generale della Fiom Napoli, Mauro Cristiani, e il responsabile automotive Mario Di Costanzo – Tale scelta fa comprendere chiaramente il modus operandi della direzione aziendale che, a fronte di un aumento di produzione sul modello Panda, fa ulteriore efficienza utilizzando gli ammortizzatori sociali”.
    Non solo a Pomigliano. Uno schema simile è stato adottato anche ad Atessa, lo stabilimento nel Chietino che produce veicoli commerciali, dove la cassa – attivata già a giugno per 15 giorni, coinvolgendo 400 dei 600 operai – è stata prolungata anche a settembre in modo “precauzionale e preventivo” vista “l’attuale situazione di mercato”, con un calo degli ordini dei cabinati: dal 16 al 22 potrà coinvolgere tutti i dipendenti.



    Non solo: il calo produttivo ha già indotto Stellantis a sospendere il turno notturno fino a nuove comunicazioni, con un impatto sugli stipendi. E ripercussioni sull’indotto che stanno sperimentando i 462 dipendenti della Magneti Marelli di Sulmona – 40 impiegati e il resto operai – che fino a fine settembre lavoreranno solo di mattina e pomeriggio: i volumi della fabbrica sono infatti collegati per l’80% all’andamento della produzione di Stellantis a Atessa.
    Per lo stesso motivo è scattata la cassa integrazione fino al 5 ottobre alla Sodecia automotive di Raiano, in provincia di L’Aquila. I timori per un ulteriore deterioramento della situazione riguardano anche Mirafiori, dove i cancelli si sono riaperti lunedì e la produzione dovrebbe riprendere lunedì 2.
  4. E' GIUSTA UN'EXTRA TASSA SULLE PLUSVALENZE DERIVANTI DALLA COMPRAVENDITA DEGLI IMMOBILI CHE SONO STATI OGGETTO DEI LAVORI AGEVOLATI – LA MISURA SI APPLICA GIÀ DAL 1° GENNAIO 2024 E PUNTA A PENALIZZARE CHI VUOLE SPECULARE DOPO AVERE BENEFICIATO DELLA MAXI-DETRAZIONE EDILIZIA – EPPURE LA TASSAZIONE AD HOC NON COGLIE SEMPRE NEL SEGNO PERCHE’ LA PERFEZIONE NON ESISTE:

    A complicare il quadro del Superbonus si aggiunge anche una pesante tassazione sulle plusvalenze derivanti dalla compravendita degli immobili che sono stati oggetto dei lavori agevolati.



    La nuova disciplina si applica già dal 1° gennaio 2024 e mira a penalizzare chi potrebbe speculare proprio grazie all’aver beneficiato della maxi-detrazione edilizia, che ha permesso di realizzare interventi (quasi) gratuitamente, aumentando dunque “a basso costo” il valore degli immobili.
    […] a introdurre la nuova tassa “anti-speculazione” è stata l’ultima legge di bilancio per il 2024, emanata lo scorso dicembre, che ha previsto l’inclusione nella base imponibile Irpef delle plusvalenze derivanti da vendita di immobili ristrutturati con Superbonus, nei casi in cui l’operazione avvenga quando ancora non siano passati 10 anni dalla fine dei lavori, e sempre che non si tratti della propria abitazione principale.
    La tassa può essere versata anche direttamente al momento della stipula del rogito di compravendita, nel qual caso è applicata in misura fissa al 26%, a prescindere dai redditi complessivi del venditore.

 

 

29.08.24
  1. Il capo dell'Aiea visita la centrale di Kursk "Troppo vicina al fronte, rischio incidenti"
    giuseppe agliastro
    mosca
    «Una centrale nucleare di questo tipo, così vicina ad un punto di contatto o ad un fronte militare, è un fatto estremamente serio». Rafael Grossi ha visitato la centrale di Kurchatov e ha lanciato un chiaro avvertimento sui pericoli legati ai combattimenti che infuriano non molto lontano da qui, a circa 50 chilometri dall'impianto, si stima. La centrale sorge infatti nella regione russa di Kursk, dove i soldati ucraini a inizio agosto hanno lanciato un'offensiva che ha colto di sorpresa le truppe del Cremlino. Il direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica – fa sapere l'Afp – ha spiegato che i quattro reattori di questa centrale (due dei quali sono spenti) sono dello stesso tipo di quelli di Cernobil, cioè non hanno la cupola di contenimento e la struttura protettiva tipiche delle centrali moderne. «Questo significa che il nocciolo del reattore contenente materiale nucleare è protetto solo da un normale tetto. Ciò lo rende estremamente esposto e fragile, ad esempio, all'impatto dell'artiglieria, di un drone o di un missile», ha detto ancora Grossi. «Paragonare Cernobil a Kursk – ha aggiunto - è un'esagerazione. Ma si tratta dello stesso tipo di reattore e non esiste una protezione specifica».
    Il capo dell'agenzia atomica dell'Onu ha dichiarato di essere «in stretto contatto» con la Russia e di voler visitare l'Ucraina la prossima settimana. «Sono stato informato dell'impatto dei droni. Mi sono stati mostrati alcuni dei resti e i segni dell'impatto che hanno avuto», ha detto ancora Grossi senza precisare chi possa esserne responsabile. Nei giorni scorsi Putin ha accusato i soldati ucraini di aver cercato di attaccare la centrale. In questi due anni e mezzo di guerra inoltre Mosca e Kiev si sono più volte rimpallate le accuse per i pericolosissimi raid nella zona di un'altra centrale, quella di Zaporizhzhia, nell'Ucraina sud-orientale occupata dalle truppe russe. «Mai e poi mai si deve o si dovrebbe attaccare una centrale nucleare, in nessun modo», ha rimarcato Grossi.
  2. GAIA TORTORA CENSURA ANCHE QUESTO ?   Il ceo contro l'Amministrazione Biden: "Volevano togliere i post sul Covid che sfidavano i medici"
    Lo schiaffo di Zuckerberg alla Casa Bianca "Pressioni per cancellare contenuti su Fb"
    alberto simoni
    corrispondente da washington
    Ci furono pressioni da parte di esponenti dell'Amministrazione Biden, anche interni alla Casa Bianca, su Meta affinché censurasse i contenuti legati al Covid 19 che sfidavano il consenso della comunità medica sui vaccini e le origini del coronavirus. A riferirlo è il fondatore di Facebook e Ceo della piattaforma, Mark Zuckerberg, in una lettera inviata lunedì 26 agosto a Jim Jordan, deputato repubblicano che presiede la Commissione Giustizia della Camera.
    Zuckerberg si pente di non aver rivelato prima le pressioni e ammette che Instagram, WhatsApp e Facebook hanno sbagliato a piegarsi alla volontà dell'Amministrazione. Le attenzioni del governo Usa sono iniziate nel 2021, ha ricostruito Zuckerberg, che ha spiegato che gli inviati dell'Amministrazione «mostravano irritazione quando il nostro team non concordava con le loro conclusioni».
    A essere banditi su Facebook sono stati anche alcuni contenuti ironici legati al Covid. Zuckerberg ha detto che quelle pressioni erano sbagliate e «mi spiace non averle denunciate prima». «Penso che abbiamo fatto delle scelte che, con il senno di poi e le nuove informazioni in nostro possesso oggi non faremmo», ha concluso l'inventore di Facebook.
    C'è un secondo «ripensamento» di Zuckerberg, ovvero la soppressione nell'autunno del 2020 su Facebook di un articolo del New York Post sul laptop abbandonato da Hunter Biden in un negozio e contenente le e-mail sugli affari della famiglia Biden con soggetti stranieri in Russia, Ucraina e Cina e i rapporti di Hunter con la compagnia energetica ucraina Burisma di cui era membro, per 50 mila dollari, del consiglio di amministrazione. L'Fbi contattò Facebook dicendo che dietro la storia c'era lo zampino russo e che quindi rilanciare questa storia sui social avrebbe contribuito alla disinformazione. Zuckerberg si adeguò. Salvo, quattro anni dopo, spiegare ai deputati che «è chiaro che quel report nulla aveva a che fare con la disinformazione russa, con il senno di poi non avremmo dovuto declassare la storia». Un atteggiamento simile era stato tenuto da Twitter. I cosiddetti Twitter Files hanno rivelato di recente che la piattaforma soppresse la storia e l'account del New York Post per presunta violazione della sua politica sui materiali hackerati.
  3. FINALMENTE Il nuovo
    Buscetta

    «Mi chiamo Vincenzo Pasquino. Sono nato a Torino il 3 ottobre del 1990, un tempo avevo un'impresa edile. Procedimenti penali in corso? Diversi. Intendo collaborare e rendere dichiarazioni spontanee in ordine a carichi di cocaina che mi sono contestati. Ammetto tutte le mie responsabilità».
    È il 7 maggio scorso, ore 10,32, Roma, carcere di Rebibbia. Di fronte a due magistrati e a un alto ufficiale del Ros tra i migliori investigatori al mondo nella lotta al crimine organizzato, Pasquino, ora collaboratore di giustizia, già ribattezzato dai media carioca «Il nuovo Buscetta», parla per ore del business più remunerativo del mondo: il traffico di cocaina. «Compravamo un chilo a 2 mila dollari, che diventavamo 3500 euro per pagare "la salita" verso l'Italia attraverso i porti europei». Elenca 27 spedizioni - tentate o riuscite - dal 2018 al 2022. La media dell'invio 90 kg «ma con alcuni – precisa - non ci si muoveva per meno di una tonnellata».
    Fa i nomi dei cartelli che lo hanno spedito ormai 7 anni fa in Sud America a vivere da narcos, da broker, da contractor per le forniture di coca ai più importanti sodalizi della ‘ndrangheta nel mondo. Volpiano (Torino), Platì, San Luca.
    Nei giorni scorsi il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo ha inviato un documento al procuratore generale Paulo Gonet, informando le autorità brasiliane che una parte delle «dichiarazioni e confessioni appaiono pertinenti ad indagini riservate alla giurisdizione della Repubblica del Brasile, riferite al traffico di droga organizzato da gruppi criminali legati al Pac e al Cv di cui avrebbe incontrato i vertici». Secondo «O Globo», principale quotidiano di Rio De Janeiro «Pasquino, ha raccontato di far parte della 'ndrangheta dal 2011 e di essere il responsabile in Brasile della logistica per l'invio di droga in Europa dal 2017». Un eloquente intercettazione lo conferma: «Io ho in mano Brasile ed Ecuador», dice a un sodale quando già la sua chat «riservata» è stata bucata come un pallone da calcio e la sua carriera da uomo di punta dell'Aspromonte sul fronte del narcotraffico mondiale sta per sgonfiarsi.
    Nel Paese sudamericano, aveva stabilito la sua base nel quartiere di Tatuapé, a San Paolo, area dove i leader del Pcc (Primeiro Comando da Capital) possiedono numerose proprietà di lusso ed è soprannominata dai magistrati locali «Little Italy». I carabinieri del nucleo investigativo di Torino all'epoca comandati dal tenente colonnello Andrea Caputo lo avevano scovato in Sud America nel 2021 poco dopo l'arresto di altri due grandi broker di coca come Nicola e Patrick Assisi (una fotocopia del documento di Pasquino fu trovato a casa loro) al termine di un'indagine complessa. Che - assieme al Ros - metteva insieme chat Sky Ecc «violate», localizzazione di «criptofonini» e uno strano viaggio di alcuni familiari dall'Uruguay al Brasile. Fatta di staffette, macchine, tratti di viaggio percorsi su un'anonima corriera di turisti, e poi di nuovo treni, auto: un risiko per eludere i controlli. Invano.
    Il tema è che «O Globo» - citando fonti investigative brasiliane finora mai smentite - riferisce che «Pasquino ha presentato almeno tre nomi in codice utilizzati nelle conversazioni con membri delle fazioni criminali brasiliane». Secondo il rapporto degli inquirenti, l'elenco è importante perché in Europa è stato possibile decifrare le conversazioni scritte in un'apposita applicazione sequestrata al mafioso italiano. E che starebbe facendo i nomi delle organizzazioni con le quali conduceva gli affari in nome e per conto dell'élite della mafia calabrese. Che sarebbero poi esponenti di rilievo - se non di vertice - del Pcc, acronimo del «Primeiro Comando da Capital», la più grande organizzazione criminale brasiliana, con circa 11.000 membri, presente soprattutto nelle aree di San Paolo e della Triple Frontera: Paraguay, Argentina, Colombia e Uruguay. «E a San Paolo - confida un'autorevole fonte investigativa a La Stampa - il Pcc è come la ‘ndrangheta nella Locride».
    È la prima volta che questa joint venture - pur nota agli investigatori più specializzati - emerge in tutta la sua plasticità. Stesso discorso vale per i rapporti intrattenuti - sempre secondo «O Globo» - da Pasquino con il Comando Vermelho (CV) - originariamente «Falange Vermelha», un'organizzazione criminale fondata nel 1969 nella prigione di Cândido Mendes, nell'Ilha Grande (Rio de Janeiro), nata come network di prigionieri comuni e di militanti politici oppositori della dittatura militare.
    Pasquino sta parlando da mesi con i magistrati di Torino che per anni lo hanno braccato con indagini dei carabinieri in serie e condanne pesanti condotte dal pm Paolo Toso, dai colleghi Livia Locci, Monica Abbatecola e Antonio Smeriglio (deceduto prematuramente nelle more dell'inchiesta) e di Reggio Calabria. Ma non solo. Per dare un'idea della portata potenzialmente esplosiva di ciò che sta raccontando, vengono in aiuto alcuni stralci dei primi verbali: «Quando nel 2017 sono andato in Brasile sono partito dall'aeroporto di Zurigo verso san Paolo. Qui mi sono venute a prendere persone del posto che collaboravano con noi. E in elicottero mi portarono a Playa Grande. Ho fatto partire una nave con 200 kg di coca dal porto di Bolivar, altri 75 provenienti dal Paranaguà diretti al porto di Anversa. I soldi, attraverso i "doleiro" di origine cinese e araba arrivavano in Brasile dopo che venivano trasportati a Torino e Milano attraverso dei camion dalla Calabria. Tre carichi da 325 kg nascosti negli stock di pellet che non sono andati a buon fine sono partiti da Santos, un altro container da 170 kg era destinato al Belgio. Per altri 500 kg il carico è partito da Itapoe (Santa Caterina) con direzione Gioia Tauro». Ancora: «In quell'occasione "omissis" mi chiese se avessimo modo di spedire cocaina in Australia via Singapore. Alcune Persone andarono a Guayaquil (Ecuador) a prendere la droga dai colombiani. Con loro ho avuto contatti tramite SkyEcc per organizzare la consegna». E poi: «C'è un successivo carico dei 75 kg ad Anversa caricati nella legna e provenienti da un altro proto brasiliano». Infine: «Abbiamo fatto ulteriori 100 Kg partiti dal Porto di Bolivar, con una nave diretta a Gioia Tauro, nave che ha fatto transito in Colombia o a Panama. La cocaina era nascosta in un container di trasporto banane. I panetti erano marroni con scritta nera su fondo bianco "Tarn" o "Tem"». Il nuovo Buscetta. —
  4. Furti per 3 milioni nei supermercati Borello "I giovani rubano alcolici, è una piaga sociale"
    gianni giacomino
    Per diverso tempo ai furti che subiva nei suoi negozi ci è passato sopra sperando che, forse, un giorno le cose sarebbero cambiate. Invece niente. Anzi la situazione è peggiorata. E così l'imprenditore Fiorenzo Borello, al timone della catena di supermercati sparsi in tutto il Torinese, ha deciso di "predisporre appositi misure di sorveglianza". «Anche perché, in un anno, abbiamo patito un danno di circa tre milioni di euro – spiega Borello – capisce che per la mia azienda è un buco non da poco e, in qualche modo, questa piaga si deve pur contrastare». Quello che, però, ha amareggiato di più l'imprenditore partito oltre una cinquantina di anni fa con un negozio a Rivodora, è che i responsabili delle razzie sono sempre di più dei giovanissimi. Ragazzini che, probabilmente, non capiscono nemmeno la gravità delle loro azioni. E, così, qualche giorno fa l'imprenditore ha deciso di denunciare due ragazzi sorpresi a rubare nei punti vendita di Giaveno e di Castiglione. «Mi creda è la prima volta, lo abbiamo fatto a malincuore, ma i responsabili devono comprendere che i loro atti sono contro il vivere civile» – dice Borello. «Ma soprattutto – puntualizza - ci siamo convinti fosse giusto anche perché ci siamo accorti che rubano spesso alcolici e questo non va bene. Il giovane sorpreso nel nostro punto vendita di Giaveno era pure minorenne e aveva preso dagli scaffali una bottiglia di vodka, un superalcolico». «Questa problematica deve far riflettere e mettere ancora più in guardia le istituzioni, le forze di polizia e, soprattutto le famiglie – incalza Borello - perché sta assumendo proporzioni preoccupanti dal punto di vista sociale. Noi, in alcune realtà, ci siamo accorti che, dopo la scuola, gli adolescenti entravano nei punti vendita proprio per rubare bottiglie di birra, vino o liquori». «Al di là del valore della merce sottratta nell'ultimo episodio - prosegue - abbiamo deciso, di presentare una denuncia nei confronti del giovane autore del furto ritenendo che il nostro gesto sia da ritenersi non solo di monito e di prevenzione per il futuro, ma soprattutto come un gesto di giustizia riparativa anche in un'ottica di rieducazione e sensibilizzazione sociale. Ciò per far ben comprendere ai ragazzi che si tratta di azioni criminose».
    E, tra gli adolescenti, il lockdown ha peggiorato le cose in maniera drammatica per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche.
    Anche per questo al Mauriziano, due anni fa, è stato inaugurato il primo Centro Alcologico di Torino. Un day hospital dedicato a persone con Disturbo da Uso di Alcol (Dua). In Piemonte sono stati 185 ingressi in pronto soccorso di minori sotto i 17 anni. Adolescenti, con diagnosi attribuibili all'alcol. E in 350, tra i 18 e i 24 anni, sono arrivati in evidente stato di intossicazione alcolica. Spesso reduci da feste in discoteca, ma anche in case private, dopo aver bevuto fino a rasentare il coma etilico.

 

 

28.08.24
  1. MI SONO SBAGLIATO E' STATO un INSIDE JOB, una manomissione dall’interno  CON  PORTELLONI APERTI  E DERIVA ALZATA PER FARE ENTRARE L'ACQUA ED AFFONDARE UNA NAVE PER UCCIDERE PER ORDINE DI CHI ?     Come spiegato dalla magistratura non si è trattato di un tornado (come si pensava all’inizio) ma una raffica discendente, definita anche come downburst, un fenomeno meteorologico consistente in forti correnti di vento discensionali con moto orizzontale in uscita dal fronte avanzante del temporale. Le folate possono raggiungere velocità elevate, prossime o superiori ai 100 km/h.Il tg1 ha mostrato le immagini dell‘accensione del razzo di segnalazione avvenuta mezz’ora dopo l’affondamento avvenuto durante uno dei tanti temporali che si sono abbattuti sulle coste italiane nel wee-end per una tempesta geomagnetica, di dubbia origine, ma ampiamente annunciata da vari siti meterologici.
    Perché il Bayesian è rimasto in rada e non è entrato in porto?
    Perché barche più piccole non hanno subito lo stesso naufragio?
    E’ vero che la deriva, come emerso dalle prime indiscrezioni sulle ricognizioni dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco, era stata alzata a 4 metri e non si trovava quindi nella massima profondità di 7 metri che avrebbe dato maggiore stabilità al veliero?
    E’ verso che, come trapelato dalle dichiarazioni di una società di brokeraggio assicurativo, il portellone di poppa (parte da cui si è inabissato il superyacht) era rimasto aperto dopo il rientro del tender con Linch e amici a tarda notte?
    Chi ha deciso di alzare la deriva e non ha controllato la chiusura del portellone posteriore?Si va delineando la catena di errori umani che avrebbe determinato il disastro marittimo: dalla deriva mobile, parzialmente alzata, che potrebbe avere avuto un ruolo determinante nella minore stabilità dello scafo, ad alcuni portelloni aperti, che avrebbero imbarcato una grande massa d’acqua in poco tempo favorendo il rapido inabissamento del veliero ai motori spenti e al mancato funzionamento del sistema che in questi casi dovrebbe sigillare i boccLynchaporti e gli accessi all’interno». Chamberlain SOCIO DI LYNCK è morto mentre faceva jogging nella contea inglese del Cambridgeshire, investito da una signora di 49 anni. Dopo aver lasciato la società Autonomy nel 2012, il top manager aveva lavorato come direttore operativo per la Darktrace, multinazionale inglese di cybersecurity creata da Lynch tramite il suo braccio finanziario Invoke Capital e fin da subito legata ai servizi segreti britannici, dall’MI5, che opera all’interno del Regno in funzione di controspionaggio, all’Agenzia per la sorveglianza elettronica Gchq. Steve Huxter, un ex uomo dell’MI5, aveva cofondato la società, di cui era consulente l’ex direttore dello stesso servizio, Sir Jonathan Evans, molto criticato per aver detto che le informazioni ottenute attraverso la tortura “devono essere viste nel contesto dei tempi” quando l’intelligence di Londra era finita sotto accusa per il trattamento di sospetti terroristi britannici all’estero nel programma delle ‘rendition’ messo in campo dagli americani dopo l’11 settembre.

    Già la prima azienda di Lynch, la Cambridge Neurodynamics, aveva lavorato per i servizi segreti per cui non possono essere stati loro ad uccidere lui e i suoi ospiti ma chi Lynch osteggiava con le sue società per ordine di Usa, Israele e Re  Carlo : Putin affiancato dai BRICS. Perche' tutto cio' sia avvenuto in ITALIA ? Perche' Lynch ed i suoi ospiti si sentivano sicuri  sottovalutando i rapporti fra la mafia italiana e quella russa PER CUI LA BARCA ERA PRIVA di sorveglianza .
  2. Infatti pochi giorni dopo Pavel Durov, il fondatore e Ceo di Telegram, è stato arrestato mentre scendeva dal suo jet privato all’aeroporto di Le Bourget, a Parigi. Durov, franco-russo, 39 anni, stava arrivando dall’Azerbaigian, accompagnato dalla sua guardia del corpo e da una donna, sembra la sua fidanzata, quando è stato raggiunto dai gendarmi della GTA (Air Transport Gendarmerie).

    Nei suoi confronti era stato spiccato un mandato di perquisizione dalla direzione nazionale della polizia giudiziaria francese emesso sulla base di un’indagine preliminare. Gli viene contestata la complicità in molteplici gravissimi reati internazionali senza prove dirette di connivenze ma sempolicemente perché non avrebbe censurato i contenuti contrari al mainstream – come ha fatto Zuckerberg con Meta – e non avrebbe consentito alle forze dell’ordine di spiare gli iscritti alla piattaforma Telegram che, se il tycoon del social risultasse colpevole, potrebbe rischiare la chiusura. L’esecuzione del mandato era subordinata alla presenza di Durov sul territorio francese.

    “Ha commesso un errore stasera. Non sappiamo perché… Era solo una tappa? In ogni caso è stato preso”, confida a Tf1 una fonte vicina alle indagini. Durov aveva infatti evitato il più possibile di recarsi in Europa, dove la sua azienda è nel mirino, e aveva l’abitudine di viaggiare negli Emirati, nei paesi dell’ex Unione Sovietica o in Sud America. Quindi si e' consegnato per fornire informazioni ai G7 attraverso la Francia.
  3. ELON MUSK E TESLA NON HANNO IL FUTURO:   

    Sreela Venkataratnam, responsabile finance e business operations di Tesla, ha rassegnato pubblicamente le sue dimissioni con un post su LinkedIn. La manager, una veterana dell'azienda di Palo Alto, dove lavorava dal 2013, è l'ultima di una lunga serie di dirigenti di spicco che hanno deciso di dire addio alla Casa negli ultimi mesi: "Lascio per trascorrere tempo di qualità con la famiglia, riconnettermi con gli amici e concentrarmi sul benessere personale".

     

    Illustri abbandoni. Al di là delle motivazioni personali del caso in questione, l'abbandono di Venkataratnam segue quelli di Martin Viecha, vice president delle investor relations, Drew Baglino, responsabile powertrain and energy e Rohan Patel (public policy and business development), senza contare un paio di licenziamenti illustri voluti da Musk, quelli di Rebecca Tinucci (senior director EV charging) e Daniel Ho (director of vehicle programs and new product introduction).

    I nodi all'orizzonte: quello del robotaxi... Sei teste di serie, in tutto, saltate da aprile a oggi: un piccolo esodo che si staglia sullo sfondo dei prossimi appuntamenti cruciali per la Casa. Gli occhi, in particolare, sono puntati sulla data del 10 ottobre, quando verranno svelate le caratteristiche del robotaxi: un progetto su cui in tanti hanno espresso riserve, prima di tutto relative alla scelta di equipaggiarlo solo con camere e non con sensori Lidar, necessari, secondo il resto dell'industria per livelli particolarmente elevati di automazione come sui sistemi driverless.

    ... e il restyling di Model Y. L'altro nodo da sciogliere è quello del restyling della Model Y, nome in codice "Juniper": in molti si aspettavano di vederlo entro la fine di quest'anno, ma Musk stesso ha chiarito lo scorso giugno che non verrà lanciato prima del 2025. La "blockbuster" del marchio ha quanto mai bisogno di un aggiornamento: i cali in doppia cifra accusati in Europa, Cina e Usa nel corso della prima metà di quest'anno sono lì a dimostrarlo.

 

 

 

27.08.24
  1. PUNTANO AL DITO : AL CAPITANO NON ALLA LUNA CHE HA PROVOCATO L'INGRESSO DELL'ACUQA. E POI NON ESISTEVANO SISTEMI DI ALLARME ? SULLA BARCA DI UN ESPERTO DI SICUREZZA ?   L'analisi di Franco Romani, architetto dello yacht affondato in Sicilia: "L'equipaggio doveva togliere l'ancora e veri ficare che tutto fosse chiuso"
    "
    "Il Bayesian progettato per ogni condizione Credo che il portellone laterale fosse aperto"
    La sicurezza
    La dinamica
    Flavia amabile
    inviata a palermo
    Un'imbarcazione come il Bayesian non affonda per un po'di vento, sostiene Franco Romani, architetto nautico, l'uomo che ha progettato il Bayesian affondato una settimana fa. A causare la tragedia sarebbe stato, secondo lui, il portellone laterale lasciato aperto.
    Com'è nato il Bayesian?
    «Le imbarcazioni Perini nascevano nel mio ufficio. Il Bayesian fa parte della serie 56 metri. Sono state barche fortunate: ne abbiamo realizzate 10, di cui 9 a due alberi. Un armatore ci ha chiesto, invece, qualcosa di diverso: a quel punto abbiamo mantenuto il progetto di base e realizzato uno sloop a un solo albero, con un grande pozzetto a prora, un ambiente che è un vero spettacolo dove si svolge in prevalenza la vita di chi è in barca. Era il "più" della barca».
    Insieme all'albero che però ha creato molte polemiche: secondo alcuni esperti avrebbe reso meno stabile il veliero. Che ne pensa?
    «La stabilità di un'imbarcazione è regolamentata dagli enti di classifica, non si può agire come si crede. Il Bayesian è nato per andare a vela con qualsiasi tempo».
    Quella notte il Bayesian probabilmente aveva la deriva alzata.
    «È normale che la deriva sia in posizione sollevata e abbassata quando si va a vela perché dà maggiore stabilità».
    Il Bayesian era in rada ed era previsto cattivo tempo. Si è calcolato che sia stata una tempesta con vento a 80 nodi. Era affrontabile?
    «Sì, se il comandante si organizza in tempo».
    Che cosa deve fare?
    «Prima di tutto deve togliere la barca dall'ancora. Invece il Bayesian era ancorato. Ma c'è qualcosa da fare ancora prima che arrivi il maltempo. In una casa, quando sta arrivando la pioggia, si chiudono tutte le finestre. Lo stesso va fatto su una barca. Se sul Bayesian tutto fosse stato chiuso, non ci sarebbero stati problemi, è programmata per sbandare e tornare su. Invece si è sottovalutata la situazione e non ci si è organizzati per affrontare la tempesta. Quando il maltempo è arrivato la barca ha sbandato e ha imbarcato acqua».
    Da dove?
    «Qualcosa deve essere rimasto aperto. Secondo me il portellone che è sul fianco».
    C'è chi in questi giorni ha ipotizzato il portellone di poppa.
    «Il portellone di poppa è chiuso, non permette alcun accesso verso l'interno. Il portellone laterale, invece, dà accesso a un gavone enorme dove ci sono lo Scuba, le bombole per le immersioni, il windsurf. Tutto quello che viene utilizzato per andare in mare viene tenuto lì perché questo portellone è a 60 centimetri dall'acqua: è più facile immergersi ma, se l'imbarcazione si inclina, fa entrare subito l'acqua all'interno».
    Perché sarebbe rimasto aperto il portellone laterale?
    «I passeggeri potrebbero essere andati a fare il bagno e averlo lasciato così quando sono andati a cena. È solo un'ipotesi e se ne potrebbero fare mille altre perché quando il tempo è buono è utile e bello avere il portellone laterale aperto ma, se si sa che arriva una bufera, bisogna chiudere tutto».
    Secondo la procura il Bayesian è affondato di poppa.
    «E allora tutto torna. L'acqua è entrata dal portellone laterale, è finita nel gavone di poppa che è attiguo alla sala macchine. Lì c'è una porta stagna ma potrebbe essere stata lasciata aperta e quindi la barca è andata giù».
    L'acqua finita nella sala macchine potrebbe aver creato un black out sull'imbarcazione?
    «Ci sono generatori e batterie, ma di sicuro si è creato un black out come risulta dalle luci dell'albero che si sono spente. Bisognerà capire quanto hanno funzionato i sistemi di emergenza».
    Com'è possibile che chi è rimasto nelle cabine non sia riuscito a raggiungere chi era in coperta e a salvarsi insieme agli altri?
    «Fuori dalle cabine c'è un corridoio, avrebbero potuto prendere le scale che li portavano su ma forse dalle scale scendeva una montagna d'acqua e non hanno potuto fare altro che cercare una cabina dove c'era aria. Di certo sappiamo che hanno ritardato e che, a quanto sembra, non sono stati allertati».
    Chi avrebbe dovuto dare l'allarme?
    «Il comandante, se sa che è in arrivo il maltempo, deve innanzitutto far chiudere porte e portelloni ma poi deve avvertire i passeggeri e dire: guardate che stanotte ballerete, state attenti in modo che tutti sappiano che quella notte dovranno fare attenzione».
    La domenica mattina l'agenzia marittima che seguiva il Bayesian ha inviato una mail per chiedere al comandante se avevano bisogno di assistenza. Non c'è mai stata risposta.
    «È un elemento in più che avvalora la tesi che si è sottovalutato il maltempo. Il comandante della Sir Robert Baden Powell che era vicino al Bayesian ha tolto l'ancora e acceso il motore, è la manovra da fare in questi casi e che invece non stata fatta. Ci sono stati una serie di errori che, tutti insieme, hanno fatto sì che il Bayesian affondasse. Se tutto fosse stato compiuto in modo corretto non saremmo qui a parlarne, questa è una barca più sicura di uno yacht a motore, è progettata per navigare sbandata. Non è un po'di vento che può mandarla a fondo».

 

 

26.08.24
  1. INDAGINI IMPOSSIBILI PER CUI IL SOLO COLPEVOLE IL CAPITANO:  "Eravamo disorientati dai molti specchi Sott'acqua una barca è piena di ostacoli"
    flavia amabile
    inviata a palermo
    Le difficoltà dei riflessi creati dagli specchi mentre erano al lavoro dentro il Bayesian, gli oggetti che volavano ovunque, il filo di Arianna che li ha aiutati nella complessa operazione di recupero delle sei vittime rimaste intrappolate all'interno dell'imbarcazione. È il racconto di Orlando Di Muro, 54 anni, ispettore dei Vigili del Fuoco, sommozzatore con una lunga esperienza. Insieme a un collega ha riportato in superficie il primo corpo rimasto intrappolato in una delle cabine del Bayesian. Era mercoledì scorso.
    Come siete arrivati ai dispersi?
    «Il nostro gruppo ha la possibilità di fare una decompressione accelerata usando delle miscele arricchite di ossigeno. Questo ci consente di rendere più rapida la risalita e di allungare i tempi di permanenza sul fondo, quindi siamo stati utilizzati in modo più mirato».
    Da dove siete entrati?
    «Da dove era possibile per raggiungere i nostri obiettivi. Abbiamo ispezionato tutta la nave e, di volta in volta, scelto la strada più conveniente».
    Che scenario vi siete trovati davanti?
    «La situazione tipica delle imbarcazioni affondate da poco. C'erano suppellettili, guanciali, abiti, materassi. Tutto quello che si potrebbe staccare si stacca. L'affondamento è pur sempre un evento traumatico, di conseguenza la struttura non è più quella originaria e questo crea degli ostacoli alla nostra progressione. Ma non è tanto l'avanzamento il nostro problema maggiore quanto fare in modo che lo spazio che creiamo non diventi un ostacolo all'uscita dall'imbarcazione». In che modo potrebbe diventare un ostacolo?
    «Corridoi e cabine, per quanto lussuosi, sono angusti. Un materasso che è su un letto non può essere messo al centro della stanza se ho bisogno di avanzare perché occupa dello spazio e non può essere messo dietro le spalle perché non potrei più uscire. Bisogna poi assicurare gli oggetti che tendono a fluttuare per evitare che creino intralcio. C'è stato poi un altro elemento che abbiamo dovuto tenere in considerazione».
    Quale?
    «Come molte barche di lusso anche il Bayesian era pieno di vetri e specchi. I riflessi creati dalle nostre torce e le nostre immagini rinviate su quelle superfici creano molto disorientamento. Ecco perché è fondamentale progredire con il filo di Arianna che, come nella leggenda, fissiamo lungo il percorso. È un elemento oggettivo molto utile se si avanza in un ambiente sconosciuto. Richiede del tempo per essere collocato ma ci permette di ritrovare rapidamente l'uscita».
    Dov'erano i corpi?
    «I primi cinque erano in una delle cabine dove si dorme. Li abbiamo visti con le torce che portiamo sui nostri caschi».
    Come li avete trasportati?
    «In quella situazione i corpi non hanno un peso eccessivo, ma è necessario prestare la massima attenzione perché nelle operazioni di spostamento al buio si rischia involontariamente di farli urtare».
    Vuole dirci qualcosa di quello che ha provato durante questa lunga operazione?
    «Abbiamo tutti dei figli, dei fratelli, delle sorelle ma noi affrontiamo queste situazioni con il dovuto distacco che ci è dato dal lavoro. Ognuno adotta delle tecniche personali per non lasciarsi coinvolgere nel momento dell'immersione».
    E dopo? Le capita di avere degli incubi?
    «Sarei poco credibile se dicessi che non mi capita».

 

 

 

25.08.24
  1. ATTACCO DEI BRICS  AL G7 A GUIDA ITALIANA SU TERRITORIO ITALIANO , LA MELONI DOVE E' ? INCONTRO SEGRETO G7 ?: Cosa ha affondato il Bayesian?

    Il Bayesian sembra aver subito un attacco con un’arma alquanto sofisticata, una probabilmente non molto dissimile da quella che negli Stati Uniti viene chiamata tecnologia Quicksink, che prevede il lancio di una bomba aerea contro l’obiettivo che affonda in pochissimo tempo, come si può vedere in questo video
  2.  https://www.youtube.com/watch?v=y2JIC_k5-3s
  3. Una dimostrazione pratica della tecnologia Quicksink

    La nave una volta che è colpita da questa bomba affonda nel giro di pochissimo tempo e chi è a bordo non ha praticamente il tempo di fare nulla, talmente devastante è l’attacco subito.

    E' una tecnologia che e' nelle disponibilità di pochi Paesi, Stati Uniti e Russia, Cina. Coloro che hanno lanciato questo attacco hanno studiato tutto con attenzione. Sapevano ovviamente chi c’era a bordo di quella barca e sapevano esattamente dove si trovavano i personaggi da colpire che non avevano possibilità di sopravvivere, poiché questi si trovavano al chiuso delle loro lussuose cabine, a differenza invece dell’equipaggio che è riuscito a salvarsi praticamente per intero e che sa perfettamente cosa e' successo ma che non palera' mai per non rischiare la vita anche con un banale incidente. Lynch oltre ad essere coinvolto in un caso per frode che riguardava la vendita della sua società, la Autonomy, alla Hewlett Packard, era anche strettamente integrato nel mondo dell’intelligence britannica e israeliana.

    L’imprenditore britannico infatti è stato il fondatore di una società quale la Darktrace che ha dei legami molto stretti con l’MI5, poiché come citato in precedenza, nel suo consiglio direttivo c’è proprio un ex direttore del MI5, Lord Evans of Weardale, e un altro veterano della CIA, come Alan Wade.

    Darktrace però non nasce per pure ricerche matematiche ed informatiche come fanno credere i fondatori della compagnia.

    Una interessante ricostruzione offerta dal sito Unlimited Hangout, ci aiuta a comprendere meglio le origini di questa società che risalgono al 2012, quando un ex agente del MI5, Dave Palmer, iniziò a pensare allo sviluppo di una tecnologia che consentisse agli agenti dei servizi di poter comunicare in maniera sicura, e si rivolse per questo a due matematici di Cambridge che lo assistettero nell’impresa.

    L’idea di fondo era quella di utilizzare l’intelligenza artificiale per consentire alla macchina di gestire la sicurezza cibernetica fino al punto che questa macchina poi arrivi a sviluppare una sorta di coscienza di sé, in grado di renderla perfettamente autonoma sul piano decisionale, tanto poi da separarla dal controllo del suo creatore umano, in maniera non molto dissimile da come si vede in un celebre film con protagonista Johnny Depp, Trascendence.

    Questi gravi rischi non hanno comunque fermato la corsa di Darktrace anche quando qualche giornalista ha iniziato a chiedere conto all’amministratore delegato della compagnia, Poppy Gustafsson, che quando le è stato chiesto se questa società non era altro che una copertura per le attività dei servizi, ha provato in maniera imbarazzata a far sembrare come irrilevante e occasionale il contributo delle agenzie di intelligence alle attività di Darktrace.


    Nel  consiglio di amministrazione di Darktrace, troviamo un personaggio come Amber Rudd, già ministro dell’Interno nel governo di Theresa May, e parte del gruppo di consulenti di Teneo, nel quale troviamo un personaggio come Doug Band, amico del famigerato miliardario pedofilo e agente del Mossad, Jeffrey Epstein. parlera' mai perche' sa che rischierebbe la vita.  Epstein non è un nome soltanto noto per la sua rete pedofila. Epstein è il risultato diretto di una operazione di intelligence dei servizi israeliani che fin dal primo momento si proponeva di controllare tutti i potenti che contano dell’alta società di New York e americana in generale, di mettere a loro disposizione ragazzine o ragazzini minorenni, e di immortalarli durante i loro atti sessuali per poi ricattare questi personaggi e costringerli a fare gli interessi dello stato ebraico.

    Se si guarda l’agenda di appuntamenti di Jeffrey Epstein, si ha una idea di quanto fossero importanti i nomi che questi frequentava, tra i quali c’erano quelli di Ariane de Rothschild, moglie di Benjamin, membro della nota famiglia di banchieri di origine ebraica, Kathryn Ruemmler, membro dell’amministrazione Obama, il citato Bill Clinton, Kevin Spacey, il linguista Noam Chomsky, Woody Allen e altri noti personaggi del mondo dello spettacolo, della politica e dell’alta finanza. Darktrace era vicino al mondo di Epstein non solo però per la presenza di Amber Rudd, ma anche per quella di Alan Wade, citato poc’anzi.

    Wade, oltre ad aver passato una vita nella CIA, ha fondato la società Chiliad assieme a Christine Maxwell, sorella della più famigerata Ghislaine, sodale di Epstein nella gestione del traffico di minori gestito per conto dei servizi segreti israeliani.

    Christine, oltre ad aver fondato questa società con Wade, aveva anche il compito di promuovere la distribuzione di un altro noto software sviluppato dalla NSA, ovvero PROMIS.

    PROMIS aveva già riscontrato un certo successo nei primi anni’80 per la sua efficacia nel consentire di risalire alle fonti del riciclaggio di denaro sporco, fino a quando una spia israeliana molto famosa come Rafi Eitan, si adoperò attraverso l’assistenza dei servizi israeliani, di mettere una backdoor, una sorta di porta di servizio informatica, nel programma in maniera tale da poter tracciare tutte le attività nelle quali amici e nemici dello stato ebraico erano impegnati.

    A Robert Maxwell, editore e padre di Ghislaine e Christine, era affidato il compito di promuovere la distribuzione di questo software, sempre per conto dello stato di Israele, fino a quando Robert morì in circostanze misteriose e venne ritrovato cadavere nel 1991 nelle acque delle Canarie, fuori dal suo yacht, che come si vede sembra essere un luogo privilegiato in queste storie di spie israeliane che durano da molti anni. A Porticello coloro che volevano mandare un messaggio a questi ambienti ci sono riusciti molto bene poiché hanno dimostrato di conoscere in anticipo le mosse dei loro avversari, e di sapere cosa fanno, dove lo fanno e come lo fanno. E la Meloni ora deve rispondere perché tutto ciò e' avvenuto per ben 2 volte in ITALIA. O e' in grado di garantire la sicurezza nazionale al G7 o verrà sostituita dalla Gentiloni.
  4. OBIETTIVO SINDACI DEL PD :   Scalo Vallino, ok della giunta al superstore di Nova Coop
    diego molino
    Procede, a piccoli ma importanti passi, il progetto che dovrà ridisegnare l'ex scalo ferroviario Vallino nel quartiere di San Salvario, un'area che da diversi anni era in cerca di una nuova identità. L'ultimo passaggio formale è avvenuto nella giunta comunale di poche settimane fa, con l'approvazione di una delibera dell'assessore al Commercio Paolo Chiavarino per far insediare un Superstore di Nova Coop, una media struttura di vendita alimentare che si svilupperà su due fabbricati da 2500 metri quadrati, con annessi spazi per il parcheggio.
    È soltanto un tassello della rivoluzione che interesserà tutto il perimetro compreso fra il cavalcavia di corso Sommeiller, via Nizza, via Argentero e le sedi ferroviarie ancora in esercizio sul lato ovest, dove sorgerà anche il futuro Centro di ricerca per le biotecnologie molecolari promosso dall'Università.
    L'intero intervento prevede un investimento complessivo da 60 milioni di euro, le operazioni di bonifica e scavo erano partite già la scorsa estate, mentre il completamento di tutto il restyling è in programma tra la fine del 2025 e l'inizio del 2026. Un'opera attesa da tempo nel quartiere, dove l'ex scalo Vallino rappresenta un vuoto urbano che, in un certo senso, "taglia in due" il territorio.
    Si tratta di 32 mila metri quadrati dove sarà forte la volontà di valorizzare la vocazione universitaria del borgo: Nova Coop, in partnership con le società Taurus e Ca Ventures, realizzerà una residenza per studenti da oltre 10 mila metri quadrati. Un'altra superficie da 10 mila metri quadri sarà invece dedicata ad attività commerciali e servizi, di cui fa parte proprio il Superstore Coop, per cui è stata appena presentata la richiesta del permesso di costruire.
    Nel progetto complessivo dell'area, è stato anche previsto di realizzare un grande spazio pubblico, per aprire sempre di più l'ex scalo agli abitanti del quartiere: più di 7500 metri quadri dove sorgerà anche una piazza attrezzata, oltre a una piastra dedicata alla pratica di diverse discipline sportive da 5 mila metri quadri. Sul lato di via Nizza, i tre edifici vincolati come beni storico-architettonici saranno la vera e propria porta d'ingresso allo spazio pedonale, dove nell'ultima fase dei lavori si provvederà anche a mettere a dimora nuovi alberi ad alto fusto.
    È uno spicchio di San Salvario di circa 32 mila metri quadrati complessivi che, passo dopo passo, si prepara a rinascere, mettendo insieme più anime. L'area fu acquistata da Fs Sistemi Urbani, in seguito alla gara bandita già nel dicembre del 2015. L'iniziativa è sviluppata da Nova Coop, il progetto urbanistico è a cura di Ai Engineering e Ai Studio, mentre a curare il progetto architettonico ha contribuito anche Picco Architetti.
  5. MOSSA INTELLIGENTE : il sindaco lo russo al forum internazionale
    Palazzo Civico va in Corea per studiare la mobilità
    I piani di sviluppo della mobilità del futuro, la guida autonoma e gli scambi di tecnologia fra paesi. Sono questi i temi portanti che saranno affrontati dal sindaco Stefano Lo Russo nei prossimi giorni, durante la sua missione istituzionale in Corea, per partecipare al Forum che si terrà nella città di Gwangju. È una delle prime azioni concrete, dopo che lo scorso 15 aprile a Palazzo Civico fu ospitato il sindaco della città coreana, per la firma di un patto di collaborazione in ambito economico, culturale, turistico e accademico.
    La prima tappa istituzionale è in programma martedì al Cimitero Nazionale "18 Maggio", istituito nel 2002 in memoria dei manifestanti uccisi durante la sanguinosa repressione della protesta contro il regime militare, avvenuta appunto il 18 maggio del 1980. Poi Lo Russo e il capo del Municipio di Gwangju, Kang Gijung, interverranno al Forum internazionale sulla mobilità. «La collaborazione e i progetti condivisi tra istituzioni di paesi diversi, soprattutto su temi che riguardano da vicino le grandi sfide che abbiamo di fronte, sono fondamentali per il futuro di tutti» spiega Lo Russo. La visita proseguirà poi al Gwangju Global Motors, lo stabilimento che è nato dalla joint venture fra Hyundai Motor Company e il Governo, che oggi ha raggiunto la capacità di produrre 100 mila veicoli all'anno. In ambito culturale, invece, prenderà il via una collaborazione fra Gwangju e la Fondazione Torino Musei e il Mao, che darà vita all'apertura di una nuova sezione nel Museo d'Arte orientale dedicata alla Corea, grazie al prestito di alcune collezioni.

 

24.08.24
  1. "Difendo gli sfruttati Ma sono senza stipendio perché manca una firma"
    chiara comai
    «Quando sono mesi che lavori e non vieni pagata inizi a vedere il mondo come un posto buio. E questo ti porta a fare male il tuo lavoro. Ti porta al burnout». Ormai è da più di un anno che Serena Medici, 36 anni, convive con la rabbia. La sua è una frustrazione particolare: quella di chi lavora per migliorare la vita degli altri, ma intanto vede peggiorare la propria.
    Una situazione che si è venuta a creare da quando, prima il dipartimento delle Pari Opportunità di Roma e poi la Regione Piemonte, hanno ritardato a tal punto i pagamenti dei progetti vinti dalle associazioni che combattono la tratta di essere umani da mettere in crisi l'intera rete, composta da 19 enti oggi allo stremo.
    Con i pagamenti fermi da marzo 2023 ci sono decine di Serena che oggi non prendono lo stipendio da mesi a causa dei ritardi in una firma. Serena lavora per Tampep, una piccola associazione nata vent'anni fa che ogni giorno aiuta vittime di tratta, ovvero persone indotte a vivere in un Paese straniero per poi essere vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo o essere impiegate in attività illecite. L'associazione di Serena non è grande, sette dipendenti. Ha scelto di puntare su pochi progetti di qualità, per fare la differenza. Ma ora, dopo aver anticipato i soldi per i progetti a causa degli enormi ritardi delle istituzioni, è agli sgoccioli. Non riesce più a pagare stipendi regolari da gennaio, affitti per le case protette, bollette, materiali. È una situazione comune a tutte le associazioni della Rete antitratta, anche le più grandi, che hanno minacciato di chiudere le attività dei progetti. L'equazione è semplice: senza soldi non si va avanti.
    Tre lavori per sopravvivere
    «Tramite una raccolta fondi siamo riuscite a pagare due stipendi, ma non bastano» spiega Serena, che oltre al suo lavoro fa anche parte del direttivo di Tampep. Lei, in questi mesi, ha dovuto bloccare il mutuo e rinunciare a tutto: sport, vacanze, svaghi. Una vita azzerata. «I miei introiti si sono ridotti – spiega – e per riuscire a sopravvivere sono costretta a svolgere tre lavori: per Tampep, per un'altra associazione non profit e per un catering». Ma questo non le lascia tempo per vivere. «Sono esausta – spiega – Questi ritmi sono insostenibili. Per riuscire a mantenere un equilibrio psico fisico mi sono imposta di lavorare solo un week end su due». Ma questo significa lavorare 7 giorni su 7 il resto del mese. «Lavorare così tanto mi stanca a tal punto che a volte non ho la forza nemmeno per uscire di casa».
    Paradossale per una persona che, come professionista, si occupa di chi è sfruttato sul lavoro. Ottenere un aiuto? «Alla mia età non ho più voglia di chiedere prestiti ai genitori. E non mi sembra nemmeno giusto: sono laureata in antropologia e con un master in studi di genere, una professionista che lavora da anni ed è corretto che venga pagata. La politica si deve muovere per far sì che tutto funzioni».
    Adesso Serena si trova a pensare, inevitabilmente, al suo futuro: «Il lavoro che faccio è importante, ma se non ricevo lo stipendio dovrò cambiare alcune scelte. Mi chiedo se piuttosto non sia meglio impiegarmi nel profit, e fare poi l'attivista o la volontaria nel tempo libero».
    La perdita di professionalità
    Per lei, ormai, lavorare nel terzo settore è diventato un privilegio per pochi. «Devi avere qualcuno che ti sostiene alle spalle, oppure essere impiegato in una cooperativa grande che possa reggere questi ritardi di pagamenti». La cosa peggiore? Non sapere quando finirà. «Se avessimo idea di quando ci pagheranno potremmo organizzarci. Ma così è impossibile ed estenuante».
    In questo momento la rete di associazioni è da oltre un mese in attesa che i fondi arrivati da Roma vengano distribuiti agli enti. Il credito ammonta a 1.755.370 euro. L'ente capofila ha già annunciato la riduzione delle attività e minacciato la chiusura dei progetti.

 

 

23.08.24
  1. SIAMO IGNORANTI :   Nell'estate del 1899, l'emozione dei fratelli Auguste e Louis Lumière davanti alle creste glaciali della Mer de Glace superò quella dei loro spettatori quando sbiancarono di paura il 6 gennaio del 1896 al Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi, guardando la sequenza della locomotiva che pareva uscire dallo schermo. Oggi quell'onda gli inventori del cinema non la vedrebbero più: il secondo ghiacciaio d'Europa, sul versante francese del Monte Bianco, è trecento metri più in basso.
    Chi volesse raggiungerlo a piedi dovrebbe scendere 580 gradini nella roccia, musi arrotondati dall'antico ghiacciaio, come levigati da una mola. Il gigante che i francesi hanno battezzato Mer, cioè mare, ogni anno si ritira di quasi 200 metri. Nel film di 45 secondi i Lumière mostrarono creste alte come palazzi, quasi parallele e mostrarono la «descente», la discesa di quattro alpinisti in cordata, vestiti in festa, cappello compreso. Oggi è documento di quanto quel mare glaciale si sia fuso per il cambiamento climatico, per quel grado virgola sette di più che ha ammalato il clima, una febbre che proprio sulle Alpi è più visibile.
    I Lumière avevano filmato passeggiando a Montenvers (1.913 metri) dove arriva il trenino rosso da Chamonix. Alle spalle i larici e qualche abete, sotto i piedi la roccia del piede del Monte Bianco e davanti il mare di ghiaccio. E a Montenvers in questo capriccioso agosto, è arrivata la Carovana dei ghiacciai, che da anni ormai mostra quello che succede alla montagna, sempre meno fredda, sempre più fragile. La pellicola dei Lumière mostrava una giornata limpida, la Carovana di Legambiente Comitato glaciologico italiano e Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) era sotto la pioggia. E ciò che hanno visto in basso era ghiaccio «sporco», lingua sofferente coperta da detriti. Difficile intravedere una delle caratteristiche di questo ghiacciaio sceso sotto i trenta chilometri quadrati: le ogive, che appaiono come archi d'ombra a segnare il flusso glaciale. Ombra dovuta proprio ai detriti. Un fascino ferito dalla fusione, dai crolli delle sponde ormai alte, scarpate aride. Il fiume di ghiaccio non corre più, si ritira.
    Eppure, proprio pietre e ghiaie moreniche rappresentano una speranza, rallentano l'agonia della Mer. Lo dice il glaciologo francese Philip Deline, professore all'università Savoia-Mont Blanc di Chambéry: «Questo ghiacciaio non sta bene, ma la copertura detritica è una compensazione rispetto all'ablazione, al consumo del ghiaccio». E un suo collega, Marco Giardino, vicepresidente del Comitato glaciologico italiano, offre una visione che coglie anche l'aspetto storico e l'importanza di un ghiacciaio che definisce «libro». Ambientalisti e scienziati sono entrati nelle grotte, scavate nel ghiacciaio per ragioni turistiche, ma che aiutano a comprendere la vita della Mer de Glace «attraverso gli strati glaciali e la migrazione delle ogive», dice Giordano. E ancora: «Il ghiacciaio scandisce così il ritmo della nostra vita».
    Proprio dal cucuzzolo di roccia di Montenvers lo sguardo riesce a percorrere chilometri e a raggiungere la biforcazione dove la Mer si spacca in profondi crepacci che mostrano varie tonalità del blu e di lì sale in due rami, uno verso destra e il confine italiano, l'altro verso il bastione della parete Nord delle Grandes Jorasses. La Carovana non può che indovinarla tra le nubi. È fra le montagne più maestose delle Alpi, una parete che ha rappresentato una delle più grandi sfide alpinistiche. Il cambiamento climatico non le ha rubato fascino, ma solo qualche blocco di granito. Frane che sono invece evidenti nella guglia definita «meravigliosa» dalla guida alpinistica Vallot, il Petit Dru. Una lancia visibile dalla Mer de Glace, così come le sue ferite. All'inizio del terzo millennio alcune frane hanno distrutto il pilastro della parete Ovest, in faccia a Montenvers, su cui Walter Bonatti da solo firmò nell'agosto del 1955 la sua impresa leggendaria. Pilastro che nessuno potrà più affrontare. Secondo il professor Deline i crolli di parete rocciose nel Monte Bianco dal 2000 al 2010 sono stati in media 12 l'anno, mentre tra il 1940 e il 1950 erano cinque.
    Vanda Bonardo, responsabile di Legambiente Alpi e presidente di Cipra Italia: «Questo grande ghiacciaio ci racconta un paesaggio completamente cambiato che in passato ha attirato turisti da tutto il mondo e che ora deve essere ripensato. Ci ricorda la necessità di politiche di mitigazione e di impellenti strategie di adattamento anche in alta quota, di nuove forme di turismo, ma anche di tutela dell'alta montagna. Aspetti che andrebbero affrontanti con un percorso di governance internazionale per le alte quote». —
  2. VOTATI PER INCASSARE TANGENTI E ROVINARE IL PIANETA : Nella insana battaglia, tutta italiana, che si sta combattendo senza esclusione di colpi fra una straminima minoranza di "padroncini delle coste", che dire corporativi è dire poco, e la stragrande maggioranza di fruitori del libero mare, quello che rischia di rimetterci è, come al solito, l'ambiente. Prima di tutto perché non si sta sfruttando l'occasione al fine di recuperare e riqualificare le spiagge, eliminando, distruggendo e abbattendo tutto ciò che è stato illegittimamente costruito dove non si poteva. Strutture ricettive, bar, ristoranti, spogliatoi tutt'altro che rimovibili, attestati sul patrimonio di tutti, senza alcun titolo, accampando come unica, risibile scusa l'inconcepibile tolleranza delle amministrazioni e i condoni dei governi che non avevano e non hanno alcun diritto di essere concessi lungo i litorali (come recita financo il Codice della Navigazione).
    Gli stabilimenti balneari "fissi" e infrastrutturati soffocano e mettono in pericolo gli ecosistemi costieri, distruggono ambienti, portano all'abbattimento delle dune e al prosciugamento delle zone umide. Sono un'aberrazione ecologica che certamente non viene evitata neanche dalle spiagge libere, quando sono fuori controllo, ma che almeno evitano, perfino in quei casi, che si instaurino per sempre strutture e costruzioni.
    Le spiagge libere sono qualche volta ricettacolo di rifiuti, ma questo significa che abbiamo bisogno di educazione e spazzini, non necessariamente di stabilimenti. Per tacere poi del paesaggio cancellato e delle linee di spiaggia artificialmente alterate nell'illusione di contenere l'erosione: moli, pennelli, barriere e scogliere, oltre ad essere brutti, spostano solo il problema erosivo più a monte o più a valle, non lo risolvono, e, alla lunga, lo aggravano.
    Ma aspetto culturale particolarmente negativo è dato dall'idea che il mare possa essere considerato privato, isole comprese, come sta accadendo all'isola di Palmaria nel Golfo di La Spezia, che, insieme a Tino e Tinetto, fa parte del patrimonio Unesco e del Parco Regionale di Porto Venere. Si tratta di un'area marina protetta che ospita ancora una piccola prateria di posidonia, ed è una delle rare isole italiane ancora sostanzialmente intatta.
    Tuttavia, la Regione ha commissionato un Masterplan con l'intenzione di trasformare addirittura Palmaria nella "Capri della Liguria". Peraltro, la "questione Palmaria" è stata da detonatore dell'inchiesta delle procure di Genova e La Spezia che ha portato all'arresto del presidente Giovanni Toti, del suo capo di gabinetto, Matteo Cozzani (già sindaco di Portovenere) e di altri personaggi della scena imprenditoriale e amministrativa ligure. Il protocollo d'intesa (firmato nel 2016) è stato redatto seguendo le leggi del cosiddetto federalismo demaniale, che prevede il trasferimento a titolo non oneroso alle amministrazioni locali di beni immobili appartenenti al Demanio.
    Il Comune si è impegnato, sottoscrivendo il protocollo, a restaurare e mantenere in ottimo stato quei beni che rimangono nella disponibilità della Marina Militare. Si tratta di due stabilimenti balneari, evidentemente strategici per la sicurezza del Paese, riservati ai dipendenti o ex dipendenti del Ministero della Difesa e di alcuni immobili adibiti a residenze estive per gli stessi dipendenti. Ma il rifacimento/restauro dei beni della Marina Militare comporta spese di notevole entità che il comune di Porto Venere non può sostenere, se non vendendo a privati tutti i beni che gli vengono trasferiti, ad eccezione dei beni storico-artistici, principalmente fortificazioni e batterie, che saranno dati in concessione pluriennale sempre a privati e trasformati in parte in strutture ricettive. Così verrà realizzata una trasformazione dell'isola sia nella sua natura, sia nella proprietà, che diventerà in gran parte praticamente privata, con la vendita o la cessione per lungo tempo di numerosi immobili.
    Un altro pezzo di costa infestato da stabilimenti e da "proprietà private". Dei cinque scenari di sostenibilità ambientale, si poteva scegliere il numero 1, "Palmaria Paradiso della Natura", con valore di ecologia + 3 (il massimo). Si è, invece, scelto lo scenario 5 bis, che cambierebbe profondamente l'aspetto dell'isola.
    Dal 1985, quando entra in vigore la legge Galasso che tutela i litorali fino a trecento metri dalla costa, sono stati urbanizzati, nella penisola, ben 302 chilometri di coste con una media di 13 chilometri all'anno "consumati" dal cemento, 48 metri al giorno. In Italia complessivamente sono oltre 3.500 i chilometri di paesaggi costieri trasformati da case, alberghi, palazzi, porti e industrie.
    In alcune Regioni i numeri raggiungono situazioni incredibili, come in Abruzzo e Lazio dove si supera il 63%, in Liguria il 64% e in Calabria il 65%, e dove si sono salvate solo le aree meno appetibili, con rilievi, o più difficili da aggredire, come foci di fiumi e rilievi montuosi. E i dati devono ancora essere aggiornati. La risorsa spiaggia, nel nostro Paese, è scarsa, visto che per spiaggia si deve intendere meno della metà delle coste e visto che non possiamo considerare appetibili quei chilometri vicini alle foci dei fiumi, alle discariche, ai porti commerciali, agli stabilimenti industriali o infestati da divieti di balneazione, servitù militari, aree cittadine o metropolitane.
    Invece il tavolo tecnico del Governo ha recentemente statuito che le coste (si badi bene, non le spiagge) hanno uno sviluppo variabile che dipende dalla scala: l'Italia ha circa ottomila chilometri di coste per tutti, salvo che per i balneari, che ne contano 11 mila, allo scopo di dimostrare che la risorsa non è scarsa e invocare la non applicazione della direttiva europea. Nell'attesa di vedere rifatti i conti con la scala 1:1, applicando astute reminiscenze borgesiane, per arrivare a decine di migliaia di chilometri di coste, suggerisco di riprenderci le nostre spiagge e di difendere le isole da un attacco senza precedenti al bene comune. A partire dalle piccole isole ancora intatte.
  3. METODO AVV.COPPI : SIMULARE I RAGIONAMENTI DELLA CONTROPARTE PER INFLUNZARLI A PROPRIO VANTAGGIO:

   Nessuno ha ancora capito davvero come sia affondato a Porticello il Bayesian, il mega yacht di Mike Lynch, in quella notte di tempesta e di tragedia. L'albero maestro non è rotto e non hanno trovato nemmeno una falla nello scafo. «Un evento anomalo, senza precedenti, per una imbarcazione di quelle dimensioni», ha detto Matthew Schank, presidente del Maritime Search and Rescue Concil. Il fatto è che quando non si capisce qualcosa fanno in fretta a fiorire sospetti e misteri. Uno dei primi a scoperchiare questo vaso di Pandora è stato Mike East, giornalista inglese con solidi trascorsi da "dietrologo". Ma questa volta non è rimasto solo a spargere i suoi dubbi, e nel gran calderone delle notizie persino la paludata e prudente Bbc ha finito per porsi le stesse domande.
È una storia che parte da Mike Lynch e dalla sua creatura, la Darktrace, un'azienda di cyber technology ben nota ai servizi segreti di tutto il mondo e che ha intrattenuto sempre rapporti molto stretti con il Mossad. Attorno alla figura di questo Bill Gates britannico aleggiano con qualche acquiescente forzatura strane vicende di spionaggio internazionale, 007 in missione nel cuore dei conflitti, miliardi a gogò, processi e sentenze varie, più macabre coincidenze, un naufragio identico a quello di Palermo e altre morti misteriose. Materiale ce n'è in abbondanza. Pure, segugi complottisti. Basta non affogarci dentro.
Tutto comincia però con l'affondamento a Porticello del Bayesian, un Perini di 56 metri e 473 tonnellate, a causa di una tromba d'aria alle 4 del mattino di lunedì 19 agosto. Lo yacht sarebbe finito sott'acqua in un tempo infinitesimale di circa 10 secondi, trascinando con sé i 12 passeggeri e i 10 membri d'equipaggio. Di loro, 15 sono stati salvati. Fra i dispersi Mike Lynch, sua figlia Hannah di 18 anni e Jonathan Bloomer, presidente della Morgan Stanley International e fondamentale testimone della difesa nella lunga causa per frode intestata negli Stati Uniti a carico di Lynch, conclusa due mesi fa con l'assoluzione del tycoon. Karsten Borner, capitano di uno yacht ancorato lì vicino, dice di aver visto l'albero maestro «piegarsi e spezzarsi». Ma la Bbc riporta la testimonianza di Marco Tilotto, sub dei vigili del fuoco, secondo il quale la nave era tutta intera e adagiata su un fianco. Anche Matthew Schank ha spiegato come sia difficile che l'albero maestro possa essersi rotto. In ogni caso, ha aggiunto, questo evento è senza precedenti.
In effetti sembra strano che uno yacht super tecnologico affondi in un amen, mentre lì accanto barche più leggere non riportano nessun danno. Che ci sia qualcosa di poco chiaro non lo si può negare. Ma è soprattutto sulle figure delle persone scomparse (fra le quali anche l'avvocato del tycoon) e sui loro trascorsi che si affollano i dubbi. La compagnia di Mike Lynch, la Darktrace, ha come detto rapporti molto stretti con il Mossad. Secondo quanto riportato da Agenzia Nova, i sistemi dell'azienda di Lynch sarebbero stati utilizzati per individuare alcuni dei comandanti di Hamas. Mike East scrive che avrebbe avuto in organico e nel Cda diversi ex membri dei servizi segreti inglesi e americani. Nel comitato consultivo di Darktrace è entrato anche Jonathan Evans, ex direttore generale dell'MI5, dopo 33 anni - come si legge sul sito dell'azienda - vissuti a concentrarsi sulla lotta al terrorismo e le minacce informatiche.
La rivista specializzata This is Money scrive che ad aprile Lynch ha ceduto silenziosamente molte delle sue quote e Darktrace è stata acquistata da Thoma Bravo, una società di private equity che possiede le quote di diversi gruppi di sicurezza informatica tra cui McAfee, il cui fondatore fu trovato morto in carcere in circostanze mai del tutto chiarite. Fra un complotto e l'altro, con qualche decesso misterioso, l'unica cosa certa è che Lynch è sempre riuscito a riempire per bene i suoi salvadanai. A giugno poi si è chiuso il processo negli Stati Uniti per truffa e cospirazione, dove rischiava 20 anni di carcere, e lui e il suo socio Stephen Chamberlain sono stati assolti. Periodo fortunato? Macché. Nemici e destino sono sempre in agguato. Lo yacht affonda a Palermo portandosi via Mike e nelle stesse ore Stephen stava facendo jogging vicino a casa, nel villaggio di Stretham, quando una Opel Corsa guidata da una signora di 49 anni l'ha travolto e ucciso. Negli stessi giorni via tutt'e due. Come coincidenze non c'è male.
Nel caravanserraglio dei sospetti qualcuno ha ipotizzato che durante il processo avessero sfruttato le loro informazioni per condizionare dei testimoni molto potenti. Qualche volta la fantasia non ha limite. Una vendetta senza prove. A inseguire le somiglianze ce n'è un'altra che salta agli occhi. Il 28 maggio del 2023, sul Lago Maggiore, la Gooduria, una imbarcazione che ospitava a bordo ventun membri dell'intelligence, 8 italiani e 13 israeliani, è colata a picco per una tromba d'aria. Muoiono due agenti dei nostri servizi e uno di Tel Aviv, oltre alla compagna dello skipper. Non hanno avuto scampo perché sono rimasti imprigionati nello scafo. Gli altri si salvano a nuoto. Anche se quella volta era sembrato evidente che si fosse trattato di un incidente, sono le coincidenze a destar l'attenzione dei più sospettosi. La barca, il Mossad, la tromba d'aria, il mare magnum dei James Bond e dei loro misteri. E poi si sa com'è. La verità qualche volta è solo un segreto che non si può dire.

 

 

 

22.08.24
  1. Brics contro G7 di cui presidenza italiana che non ha garantito la sicurezza sul suo Territorio:la Meloni cosa fara' ?  Come è possibile che uno yacht lussuoso e all’avanguardia, di 473 tonnellate di stazza lorda, sia affondato in sessanta secondi a un chilometro dalla costa siciliana all’alba di lunedì? La procura di Termini Imerese ha già acquisito alcuni video registrati dalle telecamere di sorveglianza di una villa vicina al litorale.
    In una ricostruzione del Financial Times viene introdotto un tema importante: si cita il lifting keel, vale a dire quello che in italiano chiamiamo chiglia mobile o retrattile, un sistema che se abbassato porta, secondo i dati del costruttore (Perini Navi), la chiglia a una profondità totale di 10 metri.



    Più nel dettaglio: il documento di Perini Navi fornisce le dimensioni della chiglia in posizione "su" - 4,05 metri - e in posizione "giù" - 9,83 metri. Se la deriva fosse stata abbassata completamente l’imbarcazione avrebbe avuto maggiore stabilità nonostante la tromba d’aria. Scrive il Financial Times: «Se la chiglia fosse stata per qualche motivo in posizione sollevata anziché completamente estesa, ciò avrebbe compromesso la stabilità della barca in caso di vento forte. […]».
    C’è stato un errore del comandante? Si affaccia dunque l’ipotesi dell’errore umano. Secondo alcuni esperti sarebbe affrettato arrivare a questa conclusione: il veliero si trovava in rada in una situazione tranquilla, solitamente si abbassa la deriva quando il mare è grosso. «E quando è arrivata la tromba d’aria - commenta un esperto - non c’è stato il tempo per abbassarla, perché non è una operazione che compi spingendo un bottone. Serve almeno mezz’ora».



    Il comandante dello yacht nelle prime dichiarazioni ha spiegato: «È stato tutto improvviso, non abbiamo visto arrivare la tromba d’aria». Osserva l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ex capo di Stato maggiore della Marina militare: «Lascia perplessi che una nave così attrezzata e così moderna sia affondata così rapidamente. E se effettivamente non ci sono lesioni sullo scafo l'acqua deve essere entrata attraverso dei portelli aperti. La nave a quel punto è andata rapidamente a fondo perché tonnellate di acqua sono entrate all'interno».

    […] «Provi a tracciare sulla mappa una linea con un pennarello. Trovarsi proprio nel punto in cui passa quel segno sottile non è così probabile. Ecco, immagini che quella linea indichi il tracciato della tromba d’aria che è stata molto intensa e localizzata. Detta in altri termini: se il veliero Bayesian si fosse trovato anche a solo 100 metri più in là rispetto a dove è affondato, l’esito sarebbe stato differente». A parlare è il professor Antonio Carcaterra è direttore del Dipartimento Ingegneria Meccanica e Aerospaziale dell’Università La Sapienza di Roma. […]

    Carcaterra: «Non è sorprendente che in presenza di eventi estremi possano esserci conseguenze anche nefaste, negative. Parliamo di una tromba d’aria in cui si realizzano delle condizioni di velocità del vento e del mare particolarmente gravi. Temo che non ci sia stato proprio il tempo per manovrare l’imbarcazione. Pensi: arriva un evento meteo di intensità così importante, arriva in un momento in cui l’allerta dell’equipaggio era bassa perché stava dormendo. E non hanno avuto neppure la possibilità di vedere avvicinarsi la tromba d’aria, anche se va detto che probabilmente ci sarebbe stato poco da fare comunque».
    Perché tra le imbarcazioni che si trovavano in quell’area solo il Bayesian è affondato? Carcaterra: «Perché è stata quella colpita in maggior misura. Sono fenomeni localizzati. A 150 metri di distanza l’effetto magari è importante, ma non dirompente. È una barca di dimensioni ragguardevoli, le forze in gioco devono essere state importanti. […]». L’albero (72,3 metri in alluminio) è molto alto, ma dalle prime risultanze non si è spezzato.



    2. IL SUPER YACHT A PICCO IN 60 SECONDI L’ALBERO INTATTO, GIALLO SULLE CAUSE

    Estratto dell’articolo di Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”

    È un rompicapo, questo veliero affondato. Più passano le ore e più diventa lunga la lista delle domande che non trovano risposte, né davanti alla logica, né mettendo assieme le poche certezze raccolte fin qui. E come se questo non bastasse, anche dal Regno Unito arrivano notizie che aggiungono ombre — o forse è meglio chiamarle suggestioni — su una singolare coincidenza di cui diremo in seguito.



    Cominciamo da lui, Mike Lynch, il magnate inglese al momento disperso nel naufragio del Bayesian, il megayacht di famiglia (è proprietaria sua moglie) affondato da un tornado nella notte fra domenica e lunedì davanti a Porticello. O meglio: il tornado è stato il punto di partenza di quel che è successo ma quel gioiello a vela — ripetono ingegneri navali ed esperti vari — aveva tutte le chance per resistere a venti fortissimi, fulmini e muri d’acqua. Eppure, niente: è colato a picco in un lasso di tempo brevissimo, fino ai 50 metri di profondità in cui si trova ora, adagiato sul fianco destro. […]
    L’albero non si è spezzato e lo scafo non ha falle, almeno non nella parte che si vede, i boccaporti sono chiusi, le vetrate intere. Quindi «la barca ha retto», rivendica la «The Italian Sea Group», proprietaria della Perini Group di Viareggio che costruì il veliero nel 2008. Sì, ma allora che cosa l’ha fatta inabissare?



    Una delle ipotesi allo studio della Procura di Termini Imerese — che indaga per naufragio colposo — è che la velocità e l’imponenza dell’acqua sia stata così forte da non dare il tempo al sistema di emergenza di bordo di «sigillare» l’imbarcazione quando l’acqua ha iniziato a entrare.



    Altra ipotesi: il veliero sollevato da poppa da un gigantesco muro d’acqua e inabissato velocemente con la prua puntata verso il fondale. Possibilità. Com’è possibile che l’ancoraggio abbia avuto un ruolo nella tragedia. Altro punto da chiarire: è stato prudente ancorarsi in rada con l’allarme meteo? Era abbastanza sicuro? […]


    C’è un video (un minuto e venti secondi, pubblicato da Rai News 24) girato dalla telecamera di una villa che inquadra la rada proprio nel punto in cui era ormeggiato il Bayesian. Mostra la rapidità della tromba marina. Cresce in intensità un secondo dopo l’altro e mostra le luci del veliero scomparire nel buio «in un minuto» come dice il proprietario della casa. Sono i momenti più tragici. Ci sono persone che annaspano nell’acqua e altre intrappolate nelle loro cabine. Fra i sei passeggeri in trappola c’è Lynch con sua figlia Hannah, 18 anni. E poi Jonathan Bloomer, il presidente della banca d’affari Morgan Stanley International, sede londinese (ma con operatività internazionale) del colosso americano.
    Non hanno fatto in tempo a uscire dalle loro cabine ed è lì che i sommozzatori stanno provando ad arrivare: un’impresa difficilissima per la difficoltà di muoversi in quegli spazi, una specie di piccola Concordia. Ciascun sommozzatore può passare laggiù non più di 10-12 minuti; entra nello scafo dall’ingresso principale, chiamiamolo così: quello di poppa. […]


    Dal Regno Unito arrivano due notizie: una sui legami fra Lynch e i servizi segreti di mezzo mondo, in particolare quelli israeliani, attraverso le sue società di sicurezza informatica. E l’altra sul suo amico e uomo di fiducia Stephen Chamberlain: è morto 48 ore prima di lui in un incidente stradale. Era finito alla sbarra per frode assieme a Lynch, negli Usa, e come lui era stato assolto, due mesi fa. […]
  2. Servillo: "Il film su Berlusconi non ha spazio sulle tv italiane"
    Fulvia Caprara
    Roma
    I film hanno strane vite, eterne, fugaci, inspiegabili. Ora anche social, nel senso che tornano a interessare il pubblico proprio grazie alla riproposizione in pillole che spesso crea nuovi fan. Per "Loro", il film in due capitoli che Paolo Sorrentino aveva dedicato all'epopea berlusconiana nel 2018, la riesumazione in forma di Tik Tok è un bene. Soprattutto, come ha raccontato Toni Servillo nel podcast di Dario Moccia (feat. Victor), quando accade che il film originale sia praticamente scomparso dai radar, come se qualcuno avesse deciso di metterci una pietra tombale: «Sul mercato tedesco, francese, inglese "Loro" è disponibile – nota l'attore -. Evidentemente, il film è stato acquistato da chi non ha interesse a distribuirlo in Italia». Per ragioni produttive la pellicola non è mai passata in tv, cosa che ne ha accelerato l'oblio: «Non l'ha trasmesso la Rai, ovviamente non lo ha fatto Mediaset e non è andato su La7 che fu, invece, l'unica, a suo tempo, a mandare in onda "Il Divo"». Questioni legate al diritto d'antenna, ossia ai capitali investiti nelle produzioni cinematografiche. Non avendo avuto contributi finanziari né da Rai né da Mediaset "Il Divo", dedicato a Giulio Andreotti, «non andò mai sulle tv generaliste, ma fu trasmesso da La7».
    Il passaggio di spezzoni di "Loro" sul palcoscenico dei social potrebbe, continua Servillo, stimolare la riproposizione del film, diventando anche occasione per rivedere critiche e giudizi: «Quando, tra un bel po' di anni, "Loro" avrà finalmente l'opportunità di tornare a essere visto, avrà una valutazione superiore rispetto a quella avuta in precedenza». Nel film, una co-produzione italo-francese, distribuita, nel nostro Paese, da Universal, Servillo interpretava una scena madre, centrata su una vendita telefonica. Performance straordinaria, utile a descrivere i cardini dell'ideologia berlusconiana: «E' una scena scritta e diretta, non dico interpretata, perchè non sto qui a incensarmi, che coglie molto nel segno». Il protagonista è «un uomo che, a un certo punto, deve verificare se è ancora capace di vendere. Il film, secondo me, racconta il modo con cui, a un tratto, nella politica, sia entrato prepotentemente il mercato e, di conseguenza, saper vendere e comprare siano diventate cose molto importanti». I conduttori del podcast ricordano che alcuni commentatori avevano avuto da ridire sul fatto che il Cavaliere, in quella sequenza, si esprimesse in lingua napoletana: «Si voleva dare la dimensione istrionica del personaggio – ribatte Servillo -, comunque Berlusconi, per vari motivi, era molto legato a Napoli e, probabilmente, vendere da napoletano gli sembrava più efficace».
    In "Loro" e nel "Divo" Servillo ha lavorato «su due maschere, perché dovevo allontanarmi completamente da me stesso, anche sul piano fisico». Due maschere che, anche oggi, sui social, funzionano benissimo. —
  3. Il socio in affari del magnate britannico investito e ucciso nel Cambridgeshire
    L'hanno già ribattezzata la «maledizione di Autonomy». Stephen Chamberlain, ex top manager della multinazionale dell'informatica assolto negli Usa in un processo per frode lo scorso giugno come il fondatore della società Mike Lynch, è morto dopo essere stato investito da un'auto sabato scorso mentre correva nella contea inglese del Cambridgeshire. Lo ha comunicato il legale dell'ex vicepresidente finanziario all'interno dell'azienda, il quale era stato accusato di aver gonfiato artificialmente i conti di Autonomy al fine di spingere il colosso americano Hewlett-Packard (Hp) ad acquisirla nel 2011 per 11,1 miliardi di dollari. La notizia viene data con grande risalto sui media del Regno Unito che già parlano di «maledizione» attorno ai vertici societari.
  4. Estratto dell’articolo di Carmine Fotina per “il Sole 24 Ore”


    Riformare per accorciare i tempi, evitare una lunga e spesso inutile agonia ad aziende sull’orlo del fallimento e, perché no, risparmiare risorse pubbliche. Sono anni che i governi, di qualsiasi estrazione politica, professano l’intenzione di riordinare le procedure di amministrazione straordinaria che tengono in vita decine e decine di imprese decotte e garantiscono lauti compensi a decine e decine di professionisti nella veste di commissari.



    Il quadro però – a leggere l’ultimo aggiornamento del ministero delle Imprese e del made in Italy, al 31 maggio 2024 - è ancora ipertrofico, con molti casi di procedure che appaiono infinite, iniziate quando le rispettive leggi di riferimento entrarono in vigore - la legge Prodi bis nel 1999 (Dlgs 270) e il decreto Marzano a fine 2023 (Dl 347) - e oggi ancora, di fatto, aperte.



    IMPRESE ITALIANE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA - IL SOLE 24 ORE
    IMPRESE ITALIANE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA - IL SOLE 24 ORE

    […] Le singole società ammesse sono state finora 635 (rispettivamente 365 e 270). Ma ciò che colpisce è soprattutto il numero delle società che risultano ancora in fase di liquidazione, 385 di cui 234 in virtù della Prodi bis e 151 sulla base del decreto Marzano. In pratica, oltre il 60% del totale. La procedura si è chiusa invece per 71 società nel primo caso e 87 nel secondo. I fallimenti sono, rispettivamente, 55 e 1.



    Di contro, le società che risultano in esercizio di impresa sono solo cinque con la Prodi bis e 31 con la Marzano. Si tratta di imprese riconducibili a dieci gruppi. I più noti sono Ilva e Acciaierie d’Italia (nota a sua volta come ex Ilva), commissariate con la Marzano così come Piaggio Aero Industries, Blutec, Condotte d’Acqua. E poi, in base alla Prodi bis, anche Abramo, Istituto di vigilanza Ancr, Fimer e Work Service, La Perla.
    Le tabelle del ministero consentono di ricostruire anche una statistica delle amministrazioni più lunghe, quelle che sembrano non vedere mai il traguardo. Su 137 procedure di gruppi aziendali della Prodi bis, 36 sono in corso da almeno 20 anni, 87 da almeno 15 anni e 115 da almeno 10 anni.

    La velocità di esecuzione non sembra molto diversa nel caso del decreto Marzano, pur con la dovuta proporzione dei numeri. Qui, su 31 procedure di gruppi di impresa, 12 si trascinano da almeno 15 anni e 21 da almeno dieci anni. Un posto nella storia se lo sono guadagnate la vicenda Parmalat, con quattro società su 70 che risultano in amministrazione straordinaria dopo 21 anni, e Bongioanni con 14 su 21 dopo 24 anni. […]
    […] il caso dell’azienda di lingerie La Perla, tra i più recenti esempi di un marchio made in Italy che scivola inesorabilmente verso l’amministrazione straordinaria, ha riaperto il dibattito su possibili modifiche legislative. Già in diverse occasioni precedenti, ne aveva parlato il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, facendo riferimento a un riassetto da mettere a punto in tandem con il ministero della Giustizia.
    Alcuni parziali interventi, in verità, sono stati introdotti nel Dl sulle procedure di amministrazione straordinaria per le imprese a carattere strategico - quello varato d’urgenza per salvare l’ex Ilva nel pieno dello scontro con ArcelorMittal - ma appaiono per ora ritocchi non risolutivi. Il decreto legge ha stabilito tra l’altro che, nei casi di programma di cessione dei complessi aziendali interamente portato a termine nei tempi, il commissario straordinario possa chiedere al tribunale la conversione dell’amministrazione straordinaria in liquidazione giudiziale o, per le start-up innovative, in liquidazione controllata.

    Sul tourbillon degli incarichi, invece, al momento fa fede una direttiva ministeriale replicata quasi integralmente nel 2023 da Urso dopo quella pubblicata nel 2021 dal suo predecessore Giancarlo Giorgetti. Ogni anno si apre una procedura di candidatura online per ricoprire gli incarichi di commissario giudiziale, commissario straordinario, presidente e membro dei comitati di sorveglianza delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.



    E i professionisti precedentemente iscritti sono tenuti a presentare una nuova domanda per restare negli elenchi. Il tentativo è stato anche quello di arginare le prestazioni lunghe quasi una carriera. [...]

    protesta dei dipendenti di la perla
     

 

 

21.08.24
  1. XI E PUTIN, CHIP E CIOP – PECHINO STA AIUTANDO MOSCA AD AGGIRARE LE SANZIONI AMERICANE E EUROPEE, SPEDENDO PRODOTTI TECNOLOGICI OCCIDENTALI IN RUSSIA ATTRAVERSO HONG KONG – UN REPORT SVELA CHE UNA DOZZINA DI AZIENDE, TRA AGOSTO E DICEMBRE 2023, HANNO ESPORTATO CHIP E SEMICONDUTTORI VERSO LA RUSSIA PER UN VALORE DI 2 MILIARDI DI DOLLARI – QUESTA SETTIMANA IL PREMIER CINESE, LI QIANG, VISITERÀ “SU INVITO” LA RUSSIA E LA BIELORUSSIA

    1. CINA, IL PREMIER LI QIANG ANDRÀ IN RUSSIA E BIELORUSSIA
    (ANSA) - Il premier cinese Li Qiang visiterà "su invito" questa settimana, dal 20 al 23 agosto, la Russia e la Bielorussia. Lo riferisce il ministero degli Esteri di Pechino. "Dal 20 al 23 agosto, il premier Li Qiang si recherà in Russia per presiedere il 29/esimo incontro regolare tra i capi di governo cinesi e russi e visiterà Russia e Bielorussia", ha riferito il ministero degli Esteri di Pechino in una breve nota.



    La visita di Li è maturata in un momento in cui Cina e Russia stanno intensificando i rapporti di cooperazione economica e diplomatica, mentre Mosca è alle prese con le difficoltà di fronte all'avanzata di Kiev nell'oblast russo di Kursk. La partnership strategica sino-russa si è rafforzata dall'invasione dell'Ucraina voluta dal Cremlino a febbraio 2022, che la Cina non ha mai condannato.

    La Nato ha definito di recente Pechino un "facilitatore decisivo" della guerra, mentre il leader bielorusso Alexander Lukashenko ha visitato la Cina due volte nel 2023, promettendo a dicembre di essere un "partner affidabile" per il Dragone. Minsk, tra l'altro, è uno stretto alleato di Mosca e a luglio è entrata ufficialmente a far parte della Organizzazione della cooperazione di Shanghai (Sco), diventando il decimo Paese del blocco che Pechino vede adesso come un potenziale contrappeso all'ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti.



    2. PER NEUTRALIZZARE LE SANZIONI USA XI OFFRE A PUTIN LO SCUDO DI HONG KONG

    Estratto dell’articolo di Stefano Piazza per “La Verità”
    Il flusso di spedizioni da Hong Kong verso la Russia - successivo all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca nel 2022 - mette in evidenza il ruolo cruciale della città nel sostenere i nemici degli Stati Uniti nell’eludere le sanzioni internazionali. Questo è quanto emerge da una recente analisi pubblicata negli ultimi giorni dalla Committee for Freedom in Hong Kong Foundation, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede a Washington […]



    Il rapporto di 62 pagine intitolato «Sotto il porto: il ruolo guida di Hong Kong nell’elusione delle sanzioni» illustra come le imprese di Hong Kong abbiano facilitato l’esportazione di prodotti inclusi nelle liste degli articoli prioritari di Stati Uniti e Unione europea, conosciuti come «Common High Priority Items», evidenziando l’uso di queste tecnologie chiave da parte dell’apparato bellico russo.
    L’indagine si è focalizzata su una dozzina di aziende precedentemente non identificate, che secondo l’agenzia avrebbero contribuito a esportare milioni di dollari in chip ad alta tecnologia verso la Russia - oltre a componenti per droni destinati all’Iran - e avrebbero facilitato trasferimenti illeciti di petrolio da nave a nave per la Corea del Nord.



    Il report ha esaminato i dati raccolti dall’organizzazione non profit per la sicurezza globale C4ADS, rivelando che i mittenti di Hong Kong hanno spedito beni per un valore di 1,97 miliardi di dollari a compratori russi tra agosto e dicembre 2023. Di questi beni, il 40% del valore era rappresentato da 11 articoli classificati come ad alta priorità, tra cui semiconduttori utilizzati come ricevitori di dati, unità di archiviazione digitale, processori e controller per computer.

    L’analisi ha inoltre evidenziato che 206 aziende di Hong Kong hanno partecipato alla spedizione di articoli di alta priorità, prodotti da aziende negli Stati Uniti, nell’Unione europea o da alleati democratici asiatici, che sono arrivati in Russia a dicembre.



    […] Al quotidiano giapponese Nikkei Asia il colosso tecnologico Dell ha respinto le accuse: «Dell rispetta le normative globali, compresi tutti i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti. I nostri distributori e rivenditori sono tenuti a rispettare tutte le normative globali e i controlli sulle esportazioni applicabili. Se veniamo a conoscenza di un distributore o rivenditore che non rispetta questi obblighi, adottiamo misure appropriate, inclusa la risoluzione del nostro rapporto».
    Il quadro normativo di Hong Kong facilita la creazione di società fittizie, sia da parte di residenti locali che di cittadini stranieri. Hong Kong ha mantenuto il suo status di hub di libero scambio anche dopo essere tornata sotto il controllo cinese nel 1997 e continua a posizionarsi in alto negli indici aziendali grazie alle basse imposte, alla totale mancanza di controlli sui capitali e a una valuta locale ancorata al dollaro statunitense.



    Il rapporto sottolinea anche che le sanzioni si sono concentrate principalmente sulle aziende coinvolte nelle spedizioni illecite di merci, piuttosto che sui singoli individui. Nell’aprile 2023, l’Office of Foreign Assets Control degli Stati Uniti ha sanzionato tre società di Hong Kong per i loro legami con la fornitura di beni elettronici all’Iran per programmi sui veicoli aerei senza pilota.

    A questo proposito, Samuel Bickett, autore del report intervistato da Nikkei Asia, afferma: «Gli attuali schemi di applicazione hanno dei limiti e, nonostante l’uso di nuove sanzioni secondarie, le spedizioni di tecnologia occidentale in Russia continuano. Le banche non sono state soggette a sanzioni secondarie, nonostante tali politiche per colpire le istituzioni finanziarie siano state introdotte a dicembre».



    Infine, lo scorso 11 luglio è emerso il caso di Agu Information Technology, un distributore basato a Hong Kong, che sul proprio sito dichiara di fornire «hardware per server, apparecchiature di rete e componenti direttamente dal produttore (Intel e Samsung, nda)». Tra settembre e dicembre 2022, Agu (fondata solo nell’aprile 2022) ha effettuato sei transazioni di valore pari o superiore a 100.000 dollari con la società russa di vendita all’ingrosso di macchinari Mistral, come riportato dai dati doganali russi ottenuti da Cybex Exim, un’azienda di ricerca indiana. [..
  2. 2^ TEMPESTA MAGNETICA PROVOCATA  IN ITALIA dopo il test sul LAGO SI E' PASSATI AL MARE : ARRIVA MI6 ?    La strage
    veliero
    La barca a vela per le crociere vip restaurata nel 2020
    flavia amabile
    inviata a Palermo
    «Che disse u comandante? Che non ha visto arrivare la tromba d'aria. E così è. Non l'ha vista nessuno». Salvatore Izzillo, sta aggiustando una rete sul molo di Porticello, il borgo marinaro nel comune di Santa Flavia alle porte di Palermo, dove è affondato il Bayesian, un veliero di 56 metri di lunghezza e un albero in alluminio di 75 metri, il più alto al mondo che nei suoi sedici anni di navigazione ha collezionato record e suscitato ammirazione nei mari di mezzo mondo fino all'ultima crociera tra le Eolie, Milazzo e Cefalù, un premio che il magnate delle telecomunicazioni Mike Lynch ha voluto regalare ai suoi collaboratori che si è trasformata in una tragedia in cui sette persone hanno perso la vita.
    «Non era una tempesta normale», continua Salvatore senza smettere di cucire. Come non era una notte normale quella tra domenica e lunedì. I pescatori di Porticello sono rimasti tutti a casa. «Dava brutto tempo, non era cosa di uscire», racconta Tonino Sannazzaro, pure lui pescatore. «Visto che al mattino non dovevo alzarmi presto a mezzanotte ero sul molo, ho visto le luci del veliero, c'era una festa a bordo, si sentiva la musica. E poi ho visto le nuvole ma nessuno di noi avrebbe immaginato che cosa si stava per scatenare». Tonino resta in giro fino alle due, piano piano sul veliero e sul borgo marinaro cala il silenzio. Due ore dopo, alle 4,05 quando ormai tutti stanno dormendo, si scatena la tempesta. Le telecamere del locale Baia Santa Nicolicchia mostrano la furia del vento che fa volare tavoli, sedie e ombrelloni. Pochi metri più in là, volano i massi di cemento del porto e persino un container che pesa migliaia di chili utilizzato come magazzino della frutta.
    «Ero a casa quando c'è stata la tromba d'aria. – racconta il pescatore Pietro Asciutto – Ho chiuso subito tutte le finestre. Poi ho visto l'imbarcazione, aveva un solo albero, era molto grande. L'ho vista affondare all'improvviso». Il veliero è ancorato poco oltre il molo. Vicino c'è un'altra imbarcazione, il Sir Robert Baden Powell che batte bandiera olandese. «Il vento era forte, fortissimo. All'improvviso ho visto l'albero maestro del veliero, alto 72 metri, piegarsi e poi spezzarsi e cadere in acqua. È successo tutto in pochissimi istanti», ricorda Karsten Börner, il comandante. «Quando abbiamo capito che era in corso la tempesta avremmo voluto spostarci da lì ma non abbiamo avuto il tempo. Abbiamo notato che la barca accanto alla nostra ha lanciato il razzo rosso di segnalazione, così io con il primo ufficiale siamo subito saliti sul tender per aiutare i passeggeri. Abbiamo sentito delle urla e abbiamo perlustrato la zona per diverso tempo». Sono stati loro a mettere in salvo i 15 superstiti, compresa una bambina di un anno, mentre per gli altri sette a bordo non c'è stato nulla da fare. «Quando siamo tornati non c'era più nessuno in acqua», ricorda il comandante.
    Poco dopo sono arrivati anche i pescatori. «Al nostro arrivo abbiamo trovato in acqua soltanto cuscini dell'imbarcazione, ma anche pezzi di legno e altro materiale. Null'altro. C'era il buio assoluto attorno», racconta Fabio Cefalù. «Verso le 4 e 20 di questa mattina abbiamo visto un razzo partito da una barca al largo di Porticello, abbiamo aspettato che passasse la tromba di mare e ci siamo subito recati sul posto ma non abbiamo trovato nulla. Poco dopo – aggiunge il pescatore – abbiamo trovato il segnale gps dell'affondamento della barca a vela. E basta».
    Dopo avere lanciato l'allarme sono arrivate anche le unità della Guardia costiera. La capitaneria di porto conferma che «i primi naufraghi, recuperati dapprima da un'imbarcazione presente nelle immediate vicinanze, sono poi stati portati a terra da 4 mezzi navali della Guardia Costiera, intervenuti sul luogo del naufragio da Porticello, Termini Imerese e Palermo.
    I sopravvissuti sono stati portati in ospedale per verificare le loro condizioni mentre sono proseguite le ricerche dei dispersi per tutto il giorno da parte dei sommozzatori dei vigili del fuoco provenienti dalla Sardegna. Sono loro a vedere dei corpi intrappolati all'interno del veliero, purtroppo senza vita. Intorno alle 18 sono giunti anche i sommozzatori speleosub dei vigili del fuoco da Roma. L'obiettivo è di andare avanti nelle ricerche per recuperare i corpi nella notte o al massimo stamattina.
    Da lontano i pescatori di Porticello seguono il soccorso e non nascondono la loro paura. Mostrano una montagna che chiude la baia: «Quello è capo Zafferano, ci ha sempre protetto creando qui una zona riparata. Anche quando ci sono state tempeste e trombe d'aria non si è mai verificata una cosa come quella di domenica notte», spiega Salvatore Izzillo. «Purtroppo qualcosa sta cambiando – aggiunge Tonino – la temperatura dell'acqua è sempre più calda e, se arriva una perturbazione più fredda, non c'è bisogno di essere scienziati per capire che si creano eventi finora mai visti».

 

 

 

 

20.08.24
  1. IMMOBILI VATICANI NON PER IMMIGRATI:   Estratto dell’articolo di Filippo Di Giacomo per il “Venerdì di Repubblica”
    La busta paga di luglio di tutti i chierici in servizio presso la Santa Sede e gli enti collegati, ha subito un prelievo di 50 euro.



    Perché e in favore di chi non è dato sapere. Nella disinteressata acquiescenza papale, l'elevazione dello Stato della Città del Vaticano a tritacarne della Santa Sede continua senza tentennamenti.



    Sempre a luglio l'Apsa, in teoria banca centrale dello Stato, ha pubblicato il bilancio del 2023.
    Chi sa leggere e sa far di conto […] ha motivi per sorridere. Si apprende che il Vaticano […] ha nel suo portfolio anche1.200 immobili di pregio all'estero: a Londra, Parigi, Ginevra e Losanna.



    E che questi immobili sono gestiti dalle seguenti società vaticane: in Inghilterra, la British Grolux Investement, fondata nel 1932; in Francia la Sopridex fondata nel 1932; in Svizzera la Profima, fondata nel 1933. E si apprende che a Parigi si tratta di 752 unità immobiliari, a Ginevra e Losanna 344, a Londra 27.

    A parte la […] mancanza di prudenza che uno Stato degno di questo nome dovrebbe avere per non mettere il proprio patrimonio in mano alla speculazione, la domanda che sorge è: perché abbandonare al pubblico ludibrio il palazzo ex Harrods di Londra, visto che era un ottimo investimento, comprato prima della Brexit e perciò beneficiando delle immunità fiscali degli enti sovrani, avendo ottenuto la licenza di ampliamento e il cambio d'uso a fini residenziali con utilità consolidate, e risparmi certi, se il mutuo negato dallo Ior fosse stato concesso? Non è che scannando pubblicamente un agnello scelto tra i più miti ed obbedienti si è cercato di nascondere altro, magari a Malta, a Budapest? Ah, saperlo...
  2. CAPOLAVORO SALVINIANO: Ecco il "piano del generale" Opa sovranista e addio vecchia Lega
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    Sembra tutto così scritto. Un generale, un libro fondativo di un movimento, tesi forti, scandalose, il salto in politica, un partito preso a prestito e infine l'approdo al culto personale. Sembra tutto così già visto. Un gruppo di reduci, veterani, che neanche troppo velatamente evocano il modello di piazza San Sepolcro dove nacquero i Fasci di combattimento, sulle parole d'ordine dell'uomo forte Benito Mussolini. Lì, ieri, erano soldati scampati alla Prima guerra mondiale, spezzati dalle trincee, rabbiosi per le mutilazioni e il senso di abbandono. Qui, oggi, sono di nuovo soldati, incursori, paracadutisti a riposo, che cercano rivalsa e accusano il proprio esercito e il proprio Stato di averli lasciati esposti agli effetti dell'uranio impoverito, la battaglia su cui ha lentamente costruito il proprio mito Roberto Vannacci.
    La nascita del partito del generale segue un disegno preciso, che La Stampa è in grado di ricostruire con fonti dirette e dichiarazioni ufficiali. C'è un piano, un percorso, un obiettivo, protagonisti, punti fermi, e diverse variabili che i collaboratori di Vannaci non vogliono sottovalutare. Il movimento prende forma e coraggio, guardando già alla prossima tappa che sono i congressi regionali e poi il congresso federale della Lega, il partito guidato e dominato da Matteo Salvini nelle cui fila Vannacci è stato eletto eurodeputato da indipendente, ma dentro il quale in pochi scommettono resterà a lungo.
    Ieri, su questo giornale, annunciando la nascita del movimento politico, il tenente colonnello Fabio Filomeni ha detto chiaramente che «al momento non c'è alcun rapporto» tra la Lega e "Il mondo al contrario", l'organizzazione ispirata dal libro del generale. Il passaggio chiave della risposta è l'indicazione temporale - «al momento» - che dà l'idea di una cautela e di un lavoro di attesa paziente. La stessa espressione viene utilizzata dal braccio destro di Vannacci poco prima, quando tiene a precisare che il militare, che è stato suo superiore in divisa in tanti teatri di guerra, «al momento non è il nostro capo». A spiegarci meglio quale siano le intenzioni e l'orizzonte che si sono dati il generale e i suoi uomini è Marco Belviso. Giornalista, fondatore di due testate attive in Friuli Venezia Giulia – Il perbenista e Il Corsaro della Sera – che danno grande spazio a autori sovranisti, di destra e di sinistra, Belviso è il coordinatore per il Nord Est de "Il mondo al contrario". «Abbiamo diviso l'Italia in sei aree, corrispondenti alle circoscrizioni per le Europee. Ognuno ha il proprio coordinatore territoriale». Contemporaneamente sono nati altri comitati. Uno di questi è "Noi con Vannacci", plasmato sui comitati che cinque anni fa, sul modello degli Amici di Beppe Grillo, hanno fatto crescere il consenso nazionale di Salvini. È stato fondato dall'ex senatore leghista Umberto Fusco, anche lui un militare, e a settembre sarà battezzato a Viterbo con una festa in onore dell'ex capo della Folgore.
    Ci sarà anche il gruppo di Filomeni, perché, la causa è comune e il partito del futuro avrà spazio per tutti. Creato come affiliazione locale, è spuntato pure "Gli amici del Nord Est X Vannacci" (anche questo esplicitamente ispirato ai primi esperimenti grillini) con nel simbolo l'evidente e spregiudicato richiamo alla Decima Mas. Di nuovo, l'animatore è Belviso.
    La campagna del Nord Est è quella considerata cruciale da Vannacci e dai suoi incursori. Da lì passa la vittoria per l'egemonia sui sovranisti. «Quasi tutto dipenderà dai congressi della Lega» spiega Belviso: «Se, come prevedibile, vince la linea di Salvini, noi scommettiamo sulla rottura con la vecchia guardia, quella più legata al sogno federalista di Umberto Bossi, quella dei governatori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga». Vannacci farà da spettatore interessato a una scissione. Da mesi, nel Nord Est i leghisti fedeli a Zaia e a Fedriga sono ferocemente impegnati a contrastare il generale, criticando la scelta che ne ha fatto il segretario: «Per Salvini candidarlo è stata una mossa della disperazione. Non poteva fare altro. Senza Vannacci, senza i suoi 500 mila voti, ora la sua Lega è data al 6%. Se si spacca e c'è una scissione, può crollare al 3-4%».
    A quel punto potrebbe partire l'opa del militare. «È il nostro asso pigliatutto. Ma più che prendersi la Lega lo immagino come leader di un polo, un cartello con Salvini. Non credo che quest'ultimo molli la segreteria». Sono i Patrioti italiani, l'"Europa sovrana" che è il nome temporaneo immaginato per il futuro partito (anche se non convince tutti). In quest'ottica «la polarizzazione con Zaia, che è diventato il paladino dei diritti Lgbt e dei nuovi italiani ci aiuta», perché sposta verso Vannacci chi ne sposa le tesi che solleticano omofobia e xenofobia.
    Quando la popolarità e il consenso saranno a buon livello, solo a quel punto, Vannacci vestirà i panni del capo. «È una calcolatore e uno stratega» ci racconta una fonte dell'Esercito che lo conosce bene e che per ragioni di divisa non può parlare contro un eurodeputato. Il ministero della Difesa è un osservatore inquieto di questo fenomeno che a qualcuno ricorda la comicità di Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli, mentre ad altri rievoca il tintinnar di sciabole del "piano Solo". Lo scontro con il ministro Guido Crosetto ha contribuito a far crescere il mito anti-sistema di Vannacci. Ieri è stata letta con attenzione dai vertici politici e militari della Difesa quella battuta di Filomeni: «Tranquilli non stiamo preparando un golpe». E altre due fonti hanno esposto a La Stampa dubbi e timori sui potenziali pericoli dell'operazione Vannacci. Che – ci spiegano – è organizzata da ex ufficiali e ex militari di grado, ma risulta molto attrattiva per tanti sottufficiali in carriera.
    Due sono i motivi. Primo, le critiche alla Nato e le richieste pressanti di rafforzare la difesa nazionale ed europea, autonoma dagli Usa, aumentando il budget e gli armamenti. Secondo, l'uranio impoverito. Per fine settembre Filomeni e Belviso hanno organizzato un convegno a Udine: «Ci sarà l'ex ministra Elisabetta Trenta, scienziati e il colonnello Carlo Calcagni, che più volte ha chiesto, inascoltato, un intervento di Crosetto. Abbiamo invitato anche Giorgia Meloni e il presidente Sergio Mattarella». Una provocazione, perché Filomeni accusa il Capo dello Stato di aver nascosto, quando era ministro della Difesa, l'uso dei proiettili all'uranio impoverito a Sarajevo, anche se gli atti parlamentari riportano come fu proprio Mattarella a volere la Commissione d'inchiesta Mandelli che indagò su quei fatti, risalenti alla guerra in Jugoslavia. «Dodici mila ammalati e seicento morti non sono pochi – conclude Belviso – La battaglia per la verità sull'uranio ha dato un'immagine di eroismo e nobiltà a Vannacci. Il suo progetto piace ai militari perché tra di loro c'è grande cameratismo. Sono uomini che si fidano ciecamente perché si sono coperti le spalle a vicenda e hanno condiviso la tenda». —

 

 

 

 

19.08.24
  1. Francoforte aumenta di 335 milioni i btp in portafoglio
    La Bce sostiene ancora i conti italiani
    Fabrizio Goria
    Il fardello del debito pubblico italiano veleggia verso quota 3.000 miliardi di euro. E la Banca centrale europea (Bce) continua a supportarlo, con una gestione oculata degli asset pubblici in portafoglio. Meno Paesi Bassi, Francia e Germania. Più Italia.Nel luglio 2024 la Bce ha ridotto la propria esposizione del Pandemic emergency purchase programme (Pepp), il programma varato per fronteggiare gli effetti della pandemia.
    I dati forniti dalla Bce relativi al portafoglio Pepp nel periodo compreso fra il 24 giugno e il 24 luglio tracciano una mappa chiara. A fronte di un aumento di 335 milioni del portafoglio Pepp con titoli tricolore, Francoforte ha tagliato quello dei titoli dei Paesi Bassi per 2,8 miliardi di euro, belgi e tedeschi per 2,2 miliardi ciascuno, austriaci per 2,1 miliardi, francesi per 1,4 miliardi, spagnoli per 1,2 miliardi.
    La flessione delle consistenze detenute nel Pepp ha comunque consentito la riduzione mensile di 7,5 miliardi per il complesso del portafoglio di titoli europei. Opzione che era stata prevista fin dall'inizio dallo strumento lanciato dalla Bce nel marzo 2020. La flessibilità del Pepp può consentire di stabilizzare gli spread fra Paesi e può essere uno strumento mitigare il costo del debito per l'Italia, che secondo Eurostat nel 2023 - un anno in cui i tassi d'interesse Bce sono raddoppiati - è continuato a scendere al 2,9% rispetto al 3,2% del 2022.
  2. il regalo al "macellaio" ceceno
    Musk, ammirato da Jaky , Salvini Meloni e Trump, un suv blindato a Kadyrov

    Il miliardario Elon Musk ha regalato un Cybertruck della Tesla al controverso leader della regione russa della Cecenia, Ramzan Kadyrov, che lo ha invitato a Grozny. L'alleato di Vladimir Putin, che governa tra numerose accuse di violazione dei diritti umani, ha postato su Telegram un video in cui appare al volante del pick-up su cui è stata una mitragliatrice.
  3. Grazie SALVINI : 'intervista
    Fabio Filomeni
    "Pronti al partito di Vannacci
    Ma non faremo un golpe". Ci proveranno , secondo me !

    ilario lombardo
    roma
    «Le do una notizia. Il movimento culturale "Il mondo al contrario", ispirato al libro del generale Roberto Vannacci, che ho fondato un anno fa, diventa un movimento politico». Non dice partito, il colonnello Fabio Filomeni, amico, camerata, ora braccio destro e demiurgo di quella "cosa" vannacciana che aspetta di maturare. «Dipenderà dal generale. Noi faremo quello che dice lui, seguendo le sue orme e la sua parabola: un militare, poi scrittore e politico». Non è un personaggio secondario, Filomeni, ma il cuore del progetto Vannacci, l'incursore che si lancia in suo nome. E in qualche modo è stato il suo precursore. Al 9° Battaglione d'assalto Col Moschin era il suo inquadratore. Poi i ruoli si sono capovolti: Vannacci è diventato suo comandante in tante operazioni: Somalia, Yemen, Bosnia, Ruanda, Iraq. Quando ha dismesso la divisa, Filomeni ha iniziato a parlare. Ha scritto un paio di libri autoediti, prima che lo facesse con il suo best seller il militare eletto nelle liste della Lega a Bruxelles: il primo con Vannacci eroe protagonista, Baghdad. La ribellione di un generale, sui pericoli dell'uranio impoverito. Il secondo è un duro atto d'accusa contro l'Occidente: Morire per la Nato?.
    Perché non chiamarlo subito partito?
    «Noi ci evolviamo con il generale. Adesso cambieremo statuto. Saremo un'organizzazione politica, un contenitore che darà casa a tutte le persone che lo hanno votato e che si riconoscono nei 12 capitoli e i 7 principi enunciati nel libro».
    Ne parla come fosse la Bibbia.
    «Lo è. È la nostra Bibbia. Io conosco Vannacci da 35 anni. Ho una fiducia illimitata in lui, come ce l'ha chi ha messo una croce sul suo nome».
    Vannacci ha detto che è il vostro messia.
    «Era una battuta. Noi crediamo in lui. Ma voglio precisare che al momento non è il capo. Siamo noi che lo seguiamo, organizzandoci in tutta Italia per stare sempre al suo fianco».
    Quale è il vostro orizzonte elettorale? Le legislative?
    «Dipenderà da Vannacci, da cosa vorrà fare. Se diventeremo un partito a tutti gli effetti».
    E i rapporti con la Lega?
    «A oggi nessuno. Il nostro progetto si basa sul Vannacci pensiero».
    Matteo Salvini non gradirà.
    «Non abbiamo niente a che fare con la Lega di oggi, né tantomeno con quella del passato».
    Bruno Spatara, già esponente di Forza Nuova e di Casa Pound, oggi è il vostro segretario nazionale. Siete un movimento di estrema destra?
    «Bruno è un ex Folgore, come Gianluca Priolo, ex paracadutista. La tendenza è di relegarci all'estrema destra, ma non funziona più. Siamo oltre».
    I valori che enunciate sono di destra.
    «Ne è così sicuro? Sa, io sono di Livorno, ho amici comunisti che mi hanno detto: "Stiamo col generale". Con il mio libro sono stato invitato sia da CasaPound sia dai circoli Arci».
    Avete posizioni anti-Nato e molto filorusse.
    «Ecco, io non sono filorusso, gradirei lo scrivesse».
    A fine 2022, in piena guerra, per protesta contro la Nato ha dato indietro la medaglia d'onore con cui era stato insignito dagli Stati Uniti.
    «L'ho fatto quando l'assemblea generale Nato ha definito la Russia "Stato terrorista"».
    Ha invaso un Paese violando il diritto internazionale.
    «Come ho scritto nel libro, non è che Vladimir Putin si è svegliato una mattina e ha deciso di invadere l'Ucraina. Ci sono degli antefatti. Io sono stato fiero di aver servito nella Nato. Ma quando è venuto meno il Patto di Varsavia, anche l'Alleanza doveva ridefinirsi. Invece ha inglobato Paesi dell'orbita russa, diventando una minaccia per Mosca».
    Questa è la propaganda di Putin mentre ordinava massacri di civili. Lei è per la resa di Kiev o per una pace giusta?
    «Non esiste una pace giusta. Le guerre finiscono con vincitori e sconfitti. L'invasione è stata un errore, ma io voglio un'Europa sovrana e libera da tutte le superpotenze».
    È vero che molti ex ufficiali e molti attuali sottufficiali sono attratti dal movimento?
    «Non è un caso che le dichiarazioni più prudenti sulle armi all'Ucraina e contro la Nato vengano da ex generali. Da chi ha conosciuto la guerra. Parlo di militari a riposo perché quelli in servizio non si esprimono. Sono a disposizione del governo, di qualunque colore sia».
    Questo ci tranquillizza.
    «L'Esercito è l'istituzione più fedele allo Stato. Ma responsabilità della politica è scongiurare il sacrificio di giovani che hanno deciso di servire la patria, e che non devono essere mandati a morire, diciamo alla maniera di Cadorna»
    Condivide l'orgoglio di Vannacci sulla Decima Mas?
    «Il generale ha avuto il merito di andare contro politicamente corretto, tabù e censura. La Decima è stata uno dei più gloriosi reparti d'Italia con esponenti coraggiosissimi»
    Massacrava partigiani e oppositori per conto di Mussolini.
    «La guerra è brutta per tutti. Ci sono stati anche massacri operati dai partigiani: vuol dire che erano tutti assassini?».
    Senta colonnello, noi siamo il Paese del generale Junio Valerio Borghese.
    «Se mi sta chiedendo se ci sarà un golpe, le assicuro che non lo stiamo preparando (ride, ndr). Crediamo nella democrazia e nella libertà di espressione di tutti, Vannacci compreso».
    Si stanno avvicinando a voi No vax e complottisti.
    «Ripeto: siamo aperti a chiunque si riconosca in Vannacci. Io da anni, assieme a lui, mi batto per la verità sull'uranio impoverito. Proprio oggi mi ha chiamato un collega malato: mi chiede se saremo un punto di riferimento. Il 27 settembre sarò a un evento a Udine con Marco Belviso, coordinatore per il Nord Est. Non smetterò mai di fare luce sulle responsabilità politiche e militari, a partire da Sergio Mattarella, ministro della Difesa nel 2002 e 2003, che negò l'uso dei proiettili all'uranio a Sarajevo».
    A Viterbo si riunirà Noi con Vannacci, di Umberto Fusco, ex Lega. Un concorrente?
    «Ma no. È una festa per Vannacci e ci saremo anche noi».
    Vi fonderete?
    «È prematuro dirlo. Sicuramente andiamo nella stessa direzione».
  4. L'ex detenuto figlio del boss lancia un post provocatorio su Instagram e deride la strada intitolata a Cesare Terranova, assassinato dal padre
    Riina junior a Corleone la festa per le nozze e l'oltraggio al giudice

    LAURA ANELLO
    PALERMO
    L'ultimo evento che lo aveva visto in prima fila, nella sua Corleone, era stato il funerale del padre. Totò Riina, sepolto nel cimitero del paese il 22 novembre 2017 tra le lacrime della moglie Ninetta Bagarella e di tre dei quattro figli: la primogenita Maria Concetta; la più giovane Lucia; e lui, Giuseppe Salvatore detto Salvuccio, arrivato con un permesso speciale da Padova, dove si trovava in libertà vigilata dopo una condanna a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa, riciclaggio ed estorsione. Adesso Salvuccio, 47 anni, rientrato nel paese d'origine l'anno scorso, ha scelto di festeggiare in grande, e di dire a tutti che i Riina non abbassano la testa.
    La festa è quella del suo matrimonio, celebrato lo scorso 7 giugno in Spagna con una ragazza spagnola di nome Elena, ma condiviso con duecento invitati l'altra sera a Corleone, nel ristorante Mountain Palace La Schera, dotato di un grande giardino, di una fontana con giochi d'acqua e di luce, e di un menù «di sapori della tradizione», come promette lo chef.
    Giusto per chiarire che lui, terzogenito del capo dei capi, il fratello maggiore Giovanni condannato all'ergastolo, non si vergogna certo del suo nome e di una storia cui ha dedicato pure un libro, "Riina family life", dedicato ai ventiquattro anni di vita familiare durante la latitanza del padre, scomparso dai radar nel 1969, arrestato nel 2013 nell'operazione Belva e condannato a ventisei ergastoli per decine di omicidi e stragi. Anzi. Il giorno di Ferragosto, lo scrittore Salvuccio (così si autodefinisce sui suoi profili), una laurea conseguita dopo la condanna, l'affidamento ai servizi sociali, diversi anni vissuti tra il Veneto e l'Abruzzo, ha pubblicato su Instagram un selfie apparentemente neutro con questo augurio: «Buon Ferragosto a tutti voi da via Scorsone 24, 90034, Corleone».
    Agli osservatori attenti non è sfuggito che via Scorsone - strada dove la famiglia abita storicamente e dove è tornata dopo la cattura del padre boss - si chiama adesso via Cesare Terranova, il giudice ucciso nel 1979 insieme al suo collaboratore Lenin Mancuso in un attentato organizzato proprio dai Corleonesi. Simbolica quell'intitolazione, nel 2018, simbolico quel post sorridente in cui Riina junior chiama la strada con il suo nome storico.
    Un post, quello su via Scorsone, che ha provocato l'indignazione del giovane sindaco di Corleone, Walter Rà, nato nel 1991, l'anno precedente alle stragi di Capaci e via D'Amelio, eletto lo scorso giugno con un programma orientato alla rinascita di questo piccolo paese pieno di tesori ma schiacciato dalla sua storia di mafia, dal suo «brand negativo», per dirla con parole sue. «Una spavalderia - tuona il sindaco - che suona come un vile attacco allo Stato e alle istituzioni. Pur non volendo dare ulteriore visibilità a chi periodicamente ne è alla ricerca, il sindaco, la giunta, il presidente del Consiglio comunale e i consiglieri tutti prendono nettamente le distanze da tali dichiarazioni e le condannano». Una solidarietà che sembra condivisa con convinzione anche dal paese, dove in questi anni sono nati comitati antimafia, associazioni giovanili, progetti di valorizzazione dei beni culturali della Diocesi, piccole realtà imprenditoriali che lavorano sul turismo. Molti cadono dalle nuvole: «Si è sposato e ha festeggiato qui? Non l'abbiamo neanche saputo».
    I social della neo-moglie svelano invece l'abito di lei, bianco e lungo con ricami in pizzo, una coroncina sulla testa, e l'abito scuro da cerimonia di lui: un abbigliamento che sembra adatto a una cerimonia religiosa. Presenti la madre e le sorelle, forzatamente assente il fratello all'ergastolo e lo zio Leoluca Bagarella, pure condannato al carcere a vita. A brindare anche i parenti e gli amici della sposa, arrivati dalla Spagna. E chissà, chissà davvero, qual è stato il loro augurio di futuro per la nuova coppia Riina.
  5. Lasciate in pace il Tagliamento se ci minaccia è solo colpa nostra
    Mario Tozzi
    Ancora agli inizi del XIX secolo, il fiume Isar, a Monaco di Baviera, era un tipico corso d'acqua alpino selvaggio e primordiale, con isole di ghiaia e banchi di sabbia e il letto in continua evoluzione. A metà del XIX secolo, dopo le ripetute alluvioni che avevano colpito il territorio (e diverse città compresa Monaco), fu dato inizio a una regolamentazione idraulica e il letto del fiume fu canalizzato secondo rigidi criteri esclusivamente ingegneristici, gli unici ritenuti possibili allora. Così l'Isar divenne un canale, perduto a ogni uso della cittadinanza e, paradossalmente, da continuare a temere in caso di piena, come dimostrarono le inondazioni degli anni 1999, 2005 e 2013.
    Negli anni Duemila, però, la filosofia è cambiata ed è stato elaborato un nuovo piano per l'Isar che non solo migliorasse il controllo delle inondazioni, ma anche la biodiversità e la qualità del territorio.
    Il nuovo piano ha aumentato la capacità di ritenzione idrica del tratto di fiume a Monaco città, e il letto del fiume è stato di nuovo trasformato in un alveo a larghezza variabile, con banchi e isole di ghiaia che si sviluppano in modo dinamico, comparendo e scomparendo come natura comanda. In pratica è stata ripristinata la situazione naturale prima degli interventi scellerati del XIX secolo. In questo modo il deflusso dell'acqua è stato migliorato consistentemente, gli argini, prima fissati con lastre di cemento e pavimentazioni, sono stati sostituiti con bancate "naturali" inclinate. Si sono poi impostate rampe con gradini in roccia in un disegno a nido d'ape con piscine intermedie. Queste misure non solo hanno ripristinato l'aspetto naturale del fiume, ma hanno anche migliorato le condizioni di vita e l'habitat per la flora e la fauna caratteristiche del fiume. In seguito al ripristino, l'acqua delle inondazioni può defluire senza causare danni, fino a una portata di 1.100 metri cubi al secondo. Un esempio di riqualificazione naturalistica di un corso d'acqua, in linea con quanto previsto dalle recenti leggi europee.
    E indovinate quale fiume hanno preso a modello gli ingegneri tedeschi? Il Tagliamento, che si trova in Friuli, e che è il fiume più naturale d'Europa, e che dovrebbe dunque essere lasciato in pace, mentre, invece, è fatto oggetto di "opere di sistemazione idraulica" figlie di una logica superata che sclerotizza i corsi d'acqua nell'illusione di poterli trattare come canali artificiali.
    La Regione Friuli Venezia Giulia ha approvato uno studio di fattibilità che prevede la costruzione, accanto all'esistente Ponte di Dignano, di una struttura che appare sovradimensionata: una diga a paratie mobili per trattenere le acque del Tagliamento in caso di piene eccezionali, con un accumulo stimato fino a 29 milioni di metri cubi di acqua, tale da formare un lago cospicuo che lambirebbe l'abitato di Spilimbergo. La diga si eleverebbe cinque metri più in alto dell'attuale ponte e si svilupperebbe per quasi un chilometro di lunghezza: un'opera che necessiterebbe di imponenti fondazioni da imporre in profondità nel greto del Tagliamento stesso e che richiederebbe arginature possenti sulle fiancate della diga per evitare erosioni disastrose. E oltre a questa, un'altra opera per il contenimento delle piene verrebbe realizzato a sud del corso del fiume, nei pressi del paese di Varmo. Il tutto dimenticando che esistono ormai altri modi per difendere i piccoli centri abitati. E dimenticando che, dove ci sono nello stesso luogo le case e il fiume, nel posto sbagliato ci sono le prime, non il fiume.
    Il Tagliamento è famoso nel mondo per i suoi "canali intrecciati", una tipica morfologia dei fiumi che trasportano molto sedimento: si tratta di forme in un equilibrio dinamico molto delicato che può essere messo in pericolo da interventi sull'asta fluviale. Proprio quello che la Regione vorrebbe fare per evitare inondazioni come quelle del 1965 e del 1966, quando il fiume entrò nelle cittadine (come a Latisana). Come decine di volte dalla loro fondazione. E cosa avrebbe dovuto fare, visto che quelle città sono costruite proprio sul fiume? Le dighe e le casse di espansione possono ospitare parte dell'acqua in eccesso durante le piene e restituirla una volta che la piena è passata. Tuttavia, dovrebbero essere un'estrema ratio perché sono una soluzione meno efficace rispetto ad interventi diffusi basati sulla natura in un'ottica di adattamento al cambiamento climatico. Un intervento devastante, seppure a protezione di un singolo centro abitato, non è mai giustificabile, perché rischia di distruggere un equilibrio millenario, perché non è neppure sicuro che possa assolvere completamente alla funzione di protezione e perché oggi la visione è cambiata. Come dimostra il caso dell'Isar. Del resto la Laguna di Marano, con la Valle Pantani, dovrebbe ricordare che, fino a inizio XX secolo, tutte le aree golenali del Tagliamento nel territorio comunale erano ricoperte di splendidi boschi, foreste e incredibili paludi. Quella era la naturale protezione del territorio, anche a questo compito servivano gli ecosistemi, oggi distrutti e bonificati. Ripristinarli potrebbe essere parte della soluzione.
    Mi incammino lungo il Tagliamento: camminando su quei ciottoli bianchi riconosco l'essenza dei fiumi di Ungaretti (anche se in quel caso si trattava del fratello Isonzo). Le acque verdi cristalline rendono merito alla fama di fiume più naturale dell'intero continente europeo. Un fiume che è diventato minaccia solo per colpa degli uomini che non lo hanno rispettato. E che non ha bisogno di interventi idraulici o ingegneristici, ma solo di essere lasciato in pace, comprendendo che i corsi d'acqua debbono essere in contatto con il territorio, non esserne isolati da strutture artificiali prive di senso e di efficacia. E, se fossimo anche solo vagamente più colti in termini di natura, che ha bisogno di rimanere in contatto con gli uomini.
  6. Il grande spreco iniziato dalla sinistra !
    giulia ricci
    Ilavori sono finiti, i dipendenti sono seduti ai loro posti e il nastro è stato tagliato. Ma i costi per la realizzazione del grattacielo della Regione Piemonte continuano a lievitare. E così ai 284 milioni di euro annunciati se ne aggiungono altri due causa rincaro materie prime, che saranno presi dal bilancio. Lo dice una determina della giunta Cirio del 6 agosto (pubblicata mercoledì sul Bollettino ufficiale) che prende in considerazione gli aumenti dei prezzi di acquisto dei materiali da costruzione in seguito alla pandemia prima e lo scoppio del conflitto in Ucraina dopo.
    Un aumento, precisamente di 2 milioni e 147mila euro, che è solo l'ultimo di un susseguirsi di varianti nei costi ed errori di costruzione che ha portato il costo finale a lievitare di quasi 80 milioni. Il prezzo iniziale dell'opera, infatti, come si legge nel documento del 2010, era di 208 milioni e 299 mila euro. «Ma l'elenco dei lavori e dei costi per il grattacielo - denuncia Giulio Manfredi dei Radicali - si ferma, sul sito della Regione Piemonte, a giugno 2023. Ma dovrebbero essere rese note almeno fino a quando non ci sarà il collaudo amministrativo».
    Sì perché alla sede dai mille intoppi, rinvii e indagini, manca ancora il collaudo tecnico (che dovrebbe arrivare a novembre), cioè i controlli da parte di una commissione ad hoc che attestino come tutti i lavori siano stati fatti seguendo il contratto. Insomma, se il materiale utilizzato per vetri e pavimenti è quello giusto, se il numero di sale riunioni è quello previsto o se i bagni sono quelli adatti ai 2.200 dipendenti. Se così non fosse, il grattacielo rischierebbe nuovi guai dopo tutti quelli passati negli ultimi quindici anni. Sì, perché era il 1999 quando l'allora governatore Enzo Ghigo lanciava un concorso internazionale di idee per costruire la nuova grande sede della Regione Piemonte. Due anni dopo, a vincerlo era lo studio dell'architetto Massimiliano Fuksas, che aveva proposto una torre di 100 metri in borgo San Paolo. La giunta Bresso, poi, aveva cambiato idea: si vada nell'area ex Avio e si riqualifichi tutta l'area. Nel 2006 era stata persino approvata una variante del piano regolatore che permettesse la nascita di palazzi più alti della Mole antonelliana (se fuori dal centro). I lavori erano finalmente iniziati nel 2011 e sarebbero dovuti terminare nel 2015, anno in cui il primo stop al cantiere fu causato dal fallimento dell'azienda Coopsette. Da lì, partite sbagliate di piastrelle già macchiate e deteriorabili (ancor prima che qualcuno ci mettesse piede), quasi metà dei vetri dei grandi finestroni fallati e da cambiare, ascensori guasti, impianti di climatizzazione non funzionanti.
    Errori che hanno provocato l'aumento pian piano dei costi dei lavori pubblici, che a loro volta sono stati la base di alcune delle innumerevoli inchieste aperte su quello che per undici anni è rimasto un guscio vuoto. Quando i lavori sono ricominciati nel 2017, l'obiettivo era il 2019. E poi il 2020, il 2021 e infine quell'ottobre del 2022. Dopo il Covid, dopo lo scoppio della guerra. Così i rincari, solo gli ennesimi, per un'opera pubblica nata per risparmiare, radunando tutti i dipendeti in una sola sede. Lunedì scorso, poi, l'ultimo guaio: un allagamento al 42esimo piano che ha mandato l'impianto elettrico in tilt e "costretto" i dipendenti a lavorare in smart. Domani torneranno in sede. Ma la pagheranno (come tutti i cittadini piemontesi) ancora per dodici anni: «La giunta Cirio - aggiunge Manfredi - dice che risparmieremo 18 milioni di euro di affitti. Dovrebbe anche scrivere che fino al 2036 la Regione dovrà pagare alle banche finanziatrici dell'opera 25 canoni da 11 milioni ogni sei mesi. Quindi, più di quanto avrebbero pagato d'affitto nelle altre sedi».
  7. Posticipati a primavera i lavori in strada San Vito dove ha la residenza JAKY.
    diego molino
    I lavori urgenti eseguiti per garantire un asfalto perfetto ai ciclisti del Giro d'Italia e del Tour de France, hanno costretto a posticipare gli interventi previsti in collina. È il caso di strada San Vito Revigliasco, che da tempo è un percorso a ostacoli per buche e avvallamenti della pavimentazione. Il ripristino era in programma entro fine anno, ma gli operai inizieranno i lavori soltanto nella primavera del 2025. Prima di allora, automobilisti e, soprattutto, torinesi in bici e in scooter dovranno fare i conti con carreggiate piuttosto malandate.
    La conferma del ritardo è arrivata dall'assessore alla Cura della città, Francesco Tresso: «L'intervento di ristrutturazione della carreggiata di strada San Vito, tra viale Curreno e corso Giovanni Lanza, era previsto per la fine del 2024 – spiega – A causa di altre opere, che si è reso necessario anticipare per consentire il ripristino delle pavimentazioni interessate dai tracciati del Giro d'Italia e del Tour de France, questo intervento così come altri sono stati posticipati nel nuovo appalto di interventi mirati 2024, ed è pertanto stato programmato per la primavera del 2025. Al momento l'appalto è in fase di aggiudicazione».
    Serve ancora un po' di pazienza per il ripristino dell'asfalto, anche se le violente piogge delle ultime settimane non migliorano la situazione. Ecco perché il consigliere di Torino Bellissima, Pierlucio Firrao, aveva posto il problema con un'interpellanza: «Le condizioni delle strade della collina sono disastrose, in più strada Sant'Anna non è accessibile a bus e corrieri – dice – Anche la collina fa parte di Torino e i residenti hanno diritto di avere gli stessi servizi che hanno gli altri cittadini».
    In tutto il 2023 sono state quasi 800 le segnalazioni per buche nel manto stradale in Circoscrizione 8, di cui fanno parte le strade collinari, più di due al giorno. «Negli ultimi anni abbiamo impegnato risorse maggiori, passando per la manutenzione ordinaria dagli 800 mila euro del 2021 ai 2,7 milioni del 2023 – dice ancora Tresso – Per il prossimo anno, invece, la manutenzione ordinaria relativa al secondo semestre 2024 e al 2025 è di 4 milioni». Per ciò che riguarda la manutenzione straordinaria, nel 2024 il Servizio Suolo e Parcheggi conta su un budget di 4,5 milioni, a cui se ne aggiungono altri 2 di "interventi mirati", di cui fanno parte le opere di strada San Vito.

 

18.08.24
  1. LO FACCIO ANCHE IO  , QUANDO ENTRO DA ANNI NEI SUPERMERCATI CHIEDO DOVE SONO I CIBI IN SCADENZA, E GLI EXTRACOMUNITARI CHE LAVORANO MI GUARDANO CON DISGUSTO E SENSO DI ORGOGLIOSA SUPERIORITA':  La mia settimana
    anti-spreco
    Riccardo Luna
    Ora che ho superato anche la prova - oggettivamente ardua - di Ferragosto, lo posso dire: ho mangiato per una settimana solo con cibo destinato alla discarica. Non fraintendetemi. Non era affatto cibo-spazzatura, quello lo servono in certi fast food che non si curano del nostro colesterolo né del fegato grosso. Si è trattato sempre di cibo ancora buonissimo ma - attenzione - solo per un giorno o due, più spesso solo per qualche ora. Un cibo-Cenerentola, da consumare prima di una ipotetica mezzanotte. Ho mangiato a volte anche molto bene, spesso condividendo i pasti con la mia mamma; e ho speso, in tutto, 30 euro e 93 centesimi. In sette giorni.
    Il vero obiettivo di questo esperimento non era però, o almeno, non dovrebbe essere, il risparmio quotidiano, che pure è clamoroso; è aver contribuito in maniera piccola ma significativa a ridurre una delle piaghe del nostro tempo: lo spreco alimentare, il cibo buono che ogni giorno, per vari motivi, finisce nella spazzatura facendo crescere le emissioni di anidride carbonica che sono la causa principale del riscaldamento globale. I dati dicono che lo spreco alimentare è responsabile del 6 per cento delle emissioni globali di C02; se lo spreco fosse un paese, soltanto Stati Uniti e Cina emetterebbero di più. Insomma, nei giorni scorsi mi sono nutrito più che decorosamente, ma stavo anche facendo la mia parte contro il riscaldamento globale.
    L'idea mi è venuta leggendo una storia del Washington Post. Titolo: "Così ho dato da mangiare per giorni alla mia famiglia con cibo destinato ad essere buttato". Una bella storia che racconta il decollo, negli Stati Uniti, di una app che ormai esiste da qualche anno: Too Good To Go. Un gioco di parole che vuol dire: (questo cibo) è ancora troppo buono per essere buttato. La startup nasce in Danimarca nel 2015: erano gli anni in cui nel mondo si era affermata l'idea che ci potesse essere una app per tutto e che molti problemi potessero essere risolti meglio da una rete di persone con uno smartphone a disposizione. Erano gli anni insomma della sharing economy, l'economia della condivisione, quando un gruppo di giovani sognatori (Thomas Bjørn Momsen, Stian Olesen, Klaus Bagge Pedersen, Adam Sigbrand and Brian Christensen) lancia una app per connettere i ristoranti ed i mercati con chi è disposto ad andarsi a prendere il cibo avanzato, ma ancora buono, in certi orari, a fine turno. Il successo è immediato, di critica non di profitti, per quelli i fondatori dovranno attendere il 2023; ma così funzionano le startup in fase di lancio, conta soprattutto far crescere gli utenti; e così Too Good To Go rapidamente scala in diversi paesi europei e dal 2020 negli Stati Uniti.
    Quando ho letto la storia del Washington Post ho pensato: facile farlo in America, chissà da noi. E ho cercato invano qualcuno che volesse fare un test per una settimana in una grande città italiana ad agosto. Ma poi ho capito che quel qualcuno ero io: solo a Roma, in piena estate, senza dover spiegare a nessuno "perché oggi invece di fare la spesa andiamo in cerca di cibo avanzato". Ho scaricato la app, creato un profilo e il test è iniziato. Ecco com'è andata.
    1° giorno. Mi si è aperto un mondo nuovo. Nonostante le chiusure per ferie ho visto subito quanti bar, ristoranti, mercati e hotel sono in questa rete nella mia città. Ho impostato un filtro di tre chilometri da casa, per poter arrivare ovunque a piedi, e ho iniziato la ricerca. Prima impressione: se uno volesse cornetti o brioche alle 11 o pizza al taglio a fine pomeriggio c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ma io mi vedevo già come il protagonista di quel film che mangia solo da McDonald per un mese e quasi ci resta secco. Non potendo fare il pieno di grassi, decido di partire con un supermercato di qualità che già frequento, Natura Sì. La app mi fa prenotare e pagare una "surprise bag", una busta di cui conoscerò il contenuto solo al momento del ritiro. Un po' come la Mistery Box di MasterChef, penso, che poi devi cucinare con quello che ci trovi dentro. Ordino e sulla app appare un messaggio festoso, "Sei un eroe! Grazie per aver salvato del cibo ed evitato lo spreco". "Eroe" mi pare troppo in effetti. Il ritiro è a fine pomeriggio: quando entro ho come l'impressione che le cassiere mi guardino strano, come se stessero servendo una persona in difficoltà economiche. La busta che ricevo è bella piena, a casa scopro il contenuto: mezzo filone di pane (incellophanato due giorni prima), sei polpette vegetariane, mezza scamorza, un minestrone liofilizzato e uno strano panetto giallo. Polenta? Polenta. Ad agosto? Ad agosto. Comincio a pensare tutti i modi estivi in cui la posso preparare (fritta, con salse varie o formaggio) e visto che la scadenza è lontana me la tengo da parte come cibo di emergenza. Metto cinque stelle di recensione e mi metto a cucinare.
    2° giorno. Incoraggiato dalla buona partenza, mi metto in cerca di una nuova "bag" al mattino presto. Scopro che la pescheria del mio quartiere (Trieste, dove sta il liceo Giulio Cesare) mette in palio alcune buste a sorpresa alle 14: pensando ai prezzi che fa di solito è una opportunità da cogliere al volo. Ma mezz'ora prima del ritiro arriva una notifica: il pesce è finito, oggi non è avanzato nulla. Come alternativa fra i supermercati c'è Eataly, che sta alla Stazione Termini e promette leccornie varie ma alle nove e mezzo di sera. La Stazione Termini la sera d'estate non è il posto migliore dove andare a farsi un giro ma lì c'è la mia cena, o almeno così speravo. Nella busta trovo solo tre cose: un maritozzo con la panna, che probabilmente avanzato dal mattino; una bomba al cioccolato, che doveva avere lo stesso destino; e un trancio di pizza bianca ripiena di mortadella e granella di pistacchi. Torno a casa perplesso, per fortuna era avanzato del cibo dal giorno prima.
    3° giorno. È domenica della settimana di Ferragosto e ho bisogno di cibo vero, non maritozzi. Cerco un supermercato e mi decido per un Carrefour poco distante. I due cassieri sono gentili ma confusi, sembrano non sapere bene cosa mettere nella busta e che scontrino fare. Ma la busta è una sorpresona: prosciutto cotto, spinaci (ci farò una vellutata), insalata mista e ben otto polpette della nonna. Cinque stelle!
    4° giorno. Lunedì, a Roma inizia ad essere tutto chiuso o quasi. Insisto con i supermercati: vado da Penny. La busta me la fanno davanti agli occhi, è enorme: una pizza margherita, una pinsa, e una valanga di yogurth, sei da bere, otto con fibre e frutta e uno con aggiunta di proteine. Problema: scadono il giorno dopo. Li smezzo con mamma.
    5° giorno. Inizio a sentire la mancanza di frutta fresca. La app mi informa che al mercato di Ponte Milvio c'è un banco che per meno di quattro euro promette una busta dopo mezzogiorno. La prenoto e mi presento con il mio sacchetto ecologico ma non basterà per tutto il cibo che mi porterò via. Il banco è gestito da una coppia, marito e moglie, due enormi buste sono lì che mi aspettano e prima di darmele l'uomo aggiunge una confezione di ciliegie. Gli chiedo che ne pensa del servizio e mi dice: "Va bene, la gente deve mangia', che me le tengo a fare le cose avanzate, la gente deve mangia'". A casa metto in frigo più di un chilo di pomodori di tipi diversi, tutti ancora buoni; due cetrioli, una confezione di uva bianca, mezzo melone giallo, mezzo melone bianco, le ciliegie e un chilo di albicocche buone solo per farci la marmellata però. Incrociando con le cose avanzate dei giorni precedenti il menu si inizia a fare interessante.
    6° giorno. A Roma sono rimasti solo i turisti e la app mi fa scoprire una opportunità interessante: gli avanzi del buffet delle colazioni degli hotel a cinque stelle. Ne trovo uno a via Veneto, imposto il solito budget e alle 11 mi presento. L'aria condizionata è al massimo, i saloni sono elegantissimi, i camerieri in divisa sembrano dei modelli e io chiedo sottovoce la mia bag. Nessun imbarazzo: è già pronta, con il cibo diviso per bene: in un contenitore trovo una tagliata di frutta, uova strapazzate con salsicce, uova fritte con prosciutto e formaggi, e un paio di verdure cotte meno invitanti; in un sacchetto, vari tipi di pane affettato; in un altro, una super selezione di cornetti, brioche, bombe e sfogliatelle (che il mattino seguente farò resuscitare con due minuti in un forno caldo).
    7° giorno. Ferragosto di fuoco. Le scelte si riducono ancora eppure qualcosa c'è: un altro Carrefour di quelli aperti sempre. La busta è enorme: due confezioni di zucca, una vellutata di zucca, tre confezioni di hamburger, pancetta dolce, tortellini, funghi champignon e due confezioni di carne già cotta, cosce di pollo e costatine. Come cena di Ferragosto non è il massimo, ma ho speso meno di 4 euro. La app si congratula dicendomi che ho risparmiato 62 euro e che ho evitato l'emissione di anidride carbonica pari a 70 tazze di caffè o oltre quattromila ricariche di cellulare.
    La settimana è finita. Ce l'ho fatta, senza particolari eroismi. Probabilmente spendendo un po' di più sarebbe stato ancora più facile. Ovviamente in questi giorni è cambiato il rapporto con il cibo: un conto è andare a fare la spesa e comprare quello che vuoi mangiare, un altro è aprire una busta e scoprire cosa mangerai. Meglio se sai cucinare, se sai cosa fare con il pane raffermo (una panzanella?) o come creare una vellutata saporita. Nelle buste non ho trovato cose essenziali con scadenze più lunghe, tipo pasta, scatolette o passata di pomodoro; ma è possibile comprarle, in quantità maggiori, con consegna a casa in massimo cinque giorni. E tra le scelte di bag, se non hai problemi a cambiare orario, c'è anche tanto sushi, ma dopo le undici di sera, e tanto kebab, dopo mezzanotte.
    Insomma, questa cosa funziona, si può fare, magari non tutti i giorni. Quando l'ho raccontato a miei figli, uno mi ha risposto con un silenzio preoccupato in cui io ho letto la sua paura: "Papà, ma siamo diventati poveri?". Mia figlia invece mi ha detto: "Lo scopri ora, con il mio ragazzo lo facciamo sempre". Sul sito di Too Good To Go leggo che gli utenti nel mondo sono 95 milioni, che i negozi e i ristoranti convenzionati sono 160 mila e che finora sono stati "salvati" oltre 330 milioni di pasti. L'amministratore delegato, la danese Mette Lykke, 43 anni, celebrando i successi del 2023 (+46 per cento di pasti salvati), ha detto: "Di tutte le sfide che dobbiamo affrontare per il cambiamento climatico, lo spreco alimentare è la più stupida di tutte. Noi continuiamo a credere che cambiare le cose è sempre possibile, e che anche le piccole azioni di ciascuno di noi possono avere un grande impatto".
    A proposito: il panetto di polenta è ancora in frigo. Domenica la mangiamo fritta. —
  2. Il Fisco si rafforza: 470 nuovi addetti
    L'Agenzia delle Entrate si rafforza e apre il bando di concorso per 470 nuovi addetti. Assunti con contratto a tempo indeterminato, saranno inquadrati in attività operative di natura giuridica, economica, tecnica e amministrativa. In ballo c'è anche una posizione nella lotta all'evasione, delicata in un periodo di caccia alle risorse per la prossima legge di Bilancio. Per la candidatura c'è tempo fino al 10 settembre. Questo rimpinguamento di organico è un percorso avviato da anni dall'Agenzia che porterà entro fine 2024 al reclutamento di 11.000 unità in tutto. L'anno scorso l'Agenzia delle Entrate aveva imbastito una maxi selezione per trovare ben 4.500 funzionari, di cui 3.970 per attività tributarie e 530 impiegati nell'area dei servizi di pubblicità immobiliare. E messo in piedi una cernita per rinnovare il personale nel campo Ict assumendo 50 persone. Una metà come analisti di dati, l'altra come addetti alle infrastrutture e alla sicurezza informatica.
    In un'audizione in commissione parlamentare di Vigilanza sull'anagrafe tributaria, il direttore dell'Agenzia, Ernesto Maria Ruffini, aveva spiegato che «tutti i servizi ai contribuenti e il recupero dell'evasione sono in mano al personale. Avere meno personale comporta meno servizi e risposte. C'è bisogno di investimenti nell'infrastruttura, cura e formazione di funzionari e dirigenti». In un bilancio sul numero di lavoratori, Ruffini aveva sottolineato come l'Agenzia fosse «sotto organico di circa 8.000 unità». E quanto sia necessario per combattere l'evasione fiscale: «A fronte di quella accertata, la capacità di incasso non supera il 20%». Il motivo? «Strumenti che devono essere affinati e una dotazione di personale che deve essere integrata con sempre maggiori risorse
  3. SI SONO SVEGLIATI SOLO IN USA ?   la causa
    Azionisti Usa contro Stellantis "Utili in calo"
    I risultati semestrali di Stellantis, comunicati al mercato a fine luglio, con un utile in forte calo, hanno colto di sorpresa alcuni azionisti americani che ritengono di essere stati tratti in inganno, di non aver avuto in anticipo informazioni utili per poter comprendere il reale andamento dei conti. Il gruppo automobilistico «è stato citato in giudizio da azionisti che affermano che la casa automobilistica li avrebbe ingannati nascondendo l'aumento delle scorte e altre debolezze, prima di pubblicare risultati deludenti che hanno causato il calo del prezzo delle azioni». La notizia è stata diffusa da Reuters. Per Stellantis la «causa è priva di fondamento e l'azienda intende difendersi vigorosamente». —

 

 

 

17.08.24
  1. La folle svolta dell’industria automobilistica europea: produrre e vendere di meno, ma a caro prezzo. Intervista a 360° a Pierluigi Del Viscovo
    di Marco De' Francesco ♦︎ Non è il caso di sperare in un nuovo corso di Stellantis in Italia. L'azienda guidata da Tavares ha cambiato strategia, come tutti i carmaker europei. Si punta su modelli a maggiore margine, producendo fuori dall'Italia. Perché da noi non conviene, nemmeno ai cinesi, che pur ambiscono ad aprire stabilimenti in Europa. E sulle auto elettriche...
    12 Agosto 2024

    «Non è il caso di sperare in un nuovo corso di Stellantis in Italia, con più volumi e posti di lavoro. Anzitutto, perché è cambiato il mercato dell’auto in Europa: si produce ciò che si vende, e si cerca di massimizzare i margini. In secondo luogo, perché produrre in Italia non conviene: non ci vogliono venire neppure i cinesi, che hanno bisogno di “delocalizzare” in Europa. Infine, perché l’auto green è stata, com’era prevedibile, un totale fallimento». Parole di Pierluigi Del Viscovo, il docente di marketing e sistemi di distribuzione e vendita (ha insegnato a Bologna e alla Luiss di Roma) nonché grande esperto di automotive: è fondatore e direttore del Centro Studi Fleet&Mobility.

    Il dato di partenza è che la produzione di auto nel Belpaese è in netto declino. Nel 2023, quella di Stellantis in Italia si è fermata a 521.842 unità su un totale nazionale di 541mila vetture. Altri carmaker attivi in Italia, come Lamborghini (Volkswagen), Dodge (la Dodge Hornet è prodotta a Pomigliano d’Arco), DR (a Macchia d’Isernia), Automobili Pininfarina, Dallara, Pagani e Ferrari, non incidono molto sul computo dei numeri totali. Le previsioni per il 2024 non sono più rosee: secondo i dati preliminari di Anfia, la produzione di autovetture in Italia ha registrato un calo del 31,3% nel mese di marzo e una diminuzione del 21,1% nel primo trimestre dell’anno.

    Se però guardiamo alle vendite di auto nel Belpaese, il piatto non è mai stato così ricco: i carmaker nel 2023 hanno fatturato 45 miliardi: non era mai accaduto. Si vendono auto più potenti e costose (con prezzi di listino superiori a 35mila euro), con grande ritorno di marginalità. La classe sociale meno abbiente, invece, forse perché strangolata dal plateau inflazionistico, ha smesso di acquistare auto. È così in tutta Europa. Insomma, Volkswagen, Toyota, Renault, Bmw, Audi, ma anche la stessa Stellantis, e tutti gli altri car maker continuano a fare profitti nel nostro Paese. Ma l’industria automobilistica in senso di Oem (per i componentisti il discorso è diverso) sta arrivando anno dopo anno al capolinea. Per responsabilità divise a metà fra la politica inerte e succube dei padroni, e quindi incapace di dettare condizioni e di fare una politica industriale seria, e una classe dirigente economica di livello basso.

    La speranza che un costruttore cinese decida di produrre in Italia è poi assai remota. Non conviene produrre in Italia. I costi energetici sono il doppio rispetto alla Francia, creando un significativo svantaggio competitivo; la lentezza dei processi civili e penali genera incertezza legale, aumentando i rischi percepiti dagli investitori; la rigidità del mercato del lavoro e la fuga di talenti qualificati all’estero complicano il mantenimento e l’attrazione di forza lavoro competente; la fiscalità oppressiva e complessa rappresenta un ulteriore ostacolo per le imprese; infine, la logistica è carente.

    Il quadro è complicato dal fallimento della macchina a zero emissioni, su cui Stellantis aveva puntato: l’auto green non offre vantaggi sufficienti per giustificare i suoi costi e le sue limitazioni, e non riesce a soddisfare le esigenze pratiche e di libertà degli utenti. Per Mirafiori, che produce la 500 elettrica, sono guai.

    D: Ancora a gennaio 2024, il ceo di Stellantis Carlos Tavares ha dichiarato che la sua azienda avrebbe dato un contributo significativo all’obiettivo del governo di aumentare la produzione di auto in Italia, superando il milione di unità all’anno entro il 2030. In realtà Stellantis è a quota mezzo milione; e la quota Stellantis rappresenta la quasi totalità della produzione italiana. L’obiettivo è irraggiungibile?

    Pierluigi Del Viscovo, docente di marketing e sistemi di distribuzione e vendita e fondatore e direttore del Centro Studi Fleet&Mobility.
    R: Certo che è irraggiungibile, il risultato; e si sapeva. Era come dire: vado senza bombole a 400 metri di profondità. Ci sono cose che non possono accadere. Tavares, d’altra parte, che non è nato ieri, aveva posto un insieme di “se” e di condizioni: la sua espressione non era mai all’indicativo. Ma qualcuno si chiede come mai nessuno venga a produrre auto in Italia? Possibile che di tutti i costruttori nessuno colga l’opportunità? O forse la verità è che non c’è nessuna opportunità? In realtà la vicenda è un’altra. Il guaio è il problema-Paese: produrre auto in Italia non conviene. Il resto, comprese le dichiarazioni di Tavares, sono tutte belle favole, cose che non meriterebbero un titolo di giornale.

    D: D’altra parte la produzione è in calo: senza Stellantis non si produce?
    R: Sì, ma la minore produzione è un effetto di una strategia a livello europeo, dell’automotive.

    D: Quale strategia?
    R: L’industria europea dell’auto ha cambiato strategia. Si produce e si vende di meno, ma a caro prezzo e a maggiore marginalità. Prima si trattava di massimizzare i volumi per ottenere convenienti economie di scala su impianti e componentistica; ora si tratta di produrre solo quello che si vende e massimizzando i margini. I supplier non sono più selezionati sul minor costo, ma sulle garanzie che possono offrire. D’altra parte, veniamo da un periodo un po’ particolare: prima, con il Covid, l’auto è rimasta senza microchip; poi è arrivata la crisi di alcune materie prime provenienti dall’Ucraina; poi c’è stato il problema dei rifornimenti di alluminio dalla Cina, poi l’incaglio di Suez, poi i ritardi derivanti dagli attacchi degli Houti in Mar Rosso. La strategia produttiva è stata riconsiderata sulla scorta dei problemi di approvvigionamento. Ma al mondo dell’auto è andata bene così.


    Alfa Romeo Giulia GTA. Se guardiamo alle vendite di auto nel Belpaese, il piatto non è mai stato così ricco: i carmaker nel 2023 hanno fatturato 45 miliardi, cosa che non non era mai accaduta. Ai produttori sembra andare bene così, nonostante la produzione sia in pesante calo.
    D: In che senso ai produttori dell’auto è andata bene così?
    R: Si pensi al Belpaese: il mercato italiano non è mai stato così ricco, nonostante si siano vendute meno auto che nel passato. Nel 2023 le vendite in Italia hanno superato i 45 miliardi di euro. Non era mai accaduto. Lo scorso anno sono state vendute 1,6 milioni di auto nel Belpaese, ma i carmaker hanno incassato più soldi di quando se ne vendevano 2,5 milioni. Ripeto, più soldi con quasi un milione di macchine in meno. A questo mercato il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha appena dato incentivi per circa un miliardo di euro di soldi dei contribuenti, per aiutare le vendite che stanno andando benissimo facendo un sacco di soldi. Può sembrare strano, ma il governo sta sponsorizzando tutto questo. E poi, non si vendono più le macchine a basso prezzo di listino.


    Nel 2023 le vendite in Italia hanno superato i 45 miliardi di euro. Non era mai accaduto. Lo scorso anno sono state vendute 1,6 milioni di auto nel Belpaese, ma i carmaker hanno incassato più soldi di quando se ne vendevano 2,5 milioni. (Fonte: Anfia)
    D: Non si vendono più le macchine a basso costo? Come si è orientato il mercato?
    R: Nel 2019 si sono vendute quasi 130mila auto con un prezzo di listino inferiore a 14mila euro; nel 2022 solo 4mila, poco più dello 0%. Si sono vendute invece oltre 400mila auto con prezzi di listino superiori a 35mila euro, contro le 280mila del 2019. Il mercato si è indubbiamente spostato verso l’alto.

    D: I veicoli Leapmotor saranno commercializzati grazie alla joint venture tra il costruttore asiatico e Stellantis. Ma non saranno prodotti in Italia. Perché?

    Carlos Tavares, ceo di Stellantis, e Jiangming Zhu, fondatore, presidente e ceo di Leapmotor. Stellantis supporterà la commercializzaizone delle auto di Leapmotor, ma la produzione non sarà in Italia. Pesano i lunghi tempi dei processi, il costo elevato dell’energia, la carenza di talenti.
    R: Come dicevo, produrre macchine in Italia non conviene, perché il quadro è negativo. Chi potrebbe farlo, non lo fa; e chi lo fa vorrebbe scappare. Per una serie di ragioni che nulla hanno a che vedere con l’auto. Nel Belpaese l’energia costa il doppio che in Francia e molto di più rispetto ad altri Paesi; la Giustizia è disastrosa: processi legali prolungati creano un ambiente di incertezza che può scoraggiare gli investimenti. Il mercato del lavoro è rigido e ingessato; inoltre, le competenze migliori se ne vanno all’estero. Quanto alla fiscalità, è oppressiva e complicata. La logistica è infine del tutto insufficiente: porti poco efficienti e con strade di accesso inadeguate, trasporto ferroviario ancora peggio, autostrade asfittiche e intasate. Insomma, non c’è ragione per produrre in Italia; e di conseguenza Stellantis commercializza ma non realizza i prodotti Leapmotor nel Belpaese. E ciò in un contesto in cui i Cinesi hanno già messo un piede in Italia, e lo hanno fatto in brevissimo tempo.

    D: I produttori cinesi hanno messo un piede in Italia in breve tempo?
    R: I Giapponesi sono sbarcati alla fine degli anni Ottanta, e hanno l’11%, il 12% del mercato. I coreani venti anni fa, e ora detengono una quota del 5%-6%. I Cinesi tre anni fa, e considerate tutte le macchine prodotte in Cina (e commercializzate con altri marchi) sono già al 6%. È tantissimo. Ora i Cinesi hanno bisogno di produrre in Europa. Per l’Italia sarebbe una grande occasione, ma che non si tradurrà mai in realtà, per via degli ostacoli generali di cui abbiamo parlato.

    D: Perché i Cinesi hanno bisogno di produrre in Europa?
    R: Un po’ per bypassare i dazi del Vecchio Continente; e soprattutto perché per l’industria automobilistica è poco conveniente fabbricare auto in luoghi lontani e oltremare. Le auto sono scatole vuote, che pesano poco rispetto al volume occupato. Quante ce ne stanno di auto in un container? Pochissime. Dunque, considerati i costi del nolo, è più conveniente spedire dei motori che delle auto complete. E sono costi che oggi incidono molto, sotto una certa soglia di prezzo. Pesano poco, se sposto Ferrari o Lamborghini; tantissimo se lo faccio con una utilitaria, anche se è elettrica. È il motivo per cui Ford produce in Europa, o per cui produttori europei e asiatici fabbricano in Messico, per servire gli Usa.

    D: E in quali Paesi si produrranno le auto cinesi in Europa?
    R: In realtà, quando si tratta di favorire l’insediamento di uno stabilimento produttivo, i Paesi europei si fanno la guerra tra di loro, a colpi di offerte, concessioni e aiuti al produttore. Byd è sbarcata a Szeged, in Ungheria. Il governo Orban ha promesso di prendersi carico delle infrastrutture necessarie e altri aiuti statali. Da noi c’è una strana classe politica. Urso ha dichiarato che l’Italia è pronta ad entrare nel capitale di Stellantis.


    La produzione di vetture è in costante calo in tutta l’Europa. Nonostante questo, i margini per i produttori sono in aumento, dal momento che si è praticamente smesso di vendere vetture a basso costo. (Fonte: Anfia)
    D: A Mirafiori è rimasta la 500 elettrica. A proposito, sembra andare tutto male. Perché l’elettrico non decolla? Era scritto?
    R: Perché avrebbe dovuto decollare? È una cosa che non funziona: costa di più, ma non ha nulla di più di un’auto termica, anzi offre di meno. Poniamo che una persona intenda portare la famiglia tra i borghi della Toscana. Dovrebbe impegnare il proprio tempo per studiare i tracciati, capire se c’è la colonnina, se è funzionante e se è libera. Ammesso che nel borgo tal dei tali la colonnina ci sia, e ammesso che sia libera, una volta collegata la batteria per la ricarica, uno esattamente cosa deve fare? Rimanere in macchina per un’ora e passa con la famiglia? Ma andiamo. È il contrario della libertà personale. Mi viene in mente il Gattopardo, il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: quando Don Fabrizio e la famiglia Salina si recano a Donnafugata, devono cambiare i cavalli.


    Nel 2019 si sono vendute quasi 130mila auto con un prezzo di listino inferiore a 14mila euro; nel 2022 solo 4mila, poco più dello 0%. Si sono vendute invece oltre 400mila auto con prezzi di listino superiori a 35mila euro, contro le 280mila del 2019.
    Ecco: l’auto elettrica ci ha riportato a quella condizione; ed è per questo che non la vuole nessuno. Non è un caso che su circa un miliardo di incentivi auto per il 2024, 610 milioni sono i “nuovi” soldi, e 320 milioni sono avanzati dal 2023 perché destinati alle elettriche e non utilizzati. Eppure, le auto con maggiore possibilità di accesso fondi come sempre sono quelle con emissioni minori.

    D: All’auto elettrica hanno aderito solo gli early adopters. Ora sarà un lungo inverno?

    La Fiat 50e è uno dei modelli elettrificati di maggior successo di Stellantis. Ma l’auto elettrica oggi non interessa più a nessuno: l’hanno acquistata solo gli early adopter.
    R: Per qualsiasi novità, ci sono sempre gli early adopters. Qui la citazione è meno colta. Mi viene in mente il personaggio di Furio, il marito di Magda interpretato da Carlo Verdone, che pianificava tutto del viaggio. Quel tipo di mobilità oggi non può esistere. Cerchiamo la libertà di decidere all’ultimo momento dove andare e quando partire. Gli early adopters non mancano mai, come non mancano i disagiati. Quanto ai vantaggi relativi all’ambiente, nel caso dell’auto green sono inesistenti. È pura follia.

    D: Le case automobilistiche hanno preso un abbaglio?
    R: Ad un certo punto si è creato un ambiente in cui era diventato impossibile esprimere dei dubbi; benché chiunque si occupasse a vario titolo della materia di dubbi ne avesse parecchi. Un ambiente avvelenato. Chiunque si opponesse, passava per mostro. Un ambiente pericoloso.

    D: Dalla vicenda di Alfa Romeo, di fatto “regalata” alla Fiat dei tempi, si ha l’impressione che i governi italiani abbiano sbagliato tutto in tema di strategia per produrre in Italia. Siamo solo all’ultimo capitolo di una lunga saga?
    R: Ma perché, logicamente, un governo dovrebbe fare gli interessi dell’industria, o quelli della Nazione? Alla fine, un esecutivo è una coalizione di partiti che si nutre di voti attraverso delle narrazioni che piacciono al proprio elettorato, la clientela politica. Tante forze politiche hanno danneggiato, anche seriamente, il Paese, eppure sono ancora lì. Ciò che conta è la soddisfazione delle folle, non fare le cose giuste.

 

 

16.08.24
  1. BORSE BLUF :   DIETRO I CROLLI A PIAZZA AFFARI DELLA PRIMA SETTIMANA DI AGOSTO CI SONO LE MOSSE DEGLI ALGORITMI ULTRAVELOCI, GLI “HIGH FREQUENCY TRADER” CHE NELLA SEDUTA DEL PRIMO AGOSTO HANNO GESTITO IL 74% DEGLI SCAMBI – I ROBOT AGISCONO CON UNA RAPIDITÀ IMPENSABILE PER GLI INVESTITORI “TRADIZIONALI”. MA È LEGALE? NON SEMPRE. UN ESEMPIO? IL COSIDDETTO “SPOOFING” OVVERO...
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    Estratto dell’articolo di Vittorio Carlini per "il Sole 24 Ore”


    Prima: contribuire alla spinta all’ingiù. Poi: lo stare un po’ più alla finestra (mentre gli operatori tradizionali, presi anche dal panic selling, vendono a mani basse). Infine: tornare sul mercato in acquisto, sfruttando l’abbozzo di rimbalzo. Così può riassumersi la strategia dei robot trader ultraveloci nelle giornate dei crolli a Piazza Affari dell’1, 2 e 5 agosto.

    La riprova? La offrono i dati, calcolati da Ematrend su richiesta del Sole 24 Ore, in merito all’operatività degli High frequency trader (Hft). Nella seduta del primo crollo (1 agosto), i volumi degli Hft, riguardo al future Ftse Mib, sono saliti - rispetto al giorno precedente - del 61,7%. Un balzo che porta - sempre il primo agosto - la quota attribuibile agli algoritmi flash sul totale dei volumi del derivato al 74,38%.



    Il valore, inutile negarlo, è molto elevato. Vero! Nei giorni successivi la percentuale è rimasta in linea, o è leggermente calata. Ciò detto, però, la dinamica di fondo resta immutata.


    «A ben vedere -spiega Enrico Malverti, fondatore di Ematrend - gli High frequency trader hanno agito soprattutto il 2 agosto, anticipando il crollo ulteriore del lunedì successivo». Una strategia che, da una parte, ha sfruttato la caduta dei listini; e che, dall’altra, «ha contribuito allo stesso iniziale scivolone il quale, evidentemente, è stato cavalcato dagli operatori ultraveloci».



    Quegli Hft che, per l’appunto, hanno leggermente ridotto le loro mosse il 5 agosto, portando al 69% il loro peso sugli scambi totali del future sul FtseMib. «In quella seduta, il ribasso del mercato è da attribuirsi maggiormente agli investitori tradizionali che, anche in scia al “panic selling”, hanno buttato giù i corsi azionari».


    Si tratta di un contesto in cui il “flash boys” hanno un po’ frenato le loro mosse. Sebbene […] l’attività di vendita sia rimasta sostenuta. Poi, nelle giornate successive - mentre il retail è rimasto in modalità sell - «gli High frequency trader hanno ripreso la strada degli acquisti, sia per ricoprirsi che per avvantaggiarsi dei nuovi prezzi più bassi».



    […] Già, prezzi più bassi. Ma quali le società maggiormente nel radar degli Hft? «In generale - risponde Malverti - si tratta delle società finanziarie. Il primo e il 2 agosto, BPER, Unicredit, Mps, Mediolanum e Mediobanca sono tra le azioni maggiormente “lavorate” da questa tipologia di operatori».
    L’istituto di piazza Gae Aulenti, in particolare, ha «avuto, sempre venerdì - un balzo nei volumi che per il 51% è ascrivibile proprio ai robot ultraveloci». Quegli algoritmi i quali, peraltro, non si sono dimenticati di un titolo hi tech come StMicroelectronics. Dopodiché, gli Hft sono rimasti a vendere nella seduta del 6 agosto (con l’eccezione di A2A, Amplifon, Enel e Nexi) per, infine, tornare in massa all’acquisto il giorno successivo.



    […] Insomma: come era lecito attendersi gli algoritmi super veloci, complice il balzo della volatilità, hanno recitato un ruolo da protagonisti nelle giornate in rosso di Piazza Affari. Una situazione che, inevitabilmente, suscita polemiche. […] Diversi esperti ed operatori invitano a non scagliare pietre contro gli Hft. «Sono state introdotte molte restrizioni alla loro operatività», è il leit motiv. Cui si aggiunge il commento di Malverti: «Danno liquidità al sistema, lubrificando il motore delle Borse».

    Potrà anche essere! E, tuttavia, non deve dimenticarsi che le loro molteplici strategie, non così di rado, sono fuori della legalità. Un esempio? Il cosiddetto “spoofing”. Cioè, in parole semplici, l’invio - in un millisecondo - di migliaia di proposte di negoziazione con l’intenzione non di effettuare la compravendita, bensì di indurre il mercato a pensare ci sia in arrivo una finta operatività (al rialzo o al ribasso).



    Al di là di ciò, i flash boys possiedono comunque diversi mezzi (leciti) per fare leva sulla loro superiorità tecnologica rispetto agli altri attori del mercato. E, di certo, non avranno posto limiti alle varie strategie proprio durante le recenti sedute negative a Piazza Affari.
    Così può pensarsi, tra le altre cose, alla tattica con cui gli algoritmi sfruttano la pervasività dell’analisi tecnica. I robot possono, ad esempio, puntare a determinati livelli di supporto (valori di prezzo dove la pressione rialzista è maggiore di quella ribassista).

    Si tratta di quote ben note agli operatori, al di sotto delle quali molti investitori tradizionali posizionano i cosiddetti “stop loss”. Vale a dire: livelli di prezzo che, se rotti all’ingiù, fanno scattare le vendite per limitare le perdite. Ebbene: gli Hft, sfruttando la crisi in Borsa e grazie alla loro potenza di fuoco, hanno creato flussi di vendita proprio sui supporti.

    L’effetto? Di lì sono partiti ulteriori “sell”, ad opera di quegli operatori che avevano posizionato gli “stop loss”.

    Con il che, da una parte, è stata amplificata la caduta del titolo; e, dall’altra, il robot ultraveloce […] si è portato a casa la plusvalenza.

    Ma non è solo questione di supporti, resistenze e analisi tecnica. Quando i mercati salgono sull’ottovolante, la differenza tra le proposte di negoziazione in vendita e quelle in acquisto normalmente si allarga. È una condizione dove l’High frequency trade, posizionandosi su entrambe le parti del mercato, riesce a lucrare le differenze di prezzo.
    In altre parole: effettua degli arbitraggi. Quegli arbitraggi che, a fronte della presenza di molteplici sedi di esecuzione […] vengono portati a termine tra le diverse quotazioni presenti sulle piattaforme digitali. Si dirà: ma questo possono farlo anche gli investitori tradizionali. Corretto! Eppure, nella iper tecnologizzazione della microstruttura dei listini, è chiaro che chi è più veloce ha un vantaggio importante.

    Non solo perché riesce […] a sfruttare operativamente lo sfasamento di prezzo. Ma anche perché, solitamente, ha alle spalle un’infrastruttura hi tech che gli consente, ad esempio, di vedere prima lo scarto tra le quotazioni. Insomma: sul medio lungo periodo gli investitori tradizionali, che magari si basano sui fondamentali delle aziende e tengono in considerazione i multipli di mercato, potranno ancora dire la loro. Sul breve invece, ad eccezione di qualche “scalper”, non c’è partita. Chi dice il contrario o è in mala fede oppure conosce poco le dinamiche dei listini.
  2. FARANNO IL COPIA ED INCOLLA: ALL YOU CAN FLY - "WIZZ AIR" LANCIA L'ABBONAMENTO PER VOLARE SENZA LIMITI: CON 599 EURO POTRANNO PRENDERE TUTTI GLI AEREI CHE SI VORRANNO, PAGANDO SOLO 9,99 EURO A BIGLIETTO - SE SI SOTTOSCRIVE ENTRO FERRAGOSTO IL COSTO DELL'OFFERTA E' DI 499 EURO - MA FATE BENE I CONTI, LE ROTTE NAZIONALI SONO ESCLUSE DAL PASS E PER PRENOTARE I VOLI AL PREZZO STRACCIATO E' NECESSARIO UN ANTICIPO DI ALMENO 72 ORE...
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    Estratto da www.corriere.it


    Wizz Air, la compagnia aerea low cost ungherese, lancia la membership card «All You Can Fly» che offre una ampia scelta di voli per un periodo di 12 mesi al prezzo di 599 euro (499 euro in fase di lancio, fino a Ferragosto) verso oltre 800 destinazioni, a cui vanno aggiunti 9,99 euro per ogni tratta.



    La «Wizz All You Can Fly» membership è la prima carta di questo genere in Europa e la compagnia aerea è l’unica ad offrire un numero così esteso di voli a prezzo fisso.



    La membership annuale da 599 euro darà ai viaggiatori accesso ai voli su tutta la rete Wizz Air, con una tariffa di prenotazione a soli 9,99 euro. Questa nuova membership card offrirà dunque ai viaggiatori un’opportunità per viaggiare quanto desiderano, permettendo loro di risparmiare sul prezzo abituale dei biglietti.
    Le mete previste spaziano dal Mare del Mediterraneo alle escursioni nelle Alpi Austriache, fino alle grandi capitali europee come Parigi e Londra. La Wizz All You Can Fly membership connetterà i viaggiatori alle migliori destinazioni per un city break, sia in Europa che oltre.



    Lo strumento si adatta ai frequent flyer e la membership è valida per un passeggero per un periodo di 12 mesi. Gli affiliati potranno scegliere tra le destinazioni disponibili 72 ore prima della data e dell’ora di partenza.
    La compagnia aerea, come detto, ha lanciato anche un’offerta di prevendita limitata della All You Can Fly membership a un prezzo scontato di 499 euro. La prevendita è iniziata alle 10 del 13 agosto 2024 e durerà fino alle 23:59 CET del 15 agosto. Dopo la prevendita, la membership sarà disponibile al prezzo regolare di 599 euro.



    I passeggeri potranno prenotare voli all’interno della Wizz All You Can Fly membership a partire dal 25 settembre 2024. I clienti Wizz Air potranno utilizzare la membership per volare quanto vorranno. Potranno viaggiare da quasi 200 città in oltre 50 Paesi su 800 rotte.



    La carta promozionale prevede alcune limitazioni. La principale di questa è che le rotte nazionali italiane sono escluse dal pass: questo vuol dire che non sarà possibile sfruttare questo abbonamento se si è pendolari tra due aeroporti italiani serviti da Wizz Air.

    Con la registrazione a Wizz All You Can Fly inoltre è possibile prenotare voli di sola andata disponibili entro 3 giorni di calendario (72 ore) prima della partenza. È possibile inoltre prenotare un massimo di 3 voli di sola andata per 1 giorno (24 ore).



    Wizz All You Can Fly può essere utilizzato per la prenotazione solo se si è l’unico passeggero. E una volta prenotato un volo con Wizz All You Can Fly la prenotazione non può essere modificata in seguito. Servizi aggiuntivi possono essere acquistati e aggiunti alla prenotazione del/i rispettivo/i volo/i prima della partenza. Il pagamento di tali servizi (come bagaglio o priorità) non è coperto da Wizz. [...]



    Comprare questo abbonamento significa «investire» 600 euro anticipatamente e senza alcuna possibilità di rimborso. Occorre quindi leggere bene e fare i conti. Se si è pendolari dei cieli italiani non ha senso comprarlo. Al contrario se si vola spesso da un aeroporto servito da Wizz Air, verso destinazioni internazionali allora potrebbe avere senso.



    Certo bisogna calcolare che ogni volta che si staccherà un biglietto si avrà un costo aggiuntivo, al netto di eventuali supplementi, di 9,99 euro. L’ultima considerazione è che dalla proposta sono esclusi i voli last minute, dato che viga l’obbligo di prenotare con almeno 72 ore di anticipo.
  3. Mandato d'arresto per l'ucraino che danneggiò il gasdotto Nord Stream
    Germania, sabotaggio in una base Nato "Inquinati i sistemi dell'acqua potabile"

    Uski Audino
    Per un sabotaggio che comincia a chiarirsi - quello del gasdotto Nord Stream 1 e 2 a due anni dalla sua esplosione - due nuovi ne spuntano in luoghi altrettanto strategici: le basi militari dell'aviazione tedesca.
    Ieri è venuto alla luce il primo mattone di una verità giudiziaria ancora da costruire nel complicato caso del gasdotto che collegava la Russia alla Germania, la principale arteria di diffusione del gas russo in Europa fatta saltare da ignoti il 26 settembre del 2022. La storia è questa. La Procura generale federale tedesca emette in giugno un mandato di cattura europeo per un cittadino ucraino residente in Polonia, Wolodymyr Zhuravlov, che vive nella cittadina polacca di Pruszkow a Sud-Ovest di Varsavia. Si tratta di un istruttore subacqueo di 44 anni. Le autorità polacche, che hanno 60 giorni per eseguire il mandato, arrivano a casa del presunto membro del commando responsabile dell'esplosione di Nord Stream ma non trovano nessuno. Zhuravlov ha già ha lasciato la Polonia ed è tornato in Ucraina in luglio. Segue un rimpallo di responsabilità tra Berlino e Varsavia, dove le autorità polacche sostengono che quelle tedesche avrebbero mancato di inserire il sospetto nel registro dei ricercati europei, cosa che gli avrebbe permesso di tornare indisturbato in Ucraina senza essere fermato dalle guardie di frontiera polacche. Il primo mattone della verità giudiziaria si rivela instabile. Ma l'impalcatura investigativa resta salda.
    Secondo la ricostruzione della procura, Zhuravlov faceva parte di un commando di tre persone, due uomini e una donna, Evgen U. e Svitlana U. fondatori di una scuola di sub. I tre avrebbero affittato in Polonia un'imbarcazione - la Andromeda. Successivamente, durante una crociera di 18 giorni che aveva toccato l'isola tedesca di Rügen, le isole danesi di Bornholm e Christiansø, e la località svedese di Sandhamn nel Mar Baltico, i tre avrebbero raggiunto la posizione giusta per compiere un'immersione a 80 metri di profondità. La carica esplosiva fatta detonare aveva danneggiato tre elementi del gasdotto su quattro. Poi il commando era sparito nel nulla. Ma le tracce rimaste erano innumerevoli: resti di esplosivo Hmx sulla barca, tracce di dna, passaporti falsi per affittare l'imbarcazione, testimoni che ne riconoscono i volti, infine una foto dell'autovelox scattata in autostrada la notte dell'8 settembre 2022 vicino all'isola di Rügen che ritrae proprio Volodymyr. Ma la foto da sola non sarebbe bastata a reggere l'intero impianto accusatorio, è solo l'ennesimo indizio corroborato da testimonianze. Ma il punto scottante dell'indagine resta ancora da chiarire e riguarda il mandante politico dell'esplosione del gasdotto. Qual era la copertura dell'intera operazione? A chi faceva capo il commando? Secondo Washington Post e Spiegel il gruppo faceva riferimento a Roman Tscherwynsky, un ufficiale decorato dei servizi segreti militari ucraini, che a sua volta riferiva a Valerij Fedorovy? Zalužnyj, ex comandante in capo delle Forze armate ucraine, ora inviso a Zelensky.
    Il secondo caso di sabotaggio è quello avvenuto in due basi militari tedesche, una Nato a Geilenkirchen e l'altra della Bundeswehr a Colonia-Wahn. In entrambi i casi il sospetto è di sabotaggio al sistema idrico, cioè di una voluta contaminazione del sistema d'acqua potabile che ha reso inagibili le due caserme. E non si tratta di sedi qualunque ma Colonia-Wahn è la più grande base aerea delle forze armate tedesche. —
  4. LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI BRESCIA: "NON sono al SICURO"
    Orfani ospitati in Italia, "stop al rimpatrio" Kiev aveva chiesto il rientro da Bergamo

    Restano in Italia i 57 orfani tra i 6 e i 16 anni, ospitati in tre centri bergamaschi dall'inizio del conflitto con la Russia. Lo ha deciso il tribunale per i minorenni di Brescia che, con un decreto, ha confermato, con effetto immediato, l'affido dei minori ucraini ospitati in provincia di Bergamo ai Servizi sociali italiani «perché li mantengano collocati negli attuali luoghi di accoglienza», di fatto senza limiti temporali. In precedenza si era parlato di una proroga di due settimane per la loro permanenza, ma di fatto il decreto del tribunale scavalca questa decisione e la rende al momento senza limiti di tempo. Inizialmente infatti il tribunale aveva dato il via libera al rientro chiesto dalle autorità ucraine, sottolineando «l'assenza di ragioni» alle richieste dei rappresentanti di Kiev sui ragazzi «solo provvisoriamente ospitati in Italia» su richiesta ucraina. Il decreto rileva però che «come segnalato negli ultimi giorni dai tutori, dal ministero della Giustizia e dall'Unhcr» numerosi ragazzi hanno presentato, e altri hanno intenzione di presentare, domanda di protezione internazionale alla commissione territoriale «temendo per la propria incolumità in relazione al rientro in zone prossime al teatro delle operazioni belliche in fase di recrudescenza». E quindi «alla luce di tale fatto nuovo» ritiene «di sospendere temporaneamente il rientro in Ucraina dei predetti minori onde consentire alla commissione di svolgere la propria istruttoria e assumere le decisioni del caso in relazione alle richieste presentate dai minori».
  5. Secondo il Kiel Institute, munizioni e forniture per 111 miliardi di dollari da Bruxelles e Washington
    Dai droni turchi a i blindati del Regno Unito Ecco come gli alleati riforniscono Zelensky

    francesco semprini
    new york
    Tra il febbraio 2022 e il febbraio 2024, secondo uno studio del Kiel Institute, osservatorio di ricerca tedesco, ripreso da Bbc, gli Stati Uniti hanno consegnato o impegnato armi e attrezzature per un valore di 46,2 miliardi di dollari all'Ucraina. La Germania ha donato all'Ucraina armi e attrezzature per un valore di 10,7 miliardi di dollari, il Regno Unito 5,7 miliardi di dollari, la Danimarca 5,2 miliardi di dollari e i Paesi Bassi 4,1 miliardi di dollari. A questi si aggiungono i pacchetti da 61 e 50 miliardi approvati quest'anno rispettivamente da Usa e Ue. Ma quali armi hanno fornito i Paesi occidentali all'Ucraina?
    Armi anticarro
    I Paesi occidentali hanno risposto all'invasione russa nel febbraio 2022 fornendo alle forze armate ucraine armi difensive per contrastare le brigate corazzate russe. Gli Usa e il Regno Unito hanno fornito migliaia di missili anticarro Javelin e Nlaw. Per il combattimento via terra l'Italia ha inviato anche mitragliatrici M2 Browning e Mg.
    Sistemi di difesa aerea
    Per contrastare la superiorità aerea russa e i suoi attacchi alle città e alle infrastrutture ucraine, l'Ucraina ha ricevuto diversi tipi di sistemi di difesa aerea. Questi vanno dall'arma antiaerea a corto raggio del Regno Unito, Starstreak, al sistema missilistico Patriot, i cui costi di utilizzo sono tuttavia elevati visto che ogni missile vale 3 milioni di dollari. Gli Stati Uniti e la Norvegia hanno anche fornito i Nasam (National Advanced Surface-to-Air Missile System) per la difesa aerea, e la Germania ha messo a disposizione l'Iris-T. L'Italia avrebbe inviato anche lanciatori terra-aria Stinger.
    Artiglieria e missili
    Dopo la ritirata della Russia da Kiev, l'uso di artiglieria e missili è stato ampio e intenso da entrambe le parti. In favore dell'Ucraina, Australia, Canada, Usa e altri Paesi hanno inviato obici e munizioni M777. Anche gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno fornito sistemi missilistici tra cui Himars e M270 Mlrs. L'Ucraina ha anche ricevuto missili a lungo raggio come Scalp dalla Francia, Storm Shadow dal Regno Unito, e presumibilmente dall'Italia, e Atacms dagli Stati Uniti. Questi ultimi hanno anche fornito la versione a più lungo raggio dell'Atacms, che può percorrere 300 km. Da qui è nata la polemica sull'utilizzo di tali armamenti oltre i confini.
    Bombe
    Nel luglio 2023, gli Stati Uniti dichiararono di aver fornito bombe a grappolo all'Ucraina, per aiutare a spostare le truppe russe dalle posizioni difensive. Queste armi, consegnate per lo più sotto forma di proiettili di artiglieria, disperdono molteplici bombe e sono vietate da più di 100 paesi a causa del rischio che rappresentano per i civili, come spiega Bbc.
    Tank
    All'inizio del 2023, le nazioni occidentali hanno accettato di inviare carri armati in Ucraina. Si sperava che avrebbero consentito all'Ucraina di violare le linee difensive russe. Il Regno Unito ha fornito il Challenger 2. Gli Stati Uniti hanno inviato 31 carri armati Abrams e le nazioni europee hanno inviato diversi carri armati Leopard 2 di fabbricazione tedesca. L'M1 Abrams costruito negli Usa è stato descritto come il carro armato più avanzato al mondo.
    Droni
    I velivoli senza pilota hanno avuto un ruolo importante durante la guerra, per la sorveglianza, il targeting, il lancio di missili e come armi "kamikaze". All'inizio della guerra la Turchia ha fornito droni Bayraktar TB2 lanciamissili, gli Stati Uniti hanno fornito droni kamikaze "Switchblade" e diversi paesi hanno inviato droni di sorveglianza commerciale, come il DJI Mavic 3 di fabbricazione cinese. Nel febbraio 2024, il governo del Regno Unito ha dichiarato che si sarebbe unito a una coalizione di paesi che avrebbero fornito all'Ucraina migliaia di droni con «visione in prima persona», per l'osservazione e l'individuazione dei bersagli.
    Velivoli
    L'Ucraina ha costantemente chiesto agli Stati Uniti aerei da combattimento, per contrastare la superiorità aerea della Russia. Nel maggio 2023, Washington ha acconsentito la fornitura di F-16 di fabbricazione statunitense da parte di altre nazioni. Danimarca, Paesi Bassi e Norvegia si sono offerti. Le prime forniture sono giunte ad agosto. I piloti ucraini ricevono addestramento in undici Paesi occidentali.
  6. tentativo di contatti per un progetto nell'est europa
    Hunter Biden, l'intrigo arriva in Italia
    Si apre un caso italiano per Hunter Biden. Nel 2016 il figlio del presidente uscente degli Stati Uniti, allora vice di Barack Obama, ha chiesto aiuto al dipartimento di Stato e all'ambasciata americana in Italia per un affare nel settore geotermico che coinvolgeva la società energetica ucraina Burisma, di cui era consigliere, e la Regione Toscana.
    A svelare l'intreccio è il New York Times, entrato in possesso di documenti che l'attuale amministrazione «per anni aveva evitato di rendere pubblici». La richiesta all'ambasciatore statunitense a Roma di quel periodo, John Phillips, era di ottenere un contatto con il governatore della Toscana, Enrico Rossi, per imbastire un incontro sul progetto per cui la compagnia aveva difficoltà a ottenere il via libera normativo. Imbarazzo dai diplomatici. Anche perché Burisma non era statunitense. Ma l'avvocato di Hunter Biden, Abbe Lowell, minimizza ribadendo che la richiesta fosse «appropriata». E che il suo assistito aveva contattato «varie persone» riguardo il progetto.
    Alla fine, nessun incontro è andato in porto, spiega il legale. Anche Rossi conferma. Dalla Casa Bianca assicurano che Joe Biden non sapeva nulla della vicenda. Ma ad alimentare sospetti e accuse dei repubblicani è il dipartimento di Stato che ha iniziato a diffondere i documenti una volta che il Nyt gli ha fatto causa dopo essersi visto rifiutare una richiesta in base al Freedom of Information Act (Foia). E la lettera di Hunter all'ambasciatore è iniziata a circolare post ritiro dalla corsa di Biden.
    Per la Casa Bianca è solo un caso: l'ok alla pubblicazione c'è stato una settimana prima del passo indietro di Biden. I dubbi restano. Con Hunter Biden che aggiunge un nuovo capitolo in chiaroscuro dopo la condanna di giugno nel processo per acquisto e possesso di un'arma.

 

 

 

15.08.24
  1. LE SOLITE ILLUSIONI :      Nelle casse dem grazie al 2per mille sono entrati oltre 8 milioni di euro. Boom di adesioni dopo l'ultima campagna elettorale per le Europee
    Pd, i conti tornano: è record di donazioni
    flavia amabile
    roma
    Crescita record del 2 per mille per il Pd. Al 31 luglio 2024 ha raccolto 1.758.613 euro con un aumento di 75.902 scelte rispetto al 31 luglio dello scorso anno. Si tratta di una conferma ma non solo. «Il Pd è da sempre il primo partito in termini di scelte. - spiega Michele Fina, senatore e tesoriere nazionale del partito - Da solo raccoglie circa un terzo dell'intero plafond e quasi il doppio del secondo partito che lo scorso anno è stato Fratelli d'Italia. In questi mesi avevamo capito che la raccolta stava andando bene ma non ci aspettavamo questo record».
    Dopo l'abolizione dei rimborsi elettorali, il 2 per mille è l'unica forma di finanziamento pubblico rimasta ufficialmente a disposizione dei partiti, una scelta che viene fatta in modo volontario dalle e dai contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi. Alla fine del 2023 il Pd aveva raccolto 8.118.192 euro mentre il secondo partito, Fratelli d'Italia, ne aveva incassati 4.807.551. Una distanza che, se dovesse essere confermata la tendenza dei primi sette mesi del 2024, potrebbe aumentare ancora. In base ai dati di fine luglio il Pd ha ottenuto 495.021scelte per un equivalente economico di 7.530.654,96 euro (con un imponibile totale di 3.765.327.478 euro). Al 31 luglio 2023, il numero di scelte per il Pd fu di 419.119 con un equivalente di 5.772.041 euro (e un imponibile di 2.886.020.786 euro). «È un record storico per il Pd da quando esiste il 2x1000», sottolinea Fina. A spiegare il record, secondo il tesoriere dem sono quattro elementi: «Durante la campagna elettorale abbiamo avuto un ritorno chiaro di persone che tornavano a scegliere il 2 per mille per il Pd perché la nostra comunità si è sentita rappresentata da una linea politica netta su lavoro, sanità e diritti. In secondo luogo c'è stato il fattore Elly con un affetto nei suoi confronti e il desiderio di dare una mano. E poi c'è stato l'apprezzamento per l'unità del Pd pur all'interno del pluralismo. C'è stato però anche un quarto fattore su cui ho lavorato da un anno e mezzo: il fattore territorio».
    Dallo scorso anno, infatti, il Pd ha deciso di restituire ai territori l'aumento dei fondi arrivati attraverso il 2 per mille secondo quella che Fina definisce «una ripartizione premiale» calcolata in base all'aumento realizzato nelle varie province. Alla fine «il 70 per cento della crescita è stata inviata ai territori e il resto utilizzato a livello centrale. Questo ha fatto sì che la rete presente a livello locale abbia sentito ancora più sua questa forma di raccolta e si sia impegnata ancora di più quest'anno», spiega Fina.
    Quello che infatti spiega il successo costante del Pd nella raccolta del 2 per mille è proprio la rete presente sul territorio formata da migliaia di circoli, amministratrici e amministratori locali, feste dell'Unità, iscritte e militanti. «Il 2 per mille è uno strumento poco conosciuto, funziona se la rete lo promuove. Sarebbe opportuno quindi, che lo Stato informasse attraverso la tv i cittadini della sua esistenza. Questo consentirebbe di far fare ai partiti un salto in avanti significativo nella raccolta di fondi», sottolinea il tesoriere. Per il Pd il 2 per mille rappresenta l'80% del bilancio.
    Nessuna nostalgia del finanziamento pubblico? A questa domanda Fina risponde in modo netto: «Bisogna prima aprire una discussione per arrivare a una legge sui partiti definendo la loro organizzazione in totale trasparenza. Solo dopo si può affrontare la questione del finanziamento pubblico». —

 

 

 

14.08.24
  1. LADRI :  Un guasto ha mandato in tilt l'impianto elettrico. Il Pd: "Dov'è il documento che certifica la conformità dell'edificio?" La Regione: arriva a novembre
    Grattaci elo allagato, dipendenti in smart Il giallo del collaudo tecnico mancante
    Pier Francesco Caracciolo Giulia Ricci
    In smart working fino a domani, ultimo giorno lavorativo della settimana. Questo il provvedimento disposto dalla Regione per i dipendenti del grattacielo, da ieri mattina al lavoro da casa. È l'effetto del guasto che, nella notte tra domenica e lunedì, ha interessato la torre in piazza Piemonte. Ma a distanza di quasi due anni dal taglio del nastro, manca ancora il certificato di collaudo tecnico e amministrativo, il documento che indica se l'edificio rispetta quanto scritto nero su bianco sul contratto d'appalto (e nelle norme).
    A causa di una copiosa perdita d'acqua in un locale tecnico al quarantaduesimo piano, ieri l'impianto elettrico dell'edificio è andato in tilt, lasciando gli uffici al buio. Il contrattempo ha indotto la direzione generale a rispedire a casa i dipendenti che si erano presentati davanti alla porta d'ingresso. A metà pomeriggio il guasto è stato riparato dagli operai ma la direzione, in accordo con i tecnici, ha deciso di non riaprire la torre. Il sistema di climatizzazione interna, infatti, ha bisogno di 48 ore per riavviarsi e rinfrescare tutti gli ambienti: in questi giorni di caldo afoso i dipendenti sarebbero stati accolti da una temperatura non idonea.
    Quello di ieri è solo l'ultimo di una serie di inconvenienti per il grattacielo, inaugurato a ottobre 2022 dopo 11 anni di lavori (sette in più del previsto). Ad agosto dello scorso anno, complice l'errore di un tecnico, un pannello del controsoffitto di un ufficio era venuto giù al sesto piano, fortunatamente senza conseguenze. Nei giorni precedenti i sindacati avevano denunciato altri problemi, tra cui l'assenza di defibrillatori, il malfunzionamento dell'impianto di climatizzazione, diversi guasti agli ascensori e la continua mancanza di acqua nei bagni. Sempre nel 2023 era scoppiato il caso del collaudatore Natale Comito, che aveva dato le dimissioni dopo aver denunciato di sentirsi «pressato» nel suo lavoro, utile a conseguire il «certificato di collaudo tecnico amministrativo». Un controllo che non riguarda la stabilità e la sicurezza dell'edificio, ma la conformità dei lavori a quanto scritto nel contratto: per fare degli esempi, se il materiale usato per il pavimento o per le finestre sia quello concordato, così come il numero di piani o la quantità di rastrelliere per le bici. E che deve essere effettuato entro sei mesi dalla fine dei lavori.
    «Il 27 febbraio 2023 (5 mesi dopo il termine fissato per legge) – denuncia il consigliere del Pd Daniele Valle – mancava ancora il collaudo. Rispondendomi in quella data, l'assessore Tronzano dichiarava che la ragione del ritardo era dovuta al fatto che a fine luglio 2022 i collaudatori non erano "in possesso dei documenti necessari, tra cui il conto finale dei lavori". Conto arrivato proprio a febbraio 2023, un anno e sette mesi dopo la dichiarazione di fine lavori. Tronzano, quindi, annunciava che vi erano le condizioni di predisporre la relazione finale e che entro sei mesi sarebbe arrivato il certificato».
    Quel documento, però, ancora non c'è. Dalla Regione fanno sapere che arriverà a novembre 2024, perché si tratterebbe di un'analisi da concludersi entro un anno dal termine di tutte le lavorazioni, anche le "finiture" ( e quindi novembre dell'anno scorso, dicono). Insomma, è "giallo" su quale sarebbe la data in cui inserire la conclusione ufficiale del cantiere del grattacielo, e quindi la vera deadline entro la quale andrebbe presentato il tanto atteso certificato di collaudo. Giulio Manfredi dei Radicali, intanto, aspetta ancora «le analisi sulla potabilità dell'acqua».
  2. FUTURI FURTI :In prima battuta la giunta si era rivolta a Cassa Depositi e Prestiti per sostenere i costi Secondo i giudici della Corte dei Conti l'indebitamento complessivo preclude l'operazione
    Nuovi ospedali, proibito il mutuo Per i progetti si attinge dal bilancio
    alessandro mondo
    Nuovi ospedali, mutui off limits, si cambia in corsa. Una decisione obbligata, quella della giunta regionale, stante il recente richiamo della Corte dei Conti. Dal Grattacielo Piemonte preferiscono parlare di "invito", ma la sostanza non cambia: l'indebitamento è quello che è, chiedere soldi a prestito è fuori discussione, le coperture per le spese di progettazione dei futuri presidi sanitari devono essere assicurate con fondi regionali.
    Pochi giorni fa l'approvazione della delibera con cui la giunta ha corretto il tiro: via il mutuo da 42 milioni con Cassa Depositi e Prestiti, riassegnati soldi per la progettazione.
    Se non altro, la cifra necessaria è inferiore a quella iniziale: quando la Regione aveva stanziato i fondi la progettazione dei nuovi ospedali era andata in gara, quindi l'importo richiesto era quello per dare copertura alla gara; ora che le gare sono state aggiudicate, con un ribasso del 50%, viene data copertura al valore del contratto.
    Per ora il discorso riguarda essenzialmente gli ospedali previsti a Torino, Ivrea e forse Alessandria. I progetti per il presidio di Cambiano e quello di Savigliano avevano già fondi ordinari e non utilizzavamo il mutuo. Per il presidio di Alessandria, che da solo vale una ventina di milioni (ndr: parliamo sempre di progettazione), è da vedersi: la Regione aveva una proposta di partneriato pubblico privato in corso di valutazione, perciò non sarebbero state necessarie spese di progettazione.
    Si tratta di capire cosa prevede il decreto del Ministero che aggiorna il piano investimenti Inail: stando alla legge finanziaria 2024 avrebbe dovuto essere fatto entro il 30 giugno, quindi Roma ha già sforato i tempi. E l'ospedale di Cuneo? Già in principio non era stato finanziato, come progettazione, perché era in corso la valutazione del partenariato pubblico-privato, non ancora terminata.
    In conclusione, allo stato dell'arte la Regione ha riassegnato 14,5 milioni: fondi regionali in conto capitale per edilizia sanitaria. In ogni caso, precisano dalla giunta, le progettazioni vengono anticipate ma poi sono restituite da Inail, al quali ci si è rivolti per un piano di edilizia sanitaria da 4,3 miliardi che supplirà, ovviamente nei prossimi anni, al deficit edilizio accumulato dal Piemonte degli ultimi decenni.
    Funziona in queto modo: le Regioni, Piemonte compreso, fanno i progetti anticipando la spesa, poi li mandano a Inail, che rimborsa i costi sostenuti. Dopodichè: Inail costruisce gli ospedali con propri fondi (fa gli appalti e realizza) per poi metterli a disposizione delle aziende sanitarie a canone calmierato.
    Tutto a posto? Fino a un certo punto, dato che l'impossibilità di contrarre nuovi mutui, non solo in ambito sanitario, non è certo un buon segnale.
  3. LOBBY: a torino ancora nessuna sanzione
    Divieto di fumare all'aperto i produttori ricorrono al Tar

    diego molino
    Quattro mesi fa a Torino fu introdotto il divieto di fumare all'aperto "a una distanza inferiore a cinque metri da altre persone, senza il loro esplicito consenso". Una stretta che riguarda non soltanto sigarette, sigari e pipe, ma anche le sigarette elettroniche. Non si può fumare, ma nemmeno swapare. Un irrigidimento delle norme che ha fatto balzare sulla sedia l'Anafe, l'Associazione Nazionale Produttori Fumo Elettronico, aderente a Confindustria, che ha deciso di ricorrere al Tar del Piemonte per far annullare la delibera. Un'azione che ha spinto il Comune a costituirsi parte civile.
    A proporre il provvedimento, che modifica il Regolamento di polizia urbana, era stato il capogruppo di +Europa e Radicali, Silvio Viale. «Una misura sanitaria – dice – Ma soprattutto una questione di rispetto per i non fumatori e di buona educazione – spiega Viale – Se fumo, mi sposto». Altrimenti la sanzione prevista è pari a 100 euro, anche se qui si è già aperto un confronto su come garantire controlli ed efficacia del divieto. In questi primi mesi non ci sono ancora state multe ai trasgressori perché, spiegano da Palazzo Civico, «come per tutte le nuove regole che entrano in vigore, prima ancora che con un'attività di sanzione, la polizia locale interviene con un'attività di informazione per prevenire le violazioni». In realtà Torino è solo l'ultima delle città italiane ad aver istituito il divieto di fumo all'aperto: Milano lo fece nel 2020, così come Modena, mentre a Napoli il divieto esiste dal 2007. Adesso si apre un nuovo fronte con il ricorso al Tar regionale, con cui Anafe punta a rendere carta straccia le nuove norme contro il fumo nei parchi, alle fermate del bus e in qualunque luogo dove non sia rispettata la distanza di 5 metri dalle altre persone.

 

 

 

13.08.24
  1. aggredita dagli agenti durante una protesta a evin
    La Nobel Mohammadi picchiata in cella
    Da giorni, mentre minaccia Israele di rappresaglia per l'assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh, il regime iraniano colpisce duramente l'opposizione interna. Nelle strade, dove non si contano più gli arresti per "insurrezione armata contro la Repubblica islamica", un'accusa punibile con la morte, e in prigione. «Anche Narges Mohammadi è stata picchiata» racconta da Teheran un attivista che da quasi due anni affianca le compagne del movimento "Donna vita e libertà". La conferma arriva dalla Free Narges Coalition: «Siamo allarmati dalle notizie secondo cui Narges Mohammadi ha subito un'aggressione fisica nel carcere di Evin insieme ad altri prigionieri in occasione di una protesta pacifica. Stiamo studiando i rapporti secondo cui Mohammadi ha sofferto di dolore toracico acuto e di un attacco respiratorio»
    Non è la prima volta che la premio Nobel per la pace 2023, rinchiusa a Evin per scontare poco meno di 13 anni di detenzione, viene sottoposta a trattamenti punitivi che aggravano la sua condizione di estrema fragilità cardiaca e polmonare. Ieri sera la sua famiglia (il marito e i due figli, in esilio da anni), ha diffuso un comunicato e un appello: «Il telefono di Narges è disconnesso dal novembre 2023 e da allora i fratelli, che si trovano in Iran, non riescono a mettersi in contatto con lei. Attraverso i suoi compagni di cella siamo venuti a sapere che il 10 agosto Narges Mohammadi ha scritto alla direzione del carcere di Evin chiedendo il permesso di incontrare il suo avvocato alla presenza di un rappresentante dell'Organizzazione di Medicina Legale per documentare le contusioni e le lesioni sul lato destro del torace nonché sul braccio sinistro e in otto aree diverse»
  2. DOPO 20 anni:   Centomila euro dalla Regione alla Città per incentivare il lavoro dei vigili e comprare nuove apparecchiature per "scovare" i veicoli più inquinanti
    Blocchi smog, la task force contro i furbetti L'obiettivo dei 26mila controlli in sette mesi
    giulia ricci
    Una task force per fermare (ed eventualmente sanzionare) i veicoli che non rispettano i blocchi anti-smog grazie a un investimento da 100mila euro. E l'obiettivo minimo di controllare quasi 26mila persone tra settembre e aprile 2025. È la stretta messa in campo dalla Città di Torino, che martedì scorso ha dato il via libera in giunta all'accordo con la Regione per ricevere i finanziamenti utili a pagare gli stipendi della Polizia locale e comprare nuove apparecchiature.
    Fatto salvo il divieto di circolare in città per chi ha un'automobile a benzina fino all'Euro 2 e per i diesel anche 3 e 4, restano i cosiddetti "semafori" contro l'inquinamento: stop anche agli Euro 5 se i valori di Pm10 superano i 50 milligrammi al metro cubo per tre giorni (arancione), divieto che riguarda anche gli Euro 5 di chi ha un mezzo commerciale (come gli ambulanti) se si supera la soglia dei 75 (rosso). Quando scattano i semafori, a Torino si fermano circa 533mila auto e 81mila camion. Ma il problema principale è sempre uno: chi fa rispettare il divieto?
    Ecco perché nel settembre dell'anno scorso la Regione ha incontrato i Comuni più grandi sottolineando la necessità di stringere le maglie; le amministrazioni, dal canto loro, hanno chiesto di essere supportati nell'acquisto di nuove tecnologie e nella digitalizzazione della notifica delle multe a chi circola con mezzi inquinanti. Da qui è nato l'accordo tra l'ente governato da Alberto Cirio e il capoluogo, che secondo il piano regionale della mobilità e dei trasporti rappresenta il polo principale con 600.000 spostamenti al giorno. Anche il nuovo Piano di qualità dell'aria approvato dalla giunta piemontese lo scorso 16 luglio chiede che le Città interessate dalle limitazioni del traffico monitorino e comunichino alla Regione «un numero minimo di controlli annuali», adottando ulteriori misure in caso di sforamenti per più di 20 giorni dall'autunno a febbraio.
    Quel "numero minimo di controlli" è anche conditio sine qua non perché la giunta Lo Russo possa ricevere i 100mila euro inseriti nell'accordo (70mila per quest'anno, 30.000 per il prossimo), utili tra le altre cose a «incentivi a titolo di performance organizzativa» (si legge nella delibera) per la Polizia locale. Entro il 10 gennaio, infatti, gli uffici di Palazzo Civico dovranno rendicontare i controlli svolti nel 2024, ed entro maggio 2025 quelli attuati nei primi mesi del prossimo anno, con tanto di relazione con il numero di veicoli fermati, l'esito (con o senza sanzione), il luogo preciso e la tipologia di auto o camion; ma anche le modalità organizzative adottate per aumentare i controlli. A tal proposito, il Comune ha intenzione di mettere in campo «personale dedicato in via esclusiva all'attività di verifica», insomma agenti della Polizia locale che dovranno occuparsi solamente di fermare gli automobilisti sospettati di non star rispettando le limitazioni anti-smog con il proprio mezzo.
    Ma c'è anche un numero minimo di veicoli che vanno fermati, tanti quanto il 3% della popolazione. Facendo un calcolo veloce, circa 25.500 persone tra il 15 settembre e il 15 aprile, il periodo degli stop. Con i fondi ricevuti dalla Regione, inoltre, Torino metterà in campo anche più strumenti per informare tutti i cittadini che dovranno lasciare la propria auto parcheggiata in garage.

 

 

 
12.08.24
  1. DOPO AVER UCCISO GESU' inferno carceri
    Israele
    Francesca Mannocchi
    «Siamo stati portati a Megiddo. Quando siamo scesi dall'autobus, un soldato ci ha detto: "Benvenuti all'inferno"». Con queste parole si apre il rapporto sulla condizione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, diffuso dal gruppo israeliano in difesa dei diritti umani B'Telem la settimana scorsa.
    A parlare è Fouad Hassan, 45 anni, padre di cinque figli e residente a Qusrah, nel distretto di Nablus e trattenuto nella tristemente nota prigione di Megiddo.
    La sua è solo una delle decine di voci raccolte da B'Tselem, che conclude che il governo israeliano stia «commettendo torture che equivalgono a crimini di guerra e persino a crimini contro l'umanità» nelle carceri.
    Un rapporto di 118 pagine, intitolato Welcome to Hell (Benvenuti all'inferno) che si basa su 55 testimonianze di ex detenuti della Striscia di Gaza, della Cisgiordania occupata, di Gerusalemme Est, quasi tutti trattenuti in carcere senza processo. Tutti le testimonianze descrivono una campagna e una politica sistematica di abusi e torture: «Frequenti atti di violenza grave e arbitraria; aggressioni sessuali; umiliazione e degradazione, fame deliberata, privazione del sonno, divieto e misure punitive per il culto religioso, confisca di tutti i beni comuni e personali, e negazione di cure mediche».
    Scrivono i ricercatori di B'Tselem che «gli intervistati hanno descritto gli abusi con dettagli orribili e somiglianze agghiaccianti», sia in strutture civili che militari. Abusi che in meno di dieci mesi hanno provocato la morte di almeno 60 palestinesi sotto custodia israeliana.
    Secondo B'Tselem l'istituzionalizzazione, la natura sistematica degli abusi in tutte le strutture menzionate dai detenuti palestinesi non lascerebbe dubbi sul fatto che tali condotte equivalgano a una «politica organizzata e dichiarata delle autorità carcerarie israeliane».
    La direttrice esecutiva di B'Tselem, Yuli Novak, dopo l'uscita del rapporto ha dichiarato che il governo Netanyahu abbia «sfruttato cinicamente il trauma collettivo del 7 ottobre per mettere in pratica l'agenda razzista e violenta del ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir», che supervisiona le autorità carcerarie. Ha aggiunto: «Questo governo ci ha portato a un livello morale minimo storico, dimostrando ancora una volta il suo totale disprezzo per le vite umane, degli ostaggi israeliani a Gaza, degli israeliani e dei palestinesi che vivono la guerra in corso e dei palestinesi detenuti nei campi di tortura».
    «Durante l'interrogatorio, mi chiedevano: "Dov'è Sinwar? ". Rispondevo che non lo sapevo. Il soldato disse: "Confessa, così puoi tornare a casa". La soldatessa in piedi dietro di me mi mise un dispositivo elettrico sul collo e ricevetti una scossa elettrica che mi spinse a due metri di distanza». 'Dalla testimonianza di Rushdi Zaza, 30 anni, padre di due figli e residente nel quartiere di a-Zeitun a Gaza City, detenuto nella prigione di Negev (Ketzio)
    Il rapporto Onu
    Anche l'Onu, negli stessi giorni, ha pubblicato un rapporto sulle carceri israeliane che conferma le conclusioni di B'tselem: «I detenuti hanno affermato di essere stati tenuti in strutture simili a gabbie, spogliati nudi per periodi prolungati, indossando solo pannolini. Le loro testimonianze parlavano di bende sugli occhi prolungate, privazione di cibo, sonno e acqua, e di essere stati sottoposti a scosse elettriche e ustioni con sigarette», è quanto si legge in un recente rapporto che anche le Nazioni Unite hanno stilato e diffuso sulla condizione delle carceri israeliane.
    Secondo gli esperti dell'Onu i palestinesi prelevati da Gaza e dalla Cisgiordania occupata, detenuti nelle prigioni israeliane dopo il 7 ottobre hanno subito waterboarding, privazione del sonno, torture con i cavi elettrici, sono stati aggrediti dai cani, e afferma anche che Israele non abbia fornito informazioni né sulla loro sorte né sulla prigione cui sono stati effettivamente destinati.
    Né alle organizzazioni umanitarie, né alle agenzie Onu, né alla Croce Rossa cui pure è stato negato l'accesso alle strutture.
    Volker Turk, a capo dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha detto: «Le testimonianze raccolte dal mio ufficio e da altre entità indicano una serie di atti spaventosi in flagrante violazione del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario».
    Motivo per cui i risultati del rapporto potrebbero essere utilizzati dai procuratori della Corte penale internazionale che stanno indagando sui crimini commessi nella feroce campagna militare in corso a Gaza.
    Il rapporto Onu è stato inviato a Israele, la polizia carceraria, consultata da Associated Press per un commento, non ha ritenuto rispondere.
    Il Ministero da cui dipende, quello della sicurezza nazionale, è presieduto dall'ultranazionalista Itamar Ben Gvir, che non ha mai nascosto di aver scientemente peggiorato le condizioni dei detenuti. Da tempo chiede pene più severe. Inclusa la pena di morte per i palestinesi detenuti con accuse di terrorismo.
    «Durante le visite, ci hanno spiegato i metodi di repressione e tortura usati contro di noi. Li hanno portati nelle celle e ci hanno costretti a tenere la testa bassa, così non abbiamo visto i visitatori. Una volta ci hanno detto che Ben Gvir era lì in persona. Quelle visite umilianti duravano almeno 40 minuti ciascuna e per tutto il tempo dovevamo inginocchiarci. A volte i visitatori prendevano parte attiva nell'umiliarci, imprecare e urlare contro di noi». Dalla testimonianza di Musa Aasi, 58 anni, padre di cinque figli e residente a Ramallah, che è stato trattenuto nel centro di detenzione di Etzion e nelle prigioni di Nafha, Ofer e Negev (Ketziot), dal report di B'tselem
    La fame come deterrente
    A giugno scorso il ministro Ben Gvir aveva dichiarato di aver ordinato una riduzione della quantità di cibo per i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Non era la prima volta, si trattava infatti di una riduzione ulteriore che si sommava a quelle già precedentemente approvate.
    Dopo il 7 ottobre Ben Gvir si era vantato di aver chiuso le mense per i prigionieri di sicurezza, e ordinato che non venisse distribuita carne ai prigionieri, riducendo già significativamente la quantità di cibo loro somministrata. Molti dei detenuti rilasciati nei mesi successivi avevano perso decine di chili, e varcato il cancello di uscita delle carceri con un aspetto irriconoscibile.
    Il consulente legale del Prison Service (organo anch'esso sotto il controllo del ministero della sicurezza nazionale, quindi di Ben Gvir), Eran Nahon, a maggio, alla convention dell'Israel Bar Association aveva annunciato che le razioni alimentari dei prigionieri sarebbero state ulteriormente, sistematicamente ridotte: «Riceveranno il minimo richiesto dalla legge, nemmeno un grammo in più. Questo è uno scopo di sicurezza, ma non escludo che potrebbe essere una politica».
    E infatti lo era e lo è diventata sempre di più.
    Dopo aver raccolto decine di testimonianze (molte provenivano da persone che sono state arrestate ma non sono mai state processate), l'Associazione per i diritti civili in Israele (Acri) ha presentato una petizione alla Corte di Giustizia, contestando le restrizioni alimentari in tribunale e sostenendo che equivalgono ad affamare volontariamente i detenuti.
    Ben Gvir ha risposto così: «La mia politica richiede di ridurre le condizioni, tra cui cibo e calorie. Non è fame, è una misura deterrente».
    L'assalto alla base militare
    Il 29 luglio scorso un gruppo di manifestanti legati all'estrema destra sionista, accompagnati e incoraggiati da politici e membri del governo ultranazionalisti, hanno assaltato la base militare di Sde Teiman, che le organizzazioni per i diritti umani chiamano "la Guantanamo israeliana" e un'altra base sede del tribunale militare delle Forze armate israeliane. A Sde Teiman sono detenuti i prigionieri legati ad Hamas e i sospettati arrestati a Gaza e portati lì per essere interrogati, secondo il quotidiano Haaretz sono trenta i detenuti morti nella struttura dal 7 ottobre.
    Gli scontri erano cominciati con l'arresto, da parte delle forze armate di Tel Aviv, di nove riservisti della Forza 100, un'unità dell'esercito israeliano responsabile della supervisione dei detenuti palestinesi e della repressione delle rivolte nelle prigioni militari.
    Da ottobre, l'unità ha anche gestito la base militare di Sde Teiman, dove sono detenuti i palestinesi arrestati nella Striscia di Gaza.
    I nove riservisti e un comandante dell'unità sono accusati di aver picchiato, torturato e sodomizzato un presunto agente dell'unità di élite di Hamas, Nukhba, detenuto nella struttura. L'uomo in questione era stato portato d'urgenza all'ospedale con una perforazione intestinale, una grave ferita all'ano, danni ai polmoni e costole rotte. Il medico che lo ha visitato, il professor Yoel Donchin, intervistato da Haaretz sconvolto, ha detto: «Non riuscivo a credere che una guardia carceraria israeliana potesse fare una cosa del genere. Il mio dovere è verso i pazienti, se lo Stato e i membri della Knesset pensano che non ci siano limiti a quanto si possano abusare dei prigionieri, dovrebbero ucciderli loro stessi, come fecero i nazisti, o chiudere gli ospedali. Se mantengono un ospedale solo per difendersi alla Corte penale internazionale dell'Aia, non va bene».
    Dopo l'arresto dei nove soldati, accusati delle torture e dello stupro, i manifestanti hanno fatto irruzione nella base nel tentativo di liberare i riservisti, e hanno accusato l'avvocato generale militare, che ha ordinato gli arresti, di essere un «criminale e un traditore di Israele».
    Tra i manifestanti, membri della Forza 100 a volto coperto, kahanisti, giovani coloni dalla Cisgiordania occupata, e sostenitori delle frange più estremiste del governo. Ad accompagnarli non c'erano, tra gli altri, il parlamentare Tzvi Succot (del partito Sionismo Religioso) e il ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu, che è stato registrato mentre urlava «Morte ai terroristi».
    Un tempo questi gruppi erano minoranza politica, oggi sono al governo. Non solo, uno dei ministri di riferimento, Itamar Ben Gvir, è a capo del Ministero della Sicurezza Nazionale, cioè quello responsabile delle prigioni.
    La polizia israeliana, che è sotto l'autorità diretta del ministro della Sicurezza Nazionale Ben-Gvir, è rimasta relativamente passiva durante gli assalti alle basi, quasi solidale, e non ha arrestato né identificato nessuno dei manifestanti.
    Il giorno dopo l'assalto, il quotidiano israeliano Haaretz, aveva in prima pagina un editoriale allarmato, in cui si legge: «In questo mondo capovolto, il problema non sono i riservisti che avrebbero abusato di un detenuto, non i soldati che si sono barricati all'interno della struttura e hanno rifiutato l'ordine della Polizia militare di andarsene, non i parlamentari che avrebbero fatto irruzione nella base, non gli ufficiali di polizia che sono rimasti a guardare, non i ministri che si sono precipitati a esprimere sostegno ai riservisti ma piuttosto l'ufficio dell'avvocato generale militare».
    I due ministri ultranazionalisti del governo Netanyahu Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich hanno sostenuto le tesi degli assaltatori.
    Per loro l'ordine di arresto «stava umiliando i soldati che affrontano i terroristi», era legittimo appoggiare i rivoltosi, perché «l'avvocato generale militare deve togliere le mani dai nostri eroici combattenti», così il ministro Smotrich il giorno dell'assalto.
    Attualmente nelle prigioni israeliane ci sono 10mila palestinesi. Molti non sanno perché sono lì. La maggioranza non ha accesso a un legale, non può avere contatti con il mondo esterno. Tra loro persone detenute per aver espresso compassione per la sofferenza dei palestinesi, o uomini portati via da Gaza – tra i 3500 e i 5 mila – e imprigionati perché ritenuti, semplicemente, in età da combattimento. —
  2. Era stato condannato per la morte dell'oppositore di Putin ucciso nel 2015
    Scarcerato il killer di Boris Nemtsov "Ora combatte sul fronte settentrionale"
    Pur di rimpinguare le forze impiegate nell'invasione dell'Ucraina, la Russia manda al fronte uno dei killer di Boris Nemtsov: Tamerlan Eskerkhanov. Condannato nel 2017 insieme ad altri quattro uomini per l'omicidio del politico oppositore di Vladimir Putin, è stato scarcerato dopo aver firmato un contratto per unirsi «all'operazione militare speciale», come Mosca definisce la guerra in Ucraina. Una mossa accolta con sdegno da Ilya Yashin, l'ex portavoce di Nemtsov liberato la scorsa settimana nello storico scambio di prigionieri tra Russia, Bielorussia, Stati Uniti e diversi Paesi europei: il dissidente russo ha definito il rilascio di Eskerkhanov «un'offesa alla memoria del mio amico morto». «Nel marzo 2024, Eskerkhanov ha firmato un contratto con il ministero della Difesa, è stato graziato e rilasciato» e «ora svolge missioni di combattimento nella zona del distretto militare settentrionale», hanno detto le forze dell'ordine russe. Eskerkhanov, ex ufficiale di polizia che ha prestato servizio in una delle unità del ministero degli Affari interni ceceno, era stato condannato a 14 anni di carcere e a una multa di 100mila rubli per l'omicidio di Nemtsov, critico del presidente Putin ed ex vice primo ministro sotto Boris Eltsin, ucciso a colpi di arma da fuoco nel 2015 mentre attraversava un ponte vicino al Cremlino. Insieme a lui, le autorità investigative russe arrestarono altri quattro sospettati, tutti ceceni, mentre un altro presunto partecipante all'omicidio, Beslan Shavanov, resistette al tentativo di arresto e si fece esplodere. Secondo gli investigatori, il presunto ideatore e organizzatore del delitto è invece l'ex ufficiale del battaglione ceceno Nord, Ruslan Mukhudinov. È stato accusato in contumacia ed è sulla lista dei ricercati internazionali dal novembre 2015, ed è tuttora latitante
  3. Migranti, il miracolo di Mariam salvata sul barchino spezzato
    eleonora camilli
    roma
    Si chiama Mariam e ha appena un mese. Ha viaggiato tutto il tempo accoccolata alle braccia della sua giovanissima mamma, avvolta in una tutina a righe e un vestito di jeans troppo largo per la sua taglia. È la più piccola delle 55 persone salvate in mare al largo di Lampedusa, ieri dal veliero Astral dell'ong Open Arms. Con lei viaggiavano su una carretta del mare (una barca di metallo divisa in due parti legate insieme soltanto da alcuni lacci, corde e vecchi stracci) altri 5 bambini, alcuni molto piccoli. I naufraghi, provenienti da Burkina Faso, Camerun, Senegal e Chad, erano partiti 3 giorni fa da Sfax, in Tunisia. Ed erano già alla deriva.
    I soccorritori di Open Arms raccontano che la barca era in pessime condizioni. Una parte era affondata e almeno 20 persone erano già finite in acqua. «Ancora una volta siamo di fronte a una tragedia annunciata e fortunatamente scampata. - sottolinea Valentina Brinis advocacy officer dell'ong spagnola -. La situazione del Mediterraneo Centrale è molto critica, lo dimostrano i tanti contatti con imbarcazioni in difficoltà che stiamo avendo in queste ore». La prima a essere soccorsa è stata proprio la piccola Mariam, seguita dagli altri piccoli naufraghi. Tra i salvati ci sono anche 16 donne, alcune molto giovani. Tutte le persone sono state poi trasbordate su una nave della Guardia costiera. «Oggi siamo riusciti a salvare le loro vite, ma non succede tutti i giorni», sottolinea l'ong. Secondo Brinis, le attività di ricerca e soccorso messe in atto dalle organizzazioni non governative «sono fondamentali e devono dunque essere accolte e supportate, e non ostacolate o rallentate dallo Stato italiano e dall'Europa». Mentre gli accordi che si continuano a fare con Stati come Libia e Tunisia «risultano totalmente inaffidabili e vanno solo ad aggravare le condizioni di partenza: non fermando assolutamente i traffici e portando chi è costretto a partire a ideare soluzioni drastiche e drammatiche, come il barchino di ferro che abbiamo soccorso questa mattina».
    Dall'inizio dell'anno sono 35.725 le persone arrivate via mare in Italia, con una diminuzione marcata rispetto allo scorso anno quando, nello stesso periodo, si contavano 94mila approdi. Ma gli sbarchi in netto calo non fermano le tragedie del mare: si contano infatti già 1.023 morti. «Un'emergenza non numerica ma umanitaria», sottolineano le ong, ricordando che questo numero è da considerarsi al ribasso e non tiene conto infatti dei tanti naufragi fantasma, che avvengono sulla rotta del Mediterraneo centrale, nel silenzio e senza testimoni.
  4. PERCHE' IL LAGO MAGGIORE ? La vicenda
    Lo strano naufragio degli 007 nel Lago Maggiore
    Che la triestina Tiziana Barnobi facesse l'agente segreto lo sapevano in pochi, pochissimi, aldilà dei colleghi che condividevano con lei l'attività a Forte Braschi, quartiere generale dell'Aise, la nostra agenzia che si occupa dello spionaggio all'estero e dove ogni giorno puntuale superava la sbarra controllata dai militari in mimetica del Rud, il Raggruppamento unità Difesa. I più lo hanno scoperto dalla sua morte improvvisa, una tragedia ancora oggi avvolta nel mistero, avvenuta sul lago Maggiore nel primo pomeriggio del 23 maggio dello scorso anno. All'improvviso, il cielo si fece nero sullo specchio d'acqua, si alzò il vento con raffiche fortissime e l'imbarcazione "Good…uria" in un attimo si ribaltò, inabissandosi per 16 metri. A bordo c'erano 23 persone rispetto alle 15 consentite. Erano tutti agenti segreti italiani e israeliani. Sono affogati in quattro, un funzionario del Mossad, Shimoni Erez, la moglie russa dello skipper, Anna Bozhkova, e due 007 italiani: Claudio Alonzi, nato ad Alatri nel 1960 e, appunto, Tiziana, promettente risorsa arrivata da poco tra le barbe finte. Altri due agenti dell'Aise, il capo delegazione e un collega, invece, finirono in ospedale, ricoverati per giorni.
    Sì perché, Tiziana Barnobi, classe 1969, laureata in economia nel 1994, era entrata nell'Aise, la nostra agenzia che si occupa dello spionaggio all'estero, solo dal 2016 dopo una brillante carriera cresciuta in alcune multinazionali nel settore dell'elettronica. E divideva le giornate tra spionaggio e la famiglia seguendo i progressi a scuola del figlio, giocatore di scacchi, e i successi del marito, apprezzato dirigente di un'azienda automobilistica. Insomma, una famiglia normale con la mamma e moglie che crede e serve le istituzioni del suo Paese. Una vocazione tardiva che però aveva garantito risultati alla divisione per la controproliferazione dov'era impiegata. Si tratta di una delle branchie strategiche per contrastare la produzione di armi di distruzione di massa, ovvero gli ordigni nucleari e le armi chimiche, biologiche e radiologiche. Barnobi, in buona sostanza, era impegnata a rallentarne e sabotare la fabbricazione, in coordinamento con le agenzie straniere, in primis i colleghi di Cia e Mossad. E quel giorno sul lago, nell'Alta Lombardia, era reduce da un'attività congiunta tesa a colpire interessi iraniani per un'operazione coperta da segreto di Stato. "Perde la vita – si legge nella targa a memoria esposta negli uffici – nelle acque del lago Maggiore il 28 maggio nel corso dello svolgimento di una delicata attività operativa con servizi collegati esteri".
    La cinematografia ha dedicato decine di pellicole, tra film e docufiction, alle 007 donne con storie mozzafiato nelle quali prevalgono figure operative, esperte in arti marziali, eccelse nel tiro con qualsiasi arma da fuoco, capaci di sconfiggere il cattivo di turno tra seduzione e superpoteri. In realtà, la vita femminile nell'intelligence è assai diversa o, almeno, quella rappresentata garantisce effetti sul pubblico e sull'incasso, ma è una narrazione che riduce lo spettro d'azione di chi invece è impegnato a evitare che i conflitti degenerino nel mondo con l'utilizzo di armi non convenzionali. In particolare, Barnobi era coinvolta in operazioni non cruente ma tese a individuare il traffico dei materiali "dual use" ovvero quelli impegnati nelle produzioni civili che vengono convertiti da paesi nemici nella realizzazione di ordigni. E tra i maggiori "clienti" dell'Aise in questo periodo ci sono paesi come Iran, Russia e Corea del Nord e loro satelliti tra paesi di transito, società compiacenti e gruppi d'interesse in paesi off shore. Per meglio capire basterebbe ricordare quando agli inizi del conflitto tra Kiev e Mosca, i militari invasori caricavano sui camion le lavatrici trovate nelle case ucraine. Nessuno ne capiva il motivo fino a quando si capì che parti di quegli elettrodomestici – quindi componentistica civile – erano indispensabili per allestire ulteriori droni da impiegare al fronte.
    Quando muore uno 007 è sempre una brutta faccenda tra dolore indicibile dei familiari, operazioni coperte e segreti di Stato. Se poi è una vera e propria strage come quella del lago, il procuratore capo di Busto Arsizio, Carlo Nocerino, si è trovato di certo a gestire un'inchiesta delicatissima. Il punto di partenza è stato Claudio Carminati, varesotto del 1963, proprietario della barca "Good…uria", costruita nel 1982, e quel giorno a bordo, sopravvissuto alla tragedia. L'uomo viveva con la compagna e il cane nella barca – deceduti entrambi – che affittava per gite ed escursioni. Si è chiarito che lo stesso era stato contattato da un suo cliente, uno degli agenti italiani, con il quale aveva organizzato alle 11 di quella domenica la trasferta, quindi l'appuntamento per il rientro all'isola dei Pescatori per le 16, dopo che il gruppo avrebbe pranzato al ristorante "Il Verbano", meta prediletta – per coincidenza – da Benjamin Netanhayu quando si trova in Italia. Carminati, indagato per naufragio e omicidio colposo plurimo, ha raccontato di aver concordato 800 euro per questo servizio, convinto che i clienti fossero dei carabinieri in licenza per un momento conviviale. In realtà, il lunch faceva parte dell'operazione stessa, dopodiché gli israeliani dovevano ritornare nel loro paese e i nostri ripartire per la capitale, ad eccezione di quelli dell'Aise presenti e che lavorano tra Milano e Malpensa. Alla fine, alcuni sono stati ricoverati mentre gli 007 israeliani e la salma del collega sono stati rimpatriati al volo con un jet privato.
    In realtà, si scoprirà che sull'imbarcazione non c'era un numero sufficiente di salvagenti e, soprattutto, erano state compiute di recente delle modifiche, rivelatesi fatali al momento della tragedia, in particolare sovrastrutture a prua e sul fly bridge. Lo mette nero su bianco l'ingegnere Giovanni Ceccarelli, lo stesso impiegato per il naufragio della Costa Concordia all'Isola del Giglio, chiamato dalla procura come consulente per analizzare il relitto. Dai controlli emerge una situazione davvero allarmante, soprattutto sulle presunte migliorie eseguite: "Non sono lavori eseguiti da un cantiere nautico – si denuncia nel relativo verbale –, sono stati utilizzati materiali da casa, una sorta di bricolage". Ceccarelli ha anche ispezionato tutte le modifiche: "Sono stati analizzati visivamente – prosegue il documento – anche gli impianti elettrici all'esterno, pure modificati di recente dal Carminati con metodologia adatta forse per una casa ma non per una barca in relazione ai gradi di tenuta all'acqua". Concluse le indagini, Carminati ha chiesto ora di patteggiare con quattro anni di reclusione visto che il maltempo, secondo il difensore, Marco Vittoria, non era proprio prevedibile: "furono cinque minuti di eccezionale intensità impossibili da gestire e non previsti con una tale forza".
    In realtà, ci sarebbe da interrogarsi su chi e come mai non chiese le dovute garanzie dal capitano di quella barca. Chi cioè fece salpare il mezzo con un numero non previsto di ospiti e senza i necessari salvagenti. Non è detto che la tragedia si sarebbe potuta evitare visto il repentino cambio del tempo ma immaginare tanti agenti esposti a rischi evitabili, lascia un collettivo, profondo, amaro dopo questa tragedia. Soprattutto nei colleghi e nelle colleghe che ancora lavorano a Forte Braschi, consapevoli dei pericoli impliciti in questo tipo d'attività e che di certo non ne richiede di superflui. Le figure femminili, le nostre 007 sono, in genere, donne di alta competenza e specializzazione, soprattutto dopo i ricambi e le riforme. A iniziare da quelle che svolgono attività molto lontane dall'immaginario comune, da quello che tutti noi possiamo ipotizzare, influenzati da cinema e letteratura. Come le geologhe, esperte nella valutazione della composizione e dell'alterazione dei terreni per studiare gli impatti sugli stessi di ordigni, test che la controparte può effettuare durante la produzione di nuove armi. Un contrasto che si sviluppa con operazioni che possono durare anni, creando realtà societarie fittizie, le cosiddette "piattaforme" e ruoli di coperture, ovvero le "leggende" per introdurre 007 in mondi sommersi dove – in pratica – si produce morte. Tiziana Barnobi credeva totalmente nel suo lavoro. Era riservata, senza spiegare quello che nella sua vita faceva: «Sono impiegata alla presidenza del Consiglio», rispondeva in fretta quando qualcuno glielo chiedeva per poi cambiare discorso con un sorriso che sapeva conquistare fiducia e attenzione. —
  5. PERCHE' PICHETTO VUOLE IL NUCLEARE ? Le chiamano "le doppie", forse evocando gli agenti doppi che dall'Ottocento, dalla Cortina di ferro fino ad oggi, animano le storie nel mondo delle spie. Di fatto, "le doppie" sono quelle donne che vivono nella terra di mezzo della controproliferazione tra chi determina le cosiddette minacce Wmd (dall'inglese Weapon of mass destruction, armi di distruzione di massa) e Cbrne (agenti chimici, biologici, radiologici, nucleari ed esplosivi) e chi appunto dà loro la caccia. Perché se è noto e ovvio che tra gli 007 di ogni paese vengano reclutate anche donne, come nell'ultima infornata di maggio scorso quando all'Aise, l'ex Sismi per le proiezioni estere, cercavano esperti/e in intelligenza artificiale, metodologia di penetration testing, algoritmica per la crittoanalisi, fino alla steganografia e le scienze comportamentali, è anche vero che dall'altra parte esistono donne pericolose, spregiudicate che agevolano i produttori di morte e che magari talvolta occhieggiano con chi li ha nel mirino. O, ancor più in generale, 007 donne si trovano spesso a combattere contro altrettante donne che lavorano per agevolare la vendita sottobanco di preziosi materiali dual use o per rafforzare reti di "procurement".
    Si tratta di un traffico, un mercato assai più sofisticato, vasto e nascosto di quanto si possa immaginare dove chi compra cerca macchinari e componentistica dell'industria civile da utilizzare, previe potenziali modifiche, per lo sviluppo di sistemi d'arma e armi devastanti. Una guerra quindi insolita, di donne contro donne che sfugge ai racconti dei media per il segreto di stato che copre ogni attività della nostra intelligence e, ancor più per l'impermeabilità di questi mondi dove la discrezione e il segreto sono le uniche possibilità non solo per concludere affari ma spesso anche per sopravvivere.
    In Europa e con ponti societari nei paradisi fiscali in Oriente, agiscono numerose società paravento dove troviamo al lavoro alcune donne "doppie" che magari ufficialmente si occupano di convegnistica, import-export di prodotti italiani ed eccellenze alimentari europee ma che di fatto portano avanti gli interessi di dittatori, stati canaglia e organizzazioni terroristiche. Magari reclutano ex 007 cacciati dalle loro agenzie, faccendieri senza scrupoli e riescono a costituire società ombra, filiere clandestine, triangolazioni fittizie per far arrivare quei componenti di elettrodomestici o d'arredo all'apparenza innocui ma che, al contrario, posso essere modificati per diventare essenziali nella realizzazione di armi micidiali. Oggi, infatti, la situazione è assai più parcellizzata di un tempo. Il quadro geopolitico si è ulteriormente compromesso dal fatto che si sia da tempo passati dal periodo cosiddetto simmetrico di confronto nella Guerra Fredda tra Est e Ovest quindi tra stati nazionali a quello che vede uno spostamento degli assi ortogonali con la competizione tra nord e sud.
    Tuttavia, ad allarmare non è questa divisione, quanto che ai naturali player si sono affiancati foreign entities, attori non convenzionali, incapaci di affrontare le sfide tradizionali politiche e militari e quindi tesi a spostare e drammatizzare il confronto. Chi non fa la guerra, intenta la guerriglia, anima il terrorismo. Ecco, quindi i noti "Stati canaglia", la creazione in laboratorio di gruppi eversivi alimentati semi-clandestinamente da paesi ostili. In questo quadro si allargano le aree di crisi, gli interlocutori, i giochi di specchi dove la diplomazia rischia di agire senza efficacia. E così aumentano le zone d'ombra e un sistema parassitario che sfrutta i vulnus delle democrazie per commercializzare prodotti che modificati e assemblati possono costituire armi mortali. In definitiva, per queste donne nell'ombra si aprono praterie di affari, aumenta il potenziale portafoglio di clienti, la possibilità di sfruttare anche apparenti contraddizioni e situazioni delicate come ad esempio con l'Iran, da noi considerato nemico ma che resta uno dei fornitori privilegiati di greggio del nostro paese.
    In questa chiave, diventa interessante rileggere quanto già nel 2018 Mikhail Gorbaciov prevedeva con particolare acume e consueta lungimiranza: «si preannuncia una nuova corsa agli armamenti… La spesa militare è salita a livelli astronomici e continua a crescere…Un'incessante corsa agli armamenti, tensioni internazionali, ostilità e sfiducia generalizzata non faranno che accrescere il rischio».

 

 

 

11.08.24
  1. Berlino difende la scelta di sostenere l'ucraina
    Carri tedeschi in Russia, è polemica
    Almeno tre carri armati Marder, di produzione tedesca, sono stati impiegati nell'incursione ucraina nella regione russa del Kursk. Lo testimoniano le riprese aeree effettuate dai droni, secondo quanto riporta Bild. Si tratta di cingolati da combattimento (con cannoni da 20 mm) in uso alla Bundeswehr progettati durante la guerra fredda come veicoli di fanteria e fanno parte del pacchetto di sistemi di difesa forniti da Berlino a partire dal 2022 per una cifra stimata intorno ai 5,2 miliardi di euro. In tutto i panzer di questo tipo consegnati all'esercito ucraino sono 120 e la notizia del loro impiego sta suscitando dibattito in Germania. Una portavoce del governo sostiene che in Cancelleria non si hanno informazioni di quale tipo di armi tedesche siano in uso nella "campagna di russa" dell'esercito ucraino, ma il ministero della Difesa ribadisce che "è obiettivo dichiarato del governo tedesco sostenere l'Ucraina nella sua lotta difensiva contro l'aggressore russo". Dopo un lungo dibattito sull'impiego delle armi in Russia a fine maggio il governo Scholz aveva fatto sostanzialmente cadere le riserve di fronte al caso di Charkiv, colpita da missili provenienti dal territorio russo - dando via libera all'impiego di armi tedesche anche sul suolo russo. Non è quindi una novità ma il clima elettorale rende tutto materia di polemica rovente. —
  2. Il contropiede di Zelensky che ha umiliato lo Zar
    Il disastro del sottomarino Kursk del 12 agosto 2000 è stato la peggiore umiliazione militare per Vladimir Putin nei primi anni da presidente della Russia: tutti i 118 marinai a bordo persero la vita quando un'esplosione accidentale fece inabissare il sottomarino a propulsione nucleare. A distanza di quasi ventiquattro anni esatti, l'intrepida decisione dell'Ucraina di varcare i suoi confini e invadere la regione (e il sito di una famosa battaglia della Seconda guerra mondiale) da cui aveva preso il nome quel sottomarino sta infliggendo a Putin un'altra umiliazione militare.
    È prematuro valutare se l'invasione di Kursk da parte dell'Ucraina porterà a un successo nei suoi obiettivi strategici, soprattutto perché non è ancora chiaro quali questi possano essere. Tuttavia, è già evidente che questa invasione – insieme a due attacchi in simultanea su aeroporti russi e depositi di munizioni a Lipetsk e Morozovsk, entrambe distanti centinaia di chilometri dalla linea del fronte ucraino – rappresenta un colpo molto duro assestato all'esercito russo.
    Da quando la Russia ha lanciato la sua invasione il 24 febbraio 2022, per poi doversi ritirare nell'area del Donbass dell'Ucraina orientale che in buona parte controllava già dal 2014, è davvero complicato effettuare una valutazione precisa su quale delle due parti in conflitto sia in vantaggio. Ciò dipende dal fatto che, una volta fallita l'invasione russa, questa è diventata una guerra con molte linee del fronte e nessun indicatore evidente di fallimento o di successo.
    La sopravvivenza come Stato sovrano indipendente è stata il primo banco di prova dell'Ucraina, che il Paese ha superato magnificamente nel 2022. Da allora ha dato pochi segni di possibile cedimento. Tuttavia, dopo un primo iniziale successo nel respingere i soldati russi nell'autunno del 2022, la controffensiva ucraina nel 2023 non è riuscita a recuperare molto più territorio. Poi, nella primavera del 2024, la Russia ha fatto scattare la sua nuova offensiva, ha cercato di riconquistare il terreno perso l'anno precedente e, molto probabilmente, di logorare il morale delle truppe ucraine e, soprattutto, la società nel suo complesso.
    Metro dopo metro, chilometro dopo chilometro, le più consistenti forze militari russe hanno respinto le meno numerose forze ucraine, seppur pagando un prezzo molto alto in termini di vite umane. Laddove nel febbraio 2022 la Russia aveva lanciato la sua invasione vera e propria con un esercito che si ritiene fosse composto da 150mila uomini, oggi si pensa che in Ucraina orientale si trovi mezzo milione di soldati russi, dotati di più munizioni degli ucraini anche dopo che lo scorso aprile il Congresso americano ha approvato l'invio di ulteriori aiuti militari.
    In ogni caso, quella in corso non è soltanto una guerra di terra con una lunga linea del fronte. Mentre perdeva terreno molto lentamente nella sezione settentrionale di quella linea, l'Ucraina ha conseguito successi significativi nel Mar Nero, nelle zone circostanti la Crimea occupata dai russi, ha affondato un discreto numero di navi nemiche e distrutto i suoi depositi di munizioni, al punto da costringere la marina russa a ritirarsi a Est nel suo porto di Novorossiysk. Questo ha permesso all'Ucraina nel 2023 e nel 2024 di riaprire le sue esportazioni di grano attraverso il Mar del Nord, supporto vitale e fondamentale per l'economia del Paese che, oltretutto, contribuisce ad abbassare i prezzi globali dei generi alimentari.
    Di fronte a una penuria sia di uomini sia di armi, vincolata dalle regole dei governi di America e Germania su come devono essere utilizzate le armi più avanzate, l'Ucraina ha dovuto concentrarsi e impegnarsi per buona parte di quest'anno sul tentativo di attaccare e fiaccare le linee di approvvigionamento dei russi e i loro depositi logistici. Gli attacchi hanno riscosso un discreto successo, ma non sufficiente a costringere i russi a una ritirata. E così, dopo aver indebolito il controllo russo sulla Crimea e logorato le sue linee di approvvigionamento, dopo aver riaperto il versante occidentale del Mar Nero alle esportazioni di grano, adesso l'Ucraina ricorre a una nuova tattica per cercare di togliere vigore all'incessante seppur lenta offensiva di terra dei russi. L'aspetto che più colpisce dell'invasione di Kursk è il modo con il quale le forze ucraine sono riuscite a cogliere i russi del tutto in contropiede, malgrado quello che deve essere stato un lungo periodo di pianificazione e di spostamenti strategici delle forze corazzate. Questo successo contraddice l'opinione comune secondo cui l'esercito ucraino sarebbe propenso a diffondere informazioni e soffiate e continuerebbe a essere affetto da corruzione. Come in molti altri momenti passati di questa guerra, le truppe ucraine appaiono ben più professionali e meglio organizzate delle truppe russe loro nemiche.
    L'invasione di Kursk è arrivata talmente a sorpresa, perfino per gli alleati americani ed europei, che tuttora non è chiaro quanto sia grande il contingente di uomini mandati oltre confine. Le prime ipotesi, secondo cui quello portato a segno sarebbe stato una sorta di piccolo raid delle forze speciali, si sono rivelate errate, in quanto la forza d'incursione è meglio attrezzata e più grande di quanto si pensasse. Venerdì 9 agosto, l'affondo a Kursk ha portato a conquistare in tre giorni un territorio (si calcola circa 350 chilometri quadrati) più esteso di quanto sia riuscita a prendere l'offensiva di attrito russa nel nord del Donbass verso Kharkiv in più di tre mesi. Molto adesso dipenderà dalla volontà delle forze ucraine di mantenere a lungo questo territorio conquistato – in questo caso sarà indispensabile costruire postazioni difensive e linee di approvvigionamento – o se Kiev si accontenterà di aver colpito in profondità la Russia e aver segnato un punto a proprio favore.
    Possiamo già constatare che questa invasione a sorpresa ha alterato gli equilibri della Russia e ha anche dimostrato quanto essa sia sempre esposta ad attacchi da parte di un nemico agile, ben equipaggiato e ben organizzato. L'occupante imperialista è sempre vulnerabile nei confronti dei contrattacchi, specialmente quando ha in comune un lungo confine di terra con il Paese che occupa. A seconda dei costi, in termini di vittime e di equipaggiamento perduto, l'operazione Kursk ha già conseguito un primo potenziale obiettivo: distogliere l'attenzione e i soldati russi dalla battaglia sul fronte principale. Tutto ciò rende ragionevole ipotizzare che possono essere pianificate altre sorprese di questo tipo, forse nella regione meridionale della linea del fronte dove, fino a questo momento, il largo fiume Dnipro ha fatto da barriera contro le incursioni degli ucraini, o forse altrove lungo il confine settentrionale.
    Ancora una volta, a seconda dell'esito che avrà questa nuova Battaglia di Kursk, finora l'Ucraina di fatto è riuscita a sconvolgere l'immagine che i propagandisti filorussi hanno coltivato di un esercito ucraino debole e in inferiorità numerica che stava andando incontro a una sconfitta lenta ma inesorabile. Per come stanno le cose al momento, invece, è la Russia che sembra dover far fronte a rapide e ripetute umiliazioni. La lezione da trarre è semplice: non conviene mai sottovalutare l'Ucraina.
  3. il precedente
    La battaglia di Kursk del luglio 1943
    La battaglia di Kursk - anche nota come Operation Zitadelle - nel luglio 1943 - è l'ultimo tentativo - fallito - della Wehrmacht tedesca di contrattaccare sul fronte russo dopo il disastro di Stalingrado e segna un punto di svolta nella Seconda guerra mondiale. Per la Germania nazista Kursk è sinonimo di disfatta in una dei più grandi combattimenti aerei e corazzati del conflitto mondiale. La battaglia, durata dal 5 al 12 luglio, è stata anche definita "il più grande scontro fra carri armati della storia". Quasi 160 divisioni tedesche, già indebolite, affrontarono 400 unità dell'Armata rossa. L'obiettivo iniziale di Hitler e del suo Stato maggiore era circondare la città di Kursk con una manovra a tenaglia, e intrappolare le armate sovietiche schierate su quella porzione di fronte, in modo da vendicare Stalingrado e dare un colpo mortale all'Armata rossa. Ma l'Intelligence russa era al corrente del piano e le linee erano state fortificate in profondità. Complice anche lo sbarco in Sicilia, Hitler fu costretto a ritirare le sue divisioni con gravi perdite.
  4. Dal predellino agli 11 milioni di debiti
    Pdl, il partito "fantasma" in vita grazie al Cavaliere
    ROMA
    Da undici anni non esiste più politicamente, ma ha solo una vita giuridica. Pur avendo chiuso i battenti nel 2013 per lasciare il posto alla «nuova» Forza Italia, il Popolo della libertà è un partito fantasma, ma non proprio invisibile. Spulciando l'ultimo bilancio si legge infatti che i suoi conti continuano ad essere in rosso: il «disavanzo patrimoniale complessivo», come si dice nel gergo tecnico, è di oltre 11 milioni di euro. Ma quel che colpisce è che a garantire la sopravvivenza della formazione politica ormai «estinta», con un «prestito infruttifero» di quasi 3 milioni di euro concesso nel 2013, ci pensa ancora uno dei suoi fondatori, Silvio Berlusconi, che è scomparso il 12 giugno di un anno fa. Il «contributo» dell'ex premier è contenuto nella voce «debiti verso altri finanziatori» per un valore pari 2 milioni 800mila euro. Nei documenti contabili non c'è nessun accenno in proposito, ma morto il leader azzurro ora il «prestito» dovrebbe gravare sulle spalle degli eredi, ovvero dei figli. Allo stato, il Pdl, carte alla mano, di fatto, è debitore non solo nei confronti dell'ex premier ma anche di Forza Italia per oltre 1 milione e mezzo di euro e An per poco meno di 700mila euro.
  5. "Una lobby che difende privilegi e non sa neppure restare unita"
    Le concessioni
    Le pretese illegittime

    flavia amabile
    Roma
    Avete voglia di fare un giro al Twiga, il lido di Flavio Briatore? Potete entrare e stendere i vostri asciugamani sulla battigia. Nessuno potrà costringervi ad andare via, assicura Roberto Biagini, presidente dell'associazione Mare Libero, che da anni si batte per restituire a chiunque il diritto di andare al mare ovunque, in totale libertà.
    Con i balneari la battaglia è in corso. Loro però adesso sono andati allo scontro anche con il governo e hanno organizzato lo sciopero degli ombrelloni. Che ne pensa?
    «In genere lo sciopero ha fini nobili, viene organizzato per difendere e rivendicare dei diritti. E' stato invece banalizzato da una lobby per difendere privilegi e rendite di posizione esercitate in regime di monopolio. Inoltre non riescono nemmeno a essere compatti, solo una parte ha aderito alla protesta».
    Gli imprenditori degli stabilimenti balneari contestano la direttiva Bolkestein, sostengono di non dover essere inclusi all'interno del provvedimento e che, in base alla mappatura, le spiagge non sono un bene scarso e quindi non c'è necessità di ricorrere alle gare come prevede la direttiva.
    «La verità è che i balneari si comportano come se fossero i proprietari dell'arenile e vorrebbero esercitare la funzione concessoria fino al 2030 nonostante le sentenze di Tar, consigli regionali, consigli di stato e pareri Ue».
    Sostengono di aver fatto investimenti importanti e che andare via vorrebbe dire perdere tutto.
    «Una balla colossale. I concessionari hanno firmato dei contratti per la concessione della licenza e si sono impegnati ad abbattere tutto quello che hanno installato rinunciando a qualsiasi indennizzo. Sapevano perfettamente di chiedere o di rilevare una concessione che da marzo del 2010 quando è andata in vigore la Bolkestein era scaduta. E quindi come sancito da Tar, Consigli di Stato e da quasi tutta la giurisprudenza non può esser considerato legittimo l'affidamento successivo al 2010 e quindi l'investimento successivo al 2010. Non gliel'ha ordinato il dottore di fare il balneare e di ostinarsi a bloccare un settore in cui da anni c'è un monopolio impedendo ai giovani di entrare perché lo Stato non mette a bando le concessioni».
    Da anni rivendicate il diritti di avere più spazio per le spiagge libere entrando negli stabilimenti. Per i balneari siete dei rompiscatole, che intralciano il loro lavoro.
    «Ci siamo costituiti a ottobre del 2019. La nostra iniziativa annuale è la presa della battigia il 14 luglio quando non solo rievochiamo la presa della Bastiglia che rappresenta il trionfo della Rivoluzione francese ma celebriamo anche il 14 luglio del 2016 quando la Corte di Giustizia dichiarò incompatibili con il diritto comunitario le proroghe automatiche delle concessioni demaniali. Da allora, a cascata, tutti gli enti hanno iniziato a dichiarare illegittime le concessioni e noi andiamo in spiaggia a spiegare agli utenti del mare che loro in battigia ci possono stare e che si devono far transitare gratis tutti gli utenti. Si può essere respinti solo se si è di impedimento alla libera fruizione dell'arenile o al passaggio dei mezzi di soccorso».
    In primavera siete stati anche al Twiga. Quindi chiunque può andare a stendersi al sole con il proprio asciugamano in uno dei più costosi stabilimenti italiani?
    «Siamo andati al Twiga, a Ostia, a Gaeta, a Rapallo, Marina di Ravenna, Tarquinia e in molti altri stabilimenti in tutt'Italia dove le concessioni sono scadute».
    E che cosa è accaduto?
    «Abbiamo fatto il bagno, abbiamo preso il sole. Al Twiga e a Ostia hanno chiamato le forze di polizia ma abbiamo dovuto soltanto spiegare la nostra attività. Nessuno ci ha identificati, è stato invece spiegato ai concessionari che non rappresentiamo un pericolo e che la nostra attività è perfettamente legittima. Sono le numerose pretese dei balneari a non essere legittime».
    Per esempio?
    «Impedire agli utenti di uno stabilimento di entrare con il cibo. Il gestore non può imporre regole diverse da quelle che sono contenute nella concessione. Se si viene bloccati bisogna telefonare all'ufficio del demanio e denunciare la violazione delle regole concessorie. In questo caso il gestore rischia fino alla revoca della concessione. ma il problema non sono i balneari».
    E qual è il problema?
    «La politica. Totalmente complice e succube nella difesa della casta dei balneari».

 

 

 

10.08.24
  1. RADIOTAXI 3570 INOTTEMPERANTE,140MILA EURO MULTA ANTITRUST

    (ANSA) -L'Autorità Antritrust ha comminato una multa da 140mila euro alla cooperativa Radiotaxi 3570 per inottemperanza ad un provvedimento del 2018 dell'Autorità. Si tratta - spiega l'Autorità - della seconda inottemperanza per Radiotaxi 3570 "che non si è impegnata a riconoscere ai tassisti soci la possibilità di accettare, nei momenti in cui ci sia capacità produttiva eccedente, le chiamate provenienti da piattaforme terze, senza l'intermediazione obbligata della piattaforma proprietaria ItTaxi".


    In particolare, l'Autorità non ha ritenuto idonea la misura grazie alla quale i tassisti di Radiotaxi 3570 avrebbero potuto liberare la capacità produttiva inutilizzata solo a favore delle piattaforme che avessero sottoscritto accordi di interoperabilità con la piattaforma ItTaxi. In questo modo si sarebbe attribuito alla stessa cooperativa la scelta delle piattaforme per le quali i tassisti avrebbero potuto operare, definendone anche le condizioni economiche.

    Dovrebbero invece essere i singoli tassisti a individuare direttamente le piattaforme di intermediazione cui rendere disponibile la propria capacità eccedente. Solo in questo modo, scrive l'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, possono essere garantite, infatti, adeguate condizioni di apertura del mercato dei servizi di intermediazione della domanda di taxi alla concorrenza di altre piattaforme. Considerati il perdurare dell'infrazione e la pervicace inottemperanza alla diffida, l'Autorità ha anche imposto una penalità di mora per 214,40 euro al giorno (da calcolarsi fino al giorno dell'ottemperanza).
    CODACONS, MULTA ANTITRUST A RADIOTAXI 3570 CONFERMA ANOMALIE

    (ANSA) - Bene per il Codacons la sanzione da 140mila euro elevata dall'Antitrust alla cooperativa Radiotaxi 3570, una multa che secondo l'associazione "conferma le troppe anomalie nel settore dei taxi a Roma". "La pratica sanzionata dall'Autorità ha ripercussioni dirette sul servizio di trasporto pubblico non di linea e, quindi, sugli utenti finali, pesantemente danneggiati dalla carenza di auto bianche a Roma", spiega l'associazione in una nota. Conclude il presidente Carlo Rienzi: "A Roma, tuttavia, si assiste al paradosso che mentre l'Antitrust sanziona le cooperative dei taxi per i loro comportamenti scorretti, il Comune le premia regalando loro pesanti aumenti tariffari, come quelli decisi di recente dall'amministrazione capitolina e che finiranno ora al vaglio del Tar Lazio grazie al ricorso promosso dal Codacons".
  2. quindici anni di carcere a una Donna con Doppia cittadinanza
    Condannata per 50 dollari agli ucraini
    Quindici anni di reclusione: è questa la pesantissima pena che i giudici russi hanno chiesto per Ksenia Karelina, una giovane donna con doppio passaporto russo e americano. La accusano di «alto tradimento», sostengono che « abbia donato denaro destinato ad armi e munizioni per le forze armate ucraine». Ma secondo diversi giornalisti e difensori dei diritti umani, sotto queste imputazioni che pesano come macigni ci sarebbe in realtà solo una presunta donazione da poco più di 50 dollari. E non ci sarebbero prove che di questa somma (così esigua) abbia beneficiato l'esercito ucraino. Su questa vicenda sembrano di fatto stagliarsi ancora una volta le tensioni politiche tra Washington e Mosca, accusata di arrestare cittadini americani per motivi politici per poi usarli come "pedine di scambio" per il rilascio di russi detenuti nei Paesi occidentali. Come nel mega scambio di detenuti della settimana scorsa, il più imponente dai tempi della guerra fredda, con ben 24 persone rilasciate. Ksenia Karelina è stata arrestata all'inizio dell'anno, quando da Los Angeles - dove vive da ben 12 anni lavorando in un centro termale e come ballerina - era tornata a Yekaterinburg, nella sua Russia, per rivedere la famiglia. L'accusa di "alto tradimento" deriverebbe dal fatto che i servizi segreti del Cremlino avrebbero trovato sul suo cellulare tracce di un versamento da 51,80 dollari. Ma i media internazionali sottolineano che a beneficiare di questa somma sarebbe stata un'organizzazione con base a New York che si occuperebbe di "assistenza non militare" all'Ucraina. Secondo i giornali americani, si tratterebbe di Razom for Ukraine. «Il suo sito web afferma che sostiene una serie di progetti umanitari, tra cui la fornitura di kit di pronto soccorso, stufe a legna, generatori, radio e veicoli ai medici ucraini in prima linea»
  3. Il leader indipendentista torna in Catalogna dopo sette anni nonostante il mandato di cattura
    Il blitz di Puidgemont a Barcellona Torna, arringa la folla e si dà alla fuga
    francesco rodella
    madrid
    L'effetto suspense è già garantito. E anche per il nome in codice un'idea ci sarebbe: "Waterloo", come la località belga in cui si era stabilito per eludere i tentativi di cattura della giustizia spagnola. La rocambolesca vicenda delle ultime ore con protagonista Carles Puigdemont è da fare invidia a un episodio de La Casa di Carta, seguitissima serie tv iberica. Comparso a sorpresa a Barcellona, nonostante un mandato di arresto ancora vigente, il leader secessionista che, alla guida della Catalogna, sfidò lo Stato nel 2017 ha avuto tempo di rivolgere un discorso ad alcune migliaia di sostenitori, per poi abbandonare la scena e far perdere del tutto le sue tracce all'interno di un'area piena di poliziotti. Il ritorno nell'epicentro del conflitto alla base di tutta questa storia non poteva essere più clamoroso.
    Il sentore di una possibile riapparizione di Puigdemont in terra catalana era in realtà già nell'aria da tempo. Perché, rispetto a sette anni fa, di cose ne sono cambiate parecchie. A partire dalla linea adottata dall'attuale premier socialista Pedro Sánchez nei confronti dell'indipendentismo. Anche se per il leader più riconoscibile del secessionismo non tutto è stato rose e fiori ultimamente. Da una parte, c'è stata la perdita di consensi alle ultime elezioni catalane: appuntamento a cui Puigdemont si era presentato con l'aspirazione, nettamente disattesa dai risultati, di vincere e riconquistare il potere. Dall'altra, perché la giustizia spagnola non si è dimostrato disponibile a sconti nei suoi confronti neanche dopo l'ok all'amnistia che Sánchez.
    Puigdemont ha comunque rispettato la promessa fatta ai suoi di essere presente di persona in occasione del''investitura del nuovo governatore catalano (il candidato eletto dal Parlamento è il socialista Salvador Illa, appoggiato dagli indipendentisti moderati di Esquerra Republicana e dalla sinistra alternativa dei Comuns). Il resto è già storia: il leader secessionista è comparso a Barcellona, di primo mattino, venendo poi scortato verso un palco allestito a poche centinaia di metri dalla sede parlamentare. «Oggi sono qui per ricordare che ci siamo ancora», ha detto ai circa 4.000 simpatizzanti. Subito dopo, è sparito dalla vista dei più. Ore di ricerche da parte dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana sommersa dalle critiche proprio per questa apparente e quasi inverosimile fuga, non sono state sufficienti a intercettarlo, mentre due agenti sono finiti in manette per presunto favoreggiamento. —
  4. Le difficoltà crescenti della malattia e il taglio o i ritardi dei fondi decisivi per l'assistenza Da Laura ai fratelli Marco e Carlo, le storie di chi ha chiesto (senza successo) il suicidio assistito
    "Noi, lasciati soli e senza aiuti Adesso almeno fateci morire"
    valeria d'autilia
    La difficoltà di chi convive con una malattia che toglie tutto. L'autonomia dei gesti quotidiani così come la speranza di cura. E si trova a dover fronteggiare un altro carico che può diventare insostenibile: quello di tagli o ritardi di risorse fondamentali per l'assistenza. In Campania c'è Lola, da aprile è senza assegno di cura. Nel Lazio ci sono i fratelli Marco e Carlo: «Quando le risorse sono poche se la prendono sempre con i più deboli». Sono disabili gravissimi, colpiti da Sla.
    Daniela aveva 37 anni e un tumore al pancreas incurabile. Il suo unico desiderio era la morte volontaria assistita. Non ha fatto in tempo. Fabio Ridolfi è stato immobilizzato a letto per 18 anni, poi se n'è andato con la sedazione profonda e continua. Laura Santi, da due anni, è in attesa di risposta sul possesso dei requisiti. Martina Oppelli attende di sapere se l'assistenza continuativa e l'utilizzo di una macchina per la tosse possano soddisfare il criterio del «trattamento di sostegno vitale». Sono le storie dolorose di chi ha chiesto - ma non ottenuto - il via libera per accedere al suicidio assistito in Italia. Nomi di chi lotta contro la malattia e per il diritto a porre fine alle sue sofferenze. Ci sono anche due donne venete: entrambe hanno ricevuto parere negativo dalle Asl competenti. Una senza le motivazioni, l'altra totalmente dipendente dall'assistenza continuativa per ogni funzione vitale. Poi due uomini, nel Lazio e nel Friuli Venezia Giulia, in attesa delle verifiche e una malata che, per la commissione medica, non soddisfa i criteri indicati dalla sentenza Cappato-Antoniani dal momento che ha deciso di rimuovere la stomia. Qualcuno vuole restare anonimo, altri hanno un volto. A raccogliere queste battaglie e schierarsi al loro fianco è l'associazione Luca Coscioni. «Non esiste un monitoraggio nazionale. Conosciamo – dice il tesoriere, Marco Cappato - chi si è rivolto a noi per un aiuto alla morte volontaria, ma potrebbero essere molti di più. Il diritto è stato chiarito dalla Corte Costituzionale, ma mancano le procedure di attuazione che potrebbero essere dettate dal Parlamento o dalle regioni che hanno competenza in materia sanitaria. In questo modo ci sarebbero iter e scadenze certi e le Asl non andrebbero per conto proprio».
    Poi c'è chi ha ottenuto l'accesso alla morte volontaria in Italia. Dal 2019 l'associazione ne ha seguite tre. Federico Carboni è stato il primo. Aveva 44 anni, la strumentazione per l'autosomministrazione del farmaco venne acquistata con una raccolta fondi. «È stato il primo italiano – spiegano - ad aver ottenuto il suicidio medicalmente assistito, reso legale dalla sentenza della Corte costituzionale 242/2019, dopo quasi due anni dalla prima richiesta all'azienda sanitaria e un lungo scontro legale».
    Ma c'è anche chi è dovuto andare in Svizzera e chi ha scelto di farsi accompagnare, tramite un'azione di disobbedienza civile. E se in Italia manca una legge sul fine vita, dati alla mano, l'associazione fa sapere che nel 2023 sono arrivate 15.559 richieste di informazioni su eutanasia e suicidio medicalmente assistito, interruzione di terapie e sedazione palliativa profonda. Una media di 43 telefonate al giorno con un aumento del 28 per cento rispetto al 2022.
    Intanto a Cava de' Tirreni, in quel letto dove – da 22 anni – è immobile, Lola D'Arienzo inizia a mollare. «Noi familiari non vogliamo assecondarla in questo progetto di sedazione, non posso accettare di accompagnarla alla morte». Maria Rosaria è sua sorella, le è accanto da 28 anni. Quando tutto è iniziato, con la diagnosi di Sla. Racconta di un'assistenza onerosa: fondi decurtati, assegno di cura ridotto a mille euro e bloccato da 4 mesi. «Per noi anche 200 euro in meno sono importanti». Lola abita con una cugina che si prende cura di lei, con le badanti. Chi è in queste condizioni ha bisogno di figure presenti h24, in grado di fare manovre specifiche. Praticamente ospedaliere. «È un suo diritto rimanere in casa con un'assistenza dignitosa».
    Da un lato la battaglia per il fine vita, dall'altro le difficoltà quotidiane. Due temi paralleli e non sovrapponibili. Perché il suicidio assistito – come hanno sempre spiegato i sostenitori di questa libertà di scelta – è autodeterminazione, attiene alla sfera personale. E, va da sé, non può avere mai ragioni economiche.
    Dalla Campania al Lazio, tra vittime della malattia prima e della burocrazia dopo. Il mese scorso l'associazione Coscioni aveva sollevato la questione del distretto sociosanitario di Viterbo. «La regione Lazio aveva comunicato che i fondi regionali mensili di 700 euro non saranno più disponibili come contributo di cura erogato alla persona con disabilità gravissima, ma solo attraverso l'intervento di cooperative o l'assunzione di personale qualificato». Settanta le famiglie interessate. Tra loro ci sono i fratelli Gentili. Marco e Carlo, affetti da Sla. Mamma Sabrina è la principale caregiver di entrambi. «Finché non assumiamo una persona non ci danno quei fondi. Un conto è chiamare direttamente, diverso passare da una cooperativa. Non sappiamo neppure chi ci mandano. Serve personale specializzato visto che gli affidi un figlio». La Regione rassicura: «Il piano nazionale prevede una progressiva trasformazione dei contributi economici alle persone con disabilità in acquisto di servizi professionali. Riguarderà inizialmente i nuovi utenti e non quelli in continuità assistenziale».
    Marco è nato con la Sclerosi laterale amiotrofica. Oggi ha 34 anni e non può più muoversi e comunicare. «Per l'assistenza serve una persona di fiducia, che riesce a capirti al volo» dice, parlando attraverso un sintetizzatore vocale. —
  5. IL LUPO :   nuovo caso
    Toti e Spinelli accusa di corruzione per la cena elettorale
    L'ultima cena elettorale rischia di costare caro all'ormai ex presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Una cena con una quota minima di ingresso di 450 euro a testa. La raccolta fondi si è trasformata in una nuova accusa di corruzione per l'ex governatore e l'imprenditore portuale Aldo Spinelli. I pm Federico Manotti e Luca Monteverde hanno iscritto la nuova ipotesi di reato il 24 aprile, poco prima dell'arresto avvenuto il 7 maggio. Alla cena parteciparono 10 dipendenti delle società di Spinelli per un importo versato di 4. 500 euro. L'episodio era stato riportato anche dal giudice Paola Faggioni contro la revoca dei domiciliari. «Particolarmente significativo è il fatto che, nel corso della predetta conversazione, Toti – evidentemente sulla base di preventivi accordi sempre con lo Spinelli – faceva riferimento a una somma che avrebbe ricevuto da Spinelli, ulteriore rispetto a quella "ufficiale" della partecipazione alla cena elettorale ("Spinelli mi ha detto che fa 10 posti. Poi il resto. .. ci aggiustiamo" ), utilizzando un'espressione ("il resto") di frequente usata sia da Toti che da Spinelli per fare riferimento, in modo allusivo, alle utilità oggetto degli accordi corruttivi».

 

 

09.08.24
  1. Dopo le proteste E La fuga della premier
    Bangladesh , il premio nobel Yunus da oggi sarà primo ministro ad interim
    Il premio nobel per la pace Muhammad Yunus, 84 anni, è arrivato a Dacca per prestare giuramento come primo ministro ad interim del Bangladesh. La cerimonia dovrebbe tenersi oggi intorno alle 20 (le 16 ora italiana), ha detto il capo dell'esercito, il generale Waker-Uz-Zaman. Yunus - insignito del Nobel nel 2006 per aver ideato il microcredito e aver fondato la Grameen Bank - è stato scelto per l'incarico dal presidente Mohammed Shahabuddin per andare incontro alle richieste dei dimostranti che per settimane hanno invaso le strade, anche dopo che la premier aveva schierato l'esercito, provocando 400 morti. Yunus, che ha supportato a distanza il movimento di dissenso, ha definito l'addio della premier Sheik Hasina - fuggita in India il 5 agosto - «un secondo giorno della liberazione».
  2. INDIFENDIBILE ANCHE DALLO SCUDO SALVIANO:   L'accusa: "Soldi del Comitato elettorale girati su depositi personali "
    Toti, nuove carte della Finanza "Bonifici sospetti fino al 2024"
    Tommaso Fregatti
    Matteo Indice
    genova
    Per l'Ufficio informazione finanziaria (Uif) della Banca d'Italia sono «sospette» in primis numerose erogazioni ricevute dal comitato elettorale Giovanni Toti fino al biennio 2023/2024. Ma soprattutto: la Guardia di finanza, con una dettagliata informativa depositata in Procura il 16 luglio scorso, spiega che dopo quell'alert sono scattati rilievi sia sui ripetuti movimenti in uscita dal Comitato ai depositi formalmente «personali» del governatore, sia da questi ultimi a ulteriori conti. Le nuove annotazioni dei militari del nucleo di polizia economica e finanziaria sono state allegate agli atti depositati alle parti in vista del processo con rito immediato che comincerà il prossimo 5 novembre. L'Uif ha stilato un elenco di finanziatori collegati alle movimentazioni apparentemente «anomale», compiute a loro parere fino a poche settimane prima della retata. Vengono citati gli impresari Aldo Spinelli, Alberto Luigi Amico (quest'ultimo a sua volta indagato per corruzione), Mario Costantino, patron dell'azienda petrolifera Europam e da anni tra i principali sostenitori economici dell'ex presidente regionale, Alberto Pozzo, avvocato del comitato elettorale arancione. Ma il capitolo più significativo agli occhi di chi indaga è quello sui movimenti avvenuti dopo che il Comitato Toti, anche di recente, ha incamerato le generose sovvenzioni dei privati, e così viene riassunto dalle Fiamme Gialle. «La Banca d'Italia - scrive la Finanza - dichiara sospette le operazioni in uscita dal conto del Comitato Toti, dove sono stati disposti più bonifici a favore di due rapporti personali intrattenuti da Giovanni Toti presso altre due banche». Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, sono cinque le erogazioni al partito di Toti finite negli ultimi mesi sotto la lente degli ispettori. L'avvocato di Toti, contattato per una replica, ha risposto sostenendo che non vi sia alcun illecito e rimarcando che tutto è avvenuto secondo le norme vigenti. —
  3. SALVINI TROVA I SOLDI PER TUTTI MA NON PER LEI ?Lola
    che vuole morire

    valeria d'autilia
    Con il suo corpo ha sempre comunicato. Prima, quando danzava leggera. E anche ora, nonostante la malattia che da 22 anni la costringe in un letto. Se non può più contare sulle sue gambe, ci sono le ciglia. Piccoli battiti per parlare agli altri. Così, dalla sua casa di Cava de' Tirreni, Apollonia D'Arienzo ha scritto libri, poesie, fondato un'associazione di volontariato, organizzato eventi. Non si è mai fermata. In un modo diverso, ha continuato a vivere. Anche quando la Sla ha iniziato a consumarla sempre più, impedendole di muoversi, parlare, respirare in maniera autonoma, deglutire. Anche quando le scarpette da punta e la scuola di ballo - che aveva fondato appena maggiorenne - sono diventate un lontano ricordo.
    La diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica è arrivata a 32 anni. I medici le avevano dato un paio di anni di vita. Oggi ne ha 63. È stanca, pensa di arrendersi. «Voglio l'eutanasia, mi sento abbandonata». Alle difficoltà quotidiane si sono aggiunte quelle economiche: da maggio l'assegno di cura è bloccato. La sua famiglia, da sola, rischia di non farcela. L'assistenza ha costi altissimi. Psicologici e materiali. «Non è (solo) questione di soldi, ma di frustrante condizione di abbandono» per lei e chi le sta accanto. Esattamente un anno fa, con queste parole, l'associazione "Gli Amici di Lola" si era rivolta ai ministri della Salute e per le Disabilità. Una richiesta di aiuto, dopo la progressiva riduzione dell'assistenza domiciliare del Servizio sanitario nazionale e dell'assegno di cura. Suo figlio, la sorella, il fratello e una cugina – da soli – non bastano. Le badanti, sempre più costose, sono introvabili per la mole di lavoro e le attenzioni che un'ammalata di Sla richiede. Di giorno e di notte.
    Ma ora la situazione, senza quell'assegno, è sempre più complicata. «Da quattro mesi – dice la sorella, Maria Rosaria - ci sono stati tolti anche questi 1000 euro che già erano una goccia nell'oceano». Alcune persone che assistevano Lola, nel frattempo, hanno trovato altro.
    «Questo ritardo – spiega l'assessore ai Servizi sociali di Cava de' Tirreni, Giovanni Del Vecchio – non è ascrivibile alla regione o ai comuni. Il programma degli assegni di cura è regionale, ma il fondo è ministeriale e il governo non ha ancora operato questo trasferimento». Si tratta di risorse erogate a chi è in condizioni di disabilità gravissime e necessita di assistenza h24.
    Per Lola, così come la chiamano i suoi affetti più cari, questo sostegno è essenziale. Anche se non copre tutti i costi. Al ribasso, la stima è una spesa mensile che supera i 3000 euro. «La mia vita è stata un inferno, sono stanca di combattere». Sente che sta per cedere. Vorrebbe andare all'estero, in una struttura specializzata per il fine vita. E lì lasciarsi andare. «Penso che forse sia l'unico modo, sono quasi trent'anni di malattia e di lotte».
    Già l'anno scorso aveva contattato l'associazione Luca Coscioni. Per morire con dignità. «Ogni tanto – ricostruisce Maria Rosaria - mi parlava del fatto che si era stancata, ma sapeva bene che ero contraria». Eppure la forza e il coraggio non le sono mai mancati. Quando iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una malattia che diventa presto invalidante, Lola ha un figlio ancora piccolo. Può scegliere come affrontarla. Lei la guarda in faccia. Nel 2002, la tracheotomia è uno dei momenti più duri. Ma si aggrappa alla vita e va avanti grazie a un sondino nello stomaco per nutrirsi e un macchinario per respirare. La mente resta lucida e i suoi occhi azzurri diventano l'unico modo di comunicare. Con il movimento delle palpebre indica le lettere dell'alfabeto e anche il computer si rivela un supporto fondamentale quando sceglie di consegnare alla scrittura la sua storia. Racconta la fine del matrimonio e l'affidamento del figlio al padre. «A causa della malattia mi era stato negato il diritto di essere mamma». Adesso Vittorio è un uomo, le sta accanto. I suoi familiari sono la roccia, anche quando i pensieri si fanno sempre più bui. Adesso che deve scegliere di nuovo.
    «La Sla ti divora tutto – aveva detto qualche anno fa- ma lascia intatta la capacità di pensare e sentire. E non capivo se era un bene o un male».

 

 

 

08.08.24
  1. L'accusa del nuotatore britannico: "A Tokyo e a Rio il cibo era incredibile, ma qui a Parigi..."
    Nuove polemiche sul Villaggio olimpico Peaty: "Ho trovato i vermi nel pesce"
    DANILO CECCARELLI
    PARIGI
    Ci mancavano solo i vermi nel pesce per alimentare la già infuocata polemica sul Villaggio olimpico, finito al centro di accuse da parte di molti atleti per il cibo servito alla mensa e per le condizioni degli alloggi. A lanciare l'ennesimo sasso ci ha pensato Adam Peaty, nuotatore britannico vincitore dell'argento nei 100 rana in queste Olimpiadi dietro al nostro Nicolò Martinenghi, raccontando il disgustoso aneddoto in un'intervista rilasciata a Inews. Uno sfortunato episodio capitato ad alcuni atleti, ha spiegato lo sportivo inglese, che si è aggiunto al già numeroso coro di voci che si è alzato contro la qualità dei piatti serviti: «A Tokyo il cibo era incredibile, anche a Rio. Ma questa volta…». Peccato, però, che il team della Gran Bretagna e gli organizzatori dei Giochi abbiano fatto sapere di non aver trovato nessun riscontro alle accuse di Peaty, che nelle sue critiche non si è limitato alla questione dei vermi.
    Il nuotatore, che nel suo curriculum olimpico conta tre ori, ha sollevato come molti altri il problema della mancanza di proteine nei pasti, che secondo le volontà degli organizzatori presentano il 60% dei piatti senza carne per dare più spazio a menù bio e vegetariani. I disagi, inoltre, sono di natura logistica. «Bisogna aspettare più di 30 minuti per avere del cibo», ha detto Peaty, parlando delle lunghe file d'attesa alla mensa. Tutti problemi già denunciati da molti altri sportivi, tra cui gli italiani Gregorio Paltrinieri e Thomas Ceccon. Ma alla fine Peaty ha voluto vedere anche l'aspetto postivo di queste Olimpiadi. «Si tratta senza dubbio dei migliori Giochi dal punto di vista del coinvolgimento dei tifosi». Anche perché, per la stessa ammissione del nuotatore, non ci saranno mai «dei Giochi perfetti».

 

 

 

 

07.08.24
  1. Occupato il Parlamento, abbattute le statue del padre della "Lady di ferro", fondatore del Paese
    Bangladesh, i militari prendono il potere la premier Sheikh Hasina fugge in India
    lorenzo lamperti
    taipei
    Sheikh Hasina si è dimessa, dopo una fuga all'estero mentre la sua residenza veniva presa d'assalto. E mentre le statue di suo padre, primo presidente e martire dell'indipendenza, venivano tirate giù dalla folla. Appena qualche giorno fa, pensare a tale scenario sembrava fantascienza, in un Bangladesh che la premier "di ferro" era convinta di avere in pugno dopo essere giunta al quinto mandato. Invece è realtà, al culmine di settimane di violente proteste che hanno causato oltre 300 morti, un centinaio solo domenica e un'altra ventina ieri. Tra di loro, secondo l'Unicef, oltre 30 bambini.
    Hasina si era arroccata, definendo «terroristi filo pakistani» i manifestanti che ne volevano le dimissioni e chiedendo agli agenti (tra cui ci sono almeno 14 morti) di sparare a vista. Dopo un consulto con le forze armate, è stata costretta ad arrendersi. È scappata in elicottero in India, suo principale sponsor internazionale, mentre la folla si avvicinava al palazzo di Dacca, poi "conquistato" insieme ad altri luoghi del potere. Lo scettro passa all'esercito. Il comandante Waker-Uz-Zaman ha dichiarato che formerà un governo ad interim, chiedendo cooperazione agli studenti e rassicurando sull'apertura di indagini sulle violenze di queste settimane.
    Hasina, che pare destinata in Europa, ha fatto sapere di essere «profondamente delusa» per aver dovuto lasciare il Paese, la cui crescita economica degli ultimi anni si appunta come medaglia. Non è bastato per frenare il malcontento dei giovani, dopo anni di repressione del dissenso in nome della «difesa dagli islamisti». In realtà, la miccia delle proteste è stata la reintroduzione delle quote di accesso ai posti di lavoro pubblici, col 30% riservato alle famiglie dei veterani della guerra d'indipendenza. Una zavorra troppo grande per i giovani, che in un Paese dall'età media molto bassa sono sempre più spesso disoccupati. Non è bastato l'intervento della Corte suprema, che ha abbassato le quote al 5%. La protesta si è trasformata in una rivolta contro il governo, dopo che Hasina aveva colto l'occasione per completare lo smantellamento dell'opposizione, tra irruzioni e arresti. Ma ora è successo l'impensabile. E Hasina è dovuta fuggire da quel Bangladesh che pensava fosse cosa sua.
  2. Nel 2023 raccolta in contrazione rispetto al passato: i prodotti da banco recuperati sono considerati rifiuto e non possono essere riutilizzati
    Lasciati nelle farmacie e poi inceneriti Medicinali, in 4 anni buttate 221 tonnellate
    ALESSANDRO MONDO
    Il dato del 2023 è il più contenuto degli ultimi quattro anni. Anche così, 48,3 tonnellate raccolte a Torino non sono uno scherzo. Erano 56,35 nel 2022, 62,94 nel 2021, 54,34 nel 2020. Farmaci, essenzialmente da banco, che escono dalle case e finiscono nei centri di raccolta Amiat, sia perché portati dagli utenti sia perché conferiti dai mezzi che li raccolgono presso le farmacie che hanno richiesto questo servizio.
    Numeri importanti, con diverse interpretazioni: la flessione dell'anno scorso, per esempio, può rimandare alle crescenti difficoltà economiche delle famiglie e quindi alla minore spesa per le cure, se non addirittura alla rinuncia alle cure, come denunciato a più riprese dai sindacati e dalle associazioni di volontariato.
    Quanto alle cause, in assenza di un monitoraggio puntuale, si va per ipotesi. Tra quelle plausibili, un aumento delle prescrizioni: per quanto, in base ad un recente report di Agenas, il Piemonte, con un aumento appena dell'8%, rappresentano la punta più bassa rispetto a tutte le altre regioni. Ma possono incidere anche l'uscita a ciclo continuo sul mercato di nuovi prodotti in sostituzione dei vecchi, il cambio dei piani terapeutici. E naturalmente il lascito farmacologico di anziani deceduti, di cui parenti e famigliari si disfano.
    Numeri importanti, dicevamo. Numeri, altra precisazione, che non tengono conto della quota di farmaci, probabilmente non meno rilevante, gettati direttamente nei cassonetti (cosa da non fare per nessun motivo), e che quindi non vengono smaltiti all'inceneritore ma finiscono in discarica, dove contribuiscono all'impatto ambientale.
    Inutile chiedere ad Amiat quali sono i prodotti più ricorrenti tra quelli raccolti, non per marca ma per categoria (antidecongestionanti, antiepiretici, analgesici, etc): non vengono analizzate le tipologie. Inutile, anche, domandare se si tratta di prodotti scaduti o se capita di raccogliere farmaci ancora validi: di nuovo, le tipologie non vengono analizzate. Impossibile, per lo stesso motivo, determinarne il valore economico dei quantitativi raccolti.
    I farmaci che vengono raccolti da Amiat sono un "rifiuto" agli occhi della legge (è rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi"), pertanto non possono più essere riutilizzati. Se invece i farmaci non più utilizzati sono integri, non ancora scaduti e nelle loro confezioni originali, si può evitarne lo spreco consegnandoli alle farmacie che aderiscono al progetto Recupero Farmaci Validi promosso dal Banco Farmaceutico (https://www.bancofarmaceutico.org/cosa-facciamo/recupero-farmaci-validi): i farmaci scaduti possono essere conferiti anche presso gli appositi Centri di Raccolta.
    Come premesso, si parla essenzialmente di farmaci da banco. La raccolta, da parte dei circa 300 netturbini di zona per conto del Comune, è dedicata ai farmaci da banco: quelli ospedalieri hanno un circuito autonomo di smaltimento e non si mescolano con i farmaci "urbani". Lo smaltimento avviene presso l'inceneritore TRM. Di recuperare qualcosa, da questo mare magnum di pillole e compresse, ad esempio i blister o gli imballi, non se ne parla. «I farmaci che entrano nelle isole ecologiche di Amiat non possono essere sottoposti a selezione», precisano dall'azienda.
    A fronte di molte domande oggi senza risposta, resta la necessità di una riflessione, che probabilmente non è mai stata fatta. «Ogni giorno vengono buttati in modo non corretto farmaci, scaduti e non, direttamente nell'indifferenziato, molti per semplice incuria, ma molti altri perché non si conosce il corretto conferimento - spiega Paola Bragantini, presidente dell'azienda -. Oggi Amiat collabora con molte farmacie che raccolgono i medicinali usati e scaduti, ma questo tipo di raccolta va valorizzata in modo più efficace. Chiederemo un incontro alle associazioni di categoria per un confronto che potrà essere di stimolo per tutti i soggetti coinvolti: se la Regione intende farsi capofila, possiamo costruire una strategia più efficace per portare tutti i farmaci al loro corretto smaltimento». Una buona idea, da non lasciare cadere.

 

 

06.08.24
  1. Pavel Kushnir aveva criticato l'invasione dell'Ucraina con alcuni video. Era in sciopero della fame
    Morto in carcere il pianista contro la guerra
    Il pianista e attivista pacifista russo Pavel Kushnir, incarcerato per aver criticato la guerra in Ucraina, è morto in carcere a 39 anni. A darne notizia è stata la madre, citata dalla testata Mediazona. Secondo la donna, Irina Levina, le autorità le hanno comunicato che il figlio è deceduto per uno sciopero della fame e della sete in un centro di detenzione a Birobizhan, nell'Estremo Oriente russo. Il Servizio penitenziario russo non ha commentato la notizia. «Abbiamo ricevuto lettere dai suoi compagni di prigionia e, provenendo da questo centro di detenzione, non ci sono più dubbi che sia morto», ha detto a Current Times Olga Romanova, direttrice in esilio di una Ong che difende i prigionieri russi. Oggi, il team del defunto oppositore Aleksei Navalny, morto in prigione lo scorso febbraio, ha chiesto donazioni su X per rimpatriare il corpo del pianista nella sua città natale di Tambov. Nel maggio 2024, un canale Telegram con notizie dalla regione di Birobizhan aveva annunciato l'arresto di Kushnir - solista della Filarmonica locale dal 2023 - affermando che era stato accusato di «appelli pubblici ad attività terroristiche», un crimine punito con lunghe pene detentive in Russia, anche se il suo arresto non è mai stato annunciato ufficialmente. Nella regione autonoma ebraica Kushnir era arrivato nel 2023, dopo una carriera che lo aveva portato prima alla Filarmonica regionale di Kursk, poi a Kurgan. In una intervista all'emittente statale Bira aveva detto di voler «correre il rischio e restare», anche di fronte all'eventualità di essere «mandato in prigione, arruolato o licenziato». Secondo il sito Vot Tak, nel novembre 2022 il pianista aveva pubblicato su un canale YouTube quattro video seguiti da alcune decine di persone in cui criticava il Cremlino e l'invasione dell'Ucraina, lanciata nel febbraio di quell'anno. —

 

05.08.24
  1. UNA RIFLESSIONE SUL NEO FASCISMO :   Per Libero Mancuso, uno dei magistrati che portò a processo Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, i terroristi neofascisti condannati per la strage di Bologna, le parole di Giorgia Meloni «sono un tentativo di occultare la verità». Mancuso arrivò a Bologna nel 1982, qui si occupò della strage del 1980, ma anche di P2, terrorismo, depistaggi. E oggi come allora, sottolinea, «la destra non vuole assumersi alcuna responsabilità. Ha sempre bramato – prosegue Mancuso – una riabilitazione del suo passato eversivo».
    La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parlando della strage di Bologna, per la prima volta ha usato la parola "neofascismo".
    «Ma lo ha fatto solo per riferirsi a quella che definisce come "verità giudiziaria". Parlare di verità giudiziaria a proposito delle stragi e dei tentativi golpisti portati a segno nel nostro Paese, che miravano a ostacolare il faticoso affermarsi dei valori della Costituzione, vuol dire negare le verità emerse in tutti i processi, ma non è solo questo».
    Cos'altro?
    «Con questo atteggiamento di negazione ci si pone dalla parte di chi per anni ha tentato di coprire le responsabilità dei terroristi neofascisti. È la parte di chi ha giocato un ruolo pesante nell'occultamento e nel depistaggio che sono avvenuti in occasione di tutti i tentativi eversivi portati a segno in quegli anni da chi, attraverso di essi, intendeva fermare il percorso della nostra democrazia».
    Come risponde a chi sembra ritenere la verità giudiziaria una verità "minore"?
    «Che è ora che prendano coscienza del loro passato».
    Meloni ha anche attaccato il presidente dell'Associazione delle vittime della strage di Bologna, dicendo che sia grave sostenere che la destra di governo ha delle radici che affondano nel mondo dei movimenti eversivi neofascisti.
    «Se non ci fosse un filo che li lega, per quale motivo gli esponenti politici della destra italiana hanno sempre provato a coprire e distorcere la verità su quegli attentati? Tentativi che, come si vede, sono in corso ancora oggi e che fin dall'inizio sono stati portati avanti ricorrendo a tutti i mezzi di cui disponeva la propaganda legata a quel mondo, da certi organi di stampa fino ai circoli massonici».
    Il presidente della commissione Cultura alla Camera, Federico Mollicone, di Fratelli d'Italia, agita apertamente il sospetto di un errore giudiziario.
    «L'obiettivo è sempre quello di scardinare le verità definitive sancite in tutti i processi. Dalla strage di piazza Bologna a quella di piazza Fontana di undici anni prima, fino all'attentato dinamitardo al treno Italicus di cui ricorre questa notte (ieri notte, ndr) il cinquantesimo anniversario. Questi episodi hanno visto all'opera la destra neofascista, sorretta ostinatamente dagli ambienti di destra. Sfuggono alle proprie responsabilità».
    Gli attentati di matrice neofascista di quegli anni crede quindi che rappresentino una macchia che l'attuale destra deve ancora lavare via?
    «Quello che abbiamo detto finora, a proposito dell'occultamento della verità, pur a distanza di anni dall'accadimento di quelle stragi e dei tentativi eversivi, è segno che si tratta di temi forse troppo ingombranti per la destra. Per questo non riesce ad accettare il suo passato».
    Come vede le continue spinte politiche per la nascita di commissioni parlamentari con cui indagare sulle stragi?
    «Come un tentativo di utilizzare le tante risorse della politica per offuscare la limpidezza delle tante decisioni della giurisdizione».
    Con un occhio al futuro, crede sia possibile un clima di pacificazione intorno all'anniversario della strage di Bologna?
    «Occorre che il nostro Paese non rinunci alla memoria e che la destra prenda atto del suo passato eversivo quale strumento di lotta politica. Solo allora, forse, sarà possibile.

 

 

04.08.24
  1. Paolo Bolognesi
    "La premier ci prende in giro non rispetta quegli 85 morti"
    bologna
    Paolo Bolognesi è arrabbiato. Il 2 agosto è un momento sacro per le vittime della strage di Bologna e lui, che le rappresenta dal 1996, si è sentito attaccato dal capo del governo. Certo, è stato lui il primo a muovere delle critiche alla destra. Alla vigilia della commemorazione, in cui storicamente tiene un discorso di rivendicazione davanti a centinaia di persone, ha denunciato l'influenza delle idee piduiste sulla politica italiana. Si è riferito a diverse fasi storiche, ma non ha risparmiato l'attuale amministrazione, accusandola di aver pescato a piene mani dal piano eversivo di questa loggia massonica, per scrivere l'attuale riforma della giustizia. La premier Meloni dice che queste affermazioni sono ingiuste e mettono in pericolo la sua incolumità. Lui le risponde che «sta solo facendo la vittima» e rincara la dose: «Nordio ha copiato la riforma dal piano di rinascita democratica di Gelli».
    Bolognesi, crede che le sue dichiarazioni mettano in pericolo l'incolumità personale di Giorgia Meloni?
    «Non scherziamo. Meloni come al solito fa la vittima, ma farlo il giorno in cui commemoriamo la strage è particolarmente offensivo. Non deve dimenticare che le vittime siamo noi, sono i nostri parenti che sono morti e chi è stato ferito. Ne ho visti altri fare le vittime ai processi, poi però sono stati condannati. Ci sta solo prendendo in giro».
    Per la premier sostenere che la riforma della giustizia del governo sia ispirata dai progetti della P2 è molto grave. Lei nell'intervista a La Stampa ricordava che la proposta di separare le carriere dei magistrati, compariva nel piano piduista. Lo ribadisce?
    «Mi domando se Giorgia Meloni abbia mai letto il Piano di Rinascita Democratica che fu sequestrato alla moglie di Licio Gelli. Lì non solo c'è scritto chiaramente che le carriere dei magistrati vanno tenute separate, ma si parla per esempio anche dei test psicoattitudinali per i pubblici ministeri. La riforma che ha scritto Nordio è presa pari pari dal piano della P2».
    Quando Meloni dice «le sentenze che attribuiscono la strage di Bologna a esponenti di organizzazioni neofasciste», si esprime in modo ambiguo?
    «La prima ambiguità riguarda il fatto che, citando le sentenze, lei non precisa se ne condivide o meno il contenuto. Le sentenze sul 2 agosto però sono il frutto di una mole di prove solide emerse nei processi. Se le si riconosce, allora bisogna ammetterne la validità o chiarire perché no. La seconda è che se sono "esponenti di organizzazioni neofasciste" e non "neofascisti" , si potrebbe pensare che abbiano agito autonomamente e contro l'interesse delle sigle eversive a cui appartenevano. È una tesi che sostenne per esempio anche Stefano Delle Chiaie, che del neofascismo armato è stato il padre in Italia».
    Per lo meno il ministro Piantedosi nel suo discorso è stato categorico. Ha parlato di neofascisti e ribadito l'appoggio del governo alla vostra causa».
    «Con Piantedosi io ero scettico, perché mi erano arrivate voci che contestasse gli importi che noi famigliari delle vittime chiediamo a modo di risarcimento, attraverso la legge sugli indennizzi per episodi di questo tipo che stiamo cercando di far approvare. Però mi è stato detto: stai tranquillo, non viene a fare polemiche e ho deciso di dargli la possibilità di dimostrare se questa vicinanza governativa nella ricerca della verità sarà effettiva. Ora, staremo a vedere».
  2. Dopo le condoglianze del presidente turco per il leader di Hamas ucciso
    Instagram blocca l'omaggio a Haniyeh Erdogan probisce l'accesso al social
    Instagram blocca i post di condoglianze per Ismail Haniyeh, compreso quello del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E la Turchia blocca Instagram. «Questa è censura, pura e semplice», si è lamentato il funzionario delle comunicazioni turco Fahrettin Altun quando la piattaforma di social media ha impedito la diffusione dei messaggi per la morte del leader di Hamas. Dalle lamentele alle contromisure, ieri la Turchia ha bloccato l'accesso all'applicazione della società Meta di Mark Zuckerberg, senza tuttavia collegare direttamente l'effetto alla sua causa. E senza specificare la durata del provvedimento. Così come, secondo Altun, Instagram non ha fornito una ragione o un'indicazione che spiegasse in che modo i post segnalati violassero le sue politiche.
    Anche il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz è intervenuto su un comportamento "sgradito" da parte della missione turca a Tel Aviv, dove il titolare della sede diplomatica di Ankara ha ordinato di abbassare la bandiera a mezz'asta, in segno di lutto per l'uccisione del capo politico di Hamas. Katz ha predisposto la convocazione del vice ambasciatore turco per un severo rimprovero. «Se i rappresentanti dell'ambasciata vogliono piangere - ha detto il capo degli Esteri di Gerusalemme - che vadano in Turchia e piangano assieme al loro maestro Erdogan, che abbraccia l'organizzazione terroristica di Hamas e sostiene i suoi atti e le sue atrocità»
  3. DOVREBBERO FARE I COMPLIMENTI AI MEDICI E CHIEDERE LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIA :
    Non potrebbe essere più emblematica dello stato agonico della macchina della salute italica (dal livello nazionale a quello regionale), la foto diffusa dall'ospedale di Palmi (Messina) che mostra la gamba di un giovane siciliano col perone rotto, immobilizzata alla meglio con scatole di cartone, di cui si intravvedono le scritte originarie, indicanti l'originaria destinazione d'uso commerciale.
    Rendiamoci conto. Dietro quell'immagine non c'è una storia di ordinaria malasanità o di bad practice dovuta a errore medico, a negligenza o errata diagnosi: i due medici di turno, anzi, stando a quanto raccontano le cronache dei quotidiani locali, ce l'hanno messa davvero tutta, anche a detta dei congiunti del paziente per utilizzare a suo vantaggio, come impone il Giuramento di Ippocrate, tutte le risorse della conoscenza.
    Ma cosa può fare quella parte dei medici , fedeli allo spirito del Ssn a tener fede alle proprie responsabilità verso i pazienti e la società, quando, in alcuni inespugnabili feudi, gestione sconsiderata, clientelismo, politica impegnata ad amministrare le nomine dei vertici di Aziende ospedaliere e Asl, erogatrici di poltrone più che di cure, producono la terrificante condizione di cui dà conto questa vicenda? Da cui emerge la mancanza di fondamentali elementi come le stecche per stabilizzare gli arti, di cui l'ospedale «Barone a San Piero Patti» sarebbe privo, a quanto pare, da più di un mese. Possibile mai che nessuno dei responsabili della catena di comando, nessuna delle figure ai vertici i vertici dell'azienda sanitaria di Messina, fosse informata dell'inadeguatezza di un servizio come il Pronto Soccorso a cui si rivolgono i cittadini per trovare risposte immediate ai bisogni urgenti di salute e, nei casi di emergenza, per il recupero e la stabilizzazione delle funzioni vitali (come in questo caso in cui , sembrerebbe, era necessario applicare alla gamba un gesso o una stecca per prevenire i movimenti in modo che la frattura possa guarire)? Facendo un salto indietro di un paio di millenni si può dire che era più «guarnita» - si potrebbe dire - la famosa «casa del chirurgo», una delle tante residenze scoperte nell'antica città di Pompei, sepolta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e costruita fra il IV e il III secolo a.C.. Quel sanitario - oltre che di un dovizioso armamentario chirurgico, in ferro e bronzo, che comprendeva sonde, forcipi ginecologici, cateteri di varia dimensione e maneggevolezza, bisturi, pinze, sonde (per drenaggi), aghi da sutura, disponeva - in un tempo vertiginosamente lontano dal nostro - di quanto occorreva per rispondere alle richieste di cure per traumi di varia natura: una specie di pronto soccorso di duemila anni fa che disponeva di materiale da medicazione costituito da bende di lino, da lana e stoppa, usata per le sue proprietà assorbenti.
    Che dire nell'anno del Signore 2024? Dall'avamposto locale della sanità pubblica, pilastro della politica nazionale, ci saremmo aspettati un accorato mea culpa. E non il solito, fastidioso e inutile profluvio di dichiarazioni e solenni promesse di interventi- tampone che lasceranno le cose come stanno. Si scusa il governatore della Sicilia, Renato Schifani, e annuncia provvedimenti esemplari. Promette interventi ispettivi l'assessora regionale alla Sanità che in base agli esiti, ha informato i suoi corregionali, verificherà «le eventuali responsabilità». Si resta senza parole, e si rilegge la frase virgolettata, per verificare che abbia usato l'innocua parola «criticità», a proposito della vicenda di Palmi. Nessun errore. L'ispezione per verificare le responsabilità sarà effettuata a tamburo battente e in base agli esiti saranno adottati «i provvedimenti idonei al superamento delle criticità accertate». —

 

 

 

 

 

 

 

03.08.24
  1. La repubblica islamica è una delle prime potenze militari
    Un arsenale di migliaia di missili e droni
    L'Iran ha a sua disposizione decine di caccia e migliaia di droni e missili che la rendono una delle prime potenze militari della regione. Dall'altra parte, Israele può contare su un sistema di difesa aerea multilivello tra i più efficaci e avanzati al mondo, sviluppato con l'aiuto degli Usa dopo la Guerra del Golfo del 1991. Il sistema a più alta quota è Arrow, che intercetta missili balistici nello spazio; per il medio raggio Israele può contare sul David's sling (la Fionda di Davide) in grado di contrastare missili balistici e da crociera. Infine, il più famoso Iron dome a corto raggio è pensato per intercettare il tipo di razzi e mortai di Hamas. Sono invece nove i missili iraniani in grado di colpire lo Stato ebraico, tra cui il Sejil, in grado di volare a più di 17.000 km all'ora e con una gittata di 2.500 km; il Kheibar con una gittata di 2.000 km e l'Haj Qasem, che ha una gittata di 1.400 km e prende il nome dal comandante della Forza Quds Qasem Soleimani. L'Iran possiede anche missili da crociera come il Kh-55, un'arma di capacità nucleare lanciata da aerei con una gittata fino a 3.000 km. Negli ultimi anni, ha assemblato poi un vasto inventario di droni, il cui numero si aggirerebbe intorno alle poche migliaia. Tra questi, tutte le declinazioni dei temibili Uav kamikaze Shahed, impiegati anche in Ucraina. Meno avanzata è invece l'aeronautica iraniana, duramente penalizzata dalle sanzioni. —
  2. PERCHE' SI LASCIA CHE NASCA UN BAMBINO ?   Il bambino
    che non poteva
    disegnare
    francesca del vecchio
    milano
    Dimenticare o fingere di dimenticare. Fingersi smemorato pur di non dire la verità. E cioè che mamma e papà non possono comprare l'album da disegno per la scuola. Che tra la bolletta della luce, la spesa, il mutuo e i pastelli, a malincuore devono scegliere cosa sacrificare.
    Andrea ha 11 anni, a settembre andrà in seconda media. È il primo di quattro figli, gli altri hanno 2, 6 e 9 anni. Tra un mese anche il terzo dei suoi fratelli inizierà la scuola. La sua famiglia fa fatica a stare dietro alle spese scolastiche: libri, materiali tecnici, quaderni che con il caro materiali costano sempre di più. (Un album da 10 fogli va dai 5 agli 8 euro).
    Nonostante la "Dote scuola", che è riuscita a tamponare solo in parte le esigenze dell'inizio d'anno scolastico, dopo pochi mesi, le difficoltà erano già venute a galla. E così Andrea ha pensato che mentire per «prendere tempo» fosse una buona soluzione. «Tanti compagni non ricordano di portare la colla, i pastelli. Così anche io ho finto di essere smemorato: ho detto di aver dimenticato l'album, la professoressa non sa che non ce l'ho proprio. Ma era troppo difficile dirle la verità, mi vergognavo. Ho mentito ma mi sembrava che tutti sapessero», confida alle educatrici dello Spazio Libellula, dell'omonima Fondazione a Milano, che frequenta da circa un anno per le attività di potenziamento didattico. «Un giorno lo abbiamo visto triste, malinconico: non era da lui. È un bambino solare, socievole. Sempre disponibile e partecipe», racconta Marzia Scuderi, responsabile sviluppo e gestione dei progetti di cura della Fondazione. «Ci ha raccontato quello che era accaduto in classe. Ci ha sorpreso perché non avremmo mai immaginato che dietro un bimbo così sereno si nascondessero disagi così importanti».
    La maturità di Andrea è tale che la sua preoccupazione va all'indomani: «Oggi ho detto di aver lasciato l'album a casa, ma come farò domani?», è il suo drammatico interrogativo.
    A 11 anni, infatti, gli è già piuttosto chiaro quello che accade intorno. La famiglia ha iniziato un percorso di consapevolizzazione, soprattutto dopo che la mamma, che lavorava come cameriera, ha perso il lavoro a causa della pandemia. Dopo il covid è nata l'ultima figlia e siccome fino a tre anni il nido non è gratuito, quello che lei guadagnava con il part time veniva speso interamente in baby sitter e asilo. Così ha deciso di lasciare per dedicarsi alla cura dei figli. Da allora, la famiglia di Andrea è monoreddito. Il papà lavora come operaio in una piccola impresa ma il carovita non lascia molto scampo a chi, con quattro figli, cerca di garantire loro una educazione «corretta e dignitosa». Quelle piccole mancanze a scuola «cominciavano a incidere sul rendimento di un bambino intelligente, studioso… uno che è bravo da far copiare pure gli esercizi agli amici», dice ancora Scuderi.
    Dopo la "confessione" di Andrea le educatrici cercano un contatto con la famiglia per approfondire la situazione. L'imbarazzo è dominante in quell'incontro in cui - prima di aprirsi e raccontare la cruda realtà delle cose - l'istinto è quello di chiudersi in se stessi e cercare di serbare la dignità. «Alla fine - spiega Scuderi - hanno capito che volevamo aiutarli. La mamma di Andrea ci conosce, frequenta i corsi di educazione emotiva genitori-figli con i più piccoli. Così hanno accettato di raccontarci». Le difficoltà non riguardavano solo Andrea ma anche l'altro fratello, che frequenta le elementari. Lì i libri di testo vengono forniti dalla scuola ma a diventare di difficile gestione è la narrativa da leggere a casa, durante le vacanze. «La mamma di Andrea ci ha raccontato che negli anni scorsi si accordavano con la biblioteca per prendere i testi in prestito»: ma a che prezzo? Quello di una lettura con il cronometro alla mano senza poi la garanzia di ritrovarli a settembre, per le lezioni in classe.
    Grazie all'aiuto delle educatrici, ad Andrea e ai suoi fratellini è stato fornito un "kit scolastico di emergenza" ad anno iniziato. «Quando lo abbiamo convocato con i suoi per dirgli che avevamo una sorpresa per lui, ci ha guardati perplesso. Poi, vedendo quell'album, i suoi occhioni marroni si sono illuminati ed è tornato l'Andrea di sempre».
    Ma la povertà materiale ed educativa, colpisce molti bambini: oltre ad Andrea: secondo i dati di Save the Children, quasi un adolescente su quattro, il 23,9%, inizia l'anno scolastico senza aver potuto acquistare tutti i libri e il materiale scolastico, 1 adolescente su 10 vive in condizioni di grave deprivazione materiale e più di un adolescente su 4 che vive in questa condizione pensa che non riuscirà a finire la scuola e sarà costretto ad andare a lavorare. Le gite scolastiche sono un obiettivo irraggiungibile per il 24% degli studenti, così come i corsi di lingua per il 17,4%.
    «La storia di Andrea e di tanti come lui ci ha fatto capire quanto sia necessario un aiuto ai genitori. - spiegano dalla Fondazione Libellula - Per questo ci è venuta l'idea delle donazioni di kit scolastici. Un modo per supportare le famiglie in difficoltà, con un piccolo gesto in forma anonima».
    Affinché sempre meno bambini debbano fingersi smemorati.
  3. SOTTOSTIMA FINORA:Gtt, aggressioni in aumento: 57 da inizio anno
    Aumentano le aggressioni ai danni degli autisti Gtt e dei passeggeri: secondo il report presentato ieri in Comune, durante la Commissione Trasporti, nei primi sei mesi dell'anno, si contano 57 episodi. Numeri in leggera crescita rispetto allo stesso periodo del 2023, quando se ne erano verificati 54.
    «Gli eventi di aggressione - si legge nel documento - non hanno una concentrazione in punti precisi della città, sono distribuiti sul territorio». Ma c'è una linea, la 4, che dai dati risulta più esposta delle altre: nel 2024 si sono verificati 10 episodi di aggressione, contro i 9 dell'anno precedente.
    Come illustra il report, il sistema di videosorveglianza diffuso si conferma uno dei più efficaci deterrenti per questi reati: ad oggi risultano essere dotati di telecamere a bordo 118 tram su un totale di 181 (65,1%), 628 bus urbani su 730 (86%) e 224 bus extraurbani su 295 (75,9%). «Con il rinnovo del parco autobus e tram - annunciano da Gtt - si prevede l'incremento dei mezzi dotati di telecamere di nuova generazione più affidabili dei vecchi sistemi».
    Da inizio anno sono stati controllati 6.793 passeggeri con servizi coordinati con carabinieri e polizia, oltre ai 5.760 nell'ambito del progetto Linea Sicura in collaborazione con la polizia municipale. —

 

 

02.08.24
  1. UCCIDENDO GESU' HANNO ACQUISITO DA SATANA LA Licenza
    di uccidere nel mondo
    Per i pochi come me che ancora credono che l'omicidio volontario sia una delle peggiori fattispecie di reato e che la punizione dei colpevoli passi non per la vendetta ma attraverso le faticose procedure di tribunali dibattimenti e sentenze, è stato motivo di stupore la lettura delle definizioni attribuite alla operazione del Mossad a Beirut e poi ancor più fragorosamente a Teheran. Il duplice omicidio è «l'episodio», «l'eliminazione», «la risposta», «il messaggio», «l'avvertimento» e via così metaforando. Filtra una non troppo contenuta ammirazione per il doppio colpo messo a segno dal Servizio Omicidi di Netanyahu. Confessiamolo con devozionale raccapriccio: il killer con licenza governativa di uccidere è diventato un eroe del nostro tempo, maturano condizioni per le maniere forti. La caccia all'uomo, la imboscata risolutiva, la vendetta realizzata in un attimo: tali pratiche esentate da cautele legalistiche non suscitano più scandalo. Israele in particolare le ha imposte come pratica abitudinaria, ne ha fatto una scienza, le ha normalizzate. Anzi: ho sentito ieri lodare perché a Teheran, con grande abilità operativa, si sono evitati sgradevoli effetti collaterali, ovvero spedire agli inferi con il condannato a morte anche ignari inquilini e passanti. Fatto così va bene: bisognerà aggiornare il codice penale internazionale.
    Le due operazioni sottolineano un'altra novità, rispetto alle epoche primitive in cui "far fuori'' esigeva infiltrazioni di agenti in luoghi ostili, pedinamenti faticosi, veleni, cariche di tritolo da affiggere a vetture e appartamenti, armi portatili dotate di silenziatore. Stiamo sul terra terra: il drone ha apportato straordinarie ed economiche possibilità. Un assassino silenzioso e invisibile guidato a distanza da mani sapienti vola sul bersaglio e il terrorista evapora in una spettacolare esplosione. Nessuna necessità di mettere in salvo gli esecutori, in fondo nessuna traccia. Chi deve sapere capisce. Si può perfino far finta di niente, tacere.
    Dunque. Il Mossad come descriverlo? Guerrieri senza nome, identità fittizie, la guerra delle ombre, sabotaggi a centrali atomiche e ecatombi di terroristi, scienziati sospetti, nemici di Israele generici, operazioni spettacolari e clamorose sconfitte come il 7 di ottobre. Ah, dimenticavo: anche loschi commerci, traffici di armi, bugie, delitti per errore. Gli agenti della guerra fredda occidentali e sovietici sapevano se scoperti di avere una possibilità, prima o poi sarebbero stati scambiati con colleghi dell'altra parte o con refuznik e dissidenti: un ponte a Berlino, nebbia, silenzio. Pagina chiusa. Pensione. Nelle guerre del Mossad non ci sono prigionieri, si paga, cacciatore o preda, con la vita. E poi: con una organizzazione che è costruita per la segretezza e l'inconfessabile, come si individua il vero dal falso, la leggenda creata ad arte e il buio su malefatte ed errori?
    Proviamo isolando due personaggi, una leggenda e un protagonista della sua parte oscura, vergognosa. Il primo è Meir Dagan considerato il più grande ramsad, capo del Mossad della storia. Quando Sharon lo chiamò nel 2002 a dirigere il Servizio era un generale in pensione che si dedicava nella sua casa in Galilea alla tavolozza di pittore dilettante. Eppure i trentanni precedenti della sua vita erano stati una spettacolare overture per questo destino. Lo chiamavano l'uomo dell'ombra, il creatore di Rimon il primo commando israeliano clandestino. Se non lo conoscevi era solo un ufficiale che zoppicava leggermente per aver calpestato una mina nella Guerra dei sei giorni. La sua unità sulle carte non esisteva perché doveva combattere a Gaza i terroristi con operazioni "non convenzionali''. Dicono girasse per le viuzze letali della città con un bastone, un doberman al guinzaglio e un arsenale di mitra e pistole: «Ci sono degli arabi cattivi che vogliono ammazzarci - sintetizzava - il nostro dovere è ammazzarli per primi». Non si sente già una più vasta filosofia? Il commando omicida di Arik dicono la applicasse liquidando gli arrestati a sangue freddo: «ti diamo due minuti, se ce la fai a fuggire sei vivo...» e poi arrivava il colpo di pistola. Oppure si fingeva di dimenticare un coltello, l'arrestato lo prendeva e si sparava a vista. Scene che sembrano rubate dai western di serie B. «Leggende» negava lui: «In una guerra come la nostra il confine tra lecito ed illecito tende ad annullarsi, per questo devono essere gli uomini più onesti a farsi carico delle azioni più sporche…». Potrebbe essere il motto del Mossad. Gaza per un po' fu un posto quasi tranquillo e Sharon commentava, in estasi: la specialità di Meir è far saltare le teste degli arabi...
    Quando lo chiamarono a dirigere il Mossad l'organizzazione era in crisi, urgeva sistemar le cose. Soprattutto la macchia del fallito tentativo di uccidere ad Amman uno dei leader di Hamas, nel 1996. Bisognava vendicare un attentato a Gerusalemme, due kamikaze in un mercato, sedici morti. Il capo di Hamas aveva passaporto americano, possibili i guai con Washington. Bersaglio più disponibile era Khaled Meshal, leader di prima schiera, bell'uomo, ingegnere informatico, casa e ufficio ad Amman quindi a portata di mano. Le operazioni in Giordania erano vietate per opportunità politica ma il premier Netanyahu, già lui!, decise che valeva la pena. «Operazione discreta!'» raccomandò e anche questo dice molte cose. Si pensò così di usare il veleno, preparato dall' istituto di biologia di Ness Ziona. Poche gocce sulla pelle e non c'era scampo, non lasciava tracce neppure all'autopsia. Già sperimentato con Wadid Addad. uno dei capi del Fronte di liberazione della Palestina, ucciso con una scatola di cioccolatini alla crema. L'agguato fu un disastro, i malaccorti killer arrestati, Netanyahu dovette scusarsi con il re.
    Il nemico preferito di Dagan fu il progetto nucleare iraniano. Le sue vittime principali gli scienziati. Come il dottor Masur Mohammadi esperto di fisica quantistica. Biografia in realtà misteriosa tra le voci che lo volevano un pasdaran fanatico e chi diceva fosse solo un teorico innocuo e perfino vicino ai dissidenti del regime. Alle 7.50 in punto del 12 gennaio 2010 non c'era più tempo per i distinguo. Il professore uscì di casa in via Shatiati, zona nord di Teheran, per andare al laboratorio. Quando inserì la chiave l'auto saltò in aria. Almadinejad, allora presidente, non ebbe dubbi: tipico metodo sionista.
    Un nome che il Mossad non mette di certo tra i busti degli eroi è Michail Hahari, capo delle squadre di killer che setacciavano l'Europa per eliminare bersagli palestinesi. Dopo l'attentato di Monaco i suoi agenti uccisero per sbaglio in Norvegia un cameriere marocchino scambiandolo per uno dei capi di Settembre nero. Peccato veniale, se non fosse stato aggravato dal farsi arrestare. Lo punirono mandandolo a dirigere "le operazioni'' in America Latina. Fu lì che divenne amico del dittatore Manuel Antonio Noriega, "un amabile mascalzone'', come lo definiva la Cia, altra agenzia di spregiudicati che gli pagava i sudici servizi 200 mila dollari l'anno. Con lui Harari fece buoni affari, da commesso viaggiatore di armi israeliane per 500 milioni di dollari. Lo chiamavano signor sessanta per cento, con le armi viaggiava la coca colombiana, gli americani sapevano ma tacevano, le armi andavano anche ai contras. Quando i marines perquisirono il suo appartamento Harari era già a casa, a Tel Aviv. —
  2. IL NUMERO CHIUSO DEI MEDICI       Senza
    Paolo Russo
    Di infermieri sicuramente ne mancano ancora di più, circa 70mila dicono le stime del loro ordine, ma una cosa è sicura: senza medici che visitano, refertano, eseguono tac, risonanze e altri accertamenti complessi abbattere le liste d'attesa resta un'utopia. Lo sa bene il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che proprio oggi andrà a battere cassa al collega dell'Economia Giorgetti, chiedendogli almeno un miliardo in più per detassare gli stipendi e assumere.
    Due modi per arginare la grande fuga di 6.000 giovani l'anno dalle scuole di specializzazione e di altri 4.000 che si sono addirittura licenziati nel 2023 per andare all'estero o approdare al privato, che paga più o meno uguale del pubblico ma senza imporre turni di lavoro massacranti. E magari lasciando più tempo alla remunerativa libera professione. Se a questo aggiungiamo la cattiva programmazione dei posti in medicina che non sta facendo trovare giovani sostituti ai vecchi dottori che vanno in pensione, ecco arrivati a un buco nero di circa 25 mila camici bianchi mancanti, che se si aggiungono quelli di famiglia sfiorano il tetto dei 30 mila. Una carenza destinata ancora a crescere di qualche migliaio perché la gobba pensionistica delle uscita toccherà l'apice nel 2026. Così tra ancora troppi pochi giovani attratti dalle specialità più usuranti, medici in fuga dal servizio pubblico e specializzandi che potrebbero dare una mano in corsia, ma che i "baroni" universitari continuano a tenere legati al guinzaglio, pensare di ridurre le liste di attesa sembra oggi un miraggio. «Di medici ne servono 50mila - spara alto in una intervista di qualche giorno fa a La Stampa il governatore veneto Luca Zaia -, ma il problema è che i concorsi vanno deserti perché c'è stata una sbagliata programmazione del numero chiuso».
    «Lettura del problema vera solo in parte - replica Pierino Di Silverio, segretario nazionale del più importante sindacato dei medici ospedalieri Anaao -, perché i concorsi vengono sì spesso snobbati, ma la cattiva programmazione è stata quella dei posti nelle scuole di specializzazione, perché dalle Facoltà di medicina di giovani ne sono sono usciti a sufficienza». Per questo il sindacato, così come l'Ordine dei medici, è contrario all'abbattimento del numero chiuso, che a loro avviso da qui al 2032 rischia di generare un problema inverso: quello di una pletora medica, ossia di disoccupati. I conti li ha fatti l'Anaao. Dopo il 2027 la curva pensionistica sarà in netto calo, mentre le scuole di specializzazione dopo i forti incrementi dei posti disponibili, pur considerando quelli che andranno deserti, sforneranno 32mila medici in più rispetto a quelli che nel frattempo appenderanno il camice al chiodo. «Anche se bisogna considerare la variabile impazzita degli ultimi anni, ossia la crescita esponenziale del numero di medici che per cause varie lasciano anzitempo il servizio pubblico, 4.288 solo nell'ultimo anno», rivela Di Silverio. Per il quale però far saltare oggi il numero chiuso a medicina creerebbe solo uno stuolo di disoccupati da qui a dieci anni, «mentre l'emergenza è ora e si affronta rendendo nuovamente attrattiva la professione e utilizzando, come avviene in larga parte d'Europa, i giovani specializzandi». Già dal 2018, in base al "decreto Calabria" si sarebbero potuti utilizzare nei reparti dietro la supervisione di un tutor, se solo le Università l'avessero concesso. L'ultimo ostacolo al loro utilizzo lo ha alzato una circolare del Miur dell'8 luglio, che dopo la conquista di poter formare gli specializzandi facendoli lavorare anche in una struttura non universitaria, ora fa un passo indietro, reintroducendo l'esame di fine anno da parte delle stesse Università. Come a dire che 25 mila specializzandi continueranno ad essere bloccati. E nel frattempo in Parlamento si è arenato e rischia di decadere il decreto che avrebbe dovuto far debuttare già nell'anno accademico 2025-2026 la riforma dell'accesso programmato alle Facoltà di medicina, imperniata su un primo semestre aperto a tutti gli aspiranti "camici bianchi" e lo sbarramento spostato all'inizio del secondo.
    Intanto, però, c'è da convincere i giovani a riaffezionarsi a quelle specialità mediche ritenute da sempre fondamentali, ma con le quali si fa poca attività privata. I dati elaborati dall'Anaao dicono che il 78,3% delle borse di studio per microbiologia e virologia non sono state assegnate o i posti sono stati abbandonati, percentuale che è del 70,2% per patologia clinica, 67,7% per radiologia, 60,7% per medicina di emergenza e urgenza, 54,7% nella medicina nucleare. Al contrario fanno il pieno le scuole di dermatologia, oftalmologia e chirurgia plastica, dove il business è assicurato. Per questo Schillaci vorrebbe incentivare economicamente soprattutto le specialità meno attrattive.
    Nel frattempo, è guerra aperta tra le Asl, pronte a offrire di tutto pur di strappare la firma di un dottore sul contratto. All'Elba, come un po' in tutte le piccole isole, i medici non voglio andare, così una delibera offre loro ombrellone, biglietti del cinema, sconti in palestre, ristoranti ed autonoleggi, più incentivi economici. Venezia assicura lo studio gratis ai medici di famiglia mentre per le zone montane del Veneto c'è un bonus di quasi 8.000 euro. E in Piemonte il nuovo ospedale di Alba-Bra mette a disposizione vitto e alloggio ai medici specializzandi. Sempre che l'Università molli l'osso. —
  3. ED EMANUELA ORLANDI ? "Insabbiò il dossier su mafia e appalti" Indagato Pignatone
    riccardo arena
    caltanissetta
    A rileggere le cronache di un paio di decenni fa, a rivedere gli scontri interni alla Direzione antimafia di Palermo tra «caselliani» e «grassiani», sostenitori dei due procuratori succeduti al più che discusso Pietro Giammanco, si rimane sorpresi per il fatto che oggi a Caltanissetta siano indagati insieme Gioacchino Natoli - considerato tra i fedelissimi di Gian Carlo Caselli - e Giuseppe Pignatone, mente giuridica che nel capoluogo siciliano aveva «assistito» una serie di procuratori, da Salvatore Curti Giardina a Giammanco, fino a Piero Grasso. Nemici ai tempi della Dda, indagati insieme ora a Caltanissetta per avere insabbiato il rapporto «Mafia e appalti», quel dossier quanto mai voluminoso che i carabinieri del Ros ritenevano la possibile madre di tutte le inchieste. Mentre invece in procura le diverse anime, che pure fra loro erano rivali, lo consideravano più o meno carta straccia.
    Pignatone ieri è stato interrogato dai pm del pool guidato da un suo ex allievo, Salvatore De Luca. L'attuale presidente del Tribunale di Città del Vaticano si è prudentemente avvalso della facoltà di non rispondere: e del resto la prudenza, l'avvedutezza, la moderazione e la cautela sono sempre stati il tratto distintivo dell'ex procuratore aggiunto di Palermo, poi divenuto capo dei pm di Reggio Calabria e di Roma, dove è ricordato soprattutto per «Mafia Capitale», ma non solo. Agli ex colleghi nisseni, Pignatone (in pensione in Italia dal 2019), ieri ha però detto solo di dichiararsi innocente rispetto all'ipotesi di favoreggiamento aggravato che viene contestata a lui e a Natoli. Ipotesi che parte da alcuni atti ritrovati dal legale di parte civile della famiglia Borsellino (l'avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia e genero di Paolo Borsellino) ai processi per la strage di via D'Amelio e per il depistaggio delle indagini: carte e intercettazioni spedite dalla procura di Massa Carrara nel 1991, che evidenziavano ante litteram i rapporti tra i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, proprietari di cave, palazzinari e capimafia di Passo di Rigano e il Gruppo Ferruzzi Gardini, coinvolgendo anche Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini. Le intercettazioni erano state ritenute irrilevanti da Natoli che, nel chiedere e ottenere l'archiviazione del caso, ne aveva chiesto la distruzione. Una parte poi sono state trovate nei mesi scorsi, anche su indicazione dello stesso allora sostituto. I magistrati di Caltanissetta non la pensano come Natoli e parlano di «formidabili riscontri» alle indagini. Per questa parte è iscritto nel registro anche il generale della Guardia di Finanza - trentatré anni fa capitano - Stefano Screpanti. Fra le intercettazioni comunque ce ne sono un centinaio mai trascritte. Il dossier «Mafia e appalti» aveva trovato il consenso di Borsellino: convinto, dopo Capaci, che potesse essere quella la chiave per scoprire gli assassini del suo amico Giovanni Falcone.

 

01.08.24
  1. Kj1, l'orsa assassinata DAGLI ELETTORI DI SALVINI :
    L'ordinanza di abbattimento dell'orsa Kj1 è stata reiterata nel tardo pomeriggio, quando sarebbe stato impossibile impugnarla di nuovo (era già accaduto due volte) e quando nessun Tribunale avrebbe potuto agire. L'orsa è stata poi assassinata durante la notte, a testimonianza che i «sicari» erano già stati allertati e che solo una fretta omicida e vendicativa guidava le decisioni. Agendo di nascosto, approfittando del favore delle tenebre per evitare eventuali controrisposte istituzionali, il Presidente della Provincia Autonoma di Trento e della Regione, il dottore commercialista Maurizio Fugatti, raggiunge il suo unico obbiettivo, uccidere gli orsi secondo il programma provinciale che prevede l'abbattimento di otto individui l'anno. Non ci sono parole per esprimere compiutamente l'orrore e il dolore per questa esecuzione e per le altre che l'hanno purtroppo preceduta, però facciamo nostre quelle del Ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin: «l'uccisione non è mai una soluzione», e partiamo da qui.
    Prima di tutto perché è stata uccisa l'orsa Kj1? Ufficialmente perché l'amministrazione locale (Ispra ha smentito la sua approvazione e ha parlato di misura politica) la riteneva un'orsa pericolosa, in ragione di un'ultima sua reazione contro un turista francese e di almeno 11 incontri ravvicinati con i sapiens (11, va detto, in 22 anni, in media uno all'anno): un animale troppo confidente, che rischiava di avere una familiarità eccessiva con gli uomini. Alla stessa maniera, a inizio anno, era stato abbattuto M90, a causa di alcuni «inseguimenti intenzionali» (due) e dodici «avvicinamenti ai centri abitati e alle case», fatti ritenuti sufficienti per decretare l'esecuzione di un animale selvatico reo di aver fatto l'animale selvatico. In questo, come nell'altro caso, nessun esito fatale per i sapiens, ma in questo, in più, la ragione dirimente dei cuccioli: Kj1 era una mamma in giro con i suoi piccoli, che avranno difficoltà a sopravvivere e resteranno comunque traumatizzati. C'erano comunque soluzioni alternative alla pena capitale? Certamente, a iniziare dalla deportazione degli individui «problematici» in altre zone disposte ad accoglierli, o la sterilizzazione, non certo la prigionia in gabbioni angusti e improbabili che portano solo alla follia e alla morte. Alternative valide se i veri motivi dell'esecuzione non fossero, in realtà, la vendetta e il calcolo politico.
    Ma prima di queste considerazioni, l'uccisione proditoria dell'orsa è condannabile per una ragione di fondo: il progetto europeo Life Ursus è stato accettato (e finanziato) senza alcuna opposizione, neanche da parte dell'attuale presidente scanna-orsi. Prevedeva l'attuazione di una serie di misure precauzionali che vanno dai cassonetti per i rifiuti anti-intrusione ai cani da guardiania all'educazione della popolazione: quasi nulla è stato fatto in termini di prevenzione e questa è una gravissima responsabilità degli stessi amministratori comminatori della pena capitale. Come si possono accogliere progetti di ripopolamento dei grandi carnivori e poi pretendere che gli orsi si comportino come Yoghi e non respingano chi si avvicina troppo ai propri cuccioli? Amministratori ipocriti che non hanno il coraggio di sostenere che l'unico orso buono è quello ucciso (e magari mangiato…) e che non riescono a assicurare una convivenza fra sapiens e fauna selvatica. Hanno voluto gli orsi, poi, se questi fanno gli orsi, li abbattono adducendo ragioni incomprensibili di una sicurezza dei cittadini, che non viene certo minacciata, e nascondendo motivi più oscuri, ben visti da cacciatori, agricoltori e allevatori: gli uomini si ergono al vertice di una piramide su cui nessuno li ha mai messi. E pretendono di decidere della vita di altri individui, anche se non umani. Individui, esattamente come noi.
    Un tempo non eravamo a conoscenza del mondo interiore dei viventi non umani: davamo quasi per scontato che non ci fosse o che si fosse atrofizzato, chissà perché, a un livello inferiore. Sì, gli animali domestici mostrano comportamenti e reazioni vicine alle nostre, ma da qui ad attribuire loro un sentire paragonabile al nostro ce ne passava. Questa la ragione principale per cui giustifichiamo i macelli, le sperimentazioni, le cavie, le indicibili sofferenze, gli abbandoni, le torture, le angherie e le crudeltà sugli animali: perché dovremmo preoccuparcene? Mica sono uomini, diciamo. Gli ultimi studi nel campo dell'etologia stanno dimostrando che questa situazione non ha alcun diritto di cittadinanza scientifica: gli animali non umani hanno le stesse emozioni dei sapiens, possono esserci differenze «nei dettagli, nelle elaborazioni, nelle applicazioni e nelle intensità» (per citare le parole di uno dei protagonisti di questa vera e propria rivoluzione delle conoscenze etologiche, Frans de Waal, recentemente scomparso). Tutte le emozioni a noi familiari (rabbia, invidia, gelosia, delusione eccetera) si ritrovano, in un modo o nell'altro, in tutti gli animali. Tutti.
    Se questo è vero (come testimoniato anche da Marc Bekoff e Jane Goodall) l'uccisione di un animale colpevole di comportarsi come tale e giudicato dai sapiens con i loro parametri non ha alcun senso, meno di quanto ne abbia la condanna a morte di un uomo che si sia macchiato di orrendi reati. E sarebbe il caso che anche nelle amministrazioni locali si prendessero in considerazione le conclusioni dell'etologia moderna, ad oggi l'unica possibile sul campo, per modificare le loro «vecchie» convinzioni su eventuali problematicità di orsi e lupi. Un animale selvatico «sente» proprio come noi, ha il suo carico emozionale, la sua personalità, è un individuo formato e in continua interazione con il suo mondo, un mondo che noi abbiamo invaso sconvolgendone gli equilibri e pretendendo che tutti gli altri viventi si adattino al nostro modo predatorio di gestire le cose.
    Un tempo i sapiens deificavano gli altri animali: perciò esistono stelle che hanno poi preso il nome di Orsa Maggiore e Minore, e guardiamo verso un cielo settentrionale che ancora oggi si chiama artico, cioè vicino all'orso. I sapiens avrebbero un compagno di strada nell'orso, come il caso abruzzese dimostra: nessun incidente a memoria d'uomo, molti turisti, convivenza pacifica. E potrebbero sviluppare un'economia sostenibile attorno a quelle specie-bandiera che le persone amano, come lupi e orsi. Se le massacriamo in nome di un diritto che è destituito di ogni fondamento biologico non facciamo un buon servizio ecologico, ma nemmeno economico né sociale e dimostriamo che il nome che ci siamo auto attribuiti non è valido per tutti. La violenza è sempre l'ultimo rifugio degli incapaci.
  2. le auto in vendita da settembre
    Da Shanghai verso nove Paesi europei Parte il primo lotto di veicoli Leapmotor
    È salpata da Shanghai, verso i porti europei, il primo lotto di veicoli elettrici Leapmotor International: i Suv C10 e le auto T03. Si tratta di una tappa importante per la joint venture tra Leapmotor e Stellantis e, come spiega il ceo Carlos Tavares, «segna una svolta cruciale» perché «dimostra la nostra volontà di offrire soluzioni di mobilità innovative e sostenibili». L'intenzione è incrementare il numero di punti vendita di veicoli Leapmotor in Europa dai 200 del 2024 a 500 entro il 2026. Nei prossimi tre anni è prevista la commercializzazione di almeno un modello all'anno.
  3. Chiesto il giudizio immediato per Toti, Spinelli e Signorini
    Marco Fagandini

    Genova
    Per la Procura le prove raccolte sono granitiche e numerosissime. Capaci insomma di rendere evidente un modus operandi che, secondo gli inquirenti, era votato all'interesse personale anziché a quello pubblico. E per questo ieri i pm genovesi hanno depositato la richiesta di giudizio immediato nei confronti di Giovanni Toti, ex presidente della Regione Liguria, dell'imprenditore Aldo Spinelli e dell'ex presidente dell'Autorità portuale genovese, nonché ex amministratore delegato di Iren, Paolo Emilio Signorini. Tutti accusati di corruzione e l'ex governatore anche di finanziamento illecito. Arrestati il 7 maggio scorso nell'ambito dell'inchiesta su quello che, per gli investigatori, era il sistema corruttivo che aveva avvelenato Regione e porto.
    La giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni avrà ora cinque giorni per decidere sulla richiesta di immediato, un processo che evita la fase dell'udienza preliminare per passare direttamente al dibattimento, accelerando i tempi. Qualora, cosa che pare probabile, dovesse dare il via libera, i tre indagati avranno altri 15 giorni per richiedere eventuali riti alternativi. Come un patteggiamento o l'abbreviato, capaci di assicurare sconti di pena. Ieri i difensori di Toti e Spinelli hanno escluso questa possibilità. Mentre i legali di Signorini non si sono sbilanciati.
    È l'elenco delle fonti di prova, per i pm Luca Monteverde e Federico Manotti, a rappresentare l'elemento definitivo che giustificherebbe un processo da avviare senza indugi.
    Comincia dalle 28 informative prodotte dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza che nel tempo hanno cristallizzato le condotte ritenute illecite. I soldi che Spinelli è accusato di aver assicurato al movimento politico di Toti in cambio del suo interessamento per garantirgli favori in porto. E i regali che sempre Spinelli, sostengono i finanzieri, ha ripetutamente fatto a Signorini, per assicurarsi anche i suoi servigi per quelle pratiche. Ancora, il pressing di Spinelli sull'ex presidente regionale per ottenere l'uso esclusivo della spiaggia di Punta Dell'Olmo, così da accrescere il valore del proprio complesso immobiliare.
    Nell'ultima informativa poi, i Finanzieri hanno ricostruito con ancora maggiore precisione la corruzione che, per i pm, si annida dietro alla vicenda Esselunga. Toti è accusato di aver velocizzato le pratiche per l'apertura di nuovi punti vendita assieme al suo ex capo di gabinetto Matteo Cozzani, in cambio di una serie di spot per la sua lista di candidati alle comunali e alle politiche 2022. Pagati, per chi indaga, da Esselunga per volere del suo ex manager Francesco Moncada. E trasmessi sul maxi schermo gestito dall'editore di Primocanale Maurizio Rossi. Signorini infine, per i pm, si è fatto corrompere anche dall'ex presidente dell'Ente Bacini Mauro Vianello.
    I magistrati hanno inserito nella richiesta le trascrizioni di 35 interrogatori di testimoni ritenuti cruciali. Così come l'analisi di 44 dispositivi elettronici sequestrati il 7 maggio, fra cellulari, tablet, computer e memorie informatiche. Infine le intercettazioni: trenta pagine che contengono il semplice elenco di quelle ritenute importanti dalla Procura.
    Ecco, lo scenario appena delineato vale per i tre indagati di cui sopra. Nei confronti dei quali il processo, salvo bocciatura della richiesta, potrebbe iniziare già a metà ottobre.
    Restano da definire invece tutte le altre posizioni. Cozzani, Moncada, Vianello e il figlio di Aldo Spinelli, Roberto, sono indagati per corruzione. Rossi per finanziamento illecito. Ma lo stesso Toti deve rispondere, assieme a Cozzani, ai consiglieri regionali Stefano Anzalone e Domenico Cianci, al consigliere comunale Umberto Lo Grasso e ad altri, anche dell'accusa di voto di scambio. —
  4. La consigliera del Csm indagata per rivelazione di segreto non intende lasciare. Ma Meloni spinge per il passo indietro
    Natoli convocata in Procura a Roma FdI si spacca sull'ipotesi dimissioni

    IRENE FAMà
    ROMA
    L'ultimo scandalo che ha colpito palazzo Bachelet rischia di diventare un terremoto politico. Tra chi vuole che Rosanna Natoli lasci il Consiglio Superiore della magistratura e chi invece la spinge a restare al suo posto. Lei, consigliera laica del Csm in quota Fratelli d'Italia finita al centro di uno scandalo per violazione di segreti per aiutare una giudice, non pensa di lasciare l'organo di autogoverno delle toghe. Almeno così racconta chi la conosce bene. Ostinata, dicono, prova a rimanere nel Plenum. Nonostante la procura di Roma, diretta dal procuratore capo Francesco Lo Voi, l'abbia indagata per violazione di segreto d'ufficio e abuso d'ufficio. Oggi i magistrati di piazzale Clodio l'hanno convocata per fare chiarezza sulla questione. Molti pensano che non si presenterà, ma nessuno ne ha la certezza.
    Dimissioni? Nemmeno a pensarci. Posizione che avrebbe aperto una spaccatura all'interno di Fratelli d'Italia. Raccontano che la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano vorrebbero che Natoli facesse un passo indietro. Contrarissimo, si vocifera, il presidente del Senato Ignazio La Russa. Il legame tra i due è cosa nota. Entrambi di Paternò, la consigliera deve a lui la sua ascesa alla Capitale dalla vita del comune in provincia di Catania che conta 48 mila abitanti. Ignazio La Russa aveva fatto il suo nome. E, a gennaio 2023, il Parlamento la votò tra i quattro laici.
    Questo il fronte politico. Poi c'è quello interno al Csm. Natoli ora risulta iscritta nel registro degli indagati e il comitato di presidenza può attivare la procedura di sospensione. Preparare un'istruttoria, in cui si riassume la faccenda, e presentarla al Plenum. E il Csm, a scrutinio segreto e con una maggioranza dei 2/3, potrebbe votarne la sospensione. Una procedura, spiegano i ben informati, mai attivata nella storia del Consiglio Superiore della magistratura. Nemmeno per le trame che avevano travolto Luca Palamara, il più giovane presidente dell'associazione nazionale magistrati.
    Il primo Plenum, dopo la pausa estiva, è previsto l'11 settembre. E l'istruttoria dev'essere depositata entro il 4 settembre.
    Tra i corridoi di palazzo Bachelet però circola una suggestione. Ieri il comitato di presidenza si è riunito. Ma, dopo qualche ora, non è arrivata la tradizionale email con il resoconto dell'incontro. Ed è di qualche giorno fa l'incontro tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è a capo del Consiglio Superiore della magistratura, e il suo vice al Csm Fabio Pinelli. Un colloquio di quaranta minuti, durante il quale il Presidente non avrebbe nascosto di essere piuttosto sconcertato per la vicenda.
    L'incontro sotto accusa tra Natoli e la giudice catanese Maria Fascetto Sivillo, alle spalle dei guai giudiziari e ora sotto inchiesta disciplinare, avviene nel novembre 2023 a Paternò. «Mi sono presa sto processo perché lei è amica dei miei amici. E questa situazione la dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una mano», diceva la consigliera. Dispensando pareri e raccomandazioni. Non potrebbe farlo. Lo sa bene. E lo dice chiaro: «Sì, sto violando il segreto».
    E la procura sottolinea: «Ha rivelato notizie che sarebbero dovute rimanere segrete, in particolare quelle relative allo svolgimento della Camera di consiglio dopo l'audizione» della magistrata.
    Sivillo registra il colloquio. Il suo avvocato, il legale Carlo Taormina, lo rende pubblico due settimane fa durante la seduta della commissione disciplinare. Sconcerto. La magistrata catanese si sarebbe alzata in piedi: «Ho delle gravi cose da raccontare». Pennetta usb depositata. E pure le centotrenta pagine di trascrizione del colloquio.
    Natoli, raccontano, a quel punto si è alzata in piedi e ha annunciato le sue dimissioni dal Consiglio di disciplina. Quelle dal Csm non sono ancora arrivate. Pure se, spiegano, potrebbe inviarle anche solo via email. In questo caso, però, gli equilibri in gioco sono diversi e delicati.
    Da Palazzo Bachelet, la registrazione di quel colloquio finisce in procura a Roma. Natoli indagata. Parallelamente, i magistrati romani hanno aperto un fascicolo, senza indagati né ipotesi di reato, dopo la denuncia presentata dall'avvocato Taormina in cui ipotizzava il falso contro la sezione disciplinare del Csm. Il penalista aveva ricusato l'intera commissione disciplinare: ieri mattina la richiesta è stata respinta. —
  5. "Il nemico delle gare nel fiume è la pioggia servono fino a 48 ore perché torni pulito"
    PARIGI
    «Alle Olimpiadi di Parigi il nemico delle prove di nuoto del triathlon è la pioggia». Ad affermarlo è Lionel Cheylus, portavoce di Surfrider, una Ong che lavora sulle problematiche riguardanti le qualità dell'acqua, i rifiuti in mare e la gestione dei litorali. «Da fine giugno la Senna è nettamente migliorata perché è arrivato il sole che ha la capacità di uccidere i batteri che sono in superficie», spiega Cheylus parlando delle attività dell'organizzazione, che a partire dallo scorso settembre ha analizzato in modo indipendente le acque del fiume parigino. «A luglio abbiamo effettuato due sessioni di analisi, il 4 e il 5, dalle quali sono emersi dei buoni risultati».
    E poi cosa è successo?
    «Alle prime precipitazioni la qualità è peggiorata. Probabilmente perché anche a monte del fiume ci sono state delle precipitazioni o dei problemi nelle stazioni di depurazione e nei collegamenti delle abitazioni alle reti per le acque reflue. Da quello che abbiamo osservato, in genere bisogna attendere tra le 24 e le 48 ore dopo le piogge per tornare ad avere un miglioramento della situazione».
    Come si può risolvere un problema del genere?
    «Secondo noi è necessario avere un approccio multisettoriale. Questo significa che è necessario pensare anche a dei lavori preventivi, come ad esempio l'impermeabilizzazione del terreno per evitare il ruscellamento delle acque».
    Come giudica l'atteggiamento delle autorità?
    «È stato positivo il fatto che abbiano rinviato le competizioni. Tuttavia, potrebbero migliorare il modo in cui vengono comunicati i dati sulle rilevazioni. Vorremmo che i risultati fossero resi pubblici per sapere se c'è veramente un tasso di batteri molto forte o se sia solamente poco al di sopra dei parametri consentiti».
    Con tutte queste difficoltà la promessa di rendere la Senna balneabile dal prossimo anno fatta dalla sindaca Hidalgo sembra essere irrealizzabile.
    «Anche quando si va al mare d'estate può succedere che venga imposto il divieto di balneazione dopo delle forti piogge. Sarà la stessa cosa. Visti gli investimenti fatti, noi ci auguriamo che sarà possibile immergersi in acqua, anche se certamente ci saranno dei giorni nei quali non verrà consentito».

 

 

31.07.24
  1. Abusi su un prigioniero, 9 soldati arrestati La destra irrompe nella base per protesta
    gerusalemme
    Nove soldati dell'esercito sono stati arrestati dalla polizia militare israeliana nella prigione di Sde Teiman, a seguito delle accuse mosse da un detenuto arrestato a Gaza di essere stato maltrattato, torturato e violentato. L'irruzione della polizia militare nella base-prigione che ospita gli arrestati a Gaza, già nota per le diverse denunce di maltrattamenti, ha scatenato momenti di tensione tra la polizia militare e i soldati. Un decimo militare è indagato ma non arrestato.
    Dalla base nel Neghev, le polemiche si sono spostate a Gerusalemme, dove politici di destra, con in testa i ministri Ben Gvir e Smotrich, hanno protestato contro gli arresti. Gruppi di esponenti di destra hanno fatto irruzione nella base-prigione, per manifestare solidarietà ai militari. Netanyahu chiesto a tutti di calmare gli animi e ha fermamente condannato l'irruzione. Invito alla calma anche dal presidente Herzog, per il quale «l'irruzione in una base militare da parte di civili, e certamente quando avviene con l'incoraggiamento e il coinvolgimento di funzionari eletti, è un atto serio, pericoloso, illegale e irresponsabile». Il ministro della difesa Gallant ha detto che «anche in tempi di rabbia, la legge si applica a tutti. L'Idf continuerà ad agire in conformità con la legge».
    La struttura di Sde Teiman, chiamata la "Guantanamo israeliana", si trova a circa 30 chilometri dalla frontiera con Gaza ed è un'ex base militare nei pressi del piccolo aeroporto di Beersheva. Stando al racconto degli ex carcerati, è divisa in due parti: una con recinti dove circa 70 detenuti palestinesi sono posti sotto rigido controllo, e un ospedale da campo dove i detenuti feriti sono ammanettati ai loro letti, indossando pannolini e vengono alimentati attraverso cannucce. Di notte, cani liberati nel cortile e lanci di granate stordenti come altri rumori assordanti, impediscono di dormire. Altri hanno denunciato ambienti puzzolenti, con divieto di parola, dove non è possibile spostarsi e si deve stare in posizione eretta, il più delle volte con occhi bendati. Hanno parlato di amputazioni degli arti a causa delle ferite provocate dal fatto di portare sempre le manette; di procedure mediche eseguite da medici alle prime armi, con l'aria piena dell'odore di ferite lasciate a marcire. Secondo un'inchiesta di Haaretz di alcuni mesi fa, circa una trentina i detenuti morti mentre erano nelle mani dei militari.
  2. Le epidemie atroci  a
    Gaza
    di
    Francesca Mannocchi
    "
    Medici Usa
    «Presidente Biden vorremmo che udiste gli incubi che affliggono così tanti di noi da quando siamo tornati: sogni di bambini mutilati, e mutilati dalle nostre armi, e le loro madri inconsolabili che ci implorano di salvarli. Vorremmo che udiste le grida e le urla che le nostre coscienze non ci faranno dimenticare».
    La settimana scorsa quarantacinque tra chirurghi, medici di pronto soccorso e infermieri statunitensi che hanno lavorato come volontari a Gaza negli ultimi mesi hanno scritto una lettera aperta di otto pagine al presidente Joe Biden, a sua moglie e alla vicepresidente Kamala Harris. Denunciano che il numero reale delle vittime è molto più alto di quanto riportato finora (a oggi 39 mila vittime) e chiedono agli Stati Uniti di ritirare il sostegno diplomatico e il supporto militare a Israele per ottenere, finalmente, un cessate il fuoco e fermare il «massiccio tributo umano dell'attacco israeliano a Gaza, e in particolare quello di donne e bambini».
    «Nessuno di noi sostiene gli orrori commessi il 7 ottobre da gruppi armati e individui palestinesi in Israele» scrivono i medici, che chiedono però agli Stati Uniti di sospendere ogni supporto, e in più un embargo internazionale sia di Israele che di tutti i gruppi armati palestinesi perché mai nessuno di loro si era trovato di fronte a una catastrofe di tale portata.
    Un chirurgo ortopedico, Mark Perlmutter scrive che per la prima volta a Gaza ha tenuto in mano il cervello di un bambino. Un chirurgo di terapia intensiva, Feroze Sidhwa, scrive di non aver mai visto ferite così orribili su scala così massiccia, senza strumenti. Donne che hanno partorito con tagli cesarei senza anestesia. Bambini nati sani e morti di fame, perché non c'era latte artificiale, non c'era acqua per nutrirli.
    Secondo i medici americani, con solo eccezioni marginali, tutti a Gaza sono malati, feriti o entrambe le cose. Ciò include ogni operatore umanitario nazionale, ogni volontario internazionale e probabilmente ogni ostaggio israeliano: uomini, donne, giovani e anziani. In più, avverte la lettera, il ripetuto spostamento di decine di migliaia di persone malnutrite, senza acqua corrente e senza servizi igienici sta favorendo la diffusione di epidemie. Il 16 luglio l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha affermato che il poliovirus di tipo 2 derivato dal vaccino era stato identificato in sei località in campioni di liquami raccolti il mese scorso da Khan Younis e Deir Al-Balah, due città di Gaza ormai ridotte in macerie. Ancora secondo l'Oms dal 7 ottobre più di 100 mila persone hanno contratto la sindrome da ittero acuto, o sospetta epatite A, e che ci sono quasi un milione di casi di infezioni respiratorie acute, mezzo milione di casi di diarrea e 100 mila casi di pidocchi e scabbia.
  3. La consigliera del Csm vicina a La Russa nel mirino dei pm per l'incontro con la giudice Fascetto Sivillo
    Rivelazione di segreti e abuso d'ufficio Natoli indagata dalla procura di Roma
    IRENE FAMÀ
    roma
    Rosanna Natoli, la componente del Consiglio di disciplina del Csm finita al centro dello scandalo del salvataggio pilotato di una giudice, la settimana scorsa è andata in ferie. Disertando l'ultimo Plenum in programma prima dell'estate. «Per evitare problemi al Consiglio», avrebbe spiegato agli amici. Ma l'inchiesta della procura di Roma, diretta dal procuratore capo Francesco Lo Voi, prosegue. E Natoli è stata iscritta nel registro degli indagati per rivelazione di segreti d'ufficio e abuso d'ufficio. Al centro dell'indagine c'è l'incontro, avvenuto nel novembre 2023, nel suo ufficio d'avvocato a Paternò (Sicilia), tra la consigliera e Maria Fascetto Sivillo, giudice civile di Catania condannata in primo grado a tre anni e sei mesi per aver preteso la cancellazione di una cartella esattoriale da parte dell'agenzia delle riscossioni siciliana e ora sotto inchiesta disciplinare. Natoli dovrebbe giudicare la posizione della magistrata, valutare la sua sospensione. Invece le fornisce dei consigli su come affrontare la situazione. «Sì, sto violando il segreto – dice – Ma lei è amica degli amici». Secondo la procura di Roma, la consigliera avrebbe rivelato notizie che sarebbe dovute rimanere segrete. Inoltre, sostiene la Procura, «partecipava allo svolgimento del procedimento disciplinare e alla decisione, procurando intenzionalmente alla magistrata un ingiusto profitto». Alla Sivillo avrebbe «rivelato l'orientamento espresso dai componenti della Commissione». La giudice catanese registra la conversazione. E il suo avvocato, il legale Carlo Taormina, la rende pubblica durante una seduta della commissione disciplinare. A Palazzo Bachelet è bufera. Il vice presidente del Consiglio supremo della magistratura, il leghista Fabio Pinelli, invia la pennetta Usb con la registrazione e il plico con le trascrizioni a piazzale Clodio. Natoli, consigliera laica del Csm in quota FdI, che deve la nomina al presidente del Senato, e suo compaesano, Ignazio La Russa, ha ricevuto un invito a comparire. Ora starà alla procura di Roma valutare se inviare gli atti a Catania per competenza territoriale. Anche se il reato d'abuso d'ufficio radicherebbe il procedimento nella Capitale. Dopo che la registrazione è stata resa nota, Natoli si è dimessa dal consiglio di disciplina. Ma non hai mai presentato le dimissioni dal Csm. I ben informati dicono che, dopo essersi confrontata con il suo partito, avrebbe deciso di temporeggiare. Almeno sino a settembre. Ora le cose cambiano. Natoli è stata iscritta nel registro degli indagati. E il Csm, a scrutinio segreto e con una maggioranza dei 2/3, potrebbe votarne la sospensione. —

 

 

 

30.07.24

IL FASCISMO NON E' LONTANO

Elena Ottolenghi è stata una preziosa divulgatrice quel periodo: la sua vicenda ha ispirato il libro di Bruno Maida "La Shoah dei bambini"
Addio all'ultima testimone delle leggi razziali a nove anni fu cacciata da scuola perchè ebrea
gianni oliva
Sino alla terza elementare la vita di Elena Ottolenghi, classe 1929, scorre nella normalità di una famiglia della buona borghesia torinese: la scuola, i giochi, le festicciole, i libri illustrati, le vacanze, i sogni per il futuro. Nell'autunno 1938, all'improvviso, la rottura: le leggi razziali, volute da Benito Mussolini e sottoscritte da Vittorio Emanuele III, impongono, tra le altre misure discriminatorie, il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei alle scuole pubbliche. E gli Ottolenghi sono ebrei. Per Elena, così come per le sue compagne di classe Andreina e Nora, questo significa espulsione dall'ambiente nel quale sino al giorno prima sono state inserite: a comunicarglielo è una bidella, che le consegna il premio di merito per i risultati conseguiti, ma la diffida dal presentarsi alla premiazione. Un'unica spiegazione, incomprensibile per una bambina di nove anni (e, più in generale, incomprensibile per la ragione): espulse dalla scuola "per non profanarla", perché gli ebrei sono una minaccia alla purezza della razza italica.
La storia personale di Elena Ottolenghi, scomparsa nei giorni scorsi a 95 anni, è profondamente legata a questo episodio drammatico, sul quale è tornata nel corso della sua lunga vita in interviste e testimonianze. Da un lato essa ricorda i pochi che hanno saputo esprimere una solidarietà coraggiosa, dagli insegnanti della scuola ebraica, nella quale continua gli studi tra mille difficoltà, ma che le garantiscono la preparazione necessaria per affrontare il liceo a guerra finita; all'impiegato dell'anagrafe Silvio Rivoir che fornisce a lei e a tutta la famiglia i documenti falsi nel momento dell'emergenza; agli amici e agli sconosciuti che permettono agli Ottolenghi di sfuggire alla cattura e alla deportazione. È l'Italia nobile dell'impegno civile, antifascista più per istinto esistenziale che per consapevolezza ideologica: è l'Italia che inorgoglisce, spesso utilizzata dalla narrazione storica come strumento di autoassoluzione collettiva.
Dall'altro lato essa ricorda il silenzio che circonda il suo allontanamento. Non sono i maestri a parlarle, ma una collaboratrice scolastica, perché nei momenti difficili la viltà suggerisce di nascondersi. E quando una compagna di classe, nell'ingenuità dell'infanzia, chiede perché "Elena, Nora e Andreina non vengono più scuola", viene bruscamente zittita, prima dall'insegnante, poi a casa dai genitori ("non sono affari tuoi, non fare domande"). Sono questi riferimenti, ricordati da Elena Ottolenghi senza acrimonia, ma registrati con precisione, a far riflettere. Le leggi razziali furono volute dal regime, ma di fatto accettate da un'opinione pubblica irretita dalla propaganda ufficiale. Non si tratta di condannare o di assolvere gli Italiani degli Anni Trenta, ma di comprendere ciò che è accaduto e perché. Dietro le vergogne del 1938 c'è un'intera classe dirigente fascista o fascistizzata: ci sono gli scienziati e gli intellettuali che firmano il manifesto della razza; ci sono i giornalisti che titolano a piena pagina "Approvate le leggi per la difesa della razza", contrabbandando per "difesa legittima" ciò che è "offesa" e "aggressione"; ci sono i professori universitari "ariani" che di fronte all'espulsione di oltre duecento colleghi ebrei tirano fuori i coltelli, non per difendere i discriminati, ma per accaparrarsi i posti rimasti liberi.
Con questa Italia della complicità e dell'acquiescenza bisogna fare i conti, perché è la stessa che il 10 giugno 1940 inneggia alla guerra e prepara la sua rovina.
Di questa esperienza Elena Ottolenghi è stata una testimone preziosa e discreta: laureata in agraria, docente negli istituti tecnici per geometri, membro attivo della comunità ebraica torinese e dell'associazionismo antifascista, è stata la voce autorevole di chi ha pagato le leggi razziali sulla propria pelle. Con lei se ne va una delle ultime protagoniste, lasciando a tutti noi un'eredità di memorie da difendere e trasmettere. —

 

 

29.07.24
  1. Tav, la fine dei lavori slitta al 2033 e aumentano i costi: 11,1 miliardi

    Telt presenta l'aggiornamento del conto economico con una crescita di circa il 30%. A incidere il rincaro di materiali, mano d'opera e la mole di appalti attivati. La consegna dell'intera sezione transfrontaliera era inizialmente ipotizzata per la fine del 2032

     

    Sale a 11,1 miliardi, da 8,6, il costo della tratta internazionale della Torino-Lione in fase di realizzazione a cavallo del confine italo-francese, con un aumento intorno al 30%. Telt, il promotore pubblico responsabile dei lavori, partecipata da Italia e Francia, come si legge sul Sole24 Ore, ha presentato al cda l’attualizzazione del costo previsto per la costruzione e l’attrezzaggio della linea ferroviaria, passaggio validato da un ente terzo, la società di consulenza Grant Thornton Financial Advisory Services.

    L’aggiornamento dei costi è uno degli impegni di Telt nei confronti degli stati italiano e francese e tiene conto sia dell’affidamento dei grandi appalti di lavori e del loro avanzamento, sia del calcolo preciso degli accantonamenti per rischi e imprevisti, oltre che del contesto economico. La consegna dell’intera sezione transfrontaliera attrezzata e collaudata, inizialmente ipotizzata per la fine del 2032, è ora prevista per la fine del 2033.

 

 

 

28.07.24
  1. Vertice a Roma tra arabi, Cia e Mossad
    Il capo del Mossad David Barnea incontrerà domenica a Roma il direttore della Cia William Burns, il premier del Qatar Mohammed bin Abdel Rahman al-Thani e il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamal per discutere dell'accordo sugli ostaggi. Fonti israeliane e Usa riferiscono che il premier Benyamin Netanyahu ha indurito le sue posizioni e per questo non si attende una svolta nei negoziati. Il premier, com'è noto, vuole l'istituzione di un meccanismo per monitorare il movimento di armi e militanti palestinesi dal Sud della Striscia di Gaza al Nord e il mantenimento del controllo israeliano del Corridoio Filadelfia, la striscia di terra tra Gaza e l'Egitto. Secondo quanto riportato dal sito israeliano Walla, l'incontro di domenica «non dovrebbe includere negoziati dettagliati sulle restanti lacune, ma concentrarsi principalmente sulla strategia da seguire». Non è previsto che il capo del Mossad Barnea in questa fase sia affiancato dal capo dello Shin Bet Ronen Bar, né dal capo del team che si occupa degli ostaggi, il generale Nitzan Alon. Un funzionario israeliano ha escluso che a Roma si possa arrivare a una svolta. Secondo lui, non ci sono segnali che la pressione di Biden su Netanyahu abbia convinto il premier ad ammorbidire le sue nuove richieste. «Netanyahu – ha spiegato – vuole un accordo che non può essere raggiunto. In questo momento non è pronto a muoversi, quindi potremmo finire in una crisi nei negoziati e non in un accordo». Walla riferisce che la Cia ha rifiutato di commentare.
  2. SOSPENSIONE IMMEDIATA SENZA STIPENDIO E  PROCESSO :  «Non ci siamo sentiti al sicuro fin quando non siamo andati via da quell'ostello». Dopo la testimonianza di Anna, studentessa di un liceo astigiano che ha subito una molestia (sminuita dalla scuola), altre ragazze trovano il coraggio di parlare. «Voglio raccontare quello che è successo a me, non per togliere risalto a quando accaduto ad Anna, ma per confermare la sua versione», racconta Chiara, studentessa della stessa scuola di Anna. È stata molestata verbalmente. «Era un uomo di mezza età, si è avvicinato mentre eravamo a cena».
    È il secondo giorno di gita nell'ostello a Berlino. Non trovando il sale al buffet la ragazza lo chiede ai compagni in coda. Ecco che interviene uno sconosciuto sulla cinquantina che, con accento italiano, le risponde «Ce l'ho io», indicandosi le parti intime. «Mi sono sentita in forte imbarazzo, anche nei giorni successivi». Poi arriva l'ultima sera. La voce di un uomo adulto che ha palpato il sedere di una compagna serpeggia tra gli studenti. «Poi anche i professori ci hanno raccontato che un'alunna di un'altra classe era stata molestata, raccomandandoci di stare attenti», continua la giovane.
    Le parole di Chiara ricordano molto quelle di Anna. Un ostello non a misura di gita scolastica. Uomini adulti ubriachi o sotto l'effetto di stupefacenti e camere sporche. C'era anche una camera insonorizzata a luci rosse con telecamere. Lo racconta Daniela, amica e compagna di stanza di Anna. Era con lei quando l'uomo l'ha palpata. «Eravamo in tre all'entrata dell'ostello. C'erano diversi uomini che facevano festa con la musica alta dentro». Uno sconosciuto passa e palpa il sedere della ragazza. «Anna si è subito girata e gli ha urlato contro arrabbiata», ricorda la giovane. «L'ho visto in faccia. Ha fatto finta di niente». Quando lo sconosciuto mette le mani in tasca Daniela si spaventa: «Mi è venuto un colpo. Temevo potesse avere un coltellino. La rappresentante di classe aveva trovato una recensione all'ostello di una persona che era stata inseguita con un coltellino».
    Tra compagni se ne discute, la voce arriva anche alle altre classi presenti in gita, dalla terza alla quinta. I ragazzi non hanno dubbi. Quello che ha subito Anna è inammissibile. E anche i professori sono preoccupati, tanto da darsi i turni per fare la guardia tutta la notte. Così Chiara capisce che non può stare in silenzio. Si fa forza e spiega agli insegnanti cosa le è successo qualche sera prima. Di quell'uomo di mezza età che si era preso il diritto di fare allusioni sconce a una ragazzina. «Mi hanno ascoltato e sono stati comprensivi - ricorda - ma erano già passati alcuni giorni e quell'uomo era impossibile da rintracciare». Al ritorno ad Asti non ci ha più pensato. E non si è rivolta alla dirigente scolastica.
    Le sue parole però ricordano molto quelle di Anna. Nella sua voce la stessa ansia. La stessa delusione per una gita trasformata in incubo. In un ostello non a misura di studenti: posto isolato, uomini adulti ubriachi o sotto l'effetto di stupefacenti e camere sporche. «Alcuni ragazzi condividevano l'anticamera con uomini adulti - spiega Chiara - infatti poi li hanno fatto cambiare di stanza».
    Il motivo che ora spinge Chiara a uscire allo scoperto lo spiega lei stessa: «Voglio far capire quando grave fosse la situazione. La preside sapeva tutto ancor prima del nostro ritorno, ma non ha comunque fatto nulla per toglierci da quel posto. Per tutelarci e proteggerci come avrebbe dovuto». Anna e Chiara non sarebbero le uniche. «So per certo che altre studentesse hanno subito battute e allusioni a sfondo sessuale in quel posto».
    Anche Anna durante l'incontro con la dirigente scolastica aveva parlato delle numerose recensioni negative sull'ostello tedesco. «Ma lei mi ha risposto che delle recensioni non ci si può fidare. Anzi, spesso i posti di cui le persone parlano male si rivelano i migliori». Sono queste parole che hanno spinto Chiara a uscire allo scoperto: «Trovo inaccettabile che una persona che avrebbe dovuto proteggerci abbia fatto così poco per noi».
  3. INGIUSTIFICABILE UNA SCUOLA SENZA MORALE COME UN MATTATOIO: Pochi giorni fa sosteneva: "Per una mano sul sedere meglio scapp are, lo direi anche a mia figlia"
    L'autodifesa della dirigente scolastica "Non ho mai detto che bisogna abituarsi"
    paolo viarengo
    asti
    La preside del liceo di Asti accusata dalle studentesse adesso prova a difendersi. Lo fa attraverso il suo avvocato, Luigi Florio: «Smentisco che la dirigente abbia mai detto "ti ci devi abituare a questa cosa" e abbia "quasi impedito di parlare" alla ragazza. L'ha invece ascoltata e le ha fatto presente che è sempre opportuno denunciare fatti illeciti, ma in questo caso la denuncia avrebbe dovuto essere presentata dove il fatto si è verificato, opportunità che risulta essere stata proposta alla studentessa dall'insegnante partecipante alla gita». La dirigente continua a negare che si tratti di una molestia: «Dal racconto della studentessa è parso un tentativo di violenza più che una violenza consumata. Quando la studentessa ha avuto il colloquio con la dirigente quest'ultima, alla presenza dell'insegnante che aveva accompagnato gli studenti in gita scolastica e di un altro dipendente della scuola, dopo averne ascoltato il racconto, le ha espresso solidarietà, pur evidenziando il suo scetticismo sull'utilità di una denuncia presentata in Italia e riguardante un fatto come quello descritto, commesso all'estero da uno sconosciuto».
    Dichiarazioni che poco si conciliano con quelle rilasciate a caldo dalla stessa preside pochi giorni fa, interpellata in merito alla denuncia di Anna. Allora aveva risposto stizzita: «Ma se uno ti mette una mano sul sedere tu cosa fai? Vai a denunciare? No. Scappi. Direi lo stesso a mia figlia. Comunque alla studentessa abbiamo detto che era libera di denunciare, certo. Ci mancherebbe. Glielo abbiamo detto chiaramente. Del resto è maggiorenne». Il quadro che emerge con chiarezza è che il racconto di Anna, secondo la preside, non sarebbe veritiero. «Non parliamo di molestie o violenza. Non è questo il caso – il suo punto di vista –. Al massimo avrà avuto qualche apprezzamento per la gonna corta. Per quanto riguarda le responsabilità della scuola non c'erano gli elementi per segnalare il fatto in procura. E assicuro che quando ci sono dei fatti di violenza nella scuola, siamo i primi a segnalarli. Da sempre». Interrogata sul perché mai, secondo lei, Anna avrebbe detto di essere stata palpata se così non fosse, la risposta rinvia a malumori interni precedenti la gita. «È in atto una vendetta da parte di alcuni studenti per la scelta dell'ostello. I ragazzi si sono lamentati, volevano un'altra sistemazione. E adesso tirano fuori questa storia. Ci sono studenti che sarebbe meglio se ne stessero a casa se il programma della gita secondo loro non va bene».
    Adesso invece l'avvocato Florio precisa anche un altro punto: «Contrariamente a quanto sembrerebbe lasciar intendere il racconto della giovane la dirigente ha voluto ricevere la studentessa con la massima celerità, vale a dire il giorno successivo alla sua richiesta, nonostante attraversasse un periodo assai difficile per gravi problemi di salute a causa dei quali due giorni dopo ha subito un intervento chirurgico che l'ha costretta a una convalescenza di oltre due mesi».

 

 

 

27.07.24
  1. Dopo il rifiuto di collaborazione arriva l'intesa tra Comune, Regione e governo transalpin o
    La rivincita di Torino su Milano-Cortina "Il pattinaggio di Francia 20 30 all'Oval"
    giulia ricci
    Dove l'Italia dice no, la Francia ci guadagna. È il caso dell'Oval di Torino, che ospiterà il pattinaggio di velocità alle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali del 2030. La notizia è arrivata da Parigi, dove il Cio ha assegnato i Giochi alle Alpi francesi. «È il frutto di mesi di lavoro in sinergia con la Regione Piemonte», dice il sindaco della città della Mole Stefano Lo Russo. «Siamo orgogliosi di questo importante risultato, significa che abbiamo tutte le carte in regola per ospitare le grandi competizioni internazionali», aggiunge il governatore Alberto Cirio. Che nel sottolineare l'orgoglio sabaudo fa riferimento a tutti i «no» ricevuti dal suo territorio.
    Il primo è arrivato nel 2018, quando i tentennamenti del M5S e dell'allora sindaca Chiara Appendino hanno portato all'esclusione di Torino dai Giochi olimpici. L'anno dopo, con la vittoria di Milano-Cortina, sono iniziati i tentativi di rientrare dalla «finestra», tentativi che non sono andati a buon fine, complici le spinte politiche del leader della Lega Matteo Salvini che ha sempre preferito le regioni più a Est. E così nella primavera dell'anno scorso la Fondazione Milano-Cortina ha ufficialmente detto no a Torino per il pattinaggio, nonostante a Rho debba essere costruito un impianto temporaneo da zero. A fine anno, la pietra tombale con la bocciatura della pista da bob di Cesana.
    Ma ad aiutare la sponda di Lo Russo-Cirio (che fanno politicamente coppia fissa nonostante le barricate opposte) è stata la scelta del Cio di organizzare Olimpiadi sostenibili e a impatto zero, e quindi cercare una sede entro 100 chilometri per non costruire nuovi impianti. Anche a costo di superare i confini francesi. Ecco perché i membri italiani del Cio, come Giovanni Malagò e Ivo Ferriani, avrebbero alzato la mano e indicato l'Oval, che aveva già ospitato il pattinaggio di velocità nel 2006.
    Il suo utilizzo, però, non sarà a costo zero per il Piemonte (che dovrà cercare l'aiuto finanziario del governo e probabilmente delle fondazioni bancarie). Come scritto nero su bianco nel vecchio dossier utilizzato per entrare nella partita Milano-Cortina, la struttura torinese avrà bisogno di un investimento di almeno 9,5 milioni di euro per ricostruire la pista di pattinaggio, le palestre, gli spogliatoi e rimettere tutto a norma. L'ultima volta che ha ospitato un evento sportivo, infatti, risale al 2009. —
  2. A TORINO C'E' UN PROBLEMA 112:       TORINO, IL RACCONTO DEI RESIDENTI: "ERAVAMO SPAVENTATI"
    Quattro chiamate al 112 la notte del pestaggio del giornalista "Ci minacciavano, ma le forze dell'ordine non sono arrivate"
    Quattro telefonate al 112 in un'ora e 23 minuti. «Ci sono cento persone che esplodono petardi e urlano cori fascisti. Mandate qualcuno». «Sono minacciosi, abbiamo paura». «Hanno aggredito un ragazzo, perché non siete ancora passati?». Nella notte - tra sabato e domenica - in cui il giornalista de La Stampa Andrea Joly è stato aggredito da un gruppo di sei militanti di Casa Pound fuori dal loro storico luogo di ritrovo torinese, l'Asso di bastoni, molti residenti hanno chiesto l'intervento delle forze dell'ordine. «Ma - denuncia uno di questi - non è venuto nessuno. Io ho telefonato tre volte: la prima alle 23,43. La seconda alle 23,58. La terza all'una e zero cinque. Non ho visto alcuna pattuglia. Eppure questi sono rimasti per tre ore in mezzo alla strada. E ci hanno minacciato quando, dai balconi, abbiamo urlato loro di fermarsi mentre picchiavano quel ragazzo».
    Quanto descritto dai residenti non sarebbe confermato dalla questura di Torino che, dopo l'aggressione, aveva fatto sapere che sarebbe stata operativa una "vigilanza dinamica" con il passaggio di agenti borghese su auto civetta. «Siamo stati spaventati per tutta la notte», sottolinea una delle prime persone che ha telefonato al 112 la sera di sabato, alle 23,42. «Ho sentito dei colpi che parevano essere di armi da fuoco, insieme al suono dei petardi e ai fuochi d'artificio. Ho chiesto alle forze dell'ordine di intervenire. C'era un fracasso inquietante. Erano in tanti. Siccome non è arrivato nessuno, sono scesa per la strada. Speravo che arrivasse una volante. Invece sono arrivati tre di loro vestiti di nero che mi hanno detto con fare minaccioso: "Vattene via, qui non c'è niente da vedere"» Nei telefoni di alcuni residenti in via Cellini e nelle strade vicine ci sono le tracce delle richieste di aiuto alla Centrale unica dell'emergenza
    Joly, quelle quattro chiamate disperate al 112 "I fascisti ci minacciano, perché non venite?"
    elisa sola
    La prima telefonata è delle 23.42. «Per favore mandate qualcuno. Ho sentito tre colpi che mi sembrano di arma da fuoco. Esplodono petardi e fuochi d'artificio». La seconda arriva un minuto dopo: «C'è una folla nera che fa saluti romani. Sento la strofa: "La Brigata siam di Mussolin". Vedo duecento persone rispondere, al richiamo di un militante: Presente! È da venti minuti che urlano. E qui abbiamo paura». Mancano 14 minuti all'aggressione di Andrea Joly. E in via Cellini, sbatao sera, davanti all'Asso di bastoni, il pub di CasaPound, più di un residente osserva un contesto che inquieta. Per questo motivo, già prima che il cronista de La Stampa venga picchiato, almeno due residenti chiamano le forze dell'ordine. «Ma non è arrivato nessuno», esclama la persona che ha fatto la prima chiamata. «Sono scesa per strada ad aspettare. Mi si sono avvicinati tre signori vestiti di nero. Mi hanno detto: "Vai via. Non c'è niente da vedere". Non avevo nemmeno il telefono». La terza telefonata è delle 23.58. Joly è appena stato picchiato. «Ma anche a quell'ora ci hanno lasciati da soli», dicono adesso, sull'asfalto che scotta davanti alle palazzine che si affacciano sul pub chiuso, i residenti che hanno visto l'onda nera. Tutti hanno solo una domanda: «Perché abbiamo chiesto aiuto e non è venuto nessuno?».
    C'è un uomo, che quella notte lavorava al computer di fronte alla sede degli estremisti di destra che ha fatto tre telefonate in un'ora e 23 minuti.
    Ricorda i particolari di ogni conversazione. La memoria di un'escalation di paura. «Alle 23.43 - racconta - mi hanno promesso che avrebbero mandato qualcuno. Non è stato così. Ho richiamato due minuti prima di mezzanotte urlando che c'era un ragazzo aggredito. Chiedendo aiuto. E ricordando che avevo già chiamato prima. Ma non è successo niente».
    Dalla seconda alla terza telefonata passa un'ora e dieci minuti. «Hanno continuato a urlare inni al Duce - ricorda il testimone - e a esplodere fumogeni come se nulla fosse successo. Anche dopo che avevano picchiato quel giornalista. Continuavano a fare saluti romani in mezzo alla strada. Prima e dopo il pestaggio. Hanno festeggiato per tre ore. Noi avevamo paura perché quella gente ci sembrava minacciosa. Fuori controllo. Ho richiamato per la terza volta all'una e zero cinque». Questa è la chiamata più concitata. Perché Joly è appena stato aggredito. E soltanto perché voleva filmare una manifestazione. Perché chi ha visto le botte non è riuscito a fermare il branco. Perché chi dal balcone gridava: «basta!» si è sentita dire «puttana». Perché anche altri residenti oltre a lei sui balconi sono stati minacciati.
    «Perché non siete ancora arrivati?», tuona alla terza telefonata. «Lei è in pericolo?», gli chiede l'operatore. Risponde di no. «Quindi perché chiama?». «Sono spaventato -dice - perché ci sono i fascisti che inneggiano a Mussolini. Perché hanno aggredito un ragazzo. Vi abbiamo chiamati prima e dopo e voi non siete venuti. Come facciamo a stare tranquilli?».
    Dalla questura fanno sapere che dalla mezzanotte in avanti, ovvero nella fascia notturna durante la quale la competenza degli interventi del 112 spetta alla polizia (prima della mezzanotte era dei carabinieri), sarebbe arrivata una sola telefonata. La volante è stata inviata, ma per motivi di ordine pubblico non si sarebbe fermata in via Cellini. Ma avrebbe atteso indicazioni poco più avanti, aspettando l'auto civetta della Digos che invece, mimetizzata, transitava davanti al pub di CasaPound. La pattuglia era stata chiamata per soccorrere Joly. C'è una testimone che ricorda di avere visto una volante bianca e blu anche in via Cellini. «Era l'una e mezza. E' passata senza fermarsi davanti all'Asso dei bastoni, dava l'idea di andare in un altro luogo, per un altro intervento, perché non ha rallentato. C'erano ancora una cinquantina di militanti rimasti per strada. Quando hanno visto la pattuglia hanno gridato "merde"». L'ultimo messaggio conservato che possa dare l'idea di quanto sia durata la manifestazione nera che ha spaventato San Salvario risale all'alba. L'uomo che ha chiamato tre volte il 112 scrive alla sua ragazza: «Alle quattro hanno chiuso il pub e se ne sono andati a casa. E' stato un inferno».—
  3. NUMERO CHIUSO A MEDICINA:   Con il Covid che avanza e gli anziani con malattie croniche che in vacanza non ci vanno, gli studi dei medici di famiglia chiudono per ferie. Perché con la carenza che c'è di camici bianchi quest'anno quelli che giustamente vogliono andarsene in ferie non trovano i sostituti che portino avanti i loro studi medici. Così in qualche caso c'è chi proprio chiude i battenti, anche se per legge non si potrebbe fare, chi si arrangia, come in Piemonte, con ambulatori di emergenza solo per i casi più urgenti e chi, magari tornato dalle vacanze, si sobbarca il compito di prendersi in carico anche i pazienti del collega in ferie. Con il risultato che i suoi 1.500 pazienti raddoppiano e per farsi visitare diventa obbligatorio prenotarsi. «Sapendo che l'appuntamento arriverà bene che vada dopo 5 giorni se non settimane», spiega il vice segretario nazionale della Federazione dei medici di base (Fimmg), nonché segretario provinciale di Torino, Alessandro Dabbene. Che ci tiene a precisare che il quadro è questo più o meno in tutta Italia, «anche se al Nord va peggio perché qui di medici di famiglia ce ne sono ancora meno».
    «Torino –spiega ancora– non ha grandi problemi, ma più ci allontaniamo dalle città e più troviamo un deserto, dove gli studi chiudono e le Asl, falliti gli altri tentativi, tirano su degli ambulatori di emergenza che però si occupano solo di fatti acuti come Covid o gastroenteriti oppure del rilascio delle ricette. Senza una vera presa in carico dei pazienti, con cronici e oncologici che di fatto non possono essere seguiti».
    «A Roma come altrove mancano i sostituti, ovvero i nostri specializzandi che pagati da noi ci davano il cambio durante il periodo di ferie, ma che ora o hanno aperto un loro studio o lavorano con la Asl, perché con la carenza che c'è di medici è facile trovare lavoro», spiega Pierluigi Bartoletti, anche lui vice segretario nazionale Fimmg, con uno studio nel quartiere casilino della Capitale.
    La soluzione più semplice è quella di farsi sostituire da un collega, che di assistiti solitamente ne ha però 1. 500 che a quel punto diventano 3. 000. Cosa significhi questo per i pazienti ce lo calcola il centro studi della Federazione. Considerando che a ogni paziente, proprio ad andare di corsa, bisognerebbe dedicare almeno sei minuti, immaginando di doverne visitare un decimo vuol dire che per vederli tutti ci vogliono almeno 30 ore. E poiché l'orario medio settimanale di apertura di uno studio è di 15 ore (visite a domicilio escluse), vuol dire che per ottenere un appuntamento d'estate si rischia di dover attendere due settimane.
    La situazione è così al limite che, come ammettono quelli della Fimmg, c'è chi arriva ad anticipare di un paio di mesi il pensionamento pur di non dover rinunciare a mare o monti. «L'altro giorno ho fatto un tampone e ho scoperto di essere positiva al Covid – racconta Simona L. , impiegata cinquantenne– ebbene quando ho chiamato il mio medico per avvisarlo e avere la terapia ho scoperto che era andato in pensione e che, quindi, non ne avevo più uno assegnato. Mi ha spiegato che non era riuscito a trovare un sostituto o altri colleghi disponibili a fare da "ponte" nel frattempo. Quindi, mi sono trovata in difficoltà e, alla fine, attraverso il portale regionale mi sono associata al primo dottore di zona che mi è capitato». E non si dica ai nostri dottori di fiducia che tanto d'estate la gente va di meno dal medico. «Gli studi e le farmacie – mette in chiaro Cristina Patrizi, segretaria dell'Ordine dei medici di Roma– sono stracolmi anche in estate. Senza contare che stiamo assistendo a una recrudescenza di forme influenzali e virali, anche di Covid. Per i medici di famiglia è un aggravio enorme, gli studi sono pieni di assistiti in fila che attendono di essere visitati, sentiti e di avere le prescrizioni, altro che pazienti in vacanza».
    «Arrivano nei nostri studi verso sera, sono i pazienti orfani del medico di famiglia e non sanno da chi farsi prescrivere farmaci e certificati», racconta Alberto Vaona, medico di famiglia veronese. «Sento di colleghi che trascorrono le notti a fare ricette e la situazione fino al 2025 con i pensionamenti in arrivo andrà ad aggravarsi. Tanto che la Asl di Verona sta definendo un accordo affinché le guardie mediche siano aperte anche di giorno la dove ci sono almeno 500 cittadini rimasti senza medico di riferimento». E i numeri raccolti da Istat e Agenas confermano che egli ultimi 15 anni tra medici di base, pediatri e guardie mediche si sono persi per strada 13. 788 camici bianchi schierati sul territorio. In pratica è venuto a mancare un medico su cinque. Uno spopolamento che d'estate si fa deserto.
  4. MEDICI CONTRO MEDICI: l'intervista
    Silvestro Scotti
    "Tra due anni sarà il deserto 15 milioni privi di assistenza base "
    Le soluzioni
    "
    roma
    Dottor Silvestro Scotti, da segretario nazionale della Fimmg, il sindacato di categoria, da tempo lancia l'allarme. Ma veramente il nostro caro medico di famiglia è in via di estinzione?
    «Ci crede se le dico che tra quelli che andranno in pensione e i nuovi che non arrivano nel 2026 avremo 15 milioni di italiani senza medico di famiglia? Oppure in alternativa ognuno di loro si troverà a dover assistere fino a 2.500 pazienti. Una situazione in entrambi i casi ingestibile».
    Già oggi siamo messi molto male però….
    «Si, c'è già una carenza cronica con il 30% in meno dei professionisti dei quali ci sarebbe bisogno. Il che vuol dire che già oggi 4 milioni di italiani sono senza medico o ne hanno uno che deve seguire troppi pazienti. Per questo adesso che arrivano le vacanze diventa praticamente impossibile trovare un sostituto per godersi il meritato riposo».
    Ma come si è arrivati a questa situazione?
    «Per la solita cattiva programmazione. Bastava che qualche anno fa si andassero a vedere i codici fiscali di chi era in servizio per scoprire, data di nascita alla mano, che ci sarebbe stata una fuga verso la pensione tra il 2023 e il 2025. E se una volta i medici di famiglia chiedevano di poter rimanere in servizio fino a 72 anni ora scappano in anticipo. Magari quando arriva l'estate per non perdersi le vacanze. Per non parlare dei carichi di lavoro, perché non solo sono aumentati gli assistiti da ciascun medico, ma tra loro ci sono sempre più anziani afflitti da policronicità che richiedono molte più attenzioni e tempo che non c'è».
    Perché un mestiere una volta ambito non attrae più i giovani?
    «Che è così ce lo dice il fatto che il 50% delle borse di studio per la formazione è andata deserta. Ma non deve stupirsene chi durante il Covid ha fatto un racconto della medicina di base che è quello di un fallimento. Che se c'è stato è dipeso da chi aveva il compito di organizzare l'assistenza territoriale, non certo dei medici che sono rimasti soli a sopportarne il peso. E poi ci stanno caricando sempre più di pratiche burocratiche. Pensi che durante la pandemia ci hanno chiesto persino di stampare i Green pass».
    Cosa si può fare per rendere la professione nuovamente attraente?
    «Tanto per cominciare investire sull'università, inserendo tra le materie dei primi anni anche la medicina generale, che qualcuno chiama "di base, ma che poi è quasi sempre ignorata nei corsi. Poi nella fase successiva di formazione specialistica servirebbe accreditare gli studi medici che hanno attrezzature e organizzazione al passo con i tempi. Infine, ma non da ultimo, sburocratizzare e garantire un coordinamento tra i nostri studi, l'ospedale e le università, che oggi invece sono corpi separati. I giovani cercano ancor prima della gratificazione economica quella professionale, mi creda».
    Intanto però manca chi sostituisca chi va in pensione…
    «È così. In Lombardia per 1.349 posti vacanti si sono presentati in 399, nelle Marche c'erano da coprire 227 studi medici, sono stati assegnati solo 15 incarichi. In Piemonte sono stati banditi 440 posti ma si è riusciti ad assegnarne solo 200, di cui 150 a medici in formazione».
    In attesa che ai giovani torni la vocazione quindi che facciamo?
    «Con pazienti sempre più anziani e affetti da più malattie croniche un medico da solo non può farcela. Per questo la mia idea è quella di promuovere micro-team all'interno degli studi, composti oltre che dal medico di famiglia anche da un infermiere e un impiegato con ruoli amministrativi. Così negli studi potremmo assolvere al meglio l'assistenza di base, lasciando alle Case di comunità il compito di dare risposte a bisogni di salute più complessi, ma non tali da richiedere il ricovero.
  5. SE QUESTA E' UNA EDUCATRICE : La 18enne astigiana palpeggiata durante la gita scolastica: "La dirigente mi ha detto che ormai sono maggiorenne e responsabile delle mie azioni"
    Su La Stampa
    "Io molestata, in lacrime dalla preside non mi ha dato neanche un fazzoletto"
    valentina moro
    asti
    «Sul pullman al ritorno vedevo ancora la faccia di quell'uomo». Anna, 18 anni, lo ricorda quel viaggio di ritorno dalla gita a Berlino. E quell'uomo che le ha palpato il sedere. Un episodio che il liceo di Asti da dove si è appena diplomata ha sminuito. Rientrata in Italia, Anna l'ha raccontato alla preside ricevendo per tutta risposta una frase che l'ha raggelata: ti ci devi abituare, denunciare non serve a niente. Una frase che ieri il questore di Asti, Marina Di Donato, ha stigmatizzato: ragazze, denunciate sempre. Una reazione, quella della preside, che ha sconvolto Anna al punto da indurla a raccontare pubblicamente la sua vicenda.
    Cosa ricorda di quel giorno?
    «Era l'ultima sera. Avevamo finito di cenare, ero fuori, all'ingresso dell'ostello. C'era un clima poco rassicurante: il posto era pieno di uomini adulti ubriachi, non c'erano famiglie».
    Era da sola quando è successo?
    «No, con due amiche. Dalla hall vedevamo uomini più grandi che facevano festa. Faceva freddo, ero in tuta. A un certo punto mi sento una mano sul sedere».
    Come ha reagito?
    «Mi sono girata e gli ho urlato in italiano: "Che cosa hai fatto?"».
    E lui?
    «Ridendo si è messo le mani in tasca chiedendomi in inglese se volessi un accendino. Le mie compagne mi hanno subito portato via, da uno dei professori che ci accompagnavano».
    Cosa gli avete raccontato?
    «Inizialmente ha parlato una delle mie amiche: io tremavo, non riuscivo a dire niente. È intervenuta anche la guida che ci accompagnava e la guardia di sicurezza dell'ostello. Io ho indicato l'uomo».
    Cosa hanno fatto a quel punto?
    «Niente. Mi hanno detto che non si poteva fare niente e non aveva senso denunciare, visto che saremmo partiti il giorno dopo».
    E lei?
    «Ero arrabbiatissima: stavano completamente sminuendo il fatto. Sono scoppiata a piangere e sono andata nella mia stanza. Sono rimasta lì tutta la notte».
    Qual è stata la reazione degli insegnanti?
    «Il mio professore è stato gentile, mi ha poi scritto che non si immaginava nemmeno cosa significhi subire pressioni e violenze quotidiane e che come scuola educano affinché questi episodi non avvengano. Gli insegnanti si sono poi dati il turno per fare la guardia fuori dalla porta della nostra stanza per tutta la notte».
    Una volta tornati in Italia cosa è accaduto?
    «Ne ho parlato con i miei genitori che hanno chiesto un appuntamento alla dirigente scolastica, ma la segretaria ha risposto che non c'era. Noi siamo tornati il venerdì; il martedì dopo mi convoca la preside nel suo ufficio».
    Non c'erano i suoi genitori?
    «No, ero sola. La preside mi ha subito detto: "Sei maggiorenne, sei responsabile delle tue azioni". C'erano anche altri tre insegnanti tra cui quello che ci ha accompagnati in gita. Sempre la preside mi chiede: "Cosa vuoi ottenere?". Io volevo solo parlarne».
    Ci è riuscita?
    «Pochissimo. Continuavano a interrompermi. La dirigente diceva che ci aveva messo mesi per organizzare una gita che andasse bene. Mi ha detto: "Sei una bella ragazza, ti ci devi abituare"».
    Come si è sentita?
    «Piangevo, non mi hanno neanche dato un fazzoletto. Continuavano a sminuire la cosa. Mi hanno solo voluto spaventare con quell'incontro, eppure la preside è sempre in prima linea nelle manifestazioni contro la violenza sulle donne».
    La dirigente sostiene che non si tratti di violenza, «al massimo di un apprezzamento per la gonna corta».
    «Non è vero. E io non avevo la gonna ma un giaccone e i pantaloni lunghi».
    Successivamente i suoi genitori hanno incontrato la dirigente?
    «No. Hanno provato a ricontattarla per un appuntamento, ma non si è mai resa disponibile».
    Come ha vissuto i suoi ultimi mesi al liceo?
    «Dovevo fare la maturità, mi sono buttata sullo studio e non mi sono permessa di elaborare il trauma. Di starci male. Ma sono rimasta disgustata».
  6. PIU' CIVILTA' AL SUD CHE NEL NORD DI ASTI: La Corte d'Appello dell'Aquila: 60 mila euro alla vittima, all'epoca 12enne come il suo aggressore
    Insultata e seguita da un bullo condannata la scuola: non la difese
    saverio occhiuto
    pescara
    La seguiva ovunque e la insultava: «Sei grassa, brutta, sporca come tua madre. Guardati, sei una p...». Un inferno costante per una ragazzina di allora 12 anni. Il tutto avveniva nei corridoi di una scuola media di Pescara che la studentessa e il suo molestatore, un coetaneo, frequentavano all'epoca dei fatti (9 anni fa). Avveniva in classe, all'ingresso e all'uscita dell'istituto, tra testimoni, anche gli stessi insegnanti, indifferenti o comunque pronti a minimizzare gli atti di bullismo con cui il ragazzo feriva la compagna con la costanza dello stalker.
    Uno stato di sofferenza inaudito per la vittima. Sino a portarla a rifiutare il cibo, a farle perdere molti chili, a dover ricorrere, ancora oggi che è una donna di 22 anni, al sostegno psicologico di specialisti.
    Ora, dopo i fatti del 2015, è arrivata la sentenza della Corte d'Appello dell'Aquila, che condanna la scuola a risarcire la ragazza con la somma di 60mila euro, ritenendo gli stessi insegnanti colpevoli di non essere riusciti a far fronte a una situazione che per quella ex bambina di 12 anni e i suoi genitori era diventata un buco nero per quasi un anno.
    Il bullo se l'era cavata con la sospensione di una settimana dalla scuola, e secondo i giudici di secondo grado anche questo è un segnale di sottovalutazione da parte degli insegnanti e della direzione scolastica, che per un periodo così lungo avrebbero lasciato la ragazzina in preda ai deliri di un adolescente pericoloso sia per la salute fisica che mentale della compagna.
    Erano stati gli stessi genitori della ragazzina a rivolgersi al Tribunale, esasperati anche per il modo con cui gli insegnanti rispondevano a ogni rimostranza su quanto accadeva alla figlia quotidianamente.
    I giudici della Corte d'Appello dell'Aquila ora hanno dato loro ragione accogliendo, le istanze degli avvocati e stabilendo che quei genitori avevano visto bene: a forza di ignorare e sottovalutare la gravità del comportamento del bullo di turno, la loro bambina aveva rischiato di scivolare in un vortice che avrebbe potuto comprometterne lo sviluppo in un'età delicatissima, con conseguenze imprevedibili.
    L'ex parlamentare aquilana Stefania Pezzopane conosce bene l'argomento. Da deputata e componente della Direzionale nazionale del Pd, ha seguito molto da vicino l'iter dei disegni di legge sul cyberbullismo. Lei stessa è stata al centro di una campagna di odio e di insulti pesantissimi via social. Sul caso specifico si affida a una riflessione: «Le sofferenze di quella ragazza e di tante come lei producono ferite che durano tutta una vita. Il fenomeno non può essere sottovalutato, né dal punto di vista sociale, né giudiziario. È la scuola il luogo dove certe cose spesso accadono, nel silenzio e nell'omertà. Questo non è più accettabile».
  7. Cinque condanne per 28 anni di carcere; per un imputato non c'è reato associativo
    Truffe imprenditori e traffico di droga il core business della 'ndrina di Ivrea
    Ludovica Lopetti
    Si è chiuso con cinque condanne tra 3 e 8 anni di carcere il filone con rito abbreviato del processo nato dall'indagine Cagliostro, sulla presenza della 'ndrangheta a Ivrea e dintorni. Il gup ieri ha inflitto 8 anni ad Antonino Mammoliti, 6 anni a Flavio Carta, 5 anni e 10 mesi a Stefano Marino (l'unico imputato scarcerato con provvedimento del Riesame), 5 anni e 6 mesi a Maurizio Buondonno e 3 anni a Francesco Vavalà (difesi dagli avvocati Celere Spaziante, Enrico Scolari, Mario Benni, Leo Davoli, Ferdinando Ferrero ed Ercole Cappuccio).
    Le ipotesi d'accusa formulate dai pm Livia Locci e Dionigi Tibone della Dda erano di associazione mafiosa, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso. Il gup ha ritenuto provato il reato associativo per quattro dei cinque imputati, Marino a titolo di concorso esterno.
    Nei confronti di Vavalà invece è stata esclusa l'associazione, ma per i reati satellite è stata riconosciuta l'aggravante del metodo mafioso.
    L'indagine, condotta a partire dal 2015 dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Dda del capoluogo, ha svelato la presenza di una locale di 'ndrangheta tra Ivrea, Chivasso e zone limitrofe, sotto l'egida della cosca Alvaro di Sinopoli.
    L'esponente di spicco è ritenuto Domenico Alvaro, 45enne residente a Chivasso nonché figlio del boss Carmine, imputato in veste di «promotore». Al vertice dell'articolazione secondo i pm c'era anche Antonio Mammoliti, che, tra le altre attività, si sarebbe occupato di rintracciare le armi.Secondo gli investigatori, la cellula aveva due core business: il traffico di droga su scala internazionale e reati contro il patrimonio, principalmente truffe a imprenditori.
    Si svolgerà a Torino anche il processo con rito ordinario nei confronti di altri 16 indagati tra cui i fratelli Francesco e Giuseppe Belfiore, Pancrazio Chiruzzi, Piero Speranza e la figlia Marta. Lo ha stabilito, all'inizio di luglio, il collegio di Ivrea presieduto dalla giudice Stefania Cugge ritenendo che il processo si debba celebrare nel tribunale dove sarebbe stata commessa l'estorsione .

 

 

 

 

 

26.07.24
  1. L'attentatore di Trump si era informato sull'assassino di Kennedy su Internet
    Ha cercato ispirazione nell'assassinio di Kennedy del 1963 prima di compiere il suo attacco a Butler. Lo rivela l'Fbi dopo le ultime indagini sull'attentatore di Donald Trump - Thomas Matthew Crooks - che cercò online informazioni sull'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, concentrandosi in particolare sulla distanza da cui Lee Harvey Oswald riuscì a mirare - in quel caso con successo - al presidente degli Stati Uniti, uccidendolo. Un «dettaglio significativo che descrive il suo stato d'animo», ha dichiarato il direttore dell''Fbi Christopher Wray in audizione al Congresso. Intanto le ultime ricerche confermano che Crooks fece volare un drone nell'area del comizio dell'ex presidente due ore prima dell'inizio dell'evento elettorale
  2. LICENZIAMENTO IMMEDIATO : La denuncia di Anna, astigiana di 18 anni , dopo il viaggio a Berlino "Tremavo e non dormivo più , la mia dignità calpestata due volte"
    "Io molestata in gita" La preside minimizza "Ti ci devi abituare"
    Le tappe della vicenda
    Laura Secci
    Asti
    Non è vero che la vita cambia un po'alla volta. Gli eventi, quelli importanti, non danno un preavviso. Non li freni, non li capisci, li subisci e basta. Sentenziano che da quel momento non sarai più la stessa. E per giorni vorresti diventare la prima che passa, una qualunque. Tranne te. Poi scatta lo spirito di sopravvivenza o quello che il lessico un po' arrugginito chiama "amor proprio". Tutto questo è nello sguardo di Anna, 18 anni, nel suo cercar parole che nascono, inciampano e si rialzano quando dice «dignità», mentre si aggiusta meccanicamente la maglia senza spostarla di un millimetro. «Sono stata molestata in gita e la preside ha sminuito l'accaduto – racconta tutto d'un fiato scivolando sul bordo della sedia – Mi hanno tolto la dignità due volte. Prima l'uomo che mi ha palpato, poi la scuola che mi ha detto che devo farci l'abitudine. Io non voglio farci l'abitudine».
    È febbraio. Anna è all'estero con il resto della classe di un liceo astigiano. L'ostello dove passano le ultime notti prima del rientro a casa è un melting pot di viaggiatori adulti di mezza età con una comune inclinazione al bere. «Niente famiglie. Solo adulti, maschi, alcuni ubriachi – ricorda– L'ultima sera, sono fuori dalla hall con le mie amiche quando sento una mano palparmi con forza il sedere. Mi giro di scatto, lo guardo e urlo "Ma cosa fai? " in italiano. Lui, ridendo, si allontana lentamente. Quella risata mi rimbomba ancora in testa. Come i suoi occhi divertiti». Poi la corsa dal professore, l'amica racconta l'accaduto, scatta la segnalazione alla guardia di sicurezza. «Tremavo. Ma il mio insegnante mi ha tranquillizzato. E per tutta la notte, lui e gli altri docenti, hanno vigilato a turno davanti alla porta della stanza. Il giorno dopo siamo partiti. Ho capito che non potevo bloccare tutta la classe lì per sporgere denuncia – alza gli occhi come a cercare conferme – Sì. Forse ho sbagliato. Ci ho pensato. Ma neanche io volevo stare in quel posto. Sentivo solo il bisogno di tornare a casa il prima possibile». Dimenticare. Cancellare tutto. Come quegli incubi che la mattina strappano un sospiro di sollievo: menomale, era solo un sogno. «Invece non riuscivo più a dormire e ho raccontato tutto ai miei genitori. Erano furiosi e hanno chiesto subito un appuntamento con la preside. Non c'era». L'incontro avviene pochi giorni dopo, ma senza di loro.
    Il bidello bussa: «Ti aspetta la preside». Pochi passi incerti nel corridoio che non è mai stato così lungo. Le labbra si muovono veloci in una conversazione interna che cerca di mettere ordine tra pensieri sparsi. Non c'è più tempo. La porta è lì. «Ma non ci sono i miei genitori», l'obiezione, mentre entra nella stanza con la convinzione di chi vorrebbe trovarsi altrove. «Sei maggiorenne, sei responsabile delle tue azioni» la risposta. Il dialogo ad Anna è parso più un monologo. «Perché racconti questo adesso, una settimana dopo? Ci abbiamo messo mesi a organizzare questa gita. Tu con questo a cosa vuoi arrivare? Non è successo chissà cosa». Frasi che seppelliscono quel po'di coraggio raggranellato alla veloce. «Io volevo solo parlarne. Non ho un'idea precisa». Il silenzio è sospeso in attesa di una risposta. Arriva ma non è quella sperata. «Ti ci devi abituare a queste cose». Queste le parole, per chiudere la questione, raccontate dalla ragazza. Delle ore che seguono ricorda il senso di impotenza alimentato dall'amarezza. Ma la delusione, convertita in azione, spesso ha il pregio di esercitare i nostri diritti senza chiederci il permesso. Nasce così un articolo pubblicato sul giornalino scolastico regionale dal titolo "L'arroganza dell'illuso" in cui scrive quello che avrebbe voluto dire alla preside se le parole non si fossero bloccate in gola. «Non mi sarei mai aspettata di sentire che è normale che accadano questi episodi – scrive – Avrei voluto dirvi che non ho la vostra età, non lo so come va il mondo quanto sapete voi. Però ecco quello che la scuola mi ha insegnato: se qualcosa non funziona bisogna lottare, perché è per le donne che hanno fatto la differenza che lei preside svolge un ruolo importante, non grazie a quelle che si sono abituate alle molestie. Come è possibile che in una scuola che manifesta pubblicamente contro la violenza sulle donne, privatamente vengano dette parole così pesanti? » . Un interrogativo che riapre l'eterna ferita della doppia morale. Condannare in pubblico ciò che si tollera nel privato. «In questo liceo mi hanno insegnato che le molestie sono gravi. Quindi mi aspettavo di sentirmi dire che un uomo che mi tocca senza consenso è da condannare e basta». La preside, contattata per un commento, nega con fermezza. «La scuola disconosce il fatto che ci sia stata violenza. Al massimo avrà avuto un apprezzamento per la gonna corta. Ma poi cosa avremmo dovuto fare noi? Ho ascoltato la ragazza, le ho detto che è importante non allontanarsi per non finire in situazione spiacevoli. Poi è successo a Berlino. Se nell'ostello c'è qualche deficiente alticcio come prima cosa ti allontani. Le ho anche detto che se voleva sporgere denuncia poteva farlo. È maggiorenne. Ho solo aggiunto che secondo me in casi come questo è sterile». Sulla risposta riferita dalla ragazza: «Ti ci devi abituare» si riversa in un fiume di parole. «Mai pronunciato una frase simile. Possiamo averle detto che la vita è anche questa. Se mia figlia mi raccontasse di essere stata palpeggiata da un ubriaco le risponderei: ma sei scappata subito, tesoro? Perché, diciamoci la verità, se uno ti mette la mano sul sedere qual è la prima cosa che fai? Denunciare? No. È scappare». Una società che ci insegna fin da piccoli a rendere conto agli altri di ciò che facciamo ma non ci abitua a rendere conto a noi stessi, Anna sembra aver trovato il suo modo, non barattabile, di stare al mondo. Quando una donna dice no. È no. Perché no è una frase di senso compiuto.
  3. IL VERO VOLTO DEL PCI:L'autore
    Anna Maria Ortese
    fece licenziare
    Quando il Pci
    «Sai, passiamo dei periodi come se uno fosse avvelenato, pieno di cose che ti staccano dal profondo di te». Scriveva così Anna Maria Ortese alla sua amica Angela, moglie dello scrittore pesarese Fabio Tombari, in una lettera rimasta fino ad oggi inedita e che siamo in grado di rivelare grazie a un paziente lavoro di ricerca. Era il 7 novembre del 1948, e la scrittrice era stata ospite della coppia nel maggio dell'anno precedente, appassionandosi, grazie a loro, entrambi seguaci di Steiner, all'antroposofia. Nel periodo di cui parla nella lettera, pur seguitando a collaborare con i quotidiani napoletani La Voce e Risorgimento, la Ortese aveva colto al balzo una ghiotta occasione d'assunzione al settimanale milanese Omnibus, diretto da Salvato Cappelli, che all'epoca ospitava articoli di Calvino, Vittorini, Pavese e aveva un profondo radicamento con la linea del Pci di Palmiro Togliatti. Vi era arrivata grazie al suo amico Pasquale Prunas, che in coppia con Cappelli creò qualche anno dopo Le ore, un rotocalco rivoluzionario, e che era già collaboratore della testata.
    «Da quando sono partita per Milano la prima volta - scrive la Ortese all'amica - ho vissuto un'esistenza febbrile e angosciata perché troppo crudo era il passaggio da un sistema all'altro. Ero con Omnibus, sai: morivo dal dolore di non vedere più Napoli, di trovarmi a Milano. Era l'estate, vivevo in casa di Lelj, che è stato un ottimo carissimo amico (si riferisce con ogni probabilità a Massimo Lelj, autore Bompiani ed ex inviato di guerra del Corriere della Sera, ndr); ma non ero lieta! Quanto al lavoro, prendevo lo stipendio di redazione (ma non facevo nulla, non perché non volevo, ma perché non c'era lavoro) e il compenso dei radi articoli in cose di Milano. Il lavoro che mi era stato assegnato non mi piaceva, mi urtava». In effetti nei pochi servizi da lei firmati in quell'agosto milanese (sull'ippodromo di San Siro e l'Idroscalo) la sua prosa è irriconoscibile: legnosa, prevedibile, a tratti burocratica. I colori con cui dipinge qualunque ambiente sono corruschi, rispecchiano un profondo disagio interiore. Milano, che in seguito sarà da lei ampiamente rivalutata, le appare come il luogo dove ogni cosa reca il cartellino del prezzo. «Si è soli. Molto più soli che a Napoli» si lagnava con Prunas nel carteggio pubblicato anni fa da Archinto (Alla luce del Sud, a cura di Renata Prunas e Giuseppe Di Costanzo). «Ti coprono col mantello dell'ironia, non altro».
    Cappelli, pur sapendo che Ortese non è una comunista militante, la sprona a essere più faziosa e ficcante, ma lei rifiuta «la violenza di parte»: «I pezzi che vorrei fare per Omnibus - confida a Prunas - dovrebbero essere una cronaca disintossicata della vita milanese, del mondo borghese di qui, ma non contro gli uomini veri e propri (com'è possibile odiare?) solo contro quanto di fatuo e mortale c'è nel loro costume». Il nodo a quel punto va sciolto: Anna Maria Ortese è o non è idonea a militare in una testata apertamente schierata? Cappelli la mette alla prova affidandole un'inchiesta delicata: «Decisero di mandarmi a Trieste per provare in pieno le mie possibilità giornalistiche» rivela la Ortese all'amica. «Rimasi là dieci giorni, molto felice, perché vedevo il mare e gente bella e serena. Poi tornai a Milano e mi misi a scrivere gli articoli su Trieste. Dopo aver consegnato il primo, che fu accolto con entusiasmo, tornai a Napoli».
    Trieste era ancora uno staterello autonomo a quel tempo (il Territorio libero di Trieste), sebbene diviso in due zone: la A governata dagli Alleati, la B sotto il controllo jugoslavo. Dopo le elezioni politiche d'aprile e soprattutto dopo la rottura delle relazioni tra Tito e Stalin, il movimento comunista locale s'era scisso in due spezzoni: da una parte, la maggioranza kominformista fedele alla linea di Mosca, capeggiata dal famigerato Vittorio Vidali, un duro coinvolto in varie vicende di sangue, compreso l'omicidio di Trotsky; dall'altra, la minoranza filotitina. Il pendolo del comunismo comandato da Mosca oscillava ora nella direzione del Pci, anche se questo non significava che il Pci triestino fosse diventato un partito italiano. E comunque, l'obiettivo primario, comune sia a Togliatti che alle forze kominformiste, era liberarsi del controllo angloamericano. La prima puntata dell'inchiesta ortesiana ("L'amante slavo", 14/10/1948), pur incentrata sulle posizioni della Lega nazionale, l'associazione irredentista risorta dalle sue ceneri nel ‘46, suggellava perlomeno quest'aspirazione: «Solo lo Slavo e nessun altro che lo Slavo (scaduto per sempre il decorosissimo Austriaco), è grande come nemico». Per contro, la seconda puntata ("Ma di che cosa è malata Trieste?", 21/10/1948), spedita da Napoli, esaltava senza mezzi termini l'irredentismo: «Oggi, a Trieste, non c'è nulla di più commovente, di più straordinariamente importante della "Lega nazionale" (…) … gli anni in cui Trieste non ebbe la Lega, non fu cioè irredentista, ci paiono per Trieste brutti anni, fortunatamente passati». Giudizio che non poteva esser sottoscritto né da Botteghe oscure né da un Cappelli ligio osservante dell'ortodossia togliattiana. «Trovai tutti, a Omnibus, pieni di benevolenza e simpatia» prosegue laconicamente la Ortese. «Il servizio andava bene. Ma, dopo pochi giorni, saltò fuori la notizia che il Partito non era contento, e che bisognava troncare tutto. Rimasi senza fiato, umiliata e impensierita, anche perché lo stipendio di redazione non lo prendevo più e anticipi sul lavoro non me ne potevano dare. Come vivere?».
    Con il licenziamento da Omnibus per volere del Pci, inizia per Anna Maria Ortese un periodo segnato da grandi difficoltà economiche, che la portò a dipendere da amici e conoscenti per il sostentamento e la ricerca di alloggi, sempre temporanei. «La verità è che io appartengo prima di tutto al P.C.D.D. (leggi: Partito Cercatori Di Dio), io non posso sentire la lotta di classe se non in funzione di quella contro il Male (bisogna proprio chiamarlo con lettere maiuscole), ch'è tanto, è solo in parte dovuto al fattore economico, in gran parte dipende invece da cose più grandi di noi, misteriose quanto difficili a intendersi», scriveva sempre in quell'estate del 1948 al suo amico Prunas; e mai avrebbe cambiato idea, assumendosi i rischi che ogni battitore libero della stampa dovrebbe mettere in conto.
    Non per nulla la sua carriera giornalistica è lastricata di trionfi e crucifige feroci: ai maggiori allori corrisponde quasi sempre una reazione uguale e contraria di fischi e pollici versi. Tutte sollevazioni di sinistra, di militanti del Pci e intellettuali di quell'area in cui anche lei, a quel tempo, si collocava. Il mare non bagna Napoli, premio giornalistico Saint Vincent e premio letterario Viareggio 1953, è per metà costituito da inchieste sul campo. Quella sui Granili, pubblicata sul Mondo nel gennaio del ‘52, smosse addirittura i vertici dello Stato, il presidente Einaudi, che decretò ipso facto la smantellamento di quel falansterio degli orrori. Plausi seguiti da botte fragorose. "Il silenzio della ragione", l'inchiesta sugli scrittori napoletani che le aveva commissionato Vittorini, scatenò un finimondo. La Ortese aveva descritto i vecchi compagni d'avventura di Sud, la rivista ideata e diretta da Prunas, come dei falliti, dei rinunciatari che avevano deposto istanze e armi illuministiche. Di più: li aveva messi in caricatura. Le avevano replicato, sdegnati, Compagnone, Domenico Rea e Gianni Scognamiglio; e tutto quel mondo di ferventi gazzettieri idealisti che palpita nelle pagine del Mistero napoletano di Ermanno Rea s'era riconosciuto nell'attacco sferratole da Nino Sansone sulle colonne di Rinascita. Era per quella cerchia il racconto d'una rinnegata, una che non credeva più alle magnifiche sorti e progressive della capitale del Sud.
    L'anno dopo, ovvero nel ‘54, la Ortese partì per un lungo reportage a puntate tra Praga e la Russia assieme a una delegazione dell'Udi. Ebbene, con il suo meraviglioso racconto riuscì a scontentare tanto la destra che la sinistra. «C'era molto sacrificio, molta pena, molta sofferenza e obbedienza, e questo era sconsigliabile a dirsi per i Credenti di sinistra; ma anche bontà, speranza, saldezza, e questo non andava bene per i Credenti di destra». Già era stata isolata dalle compagne durante il soggiorno per il precedente del Mare non bagna Napoli; ma, al ritorno, fu anche accolta «con il viso dell'armi» (parole sue) dal «mondo della sinistra milanese». Tutti contro, meno Luchino Visconti. L'anno dopo, per quelle straordinarie corrispondenze e altri servizi giornalistici, le assegnarono un secondo premio Saint Vincent. Avrebbe continuato a collaborare a fogli di sinistra come Milano sera e L'Unità, grazie anche all'appoggio del suo compagno Marcello Venturi, che di quel giornale era caposervizio cultura, ma a quel punto Anna Maria divorziò per sempre da Botteghe oscure: «Sono uscita dal partito - dichiarò lapidariamente - perché volevano che io non ragionassi con la mia testa ma con la loro».
  4. ANCORA OGGI "Il Partito non gestiva il dissenso Sulla Jugoslavia divisioni profonde"
    Ritanna Armeni
    La chiusura
    Gli intellettuali
    L'indifferenza
    La polemica sul Gattopardo
    «Io non ero nel Pci, quindi nessuno mi ha potuto cacciare», ricorda Ritanna Armeni, giornalista, scrittrice e fondatrice del Manifesto nel 1972. «Sono arrivata al Manifesto quando era un giornale dissidente, e me ne sono andata perché quell'esperienza aveva esaurito, per dirla con le parole di Berlinguer, la sua "forza propulsiva"». Ma di quella intensa fase professionale Armeni dice di aver ricevuto una lezione fondamentale "di spirito critico", e di rivedere, nella vicenda di Anna Maria Ortese, alcuni dei dilemmi che hanno segnato la storia della sinistra.
    Il caso di Anna Maria Ortese risale a un'epoca molto precedente agli strappi che segnarono la storia del comunismo italiano negli anni Settanta e Ottanta: siamo nel 1948, la guerra è finita da pochi anni e l'allineamento del Pci con Mosca a quell'epoca non conosceva esitazioni. Il legame in particolare con la Jugoslavia di Tito, che per Togliatti rappresentava un esempio positivo di realizzazione socialista, metteva le rivendicazioni della "Trieste italiana" in assoluto secondo piano: i comunisti italiani erano infatti convinti che Trieste e l'Istria, in quanto area con una consistente popolazione slava, dovesse essere parte della Jugoslavia perché questo avrebbe facilitato la costruzione del socialismo in entrambi i paesi.
    Ragione per cui il primo reportage di Ortese – "Lo slavo" – fu approvato, e il secondo – in cui si sostenevano le ragioni dell'irredentismo e della "Lega Nazionale" – le valse l'allontanamento definitivo da Omnibus, la rivista per cui lavorava, su diretta indicazione dei vertici comunisti.
    Armeni, il PCI aveva un rapporto difficile con le donne intellettuali?
    «Il Pci aveva un rapporto insieme intenso e difficile con gli intellettuali in genere: intenso perché il mondo della cultura faceva riferimento al partito, difficile perché spesso non riusciva a gestire il dissenso, come dimostra, nel 1969, il fatto che radiò gli intellettuali che avevano fondato il Manifesto. Non credo che nel caso di Anna Maria Ortese il problema fosse il suo essere donna. La Jugoslavia e Trieste erano un problema scottante, anche all'interno della sinistra. Ortese scrive nel 1948. Ricordo che Rosario Bentivegna , uno dei Gap protagonisti dell'attentato contro i tedeschi a via Rasella nel 1944, dopo che era andato a combattere in Jugoslavia nel 1945 non esitò a criticare la gestione dell'esercito guidato da Tito, e rimase fermamente anti-titino per tutta la vita. Questo per dire quanto acceso fosse allora il dibattito sul tema...».
    Il rapporto difficile dunque era in generale con gli intellettuali?
    «Assolutamente. Basti pensare all'ostracismo ricevuto in una prima fase dal Gattopardo, il libro di Tomasi di Lampedusa, e a tutti i problemi avuti da Luchino Visconti quando voleva realizzarne la versione cinematografica. Fu ritenuto di destra da Alicata, da Moravia, da Pratolini. Vittorini non lo pubblicò per l'Einaudi… Certo, nel caso di Ortese, fa impressione il fatto che si trovasse in condizioni economiche così precarie, e che questo non fu tuttavia sufficiente a invocare ripensamenti».
    Ortese oltretutto era considerata un'intellettuale vicina alla sinistra…
    «Infatti. Il problema, di nuovo, era il dissenso, che d'altra parte rappresentava il contraltare dialettico dell'ideologia. Possiamo arrivare a dire che senza dissenso anche l'ideologia sarebbe andata in pezzi».
    Secondo lei cosa ci dice una storia come questa in un momento in cui si parla spesso di censura e di scrittori censurati?
    «Che la censura è un problema che riguarda la destra. Ma che la sinistra ha sempre avuto un problema con il dissenso. Non è mai riuscita a comprenderlo, a dargli la giusta considerazione e comprensione, né a farne occasione di autocritica. Questo è forse il motivo per cui la sinistra in genere si divide. Ogni voce dissenziente o viene allontanata o si allontana. E se non si è d'accordo ognuno va per i fatti suoi».
    Colpa di scelte ideologiche troppo rigide?
    «La sinistra si fondava – e uso il passato - su un sistema di valori, la cosiddetta ideologia. Non la disprezzo. Credo che l'ideologia intesa come visione del mondo presente sia importante, e altrettanto importante credo sia addirittura l'utopia, intesa come visione del tempo futuro. Senza di esse la sinistra non esiste. Ma non è riuscita a farla convivere con l'altro, con quello che viene da fuori. Anzi, si è sempre espressa ferocemente contro di esso. Tornando al caso di Ortese, nel 1948 l'ideologia, lo schieramento di campo, erano più importanti di tutto. Poi però cinque anni dopo Ortese vince il premio Viareggio con Il mare non bagna Napoli e dopo ancora vincerà lo Strega». —

 

 

25.07.24
  1. La settimana scorsa la giudice era intenzionata a lasciare l'incarico Ma dal suo partito, Fratelli d'Italia, ora c'è chi la spinge a ripensarci
    Scandalo Csm Natoli tiene duro e non si dimette
    irene famà
    roma
    Rosanna Natoli non ha nessuna intenzione di dimettersi. Così si mormora nei corridoi di Palazzo Bachelet. La componente del Consiglio di disciplina del Csm finita al centro dello scandalo del salvataggio pilotato di una giudice, l'avrebbe fatto capire alla presidente Cassano e al procuratore generale della Cassazione Salvato. Prima, così dicono, si sarebbe confrontata con il suo partito, Fratelli d'Italia. Con chi di preciso, non si sa. Certo è che la consigliera deve la sua ascesa dalla vita comunale di Paternò a piazza Indipendenza a Roma grazie al presidente del Senato, e suo compaesano, Ignazio La Russa. Era stato lui, infatti, a fare il suo nome. E, a gennaio 2023, il Parlamento la votò tra i quattro laici in quota meloniana.
    La scorsa settimana, lo scandalo. La consigliera ha incontrato, nel suo studio da avvocato a Paternò, Maria Fascetta Sivillo, giudice civile di Catania sotto inchiesta disciplinare. Un colloquio molto più che inopportuno, visto che Natoli è tra chi l'avrebbe dovuta giudicare. Il tutto viene registrato dalla magistrata sotto accusa. E reso pubblico durante la commissione disciplinare.
    Rosanna Natoli ascolta l'audio. Si alza in piedi. Annuncia dimissioni immediate dalla commissione. Non dal Csm. E sembra non sia intenzionata a farlo nemmeno oggi. Al contrario. La consigliera pare lascerà vuoto il suo posto al Plenum. Partirà per le vacanze. «Per evitare problemi al Csm», avrebbe spiegato agli amici. «Un modo per temporeggiare», si sussurra a Palazzo Bachelet. Unica certezza? Il rinvio della questione a settembre.
    È vero. È possibile votare, a scrutinio segreto e con una maggioranza dei 2/3, la sospensione di un membro del Csm. Ma solo se è indagato. E qui si apre un altro capitolo della vicenda. Il Csm ha inviato gli atti - la pennetta usb con la registrazione e la trascrizione del colloquio - alla procura di Roma, ma il reato sarebbe stato commesso a Paternò. Quindi, per questione di competenza territoriale, l'intera faccenda è destinata ad essere trasferita a Catania. E non esiste una procedura che prevede la decadenza automatica dal Csm.
    Insomma. Rosanna Natoli, spalleggiata e consigliata dai suoi, prova a restare al suo posto. Un posto che condivide sotto i riflettori del presidente della Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che è a capo del Consiglio superiore della magistratura. Mattarella, l'altro ieri ha incontrato il suo vice al Csm Fabio Pinelli. E, durante un colloquio di quaranta minuti, non avrebbe nascosto di essere piuttosto sconcertato per una situazione considerata insostenibile.
    Per ricostruire questa intricata faccenda bisogna risalire al novembre 2023. Rosanna Natoli incontra la giudice Maria Fascetta Sivillo, condannata a tre anni e sei mesi dal tribunale di Catania per aver preteso la cancellazione di una cartella esattoriale da parte dell'agenzia delle riscossioni siciliana. Dovrebbe giudicare la sua posizione, valutare la sua sospensione, invece le fornisce consigli. «Sì, sto violando il segreto», dice. «Mi sono presa sto processo perché lei è amica dei miei amici. E questa situazione la dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una mano».
    Sivillo registra. E insieme al suo avvocato, il legale Carlo Taormina, rende tutto pubblico. Non solo. L'avvocato Taormina, ex deputato di Forza Italia, l'altro ieri ha presentato in procura una denuncia di sei pagine contro l'intera sezione disciplinare del Csm che ha trattato il caso della sua assistita. Perché, questa la sintesi dell'esposto, Natoli in quella registrazione mostra di parlare in nome e per conto dei componenti della sezione disciplinare di cui fa parte.
  2.  " Solo marketing politico"
    niccolò carratelli
    roma
    L'ennesimo scontro in tema di sanità pubblica è in programma questa mattina nell'Aula della Camera. Dove si svolgeranno le dichiarazioni di voto e il voto finale sul decreto "Liste d'attesa", con le opposizioni che daranno battaglia fino all'ultimo. Per il Pd interverrà la segretaria, Elly Schlein, pronta a rilanciare la sua proposta di legge, affossata dalla maggioranza, per l'incremento graduale dei fondi al Servizio sanitario nazionale fino al 7,5% del Pil. Proposta che era stata inserita dentro a uno dei circa 60 emendamenti depositati dai partiti di centrosinistra e tutti puntualmente respinti. Come sono state bocciate le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Pd, M5s e Avs.
    I deputati di questi partiti hanno monopolizzato la discussione generale, per mettere agli atti critiche e preoccupazioni. «Riteniamo che questo decreto sia una scatola vuota, senza norme di sostanza e interventi strutturali – attacca Marco Furfaro, responsabile Welfare al Nazareno –.
    Un provvedimento mirato a distruggere il Servizio sanitario nazionale e a favorire il sistema privato, che non inciderà per niente sulle lunghissime liste d'attesa». Mentre il vicepresidente 5 stelle, Riccardo Ricciardi, parla di una «schifosissima operazione di marketing politico, in cui si individua nei problemi della sanità un bacino di voti – dice –. Si fa un decreto per prendere dei voti senza però metterci niente, è una becera e gravissima strumentalizzazione». Il Movimento ha presentato un emendamento per potenziare l'assistenza territoriale, con l'assunzione di medici di base e pediatri di libera scelta, che non sono interessati dal tetto di spesa.
    «Ma per il governo queste non sono priorità – sottolinea la deputata Gilda Sportiello – sono interessati solo a spot vuoti e giocano con il diritto alla salute». E la capogruppo di Avs, Luana Zanella, mette in guardia dalla prospettiva di vedere aumentare «solo la burocrazia, prevedendo almeno sette decreti attuativi, ma non le risorse e le assunzioni del personale sanitario». Critiche a cui il relatore del provvedimento, Luciano Ciocchetti di Fratelli d'Italia, risponde assicurando che le nuove misure ridurranno «drasticamente i tempi di attesa nelle prestazioni sanitarie», e potranno anche «migliorare la trasparenza e l'efficienza del sistema sanitario nazionale».
    In sintesi, il decreto prevede la creazione di una piattaforma nazionale per le liste d'attesa presso l'Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) con l'obiettivo di monitorare, in tempo reale e in tutte le Regioni, i tempi di erogazione delle prestazioni. Se non vengono garantite entro i termini prestabiliti dalle classi di priorità, le Asl devono assicurarle o attraverso un centro privato accreditato o in modalità intramoenia, cioè al di fuori del normale orario di lavoro dei medici ospedalieri. Le cui ore di straordinario (come quelle degli infermieri) verranno retribuite con un prelievo fiscale ridotto: una flat tax al 15% rispetto alla trattenuta attuale che supera il 40%. Le prestazioni disponibili nelle strutture pubbliche e private convenzionate saranno raggruppate ovunque in un Cup (centro prenotazioni) unico regionale o intraregionale, con il divieto per gli ospedali di sospendere o chiudere le agende. I direttori generali delle Asl saranno così valutati anche in base alle performance registrate, attraverso il lavoro dei nuovi responsabili unici regionali dell'assistenza sanitaria: dopo le proteste dei presidenti di Regione, infatti, è stata accantonata l'idea di far gestire i controlli direttamente al ministero della Salute. Lo scontro sul decreto, del resto, non si è consumato solo tra maggioranza e opposizione, ma anche dentro la stessa maggioranza, con la Lega che ha sostenuto le critiche dei governatori, spingendo per una revisione del testo, in particolare dell'articolo 2, come poi è avvenuto al Senato. È dovuta intervenire in prima persona la premier Giorgia Meloni per favorire una soluzione di compromesso. Scongiurato il rischio di una spaccatura a Palazzo Madama, il centrodestra ha trovato un accordo sulla versione finale del provvedimento, che oggi verrà approvato senza alcuna modifica a Montecitorio.

 

24.07.24
  1. NO COMMENT : La rivincita del bravo avvocato
    del vigile
    La fotografia
    Il risarcimento
    "
    Il nuovo impiego
    Paolo Isaia
    Sanremo
    «Ho sempre saputo di non aver fatto qualcosa di sbagliato, l'ho spiegato a tutti, dal pm ai vari giudici, fin dall'inizio. Avevo ragione, anche se questo non mi ripaga di 9 anni di sofferenza». Suo malgrado, Alberto Muraglia resterà per tutti - «il vigile in mutande». L'immagine mentre timbrava il cartellino in slip e canottiera, nell'ottobre 2015 ha fatto il giro del mondo. Accusato di truffa ai danni del Comune di Sanremo, è stato però assolto con formula piena, e ora è arrivata anche l'ultima sentenza sul suo licenziamento. La Cassazione ha confermato quanto deciso dalla Corte d'Appello di Genova: la decisione del Comune era illegittima.
    Muraglia, questa sentenza mette la parola fine alla sua vicenda. Come si sente?
    «Ero sereno e lo rimango. Mi aspettavo questa conclusione, perché conferma quello che ho detto subito al primo giudice del lavoro. Non mi aveva creduto, e nonostante tutte le testimonianze a mio favore, aveva respinto il mio ricorso. Ma la corte d'appello di Genova ha ribaltato tutto perché c'era una logica. Era chiaro che la timbratura in mutande avvenisse o prima o dopo l'orario di lavoro, la macchinetta era davanti all'alloggio di servizio. Una volta dimostrato quello, è finito il discorso».
    Ecco, l'immagine di lei in mutande. Secondo lei la procura ha sbagliato a diffonderla?
    «Sì, perché quella fotografia penderà per sempre sulla mia testa. Ancora oggi esplodono i commenti sui social quando compare. La gente non si convince che c'è stato un errore di base della magistratura, c'è stato un giudizio basato su una singola foto. E uno scatto non poteva certo spiegare che stavo facendo il mio lavoro, le persone vedevano altro. Un furbetto del cartellino».
    Prova rancore nei confronti della procura, o del Comune che l'ha poi licenziata?
    «No. La cattiveria non sta nel mio dna, e nemmeno il rancore. Non ho motivi contro l'ex amministrazione, o contro la procura, anche se le indagini, oltre all'immagine rovinata per sempre, mi sono costate 86 giorni di arresti domiciliari, che non auguro a nessuno. Resta solo un po' di dispiacere per il comportamento dell'ex segretaria generale del Comune, che mi aveva dato la speranza di essere pronta ad accogliere la mia tesi, e poi mi ha licenziato. Poteva essere sufficiente anche una sospensione, in attesa del processo penale».
    È stata una battaglia lunga. Non ha mai pensato di perderla?
    «Mai, ero nel giusto. Lo sapevo io e lo sapeva la mia famiglia, lei è stata la mia forza, e io ho avuto la forza di lasciarla fuori. Ringrazio anche i miei avvocati, Alessandro Moroni e Luigi Zoboli, per avere sempre creduto in me. Sono andato sempre avanti a testa bassa per dimostrare la mia innocenza. Non è stato facile, ero diventato il nemico pubblico numero uno. Eppure tre giorni dopo gli arresti ero dal gip a spiegare tutto. Mi aspettavo quasi le scuse, invece hanno aperto altri tre fascicoli su di me, tutti archiviati. Ho perfino rinunciato alla prescrizione, non puoi accettarla quando sai di non avere fatto niente. Ed è arrivata sia l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" che il reintegro sul posto di lavoro».
    Reintegro che però non ha accettato. Per quale motivo?
    «Da una parte non volevo più lavorare per persone che non avevano creduto in me, nella mia onestà, nonostante avessi sempre portato la divisa con onore e dignità. E poi il Comune ha presentato ricorso anche contro la sentenza di reintegro».
    Sperava che fosse finita con il secondo grado?
    «Sì, lo ammetto. La decisione dell'amministrazione mi ha sorpreso, era palese che anche la Cassazione avrebbe deciso a mio favore. Bastava leggere le carte».
    Con il Comune ora il capitolo è definitivamente chiuso?
    «Non del tutto, almeno per la questione economica. Mi sono stati liquidati 132 mila euro, togliendo dalla cifra iniziale di 227 mila euro quello che secondo i loro calcoli avevo guadagnato nel frattempo. Invece secondo la mia commercialista c'è una differenza di 60 mila euro. Quattro mesi fa ho chiesto al Comune come risultasse la cifra che mi hanno versato, sta ancora aspettando la risposta».
    I guadagni sono arrivati con il lavoro di aggiustatutto, vero?
    «Sì, dopo il licenziamento ho aperto un piccolo laboratorio, adesso va a gonfie vele. Con me c'è mia figlia Aurora, si occupa della parte amministrativa, delle etichette per citofoni, delle chiavi. Si sta laureando in informatica, deve solo discutere la tesi. C'è anche mio nipote».
    Crede che un giorno riuscirà a dimenticare questi nove anni?
    «Sono io che non voglio dimenticare, anzi. Anche se la mia immagine è stata rovinata per sempre, e non me lo meritavo, per il resto sono contento così. È stato un percorso lungo, difficile e doloroso. Ma ne sono uscito vincente».

 

 

23.07.24
  1. CONOSCO BUONO MA NON RIESCO AD IMMAGINARE UN FUTURO  PER IL NUCLEARE: "Una torre accanto al grattacielo di Intesa come sede italiana del nucleare pulito"
    leonardo di paco
    Nella sede di Lione, a due passi dalla stazione ferroviaria, sulla facciata di una delle torri più alte della città da qualche giorno troneggia un'enorme insegna della sua azienda.
    Adesso Stefano Buono, fondatore e ceo di newcleo, scaleup italo-britannica (sede a Londra) nata nel 2021 e impegnata nello sviluppo di reattori nucleari di ultimissima generazione, si lancia in un progetto per colmare un vuoto urbano della città che lo ha adottato: «Costruire una torre completamente nuova a Torino, dove già lavorano 350 dipendenti di newcleo, prima che l'alta velocità la colleghi con Lione in poco più di un'ora».
    L'area prescelta per la sede di newcleo è quella davanti al grattacielo di Intesa Sanpaolo e si inserisce nel progetto di riqualificazione dell'asse che porta dal Politecnico alla stazione Dora, con la stazione di Porta Susa al centro. Un piano, chiamato "Torino Innovation Mile", nato pochi mesi fa su spinta di Davide Canavesio, il fondatore dell'associazione Nexto. Fra i promotori, oltre alla stessa newcleo, anche Politecnico, Ogr, Environment Park, Infra.To, Liftt, New Cleo, Nexto e Planet Smart City.
    Lo spazio fisico dove far troneggiare la nuova sede di newcleo abbonda. L'area di oltre 45 mila metri quadrati di superficie è di FS Sistemi Urbani. E a Buono i capitali non mancano. Entro l'estate newcleo chiuderà infatti il maxi round di raccolta da un miliardo di euro annunciato lo scorso marzo.
    Ma si tratta solo del primo di una serie di grandi round di finanziamento. Entro i prossimi 7-8 anni, infatti, la società avrà bisogno di un totale nel range di 3-4 miliardi di euro per sviluppare due reattori in Francia e Regno Unito, un prototipo non nucleare in fase di studio in Italia (nel laboratorio di Brasimone, sull'Appennino bolognese) e una fabbrica di combustibile nucleare per soddisfare la richiesta di combustibile radioattivo che non sia l'uranio proveniente dalla Russia, fra i più grandi produttori al mondo.
    «In Italia c'è sempre più attenzione nei confronti del nucleare, anche da parte del governo, e se la crescita di newcleo proseguirà su questi ritmi avremo bisogno di così tante nuove persone da riuscire a riempire un nuovo grattacielo» spiega Buono, che ipotizza un luogo dove ospitare «anche delle attività del Politecnico oltre alla nuova sede di Liftt». Cioè la società di venture capital specializzata in investimenti deeptech con soci Fondazione Compagnia di San Paolo e Poli attraverso la Fondazione Links, stabilita da tempo alle Ogr Tech e presieduta dalla stesso Buono.
    Ma prima bisogna dare un'accelerata alle trattative con Fs Sistemi Urbani, che da tempo prova a vendere l'area. Poi si potrà cominciare a lavorare per trasformare i rendering della torre in cantieri. La macchina burocratica si è già messa in moto. Alla fine di marzo si è tenuto il primo incontro tra il Comitato e la società del gruppo Ferrovia dello Stato. I tempi per la realizzazione del progetto dovrebbero essere di tre anni dal momento in cui verrà finalizzato l'acquisto delle aree.
    Buono, per parlare delle tempistiche realizzative della torre, torna sulla suggestione di vedere Lione e Torino distanti poco più di un'ora di treno. E lancia una frecciatina sui tempi pachidermici di realizzazione dell'infrastruttura che renderebbe possibile il collegamento veloce. «L'intento è rendere il nuovo grattacielo realtà prima della fine dei cantieri della Tav (oggi l'entrata in funzione dell'opera è previsto nel 2032, ndr). Se si continua con questi ritmi, non penso sarà un problema».
  2. Alle Molinette intervento unico in Italia: sette ore in sala operatoria per rimuovere un aneurisma L'organo è stato estratto, mantenuto in vita, riparato e poi reimpiantato nel corpo del paziente
    Autotrapianto di rene con robot " È stato una specie di miracolo"

    alessandro mondo
    «Quando l'ho saputo mi è mancata la terra sotto i piedi. E ancora adesso ne parlo con fatica. Per fortuna ho trovato persone splendide, sotto il profilo umano, oltre che professionale, pronte ad aiutarmi anche sotto il profilo psicologico. Non sono credente ma per me è stato una specie di miracolo».
    Un miracolo che si è dipanato nelle sette ore trascorse da Roberto Galanti, 56 anni, operaio specializzato nel settore automotive, salvato da un aneurisma di 2 centimetri a carico dei rami dell'arteria renale con un intervento autotrapianto di rene, il primo in Italia, utilizzando il sistema robotico di ultima generazione "da Vinci Single Port".
    E' accaduto all'Ospedale di Molinette di Torino, non nuovo ad interventi eccezionali, ad opera di diverse équipe. «Mai avuto sintomi, ho scoperto di questa cosa per caso a seguito di un'ecografia addominale di routine - spiega Roberto . Certo: alcuni valori del sangue erano fuori norma, ma mai avrei immaginato. Invece il radiologo mi ha messo sull'avviso. Poi gli accertamenti urgenti e le visite in ambulatorio, alle Molinette, dove il quadro clinico è risultato ancora più grave. Infine l'intervento programmato in urgenza, ed ora eccomi qua: a due settimane dall'operazione sto abbastanza bene, i medici mi hanno letteralmente preso per mano».
    Era necessario intervenire per prevenire l'elevato rischio di rottura spontanea dell'arteria, spiegano dalle Molinette, ma la complessa posizione dell'aneurisma non rendeva possibile un intervento tradizionale, cioè con il rene nella sua posizione naturale.
    Per questo è stato utilizzato il rivoluzionario sistema robotico,da tre settimane in dotazione presso l'Urologia universitaria delle Molinette, diretta dal professor Paolo Gontero. Il nuovo approccio chirurgico attraverso un'unica piccola incisione di appena 2,5 centimetri ha permesso di prelevare il rene sinistro da riparare. «L'estrema raffinatezza di questa tecnologia operatoria robotica unitamente alla capacità di lavorare in uno spazio relativamente ristretto, tanto quanto una pallina da tennis, ha permesso di effettuare il prelievo di rene passando al di fuori dell'addome - spiega Gontero -. Una via di accesso consente una ulteriore riduzione del trauma chirurgico rendendo possibile una rapida ripresa postoperatoria».
    Il rene è stato estratto mantenendo sempre una via di accesso al di fuori del peritoneo e posizionato in un apposito campo operatorio, dove è stato raffreddato e mantenuto in vita con liquidi speciali per prevenire i danni da ischemia, e quindi sottoposto ad una delicata riparazione della malformazione da parte del dottor Aldo Verri (direttore Chirurgia vascolare ospedaliera). Sempre utilizzando la stessa incisione, è stato effettuato l'autotrapianto. La parte anestesiologica è stata seguita dall'équipe del dottor Roberto Balagna. L'intervento è stato coronato da successo comportando una pronta ripresa della funzione dell'organo d una dimissione del paziente in buone condizioni.
    Tutto ciò è stato reso possibile in primis grazie alla Fondazione CRT, che mesi fa ha creduto in un progetto di ricerca finalizzato all'utilizzo di questa tecnologia in ambiti chirurgici urologici selezionati: grazie alla donazione sarà possibile disporre per un anno di questa tecnologia per effettuare una cinquantina di interventi urologici.

 

 

22.07.24
  1. Studiosa uccisa in Ucraina. Il ministro dell'Interno di Kiev non esclude l'ipotesi di un omicidio su commissione
    Leopoli, assassinata l'ultra nazionalista Farion Combatteva la lingua russa, sospetti su Mosca
    Giuseppe Agliastro
    Mosca
    Un omicidio ha scosso l'Ucraina. Nella serata di venerdì uno sconosciuto ha sparato all'ex deputata nazionalista Iryna Farion ed è subito fuggito. Poche ore dopo la donna è morta in ospedale. Per "una ferita da arma da fuoco alla testa", fanno sapere gli investigatori. L'aggressione è avvenuta a Leopoli, importante città dell'Ucraina occidentale. Ma i motivi di questo terribile crimine restano al momento ignoti. "Abbiamo già diverse versioni. Le principali, posso dire, sono collegate alle attività sociali e politiche di Farion e all'avversione personale verso di lei", ha dichiarato il ministro dell'Interno, Ihor Klymenko, aggiungendo di non poter escludere l'ipotesi dell'omicidio su commissione. Mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che "vengono indagate tutte le possibilità: inclusa quella che conduce alla Russia".
    Iryna Farion, deputata del partito di ultra destra Svoboda dal 2012 al 2014, era stata al centro di dure critiche per le sue dichiarazioni aspramente polemiche in difesa dell'utilizzo della lingua ucraina. La professoressa di linguistica del Politecnico di Leopoli l'anno scorso aveva persino puntato il dito contro alcuni membri del battaglione ucraino Azov per il fatto che parlassero tra di loro in russo. "Quanto bisogna essere pazzi per combattere nell'esercito ucraino e parlare russo?" aveva dichiarato secondo la Bbc bollando il russo come "la lingua del nemico" nonostante sia una lingua molto diffusa nelle regioni orientali e meridionali dell'Ucraina (lo stesso Zelensky è russofono). Accusata di "violare l'eguaglianza dei cittadini" – scrive l'Ukrainska Pravda - Farion aveva perso la cattedra al Politecnico di Leopoli lo scorso novembre, ma due mesi fa aveva vinto il ricorso in tribunale ed era stata reintegrata nella posizione.
    La guerra in Ucraina continua intanto a mietere vittime. Le autorità di Kiev denunciano la morte di due persone e il ferimento di altre tre in un raid sulla regione di Kharkiv, e l'uccisione di altri quattro civili in un bombardamento su Mykolaiv. —
  2. almeno 25 vittime negli attacchi su tutta la striscia
    Gaza, nuova strage nel campo di Nuseirat
    Almeno 25 per
  3. sone sono state uccise nei raid israeliani di ieri nella Striscia di Gaza. Cinque persone sono morte in seguito ad un attacco nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City. Altre 4, tra cui due bambini, sono morte in un attacco a Jabalia, e tre in un attacco nel campo profughi di Bureij. Nuova strage nel campo profughi di Nuseirat, con dodici vittime in tutto. Infine, una persona è morta a Khan Younis in un attacco con droni. L'esercito israeliano ha precisato di aver colpito un edificio nella zona umanitaria di Deir al-Balah che sarebbe stato utilizzato da una società legata ad Hamas per convogliare fondi al gruppo terroristico. L'edificio ospitava gli uffici della società Elkahira, «parte centrale dell'infrastruttura utilizzata per immagazzinare e trasferire grandi quantità di fondi alle organizzazioni terroristiche nella Striscia di Gaza». L'esercito ha dichiarato che l'attacco è stato eseguito dopo aver ordinato l'evacuazione dei civili palestinesi nella zona. Caldo anche il fronte al confine libanese. Quattro persone sono rimaste uccise in un raid israeliano nel villaggio libanese di Borj al-Mlouk, vicino al distretto di Marjaayoun. Hezbollah ha risposto con il lancio di 45 razzi sul Golan e l'Alta Galilea .
  4. Occupazione
    forzata

    Francesca Mannocchi
    Wadi al-Seeq
    Il 12 ottobre Abu Bashar si è svegliato nel suo villaggio, a Wadi al Seeq e non sapeva che sarebbe stato l'ultimo giorno che avrebbe trascorso lì.
    Il pomeriggio cento coloni – alcuni in abiti civili e volto coperto, e altri in uniformi militari – hanno fatto irruzione nella comunità, hanno sparato in aria, e hanno dato un'ora di tempo ai palestinesi per lasciarla. Altrimenti sarebbero stati uccisi.
    Poi tre uomini della comunità sono stati picchiati, spogliati, costretti a terra, legati e fotografati.
    I coloni hanno urinato addosso a due di loro e spento sigarette sul corpo dell'altro.
    Wadi al-Seeq era una piccola comunità beduina, le case poco più che baracche arroccate sulle pietre e la terra arida a Est di Ramallah. Le trenta famiglie, circa trecento persone che la abitavano, tutti pastori, da allora non hanno più una casa.
    Altre dieci famiglie avevano lasciato le baracche e venduto il gregge all'inizio del 2023 per cercare un posto sicuro perché già vittime di ripetuti attacchi da parte dei coloni che avevano già distrutto la scuola della comunità. E anche gli abitanti di Ein Samiya, il villaggio vicino, se n'erano già andati, così come quelli di al-Baqa e Ras al-Tin. Per chi era rimasto a pascolare a Wadi al-Seeq era chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo perché il progetto dei coloni «è svuotare l'area C di tutti i palestinesi e dire: non c'è più nessun palestinese qui, è tutto nostro, non ci resta che costruire ovunque».
    Così riassume Abu Bashar quello che sta accadendo nella Cisgiordania occupata.
    Più o meno quello che accadde alla sua famiglia quando nel 1948, l'anno della Naqba, lasciò il deserto del Negev per non farvi più ritorno.
    È dagli sfollati di settant'anni fa che nacque la comunità di Wadi al Seeq.
    Dopo che i beduini hanno lasciato il villaggio i coloni hanno chiuso le strade intorno, così per arrivare nelle vicine città di Rammoun e Taybeh e chiedere ospitalità, i pastori hanno attraversato chilometri di campi. Con loro il bestiame, i bambini e le poche cose che sono riusciti a portare via.
    Quando sono tornati a vedere cosa restava delle loro baracche, una settimana dopo, davanti agli occhi hanno trovato un ammasso di lamiera.
    I coloni avevano distrutto tutto. Quello che non era distrutto l'avevano portato via: cisterne dell'acqua, persino il mangime per il bestiame.
    Avevano saccheggiato gli armadi, distrutto i letti dei bambini.
    Oggi, mesi dopo, ci sono a terra ancora pezzi di giocattoli, i quaderni dei bambini.
    È così che da decenni va avanti l'annessione dei territori palestinesi.
    Oggi la sponda è interna al governo. Agli esponenti di estrema destra sono affidati ministeri chiave. Una è Orit Strock, ministra degli Insediamenti e delle Missioni Nazionali, a giugno ha visitato un avamposto vicino Hebron dicendo a chi lo abita che «l'espansione degli insediamenti è la sua massima priorità».
    Strock, membra del partito Sionismo Religioso, ha esortato i presenti alla sua visita ad avere fiducia perché «per anni i governi non hanno investito nella zona della Colline a Sud di Hebron, ma – ha detto – ho sempre promesso a chi mi ha dato fiducia che se un giorno avessi avuto una posizione influente, avrei per prima cosa colonizzato questa zona».
    L'ha comunicato anche al leader del partito, Bezalel Smotrich, a sua volta colono e a sua volta ministro, delle finanze.
    Il 29 maggio, l'Amministrazione civile dell'esercito israeliano, istituita nel 1981 per supervisionare tutte le questioni civili per i coloni israeliani e i residenti palestinesi nell'Area C della Cisgiordania, ha trasferito il controllo delle normative edilizie e della gestione di terreni agricoli, all'Amministrazione degli insediamenti, guidata anch'essa da Smotrich. Che così ha potuto approvare velocemente i permessi per la costruzione di nuovi insediamenti israeliani e le demolizioni delle case palestinesi.
    Lo scorso aprile aveva assegnato "simboli di località" a Mishmar Yehuda, Beit Hogla, Shacharit e Asa'el, avamposti che in attesa di diventare insediamenti riconosciuti. Il "simbolo di località" è il passo prima della legalizzazione. Consente agli insediamenti di ottenere fondi governativi per il suo sviluppo, per avere cioè infrastrutture: strade, scuole, asili, acqua. Tutto ciò che è negato alle comunità e ai villaggi palestinesi.
    I "simboli di località" per gli avamposti ad aprile anticipavano l'ulteriore espansione cui stiamo assistendo oggi.
    Smotrich, cioè colui che nel 2017 pubblicò il suo "Piano decisivo" sulla rivista Hashiloach, i cui punti principali erano già l'annessione della Cisgiordania e l'incoraggiamento di «decine e centinaia di migliaia di residenti a venire a vivere in Giudea e Samaria» (nomi biblici della Cisgiordania, ndr).
    Smotrich, cioè colui dice pubblicamente non solo che l'annessione israeliana della Cisgiordania sia necessaria e inevitabile, ma anche che non sia sufficiente.
    Cioè guarda a Gaza.
    La prova che questi non siano solo proclami e propaganda urlata ai propri sostenitori la danno i numeri. Senza riavvolgere il nastro e riassumere cosa è successo negli ultimi decenni, basta avere alla mano le statistiche degli ultimi mesi.
    Due settimane fa il Consiglio Supremo di Pianificazione ha dato il benestare alla costruzione di 5300 unità in diversi insediamenti in Cisgiordania e a vari avamposti (illegali persino per la legge israeliana) tra cui Givan Hanan (quello visitato dalla ministra Strock) e Eviatar (che La Stampa aveva visitato due mesi fa e che oggi è un insediamento a tutti gli effetti) e ha dichiarato oltre 3.100 acri nella valle settentrionale del Giordano come territorio statale. Quindi territorio che in futuro potrà essere edificato e da cui i palestinesi dovranno andarsene.
    In una conferenza stampa congiunta Strock e Smotrich hanno esplicitato che l'approvazione di tali misure serva a «combattere il riconoscimento di uno Stato palestinese». Come a dire: più insediamenti ci sono, più avamposti illegali vengono resi legittimi, meno sarà possibile garantire la continuità territoriale che è condizione imprescindibile alla creazione di uno Stato palestinese. Nonché l'ordinaria mobilità delle persone, di fatto prigioniere nei loro villaggi.
    Smotrich l'ha detto ancor più chiaramente: questi passaggi sono una risposta alla decisione del procuratore capo della Corte Penale Internazionale che ha richiesto i mandati di arresto per il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, nonché un messaggio indiretto a diversi paesi europei che hanno dichiarato di riconoscere lo stato palestinese.
    Ieri, dopo la diffusione della sentenza della Corte internazionale di Giustizia secondo cui la politica israeliana nei territori viola il diritto internazionale, Smotrich e l'altro ministro di estrema destra, quello della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir hanno dichiarato che la sola risposta che hanno per la Corte è l'annessione di nuove, vaste parti della Cisgiordania.
    Peace Now è un'organizzazione non governativa israeliana, nata con lo scopo di informare l'opinione pubblica e fare pressione sul governo sulla necessità di giungere a una pace giusta e alla riconciliazione con il popolo palestinese secondo la formula "pace in cambio di territori". Per questo da decenni monitorano gli episodi di violenza nei territori occupati e gli espropri.
    Coi loro dati alla mano, gli ultimi permessi abitativi sono «il più grande sequestro di terra dagli Accordi di Oslo», dati che fanno del 2024 l'anno record di espropri di terreni (cioè un totale di 5800 acri della Cisgiordania occupata dichiarati terreni statali israeliani dall'inizio dell'anno).
    Secondo un'altra organizzazione israeliana che mappa gli abusi nei territori palestinesi occupati, B'Tselem, «la violenza dei coloni non è separata dalla violenza dello Stato. È un braccio non ufficiale dello Stato per impossessarsi della terra palestinese. Era il loro piano prima, e lo è adesso. Ora in più stanno sfruttando la guerra a Gaza per impossessarsi in massa della terra palestinese».
    Solo dal 7 ottobre sono 18 le comunità pastorali sfollate forzatamente dalle loro case che hanno lasciato centinaia di palestinesi in rifugi temporanei o senza casa. Come Wadi al Seeq.
    Da quando sono scappati via, la figlia di Abu Bashar che ha undici anni, non vuole più andare a scuola. Dice solo che ha una «paura terribile» di incontrare i coloni e i soldati. Così trascorre il tempo al primo piano di una casa in costruzione di Rammoun, dove due delle trenta famiglie hanno trovato ospitalità per qualche mese, insieme al loro gregge.
    Le altre sono sparse altrove. È la comunità, prima delle baracche, a essere stata distrutta. La sua storia, il suo passato e – nella dispersione di tutti– anche il suo futuro.
    Abu Bashar dice che la morte di un villaggio è come la morte di una persona cara, amata. E dice che la comunità di Wadi al Seeq, che non esiste più, era come un albero. Che ora è stato strappato via con la forza dalle sue radici e buttato via.
  5. INACCETABILE : Raid israeliano sullo Yemen in fiamme la città di Hodeidah QUALE "Risposta ai terroristi"?

    «Quando è troppo è troppo», ha sintetizzato un funzionario militare israeliano commentando i dettagli dell'operazione "Lunga mano". I jet dello Stato ebraico – 12 aerei da combattimento tra cui F-15 – hanno colpito «obiettivi militari» nel porto di Hodeidah in Yemen. Non un porto «innocente», ha precisato il premier Benjamin Netanyahu commentando la missione alla vigilia della sua partenza per Washington. Perché Israele ritiene che anche alla regia di questa nuova ed ennesima accelerata verso il caos nella regione ci sia il regime degli ayatollah, che nelle parole del capo di Stato maggiore Herzi Halevi è la «piovra» i cui tentacoli si estendono oltre ogni confine della guerra multifronte che Israele sta combattendo dal 7 ottobre.
    L'attacco, ha dettagliato l'esercito, ha preso di mira «depositi dove gli Houthi immagazzinavano armi dall'Iran» allo scopo di inibirne l'importazione e, obiettivo non secondario, danneggiare le entrate del gruppo islamico sciita. A generare l'impressionante colonna di fumo e fiamme sono stati «raffinerie di petrolio e infrastrutture elettriche», ha denunciato il portavoce degli Houthi. Si è trattato di «target che avevano un duplice utilizzo: come base per attività terroristiche e altre infrastrutture, incluse alcune per produrre energia», ha precisato una fonte militare israeliana. Il bombardamento, rivendicato dal portavoce di Tsahal, è stato lanciato in «risposta alle centinaia di attacchi sferrati contro lo Stato di Israele negli ultimi mesi». Ma, inequivocabilmente, la linea rossa che adesso fa temere un nuovo salto verso l'escalation regionale è stata varcata dai "Sostenitori di Dio" con il lancio del drone verso Tel Aviv, nella notte tra giovedì e venerdì, ed esploso nella micrometropoli sul Mediterraneo, nei pressi dell'ambasciata statunitense, provocando una vittima civile.
    Incassata la solidarietà e la gratitudine di Hamas e registrati «diversi morti e feriti» in numero imprecisato dal Ministero della Sanità dello Yemen citato dalla tv Al Masirah e da altri media della regione, gli Houthi hanno minacciato «una ritorsione efficace» all'operazione israeliana "Lunga mano" a Hodeidah.
    Lasciando il centro di comando dell'aviazione militare dopo la riunione di aggiornamento con il primo ministro Netanyahu e il ramatkal Halevi, il ministro della Difesa Yoav Gallant ha commentato l'azione israeliana compiuta a 2 mila chilometri di distanza. «L'incendio che sta bruciando a Hodeidah è visibile in tutto il Medio Oriente – ha detto – e il suo significato è chiaro. Gli Houthi hanno sferrato oltre 200 attacchi contro di noi. Abbiamo risposto la prima volta che hanno fatto del male a un cittadino israeliano».
    «Israele ha informato gli Stati Uniti, ma l'attacco è stato opera esclusivamente di Israele», ha precisato il portavoce militare Daniel Hagari. L'ha confermato la Casa Bianca. Il presidente Joe Biden ha ricevuto un briefing sugli sviluppi in Medio Oriente ma gli Usa non sono stati coinvolti e non hanno coordinato la missione in Yemen. E non c'è stata nemmeno partecipazione dell'Italia, nonostante la voce sia circolata in rete in Libano e in alcuni Paesi arabi. L'hanno smentito fonti del governo italiano, definendo tali indiscrezioni nient'altro che «informazioni false».
    Questa sera Netanyahu partirà per Washington. Ha in programma un incontro con il presidente Biden e il suo staff sta cercando di ottenere udienza anche dal candidato Donald Trump, favorito da Bibi (il diminutivo del premier israeliano) che non ne fa mistero. Mercoledì, scopo ufficiale del viaggio, interverrà al Congresso Usa, per la quarta volta nel suo ruolo. —
  6. MOLTO BENE : I ribelli
    mafia

    Riccardo Arena
    Giuseppe Legato
    Ci sono due narcos (oltre che affiliati di rango) che hanno spostato tonnellate di cocaina e hashish per i principali cartelli della ‘ndrangheta dai porti di Santos e Paranagua verso l'Italia, passando dagli scali commerciali di Rotterdam e Anversa. C'è un rampollo del clan Palermiti di Japigia finito nella maxi retata che a marzo ha scatenato un putiferio politico a Bari alla vigilia delle elezioni comunali ed europee, ma anche il killer della mafia etnea. Ci sono – ancora – l'ex capo stragista della Mafia Garganica e il figlio (e nipote) dei grande boss di Limbadi, roccaforte della malavita calabrese in provincia di Vibo Valentia.
    La generazione dei trentenni
    Tutti hanno tra i 30 e i 40 anni. Alcuni di loro sarebbero stati le colonne del futuro, sono diventati invece la dinamite per far saltare in aria almeno un pezzo di passato. Profili e pesi specifici diversi, ma tutti hanno seguito il copione scelto da Domenico Agresta di Volpiano (Torino) che nel 2016 ha aperto il libro mastro delle cosche e si è pentito di fronte alla Dda di Torino a 28 anni appena compiuti.
    Se fosse un film sarebbe "Le mafie tradite dai figli più giovani", ma questa è una storia vera e racconta come il fenomeno del pentitismo, negli ultimi tempi, viva una stagione particolare (o comunque rara) che conta sempre più rampolli, poco più (o poco meno) che trentenni nei ranghi di chi collabora con lo Stato. Bando a trionfalismi inopportuni (i numeri non sono rivoluzionari e continua ad esserci una richiesta di ingresso nella malavita), tantomeno ad analisi sociologiche complesse e figlie – comunque - di spinte eterogenee, ma è un fatto che il vincolo di omertà con organizzazioni chiuse che di questo (dell'omertà) hanno fatto per un secolo e mezzo il principale muro di contenimento a defezioni e voltaspalle, vacilli di più all'ombra delle generazioni giovani.
    Diranno, i boss ancora in pectore, che «non ci sono più i mafiosi di una volta» e che i giovani «non reggono più il carcere, non se lo vogliono fare» (dichiarazioni agli atti di inchieste), ma appare limitante (e fin troppo interessata) l'analisi in questi termini. Qualcosa di più dell'esclusiva propria convenienza (che pure esiste) si intravede dietro queste scelte: in alcune c'è forse un filo che non è più "corda" e che si rompe. Che non regge alle spinte della modernità e che tradisce per prima la mafia calabrese così visionaria nella gestione avanguardistica degli affari, così incapace di flettere la propria ancestralità per trasportarla nei tempi contemporanei. Ve ne è ampia traccia in un testo del saggista Arcangelo Badolati edito da Luigi Pellegrini editore.
    Convenienza e famiglia
    L'ultimo in ordine di tempo è Vincenzo Pasquino, 34 anni, nato a Volpiano, provincia di Torino, ma con salde radici a Platì, capitale delle cosche nel mondo. Se – lo scorso maggio - si è pentito perché ha accolto in ritardo le richieste della moglie non si sa ancora. Certo è che i suoi primi tre verbali depositati dall'Antimafia sono più di un presagio del futuro che attende le cosche del Torinese, in Lombardia e Calabria. Memorabile la sua (intercettata) professione di fede di fronte alla consorte che lo metteva in guardia dal farsi "usare" dai boss di Volpiano: «Non mi chiedere di scegliere tra te e loro perché se lo fai allora caccio te. Questi mi hanno cresciuto! Quando non avevo 5 euro per le sigarette loro c'erano».
    Agresta, il più giovane padrino della ‘ndrangheta pentito, dice a La Stampa da una località segreta che per cambiare vita davvero «serve che fuori dalla mafia ci sia qualcosa che ti affascina di più, che ti appassiona al tal punto da farti lasciare indietro finte regole e pseudo valori. Può essere un amore, una moglie, un figlio. Io ho scelto la mia libertà».
    E in nome di una catarsi di questo tenore (almeno negli intenti) si è pentito lo stragista del Gargano Marco Raduano. Il 24 febbraio 2023 era clamorosamente evaso dal supercarcere Badu e Carros. Il video era diventato virale sui social sulle note della canzone "Maresciallo non mi prendi". Una beffa in mondovisione. Ricatturato dai carabinieri del Ros guidati dal colonnello Massimo Corradetti e dal procuratore di Bari Roberto Rossi, ha fatto trascorrere poche settimane e ha scritto una lettera agli inquirenti. Nel carcere dell'Aquila, lo scorso 20 marzo dice ai magistrati di aver maturato questa scelta «per dare un futuro a mio figlio, per cambiare vita e anche perché sono stato vittima di diversi tentativi di omicidio, perché vorrei condurre una vita da normale cittadino e perché sono pentito e dispiaciuto per quello che ho fatto». Si è autoaccusato di 5 omicidi «ma sono coinvolto in altri 10».
    "Mio padre sempre in carcere"
    Ed è di due anni fa una eloquente intervista a uno speciale del Tg1 di Emanuele Mancuso, 36 anni, figlio di Pantaleone "L'Ingegnere" e di Luigi alias "Il Supremo" principale imputato della più grossa inchiesta contro la ‘ndrangheta nella storia, Rinascita Scott (445 imputati): racconta che lui decise di saltare il fosso «quando mancavano 7 giorni alla nascita di mia figlia e io ero in carcere». Aggiunse: «Volevo un maschio per continuare la tradizione ‘ndranghetista, ma poi quando è nata mia figlia ho sentito qualcosa dentro che mi ha convinto a pentirmi. Ho vissuto – ha detto - un'infanzia difficile. Nemmeno il tempo di uscire che mio padre già era in carcere, avrò trascorso due o tre festività con la mia famiglia. Mia figlia non deve vedere quello che ho visto io, non deve vivere come me». Ovvero? «Stavo sempre alla finestra e piangevo, i carabinieri andavano e venivano da casa mia: era un incubo». E sempre di famiglia parla nei primi verbali l'ultimo – in ordine di tempo – collaboratore della mafia barese Michelangelo Maselli. Sta chiarendo in prima battuta alcuni omicidi del passato: c'è tempo per raccontare come i clan Palermiti e gli alleati Parisi abbiano inquinato i gangli vitali del capoluogo pugliese.
    La decisione dopo gli arresti
    Ha solo 27 anni e fa parte di uno dei clan più sanguinari irriducibili di Catania: Salvatore Privitera, nel suo ambiente conosciuto come Sam, si è pentito da pochi giorni, dopo avere rimediato una condanna all'ergastolo per l'omicidio di Enzo Timonieri, detto Caterina o il Ballerino, assassinato nel 2021, quando "Sam" aveva solo 24 anni. La scelta di parlare con i magistrati è legata alla prospettiva di trascorrere in carcere tutta la vita, dopo la condanna alla massima pena. La famiglia di Sam Privitera fa parte del gruppo dei Nizza, legato ai Santapaola-Ercolano, i signori della mafia etnea, legati – in particolare don Nitto Santapaola, in cella al 41 bis dal 1993 – agli stragisti corleonesi della Sicilia occidentale. Nonostante il collegamento con l'élite di Cosa nostra catanese. Il suo prozio, omonimo, aveva già intrapreso la strada della collaborazione circa trent'anni fa. Le sue orme ora sono state seguite dal pronipote, classe 1997, che all'epoca non era nemmeno nato.
    Da un anno e mezzo collabora con i magistrati della Dda di Torino Vittorio Raso, 42 anni, narcos di livello internazionale di stanza in Spagna legato mani e piedi («È il loro Vangelo») alle potenti famiglie Crea egemoni nel Torinese. Nella doppia veste di boss e broker, ha – per anni – inviato in Italia tonnellate di droga soprattutto hashish, ma anche cocaina. Il suo "pentimento" arriva all'esito di una complessa indagine della squadra Mobile di Torino: viene fermato sull'Avenida dels Banys, località a cinquanta metri dalla spiaggia di Castelldefels, comune in provincia del capoluogo catalano dimora di vip e di numerosi giocatori del Barcellona calcio. A luglio 2023 la procura chiude una grossa inchiesta della polizia: arrestano fiancheggiatori e fedelissimi, i poliziotti gli sequestrano quasi 2 milioni di euro in contanti nascosti dentro una giara dell'olio e imbustati insieme a chicchi di riso per non ammuffire sottoterra. Ha sul groppone una condanna a 18 anni ormai definitiva. L'11 agosto atterra all'aeroporto di Caselle e la Mobile lo aspetta ai piedi della scaletta, lui in quel momento ha già deciso. Vuole parlare col pm Valerio Longi: «Non voglio più stare lontano da mio figlio».

 

 

21.07.24
  1. "I giudici smentiscono la Lega Il governo cambi la legge quadro"
    Edoardo Izzo
    ROMA
    «La decisione della Consulta dimostra che il problema dell'accesso di nuovi operatori nel mercato del Ncc non è una questione che riguarda solo il Ministero dei Trasporti, ma ha forti impatti sul turismo, sull'economia, sulla reputazione del nostro Paese all'estero e perfino sul diritto alla mobilità negato ai cittadini, ai lavoratori e alle imprese. A questo punto è necessario un intervento immediato del governo per riformare la legge quadro».
    Francesco Artusa, presidente di Sistema Trasporti, l'associazione per il trasporto privato di Ncc e bus turistici con più iscritti, commenta così la sentenza di ieri.
    Avete provato a parlare con Salvini?
    «Più volte ma le nostre proposte non sono mai state prese in considerazione. Gli ultimi scioperi dei tassisti, scarsamente partecipati, hanno dimostrato che Salvini ormai conduce una battaglia residuale a difesa di una legge di trentadue anni fa che ormai non ha più senso, mentre l'abusivismo - fenomeno sempre più dilagante - sembra non interessi a nessuno».
    Quali sono gli effetti della sentenza?
    «Saltato il blocco, gli oltre 8 mila Comuni italiani potrebbero teoricamente emettere nuove autorizzazioni Ncc senza alcuna programmazione, col rischio di passare dalla carenza all'eccesso di offerta in pochi mesi. Per questo è indispensabile una modifica della legge quadro che sposti la programmazione a livello regionale, dove è possibile avere norme in grado di mantenere l'equilibrio tra domanda e offerta. Lo hanno capito in tutta Europa: solo in Italia sono ancora i Comuni a ricoprire questo ruolo».
    Cosa vi ha colpito di questa sentenza?
    «I toni molto duri usati dai giudici nel descrivere un Ministero totalmente disinteressato ai pareri delle autorità garanti, alla costituzione, al diritto comunitario, ma ciò che è peggio ai cittadini. Amministratori senza scrupoli che non esitano a calpestare tutto e tutti pur di accontentare una categoria ritenuta amica. La sentenza era già stata ampiamente annunciata con una ordinanza di un paio di mesi fa. Ciononostante il ministro ha varato il 2 luglio un decreto attuativo per prolungare il blocco e per obbligare gli Ncc a violare la privacy dei propri clienti. Per questo saremo costretti, con la federazione MuoverSì, a impugnare il decreto davanti al Tar».
    Le ripercussioni nei confronto dei taxi?
    «La riforma della legge quadro può essere l'occasione per trovare un compromesso ragionevole tra le parti. Il mondo è cambiato e la domanda di mobilità non solo è cresciuta in modo esponenziale, ma ha ancora grandi potenzialità di crescita: penso che ci sia spazio per tutti. La tensione dipende anche da quella politica che ha assecondato i tassisti per troppi anni. Ora bisogna sedersi a un tavolo per trovare una soluzione accettabile per tutti. Noi siamo disponibili come lo siamo sempre stati»
  2. l'intercettazione tra rossi e moncada
    Il tecnico "stupido" e le pubblicità in tv
    genova
    L'editore di Primocanale Maurizio Rossi, nonché numero uno della Programmazioni Televisive spa (Ptv) e di Terrazza Colombo, location sopra la quale è posizionato il maxi schermo al centro delle indagini, intercettato dalla Finanza nello studio di Giovanni Toti mentre programmava quello che per i pm era un accordo volto al finanziamento illecito, aveva già una exit strategy ben delineata. «Io posso dire - spiegava Rossi all'ex manager di Esselunga Francesco Moncada - che gli do 10 passaggi al giorno (spot elettorali alla lista Toti, ndr). Poi gliene do 50. Ho uno che fa la programmazione che la sbaglia regolarmente... è veramente stupido». Così i finanzieri hanno rintracciato e interrogato quel tecnico definito «scemo» da Rossi. È una donna, F.C. le sue iniziali, di 49 anni, che è stata sentita il 7 luglio scorso dalle Fiamme Gialle.
    Ora quelle parole rischiano di aprire un ulteriore filone di indagine. La programmatrice ha spiegato ai militari di «essere lei l'addetta incaricata di inserire il numero di passaggi delle clip». E ha aggiunto: «Per i contratti della lista Toti ricordo che abbiamo ricevuto indicazione da Rossi di caricare qualche passaggio in più». Non è escluso ora che i finanzieri cerchino ulteriori passaggi "clandestini" a favore di altri partiti politici. Scrive la Procura nel capo di imputazione, contenuto nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dalla giudice Paola Faggioni: «I passaggi erogati da Ptv spa sono stati offerti da Esselunga in maniera occulta»
  3. Spot elettorali 2022, nuovi guai per Toti Più vicina l'ipotesi del processo immediato
    Marco Fagandini
    Tommaso Fregatti
    Genova
    Nel giorno in cui il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ora sospeso dalla carica, non risponde alle domande del giudice dopo aver ricevuto la seconda ordinanza cautelare, a parlare sono le nuove accuse che, ora dopo ora, vengono meglio cristallizzate dagli inquirenti. Toti e Maurizio Rossi, ex senatore, responsabile della società Programmazioni Televisive spa (Ptv) ed editore dell'emittente locale Primocanale, sono indagati per finanziamento illecito anche per quanto riguarda la campagna elettorale per le politiche del 2022. Nel mentre, la Procura sta valutando se richiedere il processo immediato per Toti, l'imprenditore portuale Aldo Spinelli e l'ex capo del porto genovese Paolo Emilio Signorini. Tutti accusati di corruzione e ai domiciliari (Signorini è uscito dal carcere lunedì).
    Le pubblicità nel mirino
    Come riferisce anche la gip Paola Faggioni nell'ultima ordinanza che, giovedì, ha disposto nuovi arresti domiciliari per il presidente ligure, il nucleo di polizia economico-finanziaria della Finanza ha ricostruito come Rossi avrebbe di fatto regalato alla lista "Noi moderati - Italia al centro con Toti", i cui esponenti erano candidati alle politiche, più di 1.500 spot elettorali sul maxi schermo gestito da Ptv spa e che sovrasta la sede di Primocanale. A fronte di un contratto stipulato con il Comitato Giovanni Toti Liguria per soli 30 passaggi di una clip, per un totale di 450 euro. Mentre il valore complessivo degli spot trasmessi sul maxischermo - 1.598 per la precisione - per chi indaga è stato di 24.420 euro. Chi ha pagato quei 23.970 euro mancanti?
    Le ipotesi su cui lavorano gli investigatori, sono di fatto due: o qualcuno ha pagato i passaggi in più, com'è accusato di aver fatto l'ex manager di Esselunga Francesco Moncada per le comunali del 2022, oppure sono stati un regalo dello stesso Rossi a Toti. E quindi l'editore avrebbe violato la legge, erogando un finanziamento sotto forma di spot «senza alcuna delibera da parte dell'organo sociale competente, senza una regolare iscrizione a bilancio e senza procedere ad alcuna dichiarazione congiunta» con lo stesso Toti, da inviare poi alla Camera dei deputati, come scrive Faggioni nell'ordinanza. Fondi, quindi, «occulti», spiega la magistrata. I finanzieri stanno cercando di comprendere se vi siano altri contratti collegati a questa partita, come ritengono sia accaduto per Esselunga alle comunali 2022. Oppure se, come ipotizza la giudice sulla scorta di quanto raccolto sinora dai militari, a sovvenzionare la lista di Toti sia stato in quell'occasione direttamente Rossi.
    In Cassazione senza Riesame
    La nuova ordinanza è relativa all'accusa di finanziamento illecito, che per chi indaga è alla base dell'episodio corruttivo che riguarda l'apertura di nuovi punti vendita Esselunga a Sestri Ponente e Savona. Sono indagati rispetto a questa tranche Toti, Rossi, l'ex capo di gabinetto della giunta regionale Matteo Cozzani e l'ex manager di Esselunga Francesco Moncada (gli ultimi due si sono dimessi dalle loro cariche).
    L'avvocato di Toti, Stefano Savi, ha depositato ieri il ricorso in Cassazione contro la decisione del tribunale del Riesame di non revocare i domiciliari cui è sottoposto dal 7 maggio il presidente regionale. Per quanto riguarda l'ultima ordinanza invece, è molto probabile, ha spiegato il legale, che non vi sia il passaggio al Riesame, ma un ricorso direttamente alla Corte suprema. Savi, ieri, ha rivendicato le prerogative della difesa, spiegando che «in questa fase i diritti dell'indagato sono importanti ma non tantissimi. Non chiederemo di essere sentiti dai pm, Toti ha già parlato».
    I requisiti per il rito immediato
    Crescono le possibilità che i pm decidano di chiedere il giudizio immediato per Toti, Aldo Spinelli e Signorini per l'accusa di corruzione per le concessioni in porto del Terminal Rinfuse e di Calata Concenter, per la spiaggia di Punta dell'Olmo, tra Varazze e Celle Ligure, che Spinelli voleva ad uso privato per collegarla al proprio complesso residenziale e per l'apertura del nuovo supermercato Esselunga a Sestri Ponente.
    Per chiedere l'immediato, si devono attendere i dieci giorni di tempo che Toti ha per contestare la nuova ordinanza al Riesame. Dovesse farlo, l'ipotesi immediato si allontanerebbe, come prevede la norma. Insomma, ai primi di agosto la richiesta potrebbe partire. A quel punto il gip fisserebbe la prima udienza saltando la fase dell'udienza preliminare. La prima seduta potrebbe essere a novembre.
    Il via libera della giudice
    In stand by dopo la tempesta della seconda ordinanza di custodia, ieri gli incontri politici chiesti da Toti sono stati nuovamente autorizzati (di persona). Ieri non è stato possibile confermare quello con il leader della Lega Matteo Salvini. E oggi non ci sarà l'incontro con l'assessore regionale Marco Scajola. Verrà stilato un nuovo calendario. Che oltre a questi due esponenti includerà, come autorizzato dalla giudice, anche il vice ministro della Lega Edoardo Rixi e il coordinatore regionale di Forza Italia Carlo Bagnasco.
    La replica dell'Anm a Nordio
    «Il ministro della Giustizia non perde occasione per mostrare quanto sia poco interessato a tutelare nei fatti l'indipendenza della magistratura e la credibilità dell'istituzione giudiziaria», ha fatto sapere l'Associazione nazionale magistrati in risposta alle frasi del Guardasigilli che durante un question time aveva detto di «non aver capito nulla» del testo del provvedimento che rigettava la richiesta di revoca dei domiciliari a Toti. «Non v'è spazio nella nostra democrazia – precisano nella nota - per pretese di impunità per quanti hanno ricevuto un mandato elettorale, perché anche la sovranità popolare, di cui gli eletti sono espressione, incontra limiti, quelli posti in Costituzione».
  4. Un'altra tegola sull'assessore all'Urbanistica della giunta Lo Russo L'inchiesta a Milano su tre palazzine chiamate "Residenze Lac"
    " Abuso edilizio" Mazzoleni indagato per la seconda volta
    monica serra

    Un'altra piccola frana sulla giunta del sindaco Stefano Lo Russo. Il suo assessore all'Urbanistica Paolo Mazzoleni è indagato (di nuovo). A Milano, città di nascita dell'ex presidente degli Architetti, è stato sequestrato un altro cantiere che anche una giudice, oltre alla procura diretta da Marcello Viola, ritiene fuori legge. Si tratta delle "Residenze Lac": tre palazzine di nove, dieci e tredici piani (per un totale di 77 appartamenti) che sorgono in via Cancano sulle ceneri di un vecchio sito industriale ormai dismesso davanti al parco delle Cave, un'area che il piano del governo del territorio approvato dal Comune riconosce di «interesse ecologico e preordinata alla realizzazione di interventi naturalistici a tutela degli elementi rilevanti del paesaggio e dell'ambiente».
    Anche questa volta tra gli otto indagati accusati a vario titolo di lottizzazione abusiva, abuso edilizio, abuso d'ufficio e falso figura l'assessore all'urbanistica di Torino, Paolo Mazzoleni, in qualità di progettista incaricato dalla Lake park srl in fase di istruttoria. L'architetto era già stato indagato ad aprile 2023 con l'accuso di abuso edilizio nella realizzazione di una palazzina in fase di costruzione in piazza Aspromonte, zona città Studi, sempre a Milano.
    Su ordine della gip Lidia Castellucci, il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha ieri messo i sigilli all'intero cantiere di via Cancano pensato – come si legge nel decreto - «vanificando la potestà pubblica di programmazione territoriale» a «vantaggio di interessi privatistici», cioè senza valutare la «concreta conformazione del territorio» su base «razionale» ed «equilibrata». Come emerge dall'inchiesta dei pm Marina Petruzzella, Mauro Clerici e Paolo Filippini, l'opera è stata progettata in base a una «convenzione urbanistica», stipulata da un dirigente comunale davanti a un notaio e non sottoposta all'approvazione del Consiglio o della giunta, perdipiù tramite una semplice Scia e sacrificando gli oneri di urbanizzazione. Tant'è che il sequestro è motivato dalla necessità di fermare il «pericolo di aggravamento» dati i «lavori ancora in corso» e la «prosecuzione delle opere» che aumentando il «carico urbanistico» provocano il «pericolo, concreto ed attuale, di lesione degli interessi presidiati dalla normativa edilizia.
    Ma Mazzoleni non è l'unico indagato nella giunta Lo Russo. A fargli "compagnia" è Marco Porcedda, il neo assessore alla Sicurezza, sotto accusa per abuso d'ufficio e rivelazione del segreto istruttorio: avrebbe sfruttato il suo ruolo di militare per aiutare un'amica, procurandole un documento riservato su una vicenda che la coinvolge la donna e il suo ex marito. Con lui anche l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta, che con la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo (e il deputato dem Mauro Laus) sono iscritti nel registro degli indagati nell'inchiesta sulla Rear, la cooperativa multiservizi che si occupa di vigilanza di cui sono stati dipendenti.
    Ad attaccare sulla vicenda è Forza Italia, che si riferisce alla protesta di piazza in Liguria contro Giovanni Toti: «Il secondo avviso di garanzia raccolto dall'assessore all'Urbanistica del Comune di Torino Paolo Mazzoleni ci sconcerta. Forza Italia come sempre è garantista e coerentemente è convinta che l'assessore riuscirà ad uscire estraneo agli addebiti. Ci domandiamo però dove sia il Pd, dove siano le manifestazioni di piazza per chiedere le dimissioni di esponenti politici raggiunti da provvedimenti giudiziari».

 

20.07.24
  1. Chiuso il terzo plenum del partito comunista: misure di emergenza per il settore immobiliare
    Xi punta sull'hi-tech e prenota il potere fino al 2033
    lorenzo lamperti
    taipei
    L'era della crescita imponente e sregolata è finita. Da un po' ne è cominciata un'altra, in cui va anche «mangiata amarezza», come ammesso dallo stesso Xi Jinping un anno fa, mentre si completa la difficile transizione da fabbrica del mondo a società di consumi ad alta qualità. La Cina prova ad accelerare il processo, come si evince dalla chiusura del terzo plenum, cruciale vertice del Comitato centrale del Partito comunista sulle politiche economiche. Ma dal documento finale, diffuso dopo quattro giorni di incontri a porte rigorosamente chiuse, non traspaiono quelle imponenti misure di stimolo alla domanda e al settore immobiliare che diversi analisti speravano di vedere. E nemmeno grandi riforme, nonostante i media di stato paragonino Xi a Deng Xiaoping, il leader dell'apertura al mondo e al mercato.
    Tra gli impegni del Partito, ci sono quelli di contenere il debito dei governi locali e ridurre le disuguaglianze sociali, con una migliore allocazione delle risorse tra città e campagne. Si legge poi della necessità di «disinnescare il rischio» del crollo dell'immobiliare, che lascia pensare a operazioni tampone come l'acquisto di case invendute. Predisposta anche l'eliminazione delle restrizioni sul mercato, «garantendo al contempo una regolamentazione efficace». Tradotto: il guinzaglio alle imprese private verrà allentato, ma non troppo.
    La sensazione è che il focus principale sia su produzione e messa in sicurezza delle catene di approvvigionamento. Ecco allora la centralità delle «nuove forze produttive», l'ultimo mantra di Xi. Il riferimento è ai settori innovativi dello sviluppo high-tech: microchip e intelligenza artificiale, coi funzionari che testano le applicazioni generative per garantire che «incarnino i valori socialisti». Ma anche e soprattutto l'industria tecnologica verde con batterie, pannelli solari e auto elettriche. Vale a dire il comparto nel mirino dei dazi dell'Occidente, preoccupato dall'eccessivo export cinese. Basti guardare agli ultimi dati. Da una parte, i consumi cresciuti solo del 2% a giugno, quasi la metà del 3,7 di maggio e ben sotto le attese del 3,3. Dall'altra parte, il +8,6% dell'export contestuale a un -2,3% dell'import e al record storico di surplus commerciale dal 1990.
    Gli obiettivi fissati dal plenum vanno raggiunti entro il 2029. Un orizzonte temporale di medio periodo che pare implicitamente anticipare un quarto mandato di Xi dopo il prossimo Congresso del 2027. Nel frattempo, il leader si è ufficialmente sbarazzato di Li Shangfu, ex ministro della Difesa espulso per corruzione, e di Qin Gang, ex ministro degli Esteri di cui il plenum ha accettato le «dimissioni».
  2. GOVERNO IN CADUTA LIBERA :    Rosanna Natoli, avvocata siciliana e membro laico del Consiglio, ha incontrato un giudice sotto inchiesta. Registrata di nascosto, ammette: "Sto violando il segreto"
    La pupilla di La Russa dà le dimissioni dal Csm "Ha violato le regole"
    irene famà
    roma
    Palazzo Bachelet, Olimpo istituzionale delle toghe, ripiomba nella bufera dopo le trame che avevano travolto Luca Palamara, il più giovane presidente dell'associazione nazionale magistrati. Rosanna Natoli, componente della sezione disciplinare, consigliera laica del Csm in quota Fratelli d'Italia scelta dal suo concittadino più illustre, il presidente del Senato Ignazio La Russa, si è dimessa travolta da uno scandalo. A novembre 2023 ha incontrato la giudice civile Maria Fascetto Sivillo, sottoposta a un procedimento disciplinare. Un colloquio privato durato tre ore. Con tanto di consigli su come affrontare la vicenda. Inopportuno, certo. E pure non consentito. Tra chi deve giudicare e chi dev'essere giudicato.
    A documentarlo è stata proprio Maria Fascetto Sivillo. Che ha registrato tutto. E il suo avvocato, il legale Carlo Taormina, che martedì, per il suo coup de théâtre, ha scelto la seduta della commissione disciplinare. Durante il plenum, deposita la pennetta. E centotrenta pagine di trascrizione del colloquio.
    «Ho una cosa grave da raccontare» sarebbero state le parole della Sivillo. Poi l'intervento dell'avvocato. E Rosanna Natoli che si alza e annuncia le sue dimissioni. Il vice presidente del Csm, il leghista Fabio Pinelli, invia pennetta Usb e plico con le trascrizioni a piazzale Clodio. E l'avvocato Taormina chiede la ricusazione di tutti i componenti della sezione disciplinare del Csm.
    Nel frattempo resta lo scandalo. C'è la versione della Sivillo e di chi la rappresenta. Secondo la quale tutto avrebbe origine intorno al 2016, da una serie di scontri a Catania con la presidente della sezione Acagnino e alcuni magistrati come Bruno Di Marco. «Loro erano della corrente di Palamara, la Sivillo no. Non apparteneva a nessuna corrente». La Sivillo, così raccontano, avrebbe segnalato alcune prese di posizioni spavalde in merito ad alcune vicende immobiliari. Da lì sarebbero nate «denunce incrociate».
    Sivillo viene condannata a tre anni e sei mesi dal tribunale di Catania per aver preteso la cancellazione di una cartella esattoriale da parte dell'agenzia delle riscossioni siciliana. «Sentenza annullata in secondo grado. Ora siamo all'appello bis – dice l'avvocato Taormina –. E verrà tutto prescritto». Restano i procedimenti disciplinari. «Di cui si è occupato Palamara», è la parola della difesa di Sivillo. Nel 2019, la giudice viene sospesa dal Csm. «Misura revocata un anno fa. E rimessa dopo un giorno». Martedì, a palazzo Bachelet, si discuteva proprio di questo.
    Il 3 novembre 2023 l'incontro tra Sivillo e Natoli nello studio di quest'ultima a Paternò. Alla presenza di due avvocati testimoni. L'intermediario? Un avvocato pure lui che, per conto di Natoli, avrebbe contattato la Sivillo. «Per chiarire alcuni punti».
    «La sua causa l'hanno perorata in tanti», esordisce la consigliera. «Mi sono presa sto processo perché lei è amica dei miei amici. E questa situazione la dobbiamo risolvere. Ma lei ci deve dare una mano». Si parla di correnti. «Ma poi ci sono stati tanti, c'è stata Claudia Eccher che mi ha chiesto anche un occhio…un occhio di riguardo su tante cose». E il riferimento è all'avvocata di Matteo Salvini, laica del Csm in quota Lega.
    Natoli continua con i consigli: «La deve smettere di attaccare certi magistrati. Lei quel giorno, con quel suo sfogo, mi rovinò il lavoro che avevo fatto. Se lei, anziché parlare e raccontare tutta la sua vicenda, avesse detto "io ho subito un sopruso dall'Acagnino in questi anni", noi a quest'ora oggi eravamo alla censura. E lei se ne usciva alla grande».
    Ad un certo punto Sivillo avrebbe reagito con stizza. «Guarda, puoi fare tutte le denunce che ti pare ma noi ci facemu i pernacchi». Le discussioni interne al collegio? La consigliera: «Sto violando il segreto». Dopo aver sentito la registrazione, Natoli ha dato immediate dimissioni.

 

 

19.07.24
  1. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha accolto il ricorso di cittadini ed europarlamentari sulla mancata trasparenza in merito ai contratti per l'acquisto dei vaccini contro il Covid-19 stipulati tra Commissione europea e aziende farmaceutiche

    Questo mercoledì il Tribunale dell'Unione europea ha dichiarato che la Commissione europeanon ha fornito al pubblico un accesso sufficientemente ampio ai contratti di acquisto dei vaccini Covid-19 stipulati durante la pandemia, accogliendo un ricorso presentato da europarlamentari e privati cittadini contro la gestione degli accordi da parte dell'esecutivo europeo.

    Tra il 2020 e il 2021 la Commissione europea ha firmato una serie di contratti di grandi dimensioni con diverse aziende farmaceutiche per assicurarsi i vaccini contro il Covid-19. Alcuni legislatori del Parlamento europeo e privati cittadini hanno richiesto, come loro diritto, di esaminare i contratti e i documenti correlati per comprenderne termini e condizioni e per assicurarsi che l'interesse pubblico fosse tutelato.

    Alla loro richiesta la Commissione ha risposto concedendo solo un accesso parziale a tali documenti, che sono stati pubblicati online in una versione censurata con la motivazione di dover proteggere gli interessi commerciali e il processo decisionale. A quel punto eurodeputati e privati si sono rivolti alla Corte di giustizia dell'Unione europea, chiedendo l'annullamento della decisione dell'esecutivo europeo di oscurare alcune parti dei contratti.

    La sentenza del Tribunale dell'Unione europea
    Con la sentenza del 17 luglio il Tribunale dell'Unione europea ha accolto parzialmente entrambi i ricorsi e ha annullato la decisione della Commissione europea di pubblicare solo versioni ridotte dei contratti per l'acquisto dei vaccini Covid-19, in quanto ritenuta irregolare.

    La corte europea ha dichiarato che la Commissione non è riuscita a dimostrare che l'accesso a determinate clausole - oscurate - avrebbe compromesso gli interessi commerciali delle aziende coinvolte. Il Tribunale ha inoltre affermato che la Commissione avrebbe potuto fornire maggiori informazioni sulle dichiarazioni dei membri del team che ha negoziato i contratti in merito all'assenza di conflitti di interesse.

    La decisione può essere impugnata dalla Commissione europea entro due mesi.

    Dilemma per i Verdi
    La sentenza arriva appena un giorno prima che il Parlamento europeo voti la riconferma di von der Leyen alla presidenza della Commissione europea.

    Finora la questione non ha influito sulla sua candidatura, ma ora potrebbe rappresentare un dilemma per i Verdi, tra coloro che hanno presentato il ricorso alla Corte di giustizia europea contro la Commissione. Negli ultimi giorni il gruppo è stato corteggiato da von der Leyen, che spera di ottenere il loro endorsement nel voto di giovedì.

    "Questi contratti riguardano la salute pubblica ed è nell'interesse pubblico che le informazioni che contengono sui prezzi delle dosi, sulla responsabilità per gli effetti collaterali, sui tempi di consegna e su altre informazioni essenziali siano il più possibile trasparenti e accessibili al pubblico", aveva dichiarato l'eurodeputata olandese Kim van Sparrentak in un comunicato stampa dopo aver presentato la domanda alla Cgue.

 

 

 

18.07.24
  1. Arrestato l'assessore Boraso, tra i 20 indagati il sindaco Brugnaro. Un imprenditore edile e un magnate di Singapore al centro di un giro di mazzette
    Venezia, lo scandalo degli appalti pilotati I pm: "Politici a disposizione dei privati"
    LAURA BERLINGHIERI
    VENEZIA
    Per determinati affari, esisteva un "sistema Venezia". Fatto di un tessuto imprenditoriale che chiedeva di forzare la mano, per aggiudicarsi gli appalti alle condizioni più favorevoli. E fatto di politici compiacenti, che non si tiravano indietro nel piegare la macchina amministrativa per assecondare i privati.
    Una metastasi nella "cosa pubblica" veneziana, nuovamente travolta 10 anni dopo lo scandalo del Mose. Coinvolta dalla testa ai piedi: Giunta, dirigenti, funzionari del Comune e delle sue società partecipate. Il sindaco Luigi Brugnaro indagato per corruzione in concorso con il suo capo di gabinetto e direttore generale del Comune, Morris Ceron, e con il vice capo di gabinetto, Derek Donadini. L'assessore alla Mobilità Renato Boraso indagato per corruzione, concussione e autoriciclaggio, arrestato e ora in carcere a Padova. Indagati anche Giovanni Seno e Fabio Cacco, direttore generale e responsabile del settore appalti di Avm, la società del trasporto pubblico locale.
    Più di 20 indagati, 15 misure cautelari e sequestri preventivi per un milione di euro. Duecento agenti della guardia di finanza al lavoro ieri, dalle prime ore dell'alba: culmine di un'indagine innescata da un esposto di fine 2021, coordinata dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini e che si è svolta soprattutto nell'ultimo anno e mezzo. «Indagini classiche, con le intercettazioni telefoniche e ambientali. E con il riscontro di quanto emerso nelle telefonate» ha spiegato il procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi.
    Dall'ordinanza del gip Alberto Scaramuzza emerge questo: 6 persone interdette per 12 mesi dai pubblici uffici, 7 funzionari ai domiciliari e due indagati in carcere in via cautelare. Si tratta dell'imprenditore edile Fabrizio Ormenese e di Renato Boraso.
    È lui l'uomo chiave attorno alla quale ruota buona parte dell'inchiesta. Si rivolgeva a lui, il 17 marzo 2023, il sindaco Brugnaro in una telefonata (intercettata): «Tu non mi ascolti, tu non capisci un c… Mi stanno domandando che tu domandi soldi. Tu non ti rendi conto, rischi troppo. Se io ti dico di stare attento, ti devi controllare». E l'assessore lo avrebbe ascoltato, ma un anno dopo, tentando di disfarsi delle prove a suo carico.
    Renato Boraso, una vita nel centrodestra cittadino: da Forza Italia alla lista Brugnaro, accanto al simbolo di Coraggio Italia, il partito fondato dal sindaco con Giovanni Toti. Uomo della pubblica amministrazione, in realtà a disposizione degli imprenditori, per conto dei quali interveniva sugli uffici comunali – «ridotti al servizio del privato», si legge nell'ordinanza del gip – per orientare le aggiudicazioni degli appalti. Uomo della pubblica amministrazione, che «ha sistematicamente mortificato la propria pubblica funzione, svendendola agli interessi privati».
    La procura gli contesta 11 episodi, dal 2015. Macroscopico è il caso della vendita al ribasso di Palazzo Papadopoli, a Venezia, dal 2018 di proprietà del magnate Ching Chiat Kwong, riuscito ad aggiudicarselo per poco più di 10 milioni di euro, nonostante il suo valore si attestasse attorno ai 14 milioni. Per il favore, l'assessore avrebbe ottenuto 73.200 euro sotto forma di consulenze - mai avvenute - da parte della società Stella Consulting, di cui Boraso è azionista insieme alla moglie.
    E alla svendita del palazzo sono legate anche le posizioni di Brugnaro e dei suoi due collaboratori. I quali – è la teoria della procura – avrebbero accettato di abbassarne sensibilmente il prezzo di vendita, «attraverso atti contrari ai doveri di ufficio», per agevolare un'altra operazione, sempre con il magnate di Singapore, decisamente più cara al sindaco: la cessione dell'area dei Pili.
    Si tratta di un terreno affacciato sulla laguna, di proprietà di Brugnaro, che lo acquistò per 5 milioni di euro, ma che vide schizzare il suo valore negli anni della sua amministrazione, grazie al nuovo Piano comunale urbano di mobilità sostenibile, che proprio lì avrebbe piazzato il nuovo palasport. Circostanza che aveva fatto ingolosire Ching Chiat Kwong.
    Ha queste coordinate l'imputazione di Brugnaro, Ceron e Donadini. I quali avrebbero concordato con il magnate di Singapore il versamento di 150 milioni di euro «in cambio della promessa di far approvare, grazie al loro ruolo nell'ente comunale, il raddoppio dell'indice di edificabilità sui terreni in questione e l'adozione delle varianti urbanistiche che si sarebbero rese necessarie per l'approvazione del progetto edilizio ad uso anche commerciale e residenziale della volumetria di 348.000 mq, che sarebbe stato approntato e presentato da una società di Ching».
    Brugnaro nega - le accuse sui Pili e su palazzo Papadopoli, ceduto «secondo una procedura trasparente» - e si dice a disposizione della magistratura. Ma intanto ha convocato una riunione urgente della Giunta, per oggi, mentre l'opposizione ne chiede le dimissioni. —

 

17.07.24
  1. Otto anni a Masha Gessen in contumacia
    La repressione politica in Russia non conosce tregua.
    Un tribunale di Mosca ha condannato in contumacia a otto anni di reclusione la giornalista e attivista per i diritti delle minoranze sessuali Masha Gessen: una delle voci più critiche nei confronti del regime di Putin.
    Gessen – nota firma del New Yorker e del New York Times - è stata incriminata in base alla legge bavaglio che di fatto proibisce di schierarsi apertamente contro l'invasione dell'Ucraina. L'accusa ufficiale rivolta alla giornalista russo-americana è quella di «diffusione di notizie false sull'esercito»: un'imputazione di ovvia matrice politica che secondo la testata online MediaZona deriva dalla sua denuncia delle terribili atrocità che i soldati russi sono accusati di aver commesso a Bucha.
    L'intervista pare sia stata vista oltre 6,5 milioni di volte in meno di due anni su YouTube e Masha Gessen era stata inserita nella lista dei ricercati del regime di Putin già lo scorso dicembre. —
  2. PALESE INGIUSTIZIA :     La Corte d'Appello ha confermato il verdetto del primo grado: "Ci fu una condotta incauta" I familiari protestano: "Adesso c'è anche la beffa di dover pagare 26 mila euro di spese legali"
    Le tappe della vicenda
    L'Aquila, no ai risarcimenti per i ragazzi uccisi dal sisma Un papà: "Né soldi, né scuse"
    flavia amabile
    roma
    È stata colpa loro se quindici anni fa, mentre la terra tremava a l'Aquila, sono morti. Ieri la Corte d'Appello ha cancellato le speranze delle famiglie di sette studenti vittime del crollo della palazzina in via Gabriele D'Annunzio 14, nel centro storico dell'Aquila. I giudici hanno confermato la sentenza del tribunale civile di due anni fa: i giovani non sono morti per effetto delle parole rassicuranti della Protezione civile. La morte è la conseguenza di una loro «scelta incauta», senza alcun «nesso» con le parole arrivate dalle istituzioni. Le famiglie dei sette giovani, quindi, non solo non hanno diritto al risarcimento ma dovranno pagare anche le spese legali.
    «Ci sono tante cose illogiche in questa sentenza che non riesco a capire», è il primo commento di Sergio Bianchi, padre di Nicola, una delle vittime. Le altre sono Ivana Lannutti, Enza Terzini, Michele Strazzella, Daniela Bortoletti, Sara Persichitti e Nicola Colonna.
    Già in primo grado, i familiari delle vittime hanno dovuto corrispondere circa 12 mila euro di spese processuali a cui si aggiungono i circa 15 mila del processo in Corte d'Appello, ma alcune famiglie annunciano il ricorso in Cassazione.
    «Come si può demandare la sicurezza ad un ragazzo di 22 anni?», chiede Bianchi. «Mio figlio è rimasto a casa perché nessuno gli ha spiegato come comportarsi. Quella sera spettava alla Protezione civile creare un'alternativa: non doveva dire di stare tranquilli, avrebbe dovuto creare un campo con delle tende e spiegare che se si aveva qualche timore si poteva andare lì. È questo il compito della Protezione civile».
    I giudici la pensano diversamente, sia in primo sia in secondo grado hanno scagionato la Commissione grandi rischi che pochi giorni prima aveva rassicurato chi si trovava a L'Aquila nonostante le scosse si susseguissero da un mese e hanno scagionato la presidenza del Consiglio dei ministri. «In linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali, ndr) - al di là del convincimento del Capo del Dpc emerso nel corso della conversazione casualmente intercettata tra lo stesso (Bertolaso, ndr) e l'assessore regionale (Stati, ndr) - ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo - ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico - avessero, a priori, l'obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica», scrivono i giudici.
    La colpa, quindi, è degli studenti, di chi come Nicola Bianchi, che frequentava da fuorisede la facoltà di Biotecnologie. Veniva da Monte San Giovanni Campano, un piccolo paese della provincia di Frosinone, abitava in un appartamento del centro storico e stava studiando per un esame fissato l'8 aprile, due giorni dopo.
    «Mio figlio non poteva sapere che cosa era giusto fare quella notte. Da anni denuncio le mancanze della Protezione civile e ora non riesco a non pensare che la sentenza voglia colpire me che da anni mi espongo e cerco di far capire che cosa non ha funzionato quella notte. Non hanno capito che non chiedevo risarcimenti stratosferici. Né i soldi né una sentenza avrebbero potuto restituirmi mio figlio, mi sarebbe bastato che qualcuno avesse ammesso di aver sbagliato e mi avesse chiesto scusa. Invece mi hanno colpito di nuovo e ora non so che fare».
    Sergio Bianchi ha lavorato per oltre 40 anni come operatore del 118, da qualche mese è in pensione. Dal 6 aprile del 2009 la vita dell'intera famiglia è stata stravolta. «Ho anche una figlia che non si è mai ripresa dal dolore per la perdita del fratello. Deve sottoporsi alle visite con il logopedista e lo psicologo», racconta.
    «Oltre a tutto questo, devo trovare 26mila euro per pagare le spese tra primo e secondo grado e non so assolutamente dove trovarli», confessa. Poi, aggiunge: «Forse ricorreremo in Cassazione ma non ho grandi speranze. La decisione è questa e io non so più che fare, sono avvilito, sfiduciato. Forse scriverò al presidente Mattarella, spero che almeno lui vorrà ascoltarmi».
  3. Schiaffo alla Crt, resta fuori Lucia Calvosa L'ente torinese resta senza rappresentanti
    La vicenda della Fondazione Crt fa capolino anche dietro le quinte delle nomine in Cassa depositi e prestiti. Il giorno in cui si era insediato il nuovo consiglio di indirizzo della fondazione torinese, l'allora presidente ad interim Maurizio Irrera aveva deciso di "suggerire" Lucia Calvosa nel board di Cdp. Infatti sarebbe spettato a Palazzo Perrone scegliere e il nome proposto è stato quello dell'ex presidente di Eni. Il vento, però, è poi cambiato e l'indicazione non è stata confermata. Anzi. Alla fine Calvosa è stata esclusa e sembra che non sia stata nemmeno davvero considerata nella lista dei personaggi tra cui scegliere. Fondazione Crt intanto ha votato per Anna Maria Poggi come presidente. E altri enti di origine bancaria hanno approfittato per far valere le loro preferenze. Uno schiaffo a Irrerra? Possibile, ma anche un indice di quanto l'incognita del commissariamento stia incidendo. Da ambienti romani si vocifera pure di un tentativo dia parte di persone vicine a Guzzetti di scongiurare commissariamento accettando il cambio dello statuto con l'ampliamento del numero di consiglieri che ha portato a superare la questione delle quote rosa. E sempre sottotraccia si dice anche che a pesare sarebbe stato proprio il passato dell'avvocata e professoressa universitaria in Eni. A far discutere erano stati i rimborsi spesa: l'Eni «dal 14 maggio al 31 dicembre 2020 ha sostenuto spese e oneri per servizi di alloggio e trasporto collegati all'esercizio del ruolo di presidente per 206 mila euro». Da qui la richiesta del cda di limitare l'esborso dell'alloggio della presidente a centomila euro l'anno.

 

 

 

16.07.24
  1. Sull'abuso d'ufficio Cassese si sbaglia davanti alla Pa il cittadino sarà indifeso"
    Grazia Longo
    Roma
    «Diversamente da Sabino Cassese, non credo che l'abrogazione dell'abuso d'ufficio sia un bene per il nostro Paese». Così Marcello Basilico, presidente della sesta commissione del Csm e togato della corrente progressista Area, replica all'intervista del noto giurista.
    Perché ritiene che l'abolizione non sarà indolore?
    «Avremo cittadini privi di tutela verso le condotte prevaricatrici dei pubblici ufficiali. Il docente che favorisce un candidato perché figlio di un amico o il sindaco che nega per ritorsione un'autorizzazione dovuta non saranno perseguibili».
    Quali i pericoli maggiori?
    «Da un'ipotesi di abuso d'ufficio spesso l'indagine risaliva a reati più gravi. Ora invece il pubblico ministero non potrà partire da lì. Peraltro, c'è un pericolo anche per il pubblico ufficiale sospettato di tale condotta, perché ora potrà essere sentito senza assistenza del difensore. Inoltre c'è una questione culturale: si accredita l'idea che esistano cittadini più uguali degli altri».
    Si riferisce all'accusa di Cassese ai magistrati di non essere equilibrati rispetto al governatore ligure Toti?
    «Mi sembra che i magistrati stiano applicando le regole processuali. Finora non ho letto critiche tecniche sul loro operato. Al contrario, noto che più l'azione dei pm genovesi trova conferme giudiziarie, più si alza il tiro verso un preteso loro ruolo politico. Persino le due colleghe del Csm, chiedendo il vaglio disciplinare sull'ordinanza del tribunale del riesame di Genova, vi contribuiscono: pretendono di sostituirsi ai soli titolari dell'azione disciplinare, ministro della giustizia e procuratore generale presso la Cassazione, e vogliono sottoporre il lavoro dei giudici a una valutazione sul merito, che compete invece ai gradi superiori di giudizio».
    Chi è stato eletto ha più diritti di un comune cittadino?
    «Secondo Cassese il consenso popolare giustificherebbe un'applicazione meno rigorosa delle cautele verso chi commette reati. Non saremmo dunque tutti uguali davanti alla legge penale. Invece, il giudice deve guardare solo al rapporto tra diritto alla libertà, ed eventualmente alla salute, e tutela dei cittadini verso le condotte antisociali. Nelle altre democrazie liberali ci si dimette spesso solo per un sospetto di scorrettezza. Da noi invece il diritto penale continua a essere la misura dell'affidabilità politica».
    Il Pd disapprova la posizione di Cassese che difende l'ipotesi del premierato. Qual è la sua posizione?
    «Esula dal mio campo di competenza. Ma osservo che l'introduzione del doppio Csm e dell'Alta Corte disciplinare desta ancora maggiore preoccupazione se letta alla luce della riforma sul premierato.

 

 

 

15.07.24
  1. HANNO UCCISO PANTANI ?   Venticinque anni di esposti e inchieste giudiziarie non sono ancora riusciti a fare chiarezza sulla morte dell'indimenticato Marco Pantani. Neppure sull'inizio della fine quando, poco prima della penultima tappa del Giro d'Italia del 1999, a un passo dalla vittoria, il campione fu squalificato dopo i risultati delle analisi del sangue eseguite a Madonna di Campiglio, in provincia di Trento. La presunta manipolazione di quegli esami e l'ombra degli interessi della Camorra, emersi a più riprese ed evidenziati dall'ultima Commissione parlamentare antimafia, sono finiti al centro di un nuovo fascicolo d'inchiesta aperto dalla procura diretta da Sandro Raimondi che indaga, per ora contro ignoti, per associazione per delinquere finalizzata alle scommesse e collegata, appunto, alla morte del Pirata, a Rimini, il 14 febbraio del 2004.
    Il fascicolo è stato aperto dalla pm della Direzione distrettuale antimafia Patrizia Foiera che, venerdì mattina, in carcere a Bollate, ha provato a sentire, come persona informata sui fatti, l'ex boss della Mala milanese Renato Vallanzasca, ormai settantaquattrenne e malato. Tanto che, dal poco che trapela, non sarebbe riuscito ad aggiungere nulla di utile alle indagini che, nel più stretto riserbo, vanno avanti oramai da quasi un anno.
    Era stato proprio il Bel René il primo a parlare degli interessi della Camorra sulla squalifica del ciclista. In una mail a Tonina, la madre del campione che da sempre si batte per la verità, e in seguito davanti ai carabinieri di Forlì (nel corso di un'inchiesta poi archiviata) aveva spiegato che sei o sette giorni prima della tappa di Madonna di Campiglio del Giro d'Italia, in prigione, era stato avvicinato da un detenuto campano che gli proponeva di fare una «scommessa che non poteva perdere»: Marco Pantani non avrebbe vinto la gara e non sarebbe arrivato a Milano. Vallanzasca aveva rifiutato l'offerta. E, nei giorni successivi, nonostante le vittorie di Pantani, il detenuto avrebbe continuato a ripetere le sue previsioni fino alla squalifica del 5 giugno, quando avvicinandolo gli avrebbe detto: «Renà hai visto? A Marco l'hanno fatto fuori… O'doping! Hai visto che avevo ragione io?». A conferma della pista, gli investigatori avevano sentito altri detenuti campani in carcere e acquisito intercettazioni telefoniche raccolte nell'ambito di un'altra indagine: «Quindi praticamente la camorra ha fatto perdere il giro a Pantani, cambiando le provette e facendolo risultare dopato!» .
    Tutto questo materiale è stato raccolto e valorizzato anche dall'ultima relazione della Commissione parlamentare antimafia del novembre del 2022 che sottolinea le «numerose anomalie» che «contrassegnarono la vicenda di Madonna di Campiglio». Come si legge nel testo, «diverse e gravi furono le violazioni alle regole stabilite affinché i controlli eseguiti sui corridori fossero genuini e il più possibile esenti dal rischio di alterazioni».
    Prendendo spunto da questo lavoro, la famiglia del campione, lo scorso anno ha presentato un nuovo esposto alla procura di Trento «chiedendo di indagare sui depistaggi e sulla manipolazione degli esami - spiega il legale dei genitori, l'avvocato Fiorenzo Alessi - perché era oramai evidente che i medici che effettuarono quei controlli antidoping avevano dichiarato il falso rispetto a tempi, circostanze e modalità». Pantani sapeva di doversi sottoporre a quegli accertamenti ed era a un passo dal trionfo. Eppure, nel campione di sangue che gli era stato prelevato di primo mattino, fu riscontrato un valore di ematocrito di 52, oltre il limite consentito che è di 50. La squalifica fu immediata.
    Ma la procura di Trento è andata oltre alle istanze della famiglia e ha allargato l'inchiesta anche agli interessi della Camorra sulla gara. Da quel che emerge, i carabinieri, a cui sono state delegate le nuove indagini, hanno già sentito numerosi testimoni tra ciclisti, medici e massaggiatori dell'epoca per provare a svelare uno dei tanti misteri rimasti irrisolti sulla fine del Pirata.

 

 

 

14.07.24
  1. Stretta social per i dipendenti di Palazzo Civico "Vietato esprimere giudizi sull'amministrazione"
    leonardo di paco
    Stop alle fughe di informazioni, ai bisbiglii da corridoio che diventano notizie di dominio pubblico, a interviste o commenti sull'attività dell'ente non concordati con l'ufficio stampa. Massima cautela nell'utilizzo dei social media per esprimere opinioni «che possano nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell'amministrazione comunale» e divieto di comunicazioni (sempre via social) afferenti al lavoro di Palazzo Civico eccezion fatta «per esigenze di carattere istituzionale».
    Sono le principali novità contenute nell'aggiornamento del codice di comportamento per i dipendenti del Comune di Torino (7 mila persone) approvato dalla giunta del sindaco Stefano Lo Russo, che recependo le indicazioni arrivate dal ministero della Pubblica amministrazione ha messo mano con severità ai doveri che i dipendenti di Palazzo Civico sono tenuti ad osservare.
    La parte più consistente delle modifiche riguarda l'utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media, ambito fino ad oggi mai disciplinato. Nell'utilizzo dei propri account, si legge nel nuovo regolamento, il personale è invitato a utilizzare «ogni cautela» affinché «le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla civica amministrazione». Inoltre Palazzo Civico ricorda che «al fine di garantirne i necessari profili di riservatezza le comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente, il servizio non si svolgono, di norma, attraverso conversazioni pubbliche mediante l'utilizzo di piattaforme digitali o social media». Anche i rapporti con la stampa saranno "controllati". Il personale dipendente «prima di rilasciare interviste o giudizi di valore su attività della Città, diffuse attraverso organi di informazione rivolti alla generalità della cittadinanza» dovrà sempre «informare preventivamente il competente ufficio stampa della Città».
    Nell'elaborazione del nuovo codice di comportamento è stato anche inserito un divieto per la pratica del pantouflage, le cosidette "porte girevoli". Il personale dipendente che negli ultimi tre anni di servizio, ha esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto della Città di Torino «non può svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della civica amministrazione». L'obiettivo è prevenire uno scorretto esercizio dell'attività istituzionale da parte degli ex dipendenti, un conflitto di interessi ad effetti differiti.
    Su questo aspetto, spiega la vicesindaca con delega al Personale, Michela Favaro, per redigere il nuovo regolamento «abbiamo recepito molti indirizzi e linee guida che arrivano dalla normativa nazionale. Ci sono sempre più aspetti che rendono le Pa simili ad un'azienda, anche nell'ambito della concorrenza in ottica di anti-corruzione».

 

 

13.07.24
  1. FINE BLUFF ELETTORALE  ANGELUCCI PASSA AL COMANDO DI SALVINI :    la maggioranza si divide sulla sanità
    Le Regioni e la Lega vanno all'attacco No al decreto Schillaci anti-liste di attesa
    Regioni e Lega vanno all'attacco del decreto anti-liste di attesa. Nel mirino di entrambe è finito in particolare l'articolo 2 del provvedimento, quello che istituisce presso il ministero di Orazio Schillaci una specie di ispettorato che, supportato anche dai Carabinieri, dovrebbe controllare l'applicazione delle disposizioni taglia-coda e irrogare sanzioni che prevedono anche la possibilità che i direttori generali delle Asl inadempienti perdano la poltrona. Per i governatori, riuniti ieri in conclave, un atto di lesa maestà, «con profili di illegittimità costituzionale», puntualizzano nel documento approvato dalla Conferenza delle Regioni con il solo laziale Francesco Rocca a smarcarsi.
    Lo stralcio dello stesso articolo lo chiede anche la Lega, con un emendamento a firma del capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, che ha mandato in fibrillazione la maggioranza. Al punto da far sospendere al governo la presentazione dei pareri, nonostante il decreto sia in ritardo sulla tabella di marcia che dovrebbe portarlo all'approvazione entro il 7 agosto, ma che lo vede ancora fermo alla prima lettura in Senato.
    I partiti di opposizione hanno fatto sapere di voler appoggiare l'emendamento del Carroccio, che così avrebbe buone possibilità di passare. Uno smacco per la premier Giorgia Meloni che molto punta sulle norme anti liste di attesa, che senza l'organismo di controllo del Ministero della salute rischiano però di essere scritte sull'acqua. Perché sarà anche vero che la possibilità di andare senza pagare dal privato quando i tempi di attesa sono più lunghi di quelli massimi consentiti e le prestazioni da erogare anche nei week end, per fare due esempi, erano già previste da passati provvedimenti. Ma è altrettanto vero che sono rimaste a oggi inapplicate, proprio perché le Regioni non hanno mai esercitato controlli sulle Asl e i loro vertici. Che sono poi nominati dagli stessi ipotetici controllori.
    Per la leader del Pd, Elly Schlein «questo governo da una parte sventola la bandiera dell'autonomia dall'altra presenta un decreto che accentra i poteri e del regole sulle liste d'attesa, senza metterci un euro» . Il presidente del gruppo Pd al Senato, Francesco Boccia rileva come «da un lato si spacca l'Italia con la legge Calderoli dall'altro il partito della premier cerca di accentrare tutto».Dietro l'assalto delle Regioni al decreto c'è però anche una questione di soldi. «L'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati –scrivono le Regioni– l'assunzione di personale ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive, lo svolgimento di attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici, necessitano di un'adeguata disponibilità di risorse economiche e di personale». E su questo è difficile dare torto ai governatori, perché di soldi, a parte 200 milioni scarsi per gli straordinari dei medici, non c'è traccia nel decreto.

 

 

 

12.07.24
  1. IL DIRITTO ALL'OBLIO CANCELLERA' TUTTO COME SEMPRE :    Sono tre le persone indagate, due agli arresti domiciliari: decine i lavoratori sfruttati e pagati meno di 5 euro con turni di nove ore
    I caporali nelle vigne delle Langhe "Botte e sprangate a chi si ri bellava"
    Massimiliano Peggio
    Lamin e Yaya, arrivati su un barcone dalla Tunisia e poi approdati nel mare di vigneti delle Langhe, pensavano che quel marocchino, che reclutava braccianti di fronte alla stazione di Alba, fosse in fondo dalla loro parte. «Vi do sette euro l'ora per lavorare con me». L'offerta era allettante e lo hanno seguito fiduciosi. Dopo una settimana, nove ore tra i filari, hanno chiesto di essere assunti e pagati. Lui si è infuriato. «Vi do solo 5 euro». I due braccianti hanno protestato. Si sono rifiutati di tornare tra le vigne. Così lui li ha caricati a forza sull'auto per riportarli ad Alba e rispedirli in strada. Lungo il tragitto si è fermato in mezzo al nulla. Li ha fatti scendere e li ha picchiati con una spranga di ferro, sradicata da un vigneto. La scena è stata ripresa da un bracciante con il suo telefonino. Il video è stato consegnato alla polizia di Cuneo.
    Lavoro in nero tra le vigne nobili delle Langhe, braccianti picchiati per un rifiuto, una grande casa alle porte del paese di Mango, celebrato nei romanzi di Fenoglio, trasformato in un dormitorio per schiavi dell'uva. «Uomini trattati come bestie». A decine, stipati in stanze. Letti a castello, un bagno comune, una mensa ricavata in un garage. Questo ha svelato l'ultima inchiesta della procura di Asti, competente per territorio, individuando una rete di caporali che gestiva manodopera a basso costo per conto di alcuni produttori di vino. Tre persone indagate: due finite agli arresti domiciliari, una sottoposta al divieto di esercitare attività imprenditoriali per 8 mesi. Gli arresti sono scattati per l'autore del primo episodio, il caporale marocchino, Nabil Aknouz, 39 anni, e il gestore del dormitorio, Demirali Grutkov, 43 anni, origini macedoni. Il terzo è un albanese, Mirash Lugaj, 48 anni. L'indagine, coordinata dal pm Stefano Cotti, è stata sviluppata dalla Squadra Mobile di Cuneo. Sono accusati di sfruttamento di manodopera, per lo più migranti irregolari, controllati a vista e minacciati per 6 euro l'ora.
    I tre indagati sono titolari di imprese individuali. Tutte con lo stesso oggetto sociale: «Attività di supporto alla produzione vegetale». Sembra innocuo, in questa formula commerciale, l'altro volto del caporalato. In realtà raccoglievano migranti di fronte alla stazione di Alba, crocevia degli aspiranti braccianti, e li portavano tra i nobili filari di Treiso, Novello, Farigliano. Ma è in quel dormitorio di Mango, messo ora sotto sequestro, che si può toccare con mano lo sfruttamento. Lì, al piano superiore vive Demirali Grutkov. Quelli inferiori sono dedicati a dormitorio per i braccianti. La cantina è la mensa: una fila di fornelli tra pile di pneumatici e cavi della corrente appesi alle pareti. Di fronte alla casa, nel piazzale lungo la strada, ci sono i furgoni utilizzati per portare i braccianti nelle vigne. Tutti i mezzi sono marchiati con il nome del titolare: «Demo, impresa individuale, lavori in vigneti e noccioleti».
    Non tutti i lavoratori sono in nero. Alcuni sono assunti, ma la paga non supera gli 8 o i 9 euro l'ora. «Lavorare in vigna è duro. Con il sole è massacrante. Nove ore e mezz'ora di pausa» racconta Alassane, 22 anni, del Mali. Dorme in una stanza con altre cinque persone. L'edificio ne ospita una ventina. «Qui ci sono stati fino a 60 braccianti» ha detto alla polizia l'ex moglie del titolare, mesi fa, all'avvio dell'indagine.
    La casa era già finita nel mirino delle autorità sanitarie. Il Comune aveva fatto dei controlli e preso dei provvedimenti nei confronti dell'imprenditore macedone. Provvedimenti per arginare il sovraffollamento e ripristinare le condizioni igieniche. «Quell'uomo è un genio del male» dice il sindaco, Damiano Ferrero, raccontando la sua battaglia contro il caporalato, diventata anche oggetto della sua recente campagna elettorale. E aggiunge: «Mi ha anche minacciato ma non mi fa paura: non può permettersi di trattare quelle persone come bestie. Ogni anno chiude e riapre una società. Spadroneggia. Speriamo GRAZIE che questa volta la giustizia riesca a fermarlo».
  2. Roberta Ceretto : "immagini spregevoli che provocano tristezza"
    La condanna dei grandi produttori di vino "Scene disumane, ma il sistema è sano" PER IL DIRITTO ALL'OBLIO ?

    ROBERTO FIORI
    «Ho visto immagini spregevoli e disumane, che provocano rabbia e tristezza. Ma diciamolo a voce alta: le Langhe del vino non sono affatto questo. Qui c'è gente perbene che lavora con grande rispetto per le persone e per la natura, consapevole della grande fortuna di vivere in una terra che si chiama Barolo o Barbaresco. Blocchiamo ogni forma di sfruttamento, ma non facciamo di ogni erba un fascio». Roberta Ceretto parla dal quartier generale della cantina di famiglia, alle porte di Alba. «Abbiamo 80 dipendenti che si occupano dell'azienda agricola e siamo quasi del tutto autonomi, ma capita anche a noi di dover fare ricorso a manodopera esterna. Selezioniamo e collaboriamo esclusivamente con chi ci offre tutte le garanzie e sono sicura che la stragrande maggioranza delle cantine faccia altrettanto».
    Poche colline più in là, a Barolo, anche Maria Teresa Mascarello, si dice «sconcertata per notizie che mai avrei associato ai nostri vigneti. Si tratta di veri e propri comportamenti criminali e come tali vanno perseguiti, punto e basta. Certi atteggiamenti non appartengono alla nostra cultura e sono inconcepibili anche solo per il fatto che nessuno vende il Barolo al prezzo dei pomodori. Tuttavia, la questione della manodopera che scarseggia è reale e questo deve indurci a creare un sistema in grado di garantire l'arrivo di lavoratori professionali e completamente in regola».
    Per il presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco, Sergio Germano, «è giusto non nascondersi dietro a un dito e far emergere i problemi che riguardano gli operai in vigna, ma occorre sottolineare che i casi di irregolarità o sfruttamento sono estremamente limitati e che il comparto da anni si sta impegnando per garantire agli stagionali le giuste condizioni di lavoro e di soggiorno». E aggiunge: «Proprio lunedì alla Scuola Enologica di Alba presenteremo i risultati della seconda annualità dell'Accademia della Vigna, la prima academy a impatto sociale sulla viticoltura».
    Un'opera di sensibilizzazione che era stata lanciata due anni fa dall'ex presidente del Consorzio, Matteo Ascheri. «Non possiamo più far finta di niente – ribadisce l'ex presidente -: le Langhe hanno un ruolo e un posizionamento che richiedono un'assunzione di responsabilità e interventi concreti per contrastare i comportamenti non eticamente corretti che possono danneggiare l'intera filiera e incidere negativamente sull'immagine dell'intera produzione di qualità dei nostri territori».
    Per Andrea Farinetti, alla guida di una grande azienda come Fontanafredda di Serralunga, «le cooperative non sono il male assoluto, dipende da come operano. Noi siamo certificati Equalitas e controlliamo scrupolosamente il loro operato. Chi è fuorilegge va contrastato senza alcun indugio». E aggiunge: «Oggi la sostenibilità di un'azienda non si misura solo con l'attenzione verso il suolo e i sistemi di coltivazione, ma con la qualità del lavoro nel suo complesso. Il rispetto della terra, se non si traduce anche in rispetto per le persone, è fine a sé stesso e non serve a nulla

 

 

 

 

 

 

11.07.24
  1. Gli esperti confermano: il missile era russo
    giuseppe agliastro
    mosca
    Sono giorni di dolore per l'Ucraina. Ma anche di accuse. Mentre si fa ancora più drammatico il bilancio delle vittime dei raid che lunedì hanno scosso il Paese seminando morte e devastazione. Le autorità ucraine denunciano che almeno 41 civili sono stati uccisi dalla pioggia di missili che si è abbattuta in pieno giorno su cinque città. I feriti sarebbero 190. Una strage di innocenti che ha indignato il mondo. E che non ha risparmiato neanche l'ospedale pediatrico di Kiev: devastato da un'esplosione mentre ben 627 bambini si trovavano lì per essere curati. Un'esplosione che secondo le Nazioni Unite è stata «probabilmente» provocata da «un colpo diretto» di un missile russo.
    L'Onu punta insomma il dito contro le truppe di Putin che hanno invaso l'Ucraina. Non si tratta ancora di conclusioni definitive, ma secondo la responsabile della missione di monitoraggio dei diritti umani, Danielle Bell, «l'analisi dei filmati e una valutazione effettuata sul posto» sembrano indicare che il missile sia stato lanciato dalla Russia. E intanto montano le accuse di «crimini di guerra». Anche da parte delle stesse Nazioni Unite. «Condurre attacchi intenzionali contro un ospedale protetto è un crimine di guerra e i responsabili devono essere chiamati a risponderne», ha dichiarato la sottosegretaria generale per gli affari umanitari, Joyce Msuya. Mentre la Corte penale internazionale ha annunciato di aver inviato a Kiev una squadra di investigatori.
    Il Cremlino respinge come sempre ogni imputazione e sostiene che a colpire l'ospedale sia stato un razzo della contraerea ucraina. Poi lancia una pesantissima accusa al governo ucraino: parla di «un'operazione di public relations basata sul sangue», di una tragedia «utilizzata intenzionalmente per creare uno sfondo per la partecipazione di Zelensky al vertice Nato». Ma la versione di Mosca è respinta fermamente da Kiev, che sostiene di aver trovato i resti di un missile russo Kh-101. E messa in dubbio da diversi esperti. Uno di questi è Fabian Hoffman, dell'università di Oslo, che sulla base di un filmato del raid verificato dal New York Times ha detto al giornale americano di ritenere che a colpire sia stato in effetti un Kh-101 russo e di sospettare, in base alla traiettoria, che «la Russia abbia intenzionalmente preso di mira l'ospedale».
    Per ora le autorità ucraine danno notizia di due morti e 32 feriti – tra cui otto bambini – dopo l'attacco all'ospedale. Secondo il direttore sanitario, nel raid ha perso la vita una dottoressa che quando era scattato l'allarme aveva portato i suoi piccoli pazienti in un rifugio antiaereo e poi era tornata a controllare che nessuno fosse rimasto indietro. —
  2. Il racconto del dottore della struttura colpita dai russi: "In reparto c'erano pazienti già traumatizzati da altri attacchi Siamo stati scaraventati a terra nel bunker. Ora, non sappiamo dove evacuarli. Molti a casa, hanno sospeso le cure"
    Kiev, il medico dell'ospedale "I miei piccoli persi per sempre"
    l
    etizia tortello
    «Questi bambini non si riprenderanno mai più. Una mia paziente era in cura da me, perché era rimasta gravemente traumatizzata da un precedente bombardamento nel suo villaggio. Da medico, dico: non so con che coraggio questi bambini torneranno in ospedale, il luogo che doveva curarli e proteggerli, dopo quello che è successo». Valery Bovkun è il capo del dipartimento di microchirurgia ricostruttiva e plastica dell'ospedale di Okhmatdyt, a Kyiv.
    Dopo trentasei ore dal più pesante degli attacchi russi da gennaio, che ha colpito la più famosa struttura pediatrica di tutta l'Ucraina, il dottore ha passato la giornata di ieri a fare la spola tra reparti e sotterranei, dove i piccoli in cura sono stati evacuati. Ha visitato tutti i baby-pazienti rimasti, ha telefonato a quelli malati meno gravi, che i sanitari hanno dovuto mandare a casa. Perché il nosocomio da oltre 600 posti, attualmente, funziona solo per il dieci per cento. Ci sono danni ovunque. I macchinari che si sono salvati, sono stati protetti da polvere e detriti che cadono dai tetti.
    Una palazzina è andata distrutta, centrata dal missile da crociera russo Kh-101, uno dei quaranta piovuti sulla capitale lunedì mattina: è quella in cui i bambini facevano la dialisi. Sono otto i piccoli pazienti feriti, su 120 persone ferite in tutta la città, nel circondario di Okhmatdyt e nel quartiere di Shevchenkiv. Ieri il bilancio dei morti ne contava 32 in tutta Kyiv.
    Il resto dell'ospedale ancora in piedi, un casermone in ferro alto nove piani, è scoppiato per l'onda d'urto dell'impatto del missile. Sono esplose porte e finestre, «anche le porte blindate», spiega il dottore, «solo trenta nel mio reparto, e questo dimostra che cosa violenta abbiamo vissuto». Trecentocinquanta soccorritori e 76 mezzi hanno lavorato un giorno per ripulire le macerie più ingombranti, per riavviare il traffico attorno alla struttura e permettere alle ambulanze di circolare. Mentre i 627 pazienti bambini sono in via di trasferimento in altri ospedali, dove c'è posto, oppure sono in attesa di essere trasportati all'estero, in Germania e Polonia, ma anche in Italia, dove molte strutture tra cui il Regina Margherita di Torino si sono date disponibili ad accoglierli.
    Il dottor Bovkun racconta a La Stampa le scene del bombardamento, al telefono, concitato mentre cammina tra un paziente e l'altro. Prova a spiegare il terrore negli occhi dei "suoi" bimbi, ricoverati perché affetti da malformazioni dalla nascita, feriti bisognosi di ricostruzione degli arti e altre operazioni, o traumatizzati. «Sono sotto choc, hanno lo sguardo fisso, sono terrorizzati – dice –. Da me non ci sono gli oncologici, ma ovviamente abbiamo anche loro. Da me c'erano i fragili, quelli che hanno problemi di salute anche gravi. Hanno cominciato a piangere e non hanno più smesso. Pregano di andare a casa, dai genitori. Ma molti non possono lasciare le cure».
    La guerra obbliga anche a queste scelte di sopravvivenza, obbliga a dover decidere chi ha aspettative di vita maggiori degli altri: «Quelli che hanno problemi minori li abbiamo lasciati andare, ma non erano certo pazienti da dimettere».
    Il film dell'attacco ha dato la possibilità di capire cosa stava accadendo, pochi secondi prima dell'inferno in cui non sapevi se restavi vivo o venivi spazzato via per sempre. «Abbiamo sentito il segnale dell'allarme aereo – continua il medico –. I nostri pazienti hanno cominciato a scendere nel bunker. Quando la maggior parte era nei sotterranei, è arrivato il missile. In un secondo, tutto è andato in frantumi. Polvere, fumo. Siamo stati tutti scaraventati fuori dalle sale operatorie e nei corridoi. Noi dottori siamo andati giù per ultimi, per controllare che tutti i reparti fossero sgomberati». E continua: «La sensazione era che ci fosse cascato il mondo in testa. C'erano vetri ovunque, in ogni parte della clinica. Purtroppo, è morta una collega, cinque dottori sono rimasti feriti». Dai video che ci gira su Telegram, si vedono mamme e papà con in braccio bimbi di tutte le età che gridano, al buio, tra la polvere. A un certo punto, anche lo shelter prende fuoco, e chi si è rifugiato deve uscire in superficie, senza protezione.
    Nei bombardamenti a Kyiv, dicono i giornali ucraini, è rimasto ucciso un bambino ucraino di 10 anni, con la madre e la sorella. Maksym Simanyuk era un campioncino di karate, gareggiava per la federazione nazionale.
    Bovkun, rispondendo alle nostre domande, si arrabbia quando gli chiediamo di replicare alle dichiarazioni dei russi, che negano ogni responsabilità: «Ma li guardate i video? – dice –. Si vede molto bene che è stato un missile diretto verso la clinica. L'esplosione è stata così forte che non può essere stata la contraerea. Qui ci sono e c'erano solo civili. Bambini. Non militari. Ora, non sappiamo quando l'ospedale ripartirà. Senza contare i danni per i piccoli pazienti, che devono sospendere le cure».
    Ha collaborato Valentina Garkavenko .
  3. C'è solo un luogo in Italia - ed è Roma - in cui quattro mafie e pezzi dell'ultradestra convivono sotto lo stesso – sterminato - cielo criminale. Non ci sono grandi dissidi a scuotere i delicati equilibri capitolini, anzi – a leggere le carte dell'operazione della Dia ribattezzata "Assedio" – c'è un grande suk, un network criminale. Oppure per dirla con le parole del gip che ha firmato 18 arresti, 57 indagati e sequestri per 132 milioni di euro «un laboratorio». Mafia romana tradizionale, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Casalesi, Camorra respirano la stessa aria, calpestano con rigore la stessa mattonella In cui la violenza è poco raccomandata «e al netto della fisiologica aggressività» spiccano «nuovi paradigmi e sovrastrutture che vanno alla conquista di uno spazio economico». Nel caso dell'operazione di ieri il settore è quello degli idrocarburi «in cui le organizzazioni mafiose italiane prosperano fino ad assurgere a posizioni dominanti». Fatturazioni per operazioni inesistenti in materia tributaria, frodi su Iva e accise, estorsioni, riciclaggio e reimpiego in attività di soldi «dei clan di ‘ndrangheta Mancuso, Morabito, Piromalli e Mazzaferro, dal clan di camorra D'Amico/Mazzarella, da elementi storici dell'ultradestra e dal gruppo Senese operativo nella città di Roma». Ci sono tutti. C'è Antonio Nicoletti, figlio dell'ex cassiere della banda della Magliana che eredita il potere del padre e diventa «punto di riferimento delle dinamiche criminali» e c'è Vincenzo Senese, figlio di Michele, boss della camorra a Roma. Non manca il filo dell'eversione nera con Roberto Macori, cresciuto all'ombra di Massimo Carminati, diventato prima l'alter ego dell'imprenditore legato alla banda della Magliana Gennaro Mokbel per poi diventare il principale referente dei clan calabresi. E occuparsi di ripulire i soldi della malavita con il business degli idrocarburi.
    Si spartivano Roma e non solo. Con l'aiuto, così hanno ricostruito gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Ilaria Calò e dal pubblico ministero Francesco Cascini, di imprenditori del calibro di Domitilla Strina. Figlia di Lady Petrolio, cantante finita nei guai già in passato sempre per vicende legate al riciclaggio, prestava il suo nome in società fantasma. Con l'accortezza della prudenza in una città complessa non solo nella sua cifra criminale: «Aho'! Non dobbiamo metterci a fare casino. Perché qua siamo in una Capitale, mica è Napoli: qua girano politici, vescovi, quello e quell'altro ancora. E dobbiamo stare calmi, perché qua, se vogliono, ci alzano da terra in un quarto d'ora» diranno due indagati. Altri aggiungeranno: «Perché la politica là è mafia...là se vai a Roma politici onorevoli tutti corrotti, perché è proprio la politica di Roma che è così». E di questa personalissima interpretazione della Capitale si farà portavoce anche un imprenditore legato mani e piedi alle cosche del Vibonese (i Mancuso), tale Piero Monti, uomo che acquista società legate al petrolio, commette «una serie indefinita di frodi» e poi «redistribuisce il ricavato tra le organizzazioni mafiose investitrici». Dirà, intercettato: «Le pompe bianche di tutto il Triveneto sono tutti clienti miei che io chiaramente non faccio neanche entrare qua dentro perché mo' stiamo parlando di soldi. E se devo far intervenire... (qualcuno ndr) io sorpasso la Campania ed il Molise e vado direttamente a Limbadi (paese di influenza dei Mancuso ndr) dove sono accolto come un figlio là e poi facciamo la guerra con tutto il mondo...». In definitiva: «Faccio quello che mi pare. A Roma faccio proprio la carne di porco, faccio proprio lo schifo».
    È qui, sotto questo cielo, che i vari mondi si incontrano. E che il produttore cinematografico Daniele Muscariello reclutava gli imprenditori e metteva tutti in contatto: criminali, uomini d'affari, forze dell'ordine, istituzioni. C'è un dirigente di polizia che avvertì alcuni indagati: «Allora state attenti, c'è una doppia indagine in corso: una ce l'ha la Finanza e l'altra l'abbiamo presa noi con la squadra Mobile. Siete tutti sotto». —
  4. BIS DI LE PEN È sotto un cielo capriccioso che i deputati del Nuovo Fronte popolare hanno fatto il loro ingresso all'Assemblea nazionale francese in vista dell'inizio della nuova legislatura, tra sprazzi di sole e qualche goccia di pioggia. Un meteo tipicamente parigino nonostante il periodo estivo, che ben riflette gli umori della sinistra dopo la vittoria alle legislative, tra il desiderio di salire al governo nonostante la maggioranza relativa e le divisioni interne, diventate voragini con il passare del tempo.
    Il pomo della discordia è incarnato dal nome del futuro premier da presentare al presidente Emmanuel Macron, sul quale la gauche non riesce a raggiungere un accordo. Mentre le trattative continuano nella speranza di trovare un profilo entro questa settimana come promesso all'indomani del voto, il segretario del Partito socialista, Olivier Faure, ha gettato nuova benzina sul fuoco, dicendosi «pronto ad assumere la funzione» di capo del governo. L'ennesimo nome nella già lunga lista di papabili, alla quale La France Insoumise vuole aggiungere a tutti i costi anche quello del suo tribuno, Jean-Luc Mélenchon, figura sempre più scomoda e divisiva, assieme alla 33enne Clemence Guetté. In questi ultimi giorni, però, si parla sempre di più della leader ambientalista Marine Tondelier.
    Ma il malessere nel campo dei vincitori sembra più profondo, come dimostra l'aria da regolamento di conti che tira all'interno dell'alleanza. Cinque frondisti de La France Insoumise, tra cui alcuni volti noti come François Ruffin e Alexis Corbière, hanno proposto ai comunisti e agli ecologisti di creare un "gruppo comune" nella Camera bassa. Un modo per vendicarsi del loro ex leader, Mélenchon, tenendolo fuori dai giochi.
    Intanto, il tempo passa e Macron mantiene Gabriel Attal alla guida di Matignon, sede dell'esecutivo. Per questo il Nuovo Fronte popolare in un messaggio diffuso nel tardo pomeriggio ha intimato «solennemente» al capo dello Stato di non prolungare ad oltranza l'incarico del suo premier. Sarebbe «un tradimento dello spirito della nostra Costituzione e un colpo di forza democratico al quale ci opporremo con tutte le nostre forze», promette la sinistra. Ma il presidente negli ultimi giorni è chiuso in un impenetrabile silenzio, rimanendo a guardare senza fare nemmeno una telefonata ai rivali vincitori. Sicuramente una strategia volta a logorare gli avversari. La sinistra teme un possibile accordo tra la maggioranza uscente e quello che resta dei Repubblicani, ormai deflagrati tra coloro che seguono la linea pro-lepenista del loro presidente Eric Ciotti e quelli che invece vogliono rilanciare il partito con un altro nome, sotto la guida di Laurent Waquiez, presidente della regione Auvergne-Rhône-Alpes.
    A fare pressione su Macron ci sarebbero anche i suoi fedelissimi che, secondo quanto riferito da Le Figaro, nelle ultime ore avrebbero cercato di convincerlo a non partire alla volta di Washington, dove è atteso oggi per il vertice della Nato, vista la situazione interna. Ma l'Eliseo alla fine ha confermato il viaggio.
    Tra le fila del Rassemblement National, intanto, è arrivato il momento di far saltare qualche testa dopo il deludente risultato di domenica scorsa. La prima è quella del direttore generale, l'eurodeputato Gilles Pennelle, deus ex machina del "Piano Matignon": un progetto preparato da tempo che prevedeva la strategia da adottare in caso di elezioni anticipate, soprattutto in merito alla scelta dei candidati. Troppi quelli che si sono rivelati essere impresentabili, tra dichiarazioni antisemite, posizioni razziste e fedine penali non proprio limpide. Un'uscita di scena "prevista" da tempo nell'ambito di una "riorganizzazione generale del partito, ha spiegato a Le Mo