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Mb
Dal Vangelo secondo Luca Lc
21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
La gangster
che si fece
suora
pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna
gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che
ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha
data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della
famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori».
Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per
tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di
demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore.
Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una
volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la
sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo
questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una
pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via
Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo,
aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che
levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita
senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come
faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta»,
disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si
fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era
scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa
della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna
inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la
chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e
coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei
punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura.
Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente,
simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il
suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla». Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo,
mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in
carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a
Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa,
sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica
cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a
farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io
mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo
detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non
avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare
la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata
come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era
stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di
Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena
una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta.
Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in
carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno
sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel
circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un
gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre,
Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli
studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella
prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A
sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della
mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra
spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la
compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda
Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle
strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li
chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In
quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore
ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica,
la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei
rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...»,
ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era
uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà,
quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e
nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti
di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio
dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina,
ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto
combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte
violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti
le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate
sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta
comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della
disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei
sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui
e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime
perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti
senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era
partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano
a perdere.
TO.11.07.24
Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura
assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali
E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho
imparato l’ economia industriale dal prof Goss Pietro.
Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con
Gianni Agnelli.
L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia
esperienza formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la
laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a
cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per
riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino.
Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame
da dottore Commercialista che poi supero a Roma.
A 30 anni proposi a Gianni Agnelli superFIAT, LA FUSIONE IFI
FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri ,
con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo,
ma Morchio si oppose .
Muoiono Edoardo Agnelli Gianni Agnelli e Umberto Agnelli
, Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne
che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a Yaky la
sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la
produzione negli stabilimenti italiani.
A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio
PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito
www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA
programmando il più importante stabilimento europeo di
elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da SNAM dopo che se
ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene
convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che
fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la
produzione delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte
, che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono
visioni strategiche.
Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO
ispirando l’art.11 fascista
del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la
democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che
forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura
democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del
paese che avete illustrato ?
Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento
regionale e nazionale ?
Qual’e’ il fine ? il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni
fa Grande Stevens ?
La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee
Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse , sono stato
aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla
vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il
Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete
d’accordo ?
Mb
Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che
mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :
soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
amava la boxe
quando aveva una influenza si curava con la penicellina
Sul prof.GP posso invece ricordare:
che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di
Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza
onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo
TO.12.04.24
Illustre Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni perche' con l'art.11 del DISEGNO DI LEGGE
CAPITALI avete approvato un restringimento di fatto della libertà ?
perché avete voluto dimostrarci di volervi ispirare all'epoca
fascista sfociato nel delitto Matteotti ? Non credo sia
nell'interesse suo e del suo governo e mi spiace, ma devo prenderne
atto.
Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera
Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella
Ill.mo Presidente del Senato
Ill.mo Presidente della Camera
Ill.ma Presidente del Consiglio
In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 ,
Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali
e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in
materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di
società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli
emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .
L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni
quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello
statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano
esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In
tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di
deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato
unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate
al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società
ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione;
inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al
31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee
societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal
decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di
mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo
135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del
1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le
assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il
rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in
commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a
condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto
dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle
assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di
contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in
assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia
da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che
la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente
tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da
tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola,
sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio
di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a
disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione
pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del
consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una
affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che
l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di
confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto
da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione
all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori
istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di
voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare,
all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di
stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto,
chiuse ai risparmiatori, con il management della società in
applicazione delle politiche di engagement.
Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di
esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti
da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto alla
partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che
dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra
cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare
alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di
incontri diretti privati e riservati
con il management della società in applicazione delle politiche di
engagement.
Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata
in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di
partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni
nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal
sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.
Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato
questo restringimento dei diritti costituzionali ?
Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite
legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando
l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto
retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard
Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della
Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al
processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con
Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei
suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di
Tesla.
La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i
nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno
finito per plasmare il diritto societario americano.
Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di
investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric
Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School.
Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di
partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come
Tornetta.
Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi
generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano
lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno
fatto gli avvocati nel caso Musk.
Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui
ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i
miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava
a Musk.
Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per
controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici
desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a
condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate
per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti
hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i
rapporti con Wall Street.
Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.
"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha
detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i
prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella
votata da maggioranza e Pd.
Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi
ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo
sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati
degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e
sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata
preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6
commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e
questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e
senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti
per ragioni pandemiche nel 2024 ?
La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese
per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le
misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi,
il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata
prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo
3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le
società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o
straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo
135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la
medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di
convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente
tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite
deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF.
L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione
statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati
designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono
conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente
la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla
prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle
proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole
proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è
sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita,
senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui
contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento
della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è
stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della
regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento
alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto,
le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e
della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il
soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a
comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia
rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene
altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute
fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali
informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al
medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei
commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato
con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena
descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n.
11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime
da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in
alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo
135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di
esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso
si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio
della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da
ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse
conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di
modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte
all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo
106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono
designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante
al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su
tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo
statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì
prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si
svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale
possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi
dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno
stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga
all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione
della specifica condizione del rappresentante designato dalla società,
esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto
della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies
stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono
applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema
multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il
pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea
introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui
presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per
il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato,
introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario,
ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può
prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di
voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla
società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale
rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai
sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies,
comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze,
dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o
dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.
L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo
mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha
ignorato.
Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo
135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il
diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è
esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno
tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In
sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il
diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del
giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima
dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La
società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso
contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le
domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è
dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima
della stessa, quando le informazioni richieste s
iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del
sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata
pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di
società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle
disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese
permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre
misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non
solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso
dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di
un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente
universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi
: dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono
per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene
ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid, con il rappresentante pagato ,
che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.
Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3
della Costituzione, contro la democrazia e trasparenza societaria
, cos’e ?
Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro
paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o
di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una
classe dirigente qui’ palesemente opaca.
Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà
progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle
minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli
sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo
oggi, forse, e’ diventato di coscienza comune , anche se a me e’
costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e
giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed
ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle
assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non
esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di
fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche
contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando
brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo,
silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa
nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare
la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi
Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da
Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe
solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una
storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche
se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei
diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.
Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto
direttamente.
UNA
ATTUALIZZAZIONE DEL:
DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre
elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al
banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo
avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel
1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio
lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è
semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva
un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero,
sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi
rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori,
interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei!
L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e
nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non
dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi
essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle
elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui
nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a
Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole
Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i
fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore
di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8
giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato.
(Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San
Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli
doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni
deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano
posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia
breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per
improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni
fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento
dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e
senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai
candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro
pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo
al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole
Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo
dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu
impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete
d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta
elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua
conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di
corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera
conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste
condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare
liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio
come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche
dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate!
(Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un
contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero
presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è
vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in
seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere
l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di
circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i
briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a
sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato
rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi
a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano
di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! »
(Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole
Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di
parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho
diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta
delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di
continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente,
ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori.
Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non
potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro
stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le
conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che
accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o
dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li
boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a
nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio
partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la
candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il
destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di
urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte
della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che
oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché
anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le
elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie
più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella
della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in
ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per
disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche
in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal
Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente
di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile,
l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza
del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare.
Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per
cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della
lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno
in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze
che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il
seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e
constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo
reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i
verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi
dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun
rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo,
l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono
svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo
riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche
provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma
questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e
l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu
data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati
dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa
popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione
controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma,
strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo
dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza
di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però,
che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo
le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel
Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni
diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si
ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle
persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito,
secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai
nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo,
danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che
ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata
protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione
avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi.
Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate
all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà
che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati
prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli
elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola
del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un
prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori
un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi
(Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le
combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno,
potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto.
In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di
Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella
venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie
del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a
destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri
opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate
o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi
però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini
sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più
forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia,
la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato
fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il
popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori –
Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini,
sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia
dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on.
Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece
furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era
stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia
prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere
esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per
la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che
non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati
furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano
alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che
certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si
presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva
compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio
pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto,
riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a
fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati
scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il
Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! »
.
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le
cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente
della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare
i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e
verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare
che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla
stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o
addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i
molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della
volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini
ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi
esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere
socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono
più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali,
non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno
esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che
manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del
nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi
all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte
queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose
sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché
ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste
ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di
maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità
dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti
voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione
morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione
divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la
licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere
errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha
dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a
destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il
nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato
con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi,
anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi
difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il
più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il
rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle
elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di
partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso
funebre per me». —
Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .
La storia della targa della Ferrari Testarossa grigia
cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla
destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle
immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece
reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche'
mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso'
Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla
Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece
mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari in uso direttamente
da Enzo Ferrari.
Chi sta chiudendo la Marelli e' KKR che vorrebbe comprare
la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando
fu venduta da Gardini ad Eni.
A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima
che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.
Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat
fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a
Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono
cambiati.
Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5
richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.
Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva
nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece
sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare
concorrenza a Porsche che investe da 50 anni !
Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle
presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto
assistere !
La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete
dimenticata tutti ?
Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato
condannato piu' volte Marchionne ?
Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che
aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo
hanno capito.
Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da
Marchionne e realizzato da Jaky investendo tanti soldi .
Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono
fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello
che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.
Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in
un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato
in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni
Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come
poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di
entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,
mi soprannominò in pubblico Mark Spitz, per comunicarmi che
sapeva tutto .
Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi ,
con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a
MARGHERITA hanno dato l'1%.
Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.
Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi .
Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare
ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di
Mondovi, Bausone non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo
l'omicidio di Edoardo.
L'ex Bertone finirà come Termoli.
IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse
uscira'.
La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a
Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200
metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho
detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta
del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera
economia nazionale, produzione auto compresa che allego.
Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello
di Jaky per me e' a voi noto :Griva.
Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,
Buon lavoro.
Marco BAVA
"L'Avvocato voleva
adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"
Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la
madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro
arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark,
giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo
le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le
vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino
"L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la
prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica"
subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della
madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti
della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann
con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la
conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i
genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che
rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre
figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da
Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi
opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che
sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si
converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E
vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra.
Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi
dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno
assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale
dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono
russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I
figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi
periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per
questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli
la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i
rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla
figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato
sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò
l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte
dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della
Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di
riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto
notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la
gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa
la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del
denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti
i familiari, anche da lei».
NON E' VERO :
EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere
in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta
di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di
più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi
le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la
fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della
Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di
scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà
dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la
presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le
battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i
figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze
potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società
che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa,
Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto
notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se
passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che,
se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si
riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la
sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della
Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di
governare come fa oggi».
Si perché
perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita
ed il 25% Jaky 20% . Mb
TAVARES E JAKY NEL 23
Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il
ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di
versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista
dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato
agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […]
dai manager del gruppo.
A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518
volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta
attuando massicci piani di esuberi […].
[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al
presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per
scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai
fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo
francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi
potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma
fortemente simbolico.
IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU
L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU PIAZZA LIBERTA', il
programma di informazione condotto da Armando Manocchia, su
BYOBLU CANALE 262 DT CANALE
IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE
VIAGGI ERA LUCA GAETANI
EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI
SUOI DIRITTI EREDITARI
NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI
ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA
GARAVICCHIO.
INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL
KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON
EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO
TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E
MARGHERITA .
DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI
ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI
PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA
UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA
NON GLIELO PERMETTEVANO.
NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E
NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO
CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO
TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.
GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?
L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO
RISCHIA DI CROLLARE TUTTO
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”
È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le
conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel
cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva
assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera,
dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di
avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia:
per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto,
permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale
della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e
quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa
indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle
indagini.
1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia
l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel
2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e
le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e
Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio.
Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte
nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari
per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media,
oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”.
Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo
dell’impero Agnelli.
2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte
mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva
non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli
immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del
commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei
riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i
domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.
3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […]
sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno
[…] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia.
Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti
erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio
della nonna.
4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla
Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di
Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero
Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due
diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della
signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio,
la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio
per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le
firme.
5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato
migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse
fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon
Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo,
all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella
Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet
di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza?
Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse
sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle
Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a
“membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola,
aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le
tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”,
la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il
tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a
cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.
2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE
Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia,
che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura
di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati
occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.
Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che
finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia:
la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e
madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane
potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e
questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi
civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.
Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto
Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca
Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della
Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella
Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di
Stellantis ed editore del gruppo Gedi.
L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di
dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base
all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita
accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2
miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a
versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di
questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8
milioni di euro (3,8 milioni di tasse).
Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto
detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era
curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a
Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la
quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla.
Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […]
ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto
lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte
del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio
che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.
Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il
commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi
infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe
controfirmate.
Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli
all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano
alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen,
villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella
Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese
mediche coprivano il solo mese di agosto. […]
GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la
riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di
verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere
rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo
scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti
milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri).
Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre
contestato la ricostruzione di Margherita.
DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI
FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:
Margherita Agnelli vuole costringere per via
giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di
Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).
Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila,
sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann
nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel
sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte
(60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento
dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).
[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione
tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale
di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la
Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e
cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del
testamento della madre».
E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo
all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima
della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre
e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante».
A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota
mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e
condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».
Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i
«mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella
Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua
qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a
restituire i beni dell’eredità del padre».
La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando
Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E
nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le
donazioni anche «indirette e dissimulate».
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al
comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo
la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il
calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna
Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in
cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui
valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia
«effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John
per (...) circa 3 miliardi».
John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel
1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo
statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso —
tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed
esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la
nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al
60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a
Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta
notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti
tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più
influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla
Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di
Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.
«La costruzione di una residenza estera
fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e
concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare
l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali
e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo
ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato
«all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel
decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della
guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e
sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella
Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato:
«truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle
entrate)».
Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto
sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli:
«Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco
Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci
sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella
Caracciolo».
Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John,
Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca
Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la
successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un
documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni
di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015
la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi»,
contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni
in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione
dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
Un secondo "round" si è combattuto ieri
davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo
staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa
ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una
porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.
I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno
disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai
finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti
hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora
inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali
del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.
La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che
domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere
la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in
Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex
dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti
hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando
lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte
dell'anno.
Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i
militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una
ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti,
governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm
ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse
sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale
delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che
«assisteva di fatto Marella Caracciolo».
A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si
occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili
alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7
febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il
commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della
Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe
dovuto "nascondere"».
In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta
del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra
il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui
«giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di
Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da
John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è
deceduta.
Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di
truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di
successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea
Perini, docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che
al massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece,
gli «artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono
concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella,
con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle
entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di
risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.
Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto
«vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a
chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella
Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore.
L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il
principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo
stesso fatto.
Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura
torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato
dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza,
si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]
EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'
Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA
Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai
nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni
Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a
Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia
Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e
moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne
aveva l'usufrutto.
E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di
Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf
nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la
posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati
di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua
opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.
L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle
testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi,
persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate
degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza
persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che
quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico
erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo
Albertini-Carandini, di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che
furono poi donate ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.
Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso
successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono
state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di
Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale
sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua
copia nella pinacoteca di via Nizza.
Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in
particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e.
(Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state
movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che
il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una
perizia che ne ha acclarato l'autenticità.
Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i
colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli
atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che
"i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue)
non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la
proprietà.
Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione.
Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti
invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che
sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione,
quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.
FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il
Fatto quotidiano”
Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione
Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova
dell’avvocato, Marella Caracciolo.
Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al
procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non
sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come
ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero
state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra
Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau
della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.
Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno
svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita
contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà
allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre
Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una
“inesistente residenza svizzera” della nonna.
Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano
visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove
erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze
dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e
nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.
Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli
inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La
Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto
valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La
scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De
Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre
stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il
momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende
legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti
fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una
perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.
Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio
2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini
potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno
lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse
mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe
trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di
opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a
8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai
è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere
in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo
la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie
di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che
avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.
Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore
aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e
di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista
ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta,
Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele
Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere
tra madre e figlia nel 2004.
Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle
opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla
anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che
risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove
si trovi.
I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un
trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del
trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor
Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico,
ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi,
aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada
nell’appartamento romano dell’avvocato.
“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli.
“Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio
sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.
[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte
dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della
presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a
chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge
[…]
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto
l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo
abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento e' andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a
dx.sx, che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
17.12.23
Il Sole 24 Ore:
La Giovanni Agnelli Bv ha deciso
di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […]
identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo
Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre
blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici.
Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque
pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a
cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione
proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni
Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha
indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander
Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel
frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un
altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e
Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero
Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono
nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75
anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda
di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto
Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi).
Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo
non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.
Questa la nuova struttura
societaria della Giovanni Agnelli Bv
per quote di possesso.
Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%
Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%
Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%
Ramo Giovanni Nasi: 8,7%
Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%
Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%
Ramo Susanna Agnelli: 4,7%
Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%
Ramo Emanuele Nasi: 2,5%
Ramo Clara Agnelli: 0,28%
Azioni proprie: 8,2%
Dovranno andare avanti le
indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni
Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma,
sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di
Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità
lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo
in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla
richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le
testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari
dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un
gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione
in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati
trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a
Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere
utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta
da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent,
Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa,
gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo
«riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari
traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere
all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che,
quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di
inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno»
compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad
essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso
da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una
questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in
Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann,
come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito
essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando
l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare -
sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza
abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della
opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione
Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della
Dicembre», la società che fa capo agli eredi.
Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air
Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica
dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta
autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.
Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe
fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica
italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40
anni.
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
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borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
In linea con l'omicidio di Gesu' Israele
continua ad uccidere e dal patto con DIO e' passata a quello con satana.
Il termine Palestina venne adoperato per la prima volta da
Erodoto, ma soltanto per riferirsi alle zone costiere dell’antico
insediamento filisteo.
Successivamente, nel 135 d.C., venne nuovamente adottato dall’Imperatore
Adriano con l’obiettivo di cancellare il carattere ebraico della
Terra d’Israele.
A quei tempi l’area abitata dagli ebrei veniva definita Giudea, come
attestano Plutarco, Tacito e Svetonio all’inizio del II secolo.
Il termine “palestinese” non è presente nell’antichità e ancora
Gerolamo, nel V secolo, si dimostra consapevole dell’uso del termine
Giudea,
tanto da scrivere: “Judaea quae nunc appellatur Palaestina”.
La terra d’Israele è stata rappresentata “geograficamente” sin dai tempi
di Rashi, ovvero Rabbi Shlomo Yitzhaki (1040-1105): alcuni suoi
scritti contengono infatti mappe schematiche ispirate ai racconti
biblici.
Sarà tuttavia il sionismo a imprimere una svolta importante agli studi
geografici della Terra d’Israele: tra i primi cartografi che possiamo
far
rientrare in questo filone troviamo Eliezer ben Yehudah.
Nel 1833 scrisse un volume, “Sefer Eretz Israel”, in cui descriveva nei
dettagli gli aspetti naturali, il clima, la flora e la Inoltre, nel 1919
vide
la luce la carta “Repubblica della Terra d’Israele”.
Il 2 novembre di due anni prima aveva visto la luce la “dichiarazione
Balfour”.
Si tratta di un documento ufficiale, anche se sotto forma di lettera,
inviato dal ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord
Rotschild,rappresentante della comunità ebraica e del movimento sionista, con il
quale il governo britannico esprimeva la volontà di creare un
“focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, nel rispetto
dei diritti civili e religiosi di tutti i residenti.
Al termine della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna ottiene dalla
Società delle Nazioni il “Mandato sulla Palestina” e subito riconosce
la linea di demarcazione del 1906 quale confine tra la Palestina
britannica e l’Egitto.
Nel 1921 stabilisce una suddivisione tra est e ovest, facendo così
nascere nel 1922 la Transgiordania palestinese a est del fiume Giordano
e
della valle dell’Aravà.
Nonostante ancora nel 1925 la Commissione Permanente per i Mandati della
Società delle Nazioni avesse ribadito che uno dei motivi per cui
era stato conferito il Mandato per la Palestina era quello di “portare
avanti i princìpi essenziali contenuti nel Mandato” e, quindi, anche la
creazione di uno Stato ebraico, gli inglesi negli anni cruciali tra il
1937 e il 1947 imposero notevoli restrizioni all’immigrazione ebraica.
Tuttavia, nonostante la disillusione dovuta al “tradimento” inglese, nel
1947 i leader sionisti furono pronti ad accettare un’ulteriore
spartizione territoriale di ciò che restava della Palestina mandataria:
quella della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’Onu.
Mentre i leader ebrei accettano, la Lega araba rifiuta e – dopo iniziali
scontri sul campo tra ebrei e arabi – gli eserciti di Siria, Libano,Transgiordania, Iraq ed Egitto scatenano una vera e propria guerra, a
otto ore dalla nascita d’Israele il 14 maggio 1948.
Guerra con cui verrà di fatto sancita l’abolizione del piano di
spartizione e la nascita di nuovi confini: l’Egitto conquista e occupa
quella
porzione di territorio che verrà successivamente chiamato Striscia di
Gaza e lo mantiene sotto il suo controllo sino al 1967, mentre la
Giordania conquista, occupa e annette la Cisgiordania e la parte
orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia e il quartiere
ebraico
che, da quel momento e sempre sino al 1967, diventano luoghi
inaccessibili agli ebrei.
In questi anni né Egitto né Giordania si preoccupano di favorire la
nascita dello Stato palestinese sui territori da loro conquistati.
Le linee armistiziali derivanti dalla fine dei combattimenti vengono
segnate sulla carta da un pennarello verde, da qui il nome di “lineaverde”.
Non si tratta pertanto di confini, ma di linee che demarcano il punto in
cui si trovavano gli eserciti il giorno in cui è stato accettato il
cessate
il fuoco.
Linee che avrebbero dovuto essere temporanee, in attesa dei trattati di
pace che le avrebbero modificate seguendo opportune considerazioni
geografiche e le esigenze delle popolazioni locali.
Così, di guerra in guerra, di armistizio in armistizio, le linee di
demarcazione tra i contendenti sono continuate a mutare nel corso degli
anni.
In tutto ciò come hanno reagito i palestinesi?
Pur senza una forte leadership, gli arabi palestinesi avevano fatto
sentire la loro voce all’interno della Lega araba, quando era stato
deciso il
rifiuto alla spartizione del territorio e, ancor prima del 1967 –
momento a partire dal quale la Striscia di Gaza e la Cisgiordania
passano sotto
amministrazione israeliana – i palestinesi avevano dato vita all’Olp
(Organizzazione per la liberazione della Palestina) sotto la guida di
Yasser Arafat, allo scopo di eliminare la presenza dello Stato d’Israele
dall’area.
Soltanto a partire dal 1967 i palestinesi sembrano ritrovarsi attorno
all’ideale di creare uno Stato palestinese indipendente, secondo le
linee
armistiziali del 1949.
*Queste noterelle sono debitrici di alcuni scritti di Daniela Santus,
docente di Geografia culturale all’Università di Torino, pubblicati sul
Foglio.
PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO
MATTEOTTI
PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:
Dongfeng a TORINO : credo
sia bipolare promuovere la produzione cinese a TORINO se si vuole
mantenere anche quella della Fiat che invece appena arriveranno i cinesi
scaricherà su di loro i lavoratori.
Intanto Urso , che e' scappato quando gli ho chiesto
perché dei cinesi , Cirio e Tronzano che da 1 anno non rispondono
alla mia proposta di BMW e Toyota a Casale Monferrato per fare entro
il 2028 l'auto ad H2 e la rete H2, DIMENTICANO LA PRODUZIONE CINESE
DEL COVID SU PROGETTO USA E CHE LA CINA E' ALLEATO DELLA RUSSIA NEI
BRICS.
15.10.24
10 ANNI DI PROTEZIONI E SILENZI, obiettivo LIBANO e poi IRAN con gli
USA: Dagli insediamenti a
oggi: tutti gli affronti. Oggi consultazioni al Consiglio di
sicurezza sul Libano
Quelle 174 violazioni del diritto internazionale Tel Aviv da dieci
anni sfida le Nazioni Unite
alberto simoni
corrispondente da washington
Israel Katz, capo della diplomazia di Gerusalemme, dice che l'87%
degli israeliani concorda con la decisione dell'esecutivo di
considerare il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres
«persona non grata». «Non cambieremo rotta», ha detto su X
confermando che la decisione del 3 ottobre è irreversibile.
La storia delle relazioni fra Onu e Israele tracima di
incomprensioni, denunce, schermaglie, scontri e lo Stato ebraico si
è sempre sentito bersaglio degli umori dell'Assemblea generale,
storicamente più vicina ad abbracciare causa palestinese e discorsi
dei leader dell'Olp e poi Anp che si sono avvicendati sul palco.
Celebre fu quello di Arafat del 13 novembre del 1974, il capo
palestinese pronunciò il discorso del «mitra e dell'ulivo».
Quest'anno Mahmoud Abbas, che di Arafat è stato successore all'Anp,
ha chiesto l'espulsione di Israele dalle Nazioni Unite in un
discorso concluso fra gli applausi.
È in questo clima che il sentimento di avversione di Netanyahu per
l'Onu germoglia. «In dieci anni – disse Netanyahu il 27 settembre a
Palazzo di Vetro – l'Assemblea ha formalmente denunciato Israele 174
volte, cento volte più che tutte le denunce riservate agli altri
Paesi messi insieme, è uno scherzo!». Segno di pregiudizio per gli
israeliani, fatti incontrovertibili di alcuni comportamenti
imputabili – dal sostegno ai coloni, agli insediamenti, sino
ovviamente alla campagna militare a Gaza – a Gerusalemme.
Per Netanyahu, «l'Onu è uno stagno di odio antisemita e qui si
accusa lo stato ebraico di ogni cosa».
A Palazzo di Vetro solo gli Stati Uniti sono i veri alleati: pronti
a bloccare in Consiglio di Sicurezza ogni risoluzione danneggi
l'alleato e a prediligere azioni bilaterali per indurre Israele a
moderare le sue azioni. Successe così nel maggio del 2021 quando
Washington mise il veto a un risoluzione sulla West Bank sostenendo
di voler lavorare sul canale privato con Israele.
Oggi ci saranno consultazioni – in programma da tempo – a porte
chiuse in Consiglio di Sicurezza su una risoluzione del 2004 (la
1559) che riguarda la sovranità territoriale del Libano. La
sottosegretaria Rosemary DiCarlo riferirà che benché in 20 anni il
contesto è mutato, la risoluzione – che già chiedeva il disarmo
delle milizie libanesi e non, due anni prima della Risoluzione 1701
(quella che ha rafforzato l'Unifil) – rimane ancora attuale. Non è
previsto alcun voto. Il piatto forte, ovvero la riunione d'emergenza
chiesta dalla Francia su Unifil, non è ancora in calendario. Si
capirà ancora una volta quanto Netanyahu può contare sull'alleato
Usa e quanto la comunità internazionale sarà in grado di premere su
Israele per fermare l'offensiva. Netanyahu vede Unifil come un
ostacolo alla distruzione di Hezbollah, «la quintessenza del
terrorismo nel mondo di oggi», disse il 27 ottobre. «Ha tentacoli
ovunque e attacca Israele ferocemente da 20 anni. Ora è troppo»
aggiunse prima di denunciare che per 18 anni Hezbollah non ha
rispettato la risoluzione 1701. Linea condivisa dagli Usa. Che,
tuttavia, hanno espresso sabato sera in una telefonata fra Austin e
Gallant «profonda preoccupazione» per gli spari sui caschi blu.
L'Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) è altro terreno di
scontro permanente. Per Israele è il veicolo con cui i miliziani di
Hamas sfruttano connivenze e copertura internazionale per colpire
gli ebrei. L'Onu risponde che non «ci sono sufficienti evidenze» a
dimostrare che «il personale Unrwa abbia partecipato» all'eccidio
del 7 ottobre.
Dove l'Onu vede violazioni del diritto internazionale (gli
insediamenti nella West Bank, le operazioni a Gaza, l'invasione del
Libano, le condizioni dei prigionieri palestinesi per citare solo
alcuni casi recenti), Netanyahu fiuta un'ideologia perversa e
distorta della realtà e la negazione del diritto di Israele di
difendersi sancito dall'articolo 51 della Carta Onu.
L'Unrwa, dicono gli israeliani citando loro inchieste, ha avuto 30
membri dello staff coinvolti nel 7 ottobre e centinaia di dipendenti
hanno gioito per la strage. Nel 2004 Peter Hansen, allora
commissario dell'Unrwa disse in un'intervista a una tv canadese:
«Sono sicuro ci sono membri di Hamas sul libro paga dell'Onu». Per
poi precisare che comunque Hamas è un'organizzazione politica e non
solo militare. Ismail Haniyeh era un insegnante pagato da Unrwa,
diversi quadri di Hamas sono stati formati in questa struttura.
Pistola fumante secondo il Bibi-pensiero del cieco sostegno Onu per
i palestinesi. Schermaglie, anche violente. Ma ora gli spari su
Unifil aprono nuovi e incerti scenari.
INASCOLTATI : per la soluzione a due stati
Schlein e Conte: "Israele si fermi ora il governo riconosca la
Palestina"
«Dopo i violenti attacchi dei giorni scorsi alle postazioni Unifil,
l'ennesimo sconfinamento di carri armati dell'Idf verso le posizioni
delle forze di pace dell'Onu. Netanyahu va fermato, le sue azioni
criminali non possono essere più tollerate». Lo ha detto la
segretaria del Pd, Elly Schlein, in una nota diffusa ieri. «Il
governo italiano riconosca subito lo Stato di Palestina per iniziare
a costruire la soluzione dei due popoli, due Stati». Il leader dei 5
Stelle, Giuseppe Conte, dichiara: «Fermiamo la follia di Netanyahu,
prendiamo decisioni serie per imporre il cessate il fuoco e la
soluzione due popoli due Stati per Israele e Palestina.
Fuoco Mamma Fatima
"
sulle
famiglie
inviato a beirut
Sama ha tredici mesi e da 28 giorni i medici lottano per salvare il
suo viso dalle terribili ustioni che hanno bruciato tutta la parte
sinistra. Le medicazioni sono dolorose e quando comincia a piangere,
sempre più forte, l'infermiera tira la tenda che chiude la stanzetta
al primo piano del reparto ustionati all'Hopital Libanais de
Geitaoui, un quartiere cristiano di Beirut, non lontano dal porto. È
sdraiata su un fianco, con il suo pannolino, gli occhi spalancati, i
capelli castani tirati da un lato, la fronte e la guancia
bucherellate da macchie rosse, che devono rimarginarsi nel modo
giusto. L'infermiera tira meglio la tenda, fino in fondo.
Sarà una lunga lotta, ma almeno Sama non rischia la vita e non l'ha
persa, come tanti nel suo villaggio. L'ospedale è nuovo, luccicante.
Una struttura privata, pulitissimo, con aria condizionata, cartelli
in inglese e arabo, le pareti in granito grigio, nitide come
specchi. L'hanno ricostruito dopo la terribile esplosione del 4
agosto 2020, che ha devastato la parte bassa del quartiere, la più
esposta all'onda d'urto. Le cure sono costose, e solo chi ha una
buona assicurazione può permettersele. Ora però è diverso. C'è la
guerra, e dal Sud continuano ad affluire feriti, soprattutto
ustionati. Gente che non ha più nulla e viene curata gratis.
«Eravamo sulla veranda, io e mio marito, i suoi amici», racconta
Fatima, la mamma di Sama. Ha 36 anni, il velo nero ricamato ai bordi
che le cinge il volto e copre i capelli e le spalle. Indossa una
maglietta nera e pantaloni dello stesso colore, forse troppo
attillati per una donna del Sud sciita. Glieli hanno regalati perché
ha perso tutto nel bombardamento del suo villaggio, Deir al-Qanoun.
«Abbiamo visto esplodere la casa di fronte – continua – così, di
colpo, senza sentire nulla prima. Le bambine erano scese nel cortile
e hanno preso la botta in pieno, non le vedevo più per il fumo, io e
mio marito eravamo per terra, ma illesi, poi ho visto la plastica
che copriva la veranda prendere fuoco». Si mette a piangere. Poi,
dal telefonino, mostra le foto delle bimbe, Sama e la più grande,
sette anni, appena arrivate all'ospedale, tutte coperte di
bruciature. «La casa era in fiamme, abbiamo raccolto un po' di
vestiti e li abbiamo messi in macchina, stavamo per salire e
scappare quando un altro colpo l'ha distrutta, allora siamo corsi
verso i campi, con loro due tra le braccia».
Qualcuno li ha raccolti per strada e portati al primo ospedale
decente, nello Chouf, ma non era abbastanza attrezzato. Poi, per
fortuna, si è liberato un posto qui a Geitaoui. La dottoressa che le
ha in cura non si ferma un attimo da più di un mese. «La prima
ondata è stata quella dei cercapersone – ricorda –. Sono arrivati in
tanti, con ustioni al volto, la vista compromessa. È stato molto
brutto. Eravamo a disagio». Si ferma un attimo, e beve un altro
sorso di caffè. «Sapevamo che erano di Hezbollah, ed Hezbollah non
ama essere riconosciuto. E invece adesso li vedevamo in faccia,
registravamo i loro nomi nel registro. Non ero tranquilla, anche se,
certo, erano persone da curare». Si ferma di nuovo e riflette.
«Ho fatto il giuramento di Ippocrate, ma ho avuto anche brutti
pensieri». E cioè? «In questo quartiere l'esplosione al porto ha
fatto tante vittime. L'ospedale è stato mezzo distrutto. Ed
Hezbollah ha le sue responsabilità per quello che è successo quattro
anni fa e soprattutto per questa guerra dove ha trascinato tutto il
Libano. Ben gli sta, ho pensato».
All'inizio non ha provato molta pietà ma una storia le ha fatto
cambiare idea. «Una giovane di 22 anni – spiega – aveva perso tutte
e due gli occhi. Aveva preso il cercapersone che squillava per
portarlo dal padre, uno del partito, e le è esploso in faccia.
Quando me l'hanno portata, e ho saputo, ho avuto un colpo al cuore,
che destino terribile, che ingiustizia». Anche su Nasrallah ha
pensieri ambivalenti. «L'esplosione che l'ha ucciso mi ha ricordato
quella del porto, mi sembrava un giusto contrappasso. Ma tutto
sommato mi fa anche pena. È che questa guerra ci porta troppo dolore
e noi libanesi ne abbiamo vissuto già abbastanza».
Fatima, la mamma di Sama, l'aspetta in una saletta vicino
all'ingresso del pronto soccorso. Vuole sapere se la piccola tornerà
come prima, avrà una vita normale. Viene da un villaggio dove
Hezbollah la fa da padrone, e che adesso non esiste più. «Io non so
niente di politica – sembra quasi giustificarsi –. Non abbiamo mai
visto nulla, vivevamo tranquilli». In una grossa busta di plastica
trasparente al suo fianco ci sono indumenti di ricambio. Da quasi un
mese vive nell'ospedale. Dorme nella stanzetta della bambina, lei su
una brandina a fianco al letto, il marito sul pavimento, sopra una
coperta. Non sa se un giorno potrà ricostruire la sua casa. Vuole
solo vivere, possibilmente in pace.
progetto Albania
Le falle
del
dall'inviato a Gjadër
Mare calmo, visibilità ottima. «Niente, ancora niente», dice il
direttore del porto Sender Marashi. Stanno smontando il luna park,
qualcuno fa il bagno. Fra questi pescherecci che tornano carichi di
sgombri e sardine, uno dei prossimi giorni attraccherà una nave
della Marina Militare italiana. Porterà il primo carico di migranti
della missione Albania. Una missione piena di incognite e di
problemi. Si vedono tutti. A occhio nudo. In queste giornate di
attesa e cielo terso.
Roulette mediterranea
È una questione di fortuna. Si capisce bene. Ogni singola persona
che tenterà l'attraversata per arrivare in Europa avrà quattro
possibili livelli di rischio e di sventura. Scampata la morte per
annegamento, potrebbe essere portata indietro dalla Guardia Costiera
libica finanziata dal governo italiano: altre torture, altre
violenze, altri soldi da pagare. Il terzo livello di rischio è
incontrare una motovedetta italiana. Perché da lì è probabile il
trasbordo sulla nave hub della Marina, quindi una lenta navigazione
verso l'Albania. Che non è ancora Europa, anche se sogna di farne
parte. Per questo essere salvati da una nave Ong diventerà presto,
per distacco, la migliore delle possibilità. Le Ong non vanno in
Albania. Poco importa se verrà assegnato un porto di sbarco
lontanissimo, come scelta punitiva. Genova, Ravenna, Ancona sono
comunque Italia, sono pur sempre Europa.
Paesi sicuri
Possono essere deportati in Albania solo uomini adulti provenienti
da Paesi considerati «sicuri». Ma l'Italia considera sicuri anche
Egitto, Tunisia e Bangladesh. Mentre una sentenza del 4 ottobre
della Corte di giustizia dell'Unione europea fissa altri parametri.
Perché un Paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo in
qualsiasi parte e per qualsiasi cittadino. Chiedete a quel ragazzo
tunisino a cui è stato tagliato un testicolo per ritorsione, dopo
che aveva messo incinta la sua fidanzata, se tornare in Tunisia per
lui sia effettivamente sicuro. Come si comporteranno i giudici che
dovranno decidere sui singoli casi?
Un destino in pochi giorni
La procedura accelerata per chiedere il diritto d'asilo dovrà durare
al massimo 28 giorni. Servono interpreti preparati. Servono
informazioni precise che mettano le persone nelle condizioni di
esercitare un diritto. Serve sapere chiaramente – per esempio – che
in caso di diniego della commissione, il tempo per presentare
ricorso è stato appena ridotto a 7 giorni. Fare tutto questo in
Albania, in video collegamento, secondo molti giuristi discrimina
fra migranti e migranti, il che è anticostituzionale. Di sicuro un
migrante in Albania sarà molto più solo. Più indifeso.
Avvocato d'ufficio o di fiducia
Per esempio: vallo a trovare un avvocato di fiducia, stando dentro
le gabbie del centro di detenzione di Gjadër. Devi difenderti in
lingua italiana, in un Paese che parla albanese, mentre tu ne parli
un'altra ancora. Da queste gabbie il diritto alla difesa appare
fortemente indebolito.
Un piccolissimo Stato italiano in terra d'Albania
Lo dicono gli agenti di guardia: «Oltre il cancello cambia nazione».
Lo dice il premier albanese Edi Rama: «Quei centri non ci
riguardano». Non si capisce quindi cosa succederà in caso di
rivolte, di incendio, di tentatitivi di fuga. O, più semplicemente,
se una persona dentro si sentirà male e avrà bisogno di cure urgenti
dall'altra nazione. Oltre le gabbie.
Prigionieri di fatto
«L'accordo con l'Italia prevede che nessun migrante uscirà mai da
lì», dice sempre il premier albanese Edi Rama. Ma l'Italia non può
costringere all'infinito un migrante dentro a quelle gabbie. Si
prevedono molti viaggi di ritorno: Adriatico coast to coast.
Il conto salato
Per costruire l'hotspot al porto di Shëngjin e il centro di
trattenimento di Gjadër, il governo Meloni ha già stanziato 65
milioni di euro. Il costo di gestione previsto è di 120 milioni
all'anno. Ma è un costo ipotetico. Sottostimato. Perché nessuno sa
quanti trasbordi – effettivamente – verranno fatti. Quanti
poliziotti saranno impiegati in trasferta, quanti costi vivi e
variabili dovranno essere sostenuti.
Il miraggio delle espulsioni
Nella prima metà del 2024 in Italia sono stati firmati 13.330 ordini
di rimpatrio. Le espulsioni eseguite 2. 242. Questi sono i numeri
reali. Cosa sarà dei migranti con il foglio di via in terra
albanese? La probabilità che il governo italiano debba accompagnarli
sul suolo italiano, per poi abbandonarli al loro destino, è molto
alta.
Ma allora perché?
Per rimpatriare direttamente dall'Albania alcune nazionalità,
pochissime. Quasi soltanto migranti tunisini, grazie all'accordo fra
governi. Questo sembra l'obiettivo. Serve una foto simbolica. «Siamo
nel propagandistico» dicono gli studiosi del fenomeno migratorio. Ma
mentre il governo cerca la foto, il rischio è creare una zona
franca. Sarà difficile testimoniare quello che accadrà lì dentro. I
centri in Albania nascono per essere "un altrove". Un posto senza
testimoni. —Nel decreto Flussi inserito un articolo per espellere
anche chi non ha mai messo piede in Italia
Quella norma ad hoc per i respingimenti "Il diritto al ricorso sarà
solo sulla carta"
serena riformato
ROMA
Mentre a Shengjin e Gjader si erigevano le mura dei centri, in
Italia il governo ha silenziosamente cercato di costruire un
impianto normativo per legittimare il sistema Albania. Nel decreto
Flussi, approvato il 3 ottobre, almeno due norme sono state scritte
ad hoc per le strutture albanesi. La più importante è all'articolo
13: l'esecutivo amplia le ipotesi di respingimento alla frontiera
fino a comprendervi i migranti che in Italia non ci abbiano nemmeno
mai messo piede. Finora, il questore poteva decidere l'espulsione –
tramite la procedura accelerata, 28 giorni per esaminare la domanda
– solo per gli stranieri bloccati alla frontiera o appena entrati
nel Paese. Ma l'ipotesi non avrebbe compreso, formalmente, i
migranti che verranno portati in Albania prima ancora di aver fatto
ingresso in Italia. Con il codicillo inserito appositamente nel
decreto Flussi, invece, il respingimento differito potrà essere
applicato agli irregolari «rintracciati a seguito di operazioni di
ricerca o soccorso in mare» durante le «attività di sorveglianza»
dei confini esterni dell'Ue. Prima ancora di sbarcare. Che
l'aggiustamento sia pensato per l'Albania è confermato anche da
altre piccole modifiche: sempre in base all'articolo 13 del
provvedimento, la decisione di rigetto della domanda di protezione
porterà al respingimento anche «qualora la procedura si svolga
direttamente alla frontiera o nelle zone di transito». Per
Gianfranco Schiavone, giurista dell'Asgi, «con il decreto Flussi il
governo italiano ha cercato di rafforzare la possibilità di
espellere i migranti che transiteranno in Albania». Comprimendone i
diritti. All'articolo 17 del provvedimento, infatti, si prevede
anche un dimezzamento del tempo concesso allo straniero per
presentare ricorso nel caso la sua domanda di protezione sia stata
rifiutata: da 15 a 7 giorni. «La decisione di impugnare un diniego
non rientra nei doveri dell'avvocato d'ufficio», spiega Schiavone:
«Il migrante in 7 giorni dovrebbe trovarsi un legale in Italia,
contattarlo non si sa come e convincerlo a depositare l'atto in
pochi giorni». Secondo il giurista, «lo scopo di questa operazione è
lasciare il diritto al ricorso sulla carta, ma svuotarlo di effetto.
14.10.24
Chiara Gribaudo
Le prospettive
"Brandizzo ci ha dato una lezione non parliamo di errori umani"
serena riformato
roma
«Dopo le tragedie, vorremmo che non ci fosse solo una corale
indignazione, ma si imparasse qualcosa: quello che è successo a
Brandizzo non deve accadere mai più». Chiara Gribaudo,
vicepresidente Pd, alla Camera presiede la Commissione parlamentare
d'inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia con questo
obiettivo: dissezionare le stragi degli ultimi anni, comprenderne le
cause e individuare le debolezze su cui intervenire. A settembre, la
commissione ha pubblicato un rapporto sull'incidente di Brandizzo,
dove 5 operai furono travolti da un treno mentre lavoravano sui
binari. «La magistratura cercherà i colpevoli - specifica Gribaudo
-. Noi cerchiamo le opportunità di miglioramento».
La relazione riconosce il «comportamento umano» come «causa
principale» della strage di Brandizzo. La politica cosa può fare?
«Siamo certi che quelle persone, in quel momento, non dovevano stare
sui binari. Ma ci vuole prudenza a parlare di "errore umano". Dietro
la definizione arida c'è un problema più ampio: è l'organizzazione
del lavoro che mette i dipendenti nelle condizioni di sbagliare».
In che modo?
«Influiscono i vincoli di orario, la spinta a fare in fretta, la
percezione che si dà del rischio, anche solo nel linguaggio. La
tendenza generale è certificare il rispetto delle norme dal punto di
vista burocratico e poi vivere quotidianamente una realtà ben
diversa. È un problema di formazione, di clima e cultura della
sicurezza».
Servono più corsi?
«Non riguarda solo gli operai, ma anche i capi. Oggi, per la
Giornata nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro sarò a
Casteldaccia, nel Palermitano, dove a maggio cinque lavoratori sono
morti respirando un gas mortale nel corso della manutenzione
fognaria. Fra loro c'era il proprietario della ditta in subappalto».
Ecco, le scatole cinesi dei subappalti quanto incidono sul fenomeno?
«Purtroppo, se andiamo a vedere i dati, nella catena degli appalti e
dei subappalti si concentra il maggior numero di infortuni. C'è
sempre il rischio che si creino lavoratori di serie A e serie B. Non
c'è dubbio che qualcosa vada ripensato. Con il Codice degli appalti
si è fatto un primo passo. Ma non è abbastanza».
Cosa bisognerebbe fare di più?
«Nel rispetto dell'autonomia della magistratura, mi chiedo se sia
opportuno che le stazioni appaltanti, dopo eventi particolarmente
drammatici, possano continuare ad affidare le lavorazioni a imprese
responsabili di inadempienze con gravi conseguenze».
Nei primi otto mesi del 2024 l'Inail ha contato 680 morti sul
lavoro, con un aumento del 3,5% sull'anno precedente. Com'è
possibile che i numeri siano in crescita anziché diminuire?
«Purtroppo, i dati Inail sono anche parziali perché non considerano
il lavoro nero. Queste cifre ci dicono quanto sia importante non
limitarsi alle norme spot annunciate dopo gli eventi tragici, e poi
lasciar passare mesi senza prestare troppa attenzione al problema.
Servirebbe un cambio di passo radicale. Per questo, dal 29 al 31
ottobre la Commissione d'inchiesta che presiedo organizzerà gli
Stati generali su salute e sicurezza sul lavoro in Italia, in
collaborazione con la presidenza della Camera».
Come si svolgeranno?
«Sarà presente il presidente della Repubblica e interverrà il
commissario europeo per il Lavoro uscente Nicolas Schmit. Faremo
tavole rotonde con tutte le istituzioni che si occupano del tema,
dagli ispettori alla magistratura, passando per le associazioni di
categoria. Approfondiremo i problemi dell'edilizia e
dell'agricoltura, ma anche delle molestie sui luoghi di lavoro. E ci
sarà anche un focus specifico sulla necessità di un massiccio
investimento sulle nuove tecnologie».
Come possono incidere sulla sicurezza?
«Torno ai risultati della nostra inchiesta su Brandizzo. Oggi
esistono meccanismi sofisticati che permettono ai treni di
rallentare la velocità, se percepiscono la presenza di persone sui
binari. Avrebbero evitato l'immane tragedia della notte fra il 30 e
31 agosto 2023. In altri Paesi, questi strumenti sono già
operativi». —
13.10.24
PUTIN CONTINUA AD UCCIDERE :
«Un colpo terribile», dice Volodymyr Zelensky mentre incontra Papa
Francesco, «una notizia sconvolgente», secondo la diplomazia
dell'Unione Europea, un «crimine di guerra» come viene qualificato
dalla magistratura di Kyiv. La notizia della morte della giornalista
ucraina Viktoria Roschina in un carcere russo, a 27 anni, è arrivata
proprio mentre la sua famiglia aspettava di poterla riabbracciare:
dopo lunghe trattative, era stata inclusa nella lista dei
prigionieri da scambiare tra Russia e Ucraina. Invece, dopo lunghi
silenzi, le autorità penitenziarie russe hanno infine comunicato al
padre della cronista, Volodymyr Roschin, che sua figlia è deceduta,
in circostanze e per cause sconosciute, mentre veniva trasferita dal
carcere di Taganrog, nel Sud della Russia, in una prigione
moscovita.
Una fine terribile per una reporter diventata famosa per le sue
inchieste scomode: aveva indagato la strage sul Maidan durante la
rivoluzione in piazza del 2014, ed era andata più volte nei
territori occupati dai russi per raccontare i crimini contro la
popolazione civile. Cronista della tv Hromadske e della Ukrainskaya
Pravda, Roschina aveva iniziato a fare la giornalista a 16 anni e
veniva descritta dai colleghi come molto coraggiosa e determinata.
Era già finita nelle mani dei militari russi nel 2022, mentre
cercava di entrare nella Mariupol assediata dalle truppe di Mosca,
ed era stata rilasciata dopo qualche giorno di prigionia, costretta
a girare un video in cui ringraziava i militari di Putin per «averla
salvata». Nonostante questa esperienza, portare la testimonianza
degli ucraini rimasti sotto l'occupazione russa era diventata la sua
missione: si era infiltrata nei territori occupati ed è proprio lì
che era sparita, il 3 agosto 2023. Le autorità russe avrebbero
ammesso di averla arrestata soltanto nel maggio 2024, ed era stata
inserita ufficialmente nella lista dei prigionieri della Croce Rossa
internazionale. Il 28 agosto scorso Volodymyr Roschin aveva chiesto
ufficialmente ai russi notizie di sua figlia, e giovedì scorso ha
ricevuto una mail (datata 2 ottobre) nella quale gli veniva
comunicato che era deceduta il 19 settembre.
Difficile immaginarsi una causa "naturale" di questa morte: il 6
ottobre Victoria avrebbe dovuto compiere appena 28 anni. Ma il
carcere giudiziario numero 2 di Taganrog, dove era rinchiusa da più
di cinque mesi, è celebre come "l'inferno in terra", dice Tetyana
Katrychenko della ong ucraina "Media per i diritti umani". È uno dei
penitenziari dove vengono tenuti i prigionieri ucraini, civili e
militari, e gli ex detenuti che ci sono passati raccontano di
«torture terribili per costringerli a confessare crimini che non
hanno commesso». Manganelli, martelli e scosse elettriche sono gli
strumenti utilizzati contro i prigionieri, insieme alla denutrizione
e alle umiliazioni, come testimoniato da decine di uomini e donne
ucraini che vi sono passati. Un carcere talmente pesante che perfino
le autorità russe hanno deciso di sostituirne la direzione, dopo la
morte di diversi detenuti. Prima, Viktoria era stata incarcerata
nella prigione di Berdyansk, nei territori ucraini sotto occupazione
russa, un altro penitenziario noto per torture e maltrattamenti
degli ucraini.
Un inferno dal quale però Roschina avrebbe dovuto uscire a breve,
«avevamo fatto tutto il possibile per farla tornare a casa», ha
dichiarato ieri il portavoce dello spionaggio militare di Kyiv
Andriy Yusov.
Secondo alcune indiscrezioni, la giornalista avrebbe dovuto venire
scambiata già il 13 settembre. Qualcosa è andato tragicamente
storto. Troppe torture, troppi maltrattamenti, o forse qualche
vendetta dei servizi russi: Viktoria aveva indagato sui membri dei
reparti speciali Berkut fuggiti in Russia dopo aver sparato sulla
folla a Kyiv. Un indizio inquietante è il fatto che la Russia non
restituirà, almeno per ora, il suo corpo: bisognerà attendere «uno
scambio dei cadaveri di persone trattenute», recita la lettera
ricevuta dal padre, quindi un nuovo negoziato, che durerà mesi, per
fare tornare a casa la giovane reporter. Ci sono altri 25
giornalisti ucraini che restano nelle mani dei carcerieri russi, ha
ricordato ieri durante l'incontro al Vaticano Zelensky, parte di
quegli almeno 1.700 civili (tra cui più di 400 donne) imprigionati
nei territori occupati dai militari di Mosca.
Howard Kakita Il superstite: "Solo i
testimoni comprendono l'enormità di quel disastro" Illusione STUPENDA "Se
Putin e Kim ascoltassero la mia storia non vorrebbero più usare le
armi nucleari"
TAipei
«Sono incredibilmente felice». Howard Kakita ha 86 anni. Il 6 agosto
1945 ne aveva sette e si trovava a poco più di un chilometro
dall'epicentro dell'esplosione della bomba atomica sganciata su
Hiroshima dall'Enola Gay. Il premio Nobel per la Pace alla Nihon
Hidankyo e a tutti gli hibakusha è stato annunciato quando in
California, dove vive, era notte fonda. Appena appresa la notizia,
dice a La Stampa di avere una speranza: «Spero che questo risultato
rafforzerà gli sforzi globali volti a fermare la proliferazione
delle armi nucleari e a promuovere un divieto totale del loro
utilizzo». Lui quell'obiettivo lo persegue da decenni, tra le file
della American Society of Hiroshima-Nagasaki A-Bomb Survivors, «la
cui missione è strettamente in linea con quella della Nihon Hidankyo».
Eppure, da qualche tempo quanto accade nel mondo sembra andare verso
il riarmo e maggiori rischi di uno scontro nucleare.
«Spesso mi sono chiesto se alcuni dei leader mondiali abbiano mai
visto o ascoltato quello che è successo a noi. Forse no. Sono
convinto che questo Nobel darà più visibilità alla nostra causa.
Certo, purtroppo non credo che il premio basti per cambiare la mente
di Vladimir Putin e Kim Jong-un, né che possa risolvere
improvvisamente il conflitto in Medio Oriente. Ma io spero ci sia di
aiuto per continuare a evitare che le armi atomiche vengano
utilizzate, come fatto negli ultimi 80 anni».
Che cosa ricorda del 6 agosto 1945?
«Era un lunedì. Io e mio fratello stavamo andando a scuola, quando
altri bambini ci dissero che le lezioni erano state cancellate
perché c'erano degli aerei nemici nelle vicinanze. Ne fummo felici.
Quando abbiamo sentito che un aereo stava venendo verso Hiroshima,
io e mio fratello salimmo in cima al tetto della casa dove vivevamo
coi nostri nonni per vedere le scie. Per nostra fortuna, mia nonna
ci disse di scendere. Quando è arrivata la bomba, non ricordo il
lampo, né il botto. Ricordo le fiamme sui pezzi di casa caduti sopra
di me, l'odore di fumo. Non ero gravemente ferito e sono riuscito a
tirarmi fuori. Mio nonno e altri uomini presero i secchi per cercare
di spegnere un incendio, senza rendersi conto che l'intera città era
completamente scomparsa. Allontanandoci, c'era un'enorme sfilata di
persone simili a zombie. Alcune con orrende ferite, altre morte. Io
mi ammalai a causa delle radiazioni, ma in qualche modo sopravvissi.
Anche se le ferite psicologiche sono state più complicate da
curare».
Il direttore della Nihon Hidankyo ha paragonato la Gaza di oggi al
Giappone del 1945. Che effetto le fa quanto sta accadendo nel mondo?
«È da un paio d'anni, dopo la guerra in Ucraina, che mi chiedo come
sia possibile che siamo in questa situazione. E le cose sono persino
peggiorate. La Russia e la Corea del Nord minacciano di usare bombe
nucleari, la Cina ne vuole avere mille entro la fine del decennio.
Per non parlare dei rischi tra Israele e Iran, o tra Pakistan e
India. Abbiamo 13 mila armi nucleari nel mondo, 13 mila. Se
ascoltassero davvero le nostre storie non ne vorrebbero di più».
Ha fiducia nell'ascolto e nella comprensione delle nuove
generazioni, per evitare che si ripeta la tragedia?
«Vado spesso a parlare nei licei e nelle università. I giovani mi
sembrano molto interessati, ma a meno che tu non sia davvero
testimone di qualcosa del genere, è difficile comprendere del tutto
la grandezza del disastro. Noi la capiamo. Tra noi sopravvissuti, da
quanto è iniziata la guerra in Ucraina diverse persone non riescono
più a dormire, per il timore di dover rivivere quell'orrore».
La barca e il canone del Palafuksas al centro dell'inchiesta con 10
indagati
Ci sarebbero anche delle intercettazioni telefoniche a corredo delle
accuse sollevate dall'aggiunto Enrica Gabetta e dal sostituto
Giovanni Caspani nei confronti - anche - dell'imprenditore del gusto
Umberto Montano e della super dirigente del dipartimento Commercio
del Comune di Torino Paola Virano. L'inchiesta dello Scico della
Polizia e della Squadra Mobile di Torino vede 10 persone iscritte
nel registro degli indagati. La presunta corruzione lega le
posizioni di Virano e Montano. Lei lo avrebbe consigliato su come
rientrare da un debito di poco più di 500 mila euro e si sarebbe
interessata per abbassare (di un milione circa) i canoni della
concessione degli spazi del Palafuksas ricevendo in cambio il
prestito di una barca durante un weekend di vacanza all'Isola
d'Elba. g.leg. —
12.10.24
MESSAGGIO FORTE E CHIARO : MONITORIAMO I VOSTRI CONTI
dalla filiale di Intesa
Sanpaolo a Bitonto: il dipendente 50enne è stato licenziato Dal
procuratore antimafia alla presidente del Consiglio, oltre 3500
conti controllati in tutta Italia
La banca
La difesa di Coviello
Il bancario insospettabile spiava Meloni, politici e pm Ora si
indaga sui mandanti
" irene famà
inviata a bari
Insospettabile. Dietro il suo sportello di una filiale di Intesa
Sanpaolo spiava i conti correnti di persone illustri. Illustrissime.
La premier Giorgia Meloni, sua sorella Arianna, il suo ex compagno
Giambruno. E ancora. I ministri Daniela Santanché e Guido Crosetto.
Il procuratore della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo
e carabinieri e militari della Guardia di finanza. Quello di
Vincenzo Coviello, cinquantenne di Bitonto, era un monitoraggio
quotidiano. Settemila gli accessi abusivi effettuati dal 21 febbraio
2022 al 24 aprile 2024: trecento al mese, circa quindici al giorno,
su oltre 3500 clienti portafogliati di 679 filiali sparse in tutta
Italia.
Sbirciava, questo è certo. Perché? Per chi? Difficile credere alla
semplice ossessione. Alla raccolta spasmodica di dati solo per farsi
"grande" con gli amici al bar. Secondo i primi accertamenti della
procura di Bari, guidata da Roberto Rossi, Coviello avrebbe
consultato conti correnti e anagrafiche. Ma quei dati non li avrebbe
né scaricati né condivisi con altri della banca né salvati su
supporti informatici. Insomma: nessun dossier mirato da condividere
come quelli del caso Striano, l'ex tenente della finanza indagato
per aver scaricato migliaia e migliaia di file segreti dalle banche
dati della Dna e delle forze dell'ordine.
Vincenzo Coviello per Intesa Sanpaolo si occupava della clientela
legata al business agro-alimentare con accesso a conti di società e
di aziende su tutto il territorio nazionale. «Quei dati li ho
consultati perché è il mio lavoro farlo», avrebbe detto per
giustificaris. Eppure l'alert è scattato lo stesso.
A banca Intesa Sanpaolo funziona così: il dipendente «autorizzato»
gestisce i dati della clientela e i sistemi di controllo
automatizzati monitorano i comportamenti e segnalano quelli anomali.
Ad esempio, se una stessa persona viene cercata troppe volte.
Insomma, se le consultazioni assumono un particolare rilievo
quantitativo o qualitativo. A quel punto scatta l'allarme. E così è
stato per Coviello. Gli analisti informatici del mega centro di
controllo che monitora i flussi telematici di tutto l'istituto
bancario da Moncalieri, comune alle porte di Torino, riscontrano le
anomalie. E la banca avvia un'indagine interna. A seguire il
procedimento disciplinare, che è una procedura lunga e scrupolosa.
Poi il licenziamento lo scorso 8 agosto.
Oltre ad avere adottato «tempestivamente nei confronti del
dipendente le opportune iniziative disciplinari», la Banca fa sapere
di avere «provveduto ad informare le autorità competenti». Immediata
la segnalazione al Garante della privacy e poi la denuncia in
procura. Insieme a un correntista di Bitonto che sarebbe stato
avvisato dal direttore dei numerosi accessi sul suo conto.
Consultazioni random per mera curiosità? Dai primi accertamenti,
risulta che Coviello abbia tenuto sotto controllo guadagni e spese
di politici, magistrati, sportivi, esponenti delle forze
dell'ordine. E l'elenco è davvero lungo. Compaiono, così raccontano
le prime informazioni, anche il presidente del Senato Ignazio La
Russa, l'ex ministro Raffaele Fitto, ora alla Commissione Ue, il
governatore della Puglia Michele Emiliano e quello del Veneto Luca
Zaia e il procuratore della Repubblica di Trani Renato Nitti.
Vincenzo Coviello era seriale. Non ha scaricato o copiato nulla, è
vero. Ma quei dati, in gran segreto, nascosto dietro il computer e
dietro quella teca di vetro che separa i dipendenti dai clienti, li
ha consultati. Forse appuntati. E ora gli investigatori dei
carabinieri della procura di Bari stanno cercando di ricostruire la
questione. Di risalire ai possibili mandanti. E di capire se il
funzionario ha agito da solo o con l'aiuto di qualcuno.
I numeri di questa sorta di spy story sembrano enormi. E lo sono, se
messi a confronto di un insospettabile funzionario. È doveroso,
però, ricordare che Intesa Sanpaolo gestisce circa 13 milioni di
clienti e al giorno transazioni che si aggirano intorno ai 20
miliardi. In questa vicenda, ciò che colpisce sono i nomi dei
personaggi spiati. E c'è chi si spinge a ipotizzare un
coinvolgimento degli investigatori privati. Faro degli inquirenti,
che hanno acquisito documenti e file e continuano ad ascoltare
testimoni, anche su eventuali pagamenti o altre utilità.
E la storia, con i dovuti distinguo, ricorda anche quella di Carmelo
Miano, l'hacker di Gela che dalla sua camera a Roma, a 24 anni, ha
violato i server del ministero della Giustizia e ha messo le mani su
fascicoli coperti da segreto di quattro procure. «Ho rubato le email
dei pm perché avevo attacchi d'ansia», avrebbe detto agli
investigatori della procura di Napoli.
Ansia. Curiosità. Poi c'è chi ipotizza un grande complotto. E chi
pensa a diversi mandanti impegnati a intercettare le persone giuste
al posto giusto. Per ottenere le informazioni che desiderano. —
Produzione al palo: -3,2% su base annua "Una Caporetto per la nostra
industria" La produzione industriale dell'Italia resta al palo. Ad
agosto, secondo l'Istat l'indice destagionalizzato della produzione
industriale è aumentato dello 0,1% rispetto a luglio. Ma in termini
tendenziali, la produzione industriale è scesa del 3,2% rispetto a
un anno fa. Le associazioni dei consumatori Unc e Codacons parlano
di «Caporetto» per l'industria tricolore. «Siamo al 19esimo calo
tendenziale consecutivo» dicono i consumatori. Su base tendenziale,
le flessioni maggiori si rilevano nella fabbricazione di mezzi di
trasporto (-14,2%), nella fabbricazione di macchinari (-11,6%) e
nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,8%).
Confcommercio parla di «situazione delicata» a cui si deve reagire e
la Cgil chiede al governo di convocare subito un tavolo di confronto
con imprese e sindacati a Palazzo Chigi.
QUESTO E' IL FUTURO DI MIRAFIORI: Gli schiavi
del
tessile
niccolò zancan
inviato a seano (prato)
Ecco quello che si deve sapere. «Mi chiamo Ehtisham Hussain, ho 29
anni, sono pachistano. Il mio lavoro nel distretto della moda di
Prato consiste in questo: chiudo scatole, carico scatole, scarico
scatole, metto i capi sugli attaccapanni e poi chiudo altre scatole,
le carico e le scarico ancora. Ogni giorno. Per dodici ore al
giorno. Sette giorni su sette. Guadagno 1200 euro al mese. Ma senza
riposo, senza malattia. Quando devo andare in questura per il
documento, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Ogni volta che c'è
un problema, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Quando finisco il
turno, devo lavare i bagni e i pavimenti».
Ehtisham Hussain lavora in uno dei distretti economici italiani più
redditizi del mondo per una paga di 3 euro e 33 centesimi all'ora.
Ecco perché da domenica è in sciopero con altri lavoratori nelle sue
stesse condizioni. Sono i dipendenti di cinque aziende della zona
che chiedono di poter lavorare otto ore al giorno e di poter avere
un giorno di riposo settimanale. Mercoledì notte stavano facendo un
picchetto davanti ai cancelli della ditta di confezioni "Lin Weidong"
a Seano, quando è arrivata la squadraccia di picchiatori.
«In quel momento c'erano in tutto otto persone» spiega adesso la
coordinatrice di "Sudd Cobas", Sarah Caudiero. «Due lavoratori e due
sindacalisti erano a dormire nelle tende, due lavoratori e altri due
dei nostri erano qui ai tavolini per il turno sveglia». La
squadraccia di picchiatori è arrivata alle spalle. Scavalcando una
rete. Era buio pesto. Notte nera. «Per prima cosa hanno urlato:
"Fermi tutti, polizia!". Poi hanno iniziato a picchiare con dei
bastoni. Avevano felpe scure, cappucci in testa. Picchiavano.
Picchiavano tutti. Prima di scappare, hanno detto: "La prossima
volta vi spariamo"».
Erano italiani. «Leggera inflessione dialettale toscana», precisa
chi si è preso quelle mazzate sulla schiena. Ieri pomeriggio le
vittime del pestaggio - quattro persone con contusioni e lividi -
sono state sentite in procura. E sempre da ieri, un'auto dei
carabinieri resta di scorta davanti al presidio dei lavoratori. È
qui che incontriamo Ehtisham Hussain: «Siamo tutti stanchi, troppo
stanchi. Io mando 500 euro al mese a casa per fare vivere la mia
famiglia. Quando arrivano i miei soldi, loro vanno a fare la spesa.
Sono il più grade di cinque fratelli. Tutti dipendono dal mio lavoro
in Italia». Ma quale lavoro? Quale tipo di lavoro?
Il tessile: 10 mila aziende (compreso l'indotto) grandi, medie e
piccolissime, 35 mila lavoratori emersi. Ma ogni volta che uno
nomina questo distretto deve sempre ricordare i sei operai bruciati
vivi nel laboratorio di Prato dove lavoravano e pure dormivano, deve
sempre ricordare Luana D'Orazio stritolata da un orditoio a
Montemurlo perché il sistema di sicurezza era stato manomesso per
non rallentare l'impianto. E adesso? Ecco questi nuovi lavoratori
picchiati mentre cercavano di affermare la loro stessa esistenza in
vita. Avete paura? «No» risponde la sindacalista Sarah Caudiero.
«Siamo abituati. Non è la prima volta che riceviamo minacce o
peggio. A marzo un caporale di una ditta della logistica, "la
AccaSrl", ha picchiato i lavoratori per farli uscire dal sindacato,
mentre cercavamo un accordo per lavorare 8 ore al giorno invece che
12. Abbiamo contato sei aggressioni fra la primavera e l'estate».
Era il distretto dei cinesi al servizio dei grandi marchi della moda
internazionale. Ma adesso i lavoratori più poveri sono tutti
pakistani e afgani. Sono loro che stanno cercando di portare
all'attenzione di tutti quello che sta succedendo. Lo sciopero di
domenica ha coinvolto i lavoratori di cinque marchi: stireria Tang,
logistica Tredesi, tessitura Sofia, la fabbrica di cerniere Linzhong
e - appunto - confezioni Lin Weidong. Le prime quattro hanno aperto
un tavolo di trattativa. La quinta, per ora, rifiuta qualsiasi
possibile accordo. Per conto di chi sono arrivati i picchiatori? A
nome di chi stavano minacciando i dipendenti in sciopero?
La procura indaga, la politica si indigna. La sindaca di Prato,
Ilaria Bigetti, dice: «È inaccettabile che chi manifesta per i
propri diritti sia intimidito e aggredito». Tutti chiedono
chiarezza. Mentre i lavoratori sfruttati, che erano già scesi in
strada la notte del pestaggio, torneranno a manifestare domenica.
Per capire quello che ancora succede nel distretto del tessile più
famoso d'Italia bisogna sempre tenere a mente il caso Montblanc.
Erano lavoratori in committenza di due pelletterie di Campi
Bisenzio, impiegati dodici ore al giorno, sette giorni su sette, che
confezionavano borse vendute a 1200 euro al pezzo. Quando hanno
protestato, la casa madre ha tagliato i ponti: «Perché l'appaltatore
non ha rispettato gli standard delineati nel nostro codice di
condotta per i fornitori». E loro - i lavoratori sfruttati - sono
finiti per strada. Disoccupati.
Due giorni di perquisizioni negli uffici
dall'assessorato al Commercio; nel mirino anche i bandi per
l'assegnazione dei posti al settore ittico
Favori e consulenze al patron di Mercato centrale
Indagata LA INTOCCABILE
Virano, super dirigente del Comune
giuseppe legato
giulia ricci
Il mercato coperto e quello ittico finiscono nel mirino della
procura di Torino. A vario titolo bandi – in ipotesi d'accusa -
sospetti , interessamenti per rideterminazioni di canoni di
concessione, consigli su fideiussioni e per "rientrare" da
esposizioni debitorie e – in cambio – regalie e favori. E
nell'inchiesta del procuratore aggiunto Enrica Gabetta e del pm
Giovanni Caspani, finiscono due nomi rilevanti. Si tratta
dell'imprenditore Umberto Montano, presidente e Fondatore del brand
"Mercato centrale", un format di grande successo aperto nel 2014 a
Firenze ed esportato nel giro di 7 anni in altre tre città d'Italia:
a Roma nel 2016, a Torino nel 2019 e a Milano nel 2021. E proprio
Torino è costata a Montano un avviso di garanzia per corruzione. In
questa contestazione figura in concorso Paola Virano, dirigente (con
la carica di direttore) del dipartimento commercio della Città a sua
volta accusata – solo di turbativa – per il bando relativo
all'assegnazione del mercato ittico. Ma andiamo con ordine: l'altroieri
e ieri mattina i poliziotti della Sisco (Sezione investigativa del
Servizio centrale operativo) della polizia e della Squadra Mobile di
Torino hanno notificato 10 ordini di esibizione ad altrettanti
indagati, acquisito documenti anche a Firenze, dove il brand Mercato
Centrale è nato e nella sede dell'assessorato al Commercio del
Comune di Torino. I filoni dell'inchiesta sono tre, ma quelli più
rilevanti conducono alla super-dirigente (già riferimento della
macchina comunale in passato per le politiche urbanistiche) e
all'imprenditore del gusto la cui iniziativa d'impresa a Torino – al
contrario delle altre sedi con fatturati alle stelle e numeri di
pubblico rilevanti – non ha riscosso per nulla successo. Doveva
essere un locale stellato alla portata di tutti, ma il suo rapporto
con Torino non è mai decollato. E questo nonostante all'epoca
l'iniziativa contava su nomi di assoluto spessore del panorama della
cucina e del gusto: Davide Scabin in testa (del tutto estraneo alla
vicenda in oggetto). Secondo l'ipotesi d'accusa - da dimostrare in
giudizio – Virano avrebbe dato consigli a Montano su come gestire il
rientro da un debito pari a poco più di 500 mila euro con Soris e -
sempre su richiesta di Montano - si sarebbe impegnata (senza ancora
risultati concreti) per rivedere i costi della convenzione che
regolava la concessione degli spazi su canone. Con un ipotetico
risparmio di circa un milione di euro. In cambio Virano avrebbe
ricevuto delle regalie – pare l'utilizzo di una barca – durante un
weekend di vacanza trascorso all'Isola D'Elba dove la dirigente ha
anche una dimora estiva. Il secondo fronte è quello del mercato
ittico. Attualmente chiuso, più bandi (base d'asta 2,6 milioni) per
l'assegnazione ad operatori di mercato sono andati deserti.
L'ipotesi di turbativa, di cui Virano risponde insieme ad altre tre
persone riguarderebbe un presunto intervento della dirigente per far
abbassare l'iniziale importo fideiussorio a garanzia della
partecipazione all'investimento che avrebbe potuto favorire o meno
alcuni operatori. Il legale di Virano, Roberto Capra commenta: «La
mia assistita è molto serena perchè ha sempre e solo lavorato per il
bene della città e siamo fiduciosi che gli accertamenti in corso
daranno conto della ‘assenza di qualsiasi ipotesi di
responsabilità». In coda altri indagati a Trofarello in un terzo
filone dell'inchiesta che coinvolge l'attuale segretario comunale in
ordine a presunti reati in materia urbanistica.
professionisti
da giovedì scorso non hanno più messo piede nell'ospedale
Visite private in orario di lavoro Oftalmico, licenziati due medici
Caterina stamin
Timbravano come se stessero svolgendo regolare attività lavorativa
per l'ospedale. Peccato che in quelle ore, in cui erano pagati con i
soldi pubblici, visitassero pazienti privatamente. Per questo due
giovani oculisti dell'ospedale Oftalmico sono stati licenziati "per
giusta causa" dall'Asl Città di Torino. «A seguito di approfondite
verifiche, abbiamo preso provvedimenti nei confronti di due
professionisti - conferma Carlo Picco, direttore generale dell'Asl -
perché agivano in libera professione durante l'orario d'ufficio».
Per legge è prevista la netta separazione tra l'attività in orario
di servizio dei medici ospedalieri e la loro libera professione. Una
norma volta a evitare che i professionisti "rubino" tempo all'orario
per cui sono pagati dai cittadini e durante il quale devono svolgere
la loro attività da dipendenti. Nel caso in questione l'indagine,
durata mesi, ha preso in considerazione le "bollature" di due anni
consecutivi, dal 2022 al 2023. Per tutto questo periodo di tempo, i
due specialisti dell'Oftalmico - Riccardo B. e Alessandra M. - in
orario di "intramoenia"(ossia privato) più volte non si sarebbero "stimbrati
dall'ospedale": non avrebbero, quindi, sospeso il loro orario di
lavoro di dipendenti pubblici, mentre svolgevano la libera
professione privata. Così facendo, i due medici avrebbero anche
ricevuto un doppio compenso: dall'ospedale e dai privati cittadini
che, ignari di tutto, si sono rivolti a loro.
A mettere fine alle loro truffe alcuni controlli a campione dell'Asl
su diversi professionisti dell'ospedale: sono state esaminate le
prestazioni in intramoenia dei due oculisti e comparati gli orari.
Quindi, una settimana fa, entrambi i medici hanno ricevuto la mail
dall'Asl Città di Torino, che gli comunicava l'immediata
interruzione della loro attività lavorativa "per giusta causa". Da
giovedì scorso non hanno più messo piede all'Oftalmico. Dall'Asl è
partita la segnalazione all'autorità giudiziaria. I professionisti
potranno ricorrere contro il provvedimento di licenziamento,
proposto dalla Commissione di disciplina alla direzione generale.
Ma, viste le ripetute violazioni, sarà per loro difficile dimostrare
la buona fede.
11.10.24
MAFIA E STADI :
L'Antimafia
Inter e Milan
Le indagini
su
Grazia Longo
Roma
Sullo scandalo esploso dopo l'inchiesta della procura di Milano
"Doppia curva", che ha portato all'azzeramento dei vertici delle
tifoserie di Milan e Inter, interviene ora la Commissione antimafia.
A Palazzo San Macuto hanno già acquisito gli atti relativi alle
indagini e oggi il capogruppo Pd Walter Verini presenterà
ufficialmente la richiesta di un Comitato che possa occuparsi della
questione. La sua costituzione avverrà molto presto. «La presidente
della Commissione Chiara Colosimo mi ha già comunicato per le vie
brevi che accoglierà la mia richiesta - annuncia il senatore dem -.
È dunque probabile che dopo la lettura delle carte si procederà alle
audizioni dei presidenti dei club milanesi e delle persone utili
alla ricostruzione della vicenda».
L'idea del Comitato nasce dall'esigenza di una struttura più agevole
e snella rispetto all'assemblea plenaria. E l'obiettivo è quello di
estendere i lavori anche alle altre squadre per affrontare la piaga
delle infiltrazioni mafiose nel mondo del calcio. «Dobbiamo
affrontare un problema che non è solo milanese - precisa Verini -. È
noto che in moltissimi stadi italiani c'è questa situazione, in un
connubio pericolosissimo tra ultrà, criminalità e criminalità
organizzata. E le società spesso chiudono gli occhi».
Di qui l'idea di un Comitato che affronti, in un tempo definito, il
tema criminalità negli stadi, i rapporti con la criminalità
organizzata, le responsabilità delle tifoserie e cosa fare per
sradicare questi fenomeni. «Ovviamente non ci vogliamo sostituire
alla magistratura che fa la sua parte - prosegue -, come la fanno
anche le forze dell'ordine. La Commissione antimafia accende un faro
sul problema e il Comitato, dopo le audizioni può avanzare, magari
dopo sei mesi di attività, delle proposte al Parlamento per liberare
il calcio dalla criminalità organizzata che non ha niente a che fare
con il calcio, ma è solo delinquenza».
Verini pone l'accento sugli affari loschi che la criminalità
organizzata macina intorno agli stadi attraverso il bagarinaggio, il
merchandising, i parcheggi. Denaro che confluisce in attività
illegali come il traffico di droga e il riciclaggio: «La collusione
con la ‘ndrangheta è una miscela esplosiva molto pericolosa. La
Federcalcio, la Lega, le società di calcio devono prendere coscienza
e recidere questi collegamenti. Occorre restituire gli stadi ai
tifosi e non lasciarli nelle mani dei delinquenti».
All'attenzione del Comitato, inoltre, anche i pericolosi rapporti
delle tifoserie con l'estremismo nero. «Un aspetto che, come la
vicinanza ad ambienti mafiosi, riguarda varie città d'Italia, tipo
Verona, Bergamo, Torino, Roma - aggiunge -. In merito, infine, al
silenzio, spesso per quieto vivere, delle società di calcio, do atto
al presidente della Lazio Claudio Lotito di aver reciso i rapporti
con gli ultras, tanto da dover vivere sotto scorta».
LI AVEVO SCONSIGLIATI A PEVERARO MA COME AL SOLITO MI RISE IN FACCIA
: Il Comune ricorre in giudizio per 4 contratti con Jp Morgan e
Dexia Crediop Un altro è con Intesa Sanpaolo. Il primo cittadino:
"Resta partner strategico"
La Città fa causa alle banche per i maxi-derivati del 2000 "Sono
contenziosi ordinari"
ANDREA JOLY
Cinque cause a tre diversi istituti bancari per interrompere un
salasso da quasi 200 milioni (e che rischia di salire di altri 50).
La Città, stretta da anni nella morsa di cinque contratti derivati,
ha deciso di fare ricorso alle banche con cui sono stati
sottoscritti tra il 2006 e il 2007 dagli assessori al Bilancio Paolo
Peveraro (fino a quando divenne vicepresidente della Regione con
Mercedes Bresso) e Gianguido Passoni all'epoca di Sergio Chiamparino
sindaco. L'obiettivo è quello di fronteggiare i debiti ed eventuali
ulteriori rialzi dei tassi d'interesse. Tra speculazione e crisi
economiche, infatti, quelli che sembravano affari 18 anni fa si sono
rivelati una scommessa sconveniente per il Comune. Così, dopo la
ricognizione della situazione la decisione di fare ricorso.
A confermarlo è stato lo stesso sindaco Stefano Lo Russo, ieri, a
margine della sua visita al mercato di Porta Palazzo. «È un fatto
tecnico in mano agli avvocati, ma è una cosa ordinaria», ha
precisato rispondendo alle domande dei giornalisti. Dei cinque
contratti derivati citati in giudizio, due erano stati sottoscritti
con la multinazionale statunitense di servizi finanziari Jp Morgan;
due con l'istituto di credito specializzato nella concessione di
mutui e prestiti a lungo termine per la realizzazione di grandi
infrastrutture Dexia Crediop; uno con Intesa Sanpaolo.
La Città «ha tanti contenziosi e di tutti i tipi, dalle buche alle
multe - ha ricordato Lo Russo - Da sindaco vorrei averne meno, ma
quelli che ogni settimana esaminiamo sono molti e questo è uno di
quelli». E ha poi aggiunto, sollecitato sulla stretta collaborazione
per numerosi progetti con Intesa Sanpaolo Intesa, come «resti un
partner strategico della Città con il quale i rapporti sono
eccellenti e con cui lavoriamo benissimo, continuiamo a lavorare e
continueremo a farlo in futuro. Questo è un caso molto specifico».
Il primo cittadino ha infine concluso citando il caso del
contenzioso col ministero di Grazia e giustizia sul pagamento degli
emolumenti della polizia municipale: «Non ha certo impedito di avere
un buon rapporto in seguito».
L'iniziativa si inserisce nelle numerose azioni intentate dal Comune
per ridurre il debito della Città: «mettere a posto i conti» è tra
le priorità di Lo Russo fin dai primi giorni di insediamento. L'assessora
Gabriella Nardelli, anche alla luce del Patto per Torino siglato col
governo Draghi per garantire l'equilibrio finanziario con risorse
straordinarie fino a 113 milioni di euro, in questa prima parte di
mandato ha studiato i bilanci e la rinegoziazione dei mutui.
Nell'ambito dell'analisi della situazione finanziaria è emerso che i
contratti stipulati non solo avevano procurato un buco da quasi 200
milioni, come filtra dagli uffici, ma forte anche di una serie di
sentenze della Cassazione favorevoli ai ricorrenti si poteva
recuperare almeno in parte la cifra persa.
L'avvocatura della Città, filtra dalle prime indiscrezioni, ha
affidato la pratica allo studio "Cedrini & Zamagni". Obiettivo:
recuperare parte dei milioni persi e smettere di versarne altri. —
GIUSTIZIA ? La decisione del giudice di Brescia sull'esposto del
magistrato, a lungo nella Procura di Torino. Resta aperta la
posizione dell'ex procuratore
"Non c'è prova di complotto anti Padalino" Ma gli atti su Spataro
finiscono a Milano
elisa sola
«Non vi sono elementi per ipotizzare con un minimo grado di
fondatezza, tale da meritare il vaglio di un processo, che il
magistrato Andrea Padalino sia stato vittima di un complotto ordito
dai colleghi torinesi e della procura di Milano».
Lo scrive la gip Angela Corvi, del tribunale di Brescia, nel
provvedimento con cui ha archiviato la posizione di sette pubblici
ministeri in servizio nelle due città, all'epoca dei fatti al vaglio
delle indagini. La questione , però non è chiusa. La giudice ha
trasmesso le carte alla procura di Milano perché si valuti un ultimo
episodio, per il quale il nome di Armando Spataro, ex capo della
procura di Torino e in pensione al dicembre del 2018, fu iscritto
nel registro degli indagati per rifiuto in atti di ufficio. In
questo caso la gip Corvi ha preso atto che, per ragioni di
«competenza funzionale», non ha titoli per pronunciarsi, dal momento
che non ci sono magistrati milanesi interessati.
Il fascicolo era stato aperto dopo un esposto dello stesso Padalino.
Il magistrato, quando era in servizio a Torino come pubblico
ministero, era stato indagato per una vicenda di presunti favori in
procura. Al processo, celebrato a Milano, fu assolto.
Il caso di cui adesso dovranno occuparsi gli inquirenti di Milano,
riguarda un presunto divieto impartito dall'allora procuratore capo
Armando Spataro ai pubblici ministeri che stavano indagando sul
collega Padalino per i presunti favori nel Palazzo di giustizia di
Torino. A parlare del «divieto», come si ricava dalla lettura degli
atti, sono stati Anna Maria Loreto, succeduta a Spataro alla guida
della procura di Torino, e tre pubblici ministeri. La procura di
Brescia ha già fatto presente che a proprio parere non si
configurano illeciti di carattere penale.
Padalino, nell'esposto che diede il via alle indagini, lamentò, fra
l'altro, il mancato invio da parte di Spataro ai pm di Milano dei
resoconti di due procuratori aggiunti (Paolo Borgna e Patrizia
Caputo) che avrebbero potuto scagionarlo subito, senza passare per
il vaglio di un processo. Il gip del tribunale di Brescia, a
proposito, riporta ampi stralci di una relazione presentata nel 2023
da Anna Maria Loreto, da cui si dedurrebbe che i pm torinesi
chiesero più volte nel 2017 di ascoltare Borgna come testimone,
«vedendosi sempre opporre un netto rifiuto» da parte di Spataro. «In
luogo della testimonianza - affermava Loreto - Spataro si determinò
a chiedere a Borgna di redigere una relazione assicurandolo, su sua
richiesta, che non sarebbe mai entrata nel fascicolo». Il documento,
che non conteneva accuse contro Padalino, venne fatto leggere ai tre
pm torinesi che stavano lavorando al caso, con il «divieto» di
inserirlo negli atti di indagine. Una volta classificato «a
protocollo riservato», fu chiuso in cassaforte. Dopo il
pensionamento di Spataro fu Borgna, diventato reggente della
procura, a trasmetterlo alla procura di Milano il 7 marzo 2019. —
10.10.24
valentino Girlanda Sindaco di Bevilacqua: "In struttura pubblica
avrei aspettato 18 mesi"
"Cinquemila euro per non perdere la vista Ho dovuto chiedere un
prestito in banca" Paolo Russo
roma
Sarà che la sanità non è più nelle mani dei sindaci come ai tempi
delle vecchie Usl, ma non si può dire che per il primo cittadino di
Bevilacqua, nel Veronese, qualcuno abbia avuto un occhio di
riguardo. La vista anzi ha rischiato proprio di perderla a causa
delle liste di attesa.
Valentino Girlanda, 63 anni, è un paziente fragile. «Qualche anno fa
ho infatti subito il trapianto di rene. Poi durante i controlli
periodici ai quali mi devo sottoporre, ho scoperto che quelle prime
difficoltà nel vedere rischiavano di diventare un problema
decisamente grave a detta del medico». In entrambi gli occhi si
erano formate due cataratte. Un male comune a una certa età, solo
che al sindaco è avanzato velocemente, «limitandomi in breve tempo e
in modo significativo la vista. Una situazione anomala, causata dai
farmaci anti-rigetto che devo assumere da quando sono stato
trapiantato», precisa Girlanda. Che a quel punto decide di prenotare
una visita dall'oculista «anche perché di li a poco avrei dovuto
rinnovare la patente di guida, che in quelle condizioni non mi
avrebbero concesso. In regime pubblico però i tempi di attesa
andavano da due a tre mesi». Troppi, «così sono andato a farmi
visitare all'ospedale di Legnano ma in forma privata, sborsando per
questo i primi 100 euro». Una bazzecola rispetto a quello che
sarebbe seguito. «L'oculista mi consiglia di sottopormi subito ad
intervento chirurgico e chiama il centro unico di prenotazione della
Ulss. La risposta però è stata una doccia fredda: il primo posto
libero era disponibile solo dopo un anno e mezzo. E pensare
-aggiunge- che il mio medico nel fare richiesta aveva specificato
che non c'era tempo da perdere perché la situazione avrebbe potuto
peggiorare rapidamente, rendendo incerto l'esito dell'intervento».
Questo perché se non operata la cataratta può causare un aumento
della pressione oculare con danni irreversibili all'occhio.
«A quel punto, per non rischiare di rimanere cieco, sono andato a un
centro privato di Verona, dove dopo un paio di settimane mi hanno
effettuato una seconda visita pagata altri 100 euro e poi, a
distanza di 20 giorni, sono stato operato, sborsando ben 5.000 euro.
Ho dovuto chiedere un prestito in banca per fare subito il bonifico
ma non posso fare a meno di pensare che senza una buona pensione ora
non vedrei più». —
GRAZIE A SPERANZA PD E DRAGHI :
Collasso della sanità, pagano le famiglie 4,5 milioni di italiani
rinunciano a curarsi
Il 23 dicembre 1978 il Parlamento approvava a la legge 833 che
istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in attuazione
dell'art. 32 della Costituzione. Un radicale cambio di rotta nella
tutela della salute delle persone, un modello di sanità pubblica
ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità e
finanziato dalla fiscalità generale. Un SSN che ha permesso di
ottenere eccellenti risultati di salute e di aumentare l'aspettativa
di vita e che tutto il mondo continua a guardare con ammirazione.
Già nel marzo 2013, in occasione del lancio della campagna "Salviamo
il Nostro Ssn", la Fondazione Gimbe aveva previsto che la perdita
del SSN non sarebbe stata annunciata dal fragore improvviso di una
valanga, ma si sarebbe manifestata come il lento e silenzioso
scivolamento di un ghiacciaio, attraverso, lustri, decenni.
Un processo inesorabile che avrebbe eroso il diritto costituzionale
alla tutela della salute. E se fino alla pandemia la sostenibilità
del SSN è rimasto un tema tra addetti ai lavori, oggi la tenuta
della sanità pubblica, prossima al punto di non ritorno, coinvolge
60 milioni di persone. I principi fondanti del SSN sono stati
traditi: l'universalismo è lettera morta, visto che i Livelli
essenziali di assistenza (Lea) non sono esigibili da tutti;
l'uguaglianza e l'equità sono ormai un miraggio, viste le profonde
diseguaglianze nell'accesso a servizi e prestazioni. Il diritto
costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce
socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel
Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate si sta inesorabilmente
sgretolando.
Innumerevoli problemi gravano sulla vita quotidiana delle persone:
interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi,
impossibilità a iscriversi ad un medico di famiglia vicino casa,
migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e impoverimento
delle famiglie sino alla rinuncia alle cure. I dati del 7° Rapporto
Gimbe sul Ssn - presentati presso la Sala Capitolare del Senato
della Repubblica - documentano che la sanità pubblica fa acqua da
tutte le parti. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite
di 889 euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell'Unione
europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi, frutto
del costante definanziamento attuato da tutti i governi negli ultimi
15 anni. E il futuro non è affatto roseo: secondo il Piano
strutturale di bilancio approvato dal governo nel 2026 il rapporto
spesa sanitaria/Pil scenderà al 6,2%. Esplode la spesa pagata di
tasca propria dai cittadini: nel 2023 è aumentata del 10,3%, 3,8
miliardi in più del 2022. Un impatto sulle famiglie che, oltre a
rendere sempre meno esigibile il diritto universale alle cure, nel
2023 ha costretto quasi 4,5 milioni di persone a rinunciare a visite
o esami diagnostici, di cui circa 2,5 milioni per motivi economici.
La crisi motivazionale di medici e infermieri che abbandonano il Ssn
ha generato una carenza di personale che compromette qualità e
accessibilità dei servizi sanitari e aggrava i disagi per i
pazienti. Tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11.000 medici
e si stima che nel solo primo semestre del 2023 altri 2.564 medici
abbiano abbandonato il servizio pubblico.
Ma la crisi colpisce soprattutto il personale infermieristico:
l'Italia conta solo 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, uno dei
numeri più bassi d'Europa. Riguardo i Lea, le prestazioni che il Ssn
è tenuto a fornire a tutte le persone, nel 2022 solo 13 Regioni
hanno rispettato gli standard, con un divario sempre più marcato tra
Nord e Sud. Le uniche Regioni del Mezzogiorno promosse sono Puglia e
Basilicata, che si posizionano comunque in fondo alla classifica. E
la mobilità sanitaria riflette questo squilibrio, con i pazienti del
Sud che migrano verso le Regioni del Nord, gravando ulteriormente
sui bilanci già fragili delle aree meno sviluppate: in dettaglio,
nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato
un debito di quasi 11 miliardi. Diseguaglianze regionali su cui
incombe lo spettro dell'autonomia differenziata che legittimerà tali
divari.
Nel frattempo, altrettanto in sordina, si è involuta la percezione
pubblica del valore del Ssn: salute non più un bene supremo da
tutelare secondo il dettato costituzionale, ma una merce da vendere
e comprare. Una pericolosa involuzione che spiana la strada ad una
sanità regolata dal libero mercato, dove le prestazioni saranno
accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà
sottoscritto costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non
potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura globale
come quella offerta dal Ssn. E senza una rapida inversione di rotta,
il "ghiacciaio" continuerà inesorabilmente a scivolare: da un
Servizio sanitario nazionale fondato per la tutela di un diritto
costituzionale, a 21 Sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi
del libero mercato.
Il Paese corre un rischio gravissimo: perdere il Ssn non significa
solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto
mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare
ambizioni e obiettivi. È per questoche la Fondazione Gimbe ha
realizzato il Piano di rilancio del Ssn: un programma chiaro in 13
punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro Ssn
"malato". Un piano che mantiene come bussola l'articolo 32 della
Costituzione e il rispetto dei principi fondanti del Ssn, mettendo
nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse
adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna
riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe ha
invocato un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni
ideologiche di partito e avvicendamenti dei governi, riconoscendo
nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di
coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell'Italia.
Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e
responsabili, consapevoli del valore del Ssn, e a tutti gli attori
della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare
il bene comune.
Perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la
sanità deve essere per tutti.
Aggirato il veto di Orban sul piano del G7: per il rimborso si
useranno i beni russi congelati In forse l'arrivo di Biden al summit
di Ramstein. Ipotesi incontro Zelensky -Meloni a Roma
Maxi-prestito all'Ucraina l'Ue va avanti senza gli Usa "Garantiamo
35 miliardi"
Viktor Orban
MARCO BRESOLIN
INVIATO A LUSSEMBURGO
I governi dell'Unione europea hanno superato le titubanze interne e
hanno deciso di andare avanti con il maxi-prestito all'Ucraina
concordato dal G7 prima dell'estate. Anche se al momento non c'è la
garanzia assoluta che gli Stati Uniti faranno la loro parte nel
piano d'aiuti da 45 miliardi che sarà rimborsato con gli utili
generati dai beni russi congelati. L'amministrazione americana ha
subordinato il suo contributo alla modifica del meccanismo
sanzionatorio dell'Ue, che prevede un rinnovo ogni sei mesi:
Washington ha chiesto di estenderlo a 36 mesi, in modo da avere
maggiore prevedibilità ed evitare che due volte l'anno il
congelamento dei beni finisca ostaggio dei veti di un Paese. Ma il
governo ungherese continua a opporsi a questa modifica.
Per uscire dallo stallo, all'Ecofin di ieri i ministri delle Finanze
si sono trovati d'accordo sulla proposta avanzata da Ursula von der
Leyen in occasione del suo viaggio a Kiev del 20 settembre scorso:
l'Ue si impegnerà a erogare «fino a 35 miliardi di euro» - vale a
dire la propria quota da circa 17,5 miliardi più quella degli Stati
Uniti - nella speranza che Washington si accodi in un secondo
momento. I restanti dieci miliardi dovrebbero essere "coperti" da
Regno Unito, Canada e Giappone. I tre testi legislativi che
attiveranno il meccanismo finiranno oggi sul tavolo del Coreper,
l'organismo che riunisce i 27 ambasciatori Ue: per la loro
approvazione è sufficiente la maggioranza qualificata, mentre quello
che modifica le tempistiche per le sanzioni richiede l'unanimità. Ed
è proprio questo il motivo per cui si è deciso di "spacchettarli",
mettendo da parte il tema delle sanzioni.
«Ne riparleremo a novembre – ha tenuto il punto Mihaly Varga,
ministro delle Finanze ungherese –. Noi crediamo che la questione
dell'estensione delle sanzioni debba essere decisa dopo le elezioni
americane. Dobbiamo vedere in quale direzione andrà la futura
amministrazione Usa perché, come si può vedere dalla campagna, ci
sono due modi assolutamente diversi per risolvere il problema: uno
in direzione della pace e l'altro in direzione della guerra». In
sostanza, per dare il suo via libera, il governo ungherese aspetta
di vedere cosa farà la Casa Bianca, la quale però non prenderà una
decisione fino a quando l'Ungheria non avrà sbloccato la questione
delle sanzioni. Un cortocircuito che sembra non avere una via
d'uscita.
A Bruxelles c'è il timore che gli Stati Uniti potrebbero non entrare
mai nel meccanismo del prestito: si tratta di uno scenario probabile
in caso di vittoria di Trump. Per questo nelle prossime settimane
continuerà il pressing sulla Casa Bianca per convincere il
presidente Joe Biden a giocare d'anticipo e mettere così al sicuro i
fondi. Ieri era stato annunciato per sabato un incontro a Berlino
tra i leader di Usa, Regno Unito, Francia e Germania proprio per
discutere della situazione in Ucraina prima del vertice a Ramstein,
dal sostegno militare a quello finanziario. Ma poche ore dopo Biden
ha cancellato la sua presenza per via dell'uragano Milton. Il
vertice si sarebbe dovuto tenere nel formato Quad, dunque senza
l'Italia. In serata, però, è arrivata la notizia di una possibile
visita di Volodymyr Zelensky a Roma, prevista per domani, per
incontrare Giorgia Meloni.
Tornando al maxi-prestito all'Ucraina, il primo dei tre regolamenti
Ue consentirà di introdurre un meccanismo per raccogliere sui
mercati i 45 miliardi definiti dall'accordo siglato dal G7. Servirà
anche il via libera del Parlamento europeo, che si esprimerà a fine
ottobre: la prima tranche dei fondi sarà così erogata a Kiev entro
la fine dell'anno, mentre le restanti nel corso del 2025. Gli altri
due regolamenti modificheranno invece la destinazione d'uso dei
proventi generati dai beni russi congelati, che valgono a circa 3
miliardi di euro l'anno. Prima dell'estate, l'Ue aveva deciso di
utilizzare il 90% di questi fondi per il sostegno militare e il 10%
per la ricostruzione, ma ora le proporzioni si sono invertite: il
95% servirà per ripagare il prestito (nell'arco dei prossimi 40
anni) e solo il 5% per finanziare l'invio di armi. —
LO AVEVO INTUITO : Brescia, otto mesi a De Pasquale e Spadaro. Il
legale: "Precedente pericoloso per l'autonomia dei magistrati"
"Nascosero le prove alla difesa" condannati i pm del processo Eni
monica serra
milano
Con l'accusa di rigetto di atti d'ufficio, il Tribunale di Brescia
ha condannato a 8 mesi i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio
Spadaro, ora alla procura europea. Si è chiuso così, almeno in primo
grado, il processo ai due magistrati che avrebbero omesso di
depositare atti favorevoli alle difese nel procedimento Eni Nigeria,
in ogni caso terminato con l'assoluzione di tutti gli imputati,
compresi i vertici della compagnia petrolifera.
«Questa sentenza rappresenta un precedente pericoloso, perché mette
in discussione i principi fondamentali dell'autonomia e della
discrezionalità delle scelte processuali di un pubblico ministero»
ha dichiarato il difensore Massimo Dinoia, alla lettura del
dispositivo di una decisione contro cui ha già annunciato di fare
appello, mentre in quel momento i due pm hanno preferito non essere
presenti in aula.
Travolto a maggio dalla decisione del plenum del Csm di non
confermarlo nelle funzioni semi-direttive nella procura di Milano,
dove fino ad allora ha rivestito il ruolo di procuratore aggiunto a
capo del pool reati economici internazionali, De Pasquale è stato
l'unico pm in Italia ad aver ottenuto la condanna dell'ex premier
Silvio Berlusconi per frode fiscale. Nel giugno del 2021, con il
collega Spadaro, ha scoperto di essere indagato con la notifica di
un decreto di perquisizione informatica eseguita su computer e
dispositivi nel suo ufficio, al quarto piano del palazzo di
giustizia.
Per l'accusa, tra febbraio e marzo del 2021, i due magistrati
avrebbero omesso «volontariamente» di depositare al processo
«informazioni, prima verbali e poi documentali» che avrebbero minato
la credibilità del ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, coimputato ma
anche testimone «valorizzato» dai pm. Due, in particolare: un video
e delle chat trovate nel cellulare di Armanna dal collega Paolo
Storari (anche lui finito sotto processo a Brescia per rivelazione
del segreto d'ufficio, poi assolto) che in quel momento indagava sul
presunto complotto Eni e che le aveva inviate per mail ai due
colleghi. Chat che dimostravano che Armanna avrebbe pagato un
poliziotto nigeriano, chiamato come testimone per confermare le
accuse a Eni. «Si trattava solo della bozza di una memoria
informale» si sono difesi in aula i pm. Nella requisitoria, i
colleghi Francesco Milanesi e Donato Greco con il procuratore
Francesco Prete hanno sostenuto che avrebbero dovuto «adempiere agli
obblighi di legge», ossia non tanto «selezionare» gli elementi di
prova ma depositarli tutti alle parti processuali. Invece «con il
loro comportamento omissivo», «nascondendo» atti favorevoli agli
imputati, avrebbero «leso il diritto di difesa».
Il Tribunale presieduto da Roberto Spanò li ha condannati a 8 mesi
con sospensione della pena e non menzione, e ha stabilito che il
risarcimento alla parte civile Gianfranco Falcioni, ex vice console
onorario in Nigeria, da versare in solido con la Presidenza del
Consiglio, sarà liquidato in seguito al giudizio civile. Entro 45
giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza, solo dopo
la difesa potrà fare appello.
Inchiesta sugli ultrà Inzaghi e Zanetti tra i primi testimoni
Tra una settimana o poco più parte delle carte dell'inchiesta
sulle curve di San Siro, che ha azzerato i vertici ultrà della Nord
interista e della Sud milanista, arriveranno alla Procura federale
della Figc, che dovrà verificare, sul fronte della giustizia
sportiva, eventuali condotte "rilevanti" da parte di Inter e Milan o
dei loro tesserati. In queste ore, saranno ascoltati l'allenatore
nerazzurro Simone Inzaghi, il vicepresidente del club Javier Zanetti
e il capitano del Milan Davide Calabria. In seguito dovrebbero
essere sentiti il centrocampista interista Hakan Çalhanoglu e l'ex
difensore nerazzurro, ora al Psg, Milan Skriniar.
Il presidente della Provincia di Imperia è indagato per abuso
d'ufficio nell'inchiesta sulla compravendita di un'ex bocciofila. Si
va verso lo stralcio
Silurò la dirigente che non voleva firmare Scajola si salva grazie
alla riforma Nordio
mattia mangraviti
imperia
La riforma Nordio che ha cancellato il reato di abuso d'ufficio
salva anche il presidente della Provincia di Imperia Claudio
Scajola. L'ex ministro, infatti, risulta iscritto nel registro degli
indagati con l'accusa di abuso d'ufficio nell'inchiesta sulla
compravendita di un'ex bocciofila, a Imperia. La sua posizione,
però, verrà stralciata alla chiusura delle indagini, a meno che nel
frattempo non venga modificata l'ipotesi di reato, dato che l'abuso
d'ufficio è stato abolito lo scorso agosto.
Il ddl del ministro della Giustizia Nordio ha eliminato la norma del
codice penale che puniva il pubblico ufficiale che, violando
consapevolmente leggi, regolamenti o l'obbligo di astensione,
provoca un danno ad altri o si procura un vantaggio patrimoniale.
Nel 2020 l'articolo era stato modificato specificando che il reato
non si poteva configurare in presenza di margini di discrezionalità
amministrativa nell'adozione di un provvedimento. Una disposizione
ora cancellata del tutto.
A Imperia, l'inchiesta per falso e abuso d'ufficio vede indagati
Rosa Puglia, segretario generale della Provincia, Manolo Crocetta,
dirigente del settore legale, Michele Russo, dirigente del settore
Infrastrutture, Pier Carlo Gandolfo, geometra del settore
Infrastrutture, e Fulvio Modugno, ingegnere del settore
Infrastrutture. Oggetto dell'indagine presunte irregolarità
nell'acquisizione, da parte della Provincia, dell'ex bocciofila di
proprietà di un privato, Pietro Salvo.
Nel mirino il valore dell'immobile che presenterebbe criticità per
la presenza di vincoli urbanistici e di costruzioni abusive. In
particolare l'ex Bocciofila, in base all'ipotesi dei pm sarebbe
all'origine della decisione del presidente Scajola di sollevare
dall'incarico una dirigente della Provincia, Patrizia Migliorini,
perché si sarebbe rifiutata di firmare l'approvazione del progetto
di demolizione - a carico della Provincia, per 48 mila euro - degli
abusi edilizi commessi dal privato e il successivo atto di
affidamento dei lavori.
Secondo quanto contestato dalla procura Migliorini, dopo la
posizione contraria assunta, sarebbe stata oggetto di un crescente
"pressing" da parte della segretaria generale Rosa Puglia e di
Scajola, culminato con la destituzione dall'incarico e la nomina del
collega Michele Russo, più gradito all'ex ministro.
Proprio nell'ambito delle pressioni contestate dagli inquirenti, la
segreteria del presidente della Provincia, nonché sindaco di
Imperia, avrebbe inviato a Migliorini una mail con, scansionata, la
perentoria annotazione scritta da Scajola: «I dirigenti risolvono;
se non riescono se ne vadano, questo è il dovere!!!». Secondo la
procura una mail dal «degradante contenuto minatorio».
In base alla ricostruzione degli inquirenti, la Provincia avrebbe
quindi acquistato l'ex bocciofila da Pietro Salvo per 115 mila euro,
accollandosi, dopo il rifiuto del proprietario a eseguirli, anche i
lavori di demolizione degli abusi edilizi, 48 mila euro. Un totale
di 163 mila euro, a fronte del prezzo, 30 mila euro, al quale Salvo
aveva rilevato l'ex impianto nel 2010.
Un'operazione fortemente contestata prima dal consigliere
provinciale di opposizione Domenico Abbo («se c'è un abuso edilizio
del privato, perché paga la Provincia la demolizione? ») e
successivamente dalla funzionaria Migliorini che, in una nota
inviata al suo Crocetta scrive: «Ritengo che l'amministrazione
provinciale si stia accollando un onere non solo economico che
spetterebbe al proprietario con conseguente maggiori costi rispetto
al valore della perizia di stima».
L'acquisto dell'area di corso Roosevelt, quest'ultima oggetto anche
di un'inchiesta per corruzione che ha portato agli arresti dell'ex
vicepresidente della Provincia Luigino Dellerba e di due
imprenditori, Vincenzo e Gaetano Speranza, è stato voluto fortemente
da Scajola per realizzarvi un parcheggio il cui progetto prevede la
realizzazione di 28 posti auto. —
I CINESI DELLA JAC AL POSTO DELLA FIAT: Il mercato
I cinesi di Jac cercano casa per produrre a Torino
claudia luise
I cinesi di Jac sbarcano a Torino. Non una visita di cortesia, ma un
viaggio lungo e articolato della dirigenza della casa
automobilistica statale con sede ad Hefei, con funzionari
governativi al seguito, per valutare la possibilità di aprire uno
stabilimento produttivo in Piemonte. La visita è in programma per
metà novembre e si stanno fissando gli incontri con istituzioni,
università e rappresentanze imprenditoriali con lo scopo, oltre che
di aprire una sponda produttiva in Europa, anche di cercare nuove
partnership per la diffusione e la commercializzazione. Jac nel 2023
ha registrato ricavi intorno ai 5,8 miliardi di euro (in crescita
del 23,7% sull'anno) e le sue vendite in Cina raggiungono il mezzo
milione di veicoli. La sua gamma è composta soprattutto da veicoli
elettrici: city car, suv e commerciali.
La scelta di Torino non è casuale: Jac è da vent'anni a Pianezza,
con un centro di ricerca e sviluppo che nel tempo ha avuto
collaborazioni anche con Pininfarina per la J5. Ed è stato sempre un
manager di Jac a fondare nel capoluogo piemontese, nel 2017, la Xev
che poi ha lanciato la minicar elettrica Yoyo (tra i partner c'è
Eni). In Italia ha collaborato pure con la DR Automobiles per
commercializzare alcuni modelli di Suv riomologati secondo le
normative antinquinamento europee: così è nata la DR 4. Il
produttore orientale è anche entrato in un gruppo controllato al 50%
da Volkswagen e che produce con marchio Sol i veicoli elettrici di
Seat. La delegazione cinese sarà composta, oltre che dai manager
della Jac, anche dal sindaco della città di Hefei, con il ministro
dell'industria della provincia di Anhui, dove ha sede l'headquarter
del prodottore (nato come Anhui Jianghuai Automobile). «Cerchiamo di
giocare la nostra parte - spiega il sindaco di Torino, Stefano Lo
Russo, che venerdì interverrà in commissione consiliare per fare un
punto sullo stato di salute dell'automotive - che è quella di
portare il più possibile nella nostra città occasioni di produzione
e di lavoro, ovviamente dentro un quadro che sta cambiando e cambia
molto rapidamente».
sanita'
Costi elevati il 9 per cento rinuncia alle cure
Sanità: aumenta la frattura tra Nord e Sud del Paese. Aumenta la
spesa per le famiglie. E aumenta anche il numero di quanti sono
costretti a rinunciare alle cure. E' la sintesi del Rapporto che la
Fondazione Gimbe pubblica periodicamente per monitorare lo stato di
salute della nostra sanità. Restando al Piemonte, la percentuale di
famiglie che nel 2023 ha rinunciato alle prestazioni sanitarie è
pari al 8,8%. In diminuzione rispetto al 2022 (si attestava al 9,6%)
ma comunque al di sopra della media nazionale, ferma al 7,6%. Quanto
al personale sanitario, in Piemonte infatti (dato 2022) si contano
2,09 medici dipendenti ogni mille abitanti contro una media Italia
di 2,11. Migliore la situazione nel comparto degli infermieri
dipendenti: 5,4 unità ogni mille abitanti contro una media Italia
pari a 5,1. Rapporto medici-infermieri: in Piemonte è pari a 2,59
ogni mille abitanti contro una media Italia ferma a 2,44. Edilizia
sanitaria: entro il 2026 dovranno essere in funzione 82 case di
comunità ma per ora ne sono state dichiarate attive 17, il 21%,
contro una media nazionale peraltro ferma al 19%. Centrali Operative
Territoriali: delle 43 da varare entro il 2024 ne risultano
funzionanti a pieno regime 27, il 63% del totale (contro una media
Italia ferma al 59%). Ospedali di Comunità: 27 da attivare entro il
2026, ad oggi siamo a zero contro una media italiana pari al 13% di
opere realizzate. Terapie intensive e semintensive: al 31 luglio la
Regione aveva realizzato il 57% dei posti letto aggiuntivi di
terapia sub-intensiva, contro una media italiana ferma al 52%.
ale.mon .
09.10.24
Ordinario a soli 29 anni: il padre Annibale è stato presidente della
Corte su indicazione di An
Il giovane costituzionalista figlio d'arte che ha ispirato il
premierato a Meloni
francesco grignetti
roma
Cortese, discreto, sempre attento al confine tra decisione politica
(di cui è rispettosissimo) e consulenza giuridica, Francesco Saverio
Marini è l'uomo che sussurra di riforme costituzionali all'orecchio
di Giorgia Meloni. Sono quasi coetanei, lui nato a Roma nel 1973 e
lei nel 1977. L'area politica, poi, è comune, essendo Marini il
figlio di Annibale Marini che come lui è stato professore di Diritto
all'università romana di Tor Vergata ed è stato giudice
costituzionale dal 1997 al 2006 (e nell'ultimo anno anche presidente
della Corte) su indicazione di Alleanza nazionale.
Di Francesco Saverio si dice che sia il padre della riforma sul
premierato. E in effetti, dalla sua postazione a palazzo Chigi – da
dove salterebbe alla Corte costituzionale con inedito passaggio
diretto – ha pilotato i testi che il governo ha portato in
Parlamento. E fin dai primi incontri che Giorgia Meloni ebbe con
l'opposizione fu evidente che non era un caso se quel giovane
professore le sedeva accanto.
Il mantra della stabilità li accomuna, la leader e il suo
consigliere giuridico. Diceva spesso Marini in quei giorni:
«L'instabilità dei governi è il vero macro-problema italiano». Con
quale forma arrivarci, però, in fondo conta poco per entrambi. E
spiegava la riforma così: «Siamo rimasti nel solco del
parlamentarismo». Per aggiungere: «Il nostro intento è quello di
garantire stabilità e governabilità preservando per quanto possibile
la nostra tradizione costituzionale e gli equilibri istituzionali
esistenti». Per quanto possibile, appunto.
Di suo, Marini ci mette anche una robusta sponda cattolica. È
significativo il bastione dell'università di Tor Vergata, da sempre
nell'alveo dei movimenti cattolici romani: qui era professore suo
padre Annibale; qui insegna suo fratello Renato, ordinario di
diritto privato; e qui Francesco Saverio si laurea, è nominato
cultore della materia, professore associato, ordinario a soli 29
anni e ora è anche pro-rettore. Rettore peraltro era Orazio
Schillaci, ministro della Salute.
Le uniche sortite fuori da Tor Vergata sono nel 1998 alla facoltà di
Giurisprudenza della Libera Università Maria Santissima
Assunta-Lumsa e poi dal 2006 al 2011 nella facoltà di diritto
canonico dell'Università lateranense. Dapprima è stato nominato
giudice istruttore e giudice dell'esecuzione civile presso il
tribunale della città del Vaticano, poi giudice applicato del
tribunale del Vaticano, di recente il Papa lo ha nominato magistrato
ordinario.
Nel 2021 è vicepresidente del Consiglio di presidenza della Corte
dei Conti, membro laico nominato dal Parlamento. Il suo studio di
brillante amministrativista ha molti clienti importanti. Dal 2006 al
2011 ha curato il contenzioso costituzionale della Regione Valle
d'Aosta e oggi presiede il Comitato paritetico Stato-Regione Valle
d'Aosta.
Ad introdurlo negli ambienti romani che contano è stato anche
Antonio Catricalà, amico del padre, che anche lui nel tempo ha
insegnato a Tor Vergata. Così dal 2009 al 2011 Francesco Saverio
Marini è stato consigliere giuridico dell'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, in anni della presidenza Catricalà. Lo
avrebbe poi seguito come capo della segreteria tecnica quando l'ex
presidente dell'Antitrust divenne sottosegretario alla presidenza
del consiglio nel governo Monti nel 2011 e 2012. Giovane sopraffino
tecnico al servizio di un aborrito (da Meloni) governo tecnico.
ennesimo blitz da inizio settembre al cantiere nella cascina
malpensata, dove nascerà il centro didattico
Meisino, quarto stop degli attivisti pier francesco caracciolo
Per la quarta volta in un mese hanno bloccato i cantieri nel Meisino.
Questo hanno fatto, ieri mattina, attivisti e residenti nella zona
di Sassi. Una decina di loro, alle 8.30, si sono parati davanti alla
gru che, da circa un'ora, all'interno del parco stava arando una
fetta di prato a ridosso di corso Sturzo. Così facendo, hanno
indotto gli operai incaricati dalla Città a interrompere i lavori,
che in quel punto del parco prevedono la realizzazione di una
passerella pedonale nell'ambito del progetto per la realizzazione di
un «centro per l'educazione sportivo-ambientale».
È stata così bloccata sul nascere quella che doveva essere la
ripartenza del cantiere nel verde del parco, dove i lavori erano
fermi dal 24 settembre. Uno stop, quello delle ultime due settimane,
deciso dalla Città per verificare l'eventuale presenza di ricci nel
Meisino, poi esclusa dopo un accertamento di un pool di esperti.
Quello delle 8.30 non è stato l'unico presidio anti-cantiere di
giornata. Nel pomeriggio, alle 15, la scena si è ripetuta: da una
parte una gru, di nuovo diretta verso il verde a ridosso di corso
Sturzo, dall'altra una decina di attivisti del comitato Salviamo il
Meisino. Gli operai, in nessuno dei due casi, hanno forzato la mano.
Anche perché, a differenza dei giorni scorsi, l'area non era
presidiata in forze dalla Polizia (presenti solo due agenti).
Hanno però proseguito i lavori nella cascina Malpensata, destinata a
diventare la base operativa del futuro centro didattico-ambientale,
al cui interno i cantieri non si sono mai fermati. Un progetto,
quello del Comune, da 11,5 milioni di euro, di cui gli attivisti non
vogliono sentir parlare. Le venti strutture ludico sportive previste
nel verde, a loro dire, devasterebbero una riserva naturale con
caratteristiche uniche, a Torino, in termini di fauna e flora. Per
questo presidiano il parco dal 6 settembre, data di apertura del
cantiere. La prima volta avevano rallentato i lavori il 9. Quella
mattina l'ingresso delle gru nel parco era stato bloccato per tre
ore da un presidio pacifico, poi sgomberato dalle forze dell'ordine.
La seconda due giorni dopo, quando le operazioni degli operai erano
state fermate per circa mezzora. La terza il 24 settembre scorso,
proprio nel verde a ridosso di corso Sturzo: in quel caso gli operai
avevano fatto dietrofront.
08.10.24
NON MERITOCRAZIA MA APPARTENENZA:
coop nere
La rete
delle
L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana.
Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il
rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la
presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui
social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del
governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente
con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della
Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella
sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo
imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di
Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex
ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è
accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e
proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in
grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri,
il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla
Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino
all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei
protagonisti della destra nella capitale ciociara.
Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per
alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di
Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici
dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa
sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha
avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si
occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di
riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi
Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha
ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria
della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I
legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una
seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri
affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo
caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di
Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di
amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato
guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la
giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al
mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati
da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella
cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella
Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da
Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De
Angelis.
Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa
sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente
dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non
effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli
affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi
2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul
sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però
arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la
firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee"
(riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei
fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte
dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto
negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno
portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed
interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al
centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero
dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018
membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici
«falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento
di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di
Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel
1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da
quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal
giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del
2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica
della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione
degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione
coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche
delle società cooperative».
Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori
pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema
destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di
Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo
un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota
militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di
un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini –
estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il
vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di
Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di
quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia
Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo
al mondo dell'ex Nar.
La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire
a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo
grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della
Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un
contratto di assunzione firmato nel 2014. coop nere
La rete
delle
L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana.
Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il
rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la
presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui
social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del
governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente
con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della
Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella
sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo
imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di
Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex
ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è
accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e
proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in
grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri,
il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla
Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino
all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei
protagonisti della destra nella capitale ciociara.
Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per
alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di
Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici
dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa
sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha
avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si
occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di
riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi
Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha
ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria
della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I
legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una
seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri
affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo
caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di
Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di
amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato
guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la
giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al
mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati
da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella
cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella
Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da
Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De
Angelis.
Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa
sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente
dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non
effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli
affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi
2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul
sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però
arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la
firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee"
(riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei
fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte
dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto
negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno
portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed
interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al
centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero
dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018
membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici
«falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento
di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di
Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel
1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da
quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal
giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del
2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica
della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione
degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione
coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche
delle società cooperative».
Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori
pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema
destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di
Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo
un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota
militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di
un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini –
estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il
vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di
Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di
quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia
Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo
al mondo dell'ex Nar.
La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire
a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo
grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della
Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un
contratto di assunzione firmato nel 2014.
Ecco i falsi nell'inchiesta su 25 direttori (ed ex) della Città
della Salute I pm: "Dissero al Mef che era tutto ok, ma i bilanci
non erano veritieri"
"Tutte le menzogne dei manager indagati alla Corte dei conti"
elisa sola
Non solo i bilanci falsificati. I crediti non riscossi e i
"disordini" contabili accumulati anno dopo anno, dando consistenza a
un passivo totale milionario. Ma ci sarebbero anche le false
comunicazioni riferite alla Corte dei conti, al Mef e alla Regione,
tra i reati contestati dalla procura di Torino nei confronti dei
vertici della Città della salute.
Nelle quaranta pagine dell'atto di conclusione indagini, notificato
nelle scorse ore a 25 direttori (o ex) dell'azienda ospedaliera, a
dirigenti e membri dei collegi sindacali, oltre alle contestazioni
di falso, relative ai bilanci dell'ultimo decennio, e di truffa, che
riguarda il mancato accantonamento del 5 percento delle visite
intramoenia, ci sono alcuni capi di imputazione sulle presunte
"bugie" che sarebbero state scritte, sullo stato dell'arte dei conti
del polo sanitario, alla Corte dei conti. È uno degli aspetti sui
quali hanno indagato i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni, che ad
alcuni ex componenti del collegio sindacale, in totale sette,
contestano il reato di falso ideologico in atto pubblico. «In
concorso tra loro – scrive la procura - con più omissioni e azioni
di un medesimo disegno criminoso in qualità di pubblici ufficiali,
disattendendo i principi di diligenza professionale e correttezza
che reggono l'assolvimento delle funzioni di vigilanza e controllo
proprie del Collegio sindacale, hanno violato la normativa e gli
obblighi di revisione e controllo previsti dal Mef». Le mancate
verifiche riguarderebbero una serie di obiettivi di bilancio che
vanno raggiunti e comunicati anno dopo anno. Tra le inadempienze, ci
sarebbero quelle sul mancato controllo dell'esistenza di una
contabilità separata per i soldi incassati con le attività di libera
professione. Nessuno, in sostanza, avrebbe distinto i conti,
generando una mescolanza ambigua che, ora, è al vaglio degli
inquirenti.
Ma non è finita. Uno dei fatti più gravi - secondo i pm - è
descritto negli ultimi capi di imputazione dell'atto giudiziario.
Gli indagati avrebbero mentito alla Corte dei conti, spedendo
questionari con risposte false. I membri del collegio sindacale per
legge devono relazionarsi alla Corte, ogni anno, inviando una
relazione sul bilancio di esercizio e le risposte di un dettagliato
questionario. Ora, secondo l'ipotesi dell'accusa, gli esponenti dei
collegi sindacali della Città della salute, insieme ad alcuni ex
direttori generali, avrebbero - dal 2014 al 2021 - «attestato
falsamente di avere compiuto fatti e adottato comportamenti di
vigilanza e controllo, dei quali i predetti atti erano destinati a
provare la verità, attestando la corretta organizzazione e gestione
contabile dell'Azienda e la corretta applicazione delle leggi
sull'esercizio della libera professione». Gli indagati avrebbero
anche accertato falsamente che «i sistemi amministrativo contabili
fornivano ragionevole certezza al bilancio», tra cui appunto,
l'esistenza di una «contabilità separata per l'attività intramoenia»
e di avere svolto «puntuali verifiche sulla corretta applicazione
della legge Balduzzi». Insomma, sulla carta, sarebbe stato tutto
perfetto. Conti in ordine, bilanci puliti e normativa rispettata. Ma
secondo la procura la realtà sarebbe stata ben diversa. Gli ex
direttori Pier Paolo Zanetta, Silvio Falco e all'attuale Giovanni La
Valle, secondo gli inquirenti, avrebbero anche scritto risposte
false sui questionari di rilevazione Alpi recepiti dalla Regione
Piemonte, inducendo in errore quindi, la Regione stessa e il Mef.
Entrambi gli enti figurano parti offese in questa indagine, insieme
alla stessa azienda di Città della salute al ministero della Sanità.
Tutti gli indagati
Ecco tutti i nomi dei manager indagati dalla procura che nei giorni
scorsi hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagine, atto che
prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. Hanno 20 giorni di
tempo per chiedere di essere sentiti dai pm. Sono Mario Albertazzi,
Valter Alpe, Vincenzo Altamura (Collegio sindacale), Lorenzo
Angelone, Davide Benedetto, Paolo Biancone, Fabrizio Borasio,
Beatrice Borghese, Andreana Bossola, Rosa Alessandra Brusco, Giacomo
Buchi (Collegio sindacale), Angelo Del Favero, Maurizio Dall'Acqua,
Eugenia Grillo, Giovanni La Valle, Pier Luigi Passoni, Andrea
Remonato (Collegio sindacale), Lucia Scalzo, Margherita Spaini
(Collegio sindacale), Giuseppe Stillitano, Renato Stradella, Alessia
Vaccaro (Collegio sindacale), Nunzio Vistato, Gian Paolo Zanetta.
07.10.24
L'intervista
"Le banche pronte ad aiutare i conti ma ora il governo abbatta il
debito "
Gian Maria Gros-Pietro Le misure
La crisi ai confini
"
I divari salariali
TORINO
Nessuna chiusura di fronte alla richiesta di sacrifici da parte del
governo. «Il sistema bancario italiano ha sempre avuto come
principio quello di venire incontro al sistema economico e sociale»,
dice Gian Maria Gros-Pietro. «Tuttavia», spiega il presidente di
Intesa Sanpaolo, riguardo l'intervento di cui si starebbe discutendo
al Ministero del Tesoro «ci si attende che non abbia impatti sul
conto economico». Perché già ora quello del credito è il settore
«che paga le imposte più elevate tra le società per azioni».
Presidente, a ogni stagione si parla di tassare gli extraprofitti di
banche e assicurazioni. Che ne pensa?
«Nei principi contabili internazionalmente accettati, il concetto di
extraprofitti non esiste. I profitti sono la differenza tra i ricavi
e i costi, può essere positiva o negativa, l'extra non è
aritmeticamente determinabile. Capisco, però, che ci si riferisca a
un concetto morale: si parla di profitti non meritati, perché
dipendono da qualcosa che non hai fatto tu. Nel caso delle banche,
però, c'è stato il periodo dei tassi di interesse negativi, una
situazione innaturale, in cui si stava "sott'acqua". Non ha senso
considerare "extraprofitto", immeritato, il miglioramento rispetto a
una situazione eccezionalmente negativa e assurda, nella quale chi
prestava denaro, anziché essere remunerato, "pagava" la controparte
affinché si godesse il prestito».
È un'apertura al governo?
«Una disponibilità c'è, certamente».
Che manovra servirebbe, davvero, per i conti del Paese?
«Comincio dal messaggio del Presidente della Repubblica a Cernobbio:
bisogna abbattere il debito. Una delle strade, come ha proposto
tempo fa il nostro consigliere delegato Carlo Messina, passa dalla
vendita di una parte del patrimonio immobiliare pubblico che, se
gestito in maniera più attiva e con investitori istituzionali,
verrebbe valorizzato. Tutto questo unito al controllo dell'avanzo
primario, che rimane imprescindibile».
Una boccata d'ossigeno potrebbe arrivare già nei prossimi giorni,
quando si riuniranno i vertici della Bce. È l'ora di un nuovo taglio
dei tassi?
«L'attività produttiva sta rallentando, l'inflazione scende: ci sono
tutti gli elementi per un taglio dei tassi di interesse. Penso che
la Bce continuerà con riduzioni di un quarto di punto. Ne farà una
adesso e una più avanti».
Dietro il cambio di passo di Francoforte, però, sembra esserci
soprattutto la frenata della Germania. Preoccupante per l'Europa,
per l'Italia e, in particolare, per il Nord-Ovest, che è un
importante fornitore dell'industria tedesca. Quanto sarà grave il
contraccolpo?
«Possiamo aspettarci difficoltà, anche se non così gravi. Il
rallentamento tedesco è legato a tre fattori: l'enorme rilevanza
delle esportazioni per Berlino, la forte concentrazione su alcuni
settori produttivi, come quello dell'automobile, e
l'internazionalizzazione delle catene produttive, soprattutto
nell'Est Europa».
Ma l'Italia, oggi, è ancora così dipendente dalla Germania?
«In parte sì, ma rispetto all'economia tedesca, il nostro settore
industriale, e in particolare quello manifatturiero, è molto più
diversificato, sia dal punto di vista merceologico che geografico, e
flessibile. Abbiamo una struttura produttiva che può adattarsi
rapidamente».
Restiamo tra Roma e Berlino. Cosa pensa della possibile acquisizione
di Commerzbank da parte di Unicredit e delle polemiche che ha
scatenato?
«Viviamo una situazione di forte dinamismo, cosa che non si
riscontra allo stesso modo in altri Paesi. Se si dice che l'Europa
ha bisogno di banche più grandi, e questo vale anche per la
Germania. Finora, in Europa, le grandi operazioni transnazionali
sono state fatte quasi tutte qui da noi: quando Crédit Agricole ha
acquisito Cariparma, quando Bnp Paribas ha rilevato una banca di
Stato come Bnl e quando, per un soffio, Banca Intesa e Sanpaolo Imi
non sono finite nelle mani di Crédit Agricole e Santander».
Ma quella doppia acquisizione sfumò...
«Vero, ma non per intervento del governo. Bensì perché due grandi
banche italiane si sono guardate allo specchio e hanno deciso di
intervenire, fondendosi tra loro».
Dunque Unicredit-Commerzbank va fatta...
«È un'operazione di cui – secondo le forze produttive di quel Paese
– la Germania ha bisogno. Dopo una prima levata di scudi, sono
cominciate a emergere opinioni favorevoli, sia da parte dei clienti
delle banche sia dai regolatori. Più di questo non penso si possa
dire».
I più recenti dati Ocse indicano che in Italia, all'inizio del 2024,
si è registrato un aumento retributivo significativo, pur permanendo
un notevole divario rispetto ad altri Paesi. Quali misure si
potrebbero adottare per colmare questa distanza?
«Il recupero del potere d'acquisto è fondamentale. Intesa Sanpaolo
lo ha sostenuto durante il rinnovo del contratto collettivo dei
bancari. Serve maggiore produttività, che consenta di pagare salari
internazionalmente competitivi. Abbiamo ottime università, ma
rischiamo di regalare all'estero i nostri talenti: una perdita di
valore che bisogna fermare. Dobbiamo attrarre e trattenere il
capitale umano diminuendo il divario di retribuzione tra il nostro e
quello di altri Paesi».
Le imprese lamentano ritardi, le amministrazioni locali troppa
burocrazia. Teme che il Pnrr finisca per essere un'occasione
mancata?
«Certamente abbiamo un problema di burocrazia, ma il Pnrr può essere
uno strumento che ci aiuta a superarlo. Il problema è l'interazione
con le istituzioni, le cui autorizzazioni non arrivano
tempestivamente. Anche questo va superato. Uno degli obiettivi di
questo strumento è fare dell'Europa un posto in cui si può lavorare
meglio. Detto ciò, potrebbe esserci qualche ritardo – la spesa già
realizzata si limita a poco più di un quarto di quanto sarà
disponibile (26%) – ma l'Italia è uno dei Paesi sopra la media in
termini di assegnazione dei fondi. E questo anche grazie al lavoro
del ministro Raffaele Fitto, oggi passato alla Commissione».
Avete appena presentato un libro sulla storia del Sanpaolo. In un
quadro economico così incerto, quali sono le strategie adottate da
voi per affrontare le sfide attuali e future?
«Nel grattacielo di Torino, al piano sotto a quello del mio ufficio,
c'è l'Innovation Center, cinghia di trasmissione tra la banca e il
mondo dell'innovazione. Attraverso esso controlliamo Neva, un
operatore di venture capital. Abbiamo sottoscritto il suo primo
fondo con 100 milioni di euro e il presidente Luca Remmert e l'ad
Mario Costantini ne hanno raccolti altri 150 sul mercato.
Recentemente, abbiamo dato via al secondo fondo in cui noi
contribuiamo con 200 milioni e intendiamo raccoglierne sul mercato
altri 300. Siamo sicuri che ce la faremo, perché i risultati, anche
economici, del primo fondo sono ottimi. Un gruppo grande come il
nostro ha la possibilità di investire in conoscenza. Noi guardiamo a
lungo termine e questo libro lo evidenzia. Oltre all'innovazione,
bisogna essere in grado di affrontare il cambiamento climatico, la
distruzione di risorse non riproducibili e l'inquinamento. Cambiare
il nostro modo di fare è un'urgenza, ma il processo deve essere
socialmente tollerabile».
Quel blitz sui giudici che mina il pluralismo Donatella Stasio
Lo sblocco, improvviso e unilaterale, dell'elezione del quindicesimo
giudice della Corte costituzionale conferma, se ce ne fosse bisogno,
un tratto identitario del governo Meloni, quello di un potere
autoritario, insofferente al pluralismo e ai diritti delle minoranze
e, quindi, anche a chi quei diritti è chiamato a tutelare. Come la
Corte costituzionale. Che la premier ha deciso di conquistare, forte
di una maggioranza "qualificata" ottenuta grazie ai cambi di casacca
di alcuni parlamentari. Appropriarsi della Corte significa
appropriarsi delle nostre libertà, dei nostri diritti civili e
sociali, messi a dura prova in questi due anni di governo. Significa
farne ciò che si vuole, senza avere la spada di Damocle di una
censura successiva. Significa eliminare ogni argine al proprio
potere "assoluto". Ed è quanto sta accadendo sotto i nostri occhi,
in un clima politico e mediatico di indifferenza che, forse, è
ancora più preoccupante del tentativo delle destre di appropriazione
indebita della Corte.
Lo aveva detto a gennaio: sarebbe stata lei "a dare le carte" nella
partita sull'elezione parlamentare dei giudici costituzionali, uno
già scaduto a novembre 2023 e altri tre in scadenza a dicembre 2024.
Detto, fatto: dopo aver tenuto la Corte zoppa per quasi un anno, ora
Giorgia Meloni decide di incassare la sua prima vittoria, senza
neanche giocare la partita con l'opposizione, come farebbe chi ha
ben chiari i suoi doveri istituzionali rispetto a un organo di
garanzia come la Consulta. Un fedele interprete di quei doveri
avrebbe cercato subito un candidato che, al di là dell'orientamento
culturale, fosse «meritevole, per cultura giuridica, esperienza,
stima e prestigio, di assumere quell'ufficio così rilevante», per
dirla con le parole del presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, e sul quale far convergere anche i voti
dell'opposizione. Ma la premier non ci pensa proprio a far sedere al
tavolo Schlein e compagni. Il trasformismo politico dei parlamentari
le ha regalato i 363 voti necessari ad eleggersi da sola i giudici
costituzionali, ovvero la maggioranza "qualificata" dei 3/5 di
deputati e senatori: un quorum alto – persino più alto di quello
richiesto per eleggere il Capo dello Stato – stabilito proprio per
garantire la più ampia convergenza politica, in considerazione della
funzione "contromaggioritaria" delle Corti costituzionali, nate,
dopo l'esperienza tragica del nazifascismo, come limite al potere
assoluto e come garanzia del pluralismo e delle minoranze.
Ma tant'è. Forse anche in vista dell'udienza del 12 novembre in cui
la Corte deciderà i ricorsi regionali contro l'Autonomia
differenziata, Meloni ha "ordinato" ai gruppi di maggioranza di
presentarsi puntuali martedì prossimo alla Camera per votare il
"suo" giudice, il primo dei quattro da sostituire, che sarà il "suo"
consigliere giuridico, il costituzionalista Francesco Saverio
Marini, figlio di Annibale, già giudice ed ex presidente della Corte
nel 2005, designato sempre dalla destra.
Un governo che si sceglie da solo i componenti degli organi di
garanzia, sulla base di una maggioranza numerica non uscita dalle
urne ma dal cambio di casacca politica di alcuni parlamentari, è
assolutamente fuori dalle dinamiche di una democrazia
costituzionale. Il che rende concreto il rischio di avere alla Corte
non dei giudici ma dei "soldatini" con un preciso mandato politico.
Un po' come i giudici della Corte suprema americana voluti da Trump
all'epoca della sua presidenza, che il New York Times non chiama più
Justice ma Mister, perché quello che era il baluardo della rule of
law è diventato il baluardo di una linea politica. Bisogna impedire
che avvenga la stessa cosa con la nostra Corte.
Secondo Massimo Cacciari, stiamo facendo l'abitudine alla guerra e
questo rende più difficile la difesa dei principi dello stato di
diritto. Le guerre stanno rafforzando unilateralmente i governi,
silenziando i Parlamenti e aprendo la strada a regimi autoritari in
nome della sicurezza. Anche da noi. Pensiamo al Ddl del governo
Meloni, impregnato di cultura del "nemico", che in nome della
sicurezza criminalizza anche il dissenso. E pensiamo al divieto di
manifestare in piazza. Inquietante, ha scritto ieri Vladimiro
Zagrebelsky, ricordando che manifestare il dissenso è «un'esigenza
propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura
senza i quali non esiste società democratica». Eppure, siamo a
questo. La Corte costituzionale è, per sua natura, un argine contro
questa lenta erosione dei diritti e della democrazia ma i cittadini
non lo sanno, altrimenti riempirebbero le piazze, come hanno fatto
in altri Paesi, e il governo non tenterebbe di appropriarsene o di
fare ostruzionismo alle sue sentenze (vedi il fine vita). Purtroppo,
là dove le piazze non si sono riempite, le democrazie si sono
svuotate. Perciò, come dice Cacciari, non accontentiamoci di
sopravvivere.
Torino, chiuse le indagini su Città della salute. I pm: boom delle
visite in intramoenia, danno patrimoniale da 7 milioni di euro
"Molinette, dieci anni di bilanci truccati Così i direttori
incassavano i loro bonus"
elisa sola
torino
Buchi dichiarati, che in realtà erano voragini. Crediti non
incassati da anni. Anche da un milione e mezzo di euro. Conti che
sembravano puliti. Obiettivi che apparivano raggiunti, con
riscossione di bonus. Ma era – o meglio, sarebbe stata – tutta una
grande farsa. Almeno questa è la tesi della procura di Torino, che
ieri ha chiuso un'inchiesta colossale sui bilanci degli ultimi dieci
anni dell'azienda ospedaliero universitaria della Città della
salute. Sarebbero falsi. Scritti sulla base di omissioni e
dichiarazioni non vere. «In modo da indurre – mettono nero su bianco
i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni – i destinatari delle
comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale
andamento economico e patrimoniale» dell'azienda.
I due magistrati torinesi hanno fatto notificare nelle scorse ore 25
avvisi di garanzia a molti vertici – ed ex – della struttura. Per i
presunti bilanci falsi sono indagati l'attuale direttore generale
della Città della salute, Giovanni La Valle e i suoi predecessori
Silvio Falco, Gian Paolo Zanetta e Angelo Del Favero. Devono
rispondere dello stesso reato anche direttori sanitari e
amministrativi ai posti di comando negli ultimi dieci anni e vari
componenti dei collegi sindacali. Per ogni bilancio esaminato dai
carabinieri del nucleo investigativo compaiono anomalie. Cifre che
non tornano. Il filo rosso che collega i documenti contabili di un
decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il
risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore
della libera professione era di meno 12 milioni e 753 mila euro. Ma
in realtà, il "rosso" reale, sarebbe stato – secondo la procura –
più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro.
La maggior parte delle cifre "false" per i pm sarebbe relativa alle
attività intramoenia dei medici a libera professione, che svolgono
in ospedale visite al di fuori del normale orario di lavoro, a
fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa.
I conti non tornano, secondo gli inquirenti, perché alcuni indagati
avrebbero, commettendo (anche) il reato di truffa, violato la
normativa sulla cosiddetta "quota a fondo Balduzzi". Anziché
incassare il 5 percento del compenso dei liberi professionisti,
destinandolo ad attività di prevenzione o alla riduzione delle
lunghe liste d'attesa, i direttori della Città della salute
avrebbero evitato di riscuotere sette milioni di euro dal 2015 al
2022. I fatti di reato precedenti al 2018 sono prescritti, quindi
l'ammanco relativo a questa contestazione è di un milione e 700 mila
euro. Sull'intramoenia si era innescato un circolo vizioso. Più le
attività di libera professione si moltiplicavano, più si allungavano
i tempi delle liste d'attesa, e viceversa. Le relazioni sulla libera
professione sarebbero mandate, con dati falsi, alla Regione Piemonte
(persona offesa nel procedimento insieme alla Città della salute e
ai ministeri dell'Economia e della Sanità), che avrebbe elargito
premi e bonus ai direttori, leggendo che avevano raggiunto
determinati obiettivi. Tra cui, paradossalmente, quelli del
«miglioramento dei tempi di attesa».
Al di là di questo, ci sarebbero altre anomalie nei bilanci
dell'ente. Una serie di crediti non riscossi risalenti a vicende
giudiziarie, fallimenti, o fatti misteriosi ancora da accertare. Nel
2015, per esempio, gli indagati avrebbero omesso di svalutare i
crediti nei confronti del fallimento di Ristor matik, società che
gestiva la distribuzione di bibite e alimenti. L'importo complessivo
è di un milione e 212 mila euro. Nessuno sa dove siano finiti quei
soldi. E perché nessuno ha provato a riscuoterli. E ancora. Nel
bilancio del 2017 sarebbero stati svalutati crediti nei confronti
della Fondazione Ordine Mauriziano per quasi tre milioni di euro.
Mancherebbe anche, nelle casseforti, un milione di euro che Michele
Di Summa, cardiochirurgo condannato, avrebbe dovuto risarcire a
Città della salute. È solo uno dei tanti misteri dell'indagine. —
I boss al telefono: i Belfiore mirano al parcheggio dell'Allianz «Mi volevo prendere il parcheggio dello stadio di Torino, ma
c'è la famiglia Belfiore che sono di San Luca e sono forti anche a
Torino, hai capito?». Le mire di espansione di Giuseppe Caminiti,
gestore-ombra dei parcheggi intorno a «San Siro», sono rimaste solo
idee che non si sono mai concretizzate. Più volte l'ultrà
nerazzurro-narcotrafficante, arrestato due volte la scorsa settimana
per associazione per delinquere e per un omicidio del 1992, con
l'imprenditore Gherardo Zaccagni ha pensato di poter entrare nel
controllo delle aree di sosta dello Juventus Stadium. Come emerge
dall'inchiesta della Dda milanese, che ha azzerato i direttivi delle
Curve di Inter e Milan, a frenare le voglie di Caminiti sarebbe
stato il suo protettore Giuseppe Calabrò, detto "dutturicchiu",
eminenza grigia al Nord-Ovest delle famiglie di ‘ndrangheta. «Lo
avevo chiesto a Peppe (Calabrò, ndr) e m'ha detto: "Pino.. non è
giusto. Torino va bene, però magari se ci sono gli altri che
mangiano non puoi tirargli via il mangiare dalla bocca. Tu ha già
Milano. Tieniti Milano». A.SIR. —
06.10.24
- Alla fine dell’estate del 2024 se n’è andato all’età di quasi 91
anni Bruno Sacco. Italiano di nascita (viene alla luce a Udine il 12
novembre del 1933) e tedesco di adozione, il suo nome è strettamente
legato a quello della Mercedes, dove è entrando come designer nel
1958 dopo gli studi in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino
e alcune esperienze alla Ghia e alla Pininfarina. Dal 1975 è lui il
capo del centro stile di Sindelfingen e resta responsabile di ogni
auto (ma anche autobus e camion) con la stella fino al suo
pensionamento nel 1999. In oltre 40 anni di lavoro ha firmato
modelli iconici, che resteranno per sempre nella storia
dell’automobile. Ho avuto il piacere di cenare con lui 40 anni fa e
lo ricordo molto piu' dispobile ed affabile a rispondere alle
mie domande , come Giugiaro , al contario di Ramaciotti, capo
designer di Pininfarina e Marchionne che quando piu' mi evita.
Il ministro: coinvolte grandi imprese estere
Urso rilancia sul nucleare: "Si parta ora" Sui chip verso
investimenti per 10 miliardi Nucleare e semiconduttori sono al centro dei progetti del
ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso.
«Il nucleare di terza generazione avanzata e poi quello di quarta
generazione, infine il sogno che renderemo realtà della fusione
nucleare, sono opportunità, anche e direi soprattutto, per
l'Italia», ha spiegato il ministro. Secondo cui «sarà un processo di
medio termine, ma che dobbiamo iniziare da subito».
Allo stesso tempo, si punterà anche sulle nuove tecnologie. In
particolare, i chip. «Nel 2024 chiuderemo accordi per quasi 10
miliardi di investimenti nei semiconduttori. Il rilancio della
nostra tecnologia passa dal coinvolgimento di grandi imprese estere
sia a Taranto, e negli altri siti di acciaieria d'Italia, che a
Piombino», ha evidenziato.
l caso
Salassi
tabacchi
"
Maria Castellone vicepresidente Senato Paolo Russo
Una super tassa di scopo sulle sigarette per finanziare la sanità.
L'idea non è nuova ma questa volta, con la caccia aperta ai fondi
per asl e ospedali, potrebbe avere più chance di tagliare il
traguardo. Perché non solo l'appoggiano gli oncologi e le
opposizioni, ma riscuote consensi anche in frange della maggioranza.
L'idea lanciata dai medici oncologi dell'Aimo della vice presidente
del Senato, la pentastellata Maria Domenica Castellone, prevede di
aumentare di 5 euro il costo di un pacchetto di sigarette per
ricavarne un gettito di 13,2 miliardi da mettere sul piatto della
sanità, riducendo contemporaneamente consumi e tumori. E realizzando
un extra gettito che consentirebbe di riallineare il finanziamento
della sanità rispetto al Pil agli standard europei. L'ipotesi non la
disegna nemmeno il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che sa
però quanto poco favore incontri nel Palazzo dell'Economia, dove
temono non solo un crollo dei consumi e quindi del gettito legato
alle accise sulle bionde, ma anche un drastico calo della produzione
nazionale di tabacco e dell'occupazione a questa collegata. Una
analisi contraddetta dalla Castellone, «perché in realtà solo l'1%
della produzione del tabacco consumato in Italia è prodotto nel
nostro Paese, mentre la produzione nostrana è oramai altamente
automatizzata».
Ma in caso di muro da parte del Tesoro, 5S e il Pd, che appoggia
l'iniziativa, hanno già un piano B. «Stiamo lavorando anche a una
seconda ipotesi di un aumento limitato a meno di un euro a pacchetto
che consentirebbe comunque di introitare circa 3 miliardi di euro»,
rivela la vice presidente del Senato. Somma che corrisponde a quanto
Schillaci va cercando per finanziare la prima tranche del suo piano
di assunzioni di medici e infermieri più la detassazione al 15%
della indennità di specificità medica, che prendono tutti i camici
bianchi ospedalieri, che in tal modo metterebbero in tasca circa 250
euro in più al mese. Un incentivo utile ad arginare la loro fuga
dalla sanità pubblica. L'idea di tassare le sigarette per curare la
sanità non piace comunque solo alle opposizioni. Come ammette la
stessa Castellone, «ci sono stati contatti con ampie frange della
maggioranza e l'idea ha trovato consensi soprattutto tra le fila di
Fratelli d'Italia, dove al contrario non è vista di buon occhio
l'idea alla quale starebbe lavorando il Mef di finanziare con nuove
tasse la sanità pubblica». La tassa sulle bionde, maxi o mini che
sia, dovrebbe entrare in manovra con un emendamento. Ma nel caso
questo non fosse approvato c'è un'altra strada che si potrebbe
seguire.
«Grazie ad un cambio di regolamento del Senato, se ci sono proposte
di iniziativa popolare che raccolgono 50mila firme, queste - spiega
Castellone - possono essere discusse in aula entro tre mesi dalla
data in cui sono depositate. Possiamo coinvolgere i cittadini su
questo argomento». E i sondaggi dicono che non sarebbe un'impresa
raggiungere il quorum. Secondo un'indagine del 2024 commissionata
dall'Istituto farmacologico Mario Negri, il 62% degli italiani
sarebbe favorevole a una tassa sul tabacco per finanziare l'Ssn.
Anche la Banca mondiale approva, considerando la sovrattassa una
delle più efficaci forme di lotta al tabagismo, visto che a un
aumento del 10% del prezzo corrisponde un calo del 4% dei consumi.
«Chiediamo alle Istituzioni di approvare una tassa di scopo sulle
sigarette, con il duplice obiettivo di disporre di ulteriori risorse
per l'Ssn e di ridurre il consumo di tabacco, perché il tabagismo è
un fattore di rischio anche per altre neoplasie, per malattie
cardiovascolari e respiratorie», afferma il presidente dall'Aiom,
Francesco Perrone. E i numeri gli danno ragione, perchè 9 diagnosi
di tumore al polmone su 10 sono causate dal fumo, al quale in Italia
possono essere attribuiti 40mila nuovi casi l'anno, che diventano
93mila considerando anche le altre forme di cancro, che costano al
paese 26 miliardi in cure.
Morte
I precedenti
sui
binari
filippo fiorini
San Giorgio di Piano
Tre ore prima dell'alba di ieri, tra una fila di more selvatiche e 9
colleghi che saldavano una rotaia, Attilio Franzini è finito sotto a
un treno. Probabilmente perché aveva appena rallentato per
attraversare la stazione di San Giorgio di Piano, l'intercity
partito da Bologna e diretto a Trieste era praticamente impossibile
da sentire, se non all'ultimo secondo. Il 47enne è stato colpito di
spalle.
La sua squadra operava su un binario morto, il 4. Tra loro e il
trasfertista di Formia, Latina, c'era un'altra via di manovra, il
binario 3, che come il precedente si estende poco oltre la lunghezza
delle pensiline della stazione ed è transennato a nord e sud. Poi,
il binario 2, soppresso nella notte per garantire la sicurezza del
cantiere. Attilio era sul numero 1, l'unico attivo. Perché?
Una torre faro mobile con generatore annesso. Una troncatrice per
rotaie. Il carrello di servizio appoggiato a un muro e una tanica
blu:
Questo è quel che resta del posto di lavoro in cui è caduta la più
recente delle oltre 370 morti bianche registrate quest'anno in
Italia. È sotto sequestro dalle 4,30 di ieri. Un'indiscrezione
proveniente dall'indagine per omicidio colposo, che la procura di
Bologna ha aperto contro ignoti e che sta conducendo attraverso la
Polfer, sostiene che i colleghi di Franzini abbiano detto che stava
trasportando degli attrezzi verso un capanno. Ma non c'è nessun
capanno in quella direzione e gli attrezzi sono tutti sul lato
sicuro della massicciata. Un'altra fonte riferisce invece che
nessuno dei sopravvissuti abbia spiegato perché uno di loro stava in
mezzo a un binario aperto.
Se tutte le persone presenti in loco, in servizio sui treni e nelle
centrali di controllo avessero seguito alla lettera quanto indicato
nelle oltre 200 pagine del documento "Istruzione per la protezione
nei cantieri" che Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) aggiorna dal 1986
a oggi, se tutti i meccanismi avessero funzionato correttamente, il
fatto non sarebbe accaduto. Qualcosa, però, è andato ancora una
volta tragicamente storto. A qualche ora dall'incidente, con il
traffico attorno al nodo già ripreso e solo qualche ritardo sui
convogli in viaggio tra Bologna e Venezia, è possibile affermare
solamente che i semafori e i segnali acustici funzionano.
Qualche anno fa, Franzini aveva lavorato alla nettezza urbana di
Formia. In seguito, è passato alla Salcef, una società per azioni di
Roma che aveva in appalto le riparazioni in cui ha perso la vita.
Tanto questa società, come Rfi, e il ministro dei Trasporti, Matteo
Salvini, hanno espresso «cordoglio e vicinanza alla famiglia»,
offrendo collaborazione e rimettendosi all'esito dell'inchiesta per
esprimere ulteriori commenti. Attilio non era sposato e non aveva
figli. Suo fratello Emanuele l'aveva sentito al telefono poco prima
che incominciasse il suo ultimo turno di lavoro. «Si era lamentato
della pioggia e del freddo». Si è raccomandato con lui che stesse in
riguardo e poi, le chiamate del giorno dopo non hanno più ricevuto
risposta.
Oltre a Emanuele, lascia un altro fratello, Andrea, e il padre,
Gino. Il sindacato Fiom-Cgil ha indetto uno sciopero di 4 ore alla
Salcef. Molte altre associazioni di lavoratori ed esponenti politici
hanno denunciato il preoccupante susseguirsi di morti bianche,
usando termini come «strage» o «guerra». Hanno denunciato le
storture derivanti dal sistema dei subappalti e accusato il governo
di non fare abbastanza per la sicurezza. Nei primi 5 mesi del 2024,
l'Inail ha contato 369 vittime, un aumento del 3, 1% rispetto al
2023.
Per il contesto in cui è avvenuta, la morte di Franzini ricorda la
strage di Brandizzo: in quella stazione, la notte del 30 agosto 2023
Michael Xanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa, Saverio Giuseppe
Lombardo e Kevin Laganà, operai in subappalto, morirono investiti da
un treno, mentre riparavano i binari della Torino-Milano.
Massimo, padre dell'ultimo di questi cinque uomini, ha detto:
«Nessuno sta facendo un bel niente. Tutti promettono, a partire dai
politici, e poi si continua a morire. Brandizzo non ci ha insegnato
nulla».
Si è concluso il processo d'appello Platinum sulle infiltrazioni
della 'ndrangheta a Volpiano Pene fino a sei anni e undici mesi per
Mario Vazzana, al fratello Giuseppe sei anni e otto mesi
Condannati i "boss imprenditori" Assolto l'agente della municipale
andrea bucci
ludovica lopetti
Si è concluso con tre condanne e due assoluzioni il secondo grado
del processo Platinum sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel
Canavese, tra Volpiano e Chivasso. Ieri la Corte d'Appello ha
confermato le condanne inflitte in primo grado per associazione
mafiosa nei confronti dei fratelli imprenditori Mario e Giuseppe
Vazzana. Erano proprietari di un impero tra hotel, auto e conti
correnti per un totale di oltre otto milioni di euro, disseminato
tra Chivasso, dove gestivano un bar, Volpiano - dove avevano un
ristorante, una tabaccheria e due locali - e il Canavese.
Considerati 'ndranghetisti di rango (quantomeno dal 1991) e legati
alla potente enclave mafiosa degli Agresta, per i Vazzana ieri la
Corte ha confermato le condanne in primo grado, infliggendo a
Giuseppe Vazzana sei anni e otto mesi e al fratello Mario sei anni e
undici mesi. È stata confermata, inoltre, la condanna a dieci mesi
verso Antonio Agresta.
Al processo è stato invece assolto Paolo Busso, agente della polizia
municipale di Volpiano accusato di aver ‘abbuonato' sei multe a
Giuseppe Vazzana (condannato a 6 anni e 8 mesi) e aver tratto in
inganno una funzionaria dell'anagrafe per ottenere un indirizzo.
Busso era accusato di abuso d'ufficio. È stato assolto «perché il
fatto non è più previsto dalla legge come reato» in seguito alla
riforma Nordio. Riguardo alla seconda contestazione di cui doveva
rispondere, la Corte ha giudicato «di particolare tenuità» l'accesso
abusivo a sistema informatico che, secondo l'accusa, avrebbe
commesso il vigile, che dovrà risarcire di mille euro il comune di
Volpiano (assistito dall'avvocato Giulio Calosso).
«È stata ridata dignità a una persona che non meritava di essere
implicata in una vicenda molto più grossa di lui», ha commentato
l'avvocata Gabriella Vogliotti, che difende Busso, dopo la sentenza.
Con la stessa formula - «il fatto non è più previsto dalla legge
come reato» - è stato assolto anche Domenico Aspromonte, che era
imputato per la bancarotta dell'hotel La Darsena. In primo grado era
stato condannato a sei mesi.
Per Aspromonte il pm Valerio Longi aveva contestato l'associazione
di stampo mafioso e l'estorsione in relazione a una vicenda relativa
al ristorante Lago Reale. Durante le trattative per acquistare
un'altra attività commerciale attraverso la srl omonima, Aspromonte
e i fratelli Mario e Giuseppe Vazzana avrebbero chiesto un forte
sconto sul prezzo d'acquisto - 200 mila euro a fronte di 290 mila
chiesti dai venditori - per via di un presunto abuso da sanare,
minacciando di fare «un lago di sangue». Il tribunale ha
riqualificato il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni
e aveva prosciolto gli imputati per difetto di querela, visto che le
vittime non avevano denunciato e il reato non è procedibile
d'ufficio. «Non hanno escluso la sussistenza dei fatti, cancellati i
reati, ma non i favori», commenta l'avvocato Calosso. Al processo,
oltre a Volpiano, si è costituito parte civile anche il Comune di
Chivasso, assistito dall'avvocato Andrea Castelnuovo. «Non c'è
spazio per nessuna attività legata direttamente o indirettamente
alla criminalità organizzata nel territorio cittadino», ha detto.—
05.10.24
tenuta a gaza da un miliziano legato a isis L'Idf libera una yazida rapita 10 anni fa
L'esercito israeliano ha annunciato il salvataggio di una donna
yazida di origine irachena che era stata rapita dieci anni fa ed era
tenuta prigioniera nella Striscia di Gaza da un miliziano di Hamas
con legami con lo Stato Islamico (Isis). Le forze israeliane hanno
spiegato che il miliziano è stato ucciso durante la guerra a Gaza,
forse a causa di un bombardamento israeliano, e la donna,
identificata come Fawzia Amin Sido, 21 anni, ha poi colto
l'occasione per fuggire. La giovane donna è stata trasferita prima
in Giordania e infine in Iraq, dove si trova la sua famiglia.
L'attivista yazida irachena Nadia Murad, premio Nobel per la pace
2018, ha affermato su X che «questa ragazza yazida è stata rapita
nel 2014. Dopo la caduta del califfato in Iraq e Siria
(rispettivamente nel 2017 e nel 2019), l'Isis l'ha trasferita a
Gaza. Ma non è l'unica detenuta a Gaza dall'Isis».
UNA RETE MISTA AV E NORMALE NON E' SICURA LO VEDRETE AL PROSSIMO
INCIDENTE :Non c'è una vera linea per l'alta velocità noi appesi a
un chiodo per altri 10 anni Andrea Giuricin
L'Italia spaccata in due da un chiodo apre una riflessione sul
sistema ferroviario italiano che è e rimane un esempio a livello
globale per quanto riguarda la liberalizzazione dell'alta velocità.
Il guasto di ieri deve ancora essere compreso completamente, anche
perché sembra una vicenda abbastanza assurda. Al di fuori di quanto
le indagini in corso indicheranno circa le responsabilità, ci sono
diversi fattori per i quali i guasti creano dei problemi così vasti
sia in termini temporali che in termini geografici.
In primo luogo, è chiaro che il Pnrr ha degli effetti importanti
proprio sulla situazione attuale, perché i quasi 30 miliardi di euro
d'investimenti (compresi i soldi derivanti dai fondi europei Cef),
hanno un impatto con migliaia di cantieri aperti contemporaneamente.
Questi cantieri provocano ritardi e cancellazioni sia per il settore
passeggeri che per il settore merci, che in realtà in questo momento
è in grandissima sofferenza con perdite di quasi 100 milioni di euro
come ricorda spesso l'associazione Fercargo.
I lavori, come quelli di questa estate che hanno portato ad avere
allungamenti dei tempi di percorrenza per l'alta velocità tra Roma e
Milano, sono necessari per migliorare la nostra infrastruttura che
per tanti anni non ha visto grandissimi lavori.
Questi lavori sulla rete, che continueranno fino al 2026 e oltre,
creano problemi aggiuntivi quando ci sono dei guasti
all'infrastruttura, perché eliminano di fatto i buffer esistenti
(come se non ci fossero più delle vie alternative).
Tornando al guasto di ieri, c'è da fare una puntualizzazione
importante. L'incidente è successo nel nodo urbano di Roma, il più
trafficato d'Italia e che, come ogni nodo urbano, vede insistere il
traffico non solo dell'alta velocità, ma anche di treni regionali,
intercity e finanche treni merci.
Il traffico misto nei nodi è una caratteristica italiana e provoca
complicazioni che ad esempio in Giappone, Spagna o Francia non
esistono, perché in quei paesi, l'alta velocità viaggia
completamente su linee dedicate e separate dal restante traffico.
Il nodo di Roma, al minimo problema rischia di andare in difficoltà
perché il traffico è molto denso. Solo nella stazione di Roma
Termini ogni giorno transitano circa 1000 treni e di questi solo 300
treni sono ad alta velocità.
La gran parte del traffico è dato dai treni pendolari che nel caso
della stazione principale di Roma incidono per quasi i due terzi del
traffico complessivo.
Quindi si comprende che c'è necessità non solo di diminuire i
guasti, e anche per questo ci sono i grandi investimenti di RFI, ma
anche di avere strategie di corto, medio e lungo termine.
Partiamo dal lungo termine e in questo caso si parla di grandi opere
infrastrutturali. Si può pensare al nodo di Firenze, storicamente
molto trafficato e in questo caso si sta costruendo un passante con
la nuova stazione di Belfiore, dando una soluzione alternativa come
succede ormai da qualche anno anche a Bologna. Ci vorrebbe
probabilmente un passante per l'alta velocità anche a Milano, ma è
chiaro che per queste opere ci vogliono lustri e non anni.
Ci sono poi soluzioni di medio termine, quale ad esempio la
soluzione tecnologica dell'Ertms alta densità. Questo sistema di
segnalamento permette di avere più treni a distanziamento minore ed
in sicurezza sulle stesse linee esistenti. Di fatto si crea nuova
capacità proprio in quei nodi dove la capacità inizia ad essere
scarsa.
Infine, nel breve termine c'è da risolvere il problema della
congestione nelle due principali stazioni italiane, vale a dire Roma
Termini e Milano Centrale. In questo caso la soluzione passa
attraverso una prioritizzazione del traffico che deve essere fatta
in funzione di criteri socio-economici. I treni "meno importanti"
devono fermarsi nelle stazioni di Roma Tiburtina e Milano Garibaldi,
andando a risolvere parzialmente e nel breve periodo i problemi
delle stazioni congestionate.
C'è però da essere franchi e ricordare che, con i tanti lavori sulla
rete attuale, i problemi continueranno ad esserci per i prossimi
anni. —
*Docente di Economia dei trasporti all'Università Bicocca
nove indagati. Perquisite le sedi di roma, milano e firenze
Indagine sugli appalti concessi dall'Anas Accuse di corruzione per
846mila euro
monica serra milano
Mazzette in cambio di gare da centinaia di milioni di euro. È questa
l'ipotesi della procura che indaga su un presunto sistema di appalti
pubblici truccati che ruota attorno ai fratelli Stefano, Luigi e
Marco Liani. Il primo è tuttora responsabile della struttura Anas
Toscana, gli altri due «ex funzionari pubblici che, in virtù del
ruolo rivestito in Anas, dopo aver interrotto il rapporto lavorativo
con la società pubblica per passare all'imprenditoria privata,
continuavano a operare nel settore dell'edilizia pubblica e della
costruzione e manutenzione di strade e autostrade attraverso società
a loro riconducibili» come si legge nei decreti con cui ieri il
Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha perquisito le
tre società riconducibili alla famiglia Liani e i nove indagati
coinvolti nell'inchiesta: 4 di loro sono ancora oggi funzionari
Anas. Acquisizioni di documenti sono state condotte invece nelle
sedi di Anas di Roma, Milano e Firenze. Ma anche negli uffici del
Consorzio stabile Sis di Torino che fa capo alla famiglia Dogliani.
Quattro gli episodi su cui stanno lavorando i pm coordinati dalla
procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, che ipotizzano a vario
titolo le accuse di corruzione, turbativa d'asta e rivelazione del
segreto d'ufficio. Il primo ruota attorno al Consorzio stabile Sis
che non risulta indagato.
Si sarebbe aggiudicato nel 2019 un appalto da oltre 388 milioni di
euro per i lavori sulla SS340 Regina – Variante Tremezzina mentre
«intratteneva rapporti di lavoro personali» per cui pagava fatture a
Stefano Liani (486 mila euro) e al collega Eutimo Mucilli (360 mila
euro). Somme per i pm «funzionali a garantire fedeltà e benevolenza
dei due alti dirigenti pubblici». Gli altri episodi riguardano
invece due lotti della A4 Brescia-Soave; i 33 km della SS 469 Sebina
occidentale (un appalto da 2 milioni e mezzo di fatto subappaltato
alla Nuove iniziative spa di Marco Liani) e quello per i lavori
della Statale 412 della Val Tidone.
l'allarme nel Rapporto aris: 6 pazienti su 100 vittime di infezioni
durante la degenza
"Settemila decessi l'anno per gli errori in corsia" paolo russo
Un milione di ricoverati l'anno è vittima di errori in corsia. E tra
i sei e i settemila muoiono a causa di questi. Un intervento o una
terapia sbagliati, ma in oltre sei casi su dieci per colpa delle
infezioni contratte proprio in ospedale. Per uso improprio dei
cateteri, per scarsa igienizzazione degli ambienti e degli impianti
di aerazione. O perché non si fanno i tamponi in ingresso ai
pazienti fragili che possono così portare in corsia i super batteri
resistenti agli antibiotici, come la Klebsiella o il Clostridium
difficile. Fatto è che i nostri nosocomi sono molto meno sicuri di
quel che dovrebbero. A denunciarlo è un Rapporto dell'Aris,
l'associazione degli ospedali cattolici. Una pandemia silente che
per ogni 100 pazienti ricoverati – si legge nel rapporto- ne
colpisce 6,3, vittime di infezioni durante la degenza in ospedale.
Su un totale di oltre 10 milioni di ricoveri annuali oltre 600 mila
si infettano e almeno l'1%, ossia seimila e più di questi pazienti,
va poi incontro al decesso. Morti evitabili in oltre il 50% dei casi
con una corretta adesione alle linee guida di prevenzione, quelle
per le infezioni del sito chirurgico in particolare.
Se errori ed infezioni dilagano nei nostri ospedali, altrettanto
rapidamente lievitano i contenziosi giudiziari, che oramai marciano
al ritmo di 30 mila cause l'anno, mentre sono 3,8 milioni i casi
pendenti nei tribunali. Una mole di contenziosi che finisce per
costare 11 miliardi l'anno, spingendo verso la cosiddetta "medicina
difensiva", quella che per paura di incappare in una causa fa
prescrivere o operare ai medici anche quando non serve e li frena a
farlo quando invece servirebbe ma i rischi per i pazienti sono
troppo alti. —
04.10.24
la procura di firenze: non ha comunicato i 42 milioni in regalo
"Processate Dell'Utri per i soldi da Berlusconi" La procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per
Marcello Dell'Utri e per la moglie Miranda Ratti in relazione alla
mancata comunicazione delle variazioni patrimoniali, cosa cui Dell'Utri
era tenuto per la legge Rognoni-La Torre come condannato con
sentenza definitiva per concorso esterno in associazione di tipo
mafioso nel 2014. Le accuse, a vario titolo, sono di trasferimento
fraudolento di valori e di mancata comunicazione delle variazioni le
quali, nei saldi di un decennio, la Dda di Firenze ha stimato per un
ammontare di 42.679.200 euro. Nel marzo 2024 la Dda aveva ottenuto
il sequestro preventivo di 10,8 milioni di euro individuati nei
flussi nei conti correnti di Dell'Utri e di sua moglie. Per l'accusa
le movimentazioni di denaro da Berlusconi verso i conti di Miranda
Ratti erano in realtà a favore di Dell'Utri, ma lui non avrebbe
comunicato niente alle autorità.
LUIGI CHIAPPERO Parla l'avvocato che denunciò il racket per conto
della Juventus
"Stop al monopolio delle curve nel tifo bisogna vietare le trasferte
ai gruppi"
giuseppe legato
torino
In passato, ha assistito la Juventus in un lungo percorso di
denuncia a proposito di minacce e intimidazioni degli ultrà alla
società concluso con le condanne dei tifosi. Ed è dunque, l'avvocato
Luigi Chiappero un tecnico sul tema stadi e curve.
Cosa sta succedendo negli stadi italiani?
«Direi che finalmente ci si sta muovendo per capire cosa succede
all'interno delle strutture che non sono più zone franche. Il caso
di Milano si configura come un intervento quanto mai opportuno».
Dica la verità, le sembra un film già visto: ultrà che ricattano
personale delle società, criminalità comune e organizzata che
scalano le gerarchie del tifo…
«La fermo subito».
Per dire cosa?
«Che a Torino la chiarezza è stata fatta anni fa senza che ci
scappasse il morto per merito di un'azione congiunta di procura,
questura e società».
Perché siamo arrivati a questo punto?
«Sono state tollerate situazioni che in fondo andavano bene a tutti.
Perché fa piacere vedere le curve colorate che fanno festa negli
stadi. Ma è ora di cambiare mentalità».
E come si cambia la testa del tifoso?
«Comprendendo che il tifo non è appannaggio dei gruppi organizzati,
ma è di tutti. Mi passi la battuta: abbiamo in Italia una tradizione
canora internazionale e non mi pare il caso di appaltare a un ultrà
il lancio dei cori salvo poi sentire che il primo è "Noi non siamo
napoletani"? Io, il Napoli, lo voglio battere 4-0 sul campo».
Gli arresti risolvono da soli la questione?
«Le investigazioni hanno liberato gli spazi che ci erano stati tolti
per una nuova democrazia negli stadi. Sta a noi, tifosi comuni e
appassionati riappropriarci di essi. Serve un cambio culturale. E
poi c'è il tema trasferte»
Cosa c'entrano le trasferte?
«Ci vuole una uniformità di trattamento da parte di tutte le
questure d'Italia: per esempio a Torino c'è molta rigidità nel senso
che chi viene da fuori e non è in regola viene fermato fuori dallo
stadio».
E poi?
«E poi è impensabile che delle persone per bene, che stanno a Torino
e domenica prossima vogliono vedere il loro Cagliari in curva
debbano aspettare un'ora per uscire dallo stadio scortati da un
numero imponete di forze dell'ordine. Piuttosto si vietino le
trasferte ai gruppi organizzati».
Basta questo?
«Ovviamente no. Una volta fatti gli interventi che stiamo vedendo
bisogna essere in grado di mantenere la situazione regolarizzata.
Sento dire che qualcuno vuole dare più potere ai privati, non è
questa la strada».
Per intenderci: non basta aumentare il numero degli steward?
«Un ragazzo di 22 anni, anno più anno meno, pagato pochi euro l'ora,
euro più euro meno, non può fronteggiare situazioni che già sono
difficili per chi della tutela della sicurezza ne ha fatto un
mestiere».
Cosa devono fare le società?
«C'è un profilo tecnico oltre che di merito: devono mettere a
disposizione degli stadi moderni che abbiano tecnologie tali da
mettere gli inquirenti nelle condizioni di intervenire con fermezza:
e in Italia ci sono pochissime strutture attrezzate per questo».
Feletto, il titolare di una ditta di materiale elettrico
insospettito per gli ammanchi in magazzino La indagini dei
carabinieri hanno portato a perquisizioni e denunce: due uomini e
una donna
Dipendenti infedeli in fabbrica rubavano per rivendere sul web
alessandro previati
Avevano organizzato tutto nei minimi dettagli: dal furto dei
materiali fino alla vendita online sottoprezzo. A metterli nei guai,
prima ancora delle meticolose indagini dei carabinieri di Rivarolo,
ci ha pensato la frequenza stessa dei furti che, alla fine, ha
insospettito i responsabili dell'azienda.
Tre persone, due uomini di 33 e 44 anni e una donna di 46, sono
stati denunciati per ricettazione in concorso dai militari
dell'Arma. Uno dei complici è un dipendente di una ditta di Feletto,
la Zeca, alla quale, secondo le indagini, era solito sottrarre dai
magazzini, turno dopo turno, materiali elettrici di vario tipo. In
particolare torce, lampade, avvolgi tubi e cavi. Tutti oggetti
facili da rivendere via internet per i quali c'è sempre una grande
richiesta. L'indagine lampo è nata a seguito della denuncia del
titolare dell'azienda che, insospettito dagli ammanchi consistenti
nel magazzino della propria ditta, ha deciso di rivolgersi ai
carabinieri di Rivarolo. Ed è allora che i militari hanno
individuato l'autore dei furti in un dipendente della ditta in
questione, scoprendo quasi subito dei rapporti piuttosto stretti fra
questo ed un altro operaio, ex dipendente della stessa azienda. Una
serie di controlli a spot, nel corso delle ultime settimane, hanno
permesso di acquisire la certezza del coinvolgimento dei due. Così
l'altro giorno è scattata una perquisizione a carico del dipendente
dell'azienda di Feletto, proprio al termine del turno di lavoro. I
sospetti si sono concretizzati quando gli investigatori, nascosto
nell'auto, hanno ritrovato del materiale appena sottratto dal
magazzino. A quel punto sono scattate ulteriori perquisizioni, nelle
abitazioni dei due uomini e della fidanzata di uno dei due.
I militari hanno così potuto recuperare un'ingente quantità di
materiale sottratto precedentemente allo stabilimento di Feletto,
per un valore complessivo di circa 50 mila euro. Alcuni pezzi,
trovati a casa della donna, erano già impacchettati e pronti per
essere spediti a seguito della vendita on-line. Tutta la refurtiva è
stata sequestrata in attesa della restituzione al legittimo
proprietario. I tre, invece, incensurati e residenti in Canavese,
sono stati denunciati a piede libero alla procura di Ivrea. Secondo
le indagini la loro attività era iniziata già nella primavera dello
scorso anno ed ora sono in corso ulteriori accertamenti per
ricostruire la filiera dei clienti che (probabilmente) in buona
fede, attraverso alcune piattaforme online, hanno acquistato i
materiali rubati. Tutte transazioni probabilmente tracciate che
serviranno a chiarire il giro d'affari messo in piedi dai tre. La
facile vendita online, seppur a prezzi scontati, ha evidentemente
convinto i componenti della banda a continuare con i furti, forse
aumentando anche la frequenza dei «prelievi» non autorizzati dal
magazzino. Un errore perché in questo modo l'imprenditore di Feletto
si è accorto degli ammanchi e i carabinieri di Rivarolo sono
riusciti ad incastrarli.
03.10.24
Liste d'attesa
la grande illusione Paolo Russo
roma
«Decreto fuffa» lo aveva definito Elly Schlein, vista la pochezza di
risorse stanziate in piena campagna elettorale dal governo per
abbattere le liste di attesa. Ora a distanza di 4 mesi dal suo varo,
il DL venduto come toccasana per accorciare i tempi per visite e tac
è ancora fermo al palo, perché mancano tutti i provvedimenti
attuativi previsti per mettere le gambe al "piano Schillaci".
Tanto per cominciare non c'è traccia del provvedimento che dovrebbe
definire le modalità di applicazione della norma "salta code".
Nucleo centrale del decreto, nel quale si stabiliste il diritto
dell'assistito ad ottenere in automatico il rimborso delle
prestazioni ottenute dal privato quando il pubblico non rispetta i
tempi massimi stabiliti dal Piano nazionale liste di attesa. In
teoria un passo avanti rispetto a oggi, perché al momento prima si
anticipano i soldi e poi si chiede il rimborso con tanto di Pec e
prova documentale di non aver ottenuto la prestazione nei tempi
massimi stabiliti per legge. Un percorso arzigogolato che rende di
fatto inesigibile il diritto. Che tale resterà fino a quando non
verrà alla luce il decreto attuativo che spiega come saltare la fila
senza sborsare denaro. Anche perché nessuno a fino ad ora visto il
protocollo d'intesa Salute-Mef-Regioni che deve indicare come
impiegare le risorse non spese in passato per abbattere le liste di
attesa. Parte di 500 milioni, probabilmente insufficienti a
finanziare il "salta code", ma che così resteranno ancora chissà per
quanto inutilizzati. L'intesa era attesa entro 60 giorni dal varo
del decreto legge ma non ce n'è nemmeno traccia.
Missing è poi il decreto attuativo di un altro tassello
fondamentale, quello che fa scattare i poteri sostitutivi dello
Stato quando le Regioni sono inadempienti nell'applicare le misure
taglia liste. In un primo momento il provvedimento, fortemente
voluto da Schillaci, affidava al suo ministero poteri ispettivi e
sanzionatori, che arrivavano ad attribuire agli ispettori
ministeriali il compito di far scattare sanzioni e persino le
manette nei casi più gravi. Una stretta che aveva fatto insorgere i
governatori che erano riusciti ad ottenere da Giorgia Meloni il
depennamento della norma, mitigato però dai poteri sostitutivi dello
Stato, senza i quali anche il resto del castello rischia di
sgretolarsi, lasciando in ogni caso alle regioni il doppio ruolo di
controllori e controllati. La definizione dei poteri sostitutivi
doveva essere messa nero su bianco entro il 7 luglio ma ancora si è
in attesa di un testo. Così come manca il decreto, previsto entro 30
giorni, che dovrebbe provvedere alla «Classificazione e
Stratificazione della popolazione», ossia a programmare l'offerta
delle cure. Aspetto non trascurabile del piano taglia tempi di
attesa.
L'unico decreto attuativo messo per ora nero su bianco è quello che
contiene le linee guida per realizzare la piattaforma nazionale
sulle liste d'attesa, essenziale per monitorare i tempi di attesa
reali per visite specialistiche e accertamenti diagnostici, visto
che quelli riportati dai siti regionali risultano essere spesso poco
attendibili. Un tassello importante del piano, perché bisogna prima
sapere dove le cose non vanno per poter poi intervenire. Secondo il
decreto di giugno le linee guida dovevano essere adottate entro 60
giorni dal suo varo, ossia al massimo il 29 agosto. Da pochi giorni
abbiamo il testo che è però ben lungi dall'essere approvato dalla
Conferenza delle Regioni, che ne ha appena iniziato l'esame a
livello tecnico. Con il risultato che, secondo quanto ammesso dallo
stesso ministero della Salute, la piattaforma non sarà operativa
prima di gennaio, se non febbraio. Come dire che fino ad allora non
sarà possibile sapere chi rispetta i tempi e chi no e quindi nemmeno
mettere in atto le misure pensate per accorciare i tempi.
«Questo ritardo sul piano è inaccettabile, incomprensibile e
insostenibile per i cittadini che si misurano tutti i giorni con il
problema di attese troppo lunghe per curarsi. Se Regioni e governo
ritardano ancora bisogna pensare a un commissario straordinario per
le liste d'attesa», propone Tonino Aceti, presidente di Salutequità.
Tentando così di tirare fuori il decreto liste di attesa dalle
sabbie mobili in cui lo tiene impantanato la burocrazia.
L'affaire
Scajola
mattia mangraviti
imperia
Una nuova grana, fonte di più di qualche imbarazzo, si abbatte su
Claudio Scajola. La causa sull'ineleggibilità a sindaco di Imperia
approda davanti alla Cassazione. È l'ultimo capitolo di una vicenda
nata dal ricorso presentato da tre consiglieri comunali di
opposizione, Ivan Bracco, Luciano Zarbano e Lucio Sardi, contro
l'elezione dell'ex ministro dell'Interno e che rischia di
complicarsi ulteriormente per una recente pronuncia della Corte dei
Conti sull'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, società
consortile incaricata della gestione del servizio idrico in
provincia di Imperia. Un doppio incarico che potrebbe rivelarsi
incompatibile, un caso di conflitto d'interessi piuttosto
imbarazzante, almeno a detta della magistratura contabile.
Al centro della vicenda c'è l'incarico di commissario ad acta
assegnato a Scajola dalla Regione Liguria con decreto firmato dal
presidente Giovanni Toti: una nomina che, a detta dei ricorrenti,
era incompatibile con il ruolo di primo cittadino. In primo grado il
Tribunale di Imperia ha respinto il ricorso in quanto «non
ravvisabile alcuna forma di controllo istituzionale da parte del
commissario sul Comune di Imperia», accogliendo di fatto la tesi
difensiva del legale dell'ex ministro, il vice sindaco di Genova
Pietro Piciocchi. La causa è poi approdata in Appello dove la Corte,
a sorpresa, non è entrata nel merito e ha annullato la sentenza di
primo grado per un problema di notificazione rimandando gli atti al
Tribunale di Imperia. In sostanza i ricorrenti, secondo i giudici di
secondo grado, avrebbero erroneamente chiamato in causa Scajola in
quanto sindaco di Imperia e non come persona fisica. Da qui la
nullità dell'intero procedimento.
Ma è la Corte dei Conti a rimettere tutto in discussione. Dando il
via libera all'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, scrive
che l'operazione «è stata avallata dal commissario». Scajola che
avalla Scajola, insomma. E, ancora, che «sulla base delle proiezioni
fornite dal commissario (sempre Scajola, ndr) in esito
all'operazione il Comune di Imperia (e dunque nuovamente l'ex
ministro, ndr) dovrebbe acquisire una partecipazione in Rivieracqua
spa pari al 28,63%». Ma non è tutto. Perché anche la delibera con la
quale il Consiglio comunale ha approvato l'ingresso del Comune in
Rivieracqua lascia qualche dubbio. L'aula, infatti, trasmette l'atto
al commissario ad acta «per quanto di competenza» e «dichiara la
deliberazione immediatamente eseguibile al fine di rispettare il
termine del 30 aprile 2024 stabilito dal commissario ad acta». Il
Consiglio comunale presieduto da Scajola, insomma, invia gli atti a
Scajola per rispettare i termini stabiliti da Scajola.
Considerazioni che per lo meno aprono qualche interrogativo sul
fatto che non sia ravvisabile «alcuna forma di controllo
istituzionale da parte del commissario sul Comune di Imperia». Una
pronuncia che rischia di mettere più di un dubbio al Tribunale
nuovamente chiamato a esprimersi sulla presunta ineleggibilità del
sindaco.
Scajola in un primo momento si era lasciato andare a toni
trionfalistici: «Altra sconfitta per Bracco e Zarbano, la verità
viene sempre fuori». Ora ha deciso di impugnare la sentenza di
Appello davanti alla Cassazione. A oggi, però, la situazione risulta
radicalmente cambiata rispetto al passato dato che la pronuncia
della Corte dei Conti rischia di mettere il sindaco in una posizione
piuttosto scomoda, almeno sulla carta.
Per Scajola si tratta dell'ennesima querelle giudiziaria nel corso
di una lunga carriera politica contraddistinta da grandi successi e
rovinose cadute. Dalle polemiche per il G8 (era ministro
dell'Interno quando morì Carlo Giuliani) alla casa al Colosseo
pagata in parte a sua insaputa da un imprenditore (fu assolto in
primo grado e poi prosciolto per prescrizione), dal caso Biagi,
ucciso dalle Nuove Br (di lui disse «era un rompicoglioni»)
all'arresto per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena
(condannato in primo grado a due anni di carcere, poi prosciolto per
prescrizione). Un percorso tortuoso che però non ha impedito all'ex
ministro di recitare a Imperia ancora un ruolo da grande
protagonista. Sindaco, presidente della Provincia e commissario
dell'autorità idrica, tira le fila della politica ponentina con
all'orizzonte un ritorno nei salotti che contano, tra i vertici
dell'amata Forza Italia dell'amico Tajani. —
02.10.24
L'incontro con Fink, ad del
fondo. Un comitato per gli investimenti su AI, energia e trasporti
Meloni chiede il soccorso della grande finanza
Cabina di regia a Chigi per i soldi di BlackRock ilario lombardo
roma
«No alla grande finanza internazionale» urlava Giorgia Meloni dal
palco di Vox a Marbella, il 12 giugno 2022. Due anni dopo, il
governo guidato dalla leader di Fratelli d'Italia apre il portone di
Palazzo Chigi e il mercato italiano al più grande fondo finanziario
del mondo. Il bagno di realtà del governo – e dei soldi a
disposizione – vale più delle promesse elettorali dal facile suono
populista. I soldi del Pnrr finiranno nel giro di un paio di anni e
le casse dello Stato saranno ancora più strizzate dalle nuove regole
fiscali europee. Il privato, anche se è lo squalo globalista,
vecchio nemico di tanti comizi di Meloni, torna molto utile oggi. Un
comitato composto dai principali collaboratori della premier sarà
l'interlocutore formale e istituzionale di BlackRock. È il risultato
dei 35 minuti di colloquio tra Meloni e Larry Fink, il numero uno
del fondo con sede a New York che gestisce oltre 9 trilioni di
dollari di patrimonio globale, 102 miliardi per conto di clienti
italiani. I due si erano già visti a Borgo Egnazia, nel corso del
G7, durante la Partnership for Global Infrastructure and Investment,
copresieduta dalla presidente del Consiglio e dal presidente degli
Stati Uniti Joe Biden.
Secondo una nota di Palazzo Chigi, il gruppo di lavoro che verrà
costituito a breve sarà una sorta di cabina di regia e avrà il
compito di individuare e «coordinare i progetti che andranno
sviluppati in collaborazione» con BlackRock. Dovrebbero farne parte
quasi sicuramente il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio e il
capo di gabinetto Gaetano Caputi. Di fatto riguarderà società
partecipate e settori strategici, a partire ovviamente
dall'Intelligenza Artificiale, ambito a cui la premier italiana ha
dedicato importanti colloqui già durante la missione a New York, a
margine dell'Assemblea Onu, dove ha incontrato non solo il
supermiliardario Elon Musk, ma anche i vertici di Google, Open Ai,
Motorola. Meloni e Fink hanno analizzato i margini di investimento
nell'ambito di sviluppo di data center e delle correlate
infrastrutture energetiche di supporto. Si tratta di trovare enormi
bacini di alimentazione. Secondo fonti finanziarie vicine al fondo,
gran parte dell'incontro – al quale era presente anche il ministro
dell'Economia Giancarlo Giorgetti – si è focalizzato proprio su
questo, in particolare su come gestire i nuovi centri di
elaborazione sul territorio nazionale. È il cuore del business che
fa gola ai giganti digitali, compresa Microsoft che con BlackRock
sta già investendo su infrastrutture informatiche ed energetiche.
In tal senso, spiegano le stesse fonti vicine al dossier, «non si
può escludere una collaborazione con Enel, con il fine ultimo di
raccogliere la sfida energivora dell'AI». I dialoghi sono a un «buon
stadio d'avanzamento», ma l'intenzione di BlackRock è quella di
mantenere la massima prudenza. «Si tratta di un dossier molto
delicato, che ha richiesto una discussione dettagliata sui prossimi
passaggi».
Il colosso statunitense è già ampiamente presente, con i suoi
miliardi, in grandi aziende e banche italiane. E dal momento che è
il secondo azionista di Enel, dopo lo Stato italiano, circolano
indiscrezioni riguardo a un'ulteriore salita nel capitale della
società energetica guidata da Flavio Cattaneo. Oltre agli utilizzi
delle reti per pompare energia dentro i data center per l'AI, un
interesse particolare è quello delle colonnine di ricarica per i
veicoli a trazione elettrica. Un ambito che, salvo sorprese,
potrebbe essere discusso prima della fine dell'anno. Negli stessi
mesi in cui, dopo aver conquistato il 3 per cento di Leonardo,
dovrebbero finalizzarsi le trattative con Sace, gruppo
assicurativo-finanziario di sostegno alle imprese nazionali
controllato dal Ministero dell'Economia: in ballo c'è la gestione di
asset fino a 3 miliardi di euro. Ma gli obiettivi di Fink sono tanti
altri. Nel confronto con Meloni sono stati toccati possibili
partecipazioni pure nel settore idrico, nei trasporti (BlackRock è
già dentro Italo), in strutture portuali aeroportuali, e si è
discusso di un ruolo di primo piano all'interno del Piano Mattei.
Meloni cerca risorse per finanziare tutti i progetti di sviluppo che
faticano a essere avviati con i Paesi africani. E Fink ha già
un'idea su quali strumenti utilizzare. BlackRock sta lavorando a un
secondo fondo sulla finanza climatica, al quale vuole che partecipi
anche l'Italia. —
la fed punta a due tagli del
costo del denaro entro l'anno
Draghi: verso una stagione di tassi alti MARCO BRESOLIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
L'epoca dei tassi d'interesse negativi non tornerà. Anzi, «vivremo
in un periodo in cui avremo pressioni da deficit troppo alti e un
eccesso di domanda», quindi «potenzialmente con livelli d'inflazione
più alti e tassi più alti». È la previsione di Mario Draghi, l'uomo
che per 8 anni ha gestito la politica monetaria a capo della Bce in
una fase critica per l'economia europea. Pur rispondendo con un «no,
grazie» a chi ha provato a rimetterlo per un attimo nei panni del
banchiere centrale, Draghi è tornato brevemente sulla questione
durante una discussione organizzata dal think tank Bruegel e
dedicata al suo rapporto sulla competitività realizzato per conto
della Commissione. Poche ore dopo, intervenendo al Parlamento
europeo, Christine Lagarde ha mantenuto le carte coperte sulla
decisione che sarà presa a ottobre dalla Bce, mente oltre
oltreoceano Jerome Powell, presidente della Fed, prevede altri due
tagli dei tassi, per un totale di 50 punti entro l'anno, visto che
l'economia Usa «è solida».
Draghi ha molto insistito sulla necessità di aumentare gli
investimenti, ricordando che la cifra di 800 miliardi annui citata
nel report è frutto di «una stima prudente». Ha ribadito che una
quota significativa dovrà essere costituita da fondi pubblici, ma
che gli Stati non hanno i mezzi per poterla sostenere e che
bisognerà agire a livello europeo. Se necessario, anche con
l'emissione di debito comune.
Alla luce delle reazioni negative in alcune capitali, il tema resta
controverso, ma Draghi avrà la possibilità di confrontarsi con i 27
leader Ue al vertice informale che si terrà all'inizio di novembre a
Budapest . L'appuntamento cadrà a poche ore dall'elezione del nuovo
presidente Usa e Draghi ha messo in guardia l'Europa dai rischi del
protezionismo. Quella dell'Ue, ha sottolineato, «è un'economia
aperta e se facessimo come gli Usa ci danneggeremmo da soli».
Su una cosa, però, è tornato a martellare: «Tutti i nostri Paesi
sono troppo piccoli per essere all'altezza delle sfide attuali».
Serve «una sovranità europea» perché «la sovranità nazionale è
troppo debole come concetto». Ed è in questa chiave che dovrebbe
maturare lo scambio già alla base del Next Generation EU: cessione
di una parte della sovranità (riforme concordate a livello europeo)
in cambio di risorse comuni. Anche perché, secondo Draghi,
«l'attuazione delle riforme ridurrà l'ammontare degli investimenti
necessari».
I nerazzurri intercettati
Marco Ferdico
" La mafia d i San Siro
I rossoneri intercettati
Gherardo Zaccagni
Andrea Beretta
Luca Lucci
monica serra
andrea siravo
milano
Parcheggi, biglietti, trasferte, merchandising. Ricchi business
criminali che garantiscono una montagna di soldi dentro e fuori San
Siro, e che con la passione sportiva non hanno nulla a che vedere.
Del resto, come diceva intercettato il capo ultrà nerazzurro Andrea
Beretta: «Lo sai benissimo. .. io non faccio le cose per lo
striscione... a me non me ne frega un emerito c…! Nessuno lavora per
il popolo». Affari milionari ottenuti con le botte e le minacce
(«Non mi tradire sennò mi tocca ammazzarti») che le Curve di Inter e
Milan si spartivano in base a un «patto di non belligeranza» che ha
moltiplicato i «comuni profitti». E ha fatto diventare il Meazza
«terra di nessuno» piegando i club a una «situazione di sudditanza
rispetto agli ultrà», come sottolinea il gip Domenico Santoro nel
provvedimento che, all'alba di ieri, ha azzerato i direttivi delle
Curve.
Sono 19 in tutto le misure cautelari: 16 in carcere, 3 ai
domiciliari nell'indagine della Dda, diretta da Alessandra Dolci. A
cui si aggiungono una pioggia di Daspo del questore Bruno Megale.
Tra gli arrestati figurano i capi della Nord, Andrea Beretta – già
in carcere per l'omicidio di Antonio Bellocco, ucciso con venti
coltellate il 4 settembre a Cernusco sul Naviglio – e Marco Ferdico
con il padre Gianfranco. Ma anche i capi della Sud, il narcos Luca
Lucci e il fratello Francesco. Sono accusati a vario titolo di
associazione per delinquere – in alcuni casi aggravata dalla
agevolazione mafiosa – dedita a una sfilza di estorsioni per fare la
cresta su biglietti, abbonamenti, ingressi gratuiti e mettere le
mani su servizi di catering e di vendita di bevande nello Stadio. Ma
anche aggressioni e pestaggi contro steward, tifoserie rivali,
bagarini e magliettari per imporre il loro predominio.
Pesanti pressioni sono state esercitate sulle società di Inter e
Milan che, come ha specificato il procuratore Marcello Viola sono
considerate «parti lese» in queste indagini. Ma che hanno più volte
ceduto alle intimidazioni e ora rischiano il commissariamento con
l'apertura di un procedimento di prevenzione e la nomina di due
consulenti della procura che le aiuteranno a munirsi dei «necessari
anticorpi per evitare che col cambio dei volti sulla balaustra la
situazione si ripeta», specifica il pm Paolo Storari che ha
coordinato le indagini con la collega Sara Ombra. Nonostante i
divieti di legge, negli atti dell'inchiesta della Squadra mobile
sono certificati i contatti dei capi della Nord con il calciatore
slovacco Milan Skriniar che hanno provato a convincere di restare
all'Inter mentre «tremava dalla paura». Ma anche con l'allenatore
Simone Inzaghi e l'ex calciatore ancora vicino alla squadra Marco
Materazzi. Emblematico l'episodio della finale di Champions contro
il Manchester City. I capi della Nord pretendono dal club 1.500
biglietti da rivendere. Sotto la minaccia di «non andare a Istanbul
e non tifare», Marco Ferdico telefona anche a Inzaghi e gli chiede
di intervenire: «Te la faccio breve mister...ci hanno dato mille
biglietti...noi abbiamo bisogno 200 in più per esser tranquilli...ma
non per fare bagarinaggio mister... arriviamo a 1200 biglietti?». È
l'allenatore a rispondere: «Parlo con Ferri con Zanetti con Marotta…
poi ti faccio sapere qualcosa... gli dico che ho parlato con te e
che tanto avevi già parlato con Ferri e Zanetti… Marco io mi attivo
e ti dico cosa mi dicono». Il capo ultrà chiede poi l'intercessione
di Materazzi che si impegna: «Fammi... fammi provà… fammi provà». È
sempre lui a rivelargli il motivo del dietrofront del club: «I
biglietti da 80 li rivendono a 900… questo mi è stato detto, tienilo
per te». Alla fine, la società cede a pochi giorni dal match.
Al direttivo nerazzurro viene anche contestata l'aggravante
dell'agevolazione mafiosa per aver favorito la cosca dei Bellocco di
Rosarno dopo l'omicidio dell'ex leader della Curva Vittorio Boiocchi,
con la scalata dell'erede Antonio Bellocco, Toto u'Nanu, che ha
garantito i guadagni alla famiglia in Calabria anche per finanziare
i detenuti fino alla morte, per mano di Beretta. Come accertato
dalla polizia, era stato Ferdico a procurargli casa e lavoro
fittizio col compito di arginare gli appetiti degli altri gruppi
criminali. Ma il potere assunto da Bellocco, lo «spacchioso
calabrotto» era sempre più ingombrante. Diceva Beretta intercettato:
«A parte che tu di stadio non capisci un c… devi solo firmare e
lascia fare a noi...tu fai quello che devi fare, cioè mandare via i
tuoi paesani…».
Capitolo a parte è quello relativo alla gestione dei parcheggi su
cui ha indagato anche la Gdf e gestito soprattutto da Giuseppe
Caminiti, legato al boss di 'ndrangheta Giuseppe Calabrò, u'dutturicchio.
Insieme hanno permesso all'imprenditore Gherardo Zaccagni con la
«società Kiss and Fly» di accaparrarsi i parcheggi dello stadio in
cambio del pagamento di un obolo di 4 mila euro al mese ai capi
della Curva. Un affare per cui è indagato anche il consigliere
regionale di centrodestra Manfredi Palmeri, ex manager di «M.I.
Stadio srl» ed ex componente della commissione antimafia del Comune.
È lui l'uomo identificato da Zaccagni per intercedere con la
dirigenza rossonera e ottenere la gestione dei parcheggi in cambio
di un quadro da 10 mila euro che ieri è stato sequestrato a casa sua
nel corso della perquisizione. Contro di lui si ipotizza la
corruzione tra privati.
«Non è giusto dire che tutti gli ultrà sono criminali – è il
commento del procuratore della Dna Giovanni Melillo – ma che una
componente non secondaria del mondo ultrà pratichi attività
criminali è sotto gli occhi di tutti. Bisogna smettere di far finta
di niente». —
Il cantante, non indagato,
fino a un paio di giorni fa si è fatto fotografare con due degli
arrestati
I legami di Fedez con narcos e picchiatori Il business dei concerti
in giro per l'Italia
monica serra
milano
Dai servizi di sicurezza all'intera organizzazione di eventi e
concerti in Italia e all'estero. Sono tante «le ambizioni
imprenditoriali» del narcos Luca Lucci, come emerge dall'indagine
dell'Antimafia che ha azzerato le Curve milanesi. «Il suo ruolo di
capo della Sud gli ha consentito di tessere, relazioni di carattere
lavorativo nel settore musicale con noti artisti italiani come Fedez,
Emis Killa, Lazza, Tony Effe, Cancun, Gue Pequeno» permettendogli di
moltiplicare «in maniera esponenziale e con pochissimi controlli i
guadagni» fino a gestire «i concerti di questi artisti, sia sul
territorio nazionale, sia internazionale». E ora il gip Domenico
Santoro chiede alla polizia di approfondire queste relazioni
pericolose.
Prima tra tutte, quella con Fedez, che in questa inchiesta non è
indagato ma che fino a due giorni fa si è fatto fotografare in un
hotel di Parigi in compagnia del suo bodyguard Christian Rosiello e
dell'amico picchiatore Islam Hagag, noto come Alex Cologno, dopo gli
scatti di quest'estate su un lussuoso yacht a Porto Cervo. Entrambi
sono finiti in carcere: frequentazioni compromettenti che anche l'ex
moglie, Chiara Ferragni, ha in più occasioni criticato.
Per il gip c'è un «rapporto consolidato» tra Federico Lucia e il
narcos Lucci (quello della stretta di mano con Salvini). A lui si
rivolge Fedez per avere un bodyguard, per introdurre a San Siro la
bibita Boem che promuove con Lazza. E sempre con lui progetta una
scalata (finita in nulla) per acquisire la discoteca Old Fashion,
tanto da assicurare al telefono: «Ho già chiamato Boeri», il
presidente della Triennale, proprietaria degli spazi del locale.
Fedez va a trovare Lucci anche due giorni dopo il pestaggio del
personal trainer dei vip, Cristiano Iovino, in via Traiano, dopo una
rissa al The Club, nata nell'ambito della disputa con Nicolò
Rapisarda, in arte Tony Effe, sfociata nel dissing delle ultime
settimane. Una spedizione punitiva a cui ha partecipato anche
Rosiello, tra botte e minacce di morte alla vittima: «Chiedi
scusa…devi chiedere scusa, noi torniamo e ti ficchiamo una
pallottola in testa…».
Il caso si è chiuso con una transazione stragiudiziale e Iovino -
che chiamano Jimmy palestra - non ha denunciato. È sempre Fedez a
spiegare la situazione a Lucci: «Son proprio stupidi, vabbè, quando
torna il Tony...niente dobbiamo e basta… – spiega Fedez intercettato
– è semplice la cosa frate! Tony ha un amico, tutti sanno che quello
è amico suo, l'amico di Tony si fa male e Tony siccome deve fare il
ragazzetto ghetto non può permettersi che si sappia che un suo amico
si è fatto male senza che lui poi l'abbia difeso! Perché, a casa
mia, lo difendi quando c'ha bisogno non dopo, però… adesso ha fatto
brutto a Lazza… far brutto a Lazza, vuol dire far brutto a mio
figlio, ti pare!?».
Ma c'è di più. E si è scoperto nelle pieghe dell'indagine. Facendo
leva sull'intraprendenza del suo fedelissimo Hagag e ai suoi
rapporti col mondo criminale calabrese, è stato Lucci a organizzare
una serie di concerti di Fedez ad agosto soprattutto nel Sud Italia.
Tanto che il nome del picchiatore Hagag «è comparso sul sito
ticketone.it in qualità di organizzatore del concerto di Fedez
previsto per il 6 agosto del 2024 al Calura di Roccella Jonica e di
tutti gli altri eventi previsti nel mese di agosto in quel locale e
in altri locali notturni calabresi, grazie alla mediazione della Why
Event di Lucci»
Il vicepremier nel 2018 era
stato immortalato con il capo della tifoseria Luca Lucci arrestato
ieri
Le amicizie pericolose che sfiorano Salvini "La violenza deve
restare fuori dagli stadi"
FRANCESCO MOSCATELLI
ANDREA SIRAVO
MILANO
Per Matteo Salvini l'inchiesta sugli ultras milanesi non è un bel
modo per cominciare la settimana del raduno leghista previsto per
domenica prossima a Pontida. Una settimana che, nelle sue
intenzioni, dovrebbe essere di rilancio dell'azione politica sui
fronti dell'immigrazione (il 18 ottobre a Palermo è attesa l'arringa
del suo legale Giulia Bongiorno nel processo Open Arms) e del
sovranismo (domenica sul «sacro pratone» ci saranno il premier
ungherese Viktor Orban e l'olandese Geert Wilders).Perché se è bene
chiarire che né il segretario né altri esponenti del Carroccio sono
stati anche solo sfiorati dalle indagini, è inevitabile che il blitz
della Dda milanese riporti a galla il legame tra Salvini e la Curva
Sud del Milan, a cominciare dalla celebre foto del dicembre 2018 in
cui l'allora ministro dell'Interno stringeva la mano a Luca Lucci,
il leader indiscusso dal 2009 del tifo organizzato rossonero con già
due condanne definitive per droga dopo gli arresti nel 2018 e nel
2021.
«Io ho fotografie con circa 100 mila persone - ha detto ieri mattina
Salvini a margine di un convegno sulla gestione idrica che si
svolgeva a Milano -. Vado allo stadio da quando sono piccino e con
milanisti ho alcune migliaia di foto, sperando che siano tutte
persone per bene. Però mi fido assolutamente delle forze
dell'ordine, penso anche agli scontri prima del derby di Genova. Io
sono un tifoso appassionato però la violenza e la mafia devono stare
assolutamente fuori dagli stadi». Quindi ha aggiunto: «Io vado allo
stadio da quando ho cinque anni e se qualcuno usa lo stadio per
farsi gli interessi suoi, poi con puzza di mafia, camorra e
‘ndrangheta, va assolutamente isolato, beccato e allontanato». Una
presa di distanza molto netta che a qualcuno, però, potrà sembrare
tardiva. Un anno e mezzo fa, infatti, il segretario e vice-premier
era tornato a far parlare del suo rapporto con gli ultras rossoneri
per aver difeso pubblicamente la protesta (vietata dalla giustizia
sportiva) andata in scena dopo una clamorosa sconfitta della squadra
allenata allora da Stefano Pioli allo stadio Picco di La Spezia.
«Penso e spero che ci siano cose più importanti di cui occuparsi»,
disse Salvini.
Tra i tifosi che avevano costretto giocatori e mister a un'umiliante
tirata d'orecchie sotto la curva degli ospiti c'era Francesco Lucci,
fratello di Luca arrestato ieri sulla pista di Orio al Serio appena
sceso da un volo che lo riportava in Italia da Dubai. La violenza è
il dna dei fratelli Lucci. «C'ho una sete di sangue che solo Dio lo
sa!», si rammarica Luca, detto il «Toro» tornando a San Siro nel
novembre 2023. Non sulla balaustra del secondo anello Blu ma in
tribuna. Quella che lo ha fatto resistere a tentativi di
detronizzazione di Giancarlo Lombardi, detto Sandokan. L'ex
fedelissimo divenuto nemico. «Gli dico "non dividiamo la curva"… eh
allora lui mi dice "Allora mi dai sotto come avevamo detto prima".
Ho detto: "Non ti do neanche sotto" … Io gli dico no su tutto», si
sfoga Lucci con Loris Grancini, capo del gruppo ultras dei Viking
della Juventus. Tra le preoccupazioni c'era anche quella di essere
nuovamente arrestato quando a luglio 2023 scopre un'ambientale in
casa sua: «Sicuro sono indagato per associazione, capirai questi
fino a che non mi massacrano non son contenti», profetizza ai suoi
parenti il Toro. —
Partite le audizioni
nell'inchiesta che ha condotto in carcere il dipendente della Filca,
Ceravolo I segretari nazionali della sigla (non indagati) saranno
sentiti come persone informate sui fatti
Mafia, tessere e sindacato i vertici della Cisl in procura
giuseppe legato
Nei prossimi giorni i vertici del sindacato Cisl (e Filca Cisl)
saranno sentiti in procura come persone informate sui fatti. La
cornice delle audizioni notificate a tre dei massimi rappresentanti
della sigla confederale è quella dell'inchiesta Factotum che ha
portato in carcere la scorsa settimana Domenico Ceravolo, dipendente
del sindacato edili a Torino e dallo scorso 13 febbraio componente
della segreteria provinciale. L'accusa per Ceravolo è quella di
associazione a delinquere di stampo mafioso. Di questo lo accusano i
pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni titolari del fascicolo.
A Torino, in procura, arriveranno Mauro De Lellis, segretario
provinciale della Filca (da 4 giorni promosso responsabile
regionale), Ottavio De Luca e il segretario nazionale della Cisl
Luigi Sbarra (non indagati). La notizia delle convocazioni è emersa
da ambienti sindacali.
Considerato uomo vicino a Franco D'Onofrio, anche lui finito in
manette con l'accusa "di dirigere la rete della ‘ndrangheta in
Piemonte", Ceravolo, assistito dal legale Christian Scaramozzino, si
professa innocente. Il tema delle audizioni però non sarà questo. E
basta leggere gli atti finora pubblici su questa inchiesta per
cogliere come il focus il comportamento del sindacato nei suoi
confronti. Per i pm «è dimostrata la consapevolezza da parte dei
vertici Filca Cisl dell'appartenenza/vicinanza di Ceravolo al
contesto 'ndranghetistico». Lo dimostrerebbero i benefit che gli
vengono riservati come ad esempio il pagamento del viaggio per
andare in Calabria a deporre come teste della difesa di un boss
nell'aula bunker di Lamezia Terme per testimoniare nel maxi-processo
Rinascita Scott. Le spese di viaggio vengono "coperte" dal
sindacato. Gli investigatori sottolineano nel decreto di fermo che
«tale esborso, che non può di certo ritenersi una spesa attinente le
attività istituzionali dell'ente». Di più: che di questo «non è
stato tenuto all'oscuro il vertice romano dell'organizzazione
sindacale stessa». Ancora: «Che i nominati responsabili della Filca
Cisl (non indagati, ripetiamo) fossero a conoscenza del motivo
inerente la trasferta calabrese di Domenico Ceravolo. Con le
prossime audizioni si chiarirà un altro punto emerso agli atti che
riguarda il trojan (un virus informatico) inoculato dal Nucleo di
polizia economica della Finanza nel telefonino di Ceravolo. Secondo
gli inquirenti ci sarebbe stato «un accertato diretto interessamento
dei vertici sindacali a favore di Ceravolo allorquando sono emersi
chiari segnali di una possibile attività investigativa svolta nei
confronti di quest'ultimo». Ovvero: «Dopo l'inoculamento del trojan
sul telefono aziendale del dipendente è uno dei vertici della Filca
Cisl a contattare il gestore Vodafone «per rappresentare alcune
anomali che stava riscontrando su quel telefono: «Senta, la chiamo
per un problema che ha il proprietario, l'intestatario di questo
numero. Non riusciamo a disinstallare o quantomeno a bloccare un ...
un'applicazione che è "Assistenza in linea" che continua a lavorare
in background, volevamo capire se era possibile disattivarla tramite
il servizio o c'è qualche anomalia». Per gli investigatori «è un
chiaro segnale di aver compreso che si trattasse di un trojan».
Pochi giorni dopo a Ceravolo arriverà un cellulare nuovo: «Questo
costa 1300/1400 euro». Chiosano i pm: «Tale dispositivo, avrebbe
reso impossibile un nuovo tentativo di inoculazione». —
Il risanamento prevede la
decontaminazione del terreno dai veleni
Parte la maxi bonifica dell'ex area Thyssen Sei anni di cantiere
diego molino
Il futuro dell'ex Thyssenkrupp, una ferita ancora aperta sull'asse
di corso Regina Margherita, è tutto da scrivere. Un primo bagliore
di luce si intravvede adesso, visto che nei prossimi giorni
partiranno le opere di bonifica di tutta l'area. Un cambio di passo
annunciato dall'assessore all'Urbanistica Paolo Mazzoleni, nel corso
di una commissione che si è svolta ieri a Palazzo Civico, dopo una
serie di ritardi e rinvii sul cronoprogramma dei lavori. Non sarà un
processo breve: gli interventi di messa in sicurezza operativa
avranno una durata di sei anni e dovrebbero concludersi nel 2030,
mentre il costo complessivo sarà di 4,5 milioni di euro, a carico
degli attuali proprietari di Arvedi Ast.
Parte dunque l'iter per preparare il futuro di questa porzione di
città dove 17 anni fa, nella notte del 6 dicembre del 2007, scoppiò
un incendio all'interno della fabbrica che provocò la morte di sette
operai. La bonifica sarebbe dovuta partire già nello scorso luglio,
ma la proprietà aveva chiesto - e ottenuto – dal Comune una proroga
di tre mesi. Oggi invece Arvedi Ast ha comunicato alla Città di aver
individuato un operatore e un direttore dei lavori. Il piano di
risanamento del terreno prevede un mosaico di attività che sono
mirate alla riduzione della presenza di cromo esavalente e del
rischio che possa fuoriuscire dal perimetro dell'ex sito
industriale. Un'altra parte di opere serviranno al controllo delle
emissioni di acqua contaminata, all'eliminazione degli idrocarburi e
all'impermeabilizzazione di una parte scoperta del vecchio
stabilimento, per prevenire il rilascio di sostanze inquinanti
all'interno della falda.
Questo per ciò che riguarda le operazioni di bonifica dell'area. Al
contempo, però, si lavora anche per disegnarne la futura vocazione.
Nello scorso mese di marzo, il consiglio comunale decise di
approvare una delibera con cui si stabiliva una variante al piano
regolatore, prevedendo una successiva destinazione d'uso dei terreni
a parco urbano, che possa collegarsi alla vicina area del parco
della Pellerina. Un documento contro cui i proprietari di Arvedi
hanno presentato ricorso al Tar, come ha spiegato l'assessore
Mazzoleni in commissione: «In merito al ricorso la Città si è
costituita in giudizio, riteniamo che la delibera approvata sia
assolutamente solida e difendibile, anche se la variante non è
ancora stata approvata».
Nei mesi scorsi il progetto del "verde su soletta" aveva attirato
però anche diverse critiche di alcuni comitati di cittadini, che al
contrario chiedevano una bonifica in profondità dell'ex sito
industriale. Al momento non ci sono invece conferme sul fatto che
Arvedi abbia trovato un nuovo acquirente per l'area. —
01.10.24
FUOCO SOTTO IL VESTITO CINESE :
La BYD ha
avviato una procedura di richiamo per 97.000 auto elettriche
prodotte tra il novembre del 2022 e il dicembre del 2023: il
problema, che potrebbe portare a un rischio di incendio, riguarda un
difetto di fabbricazione relativo alla centralina del servosterzo
delle Dolphin e
delle Yuan Plus. Stando ai dati della China Association of
Automobile Manufacturers, l’associazione dei costruttori cinesi, nel
2023 i due modelli sono state le vetture più vendute dalla Casa,
forti di 750 mila unità.
Interventi già in corso. La Casa cinese sta richiamando nelle
proprie officine tutte le vetture coinvolte per risolvere il
problema con l’installazione di una nuovo componente. Al momento non
è ancora chiaro se il problema riguarda anche gli esemplari
esportati all’estero, ed eventualmente in quale percentuale. Per la
BYD si tratta del secondo richiamo nel giro di due anni: nel 2022
una piccola quantità di Tang plug-in aveva segnalato un difetto
nella batteria di trazione.
NON COMPRERI MAI QUESTE AUTO :
SONO A BORDO QUINDI LI HAI GIÀ PAGATTI - La connessione a Internet
delle auto moderne (grazie a una scheda sim, come quella dei
telefonini) ha aumentato il numero di servizi disponibili, fornisce
informazioni in tempo reale (per esempio sul traffico) e permette di
aggiornare l’elettronica di bordo senza passare in officina. Bello?
Sì, ma non sempre: le case, infatti, possono “gestire” alcuni
accessori a distanza, attivandoli solo a pagamento. L’auto può avere
i fari a matrice di led (ad abbaglianti accesi riconoscono la
presenza di altri veicoli e creano un cono d’ombra per non
accecare), ma che lavorano come luci “normali” a meno di pagare un
abbonamento. Stesso discorso per le sospensioni a controllo
elettronico e per il cruise control adattativo: potresti avere già a
bordo tutti gli elementi (e quindi, in pratica, averli pagati), ma
col software bloccato dalla casa.
E IN CASO D'INCIDENTE TI COSTA DI PIÙ - Se poi fai un incidente,
potresti trovarti a pagare cifre altissime e ingiustificate: un faro
a matrice di led (anche se non attivato) è molto più caro di uno
“passivo”. E anche i sensori del cruise adattativo sono cari da
riparare… Le case offrono queste funzioni per un certo periodo o per
sempre. Qui trovate alcuni esempi, col prezzo indicativo. Infatti,
soltanto dopo aver inserito il numero di telaio della propria auto
(nell’app o nel negozio virtuale) si può sapere cosa si può avere e
cosa no, e quanto costa.
AUDI: POCHI, SOFISTICATI “OPTIONAL”
L’offerta si concentra su tecnologie raffinate e dall’hardware
costoso (come i fari “intelligenti” o il sistema di parcheggio
automatico).
Fa eccezione lo Smartphone Interface: Android Auto e Apple CarPlay
senza filo. Un mese, per la Q5, costa € 18; per sempre, € 470 (€ 20
e € 550 rispettivamente per le A6, A7 Sportback e Q7). In auto di
questo tipo, l’accessorio dovrebbe essere di serie.
L’assistente al parcheggio, che aiuta nella manovra azionando in
automatico lo sterzo, nel caso della eTron e Q8 eTron costa € 9,99
al mese e 500 per sempre.
I fari matrix led (che attivano la luce abbagliante senza accecare
chi si incrocia o si segue) per la suv Q8 e-tron costano € 70 per un
mese; sbloccarli per sempre, € 2.240.
BMW: NEL NEGOZIO ONLINE C’È DAVVERO DI TUTTO
Le funzioni sono solo per le vetture con connessione a internet
Connected Drive. Qui mostriamo i prezzi del negozio online, ma
bisogna verificare costi e disponibilità per la propria auto.
Active Cruise Control con funzione Stop&Go: regola in automatico la
velocità e la distanza dal veicolo che precede, costa € 899 (per
sempre).
Aggiornamento mappe: il rinnovo è annuale: € 89. Assistente
abbaglianti (attivazione automatica): un mese, € 9; un anno, € 99;
tre anni, € 149; per sempre, € 199.
BMW drive recorder: riconosce gli incidenti e salva automaticamente
le immagini precedenti al sinistro. Un mese, € 15; un anno, € 59;
tre anni, € 129; per sempre, € 299.
Driving assistant plus, la guida assistita di Livello 2 (mantiene in
automatico velocità, corsia e distanza dal veicolo che precede). Un
mese costa, € 49; un anno, € 429; tre anni, € 649; per sempre, €
929.
Real Time Traffic Information: informa in tempo reale sul traffico.
Un anno: € 69.
Traffic camera information: gli autovelox fissi e i rilevatori di
semaforo rosso vengono segnalati sul display centrale. Rinnovo
annuale a € 39.
Gli ammortizzatori a controllo elettronico potrebbero essere già in
auto, ma non è detto che funzionino. Per attivarli: € 29 per un
mese; € 209 per un anno; € 429 per sempre.
DS: L’APP PER ELETTRICHE? € 40 ALL’ANNO
Il Connect Plus è di serie per i primi tre anni e comprende, fra le
altre, tre funzioni per le elettriche e le plug-in che restano
sempre attive: programmazione della ricarica, controllo
dell’autonomia e attivazione del “clima” via app. Dopo i primi tre
anni, il resto diventa a pagamento.
L’Intelligenza artificiale ChatGPT costa € 1,5 al mese o € 15
all’anno;
Le informazioni in tempo reale su traffico, autovelox e parcheggi, €
9,9 al mese o € 109 all’anno;
L’app E-Routes per la pianificazione del viaggio con suggerimento
delle soste per la ricarica, € 4 al mese o € 40 all’anno.
FORD: NELLE ELETTRICHE È QUASI TUTTO COMPRESO
Disponibilità e prezzi per il proprio veicolo si ottengono solo dopo
aver inserito il numero di telaio nel negozio virtuale o nella app.
Connettività premium: musica online e comandi vocali Alexa. Per le
Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal 2022, 90 giorni di
prova gratuita e poi 4,99 €/mese.
Ford Secure: in caso di furto dell’auto, questo servizio la
localizza (per le Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal
2022); un anno di prova gratuita, poi 5,99 €/mese.
Navigazione connessa: informazioni su traffico, prezzi e
disponibilità di colonnine, distributori e parcheggi. Dopo un anno
di prova gratuita, € 5,99 al mese; di serie per le elettriche.
MERCEDES: PACCHETTI SU MISURA
Per semplificare la scelta, la casa di Stoccarda propone il Connect
Package: costa € 14,90 al mese (ma i primi 30 giorni sono gratuiti),
oppure € 149,00 all’anno. Include, fra l’altro, Internet radio,
notifica di furto, rilevamento dei danni da parcheggio, previsioni
del tempo e giochi, nonché l’attivazione del “clima” e l’apertura di
finestrini e tetto in vetro dall’app.
Dalla primavera, le A, B, GLA ed EQA sono proposte anche in versione
Digital Edition: una serie speciale che costa 1.464 euro in più
rispetto all’auto “base”e che comprende 41 funzioni normalmente
attivabili online (a pagamento), comprese quelle del Connect Package
indicate qui sopra. A queste si aggiungono accessori di valore, come
il pacchetto di assistenza alla guida (cruise control adattativo,
monitoraggio dell’angolo cieco e altri aiuti elettronici); il
collegamento senza filo ad Android Auto o Apple CarPlay; il sistema
di parcheggio assistito con telecamere a 360° (l’auto sterza in
automatico e può entrare e uscire dal parcheggio senza guidatore a
bordo); il pacchetto Guard 360° (localizzazione della vettura e
supporto in caso di furto dell’auto). Nelle Digital Edition è di
serie anche la verniciatura metallizzata.
VOLKSWAGEN: UNA SOLA "CADUTA DI STILE"
Le possibilità di scelta sono limitate, perché quasi tutto è di
serie: è una scelta della Volkswagen Italia per semplificare la vita
dei clienti. In Germania, infatti, nel negozio virtuale ci sono
molti più accessori a pagamento.
Da noi si pagano solo il navigatore (685 euro per Polo, T-Cross,
T-Roc, Taigo e 679 euro per Passat e Tiguan) e i controlli vocali (€
275 per tutte, per sempre).
E comunque, dal momento che Android Auto e Apple CarPlay sono di
serie ed entrambi sono dotati di navigazione e comandi vocali
intelligenti, si può fare a meno di quelli della Volkswagen.
Il tasto per scaldare i sedili, € 97
La Passat e la Tiguan si possono avere con il Travel Assist
(aggancia la corsia e il veicolo davanti e può fare il sorpasso in
automatico, € 395 euro per sempre) e i sedili riscaldabili, € 96,9
per sempre. Nel caso dei sedili, non si paga nemmeno un software, ma
solo il tasto (virtuale) per attivarli
DOPO ANNI HANNO CAPITO LA SPIA CINESE :
QUESTIONE DI SICUREZZA - Mentre la Cina chiede all’Italia di
adottare Huwaei come fornitore di servizi di telecomunicazioni in
cambio di un investimento per la fabbrica della Dongfeng (qui per
saperne di più), l’Europa potrebbe presto seguire l’esempio degli
Stati Uniti, che pochi giorni fa hanno annunciato l’intenzione di
mettere al bando i software cinesi e russi dalle auto destinate al
loro mercato (qui la news). Anche Bruxelles starebbe infatti
pensando a introdurre blocchi verso tecnologie provenienti da paesi
considerati “nemici”. Condividendo le preoccupazioni di Washington,
la danese Margrethe Vestager, che nella commissione europea è a capo
delle questioni legate alla digitalizzazione, ha annunciato che “è
legittimo esaminare se quel tipo di tecnologia possa essere o meno
utilizzata in modo improprio quando si tratta di questioni di
sicurezza”. Le auto connesse, ha detto Vestager, possono registrare
e comunicare dati sensibili: per questi alla UE “stanno esaminando
la questione, anche con i nostri esperti di sicurezza economica”.
NON TUTTI SONO D’ACCORDO - Nelle prossime settimane i funzionari
europei per la sicurezza informatica presenteranno una bozza con le
misure proposte sulla connettività dei veicoli, che potrebbe
trasformarsi in un documento non vincolante, cioè dipendente in
larga misura dalla volontà da parte dei singoli governi di
trasformarli in restrizioni effettive. Sulla questione c’è però
dibattito, perché le aziende europee hanno avvertito che le misure
adottate negli USA potrebbero avere effetti negativi al settore
automobilistico del Vecchio Continente, obbligando le case a trovare
nuovi fornitori. Inoltre i costruttori hanno paura di irritare
Pechino, in particolare i marchi tedeschi che sul mercato cinese
fondano una buona parte dei loro ricavi.
PROTEZIONE DEI DATI - Intanto un’altra norma europea sulla sicurezza
informativa ha già avuto un impatto in Europa: infatti a luglio è
entrata in vigore una normativa secondo la quale i produttori
europei devono implementare un sistema di gestione della sicurezza
informativa per proteggere i dati degli utenti. Secondo l’analista
automobilistico Matthias Schmidt, subito si sono viste le
conseguenze del provvedimento, che ha intaccato presto le vendite di
auto cinesi: per esempio, afferma Schmidt, la MG (di proprietà della
cinese SAIC) a luglio non ha immatricolato alcun veicolo. La stessa
norma ha avuto ripercussioni anche sui costruttori europei: il
ritiro dal mercato della Porsche Macan con il motore a combustione
sarebbe legato proprio all’impossibilità di soddisfare i nuovi
requisiti.
Scuola
a pezzi Elisa Forte
Sessantanove crolli in 12 mesi: nelle scuole italiane questo numero
non era stato mai raggiunto negli ultimi 7 anni. Il record di crolli
(quasi 6 al mese) è un dato dello scorso anno scolastico. Oltre ai
danni e all'interruzione delle lezioni, sono rimasti feriti (per
fortuna senza gravi conseguenze) 9 studenti, 3 docenti, 2
collaboratori scolastici, un'educatrice e 4 operai. A dare ascolto
al racconto dei numeri, nella scuola le cose da migliorare paiono
davvero essere molte di più rispetto a quelle che funzionano.
L'ultimo dettagliato Rapporto ImparareSicuri di Cittadinanzattiva
non ha solo messo a nudo le crepe dell'edilizia scolastica. Dati,
raffronti, grafici e schede compongono una mappa del cattivo stato
di salute degli istituti. La diagnostica degli edifici scolastici,
in Italia sono 40.133, restituisce un quadro sconcertante se si
analizzano l'agibilità (il 59,16% non ha il certificato),
l'antincendio (la prevenzione è carente nel 57,68% degli istituti) e
il collaudo statico (manca nel 41,5% dei casi). E sono ancora troppo
poche (solo l'11,4%) le scuole progettate secondo le norme
antisismiche.
Poi, «se c'è di mezzo l'edilizia di scorporo, la situazione
peggiora. Se gli edifici sono stati costruiti con materiali
scadenti, non solo la manutenzione diventa costosa, ma, a volte,
cercare le cause di alcuni problemi comporta tempi lunghi», spiega
il preside Giovanni Cogliandro. Basta vedere quel che è successo
all'Istituto che dirige, il Comprensivo Mozart di Roma, in Viale
Castelporziano, poco distante dalla tenuta del Presidente della
Repubblica. In alcune classi pioveva. «Per risalire alle origini
delle infiltrazioni – racconta Cogliandro – il Comune, finora sempre
pronto a intervenire, ha dovuto fare decine di interventi. Alla fine
è stato scoperto che la guaina dell'intera scuola era stata montata
al contrario». «Colpa dell'edilizia di scorporo – precisa –. Se i
controlli latitano si costruisce al risparmio e i guai sono nostri.
Così noi presidi per proteggerci da eventuali danni intasiamo le pec
delle istituzioni con continue segnalazioni. Siamo costretti a
comportarci come si fa nella medicina difensiva».
C'è ancora tanto da fare anche per abbattere le barriere
architettoniche. «In questo nuovo anno scolastico sono 331.124 gli
alunni con disabilità (4,68% dei 7.073.587 del totale studenti), in
aumento rispetto al precedente in cui erano 311.201. Solo il 40%
delle scuole risulta accessibile per chi ha disabilità motorie.
Situazione ancora più grave per gli alunni con disabilità
sensoriali: le segnalazioni visive ci sono nel 17% delle scuole
mentre i percorsi tattili sono presenti solo nell'1,2%», commenta
Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
I crolli record dell'ultimo anno sono stati 28 al Nord, 13 al Centro
e 28 al Sud. A La Spezia nella scuola media Fontana è rimasta ferita
una tredicenne per il crollo di intonaco nel bagno. Si stava lavando
le mani, quando un metro quadro di materiale si è staccato: ha
riportato escoriazioni alla fronte e al braccio. Un mese prima,
tragedia sfiorata a Chiavari: si è aperta una voragine di 12 metri
quadrati nel corridoio della scuola Della Torre. Fortunatamente
nessuno si è fatto male. Mancavano pochi giorni alla chiusura
dell'anno scolastico, era il 3 giugno scorso e a Venezia è crollato
il controsoffitto affrescato del '700 in un'aula del liceo Benedetto
Tommaseo. E un violento temporale ha fatto cedere il controsoffitto
alla Media di Cerro del Lambro in Lombardia.
A volte, fuori dalla scuola, se la manutenzione del verde non è una
priorità, si rischia di finire sotto un albero. A Rivalta, in
Piemonte, è venuto giù un cedro. Un grosso albero di pino si è
piegato davanti all'ingresso di una scuola ad Anzio. Mentre un altro
pino in Sardegna ha oltrepassato la recinzione della scuola e ha
abbattuto un palo dell'Enel. A Roma, il preside Cogliandro gioisce
perché «finalmente ha le facciate con l'intonaco nuovo» ma lotta
contro i parassiti degli eucalipti nel cortile. E nel Viale della
scuola stanno tramontando anche i pini marittimi, lascito dei
Savoia. «Sono altissimi e a volte cascano». La cura verde, dentro e
fuori la scuola, resta una chimera. «I bambini stanno perdendo ore
di studio, fanno dalle 8.30 alle 12.30, vanno a mensa e due ore dopo
escono. Da quasi un mese viene negato un diritto inalienabile».
Francesca Rizzi è la responsabile del comitato genitori della scuola
primaria Gino Capponi di Milano. Suo figlio frequenta la quinta
elementare in via Pestalozzi 13 e ancora non potrà fare lezione fino
alle 16.30.
La prima campanella è suonata da quasi quattro settimane ma il tempo
pieno stenta a partire in diverse scuole primarie milanesi, per il
ritardo con cui si stanno assegnando le cattedre. I genitori si sono
organizzati per pagare educatori che tengono i bambini a scuola fino
alle 16.30. Le 24 classi usciranno tutte alle 14.30 anche per questa
settimana» denuncia Francesca Rizzi. Le famiglie stanno pagando 50
euro a settimana per avere il servizio integrativo di WeMove, in
attesa del tempo pieno che non partirà almeno fino al 4 ottobre.
Alla Leonardo da Vinci fino a pochi giorni fa mancavano 5 cattedre.
«Per 13 giorni siamo dovuti ricorrere alla Cooperativa Bracco»
racconta Daniela Faggion, presidente dell'Associazione Amici della
Leonardo. Su 650 alunni, 300 famiglie hanno pagato 2,50 euro al
giorno. Non tutti hanno potuto aderire a causa della mancanza di
spazi. Sette aule sono inagibili per lavori che non riescono a
partire ma che hanno ridotto gli spazi.
«Abbiamo già iniziato le chiamate, due docenti arriveranno lunedì -
spiega il preside Antonio Re -. I tempi sono lunghi, quasi un mese,
tra il primo e il secondo turno di chiamata. In questo tempo non
abbiamo più potuto chiamare perché spettava all'Ufficio scolastico».
Alla base delle assegnazioni ci sono i bollettini pubblicati dagli
uffici scolastici regionali, il primo a fine agosto, il secondo a
fine settembre. «Con il secondo bollettino, i posti non coperti sono
stati restituiti alle scuole che ora devono fare la ricerca del
candidato - spiega Massimiliano Sambruna, segretario Cisl Scuola
Milano Lombardia -. Non è funzionale non lasciare l'autonomia alle
scuole di poter usare le proprie graduatorie di istituto dopo il
primo bollettino. La singola scuola così si prenderebbe in carico la
rinuncia e nominerebbe dalle proprie graduatorie di istituto». Il
secondo bollettino è stato pubblicato il 26 settembre e le nomine
dovrebbero arrivare questa settimana. A Milano, con 325 istituzioni
scolastiche, di cui 180 istituti comprensivi per il 95% a tempo
pieno, c'è anche un tasso di rinuncia della nomina del 40%.
«Basterebbe dire nell'ordinanza ministeriale che dopo il primo
bollettino spetta alle scuole e già si ridurrebbero i tempi»
conclude il segretario.
Nel giacimento di Bayan Obo, vicino alla Mongolia, si sviluppano
oltre 15 materie prime critiche per superconduttori, laser, magneti
e fibre ottiche
Alla Cina lo scettro delle terre rare Ha la metà della produzione
mondiale Lorenzo Lamperti
«Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare». È il
1987, Deng Xiaoping è in viaggio nella Mongolia interna, estremo
nord della Cina. Il piccolo timoniere visita Bayan Obo,
letteralmente «città del cervo». Già allora, quei terreni erano
dominio esclusivo di minerali critici oggi alla base dello sviluppo
di dispositivi tecnologici utili alla transizione energetica. Deng
intuisce che coltivare quelle terre rare, in un'era in cui la Cina
«nasconde la sua forza», può garantire un vantaggio strategico.
Oggi, Bayan Obo ospita il più grande giacimento di terre rare del
mondo ed è responsabile di circa il 50% della produzione globale.
Numeri mostruosi. Neodimio, lantanio, terbio e altri 14 elementi
diventati cruciali per la realizzazione di superconduttori, magneti,
laser, fibre ottiche. E soprattutto di veicoli elettrici, pilastro
delle «nuove forze produttive», il mantra dello sviluppo voluto da
Xi Jinping. D'altronde, attualmente Pechino produce circa il 60% dei
metalli delle terre rare del mondo e circa il 90% delle terre rare
raffinate presenti sul mercato. Un tempo non era così. Tra il 1965 e
il 1995, era la californiana Mountain Pass ad avere la leadership,
prima che la concorrenza dei fornitori cinesi coi loro prezzi al
ribasso la costringesse persino a chiudere per qualche anno.
La Cina non è l'unico Paese a possedere terre rare, visto che ne
ospita il 36% dei depositi, ma ha saputo costruire un sistema
integrato di estrazione e raffinazione senza eguali, dotato di
processi ormai completamente automatizzati. Il tutto chiudendo un
occhio sugli effetti collaterali del boom industriale. La
lavorazione delle centinaia e centinaia di fabbriche nei pressi dei
giacimenti sono molto inquinanti. Solo a Bayan Obo, ogni anno
vengono scaricati rifiuti da circa 7 milioni di tonnellate di
minerali. Costo del lavoro basso e normative ambientali meno severe
rendono sì la Cina uno dei principali inquinatori al mondo, ma anche
il grande burattinaio dei materiali utili alla transizione
energetica.
Secondo l'ultimo report di Global Energy Motor, tra marzo 2023 e
marzo 2024 la Cina ha installato più energia solare di quanta ne
abbia installata nei tre anni precedenti messi insieme, e più di
quanta ne abbia installata il resto del mondo messo insieme per il
2023. Pechino ha 339 gigawatt di energia solare ed eolica in
costruzione. Per avere un paragone, negli Stati Uniti i gigawatt in
costruzione sono 40. Tra l'altro, i dati si riferiscono soli ai
parchi solari con una capacità di almeno 20 megawatt, vale a dire
solo il 40% della capacità solare cinese.
Il dominio cinese si basa anche sul controllo degli snodi estrattivi
all'estero. Per esempio in Indonesia, che rappresenta oltre il 25%
della produzione mondiale di nichel, elemento cruciale delle
batterie agli ioni di litio che alimentano i veicoli elettrici e
immagazzinano le energie rinnovabili. Nel giro di un decennio, la
Cina ha investito nel Paese del Sud-Est asiatico circa 14,2 miliardi
di dollari, di cui 3,2 miliardi solo nel 2022. Nelle isole
indonesiane di Sulawesi e Halmahera, le aziende di Pechino hanno
costruito raffinerie, fonderie, una nuova scuola di metallurgia e un
museo del nichel. Controllando la catena di approvvigionamento del
nichel, la Cina è riuscita a ridurre i costi di produzione delle
batterie e ad aumentare la propria competitività sul mercato globale
dei veicoli elettrici. Nella Repubblica Democratica del Congo, le
aziende cinesi controllano l'80% della produzione di cobalto, poi
raffinato in patria e venduto ai produttori di batterie di tutto il
mondo. Negli ultimi anni, Pechino è entrata con decisione anche in
Sudamerica. Soprattutto in Bolivia, dove ha firmato accordi da quasi
2 miliardi per l'estrazione di litio.
L'Occidente ha scoperto, forse troppo tardi, che l'eccessiva
dipendenza da terre rare e minerali critici cinesi può portare a
seri rischi. Nonostante le indagini antidumping e l'innalzamento
delle tariffe, a oggi il 95% dei pannelli solari è di produzione
cinese. Il copione rischia di ripetersi, su percentuali inferiori,
coi veicoli elettrici. La Cina ha peraltro mostrato di essere
disposta a utilizzare le terre rare in guerre commerciali o
diplomatiche. Per esempio nel 2010, quando a causa delle tensioni
sulle isole contese Senkaku/Diaoyu, Pechino ha stoppato tutte le
esportazioni verso il Giappone. Nel settembre 2023 sono entrate in
vigore delle restrizioni all'export di gallio e germanio, due
metalli fondamentali per la produzione di microchip avanzati su cui
Pechino è arrivata a contare rispettivamente il 94 e il 75% della
produzione mondiale. Il prossimo 1° ottobre, invece, entrano in
vigore nuove norme che affermano che le terre rare appartengono allo
Stato. Scopo: proteggere le forniture in nome della sicurezza
nazionale, controllando in modo sempre più diretto il flusso verso
l'esterno. Bloccare alcuni di questi elementi potrebbe rappresentare
un'arma quasi definitiva sull'industria tecnologica verde.
Basti pensare ai magneti permanenti, fondamentali sia per la
mobilità elettrica sia per i sistemi di armamento come i jet da
combattimento: il 94% di quelli che arrivano in Unione Europea
provengono dalla Cina. L'Occidente sta provando a reagire
diversificando le catene di approvvigionamento e stimolando maxi
investimenti di estrazione tra Stati Uniti (dove Mountain Pass è
tornata a fornire il 14% della produzione mineraria globale di terre
rare) e Australia (6%). Anche l'Europa si muove, soprattutto al Nord
con progetti in Svezia ed Estonia. Ma per svincolarsi davvero dalla
dipendenza nei confronti della Cina potrebbe essere tardi.
A mancare sono i fondi per gli alberi
Il monito del Wwf sugli investimenti green "Ora l'Italia aumenti le
risorse del Pnrr"
Investire un miliardo di euro da dedicare al verde urbano ed
extra-urbano, triplicando gli investimenti previsti dal Piano
nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È questa la richiesta che
il Wwf (World wide fund for nature) lancia in occasione di Urban
Nature. Aumentare la quantità di verde urbano e mantenerlo in
salute, è considerato fondamentale per la sicurezza la salute dei
cittadini. «Finora non è stato fatto abbastanza», ha spiegato
Alessandra Prampolini, direttrice generale di Wwf Italia. Con la
Nature Restoration Law, ha aggiunto, «gli Stati europei hanno
concordato di piantare fino a 3 miliardi di alberi entro il 2030, ma
ad oggi, in Italia, la cifra stanziata nel Pnrr (330 milioni di
euro) consentirà di intervenire solo su alcune città piantando 6,6
milioni di alberi, cifra lontana dall'obiettivo nazionale.
Pianificare investimenti in questa attività non è quindi più
rimandabile e la legge di Bilancio è il momento giusto per farlo».
Oggi e non domani.
Il Wwf spiega perché si tratta di un investimento. I finanziamenti
che lo Stato potrebbe integrare a quelli a oggi previsti da Pnrr
italiano possono essere prelevati dai 22,4 miliardi di euro di
Sussidi Ambientalmente Dannosi. Ovvero, da quei soldi pubblici che,
secondo le stime del Ministero dell'Ambiente, lo Stato utilizza in
attività economiche che hanno un impatto negativo sull'ambiente e
sulla salute.
Sardegna
Mario Tozzi controvento
C'è una straordinaria terra nel mezzo del mare Mediterraneo che
potrebbe essere la prima grande isola e la prima regione del mondo
ad abbandonare i combustibili fossili e a essere totalmente neutra
rispetto alle emissioni clima alteranti, la prima carbon-free, la
più bella. E la prima regione a non dipendere più da altro che non
da sé stessa. Un obiettivo che si potrebbe raggiungere coinvolgendo
profondamente i territori, generando informazioni corrette: tanto
per cominciare non guardando più al gas per paura dell'abbandono del
carbone, perché qui ci sono potenziali di vento e sole non
paragonabili ad altre regioni. E perché qui, a differenza del resto,
il gas non è mai arrivato e il nucleare non lo vuole nessuno. Un
obiettivo ambizioso, che comunque non si avvera, anzi, sembra
allontanarsi. Perché?
Eppure non dovrebbe essere così difficile scegliere: da un lato uno
scenario "fossile" con l'isola che lascia tutto così com'è, con la
produzione di energia elettrica da centrali a carbone (le peggiori
possibili) oppure a gas, con costi, a lungo termine, destinati
inevitabilmente ad aumentare. Con i trasporti che continuerebbero ad
essere inquinanti, le ferrovie che rimarrebbero quelle che sono e le
industrie, sostenute dai soldi pubblici, ancora più inquinanti. Con
le emissioni di gas serra che aumenterebbero e la qualità dell'aria
nei centri urbani o nelle aree industriali che non migliorerebbe.
In più, in Sardegna, sarebbe inevitabile la realizzazione di un
gasdotto (la "Dorsale", perché l'isola oggi non ha distribuzione di
gas) che costituirebbe una enorme spesa a carico dei contribuenti
(con le comunità locali che dovrebbero poi anche farsi carico, a
proprie spese, delle derivazioni necessarie per condurre il gas nei
propri paesi) e non porterebbe benefici ai cittadini sardi,
costringendoli a restare ancorati ai combustibili fossili per molti
decenni, e comportando la costruzione di rigassificatori costieri,
invece di poter scegliere da subito le fonti rinnovabili e
l'efficienza.
Nell'altro scenario ("rinnovabile"), si può immaginare che nel 2040
l'isola sarà alimentata solo da fonti rinnovabili, in cui
domineranno principalmente il fotovoltaico e l'eolico (soprattutto
off-shore, grazie all'elevato potenziale ventoso). Gli impianti
eolici off-shore galleggianti, oggi scagionati dall'essere killer di
uccelli (la caccia ne uccide molti di più), verranno situati a 25 km
dalla costa, evitando ogni tipo di impatto paesaggistico, e
obbligando alla istituzione di aree marine protette che
ripopoleranno il mare. Gli impianti idroelettrici verranno rinnovati
e si produrrà anche una piccola quota di energia elettrica da onde e
correnti marine. Le biomasse locali di filiera molto corta
giocheranno un ruolo importante nei sistemi di riscaldamento dei
piccoli centri. Entrerà in funzione una rete elettrica intelligente
e sostenuta da sistemi di accumulo diversificati. Si diffonderanno
sistemi di riscaldamento a pompa di calore, ma anche sistemi solari
termici integrati con caldaie ad alta efficienza, e la cottura dei
cibi avverrà con cucine a induzione. Si vedrà un massiccio
incremento di mezzi di trasporto collettivo elettrici e le industrie
energivore resteranno attive solo se compatibili con un modello
economico circolare, quale la produzione di alluminio da riciclo e
non dalla bauxite.
Questo scenario green comporterà benefici tangibili per la salute e
l'ambiente con una drastica riduzione dei gas serra. Con una
"Sardegna rinnovabile" si avranno molti più posti di lavoro rispetto
ai livelli di occupazione dell'obsoleto sistema fossile riducendo lo
spopolamento delle aree interne.
Verrebbe spontaneo scegliere il secondo scenario: il passaggio
diretto dall'energia da fonte fossile a quella da rinnovabile è
sempre la scelta migliore. Ma la transizione energetica nell'isola è
più complicata e conflittuale del previsto. Inoltre, in Sardegna,
forse più che altrove, c'è il timore che si faccia scempio di
paesaggio, tradizioni e identità attraverso un numero improponibile
di installazioni di pannelli e pale che sono già state avanzate.
Però non si può non denunciare chi, per interessi economici legati
all'energia fossile, sta cavalcando la protesta contro le
rinnovabili (diffondendo anche notizie false), confondendo richieste
con progetti operativi e puntando su un modello energetico in
continuità con quello attuale, dal carbone al metano, che non
risolve una situazione grave che vede oggi l'energia prodotta in
Sardegna provenire per il 75% da fonti fossili (con molto carbone).
L'isola ha uno dei mix energetici più sporchi d'Italia: le
rinnovabili sommate non vanno oltre il 25%, ma è anche
un'esportatrice netta di elettricità, con trasferimenti verso
penisola e Corsica che, sommati alle perdite, valgono il 40% del
totale prodotto. D'altro canto, la Sardegna oggi è la quinta regione
italiana per potenza eolica installata (1.186 MW, 2023) e al settimo
posto per kW eolico per kmq (49 kW/kmq, la media italiana è 41). Ha
618 impianti, ma poco più di una trentina sono quelli di grande
taglia, sopra al MW. Per dire che, finora, l'eolico non ha affatto
"infestato" la regione.
Non si può non dare ragione alla presidente Alessandra Todde, quando
dice che sulle energie rinnovabili bisogna andare avanti
salvaguardando il territorio. Questo vuol dire pianificare e quindi
individuare obiettivi e percorsi per raggiungerli, a partire dalla
identificazione delle aree idonee e da una diversa inclusione delle
voci del territorio. E vuol dire farlo subito, non in un anno e
mezzo. Ma il processo di decarbonizzazione non può essere più
rinviato, così come la pianificazione, non dimenticando che le
energie rinnovabili rimangono la prima e migliore risposta, perché
il cambiamento climatico è una priorità assoluta e, alla fine,
incide negativamente anche su biodiversità e paesaggio. Proprio al
fine di sostenere le energie rinnovabili, non va lasciato spazio a
processi speculativi che, in assenza di una pianificazione pubblica,
possono portare a localizzazioni sbagliate e ad un eccesso di
richieste: in Sardegna proprio questo eccesso, nonostante sia
evidente che la gran parte delle richieste avanzate non si
concretizzerà, ha finito per avvelenare il dibattito. Se tutte le
richieste infatti si trasformassero in impianti, si supererebbe di
undici volte il consumo elettrico isolano, calcolato sui consumi
attuali, e quindi al netto di future opere di elettrificazione. Uno
scenario difficilmente sostenibile.
C'è un'isola del Mediterraneo che si trova di fronte a un bivio:
fossili o rinnovabili? La sfida è frenare la speculazione senza
ritardare la transizione, ma deve essere chiaro che vanno comunque
abbandonati per sempre e il prima possibile i combustibili fossili.
30.09.24
Carabiniera suicida indagine archiviata Ma la famiglia presenta
reclamo «Non sono ravvisabili gli estremi di condotte penalmente
rilevanti che abbiano potuto determinare o rafforzare la
realizzazione del proposito suicidario». La gip del tribunale di
Firenze ha così archiviato l'inchiesta sul suicidio della
carabiniera di 25 anni avvenuto il 22 aprile nella Scuola dell'Arma
del capoluogo toscano che frequentava. La giudice ha accolto la
richiesta del pm che aveva aperto un fascicolo senza ipotesi di
reato. Ma nulla è ancora definito. «L'inchiesta è stata archiviata a
nostra insaputa - afferma l'avvocato dei parenti della 25enne,
Riziero Angeletti -. Non sono stato informato e non ho potuto
oppormi all'archiviazione». La difesa ha fatto reclamo. «Il pm ha
ritenuto di non avvisarmi. A suo parere, non avevo depositato la
memoria nel sistema. Ma poi ha usato anche gli argomenti nella mia
memoria per motivare la sua richiesta». E ora? «Il tribunale dovrà
deliberare sulla correttezza del comportamento del pm». —
Patti Smith a pranzo
La regina della cucina di Langa "Sono rinata con tajarin e
pallapugno Il mio segreto? Non cambiare mai"
I consigli della madre
Il taylorismo della raviola
Gemma Boeri
La beffa del Barolo Il miracolo si ripete tutti i giovedì mattina. Sbucano come
fantasmi in cima alla strada del paese. Avvolte in pesanti cappotti
e nella nebbia di Langa. Arrivano alla spicciolata, ognuna immersa
nei suoi pensieri. La magia è che nessuno le ha chiamate, nessuno le
chiama mai. Semplicemente ci sono. Si materializzano come
sacerdotesse di un rito antico e, soprattutto, immutabile. Gemma le
chiama «le mie ragazze».
Non si chiede l'età a una signora: «Te la dico io, così facciamo più
in fretta: 76 anni. Da 38 sono qui a fare a mano agnolotti e
tagliatelle. È il mestiere che mi piace di più». Il laboratorio
della sua osteria è in fondo alla sala. I clienti più curiosi
possono vedere dietro il vetro una piccola comunità al lavoro.
«Facciamo agnolotti e tajarin per tutta la settimana». Quanti? I
tajarin, le tagliatelle fini tipiche della cucina piemontese, non si
misurano a peso: «Noi le calcoliamo a uova. Le facciamo al mercoledì
e al giovedì pomeriggio: 360 uova e una sfoglia di pasta lunga dieci
metri tirata con il mattarello da mia nuora». Per gli agnolotti il
calcolo è diverso: «Lo ha fatto un nostro amico in base al peso:
ogni settimana, al giovedì mattina, produciamo a mano 11.000
agnolotti del plin». Ecco il senso del miracolo: una quindicina di
persone che in quattro ore, dalle otto a mezzogiorno, producono
11.000 agnolotti, tre al minuto per ciascuno. Il taylorismo
applicato alla cucina. «Ma è tutto fatto rigorosamente a mano, è
questa la differenza». Soprattutto per i tajarin: «Lì capisci tutto.
Mia nuora non è una macchina. Quando tira la sfoglia fa una gran
fatica ma non ha rulli, ha la forza fisica. E la pasta mantiene la
sua struttura, non si deforma. Ha un'altra consistenza e si impregna
di ragout in modo diverso».
Da ragazza Gemma Boeri voleva fare la sarta. Taglio e cucito, altro
che agnolotti: «Quello della sartoria è il mestiere che mi aveva
indicato mia mamma. Era una donna pratica e saggia. Diceva: "Gemma
devi lavorare, guadagnare dei soldi tuoi. Così quando sarai sposata
e vorrai comperarti un paio di calze non dovrai andare a fare
l'elemosina da tuo marito"». Ma per lavorare bisogna studiare. E per
studiare bisogna pagarsi i corsi: «Per questo sono andata a fare la
cameriera al ristorante che c'era qui sotto, il ristorante Gallo,
quello storico di Roddino». Una folgorazione? «Quasi. Ho scoperto
che il mestiere di cucinare era bellissimo. Ma intanto avevo
terminato il corso di sarta e sono andata a Torino, dove lavorava
mio marito, a tagliare e cucire. Ho messo su un negozio in borgo San
Paolo». Quella della città non è stata una bella esperienza: «Nel
frattempo era nato mio figlio. La Torino degli Anni Sessanta era
piena di smog. Dovevo mettere i teli quando stendevo le lenzuola dal
balcone per evitare che diventassero subito nere. Mio figlio aveva
la bronchite, non era una situazione accettabile. Così ho scelto di
tornare qui, tra le mie colline di Langa». Scelta controcorrente
negli anni del boom economico quando erano le povere campagne del
Cuneese a trasferirsi a Torino in cerca del lavoro sicuro
dell'industria. «Certo, controcorrente. Ma inevitabile. C'era di
mezzo la salute di mio figlio. Ho detto a mio marito: "Io torno a
Roddino". Lui all'inizio si è portato il lavoro qui, poi ha
cominciato a fare il pendolare».
Gemma torna al paese e cerca lavoro. All'inizio se la cava con
qualche riparazione di cucito «poi l'occasione della vita. Il
circolo Endas del paese cercava una cuoca che gestisse il
ristorante. Lì è cambiato tutto». Grazie alla pallapugno. Lo sport
nazionale della Langa, quello che si chiama anche pallone elastico e
che ha avuto i suoi campioni in Felice Bertola, da Grottasecca,
sulla montagna che si arrampica verso il confine ligure, e Massimo
Berruti, da Rocchetta Palafea, nel Monferrato. Sport che oggi si
pratica negli sferisteri: «Ma qui non c'era l'impianto. Negli Anni
Sessanta e Settanta si giocava nella cuntrà, nella strada del paese.
Veniva la gente a vedere le partite, a fare il tifo e poi arrivavano
all'osteria dell'Endas a mangiare le raviole», il nome langarolo
degli agnolotti. Meglio, degli agnolotti del plin, quelli più
piccoli «quelli che oggi molti preferiscono perché più croccanti.
Arrivavano a tutte le ore, anche alle due di notte: "Dai Gemma facci
un piatto di raviole". Poi stavano lì a raccontarsela, a bere una
bottiglia di vino fino alle quattro del mattino. Io mi sveglio
presto. Dormivo poche ore ma ne valeva la pena».
Perché in fondo le tagliatelle, gli agnolotti, il buon vino, sono
tutte scuse per la principale attività di questi paesi:
raccontarsela, come si dice da queste parti. Anche oggi, al giovedì
mattina, intorno ai grandi tavoli dove nascono gli agnolotti. Tra un
foglio di pasta, uno spruzzo di farina e una ciotola di ripieno
(«rigorosamente carne di vitello dei macellai del paese»), Alfio
racconta per l'ennesima volta l'incredibile cantonata del sindaco di
Sinio. Una di quelle storie che si raccontano ai bambini per
insegnare che prima di prendere una decisione è importante pensarci
bene. Alfio ricorda che «negli Anni Sessanta si stava creando il
consorzio dei Comuni del Barolo. Serralunga, che aveva allora poche
vigne e molti boschi, era entrata. Sinio, al confine, non voleva
entrare: "Non mi mischio con quelli di Serralunga", disse il sindaco
di allora e sdegnosamente rifiutò. Oggi una giornata di terra nei
paesi del Barolo vale 1,2 milioni di euro. Fuori da quel confine il
prezzo è di 25.000. Per molti anni quel sindaco è stata l'
imprecazione di tutto il paese».
Pur senza la ricchezza dei Comuni del Barolo, Roddino, 400 anime su
un cocuzzolo a 600 metri di altezza, sta conoscendo una vera e
propria rinascita. Anche grazie ai due figli di Gemma: Marco, oggi
sindaco, e Daniele che governa la complessa logistica dell'osteria:
«Abbiamo prenotazioni fin oltre Natale. A novembre faremo il
click-day per le domeniche di inizio 2025. In genere nei primi due
minuti arrivano 200-300 prenotazioni. L'unica possibilità, in
alternativa, è cercare di prenotare in settimana». Inconvenienti di
una fama ormai consolidata. Gemma non si monta la testa: «Io vivo
qui, faccio la vita che ho sempre fatto. Spesso arrivano personaggi
famosi che io non riconosco. Me lo dicono i miei figli o gli altri
clienti: "Hai visto chi è seduto a quel tavolo?". Così un giorno è
arrivata una signora già avanti negli anni. Con i capelli tutti
bianchi e lunghi. Vedevo che molti la fotografavano. Quando sono
andati via ho chiesto: "Ma chi è quella signora anziana? Era Patti
Smith"». Altre volte arrivano annunciati ed è più semplice. Alle
pareti ci sono le fotografie con Gino Paoli, Gerard Depardieu,
l'inossidabile maestro Vessicchio, Michael Hucknall, frontman dei
Simply Red. C'è anche Lady D, circondata da cuoca e personale
dell'osteria. Quando è venuta Diana? L'officina degli agnolotti è
attraversata da un mormorio allegro. Una signora solleva dal tavolo
due occhi che sorridono: «Lady D sono io. Diversi anni fa. Mi ero
fatta la stessa pettinatura. Con la somiglianza ci giocavo un po'"».
Grandi risate.
Gemma, perché vengono qui da tutti i continenti? Qual è il tuo
segreto? «Il mio segreto è non cambiare mai. In un mondo in cui
tutto è instabile, dove quel che è vero oggi diventa falso domani,
se resti uguale a te stesso vinci». Dunque un pubblico anziano?
«Niente affatto. Vengono tanti giovani. Magari gli altri giorni
della settimana mangiano al Mc Donald ma vengono qui per assaporare
il gusto della cucina della nonna». Non cambiare mai, la sintesi di
una vita. In fondo Gemma ci ha provato: è andata ad abitare in
città, ha tentato di trovare un nuovo mestiere. Ma alla fine un
elastico invisibile l'ha riportata qui, sul cocuzzolo. Non sei
stanca di proporre tutti i giorni lo stesso menù? «Ho provato a
cambiare sai? Ma mi sgridano. Ho provato a sostituire l'insalata
russa con l'insalata di pollo. I clienti protestano: ma come, sono
venuto fin qui per l'insalata russa».
Alla mezza il miracolo è finito. «Le ragazze» e i loro mariti hanno
stivato nel freezer una ventina di sacchi di agnolotti. È l'ora del
pranzo (come è tradizione nei paesi piemontesi) e la discussione
prosegue davanti ai mitici piatti di Gemma. La tavolata riceve con
quel pasto la paga di una mattinata di lavoro. Un baratto
prelibatissimo che si ripete ogni settimana. Racconta Gemma: «Era
cominciato tanti anni fa, quando mia mamma stava male. Avevo
lasciato l'osteria dell'Endas per mettermi qui in proprio. Ma dopo
la morte della mamma come facevo da sola? Allora amici e parenti
hanno cominciato a venire a dare una mano. E continuano ancora
oggi». Lo racconta Clelia, una vita a lavorare tra i bambini
dell'ospedale Regina Margherita di Torino: «Per molti di noi venire
qui è soprattutto un modo di stare insieme. Nelle campagne è sempre
stato così. Era un'altra vita, anche a tavola. Qui nessuno ha mai
saputo che cosa fosse l'impiattamento. E nei lavori della campagna
le famiglie si sono sempre aiutate. La difficoltà di uno può essere
la difficoltà di tutti». Arriva una coppia di turisti brasiliani.
«Non avete la prenotazione, siamo pieni mi dispiace», dice il
figlio. «Ma ci chiamiamo Boeri come la signora. E siamo venuti fin
qui per mangiare i tajarin e la carne cruda». Gemma, intenerita
trova un posto. Poi si gira e sussurra: «Visto? Perché dovrei
cambiare il menù?». —
Dopo la P38, ecco una semiautomatica 7.65 nascosta nella cantina del
capo 'ndrangheta D'Onofrio. Dei sei arrestati, cinque restano in
carcere
Nella casa del boss trovata un'altra pistola Confronto con le armi
dei delitti di mafia
giuseppe legato
Il 28 febbraio 2024, in via Bellini 12 a Moncalieri, nella casa del
signor Franco D'Onofrio, considerato dagli investigatori "un
dirigente della ‘ndrangheta in Piemonte", è in corso una
conversazione di interesse investigativo con l'ex rapinatore Claudio
Russo. Alle 15.28 la microspia ambientale registra Russo che fa le
lodi di qualcosa che D'Onofrio in mano: «È l'ultimo modello ed è
bella Franco» dice. Il rimando è ovviamente a una pistola che
D'Onofrio detiene nascosta in una zona di pertinenza del condominio.
"Compare Franco" la deve spostare perché – dice lui stesso – vicino
al luogo in cui la nascondeva «ho visto l'altro giorno che c'erano
degli operai». Il conciliabolo va avanti a lungo al fine di trovare
il miglior nascondiglio. Ma il bunker eretto dai due per nascondere
la semiautomatica 7.65 cade dopo due giorni di perquisizione no stop
da parte dei finanzieri del Gico (gruppo speciale del Nucleo di
Polizia economica della Finanza). È la seconda arma trovata nella
disponibilità di D'Onofrio, 64 anni, ex Colp (Comunisti organizzati
in lotta per il proletariato) transitato in una sliding doors
criminale nella mafia calabrese di cui negli ultimi 15 anni avrebbe
scalato a piè pari le gerarchie. E che fosse nel palazzo di via
Bellini gli investigatori lo avevano capito 48 ore prima quando
hanno trovato nascosta in un mattone forato del contro-soffitto dei
locali comuni della cantina e murata una P38 Smit&Wesson a tamburo,
perfettamente oliata carica coi proiettili. Nello slot ricavato per
nasconderla c'erano però altre 20 munizioni di una 7.65 ed è per
questo che la perquisizione si è protratta per giorni sempre in
locali attigui a quelli in cui è stata trovata la prima arma. Era
distante una decina di metri, in un foro nel muro. Segue – agli atti
– la ricostruzione di come D'Onofrio in quei giorni abbia lavorato
alacremente per ricavare il nascondiglio e della conferma definitiva
che la Finanza ottiene quando «si sente distintamente il rumore
dello scarrellamento».
A D'Onofrio la semiautomatica era stata consegnata da Russo.
«Portamela dopo Pasqua quella cosa così la porto là sotto e poso
pure quest'altra che ho» dice D'Onofrio. E l'altro: «Te la porto la
sera però perché con il buio è meglio». La consegna avverrà il 4
aprile, seguirà «interrogazione di D'Onofrio al comando vocale di
Google per comprendere – scrivono gli investigatori – se quella 7.65
si possa considerare un'arma da guerra». Richiesta è tutt'altro che
non lineare «se si considera il diverso trattamento sanzionatorio».
Poco dopo sempre D'Onofrio si recherà a una ferramenta di corso Roma
per comprare «uno scalpello largo, che non server a me – dirà al
commesso – ma a uno che me lo ha chiesti e non so cosa debba fare».
Compra anche due sacchetti di cemento a presa rapida da un chilo
«'che la porta del palazzo a furia di aprire e chiudere si è
scassata tutta».
Non servivano certo agli investigatori conferme sulla confidenza del
«dirigente della ‘ndrangheta» con le armi certificata da plurime
declaratorie di responsabilità a partire dagli anni Ottanta ad oggi.
Servirà invece capire se le due pistole sequestrate (e contestate) a
D'Onofrio possano configurarsi come cosiddette "parlanti", verranno
inviate agli specialisti per confrontarle e capire eventuali "match"
coi delitti di mafia (ma non solo) avvenuti a Torino (e non). E di
omicidi, fatti di sangue e misteri ancora avvolti dal buio è
costellata la storia criminale della città da decenni. Ieri i
giudici di Torino e Genova, all'udienza di convalida, hanno emesso
ordinanza nei confronti di D'Onofrio, del sindacalista Domenico
Ceravolo (difeso dal legale Christian Scaramozzino) e di Giacomo Lo
Surdo (legale Domenico Peila). Restano in carcere.
29.09.24
Nell'inchiesta della Dda spuntano insospettabili contatti tra
D'Onofrio e Cristoforo Piancone: un collegamento che risale agli
Anni di piombo
l'inchiesta sulle presunte infiltrazioni della 'ndrangheta
Il boss e il brigatista del delitto Casalegno due incontri segreti
dopo quasi 47 anni
La Filca Cisl promuove il capo di Ceravolo giuseppe legato
Un sinistro – e nemmeno tanto sottile – filo rosso continua a cucire
più di 40 anni di storia criminale di Torino. Mette insieme segmenti
distanti che non si sono mai toccati e che invece continuano a
parlarsi perlomeno in alcuni dei loro interpreti (o ex).
E al centro, come un abile sarto di relazioni, c'è Franco D'Onofrio,
64 anni, residente a Moncalieri, finito in manette nei giorni scorsi
per mano del Gico della Guardia di Finanza (pm Paolo Toso, Marco
Sanini e Mario Bendoni) con l'accusa di associazione a delinquere di
stampo mafioso «essendo – si legge agli atti - dirigente della
‘ndrangheta in Piemonte».
Se fosse un film sarebbe «Sliding doors» con le porte girevoli che –
perlomeno nei contatti anche recenti – lo vedono incontrare
affiliati alle ‘ndrine ed ex componenti della colonna torinese delle
Brigate Rosse. Uno di questi è Cristoforo Piancone (non indagato
ndr) già condannato per concorso in sei omicidi tra cui quello del
vicedirettore de La Stampa Carlo Casalegno. Fu lui dopo il barbaro
assassinio del giornalista, a telefonare all'Ansa per rivendicare il
delitto.
I militari del comando provinciale della Finanza guidati dal
Generale Carmine Virno, hanno tracciato due incontri tra D'Onofrio e
Piancone. Il 21 aprile e l'11 ottobre del 2023. Entrambi hanno avuto
luogo nella casa di D'Onofrio dove i militari hanno ritrovato anche
una Smit&Wesson calibro 38 con 5 proiettili nel tamburo. Di cosa
abbiano parlato non è noto nemmeno agli investigatori perché
nonostante siano riusciti a installare una microspia ambientale in
casa del presunto boss, le voci non si sentono. L'uomo di
collegamento tra i due è Claudio Russo che a sua volta figura
insieme a Piancone in una rapina commessa alla sede della MPS nel
2007 con la quale svelò al mondo come l'ex killer delle Br,
nonostante le brillanti relazioni dei tribunali di Sorveglianza che
ne lodavano il percorso carcerario con tanto di concessione della
semilibertà, non fosse rinsavito e avesse ancora una certa
confidenza con il crimine e con le armi. Che è poi la stessa che
viene riconosciuta da sentenze a Franco D'Onofrio, attivista dei
Colp (Comunisti organizzati nella lotta per il proletariato) negli
anni 80 e poi autore di una singolare scalata ai vertici della
malavita organizzata certificata dalla condanna definitiva nel
processo Minotauro. Per armi è stato condannato in un'inchiesta
stralcio della Dda (Pm Roberto Sparagna) che ha incrociato le
risultanze dell'operazione della Dda di Milano "Tramonto"), 2007, pm
Ilda Boccassini, sulle Nuove Brigate Rosse con le intercettazioni di
Minotauro. Nella prima indagine finì una conversazione tra due
sodali. Parlano di armi:. «Mi ha detto Franco, se ti interessano,
che ci sono dei Kala, sia piccoli che lunghi. Ce ne sono 10. Però
devi dirmelo entro giovedì» spiega uno. E l'altro: «Digli se può
tenerli. Quanto vuole?». Il pm annota: «Da questa conversazione si
ha conferma che Franco dispone di armi di elevata potenzialità
offensiva che è disposto a mettere nella disponibilità del gruppo».
Franco è Francesco D'Onofrio. Nel capo di imputazione contestato al
boss finisce un'altra conversazione maturata anni dopo nelle cuffie
dell'antimafia in cui un affiliato intercettato con il boss del
Canavese Bruno Iaria, confidava: «Io le ho viste le armi di compare
Franco. Gli sono arrivate con il camion dalla Macedonia». La
condanna è diventata definitiva il 13 febbraio 2023. Ma D'Onofrio
non incontra solo Piancone. Dalle ceneri del passato salta fuori
anche Pancrazio Chiruzzi (non indagato ndr), rapinatore leggendario.
Che D'Onofrio contatta, nel corso della presunta pianificazione di
una rapina, per chiedere consigli «su allarmi e centraline». Siamo
ad aprile 2024. I pm lo identificano come uno «dei più efferati
autori di reati contro il patrimonio». Ancora armi, ancora il
passato, ancora quel filo rosso.
NON CI CREDO CHE LE PORTE DEL GTT SARANNO APERTE PER UN CURIOSO, LO
SO PER ESPERIENZA SU FIAT: «Preferisco un giro in pullman a
una Porsche». La passione per il trasporto pubblico di Tommaso Di
Micco, 13 anni, è grande così. Ed è nata in Borgo San Paolo, «a
bordo di un bus della linea 56, quando di anni ne aveva appena tre»
racconta mamma Alessandra. «Per farlo felice bastava girare per la
città su un mezzo pubblico - spiega - E lui, ogni cosa che vedeva,
ci riempiva di domande».
La stessa scena si è ripetuta ieri, quando è stato ospite di Gtt
alla centrale operativa di corso Pastrengo a Collegno. Il suo
viaggio nel cervello della metropolitana è iniziato dopo che
l'amministratrice delegata del Gruppo Torinese Trasporti Serena
Lancione ha saputo del progetto per l'esame di terza media di
Tommaso: un modellino sulla metropolitana del futuro sotto casa sua,
in Borgata Lesna a Grugliasco, con tanto di mappa con le future
fermate. «La metro che ho ideato è composta da tre linee - ha
spiegato - e collega tutta la prima cintura, da Settimo a Orbassano,
da Moncalieri a Caselle ma anche Borgaro, Alpignano, Orbassano...».
E, ovviamente, «Grugliasco. Della fermata sotto casa mia ho creato
anche il modellino di legno insieme a mio nonno Silvio». «Questo
modellino ha un solo difetto - ha aggiunto un dipendente di Gtt -
manca uno dei nostri treni». «Rimedieremo presto», ha promesso
Lancione.
Per un pomeriggio Tommaso ha lasciato perdere i compiti assegnati
dai suoi insegnanti al liceo scientifico Curie-Vittorini di
Grugliasco, dove frequenta il primo anno, per presentare il suo
progetto con tanto di mappa proiettata su un maxischermo. Ha citato
i nomi delle fermate, le diramazioni, anche le piazze dove ha
previsto «i terminal per i bus extra urbani che permetteranno ai
viaggiatori di raggiungere anche i Comuni più lontani, senza metro».
E ha insistito sul collegamento «con l'aeroporto di Caselle, anche
se so che è stata appena inaugurata la linea del treno».
Dopo gli applausi dei presenti, la parola è passata a Lancione: «Ci
fa piacere aver invitato Tommaso perché siamo orgogliosi di
incontrare chi sogna in grande per il futuro del trasporto pubblico.
E quando si sogna, tutto inizia da qui: da un foglio bianco. Poi
arrivano gli studi di fattibilità, i calcoli sul costo-opportunità,
la ricerca dei finanziamenti. Ma Tommaso ha fatto un ottimo lavoro».
È l'ad a fare da Cicerone a Tommaso nei lunghi corridoi della
centrale operativa di Gtt. A partire dalle officine, dove i treni
della metropolitana arrivano per la manutenzione. «Non sapevo che
avessero delle ruote larghe un metro», dice chi ha accompagnato
Tommaso. I treni sono sollevati a cinque metri da terra, Tommaso va
sotto, osserva la scocca. Poi si arriva nel deposito, «dove presto
arriveranno quattro nuovi treni. E per la metro a Cascine Vica ne
chiederemo altri 12». «Quanto costano?», chiede Tommaso.
«Quattordici milioni l'uno».
Il momento clou è arrivato nella sala controllo: qui, su 24 monitor,
vengono costantemente monitorati il flusso dei treni e tutto ciò che
accade nelle stazioni della metro. Tommaso scopre chi risponde alle
chiamate d'emergenza dalle stazioni, come vengono affrontati i
problemi. «E abbiamo anche riorganizzato i vertici, dopo gli ultimi
problemi. Magari da grande ne farai parte anche tu», lo sfida
Lancione.
Tommaso osserva, attraversa i binari del «chilometro dove vengono
provati i nuovi treni», riempie di domande i vertici Gtt presenti.
Mille curiosità che porterà ai suoi compagni di classe e agli amici
della pallanuoto oggi, «anche se non tutti amano la metro come me»,
ha ammesso. «Io anche quando viaggio coi miei genitori, da
Copenhagen a Parigi, la prima cosa che voglio vedere è la
metropolitana». Prossima tappa? «Forse Londra». Sul lavoro da
grande, invece, non ha dubbi: «Progettare nuove metro». Le porte di
Gtt sono già aperte. —
28.09.24
L'ad Donnarumma apre ai sindacati: "Miliardi in sicurezza e
formazione" I dubbi della Corte di Cassazione sulla patente a punti:
in utile e dannosa
Strage di Brandizzo la svolta di Ferrovie "Freno ai subappalti" LEONARDO DI PACO
TORINO
«Per il prossimo piano industriale del gruppo ci siamo dati un
obiettivo: identificare quelle aree, relative agli interventi di
manutenzione, dove è opportuno avere in casa il know how tecnico e
tecnologico per intervenire piuttosto che affidarsi a soggetti
esterni». L'amministratore delegato e direttore generale del gruppo
Fs, Stefano Donnarumma, cerca di pesare le parole. Ma il messaggio è
chiaro: per evitare che si ripetano stragi sul lavoro come quella di
Brandizzo, Rfi cercherà di mettere un freno al sistema di appalti e
subappalti. Una tematica definita «delicata» dall'ad, anche perché
spesso legata «all'abbattimento dei costi, che per definizione non è
mai favorevole alla qualità».
La promessa di Donnarumma arriva durante il convegno «Brandizzo un
anno dopo. Manutenzione ferroviaria: cultura della sicurezza,
investimenti e sistema appalti» organizzato ieri a Torino da Filt
Cgil nazionale e regionale del Piemonte. Secondo il top manager di
Rfi, in carica dalla fine di giugno, «in materia di sicurezza
l'azienda ha una tradizione storica, con molte procedure e
investimenti ma siamo impegnati a cercare di migliorare ancora».
Questo si tradurrà «in un aumento dei controlli nei cantieri» e in
un piano industriale che destinerà «miliardi in formazione e nella
sicurezza industriale».
I sindacati incassano la promessa dell'ad. Ma rilanciano: «Sulla
salute e sicurezza sul lavoro nelle ferrovie serve una svolta anche
contrattuale, che promuova i lavoratori che rispettano le regole, e
non come spesso accade oggi penalizzandoli» dice il segretario
generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio. «Inoltre – aggiunge
Malorgio – serve da parte di Fs un impegno sia nella
internalizzazione delle attività che nella cancellazione dei
subappalti e nella qualificazione delle imprese, perché mentre ci
sono stati passi avanti per quanto riguarda l'organizzazione del
lavoro, su questi temi bisogna concretizzare. Si tratta di capire
insomma se, ad un anno dalla strage di Brandizzo, siamo in grado di
imboccare la strada di un progetto che ci porti a far sì che le
cause che hanno provocato l'incidente non si ripetano più».
All'incontro sì è anche parlato del provvedimento, voluto dal
governo, che dal primo ottobre introduce una "patente a punti"
nell'edilizia come criterio fondamentale per valutare l'idoneità
dell'azienda nella partecipazione a gare d'appalto, bandi pubblici
per la concessione di incarichi, nonché per richiedere incentivi e
bonus. Un provvedimento che secondo Bruno Giordano, magistrato di
Cassazione ed ex direttore dell'Ufficio Nazionale del Lavoro, «è
inutile e dannoso» perché «nei requisiti per l'autocertificazione
non c'è nulla che riguardi gli appalti, il titolo IV o articolo 26
(del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, ndr). Strano che dopo
stragi accomunate da problemi legati a sistemi di appalti e
subappalti si chiede di autocertificare tutto tranne se un'azienda è
in regola in materia di appalti». Anche un altro magistrato e
giurista, Raffaele Guariniello, solleva dei dubbi sulla reale
utilità della misura «soprattutto in relazione al fatto che la legge
prevede l'obbligo della patente solo nei cantieri temporanei e non
negli appalti interaziendali».
Poi rilancia una vecchia proposta: l'idea di istituire una procura
nazionale deputata alla sicurezza sul lavoro. «È necessaria perché
In Italia ci sono oltre 120 procure, molte delle quali non sono
specializzate o non hanno le risorse sufficienti per gestire casi
come quelli di Brandizzo».
All'evento era presente anche Chiara Gribaudo, presidente della
commissione bicamerale sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro: «Serve uno sforzo in più, soprattutto in
termini di investimenti in tecnologia e di formazione professionale
affinché sia consapevole, provata non solo sulla carta, e
riscontrabile». ù
Sullo smartphone del delegato finito in manette era stata inserita
l'applicazione dagli investigatori. Lui se ne accorse e il cellulare
fu sostituito
Il giallo del trojan sul telefonino del sindacalista "I vertici
della Cisl chiesero aiuto per rimuoverlo"
giuseppe legato
Il 6 febbraio 2023 i finanzieri del Gico coordinati dalla Dda di
Torino sono così convinti che Domenico Ceravolo, 46 anni,
sindacalista della Filca Cisl edili finito in manette per
associazione a delinquere di stampo mafioso, c'entri più di qualcosa
con la ‘ndrangheta che decidono di "inoculare" un virus informatico
(un trojan) nello smartphone del dipendente della sigla confederale.
Pochi giorni prima (era il gennaio 2023) il sindacalista deve
recarsi in Calabria a tutti i costi. È stato convocato come teste
della difesa di un boss nell'aula bunker di Lamezia Terme per
testimoniare nel maxi processo Rinascita Scott, culminato con ben
345 arresti per mafia. Le spese di viaggio vengono – il dato è
singolare – sostenute dal sindacato. I pm sottolineano agli atti
come «di tale esborso, che non può di certo ritenersi una spesa
attinente le attività istituzionali dell'ente, non è stato tenuto
all'oscuro il vertice romano dell'organizzazione sindacale stessa».
Ma vi è anche di più: «Che i nominati responsabili della Filca Cisl
(non indagati ndr) fossero a conoscenza del motivo inerente la
trasferta calabrese di Domenico Ceravolo lo si coglie compiutamente
da una telefonata con cui lo stesso racconta a uno dei vertici
nazionali che lo avrebbe informato «dell'esito dell'udienza».
L'aria, al sindacato, non pare delle migliori perché a questa
notizia «si aggiungono – scrivono i pm Paolo Toso, Marco Sanini e
Mario Bendoni - le notizie stampa pubblicate a seguito della cattura
del latitante Pasquale Bonavota ove emerge come all'interno
dell'abitazione del boss sia stato rinvenuto, in uso a quest'ultimo,
il documento d'identità proprio di Domenico Ceravolo.
Per i magistrati che hanno coordinato gli investigatori si
tratterebbe «di un accertato diretto dei vertici sindacali a favore
di Ceravolo allorquando sono emersi chiari segnali di una possibile
attività investigativa svolta nei confronti di quest'ultimo». Di
cosa parlano gli inquirenti è presto detto: «Dopo l'inoculamento del
trojan sul telefono aziendale di Ceravolo è uno dei vertici della
Filca Cisl a contattare il gestore Vodafone «per rappresentare
alcune anomali che stava riscontrando su quel telefono: "Senta, la
chiamo per un problema che ha il proprietario, l'intestatario di
questo numero. Non riusciamo a disinstallare o quantomeno a bloccare
un ... un'applicazione che è "Assistenza in linea" che continua a
lavorare in background, volevamo capire se era possibile
disattivarla tramite il servizio o c'è qualche anomalia». Per gli
investigatori «è un chiaro segnale di aver compreso che si trattasse
di un trojan».
In contemporanea – aggiungono – si verifica un altro intervento di
un dirigente nazionale: «Quest'ultimo ha dato disposizione al
personale informatico della Filca Cisl che opera nella sede centrale
di Roma di avviare la pratica per l'acquisto di un nuovo cellulare
da dare in uso a Ceravolo. Il 4 marzo il sindacalista poi arrestato
entrerà in possesso di un nuovo smartphone: «Mi è arrivato ieri è un
Samsung S23 Ultra, l'ultimo è. Costa 1400 euro, l'hanno pagato
loro». Chiosano i pm: «Tale dispositivo, dunque, avrebbe non solo
sostituito quello sul quale era stato installato il trojan ma
avrebbe reso maggiormente complicato (se non impossibile) un nuovo
tentativo di inoculazione da parte della polizia giudiziaria atteso
che si tratta di un modello di ultimissima generazione. Stesso
acquisto sarà sostenuto dalle casse sindacali per "il braccio destro
di Ceravolo", un altro dipendente Filca Cisl. «Tale agire –
concludono i finanzieri del comando provinciale guidati dal Generale
Carmine Virno - è del tutto ragionevole ipotizzare che derivi
dall'intenzione di rendere quanto maggiormente complicata
l'intercettazione delle quotidiane conversazioni».
27.09.24
Al fronte col filantropo che aiuta l'Ucraina "Dai calzini ai
missili, ci penso sempre io"
Amed Khan
" Francesco Semprini
PAVLOGRAD (Ucraina)
Amed arriva all'appuntamento poco dopo mezzogiorno, il sorriso del
fare e il cronico entusiasmo fanno a pugni con la stanchezza lenita
solo da qualche ora di sonno. «Ieri – dice – siamo stati coi
"ragazzi degli Himars" sino a tarda sera». I "ragazzi degli Himars"
sono i militari delle unità delle forze armate ucraine che si
occupano del funzionamento di questi sistemi d'arma divenuti
centrali non solo sui fronti di battaglia, come qui in Donbass, ma
anche nel dibattito tra gli alti vertici politici e militari di Kiev
e degli Alleati occidentali. Amed invece è Amed Khan, filantropo
attivo nei teatri bellici e nelle aree di crisi, oggi principale
sostenitore privato della causa ucraina.
Il suo motto è «dai calzini ai generatori», qualsiasi cosa serva, a
militari e civili ucraini, la sua Fondazione provvede a fornirla.
«Faccio tutto da solo, a volte qualche amico partecipa a iniziative
– chiosa –, ma sono incline a non chiedere nulla a nessuno,
intervengo in maniera diretta, senza seguire complicati protocolli,
lavoro sulla velocità degli approvvigionamenti».
Amed va oltre gli esseri umani, talvolta si occupa di animali, come
Jack il pastore tedesco che ha resistito all'occupazione russa nell'Oblast
di Kharkiv, asserragliato in un sottoscala. «Quando lo abbiamo
trovato era depresso, malnutrito, spaventato, aveva trascorso troppo
tempo sotto i bombardamenti», dice il filantropo che si è preso
carico dell'animale sino a quando a chiederne l'affidamento è stato
l'amico Amos Bocelli (figlio di Andrea). Come sta Jack? «Ci ha
lasciato, era già su con l'età, ma almeno ha vissuto i suoi ultimi
anni come si deve, davanti al mare, nella tenuta di Forte dei Marmi
del Maestro».
Il suo legame con l'Ucraina ha radici più profonde del conflitto in
corso. Khan collabora col governo degli Stati Uniti dagli anni
Novanta, lavora nei campi dei rifugiati in Ruanda, poi con l'allora
presidente Bill Clinton ancora in Africa, e, successivamente, con la
Fondazione Clinton in altre zone disagiate. Vira quindi in finanza
per raccogliere fondi e crea la sua attività filantropica, da lì
inizia un nuovo percorso sui fronti caldi del Pianeta. «Sono stato
in Iraq, Siria, Somalia, ho accolto rifugiati, costruito case per
loro – racconta –, ho organizzato l'evacuazione degli afghani nel
2021 con sei voli charter miei, subito dopo l'arrivo dei talebani».
La sua frequentazione dell'Ucraina inizia dal 2005, vanta l'amicizia
con Vitali Klitschko, il «sindaco-pugile» di Kiev. Ed è con
l'ufficio del presidente Volodymyr Zelensky che ad agosto del 2021
organizza l'evacuazione degli afghani collaborando con le forze
speciali ucraine. Nei mesi successivi rimane in contatto con le
autorità di Kiev fungendo da collegamento ufficioso con alcuni
ambienti dell'amministrazione americana in merito a tematiche
umanitarie. «Il 24 febbraio scoppia la guerra – racconta – eravamo
preparati e avevamo già predisposto misure preventive per evacuare
diverse persone dal Paese, in particolare amici e personalità di
rilievo».
Da quel momento il suo impegno diventa incessante. «Ormai trascorro
molto più tempo qui che a casa mia a New York, ma a me piace così.
C'è chi ha lo yacht, l'elicottero, vetture di lusso e magioni in
giro per il mondo, io ho le missioni, crisi umanitarie o zone di
guerra, cerco di esserci sempre –, dice col ghigno di che esorcizza
sacrificio e fatica –. È tanto lavoro ma anche tanta gioia», come
quando una grande casa-famiglia femminile di ragazzine dai 7 ai 17
anni viene distrutta da un missile russo. «Sarebbero state tutte
separate, date in affidamento ad altre strutture nel Paese o fuori,
per loro significava essere strappate da quella che era diventata la
loro casa e la loro famiglia». Khan decide di provvedere alla
ricostruzione della struttura, ottiene i permessi, porta i materiali
e grazie al lavoro di volontari e professionisti ridona luce alla
struttura. «Le responsabili mi mandano costantemente i video di
bimbe e ragazze che studiano e giocano, prima o poi farò loro una
sorpresa».
Più in su con l'età sono invece i "ragazzi degli Himars" che Amed
sostiene fornendo loro vettovagliamento, ma anche mezzi per muoversi
e provvedere alla loro esigenze più immediate. Il buon samaritano
del Donbass ha persino provveduto a prendersi cura della moglie e
del figlio del soldato Artem. «Il bimbo, Damir, ha bisogno di
sostengo particolare, così ho fatto avere loro il visto, la mamma,
Oksana, lavora per la mia organizzazione e il ragazzino va a scuola
e fa sport seguito con tutte le attenzioni del caso». Ad oggi le
attività di Khan si concentrano in questa parte di Ucraina, tra la
Pokrovsk che i russi tentando di aggirare avanzando dal fianco
sud-est, mentre si incuneano verso la strada che collega Myrnograd a
Kramatorsk. Città chiave della regione di Donetsk presa di mira ieri
dai bombardamenti delle forze di Vladimir Putin che hanno causato
due morti e 15 feriti.
«Il problema – dice – sono le armi a lungo raggio, ci sono
postazioni al di là del confine che supportano le operazioni
militari di Mosca in questa regione, come le basi da cui partono i
cacciabombardieri con le bombe plananti (Fab). Per neutralizzarle
c'è bisogno di quelle armi e di utilizzarle a lunga gittata». Quando
si parla di politica, il "buon samaritano" diventa agguerrito: «Gli
Stati Uniti non vogliono che l'Ucraina perda, ma nemmeno che vinca,
è una constatazione, hanno calibrato tutte le forniture, non
vogliono nemmeno che collassi la Russia, vogliono mantenere lo
status quo». Ancor più impietoso è quando si parla di elezioni
americane. Cosa si aspetta? «La politica estera dell'establishment è
fatta da sapientoni delle Ivy League che non hanno esperienza di
come va il mondo. Non mi aspetto nulla quindi, comunque vada il 5
novembre». —
Torino, la procura chiede una relazione a Fastweb per capire che
cosa non ha funzionato
Roua e il giallo del braccialetto "Da chiarire il mancato allarme" ELISA SOLA
CATERINA STAMIN
TORINO
«La natura delle esigenze cautelari da soddisfare inducono a
ritenere necessario, laddove il presidio elettronico non fosse
reperibile o immediatamente installabile, ripristinare, ovvero
mantenere nelle more la massima misura cautelare carceraria,
richiesta dal pm». Abdelkader Ben Alaya, il muratore di 48 anni che
tre giorni fa ha ucciso a Torino la moglie Roua Nabi, era
«pericoloso». Così scriveva la gip Ersilia Palmieri il 2 luglio,
ordinando i domiciliari con l'obbligo di portare il braccialetto
elettronico. Ma quel dispositivo, così urgente e fondamentale tanto
da spingere la giudice a scrivere un'intera pagina riguardo ad esso,
di un'ordinanza di sei, non ha funzionato la notte in cui Roua è
stata ammazzata. Una sola coltellata vicino al cuore e davanti ai
suoi due bambini. Uno dei filoni dell'indagine sull'ennesimo
femminicidio punta dritto al nodo cruciale di una tragedia che forse
si sarebbe potuta evitare. Perché il braccialetto elettronico non ha
suonato? Il pm Giuseppe Drammis, titolare dell'indagine, ha ordinato
accertamenti di natura tecnica considerati dagli stessi inquirenti
di particolare complessità. La richiesta di una relazione è stata
inoltrata anche alla compagnia telefonica Fastweb.
Lo spettro delle ipotesi è ampio. Potrebbe essere subentrato un
problema tecnico, come l'assenza di segnale. Oppure l'indagato –
come a volte accade, anche se raramente – potrebbe essere stato in
grado di schermare il dispositivo, mandandolo in tilt. Ma c'è anche
chi ipotizza che il braccialetto, più banalmente, possa essere stato
difettoso per sua natura. È già capitato, a chi indaga, di incappare
in dispositivi "fallati". Se emergesse che invece lo strumento
funzionava, si aprirebbero altri fronti. E nuove domande. Era mai
stato attivato, quel braccialetto, quando venne assegnato a Ben
Alaya lo scorso luglio? E ancora. Se era attivo, le forze
dell'ordine come avrebbero dovuto controllare? Non si esclude la
pista dell'errore umano.
Tutti sentivano le urla tra le quattro mura di quel palazzo di
periferia dove Ben Alaya non avrebbe dovuto avvicinarsi, perché
glielo aveva imposto il giudice. Che gli aveva assegnato un
dispositivo dotato di una sim collegato alla centrale operativa
della Questura. Ogni segnale arriva lì. E così è stato anche lunedì
sera. Alla centrale il dispositivo manda una segnalazione quando
mancano circa due ore all'omicidio. Come da procedura, partono i
controlli incrociati per capire se l'uomo abbia superato i limiti
imposti dal giudice, i 500 metri di distanza. Una vicina racconta di
aver visto l'uomo nel palazzo intorno alle 18.30. «Non sapevo non
vivessero insieme, lui era sempre qui», dice Gaia Lo Nigro. Ma
intorno alle 21, dalla geolocalizzazione del braccialetto non
risulta che Abdelkader e Roua fossero insieme. Oltre due ore più
tardi il vicino di casa viene svegliato dai pugni sulla porta di una
bambina che chiede aiuto per sua madre. Il ragazzo apre la porta di
casa. Stesa a terra sul pianerottolo, in una pozza di sangue, c'è
Roua Nabi. Ha una ferita al torace che Salvato, su indicazione
dell'operatrice del 112, prova a tamponare con un asciugamano. Ma
tutto si rivela inutile, Roua muore al San Giovanni Bosco. E da
allora le domande si moltiplicano. Cosa non ha funzionato? Ieri
l'assassino, difeso dall'avvocato Gianluigi Marino, non ha risposto
alle domande del gip. È rimasto in silenzio.
ALICE RAVINALE Consigliera regionale di Avs "Qui come altrove serve
più coraggio sull'ambiente"
"Protesta legittima condivisa da tanti La Città adesso continui il
dialogo" ANDREA JOLY
«Chi amministra, qui come in tutta Italia, deve avere più coraggio
nel fare politiche ambientaliste». La consigliera regionale di
Alleanza Verdi e Sinistra Alice Ravinale, già capogruppo di Sinistra
Ecologista in Comune, è finita nel mirino di chi protesta per il
parco del Meisino: «Prendo atto e capisco la frustrazione. Ma noi
portiamo avanti le istanze ambientaliste in politica, per cambiare
lo status quo».
È scontro tra Città e attivisti. Da che parte state voi?
«Quando si arriva a questo livello di incomunicabilità tra le parti,
con tanto di presenza delle forze dell'ordine in cantiere, è una
sconfitta per tutti. In Piemonte dovremmo saperlo bene, dopo la Tav.
Ed è lo stesso copione visto con le alberate in corso Belgio».
L'assessore Carretta mente quando dice che le interlocuzioni sono
durate due anni?
«È vero che ci sono stati confronti ma su un progetto che, a causa
dei paletti del Pnrr, di fatto era già deciso. E si poteva
discuterne prima, almeno in una riunione di maggioranza».
Quindi da che parte state?
«Chi protesta vuole mantenere la vocazione naturalistica del Meisino
senza trasformarlo in una cittadella dello sport. È un punto di
vista che va tenuto in considerazione».
E cosa avreste proposto voi?
«Di concentrare i fondi Pnrr per lo sport altrove, magari in un
campo da calcio libero per tutti non esistendone più in tutta la
città. O in una piscina».
E il centro per l'educazione ambientale?
«Quello è un elemento giusto che apprezziamo, ma il resto del
progetto ha un impatto. E la sua prima versione è stata cambiata non
poco dopo le modifiche richieste dall'ente parco. Ora sembra
rispettare i parametri, ma può migliorare».
Pronti a ricevere nuove accuse di ipocrisia?
«La nostra posizione l'abbiamo sempre espressa e accettiamo le
critiche. Cerchiamo di svolgere un ruolo di dialogo e di ponte. È
difficile, ma necessario. Si sbaglierebbe a tirare dritto, oggi,
senza provare ad apportare quelle modifiche migliorative che
chiedono in tanti, non solo chi protesta».
Pochi attivisti, però, interrompono i lavori. Condividete questo
metodo di protesta?
«Le proteste non violente sono ovviamente legittime e dobbiamo
difendere il diritto al dissenso, soprattutto di fronte al ddl
sicurezza del governo Meloni. Ed è sbagliato derubricarla a protesta
di pochi: sempre più torinesi hanno perplessità sul futuro del
Meisino».
Il Pd in Comune sbaglia politica ambientalista?
«Non do patenti di errori, ogni partito ha la sua linea. Noi
vorremmo più radicalità e nettezza. Sul limite dei 30 chilometri
orari in città e le restrizioni ai veicoli, Parigi e Londra sono
state rivoluzionate in pochi anni. Noi vorremmo andare a quel ritmo.
Anche in risposta al governo regionale di destra: basta vedere lo
scempio che sta facendo la giunta Cirio sul piano di qualità
dell'aria». Manifestanti ai cancelli fin dall'alba. Le opere
proseguiranno per qualche giorno all'interno della Cascina
Malpensata
Ennesimo blitz degli attivisti al Meisino Fermati i lavori nell'area
verde del parco
Pierfrancesco caracciolo
Sono stati sospesi, ieri mattina, i lavori all'aperto nel parco del
Meisino. In queste aree, su cui gli interventi erano in corso dal 6
settembre, gli operai non metteranno più mano almeno per qualche
giorno. Il mini stop deciso dalla città bloccherà, per il momento,
una parte del progetto - da 11,5 milioni di euro - per la
costruzione di un centro per l'educazione sportiva e ambientale nel
parco. Quella, cioè, che prevede la realizzazione di 20 strutture
sportive immerse nel verde.
La sospensione arriva 24 ore dopo un altro stop al cantiere
«imposto» da una quarantina di attivisti del Comitato Salviamo il
Meisino. Erano stati loro, martedì, a bloccare gli operai incaricati
di intervenire lungo un prato, quello accanto a corso Sturzo, lato
Est del parco.
Gli operai, scortati dalla Digos, hanno proseguito i lavori nell'ex
galoppatoio. Si tratta di una ristrutturazione che ha come
l'obiettivo trasformare la struttura nella base operativa del nuovo
centro sportivo-ambientale. Mentre nell'edificio proseguiranno le
lavorazioni, nelle prossime ore, la Città valuterà come riprendere
le attività all'esterno. L'obiettivo è evitare altre incursioni di
cittadini e attivisti. Per tre volte, finora, hanno rallentato
l'esecuzione delle opere. Una protesta, la loro, dettata dalla
volontà di proteggere quella che definiscono «una riserva naturale
ricca di biodiversità».
A riprova della sospensione dei lavori all'aperto, ieri è stata
smantellata l'area di cantiere nel verde lungo corso Sturzo,
approntata 24 ore prima. Da quel punto, dove martedì gli attivisti
avevano bloccato gli operai, sono state rimosse transenne e mezzi di
cantiere. Ciò nonostante non sono mancati i momenti di tensione. A
inizio mattinata gli operai hanno trovato la strada sbarrata quando
si sono diretti verso l'ex galoppatoio. Con un gruppo di
contestatori in presidio all'ingresso della struttura. Per
allontanarli è intervenuta la polizia.
Quella scattata ieri è la seconda sospensione (di una parte)
dell'attività cantieristica negli ultimi dieci giorni. La prima è
del 16 settembre, quando la Città aveva ordinato alle maestranze di
sospendere la rimozione di verde e ramaglie in uno scorcio di parco
dietro l'ex galoppatoio. Lo aveva fatto dopo aver ricevuto una
diffida dei contestatori, che segnalavano la presenza in quell'area
di centinaia di ricci, che le ruspe avrebbero spazzato via.
Il ruolo di Domenico Ceravolo nell'indagine. I pm: "Tante tessere
perché contiguo ad ambienti criminali. I vertici della Filca Cisl
parevano consapevoli"
La strana scalata del sindacalista dei boss "Portava iscritti e
favoriva la 'ndrangheta"
giuseppe legato
Il 23 febbraio scorso, quando le indagini della Dda di Torino erano
abbondantemente avanti nel tempo (e negli esiti) e già lo
individuano come presunto affiliato alla ‘ndrangheta calabrese,
Domenico Ceravolo, nato a Torino 47 anni fa, veniva nominato membro
della segreteria della Filca Cisl edili. Una scalata di tutto
rispetto, iniziata quattro anni prima quando era venuto via dalla
Calabria perché «erano cominciate a emergere le sue contiguità con
ambienti mafiosi» e finita sul sito della sigla confederale (che lo
ha immediatamente sospeso, ieri, dopo la notizia del fermo) con
tanto di annuncio dei nuovi incarichi e foto di rito coi vertici.
Secondo i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni è un affiliato
a tutto tondo. «Nel nostro territorio – si legge nel provvedimento
di fermo che dovrà essere convalidato (o no) domani - si è messo al
servizio dei boss». E agli occhi degli investigatori del Gico del
Gico della Finanza il primo grave campanello d'allarme era suonato
durante un pedinamento del 2019.
Seguivano Onofrio Garcea, il boss originario di Vibo Valentia che a
luglio di quell'anno metterà nei guai l'ex assessore regionale di
Fratelli D'Italia Roberto Rosso per voto di scambio politico
mafioso. Un altro membro di rango dell'organizzazione lo
accompagnerà negli uffici della Filca Cis proprio da Ceravolo. Non
sono passati inosservati altri fatti: ad esempio i 47 contatti
telefonici in pochi mesi che l'insospettabile garante dei diritti
dei lavoratori aveva intrattenuto in pochi mesi con un boss di
rilevante livello come Salvatore "Turi" Arone recentemente
condannato a una dura pena nel processo Carminius.
Scrivono i militari che quel giovane sindacalista intratteneva
rapporti con membri storici dell'organizzazione (Raffaele e Antonio
Serratore) legati al violento clan Bonavota. Dalle cuffie della
Finanza non uscirà più per ritrovarlo anni dopo in via Bellini 12 a
Moncalieri a casa di Franco D'Onofrio, per gli inquirenti «dirigente
della ‘ndrangheta in Piemonte», a discutere di affari, edilizia e
mafia. Nel dettaglio: il sindacalista e membro della segreteria
della Filca - Cisl, contribuiva al «controllo del settore edile da
parte del sodalizio, favorendo interessi delle imprese ad esso
contigue rispetto ai lavoratori iscritti, procurando presso queste
imprese l'assunzione di soggetti d'interesse del sodalizio, fornendo
indicazione di imprese per affidamento di appalti/sub-appalti e
procurandone ad imprese di interesse della ‘ndrangheta». Non solo:
si è prestato «a presentare la domanda fraudolenta di reddito di
cittadinanza a favore di Antonio e Raffaele Serratore e di Salvatore
Arone». Ancora « forniva ausilio per favorire alcuni affiliati nel
controllo e nella gestione di attività economiche, procurava
occasioni di lavoro per ditte operanti nel settore edilizio
controllate o gestite occultamente dai fratelli Artone e – per non
farsi mancare nulla – ha fatto da prestanome sulla metà delle quote
di una società di un altro rilevante esponente della cosca e ha
fornito copia del proprio documento d'identità al latitante Pasquale
Bonavota». Un'obbedienza – così pare – talmente virtuosa da non
necessitare di ulteriori dimostrazioni di fedeltà. Alle quali si può
aggiungere una denuncia per falsa testimonianza nel maxi processo
Rinascita Scott che sarebbe stata prestata in favore di un affiliato
di rango. E si torna a D'Onofrio «per conto del quale – questa
l'accusa dei pm – organizzava incontri con altri appartenenti alla
‘ndrangheta del Piemonte per favorire lo scambio di comunicazioni».
Quando, ancora, viene contattato «da un impresario edile vibonese
che si era aggiudicato alcuni appalti al Nord (lavori pubblici in
provincia di Alessandria, a Balzola)» a caccia di nominativi di
imprese edili disponibili ad acquisire quei cantieri in subappalto «Ceravolo
interpella D'Onofrio al quale è spettato il compito di individuare
l'impresa che ha quindi realizzato in subappalto il cantiere
pubblico».
La sua attività sindacale – si legge agli atti – viene ricompensata
«in una logica di utilità doppia» sua e del sindacato del quale i pm
elencano i vantaggi «consistenti essenzialmente nella sua capacità
di tesserare lavoratori, in particolare tra le imprese riconducibili
a soggetti di origine calabrese, garantita dalla contiguità dello
stesso Ceravolo all'ambiente 'ndranghetistico, circostanza di cui De
Lellis Mario e De Luca Ottavio appaiono consapevoli». Chi sono
questi ultimi? Sono alti dirigenti della sigla confederale. Non
indagati, ma rivestono il ruolo rispettivamente di segretario
provinciale di Torino (De Lellis) e segretario nazionale (De Luca).
Avrebbero «deciso e gestito in favore di Ceravolo utilità e favori
del tutto anomali e non giustificati dall'ordinaria attività di
operatore sindacale». Rimborsi spese, carte di debito. Dirà lo
stesso Ceravolo, quando dovrà andare a rendere (falsa) testimonianza
in Calabria «per screditare il pentito Andrea Mantella» su
indicazione di D'Onofrio, che «Ottavio mi ha detto una cosa che se
ci penso mi emoziono: "Non ti preoccupare che se c'è bisogno ti
metto io un buon avvocato", hai capito?». Le ambientali della
Finanza registrano: «Mentre Ceravolo confida questo gesto, piange
davvero». —
26.09.24
Andrea Castaldo Difensore di Laudati
Le tappe della vicenda
Inchiesta dossier scaricati 200mila atti Spiati politici e vip irene famà
inviata a perugia
Al tenente Pasquale Striano bastava anche un unico accesso per
riuscire a scaricare migliaia di atti. Duecentomila solo tra il 2019
e il 2022 e solo dalla banca dati della Direzione nazionale
antimafia. Verbali di interrogatori, informative, ordinanze. Poi ci
sono gli altri: quelli recuperati da Serpico, il sistema
dell'Agenzia delle entrate dove confluiscono transazioni bancarie e
dichiarazioni dei redditi e investimenti, e dallo Sdi, Sistema di
indagine, banca dati delle Forze dell'ordine dove si trova il
profilo di ognuno. Lo raccontano le annotazioni del Nucleo di
polizia valutaria della Guardia di finanza depositate ieri dalla
procura di Perugia durante l'udienza davanti al tribunale del
Riesame sul caso dei dossier.
Si tratta di nuovi documenti che parlano di decine di accessi, il
triplo di quelli già individuati nella prima fase delle indagini, e
che ricostruiscono nel dettaglio il quadro degli atti scaricati
ufficio per ufficio dalla banca dati della Dna. Gli "obiettivi"
delle ricerche? Centinaia. Tra politici, imprenditori, dirigenti
della pubblica amministrazione, sportivi. Ricerche, ad esempio, sul
ministro Guido Crosetto o sull'ex premier Giuseppe Conte e la sua
compagna, o ancora sul presidente della Figc Gabriele Gravina. E
della questione si stanno occupando anche la Commissione
parlamentare Antimafia e il Copasir.
La vicenda ruota intorno ad accessi abusivi ai sistemi informatici e
alla divulgazione di informazioni riservate. Gli indagati
principali? L'ex finanziere Pasquale Striano e Antonio Laudati,
magistrato campano in pensione in forza alla Direzione nazionale
antimafia e all'epoca coordinatore del gruppo Sos, Segnalazioni di
operazioni sospette.
Per la procura di Perugia, guidata dal procuratore capo Raffaele
Cantone ieri presente in aula, per i due indagati dovrebbe scattare
la misura cautelare degli arresti domiciliari. Richiesta che era
stata messa nero su bianco in oltre duecento pagine in cui si
paventava anche l'inquinamento delle prove e il pericolo di
reiterazione del reato. Diversa l'interpretazione del gip, che aveva
respinto l'istanza. Poi il ricorso della procura. E così ora si
discute davanti ai giudici del Riesame. La procura deposita due
memorie, due informative e anche un'annotazione trasmessa dal
Procuratore Nazionale antimafia Giovanni Melillo. Le difese
obiettano. «La mole di documenti depositati è consistente - spiega
l'avvocato Massimo Clemente, difensore di Striano insieme al collega
Tommaso Fusillo - Ci siamo opposti all'acquisizione per questioni
che riguardano le tempistiche». Non solo. «Questo non è un
procedimento di merito, ma sull'applicazione o meno delle misure
cautelari». E l'avvocato Andrea Castaldo, che assiste Laudati,
aggiunge: «Abbiamo ritenuto che si trattasse di atti inutilizzabili,
per cui ci siamo opposti. Il clima è stato costruttivo, valuteremo
dichiarazioni spontanee».
Mentre i giudici decideranno o meno se far scattare i domiciliari
(l'udienza è stata rinviata al 12 novembre), le indagini proseguono.
Secondo le accuse, gli accertamenti al centro dell'inchiesta non
muovevano da nessuna Segnalazione di operazione sospetta di cui si
doveva occupare la Dna nell'ambito di attività d'indagine
autorizzate. Insomma, accertamenti illegittimi. —
Secondo i consulenti del gip la morte del giornalista, malato di
cancro, sarebbe collegata alle ischemie confuse con metastasi
Purgatori, la perizia inguaia i medici "Una catastrofica sequela di
errori " VOLUTI ! Grazia Longo
Roma
Una carrellata di sbagli fatali da parte dei medici indagati. «Una
catastrofica sequela di errori ed omissioni». È impietosa la perizia
dei consulenti del gip, sulle responsabilità dei medici sotto
inchiesta per la morte del giornalista Andrea Purgatori, il 19
luglio 2023.
Nel registro degli indagati della procura, per omicidio colposo,
sono iscritti il radiologo Gianfranco Gualdi, il suo assistente
Claudio Di Biasi e la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo, entrambi
appartenenti alla sua equipe, e il cardiologo Guido Laudani.
E ora la relazione disposta dal gip per stabilire le cause della
morte del conduttore tv è un lungo elenco di critiche nei loro
confronti. Perché è vero che Purgatori aveva il cancro ma, secondo
gli esperti, sarebbe vissuto più a lungo se avesse ricevuto cure
adeguate e se non ci fosse stata una diagnosi sbagliata. In altre
parole se le ischemie che lo colpirono non fossero state confuse con
metastasi che, a quanto risulta dalla perizia, non c'erano affatto.
Nelle conclusioni della perizia medico-legale disposta lo scorso
marzo, nell'ambito di un incidente probatorio, si ribadisce infatti
che «i neuroradiologi indagati refertarono non correttamente l'esame
di risonanza magnetica dell'8 maggio del 2023 per imperizia e
imprudenza e quelli del 6 giugno e dell'8 luglio per imperizia. Il
cardiologo Laudani effettuò approfondimenti diagnostici
insufficienti» e da lui in particolare ci fu una «catastrofica
sequela di errori ed omissioni». Il motivo? «Interpretò non
correttamente i risultati dell'esame holter, giungendo alla
conclusione che l'embolizzazione multiorgano fosse conseguenza di
fibrillazione atriale. Inoltre non valutò adeguatamente il quadro
clinico e gli effetti della terapia anticoagulante che aveva
impostato».
Per i periti, inoltre, «un corretto trattamento
diagnostico-terapeutico avrebbe consentito al paziente Purgatori un
periodo di sopravvivenza superiore a quanto ebbe a verificarsi. La
letteratura scientifica considera il tasso di sopravvivenza a un
anno in misura dell'80% qualora l'endocardite venga tempestivamente
adeguatamente trattata». Nel documento si afferma che l'endocardite,
che fu la causa del decesso di Purgatori, «avrebbe potuto essere
individuata più tempestivamente, per lo meno all'inizio del ricovero
dal 10 al 23 giugno del 2023, od ancora prima, nella seconda età di
maggio 2023 qualora i neuroradiologi avessero correttamente valutato
l'esito degli accertamenti svolti l'8 maggio».
Nel documento viene inoltre ricostruita anche la gestione clinica
del paziente e in riferimento al ricovero del luglio del 2023 i
periti affermano che Purgatori «viene dimesso apparentemente senza
visionare i risultati di un prelievo effettuato il giorno 19, dove
si rileva la severa anemia che avrebbe controindicato la
dimissione».
L'avvocato Alessandro Gentiloni Sileri, che segue i familiari del
giornalista, osserva: «La perizia conferma la tesi da subito
sostenuta dai miei assistiti: è stato curato per delle metastasi al
cervello inesistenti. In realtà si trattava di varie ischemie che si
sono susseguite e non sono state né diagnosticate né curate».
La trincea del Meisino
pier francesco caracciolo
Si sono frapposti fra le gru e l'area di cantiere. Un presidio
pacifico partito alle 8,30 e finito al tramonto. Così ieri un gruppo
di residenti e attivisti del Comitato Salviamo il Meisino ha
bloccato i lavori nel parco. Lo stop è avvenuto nel verde tra via
Nietzsche e corso Sturzo. Un angolo fino al quale gli operai,
presenti dal 6 settembre, non si erano ancora spinti. L
ostruzionismo degli attivisti ha bloccato il via alle opere
propedeutiche alla realizzazione di una delle venti aree attrezzate
per il centro di educazione sportiva e ambientale che sorgerà nel
2026. Ed è da valutare se oggi i lavori riprenderanno: i
"contestatori" promettono di tornare all'alba per un nuovo presidio.
«Siamo intervenuti per impedire la devastazione di questa riserva
naturale», il messaggio recapitato ieri. Il riferimento, in questo
caso, è all'intero parco del Meisino, location secondo gli attivisti
tutt'altro che adatta ad ospitare strutture sportive. Un polmone
«ricco di biodiversità», abitato «da centinaia di specie diverse di
animali e piante, che il passaggio delle ruspe spazzerebbe via»
sottolinea Roberto Accornero. Ha queste caratteristiche anche il
tratto tra via Nietzsche e corso Sturzo, ieri al centro della
contestazione. Per questo gli attivisti sono intervenuti in massa.
Erano una quarantina, alle 8,30, quando si sono appostati davanti
alla ruspa. Gli operai, al Meisino da un'ora, avevano rimosso una
striscia di verde lunga un centinaio di metri. All'arrivo dei
contestatori si sono fermati e sono scesi dalla gru. Gli agenti
della Digos, nel parco dall'alba, non hanno forzato il blocco.
Il cantiere, ieri, non si è fermato in toto. Gli operai hanno
proseguito le lavorazioni in un altro punto del Meisino:
all'interno, cioè, della cascina Malpensata, destinata a diventare
la sede operativa del nuovo polo sportivo open air. Si sono invece
tenuti alla larga da un altro tratto di verde, nei pressi dell'area
umida del parco. Si tratta del punto in cui, dal 16 settembre, i
lavori sono stati messi in stand-by dal Comune per non mettere a
repentaglio la vita di centinaia di ricci. Una sospensione arrivata
dopo una diffida ricevuta da Massimo Vacchetta, veterinario del
centro di recupero ricci di Novello (Cuneo). Era stato lui a
segnalare la presenza degli animali nel parco.
Il progetto prevede la nascita di un "centro per l'educazione
sportiva ed ambientale" nel parco. Un'operazione da 11,5 milioni di
euro, fondi in arrivo dal Pnrr. Un lavoro che, salvo intoppi, si
chiuderà tra 15 mesi. La cascina Malpensata, in stato di abbandono
da vent'anni, ospiterà attività didattiche, sportive e ambientali
rivolte soprattutto alle scuole. Tutto intorno, a distanza le une
dalle altre, sorgeranno le venti attrezzature sportive, comprese
aree giochi e fitness. Su di esse sarà possibile praticare dodici
discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco,
ciclocross e cricket. Prese singolarmente occuperanno il 10% del
parco, ma sorgeranno su un'area di 393 mila metri quadri (pari
all'87% del Meisino, ampio 450 mila metri quadri).
Quella di ieri è stata la terza operazione di ostruzionismo di
residenti e attivisti, che si presentano quotidianamente al Meisino
per monitorare il cantiere. Il 6 settembre, giorno dell'apertura dei
lavori, avevano bloccato per tre ore gli operai, prima di essere
sgomberati dalla Digos. Il 16 settembre, invece, avevano interrotto
le lavorazioni per mezz'ora.
Manette a Franco D'Onofrio, ras di Moncalieri e a un referente della
sigla confederale degli edili che faceva incetta di iscrizioni: "Ha
favorito le 'ndrine"
Tessere sindacali e cosche: cinque fermi per mafia C'è il capo del
Piemonte: voleva scappare all'estero
giuseppe legato
Il blitz del Gico della Guardia di Finanza è scattato all'alba e le
pattuglie degli investigatori del comando provinciale guidato dal
Generale Carmine Virno hanno puntato subito verso la cintura sud di
Torino. In via Bellini a Moncalieri, nei pressi di piazza Bengasi,
hanno suonato senza indugi al campanello della casa di Francesco
D'Onofrio, 64 anni, originario di Mileto (Vibo Valentia), vecchia
conoscenza della procura (non solo di quella di Torino).
Lo hanno arrestato. O meglio hanno eseguito un fermo per indiziato
di delitto per associazione a delinquere di stampo mafioso con il
grado di «dirigente della rete della ‘ndrangheta in Piemonte». Un
capo, dunque, accusa dalla quale il presunto boss era riuscito a
sottrarsi nel maxiprocesso Minotauro (concluso con una condanna
definitiva a 5 anni di carcere come partecipe) e che ora torna nel
lungo elenco delle contestazioni mosse dalla Dda di Torino. (pm
Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni)
La perquisizione si è protratta per ore e alla fine è saltata fuori
una pistola calibro 38 che è stata immediatamente inviata agli
specialisti della balistica per capire se, dove e quando, abbia
sparato. Magari anche in degli omicidi. D'Onofrio avrebbe «promosso,
favorito e partecipato a incontri tra associati di diverse
articolazioni calabresi e piemontesi per intese, alleanze,
spartizioni del territorio, richieste di interventi di mediazione o
recupero crediti e per autorizzazioni a commettere delitti». E il
fermo è scattato perchè aveva chiesto - pare - di eliminare il
divieto di espatrio dal passaporto. Pericolo di fuga, dunque.
Colpisce tra gli altri cinque fermi eseguiti ieri mattina - che
qualificano un articolazione dedita «al controllo di attività
economiche nel settore edilizio, immobiliare, dei trasporti e della
ristorazione» - quello di Domenico Ceravolo, sindacalista in rampa
di lancio, membro della segreteria Filca Cisl di Torino (e Canavese).
Era stato eletto lo scorso 13 febbraio «a stragrande maggioranza –
si legge sul sito della sigla confederale – alla presenza dei
vertici nazionali». Sul suo profilo "X" riposta interventi e
promesse di vigilare sulla sicurezza sul lavoro, sul rispetto dei
diritti degli operai, sulla trasparenza. Eppure, secondo la Dda una
fotocopia di un suo documento di identità sarebbe stata trovata nel
covo del superboss Pasquale Bonavota arrestato a Genova il 23 aprile
2023 al termine di una lunga e misteriosa latitanza. Forse, Bonavota
avrebbe usato l'identità di Ceravolo per sottrarsi alla cattura. Sia
come sia il ruolo del sindacalista non si sarebbe fermato a questo.
Avrebbe avuto «un ruolo rilevante ai fini dell'attività
dell'associazione» scrive il procuratore di Torino Giovanni
Bombardieri in una nota. Pare anche tesserando diversi "edili" al
sindacato attingendo in ditte legate alle cosche. La Filca ha fatto
sapere di aver «immediatamente sospeso in via cautelativa Ceravolo».
Dettagli non sono ancora noti in attesa dell'udienza di convalida
davanti al gip che si terrà entro 48 ore, ma le condotte dovrebbero
riguardare la gestione della manodopera in alcuni cantieri. In
manette è finito anche Antonio Serratore, altro nome di un certo
peso nella galassia dei Vibonesi in Piemonte. Già soldato dei
temibili fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea (prima ristretti al 41
bis e ora in libertà dopo aver scontato condanne non brevi come capi
dell'ala violenta delle ‘ndrine sotto la Mole), Serratore «si è
adoperato – scrivono i magistrati - per fornire sostegno finanziario
e assistenza logistica a favore del latitante Pasquale Bonavota,
ritenuto appartenente di spicco dell'omonima cosca del Vibonese». È
dunque altamente probabile che Bonavota (che dopo l'arresto di
Matteo Messina Denaro era diventato il latitante in cima alla lista
dei "wanted" del Ministero) sfuggito alla cattura nel maxi blitz
della procura di Catanzaro Rinascita Scott, sia passato dal
Torinese.
Tra i fermati figura anche una persona che ha fornito sul territorio
di Carmagnola protezione a imprenditori nel corso di dissidi con
altri operatori economici incassando – per questo ruolo – soldi cash
destinati poi ad altri boss ristretti in carcere e un altro complice
che «ha anche concordato versioni testimoniali da rendere in
processi sulle cosche conditi da una serie di menzogne "per
screditare un collaboratore di giustizia».
25.09.24
RAZZA FREGONA : (ANSA) - Grappa, vino e parmigiano comprati
con i soldi del Pnrr che avrebbero invece dovuto finanziare la
partecipazione a fiere e mostre internazionali da parte delle
piccole e medie imprese. E' soltanto uno degli episodi contestati
dai militari della Guardia di Finanza di Gallarate a tre
imprenditori (amministratori di una società con sede in zona) per i
quali la Procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio.
L'indagine dei finanzieri del Comando provinciale di Varese, guidati
dal generale Crescenzo Sciaraffa, ha sventato una frode al Pnrr del
valore di 700mila euro. L'attività svolta dalle Fiamme Gialle della
Compagnia di Gallarate ha avuto inizio con la verifica fiscale nei
confronti della società che aveva usufruito di oltre 700 mila euro
di crediti d'imposta, dal 2018 al 2023, finanziati dal Pnrr a
partire dal 2022, inerenti a Formazione 4.0., Ricerca e Sviluppo e
Acquisto di beni strumentali nuovi; tutti istituti introdotti per
diverse finalità e che prevedono specifici requisiti per poterne
beneficiare.
La Polizia economico-finanziaria ha individuato subito diverse
anomalie. La società, infatti, risultava aver inserito in attività
di ricerca e sviluppo costi relativi a numerosi lavoratori, quasi
tutti addetti alla produzione e che nulla avevano a che fare con
l'innovazione o lo sviluppo di nuovi prodotti.
Non è stata inoltre trovata documentazione che comprovasse
l'avvenuta formazione per i dipendenti. Sono infine stati rilevati
quei finanziamenti anche a fondo perduto finiti direttamente sul
conto di uno degli amministratori e usati per acquistare cibo e
bevande di pregio invece che per finanziare la partecipazione
dell'azienda a fiere e mostre internazionali. Chiuse le indagini
l'Autorità giudiziaria ha chiesto il rinvio a giudizio per i tre
imprenditori. La società ha deciso per il ravvedimento operoso
speciale versando, a ora, circa 300 mila euro all'erario.
palazzo chigi deve rispettare il patto nato. e strasburgo vuole 5
miliardi per kiev
Scoppia il caso delle spese per la Difesa Crosetto batte cassa:
servono due miliardi FRANCESCO OLIVO
ROMA
Fra le fatiche della scrittura della manovra se ne aggiunge
un'altra: trovare (almeno) due miliardi per aumentare le spese per
la Difesa. Il ministero di Guido Crosetto ha chiesto questi fondi al
collega di Via XX Settembre, ma Giancarlo Giorgetti non ha ancora
svelato le carte. Anche Palazzo Chigi preme per trovare le risorse
necessarie, anche perché c'è un impegno formale assunto da Giorgia
Meloni al vertice Nato dello scorso luglio a Washington. Davanti ai
leader dell'Alleanza Atlantica la premier ha promesso: «Nel 2025
faremo più investimenti e il bilancio della Difesa raggiungerà
l'1,6% del Pil». Si tratta di un incremento importante in termini
finanziari, attualmente la spesa militare rappresenta circa l'1,45%
del prodotto interno lordo e lo 0,15% in più costerà sacrifici.
Quella di quest'anno è una tappa di un percorso che dovrebbe portare
nel 2028 all'obiettivo posto dalla Nato, in particolare dagli Stati
Uniti: il 2%. La maggior parte degli Stati dell'Alleanza è andato in
questa direzione, compresa la Spagna guidata dal socialista Pedro
Sánchez e la Svezia, l'ultima arrivata del club, che nei giorni
scorsi ha annunciato lo stanziamento di altri 1,2 miliardi di euro.
Crosetto da tempo insiste nel chiedere alla Commissione di
scomputare questi investimenti dal patto di stabilità. Ma il nuovo
patto di stabilità varato a gennaio non prevede questo tipo di
deroghe. La speranza del governo è che ciò possa avvenire con la
nuova Commissione, anche se bisognerà passare dal custode del rigore
Valdis Dovmbroskis.
Lo sforzo non sarà soltanto economico, ma anche politico. Nel
governo si conta sulla lealtà della Lega, ma nel Carroccio in
versione "pacifista" qualcuno inizia a pensare che quelle risorse
debbano andare ad altri capitoli, come la previdenza. Chi è pronto
ad alzare le barricate è l'opposizione, o parte di essa. Alla marcia
della Pace di sabato scorso il tema dell'aumento della spesa
militare è stato evocato spesso. Uno dei leader presenti in Umbria,
Nicola Fratoianni di Avs chiede al Pd di unirsi alla lotta:
"Possiamo dire tutti nel campo progressista che spendere il 2% del
Pil in più per le armi in Italia è una follia ed agire di
conseguenza nei comportamenti nelle aule parlamentari?". Il
Movimento 5 Stelle è altrettanto netto nel chiedere di non spendere
un euro in più per gli armamenti.
Per rispettare gli impegni internazionali, in realtà, i due miliardi
non basterebbero. Una mozione del Parlamento europeo, approvata
giovedì scorso, chiede agli Stati membri di fornire lo 0,25% del Pil
per l'Ucraina. Per l'Italia il conto sarebbe di circa 5 miliardi. La
richiesta fa parte della risoluzione approvata giovedì scorso a
Strasburgo, che ha fatto molto discutere per l'articolo 8,
sull'utilizzo delle armi "europee" in territorio russo. Ma il
capitolo successivo, il 9, chiede un investimento finanziario più
alto. I parlamentari italiani della maggioranza tutti d'accordo nel
bocciare la fine dei vincoli sugli armamenti, si sono, invece divisi
sul nuovo finanziamento: Fratelli d'Italia ha votato no, come la
Lega, mentre Forza Italia ha detto sì. La risoluzione (non
vincolante) è stata approvata nel suo complesso con il voto
favorevole di FdI e FI e il no del Carroccio.
Sentenza nei confronti Roberto Guenno, assolto invece dall'accusa di
aver caldeggiato ai Cinquestelle la nomina di Graziosi a
sovrintendente
L'ex corista del Regio condannato a otto mesi "Bando su misura per
una ditta di marketing" ludovica lopetti
I buoni uffici del corista Roberto Guenno per far nominare William
Graziosi sovrintendente del Teatro Regio ai tempi in cui il
Consiglio d'indirizzo era a guida 5 Stelle non furono frutto di un
patto di mutuo aiuto, né di pressioni illecite. Per questo il tenore
dalla carriera-lampo ieri è stato condannato a 8 mesi di carcere
(con pena sospesa e non menzione nel casellario) per la sola
turbativa d'asta, in relazione a un bando cucito su misura per una
ditta di marketing milanese. La procura lo accusava anche di
interferenze illecite, ma da quell'addebito è stato assolto con
formula piena, «perché il fatto non sussiste». Dovrà inoltre versare
400 euro di multa e risarcire con 7mila euro la Fondazione Teatro
Regio, una cifra ben lontana dai 30mila euro di danni «non
patrimoniali» chiesti con la costituzione di parte civile dall'ente
lirico. Alla scorsa udienza il pm Elisa Buffa aveva chiesto una
condanna a 1 anno e 600 euro di multa, ritenendo provate entrambe le
contestazioni.
Per la procura Guenno, sindacalista già candidato per il Movimento 5
Stelle alla Regione Piemonte e al Comune di Torino, avrebbe
caldeggiato la nomina di Graziosi a sovrintendente del Teatro Regio
presso i politici 5 Stelle (tra cui l'allora sindaca Chiara
Appendino, cui spettava la scelta in veste di presidente del
Consiglio di Indirizzo) e in cambio avrebbe ottenuto promozioni e
avanzamenti di carriera per sé. Il tenore, al Regio sin dal Duemila,
è stato prima in servizio come corista, poi nel 2018 è passato a un
contratto tecnico-amministrativo per diventare assistente del
sovrintendente nel 2019. Incarichi per i quali, secondo le indagini,
non aveva titoli né competenze. Nella veste di tecnico, poi, avrebbe
collaborato alla stesura di un bando da 190mila euro per un appalto
a una società di marketing, che secondo gli investigatori fu viziato
da un accordo sottobanco per scalzare la concorrenza e favorire la
ditta di un imprenditore milanese. Le procedure però vennero
bloccate prima dell'aggiudicazione definitiva. Dal primo addebito
tuttavia è stato assolto con formula piena. L'imputato ha sempre
negato prebende e clientelismi: «Graziosi mi scelse perché trovava
interessante la mia esperienza - ha assicurato - Tutto quello che ho
fatto l'ho fatto per spirito di servizio. E quando ho cambiato
mansioni, il mio stipendio è rimasto invariato».
Per gli stessi fatti l'ex sovrintendente Graziosi resta indagato ad
Ancora insieme ad Alessandro Ariosi, manager di celebrità nel mondo
della musica lirica. Secondo gli inquirenti, tra i due ci sarebbe
stato un accordo corruttivo per promuovere l'agenzia del manager e
farle ottenere l'esclusiva sugli ingaggi. Un "patto" che sarebbe
rimasto immutato dal 2014, quando Graziosi era direttore generale
della fondazione di Jesi, per poi andare in Kazakistan, ad Astana, e
infine a Torino. —
24.09.24
In Tv: "la pista di Londra è la più importante"
Il fratello di Emanuela Orlandi "L'ex Nar Baioni il carceriere" Sarebbe stato uno dei "carcerieri" di Emanuela Orlandi,
incaricato di fare la spesa e di sbrigare altre attività pratiche
per la "gestione" della ragazza nascosta a Londra. È l'uomo che ha
contattato il fratello Pietro Orlandi oltre un anno fa, rivelandogli
poco a poco sempre maggiori particolari sul destino della sorella.
Ieri, ospite a Verissimo, Orlandi ha rivelato pubblicamente il nome
di quella "gola profonda" che dopo un dialogo serrato su piattaforme
digitali è scomparso nel nulla: «È un ex Nar, amico di persone come
Fioravanti e altri coinvolti nella strage di Bologna, si chiama
Vittorio Baioni». Il fratello della ragazza scomparsa ha anche
spiegato di non sapere se attualmente l'uomo sia vivo e dove si
trovi: «Non lo so – afferma – per questo speravo che qualcuno se ne
occupasse, per cercarlo e capire se lui era effettivamente la
persona che mi ha contattato o era solo uno che aveva usato il suo
nome, comunque presumo che sia vivo». A Verissimo Orlandi, pur
esprimendo molta fiducia nel lavoro della Commissione bicamerale di
inchiesta sulla scomparsa di Mirella Gregori e di Emanuela Orlandi,
che sta indagando insieme a due procure, quella romana e quella
vaticana, ha lamentato una sostanziale inerzia, proprio sulla pista
di Londra, quella a suo parere «più importante in assoluto».
E sull'uomo che gli avrebbe rivelato tanti dettagli decisivi,
afferma: «Siccome nessuno lo cerca, faccio io il nome». «È dura
veramente – ha esordito il fratello della donna –, dopo 41 anni non
riesco proprio a capire perché più si cercano cose e più arrivano
ostacoli». Secondo la pista inglese i pezzi del puzzle sarebbero da
cercareanche nelle chat tra Francesca Immacolata Chaouqui e
monsignor Vallejo Balda. Emanuela sarebbe stata a Londra sotto falsa
identità in un convitto, dall'83 fino almeno al '97.
23.09.24
Intrigo
sotto i
mari riccardo arena
palermo
I contorni della spy story c'erano sin dall'inizio, ma ora il timore
che interessi più o meno occulti e indicibili possano attirare sul
relitto del Bayesian l'attenzione di Paesi stranieri si fanno
concreti. Al punto che la Procura di Termini Imerese ha disposto il
rafforzamento dei controlli e della vigilanza sullo specchio di mare
di Porticello, vicino Palermo, sui cui fondali, 50 metri sotto la
superficie, giace dal 19 agosto il relitto del veliero Bayesian del
miliardario britannico Mike Lynch, morto nell'imbarcazione con altri
cinque passeggeri, tra cui la figlia diciottenne Hannah, oltre al
cuoco di bordo. Quindici i sopravvissuti, sui 22 a bordo, e tre gli
indagati: il comandante James Cutfield, il direttore di macchina Tim
Parker Eaton e il marinaio Matthew Griffiths.
Una nave della Marina militare staziona da settimane all'altezza del
punto in cui si trova il Bayesian. Sulla poppa della nave italiana
c'è una camera iperbarica, che consente alle squadre di sommozzatori
di immergersi più volte al giorno, ufficialmente per il recupero di
attrezzature già riportate a galla, come i sistemi di
videosorveglianza e di rilevazione meteorologica; una volta esaurito
questo tipo di interventi, però, l'apparato di vigilanza non è stato
disattivato, ancora ufficialmente per le operazioni preliminari al
recupero del veliero. Ma in verità il procuratore, Ambrogio Cartosio,
ha chiesto il rafforzamento della vigilanza agli investigatori
delegati alle indagini, Capitaneria di porto di Palermo e vigili del
fuoco, sollecitando anche le altre forze dell'ordine e suscitando
così l'attenzione della Cnn. Circostanza confermata, al network
televisivo di Atlanta, da Francesco Venuto, uno dei responsabili
della Protezione civile siciliana, altro ente coinvolto nei
controlli.
Perché – anche se non si può mettere nero su bianco negli atti
giudiziari – i materiali (e gli interessi) sommersi con questa
piccola nave di 56 metri proiettano verso scenari imprevedibili,
dato che Lynch avrebbe tenuto sempre con sé, in casseforti a tenuta
stagna, due hard disk crittografati con sistemi molto avanzati,
contenenti dati riservatissimi relativi ai rapporti delle sue
società di cybersecurity (in particolare la Darktrace –
letteralmente traccia oscura – acquisita in aprile dalla società di
private equity Thoma Bravo, sede a Chicago) con alcuni dei Servizi
più importanti del mondo, MI5 (Regno Unito), Nsa (Stati Uniti) e le
agenzie israeliane.
Lynch era stato superconsulente su questioni di altissima sicurezza
tecnologica anche di due premier britannici, Cameron e May. Cosa che
significa che dall'altra parte, interessatissimi a carpire i segreti
più top che possano essere in circolazione, potrebbero esserci russi
e cinesi. Solo teorie da film di spionaggio? Nella sorveglianza
dello specchio di mare, secondo quanto risulta da fonti consultate
da La Stampa, non sono però coinvolti né i Servizi italiani né il
Ros, dunque gli inquirenti della piccola Procura termitana, a cui è
toccata questa indagine degna di una vicenda alla 007, si servono
degli investigatori già delegati. Lynch si portava sempre dietro i
dispositivi, dato che non si fidava delle "nuvole" del cloud, in cui
gli accessi indesiderati sono complicatissimi ma non impossibili.
Per questo il timore di intrusioni subacquee non fa dormire sonni
tranquilli.
Finora si è accertato che i coniugi Bloomer e Morvillo non sarebbero
annegati ma, rimasti senz'aria nella bolla che si erano ricavati in
cabina, sarebbero morti per mancanza di ossigeno. Sicuro
l'annegamento del cuoco, Recaldo Thomas, qualche dubbio in più per
Lynch e la figlia. Mentre non ci sono i risultati degli esami
tossicologici: non si sa cioè se le vittime fossero stordite da
droghe, sonniferi o alcol.
Ciò che però continua a essere la madre di tutte le suggestioni è la
fine, quanto meno anomala nella sua quasi-contemporaneità,
dell'avvocato inglese Stephen Chamberlain, morto lo stesso giorno
del naufragio, lunedì 19 agosto, dopo essere stato investito, sabato
17, mentre faceva jogging vicino casa, in Inghilterra. Chamberlain
era il socio di Lynch. L'altra suggestione è che nella tragedia del
Bayesian in fondo sono morti tutti coloro che festeggiavano il
successo nella causa in cui in qualche modo erano coinvolti, quella
tra il magnate britannico e la Hp sul software Autonomy: il
testimone Bloomer, presidente di Morgan Stanley, e l'avvocato
Morvillo, legale del tycoon nel processo civile. Tutti e tre erano
così pure potenzialmente a conoscenza dei segreti di Autonomy,
Darktrace e dei rapporti con le intelligence occidentali.
Come Chamberlain, l'avvocato ucciso da un'automobilista distratta,
nella lontana (da Porticello) Inghilterra.
L'ex operaio Sigifer sulla strage ferroviaria: "Parlo per aiutare
quei cinque poveri ragazzi a trovare pace con la verità. Se la
Procura mi chiama io vado"
"Anche noi sui binari come a Brandizzo Mi opposi e la ditta non pagò
le ore di lavoro"
giuseppe legato
inviato a Desana (Vc)
Desana, 8 km da Vercelli viaggiando verso Trino su una lingua
d'asfalto che taglia in due sterminate colture di riso. In questo
borgo di poche anime c'è un uomo che ha una storia da raccontare
sulla più grave strage ferroviaria italiana degli ultimi 15 anni. Ne
è stato testimone diretto. Ha lavorato fino al 2022, con tre delle
cinque vittime investite da un treno di 15 convogli vuoti che
viaggiava a 150 km/h la notte del 30 agosto 2023 mentre stavano
lavorando sul binario senza interruzione di linea
Si chiama Alessandro Cantamessa, ha 43 anni, sposato, due figli: «La
mia - premette - non è una vendetta verso nessuno anche se in
quell'azienda ho avuto una vertenza, ora chiusa, per una mano che ha
perso il 45% di funzionalità. Ma devo a quei ragazzi la verità,
almeno la mia e sono pronto ad andare in procura a confermare ciò
che sto per dire».
Allora dica...
«Punto prima: non era un'eccezione che si scendesse a lavorare sui
binari senza interruzione di linea. Il mio caposcorta era Gibin (uno
dei due principali indagati per i fatti di Brandizzo ndr)».
Se non era una rarità cos'era?
«Una prassi».
Cosa vi veniva chiesto e chi ve lo chiedeva?
«Gibin, col quale ho lavorato più volte, era il nostro capo cantiere
per Sigifer. Accadeva spesso che ci dicesse di iniziare le
lavorazioni preliminari».
Sarebbe a dire?
«Sbullonare, scavare: questo insomma».
Con interruzioni di linea?
«Senza».
C'era anche il responsabile della sicurezza di Rfi durante le
lavorazioni?
«Certo, c'era anche lui. Ci dicevano: prima iniziamo e prima ce ne
andiamo. Cosi scendevamo sui binari fiduciosi della loro promessa».
Che in soldoni era?
«Quando vi dico di uscire vuol dire che c'è un treno che deve
passare. E noi risalivamo sulla banchina».
Perché nessuno si è mai opposto a questa indicazione?
«Molti erano inconsapevoli. E poi in azienda erano stati chiari:
fate quello che dice Gibin».
Qualcuno si è mai opposto a questa presunta abitudine?
«Io una notte mi sono opposto. Gli ho detto che non sarei sceso
sulla massicciata perché lui stesso aveva detto in presenza del
caposcorta Rfi che non avevamo interruzione di binario».
Che risposta ottenne?
«Mi disse che avrei potuto andarmene sul furgone e che non mi
avrebbe segnato le ore».
Cioè non l'avrebbe pagata?
«Esattamente».
E andò così?
«Le ore non furono messe a conteggio per la busta paga».
Rappresentò in azienda quanto accaduto?
«Si e mi dissero che si doveva fare quello che diceva Gibin. Sui
pagamenti poi, in generale molte ore sparivano dal cedolino».
Cioè lavoravate di più di quanto venivate pagati?
«Diciamo che trascorrevamo in servizio 220/230 ore e ne venivano
retribuite 160».
Quante ore lavoravate?
«Capitava spesso che dopo aver fatto il turno del mattino, una volta
tornati a casa il pomeriggio ti chiamassero per dirti: stasera ci
servi. E così si proseguiva fino al mattino dopo».
Come mai ha deciso di parlare adesso e non prima?
«Ho incontrato al cimitero il padre di Kevin (la più giovane vittima
dell'incidente ferroviario ndr). È pieno di rabbia, vuole giustizia.
Intendo solo fare la mia parte, per quanto posso, affinché venga
accertata la verità».
Alcuni penseranno che la sua possa essere una vendetta per i cattivi
rapporti che aveva in azienda?
«Non è così. Ho perso la funzionalità di una mano per i pesi enormi
che dovevo sollevare. Sono stato indennizzato. Adesso ho un altro
lavoro e mi occupo di compostaggio di rifiuti. Non ho bisogno di
parlare per me, ma per Kevin e gli altri operai che non ci sono
più». —
22.09.24
L'ENERGIA SERVE PER LE CRIPTOVALUTE NON A NOI :
RIAPRE CENTRALE NUCLEARE THREE
MILE ISLAND, PER MICROSOFT
(ANSA) - WASHINGTON, 20 SET - Il gruppo energetico americano
Constellation ha annunciato la riapertura di un'unità di Three Mile
Island in Pennsylvania, dove nel 1979 è avvenuto il più grave
incidente nucleare nella storia degli Stati Uniti, per fornire
elettricità ai data center di Microsoft. Secondo il comunicato
stampa, l'accordo firmato con il colosso americano dell'informatica
ha una durata di 20 anni e consentirà di rilanciare l'unità 1,
vicina a quella teatro dell'incidente.
Estratto dell’articolo di Antonio
Fraschilla e Giuseppe Colombo per “la Repubblica”
Non erano stati informati né
Palazzo Chigi né il ministero dell’Economia. Eppure i contatti tra
Sace e BlackRock erano in fase avanzata. Così intensi da arrivare a
definire anche l’importo dell’accordo: 3 miliardi di euro. I due
soggetti hanno interloquito per un paio di mesi, spiegano fonti
finanziarie di primo livello: un dialogo volto a sondare la
possibilità per il fondo Usa di gestire una parte della liquidità
della società controllata direttamente dal ministero dell’Economia.
Poi però qualcosa è andato storto, complice anche l’imbarazzo del
governo tenuto all’oscuro. [...]
Il 9 settembre è Bloomberg a svelare l’avvicinamento. «BlackRock -
informa l’agenzia di stampa- è in trattativa con la società statale
italiana di credito commerciale per gestire fino a 3,3 miliardi di
dollari di asset, una mossa che potrebbe rafforzare la posizione del
gestore patrimoniale statunitense nella terza economia della zona
euro».
Sace smentisce, il Mef chiede spiegazioni alla sua controllata.
L’amministratore delegato Alessandra Ricci assicura a Giancarlo
Giorgetti che la vicenda non esiste. Per il titolare del Tesoro, la
storia finisce qui. Ma in realtà i contatti con il fondo americano
vanno avanti. Fino a pochi giorni fa, come spiegano fonti interne
alla società.
E nelle ultime ore le voci del riavvicinamento sono iniziate a
circolare con insistenza in ambienti finanziari. Non solo quelle sui
dettagli sulle interlocuzioni operative. A tenere banco ci sono
anche le indiscrezioni su un possibile stop del governo. Palazzo
Chigi fa muro. Fa sapere che «è totalmente priva di fondamento il
fatto che Palazzo Chigi abbia ostacolato il dialogo tra Sace e
BlackRock, circostanza che non avrebbe alcun senso anche perché il
governo italiano ha sempre guardato con grande favore gli
investimenti di realtà estere, per di più di nazioni amiche, sul
territorio italiano».
Ma le fonti interpellate da Repubblica tengono il punto e legano
l’imbarazzo del governo alla postura assunta da Sace. In tempi di
legge di bilancio, con il governo Meloni impegnato a raschiare il
fondo del barile per trovare le risorse, la notizia della trattativa
- è il ragionamento - non è piaciuta affatto.
Il caso sbarcherà in Senato: i dem Nicola Irto e Antonio Misiani
hanno presentato un’interrogazione urgente chiedendo di informare il
Parlamento sui movimenti attorno ad «asset strategici nazionali» e
per cifre così elevate, per di più di una società di Stato chiamata
a sostenere le imprese italiane.
Da Sace precisano a Repubblica: «Nessun accordo specifico è stato
preso, né siamo in trattativa. Ciò premesso, ricordiamo che è prassi
consolidata per una realtà come Sace quella di dialogare con più
partner per una migliore gestione finanziaria della propria
liquidità». Ma il Pd insiste. Chiede di sapere «quali comunicazioni
abbia dato Sace al ministro Giorgetti nel merito delle suddette
trattative e se lo stesso abbia richiesto chiarimenti». [...]
Estratto dell’artcolo di Gabriele Carrer
per “Italia Oggi” Racconta Il Secolo XIX che,
«mentre le istituzioni liguri erano alle prese con l’inchiesta
giudiziaria che ha travolto i vertici di Regione e Autorità
portuale, una delegazione di Lingang ha visitato Genova». Lingang è
la zona economica speciale creata dal governo cinese nel porto di
Shanghai. Alla guida della delegazione c’era Liu Wei,
vice-presidente dello Shanghai lingang economic development group,
la società statale che promuove lo sviluppo di Lingang.
La visita nel capoluogo ligure si è svolta il 22 luglio scorso,
ovvero la settimana prima della visita a Pechino in cui Giorgia
Meloni, presidente del Consiglio, ha firmato un piano d’azione
triennale per rilanciare il partenariato strategico globale dopo il
mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and road
initiative, la cosiddetta Via della Seta.
Carlo Golda, presidente di Liguria International, la società
regionale che promuove l’internazionalizzazione delle imprese
liguri, ha spiegato al quotidiano locale che la delegazione cinese
ha incontrato «dirigenti pubblici locali, di Regione, Comune,
Autorità portuale, oltre agli agenti marittimi, agli spedizionieri e
a Confindustria». È proprio nella cornice del rilancio dei rapporti
dopo la fine della Via della Seta che va letta la missione.
[…] Sempre Il Secolo XIX racconta che giovedì 26 settembre si terrà
un incontro a porte chiuse, con imprese liguri, alla Camera di
commercio di Genova. A capo della delegazione ospite sarà il China
council for the promotion of international trade, braccio operativo
governativo in materia di commercio estero che sarà anche a Milano e
Piacenza. A organizzare l’incontro è, insieme a Liguria
international, Renai Chan, storico rappresentante della comunità
cinese a Genova, delegato del Ccpit in Italia.
Il memorandum del 2019, firmato dal governo gialloverde guidato da
Giuseppe Conte, era stato accompagnato da una serie di accordi
commerciali, compresi due che sia il porto di Genova sia il porto di
Trieste avevano concluso con l’impresa statale cinese China
communications construction company.
Le – anche recenti – mire cinesi su Trieste hanno fatto drizzare le
antenne a molti, anche oltre Atlantico, considerato che lo scalo può
diventare il terminal europeo del corridoio India-Medioriente-Europa
(Imec) lanciato un anno fa a margine del G20 di Nuova Delhi, in
India. Non è certo meno strategico il porto di Genova. Basti pensare
al sistema di cavi BlueRaman, a cui partecipano Sparkle, Google e
altri operatori, per collegare Italia, Francia, Grecia e Israele (Blue
System) e Giordania, Arabia Saudita, Gibuti, Oman e India (Raman
System).
ASSALTO ALLA DILIGENZA: Palazzo Chigi rilancia la riforma Foti che
limita la responsabilità dei funzionari pubblici: "Superare la paura
della firma"
Corte dei conti nel mirino del governo Danno erariale soltanto in
caso di dolo
luca monticelli
roma
Il centrodestra riprende in mano il dossier sui poteri della Corte
dei conti. Dopo aver tolto ai magistrati contabili il "controllo
concomitante" sul Pnrr e garantito a funzionari e amministratori lo
"scudo erariale" – che scade il 31 dicembre di quest'anno – il
governo mette al centro del dibattito politico la proposta di legge
Foti sulla riforma delle funzioni di controllo della Corte. È stato
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano a
rilanciare il progetto firmato dal capogruppo di Fratelli d'Italia,
con la scusa di voler seguire l'appello di Confindustria contro la
burocrazia. Citando il leader degli imprenditori Emanuele Orsini,
Mantovano dice: «C'è un'Italia che va avanti superando ostacoli di
ogni tipo, e c'è un'Italia che invece frappone ostacoli, che si
nasconde dietro la burocrazia. Spero che non sia considerato
blasfemo chiedere al Parlamento di quale Italia desideriamo che
faccia parte la Corte dei conti».
La proposta di legge di Fdi all'esame delle commissioni Affari
costituzionali e Giustizia della Camera si basa principalmente su
due misure. La prima riguarda il controllo preventivo sugli atti
che, se positivo, garantisce una liberatoria per gli amministratori.
In sostanza, qualora un determinato atto amministrativo abbia
superato il controllo preventivo di legittimità della Corte, non
sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale
i funzionari che lo hanno adottato. «Sono salvi i casi di dolo –
spiegano dalla maggioranza – viene riconosciuto il fatto che il
dipendente possa aver commesso un errore in buona fede». Limiti
vengono messi anche alle sanzioni. In caso di colpa grave
l'amministratore infedele rischia al massimo due annualità di
trattamento economico. E qui veniamo al secondo pilastro della
riforma Foti: secondo Palazzo Chigi l'introduzione del tetto alla
responsabilità colposa è lo strumento più adeguato per affrontare la
paura della firma. Su questo argomento oggi opera lo "scudo
erariale", approvato con l'alibi del Pnrr per restringere ai casi di
dolo le contestazioni della Corte. Nonostante l'abuso d'ufficio sia
stato abrogato recentemente da questo Parlamento, si vuole comunque
rendere strutturale lo scudo erariale, limitando, appunto, a due
anni di stipendio la sanzione patrimoniale del funzionario
responsabile del danno erariale.
L'ultima proroga dello scudo ha già fatto polemizzare l'associazione
dei magistrati della Corte dei conti, che pubblicamente ne ha
denunciato il carattere «ingiustificato» e il rischio di esporre il
Paese «allo spreco di denaro pubblico».
La riforma proposta dalla maggioranza lascia tanti dubbi alle toghe
contabili, c'è la sensazione che si voglia depotenziare la Corte.
C'è chi fa notare che nonostante i quattro anni di scudo erariale
per eliminare la paura della firma, «un evidente miglioramento
dell'efficienza dell'amministrazione non c'è stato». L'opposizione
aveva annunciato le barricate, ora il Partito democratico procede
guardingo, cercando di cogliere gli umori degli stessi magistrati,
favorevoli a un rafforzamento dei controlli preventivi. Al convegno
di due giorni fa in Senato, il presidente del Copasir Lorenzo
Guerini, esponente dell'area riformista dei dem, ha auspicato «un
confronto vero», in primis per risolvere quei problemi che in questi
ultimi anni sono stati messi al riparo proprio con l'escamotage
dello scudo erariale, introdotto dal governo Conte II durante la
pandemia.
L'inchiesta della procura europea contro due imprenditori e una
società: sottratti a Bruxelles contributi per oltre un milione e
300mila euro
La truffa del super drone per i medicinali "Finanziato dall'Ue, non
ha mai volato"
elisa sola
Alla dimostrazione del volo del prototipo del drone, avevano
invitato anche la direttrice della banca a cui avevano chiesto i
primi 800mila euro di prestito. E il drone, perlomeno quello del
grande evento che si era svolto in pompa magna, aveva volato.
Presentando il velivolo radiocomandato, i dirigenti della società
Apr Aerospace, presunta "start up innovativa del settore aeronautico
avanzato", avevano detto che sarebbe stato in grado di coprire, per
il trasporto di medicinali e organi per trapianti, la distanza tra
Milano e Torino in soli 20 minuti.
Ma sarebbe stata tutta una grande truffa. Apr una sorta di società
vuota. Il drone un fantasma. La start up una finta. L'unica cosa
vera, della grande operazione dei droni super veloci progettati e
poi spariti nel nulla, sarebbero stati i soldi. Un milione e 300mila
euro chiesti alle banche e ottenuti dall'Unione europea per
costruire qualcosa che non è mai esistito. E il denaro è svanito nel
nulla.
Il procuratore europeo delegato Stefano Castellani ha chiesto il
giudizio immediato per Fabio Angeleri, pilota di linea di Tortona ed
esaminatore dell'Ente nazionale per l'Aviazione civile e per Fabio
Franzosi, considerato dall'accusa amministratore della Apr Aerospace.
Anche la società, che ha sede a Torino in via Duca degli Abruzzi, è
indagata. Angeleri e Franzosi sono ai domiciliari da questa estate.
Tra i reati contestati a entrambi, la truffa all'Unione europea, che
aveva concesso alla società Apr tre finanziamenti per progettare e
costruire il fantomatico drone super veloce. Il presunto raggiro si
sarebbe protratto, secondo la Guardia di finanza, dal 2021 al 2023.
«Si tratta di un convertiplano dotato di cinque motori elettrici ad
alta efficienza» aveva dichiarato Angeleri durante il battesimo
dell'aria del prototipo. «Il drone rappresenterà un'innovazione
fondamentale nel settore dei trasporti leggeri e sarà in grado di
trasportare un carico pagante fino a 10 chili». Ma secondo gli
inquirenti, sarebbero state tutte menzogne. Scuse per incassare
soldi. L'idea, ai due indagati, era venuta durante la pandemia del
2020. «L'aeromobile è costruito in carbotanio, il materiale più
resistente al mondo - spiegava Angeleri - pesa non più di sei chili
ed è in grado di volare ad oltre 350 chilometri orari compiendo
tragitti di lungo raggio, fino a 100 chilometri e ritorno, su
aerovie dedicate, in condizioni di massima sicurezza». Il fatturato
promesso era di 13,5 milioni di euro, la capacità produttiva di 600
pezzi all'anno. Il costo di ciascun esemplare dai 6mila ai 20 mila
euro. Ma sarebbero state soltanto parole. Il fantomatico
«convertiplano in fibra di carbonio e kevlar», gli investigatori lo
hanno visto solo sulla carta. O meglio, su presunti documenti falsi
creati ad hoc per ottenere i finanziamenti . Gli indagati, difesi
dagli avvocati Mario Almonda, Paolo Pacciani e Roberto Tava,
avrebbero comprato il know how da una società di Milano, con
un'altra intermediaria, senza pagare nulla. Avrebbero assunto
qualche ingegnere, all'inizio. Poi avrebbero smesso di pagare lo
stipendio anche a loro.
«Il primo finanziamento - ha testimoniato la direttrice della banca
raggirata - era per la progettazione della messa a punto del drone.
Il secondo serviva a costruirlo e a renderlo commercializzabile. Io
ho visto volare un prototipo». Di chi fosse il velivolo della prova,
non è chiaro. Ad accorgersi della truffa, una società di ingegneria
specializzata nel settore aeronautico incaricata da Apr per la
realizzazione del drone. Secondo la Guardia di finanza la stessa Apr
sarebbe stata una scatola vuota. Nel 2021 e 2022 non risultano
incassi. Quelli del 2023 ammontano a 2.952 euro.
21.09.24
STESSI RISULTATI CON LE RINNOVABILI A COSTI INFERIORI, SOLE VENTO
SONO A COSTO 0, E PRODUZIONI ILLIMIMITATA E RISCHI E TANGENTI
0: "Con il nucleare 34
miliardi di risparmi Legge entro l'anno, produzione dal 2030"
Gilberto Pichetto Fratin
L'energia
Le scorie
"
luca monticelli
roma
Dopo il grido di allarme del presidente di Confindustria Emanuele
Orsini, che chiede al governo una scelta coraggiosa perché il costo
dell'energia è diventato insostenibile per le aziende italiane, il
ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto
Pichetto Fratin annuncia che varerà un disegno di legge per il
rilancio del nucleare. Così «il nostro Paese risparmierà fino a 34
miliardi di euro l'anno». Nel 2030 si passerà «dalla sperimentazione
alla produzione dei nuovi moduli nucleari».
Secondo gli imprenditori il Green Deal europeo mette a rischio
l'industria italiana, lei è d'accordo?
«La posizione dell'Italia è sempre stata chiara sul Green Deal: non
abbiamo mai messo in dubbio gli obiettivi finali, cioè di
raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma gli strumenti
imposti per farlo. Per due motivi essenzialmente: il primo è che non
si è mai vista, se non nell'Unione Sovietica dei piani quinquennali,
la politica che pretende di imporre i tempi e le tecnologie alla
scienza. Il secondo è dato dalla natura profondamente diversa dei
Paesi che compongono l'Europa. L'Italia quindi non mette in
discussione né gli obiettivi di decarbonizzazione né i traguardi del
2030 e del 2050. Abbiamo invitato soltanto ad abbandonare
l'ambientalismo ideologico che per tanti anni è stato alla base di
molte scelte europee. Più realismo e meno idealismo».
La premier Meloni ha promesso che l'esecutivo lavorerà per cambiare
le regole che prevedono lo stop alle emissioni. Cosa avete
intenzione di fare concretamente se la scadenza del 2050 sulla
neutralità climatica non si tocca?
«Il governo lavorerà, soprattutto con la nuova Commissione e il
nuovo Parlamento europeo, per raggiungere gli obiettivi comuni di
decarbonizzazione proponendo un percorso compatibile con le
politiche economiche e sociali del nostro Paese. Due esempi su
tutti: le auto e le case green. Sulle prime la posizione italiana è
chiara: fermo restando che quello elettrico con ogni probabilità
sarà il motore del futuro, non possiamo stabilire con legge,
quindici anni prima, che dal 2035 non dovranno più essere prodotti i
motori endotermici. Anche con l'utilizzo dei biocarburanti questi
motori saranno in grado di garantire emissioni ridotte. Altrimenti
vuol dire che non si fa la battaglia sul fine ma sul mezzo. La
stessa cosa è sulle case green: l'obiettivo è costruire tutte le
nuove case a emissioni zero e fare un piano ventennale di intervento
sui vecchi edifici. Ancora una volta non mettiamo in dubbio
l'obiettivo comune finale della neutralità climatica al 2050, ma
chiediamo di poterlo raggiungere difendendo gli interessi delle
famiglie e delle imprese italiane».
Uno dei temi principali posti dagli industriali riguarda il costo
dell'energia. L'unica soluzione è il nucleare?
«In questo momento si, l'unica soluzione è il nucleare di nuova
generazione da affiancare all'energia prodotta dalle rinnovabili
tradizionali. Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione
dobbiamo eliminare progressivamente il carbone, il petrolio e infine
il gas. Con le tecnologie di oggi non possiamo contare soltanto
sulle rinnovabili perché non sono continuative e non abbiamo ancora
le sufficienti capacità di accumulo, si sprecherebbe troppo per
trasportare l'energia dal luogo in cui si produce a quello in cui
principalmente si consuma. Ecco perché con una domanda di energia in
continuo aumento abbiamo voluto nel nostro mix energetico del futuro
il nucleare di ultima generazione che, ricordo, è stato inserito
nella tassonomia europea come fonte green di produzione energetica».
Quanti anni ci vogliono per tornare al nucleare?
«Un anno fa, quando nessuno parlava ancora di questo tema, il
ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica ha avviato la
Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. I tecnici ci
dicono che per i primi anni Trenta ci sarà la possibilità di passare
dalla sperimentazione alla produzione dei nuovi moduli nucleari. Noi
stiamo lavorando, senza alcun ritardo, per consentire all'Italia di
farsi trovare pronta e preparata. Con la collaborazione del
professor Giovanni Guzzetta penso che saremo pronti a presentare un
disegno di legge di riordino della materia per la fine di
quest'anno. Conto che possa essere discusso e approvato entro il
2025».
I piccoli reattori modulari di nuova generazione che impatto avranno
sull'economia?
«Avranno un grande impatto perchè ci sono aziende italiane alla
guida dei principali e più avanzati progetti di ricerca, attivi nel
mondo nel campo della fissione avanzata e dell'energia da fusione. E
poi perché saremo in grado di garantire energia al nostro sistema
industriale a un costo concorrenziale: non possiamo più andare
avanti con l'energia che costa il doppio rispetto al resto d'Europa.
È una battaglia che abbiamo iniziato un anno fa per le famiglie e
per le imprese italiane. Con grande soddisfazione vediamo crescere
il consenso intorno alla nostra iniziativa. Con il 22% di nucleare
nel nostro futuro mix energetico nazionale, potremo far risparmiare
al nostro Paese fino a 34 miliardi l'anno».
Come si farà a smaltire le scorie? Lei ha un piano?
«Le vecchie scorie potremmo lasciarle ancora in Francia e in
Inghilterra, continuando a pagare un affitto, in attesa di portarle
in un deposito geologico che sarebbe bello se fosse unico e europeo.
Il vero problema sono i rifiuti di bassa e media intensità,
soprattutto di origine sanitaria, che produciamo quotidianamente.
Per quelli abbiamo il dovere di trovare la soluzione con uno o più
depositi nazionali».
FIAT TORINO CAVALLO DI TROIA CINESE : Nel polo di
interscambio del Drosso le verifiche sui Suv C10 in attesa del
debutto sul mercato italiano: coinvolti una trentina di addetti in
cassa
A Torino le prime auto dei cinesi di Leapmotor Gli operai di
Mirafiori curano la messa a punto
leonardo di paco
Il debutto sul mercato europeo delle auto cinesi di Leapmotor,
azienda guidata da Stellantis in quote 51:49, passa da Mirafiori.
Dopo essere salpati a fine luglio da Shanghai alla volta dei porti
europei, i primi veicoli dei Suv C10, circa 300, una volta arrivati
in Europa sono stati portati a Torino. Come comunicato con una nota
dall'azienda «nell'ambito del consueto processo di verifica finale,
per assicurare la piena soddisfazione dei clienti, Stellantis
mobiliterà per un breve periodo alcune decine di lavoratori dalle
Carrozzerie di Mirafiori e dal polo di interscambio di Drosso».
Ossia dove di solito si svolgono tali attività per tutti i marchi
del gruppo. Questa attività, che consente nella verifica dei
documenti ma anche in messe a punto dal carattere più tecnico,
coinvolgerà al momento una trentina di addetti dello stabilimento di
Mirafiori.
«Tale iniziativa - ha proseguito il gruppo - consente anche di
ridurre parzialmente gli effetti dell'utilizzo degli ammortizzatori
sociali attualmente necessari in relazione al calo della domanda di
mercato». Troppo presto, per adesso, ipotizzare che questo tipo di
attività possa diventare strutturale all'interno del comprensorio
torinese. Anche perché le prime spedizioni nel Vecchio Continente
rappresentano solo il punto di partenza di una collaborazione a
lungo termine fra le due aziende che «mira a trasformare le mobilità
elettrica in Europa e non solo». Nei prossimi tre anni è prevista la
commercializzazione di almeno un modello all'anno.
Il messaggio lanciato dal gruppo, nato dalla fusione fra Fca e Psa,
è comunque da non sottovalutare: le competenze dei dipendenti dello
stabilimento potrebbero assegnare a Mirafiori un ruolo di primo
piano nei futuri sviluppi della joint venture. In attesa che
riprendano gli ordini della 500 elettrica e che cominci, a partire
da inizio 2026, la produzione della 500 ibrida come confermato pochi
giorni fa dall'amministratore delegato Carlos Tavares .
A ottobre 2023, le due società avevano annunciato l'investimento da
parte di Stellantis di circa 1,5 miliardi di euro in Leapmotor, per
l'acquisizione di circa il 21% delle quote dell'azienda
automobilistica classificata nel 2023 tra le prime 3 start up cinesi
di veicoli elettrici. Il Suv C10 è il primo prodotto di Leapmotor
studiato per il mercato globale, in linea con gli standard
internazionali di progettazione e sicurezza. La C10, che dovrebbe
avere un'autonomia di 420 chilometri, è una vettura appartenente al
segmento D completamente equipaggiata e pensata per la famiglia, con
un'esperienza di guida definita "premium".
Nel frattempo, è stato attivato il sito europeo di Leapmotor, anche
in lingua italiana, per permettere ai potenziali clienti di farsi
un'idea dell'offerta in attesa del debutto nei canali di
distribuzione di Stellantis.
La nota diffusa dal gruppo contro la gestione della trasformazione
della grande area verde
Meisino, sinistra ecologista all'attacco "Ostacolato il diritto di
manifestare"
«Quello che vediamo da giorni nel parco del Meisino è l'ennesima
prova che la direzione che il nostro Paese sta prendendo, in termini
di limitazione al diritto di esprimere dissenso, è inaccettabile. La
prassi di affiancare le forze dell'ordine agli operatori di
cantiere, allo scopo di ostacolare il legittimo diritto di
manifestazione, va interrotta al più presto».
Questa è la nota diffusa nelle ultime ore da tutto il gruppo di
Sinistra Ecologista, che peraltro fra i banchi del consiglio
comunale siede tra le fila della maggioranza. Un segno di rottura,
in questo caso, per le modalità con cui l'amministrazione sta
gestendo la trasformazione della grande area verde nella zona di
Sassi, dove alla fine del 2025 sorgerà il nuovo "Centro per
l'educazione sportiva e ambientale".
Negli scorsi giorni un gruppo di persone, attivisti e contestatori
dell'opera, avevano organizzato un presidio per cercare di impedire
l'inizio degli interventi con le ruspe. Motivo per cui si è deciso
di far scortare gli operai dalla Digos, per ragioni di sicurezza e
per consentire la regolarità del cantiere. Una scelta che però fa
levare voci contrarie anche all'interno di Sinistra Ecologista, come
spiega la consigliera della Circoscrizione 7 Ilaria Genovese: «Chi
si oppone al progetto lamenta anche la mancanza di coinvolgimento
della cittadinanza – dice – L'intera operazione è stata varata senza
autentiche possibilità di discussione pubblica, nemmeno da parte del
consiglio comunale». E aggiunge: «Se c'è un danno che il progetto
del Meisino ha già fatto, è quello di spezzare la fiducia nelle
istituzioni, da parte di cittadine e cittadini che oggi protestano.
Anche per questo motivo, invitiamo nuovamente a un confronto sul
progetto il comitato e tutte le persone che sono interessate al
futuro di quell'area».
L'appuntamento è fissato per mercoledì prossimo, alle 18, 30, nella
sede di Sinistra Ecologista in piazza Moncenisio. Sarà un momento di
scambio e di confronto, quello che secondo il gruppo è mancato
finora. «Il parco del Meisino è un'area a protezione speciale
sottoposta a vincoli naturalistici e paesaggistici – dicono da tutto
il gruppo – In linea di principio, ogni attività che possa avere un
impatto tale da intaccarne la conservazione, come quelle dello sport
agonistico, andrebbe evitata».
Il progetto di restyling prevede la riqualificazione della Cascina
Malpensata, che si trova in uno stato di abbandono da almeno
vent'anni e, a fasi alterne, è oggetto di alcune occupazioni
abusive. Saranno poi allestite una ventina di attrezzature sportive,
nessuna ancora al terreno. Fra queste ci sono le strutture per
l'arrampicata sportiva, tiro con l'arco, disc golf, ciclocross,
piste di pump track e skills bike appoggiate su delle pedane in
legno. Un progetto da 11, 5 milioni, finanziato con le risorse del
Pnrr. Per fare spazio a tutte le installazioni, l'ipotesi è di
abbattere circa 200 alberi, ma per compensare il Comune prevede di
metterne a dimora altri 600, più 400 arbusti.
20.09.24
Per lasciare ai possessori il tempo di impugnarli. Polemica tra
Taiwan e Ungheria sulla provenienza
I cercapersone riempiti di esplosivo L'innesco è uno squillo di 10
secondi Nello Del Gatto
Gerusalemme
Prima i cercapersone e poi i walkie talkie. L'ondata di esplosioni
che ha interessato per due giorni i dispositivi di comunicazione
nelle mani dei miliziani e dei comandanti di Hezbollah nelle
roccaforti del gruppo in Libano e Siria, lascia sul campo
interrogativi su chi sia stato e come. Certo è che l'operazione non
solo è stata studiata nei minimi dettagli, ma ha richiesto tempo.
«Forse anche più di un anno e mezzo», spiega Eyal Pinko, ex membro
dell'intelligence, esperto
di sicurezza del Begin-Sadat Center for
Strategic Studies della Bar Ilan University. Nessuno è ancora in
grado di spiegare come sia potuto accadere che migliaia di
dispositivi nuovi siano esplosi allo stesso momento, anche perché di
questi sono state fatte circolare solo fotografie. Le intelligence
di tutto il mondo se li stanno contendendo per analizzarne i dati.
L'esplosivo posto all'interno
Di certo, secondo Pinko e gli altri esperti, non si è trattato
dell'esplosione delle batterie a litio presenti nei dispositivi, sia
nei cercapersone che negli altri, che sono normali batterie. Non
avrebbero potuto provocare quei danni. È successo invece che nel
processo di fabbricazione o in quello logistico (conservazione,
spedizione, consegna) si abbia avuto il tempo di aprire i
dispositivi e inserire uno o due grammi di esplosivo al loro
interno. Lo stesso, TNT o qualcosa di superiore, è stato collegato
alla batteria e a una microscheda elettronica che conteneva
l'istruzione.
Il messaggio fatale
È bastato inviare un messaggio unico e univoco, un codice stabilito
(come, ad esempio, una sequenza numerica particolare nel caso dei
cercapersone, un impulso per il walkie talkie) che dovesse essere
diverso da quelli che normalmente vengono inviati, per farsi
riconoscere dalla scheda elettronica e provocare la detonazione.
Il suono prima dello scoppio
Secondo molti testimoni, i dispositivi hanno risuonato per una
decina di secondi prima di esplodere. Questo perché chi ha pensato
l'attentato, ha fatto in modo che gli appartenenti a Hezbollah
avessero il tempo di prendere il dispositivo tra le mani, per
massimizzare i danni. I cercapersone, modello AR-924, sono
fabbricati dalla taiwanese Gold Apollo Ltd. ed erano arrivati cinque
mesi fa, dopo la decisione di Nasrallah di evitare le comunicazioni
telefoniche per non essere intercettati. I cercapersone, infatti,
sono strumenti considerati perfetti ai fini della sicurezza.
La società taiwanese ha negato che quelli esplosi siano stati
prodotti nei suoi capannoni, spiegando che vengono realizzati su
loro licenza da una società ungherese, la Bac Consulting KFt, al cui
indirizzo di sede a Budapest, c'è una normale palazzina, non
strutture industriali. Da Taiwan fanno sapere di non aver mai
venduto e spedito in Libano.
Qualche analista, ricordando l'episodio del 31 luglio nel quale
Ismail Haniyeh, l'ex capo politico di Hamas, è stato ucciso a
Teheran in una palazzina delle Guardie rivoluzionarie, impossibile
da portare a termine senza l'aiuto di qualcuno sul posto, ha
avanzato l'ipotesi che proprio in Iran gli apparecchi possano essere
stati manomessi.
I sospetti di Hezbollah
La decisione di farli esplodere martedì, secondo fonti
d'intelligence, sarebbe stata presa dopo che si è avuta la
sensazione che qualcuno in Hezbollah stesse avanzando dubbi sulla
sicurezza della fornitura. Da qui anche la decisione di far detonare
ieri i walkie talkie che, con i cercapersone, condividono alcune
frequenze radio. È probabile infatti che qualcuno in Hezbollah abbia
potuto decidere di controllare tutte le forniture ordinate e
arrivate nello stesso periodo.
"Riconosciuta la forza dei sovranismi ma il compito dell'Europa è la
pace"
Lucia Annunziata
Per Lucia Annunziata c'è un punto fondamentale nella nuova
risoluzione sull'Ucraina che andrà al voto oggi al Parlamento
europeo: «È il punto tre, dove finalmente c'è la parola pace:
l'impegno a lavorare per un piano credibile, la possibilità di un
summit europeo». Quanto alla commissione Von der Leyen, la
presidente «ha dato a ogni Stato quello che voleva. Ha trattato con
i capi di governo. Ha riconosciuto la forza dei sovranismi».
Che tipo di Commissione sta nascendo vista da vicino, con gli occhi
di una parlamentare europea del Pd?
«Se vogliamo parlare di politica, è una Commissione che ha preso
atto dell'esistenza dei sovranisti, che ha di fatto spostato l'asse
dell'Unione. L'Europa va sempre osservata da due punti di vista,
quello dell'Italia, dei nostri interessi nazionali, e quello più
largo che comprende tutti. Il sistema è molto semplice perché è
completamente duale. Il Parlamento europeo è il più grande porto
politico del mondo. Votato con le preferenze, quindi col sistema più
diretto che ci sia rispetto ai cittadini. Ma un europarlamentare che
arriva qui si mette in una stanza e aspetta che qualcuno indichi i
top jobs e a cascata le commissioni».
Come?
«Nonostante quelle cariche si possano poi approvare o bocciare,
vengono decise nei rapporti con i capi di governo. Quando si è
dimesso il francese Thierry Breton, ha fatto una cosa inedita. Ha
detto: me ne vado perché Ursula voleva sminuire il mio lavoro. Ha
quindi voluto esporre un cambiamento nel modo di lavorare della
Commissione, ma anche esprimere una protesta nei confronti di Macron».
E Von der Leyen cosa ha risposto?
«Che non intendeva dare spiegazioni. Né rivelare se ci fossero
accordi di qualche tipo con la Francia, perché - ha sostenuto -
tutti i colloqui sono secretati visto che avvengono tra presidente e
capi di Stato».
È possibile che Meloni e Von der Leyen avessero un accordo fin dal
principio per dare un ruolo di peso a Raffaele Fitto?
«Non si tratta di questo, ma di guardare alla situazione in cui
entrambe si sono trovate. Subito prima del voto si è formato il
gruppo dei Patrioti di Orban, che ha galvanizzato l'azione politica
della destra al Parlamento europeo. Facendo una campagna così forte
contro Von der Leyen da far sì che ce ne fosse una altrettanto forte
a sinistra: è a quel punto che il Pse e i Verdi dicono: nessun voto
dalla destra, sennò non ti votiamo. Se Meloni avesse votato Von der
Leyen, la sua base si sarebbe infuriata, è vero. Ma anche se Von der
Leyen avesse preso i voti di Meloni, avrebbe avuto problemi».
Nonostante questo, Fitto è vicepresidente esecutivo e Meloni appare
soddisfatta.
«Era chiaro che non ci sarebbe potuta essere alcuna "punizione".
L'Italia è un Paese fondatore e l'Europa non viene "à la carte". Ne
fanno parte 27 Paesi, ogni mattina vedo 27 buongiorno scritti in
lingue diverse sui cartelloni. Tu puoi anche volere un certo modello
di Europa, ma quella viene come viene: non puoi chiedere solo
filetto e niente grasso».
Traduco dalla metafora culinaria: era inevitabile che l'Italia fosse
accontentata, anche se due partiti della maggioranza di governo non
hanno votato per la commissione.
«Credo che Von der Leyen si sia trovata molto in difficoltà. Il
colore politico dell'Europa e dei suoi vari governi nazionali è
cambiato. Il Ppe è andato bene, è ancora la prima forza, ma ha
bisogno degli altri. Tu hai ancora una maggioranza progressista in
Europa ma piccola piccola, per cui in un momento puoi perdere un
gruppo e aver bisogno della destra, o della sinistra. Von der Leyen
ha guardato a qual era la fonte del suo potere, gli Stati nazionali.
E ha trattato con quelli: vuoi lo spumone o il babbà?».
Ha dato a ogni Stato quel che voleva?
«Più o meno sì, e la vicenda Breton lo dimostra perché lascia più
spazio d'azione a Macron e al nuovo premier Barnier. I Paesi
dell'Est hanno avuto le deleghe che hanno più a che fare con
l'Ucraina. L'estone Kaja Kallas ha preso il posto di Borrrel come
Alto rappresentante per la politica estera. Il Lituano Andrius
Kubillus ha avuto Difesa e Spazio».
Una scelta pericolosa?
«Chi è appena fuori dalle porte della Russia tende a spingere per
una guerra con la Russia. Ma continuiamo: c'è l'ungherese Oliver
Varheli che ha avuto come delega Salute e animali, e si sa che si
tratta di un simpatizzante No vax. Altro punto interessante è la
delega all'Immigrazione all'austriaco Magnus Brunner, vista la
totale chiusura di Vienna sui migranti. La Spagna, che è molto
forte, si è presa una delle deleghe più importanti con Teresa
Ribera, che oltre a essere vicepresidente esecutiva ha avuto le
deleghe a Transizione pulita, giusta e competitiva. A una lettura
maliziosa, ognuna ha preso il suo».
E Von der Leyen cosa guadagna?
«Guadagna cinque anni ancora».
C'è davvero il tentativo di staccare la destra di Fratelli d'Italia
e dei conservatori dall'ultradestra di Orban e della tedesca Afd?
«Lo dicono tutti, ma non ho le prove. Quello che so è che questo
modo di trattare che non segue la maggioranza, ma gli interessi di
ciascun Paese, salva la Commissione ma riconosce la forza sovranista».
Fitto sarà confermato dal voto?
«Intanto arriva con deleghe più leggere di quelle di cui si era
parlato all'inizio. Ma ha i fondi di Coesione, che riguardano tutti
i Paesi. Il che ha fatto sobbalzare la sinistra italiana: la
Coesione a un rappresentante del governo che ha varato l'Autonomia
differenziata? Le due cose sono in evidente contraddizione perché
quei finanziamenti - e si tratta di miliardi di euro - sono nati per
unire l'Europa, mentre l'Autonomia è stata approvata per dividere
l'Italia».
Come voterà il Pd?
«Farà l'unica cosa ragionevole. Intanto è un italiano, e sarebbe ben
strano che degli italiani gli votassero contro in questo contesto.
Ma il sì arriverà dopo che avrà presentato un progetto, dopo aver
fatto un patto con il Parlamento, e dopo che avrà fatto capire di
accogliere almeno tre punti del programma della sinistra. Sul piano
generale, dovrà far capire se sta più vicino all'antieuropeismo di
Ecr o alla sua matrice d'origine, che era europeista: la stessa di
Tajani».
L'Europa attraversa uno dei momenti più critici della sua storia,
tra la guerra in Ucraina, quella in Medio Oriente, lo spettro di
Donald Trump negli Stati Uniti. Questa Commissione è all'altezza?
«Se mi chiedi se ci sono sette Churchill, dico: forse no. Sette
Hitler? Sicuramente no. Ma non è una domanda a cui si può rispondere
perché essere o non essere all'altezza, lo si vede dagli eventi.
Dico solo questo: l'Europa è nata per la pace. Se in questo
quinquennio non richiude il file della guerra in Ucraina e in Medio
Oriente, non ci sarà più un'Europa perché fallirebbe il suo compito
principale. Le risoluzioni al voto oggi sono, se si guarda bene al
lavoro fatto sulle parole, più caute tanto sulle armi che sul
possibile ingresso di Kiev nella Nato. Non c'è scritto da nessuna
parte che è ineluttabile, perché quella poteva sembrare una
provocazione».
Com'è stato il discorso di Draghi davanti al Parlamento?
«Ho avuto l'impressione che fosse molto distaccato. È venuto, ha
fatto il suo intervento che è stato accolto bene - conservatori e
patrioti a parte - ha parlato con simpatia, come sa fare, ma era la
relazione di un banchiere. Composto, distaccato, senza quel fuoco
politico che tante volte ha saputo dimostrare».
MIOPIA CONFINDUSTRIA . Patto
anti-green deal
Luca Monticelli
Roma
«Se l'Europa deve cambiare marcia anche l'Italia è chiamata a nuove
scelte coraggiose». Il messaggio è del presidente di Confindustria
Emanuele Orsini alla sua prima assemblea annuale. Davanti a tutto il
governo schierato in prima fila, il leader degli imprenditori punta
il dito contro l'Europa: «Non dobbiamo dimenticare che oggi le
transizioni – energetica, ambientale e digitale – pongono
fondamentali quesiti industriali, politici ed etici che non possiamo
più ignorare». Il problema è il Green Deal, continua Orsini, che è
«impregnato di troppi errori, l'industria è a rischio. La
decarbonizzazione inseguita anche al prezzo della
deindustrializzazione è una debacle». Un attacco durissimo che trova
la sponda della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Sono
d'accordo, il governo prende l'impegno per correggere queste
scelte». È la prima di tante altre promesse che la premier farà nel
corso del suo intervento.
Orsini si aspetta dal Piano strutturale di bilancio del governo
«quelle riforme e quegli investimenti che sono assolutamente
necessari, politiche industriali serie e incentivi rilevanti in
risposta al post Pnrr». Il leader ha in testa la «spinta» di
Industria 5. 0, il pacchetto di incentivi all'innovazione che nei
mesi scorsi è stato al centro delle polemiche tra aziende ed
esecutivo: «Senza rischiamo lo stallo o, addirittura, un passo
indietro». Nell'agenda delle priorità di Orsini ci sono i conti
pubblici – «apprezziamo la barra dritta del Mef» – la produttività,
la sburocratizzazione a costo zero, il nucleare e il piano Draghi
considerato «vitale» per il cambio di passo dell'Europa e «le sfide
ciclopiche» sul fronte della competitività.
Un passaggio del discorso è riservato alle relazioni industriali:
«Con i sindacati abbiamo tanto da fare insieme, siamo pronti ad
avviare un'azione comune per contrastare i troppi contratti siglati
da soggetti di inadeguata rappresentanza. Come alcuni sembrano non
voler ricordare, Confindustria prevede retribuzioni ben più elevate
del salario minimo per legge. Noi – aggiunge Orsini – difendiamo il
principio che il salario si stabilisca nei contratti, trattando con
il sindacato». Ma la vera preoccupazione, il chiodo fisso, resta il
Green deal: «La filiera italiana dell'automotive è in grave
difficoltà, depauperata del proprio futuro dopo aver dato vita alle
auto più belle del mondo e investito risorse enormi per
l'abbattimento delle emissioni. Stiamo regalando alla Cina il
mercato dell'auto». Il feeling con Meloni nasce qui: la premier
definisce lo stop ai motori endotermici nel 2035 «autodistruttivo»
per l'economia europea. E apre le porte agli imprenditori: «Con me
avrete un confronto leale e regole certe, non andremo sempre
d'accordo ma l'Italia può ancora stupire se lavoreremo insieme». Le
critiche per la cancellazione del Superbonus per la premier sono
acqua passata: «Abbiamo detto dei no perché non si buttano dalla
finestra i soldi dei cittadini, è finita la stagione dei bonus».
Ora, insiste, è il momento della lotta comune alla burocrazia – «mi
sento come uno di voi quando vedo gente che fa di tutto per non
risolvere i problemi»– e occorre aumentare la produttività del
lavoro. «L'obiettivo della crescita all'1% è a portata di mano»,
ribadisce la presidente del Consiglio: «Ogni trionfalismo sarebbe
infantile ma non era scontato vedere l'Italia crescere più della
media europea, dopo anni in cui eravamo in fondo alle classifica».
Meloni non entra nel merito della manovra, l'unico riferimento è il
sostegno alle famiglie con figli che, assicura, non è dettato da
«una scelta etica, ma da una necessità economica». L'invito al
confronto lanciato da Orsini viene colto anche dal segretario della
Cgil Maurizio Landini, pronto a parlare di sicurezza e di
rappresentanza per cancellare i contratti pirata. Tuttavia Landini
mette in guardia sia Meloni sia Orsini: «Non abbiamo intenzione di
essere la parte che ascolta quello che discute il governo con
Confindustria. Non siamo disponibili a fare da spettatori o a fare
il bancomat per qualcun altro, ci siamo stancati».
PADRONI E BASTA SENZA VAPORE E SENZA FERRIERE:Dai manager fiducia a
tempo "Giorgia rispetti gli impegni"
Un'apertura di credito che andrà verificata nel breve periodo con le
misure in manovra, poi il confronto si sposterà sui progetti di
medio e lungo respiro, come il nucleare. La sensazione a caldo dei
tanti imprenditori che ieri hanno partecipato all'assemblea di
Confindustria a Roma è quella di aver trovato nella presidente del
Consiglio una interlocutrice disposta ad ascoltare le istanze delle
aziende, quindi il suo intervento non può che essere giudicato
«positivo». Però la pancia di Confindustria si aspetta i fatti.
La priorità per la prossima manovra è «l'accelerazione degli
investimenti», sottolinea l'amministratore delegato di Intesa
Sanpaolo Carlo Messina, che aggiunge: «La spesa del Pnrr va
migliorata e poi va mantenuto il rigore assoluto sui conti pubblici
perché il debito va ridotto».
Emma Marcegaglia, ex leader dell'associazione, sottolinea come
Meloni si sia «impegnata per cambiare la visione europea sul Green
deal e ha garantito un dialogo continuo». Marcegaglia ricorda che la
richiesta che gli imprenditori fanno al governo è di «mantenere il
taglio del cuneo fiscale e cominciare a ragionare anche sull'Irap».
Il costo dell'energia, continua, «è un problema enorme, è un tema di
competitività decisivo, mi pare che la presidente Meloni abbia
aperto una discussione anche su questo». Quanto al nucleare,
sottolinea l'ex presidente, è «per noi veramente un tema importante,
crediamo nella decarbonizzazione ma va fatta in modo non
ideologico». Il nucleare è un tasto che tocca anche Paolo Lamberti,
presidente di Acimac, l'associazione dei produttori di tecnologie
per la ceramica: «Ci vuole un approccio nuovo sul nucleare, non è
solo un modo per abbattere i costi dell'energia, ma è una questione
di innovazione, di cambiamento del processo tecnologico». Lamberti
ribadisce i tre temi fondamentali che devono essere nell'agenda
politica: «Ambiente, energia, burocrazia. Mai come in questo momento
abbiamo chiare le cose da fare, Meloni l'ha detto e mi ha stupito
positivamente, è il momento di affrontare questi nuovi tempi, siamo
entrati in un'éra nuova».
Secondo Roberto Bozzi, presidente di Confindustria Romagna, «occorre
anticipare i problemi e sostenere gli investimenti, soprattutto
sull'intelligenza artificiale e sul nucleare». Bozzi è preoccupato
dal fatto che possa arrivare una nuova crisi: «La politica deve
anticipare i problemi e pensare alle prossime mosse». Le imprese
criticano la transizione ecologica dell'Europa e chiedono risposte,
però il presidente di Federacciai Antonio Gozzi sostiene che
«l'Italia è in pole position per essere la prima nel mondo a fare
acciaio completamente green». Luc. Mon . —
LOGGIA UNGHERIA INDISTRUTTIBILE ANCHE PER CROSETTO ? l
titolare della Difesa: "I Dem mistificano la realtà. Siamo alla
follia e al delirio" Il Comitato per la Sicurezza potrebbe ascoltare
nella prossime udienze anche Carta
Inchiesta spionaggio il Pd attacca Crosetto Il Copasir lo convoca
Come previsto, il caso Crosetto, tra inquietanti dossieraggi e
fibrillazioni negli apparati, è troppo clamoroso perché il Copasir
non se ne occupi. Il ministro stesso annuncia di essere pronto. In
verità, la giornata era cominciata molto male per il ministro,
arrabbiatissimo perché alcuni parlamentari del Pd avevano chiesto a
Giorgia Meloni di riferire in Parlamento su una presunta spaccatura
nel governo. E perciò, ecco una nota puntuta di Crosetto: «Se
l'interesse del Pd è davvero la verità, sarò ben lieto di dire tutto
ciò che ho riferito a Cantone al Copasir, ovvero in una sede
vincolata al segreto, dove si scoprirà che non c'è, né ci sarà, mai
nulla su cui poter fare speculazione politica o inventare contrasti
nel Governo, ma solo circostanze serie e circostanziate che ogni
cittadino ha il dovere di denunciare». E ancora: «Mi sorprende che
un gruppo parlamentare e un partito come il Pd, nella cui tradizione
c'è un lungo elenco di denunce e vesti stracciate per antichi e
nuovi dossieraggi che hanno minato e inquinato la storia della
Repubblica, non sia minimamente interessato o scandalizzato da una
vicenda (quella dei dossier) che una personalità come Luciano
Violante ha definito gravissima».
In effetti, quelli del Pd, ovvero tutti i parlamentari presenti in
commissione Antimafia (Walter Verini, Peppe Provenzano, Debora
Serracchiani, Andrea Orlando, Vincenza Rando, Anthony Barbagallo,
Franco Mirabelli e Valeria Valente), avevano stigmatizzato che
«dalla destra al governo, dopo mesi di vaghe denunce di complotto,
non c'è stato alcun esercizio di responsabilità. In un momento di
drammatica crisi geopolitica è accettabile uno scontro tra le due
figure di governo e i soggetti istituzionali che più di tutti
dovrebbero garantire per la nostra sicurezza?». E siccome
l'Antimafia ha avuto le carte dell'inchiesta, ma obiettivamente
c'entra molto poco, precisavano: «Noi, in ogni sede, senza
ovviamente interferire con le indagini della magistratura, chiediamo
si faccia chiarezza su quanto fin qui emerso: e cioè l'estrema
vulnerabilità delle nostre reti cibernetiche e delle banche dati
riservate, la possibile esistenza di un mercato di informazioni
riservate, del quale occorre scoperchiare ogni responsabilità di
esecutori e possibili mandanti».
Toccherà insomma allo speciale Comitato parlamentare sulla
sicurezza, presieduto da Lorenzo Guerini, Pd, ex ministro della
Difesa, sentire i diretti interessati a partire dall'attuale
ministro e poi tutti gli altri soggetti interessati. Potrebbero
decidere anche, sulla base di quel che emergesse, di convocare l'ex
direttore dell'Aise, il generale Luciano Carta, il cui nome aleggia
da più giorni in questa vicenda ed è stato evocato anche ieri nel
corso di una seduta del Comitato. Oltretutto ci sono alcuni
misteriosi siti che alimentano sospetti sull'ex direttore, citano
questo o quel funzionario dell'Aise, raccontano di presunte filiere
deviate, insomma gettano veleni nell'aria e così facendo si muovono
con le tipiche modalità del settore. Val la pena approfondire.
Sono due le questioni su cui il Copasir intende fare luce. Se ci
siano collegamenti tra il principale indagato di questa indagine, il
luogotenente della Gdf Pasquale Striano, autore conclamato della
maggior parte degli accessi abusivi alle delicatissime banche-dati,
con esponenti dei servizi segreti.
Un filo è già saltato fuori, altri potrebbero venire dal prosieguo
delle indagini. E sarebbe gravissimo che ci siano stati opachi
rapporti tra 007 con le violazioni della privacy ai danni di uomini
politici e non.
Ma c'è anche molto altro da chiarire. La frase del ministro sui
«problemi per la sicurezza nazionale» dovuti a mancata
collaborazione dell'Aise con la Difesa, citata nel verbale a
Cantone, apre una questione molto seria. Quindi, delle due l'una: o
era un'iperbole del ministro e allora il caso finisce qui, oppure ci
sono casi concreti su cui è bene andare a fondo.
IL CONTROLLO E' USA COME SEMPRE DA QUANDO MUSSOLINI HA PERSO LA
GUERRA: Attenti all'ira di Guido Crosetto, il ministro della
Difesa, l'omone che sembra rodato alle tempeste, ma se troppe gocce
fanno traboccare il vaso tutto può succedere. Del ministro che è
stato il motore dell'inchiesta sui dossieraggi, si sapeva negli
ambienti del governo che era sempre più arrabbiato. Innanzitutto con
i giornalisti. Dice chi gli è vicino: «È talmente schifato da un
certo modo di fare informazione che ha deciso, da più di un mese,
quindi ben prima che uscissero sui giornali in modo del tutto
illegittimo e abusivo i verbali dell'inchiesta di Perugia, di
limitare al massimo le sue uscite pubbliche». Ma c'è di più. Molto
di più.
Ieri, quando ha visto una nota ufficiale del Pd che chiedeva a
Giorgia Meloni di relazionare in Parlamento «su uno scontro
istituzionale in corso che ha superato il limite», ha preso carta e
penna per replicare: «Sono stupito e incredulo. Mistificate la
realtà». E siccome però nei capannelli del Transatlantico si parla
molto di una presunta rottura con la premier e con il
sottosegretario Alfredo Mantovano, si è sfogato con i suoi perché si
sappia: «Ove mai si ritenesse privo di fiducia e stima, nel governo,
dal suo vertice fino al partito cui si onora di appartenere, pur
nelle differenze delle storie e dei percorsi personali, ne trarrebbe
le conseguenze».
È stata la giornata dell'ira, al piano nobile del ministero della
Difesa. L'uscita del Pd lo ha indispettito quantomai. Scrive: «Come
si permettono di commentare in modo così strumentale la denuncia –
coraggiosa, come molti hanno detto – all'autorità giudiziaria da
parte di un cittadino, pro tempore ministro, su una vicenda così
torbida e pericolosa? ». Ma è con i suoi collaboratori che si sfoga
un attimo dopo: «Lo ritenevo un partito serio e responsabile».
Proprio loro che in altri casi erano insorti e invece in questa
storia, che ai suoi occhi è di prima grandezza, li vede timidissimi.
«Potrei citare il caso Sifar, il caso Gladio, il caso Mitrokhin».
Ce n'è anche per i giornalisti, "rei" di inventare retroscena che
non esisterebbero. Qui è un fiume in piena, e da diversi giorni.
Dicono sempre dal suo staff: «Capisce che alcuni centri di
informazione e commentatori, magari legati a interessi e poteri
specifici, vogliano mettere in ridicolo questo governo,
legittimamente eletto, e la sua azione quotidiana, cercando di
screditarla ogni giorno e a ogni occasione».
Epperò il problema che più gli sta a cuore, ciò che sente di dover
smentire con forza, è la distanza con palazzo Chigi e con gli
apparati di intelligence. C'è quel verbale di testimonianza del
gennaio scorso che parlerebbe fin troppo chiaro: con l'Aise,
l'agenzia di informazioni e sicurezza per l'estero, i rapporti non
filavano lisci.
Crosetto è arrivato a dire al magistrato: «I miei rapporti con l'Aise
in precedenza non erano particolarmente buoni perché ho contestato
in più di una occasione mancate informazioni al ministero della
Difesa che avrebbero potuto anche creare problemi alla sicurezza
nazionale».
Quando queste parole sono divenute di dominio pubblico sul sito de
Il Fatto Quotidiano, il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la
delega ai servizi segreti, ha fatto una nota per dire che
assolutamente no, c'è massima fiducia nell'Aise e nel suo direttore,
ma quali mancate informazioni, «fanno un lavoro straordinario». E
tutti hanno concluso che i due vanno in direzioni diverse.
Ecco, è su quella giornata che Crosetto anche ieri si è sfogato con
i suoi, che sintetizzano così: «Il ministro capisce che, purtroppo,
i retroscena dei giornali e i giornalisti "di penna" non amino i
comunicati "ufficiali", ma può garantire, sul suo onore, che la nota
di Mantovano sui Servizi di sabato scorso è stata concordata con lui
fino nelle virgole e che, ad essa, non si è "allineato" né che l'ha
"subita" obtorto collo, ma che è stata da lui pienamente condivisa e
che dunque la sua fiducia in essi non è mai venuta meno».
Certo, è fin troppo noto che non sono tutte rose e fiori in questo
Esecutivo. Lo riconosce anche Crosetto nei suoi colloqui. «Magari,
dentro il governo, ci sono diversità di vedute, su alcuni temi, ma
su questo punto la concordia tra il ministro, Mantovano, la premier
e i Servizi stessi è assoluta. A tal punto che, prima di portare la
nomina di Caravelli a prefetto dentro il consiglio dei Ministri
(accadeva due giorni fa, ndr), lo stesso Mantovano ha sottoposto al
ministro la nomina per averne il gradimento, gradimento che è stato
pieno e immediato».
Il ministro andrà dunque al più presto al Copasir per dire la sua
sul caso dei dossieraggi. Per il momento non fa nomi. Si limita al
solito accenno alle "mele marce". Vuole che si sappia che lui non ha
mai fatto il nome dell'ex direttore dell'Aise, il generale Luciano
Carta, "il quale si è giustamente risentito". Per concludere,
sempre, con i più diversi interlocutori: «Il rapporto con la
presidente del Consiglio è saldo e costante, nella franchezza
reciproca, che non è loro mai mancata». Perciò lui «sorride di chi
cerca di mettere zizzania tra loro, delegittimare lui, lei o
entrambi, alla ricerca di "crepe", al fine di inventare spaccature
nel governo che non esistono». Però sia chiaro: se sentisse che la
fiducia di Giorgia Meloni è venuta meno, adieu.
SE QUESTO E' UN EROE ?Sono settanta gli episodi contestati. Il
dirigente del Regina Margherita di Torino è indagato per truffa: in
attesa delle indagini sollevato dal servizio
"Shopping e parrucchiere durante i turni" l'ospedale sospende il
medico dei bambini
gianni giacomino
torino
Per due anni e mezzo, invece di essere presente sul posto di lavoro
come direttore della Struttura semplice del Dipartimento di
pediatria e scienze pediatrico nel reparto di Subintensiva allargata
della prima infanzia dell'ospedale infantile Regina Margherita di
Torino, avrebbe fatto i suoi comodi.
Così il dottor Francesco Savino, 63 anni originario di Borgomasino,
nell'Eporediese - pediatra molto conosciuto e apprezzato -
nonostante il suo ruolo dirigenziale abbandonava l'ospedale
nell'orario di lavoro per fare altro. O meglio, da quello che sono
riusciti a ricostruire i carabinieri del Reparto operativo – Nucleo
investigativo, con indagini incrociate, il professionista avrebbe
effettuato visite da pazienti privati, sarebbe andato a sostituire i
pneumatici della sua Bmw, in un atelier da uomo per acquistare delle
camicie, in banca, dal parrucchiere, al supermercato e anche a casa
sua. Assenze che potevano durare una mezz'oretta fino a due, tre ore
e anche di più. Per questo il medico è accusato di truffa ai danni
dell'azienda ospedaliera per aver falsificato la sua presenza in
servizio. Un notizia che ha lasciato parecchio perplessi e increduli
molti colleghi del pediatra, considerato al top e al quale, da
sempre, si rivolgono tante famiglie importanti della Torino bene. Il
meccanismo adottato dal dottor Savino per "sparire" dal reparto era
abbastanza semplice. E non è la prima volta che viene utilizzato da
dipendenti o contrattualizzati nel settore pubblico che devono
"bollare".
Secondo l'accusa una volta entrato in ospedale - dove aveva un
contratto fino al 2026 - certificava la sua presenza sul posto di
lavoro strisciando il badge. Poi si allontanava senza ripassare la
tessera magnetica che invece veniva di nuovo utilizzata per l'uscita
definitiva dal Regina Margherita, più o meno verso le 19,30.
In totale, i carabinieri hanno accertato oltre 70 episodi, tutti al
vaglio dell'autorità giudiziaria per circa 157 ore lavorative.
Probabilmente il 63enne era sicuro di non venire scoperto e,
infatti, si sarebbe mosso disinvoltamente.
Le indagini sarebbero state innescate in seguito a delle
segnalazioni anche abbastanza dettagliate. Gli investigatori,
coordinati dalla pm Giulia Rizzo, hanno così iniziato a controllare
le celle alle quali si agganciava il telefonino cellulare in uso
esclusivo al medico. E, dai tabulati, è risultato agganciare -
soprattutto con il Gps installato all'interno della sua auto - celle
molto lontane dall'ospedale torinese dove avrebbe dovuto trovarsi.
Gli investigatori hanno poi anche pedinato il dottor Savino
riuscendo a pizzicarlo sia in auto che a piedi, lontano dal Regina
Margherita dove invece lui avrebbe dovuto essere in servizio anche
perché era il suo orario di lavoro. Una volta il medico dei bambini
è stato addirittura sorpreso dai carabinieri a Collegno, una città
distante qualche chilometro dal capoluogo. Le intercettazioni e i
pedinamenti sono poi anche stati supportati dai fotogrammi delle
videocamere che sorvegliano il parcheggio intorno al Regina
Margherita e da altre sistemate all'esterno di istituti bancari. E
così gli occhi elettronici hanno ripreso il professionista mentre si
allontanava illegittimamente dal posto di lavoro dove avrebbe dovuto
garantire la sua presenza per 38 ore la settimana. Tra l'altro
risulta che, in determinati giorni e orari, il dottore in accordo
con la Città della Salute poteva svolgere attività ambulatoriale
all'interno dell'ospedale oppure nel suo studio di Borgomasino. In
tutto, con le sue assenze, il pediatra avrebbe usufruito di un
ingiusto profitto per oltre 5.200 euro. Al termine delle indagini i
carabinieri del Reparto operativo hanno notificato al medico una
misura cautelare: Savino ha l'obbligo di restare a Torino e non
potrà assolutamente allontanarsi dalla sua abitazione dalle 20 fino
alle 7,30 del mattino.
La misura cautelare è stata decisa dal giudice per le indagini
preliminari.
Intanto l'Azienda Città della Salute di Torino, in quanto parte
lesa, appena ha ricevuto la notifica da parte dei carabinieri, ha
immediatamente aperto il procedimento disciplinare e sospeso in via
cautelativa il professionista interessato dall'inchiesta. Questa
nell'attesa dei successivi sviluppi giudiziari. —
LEGGEREZZA SU LEGGEREZZA : SUVVIA ! Le motivazioni della condanna
dell'ex sindaca .Il legale Chiappero: "Tutta colpa solo sua?
Suvvia!"
La Cassazione " Finale Champions Chiara Appendino sottovalutò i
rischi"
L'ex sindaca di Torino Chiara Appendino «non si è limitata a ideare
la proiezione della partita di calcio, ma ha dato impulso alle
scelte riguardanti il luogo di svolgimento e l'ente deputato ad
organizzare la manifestazione, senza preoccuparsi di valutare la
sostenibilità in termini di sicurezza di tali scelte. Ha, inoltre,
mancato negligentemente di adottare la cosiddetta "ordinanza
antivetro", circostanza che ricade nella fase organizzativa
dell'evento, con innegabili conseguenze sulla sicurezza della
manifestazione». Ancora: «La mancata adozione di tale provvedimento,
a cui invece altri sindaci della città avevano fatto ricorso in
passato, unitamente agli inefficaci controlli ai varchi e alla
mancata pulizia dei varchi da parte dell'Amiat, ha contribuito a
realizzare le conseguenze dannose».
Lo scrivono i giudici di Cassazione nelle motivazioni della sentenza
con cui hanno disposto un nuovo processo di appello nei confronti di
Appendino sui gravissimi fatti accaduti in piazza San Carlo la notte
del 3 giugno 2017 durante la proiezione della finale di Champions
Juventus-Real Madrid (1500 feriti e due donne morte), per
ricalcolare la pena, riducendola. L'ex prima cittadina, difesa dai
legali Franco Coppi e Luigi Chiappero, accusata di omicidio,
disastro e lesioni colpose, era stata condannata a 18 mesi. Lo
scorso 17 giugno i magistrati avevano dichiarato irrevocabile la
responsabilità penale per Appendino e Paolo Giordana, ex capo di
gabinetto. Il ricalcolo al ribasso è legato al fatto che la «Corte
d'appello, pur avendola prosciolta con riferimento ai reati di
lesioni in danno di una decina di feriti non ha ridotto la pena,
così incorrendo in una palese violazione del divieto di reformatio
in peius».
Per la Cassazione «l'azione dolosa (quella dei baby rapinatori che
hanno utilizzato spray urticante scatenando il panico tra la folla
ndr) ha costituito "solo l'innesco, come tale perfettamente
fungibile e non caratterizzante del decorso causale, determinando
l'esito di un evitabile e certamente prevedibile fenomeno di panico
collettivo». Viene ancora rimarcata «la ristrettezza dei tempi
ovvero si rimprovera alla Appendino di avere «deciso
l'organizzazione della manifestazione in tempi incompatibili con una
gestione meditata, completa ed efficiente dell'evento».
La Cassazione aggiunge che sono «numerose le circostanze indicate
dai giudici di merito suscettibili di rivelare la superficialità
della preparazione della manifestazione e la sottovalutazione dei
rischi a cui erano esposti gli spettatori in ragione della scarsità
del tempo impiegato per l'organizzazione della proiezione» della
partita. Gli ermellini ricordano che «la scelta del luogo nel quale
effettuare la proiezione avrebbe dovuto essere preceduta da una
riflessione ponderata, che avesse tenuto conto della peculiare
conformazione della piazza e del numero dei partecipanti». Il legale
di Appendino, Luigi Chiappero, non ci sta: «È una sentenza che non
condividiamo, soprattutto per quel che riguarda l'imprevedibilità di
quanto accaduto. Equiparare le diverse cause che possono provocare
il panico come se tutte fossero identiche significa non guardare in
faccia la realtà: non si era mai verificato prima del 3 giugno 2017
che l'utilizzo di uno spray al peperoncino, in luogo pubblico, da
parte di un gruppo di rapinatori provocasse quello che è accaduto
quella sera. Sulla ordinanza antivetro - aggiunge - la Corte di
Cassazione, a nostro sommesso ma fermo avviso, sembra non conoscere
il diritto costituzionale. Un sindaco non ha il potere di emettere
sempre e comunque un'ordinanza. Lo ha detto chiaramente la Corte
Costituzionale nel 2011. Meno che mai può emettere un'ordinanza se
manca l'istruttoria degli uffici comunali». Conclude: «Ma poi, detto
chiaro: quel che è successo è tutta colpa del Sindaco e del capo dei
vigili? Suvvia!
DOPO 20 ANNI CHE LO DICO , LA FOGLIETTA FINALMENTE RAGIONA
DOPO AVERMI FATTO CENSURARE DA 2 ANNI: Per i costi delle
coperture si pensa anche a sponsor privati come a Milano Da ottobre
una task force Gtt-InfraTo-Poli controllerà le 142 scale mobili
Un concorso di architettura con la Soprintendenza
per le pensiline della metro
Paolo Varetto
Dopo la débâcle del 2 settembre - con 32 impianti fermi alla
riapertura della linea 1 dopo un mese di stop per lavori - e le
pubbliche scuse dell'amministratrice delegata Serena Lancione, il
Gtt passa al contrattacco schierando una task force di tecnici
insieme con InfraTo e Politecnico per valutare lo stato di salute
delle 142 scale mobili che servono la nostra metropolitana,
immaginando anche un concorso di idee tra architetti per progettare
le pensiline per gli accessi alle 23 stazioni. Perché se la fermata
Bernini ha fatto registrare 76 guasti in 7 mesi (ed è solo un
esempio) è perché catene e ingranaggi sono esposti alla pioggia e
alle intemperie, oltre che alle foglie secche, al sale antigelo
d'inverno, al pulviscolo atmosferico e al particolare più
grossolano. Fattori esterni ostili che potrebbero essere
parzialmente neutralizzati appunto sistemando una copertura.
«Ma questa volta - anticipa il presidente di InfraTo, il professor
Bernardino Chiaia - vogliamo coinvolgere fin da subito la
Soprintendenza, per evitare di incorrere nel diniego che bloccò la
loro installazione nel progetto originario. Dovranno essere
installazioni sì di pregio, ma che possano armonicamente inserirsi
in contesti aulici quali il liberty di corso Francia o i portici di
corso Vittorio».
Soprattutto dovranno essere strutture funzionali e facili da
manutenere, con un occhio alla sostenibilità economica, visto che ad
oggi di finanziamenti certi non ce ne sono mentre i costi si
aggirano intorno ai 250 mila euro per ogni fermata. «Un percorso
ancora tutto da costruire - ammette Chiaia - ma per il quale non ci
precludiamo nessuna strada. Se guardiamo a Milano, esistono già
delle stazioni sponsorizzate da Trussardi e Unicredit. Una
possibilità che potremmo valutare anche noi, ovviamente a valle dei
ragionamenti con le Belle Arti».
Da ottobre sarà invece operativa la squadra interforze che
controllerà tutte le scale mobili della linea 1 con la consulenza
del professor Aldo Canova del Politecnico. «Partiremo con una
puntuale verifica delle loro condizioni meccaniche ed
elettrotecniche - specifica il presidente di InfraTo -, anche perché
si tratta di apparecchiature con caratteristiche diverse. L'età
media è di 17 anni, ma quelle inaugurate con il troncone
Carducci-Bengasi sono nettamente più recenti. Eppure proprio quella
del capolinea Sud ci sta dando tra i problemi più frequenti».
Per il Comune, come annunciato dall'assessora alla Mobilità Chiara
Foglietta e confermato dal sindaco Stefano Lo Russo, la soluzione
più pratica è anche quella più radicale: sostituire tutte le 50
scale mobili esterne, statisticamente più soggette ai guasti. Costo
dell'operazione, almeno 15 milioni di euro. Uno dei compiti della
task force annunciata ieri nell'incontro tra Lancione, Chiaia e
Canova sarà appunto quello di capire se alcuni impianti potranno
continuare a rimanere in servizio, ricevendo un più blando upgrade
tecnologico della componentistica elettrica che eviti blackout a
catena come quello del 2 settembre. «Una ricognizione puntuale -
aggiunge Chiaia - che ci permetterà anche di capire quali sono i
difetti di funzionamento più ricorrenti, così da poterli prevenire
organizzando un primo magazzino ricambi delle parti più soggette
all'usura».
19.09.24
"Traditi da fornitori egiziani" La rabbia dei militanti a Beirut francesco semprini
Le piste che l'intelligence di Hezbollah sta seguendo in merito
all'attacco elettronico condotto dagli israeliani sono due. La prima
è che una spedizione di "pager" sia stata intercettata e armata con
piccole cariche di esplosivo attivate successivamente da un timer o
dall'invio di un segnale codificato o attraverso una frequenza
specifica. La seconda è che i guru informatici delle Forze armate
israeliane abbiano sviluppato un modo per surriscaldare le batterie
agli ioni di litio, causandone incendio e successiva esplosione,
sebbene gli esperti sostengano che «il danno causato sia stato
troppo ampio».
Le immagini circolate sui social sono impietose e raccontano una
catena di mini-deflagrazioni che a partire dalle 15 e 30 locali
hanno attraversato diverse zone del Libano allungandosi sino alla
Siria. Abitazioni, mercati, automobili, negozi, ovunque i possessori
dei dispositivi si trovassero sono stati raggiunti dall'onda d'urto
della nuova offensiva cyber dello Stato ebraico. La notizia
dell'attacco ha causato il panico nei quartieri e nelle aree del
Paese in cui sono presenti funzionari e agenti di Hezbollah, la
gente presa dal panico ha iniziato a chiamare i familiari e dicendo
loro di scollegare router e altri dispositivi potenzialmente
offensivi. Alcuni sono riusciti a liberarsi del dispositivo in
tempo, messi in allarme dal surriscaldamento o da messaggi "non
convenzionali" apparsi sul display. Secondo Saberin News, media
affiliato al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica
iraniano, sette membri di Hezbollah sono stati uccisi nel quartiere
di Seyedah Zeinab a Damasco, una roccaforte sciita.
Il bilancio nella serata di ieri continuava a salire, tra le vittime
una bambina di otto anni della Valle di Bekaa. I feriti risultavano
essere almeno 4000. Le esplosioni hanno infatti coinvolto non solo i
membri del Partito di Dio, ma anche i familiari e le persone che si
trovavano accanto ai bersagli individuati dai cyber-cecchini
israeliani. Ecco perché l'operazione sarebbe stata soprannominata
"sotto la cintura". Il primo ministro libanese Najib Mikati ha
tenuto una riunione di gabinetto dopo le esplosioni simultanee che
si sono verificate nel Paese.
Il governo ha «condannato all'unanimità l'aggressione criminale
israeliana, che viola palesemente la sovranità del Libano». Secondo
fonti locali la partita dei cercapersone (il modello dovrebbe
corrispondere al Gold Apollo AR 924 di fabbricazione taiwanese) era
di recente dotazione agli Hezbollah, vista l'assoluta diffidenza del
movimento guidato da Hassan Nasrallah nei confronti degli "smart
phone", che lui stesso ha definito «il peggior nemico della
Resistenza». Anche il predecessore del cellulare si è in realtà
dimostrato un avversario letale. "L'acquisto sarebbe stato fatto o
agevolato da commercianti egiziani", con cui l'ufficio commerciale
del Partito di Dio aveva già concluso alcune transazioni.
La pista della "penetrazione della catena di rifornimento" con
l'inserimento di una componente esplosiva e di un meccanismo di
attivazione a distanza, «presuppone la complicità di complici e
basisti, i rivenditori egiziani, ad esempio o intermediari al libro
paga del Mossad», spiega Elijah Magnier, esperto di intelligence e
di tecnologie militari, ce ha lavorato a lungo a Beirut. «Riteniamo
il nemico israeliano pienamente responsabile di questa aggressione
criminale», tuona la dirigenza di Hezbollah, secondo cui è
l'ennesima provocazione di Benjamin Netanyahu per ampliare il
conflitto aprendo un secondo (o terzo se si considera anche la
Cisgiordania) fronte di lotta, nell'ambito di quello sforzo di
«rimettere ordine nella regione» tanto sostenuto dai falchi della
destra israeliana.
«Non è escluso che si possa trattare di una "shaping operation",
ovvero il primo atto di un'operazione di dimensioni più ampie che
prevede una penetrazione in territorio libanese da parte dell'Idf -
suggerisce a La Stampa M. Magnano, analista nel ramo della sicurezza
internazionale - Non certo un'operazione facile, ma senza dubbio è
già rivoluzionario quello che è stato fatto». Al punto tale che «la
catena di Comando e Controllo di Hezbollah è piegata», spiegano
fonti libanesi, tradendo una lacuna che avrà ricadute sull'intero
apparato di sicurezza dell'organizzazione.
Nato nella città di Moro ha guidato la Puglia, è incappato in
inchieste giudiziarie e ha virato a destra
Fitto, l'uomo che si è rialzato otto volte la lunga marcia dalla Dc
ai vertici Ue Alessandro Barbera
Roma
Dice il proverbio giapponese: cadi sette volte, rialzati otto.
Raffaele Fitto ha perso il conto. Nato il 28 agosto 1969 nella città
che diede i natali ad Aldo Moro, è il figlio d'arte a cui la sorte
impone di crescere in fretta. Il padre Salvatore, allora presidente
della Regione Puglia, muore in un incidente stradale quando ha
diciannove anni. A venti è consigliere regionale per la Democrazia
cristiana, a trenta siede nella poltrona che fu del padre. L'indole
democristiana non l'ha mai abbandonata, la tessera sì. È l'uomo più
vicino a Giorgia Meloni con la storia politica più lontana possibile
da Giorgia Meloni. Non è populista, non alza mai la voce, non prende
(quasi) mai di petto gli avversari, tratta allo sfinimento. Tenterà
di tornare presidente in Puglia due volte, battuto da due tribuni
della sinistra: Nichi Vendola e Michele Emiliano. Con Giorgia
condivide un difetto che talvolta è una qualità: la tigna. «Sono
riuscito a levarmi di dosso il fango delle inchieste giudiziarie,
figuriamoci se non sono in grado di affrontare il resto», va dicendo
spesso. Ne ha dovute affrontare diverse. Nel 2012, prosciolto per
prescrizione in un caso di turbativa d'asta, si oppone alla
prescrizione. Un anno dopo, condannato per corruzione, è assolto in
appello. Quando la Cassazione riconosce alla Regione il
risarcimento, si oppone in giudizio.
La sua storia politica è una lunga marcia verso destra: lascia il
Partito Popolare per aderire ai Cristiano democratici uniti, passa
ai Cristiano democratici per la libertà, aderisce a Forza Italia, e
lascerà anche Forza Italia. Nel 2015 a spingere Fitto al gesto meno
democristiano della vita sono altri due noti tribuni: Silvio
Berlusconi e Matteo Renzi. Fitto non manda giù il patto del
Nazareno, e il Cavaliere dissimula: «In passato qualcuno se ne è
andato e non è finito bene». Non aveva calcolato il fattore Giorgia.
L'incontro fra i due è nei banchi del quarto governo di Re Silvio.
Lui è il giovane ministro delle Regioni, lei la giovanissima
ministra della Gioventù. Dieci anni dopo Fitto passerà a Fratelli
d'Italia.
Quando arriva a Palazzo Chigi, Giorgia fa di lui il ministro più
influente. Sottrae a Giancarlo Giorgetti i duecento miliardi del
Recovery Plan che assomma alla gestione degli altri fondi europei.
Fitto impiega mesi per rivedere i poteri di gestione, che ora lascia
a Palazzo Chigi. Farà quel che potrà da Bruxelles per allungare i
tempi di un piano che l'Italia non è in grado di rispettare. Prima
di andarsene, ha risolto una grana con l'Europa che si trascinava da
vent'anni: quella dei balneari. E lo fa convincendo Bruxelles a
concedere l'ennesima proroga, al 2027. Potere dell'indole.
Fuga da Azione, via Gelmini e Carfagna
Si svuota Azione: se ne vanno la presidente, la vicesegretaria e una
senatrice. Sono Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Giusy Versace.
Le tre parlamentari del partito di Carlo Calenda non hanno digerito
l'adesione al campo largo per le prossime Regionali.
Impossibile per loro stare in «un'alleanza che comprende il
Movimento 5 Stelle e la sinistra di Bonelli e Fratoianni». Gli addii
seguono quello di Enrico Costa, nemmeno 48 prima. Dura la risposta
del partito: «Rispettiamo le scelte personali ma riteniamo grave e
incoerente passare dall'opposizione alla maggioranza a metà
legislatura contravvenendo al mandato degli elettori». Tutte
sarebbero in procinto di trovare approdo nel centrodestra, accolte
in Noi Moderati di Maurizio Lupi.
Gelmini parla di un «confronto sereno e leale» con il leader di
Azione, ma «non provengo dalla sinistra e non intendo aderirvi
adesso». Versace rivela: «Già prima dell'estate avevo manifestato a
Calenda il mio disagio e disappunto rispetto all'ipotesi di aderire
a un campo largo anche in Liguria. Le scelte politiche, benché
legittime, portano il partito in una direzione che non è quella che
auspicavo. Il campo largo non è la mia casa».
L'addio di Carfagna è ufficializzato dal partito prima ancora che da
lei. «È una decisione che stavo maturando», ammette. Poi, esprime il
suo «dissenso per l'apertura di un dialogo "esclusivo" con la
sinistra» sulle Regionali: una strategia che «prelude a intese più
generali». Il partito, con disappunto, ricorda a tutte di averle
«accolte e valorizzate in un momento particolarmente critico del
loro percorso politico».
Le uscite di Carfagna e Gelmini fanno scendere a quota dieci i
deputati di Azione: il gruppo alla Camera resiste ma sul filo. Tra
amarezza e sollievo il ragionamento che filtra dall'entourage di
Calenda: «Oggi si è compiuta giornata di chiarezza. Erano due mesi
che uscivano retroscena non smentiti e che negoziavano con tutto il
centrodestra in parallelo. Il partito non ne poteva più»
Un Salone a tutto gas
gianni giacomino
Non solo la Lancia 037 guidata da Barbara Riolfo, ma anche altre
potenti autovetture, non avrebbero rispettato il limite dei 30
chilometri orari, velocità massima per una "parata", da mantenere
durante le sfilate al Salone dell'Auto.
Di questo se ne sarebbero accorti e lamentati diversi spettatori.
Poi hanno sollevato la questione in consiglio due membri
dell'opposizione e si evincerebbe anche da alcuni filmati. Girati
non solo dalle migliaia di smartphone degli spettatori, ma anche
dalle videocamere che sorvegliano quella fetta del centro 24 ore su
24. Sequenze che ora, poco per volta, saranno analizzate anche dalla
polizia locale per appurare se davvero qualche pilota non si è
attenuto al regolamento.
Gli investigatori tra l'altro sono impegnati a completare le
indagini sull'incidente innescato dalla 037 che, entrando in piazza
San Carlo, a causa di un'accelerazione improvvisa, si è schiantata
contro una transenna ferendo una dozzina di persone. Tra le quali
tre bambini. Al momento, sono già state presentate alla polizia
locale quattro denunce per lesioni colpose. «E anche noi la
inoltreremo perché mia figlia continua ad essere sofferente e dovrà
essere sottoposta a delle nuove radiografie» – avverte Fabio
Triffiletti, il papà della 23enne rimasta contusa. Ieri è anche
stato dimesso dal Mauriziano il 51enne che era stato ferito ad un
testicolo ed è stato sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico.
Dopo le querele la Procura potrebbe aprire un fascicolo per lesioni
colpose e capire se, tra gli organizzatori dell'evento, qualcuno ha
delle responsabilità in merito all'incidente.
L'assessore alla Sicurezza Marco Porcedda è categorico. «Sul rigido
rispetto delle regole siamo stati molto chiari fin da subito con
l'organizzazione, se poi qualcuno non le ha rispettate e ha corso un
po'troppo non è nostra responsabilità». Dalla società con sede tra
Torino e Venaria che ha gestito l'evento nessun commento: «Ci sono
indagini in corso, non è opportuno». L'incidente ha scatenato,
soprattutto sui social, una ridda di roventi polemiche. Con una
domanda su tutte: è il caso di proporre anche eventi di questo tipo
in centro città? «L'amministrazione comunale autorizza e disciplina
gli eventi, per cui è legittimo che faccia le sue valutazioni più
opportune al riguardo – specifica il prefetto Donato Cafagna –.
Sulla base delle scelte fatte, come è avvenuto in passato, verrà
garantita la cornice di ordine e sicurezza pubblica».
Sembra invece risolto il mistero della Lancia 037 che all'Aci
risulta demolita il 13 dicembre 1983 dopo essere stata immatricolata
sei mesi prima e aver corso tre rally ufficiali con il pilota
Attilio Bettega. In pratica della 037 sarebbe stata demolita la
targa e poi l'auto avrebbe continuato ad "esistere" partecipando
anche ad altre corse minori su circuiti con targhe prova, come è
avvenuto domenica.
«Infatti non è la prima volta che partecipavano ad un evento con la
037 – spiega Ivano Toppino, il proprietario della Lancia con livrea
Martini Racing che, anni fa, ha aperto la "Toppino restyling",
laboratorio di restauro di veicoli storici a Pocapaglia nel Cuneese,
diventando un nome nel settore –. Ovviamente ci spiace per chi è
rimasto ferito. Io li avrei incontrati subito, ma non ci hanno mai
detto i nomi. Ma lo faremo presto e li risarciremo tramite la nostra
assicurazione».
I vandali distruggono anche l'ultimo gioco nel giardino "Cena"
Ritorno a scuola amaro per gli alunni dell'elementare Cena, nel
cuore del quartiere Barca. Il giardino in strada San Mauro, che
sorge accanto all'istituto, è infatti rimasto senza giochi a
disposizione dei bambini. È quanto gli studenti hanno scoperto la
scorsa settimana, al suono della prima campanella. A lasciare
sguarnita l'area verde è stato un atto vandalico che, nel corso
dell'estate, ha messo fuori uso l'attrezzo in legno con lo scivolo.
Si trattava dell'ultimo ancora utilizzabile all'interno del
giardino, dove negli ultimi tempi erano stati rimossi (e non
sostituiti) un dondolo e l'unica altalena, a loro volta oggetto di
danneggiamenti. A sollevare il problema sui social, l'altro giorno,
è stata Elisa Garnero, mamma di un alunno: «Questo è l'unico punto
di incontro per i nostri bambini nei pressi della scuola» ha
scritto.
L'atto vandalico sul gioco con lo scivolo ha interessato una delle
pedane in legno. Alcune assi, in particolare, sono state spaccate,
rendendo pericoloso il percorso per i bambini. Per questo i tecnici
della Circoscrizione 6, venuti a sapere del danneggiamento, avevano
messo in sicurezza il gioco, proteggendolo con una rete da cantiere.
Il dondolo a molla, invece, era stato smantellato la scorsa
primavera. Risale ad alcuni anni fa, infine, la rimozione
dell'altalena. A intervenire, anche in questi due casi, era stata la
Circoscrizione. Non aveva proceduto con le riparazioni, era stato
chiarito a suo tempo, per mancanza di risorse.
«Il nostro ufficio tecnico sta elaborando, in questi giorni, il
bando di gara per la manutenzione dei giochi delle aree per bambini»
spiega Valerio Lomanto, presidente della Circoscrizione 6. Si
tratterà di un investimento di 25 mila euro, che non basterà per
riparare i tre giochi del giardino in strada San Mauro. Con questi
fondi, infatti, la Circoscrizione metterà mano a tutti gli attrezzi
danneggiati sul proprio territorio. «La nostra Circoscrizione – dice
Lomanto – è tra le più colpite, i fondi che ci destina il Comune
sono insufficienti
18.09.24
GLI ERRORI CHE AVEVO PREVISTO E DETTO A VOLKSWAGEN NEL 2008:
(ANSA) - I vertici della
Volkswagen potrebbero decidere la chiusura di stabilimenti anche
senza passare dal voto del Consiglio di sorveglianza e con essa
aprire la strada al taglio di oltre 15.000 posti di lavoro. Lo
afferma un report di Jefferies ripreso da Bloomberg.
Secondo gli analisti in passato i vertici la casa automobilistica
tedesca sono stati frenati dal Consiglio nei progetti di
ristrutturazione, ma oggi la mossa potrebbe mettere pressione sui
sindacati, che vorrebbero trattare immediatamente sulle ipotesi di
chiusura di stabilimenti in Germania, cosa mai avvenuta finora nella
storia della Volkswagen.
Secondo il report, i sindacati possono scioperare per questioni
salariali ma non potrebbero farlo sulla chiusura di stabilimenti, a
meno che questo non sia previsto contrattualmente.
17.09.24
Il centrodestra firma l'accordo distruttivo con Bandecchi Arianna
Meloni: in Emilia miracolo possibile Fratelli d'Italia e il centrodestra si lanciano nella corsa
verso le Regionali. A partire dalla costa romagnola, dove Arianna
Meloni, capo segreteria politica di FdI, dà il via al suo tour
elettorale. Dopo l'intervento alla festa di Lido degli Estensi, è il
momento del pranzo con i militanti al Grand Hotel di Cesenatico. Ad
attenderla, circa 300 sostenitori. E lei, accanto alla candidata
civica Elena Ugolini, fa arrivare il suo sostegno a tutta la
comunità locale del partito coinvolta nel forcing elettorale. «Se
andiamo casa per casa e raccontiamo la nostra storia e quello che
stiamo facendo, - dice in un passaggio del suo discorso durante il
pranzo - in Emilia-Romagna il miracolo si può fare». Poco dopo il
suo intervento, i responsabili dei partiti di centrodestra
annunciano un «accordo politico nazionale» con Alternativa Popolare
di Stefano Bandecchi, sindaco di Terni. «Grazie a questa intesa -
spiegano - Ap porterà il proprio contributo per le prossime
regionali in Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna». Si allarga così il
perimetro della coalizione di centrodestra, che nelle tre Regioni al
voto parte da un vantaggio di due a uno. E la sorella della premier,
scelta da FdI come "frontwoman", non lascerà nessun territorio fuori
dall'agenda. Ai militanti romagnoli, assicura: «Tornerò».
Luigi Bisignani
"Meloni ha problemi con i Servizi ma io non c'entro niente"
FRANCESCO OLIVO
ROMA
L'uomo che sussurrava ai potenti oggi è a Eurodisney con i nipoti.
Ma Luigi Bisignani, ex giornalista, lobbista, sempre al centro di
reti di relazioni, ha letto su La Stampa che da Palazzo Chigi vedono
la sua mano dietro una serie di trame ostili e vuole dire la sua
tornando da Parigi.
Bisignani, c'è lei dietro ai complotti così temuti da Palazzo Chigi?
«Questa cosa mi fa molto ridere».
Nel governo ridono meno. Ci sono episodi inquietanti.
«Chi è stato vittima di un complotto sono io e il mio collega Paolo
Madron».
Un complotto di Meloni contro di lei e perché mai?
«Io e Madron nella primavera del 2023 abbiamo pubblicato un libro, I
Potenti ai tempi di Giorgia, che racconta, tra l'altro, una serie di
cose sulle persone vicino a Giorgia Meloni. Il saggio è andato bene,
per primi abbiamo parlato del mercato delle intercettazioni, ma ce
ne hanno fatte di tutti i colori».
Cosa le hanno fatto?
«Le faccio degli esempi. Avevamo in programma una presentazione ad
Avellino con il ministro Matteo Piantedosi e un'altra a Capalbio con
Guido Crosetto, entrambe sono saltate all'ultimo per un diktat
partito da Palazzo Chigi. Rainews24 mi ha fatto una lunga
intervista, ma non l'hanno mandata in onda. Silenzio assoluto anche
su Mediaset».
Non è che lei ha il dente avvelenato con Meloni perché per la prima
volta un governo non le dà retta?
«Lei crede che io abbia tutta questa voglia di accreditarmi con
queste persone?».
Il dubbio può sorgere.
«Guardi io sono andreottiano e tengo molto alla mia autonomia. Poi
certo, nei palazzi ho delle fonti che mi raccontano delle cose e
questo, immagino, non piace a Meloni che vorrebbe controllare
tutto».
Ogni volta che si parla di nomine esce il suo nome, stavolta però,
come ha detto Meloni «affaristi, lobbisti e compagnia cantante con
noi non stanno passando un bel momento».
«Ma lei ha visto chi hanno messo nelle partecipate? Francamente non
farei una bella figura ad essere associato a certe figure, con le
dovute eccezioni».
Ci vuole dire che non ha mai chiesto un appuntamento alla premier o
al sottosegretario Fazzolari?
«Mai».
Nessun contatto con Meloni?
«Ci scambiavamo dei messaggi in passato, ma poi non ho avuto
contatti. Io peraltro ho una buona opinione di Meloni, ne apprezzo
il percorso e mi è simpatica. Solo che questa sindrome di
accerchiamento la porta ad arroccarsi. Lei vede che non sorride
più?».
Forse è anche colpa sua…
«So che aver scritto di Andrea Giambruno prima che l'ex compagno
della premier diventasse un personaggio noto non mi ha giovato. Nel
nostro libro abbiamo rivelato che scriveva su Il Tempo commenti
politici con uno pseudonimo».
Cosa pensa di quello che ha raccontato La Stampa, strani furti,
timori di complotti...
«Meloni ha una passione sfrenata per i Servizi, quasi un'ossessione,
come tutti i neofiti di Palazzo Chigi legge con grande attenzione i
report che le finiscono sul tavolo al mattino. Ma se ti impicci
troppo poi finisci per essere vittima di quelle veline che i Servizi
scrivono con finalità autoreferenziali».
Non è che è un altro dei suoi pizzini?
«Al contrario: lo dico per lei. Giorgia dovrebbe volare più alto.
Invece vedo che c'è un problema con i Servizi».
Come fa a dirlo?
«Mi limito a osservare. La vicenda di Maria Rosaria Boccia è
emblematica: quella signora era conosciuta da molti, erano anni che
girava in Parlamento, i Servizi avrebbero dovuto avvisare la
presidente del Consiglio e forse le avrebbero evitato alcune brutte
figure, come quando ha difeso Sangiuliano o ha aspettato vari giorni
per cacciarlo».
Nel retroscena pubblicato da La Stampa si cita una voce che circola
negli ambienti di Palazzo Chigi: lei agirebbe di concerto con l'ex
agente segreto Marco Mancini e l'ex premier Matteo Renzi. È così?
«Figuriamoci».
Conosce Mancini?
«L'ho conosciuto anni fa, ma non lo vedo né lo sento da molto
tempo».
E Renzi?
«Il mio libro I potenti ai tempi di Renzi non gli piacque affatto.
Poi con il passare degli anni il rapporto è molto migliorato».
Con Crosetto parla?
«Con lui sì. Con tutti gli ex dc ho un rapporto».
Cosa pensa della vicenda del dossieraggio e delle sue accuse all'Aise?
«In un Paese normale dovrebbero dargli una medaglia: ha denunciato
lo scandalo del dossieraggio. E invece dicono che è colpa sua:
incredibile». —
Castellitto si difende: "Sto lavorando gratis do fastidio perché
smuovo acque stagnanti"
Claudia Catalli
Quando si accetta un incarico di responsabilità si mettono in conto
le critiche. Forse però Sergio Castellitto, presidente del Centro
Sperimentale di Cinema, non si aspettava «la raffica di attacchi
subiti in questi giorni». Quelli di Grimaldi, vicepresidente di
Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera e dei 5stelle, a cui ha
risposto in una lettera al Corriere della sera. «Sono
sistematicamente attaccato solo perché sto cercando di fare ordine e
probabilmente ho smosso acqua stagnante da molti anni. Nella vita ho
incontrato conflitti e armonie ma combatterò sempre la ferocia
travestita da indignazione. Lavoro con tutto il mio impegno a titolo
completamente gratuito. E questo non l'ho mai visto scritto da
nessuna parte».
Nega di aver licenziato i 17 lavoratori: «Questi collaboratori,
verso i quali ho il massimo rispetto, avevano un contratto a tempo
determinato, per un progetto di digitalizzazione, in scadenza a
luglio». Sul dirigente Stefano Iachetti specifica: «Con
un'iniziativa autonoma ha inviato un contratto di assunzione a i 17.
Decisione che spetta solo al direttore generale dietro approvazione
del Cda e del presidente, che devono rispettare bandi di selezione e
verificare se la Fondazione abbia le coperture finanziarie». Dopo
l'apertura di un procedimento disciplinare, il cda ha preso
«all'unanimità» la decisione di rimuovere il dirigente «perché
venuto meno il vincolo fiduciario».
Sulle pellicole incendiabili: «La loro precarietà è un problema
sempre esistito, come testimoniano i molteplici incendi del passato.
Dopo l'ultimo episodio di giugno, ho adottato misure di vigilanza e
ottenuto dal ministero uno spazio idoneo all'interno del
Comprensorio militare polmanteo di Tor Sapienza». Risponde poi sulle
consulenze, ricordando che «tutti i presidenti che mi hanno
preceduto hanno assunto consulenti e avvocati di loro fiducia». I
contratti nuovi hanno sostituito i vecchi in scadenza: «Ho chiamato
lo studio di consulenza Kpmg che ha lavorato insieme ai dirigenti
interni e ai consulenti per ristrutturare il precedente piano del
Pnrr che era stato considerato inadeguato. Dopo mesi di lavoro
abbiamo ottenuto poche settimane fa il nullaosta del Mef sul nuovo
piano». Lo considera un successo: il Csc potrà beneficiare di oltre
25 milioni e mezzo di euro «da investire in formazione, eventi,
ristrutturazione urbanistica, tecnologia e attrezzature».
Non si tira indietro sul coinvolgimento di sua moglie Margaret
Mazzantini, che ha preso parte alla manifestazione Diaspora degli
artisti in guerra, in relazione all'incontro con David Grossman. Il
Csc aveva proposto un altro nome, ma «non c'è stato un accordo.
Mazzantini è stato nome gradito a Grossman, tra i due autori
esisteva una conoscenza pregressa». Nessun favore: «Ha percepito 4
mila euro lordi come tutti gli altri ospiti. Non svolge nessuna
attività di consulenza presso il Csc». Lui stesso, prosegue, ha
rinunciato a partecipare ai festival di Berlino e Cannes: «Ho
ritenuto superfluo il costo delle mie trasferte». Quanto a Venezia
ha rinunciato «alla camera a mia disposizione all'Hotel Excelsior e
deciso di soggiornare, con la mia famiglia, a Villa Gallo affittata
come base operativa del Centro Sperimentale». Scende in dettagli:
«All'inizio del mio mandato mi è stata consegnata una carta
corporate che ho usato per la prima volta a Venezia dopo quasi un
anno dall'insediamento, per il pagamento di 4 pasti singoli e 4
taxi-barca, per un totale di 731,50 euro. Molti trasferimenti li ho
fatti in vaporetto». Agli attacchi finora ha resistito «per amore
degli studenti», ma non sa per quanto ancora lo farà: «Resterò fino
a quando sarà necessario per ricomporre un clima di dignità e
indipendenza da qualsiasi strumentalizzazione. Anche in difesa di
tutti i docenti, dirigenti, dipendenti preparati e perbene che
lavorano da anni per rendere il Csc un'eccellenz
16.09.24
GIOVANNI ALBERTO AGNELLI MI AVEVA DETTO CHE A DIO NON CHIEDEVA NULLA
DI PIU' CHE LA PIAGGIO E VARRAMISTA ECCO PERCHE' E' IN PARADISO:
Si trova tra Firenze, Pisa e il mare ed è un vero
gioiello di instimabile valore storico e di rata eleganza. È la
tenuta appartenuta alla famiglia Agnelli-Piaggio, che è stata ora
messa in vendita. Si tratta di un luogo magico, immerso nel verde,
testimone storico e silenzioso del susseguirsi di tante epoche, che
ha custodito i segreti di grandi personaggi di spicco provenienti da
tutto il mondo. La proprietà è in esclusiva nel portfolio di Lionard
Luxury Real Estate, azienda leader in Italia nel settore immobiliare
di lusso, con asking price (prezzo richiesto) di 16 milioni di euro.
Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli
Si estende per oltre 400 ettari circondando la
meravigliosa villa padronale del XV secolo, per lungo tempo
residenza della famiglia Agnelli-Piaggio. Ma oltre alla villa c'è
molto di più. Svariati casali di cui quattro completamente
ristrutturati e tre dotati ciascuno di piscina privata. A questo si
aggiungono due cantine vinicole, una cappella privata, una limonaia,
alloggi per il personale e numerosi altri annessi e rustici, per una
superficie interna totale di oltre 14.500 metri quadrati.
La sua costruzione
tenuta di varramista agnelli piaggio 8
Fu progettata da Bartolomeo Ammannati, celebre
scultore e architetto della corte medicea che lavorò alla
trasformazione di Palazzo Pitti e alla realizzazione della Fontana
del Nettuno in Piazza della Signoria a Firenze. La villa fu
completata nel 1589 con la data impressa da alcune incisioni sul
tetto.
I terreni in cui sorge furono donati dalla
Repubblica di Firenze a Gino di Neri Capponi, come ricompensa per la
sua vittoria contro Pisa nel 1406, che ne divenne così
sovrintendente. Una posizione di potere che ben si esprime nella
maestosità e nelle dimensioni della villa padronale. […]
L'arrivo degli Agnelli
Negli anni '50 la proprietà fu poi acquistata da
Enrico Piaggio, secondogenito del fondatore di quella Piaggio che
stava rivoluzionando il mondo delle due ruote nel dopoguerra
italiano. La villa diventa la residenza di campagna di tutta la
famiglia: un luogo di relax e svago, con maneggio privato.
Antonella Bechi Piaggio Umberto Agnelli
Anche in questo caso, la magione ospita
grandissimi personaggi di spicco, dal marchese e stilista Emilio
Pucci di Barsento, l'attore Marcello Mastroianni, il conte Clemente
Zileri dal Verme degli Obbizi e la contessa Franca Spalletti
Trivelli. Fu proprio qui che vennero celebrate le nozze tra
Antonella Bechi Piaggio duchessa Visconti di Modrone e Umberto
Agnelli, fratello dell'Avvocato Gianni Agnelli e nipote del
fondatore della FIAT.
Gli anni '90
Giovanni Alberto Agnelli, negli anni '90 la
scelse come residenza, avendo per quel luogo del cuore una vera e
propria passione. Fu proprio grazie a questo amore che in quel
periodo comincia la la riconversione dei vigneti, che eleggono il
Syrah a vitigno d’eccellenza della tenuta, e l'affinamento del
processo di produzione dei suoi vini pregiati. Qui festeggia anche
il suo matrimonio con Frances Avery Howe nel 1996.
I giardini
tenuta di varramista agnelli piaggio 7
Un favoloso giardino all’italiana impreziosisce
lo spazio di fronte alla villa e dà accesso alla limonaia con
adiacente struttura suddivisa in quattro appartamenti per il
personale. Dalla villa storica un sentiero di siepi porta alla
cappella privata consacrata, circondata dal verdeggiante giardino
dietro al quale sono presenti un labirinto e un campo da tennis.
I 25 ettari di giardino sono arricchiti da
camelie japoniche, macchie di bambù e numerose piante centenarie tra
cui un maestoso platano dal tronco largo sei metri. Il giardino
ospita inoltre un laghetto naturale e un ippodromo. Dei numerosi
casali, tre sono immersi tra i vigneti e finemente ristrutturati in
stile rustico tipico della campagna toscana. I casali sono composti
da un corpo principale, il fienile e 3 piscine, contando un totale
di 13 appartamenti ognuno con accesso indipendente. […]
I PADRONI DELL'ECONOMIA NON PAGANO MAI LE TASSE:
La Corte Europea il 10 settembre ha condannato Apple per evasione
fiscale. L’azienda di Cupertino, la cui sede europea è in Irlanda,
tra il 2003 e il 2014 non ha pagato 13 miliardi di euro di tasse
grazie a uno speciale accordo fiscale col Paese. A ottobre 2021, per
frenare le mosse di elusione delle tasse da parte delle
multinazionali, su iniziativa dell’Ocse, dell’amministrazione Biden
e della Ue, 139 Paesi (a cui se ne sono aggiunti poi altri otto)
hanno firmato un accordo che prevede un meccanismo più stringente,
al fine di costringere queste società a versare almeno una quota
minima a partire dal 2023. Vediamo di cosa si tratta e cosa è
successo da allora in poi.
Perché le multinazionali pagano poco
Il gioco per pagare meno tasse si chiama «Base Erosion and Profit
Shifting» e consiste nello spostare i profitti in Paesi a tassazione
ridotta o nulla. Si tratta, per lo più, di azioni legali e, proprio
per questo, difficili da contrastare.
Basta, ad esempio, stabilire la sede fiscale dove le tasse sono più
basse, oppure fatturare in un Paese estero con fiscalità agevolata o
ancora utilizzare il «transfer pricing», le transazioni economiche
(spesso fittizie) all’interno di un gruppo multinazionale (come
prestiti, cessione di marchi o brevetti, servizi assicurativi), il
tutto gestito da una controllata che ha sede in un paradiso fiscale.
I più gettonati fino ad oggi sono Porto Rico, Panama, Andorra,
Lichtenstein, Svizzera, Monaco, Bahrein, Seychelles, Mauritius, i
Territori d’Oltremare del Regno Unito e i centri offshore asiatici
(Hong Kong, Singapore, Macao). E poi ci sono i nemici casalinghi,
quelli nel cuore dell’Europa come Irlanda, Lussemburgo, Cipro, Paesi
Bassi, Belgio, Ungheria, Bulgaria.
Colossi dell’economia mondiale come Apple, Pfizer, Microsoft,
General Electric, Ibm, Johnson & Johnson, Cisco System, Google,
Nestlè, Stellantis, Volkswagen che nel 2022, secondo i calcoli
dell’Osservatorio Ue sulle tasse, hanno realizzato utili mondiali
per 16.000 miliardi di dollari di cui 2.800 al di fuori del Paese
dove ha sede la multinazionale […]
Di questi 2.800 miliardi il 35%, circa 1.000 miliardi, sono stati
spostati verso i paradisi fiscali. Con questi meccanismi, secondo i
calcoli dell’Osservatorio Ue sulle Tasse, dal 2015 al 2020 in Italia
per esempio le multinazionali hanno evitato di pagare tasse per
quasi 37 miliardi di euro.
I due «pilastri» della global minimum tax
Il sistema di contrasto elaborato nel 2021 prevede due misure: 1)
una nuova imposta minima del 15% applicabile a tutte le
multinazionali con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di
dollari in tutti i Paesi che hanno firmato l’accordo (definito
«Pillar two»); 2) un meccanismo di ripartizione degli utili verso i
Paesi dove le multinazionali vendono i loro servizi: le aziende con
fatturati superiori ai 20 miliardi di euro dovranno ridistribuire
una quota dell’utile eccedente il 10% nei Paesi dove effettivamente
hanno venduto i lori beni e servizi, e dove sarà tassato dal fisco
locale. Questo secondo principio coinvolge soprattutto le big tech
[…]
Cosa succede oggi
Facciamo alcuni esempi concreti. In Italia la principale tassa per
le aziende è l’Ires che ha un’aliquota del 24%, ma non è dovuta se
si hanno risultati negativi. Fca Italy nel 2022 ha fatturato nel
nostro Paese 24 miliardi di euro, con un passivo di 375 milioni e
pertanto non ha pagato alcuna Ires (ed è così dal 2019). Gli utili,
lo stesso anno, li ha fatti invece la capofila Stellantis: 23,3
miliardi su 179,6 di ricavi, che ha però sede in Olanda dove le
tasse per le società, grazie a meccanismi di sgravi e detrazioni,
scendono fino al 2,5%.
Nel 2023 Google ha registrato un fatturato globale 307,4 miliardi di
dollari di cui quasi la metà negli Stati Uniti: 146,29 miliardi. Gli
utili sono stati di 85,72 miliardi e le tasse di 11,92 miliardi. Con
la global minimum tax il colosso di Montain View avrebbe pagato
almeno 12,86 miliardi.
A che punto siamo
Come abbiamo detto doveva entrare tutto in vigore nel 2023 e secondo
l'Ocse avrebbe generato un gettito fiscale aggiuntivo di 220
miliardi di dollari a livello mondiale. A condizione che il
meccanismo fosse applicato da tutti i Paesi coinvolti. Non è andata
così.
Per l’anno fiscale 2024, scrive l’Ocse, solo 45 Paesi hanno adottato
misure per implementare l'Imposta minima globale sugli utili delle
grandi imprese multinazionali. Ci sono Norvegia, Australia, Corea
del Sud, Giappone, Canada, Bermuda. C’è il Regno Unito che però non
potrà imporre nulla ai suoi territori d’oltremare (come Isole
Vergini, Cayman, etc) che fiscalmente sono autonomi.
Per l’Unione Europea la commissione ha diramato una direttiva nel
2022 (la 2523) che obbligava l’adozione delle nuove misure nel 2024:
19 Stati l’hanno fatto (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia,
Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia,
Ungheria, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Romania, Slovacchia,
Slovenia e Svezia), quattro hanno avuto il via libera a differirla
nel 2030 perché hanno meno di 12 multinazionali presenti (Estonia,
Lettonia, Lituania, Malta) e ad altri quattro è stata inviata una
lettera formale di messa in mora: Cipro, Portogallo, Polonia e
Spagna, anche se queste ultime due hanno pubblicato una bozza di
legge per il recepimento dal 2025.
Grandi assenti invece la Cina, che ha firmato l’accordo, e
soprattutto gli Stati Uniti che sono stati tra gli ispiratori della
misura.
Il Grande Assente: gli Stati Uniti
Grazie alla riforma Trump, dal 2018 le più grandi aziende americane
hanno pagato meno tasse. L’Institute on taxation and economic policy
(Itep) ha pubblicato a maggio un report secondo il quale, in seguito
alle modifiche fiscali del Presidente Trump, 296 grandi aziende
americane tra il 2018 e il 2021 hanno «risparmiato» oltre 250
miliardi di dollari di tasse e la loro aliquote fiscali effettiva è
scesa da una media del 22% al 12,8%.
Le grandi società che avevano pagato aliquote fiscali inferiori al
10% erano aumentate da 56 a 95. Alcuni esempi: Verizon ha registrato
un calo delle tasse di 10,7 miliardi, Walmart e AT&T entrambi di 9
miliardi, Meta di 8 e Intel di 7,7 miliardi.
Fin dalla sua elezione Biden aveva chiesto agli americani più ricchi
e alle grandi aziende di pagare la giusta quota, annunciando una
riforma.
Già da quest’anno l’aliquota sui redditi dei cittadini superiori a
400 mila dollari torna al 39,6% (Trump l’aveva abbassata al 35%) e
la tassazione sui redditi di impresa generati negli Stati Unti è
stata portata al 28% (Trump l’aveva tagliata al 21%), ma il vero
tema sono le deduzioni che permettono alle grandi aziende di
abbassare la loro quota di tasse sotto il 13%. Biden aveva promesso
di introdurre la global minimum tax al 15%, come previsto
dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto del Senato, che
controlla, e della Camera dei rappresentanti, in mano ai
repubblicani che invece sono contrari. Quindi addio global minimum
tax e addio redistribuzione degli utili (una parte consistente delle
grandi multinazionali ha sede proprio negli Usa). Almeno per il
momento. Deciderà il prossimo presidente.
Biden aveva promesso di introdurre la global minimum tax al 15%,
come previsto dall’accordo Ocse, ma per farlo ha bisogno del voto
del Senato, che controlla, e della Camera dei rappresentanti, in
mano ai repubblicani che sono contrari.
In Italia cambierà poco
In Italia l’introduzione della global minimum tax da quest’anno ha
cancellato la digital tax. L’allora ministro dell’Economia, Daniele
Franco, aveva spiegato che la sostituzione tra la vecchia e la nuova
imposta non avrebbe impattato sul gettito fiscale annuo delle big
tech, circa 250 milioni di euro.
Bisognerà capire, invece, cosa succederà con le multinazionali
italiane e straniere degli altri settori (Finmeccanica, Pirelli,
Generali, Unicredit, Stellantis, Bmw, Wolkswagen, Toyota etc) che,
adottando strategie di «tax planning» finora legittime, dichiarano
almeno una parte dei profitti all’estero. Secondo le stime
dell’Osservatorio Ue sulle tasse per l’Italia si parla di un
extragettito di oltre 6 miliardi di euro all’anno.
Dati puntuali sono contenuti nel report di Mediobanca, ma riguardano
solo le software e webcompanies. Dentro ci sono Adobe, Google,
Amazon, Booking, Microsoft, Meta, ma non Apple. Sono 26 aziende in
totale che, nel 2022, hanno fatturato nel nostro Paese 9,3 miliardi
di euro e hanno pagato tasse per 162 milioni, con un’aliquota del
28,3% rispetto agli utili dichiarati. Ma il tema è quello di
individuare i profitti effettivi e non quelli dichiarati.
Osservatorio tasse Ue: non è abbastanza
Anche quando il sistema andasse a regime, secondo l’Osservatorio Ue
sulle tasse «Non c'è una ragione chiara per cui le multinazionali
debbano pagare meno delle aziende nazionali di medie o piccole
dimensioni», scrive nel rapporto 2024. L’Osservatorio suggerisce due
misure: riformare l'accordo internazionale sulla tassazione minima
delle imprese per applicare un'aliquota del 25%, eliminando le
scappatoie che favoriscono la concorrenza fiscale, e introdurre una
tassa minima globale per i miliardari pari al 2% della loro
ricchezza.
E fa i calcoli: nel mondo ci sono 2.756 persone che hanno un
patrimonio personale miliardario che, sommato, vale 12.916 di
dollari. Oggi, per quel patrimonio, tutti assieme pagano 44 miliardi
di dollari di tasse: appena lo 0,34%. Con un’aliquota del 2% ne
pagherebbero 258.
Per avere un’idea: un anno di tasse dei miliardari mondiali al 2%
vale come dodici anni di aiuti europei per lo sviluppo dell’Africa.
Intanto accontentiamoci almeno del fatto che in Olanda, Irlanda e
Lussemburgo si paghi «almeno» il 15% e non più lo zero virgola, come
è stato fino a qualche mese fa.
LA LOGGIA UNGHERIA INVINCIBILE: Tra i 17 indagati il tenente Striano
e l'ex magistrato Laudati. Cantone: "Mercato di informazioni"
Vip e politici spiati da dentro l'Antimafia a Perugia l'inchiesta
che ha svelato il sistema
giuseppe legato
torino
Le indagini della procura di Perugia guidata dal magistrato Raffaele
Cantone scaturiscono da una denuncia presentata alla procura di Roma
dall'attuale Ministro della Difesa, Guido Crosetto, per alcuni
articoli di stampa pubblicati tra luglio e ottobre del 2022,
riportanti informazioni sensibili concernenti la propria posizione
reddituale.
I protagonisti
Gli accertamenti, in un primo momento delegati all'Arma dei
carabinieri, hanno consentito di accertare, attraverso l'analisi dei
log eseguiti sulla banca dati Anagrafe Tributaria (la principale
banca dati contenente le informazioni reddituali utilizzate
dall'editoriale che ha pubblicato gli articoli oggetto di denuncia),
l'effettuazione di accessi al sistema da parte del tenente Pasquale
Striano in date precedenti e, comunque, a ridosso dell'uscita degli
articoli di stampa. All'epoca dei fatti il tenente della Finanza,
principale indagato dell'inchiesta (in totale ne figurano 17 che
rispondono a vario titolo di accesso abusivo aio sistemi
informatici, rivelazione di segreto, abuso d'ufficio e falso), era
in servizio presso il cosiddetto "Gruppo S.O.S."(Segnalazioni
operazioni sospette) istituito presso la procura Nazionale Antimafia
e Antiterrorismo. In Via Giulia lavorava insieme al magistrato
Antonio Laudati, responsabile dell'unità Sos. Anche quest'ultimo
finisce nel registro degli indagati ed è questo il motivo per cui
l'indagine, da Roma, transita a Perugia che è quella competente per
le inchieste che coinvolgono i magistrati capitolini. Cantone si
coordina anche con Francesco Melillo, da maggio 2022 nuovo capo
della procura nazionale antimafia.
I vip nel mirino
Salta fuori che le ricerche effettuate da Striano – in ipotesi
d'accusa illecite - nelle banche dati della procura nazionale
antimafia sono migliaia. Tra queste figurano numerosi personaggi
della politica, del mondo dei vip, dei manager: dall'ex premier
Giuseppe Conte e la sua compagna, al ministro delle Infrastrutture
Matteo Salvini e a Matteo Renzi, dall'ex presidente della Juventus
Andrea Agnelli, fino a Fedez, Cristiano Ronaldo. Oltre a Guido
Crosetto e ai colleghi di esecutivo Adolfo Urso e Francesco
Lollobrigida.
Il sistema
Nell'inchiesta figurano indagati anche tre giornalisti del
quotidiano "Domani". L'accusa è di concorso in accesso abusivo al
sistema informatico con Striano. Cantone e Melillo, nel marzo
scorso, vengono auditi presso la commissione parlamentare antimafia
e dal Comitato per la sicurezza della Repubblica. Il capo della Dna
ha definito l'inchiesta di Perugia una «terribile vicenda». Ha
aggiunto: «Per estensione e sistematicità, la raccolta di
informazioni che è attribuita a Striano ha caratteristiche che
difficilmente ricorrono a iniziative individuali. Se esiste un
perimetro di responsabilità più ampio lo scoprirà la procura di
Perugia». L'audizione di Cantone è invece durata circa tre ore: il
capo dei pm di Perugia ha definito un «verminaio» quanto emerso
dalle indagini. Parlando di un «mercato delle informazioni
riservate», che non si sarebbe arrestato neanche dopo le prime
notizie sull'inchiesta. Nel merito dell'inchiesta ha definito
"mostruoso" il numero di accessi sulle banche dati, ringraziando
infine il ministro Crosetto che con la sua denuncia ha dato il via
all'indagine.
La richiesta di arresti
Nelle scorse settimane Cantone ha chiesto gli arresti domiciliari
per Striano e Laudati che sono state respinte dal gip che - pur
condividendo i gravi indizi nel merito - non ha ravvisato la
sussistenza di esigenze di custodia cautelare. Pende Appello al
Riesame proposto dai pm di Perugia: l'udienza si celebrerà il
prossimo 24 settembre. Con quel documento – e con atti inviati alla
commissione parlamentare antimafia – si è materializzata parziale
discovery sugli atti di indagine.
Da questi sono emersi rapporti tra Striano e membri dei Servizi
segreti sui quali la procura di Perugia sta approfondendo. Un uomo
degli apparati di sicurezza è indagato in concorso con il tenente
per aver chiesto – e ottenuto – informazioni su un Monsignore che
aveva avuto ruoli di rilievo in passato nella Segreteria di Stato
vaticana.
L'ECONOMIA PIEMONTESE E' AL COLLASSO : L'indagine di
Unioncamere: regge il tessile e il comparto alimentare
Battuta d'arresto per l'export piemontese "Tessuto produttivo messo
a dura prova"
Battuta d'arresto per l'export piemontese che nel primo semestre del
2024 ha registrato un valore delle merci esportate pari a 31,4
miliardi, in calo del 4,6% rispetto all'analogo periodo del 2023. La
contrazione del 2,1% segnata già nel primo trimestre, ha visto un
ulteriore calo vendite oltre confine nel periodo aprile-giugno 2024
(-6,8%), secondo i dati diffusi dal centro studi di Unioncamere
Piemonte. Nello stesso periodo il valore delle merci importate è
stato pari a 23,7 miliardi, il 10,2% in meno rispetto al semestre
gennaio-giugno 2023, portando il saldo della bilancia commerciale
regionale a +7,7 miliardi di euro, +6,5 sull'anno precedente. In
questo contesto, il Piemonte si conferma la quarta regione
esportatrice, con una quota pari al 9,9% dell'export nazionale, pur
avendo registrato un risultato complessivamente più negativo del
dato nazionale (-1,1%).
A pesare la crisi dell'auto. I mezzi di trasporto rappresentano,
anche nel periodo gennaio-giugno 2024, il settore più rilevante per
il commercio estero piemontese, generando poco meno di un quarto del
totale delle esportazioni (23,2%). «Il dato ci impone una
riflessione attenta e profonda. È evidente che il contesto economico
internazionale stia mettendo a dura prova il nostro tessuto
produttivo. Nonostante questo scenario sfavorevole, il Piemonte
dimostra una certa resilienza, grazie alla buona performance dei
settori alimentare e tessile. Questi comparti, storicamente legati
al nostro territorio, confermano la loro vitalità e la capacità di
adattarsi ai cambiamenti del mercato globale. È però necessario
mettere in campo azioni immediate e coordinate per sostenere le
imprese piemontesi, in particolare quelle più esposte alla crisi»
afferma Gian Paolo Coscia, presidente di Unioncamere Piemonte.
PERCHE' TUTTO CIO' ?I lavori, da programma, andranno avanti per
quindici mesi : si parte con la riqualificazione della cascina
Malpensata , poi le attrezzature sportive
Meisino, domani tornano camion e ruspe Gli operai saranno scortati
dalla Digos
pier francesco caracciolo
Dopo un fine settimana di riposo, domani mattina gli operai
torneranno nel parco del Meisino. Lo faranno intorno alle 7,30, a
bordo di camion e ruspe. Si presenteranno nel polmone di Sassi per
proseguire i lavori per la realizzazione di una cittadella dello
sport, avviati dieci giorni fa nel cuore del verde. Saranno scortati
dalla Digos, come accade dal giorno dell'apertura del cantiere. A
monitorare il loro lavoro promettono di esserci anche alcune decine
di attivisti e contestatori dell'opera, che dalla posa del primo
jersey presidiano quotidianamente, da mattina a sera, l'area del
cantiere.
I lavori, da programma, andranno avanti per quindici mesi. Salvo
rallentamenti, insomma, si chiuderanno alla fine del 2025. In questo
lasso di tempo, al Meisino, gli operai realizzeranno quattro tipi di
interventi. Riqualificheranno la cascina Malpensata, in stato di
abbandono da vent'anni; installeranno venti attrezzature sportive in
altrettanti punti del parco, comprese tre aree giochi e due per il
fitness; renderanno più fruibile l'area «umida», oggi visitabile
solo in condizioni precarie; costruiranno una passerella
ciclopedonale, così da rendere il parco accessibile anche ai
disabili.
Si tratta di un progetto da 11,5 milioni, fondi l Pnrr. Coinvolge,
stando alle planimetrie, un'area di 393 mila metri quadrati (dato
riportato sul sito Torino Cambia). Il parco del Meisino, nel
complesso, è ampio 450 mila metri quadri (dato riportato sul sito
del Comune). Tradotto: l'87 percento del polmone di Sassi sarà
interessato dal progetto. Eppure la Città assicura da sempre che il
piano d'intervento coinvolgerà un'area di parco pari al 10 percento
del totale. La discrepanza nasce dal fatto che le diverse
attrezzature, prese singolarmente, occuperanno superfici minime.
Saranno distribuite, però, su un'amplissima fetta di parco.
Il progetto prevede la nascita di un «Centro per l'educazione
sportiva ed ambientale». Così viene definito, sul proprio sito, dal
Comune. La sede operativa sarà la cascina riqualificata, a più
riprese occupata abusivamente negli ultimi decenni. Ospiterà
attività didattiche, sportive e ambientali rivolte soprattutto alle
scuole, dalle materne alle superiori. Sarà dotata di una sala
riunioni, di una segreteria, di bagni e spogliatoi, di una piccola
area ristoro con distributori automatici. All'interno, inoltre,
ospiterà un punto informativo per la ciclovia Eurovelo 8 e Vento. A
gestirla, quando sarà pronta, sarà una fondazione controllata dal
Comune (non un privato, dunque).
Tutto intorno sorgeranno le attrezzature sportive, nessuna ancorata
al terreno. Su di esse sarà possibile praticare dodici discipline
sportive: arrampicata sportiva (lead e boulder), corsa campestre,
tiro con l'arco, orienteering, disc golf, ciclocross, mountain bike,
pump track, skiroll, biathlon, cricket, fitwalking cross. Le piste
di pump track e skills bike, chiarisce il Comune, saranno realizzate
mediante la collocazione di pedane in legno. La pista di ciclocross,
invece, con la sistemazione dei tracciati esistenti.
E il verde? Il Comune ipotizza di abbattere 200 alberi. Saranno
scelti in base alle condizioni di stabilità, ma non solo. Saranno
rimossi anche dove sarà necessario inserire attrezzature sportive,
come passerelle o pedane. Per bilanciare l'effetto del
disboscamento, arriveranno mille piante in più. Nel dettaglio, 600
alberi più 400 arbusti, tutti autoctoni: saranno messi a dimora nei
filari e nei prati alberati.
LA DISTRUZIONE PIEMONTESE CONTINUA: la petizione on-line ha toccato
quota 10 mila adesioni
"La riserva naturale sarà devastata" In 200 per dire no al nuovo
complesso
In 200 per dire no alla cittadella dello sport progettata dal Comune
nel parco del Meisino. Tanti sono stati i partecipanti alla
manifestazione di protesta tenutasi ieri, dalle 15 alle 18, nel
quartiere Sassi. Partiti da piazza Modena, hanno sfilato in corteo
fino all'area di cantiere, allestita da dieci giorni nel cuore del
polmone nella periferia Nord-Est di Torino. Un serpentone composto
dai cittadini del comitato «Salviamo il Meisino», che da un anno e
mezzo si battono contro il progetto, e non solo.
Con loro residenti in zona, ambientalisti, attivisti dei centri
sociali, qualche politico. Tutti convinti che il piano del Comune
avrà l'effetto di una «devastazione» per il Meisino. «Danneggerà
irrimediabilmente una riserva naturale ricchissima di biodiversità»
spiega Bruno Morra, esponente del comitato. Le strutture pianificate
dalla Città, secondo chi contesta, trasformeranno il parco in
un'«area giochi» all'aperto, che sconvolgerà un ecosistema abitato
da migliaia di animali.
Tra questi, oltre duecento specie di uccelli, che da anni nidificano
al Meisino, e animali anfibi, attratti dalle aree paludose del
parco. E poi ancora «volpi, ricci, tassi» sottolinea Roberto
Macario, veterinario. «Per realizzare il progetto il Comune taglierà
centinaia di alberi» aggiunge Roberto Accornero, uno degli
attivisti.
Ieri la petizione on-line contro il progetto, lanciata a novembre
2022, ha toccato quota 10 mila adesioni. Lunedì scorso una trentina
di attivisti, per tre ore, avevano bloccato gli operai diretti al
cantiere. Un'operazione di ostruzionismo che, in quel caso, si era
risolta con lo sgombero da parte degli agenti della Digos e della
polizia. Anche nei giorni successivi gli attivisti avevano
presidiato l'area dei lavori, scortata dalla Digos. Una
contestazione che domattina proseguirà: l'appuntamento è alle 6,30
al parcheggio delle Cento Lire. Sarah Di Sabato e Alberto Unia,
consiglieri regionali grillini, presenti al corteo, annunciano
invece un'interrogazione ad hoc: sarà depositata nelle prossime
settimane.
15.09.24
Direttore licenziato, polemica alla Cineteca "E il Centro aumenta
spese e consulenze" Eleonora Camilli
Roma
Licenziato in tronco, dopo 41 anni di servizio e alla soglia della
pensione. Non nasconde l'amarezza, Stefano Iachetti, direttore
amministrativo della Cineteca nazionale. Ieri, nel giorno del suo
62° compleanno, ha ricevuto la lettera che formalizza la fine del
rapporto di lavoro col Centro sperimentale di cinematografia,
presieduto dall'attore e regista Sergio Castellitto. E Avs attacca:
scelte anti-sindacali e «spese inopportune».
Al centro della vicenda c'è un contenzioso legato al futuro
professionale di 17 collaboratori. Iachetti annuncia già una
battaglia legale: «Contesterò il provvedimento e lo impugnerò, il
mio avvocato Pierluigi Ferrari è già al lavoro» spiega. «La mia
colpa è solo aver voluto preservare il personale qualificato,
entrato nella struttura attraverso una selezione pubblica. Figure
che noi abbiamo formato e che avevano il contratto in scadenza lo
scorso 31 luglio. Mi sono preoccupato di non mandarle via,
sensibilizzando i vertici del Centro, la direttrice generale, il
presidente e il conservatore. Senza avere risposte».
L'ex dirigente spiega di aver «solo» mandato delle mail ai
lavoratori con i moduli da compilare, visto che i tempi erano
stretti: «Avrei poi atteso l'eventuale autorizzazione per veicolare
le proposte di contratto». Ma questa mossa è stata considerata
impropria, come se Iachetti avesse voluto scavalcare il Cda. E così
è arrivato il licenziamento per giusta causa. Un provvedimento che
suona particolarmente amaro all'indomani del prestigioso premio
ricevuto a Venezia per il restauro di "Ecce Bombo". E il caso ora
diventa anche politico. Il vicepresidente di Alleanza Verdi e
Sinistra, Marco Grimaldi, ha annunciato un'interrogazione al neo
ministro della Cultura Alessandro Giuli. E attacca direttamente il
presidente del Centro per la stretta sul personale a fronte di una
mano assai più leggera sulle proprie note spese: «Castellitto
licenzia Iachetti, che ha svolto un ruolo importante nella difesa
dei lavoratori precari. Ossia si libera di un dipendente che lavora
da 40 anni nel Centro sperimentale di cinematografia e ha avuto il
coraggio di sostenere i 17 collaboratori lasciati a casa, gli stessi
che hanno fatto fare al Centro il salto di qualità
nell'informatizzazione e nella digitalizzazione». Tagli a senso
unico, incalza Grimaldi, perché mentre riduce il personale «il
Centro aumenta consulenze, avvocati, nuovi fedeli e spese
inopportune come quelle fatte a Venezia».
Approfondimenti dell'Autorità anticorruzione sulla società
controllata dal ministero del Turismo Nel mirino i contributi alla
corsa rosa, alle Olimpiadi invernali del 2026 e al concerto de Il
Volo
Santanché e i guai dell'Enit Il faro Anac sui soldi al Giro e sui
viaggi in Cina e a Parigi
niccolò carratelli
grazia longo
roma
C'è una storia che racconta bene come Daniela Santanché sia sempre
più ai margini del governo Meloni. Al punto che nessuno, nella
maggioranza di centrodestra, si dispererà se, tra meno di un mese,
la ministra del Turismo dovesse essere costretta a dimettersi perché
rinviata a giudizio per il caso Visibilia e l'accusa di truffa
aggravata all'Inps sulla cassa integrazione Covid. È una storia
ambientata dentro l'Enit, che un tempo era l'Ente nazionale del
turismo e, da pochi mesi, è diventata una società in house del
ministero. Con l'obiettivo, proclamato dalla stessa Santanché, di
essere «il braccio operativo nell'attuazione delle politiche di
promozione del made in Italy nel mondo».
In realtà, fin qui, l'Enit Spa ha collezionato soprattutto indagini
e accertamenti da parte della Corte dei conti e dell'Autorità
anticorruzione. Azioni avviate sulla base di segnalazioni di cui non
è stata esplicitata la provenienza, ma che vanno inquadrate in un
clima di scontro latente all'interno di Enit, dove l'amministratrice
delegata, Ivana Jelinic (ex Fiavet), scelta da Santanché, è ai ferri
corti con la presidente, Alessandra Priante (in passato all'Onu),
voluta da Giorgia Meloni in persona. Secondo le voci più maliziose,
messa lì per controllare la gestione della società, forse per una
fiducia non proprio granitica nell'operato della ministra e dei suoi
dirigenti. A questo bisogna aggiungere il fuoco amico contro
Santanché, le critiche sulla gestione di Enit arrivate dagli alleati
di governo, in particolare da Forza Italia, con il deputato
Francesco Maria Rubano che ha annunciato (ma non ancora depositato)
un'interrogazione parlamentare, per ottenere chiarimenti sulle
iniziative dei magistrati contabili e degli esperti
dell'anticorruzione.
Se i primi si sono concentrati su aumenti di stipendio sospetti o
rimborsi poco chiari a vantaggio di dirigenti o componenti del cda
della società, l'Anac ha chiesto spiegazioni su consulenze e
collaborazioni esterne, finanziamenti e sponsorizzazioni di eventi,
ma anche su alcuni viaggi all'estero a cui ha partecipato Santanché
con i suoi collaboratori. A inizio luglio l'Autorità ha inviato una
richiesta scritta per ottenere spiegazioni sulla «natura dei servizi
conferiti ai vari professionisti» e «sulle modalità seguite
nell'individuare il professionista incaricato». La lente
d'ingrandimento della Guardia di finanza, delegata dall'Anac, si
fissa anche su un viaggio in Cina di esattamente un anno fa, dal 17
al 24 settembre 2023, con una piccola delegazione di imprenditori e
diplomatici al seguito della ministra. Una settimana, con tappa
anche a Seul in Corea, costata in tutto 155 mila euro. Non è l'unica
trasferta su cui sono stati chiesti approfondimenti: c'è anche
quella del gennaio 2023 a Parigi, per promuovere il nostro turismo
termale. Quindi, le sponsorizzazioni, come quella da 7 milioni per
le Olimpiadi invernali di Cortina 2026 o quella per il concerto de
Il Volo nella Valle dei Templi di Agrigento: 150mila euro per uno
spettacolo che verrà trasmesso in tv anche negli Stati Uniti (a
Natale, pur essendo stato girato ad agosto). O, ancora, quella per
il Giro d'Italia, con un contributo di 3 milioni e 300mila euro a
Rcs sport&events.
Da Enit spiegano di aver risposto a tutti i rilievi di Anac,
fornendo la documentazione necessaria a provare la regolarità delle
varie operazioni. Sottolineano come «per le Olimpiadi invernali
sarebbe curioso se non attivassimo la sponsorizzazione», mentre «il
Giro d'Italia è sempre stato finanziato, anche con altri vertici e
altri governi». Da quanto risulta, però, prima del governo Meloni la
sponsorizzazione massima era stata di 2 milioni e 600 mila euro. Il
sospetto, che anima l'indagine, è che Enit venga usata dalla
politica un po' come bancomat, per foraggiare amministrazioni locali
amiche e territori elettoralmente sensibili. Ci sono, infatti, tanti
contributi più ridotti, come quello al festival "Filming Italy" in
Sardegna o quello per la festa della macchina di Santa Rosa a
Viterbo.
Negli uffici dell'Anac stanno esaminando tutti i documenti, per la
conclusione dell'indagine potrebbero volerci settimane. Forse, a
quel punto, Daniela Santanché avrà già svuotato la sua scrivania al
ministero del Turismo.
La pena sarà convertita in lavori socialmente utili. La reazione del
Pd: "Nessun complotto, si ammette che i reati sono reali"
Toti patteggia 2 anni e un mese "Sono sollevato e amareggiato"
Marco Fagandini
Tommaso Fregatti
Matteo Indice
Genova
La svolta si è materializzata ieri mattina. Dopo giorni di colloqui
frenetici tra avvocati e magistrati, e qualche momento di tensione.
A sorpresa, nell'inchiesta sulle tangenti in porto e in Regione l'ex
presidente della Liguria Giovanni Toti ha chiesto di patteggiare una
pena per corruzione e finanziamento illecito ai partiti, i reati per
i quali era stato arrestato il 7 maggio scorso durate la retata
della Guardia di finanza. Il politico, contro ogni aspettativa e
dopo aver proclamato la propria innocenza e la voglia di affrontare
un dibattimento pubblico «per chiarire tutto», rinuncia a qualsiasi
difesa nel merito e al processo con rito immediato il cui inizio era
previsto per il 5 novembre. La Procura di Genova ha dato parere
positivo alla proposta di 2 anni e un mese da scontare con i «lavori
di pubblica utilità», sebbene l'ultimo via libera debba essere
concesso da un giudice, nel corso di un'udienza che sarà fissata
nelle prossime settimane sarà un giudice a dare l'ultimo via libera.
Il patteggiamento è l'istituto giuridico per il quale lo stesso
ministero della Giustizia, sul proprio portale, pone come
«presupposto» «l'implicita ammissione di colpevolezza da parte
dell'imputato».
Toti ribadisce di provare in questo momento «amarezza e sollievo»
per la conclusione della vicenda giudiziaria. Potrebbe chiudere le
sue pendenze convertendo i due anni in 1.500 ore di «lavori di
pubblica utilità», non potendo beneficiare della condizionale. E con
il pagamento del prezzo delle tangenti, circa 84.100 euro: è
ritenuto responsabile d'aver incassato mazzette dal Gruppo Spinelli
e dal manager Francesco Moncada, all'epoca dei fatti contestati
membro del consiglio di amministrazione del colosso della grande
distribuzione Esselunga. Come premesso la Procura, che in questo
modo vedrebbe confermato il proprio impianto accusatorio, ha dato
parere favorevole. Se questo scenario diventerà realtà, la Regione
Liguria, benché identificata dai pm come «parte offesa», non potrà
chiedere risarcimenti a Toti per via penale. Sull'ex presidente
regionale pende ancora l'accusa di voto di scambio per aver promesso
favori in cambio d'un pacchetto di preferenze alle Regionali 2020,
che lo avevano visto riconfermato alla guida della giunta ligure.
«Di fronte a questo finale credo appaia chiara a tutti la reale
proporzione dei fatti avvenuti e della loro conclusione - commenta
Toti, tramite il suo legale - Si pone fine alla tormentata vicenda
che ha pagato un'istituzione, oltre alle persone coinvolte, e che
lascia alle forze politiche il dovere di fare chiarezza sulle troppe
norme ambigue di questo Paese, dalle quali sono regolati aspetti che
dovrebbero essere appannaggio della sfera politica e non di quella
giudiziaria. Tutte le transazioni suscitano sentimenti opposti: da
un lato l'amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni
di innocenza, dall'altro il sollievo di vederne riconoscere una
buona parte».
Pronta la reazione del Pd che con la vicepresidente Chiara Gribaudo
chiosa: «Toti con il patteggiamento di oggi ha riconosciuto che non
c'è nessun complotto della magistratura e che i reati a lui ascritti
sono reali». Nessun accanimento: «Un metodo politico».
Al processo fissato per il prossimo 5 novembre non ci sarà quasi
certamente neppure Paolo Emilio Signorini, l'ex presidente di
Autorità Portuale ed ex amministratore delegato di Iren (poi
licenziato), anche lui arrestato il 7 maggio scorso. Come ampiamente
filtrato nei giorni scorsi, anche il manager, difeso dagli avvocati
Enrico e Mario Scopesi, ha depositato la sua proposta di
patteggiamento, con l'ok dei pubblici ministri. È l'unico dei tre
imputati tuttora in arresto, ai domiciliari. Chiuderà le sue
pendenze, se il giudice accoglierà la richiesta, concordando una
pena di 3 anni e 5 mesi di reclusione e la restituzione alla
giustizia di 104 mila euro, già sequestrati e che sarebbero
confiscati. Per il periodo corrispondente all'ammontare della pena
detentiva, sia Toti sia Signorini sarebbero poi sottoposti alle pene
accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e inibiti da
qualsiasi contrattazione con la pubblica amministrazione.
Diversa è la posizione di Spinelli, che al momento e in caso di
assenso del giudice ai patteggiamenti, risulta l'unico imputato al
processo fissato per il 5 novembre. «Alla luce della decisione di
Toti e Signorini - spiega Alessandro Vaccaro, che difende Spinelli
insieme ad Andrea Vernazza - siamo stati convocati dalla Procura,
che ci ha fatto una proposta di patteggiamento. Ci siamo riservati,
abbiamo tempo fino a lunedì per presentare l'istanza e decideremo
nelle prossime ore». La sensazione è che alla fine si arrivi a una
pena concordata pure per il terminalista, magari di poco superiore
ai 3 anni e accompagnata a una confisca di quasi 400 mila euro.
Chiudendo in poco più quattro mesi una delle più delicate e
importanti indagini degli ultimi anni in materia di corruzione.
Il Ros notifica i domiciliari a Gian Carlo Bellavia coinvolto nel
blitz sulla Torino-Bardonecchia Nel mirino degli investigatori i
rapporti con le potenti 'ndrine dei Greco, Agresta e Bonavota
Arrestato l'impresario dei boss "Li ha fatti entrare negli appalti"
Quarantottore fa il Ros dei carabinieri di Torino si è presentato a
casa dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia per eseguire a suo carico
gli arresti domiciliari così come stabilito dal Tribunale del
Riesame a fine luglio. L'accusa è pesante: concorso esterno in
associazione mafiosa contestata a partire dal 2021 e fino a oggi.
Il 21 maggio 1996 fu arrestato a seguito della rapina di 937 mila
franchi ovvero 855 milioni di vecchie lire messa a segno in danno
della Vierofin SA diColdrerio, Palazzo Pindo (Cantone del
Ticino).Tornato in Italia già nel 2001 iniziò la sua personale
scalata che lo porterà a entrare nelle grazie di Roberto Fantini
accusato a sua volta di agevolare l'ingresso dei boss di San Luca
nei cantieri Sitaf. Scrive il pm Valerio Longi titolare
dell'inchiesta che «Bellavia dispone di diverse società a lui
riconducibili in modo diretto e indiretto attraverso le quali nel
tempo trasferiva risorse acquisite dai principali clienti, Sitalfa
(concessionaria di Sitaf e responsabile dei lavori di manutenzione
dell'arteria) e Gruppo Cogefa, a soggetti appartenenti o contigui a
sodalizi di 'ndrangheta, pagando le relative fatture».
«Sul piano storico-oggettivo – si legge nel provvedimento di arresti
domiciliari- è emerso come per plurimi anni Bellavia, in qualità di
storico appaltatore gravitante intorno all'universo Sitaf/Fantini,
abbia consentito a mafiosi accertati e presunti, di inserire le
proprie imprese – sovente intestate a prestanomi - nelle commesse
ottenute nei settori della manutenzione stradale e dell'edilizia
(soprattutto per carpenteria e guardiania) grazie alle società dei
Fantini (Sitalfa e Cogefa) e della Mattioda (Simco), peraltro agendo
egli stesso mediante propri fiduciari e prestanomi». Ergo: «Ciò si è
tradotto in forme di costanti agevolazioni a favore della rete di
subappaltatori e fornitori occulti delle imprese con cui
l'imprenditore aveva rapporti diretti, ricevendo a sua volta altre
opportunità di ampliare il proprio business». Chi sarebbe stato
favorito "costantemente" da Bellavia è noto ai giudici: «In primo
luogo la ‘ndrina Greco, disarticolata e condannato in via definitiva
nel processo San Michele con inserimenti più sporadici di un
componente della famiglia Mandaradoni» di Moncalieri collegata alla
‘ndrina Bonavota egemone nella cintura sud di Torino. Ancora affari
avrebbe fatto Bellavia «coi Pasqua, in ipotesi d'accusa
articolazione di ‘ndrangheta spalleggiata dalle potenti famiglie
Nirta-Pelle di San Luca che bene si erano infilati nei subappalti
dell'autostrada A32» Torino-Bardonecchia. «Ma l'agevolazione più
costante e sistematica – scrivono i giudici - è emersa con
Gianfranco Violi, avamposto delle famiglie di Platì dislocate da 50
anni a Volpiano (già condannato a 5 anni in Appello per associazione
mafiosa nell'inchiesta Platinum) «con ruolo di collettore economico
della (potentissima ndr) famiglia Agresta con la quale mantiene la
piena condivisione degli interessi economici e criminali, attraverso
numerose società dallo stesso controllate molte delle quali
intestate fittiziamente a terzi». Infine: «Ciò si è tradotto in una
permeabilità di Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite
nonostante le plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan».
Inquieta dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni
presso alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore
edile che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui»
14.09.24
ERA ORA CHE VENISSSE FUORI: La Prefettura sul colosso dei cantieri
"Ci sono rischi di infiltrazione mafiosa" gianni giacomino
Un autentico tsunami potrebbe abbattersi sulla società Cogefa,
colosso imprenditoriale nel settore delle infrastrutture (dalla A32
Torino-Bardonecchia, alla A4 Torino-Milano, alla statale 23 di
Cesana, ai diversi viadotti sulle principali arterie piemontesi)
nata negli anni Settanta e – dal 2009 – importante contractor
nell'edilizia commerciale, residenziale e nel terziario del Nord
Ovest. Nelle scorse settimane la Prefettura di Torino, dopo un lungo
e articolato lavoro di analisi del gruppo interforze che svolge
controlli sui possibili condizionamenti mafiosi ha notificato a
Cogefa un documento che si potrebbe definire una sorta di avvio di
procedimento finalizzato a interdire la società dalla white list,
l'elenco delle aziende che possono lavorare in appalti assegnati in
regime pubblico o misto pubblico/privato. Motivo: secondo gli
analisti della Prefettura, investigatori di primo livello nella
lotta al crimine organizzato declinato sul versante economico,
insisterebbero rischi di infiltrazione della ‘ndrangheta che
potrebbe condizionare gli indirizzi strategici della società in
questione.
Quanto stiamo raccontando è strettamente – anzi unicamente –
collegato agli esiti dell'inchiesta Echidna, articolata indagine del
Ros dei carabinieri coordinata dalla Dda di Torino che nei mesi
scorsi ha portato a una serie di arresti e a svelare le
contaminazione di ditte ricollegabili all'organizzazione mafiosa di
origine calabrese nella manutenzione dell'autostrada A32
Torino-Bardonecchia. E tra i destinatari delle misure cautelari
concesse dal gip c'è anche Roberto Fantini, in passato (dal 2007 al
2020) amministratore della società Sitalfa controllata da Sitaf che
nei fatti gestisce come concessionaria la autostrada A32, che in
ipotesi d'accusa avrebbe permesso a una società indiziata di
gravitare nell'orbita della ‘ndrangheta (Autotrasporti Claudio di
Domenico Pasqua) di sovra-fatturare, lavorare nei subappalti legati
al movimento terra e di continuare a prestare i propri servigi anche
quando – all'incirca nel 2020 – la stessa Prefettura emise nei
confronti della società di Pasqua un'interdittiva antimafia. I
Pasqua sono finiti pesantemente nella rete dell'inchiesta della
procura e del Ros. Secondo gli atti sarebbero famiglia centrale
nelle dinamiche di ‘ndrangheta della provincia di Torino, con
epicentro a Brandizzo. I loro rapporti con le famiglie di èlite di
San Luca in Aspromonte (Nirta-Pelle) e di Volpiano (legate alla
roccaforte mafiosa di Platì) ne avrebbero accresciuto la caratura
criminale negli ultimi anni. E – sempre nella prospettiva di
inquirenti e investigatori – proprio grazie a Fantini sarebbero
riusciti a infiltrarsi in numerosi cantieri di manutenzione
dell'autostrada A32 Torino-Bardonecchia oltrechè – stavolta senza
Fantini – in appalti privati di edifici rinomati del centro di
Torino.
In questo quadro si inserisce l'iniziativa della prefettura su
Cogefa, capitale sociale pari circa a 10 milioni di euro, oggi
governata al 40% dalla società Fante srl della sorella di Roberto
Fantini, il restante 60% è in capo alla Fcv Holding è intestata ai
figli di Roberto Fantini.
Nell'ordinanza di custodia cautelare vengono ricostruiti anche i
rapporti tra il padre di Fantini, Teresio, fondatore di Cogefa nel
lontano 1973 e soggetti ritenuti problematici ai fini
dell'iscrizione nella white list. Come Antonino "Tonino" Esposito
che comparve sulla scena criminale ormai decenni fa quando venne
indagato e infine condannato per associazione a delinquere
finalizzata all'usura insieme a Rocco Lo Presti, un ras delle cosche
in Valsusa la cui iperattività (declinata sul versante criminale)
sul territorio concorse – insieme ad altre valutazioni – allo
scioglimento per infiltrazione del Consiglio comunale di
Bardonecchia, primo in Italia nel 1995. —
TANTO NON CONTROLLANO : Da lunedì
stop ai diesel Euro 3 e Euro 4 I divieti sono in vigore fino al 15
aprile
Lunedì 16 settembre scatterà il blocco per auto e furgoni con motore
diesel Euro 3 e Euro 4. Questi veicoli non potranno circolare dal
lunedì al venerdì, dalle 8 alle 19. Si tratta di un provvedimento
che resterà in vigore fino al 15 aprile 2025. È una delle misure
antismog disposte dal Ministero, in accordo con le Regioni del
bacino padano. Si somma ai provvedimenti strutturali, in vigore 365
giorni l'anno, che prevedono il divieto di circolazione per auto e
furgoni (benzina e diesel) Euro 0, 1 e 2. Sempre da lunedì, inoltre,
sarà vietata tutti i giorni la circolazione di moto e motorini Euro
0 e 1. Le misure antismog in partenza lunedì potranno inasprirsi nel
corso dei mesi. Succederà in caso di sforamento del limite
giornaliero di Pm10 nell'aria di Torino.
13.09.24
Bruxelles invita a usare più fonti rinnovabili. La Corte dei Conti
Ue: "I Pnrr meno green del previsto"
L'Ue avvisa Roma: "Accelerate sulle case verdi" Fabrizio Goria
La Commissione europea invita l'Italia ad accelerare sulle case
green. Deve «aumentare il tasso e l'intensità della ristrutturazione
degli edifici, in particolare quelli con le prestazioni peggiori»,
sottolinea Bruxelles nel rapporto annuale sullo stato dell'Unione
dell'energia. Un monito netto in ottica futura.
Le rinnovabili segnano il passo, l'installazione di pompe di calore
è in calo mentre salgono i costi sociali di una transizione a
rilento. La Commissione ha segnalato come «nel 2023 il 4,1% delle
popolazione italiana ha avuto difficoltà a pagare le bollette e il
9,5% non poteva mantenere la casa calda durante l'inverno». Nel
report di Palazzo Berlaymont si segnala che l'80% del consumo
energetico finale degli edifici in Italia è rappresentato da
riscaldamento e raffreddamento, con le rinnovabili che forniscono
appena il 21% del consumo energetico finale lordo. Numeri troppo
bassi, si evidenzia.
Il contesto è importante, in quanto gli Stati Ue dovranno presentare
entro giugno 2025 il piano nazionale sociale per il clima, per
l'accesso ai finanziamenti del Fondo sociale per il clima che tra
2026 e 2032 mobiliterà 86,7 miliardi di euro su interventi mirati di
ristrutturazione degli alloggi sociali. L'Italia potrebbe ottenere
fino a 7,8 miliardi.
Intanto, però, sulle misure ambientali interviene anche la Corte dei
Conti europea per segnalare come il contributo "verde" dei Piani di
ripresa e resilienza nazionali dei diversi Paesi sia inferiore a
quanto dichiarato dalla Commissione europea. Secondo gli auditor
europei le misure a sostegno degli obiettivi climatici sono
sovrastimate per 34,5 miliardi di euro. Ci sono, inoltre, «debolezze
nei traguardi e obiettivi» delle azioni per il clima e nella
rendicontazione delle spese sostenute.
DA DOVE PARTE IL DANNO POLITICO AGLI ELETTORI :
Titolare di un autonoleggio, assessore a
Frosinone, ha poi lavorato in Regione dove incontrò Arianna Meloni
L'AZIENDA
Tagliaferri dal centrosinistra a Fratelli d'Italia così il
"camaleonte" è arrivato al vertice di Ales
Grazia Longo
Inviata a Frosinone
Di lui raccontano che abbia grandi capacità di comunicazione,
attitudine a collaborare sia con la destra sia con la sinistra e,
soprattutto, le amicizie giuste dentro Fratelli d'Italia. È questo
il mix vincente che, secondo alcuni, ha portato Fabio Tagliaferri
dal guadagnare 10. 484 euro all'anno nel 2022, come risulta dalla
sua dichiarazione dei redditi pubblicata dal Comune di Frosinone
dove era assessore ai Servizi sociali, ai 146 mila euro di oggi
grazie all'incarico di presidente e amministratore delegato di Ales.
La sigla sta per "Arte Lavoro e Servizi" Spa, la società in house
del ministero della Cultura, che controlla biglietterie, parchi,
edifici storici e decine di musei sparsi in giro per l'Italia, con
88 milioni di euro annui di ricavi e oltre 7 milioni di utili annui.
Un ruolo importante ottenuto dall'ex ministro della Cultura Gennaro
Sangiuliano. «Resta un mistero – si domanda un consigliere
d'opposizione di Frosinone – come abbia fatto a ottenere un lavoro
così impregnato di cultura, nonostante nel suo curriculum non ci
siano precedenti in questo settore. Tagliaferri ha una società di
autonoleggio, la Greylease Automotive. Che c'azzeccano le automobili
con i musei?».
Per questa società, peraltro, sempre nel 2022 l'esponente di Fdi non
ha dichiarato neppure un euro: risulta titolare e amministratore
unico, ma ha sostenuto di non aver guadagnato nulla da questa
attività che ha ricevuto anche una sovvenzione di 100 mila euro da
"Lazio innova", finanziaria della Regione.
I quasi 11 mila euro denunciati due anni fa al fisco corrispondono
alla metà dello stipendio da assessore, perché ha donato l'altra
metà in beneficenza come stabilito dall'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Poi Tagliaferri si è dimesso da assessore e poco dopo è arrivata la
nomina all'Ales. Una "promozione" che se sorprende alcuni, non
scompone altri, anche tra le fila dell'opposizione del capoluogo
ciociaro. Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad
esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le
stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da
adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in
Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e
io non guardo cosa succede in casa d'altri. Di sicuro Fabio
Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del
resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio
Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
E che Tagliaferri si dia da fare è evidente anche dalla sua facilità
di dialogare pure con la sinistra. Nel 2002 si candidò al consiglio
comunale in una lista di centro sinistra a sostegno del sindaco poi
eletto Domenico Marzi. Ma dopo circa due anni è passato con
Francesco Storace, che all'epoca non era solo governatore del Lazio
ma anche consigliere a Frosinone. «È stato Storace che l'ha portato
in Regione – ricorda sempre il consigliere d'opposizione che vuole
restare anonimo – dove poi ha ottenuto un lavoro a tempo
indeterminato. In un primo momento, nel 2004, aveva ottenuto una
collaborazione per la "Comunicazione pubblica e istituzionale" che è
il titolo della tesi della su laurea in Economia, non si sa in quale
università, conseguita quell'anno». Nel 2005 ottiene in Regione un
contratto a tempo indeterminato che lascia nel 2017.
Mentre è in Regione approfondisce l'amicizia con Arianna Meloni (che
nell'amministrazione del Lazio ha lavorato per circa 20 anni da
precaria). Una vicinanza proseguita anche dopo la conclusione del
suo impegno in Regione. Ma né su questo aspetto, né sulla nomina ad
Ales, Tagliaferri risponde ai nostri interrogativi. Ci dirotta al
suo ufficio stampa che precisa: «Il presidente ha già risposto
esaustivamente a queste domande sia in questi giorni sia nel periodo
successivo alla sua nomina. Riteniamo che non ci sia nulla da
aggiungere rispetto a quanto già dichiarato».
In altre parole continua a prendere le distanze dall'ipotesi di un
suo incarico figlio dell'amichettismo. E il deputato Massimo
Ruspandini, referente di Fdi per la provincia di Frosinone
ribadisce: «Quella sulla presidenza di Tagliaferri ad Ales è una
polemica strumentale».
Titolare di un autonoleggio, assessore a
Frosinone, ha poi lavorato in Regione dove incontrò Arianna Meloni
L'AZIENDA
Tagliaferri dal centrosinistra a Fratelli d'Italia così il
"camaleonte" è arrivato al vertice di Ales
Grazia Longo
Inviata a Frosinone
Di lui raccontano che abbia grandi capacità di comunicazione,
attitudine a collaborare sia con la destra sia con la sinistra e,
soprattutto, le amicizie giuste dentro Fratelli d'Italia. È questo
il mix vincente che, secondo alcuni, ha portato Fabio Tagliaferri
dal guadagnare 10. 484 euro all'anno nel 2022, come risulta dalla
sua dichiarazione dei redditi pubblicata dal Comune di Frosinone
dove era assessore ai Servizi sociali, ai 146 mila euro di oggi
grazie all'incarico di presidente e amministratore delegato di Ales.
La sigla sta per "Arte Lavoro e Servizi" Spa, la società in house
del ministero della Cultura, che controlla biglietterie, parchi,
edifici storici e decine di musei sparsi in giro per l'Italia, con
88 milioni di euro annui di ricavi e oltre 7 milioni di utili annui.
Un ruolo importante ottenuto dall'ex ministro della Cultura Gennaro
Sangiuliano. «Resta un mistero – si domanda un consigliere
d'opposizione di Frosinone – come abbia fatto a ottenere un lavoro
così impregnato di cultura, nonostante nel suo curriculum non ci
siano precedenti in questo settore. Tagliaferri ha una società di
autonoleggio, la Greylease Automotive. Che c'azzeccano le automobili
con i musei?».
Per questa società, peraltro, sempre nel 2022 l'esponente di Fdi non
ha dichiarato neppure un euro: risulta titolare e amministratore
unico, ma ha sostenuto di non aver guadagnato nulla da questa
attività che ha ricevuto anche una sovvenzione di 100 mila euro da
"Lazio innova", finanziaria della Regione.
I quasi 11 mila euro denunciati due anni fa al fisco corrispondono
alla metà dello stipendio da assessore, perché ha donato l'altra
metà in beneficenza come stabilito dall'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Poi Tagliaferri si è dimesso da assessore e poco dopo è arrivata la
nomina all'Ales. Una "promozione" che se sorprende alcuni, non
scompone altri, anche tra le fila dell'opposizione del capoluogo
ciociaro. Il capogruppo consiliare Pd, Angelo Pizzutelli, ad
esempio, si spertica in lodi del rivale politico: «Non abbiamo le
stesse idee, ma è una persona che stimo e che si impegna molto. Da
adulto si è laureato in Economia e ha lavorato anche parecchio in
Regione. È stato scelto alla presidenza di Ales per volontà di Fdi e
io non guardo cosa succede in casa d'altri. Di sicuro Fabio
Tagliaferri è un uomo valido, che si dà da fare». Pd e Fdi, del
resto, governano insieme alla Provincia di Frosinone e al Consorzio
Apef (Agenzia provinciale energia Frosinone).
E che Tagliaferri si dia da fare è evidente anche dalla sua facilità
di dialogare pure con la sinistra. Nel 2002 si candidò al consiglio
comunale in una lista di centro sinistra a sostegno del sindaco poi
eletto Domenico Marzi. Ma dopo circa due anni è passato con
Francesco Storace, che all'epoca non era solo governatore del Lazio
ma anche consigliere a Frosinone. «È stato Storace che l'ha portato
in Regione – ricorda sempre il consigliere d'opposizione che vuole
restare anonimo – dove poi ha ottenuto un lavoro a tempo
indeterminato. In un primo momento, nel 2004, aveva ottenuto una
collaborazione per la "Comunicazione pubblica e istituzionale" che è
il titolo della tesi della su laurea in Economia, non si sa in quale
università, conseguita quell'anno». Nel 2005 ottiene in Regione un
contratto a tempo indeterminato che lascia nel 2017.
Mentre è in Regione approfondisce l'amicizia con Arianna Meloni (che
nell'amministrazione del Lazio ha lavorato per circa 20 anni da
precaria). Una vicinanza proseguita anche dopo la conclusione del
suo impegno in Regione. Ma né su questo aspetto, né sulla nomina ad
Ales, Tagliaferri risponde ai nostri interrogativi. Ci dirotta al
suo ufficio stampa che precisa: «Il presidente ha già risposto
esaustivamente a queste domande sia in questi giorni sia nel periodo
successivo alla sua nomina. Riteniamo che non ci sia nulla da
aggiungere rispetto a quanto già dichiarato».
In altre parole continua a prendere le distanze dall'ipotesi di un
suo incarico figlio dell'amichettismo. E il deputato Massimo
Ruspandini, referente di Fdi per la provincia di Frosinone
ribadisce: «Quella sulla presidenza di Tagliaferri ad Ales è una
polemica strumentale».
Il Csm sospende la consigliera Rosanna Natoli
Con 22 voti favorevoli,6 contrari e 2 bianche, il Plenum ha votato
la sospensione dal Csm di Rosanna Natoli, la consigliera laica in
quota Fdi, finita al centro del salvataggio pilotato della giudice
catanese Maria Fascetto Sivillo e indagata dalla procura di Roma per
violazione di segreto e abuso d'ufficio. «Tornerò a fare la nonna»,
ha detto Natoli. Che ieri, a Palazzo Bachelet, ha tenuto un lungo
intervento. «Contro di me una campagna di fango. Sono stata
presentata come il consigliere del presidente La Russa. Non sono
stata eletta da lui, ma dal Parlamento in seduta comune». L'incontro
con la magistrata che avrebbe dovuto giudicare? «C'è stato, ma nel
merito risponderò alla procura». Natoli ha attaccato gli inquirenti
su indagini e competenza territoriale: «Il colloquio è avvenuto a
Paternò, in Sicilia».È la prima volta che il Csm prende un tale
provvedimento.
Scuola
senza
sostegno
Elisa Forte
torino
I supplenti, le cattedre assegnate e quelle che restano nel limbo.
Il dossier "sostegno", tra precariato, turn over e specializzazioni
(poche rispetto al fabbisogno), ad ogni inizio di anno scolastico
resta quello più spinoso. Il copione si ripete: tra i precari i
supplenti del sostegno sono la maggioranza. Stando ai dati del
ministero sono 108mila su 165mila. Molti arrivano in classe alla
spicciolata lasciando per settimane, se non per mesi, gli studenti
senza un insegnante. «Ci sono cattedre scoperte anche fino a Natale,
a volte anche fino al nuovo anno» denunciano genitori e sindacati.
Sì, è vero che a lezioni avviate occorre censire i nuovi certificati
medici che si aggiungono a quelli già dichiarati. Possono esserci
nuovi casi di disabilità. E ci sono i ricorsi al Tar da parte delle
famiglie che non considerano accolte le richieste di sostegno per i
propri figli. Ma riguardano solo una piccola quota dei supplenti.
Quel che non cambia (ancora) è che molti dirigenti scolastici sono
in emergenza.
Poi, ci sono i numeri. I docenti in organico sul sostegno sono 126
mila. Fin qui mettono tutti d'accordo: sono incontrovertibili. Ma ci
sono anche i numeri della discordia. Sono quelli che incasellano i
docenti precari del sostegno: anche loro – al pari dei titolari di
cattedra ma con meno certezze rispetto ai primi- si occuperanno dei
loro studenti speciali, quelli che spesso non tengono il passo e
disturbano le lezioni. Quelli che arrivano in classe con storie di
vita difficili. Complicate.
Per il ministero dell'Istruzione e del Merito i supplenti del
sostegno del nuovo anno scolastico saranno al massimo 108 mila. Cisl
Scuola e Uil Rua sono in linea con questa stima. Sostengono che
saranno 100 mila i posti (ancora) assegnati ai precari. Con una
buona probabilità di aumento, ma di qualche migliaio di unità. Dati,
dunque, che combaciano con quelli ministeriali. Non è della stessa
idea Flc-Cgil: ne conta di più, 130 mila. «Un dato falso»: dal
dicastero di Viale Trastevere rimandano al mittente questa
previsione. I conti non tornano neanche sul numero complessivo dei
precari. Cgil conferma 250 mila precari mentre dal ministero hanno
fornito cifre diverse. «Sono 165 mila – ha ribadito nei giorni
scorsi il ministro Giuseppe Valditara – e scenderanno a 155mila
entro dicembre». A fare chiarezza con La Stampa sui contratti di
supplenza ci pensa Carmela Palumbo, Capo dipartimento per il Sistema
educativo di istruzione e di formazione del ministero
dell'Istruzione e del Merito.
«I supplenti sul sostegno nell'anno scolastico 23/24 sono stati su
posti interi circa 108 mila, numero che si dovrebbe confermare
sostanzialmente anche per l'anno scolastico 2024-25– sottolinea -
Invece, i precari totali sono 165 mila. Quindi, la previsione della
Cgil di 130 mila supplenti sul sostegno e 250 mila precari totali
appare del tutto errata e certamente sovrastimata». «Probabilmente –
ragiona Palumbo - Cgil considera anche gli spezzoni di due -tre ore
che completano le cattedre, come gli spezzoni generati da part time.
Si tratta di dati che non fotografano reali disponibilità di
organico non coperte con personale di ruolo». Gianna Fracassi,
segretaria nazionale Flc-Cigil conferma la bontà dei conti fatti. E
si mostra preoccupata perché «una gran parte delle supplenze - dice
- saranno assegnate a docenti che non hanno la specializzazione».
Docenti non qualificati. Docenti non sempre in grado di accogliere
la complessità del ruolo. C'è sicuramente ancora tanta strada da
fare. Ma almeno la novità voluta dal ministro Valditara rende - per
la prima volta – protagoniste anche le famiglie. «La scelta del
genitore per confermare il docente di sostegno precario potrà essere
fatta già quest'anno in modo che la conferma del docente avverrà dal
prossimo anno scolastico», fa sapere Carmela Palumbo. Se il prof di
sostegno piace, ci sarà una sorta di mini stabilizzazione. Questa è
un'antica richiesta dei genitori con figli disabili. Parte da
lontano. Una decisione che il ministro Valditara ha introdotto come
una delle leve per cercare di garantire "continuità didattica" agli
studenti disabili. Ma per i prof che aspirano al ruolo la strada
resta (ancora) in salita.
La denuncia di una mamma di Vercelli: "L'insegnante è stata
trasferita e il posto è scoperto"
" Mio figlio ora non ha più la sua maestra per affrontare l'ultimo
anno di elementare"
francesca rivano
vercelli
L'ultimo anno di elementari doveva rappresentare la conclusione di
un percorso verso l'autonomia, portato avanti con fatica e impegno.
Invece, per Teo (il nome è di fantasia), 12enne autistico non
verbale che convive con una forma di epilessia farmacoresistente e
con l'artrite idiopatica giovanile, il ritorno in classe si è
trasformato in una corsa a ostacoli. Ad accoglierlo, nella scuola
del comune vercellese in cui vive, non c'era la maestra di sostegno
che lo aveva accompagnato nelle piccole e grandi conquiste verso
l'autonomia. Non c'era alcuna insegnante dedicata a lui, perché
quella cattedra, per ora, è scoperta.
Venire a capo del cortocircuito per il quale Teo è rimasto senza
docente di sostegno è quasi impossibile. Un rimpallo di
responsabilità che non serve a risolvere il problema e accresce
l'amarezza di mamma Federica. «Ho chiesto io che Teo potesse
fermarsi alle elementari per concludere il percorso avviato due anni
fa con la sua insegnante – racconta –. A inizio mese, quando la
docente mi ha telefonato in lacrime, dicendo di essere stata
trasferita, è stato impossibile preparare Teo a questo cambiamento
imprevisto. Per facilitarlo, avrei dovuto presentargli la nuova
maestra attraverso una storia sociale, ma come potevo farlo, visto
che nemmeno io sapevo cosa sarebbe accaduto?».
Così, dopo settimane in cui il ragazzino aveva ripreso con
entusiasmo lo zaino, «allenandosi» per il ritorno in classe, la
mattina di ieri è stata complicata e faticosa. Per superarla, le
altre insegnanti hanno messo in campo tanta delicatezza e
professionalità. «In attesa che si trovi la docente di sostegno –
racconta mamma Federica – le due colleghe della classe fanno
compresenza per seguire mio figlio. Le maestre che già lo
conoscevano lo hanno aiutato, dopo un'ora trascorsa all'esterno, a
entrare in classe. E, anche Teo, a modo suo, è stato strepitoso».
Ma, guardando al percorso che attende il suo ragazzo, la donna è
preoccupata: «Avevamo coordinato l'impegno di insegnante, terapisti
e famiglia, mettendo al centro le esigenze di Teo. La sua insegnante
si era messa a disposizione per accompagnarlo in quest'anno di
transizione, aiutandolo a conoscere l'ambiente e le persone delle
medie. Ora tutto questo è stato stroncato».
Nel vercellese, dove rispetto al 2023 gli alunni con disabilità sono
aumentati di quasi il 10%, le graduatorie a esaurimento per il
sostegno nel primo ciclo scolastico sono vuote e, per coprire i
posti, occorre pescare da graduatorie nazionali, con prevedibile
allungamento dei tempi e dei disagi. E visto che i docenti
specializzati sono pochi, la gran parte dei posti va a personale
«senza titolo». La conferma arriva dai dati dell'Ufficio scolastico
regionale: in Piemonte, la percentuale dei posti di sostegno coperti
da docenti specializzati è del 18,6% ma con una forte polarizzazione
tra primo e secondo ciclo scolastico. Alle materne è specializzato
il 4,8%, alle elementari solo il 3,4%; alle medie e superiori le
percentuali sono del 17,8% e del 44,29%.
birmana
Giungla
Il basco nero, la barba incolta, sulle braccia un tatuaggio con il
simbolo della pace, alle spalle, in una piccola capanna nel cuore
del giungla birmana, la bandiera con impresso il disegno del pazi,
il tradizionale tamburo del popolo Karenni divenuto il simbolo del
Kndf, Karenni Nationalites Defense Force. Maui ha solo 31 anni, una
laurea in geologia, molteplici studi all'estero e un lavoro da
agronomo nella città di Loikaw, ma tutto questo appartiene al suo
passato. Oggi, Maui, il generale Maui, è il leader militare di uno
dei gruppi guerriglieri maggiormente attivi tra le forze
rivoluzionarie birmane che, dal 2021, stanno combattendo contro la
giunta militare golpista del generale Min Aung Hlaing. «Quando è
avvenuto il golpe, noi giovani birmani siamo scesi in strada.
Abbiamo dimostrato in tutte le città del Paese con le mani alzate
rivendicando libertà, diritti e democrazia: tutto ciò che ci
apparteneva prima del 1 febbraio 2021. La giunta, alle nostre
richieste pacifiche, ha risposto aprendo il fuoco, massacrando
donne, uomini e studenti. È stato dopo la repressione militare che
abbiamo deciso di andare sui monti e iniziare la guerriglia".
Per incontrare il generale Maui e addentrarsi nel Kayah State, il
cuore della rivoluzione birmana, occorre attraversare di notte, a
bordo di piccole lance, la frontiera tra la Thailandia e la Birmania
e poi, a piedi, in fuori strada e a dorso di elefante, intraprendere
un viaggio di diversi giorni, guadando torrenti in piena e superando
erte e forre, nell'inferno verde della giungla tropicale del sud-est
asiatico. Il Myanmar, o Birmania, da oltre tre anni è sconvolto da
un conflitto civile che ha provocato più di 55 mila vittime e che
vede da un lato le truppe dello State Administration Council (nome
della giunta militare) che hanno preso il potere con un colpo di
stato e che, col supporto di India, Russia e Cina, hanno instaurato
una delle dittature più brutali e repressive a livello globale,
dall'altro lato vi sono le forze rivoluzionarie birmane, composte da
giovani di vent'anni che hanno lasciato le città per dare vita alla
resistenza e dalle organizzazioni etniche che da decenni lottano per
i propri diritti e per l'autonomia politica. Il movimento
rivoluzionario sebbene non abbia mezzi, armi e fondi a sufficienza,
controlla però più della metà del Paese e questo soprattutto grazie
al supporto incondizionato della popolazione che, nell'assoluta
precarietà del conflitto, una salda certezza l'ha conservata: non
tollerare più alcuna presenza dell'esercito nell'esecutivo.
La Birmania, dal 1962, per oltre 50 anni, ha vissuto sotto il giogo
di regimi militari. Nel 2015, dopo anni di proteste, arresti e
sparizioni, si sono tenute le prime libere elezioni che hanno visto
la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia, e così, dal 2015
al 2021, l'ex colonia britannica ha attraversato un breve ma
irremeabile periodo di democrazia che, seppur imperfetta, ha
permesso però alle nuove generazioni di aprirsi al mondo, conoscere
l'altrove, comprendere con piena contezza il significato delle
parole libertà e diritti.
«Stiamo combattendo per un Paese in cui vi sia rispetto per le
minoranze indigene, in cui la forma di governo sia quella del
federalismo democratico, dove le parole d'ordine siano giustizia,
pace e lavoro - racconta il generale Maui -. Non stiamo facendo
questa guerra per una bandiera, non vogliamo il modello americano,
europeo o cinese, noi vogliamo vivere in pace e in armonia con la
nostra terra. Ma tutto questo lo stiamo facendo per chi verrà dopo
di noi. Per noi, ora, non c'è futuro, c'è solo il presente, e il
presente è la guerra».
Una chiamata arriva dalle prime linee, le forze della giunta stanno
attaccando sul fronte di Loikaw. I guerriglieri si preparano, sono
tutti ragazzi, ma nella gioventù sono viandanti di passaggio, i loro
volti sono esausti, sporcati dalla terra e da una tenera peluria,
negli sguardi hanno perso l'innocenza e nell'animo i sogni, sono
stati tutti infettati dal conflitto e della loro miglior età ne
conservano solo uno sbiadito ricordo. «Non abbiamo avuto alternative
se non intraprendere questa guerra, ma la guerra è una mostruosità.
Io ho perso un fratello di 19 anni ucciso dai militari, e non c'è
istante che non pensi a lui, ma penso anche al soldato a cui ho
sparato e che ho ucciso. E da quel giorno ho smesso di ridere».
Pasqwar Let ha 21 anni, viaggia insieme ad altri 15 compagni su un
pick-up, la prima linea è ormai prossima e lui si concede un'ultima
confessione: «Ogni volta che vado in battaglia prego Dio affinché
possa dare a mia madre la forza di perdonarmi per il dolore che le
provocherei se dovessi morire».
I colpi dei fucili automatici fischiano tra le case e i campi di
Loikaw, poi un'esplosione, tremano le case di bambù e rafia, i
combattenti del Kndf si acquattano tra l'erba e i cespugli, poi si
rialzano e riprendono a sparare. Passano pochi minuti e un
lanciarazzi Grad scarica una sequenza di colpi. Alcuni guerriglieri
cercano riparo in un piccolo rifugio, un giovane viene colpito da
una scheggia in un occhio, un altro giace riverso con un frammento
di ordigno nel collo. Barellieri e infermieri provano a soccorrere i
feriti, alcuni vengono trasportati nel solo ospedale della regione,
il corpo di Kyaw Thu invece viene adagiato in un sacco nero.
All'indomani, durante il funerale, tre spari di commiato celebrano
il ricordo del giovane rivoluzionario caduto per la libertà, le
lacrime della madre invece rivelano il dolore per la morte di suo
figlio: un ragazzo di vent'anni morto per la vita, all'alba della
vita. —
12.09.24
ENERGIA RINNOVABILE GIA' IN ESUBERO MA ANTITANGENTE , TRANNE CHE
PER L'EOLICO GESTITO DALLA MAFIA :
energia
Il buco
dell'
PAOLO BARONI
roma
A fine anno, salvo sorprese, ci fermeremo a quota 56 miliardi di
euro, una cifra notevole, ma nulla in confronto con gli oltre 100
miliardi di due anni fa. Per quanto in calo non basta infatti il
boom delle rinnovabili, che anno dopo anno stanno aumentando il loro
peso rispetto alla produzione nazionale di energia, a ridurre il
nostro deficit energetico. Perché l'Italia in questo campo sempre
fortemente dipendente dall'estero, innanzitutto per le forniture di
gas; ma anche sul fronte della produzione e dei consumi di
elettricità visto che una quota significativa viene coperta grazie
alla produzione delle centrali nucleari francesi e con le
importazioni da Svizzera e Austria. In media negli ultimi anno
abbiamo importato tra il 13 ed il 15% dell'elettricità che
consumiamo, un po' meno questa estate quando siamo scesi all'11,5%.
Il risultato, come hanno potuto toccare con mano tutti gli italiani,
è che siamo continuamente esposti alle fluttuazioni delle quotazioni
di gas e petrolio, ai tanti fattori geopolitici ed in primo luogo
alle guerre.
La curva del nostro disavanzo energetico sale e scende come fossimo
sulle montagne russe. A conti fatti anche l'anno passato l'Italia ha
dovuto mettere in conto un esborso notevole: rispetto al record
assoluto di 114,2 miliardi di euro, toccato nel 2022 all'apice
dell'impazzimento dei mercati per la guerra in Ucraina, nel 2023 il
conto si è ridotto di un buon 43%, ma siamo pur sempre rimasti a
quota 66,5 miliardi (3,2% del Pil). Una spesa decisamente ingente,
nonostante la flessione dei consumi dovuta alle condizioni
climatiche favorevoli ed al rallentamento delle quotazioni dei
prezzi sui mercati internazionali.
Secondo i dati diffusi a luglio dai petrolieri dell'Unem quest'anno
la nostra fattura energetica, salvo sorprese, dovrebbe scendere
ancora: dovremmo attestarci a quota 56 miliardi di euro, ovvero 10
miliardi in meno del 2023 «quasi interamente dovuti alla componente
gas». Un salasso comunque.
Sul bilancio del 2023, rispetto all'anno precedente, ha pesato
soprattutto il dimezzamento dell'incidenza di gas (in buona parte
destinato alle centrali elettriche) e quindi dell'elettricità con la
spesa per gli approvvigionamenti netti dall'estero di gas calati di
33,7 miliardi (-54%) a quota 28,3 miliardi, e le importazioni
elettriche scese a quota 6,1 miliardi di euro (-6,4 miliardi e
-51%).
Le bollette, esposte alle continue fluttuazioni dei mercati,
continuano però a restare significativamente pesanti dopo la fine
degli sconti e degli incentivi previsti dai governi nella fase più
acuta dell'ultima crisi. Questo vale per le famiglie (comprese
quelle con contratti "tutelati"), ma soprattutto vale per le
imprese, che continuano a pagare l'energia anche il 50% in più dei
loro concorrenti esteri. É di lunedì, ad esempio, la notizia che il
gruppo Arvedi ha deciso di fermare uno dei due altiforni delle
acciaierie di Terni proprio a causa dei costi eccessivi delle
forniture, cosa che nel sito Umbro non accadeva da 140 anni.
Appena insediato il nuovo presidente di Confindustria Emanuele
Orsini ha lanciato l'allarme sul caro-energia spiegando che «abbiamo
interi settori come quello del vetro, dell'acciaio, della carta e
della ceramica che sono messi in grandissima difficoltà» in questa
fase. Per questo a suo parere vanno potenziate le garanzie pubbliche
e le misure a sostegno soprattutto delle piccole e medie imprese. E
poi bisognerebbe puntare ad un prezzo unico dell'energia, per
evitare che i vari paesi europei si facciano con concorrenza tra
loro, e quindi investire sul nucleare di nuova generazione. A
livello europeo, invece, la proposta avanzata da Mario Draghi
nell'ambito delle misure per rilanciare la competitività prevede di
fissare un tetto unico comune alle tasse da applicare all'energia
Le rinnovabili, pur contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione,
da sole al momento non bastano a tirar fuori l'Italia dalla
dipendenza estera (Algeria, Azerbaigian e Usa in primis per il gas,
i nostri confinanti per l'elettricità). Gli ultimi dati sulla
produzione di energia green, però, fanno ben sperare: nonostante i
tanti ostacoli, che via via il governo ha cercato di superare, la
quota di rinnovabili sulla produzione nazionale è infatti passata
dal 35,5% del 2022 al 43,8% dell'anno passato. Quest'anno, stando ai
dati di Terna, la società che gestisce la rete elettrica di
trasmissione nazionale, nei primi sei mesi dell'anno la produzione
da fonti rinnovabili è aumentata del 27,3% rispetto al 2023 e con
una quota del 52,5% toccata a giugno, ha superato per la prima volta
la produzione da fonti fossili, che ha registrato una flessione del
19% (-77,3% la quota di produzione a carbone). Da gennaio a giugno
2024, in particolare, la produzione idroelettrica rinnovabile ha
raggiunto un risultato record (pari a 25,92 TWh, +64,8% rispetto
allo stesso periodo del 2023) grazie ad una notevole disponibilità
di idraulicità al Nord. La produzione degli impianti eolici è
aumentata del 29,2%) mentre il fotovoltaico ha messo a segno un
+18,2% grazie all'aumento della capacità in esercizio (+803 GWh).
Tra giugno 2023 e giugno 2024 la capacità installata di fotovoltaico
ed eolico è aumentata di 6.831 Mw (+17,3%), raggiungendo i 46.321 Mw
complessivi.
Previsioni di qui alla fine dell'anno? Difficile farne. Certamente
l'Europa dovrà fare i conti con lo stop definitivo delle
importazioni di gas russo, che per quanto ridotte ai minimi sembra
non sia facilissimo rimpiazzare, con la guerra in Ucraina e le
tensioni in Medio Oriente e magari sperare nell'ennesimo inverno
mite. —
LA CHIMERA OSTAGGIO DEGLI INTERESSI NUCLEARISTI: «Il piano di
Mario Draghi ha dato importanza al nucleare di nuova generazione,
considerandolo come una tecnologia che può aumentare la
competitività dell'Europa». Per Stefano Buono, fondatore e ceo di
Newcleo, azienda italo-britannica di reattori di ultima generazione,
l'Italia è rimasta indietro ma può recuperare «Il governo sta
lavorando bene ed entro fine anno dovrà annunciare la strategia sul
nucleare e la riforma dell'Isin, l'ente regolatorio che può dare
l'avvio alle procedure per costruire centrali nucleari».
Mentre parla al telefono, Buono è a Brasimone sull'Appennino
bolognese. Al centro di ricerche dell'Enea, insieme ai tecnici
dell'istituto, ha incontrato i rappresentanti del governo e degli
enti regolatori francesi Asn e Irsn, slovacchi e del Mase per
mostrare le sperimentazioni in corso sui nuovi reattori. «Un anno e
mezzo fa abbiamo avviato l'iter autorizzativo per costruire in
Francia un reattore da 30 megawatt elettrici e un altro da 200
megawatt. Il primo entrerà in funzione nel 2031».
In Francia c'è interesse per il nucleare e la tecnologia di Newcleo
ma in Italia a che punto siamo?
«Abbiamo intenzione di avviare una procedura per costruire reattori
in Italia, ma aspettiamo che il governo annunci entro fine anno la
strategia nazionale sul nucleare e che vari la riforma dell'ente
regolatorio Isin, dotandolo delle funzioni per avviare le procedure
e assegnandogli più personale».
Avete partner italiani con cui lavorate già?
«Sì, ci sono molti operatori coinvolti nell'industria nucleare. In
particolare, abbiamo tre alleanze strategiche sulle applicazioni di
nostri reattori: con Fincantieri e Rina nel settore navale, con
Maire Tecnimont nella chimica verde e nell'idrogeno e con Saipem
studiamo la possibilità di mettere i nostri reattori su piattaforme
galleggianti. Inoltre, abbiamo collaborazioni con Enel e Ansaldo che
in futuro potrebbero dare buoni frutti».
Che tipo di centrali si potrebbero realizzare in Italia?
«Penso a piccoli reattori modulari Amr al piombo, la quarta
generazione, con potenze da 200 megawatt elettrici che per esempio
potrebbero dare energia a una piccola città, o a un grande
datacenter, a un'industria ceramica o a un produttore di acciaio».
È possibile creare strutture che uniscano più reattori come avviene
all'estero?
«Sì, perché sono impianti abbastanza piccoli, di sei metri di
diametro e sei metri di altezza. Si possono creare complessi che
uniscono anche quattro reattori assieme. Una centrale da 800
megawattora può dare energia a una città come Roma e potrebbe avere
costi contenuti, circa 3,2 miliardi».
Quali sono i principali ostacoli al nucleare nel nostro Paese? La
paura dei cittadini? La burocrazia? La sicurezza?
«La resistenza maggiore è la paura dei cittadini che in parte deriva
da una narrativa del passato difficile da modificare».
Beh dall'incidente di Fukushima sono passati tredici anni, il
ricordo è ancora vivo nella mente delle persone.
«Sì, ma va detto che i nuovi reattori non permettono più incidenti
come Chernobyl e Fukushima e che il nucleare è il sistema più sicuro
di produzione di energia elettrica. I giovani, che si informano
molto sui temi ambientali, sanno queste cose e perciò sono più
favorevoli al nucleare rispetto alle generazioni più mature».
Ai giovani il nucleare piace perché può ridurre le emissioni di Co2.
Ma quali altri benefici ci sono rispetto agli altri tipi di energia?
«Il nucleare è una forma di energia decarbonizzata che ha il
vantaggio di essere a basso costo, 55 euro a megawattora. In questo
modo l'Europa sarà più competitiva rispetto a Cina e Usa, dove i
prezzi del gas sono fino a 5 volte più bassi».
Qual è l'approccio degli altri Paesi europei? Dopo Fukushima, non
solo l'Italia ma anche altri Stati hanno frenato.
«Vero, ma ci sono dei cambiamenti in corso. Belgio, Svezia, Olanda e
Svizzera che avevano rinunciato ora stanno tornando al nucleare. Poi
ci sono Norvegia e Polonia, che non lo hanno mai avuto e invece ora
stanno lanciando nuovi impianti. L'opposizione al nucleare rimane
dove la classe politica è stagnante: in Spagna e in Germania, dove
però gli industriali stanno conducendo una battaglia per riaverlo».
Il deficit di energia dell'Italia è oltre i 55 miliardi e importiamo
dall'estero il 13-15% di energia nucleare soprattutto da Francia,
Svizzera e Slovenia. Cosa si può fare per colmare questo divario?
«Con il ritorno al nucleare il gap delle importazioni si può
ridurre, ma dipenderà anche da quanto gas continuiamo a produrre e
in quanto tempo verranno sostituite le centrali a gas da quelle
nucleari. È un bilancio difficile da fare e dipende da tanti
fattori, uno tra questi sono le rinnovabili. È un'energia pulita i
cui investimenti però sono costosi».
Secondo il piano nazionale integrato energia e clima, varato dal
ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin entro il 2050
dovremmo coprire tra l'11 e il 22% dei consumi col nucleare. Sono
obiettivi credibili?
«Sì, sono abbastanza ragionevoli: diciamo che l'11 è un traguardo
modesto, mentre il 22% è più ambizioso. Ma è la stessa crescita che
si prefiggono Francia e Regno Unito. Forse ci metteremo qualche anno
in più ma con l'accordo della politica e dei cittadini è una meta
alla nostra portata». —
Il procuratore Pacileo: le aziende capiscano che le precauzioni
convengono
Pochi ispettori e incidenti in aumento Sicurezza sul lavoro, dieci
reati al giorno
«Ogni giorno riceviamo in Procura una decina di notizie di reato su
violazioni in merito alla prevenzione anti-infortunistica». Le
parole del Procuratore del Tribunale di Torino Vincenzo Pacileo
ritraggono la profonda spaccatura tra il ricco quadro di norme sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro e «un'applicazione molto
frammentaria». Ieri Pacileo era ospite della festa della Fiom allo
Sporting Dora di corso Umbria, il tema erano i trent'anni della
legge 626, che mise l'Italia alla pari con gli altri Paesi europei
in fatto di leggi sul lavoro. Dal palco, il procuratore ha spiegato
che spesso le violazioni sono «molto formali, senza impatto diretto
sul presidio di sicurezza. Ma sono significative di quanto sia
diffusa la mancanza di rispetto della normativa di base, che serve a
tutelare il lavoratore».
Spesso le aziende sanano le irregolarità dopo aver pagato una
sanzione ridotta. «L'obiettivo – ha spiegato Pacileo – è
regolarizzare e non punire». Altre volte il procedimento va avanti,
ma col rischio che la prescrizione arrivi prima della sentenza. «Il
Tribunale ha faticato, la Corte d'Appello ancora di più» ha
commentato il procuratore. L'azione della giustizia resta
fondamentale anche in materia di prevenzione: «Ciascun processo
dovrebbe avere una funzione di monito per le imprese, per capire che
rispettare le regole di sicurezza conviene».
L'altro nodo critico riguarda la carenza di ispettori del lavoro.
Gli organici si sono assottigliati nel corso degli anni: dai 165 del
2018 ai 148 di fine 2022. Di questi, solo 128 hanno la qualifica di
ufficiali di polizia giudiziaria, indispensabile per gli
accertamenti sui luoghi di lavoro. «Se le aziende sanno che l'organo
di vigilanza non ci sarà, l'azione deterrente insita nei controlli
viene automaticamente meno» ha commentato il medico del lavoro
Annalisa Lantermo. Così crescono non solo gli incidenti sul lavoro
(che in Piemonte segnano un +4% nei primi cinque mesi del 2024
rispetto all'anno precedente) ma anche i morti, che in Piemonte nel
2023 sono stati 75. Eppure, come ha illustrato l'ex segretaria Fiom
Francesca Re David, «i lavoratori percepiscono la sicurezza e la
formazione come valori centrali».
11.09.24
BORIS L'OPACO : BORIS
JOHNSON COGLIE L’ATOMO – L’EX PREMIER BRITANNICO È STATO NOMINATO AL
VERTICE DI UNA SOCIETÀ CHE SI OCCUPA DELL'USO DEL NUCLEARE CIVILE
NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA – LA “BETTER EARTH LIMITED” È DI
PROPRIETÀ DEL MAGNATE DELL'URANIO AMIR ADNANI, CANADESE DI ORIGINI
IRANIANE, CHE IN PASSATO HA AVUTO RAPPORTI STRETTI CON STEVE BANNON,
L'EX IDEOLOGO DI TRUMP – I DUBBI SULLA TRASPARENZA DELL'OPERAZIONE…
(ANSA) - L'ex premier conservatore Boris Johnson è stato messo al
vertice di una società creata per la promozione dell'uso del
nucleare civile nella transizione energetica, la Better Earth
Limited, di proprietà di un magnate canadese dell'uranio, di origini
iraniane e con interessi d'affari negli Usa, Amir Adnani,
accreditato dal Guardian di aver avuto in passato anche relazioni
strette con Steve Bannon, l'ex ideologo di Donald Trump, e di
esserne stato sostenuto.
L'ex primo ministro britannico risulta essere direttore e
co-presidente della società a partire dal primo di maggio, come
emerge sul registro ufficiale delle imprese sul sito del governo.
Insieme a lui, all'interno di Better Earth ci sono due suoi
fedelissimi: l'ex viceministro Nigel Adams e Charlotte Owen, una
giovane assistente di Downing Street con solo pochi anni di
esperienza lavorativa nominata da BoJo per un seggio alla Camera dei
Lord lo scorso anno all'età di 29 anni (un record), con le
inevitabili polemiche.
L'intera operazione ha sollevato una serie di dubbi di trasparenza
rispetto alla natura e ai tempi del rapporto tra Johnson e Adnani.
E' emerso infatti che BoJo aveva incontrato Scott Melbye,
vicepresidente esecutivo della Uranium Energy Corp - la società
principale del tycoon canadese - alla Camera dei Comuni nel maggio
2022 quando era ancora primo ministro. Alla luce dell'incarico in
Better Earth sono stati anche rivisti dal Guardian i provvedimenti
presi dall'ex premier Tory in favore dell'energia nucleare nel
periodo a Downing Street.
10.09.24
Un automobilista ha vinto una causa da 6mila euro. La compagnia non
voleva rimborsarlo perché non si era rivolto a un carrozziere
convenzionato
L'assicuratore non paga i danni da grandine Il tribunale lo condanna
al risarcimento elisa sola
La compagnia di assicurazioni non può rifiutarsi di pagare i danni
da grandine soltanto perché l'automobilista ha fatto riparare la
macchina da un carrozziere diverso da quelli convenzionati con la
stessa compagnia. Lo ha stabilito il tribunale di Torino - sezione
civile - che ha condannato un noto assicuratore a risarcire di
10mila euro (di cui seimila di carrozziere e 4mila di spese di lite)
il proprietario di una Fiat Doblò rovinata dalla grandine.
La sentenza è del 29 luglio e si riferisce ai danni di un violento
temporale che risale al 17 giugno 2020. Il provvedimento del
tribunale, se diventerà definitivo, potrebbe marcare in maniera
ancora più profonda la via, già tracciata in giurisprudenza, sulla
tutela dei consumatori che a causa del maltempo si sono ritrovati
con le auto quasi distrutte. Un evento capitato sempre più spesso
negli ultimi mesi nella nostra città, colpita da una raffica di
grandinate.
Il torinese che ha vinto la causa aveva spiegato: «Dopo quella
brutta grandinata ho dovuto pagare 6080 euro di tasca mia. Pensavo
che fosse solo un anticipo. Avevo stipulato con la mia compagnia una
polizza che comprendeva anche i rischi legati a danni da eventi
naturali. Quindi ero tranquillo».
«E per essere ancora più sereno - aveva precisato il proprietario
del Doblò - avevo chiamato l'ufficio sinistri, annunciando che mi
sarei rivolto dal mio carrozziere di fiducia. E a voce, dalla
compagnia, mi avevano detto che mi avrebbero coperto. Al momento di
rimborsarmi però, l'assicurazione si è rifiutata. Mi ha detto che
siccome non ero andato da un carrozziere convenzionato, non avrei
avuto diritto a niente».
La giudice Claudia Gemelli ha dato ragione al cittadino. «La
clausola del contratto che prevede la decadenza dall'indennizzo in
caso di riparazione presso altro centro di autoriparazione è nulla -
c'è scritto nella sentenza - perché è una clausola vessatoria per lo
squilibrio di obblighi e diritti derivanti dal contratto, non
oggetto di specifica trattativa individuale, e non conoscibile in
ragione della modalità di redazione del modulo contrattuale in
violazione dell'articolo 166 del codice di assicurazioni».
I legali della compagnia avevano ribadito che la clausola della
decadenza dell'indennizzo fosse nota.
Ma per il tribunale non ci sono dubbi: includere nella polizza una
clausola per cui si obbliga l'automobilista a rivolgersi a
determinati carrozzieri non sarebbe lecito. Perché è una clausola
che «determina a carico del consumatore un significativo squilibrio
dei diritti e degli obblighi». Non solo. La polizza sarebbe stata
scritta in maniera ingannevole. «Il contratto deve essere redatto -
precisa la giudice - dando particolare evidenza alle clausole che
indicano decadenze o limitazioni delle garanzie, in applicazione dei
principi di trasparenza, diligenza e correttezza».
Invece, l'assicurazione avrebbe usato «una tecnica redazionale poco
trasparente e del tutto inidonea a porre l'attenzione
dell'assicurato sul rischio di non vedersi riconosciuto
l'indennizzo, pur a fronte del verificarsi di un rischio assicurato
in vigenza di polizza e del regolare pagamento del premio». «Deve
ritenersi inefficace nei confronti dell'attore - è la conclusione
della sentenza - la clausola volta ad escludere l'indennizzo per
l'ipotesi di riparazione in centro diverso da quelli convenzionati
con l'assicurazione».
La protesta di una trentina di cittadini contrari alla realizzazione
di una Cittadella dello sport . I manifestanti sgomberati dalla
polizia
Tensione per i lavori al parco del Meisino "Verrà danneggiato un
ecosistema unico "
Pier Francesco Caracciolo
Per oltre tre ore hanno bloccato gli operai, impedendo loro di
raggiungere il cantiere. Lo hanno fatto occupando, con la loro
presenza, l'unica strada sterrata diretta all'area dei lavori. Così
ieri, dalle 7, 30 alle 10, 30, una trentina di cittadini hanno
rallentato le operazioni per la realizzazione della Cittadella dello
sport pianificata dal Comune all'interno del parco del Meisino.
Un'operazione di ostruzionismo che si è risolta con lo sgombero da
parte degli agenti della Digos e della polizia, questi ultimi in
tenuta antisommossa. Sono stati loro, prendendo di peso gli
attivisti, a liberare la strada e consentire il passaggio degli
operai, a bordo di camion e ruspe.
Gli agenti hanno operato al termine di una mattinata di tensione.
Fin dalle 6, 30 i cittadini, guidati dal comitato "Salviamo il
Meisino", avevano occupato via Nietzsche, la strada diretta all'area
dei lavori. All'arrivo degli operai, hanno camminato a passo lento
dall'ingresso del parco fino al cantiere, costringendo camion e gru
a fermarsi alle loro spalle. Una volta al fondo di quel tratto di
via, hanno allestito un banchetto e iniziato a fare colazione. È
stato quello il momento in cui, dopo aver intimato loro di lasciare
la strada, i poliziotti sono interventi, liberando la strada.
«Abbiamo cercato, senza violenza, di impedire che il cantiere
procedesse – dice Elena Sargiotto, del comitato – La giunta comunale
si sta accanendo contro il verde di Torino: il Meisino è un'area
protetta, con una eccezionale ricchezza sul piano della
biodiversità».
Si è alzato così il clima di tensione che, da giovedì, si respira al
Meisino. Quel giorno, per la prima volta, gli operai si erano
presentati nel parco per allestire il cantiere. Un gruppo di
attivisti, dialogando con loro, ne aveva rallentato le operazioni.
Venerdì gli operai erano tornati al Meisino e avevano dato il via al
posizionamento di jersey e transenne, operazione propedeutica
all'avvio dei lavori. Gli attivisti, presenti anche quel giorno, si
erano limitati a presidiare l'area. «Difendiamo il Meisino» hanno
invece urlato ieri, a più riprese, gli attivisti. I residenti del
comitato dallo scorso anno si battono a suon di petizioni e
manifestazioni in strada contro la realizzazione del progetto.
Un'opposizione dettata dal fatto che, a loro dire, «un parco
dall'alto valore ambientale verrà irrimediabilmente danneggiato
dalle strutture sportive». I lavori, al Meisino, prevedono la
realizzazione di un «Centro per l'educazione sportiva e ambientale».
Si tratta di un progetto da 11, 5 milioni di euro, finanziato con
fondi Pnrr, i cui lavori dureranno poco più di un anno. Nel verde
saranno montate attrezzature che consentiranno di praticare diverse
discipline, tra cui arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco e
ciclocross.
Quanto successo ieri rappresenta un déjà-vu dei fatti dello scorso
febbraio in corso Belgio, a Vanchiglietta. In quel caso un gruppo di
residenti era sceso in strada per bloccare gli operai, inviati dal
Comune per abbattere gli oltre duecento aceri presenti. Il progetto,
dopo di allora, è stato messo in stand-by dal Comune. —
Torino è la prima grande città italiana in cui "Letismart" viene
sperimentato
Il bastone smart per ciechi che dialoga con i semafori
Un bastone intelligente per persone cieche o ipovedenti. In grado di
«dialogare», cioè, con i semafori (e non solo), così da rendere più
sicure le camminate di chi, per problemi di vista, in strada fatica
a orientarsi. Si chiama Letismart: all'apparenza è un normale
bastone bianco, ma ha al suo interno un mini-computer. Una
tecnologia grazie alla quale è in grado di far entrare in contatto
la persona che lo impugna con il mondo che lo circonda, agevolandone
gli spostamenti. Un'operazione che avviene grazie all'installazione,
lungo le strade della città, di piccoli radiofari, che trasmettono
gli impulsi captati dal bastone smart.
Il bastone intelligente, prodotto a Trieste dall'azienda Scen, ieri
è sbarcato a Torino. La nostra è la prima grande città italiana in
cui viene sperimentato (dopo i test nella stessa Trieste e a
Mantova). È stato presentato nella sede torinese dell'Unione Ciechi
(Uici), in corso Vittorio Emanuele II 63, nel cuore di Torino. Un
appuntamento cui sono intervenuti il presidente provinciale dell'Uici,
Giovanni Laiolo, e l'assessora all'Innovazione di Torino, Chiara
Foglietta.
Da qualche giorno, viene sperimentato in corso Vittorio, nel tratto
tra corso Re Umberto e la stazione di Porta Nuova. Si tratta di
un'area con cinque incroci, regolati complessivamente da cinquanta
semafori. All'interno dei semafori, con l'aiuto dei tecnici di Iren,
sono stati installati cinquanta radiofari. Quando una persona
ipovedente, passeggiando sul marciapiede, si avvicina a uno di
questi semafori, il bastone lo avverte con un messaggio vocale: «Tra
venti metri c'è un semaforo sonoro».
I radiofari possono essere installati anche in punti strategici
della città. A Torino ne è stato posizionato uno all'ingresso di
corso Vittorio 63. Avvicinandosi alla porta d'entrata, il bastone fa
scattare il messaggio vocale: «Sei a venti metri dalla sede
dell'Unione ciechi, trovi l'ingresso sulla destra». Se chi impugna
il bastone vuole raggiungerla, preme un pulsante sul bastone stesso.
A quel punto dall'ingresso di corso Vittorio 63 parte un cicalino,
che aiuta la persona ipovedente a orientarsi. «Ci auguriamo che -
dice Laiolo - la rete infrastrutturale torinese necessaria al
funzionamento di questo strumento venga ampliata
09.09.24
GLI ERRORI DI JAKY DELL'ELETTO DA DONNA MARELLA IL DISCEPOLO DI
MARCHIONNE : Dietro
le recenti operazioni industriali e le scelte strategiche nel
settore automobilistico sembrano celarsi manovre politiche ed
economiche volte a indebolire l’industria italiana a favore di altri
Paesi europei, in particolare Francia e Polonia. L’acquisizione di
Fiat da parte del gruppo francese PSA, che ha portato alla creazione
di Stellantis, rappresenta un esempio emblematico di come la Francia
abbia ottenuto una significativa influenza su un’importante azienda
italiana, con la possibilità di orientare le decisioni aziendali a
beneficio degli interessi francesi.
Questa situazione potrebbe portare a una diminuzione del peso e
della competitività dell’industria automobilistica italiana. La
strategia sembra implicare il potenziamento degli impianti
produttivi in Polonia, dove i costi di manodopera sono più bassi,
favorendo così la crescita della produzione in quel Paese a
discapito degli stabilimenti italiani. Nel frattempo, gli
stabilimenti francesi verrebbero tutelati da riduzioni di personale,
mantenendo intatta la capacità produttiva e la competitività
dell’industria automobilistica francese. Questa dinamica rischia di
danneggiare il settore industriale italiano, portando a una
riduzione dei posti di lavoro e a una possibile perdita di
competenze tecnologiche.
Un parallelo interessante è rappresentato dal “triangolo di Weimar“,
un forum di cooperazione politica tra Germania, Francia e Polonia,
concepito per rafforzare la collaborazione tra questi paesi. In
questo contesto, il triangolo di Weimar può essere visto come un
mezzo per controbilanciare l’influenza economica e politica della
Germania in Europa, con Francia e Polonia impegnate a consolidare la
loro posizione geopolitica. In questo scenario, l’Italia potrebbe
essere percepita come un concorrente industriale, con alleanze e
decisioni economiche orientate a ridurre il suo peso economico e
industriale a favore di altri Paesi europei.
Le decisioni aziendali e le strategie di mercato sembrano essere
guidate non solo da logiche economiche ma anche da obiettivi
politici e militari, mirati a ristrutturare l’equilibrio del potere
industriale in Europa. Il rafforzamento di specifici settori
industriali in Polonia e Francia, con un contemporaneo indebolimento
dell’industria italiana, potrebbe essere parte di una strategia
geopolitica più ampia, con conseguenze significative per l’economia
e l’occupazione in Italia. Perché a questo punto possiamo allora
parlare in termini legittimi di guerra economica?
L’idea di una “guerra economica” in questo contesto si riferisce
all’uso di strategie economiche e commerciali per ottenere vantaggi
geopolitici e indebolire i concorrenti senza ricorrere a conflitti
armati. Nel caso specifico descritto, le manovre attuate attraverso
l’acquisizione di Fiat da parte del gruppo PSA e la creazione di
Stellantis potrebbero essere viste come parte di una strategia più
ampia per rimodellare l’industria automobilistica europea a
vantaggio di alcuni Paesi, come la Francia e la Polonia, a scapito
dell’Italia.
Questa “guerra economica” si manifesta attraverso diverse tattiche:
potenziando la produzione in Polonia e mantenendo intatti i posti di
lavoro in Francia, mentre si riducono gli investimenti e
l’occupazione in Italia e si indebolisce il sistema industriale
italiano.
Questo potrebbe portare a una perdita di competitività e a una
dipendenza crescente dalle decisioni prese da altri Paesi, riducendo
la capacità dell’Italia di influenzare le dinamiche del settore
automobilistico europeo. Acquisendo una quota significativa di
controllo su un’azienda chiave come Fiat, la Francia, tramite PSA e
Stellantis, ottiene un’influenza diretta su una parte importante
dell’industria automobilistica italiana. Questo controllo consente
di dirigere le decisioni aziendali secondo gli interessi francesi,
limitando l’autonomia italiana nella gestione delle proprie risorse
industriali.
Un’Italia indebolita industrialmente potrebbe avere meno voce in
capitolo nelle decisioni politiche ed economiche dell’UE, mentre la
Francia e altri Paesi alleati rafforzano la loro posizione. In
sintesi, considerare queste azioni come una forma di “guerra
economica” implica riconoscere che le dinamiche economiche e
commerciali vengono utilizzate come strumenti per raggiungere
obiettivi di potere e influenza geopolitica. Queste strategie non
implicano necessariamente un confronto diretto o violento, ma mirano
comunque a ottenere un vantaggio strategico significativo su un
avversario economico attraverso mezzi economici, piuttosto che
militari.
Rania, la regina per Gaza "La pace in cinque punti basta razzismo
anti Palestina" Francesco Spini
Inviato a Cernobbio (como)
Era il 2005 l'ultima volta che Rania di Giordania aveva varcato
l'elegante portone di Villa d'Este. E sembra passato un secolo: «Non
avrei mai immaginato di guardare indietro a quei giorni e pensare:
"Erano tempi più semplici"». Ora la regina torna al Forum di
Cernobbio organizzato da Teh-Ambrosetti e propone cinque punti,
cinque proposte per favorire la pace tra Israele e Gaza e mettere
fine a quello che sua maestà chiama «razzismo anti-palestinese».
Parte rievocando il fatidico 7 ottobre quando «Israele è stato
attaccato da Hamas», con una «escalation violenta che ha scioccato
il mondo». Ma racconta anche la risposta di Israele che ha portato
il suo blocco su Gaza «a nuovi livelli disumani». Dettaglia con i
numeri «una sofferenza civile inimmaginabile», che «viene
normalizzata ogni giorno. Ma vi chiedo: provate a immaginare cosa
deve essere non essere riuniti qui accanto al bellissimo lago di
Como, ma essere un genitore a Gaza…», dove «hai seppellito un
figlio… un altro ha perso una gamba e metà del suo peso. Tutta la
tua famiglia sta morendo di fame», è il racconto, terribile, della
regina di Giordania. E ancora: «Nessun ospedale. Nessuna scuola.
Nessuna università ancora in piedi. Quasi ogni quartiere è in
macerie».
Due pesi e due misure, secondo Rania, quelle che il modo applica
quando parla di sicurezza per Israele e di sicurezza per Gaza.
«Questa svalutazione della vita deve essere chiamata per quello che
è: razzismo anti-palestinese», declama di fronte a manager,
imprenditori, banchieri e politici che affollano la sala. Si chiede
se ci si aspetterebbe da qualunque popolazione occidentale di
«tollerare decenni di occupazione, oppressione e violenza». È
perentoria nel rivolgersi alla platea di Cernobbio: «Il bagno di
sangue si deve fermare». Perché «cosa dovrebbe pensare il Sud
Globale quando vede l'Occidente sostenere il popolo ucraino
lasciando invece i civili innocenti a Gaza sotto una punizione
collettiva senza precedenti?».
Secondo la sovrana è necessario ora superare e respingere tali
«doppi standard» e «trovare un percorso comune verso la pace». I
piani per risolvere la situazione non decollano ma non vuole
rassegnarsi «a una realtà intollerabile». Propone quindi una «base
condivisa, che si fondi su una serie di principi fondamentali su cui
tutti possiamo concordare e a cui possiamo aderire». Cinque principi
«indiscutibili» che «dovrebbero sostenere tutte le vere iniziative
per la pace».
Punto primo: «Il diritto internazionale deve prevalere, senza
eccezioni». Del resto, ammette, «non sono neutrale. Suppongo che
nessuno di noi lo sia veramente, per quanto ci sforziamo. Ecco
perché abbiamo bisogno della legge». Anzitutto «far rispettare le
risoluzioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e
rispettare le opinioni e le sentenze dei tribunali internazionali,
anche quando sono politicamente scomode». Secondo: «L'autonomia, la
dignità e i diritti umani sono universali e assoluti». Dunque la
pace «non può essere creata adottando le maniere forti contro una
parte più debole costringendola ad accettare condizioni sfavorevoli.
Israeliani e palestinesi hanno pari diritto alla sicurezza e
all'autodeterminazione. Alcuni Paesi europei hanno riconosciuto
questo diritto riconoscendo lo Stato palestinese. Spero che altri
Paesi in Europa e altrove facciano lo stesso».
Terzo punto: «Affinché la giustizia prevalga, bisogna assumersi le
responsabilità» delle proprie azioni applicando controlli al potere,
sanzionando gli illeciti. «A Gaza, vediamo le conseguenze
catastrofiche di questo squilibrio: una nazione potente, che crea
condizioni di fame e sfollamento di massa, affronta poche
contestazioni». Il rovescio della medaglia della responsabilità «è
l'impunità», ricorda Rania di Giordania. E ancora, quarto punto: «La
vera sicurezza non è a somma zero. Una pace giusta rende la
sicurezza reciproca» perché «l'insicurezza di una parte non serve
all'altra. Essa perpetua solo il problema». Infine il quinto
principio. «È semplice: le voci estreme - indipendentemente da dove
provengano - devono essere escluse dalla conversazione. Il futuro -
dice la regina - non può essere tenuto in ostaggio da coloro che
sostengono la fame di massa, lo sterminio e l'espulsione… che
applaudono la punizione collettiva… che difendono l'indifendibile.
Devono essere denunciati e zittiti»
LA LOGGIA UNGHERIA GODE OTTIMA SALUTE E TANTO POTERE: Dossieraggio,
il dietrofront di Crosetto: "Nessun sospetto sugli apparati di
Sicurezza". La procura di Perugia a caccia delle chat cancellate"
Le carte di Cantone
Dai rapporti col Vaticano ai Servizi segreti Cantone indaga sui
mandanti di Striano
giuseppe legato
I due paragrafi della lunga richiesta di arresto firmata dal
procuratore di Perugia Raffaele Cantone sono collegati e seguono
l'uno all'altro: numerati 13 e 14. E basterebbero i titoli per
spiegare come l'articolata inchiesta su manager politici e vip
spiati sia tutt'altro che conclusa. Il primo recita: «I collegamenti
di Striano con il Vaticano». Il secondo: «Possibili rapporti con i
sistemi di sicurezza (i Servizi ndr)». È questo un fronte misterioso
e ancora incompleto che però gli investigatori hanno deciso di
percorrere partendo da quattro accessi effettuati dal tenente della
Guardia di Finanza all'epoca in cui era in servizio alla Procura
Nazionale Antimafia dove coordinava il gruppo Sos (Segnalazioni
operazioni sospette). I nomi: Cecilia Marogna, Raffaele Mincione,
Gianluigi Torzi e Fabrizio Tirabassi. Finanzieri, broker, funzionari
amministrativi del Vaticano ed ex fonti dei Servizi segreti, tutti
recentemente condannati, sui quali il principale indagato di Perugia
avrebbe interrogato il terminale per conoscere dati anagrafici,
redditi e catasto. Tutti personaggi coinvolti nell'inchiesta sul
cardinale Becciu. Striano li ha effettuati a partire da luglio 2019
quando cioè non vi era discovery sull'attività investigativa del
Promotore della giustizia della Santa Sede. Sono dunque «di gran
lunga antecedenti al primo atto di indagine» della giustizia
inquirente pontificia ovvero alle prime perquisizioni datate 1
ottobre 2019, si legge agli atti. E non aiuta a normalizzare il
quadro sempre più popolato di singolari coincidenze sapere che
l'inchiesta era partita poco prima dell'estate seguita, il 5 luglio,
da una disposizione di Bergoglio alla gendarmeria affinché
utilizzassero i più ampi mezzi tecnologici per portare avanti gli
accertamenti. La domanda sullo sfondo è semplice: chi ha chiesto al
sottufficiale della Finanza di controllare questi nomi quando gli
stessi erano ancora sconosciuti? Cantone chiosa: «Questo ufficio sta
svolgendo anche su questi accessi effettuati da Striano ulteriori
approfondimenti, ritenendo che l'accesso non ricollegabile ad
un'attività dell'ufficio sia, già solo per questo, privo di ragioni
di servizio e dunque illecito».
Ma cospicue tracce del Vaticano si rivengono anche nel capitolo su
possibili collegamenti «con gli apparati di sicurezza» altro punto
di interesse per gli investigatori. La procura di Perugia cita – a
corredo del titolo del paragrafo – un uomo in contatto con Striano
«che percepisce – si legge – redditi dal comando generale dei
carabinieri dal Comando Generale dei Carabinieri e Presidenza del
Consiglio dei Ministri».
Chiede al tenente informazioni riservate su un monsignore che ha
lavorato a lungo negli anni precedenti nella segreteria di stato
della Santa Sede. Si chiama Giovanni Hermes Viale (non indagato):
«Questo è un pezzo da novanta» dice Striano all'interlocutore nelle
chat. Gli investigatori riferiscono «di un'anomala movimentazione
costituita da rilevante operatività in contanti» sul conto corrente
personale del prelato: «Tale operatività, inusuale e di critica
tracciabilità, potrebbe assumere rilevanza in considerazione di
alcuni pregressi coinvolgimenti del prelato in talune vicende
riportate dai media». Striano e il misterioso carabiniere parlano
anche di alcuni «amici» che vogliono sapere se alcune ditte «da cui
devono rifornirsi» sono «apposto». Un titolare ha precedenti penali
«ma se "gli amici" ci offrono una bistecca glielo diciamo noi chi
scegliere». Parlano dei Servizi? Di certo c'è che «il collegamento
con …(il militare)…, pare essere riconducibile a rapporti con il
Vaticano o comunque a richiesta di informazioni relative a soggetti,
come Viale, che hanno rivestito ruoli di rilievo nello Stato
Pontificio». Intanto sempre i pm di Perugia hanno notato la
stranezza «di alcune chat cancellate» dal telefono di Striano.
«Inimmaginabile» che fonti con cui ha scambiato centinaia di file
non abbiano avuto contatti di messaggistica. Ergo: «Questo ufficio –
scrive Cantone – ha delegato specifici accertamenti in ordine alla
possibilità di recupero di eventuali chat cancellate. Tale dato
potrebbe risultare da apposita interrogazione della società
statunitense Meta, proprietaria e gestore dell'applicativo di
messaggistica istantanea WhatsApp». Infine ieri il ministro Crosetto
è intervenuto sulla notizia di suoi "sospetti" che alcune
informazioni finite ai giornalisti fossero uscite dagli apparati di
Sicurezza. «L'idea stessa – ha detto – che la mia sfiducia
riguardasse» i servizi «o i suoi vertici è più ridicola che falsa.
Mi ero limitato a evidenziare al Procuratore capo di Perugia come
una notizia (irrilevante e anche falsificata) apparsa su un
quotidiano non potesse che provenire dall'interno dell'Aise,
trattandosi di questioni secretate. Su questa vicenda, di cui avevo
informato i vertici del comparto, ho poi avuto totale e piena
cooperazione». Eppure era stata la stessa procura di Perugia, nel
capitolo relativo agli accessi abusivi effettuati da Striano su di
lui (e da Crosetto denunciati) a spiegare come «il ministro ha
rappresentato agli inquirenti le sue perplessità sulla possibile
provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di
sicurezza».
Attenzione! La nuova gabella bancaria: imporre contratti di
consulenza anche col silenzio-assenso
Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di lunedì 19 agosto
2024 a pag. 15
| Attualità | Danni del risparmio gestito
banca intesa sanpaolo banca investis
Le banche italiane mal sopportano i risparmiatori cui non riescono a
raschiare via molti soldi, perché refrattari ai loro prodotti
finanziari o pseudo-assicurativi. Ci vuole una tempra d’acciaio,
eppure qualcuno pervicacemente resiste: non si lascia spolpare dal
risparmio gestito e continua a fare da sé, comprando alcuni o molti
titoli. Ma la banca premurosa non vuole lasciarlo solo: un tipico
caso per cui vale il proverbio “Meglio soli che male accompagnati”.
Cos’hanno infatti pensato? A chi ha Btp, Cct, azioni ecc. cercano di
appioppare un contratto di consulenza e alcuni addirittura
minacciano di chiudere il conto a chi non obbedisce. Il fenomeno è
generale. Si va da grosse banche come Intesa-Sanpaolo con la
“consulenza evoluta di Valore Insieme”, a realtà minori come per
esempio Banca Investis con la “consulenza Universo”. Le tariffe sono
pesanti, intorno all’1-1,5% annuo del patrimonio, nell’ordine quindi
delle commissioni addebitate da molti fondi comuni.
Sono proposte da rifiutare senza perdere tempo in approfondimenti
inutili. Oltre ai consigli interessati, c’è da aspettarsi di essere
sommersi da una fiumana di analisi, statistiche, report inutili. Nel
caso migliore è beneficienza alla banca, nell’ipotesi più probabile
un modo per trovarsi sul groppone fondi, polizze, piani
pensionistici e simili, consigliati però in modo “evoluto” e non
involuto.
È come se per la propria salute uno s’affidasse per assurdo a un
farmacista disonesto. C’è da attendersi che spingerebbe in
continuazione ogni tipo di medicina; comunque sempre cure
farmacologiche e giammai chirurgiche, che non tratta. Così il
sedicente consulente dietro lo sportello consiglierà prodotti su cui
la banca arraffa più soldi. Mai e poi mai invece i buoni fruttiferi
postali.
Sono inoltre esose le percentuali richieste. Vi sono consulenti
veri, cioè di fatto e non solo di nome, che prendono meno. Che poi
trovarne uno competente sia impresa ardua è un altro discorso; ma
ciò vale pure coi bancari.
Per giunta alcune banche incastrano i clienti col silenzio-assenso.
Non è raro che abbiano fatto accettare a tutti un rapporto di
consulenza gratuito, giustificandolo come una soluzione per
semplificare alcune procedure. A questo punto gli basta comunicare
la modifica unilaterale del contratto, che porta la commissione
annua dallo zero all’1%. Se uno non risponde entro il tempo
previsto, è incastrato. È una specie di pesca a strascico: i più
distratti o incompetenti restano impigliati nella rete.
Come in altri casi, corrono rischi soprattutto quanti hanno
rinunciato a ricevere in forma cartacea la posta della banca al
proprio domicilio (o altro recapito), optando per la documentazione
online. Così gli sfuggono facilmente comunicazioni importanti.
Richiedere quindi senza indugio la ripresa degli invii per posta.
Carta canta.
Beppe Scienza
Il governo vuole dare il TFR ai fondi: ecco perché non funziona
Articolo di Beppe Scienza sul Fatto Quotidiano di martedì 27 agosto
2024 a pag. 5
| Attualità | Fondi pensione o TFR
La ministra del lavoro Marina Elvira Calderone ha parlato della
«riapertura di un semestre di silenzio-assenso» per la destinazione
del Tfr alla previdenza integrativa, cui avrebbero aderito in pochi
perché «non è stata spiegata bene». In realtà è il contrario. Fosse
stata presentata in modo corretto, avrebbero aderito in meno.
Il sottosegretario Claudio Durigon della Lega ha poi addirittura
annunciato una proposta di legge per il trasferimento obbligatorio
del 25% del Tfr nelle forme previdenziali per ovviare alle pensioni
prevedibilmente troppo basse. Viste tali esternazioni, merita fare
il punto della situazione.
Precisiamo subito che, come risparmio previdenziale, il buon vecchio
TFR ha funzionato in modo egregio in periodi di alta inflazione:
+10% di rivalutazione nel 2022 rispetto a perdite medie del fra il
10 e 11% della previdenza integrativa. Ha rispettato le promesse in
tempi di bassa inflazione e ha offerto rendimenti fra i più alti con
deflazione e tassi negativi. Difficile trovare di meglio per un
risparmiatore non incline agli azzardi borsistici. Sull’altro
versante, cioè per il datore di lavoro, è una fonte di finanziamento
a condizioni ragionevoli. È odiato e attaccato solo da soggetti in
conflitto d’interesse: banche, gestori, assicurazioni, sindacati non
di base e associazioni padronali, con giornalisti al seguito.
Insomma da chi può trarre vantaggi in un modo o nell’altro se esso è
trasferito alla previdenza integrativa.
Ciò chiarito, facciamo due discorsi. Per cominciare è sempre odioso
estorcere un accordo col silenzio-assenso, cioè obbligare uno ad
attivarsi per impedire che gli cambino le carte in tavola. Si tratta
di una furbata per incastrare le persone distratte, meno pronte, non
sempre sul chi vive o momentaneamente in difficoltà. Insomma, per
approfittare dei più deboli.
Passando alla proposta di Durigon, non per nulla di estrazione
sindacale, c’è un motivo specifico che nei fatti la svuota di
validità. Si ricava da dati ufficiali, che però quasi tutti cercano
di tenere ben nascosti. Smontano infatti la narrazione
propagandistica dominante, secondo cui gli aderenti a fondi pensione
e simili se la passerebbero bene nella loro vecchiaia grazie a un
reddito aggiuntivo alla pensione dell’Inps.
Di regola ciò non si verifica affatto. Quasi tutti gli interessati
non ricevono nessuna rendita vitalizia, ma semplicemente incassano
una singola somma di denaro, come col Tfr. Lo si scopre dalle
relazioni annuali dell’organo di vigilanza cioè della Covip, per
altro partigiana sfegatata della previdenza integrativa. Prendiamo
in particolare i tanto decantati fondi negoziali: nel 2023 il 99%
degli interessati ha rinunciato alla rendita e preferito un capitale
una tantum: 62.103 rispetto a 574. È così in generale anche per gli
anni precedenti e per le altre forme previdenziali, quando più
quando meno, dove più dove meno. Nei rari casi poi di rendita spesso
non è stata neppure una scelta, ma il risultato di un’imposizione
normativa.
Quindi la proposta di Durigon non va nella direzione di aumentare
una pensione pubblica troppo bassa. Ci si può aspettare che quasi
tutti gli interessati opterebbero all’età della pensione per un
capitale anziché una rendita: pochi maledetti e subito o anche molti
benedetti, ma comunque subito. Rispetto al mantenimento del suddetto
25% del Tfr in azienda, tale capitale sarà forse superiore, circa
uguale o inferiore; oppure anche sciaguratamente basso in caso di
alta inflazione. Se gli va bene, i lavoratori avranno un vantaggio
modesto contro la perdita della disponibilità immediata dell’intero
Tfr in caso di licenziamento, contro costi che distruggono vantaggi
fiscali e contributo datoriale, sempre in totale mancanza di
trasparenza. Se gli va male, ci rimetteranno su tutti i fronti. Ci
guadagnerebbero i soliti che si avvantaggiano della previdenza
integrativa: l’industria parassitaria del risparmio gestito, in
questo caso alleata ai sindacati e alle associazioni padronali.
Restano comunque valide tutte le obiezioni da altri giustamente
sollevate. In particolare non aiuterebbe i lavoratori precari senza
Tfr, né quelli con redditi talmente bassi che le modestissime cifre
accantonate gli frutterebbero ben poco.
Beppe Scienza
QUELLO CHE DOVEVA FARE JAKY E CHE NON HA FATTO :
Monaco. BMW
prevede di lanciare la sua prima serie in assoluto veicolo elettrico
a celle a combustibile di produzione (FCEV) nel 2028, offrendo così
clienti un'ulteriore opzione di propulsore completamente elettrico
con zero locale emissioni in una BMW. Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation sono mettere in comune la loro forza innovativa e le
loro capacità tecnologiche per portare una nuova generazione di
tecnologia del gruppo propulsore a celle a combustibile al strade.
Entrambe le società condividono l'aspirazione di far avanzare
l'idrogeno economia e hanno esteso la loro collaborazione per
spingere questo a livello locale tecnologia a emissioni zero al
livello successivo.
La principale esperienza di
sviluppo del BMW Group nella trazione elettrica le tecnologie sono
ancora una volta dimostrate dai suoi incessanti sforzi per far
avanzare la tecnologia delle celle a combustibile a idrogeno e il
suo abbraccio a 'approccio ‘tecnologia-apertura’ al fine di fornire
ai clienti un gamma di soluzioni di mobilità per il futuro.
“Questa è una pietra miliare
nella storia dell'auto: la prima serie in assoluto veicolo a celle a
combustibile di produzione che sarà offerto da un premio globale
produttore. Alimentato dall'idrogeno e guidato dallo spirito del
nostro cooperazione, sottolineerà come si sta modellando il
progresso tecnologico mobilità futura, ha detto” Oliver
Zipse, presidente del consiglio di amministrazione di Gestione di
BMW AG. “E
annuncerà un'era di domanda significativa di veicoli elettrici a
celle a combustibile.”
Koji Sato, Presidente
e Membro del Consiglio di Amministrazione (Direttore
rappresentativo) Toyota Motor Corporation, detto,
“Siamo lieti che la collaborazione tra BMW e Toyota abbia entrato in
una nuova fase. Nella nostra lunga storia di partnership, abbiamo
confermato che BMW e Toyota condividono la stessa passione per le
auto e fede in ‘technology openness’ e un approccio ‘multi-pathway’
a neutralità carbonica. Sulla base di questi valori condivisi,
approfondiremo il nostro collaborazione in sforzi come lo sviluppo
congiunto di sistemi di celle a combustibile di prossima generazione
e espansione delle infrastrutture, mirare alla realizzazione di una
società dell’idrogeno. Accelereremo i nostri sforzi insieme a BMW e
partner in vari settori per realizzare un futuro in cui l’energia
dell’idrogeno sostenga la società."
Tecnologia del gruppo
propulsore condiviso utilizzata tra i singoli modelli per offrire
interessanti opzioni FCEV.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation svilupperanno congiuntamente il sistema di propulsione
per veicoli passeggeri, con la cella a combustibile centrale
tecnologia (le singole celle a combustibile di terza generazione)
creando sinergie per applicazioni sia commerciali che di veicoli
passeggeri. Il il risultato di questo sforzo di collaborazione verrà
utilizzato individualmente modelli sia BMW che Toyota ed amplieranno
la gamma di FCEV opzioni a disposizione dei clienti, portando la
visione dell'idrogeno mobilità un passo più vicino alla realtà. I
clienti possono aspettarsi la BMW e Modelli Toyota FCEV per
mantenere le loro identità di marca distinte e caratteristiche,
fornendo loro opzioni FCEV individuali da scegliere da. Realizzare
sinergie e amalgamare il volume totale di unità di propulsione
collaborando allo sviluppo e all'approvvigionamento promette di
ridurre i costi della tecnologia delle celle a combustibile.
BMW lancerà il suo
primo modello di produzione alimentato a idrogeno in 2028.
Dopo aver testato con successo
la flotta pilota BMW iX5 Hydrogen in tutto il mondo, il BMW Group si
sta ora preparando per la produzione in serie di veicoli con sistemi
di azionamento a idrogeno nel 2028 sulla base del tecnologia del
gruppo propulsore di nuova generazione sviluppata congiuntamente. La
serie i modelli di produzione saranno integrati nel portafoglio
esistente di BMW, cioè. BMW offrirà un modello esistente in un
ulteriore combustibile a idrogeno variante del sistema di
azionamento cellulare. Poiché la tecnologia FCEV è un'altra
elettrica tecnologia dei veicoli, il BMW Group la considera
esplicitamente complementare la tecnologia di azionamento utilizzata
dai veicoli elettrici a batteria (BEV) e successivi ai veicoli
elettrici ibridi plug-in (PHEV) e combustione interna motori (ICE).
Un nuovo livello di
partnership.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation possono guardare indietro un decennio di collaborazione
fiduciosa e di successo. Basandosi su questo, le aziende stanno ora
estendendo la loro cooperazione per accelerare innovazione dei
sistemi di propulsione a celle a combustibile di prossima
generazione e pioniere questa nuova tecnologia.
Visione condivisa di
far progredire l'economia dell'idrogeno.
Il percorso per realizzare il
pieno potenziale della mobilità dell’idrogeno comprende il suo
utilizzo nei veicoli commerciali e l'istituzione di un
infrastrutture di rifornimento per tutte le applicazioni di
mobilità, comprese veicoli passeggeri alimentati a idrogeno.
Riconoscere il complementare natura di queste tecnologie, il BMW
Group e il Toyota Motor Le aziende stanno sostenendo l’espansione di
entrambi i rifornimenti di idrogeno e infrastruttura di ricarica per
veicoli elettrici a batteria. Entrambe le società stanno
incoraggiando l’offerta sostenibile di idrogeno creando domanda,
lavorare a stretto contatto con le aziende che stanno costruendo
idrogeno a basse emissioni di carbonio impianti di produzione,
distribuzione e rifornimento.
Il BMW Group e la Toyota Motor
Corporation sostengono la creazione di un quadro favorevole da parte
di governi e investitori facilitare la penetrazione nella fase
iniziale della mobilità dell'idrogeno e garantire la sua fattibilità
economica. Promuovendo l'infrastruttura corrispondente, mirano a
stabilire il mercato FCEV come pilastro aggiuntivo accanto ad altre
tecnologie di powertrain. Inoltre, le aziende stanno cercando
progetti regionali o locali per promuovere ulteriormente il sviluppo
di infrastrutture per l'idrogeno attraverso iniziative di
collaborazione.
Vantaggi della
tecnologia alimentata a idrogeno.
L'idrogeno è riconosciuto come
un promettente vettore energetico futuro per decarbonizzazione
globale. Agisce come un efficace mezzo di memorizzazione per fonti
energetiche rinnovabili, contribuendo a bilanciare domanda e offerta
e consentire un’integrazione più stabile e affidabile delle energie
rinnovabili nel rete energetica. L'idrogeno è il pezzo mancante per
completare l'elettrico puzzle di mobilità in cui i sistemi di
azionamento elettrico a batteria non sono un soluzione ottimale.
08.09.24
Colpita in Cisgiordania a un corteo contro l'espansione illegale
delle colonie. La protesta della Casa Bianca. Unrwa in allarme: Gaza
allo stremo
Via da Jenin, l'Idf uccide un'attivista Usa Nello Del Gatto
Gerusalemme
Israele è uscito dalle città del nord della Cisgiordania, in
particolare Jenin e Tulkarem, dove dal 28 agosto è in corso una
operazione che i militari hanno definito di antiterrorismo. La
notizia è stata diffusa dall'agenzia di stampa palestinese, ma
l'esercito, pur non parlando di ritiro o di continuazione delle
attività militari nell'area, ha riferito che l'operazione "campi
estivi" continuerà fino al raggiungimento dei suoi obiettivi. Per
intanto i cittadini di Jenin, Tulkarem, Tubas e dei dintorni di
Nablus, hanno potuto riprendere una vita quasi normale, si sono
celebrati i funerali di molte delle 33 vittime degli scontri tra
esercito e miliziani dei diversi gruppi che popolano l'area.
Solo a Jenin, sono stati registrati 21 morti. Il sindaco della
città, Nidal Obeidi, ha parlato di distruzione senza precedenti,
come se fosse un terremoto, con oltre venti chilometri di strade
distrutte dai mezzi blindati israeliani.
In Cisgiordania è stata uccisa da un colpo dei militari, una
ragazzina di tredici anni, Bama Laboum. La ragazzina si trovava in
casa sua quando all'esterno della stessa, nel suo villaggio, c'è
stato uno scontro tra coloni israeliani, protetti dall'esercito, e
locali palestinesi. È morta mentre si trovava in camera con sua
sorella.
Non molto lontano un altro colpo partito dal fucile di un militare
israeliano ha ucciso una cooperante turco-americana di 26 anni.
Aysenur Ezgi era arrivata martedì nei Territori Palestinesi come
volontaria dell'International Solidarity Movement (Ism),
un'organizzazione palestinese che recluta in tutto il mondo
cooperanti per operazione di presenza protettiva. Si trovava a sud
di Nablus, a Beita, insieme ad altri sette attivisti. Erano con i
palestinesi che protestavano contro l'espansione illegale degli
insediamenti a Jabal Sbeih. Per i testimoni, le forze israeliane
hanno lanciato gas lacrimogeni così da disperdere i manifestanti e
questi si sono ritirati. Nonostante fosse tutto relativamente calmo,
soldati israeliani hanno esploso due colpi, uno dei quali è costato
la vita ad Aysenur. I volontari dicono che i colpi sono stati
esplosi per uccidere. L'esercito, che ha annunciato un'inchiesta,
anche se non ha confermato l'uccisione della ragazza americana, ha
riferito che le truppe hanno aperto il fuoco contro un «principale
istigatore» che stava lanciando pietre alle forze e aveva
«rappresentato una minaccia». Il dipartimento di Stato ha espresso
le sue condoglianze alla famiglia della vittima, mentre la Casa
Bianca si è detta «profondamente disturbata» per l'accaduto. La
Turchia ha condannato l'uccisione di Aysenur parlando di «omicidio
commesso dal governo Netanyahu». Intanto a Gaza, mentre si è entrati
nella seconda fase della vaccinazione per la polio, che ha raggiunto
oltre 355 mila bambini secondo l'Unrwa, l'Onu lancia l'allarme sulla
situazione umanitaria, soprattutto l'approvvigionamento di cibo,
reso ancora più difficile dai numerosi ordini di evacuazione, con
più di un milione di persone che non sono riuscite ad avere le
razioni necessarie. Sono almeno 33, secondo i palestinesi, le
vittime degli scontri di ieri nella Striscia.
Hamas, che ha condannato l'uccisione della cooperante
turco-americana, ha aggiunto altre condizioni per l'accettazione
della tregua, soprattutto relative al numero di palestinesi da
liberare dalle carceri israeliane.
I SERVIZI SEGRETI DA CHI DIPENDONO ? LOGGIA UNGHERIA : Le
intercettazioni di Striano prima di iniziare a spiare più di mille
tra vip e manager "Ho ricevuto un ordine preciso, vado a comandare
30 persone, posso fare la guerra"
I sospetti sui dossieraggi Crosetto: "Sono i servizi"
Il documento
giuseppe legato
Febbraio 2019. Poco prima di effettuare il primo di più di un
migliaio di accessi abusivi alle banche dati collegate alla Procura
Nazionale antimafia (e cioè a partire dal 23 marzo successivo), il
tenente della guardia di Finanza Pasquale Striano, al centro di
un'articolata inchiesta della procura di Perugia su presunti dossier
contro vip, politici e manager, prometteva di fare una guerra. Non
era riuscito a rimanere in forza alla Dia e scambia messaggi con
ufficiali e sottufficiali del suo corpo di appartenenza. «Macchè, ma
chi torna alla Dia! Ho ricevuto un ordine ben preciso, vado a
dirigere trenta persone. Posso fare una guerra: alla Dia si devono
vergognare che non hanno fatto niente per trattenermi. Per uno come
me dovevano andare dal capo della polizia». Aggiunge: «Il
procuratore (Laudati ndr, co-indagato) è andato dal capo di Stato
Maggiore per me, che onore!». Nei giorni successivi tutto avverrà: e
l'interessamento per Striano di un generale già capo di Stato
Maggiore verrà confermato al procuratore Cantone, titolare
dell'inchiesta, dal capo della procura nazionale antimafia Giovanni
Melillo: «Mi parlò di Striano come ufficiale di polizia giudiziaria
di grande esperienza sulla materia». Fatto sta che il tenente
"spione", dopo un breve transito nello Scico della Finanza (un
gruppo speciale delle fiamme gialle, di eccellenza investigativa)
rientra nella procura nazionale antimafia come coordinatore del
gruppo Sos (Segnalazioni di operazioni sospette) proprio grazie a
Laudati. Di lì, il profluvio di accertamenti illeciti anche sul
ministro Guido Crosetto (effettuati tra il 28 luglio e il 20 ottobre
2022 e dalla cui denuncia è originata l'inchiesta). Ministro che in
realtà lo scorso gennaio chiede, in prima persona, alla procura di
Perugia di essere sentito. Preoccupato di aver letto su un
quotidiano (Il Domani), "informazioni riservate coperte da segreto –
si legge agli atti della richiesta di misura cautelare per Striano e
il magistrato Laudati (difeso dal legale Andrea Castaldo, docente
universitario di diritto penale) rigettata nei giorni scorsi dal gip
di Perugia - in quanto relative alla partecipazione della moglie,
Gaia Saponaro, ad un concorso presso l'Aise che, essendo
un'articolazione del Dis, è una struttura le cui procedure di
reclutamento del personale sono sottoposte ad un rafforzato sistema
di protezione dei dati». Il ministro «ha riferito agli inquirenti
anche di aver rappresentato le proprie perplessità sulla possibile
provenienza dell'informazione dall'interno degli stessi apparati di
sicurezza al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Alfredo Mantovano, e di aver poi direttamente conferito
anche con la Presidente del Consiglio (Meloni). Ha aggiunto, altresi,
di aver – si legge nelle 200 pagine firmate da Cantone - esplicitato
le sue perplessità anche al direttore dell'Aise, il Generale
Caravelli, e di aver chiesto di svolgere accertamenti sul punto
anche alla direttrice del Dis, Ambasciatrice Elisabetta Belloni». I
pm di Perugia sono andati a controllare «e la Presidente del
Consiglio, per il tramite del Sottosegretario, ha informato questo
ufficio di aver svolto i dovuti accertamenti, escludendo il
coinvolgimento degli organismi di intelligence interni».
LA DISPARITA' DEL COSTO ENERGETICO : Bollette, la beffa del
mercato libero I vulnerabili pagano le tariffe più alte
giuliano balestreri
Il paradosso è servito. Gli utenti vulnerabili - circa 3,8 milioni
di persone tra gli over 75 e i percettori di bonus sociali destinati
ai bassi redditi - pagano la bolletta della luce più cara di tutti.
Un effetto previsto dagli esperti e di cui il governo era stato
avvertito, ma che l'esecutivo non è stato in grado di gestire con il
passaggio al libero mercato dell'energia.
Adesso, il pasticcio rischia di trasformarsi in un boomerang oltre
ad alimentare nuove tensioni all'interno della maggioranza: la Lega,
infatti, aveva chiesto prima una proroga della transizione dal 30
giugno al 31 dicembre - ma la richiesta era stata stoppata dal
ministro Raffaele Fitto perché l'addio al mercato tutelato era stato
negoziato con la Ue - e poi votato una risoluzione che permette agli
utenti vulnerabili di passare in qualunque momento dal mercato
tutelato alle tutele graduali.
A metà luglio il presidente della Commissione attività produttive
della Camera, Alberto Gusmeroli, esultava: «Con la risoluzione in
commissione approvata dal Governo, anche i clienti vulnerabili, una
volta varato il decreto attuativo, potranno chiedere di passare al
sistema a tutele graduali. I dati ci dicono poi che 8,4 milioni di
utenze vulnerabili si trovano addirittura nel mercato libero,
esposte quindi a prezzi superiori a causa del teleselling spesso
aggressivo di certi operatori». Il problema è che di quel decreto si
sono già perse le tracce. Anche perché i tecnici devono prima capire
come intervenire senza creare distorsioni di mercato aprendo, di
conseguenza, nuovi fronti con l'Unione europea. D'altra parte
l'addio al mercato tutelato dell'Italia - avviato dal governo Renzi
nel 2014 - è stato tutt'altro che semplice. A complicare
ulteriormente lo scenario hanno contribuito le aste indette per
aggiudicarsi gli utenti non vulnerabili rimasti sul mercato
tutelato: per vincere 4,5 milioni di clienti, i big del mercato si
sono fatti la guerra a colpi di ribassi che ora devono riversare
sugli utenti passati al mercato a tutele graduali. L'Arera calcola
che beneficieranno di un risparmio medio annuo di circa 130 euro,
più del 20% della spesa media di una famiglia tipo (600 euro
l'anno).
Per rendere ancora più intricata la partita, però, l'esecutivo ha
permesso a tutti gli utenti già passati al mercato libero di
rientrare nel mercato tutelato entro lo scorso 30 giugno: una
possibilità accolta da migliaia di famiglie convinte dalla
prospettiva di risparmiare decine di euro. Una possibilità
comunicata con chiarezza anche dall'Arera, ma che è rimasta ignota a
milioni di vulnerabili.
«La scelta di permettere a chiunque di rientrare sul mercato
tutelato per poi essere assegnato alle tutele graduali è un
controsenso» ragiona un manager del settore che poi aggiunge: «Frena
il libero mercato, avvantaggia gli operatori più grandi che possono
permettersi di lavorare in perdita sui clienti retail e penalizza
chi avrebbe avuto davvero bisogno di risparmiare». Di certo, a oggi,
l'addio al mercato tutelato ha penalizzato tutti gli utenti: sul
mercato libero le tariffe sono in alcuni casi più care del 50 per
cento. Motivo per cui, già a marzo, il presidente di Arera, Stefano
Besseghini, ipotizzava la necessità di «interventi ulteriori e
diversi in relazione ai clienti vulnerabili».
GRAZIE A FASSINO E MARCHIONNE CHE SPOSTO UN POLONIA LA PANDA :
In un anno richieste 17 milioni di ore. La Uil: "Nel 2025 gli
ammortizzatori potrebbero finire". L'allarme: "A Mirafiori la
produzione è calata dell'83%"
Torino prima in Italia per cassa integrazione La Fiom: "Si temono
nuovi fermi produttivi "
Paolo Varetto
Gli operai sono tornati a Mirafiori questa settimana. Ma il timore
della Fiom, con il segretario generale di Torino Edi Lazzi, è che la
prossima settimana possa arrivare l'annuncio di un nuovo periodo di
cassa integrazione. «Con il rischio che entro la fine dell'anno
possa superare il numero delle giornate di lavoro effettivo».
Il sintomo di un male ormai endemico, visto che Torino si conferma
la città più cassaintegrata d'Italia in tutti i settori, con 17
milioni di ore e un aumento del 72,4% rispetto ai primi sette mesi
dello scorso anno. «Ma è tutto il Piemonte a registrare dati sempre
più preoccupanti – garantisce il segretario regionale della Uil
Gianni Cortese –, con un monte ore doppio: se nel resto d'Italia
l'aumento delle richieste è stato del 20%, noi siamo al 40%».
Ora le preoccupazioni si spostano sul 2025, quando terminerà il
quinquennio sul quale si calcola il tetto massimo dei 36 mesi degli
ammortizzatori sociali. «E sempre più aziende – anticipa Cortese –
sono ormai al limite. Se dovessero esaurirli, la paura è che si
possa passare ai tagli al personale, e quindi ai licenziamenti».
In questo quadro emerge il caso Mirafiori sollevato ieri mattina
dalla Fiom nel corso della presentazione della sua festa allo
Sporting Dora. «Fino a settembre – ha annunciato Lazzi – nello
stabilimento sono state prodotte 18.500 auto contro le 52 mila dello
stesso periodo 2023, con un calo dell'83%. Se il trend proseguirà
così, il 2024 si chiuderà con 20 mila unità prodotte, numero
lontanissimo dalle 200 mila necessarie per mantenere in vita il sito
produttivo. Fossero anche 100 mila non basterebbero a risolvere le
difficoltà. In queste condizioni a preoccupare è il livello di
scontro sociale, destinato ad aumentare: la gente è stufa».
Situazione confermata anche dal segretario piemontese Fiom, Valter
Vergnano: «Le difficoltà del mercato dell'auto pesano anche
sull'indotto. Gli effetti non si stanno facendo sentire solo a
Torino, ma anche sulle altre province». Resta l'interrogativo di
fondo: che fare? «Portare a Mirafiori nuovi modelli – assicura il
segretario cittadino dei metalmeccanici della Cgil –, auto per il
mercato di massa, che costino poco e possano essere acquistate anche
dalle persone normali». Ma il problema è globale: senza ordini non
c'è produzione e lo dimostrano pure gli annunci di Volkswagen (che
sta valutando di chiudere stabilimenti in Germania) e Toyota che
taglia del 30% l'obiettivo di produzione delle elettriche.
Sullo sfondo deve però esserci una strategia che coinvolga il
governo e Stellantis e che vada oltre i semplici incentivi: «Se
vogliamo andare verso la mobilità elettrica – assicura Lazzi –
allora servono investimenti pubblici e privati per l'infrastrutturazione
del Paese». Ma già nelle scorse settimane Stellantis, rispondendo al
ministro Adolfo Urso, aveva ribadito gli impegni presi, che vedono
il polo produttivo di Torino centrale per la trasformazione in
corso: «Stellantis - aveva fatto sapere il gruppo - rimane
concentrata sull'esecuzione del piano per l'Italia per i prossimi
anni, già comunicato ai partner sindacali, che include progetti
importanti come quello per Mirafiori 2030».
IL DIRITTO DI SBAGLIARE : Le motivazioni del proscioglimento
di Chiamparino, Appendino e Fassino Secondo il tribunale non si
poteva mettere in campo alcuna soluzione
Sindaci e amministratori non punibili per lo smog "Impossibile
impedirlo"
giuseppe legato
In 38 pagine, depositate l'altroieri in Cancelleria, il giudice
Roberto Ruscello ha spiegato perché i titoli di reato contestati dal
pm Gianfranco Colace ad amministratori ed ex amministratori che si
sono succeduti alla guida di Comune e regione dal 2015 al 2019, non
potessero condurre a un processo vero e proprio sull'inquinamento
ambientale colposo che ha colpito la città di Torino. Con questo
titolo di reato erano stati indagati Sergio Chiamparino, Piero
Fassino, Chiara Appendino, Alberto Valmaggia, Enzo La Volta,
Stefania Giannuzzi e Alberto Unia (gli ultimi quattro in qualità di
assessori all'Ambiente). Tutti prosciolti. Perché il fatto non
sussiste. Non c'è responsabilità e nemmeno nesso di causalità tra le
misure adottate (o non adottate) dagli amministratori e
l'innalzamento dei livelli di inquinamento. Tra i quali soltanto il
pm10, – o perlomeno in misura preponderante – ha sforato in maniera
significativa le soglie. Non così è stato per il pm 2, 5, per il
biossido di azoto e per altre 4 sostanze indicate dal legislatore
come inquinanti: «È solo il pm10 – scrive il giudice – che si è
manifestato con una durata tale per comportare un deterioramento
dell'aria in termini penalmente rilevanti». La procura ha anche
contestato che la Regione non si sia attivata, in assenza o in
carenza di misure efficaci da parte dei Comuni utilizzando poteri
sostitutivi: Il giudice chiarisce: «Dal testo della norma non si
ricava alcun obbligo specifico e puntuale in ordine all'impedimento
di eventi di inquinamento a carico di alcun soggetto e, tanto meno,
a carico del presidente della Regione e dell'assessore regionale
all'ambiente». Ma è nella chiosa delle motivazioni che si
rintracciano altre valutazioni: «Vero è, piuttosto, che tutte le
indicazioni ricavabili dagli elementi di natura scientifica
acquisiti agli atti concordano sulla circostanza che l'accumulo di
Pm10 nell'aria della città di Torino sia da attribuire in misura
preponderante alle emissioni generate dal traffico veicolare».
Quindi colpa delle troppe macchine inquinanti. «Ciò comporta che la
principale, se non l'unica, misura che l'amministrazione pubblica
avrebbe dovuto in ipotesi adottare ai fini di impedire il ripetuto
superamento dei valori limite consentiti sarebbe dovuta consistere
nel divieto pressoché assoluto dell'utilizzo di mezzi di trasporto a
combustione e, tuttavia, non può non considerarsi come l'adozione di
simili misure, astrattamente idonee ad impedire l'evento
naturalistico (l'inquinamento), presentano evidenti criticità
rispetto alla tutela di altri interessi altrettanto meritevoli di
attenzione che attengono». Quali? «La libertà di circolazione delle
persone e la tutela dell'occupazione e delle attività economiche che
vengono inevitabilmente pregiudicati dal blocco del traffico
veicolare». Il legale di Fassino Nicola Gianaria commenta: «Le
motivazioni del giudice accolgono sostanzialmente tutte le tesi
difensive e dimostrano come la sede penale non sia quella corretta
per affrontare questi temi». Aggiunge. «Questa inchiesta è stato il
primo e unico esperimento giuridico in Italia, ma non è riuscito».
07.09.24
contestato il centro sportivo
Protesta dei residenti al parco del Meisino "Fermate il cantiere" Sono scesi in strada e si sono frapposti fra i camion con a bordo
gli operai e l'area di cantiere. Così, l'altro ieri, un gruppo di
residenti di Sassi ha bloccato l'avvio dei lavori al parco del
Meisino. Il riferimento è all'intervento pianificato dal Comune per
la realizzazione di un centro sportivo, contestato da un'ampia fetta
della cittadinanza in nome delle peculiarità naturalistiche del
polmone verde. Si è trattato di una protesta soft, che però si è
trascinata per sette ore, monitorata dagli agenti della Digos. Gli
attivisti di «Salviamo il Meisino» hanno presidiato il parco dalle 9
fino alle 16, quando i mezzi di cantiere hanno lasciato l'area.
Gli operai, dal canto loro, non hanno forzato la mano. Si sono
limitati a posare alcuni jersey in cemento sul prato, senza aprire
un vero e proprio cantiere. Si tratta di un déjà-vu di quanto
accaduto lo scorso febbraio in corso Belgio, dove alcune decine di
residenti si erano messi in mezzo tra gli aceri del corso e gli
operai che, motoseghe alla mano, si erano presentati a Vanchiglietta
per tagliarli. Una protesta, quella di allora, poi sfociata in un
ricorso e nel conseguente stop (temporaneo) ai lavori.
Al Meisino, l'altro ieri, non si sono registrati momenti di
tensione: «Ci siamo limitati a dialogare con gli operai» spiega
Bruno Morra, esponente del comitato «Salviamo il Meisino». Ciò non
toglie, aggiunge, che le iniziative di dissenso proseguiranno a
oltranza: «Quando gli operai torneranno lo faremo anche noi –
assicura – Rappresentiamo gli oltre novemila cittadini che hanno
firmato la petizione online contro il progetto».
Il piano d'intervento del Comune, da 11, 5 milioni, partirà dal
recupero dell'ex galoppatoio. Prevede in uno spicchio di parco la
realizzazione di strutture sportive per diverse attività, tra cui
arrampicata, corsa campestre, tiro con l'arco, ciclocross, biathlon
e cricket. Dalla Città assicurano che la protesta dell'altro ieri
non ha rallentato l'avvio dei lavori: il cantiere, come da
programma, sarà aperto nei prossimi giorni.
06.09.24
SONO ANNI CHE SUGGERISCO LE TETTOIE SULLE SCALE MOBILI DELLA
METRO DI TORINO MA IL SINDACO LORUSSO
ABOLIRA' LE SCALE MOBILI SULLA LINEA 2 PERCHE' NON SI
ROMPANO: " Noi penalizzati
dai temporali I disagi ci costano un milione l'anno"
ANDREA JOLY
«Dopo gli ultimi controlli funzionava tutto. I disservizi della
metro di lunedì sono stati causati da un forte temporale nella
notte». In che senso? «Ha causato uno sbalzo di tensione». Serena
Lancione, ad del Gruppo Torinese Trasporti, risponde così agli
attacchi ricevuti per le 32 scale mobili bloccate nel giorno della
grande riapertura della metropolitana. E sottolinea: «Siamo
intervenuti subito». Restano dieci impianti da riparare: 5
rientreranno in funzione entro il 18 settembre.
Lancione, come spiega i continui disagi su scale mobili e ascensori?
«Quello di lunedì è stato un caso straordinario ed estemporaneo,
causato da un forte temporale nella notte che ha causato uno sbalzo
di tensione».
È colpa della pioggia?
«In questo caso sì. E ovviamente ci scusiamo coi cittadini. Da parte
nostra, possiamo intervenire bene e subito ed è quello che abbiamo
fatto lunedì stesso».
Quando non piove, invece, la colpa di chi è?
«Le scale mobili hanno 17 anni e ci sono dei problemi strutturali.
Per far sì che non si ripetano servirebbe coprire quelle esterne
soggette a interperie».
È una proposta nota. Si sta andando in quella direzione, 17 anni
dopo?
«Sono state fatte delle ipotesi. Il tema, qui, è legato alle
risorse, e una richiesta sarà fatta. Serve un investimento
importante ma alla luce delle nostre spese varrebbe la pena farli».
Quanto spendete per gli interventi?
«Fino a un milione di euro l'anno. E abbiamo raddoppiato il budget
per l'appalto alla ditta che deve intervenire sulla manutenzione
ordinaria e straordinaria».
Risorse che potrebbero essere dirottate altrove?
«Sicuramente».
Magari sulla metropolitana aperta ad agosto?
«No, la scelta della chiusura estiva dipende da Infra.To (società di
proprietà della Città che gestisce i lavori sull'infrastruttura,
ndr). In quel caso è un tema di sicurezza».
Perché le altre metro nel mondo non chiudono per un mese?
«Alla luce del prolungamento della Linea 1 è necessario farlo. Ed è
anche il motivo delle chiusure serali anticipate, eccezion fatta per
il venerdì e sabato».
Da domenica a giovedì chiuderà alle 21,30 ancora per molto?
«Dipende dai lavori. Le chiusure aiutano a velocizzare l'arrivo fino
a Cascine Vica».
Si dovrà aspettare fino al 2026, quando vedrà la luce il nuovo
tratto?
«Speriamo prima. La città ha chiesto a Infra.To di fare un programma
di lavoro che possa prevedere nel prossimo futuro il ripristino di
alcune fasce orarie serali, come già capita in occasione dei grandi
eventi come il Salone del Libro, ma senza rallentare l'opera».
Insomma, citofonare Infra.To. Ma Gtt cosa può fare?
«Lavorare in sinergia con la Città e Infra.To. Sulle scale mobili,
poi, entro prossima settimana attiveremo una task force in
collaborazione col Politecnico».
In cosa consisterà?
«Chiediamo aiuto a un docente esperto per indagare a fondo le cause
degli eventi».
Solo questo?
«Lavoreremo insieme. Intanto proseguiamo con gli altri interventi.
Dal punto di vista del personale le selezioni sono aperte, perché
non manchino gli autisti. Abbiamo attivato servizi con WeTaxi e Bird
per creare un'offerta più ampia. A dicembre arrivano i primi 80 dei
225 nuovi bus elettrici che aumenteranno la qualità del servizio».
Ecco: i cittadini lamentano ritardi e disservizi anche sui pullman.
A partire dai sostitutivi della metro. Soluzioni?
«Quest'estate abbiamo potenziato il servizio e i risultati ci hanno
dimostrato di saper reggere una situazione complessa con la metro
chiusa».
Ha visto le code alle fermate?
«Credo siano fisiologiche. Poi certo: possiamo migliorare e
lavoriamo tutti i giorni per farlo. Siamo consapevoli che dovremo
dedicarsi alla regolarità del servizio offerto. Ma servono anche più
risorse: il fondo nazionale per il trasporto pubblico locale è fermo
dal 2012. Il costo delle materie prime no».
Per questo visto i disservizi non si può abbassare il biglietto
della metro?
«Guardi che abbiamo ritoccato solo il costo della corsa semplice,
non quello degli abbonamenti».
Lo sa che Forza Italia chiede le dimissioni dell'assessora comunale
ai trasporti Chiara Foglietta?
«Per me è la persona giusta. Il lavoro con l'assessora funziona, è
l'interlocutrice ideale. Ha un approccio critico, ma costruttivo».
IA FLOP:
econdo Gartner, almeno
il 30% dei progetti di IA generativa (GenAI)
sarà abbandonato dopo la POC (proof of concept) entro la fine del
2025. Le cause più comuni dei fallimenti dell’IA sono
scarsa qualità dei dati, dell’inadeguatezza dei controlli sui
rischi, dell’aumento dei costi o della scarsa chiarezza del valore
aziendale.
“Dopo
il clamore dello scorso anno, i manager sono impazienti di vedere i
ritorni degli investimenti in GenAI”, spiega Rita
Sallam, Distinguished VP Analyst di Gartner. “Ma
le organizzazioni stanno facendo fatica a dimostrare e realizzare il
valore. Man mano che la portata dei progetti IA si allarga,
l’onere finanziario dello sviluppo e dell’implementazione di modelli
GenAI si fa sempre più sentire”.
Secondo Gartner, una delle principali sfide per le organizzazioni
consiste nel
giustificare gli ingenti investimenti in GenAI per il miglioramento
della produttività, che può essere difficile da tradurre
direttamente in benefici finanziari. Molte organizzazioni stanno
sfruttando la GenAI per trasformare i propri modelli di business e
creare nuove opportunità commerciali. Tuttavia, questi
approcci di implementazione comportano costi significativi, che
vanno da 5 a 20 milioni di dollari.
“Purtroppo non esiste una taglia unica per GenAI e i
costi non sono prevedibili come quelli di altre tecnologie”, aggiunge
Sallam. “La
spesa, i casi d’uso in cui si investe e gli approcci di
implementazione adottati determinano i costi. Sia che si tratti di
un’azienda che vuole rivoluzionare il mercato e infondere l’IA
ovunque, sia che ci si concentri in modo più conservativo
sull’aumento della produttività o sull’estensione dei processi
esistenti, ognuno
di questi aspetti ha diversi livelli di costo, rischio, variabilità
e impatto strategico”.
Indipendentemente dalle ambizioni dell’intelligenza artificiale, la
ricerca Gartner indica che l’IA
richiede una maggiore tolleranza per i criteri di investimento
finanziario indiretto e futuro rispetto al ritorno
immediato sugli investimenti (ROI). Si sa che i CFO non amano
investire sulla base di ritorni incerti sia nei tempi che nelle
dimensioni. Questo chiaramente favorisce i progetti IA più orientati
verso risultati tattici che strategici.
Costi sostenuti in diversi approcci di implementazione della
GenAI
Realizzare il valore aziendale dei progetti IA
I primi che hanno adottato soluzioni IA in tutti i settori e
processi aziendali riportano una serie di miglioramenti aziendali
che variano a seconda del caso d’uso, del tipo di lavoro e del
livello di competenza del lavoratore. Secondo una recente indagine
di Gartner, gli intervistati hanno registrato in media un
aumento dei ricavi del 15,8%, un risparmio sui costi del 15,2% e un
miglioramento della produttività del 22,6%. L’indagine,
condotta tra settembre e novembre 2023 su un campione di 822
dirigenti d’azienda, ha evidenziato che le soluzioni di business
sono state utilizzate in modo mirato.
“Questi dati costituiscono un prezioso punto di riferimento per
valutare il valore aziendale derivante dall’innovazione del modello
di business GenAI”, ha dichiarato Sallam. “Ma
è importante riconoscere le difficoltà che si incontrano nello
stimare tale valore, poiché i benefici sono molto specifici per
l’azienda, il caso d’uso, il ruolo e la forza lavoro. Spesso
l’impatto può non essere immediatamente evidente e può
concretizzarsi nel tempo. Tuttavia,
questo ritardo non diminuisce i benefici potenziali”.
Secondo Gartner, analizzando il valore aziendale e i costi totali
dell’innovazione del modello di business GenAI, le
organizzazioni possono stabilire il ROI diretto e l’impatto sul
valore futuro. Questo è uno strumento fondamentale per
prendere decisioni di investimento informate sull’innovazione del
modello di business GenAI.
“Se i risultati aziendali soddisfano o superano le aspettative, si
presenta l’opportunità di espandere gli investimenti scalando
l’innovazione e l’utilizzo di GenAI su una base di utenti più ampia
o implementandola in ulteriori divisioni aziendali”, conclude
Sallam. “Tuttavia,
se i risultati non sono soddisfacenti, potrebbe
essere necessario esplorare scenari di innovazione alternativi. Queste
informazioni aiutano le aziende ad allocare strategicamente le
risorse e a determinare il percorso più efficace da seguire”.
05.09.24
Giallo anche sulle riunioni per il G7 a Pompei: "Sicuri che non ci
siamo scambiati informazioni? "
La verità della manager sulle trasferte "Mai pagato, rimborsava il
ministero " Grazia Longo
Roma
Durante le ultime ore, nelle sue storie su Instagram Maria Rosaria
Boccia, scrive sostanzialmente due cose. La prima: «Io non ho mai
pagato nulla. Mi è sempre stato detto che il ministero rimborsava le
spese dei consiglieri». La seconda, in merito al G7 della cultura a
Pompei: «Davvero non abbiamo mai fatto riunioni operative? Non
abbiamo mai fatto sopralluoghi? Non ci siamo mai scambiati
informazioni?» alludendo chiaramente al fatto che le riunioni ci
sono state, eccome. In entrambi casi il ministro della cultura
Gennaro Sangiuliano nega le circostanze. Ma non è il solo. A
proposito della programmazione del G7, anche il sindaco di Pompei,
Carmine Lo Sapio, in linea con il ministro, ribadisce che l'influencer
e imprenditrice di moda non è mai stata coinvolta per l'importante
meeting internazionale. Eppure è stato smentito da un suo post su
Facebook che dimostra esattamente il contrario.
Ieri, infatti, gli abbiamo sottoposto alcune foto che lo ritraggono,
insieme a Boccia e Sangiuliano, in Comune il 3 giugno scorso.
Proprio il giorno in cui è stato effettuato il sopralluogo agli
scavi in previsione del G7. «Ci eravamo visti giusto per un caffè».
Possibile, solo un caffè senza parlare del G7? «Proprio così,
abbiamo parlato solo dell'illuminazione notturna degli scavi».
Nessun cenno al G7? «Nessuno». A dir poco scarsa memoria. Ecco
infatti spuntare fuori il post del sindaco su Facebook del 3 giugno
in cui lui scriveva: «G7 a Pompei. Il ministro della cultura Gennaro
Sangiuliano incontra il sindaco Carmine Lo Sapio al Comune per
definire i dettagli dell'organizzazione del G7, che si svolgerà a
Pompei il prossimo 19 settembre. Al termine dell'incontro il sindaco
Lo Sapio ha accompagnato il ministro Sangiuliano da sua eccellenza
l'arcivescovo monsignor Tommaso Caputo». E poi allegate le foto del
gruppo intorno al tavolo, e un selfie, sempre di gruppo, scattato
proprio da Maria Rosaria Boccia, ben evidente in primo piano.
In merito alle spese per finanziare viaggi e hotel, invece, per la
sua presenza a Taormina per assistere al Taobuk Award Gala 2024, lo
scorso 22 giugno, Maria Rosaria Boccia «ha provveduto personalmente
al pagamento del viaggio e dell'albergo». Lo dichiara una fonte
qualificata del festival internazionale che sottolinea che «è tutto
tracciabile».
E per la presenza di Sangiuliano e Boccia al Festival della bellezza
a febbraio alla trasferta a Riva Ligure, il sindaco Giorgio Giuffra
assicura: «Ho pagato io personalmente la trasferta». Poi il ritorno
della coppia a Sanremo, a spese del casinò per i Martedì Letterari.
E per le altre trasferte? Chi ha pagato? Maria Rosaria Boccia, due
lauree in Economia di cui una telematica, racconta la verità quando
dice che era rimborsata dal ministero della Cultura? Nella biografia
di Instagram si definisce come presidente della Fashion Week Milano
Moda, malgrado la diffida della Camera della Moda del capoluogo
lombardo ad usare quel marchio. Di sicuro è una donna dai vari
interessi alla ricerca di nuove esperienze. Secondo l'opposizione
consiliare di Pompei si deve proprio a lei la scelta degli scavi
come sede del G7. «È grazie alla sua mediazione che si è rafforzato
il rapporto tra il sindaco Lo Sapio e Sangiuliano. Non a caso
quest'ultimo il 23 luglio ha ricevuto anche la chiave d'oro della
città per un costo di 14 mila euro». Ma il sindaco replica: «Queste
sono assolute fantasie. È folle pensare e insinuare che ci sia stato
da parte della signora Boccia o di qualcun altro una minima
collaborazione a questa iniziativa di Pompei. La chiave d'oro, poi,
l'avevo data anche all'ex ministro Franceschini il 20 maggio 2021».
Aziende in crisi per il caro-bollette Pagano il 50% in più della
media Ue
Alessandro Fontana Direttore del Csc
Alberto Clò Economista
Davide Tabarelli Presidente Nomisma Energia
LUIGI GRASSIA
Dice l'Istat che fra giugno e luglio il costo delle bollette di luce
e gas in Italia è aumentato del 6,7%, e questo ha comportato, con
altri effetti negativi, anche un rialzo dei prezzi alla produzione
dell'industria dell'1,3% su base mensile; non poco, in una fase di
inflazione (per altri versi) calante. Confindustria calcola fra il
40% e il 50% la spesa media extra delle aziende italiane per
l'energia rispetto alle concorrenti europee. La segretaria del Pd,
Elly Schlein, attacca: «In Italia abbiamo il prezzo dell'energia più
alto d'Europa. In Germania si pagano 82 euro per megaWatt/ora, in
Spagna 91, in Francia 54, nei Paesi scandinavi 15, in Italia 128.
Davanti a tutto questo il governo non fa nulla, anzi ha cancellato
il regime di mercato tutelato e a rimetterci sono i cittadini». Che
in Italia l'energia costi di più, e che questo danneggi le imprese
rispetto alla concorrenza internazionale (oltre a impoverire le
famiglie) è un fatto atavico, ma al netto della polemica politica,
il governo sta dando una mano a mitigare il problema o lo sta
peggiorando?
Prima ancora: come mai c'è stata questa raffica di rincari
dell'energia in un'estate che sembrava di relativa bonaccia, dopo le
fiammate del recente passato? Alessandro Fontana, direttore del
Centro studi Confindustria, dice a La Stampa che «la tendenza al
rincaro del gas, che poi si è riflessa sull'energia elettrica, ha
cominciato a manifestarsi da febbraio, con la ripresa dei consumi di
metano, e in agosto si è accentuata con l'incursione ucraina in
Russia». Anche Alberto Clò, economista e direttore della Rivista
Energia, sottolinea i fattori geopolitici: «L'attacco a Kursk ha
colpito infrastrutture energetiche strategiche», e Davide Tabarelli,
presidente di Nomisma Energia, aggiunge: «A far salire i prezzi del
gas è anche la fine, attesa per dicembre, delle esportazioni di
metano dalla Russia all'Europa, per la scadenza dei contratti. La
quota residua di export ormai è piccola, ma difficile da sostituire,
e questo rende più costosa la ricostituzione delle scorte invernali.
Poi la speculazione finanziaria amplifica l'effetto sul prezzo del
gas».
Da parte di Confindustria, spiega Fontana, la prima richiesta al
governo in tema di energia riguarda «mettere un po' più di risorse,
in occasione della legge di bilancio, sui diritti di emissione Ets
delle aziende: l'Ue consente agli Stati di rimborsarne una quota
alle aziende, ma l'Italia finora ha concesso molto meno di quanto
potrebbe, limitando la competitività delle nostre imprese. Nel medio
periodo occorre battersi per un diverso mix energetico e far tornare
in Italia la produzione da fonte nucleare».
Per quanto riguarda invece la richiesta al governo, avanzata da più
parti, di ripristinare i vari bonus energia, Andrea Giuricin,
economista dell'Istituto Bruno Leoni, dice che «avevano senso al
culmine della crisi energetica, ma oggi non più»; e sulla
fiscalizzazione delle voci accessorie in bolletta, altra iniziativa
spesso invocata, Tabarelli osserva che «in due anni ha scaricato sul
debito pubblico 70 miliardi di euro, e con il ripristino dei vincoli
europei di bilancio questo non si può più fare».
Alberto Clò sottolinea che «nell'estate 2024 il grande caldo e il
maggiore uso dei condizionatori hanno comportato un aumento dei
consumi energetici dell'8%»; l'economista aggiunge un fattore poco
citato: «Per la scarsa ventosità c'è stato un tonfo del 48% della
produzione di energia eolica. L'energia mancante ha dovuto essere
sostituita con una richiesta extra di gas, che è rincarato anche per
tale motivo».
Daniele Nicolai, dell'Ufficio studi di Cgia, sottolinea che «le
piccole imprese, per loro natura, sono quelle più a corto di
liquidità e le più esposte ai rincari dell'energia»; ma la polemica
monta anche attorno al prezzo del gas per il cliente "vulnerabile"
sul mercato tutelato, che (in base alla nuove regole) viene
calcolato a posteriori: l'Arera, cioè l'Autorità dell'energia, fa
sapere che per agosto è del 6% superiore a quello di luglio.
L'associazione di consumatori Codacons avverte che «in autunno la
situazione peggiorerà» e Assoutenti valuta che per i clienti
vulnerabili «la spesa per il metano segnerà un +25 per cento
rispetto al 2023». —
04.09.24
CANTONE NON VUOLE CAPIRE CHE HANNO AGITO PER CONTO DEI SERVIZI
SEGRETI : Manager e
politici spiati dal "finanziere infedele" Altri mille accessi
sospetti
giuseppe legato
grazia longo
Sono circa un migliaio gli accessi potenzialmente abusivi – in
aggiunta a quelli già contestati – individuati dalla procura di
Perugia a carico del tenente della Finanza Pasquale Striano, in
forza alla Dna all'epoca dei fatti contestati, finito al centro di
un'inchiesta su manager e politici "spiati". E che non fossero
soltanto quelli già emersi lo si è capito ieri mattina da
un'articolata nota inviata dal procuratore di Perugia Raffaele
Cantone, che coordina le indagini «ancora aperte e nelle more delle
quali – ha scritto – sono emersi ulteriori episodi». La nota di
Cantone, che intanto ha presentato ricorso al tribunale del Riesame
per ottenere la misura cautelare a carico dei principali indagati,
nasce dopo il rigetto da parte del gip alla richiesta di arresti
domiciliari per Striano e per il suo co-indagato, l'ex magistrato
della Dna Antonio Laudati, l'uomo che avrebbe coordinato le attività
sulle Sos (segnalazioni di operazioni sospette).
Il giudice, pur condividendo l'impianto accusatorio, ha dissentito
sulle esigenze di disporre i domiciliari che nel caso di Striano
sono aggravati dalla possibile reiterazione del reato in aggiunta
all'inquinamento delle prove («soprattutto alla luce delle
articolate relazioni che lo stesso ha dimostrato di avere e che gli
potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di
ulteriori reati»). Lo ha deciso sostenendo che – nei fatti – che
alcune delle singole contestazioni mosse agli indagati non erano più
coperte da segreto dal «momento che l'esito delle indagini è stato
disvelato con l'invito a presentarsi o con decreti di
perquisizione».
Ed è qui che le distanze tra Cantone e il giudice sono diventate
molto più larghe della fisiologica divergenza giuridica. Il capo dei
pm di Perugia sottolinea come «contestiamo fra l'altro,
l'affermazione del Giudice secondo cui gli indagati avrebbero avuto
"in tutto o in parte" accesso agli atti processuali. Al contrario,
ad oggi, nessuna discovery degli atti vi era mai stata». Parole
chiare e posizioni nette che però, alla vigilia della valutazione
che dovrà fare a breve il Collegio, sono suonate come "stonate" al
legale Andrea Castaldo, difensore di Laudati che bolla la nota del
procuratore come «inusuale per tempi e contenuti». Il ricorso per
ottenere i domiciliari «si fonda sul paventato pericolo di
inquinamento probatorio derivante da non meglio precisati ulteriori
atti di indagine».
Dall'ordinanza di diniego del gip si apprende come Laudati avrebbe
saputo, da una dipendente della procura nazionale antimafia, «di un
incontro tra la Pna e le Dda di Roma e Perugia». Ancora insiste agli
atti della richiesta di arresto «una conversazione tra Laudati e il
magistrato Alberto Cisterna già pm antimafia nel corso della quale
Laudati esplicita la sua convinzione sulla genesi dell'inchiesta».
Per Cantone è dunque «a rischio la genuinità del compendio
probatorio». Per il legale dell'ex magistrato si tratta di «un
legittimo esercizio del diritto di difesa».
L'AVEVO PREVISTO NEL 2008 MA MI HANNO
SBEFFEGGIATO : MULLER E DIES : II colosso tedesco fa saltare
la garanzia del lavoro per circa 110 mila dipendenti. I sindacati:
un attacco all'occupazione
Volkswagen, fabbriche verso la chiusura Maxi-tagli per la crisi
delle auto elettriche
claudia luise
Da un lato «difficoltà del mercato sempre più forti» con l'ingresso
di nuovi concorrenti dalla Cina. Dall'altro una rivoluzione verso
l'elettrico che stenta a decollare. Il gruppo Volkswagen ha
annunciato che non esclude la chiusura di stabilimenti e
licenziamenti in Germania nel quadro di un programma di riduzione
dei costi del principale marchio del gruppo. Un piano di austerità
che prevede lo stop alla cosiddetta "garanzia del lavoro" per circa
110.000 dipendenti in Germania: un accordo di lunga data con i
lavoratori del Paese europeo che escludeva i licenziamenti non
concordati fino alla fine del 2029. L'accordo è in vigore dal 1994.
Nel mirino del management in particolare una delle grandi fabbriche
tedesche e uno stabilimento di componentistica giudicati «obsoleti»
per i piani del gruppo. Si tratterebbe della prima chiusura di un
impianto tedesco negli 87 anni di storia Volkswagen. La casa
automobilistica ha dichiarato che i dirigenti ritengono che il
marchio debba essere ristrutturato in modo completo e che gli
attuali sforzi per ridurre la forza lavoro attraverso modelli di
pensionamento anticipato e incentivi a uscite volontarie non saranno
sufficienti a raggiungere gli obiettivi di riduzione.
«L'ambiente economico è diventato ancora più duro e nuovi attori
stanno investendo in Europa», spiega l'amministratore delegato di
Volkswagen Group, Oliver Blume. «La Germania come sede aziendale sta
restando ulteriormente indietro in termini di competitività»,
aggiunge Blume. Da qui la conferma del gruppo: «Nella situazione
attuale, non si può escludere la chiusura degli impianti di
produzione di veicoli e componenti se non si interviene
rapidamente». I leader sindacali hanno dichiarato che
intraprenderanno una battaglia senza quartiere contro i piani.
Daniela Cavallo, a capo del Consiglio di fabbrica Volkswagen, ha
definito i piani un «attacco all'occupazione e ai contratti
collettivi» aggiungendo che «questo mette in discussione la stessa
Volkswagen e quindi il cuore del gruppo. Ci difenderemo
strenuamente».
Il marchio di punta del gruppo è da anni alle prese con costi
elevati e in termini di redditività è molto indietro rispetto ad
altri brand del gruppo come Skoda, Seat e Audi. Un programma di
riduzione dei costi lanciato nel 2023 avrebbe dovuto cambiare la
situazione e migliorare i profitti di 10 miliardi di euro entro il
2026. Tuttavia, l'attuale debolezza delle nuove attività ha
ulteriormente aggravato la situazione. Anche perché Volkswagen è
impegnata in uno dei più ambiziosi piani di investimento
nell'elettrico con investimenti per il quinquennio 2025-2029 per 170
miliardi di euro. Quindi, per migliorare ulteriormente i profitti, i
costi dovranno essere ridotti più del previsto e si parla di altri 4
miliardi di sforbiciata.
Cinica la reazione dei mercati. Il titolo ha avuto un andamento
positivo in Borsa a Francoforte e il titolo della casa tedesca sale
del 2% a 103 euro, dopo un massimo di seduta a quota 104,4.
A pieno regime saranno 1120 i posti nel centro per il trattenimento
dei migranti. Nell'hot spot sulla costa saranno 300 Il sindacato
Uilpa della polizia penitenziaria: "In Italia un sorvegliante ogni 3
detenuti lì l'esatto contrario, è paradossale" Così su La Stampa
Un milione al mese per gli agenti
Le spese folli dietro al Cpr albanese
irene famà
roma
Tutti in corsa per l'Albania. Dove prestare servizio nei nuovi Cpr
comporta un aumento in busta paga, un centinaio di euro in più al
giorno per agenti penitenziari, poliziotti, carabinieri, finanzieri.
Più vitto, alloggio, rientro a casa. E i calcoli, per quanto
riguarda vita e spostamenti di chi parteciperà all'operazione, sono
presto fatti. Trecento unità, spiega chi è ben informato. Per un
costo che si aggira intorno ai 30mila euro al giorno. Novecentomila
euro al mese. Solo per quanto riguarda gli indennizzi di
trasferimento. Il resto delle voci? Ancora da quantificare. Perché
ogni area e ogni attività sono cosa a sé.
Gli agenti della polizia penitenziaria saranno perlopiù destinati in
un carcere a Gjader, piccolo paese a nord dell'Albania. Lì verrà
recluso chi creerà problemi al Centro di permanenza per il
rimpatrio. Si tratterà di un penitenziario maschile con ventiquattro
brandine. Quarantacinque i posti disponibili per gli agenti, oltre
tremila le domande presentate. L'incarico è vantaggioso: 130 euro in
più al giorno, un servizio previsto dai quattro ai sei mesi a
seconda del grado con la possibilità di rientrare in Italia una
volta al mese con spese a carico dell'amministrazione.
Queste le cifre e le regole d'ingaggio. Almeno sulla carta. Perché
le perplessità sono numerose. «È tutto un paradosso», tuona il
segretario generale Uilpa penitenziaria Gennarino De Fazio. Inizia
dai numeri. «Una volta si tendeva a chiudere le carceri sotto i
cento posti perché antieconomiche. Ora se ne costruisce una molto
piccola, con un rapporto agenti – detenuti decisamente
sproporzionato. Se in Italia c'è un poliziotto ogni tre reclusi,
circa 25mila per oltre 61mila persone, lì ce ne saranno tre per ogni
detenuto». E ancora. «La spesa? Sarà esorbitante. In un momento di
emergenza per le carceri italiane». Al momento, in Albania, sono
arrivati solo quattro agenti della polizia penitenziaria. D'altronde
il carcere, che avrebbe dovuto essere pronto a giugno, poi ad
agosto, poi a settembre, ancora non c'è. Si attende il primo lotto,
dicono. Poi si penserà alle partenze. Ed ecco le altre perplessità.
Le riassume bene Aldo Di Giacomo, segretario generale Spp, sindacato
polizia penitenziaria. «Chi lavora con i detenuti, sa che un errore
di comunicazione può creare problemi seri. Eppure nessuno di noi è
stato formato sul come porsi con queste persone. Ad iniziare dal
fattore linguistico». Di Giacomo prosegue. «Un corso, ad esempio
sarebbe stato utile. Così come sapere quali regolamenti faranno fede
sul territorio. Invece ci si è soffermati solo sugli atteggiamenti
da tenere in pubblico, senza considerare il duro lavoro con i
detenuti».
Gjader, un centinaio di abitanti e una manciata di case, ex base
militare durante la Guerra Fredda, ora si trova al centro
dell'accordo tra il governo italiano e quello albanese. Un paese
chiave per il primo centro di detenzione per migranti italiano
costruito in terra straniera.
C'è il penitenziario. E il Cpr vero e proprio con 1120 posti per il
trattenimento. Guai, in questo caso, a chiamarlo carcere. «Chi è al
Cpr non è detenuto», si ripete da sempre. Però da lì non si può
uscire. E ci sono i container, le recinzioni, i muri. Le forze
dell'ordine a controllare con numeri ingenti. A Gjader e a Shengjin,
ventuno chilometri più in là. Quel paese sul mare, che raccoglie
numerose recensioni su Tripadvisor non tutte entusiastiche, è la
prima tappa per i migranti che sognavano l'Italia e si trovano
confinati in Albania. Lì c'è l'hot spot per trecento persone. Lì,
come si legge in una delle ultime circolari del Ministero
dell'Interno, ci si occupa delle «procedure d'ingresso. Con attività
connesse alla gestione delle operazioni di sbarco,
pre-identificazione, registrazione della domanda di protezione
internazionale». A Gjader, poi, «gli accertamenti» per capire chi
potrà raggiungere l'Italia e chi invece dovrà essere rimpatriato.
Ogni area sarà presidiata dalle forze dell'ordine con un
«contingente interforze». Trenta i carabinieri scelti tra la Prima
Brigata Mobile, centosettantasei i poliziotti, di cui settanta del
reparto mobile e gli altri tra squadre mobili, Digos, polizia
scientifica, ufficio immigrazione, uffici tecnico-logistici
provinciali delle Questure. «Il periodo d'impiego sarà di un mese,
salvo casi eccezionali». Cento euro al giorno in più sullo
stipendio, vitto e alloggio «saranno a carico dell'amministrazione»
e la «Direzione centrale individuerà, mese per mese, le aliquote di
personale da impiegare e gli uffici territoriali da cui il personale
sarà tratto».
Chi andrà in Albania, sottolinea chi conosce il progetto, lo farà su
base volontaria. Chi ha già lavorato nei diversi Cpr d'Italia
mormora preoccupato: «E quando i volontari non si troveranno più? »
Altre perplessità. —
Odissea metropolitana pier francesco caracciolo
Uno sbalzo di corrente, che ha sovraccaricato gli impianti,
mandandoli in tilt. Gtt, spiega così i disservizi che ieri mattina,
nel giorno della ripartenza dopo un mese di stop, hanno riguardato
la metropolitana. Alle 5,30, quando i convogli sotterranei hanno
ripreso a viaggiare, all'interno delle stazioni si contavano
trentadue scale mobili ferme e due ascensori bloccati. Trentaquattro
impianti fuori uso, dunque, molti di più di quanti non funzionavano
il 3 agosto scorso, giorno dello stop del servizio.
Risultato: una pioggia di proteste da parte dei passeggeri. In
particolare di quelli con disabilità, con bagagli pesanti o problemi
di deambulazione, in difficoltà nello scendere verso i binari o
risalire in superficie.
«Imbarazzante che dopo un mese di fermo la metropolitana riparta con
questi gravi disservizi» tuona Federica Fulco, del comitato Torino
in Movimento. «Non male per una città che si vanta di esser
turistica» ironizza sui social Patrizia Farina. «Una vergogna» la
definisce invece Paolo Franci. «Ho appena scoperto che la scala
mobile in piazza Bengasi è ancora ferma: da più di un anno
aspettiamo che venga riparata» si sfoga sui social Antonio Lanzano.
Situazione particolarmente critica all'interno di due delle fermate
tra le più utilizzate: quella a Porta Nuova (fermi due scale e un
ascensore) e quella di Porta Susa-XVIII Dicembre (fuori uso due
scale). Ma problemi si sono registrati anche alle stazioni Vinzaglio,
Monte Grappa, Nizza, Racconigi, Spezia, Paradiso.
Il guasto elettrico ha bloccato ventisette delle trentadue scale
mobili ferme (e nessun ascensore). Nei giorni scorsi, durante gli
ultimi test pre-riattivazione del servizio, gli impianti
funzionavano regolarmente. Gtt ipotizza che lo sbalzo di tensione
sia legato ai lavori realizzati nell'ultimo mese quando la
metropolitana era ferma. Per queste ventisette scale mobili si è
trattato di un guasto risolvibile solo manualmente. Ecco perché
ieri, per tutta la giornata, i tecnici Gtt sono stati impegnati nel
far ripartire gli impianti. In serata le scale mobili rimesse in
moto erano ventidue. Le ultime cinque ancora fuori uso saranno
riattivate oggi in mattina.
Come detto, però, non tutte le scale mobili ferme ieri si sono
bloccate a causa dello sbalzo di tensione. Cinque sono ferme per
problemi tecnici che si trascinano da settimane, in alcuni casi da
mesi. Si trovano alle stazioni Massaua, Marche, Bengasi, Porta Nuova
e XVIII Dicembre. Gtt assicura che si tratta di guai che saranno
riparati nel giro di qualche giorno. I due ascensori bloccati si
trovano invece a Porta Nuova e Racconigi. Anche in questi casi,
assicura Gtt, le manutenzioni avverranno a stretto giro.
La linea 1 della metro era ferma dal 3 agosto su disposizione di Gtt.
Obiettivo: consentire a InfraTo (la partecipata che gestisce le
infrastrutture sotterranee) di realizzare un doppio intervento di
manutenzione lungo i tunnel. Ovvero interventi sul sistema di
comunicazione in galleria – che passerà da analogico a digitale – e
di posa dei binari all'altezza di Collegno, serviranno nel 2026, al
momento dell'entrata in funzione delle 4 stazioni in via di
costruzione dopo il capolinea Ovest di Fermi.
La ripartenza della metropolitana avvenuta ieri non decreta però
l'avvio di un'attività a pieno regime. Fino al completamento delle
opere già iniziate funzionerà a orari ridotti. Per cinque giorni a
settimana - dalla domenica al giovedì - il servizio chiuderà alle 22
(dopo quell'ora i tragitti saranno garantiti da bus sostitutivi).
Chiude invece all'1,30 il venerdì e il sabato.
03.09.24
FINALMENTE UN GIUDICE INTELLIGENTE :
Il Tribunale del Riesame : "Questo
è un ammonimento: non si attivi per posti in enti o imprese
utilizzando i suoi amici"
Il giudice a Gallo, il ras delle tessere Pd "Basta favori o può
finire ai domiciliari "
giuseppe legato
Dieci mesi di interdittiva con divieto di esercitare uffici
direttivi, anche di fatto, in seno ad associazioni e imprese.
Nessuna possibilità si svolgere pubblico ufficio o servizio di non
natura non elettiva popolare, anche per interposta persona, in seno
a qualsiasi ente pubblico o privato. «Perché insistono rischi di
possibili reiterazioni di reati». Le modalità dei fatti contestati
«impongono di inibire a Gallo per un periodo di tempo prossimo al
massimo ogni attività come è occorso quando ha instaurato relazioni
improprie con primari ospedalieri volta a influire sulla vita di
enti pubblici e privati». Con «ammonimento». E cioè: «Che anche solo
l'attivarsi per occupare posti strategici in enti e imprese
pubbliche e private tramite l'interposizione "di amici nostri" può
avere rilevanza in termini di aggravamento di esigenze cautelari».
Ergo: potrebbe essere disposta per lui la misura degli arresti
domiciliari.
I giudici del Riesame Gianluca Capecchi e Luca Leandro Ferrero
motivano in 50 pagine circa il perché a Salvatore Gallo, ex uomo
forte del Pd torinese travolto – mediaticamente e non solo –
dall'inchiesta della Dda di Torino Echidna, andava in qualche modo
fermato. Limitato nel suo metodo quantomeno clientelare (a fini
elettorali) di gestire risorse di Sitaf, società «dalla quale è
estraneo da almeno 10 anni» ma sulla quale ha continuato ad avere
influenza tanto da gestire finanche diverse tessere autostradali. Si
legge nell'ordinanza del Riesame che «Gallo, pregiudicato per
emblematici falsi ideologici che ebbero notevole risonanza mediatica
non si è sentito stimolato a continuare solo strategie lecite per
ottenere il consenso politico». Infine: «In seno a Idea-To
(l'associazione politica da lui fondata) e Sitalfa è emerso il
pericolo di come Gallo eserciti la propria influenza in modo
illecito». Come? «Secondo quanto emerso anche in sede di
perquisizioni – scrivono i giudici – vi è stato un pericoloso do ut
des oggetto di peculato». Seguono sfilza di medici, primari e
docenti universitari che hanno beneficiato della tessera
autostradale gratis per raggiungere Bardonecchia percorrendo la A32,
un'autostrada in cui parte dei cantieri in regime di subappalto –
così è emerso dalle indagini dei carabinieri del Ros di Torino -
erano appannaggio di famiglie di ‘ndrangheta: tra queste la famiglia
Agresta di Volpiano, i Pasqua legati alle potenti enclave mafiose di
San Luca). Il Collegio del Riesame ha fatto dunque sue le parole
utilizzate dal pm Valerio Longi in sede di ricorso nel quale di
Gallo viene «stigmatizzato il ruolo di sicura rilevanza in
quell'area grigia tra attività economiche e politica che egli ben
conosce e nella quale recita ancora un ruolo di primissimo piano
benchè sia – da anni – privo di cariche formali nell'ambito di
imprese nelle quali, ciononostante, continua ad avere voce in
capitolo». In che modo? «Fornendo indicazioni cogenti sulle scelte
da adottare, sulle persone da assumere, sui benefit da erogare per
non dimenticare il perdurante potere di condizionamento in occasione
di ogni competizione elettorale».
Nel corpo della pronuncia i togati analizzano anche la situazione
dell'imprenditore Gian Carlo Bellavia, per il quale hanno accolto il
ricorso sul concorso esterno in associazione mafiosa, contestazione
in prima battuta non condivisa dal gip che ha firmato gli arresti
ormai quattro mesi fa. Sono passati in rassegna i suoi rapporti con
la famiglia Agresta per tramite di persone a loro vicine e legate
alla famiglia Violi ai quali – insieme ai Greco affiliati a una
‘ndrina del Crotonese – ha «consentito di accedere ai propri appalti
mediante le rispettive imprese subappaltatrici».
In definitiva: «Bellavia ha consentito per anni a mafiosi accertati
e/o presunti inserire le proprie imprese – sovente intestate a
prestanomi nelle commesse ottenute nei settori della manutenzione
stradale e dell'edilizia soprattutto per carpenteria e guardiania)
grazie alle società dei Fantini (Sitalfa e Cogefa)». Di più:
«Utilizzando tali imprese come schermi interposti di altri soggetti
pure appartenenti a sodalizi mafiosi dando luogo a fatturazioni per
prestazioni fittizie». Ciò si è tradotto «in una permeabilità di
Bellavia a costanti infiltrazioni mafiose proseguite nonostante le
plurime ondate di arresti subiti dai sodali dei clan». Inquieta
dell'uomo d'affari «la fiducia che ha carpito negli anni presso
alcuni dei più potenti committenti del territorio nel settore edile
che ancora ad oggi intrattenevano rapporti con lui (Mattioda,
Fantini)». Ergo: «per lui non basterebbe una misura meno afflittiva
degli arresti domiciliari».
IL SOLITO BLUFF PER DARE SOLDI PUBBLICI AI PRIVATI: doppia gara con
lombardia e puglia: saranno attivate sul territorio in Case e
Ospedali di Comunità, ambulatori medici, RSA
La Regione scommette sulla telemedicina 8 mila postazioni nuove per
le cure a distanza
alessandro mondo
È il tentativo più ambizioso, in termini economici ed organizzativi,
di mettere a sistema un supporto importante per la Sanità pubblica,
finora utilizzato in modo frammentario e comunque al di sotto delle
sue reali possibilità. Parliamo di assistenza domiciliare integrata,
legata a precisi parametri previsti dal Ministero per ogni regione,
e di telemedicina, quest'ultima importante per diversi motivi: per
contribuire a ridurre i divari geografici e territoriali, per
garantire una migliore "esperienza di cura" per gli assistiti, per
migliorare l'efficienza dei sistemi sanitari regionali tramite la
promozione dell'assistenza domiciliare e di protocolli di
monitoraggio da remoto.
I fatti si sostanziano in due gare. La Regione ha aderito a quella
della Regione Capofila Lombardia per l'acquisto di tutti i moduli di
telemedicina: televisita, teleassistenza, teleconsulto,
telemonitoraggio livello uno e due (pacemaker e defibrillatori
impiantabili), nonché dell'Infrastruttura Regionale di telemedicina
(Irt). La piattaforma Irt comprende un'ampia serie di strumenti e
funzionalità estesa, oltre all'erogazione dei servizi di
telemedicina, anche in ambiti quali l'Intelligenza Artificiale, la
gestione del rischio clinico, la configurabilità avanzata (schemi di
refertazione, elenchi di asset e risorse, un pannello di controllo
per il monitoraggio di indicatori e report statistici). La seconda
gara, invece, vede come capofila la Regione Puglia e prevede
l'acquisto di 7.522 postazioni di telemedicina con la relativa
logistica. Si tratta dell'allestimento delle postazioni per la
fornitura dei servizi all'interno di case di comunità, ospedali di
comunità, ambulatori dei medici, Rsa e strutture domiciliari.
Per dare gambe al progetto lo scorso maggio la Regione aveva
approvato una delibera di giunta che ripartisce ad Azienda Zero,
diretta da Adriano Leli, 38 milioni di fondi Pnrr per il progetto:
23 milioni per il software e 15 per le postazioni di lavoro. Una
risposta al progressivo invecchiamento della popolazione, una
declinazione dell'assistenza territoriale, specialmente nei
distretti poco serviti come quelli montani e delle valli,
un'occasione per migliorare le prestazioni e ridurre le liste
d'attesa.
Una fonte di risparmio per il servizio sanitario pubblico, anche,
nella misura in cui riduce l'accesso ai pronto soccorso. Tutto
questo, a patto di superare limiti segnalati dal nostro giornale già
nel 2020. In primis, l'eccesso di software, parcellizzati tra gli
ospedali e sovente incapaci di dialogare. Ora si fa sul serio,
almeno si spera.
02.09.24
ELON MASK AUTODISTRUZIONE PER DROGA:
Da ieri X non cinguetta più in Brasile. Un nuovo Paese si aggiunge
alla lista di quelli che proibiscono il social media di Elon Musk.
Gli operatori di internet e telefonia mobile hanno accolto la
decisione del ministro della Corte Suprema (Stf) Alexandre de Moraes,
chi non lo fa rischia multe salatissime e la revoca della licenza.
Proibita anche la scappatoia via Vpn, il tunnel virtuale attraverso
il quale un utente può navigare come se fosse geolocalizzato in un
altro Paese. Se ti beccano scatta una multa di 50.000 reais - quasi
9.000 euro - e una denuncia penale.
È l'epilogo di un lungo braccio di ferro, una querelle più politica
che giudiziaria, iniziata subito dopo l'assalto ai palazzi del
potere di Brasilia nel gennaio del 2023, quando gli attivisti più
estremi dell'ex presidente Bolsonaro tentarono un colpo di mano per
rovesciare la vittoria del progressista Lula da Silva. La Corte
Suprema ha indagato gli account social dei facinorosi ma anche
quelli di giornalisti, politici e intellettuali che in qualche modo
avessero incitato alla ribellione, considerandoli come i mandanti
intellettuali di quell'azione. Da lì è scattata la richiesta di
sospensione: Meta, che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp ha
"obbedito", quelli di X, invece, hanno fatto orecchie da mercante.
Moraes ha puntato il dito contro Musk, che a sua volta lo ha bollato
di despota e nemico delle libertà d'espressione. La politica si è
divisa: la sinistra con il giudice, tutta la destra, da Bolsonaro in
poi, col patron di Tesla. Quando la multa accumulata da X è salita
fino a tre milioni di euro, Musk ha chiuso gli uffici brasiliani.
«Salviamo i nostri collaboratori - ha spiegato - ma non abbiate
paura; la nostra voce non sarà silenziata». De Moraes gli ha chiesto
di nominare un rappresentante legale e ha pure bloccato i conti
correnti di Starlink, la società che fornisce internet satellitare e
che in pochi mesi ha conquistato una fetta grande quanto lo 0,4% del
mercato brasiliano. Decisione, questa, criticata persino dai
militari già che quei satelliti servono oggi per comunicare in zone
rurali e in Amazzonia. La chiusura, a questo punto, potrebbe durare
a lungo. «Uno pseudo giudice - ha detto Musk - che non è stato
eletto da nessuno vuole uccidere la libertà d'espressione». Per la
Costituzione brasiliana, i giudici della Corte Suprema sono scelti a
dito dai presidenti di turno, un massimo di tre alla volta. De
Moraes, ad esempio, fu nominato da Michel Temer nel 2017. Il
presidente Lula ha appoggiato la Corte. «Chi si crede di essere
questo signore (Musk), solo perché ha tanti soldi pensa che può
agire fuori dalla legge ? Non siamo una repubblica delle banane!».
Per Musk la sospensione è un duro colpo, visto che il Brasile è il
sesto mercato mondiale di X, con 22 milioni di utenti (fonte
Statista). Da Brasilia fanno notare che recentemente il milionario
si è piegato alle regole dettate dall'India e dalla Turchia, il
terzo e settimo mercato di X. E molti si chiedono perché abbia
voluto spingersi fino a tanto proprio in Brasile. La ragione,
probabilmente, è tutta politica.
Musk da tempo si è eretto ad alfiere e voce libera e spregiudicata
della destra delle Americhe. Fa campagna apertamente per Donald
Trump, ha ricevuto due volte negli States l'argentino Javier Milei,
è molto legato a Jair Bolsonaro e ai suoi figli, è intervenuto
recentemente contro la rielezione di Nicolas Maduro in Venezuela. A
differenza dei social Meta, la rete di X / Twitter è diventata il
terreno libero di cospirazionisti e terrapiattisti, antiabortisi e
antigender. Una terra di nessuno gestita da un padrone chiaramente
schierato a destra, che volentieri dà una mano ai suoi amici di
turno.
In Brasile a inizio ottobre si vota per eleggere i sindaci in tutte
le città. X è stata fino ad adesso una delle piattaforme preferite
del mondo conservatore. A livello globale, però, il cerchio si
stringe attorno a Musk e dagli Stati Uniti fanno sapere che il
magnate potrebbe limitare i viaggi all'estero per evitare di fare la
fine del fondatore di Telegram Pavel Durov, arrestato in Francia.
I leoni del free speech devono stare attenti a dove vanno a finire.
Il mondo reale è sempre più pieno di insidie.
Aimaro Isola
L'architetto ex ragazzo partigiano "Abbiamo rispettato il paesaggio
ma i boschi verticali non esistono"
Contro i grattacieli
"
La Borsa di Torino
La Bottega di Erasmo
"Talponia" per la Olivetti
L'enciclopedia di Diderot e D'Alembert è lì, nell'angolo in fondo,
rilegata in bianco pergamena: «È la mia preferita, Voltaire è uno
dei miei riferimenti». Tempi duri per i laici, gli integralismi
imperversano in ogni religione: «Ma noi nuovi illuministi
resisteremo». È curioso sentir pronunciare questa frase nella
biblioteca che fu il quartier generale dei partigiani del Pci del
comandante Barbato, Pompeo Colaianni. Per il barone Aimaro Isola,
uno dei più noti architetti italiani, il castello è la sua casa di
famiglia: «Io ero un ragazzo. Avevo sedici anni. Ma mi piaceva
sentire le discussioni tra i partigiani. C'erano i comunisti come
Barbato ma c'erano quelli come Felice Burdino e Raimondo Luraghi che
non lo erano. Burdino era un uomo atletico, di azione, uno che
conosceva la montagna. Un giorno entrò in questa biblioteca, guardò
in alto e stupì tutti dicendo: "Vedete, quella è una rara edizione
delle Operette morali di Leopardi". Allora capimmo che era uno
addestrato a combattere ma soprattutto un intellettuale». Su che
cosa si accapigliavano in quelle discussioni? «Su quel che si
sarebbe dovuto fare dopo la fine della guerra».
Il castello di Bagnolo, antica roccaforte militare all'incrocio tra
le valli del Pellice e del Po, è da quasi mille anni la residenza
dei Malingri, feudatari degli Acaja. La madre di Aimaro, la contessa
Caterina Malingri, sposò il barone Vittorio Oreglia Isola: «La mia
era una famiglia di letterati, politici, artisti e militari»,
racconta Aimaro, oggi lucidissimo 96enne. Fa un certo effetto
immaginare Pompeo Colajanni che discute della rivoluzione bolscevica
sotto lo sguardo severo del conte Coriolano Malingri di Bagnolo,
senatore del regno di Sardegna e primo traduttore integrale dal
greco delle commedie di Aristofane. «Questi ritratti ne hanno viste
e sentite di tutti i colori. Quando arrivavano i tedeschi e i
fascisti a fare il rastrellamento noi partigiani ci nascondevamo
dove si poteva. Un giorno Plinio Pinna Pintor saltò il muro e finì
nella ghiacciaia. Per molti anni, ogni volta che veniva a trovarmi,
voleva che lo portassi a vedere la fossa del ghiaccio».
Anche Aimaro, come gli antenati che erano generali, studiosi,
politici, avrebbe voluto seguire le tradizioni di famiglia: «Ho
sempre montato a cavallo, fin da ragazzo, ho smesso non molti anni
fa. Pensavo che avrei percorso la carriera militare in cavalleria.
Poi ho incontrato una chiromante». Proprio così, come nei film: «Mi
ha afferrato la mano e ha detto: "Per te vedo un futuro a metà
strada tra il disegno e la matematica". La presi per matta ma alla
fine aveva ragione lei: che cos'è in fondo il mestiere
dell'architetto? ».
All'università incontra il socio di una vita, Roberto Gabetti: «I
nostri padri erano amici di gioventù. Il mio mi spingeva a
frequentare Roberto, io, ovviamente, mi tenevo alla larga. Volevo
fare di testa mia. Poi un giorno ci troviamo fianco a fianco a
ritrarre una modella: allora si faceva il disegno dal vero.
Cominciammo una discussione e dalla sede della facoltà, al castello
del Valentino, finimmo passeggiando fino in centro». Sodalizio
fortunato: «Appena laureati vincemmo il concorso per progettare la
sede della nuova Borsa valori di Torino ". Un edificio che sorge nel
cuore della città, in via San Francesco da Paola, sul luogo dove
allora c'era il laboratorio di una pasticceria torinese, la Daturi e
Motta: «Facendo i sopralluoghi al cantiere si sentiva ancora l'odore
di panettone. Avevamo concepito il progetto come una innovazione che
però si inseriva e rispettava il tessuto urbano. Non ci piaceva
l'idea, allora molto diffusa, di un'architettura moderna che facesse
a pugni con il paesaggio, che rompesse con l'esistente. Utilizzammo
lo stesso criterio pochi anni dopo realizzando, sempre nel centro di
Torino, la Bottega di Erasmo, esaltando i materiali della tradizione
artigiana». Una rivoluzione all'inizio degli anni Sessanta: «Diciamo
pure una provocazione. Era il periodo dei metri cubi, il boom dei
grattacieli, del vetro, dell'acciaio e del cemento. I nostri lavori
erano all'opposto di tutto questo, contro l'idea di un'architettura
come segno violento che spezza l'esistente». Quale fu la reazione?
«Il processo da parte degli architetti modernisti. Venimmo convocati
a una riunione. Ci dissero che i nostri progetti erano contro tutti
i principi della Modernità. Due dei più aspri nella critica furono
Manfredo Tafuri e l'inglese Banham. Tafuri, anni dopo, venne a
chiederci scusa, si ravvide, lo disse e lo scrisse». La provocazione
dà gusto e non di rado entusiasmo: «L'avevamo imparata
all'università dove negli anni Sessanta avevamo organizzato la
rivolta degli assistenti contro i vecchi metodi accademici». Un
barone contro i baroni.
Oggi i principi di Aimaro Gabetti e Roberto Isola sono seguiti dalla
maggioranza degli architetti. Certo allora erano dirompenti.
«L'Italia degli anni Sessanta credeva, come noi, che l'amianto fosse
un isolante meraviglioso. Una volta alla settimana andavamo a Casale
Monferrato a studiare i nuovi materiali da utilizzare nei nostri
cantieri. Ma qualcosa di buono si fece anche allora se, ad esempio,
una parte degli arredi interni della Borsa di Torino oggi sono
esposti al Moma di New York». Al di là del giudizio dei colleghi,
che animava le discussioni accademiche, era quello dei committenti
che contava. E non era facile andare controcorrente. Liti,
incomprensioni? «Liti no. Qualche momento di stupore sì. La Olivetti
aveva necessità di creare a Ivrea una residenza per quei dipendenti
che rimanevano temporaneamente in città. L'idea originaria era
quella di costruire un grattacielo che permettesse ai residenti di
vedere dall'alto gli uffici e la fabbrica. Ci presentammo con una
proposta praticamente opposta: un grande edificio circolare ipogeo,
che si integrava perfettamente nella collina di fronte alla sede
Olivetti. Quasi non si vedeva. Mi ricordo lo stupore e il silenzio:
si passavano i fogli del progetto guardandosi negli occhi senza dire
una parola. Poi l'idea venne approvata. Gli abitanti di Ivrea
chiamarono quella struttura Talponia. Io ne ero molto orgoglioso: fu
l'inizio di una tendenza di attenzione al paesaggio ed ad un nuovo
rapporto tra architettura e natura. Una sera, ci eravamo appena
conosciuti, ci portai Consolata, la mia futura moglie. Purtroppo
c'era la nebbia e non lo potè vedere. Ma ci sposammo lo stesso».
Eppure non sempre l'architettura dirompente è brutta. I francesi
hanno avuto il coraggio di piazzare una piramide di vetro nei
giardini del Louvre. Renzo Piano ha fatto atterrare l'astronave del
Beaubourg a poche centinaia di metri da Notre Dame, avendo il
coraggio di mettere in mostra tutto lo scheletro della struttura.
Non approva? «Beh certo, la piramide del Louvre, Beaubourg, tutte
opere fondamentali, importantissime. Ma quanti altri Beaubourg sono
stati fatti? Nessuno, perché i costi di manutenzione sono alti. E
poi se la natura ci ha creato nascondendoci lo scheletro, ci sarà un
motivo no? ». C'è forse una soluzione: i grattacieli colmi di verde.
«Ah il bosco verticale. Ma i boschi non sono verticali. È una
soluzione innaturale». Insomma lei ce l'ha con i grattacieli:
«Starei molto attento. Hanno costi di gestione alti. Spesso
diventano grattacapi realizzati per coccolare l'orgoglio di
qualcuno». Però offrono una vista spettacolare sulla città: «Se
voglio guardare la città dall'alto mi affaccio quando sto per
atterrare». Quando l'architettura è coraggio, innovazione? «Io credo
che si debba costruire per la vita, per le persone, non per avere un
posto nei libri. I veri innovatori, In Italia, sono stati i Nervi, i
Morandi. Ho lavorato con loro. Loro si che hanno avuto coraggio».
Morandi è inevitabilmente legato alla tragedia di Genova:
«Scommettere sul cemento armato si può fare a patto che ci sia una
manutenzione costante. Tutte le volte che ultimamente passavo sopra
quel ponte l'asfalto faceva le montagne russe. È l'effetto fluage: i
cavi di tensione con il tempo mollano». Che tipo era Morandi? «Un
grande. Me lo figuravo come un costruttore di acquedotti dell'antica
Roma». E Nervi? «Partecipammo anche noi alla gara per costruire il
palazzo del Lavoro di Italia'61 a Torino. Vinse lui con un progetto
di grande eleganza. Oggi il mio studio (con mio figlio Saverio) sta
ristrutturando il palazzo che Nervi realizzò a Torino Esposizioni».
Si è fatto tardi. È venuta l'ora di pranzo, bisogna lasciare la
biblioteca. Ricompare Consolata, la moglie di Aimaro, vera anima
della vita dell'architetto e delle molteplici attività,
dall'agriturismo all'organizzazione di eventi, che si svolgono nelle
cascine ristrutturate ai piedi del castello. In fondo al parco c'è
il laboratorio di scultura di Hilario, figlio di Aimaro e artista di
livello internazionale. Il laboratorio funziona con l'energia
prodotta dal vecchio mulino recuperato. Consolata accompagna gli
ospiti con gentilezza. È lei che tiene i contatti con il mondo. Nel
suo logo di whatsapp c'è uno stemma e la scritta "Virtus fortuna
favente", il coraggio con il favore della fortuna": «È lo stemma
della mia famiglia. Mio padre mi chiamò Consolata per un voto fatto
durante una battaglia aerea in Africa». Ma questa è un'altra storia.
—
01.09.24
Il gioco dei ladri del Terzo valico materiali sbagliati, tutto da
rifare GIAMPIERO CARBONE
NOVI LIGURE
Le "ombre" sul Terzo valico dei Giovi ora non riguardano più
soltanto i tempi di conclusione dei lavori. C'è dell'altro: uno
spreco di risorse pubbliche per un'opera ferroviaria ormai
costosissima - oltre 7 miliardi per 53 chilometri - che si trascina
dal 2012, tra Genova e Tortona. A Novi Ligure (Alessandria) c'è una
distesa di conci stoccati in un'area dismessa. Migliaia di blocchi
in cemento armato. Dovevano servire per realizzare i 27 chilometri
di galleria sotto l'Appennino, tra Liguria e Piemonte, invece da
settimane decine di Tir ogni giorno li trasportano a decine di
chilometri, a Rocca Grimalda e Castellazzo Bormida, perché vengano
demoliti.
La realizzazione del doppio tunnel sta incontrando evidenti
difficoltà, non solo per la presenza di amianto e gas: in
particolare dal 2022, tra Arquata Scrivia e Voltaggio, lo scavo
verso sud è stato bloccato a causa della conformazione delle rocce,
talmente friabili da impedire alle due talpe meccaniche, enormi
macchinari lunghi fino a 100 metri, di procedere. Dopo vari
tentativi nel 2023 Cociv - il consorzio Cociv guidato da Webuild che
ha l'appalto per la maxi opera - ha sventolato bandiera bianca: le
talpe sono state messe da parte e smontate con costi mai resi
pubblici e da allora lo scavo procede a colpi di martellone. I conci
servivano a costruire la volta della galleria ed erano posati in
automatico dalle talpe; invece ora si va avanti con gettate di
cemento. L'appalto per la costruzione dei conci è costato 30 milioni
ed era stato affidato nel 2018 alla Società prefabbricati per
infrastrutture (Spi) di Cremona, che li ha prodotti in provincia di
Alessandria, a Castelletto Monferrato e Carrosio. Da lì venivano
trasferiti nel cantiere di Radimero, ad Arquata Scrivia, finché sono
serviti ma l'azienda lombarda fa sapere che la commessa è stata
comunque conclusa a luglio del 2023, quando le talpe erano già "in
panne" ormai da tempo. Proprio per questo Spi ha dovuto stoccarli a
Novi Ligure in attesa di sapere cosa fare. In cinque anni, l'azienda
lombarda ha prodotto 2.500 "anelli", composti da 8 conci ciascuno.
Circa 1.200 sono stati utilizzati per le gallerie e 1.300 messi a
deposito, 200 nei cantieri e 1.100 a Novi Ligure. «Attualmente –
spiegano da Cremona – a Novi sono ancora stoccati 850 "anelli".
L'area dovrebbe essere liberata entro ottobre». Rfi, società delle
Ferrovie committente del Terzo valico per conto dello Stato, spiega:
«Come noto lo scavo delle gallerie di Valico con l'utilizzo delle
due frese non ha potuto proseguire, a causa dei noti problemi
geologici, e le talpe si sono dovute fermare».
I blocchi di cemento vanno al macero perché non servono più. Nemmeno
in altri cantieri dove si è provato a "piazzarli", perché le
caratteristiche della roccia da scavare e delle frese utilizzate
sono incompatibili. E dunque non resta che polverizzarli. Rfi nulla
rivela sul costo di questa attività di smaltimento dei conci ma è
noto che il costo di costruzione di ciascun blocco - filtra dal
Cociv - si aggira sui 6-7 mila euro. Quelli da smaltire, secondo i
promotori del Terzo valico, sarebbero un migliaio, dato che si
scontra con i dati forniti dalla Spi. Parliamo comunque di almeno
una decina di milioni persi.
L'obiettivo di Cociv è ricavare cemento da rivendere sul mercato per
limitare il danno alle casse pubbliche, già molto generose per il
Terzo valico, visto che il limite di spesa fissato nel 2010 in 6,5
miliardi è stato ampiamente superato. Lo scorso anno il governo ha
assegnato altri 700 milioni per fronteggiare "l'emergenza
geologica", vale a dire proprio lo stop alle talpe meccaniche sotto
l'Appennino e le relative conseguenze, compreso evidentemente lo
smaltimento dei conci.
«Dagli anni ‘90 al 2012 – spiega Mario Bavastro di Legambiente -
Cociv ha eseguito una miriade di sondaggi geognostici sull'Appennino
proprio per comprendere la situazione dal punto di vista geologico
in vista dello scavo del tunnel. Ora ci tocca vedere i conci mandati
allo smaltimento con ulteriori costi per le casse pubbliche». Rfi ha
giustificato il problema geologico con la profondità della montagna
in quel tratto. Di recente un altro intoppo: cantieri fermi a causa
della presenza del gas grisù. È stato necessario potenziare i
sistemi di aspirazione nelle gallerie per evitare pericoli per gli
operai. Ora l'attività è ripresa.
Un'opera che non sembra conoscere pace, il Terzo valico. Anni fa -
come con la Torino-Lione - il primo governo Conte aveva provato a
fermare l'opera. L'analisi costi-benefici commissionata nel 2018 ad
alcuni studiosi indipendenti aveva dato esito negativo, ma i lavori
erano in fase talmente avanzata che fermarli avrebbe comportato
oneri molto più ingenti. Ora il timore dell'attuale governo è
perdere i fondi del Pnrr assegnati all'opera: la data limite entro
cui chiudere i cantieri è il 2026 ma il commissario Calogero Mauceri
parla già del 2027 assicurando però che l'anno prima verrà attivata
la prima canna. Una scommessa sempre più ardua da vincere.
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo