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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento sia andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018).

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

NNI

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

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Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

     

     

     

     

     

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

Tweet to @marcobava

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

SE VUOI COMPERARE IL LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email all'editore (info@edizionikoine.it)  indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per contrassegno che pagherai alla consegna. 
NON DIMENTICARE CHE:

Le informazioni contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.

Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.


MARCO BAVA

 

 

  ENRICO CUCCIA ----------MARCO BAVA

 

SITI SOCIETARI

 

Ø     http://www.aedesgroup.com

Ø     http://www.bancaprofilo.it

Ø     http://www.ngpspa.com

Ø     http://www.centralelatte.torino.it

Ø     http://www.a2a.eu

Ø     https://www.enelgreenpower.com

Ø     http://www.gabettigroup.com

Ø     http://www.mef.it/it/index.html montefibre

Ø     http://www.gruppozucchi.com

M&C SITO :  http://www.mecinv.com/

 

 

La ringraziamo sinceramente per il Suo  interesse nei confronti di una produzione duramente colpita dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini di stagionatura. Il  sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e poi trasferito in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito http://emergenze.coldiretti.it tutte le informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori di Campagna Amica.

 

Cordiali saluti.

Ufficio relazioni esterne Coldiretti

 

 

www.taxjustice.net ; www.fanpage.it

www.ecobiocontrol.bio

www.andreagiacobino.com

 

 

http://www.matrasport.dk/Cars/Avantime/avantime-index.html

 

 

Auto e Moto d’Epoca 2013

 

- Nuovo sistema tutela auto e moto d'epoca;
- 
Veicoli d'interesse storico, la fiscalità e il redditometro;
- 
Norme per la circolazione dei veicoli storici;
- 
Veicoli d'interesse storico e collezionistico: circolazione e fiscalità 

 

 

 

http://delittodiusura.blogspot.it/2011/12/rete-antiusura-onlus.html

http://www.vitalowcost.it

http://www.terzasettimana.org

 www.attactorino.org SITO SOCIALE TORINESE

 

 

 

 http://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

 

http://www.avvocatitelematici.to.it/

 

http://www.uibm.gov.it/

 

http://www.obiettivonews.it/

 

http://www.penalecontemporaneo.it

 

http://controsservatoriovalsusa.org/

 

http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/price-sensitive/home.html?lang=it

 

http://www.societaquotate.com/

 

 

 

http://smarthyworld.com/renault.html

http://www.turbo.fr/renault/renault-avantime/photos-auto/

http://avantimeitalia.forumattivo.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/PSA_ES_e_Renault_L7X

http://www.avantime-club.eu/

http://www.centropestelli.it/  scuola di giornalismo torinese

www.foia.it x la trasparenza

http://www.lingottoierieoggi.com la storia del lingotto

www.ipetitions.com PETIZIONI

http://www.casa.governo.it GUIDA AGEVOLAZIONI CASA

http://www.comune.torino.it/ambiente/bm~doc/report-siti-procedimenti-di-bonifica_informambiente.pdf AREE EX SITI INDUSTRIALI TORINESI DA BONIFICARE

 

 

 

 

 

ULTIMO AGGIORNAMENTO 22/09/2023 00.22.06

 

 

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POTETE 

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LA VERITA' SULLA FIAT E LA FAMIGLIA AGNELLI PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA VERITA':

  1. GABETTI, GRANDE STEVENS, DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.

  2. L'AVVOCATO ED UMBERTO NON HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.

  3. GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA MARELLA CON JAKY hanno ucciso la FIAT.

LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

 https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pgSdXDIwzmDgGSLkE

 

COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI

Libro Mb

LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

TESI SEN AGNELLI

 

VEDETE  COME LAVORA UIBM

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

Corso universitario e mini-corso per risparmiatori
A fine settembre/inizio ottobre 2023 comincerà il corso di Metodi per le scelte finanziarie e previdenziali all'Università di Torino. Si tratteranno soprattutto le obbligazioni, i titoli di Stato indicizzati o no all'inflazione, i certificati ecc. Può iscriversi pure chi non è studente universitario, 48 ore, costo 196 euro: vedere https://www.beppescienza.eu/corsi_investimenti.htm.
Il corso sarà in presenza, ma probabilmente anche online sulla piattaforma virtuale Webex. A settembre pubblicherò maggiori informazioni.

 

21.09.23
  1. Santanchè, Open to fallimento altri guai giudiziari per la ministra
    Permettere a Ki Group srl di accedere al concordato semplificato sarebbe «solo un atto di fede» senza alcuna concreta garanzia «in palese danno e in frode ai creditori». Per questo la procura di Milano ha deciso di irrompere nel procedimento aperto davanti alla seconda sezione civile del Tribunale e di chiedere la liquidazione giudiziale - l'ex fallimento - non solo della srl ma anche delle due società quotate del gruppo: Ki Group holding spa e Bioera spa.
    Così, dopo il caso Visibilia, nuovi guai giudiziari potrebbero travolgere la ministra Daniela Santanchè che, con l'ex compagno Canio Mazzaro, era nella governance del gioiellino del bio almeno fino al 2021.
    Il fascicolo su Ki Group, per ora a «modello 45», senza indagati e ipotesi di reato, si è già arricchito di alcune annotazioni del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf che attestano la grave situazione in cui versano le società del gruppo. A partire da Bioera, che - scrive la procura - è «in evidente stato di insolvenza» mentre, in base al piano di salvataggio proposto a maggio dalla società, dovrebbe garantire la copertura finanziaria della srl per oltre un milione e mezzo di euro.
    Dall'analisi del bilancio del 2022 di Bioera, la Gdf annota «un risultato netto in perdita per 5, 3 milioni di euro, un indebitamento finanziario netto pari a 3 milioni, mezzi propri negativi per 5 milioni». La stessa società di Revisione «dichiara di non essere in grado di esprimere un giudizio in merito ai bilanci del 2021 e del 2022 in quanto asserisce di non aver acquisito elementi probativi sufficienti e appropriati su cui basare il proprio giudizio».
    Mettendo in fila tutte le criticità evidenziate dagli investigatori, la procura diretta da Marcello Viola sostiene che appaia « di dubbia realizzazione» il concordato semplificato proposto da Ki Group srl. E che in base alla situazione economica di Bioera - di cui i magistrati chiedono la liquidazione giudiziale di gruppo - «non si vede come la stessa possa farsi carico del peso economico del piano economico proposto da Ki Group srl e adempiere alle obbligazioni assunte, per le quali non vi è infatti alcuna concreta garanzia ma solo un atto di fede». Commettendo peraltro «gravi omissioni a danno dei creditori».
    Tra loro figurano innanzitutto i dipendenti, intervistati nel corso della trasmissione Report, che non hanno ancora visto un euro di Tfr, «a differenza di quanto promesso a luglio davanti al Senato dalla ministra Santanchè», sottolinea ora l'avvocato Davide Carbone che, per conto di undici tra ex lavoratori e agenti di commercio, a maggio aveva avanzato già richiesta di liquidazione giudiziale della società. Non sapeva nulla, però, del piano di salvataggio proposto solo due giorni prima al Tribunale dall'attuale management dell'azienda, assistito dall'avvocato Salvatore Sanzo - lo stesso che si occupa della crisi di Visibilia - che ha fatto scattare le «misure protettive» per la società. E quindi ha di fatto bloccato qualsiasi domanda di fallimento avanzata dai creditori con scadenza, scrivono ora i pubblici ministeri, il 15 settembre del 2023. Il piano di salvataggio è stato proposto peraltro dopo il naufragio del tentativo della governance dell'azienda di ottenere la «composizione negoziata della crisi» nel luglio del 2022.
    Come sottolineano i pm Luigi Luzi e Maria Giuseppina Gravina, lo stesso esperto interpellato dal Tribunale, che nel suo parere «propende per la convenienza della procedura concordataria», afferma che «alla data del 7 luglio del 2023 sussistono significative incertezze in merito alla prospettiva della continuità aziendale della emittente e del gruppo». Cosa che, per i magistrati, «imporrebbe un'attenta analisi sulla reversibilità dello stato di insolvenza di Bioera - società in evidente stato di insolvenza - e che a oggi manca agli atti della procedura».
    Per questo, sostengono ancora i pm, il piano proposto da Ki Group, tramite la promessa di impegno economico presentata da Bioera, «non permette il raggiungimento dello scopo della procedura», cioè «valorizzare i complessi aziendali, al fine di ottenere liquidità per soddisfare i creditori». E quindi la procura conclude «rilevando la manifesta inattitudine del piano con riguardo alle garanzie offerte per assicurare la liquidazione, in palese danno e in frode ai creditori».
    Parole dure che annunciano come per la ministra Santanchè la nuova partita sia solo all'inizio.

 

 

 

 

20.09.23
  1. SPIEGAZIONI TARDIVE :   Carlo Bonomi potrebbe essere costretto a rivedere i suoi piani per il dopo-Confindustria. Tutta colpa del caso della laurea in Economia e Commercio che gli è stata attribuita e che, stando ai verbali della “Fiera Milano Spa”, di cui è presidente, non ha mai conseguito.
    Se il pasticcio dovesse essere confermato, inevitabilmente il presidente uscente di Confindustria vedrebbe sbarrato il suo passaggio alla presidenza del cda della Luiss, l'università che fa capo all’associazione degli industriali italiani (un presidente senza laurea appare improbabile...)
    E il candidato alternativo per quel ruolo, al posto del “non dottore” Bonomi, potrebbe essere Alberto Marenghi, amministratore di “Cartiera Mantonava”. Attuale vice e fedelissimo di Bonomi, Marenghi può contare anche su un “aiuto” politico in famiglia: è sposato, infatti, con la deputata di Fratelli d’Italia, Maddalena Morgante.
    Per la successione alla guida di Confindustria, invece, la corsa è ancora lunga e innumerevoli sono le alleanze possibili. Al momento in pole ci sono il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, e il presidente del gruppo Maire Tecnimont, Fabrizio Di Amato. Ma potrebbe trovare spazio anche un “ripescaggio”, quello di Antonio D'Amato, già gran capo di Confindustria tra il 2000 e il 2004 e molto in sintonia col governo di centrodestra…
  2. "Non era la nuova P2, ma un sistema di potere" COME LA P2. Anche Piantedosi nella rete Amara-Verdini
    Non una «loggia massonica coperta», ma un reticolo di rapporti opachi di potere tra politici, magistrati, grand commis nella Roma del patto del Nazareno. Questo è il succo del decreto di archiviazione della giudice perugina Angela Avila che mette la parola fine al vaudeville della Loggia Ungheria.
    La loggia, per come fu rappresentata dall'ineffabile avvocato Piero Amara alla fine del 2019, non esiste. Né lui né i suoi sodali siciliani hanno mai fornito la fantomatica lista degli affiliati, limitandosi a descriverla come formata da 16 pagine, con la cartina magiara nell'intestazione e una sfilza di nomi in fila per tre, seguiti da fumettistici soprannomi: Escobar, Nano, Zorro, Babbaleo, Lepre, Uccello, Camaleonte.
    Prima hanno promesso la consegna della lista. Poi hanno indicato altri detentori, ma le perquisizioni hanno fatto buca. Infine hanno raccontato che la preziosa cartuccella sarebbe custodita a Dubai da tal Patrick, agente segreto iraniano.
    Troppo poco, anzi nulla, per un'associazione segreta. «Manca una ricostruzione della struttura organizzativa», nota la giudice. Manca la sede delle riunioni: nella basilica di San Giovanni in Laterano o nell'omonima piazza pariolina? Quanto ai riti – dal saluto con l'indice premuto tre volte sul polso alla domanda «Sei mai stato in Ungheria?» come codice di riconoscimento – nessuna conferma.
    Ma soprattutto, e qui sta la parte più paradossale e interessante della vicenda, sono i riscontri a specifici episodi narrati da Amara a smentire la fola di una «nuova P2». Perché, argomenta la giudice aderendo all'impostazione della Procura, i dimostrati «singoli rapporti di colleganza» sono logicamente incompatibili con «un'azione organizzata, programmata e pianificata da parte di un gruppo di persone segretamente associate, diretta a interferire sulle istituzioni».
    Amara, però, a Roma era tutt'altro che un signor nessuno. Dice e non dice; afferma e nega; spara e ridimensiona. Resta enigmatico e inaffidabile, tanto che a giorni sarà processato a Milano per aver calunniato diverse decine di alte personalità tirate in ballo come «fratelli» di loggia. Dimostra un'abilità diabolica nel colpire chi ha indagato su di lui e sui suoi compari, o semplicemente non si è prestato a proteggerli. Ma dei suoi torrenziali verbali, filtrati col rasoio di Occam dalla Procura di Perugia, qualcosa resta. Alcuni episodi che ha raccontato sono veri. E lo collocano al centro di «una serie di iniziative dirette a influenzare l'esercizio delle funzioni pubbliche, con illecite pressioni e avvalendosi di una significativa rete di relazioni».
    Tutto si svolge, come racconta Denis Verdini, all'ombra del patto del Nazareno. Amara ha rapporti con lui, all'epoca architrave del governo Renzi, e, indirettamente, con Luca Lotti, sottosegretario a Palazzo Chigi. Lotti viene appellato da Amara & C. in diversi modi: LL, Capo, Luca. Interrogato, Lotti ridimensiona i rapporti e nega di aver comunicato su chat criptate col soprannome «Siffredi2». «Il sistema Amara», come l'ha definito il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, operava in Sicilia, Puglia, Lazio e Piemonte, «per soddisfare interessi personali funzionali al consolidamento di posizioni di potere».
    L'inchiesta ha ricostruito almeno tre casi di alti magistrati che, in corsa per una nomina a procuratore, si sono rivolti a lui per una spintarella al Csm. E il magistrato della Corte dei Conti Raffaele De Dominicis, che aveva nelle mani un fascicolo sul premier Renzi, chiedeva ad Amara di procurargli un appuntamento con Lotti a Palazzo Chigi. Così come ha trovato un parziale riscontro il fatto che Amara perorò un incarico professionale dalla società Acqua Marcia per il futuro premier Giuseppe Conte.
    Le chat estrapolate dal suo cellulare e un appunto sequestrato a Firenze in tempi non sospetti smentiscono la prima versione minimalista di Verdini sui rapporti con Amara. Risulta infatti che Verdini si rivolgesse a lui per farsi indicare nomi da suggerire a Lotti per le nomine governative al Consiglio di Stato e alla Corte dei Conti. «Mi serve urgente curriculum!», «Mi devi dare un altro nome!», scriveva quando saltava una nomina.
    I due interloquivano a tutto campo. Dal parastato siciliano all'Eni, dal Csm (per cui viene citato Cosimo Ferri) all'Ilva, su cui Amara chiedeva di far capire a Lotti «di non rompere le palle».
    In un appunto compare il nome dell'attuale ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. Che si sarebbe rivolto ad Amara per un'intercessione con il mondo renziano, nel 2016. «Attualmente vicecapo della polizia, punterebbe a diventare capo della polizia oppure direttore dell'Aisi», il servizio segreto.
    Verdini conferma: «Effettivamente Amara me ne parlò. Era in disgrazia nel ministero». Prima smentisce l'incontro. Ma i pm trovano un suo documento, e Verdini ammette: «Non ricordavo, ma se l'ho scritto è vero. Piantedosi non era valorizzato e voleva un'occasione per parlare con il ministro».
    Piantedosi ha dato mandato ai suoi legali per tutelare la sua reputazione in ogni sede giudiziaria. —
  3. PAURA DI CONOSCERE PER CAPIRE: Bufera sull'ex presidente di Viale Mazzini per la trasmissione sul C ovid L'azienda si dissocia dalle affermazioni negazioniste di Citro della Riva
    Medico no vax in onda la Rai ordina a Foa una puntata riparatrice
    A poche ore dalla messa in onda del programma radiofonico di Radio1 del già presidente Rai Marcello Foa, "Giù la maschera" , scoppia la bufera. Un ospite del programma, Massimo Citro della Riva, psicoterapeuta no vax, che risulta iscritto all'albo di Torino ma altresì sospeso nel 2021 dall'Ordine dei Medici appunto per le sue teorie no vax, ha appena parlato contro i vaccini recuperando tesi complottiste: «Il vaccino causa molti danni. Sono anche in letteratura e sono all'ordine del giorno. È un disastro ed è una volontà evidente di fare del male», adombrando appunto complotti contro la salute dei cittadini. Tiepida la reazione del padrone di casa che esordisce con un «Certo. ..». E il "ma" poco si sente.
    La reazione di ad Roberto Sergio e Presidente Rai Marinella Soldi è immediata, parte il comunicato di netta presa di distanze da quanto detto in radio da Citro della Riva, un po'pure per bilanciare l'assordante silenzio del neo conduttore Foa. E visto che le parole stanno a zero, il vertici prendono in mano la situazione chiamando direttamente il neo direttore Radio Francesco Pionati, intimando che sia organizzata al più presto una puntata riparatoria che se pur non potrà far dimenticare l'accaduto, almeno serva per derubricare la colpa. E gli ospiti? Pare abbia chiesto a questo punto il contrito Pionati. E qui il colpo di genio: che gli ospiti siano indicati dal Ministero della Salute, persone di loro fiducia che possano ristabilire una giusta visione dei vaccini. Di più si dice al settimo piano di viale Mazzini, non potevamo fare. E il più presto è già oggi, puntata a tema Covid. Ad avere la parola saranno Giorgio Palù, direttore dell'Alfa, Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società Italiana Malattie infettive e tropicali e Laura Dalla Ragione, psicologa e psicoterapeuta.
    Onor del vero, Pionati sentendo aria di bruciato, si era subito chiamato fuori: «Quelle dichiarazioni non corrispondono in alcun modo né al mio personale pensiero, né alla linea editoriale dei Gr e di Radio1». Concludendo con un ammonimento non tanto velato a Foa: «Invito tutti i conduttori, in presenza di dichiarazioni estreme rese dai loro ospiti a chiarire che le stesse sono fatte a titolo personale». Ma non basta a placare gli animi accesi dalle teorie negazioniste. A precisa domanda arriva risposta netta da Monica Maggioni direttore dell'Offerta Informativa: «Il servizio pubblico non può dare spazio a teorie complottiste e antiscientifiche. L'immediata presa di distanza dei vertici Rai e la costruzione di una puntata mirata a riportare il discorso su un piano scientifico, mi sembra non lascino dubbi circa il posizionamento della Rai».
    Un posizionamento che a botta calda, ancora all'oscuro delle misure messe in campo, qualche dubbio l'aveva fatto venire. A Francesca Bria che siede in cda: «Ho subito scritto alla Presidente e all'Ad sollecitando un intervento. La persona non è nuova a queste uscite, figura sospeso dal suo Ordine professionale, qui c'è anche un problema di equiparazione tra i medici». Infatti interviene, stigmatizzando l'accaduto, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici.
    Anche l'Usigrai interviene compatto: «La disinformazione non è del servizio pubblico. Si è parlato tanto di codice etico, lo stesso che ha permesso di mandare via prima Facci e poi Saviano. E Foa resta al suo posto? La Rai non si deve dissociare da se stessa. La Rai deve intervenire».
  4. IL CORAGGIO DELLA COERENZA : Trudeau accusa new delhi per l'omicidio a vancouver
    Sikh ucciso, è crisi diplomatica Canada-India
    new york
    Il 18 giugno un gruppo di uomini mascherati ha atteso Hardeep Singh Nijjar nel piazzale antistante il tempio Sikh di Vancouver e lo ha ucciso. Tre mesi dopo davanti al Parlamento canadese, il premier Justin Trudeau ha accusato l'India di essere la regista dell'omicidio. New Delhi ha replicato definendo le accuse «assurde e premeditate» ed espellendo un alto diplomatico come rappresaglia alla decisione di Ottawa di cacciare il capo dell'intelligence indiana in Canada. Il governo Trudeau ha anche annunciato lo stop ai negoziati sul commercio fino a quando non sarà fatta chiarezza su quanto avvenuto. Nijjar aveva 45 anni e faceva parte di un gruppo separatista del Punjab (Khalistan Tiger Force) che da decenni lotta per la creazione del Khalistan. Negli Anni 80 e 90 migliaia di persone sono rimaste uccise nella rivolte e la tensione è aumentata nell'ultimo anno quando il premier nazionalista Narendra Modi ha lanciato la caccia ai leader separatisti, «terroristi» nel linguaggio di New Delhi. Nel 2020 il suo nome è finito sulla lista nera e nel 2022 il governo Modi ha inoltrato richiesta di estradizione. La Casa Bianca già lunedì ha reagito parlando di «preoccupazione». Eppure a Washington l'esternazione di Trudeau non è giunta del tutto inaspettata. L'intelligence Usa infatti ha lavorato da vicino con quella canadese, hanno fatto sapere fonti di Ottawa alla Reuters. Qualche settimana fa elementi sarebbero stati condivisi con l'intelligence dei più stretti alleati ovvero i Five Eyes. Trudeau avrebbe chiesto un appoggio politico agli Stati Uniti e ad altri Paesi occidentali senza ottenerlo. Da qui la decisione di andare da solo e quindi di informare lunedì il Parlamento nazionale.
  5. I VERTICI RFI C'ENTRANO : «È necessaria una approfondita riorganizzazione della documentazione in modo da rendere percorribili e tracciabili, nonché logicamente correlabili tra loro, i processi di sicurezza. Ciò al fine di garantire che l'intero sistema procedurale possa dimostrare in maniera efficace la conformità al quadro normativo di riferimento». Già nelle prime parole della valutazione di conformità per il rinnovo dell'autorizzazione di sicurezza a Rfi, realizzata dall'Ansf (Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie) nel 2019 si può capire che, anche se l'ok è arrivato, restavano tanti dubbi. Quattordici pagine per sottolineare tutto ciò che non va. Rilevi che si ripetono da una decina d'anni, sostanzialmente senza miglioramenti, e che emergono ora proprio dopo la morte di cinque operai, travolti da un treno mentre lavoravano sui binari a Brandizzo.
    Soffermandosi solo sulla questione manutenzioni, è tutto il ciclo a non essere promosso: dalla poca chiarezza nei ruoli degli operai che devono effettuare i lavori, ai controlli sugli interventi conclusi. Ma è facile intuire che, se non sono specificate bene le qualifiche e le abilitazioni richieste, diventa meno stringente la necessità di far lavorare sui binari solo personale formato. E a Brandizzo c'erano proprio operai semplici. C'è poi un passaggio specifico nel rapporto che fa riferimento alla «qualificazione guida e scorta dei mezzi» (quella di Antonio Massa, indagato per omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale) per cui l'Ansf scrive che «manca una puntuale definizione delle competenze; i contenuti della formazione teorica sono incentrati sulla guida dei mezzi; solamente nella parte di addestramento vengono inserite alcune conoscenze legate alla scorta che comunque non ricoprono quanto attribuito al ruolo dal quadro normativo». Per quanto riguarda la «manutenzione e funzionamento del sistema di controllo del traffico e di segnalamento», invece, «non sono state reperite procedure che sanciscano principi di sicurezza generali, applicabili su tutto il sottosistema di controllo comando e segnalamento». Bocciate anche le procedure «volte a garantire che gli incidenti, gli inconvenienti, i quasi incidenti e altri eventi pericolosi siano segnalati, indagati e analizzati e che siano adottate le necessarie misure preventive».

 

 

19.09.23

Il dottor Rand Paul guida una lettera in cui richiede informazioni sulle accuse di informatori della CIA riguardanti l'indagine sulle origini del COVID-19

La settimana scorsa ho inviato una lettera al direttore della Central Intelligence Agency (CIA), William J. Burns, chiedendo informazioni sulle recenti accuse di informatori relative alle indagini della CIA sulle origini del COVID-19.

Secondo una lettera del sottocomitato ristretto della Camera sulla pandemia del coronavirus (sottocomitato ristretto) e del comitato ristretto permanente sull’intelligence della Camera (HPSCI), una recente testimonianza di informatore resa da un ufficiale di alto livello della CIA sostiene che l’Agenzia ha pagato sei analisti che hanno determinato Il COVID-19 probabilmente ha avuto origine da una fuga di dati dal laboratorio.

ImageLa lettera afferma che la CIA ha assegnato sette ufficiali con significative competenze scientifiche a un team di scoperta del COVID. Dopo la revisione, sei dei sette membri hanno ritenuto che l’intelligence e la scienza disponibili fossero sufficienti per effettuare una valutazione con scarsa certezza che il COVID-19 provenisse da un laboratorio a Wuhan, in Cina. La lettera afferma che ai sei membri è stato dato un significativo incentivo monetario per cambiare la loro posizione, portando alla determinazione pubblica dell’incertezza sulle origini del COVID-19 da parte della CIA.

Queste accuse sono profondamente preoccupanti e sollevano seri interrogativi sull’indagine dell’Agenzia sulle origini della pandemia di COVID-19.

Puoi saperne di più sui miei sforzi QUI e leggere la mia lettera al direttore della CIA QUI

I democratici del Senato respingono la risoluzione del Dr. Paul di proteggere le pagine del Senato dai mandati sui vaccini COVID-19

Come continuazione dei miei sforzi per proteggere le libertà individuali e respingere mandati non scientifici, la settimana scorsa ho presentato una risoluzione che avrebbe protetto le pagine del Senato dall’imposizione di requisiti di vaccinazione legati al COVID-19, soprattutto data la miriade di studi che lo dimostrano. per le persone giovani e sane i rischi posti dal vaccino sono maggiori dei rischi posti dal COVID-19.Image

Numerosi studi scientifici hanno dimostrato un aumento del rischio di miocardite per bambini e adolescenti dopo aver assunto un vaccino mRNA contro il COVID-19. Inoltre, vi è consenso sul fatto che i vaccini non fermano la trasmissione del COVID-19.
 

I Democratici del Senato ancora una volta si rifiutarono di seguire la scienza e si opposero alla mia risoluzione approvata con consenso unanime.

Negli ultimi anni ho intrapreso numerose azioni per difendere gli americani da coloro che non seguono la scienza sul COVID-19. Ricorda le mie parole, non ho finito di combattere. E puoi scommettere che continuerò ad agire e a parlare apertamente di questo problema.
 

Puoi guardare i miei interventi in sala QUI e leggere di più sui miei sforzi QUI .

Il dottor Paul evidenzia la collusione del governo con le piattaforme di social media per censurare gli americani

ImageRecentemente, ho espresso preoccupazione per il governo degli Stati Uniti che utilizza l’intelligenza artificiale per applicazioni che violerebbero le libertà civili americane durante un’audizione intitolata “Governare l’intelligenza artificiale attraverso l’acquisizione e l’approvvigionamento”. Durante l’udienza, ho evidenziato numerosi casi in cui le agenzie federali hanno utilizzato i soldi dei contribuenti per colludere con le società di social media per violare i diritti del Primo Emendamento dei cittadini americani.

Ho parlato di come le agenzie governative abbiano passato anni a condurre una sorveglianza incostituzionale e a collaborare con aziende private per soffocare la libertà di parola protetta degli americani. Le agenzie federali, come il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale (DHS) e il Federal Bureau of Investigation (FBI), hanno utilizzato i dollari dei contribuenti per fare pressione sulle grandi piattaforme di social media affinché moderino il dibattito online su argomenti come i vaccini COVID-19 e l’uso delle mascherine.

Le stesse agenzie che hanno lavorato costantemente per censurare la libertà di parola stanno ora utilizzando fondi pubblici per sviluppare tecnologie di intelligenza artificiale destinate a modellare le informazioni online.

Continuerò a sottolineare che il Congresso dovrebbe impedire alle agenzie federali di sopprimere il discorso protetto costituzionalmente.

Puoi leggere di più sui miei sforzi QUI e guardare le mie osservazioni complete QUI .

  1. CHI CI GUADAGNA ? Più voli, il doppio dei Cpr e tempi dilatati le nuove norme costeranno fino al triplo
    Costerà cara, la stretta securitaria di Giorgia Meloni. Raddoppiare il numero dei Centri di permanenza e respingimento, in sigla Cpr. Estendere il tempo massimo di trattenimento. Prevedere più voli per il rimpatrio forzoso dei clandestini. A prescindere dalla sofferenza che si imporrà a tanti migranti che verranno trattenuti per un periodo lunghissimo, le spese aumenteranno in maniera esponenziale e peraltro senza garantire i risultati. Già, perché tutta l'impalcatura repressiva poggia su un presupposto che al momento non c'è: gli accordi di riammissione verso i Paesi di provenienza dei migranti sono ancora da stipulare, eccetto che per Tunisia, Egitto e Albania, come ammesso in modo limpido dal ministro degli Esteri Antonio Tajani.
    Soltanto per il vitto e l'alloggio degli espellendi, il ministero dell'Interno spende attualmente una trentina di milioni di euro all'anno. Servono a garantire pranzo e cena, e un posto letto, alle seimila persone che mediamente vengono trattenute nei Cpr. Ma servirà almeno il doppio se davvero, come è nei progetti del Viminale, si arriverà a trattenere tanta più gente. Occorreranno 60 milioni di euro? Verosimile. E siamo solo alla prima delle voci di spesa.
    Il costo pro-capite per migrante trattenuto, facendo di conto, si aggira sui 50 euro al giorno, solo per vitto e alloggio. Dato che si ipotizza una detenzione massima di 18 mesi, pari a 550 giorni, ogni clandestino alla fine costerebbe allo Stato quasi trentamila euro.
    Aumentare la rete dei Cpr, poi, è un'aspirazione del Viminale che viene da lontano. Ne parlava già Matteo Salvini nel 2019 quand'era lui il ministro. E non successe nulla. Da un punto di vista razionale, indubbiamente avere intere regioni senza Cpr implica che per ogni persona da trattenere, e capita di continuo, una macchina della polizia è costretta ad attraversare mezza Italia finché si trova un posto libero.
    Oggi siamo a 10 strutture, e nemmeno tutte sono operative. Giorgia Meloni annuncia adesso di volerne realizzare almeno uno per Regione, sollevando molte rimostranze in giro. Per costruire nuovi Cpr e fare la manutenzione di quelli esistenti, come verificato da Openpolis, il bilancio del ministero aveva previsto nel 2022 la spesa di 26,7 milioni di euro; nel 2023 si è saliti a 32 milioni di euro. Sarebbero previsti 46 milioni per il 2024. Ma ovviamente tutto ciò non basterà se davvero bisognerà impiantare dieci nuovi Cpr. Anche questa cifra, a spanne, andrebbe raddoppiata, arrivando a 100 milioni.
    A parte, ci sono le spese per il personale di polizia, difficilmente quantificabili. Una maggiore spesa però è scontata. Così come l'aggravio di lavoro per la polizia che si sobbarca della vigilanza sui Cpr. Si consideri che attualmente la polizia di Stato è costretta a utilizzare, a vario titolo, ben 12 mila agenti per l'emergenza migranti. Nel conto ci sono quelli che emettono i permessi di soggiorno, quelli che fanno il fotosegnalamento ai nuovi arrivati, quelli che svolgono indagini sugli stranieri, e anche quelli che presidiano i cancelli dei Cpr, poi accompagnano i rimpatriati fino al loro Paese e tornano indietro. La vigilanza sui Cpr, in particolare, è una incombenza dei Reparti mobili. Capita così a Roma, a Milano, a Bari. Ciò significa che si devono sobbarcare molte notti di vigilanza, quando il loro servizio sarebbe un altro. E c'è anche l'effetto collaterale che i Reparti mobili sono stati trasferiti di sede e sono tutti attaccati agli aeroporti, perché è preferibile costruire un Cpr vicino a dove decollano gli aerei che dovrebbero portare via gli espulsi.
    Ci sono infine da computare i costi dei voli. Il Dipartimento di Ps ha quantificato con una recente circolare che il costo medio del rimpatrio di un irregolare costa 2.365 euro. C'è stato un aumento dei costi del 30% rispetto ai 1.798 euro del 2022. Nel 2020, per dire, come certificato dalla Corte dei Conti, furono spesi 8 milioni 334 mila euro.
    Alla fine, insomma, c'è da dire che la montagna partorisce un costosissimo topolino: dagli 80 milioni di euro che spendiamo oggi, con queste misure potremmo arrivare al doppio se non al triplo. Al 31 agosto i rimpatriati erano appena 2.293 (in linea con il 2022, quando furono in tutto 3.275): in Tunisia sono state riportate 1.441 persone (nel 2022 erano state 2.308), in Albania, 362; in Egitto, 212. Mediamente soltanto una metà dei trattenuti torna davvero nel Paese di provenienza. Gli altri vengono rilasciati perché sono scaduti i tempi, o perché la magistratura non convalida il trattenimento, o perché i soggetti non sono stati compiutamente identificati.
    È un problema comune in tutta Europa. Secondo Frontex, nell'ultimo anno sono stati 85 mila i rimpatriati dai Ventisette: di questi, 35 mila erano i rimpatri forzosi e 48 mila i volontari. «Io penso che si dovrebbe aprire un ragionamento sui rimpatri volontari, che da noi sono un numero irrisorio, circa 300 l'anno», dice Mauro Palma, il Garante per i diritti delle persone prive della libertà.
    Per rimpatri volontari, si intendono quelli che tornano a casa grazie a piccoli incentivi economici. Insiste Palma: «Non sono ingenuo, è un procedimento complicato anche questo, ma l'esperienza dei Paesi di lingua tedesca dice che quella dei rimpatri volontari è una valida alternativa. Eviterebbe tante sofferenze e forse, viste le cifre in ballo, costerebbe anche meno alle Casse dello Stato. I rimpatri forzati sono l'epilogo di una questione molto più ampia e non vanno considerati come elemento risolutivo».
  2. ERA GIA' TUTTO PREVISTO :
    La dinamica della tragedia
    È più di un decennio che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf) prima, e l'Ansfisa (Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali) poi, segnalano a Rfi carenze nella gestione della sicurezza. E, in particolare, nella gestione delle procedure di controllo per evitare incidenti durante le manutenzioni. Senza una risposta adeguata: così emerge dalle relazioni dell'Agenzia negli anni, e dalle risposte di Rfi, non sempre considerate soddisfacenti. Documenti che emergono ora proprio perché sembra evidente che queste procedure non abbiano funzionato la tragica notte di Brandizzo, quando un treno in transito ha travolto e ucciso cinque operai al lavoro sui binari. Kevin Laganà (22 anni), Michael Zanera (34 anni), Giuseppe Sorvillo (43 anni), Giuseppe Aversa (49 anni) e Giuseppe Saverio Lombardo (53 anni) avrebbero dovuto sostituire circa 7 metri di binario: un lavoro di un paio d'ore richiesto da Rfi e affidato, nell'ambito di un subappalto, dalla Clf (Costruzioni linee ferroviarie) alla Sigifer di Borgo Vercelli. Una commessa del valore di circa 750 euro. Gli operai sarebbero dovuti entrare sui binari solo a circolazione interrotta ma, dalle testimonianze emerse finora, sembra che il capo scorta di Rfi, Antonio Massa abbia fatto partire il cantiere prima dello stop.
    Circostanze ben note a tutti gli addetti ai lavori e oggetto di numerose disposizioni da parte dello stesso ministero, dell'Agenzia preposta alla sicurezza ferroviaria e della stessa Rfi che da oltre 20 anni hanno affrontato il problema e da tempo omologato e impiegato dispositivi che dovrebbero garantire la segnalazione dell'arrivo del treno nei cantieri, proprio per ridurre l'errore umano. Già in un documento datato 31 gennaio 2001 l'allora direttore della divisione infrastruttura di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, aveva deliberato l'utilizzo di Sistemi automatici per la protezione dei cantieri omologati dalle Fs (Sapc) «sia per la protezione dei cantieri di lavoro per i quali è ammesso il regime di liberazione dei binari su avvistamento (allora era ancora previsto, oggi no, ndr) sia per la segnalazione su avvistamento dell'approssimarsi dei treni che percorrono il binario attiguo», si legge nelle carte con cui Moretti ne chiede l'introduzione. Un modo, quindi, per limitare la possibilità di errore umano: era chiaro che anche se la procedura prevede che la linea sia interrotta durante le manutenzioni servivano ulteriori strumenti automatici per scongiurare che un treno passasse comunque. E infatti, proprio perché è stato valutato a livello europeo che c'è un'alta probabilità di errore nei cantieri ferroviari, è stata varata una norma che sostiene la necessità di adottare dispositivi di segnalazione di arrivo del treno. Così nel 2001 Moretti aveva dato disposizione di adottare questi dispositivi,il cui funzionamento è simile a quello usato per segnalare cantieri in autostrada, solo che prevede, oltre ad avvisi luminosi e sonori, anche sistemi che garantiscono il rallentamento automatico della velocità del treno. E nel 2010 Maurizio Gentile (poi ad di Rfi) aveva ribadito questa necessità già ignorata da dieci anni.
    Intanto i dispositivi previsti da Moretti sono stati omologati e presentati in vari eventi già nel 2015 ma quasi mai impiegati nei cantieri. È su queste basi che si inseriscono i rilievi dell'Agenzia per la sicurezza delle ferrovie tanto che un alto funzionario del ministero dei Trasporti sostiene che a fronte delle criticità rilevate e formalizzate più volte «l'autorizzazione di sicurezza non avrebbe mai dovuto essere concessa. E neppure alla luce delle ulteriori inadeguatezze emerse in sede di rinnovo nel 2019 e quindi nella proroga concessa nel 2021».
    L'autorizzazione di sicurezza è indispensabile a Rfi per gestire le reti e va rinnovata ogni cinque anni. Nel 2013 Alberto Chiovelli (direttore della Ansf fino al 2014) non voleva concederla; il suo successore, Amedeo Gargiulo, l'ha fatto nel 2014. Nel documento del 30 settembre 2013 firmata da Chiovelli si legge: «I risultati dell'analisi effettuata evidenziano alcune criticità e carenze nella gestione e nella manutenzione dei veicoli utilizzati da Rfi, le attività relative ai trasporti di merci pericolose e la sicurezza degli scali». Quindi «al fine di poter continuare il percorso per il rilascio dell'autorizzazione di sicurezza è necessario che il gestore (Rfi, ndr) proceda con sollecitudine ad attuare le necessarie modifiche organizzative per rendere il Sistema di gestione della sicurezza rispondente ai requisiti richiesti». L'autorizzazione alla fine viene concessa ma con ben 14 pagine di criticità segnalate. Una storia che si sussegue nei vari carteggi tanto che i problemi vengo ribaditi anche nel 2018 dall'allora direttore Gargiulo: «Sulla base degli elementi acquisiti dall'Agenzia la quasi totalità dei gestori dell'infrastruttura delle linee ferroviarie (Rfi gestisce circa 17 mila km, ndr) non si è ancora adeguata ai dettami del decreto legislativo 10 agosto 2007».
    E poi c'è il rinnovo dell'autorizzazione di sicurezza del 2019 che viene concesso anche se si sottolinea ancora una volta che non c'è stato un pieno adeguamento alle normative. Nella "Valutazione di conformità documentale dell'Ansf per la verifica delle prescrizioni, l'aggiornamento e il rinnovo dell'autorizzazione di sicurezza" a Rfi, nella parte relativa a manutenzione e funzionamento dei sistema di controllo del traffico e di segnalamento, si legge: «Mancano procedure che sanciscano principi di sicurezza generali, applicabili su tutto il sottosistema di controllo comando e segnalamento. Il criterio è soddisfatto in maniera parziale». E quindi, nelle "limitazioni e prescrizioni" si concedono a Rfi tre o sei mesi di tempo a seconda dei casi, per i diversi adeguamenti. È l'estate del 2019 e l'autorizzazione viene rilasciata solo fino al 2021 e non per i canonici cinque anni. Due anni dopo la situazione non cambia ma arriva comunque la proroga fino alla naturale scadenza, nel 2024.
    I risultati, però sono evidenti: «Ci sono – conclude il funzionario del Mit - assolute insufficienze nel sistema di gestione». —
  3. UN BIGLIETTO CHE NON HA FERMATO LE CAUSE LEGALI PER DANNI RICHIESTI DA MOGOL : "Diedi a Battisti il biglietto di Mogol lui lo lesse e si commosse"
    gianni armand-pilon
    «Battisti era il mio idolo musicale». Antonio Del Santo, medico dell'ospedale San Paolo di Milano, specialista in medicina interna e ematologia, se le ricorda bene quelle giornate d'estate del 1998: il ricovero del musicista, le cure disperate, la necessità di mettere tutta la famiglia Battisti al riparo dalla curiosità morbosa del mondo esterno. «Ho cercato solo di garantirgli le migliori possibilità in una situazione critica di cui non ho mai parlato – e mai lo farò – per rispetto nei confronti suoi e di tutti i pazienti».
    Ricorda il famoso episodio del bigliettino di Mogol?
    «Perfettamente».
    Come andò? Battisti riuscì davvero a leggerlo?
    «Glielo consegnai io stesso».
    Eludendo i ferrei controlli della moglie? Come fece?
    «Durante una delle tante visite di controllo che gli facevo. Passavo le mie giornate in ospedale. Sono arrivato a lavorare 72 ore senza tornare a casa: non lo dimenticherò mai».
    Torniamo a quel biglietto.
    «A me lo diede la collega di un altro reparto. E io lo portai subito in camera di Battisti».
    Senza chiedere permesso alla moglie?
    «Non era dovuto».
    E poi?
    «Gli dissi che arrivava da Mogol e che potevo allungarglielo, leggerlo ad alta voce per lui o stracciarlo. Stava a lui, e soltanto a lui, scegliere».
    E a quel punto lui se lo fece dare.
    «Non pensi a una lettera, era giusto un bigliettino, due o tre righe al massimo e un numero di telefono in fondo. Mogol desiderava fargli sapere che lo pensava e che era a sua disposizione per qualsiasi cosa».
    Tutto qui?
    «Sì, ma quelle parole semplici colpirono Battisti al punto da commuoverlo. L'ho detto e lo ribadisco. Sono l'unico a poterlo fare: ero lì».
    Quel biglietto ce l'ha lei, adesso?
    «No. Lo tenne lui. Riuscì, non so come, a nasconderlo alla moglie. Non ho davvero idea di che fine abbia fatto».
    Che effetto le fa, a distanza di 25 anni, parlare ancora di quell'episodio?
    «Leggo dichiarazioni sia di Mogol sia della moglie di Lucio Battisti che non corrispondono alla realtà. Comprensibile, è passato tanto tempo. Ma i fatti sono fatti, e sono quelli che ho appena raccontato a lei».
    Che cosa le resta di quel periodo?
    «Se si riferisce a cose materiali, niente: non ho chiesto un autografo, un disco, niente. Pensavo solo a salvare il mio paziente, cosa che purtroppo non è stata possibile. Lucio Battisti se n'è andato il 9 settembre del 1998, intorno alle cinque del mattino, nel reparto di rianimazione»

 

18.09.23
  1. FASSINO PUNTA ALLA SUA SEGRETERIA INFINITA ? :   Fassino punge Schlein "Sulle spese militari finirà per ricredersi"
    Barletta dice Alfa, Torino risponde Beta. Chi volesse capire cosa pensa il Pd dell'innalzamento delle spese militari del nostro Paese al 2%, come chiede la Nato, ieri si trovava certo un po' spiazzato, ascoltando la segretaria del partito democratico Elly Schlein nella piazza pugliese, ospite della festa di Sinistra italiana, e poco prima l'ex sindaco Fassino, intervenuto ad un dibattito sulla guerra in Ucraina e le vie della pace, dal palco della Festa dell'Unità di Torino. «Sono favorevole a sostenere Kiev, anche militarmente – ha detto la leader dem –, ma pensano di raccontarci che la difesa comune si fa aumentando in modo lineare la spesa dei singoli Paesi europei? È il contrario. Se ci fosse una difesa comune, le spese si potrebbero ridurre, razionalizzare», sentenziava Schlein. Un conto, quello degli investimenti in difesa, che ammonterebbe a 13 miliardi di euro in più da destinare ogni anno al comparto militare. «Mezza manovra buona per altro», rispondeva Fratoianni, la sinistra-padrona di casa.
    Un passo avanti nella direzione della concretezza, quello di Elly Schlein, che fa seguito ai tentennamenti sul tema degli scorsi giorni: «Sul 2% decideremo quando saremo al governo». Un posizionamento che sembra piuttosto lontano, però, dalla chiarezza delle risposte che il suo compagno di partito stava dando alla festa del Pd nel capoluogo piemontese: «Non si può volere essere sovrani rispetto alla Nato e pensare che le spese militari diminuiscano, non sta in piedi. Non si può fare la difesa europea con i fichi secchi», punge Fassino. E racconta un aneddoto, per spiegare che quello della segretaria non è il primo ripensamento: «Quando Elly Schlein è arrivata, ha detto che lei non era favorevole all'invio delle armi in Ucraina. Poi, dopo qualche giorno è andata alla riunione del Partito socialista europeo, non una riunione di reazionari, partito di cui noi siamo parte e siamo stati fondatori (sull'atto di fondazione c'è la mia firma, 1993). Schlein si è accorta che era l'unica a pensarla così. Subito, si è riposizionata. Ha fatto bene. Ora, non vorrebbe investire il 2% del Pil nella Difesa? Se ne assume lei la responsabilità», dice l'ex sindaco, prendendo distanza. Subito aggiunge: «Ho l'impressione che anche sul 2% del Pil si ricrederà presto».
    E se serviva prova che non c'è unità di linea dentro il Pd, è arrivata sempre dal palco torinese. Con il vice capogruppo e segretario di Demos, Paolo Ciani, che si fa un vanto, però, di tenere vivo il dibattito interno. Ciani è tra quelli che ci hanno messo la faccia: ha votato No al sostegno militare a Kiev. La pungolatura di Fassino, invece, avviene pochi giorni dopo una polemica attribuita a un altro colonnello del Pd, Nicola Zingaretti, fino al 2021 alla guida del Nazareno. Sotto il palco della festa di Ravenna avrebbe espresso, cioè a dar retta a Il Foglio (retroscena non smentito), preoccupazione per le Europee: «Con Schlein non superiamo il 17%».
  2. 10 anni DI GOVERNI FORNERO QUANTI  NIDI HANNO REALIZZATO  ? Bimbi fuori dai nidi. Una lacuna storica che nemmeno il Pnrr è riuscita a sanare. A Milano sono 2.600 le famiglie in lista d'attesa costrette a ripiegare sui privati, con rette che viaggiano dai 550 euro al mese in su, o sulle rinunce delle mamme, a scapito dell'equilibrio economico famigliare. Una situazione che interessa tutta la città: i posti si potrebbero aumentare fino al 20% se solo ci fossero determinate condizioni, di sicurezza in primis e di personale.
    Due ostacoli non facilmente sormontabili di per sé: da un lato le inefficienze della burocrazia nel produrre, reperire, conservare, recuperare la documentazione necessaria a dimostrare il possesso dei requisiti normativi, dall'altro le difficoltà ben note di trovare educatori. A impedirlo, secondo Palazzo Marino, sarebbe una legge regionale che porrebbe paletti molto gravosi, anti-incendio perlopiù, per l'attivazione della cosiddetta extra-capienza che serve ad accogliere i bimbi in attesa. Fatto sta che i livelli di capienza sono ridotti dal 2019. Ma il Covid sembrerebbe non centrare, tanto che Palazzo Marino assicura: tutti i nidi e le materne del Comune stanno funzionando con la capienza prevista dalla legge. L'extracapienza e la sicurezza? «Lavoro in previsione».
    A farne le spese, intanto, sono centinaia di famiglie come quella di Alberto, neo-papà milanese. «Mai una risposta degna di questo nome» racconta di avere ricevuto ogni volta che ha domandato perché la capienza dei nidi a cui lui si è rivolto non sia stata ripristinata. Due i nidi – entrambi pubblici dati in appalto a una cooperativa piuttosto grossa che ne gestisce 22 in Milano – a cui ha provato a mandare la sua bambina: se quattro anni fa accoglievano 72 bimbi, oggi ne accolgono 60, «nonostante la struttura e il personale siano adeguati all'ampliamento», oggi come allora. Lo testimoniano i capitolati d'appalto che abbiamo potuto visionare. Palazzo Marino conta 103 nidi a gestione diretta, 30 comunali in appalto, 79 privati convenzionati: totale 212. Prendendo a campione una decina di nidi, sono centinaia i posti persi se si considera una riduzione sino al 20% in ciascuno di questi. Da 72 a 60, da 72 a 57, per esempio.
    Numeri che pesano. Tante le famiglie che sono state gelate, dopo gli open day nei nidi in questione, quando hanno scoperto che non avrebbero potuto iscrivere i propri figli nelle stesse scuole a cui avevano iscritto i maggiori solo una manciata di anni prima. Alberto, portavoce spontaneo e determinato di un movimento di genitori preoccupati, ha bussato a tutte le porte: Ats di Milano, cooperativa, Comune di Milano, il suo municipio. «C'è un problema di sicurezza? Perché non funzionano a pieno regime? Perché non convertire secondo le esigenze i posti vacanti per medio-grandi o per lattanti che siano disponibili? È già stato fatto», chiede. Ma niente. Unica opzione oltre all'attesa: trovare posti vacanti in sedi molto lontane da casa, «anche quaranta minuti di macchina a viaggio».
    La cooperativa, contattata, non ha dato risposte. «Serve una riflessione realistica e concreta sul consistente aumento di richieste per il nido», aveva detto tempo fa la vicesindaca Anna Scavuzzo, quando i bambini esclusi erano 3.800. «Circa mille domande in più arrivate per i nostri nidi, un bisogno crescente» da portare «sui tavoli di confronto locali e nazionali».
    Una ferita mai curata, dicevamo, quella di mancanza di asili nido, che non si può certamente leggere solo attraverso la lente del calo demografico, se è vero come è vero che i pur pochi bimbi di fatto rimangono fuori e le mamme più spesso dei papà spremono congedi e permessi. Nel 2002 il Consiglio europeo ha stabilito che gli stati membri devono impegnarsi a offrire servizi per l'infanzia, quali i nidi, ad almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni e ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'età dell'obbligo scolastico. Dopo l'emergenza Covid, entrambi gli obiettivi sono stati aggiornati. L'obiettivo del 90% nella fascia 3-5 anni è stato innalzato al 96%, da raggiungere entro il 2030. Per quanto riguarda quello del 90% nella fascia 3-5 anni, l'Italia si colloca stabilmente al di sopra, con il 91% nel 2021, ma al di sotto della media europea e della nuova soglia del 96%. Quanto al secondo obiettivo, il dato italiano, sebbene in crescita da un decennio circa, risulta ancora distante dalla soglia stabilita nel 2022.
    Al netto delle forti disparità regionali, specie tra nord e sud, come ha puntualmente documentato Openpolis, il numero di posti disponibili in asili nido e servizi di prima infanzia per 100 residenti tra 0 e 2 anni è di 22,8 posti. A Milano il dato Istat parla di 37,8 posti ogni 100 bambini, la Lombardia non figura tra le regioni virtuose ma nemmeno tra quelle in cui non è presente alcun servizio di nidi per l'infanzia, come accade nel 57% dei Comuni italiani secondo i dati dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Com'è che si dice? Dio, patria e? Fornero con Monti e poi Letta e Renzi ,Gentiloni e Draghi ?

 

 

 

 

17.09.23
  1. TRAFFICO DI ARMI :  Washington non intende annunciare la consegna di missili a lunga gittata quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vedrà Biden alla Casa Bianca giovedì. L'Amministrazione sta facendo delle valutazioni, l'ipotesi di dare gli Atamcs ha preso vigore di recente ma il prossimo pacchetto di armamenti - sarà annunciato a giorni dicono i funzionari Usa - non avrà gli Atamcs. All'Onu martedì nel suo discorso all'Assemblea generale Biden dedicherà, ha spiegato il suo consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, una parte consistente del suo intervento a sottolineare che «uno Stato non può invaderne un altro e sottrarre territorio con la forza». Mentre la questione di come continuare a sostenere concretamente la resistenza di Kiev sarà al centro del 15esimo incontro del Gruppo di Contatto sull'Ucraina che si svolgerà domani nella base Usa di Ramstein in Germania. Ci saranno il capo del Pentagono Lloyd Austin e il capo degli Stati Maggiori Riuniti Mark Milley e l'America si aspetta un aumento dell'impegno europeo a favore dell'Ucraina. La controffensiva infatti va a rilento. Il Dipartimento di Stato giovedì ha ribadito la linea Usa, ovvero quella di continuare a sostenere «fino a quando necessario» gli ucraini e Blinken ha confermato che i pacchetti di aiuti hanno lo scopo di invertire la rotta della battaglia dove i russi sembrano ancora in posizione di forza. A preoccupare sono essenzialmente due cose: la prima è il sostegno cinese e le armi nordcoreane a dimostrazione di una supply chain che pur fra mille complessità regge; la seconda invece è la capacità di Mosca di schierare sul terreno anche armi hi tech. Fra queste spicca il Kinzhab, missile ipersonico usato (sei volte) ai primi di marzo. Un segnale che ha spinto il Pentagono ad aumentare la quota di investimenti nel settore. Il budget 2023 prevede infatti 5 miliardi per i vettori ipersonici che hanno la capacità di volare vicino al terreno a oltre Mach 5, di cambiare traiettoria e di sfuggire alle più moderne difese antimissile. È una risposta non solo alla Russia, quanto alla Cina che nel 2021 fece un test che destò scalpore a Washington. Gli americani - impegnati da due decenni a potenziare gli investimenti per armi adatte alla guerra al terrorismo - si resero conto di un gap crescente con Pechino e Mosca in questo ramo.
    A Washington sta facendo rumore un report interno del Pentagono in cui si evidenzia come in un centro logistico in Polonia, luogo di transito delle armi per l'Ucraina, il «rischio di furti e di danneggiamento sia alto». In una doppia missione condotta fra gennaio e giugno, gli ispettori hanno registrato la mancanza di adeguata preparazione del personale, l'assenza di documentazione e di una postura militare adeguata alla scorta dei cargo. Ad esempio, gli ufficiali incaricati di presiedere al trasporto delle armi dall'hub polacco all'Ucraina non erano a conoscenza che il convoglio stava trasportando Bradley che sono rimasti per una notte incustoditi dopo essere arrivati da Mannheim, in Germania.
  2. LA VERITA' SU MOGOL E LA SUA DISINFORMAZIONE SERVILE :In occasione del 25ennale della scomparsa di Lucio Battisti, la lettera aperta di Maria Grazia Veronese Battisti riapre una vecchissima querelle personale con Giulio Rapetti in arte Mogol. Siamo su un terreno scivoloso, quindi proviamo a raccontarla così.
    Due giovanotti di belle speranze si incontrano a Milano quasi sessant'anni fa. Uno fa l'aspirante cantautore, l'altro grazie al padre dirigente della Ricordi è un paroliere già in voga (una fabbrica fordiana di cover italiane degli hit stranieri di successo). Si piacciono, il mix musica-testi funziona, c'è un primo contratto con la Ricordi. Poi, va così bene che decidono di aprire una casa discografica e la chiamano Numero Uno (una sorta di autodefinizione del proprio status).
    L'aspirante non solo è diventato famoso, ma si è rivelato un gigante che sta cambiando la musica moderna italiana, creando a tutti gli effetti il «prima e dopo» LB. Il suo socio (perché a tutti gli effetti quello è diventato il sodalizio) scrive testi che si complementano benissimo con quella musica innovativa un po' strana, fatta di brani che cambiano ritmo e mood anche due tre volte in una canzone.
    Come in tutte le storie c'è il momento d'oro. Si scende l'Italia a cavallo, si pubblicano singoli ed album epocali ( La Collina dei Ciliegi, Il Mio Canto Libero), il popolo italiano trova una colonna sonora per i suoi momenti malinconici, giocosi, spensierati, riflessivi. Nel '74 esce un disco pazzesco, Anima Latina, una palette sonora fin troppo avanti per il pop italiano, nel quale – sarà un caso – le parti vocali vengono quasi affondate nel mix, come fossero uno strumento. La musica è così affascinante che funziona. Il «paroliere-imprenditore» (come sottolinea nella missiva Veronese) non trova giusta la ripartizione Siae standard, 8/24esimi per Battisti e 4/24esimi per Mogol. Ritiene che il suo apporto sia superiore, almeno alla pari con quello musicale (dopo Battisti, Mogol lo pretenderà da chiunque per contratto) e lo richiede, a dispetto delle regole consolidate. C'è poi la questione sulle Edizioni Acqua Azzurra (il 50% rimanente): Mogol chiede che sia ridiscussa la ripartizione originaria (56% Battisti, 35% Ricordi, 9% a Mogol). L'aspirante cantautore diventato compositore diventato genio è convinto della importanza superiore della sua musica, e risponde che non se ne parla proprio.
    I due insieme producono due album di grande successo Una Donna per Amico e Una Giornata Uggiosa ma, dal mio punto di vista il binomio non funziona più. Le melodie ci sono sempre, ma è tutto un po' troppo patinato (passare come ispirazione da Otis Redding e Beatles ai Supertramp e Fleetwood Mac è un bel salto), e soprattutto i testi sono cambiati: stanchi, moralisti, voyeuristi, da signore di mezza età in evidente crisi esistenziale.
    Quando lo scrivo in una recensione su Rolling Stone edizione Italiana nell'ottobre'78, non so nulla di quello che sta succedendo dietro le quinte, ma presto Lucio decide di rompere il sodalizio. Rimane per un disco con la Numero Uno, con testi suoi e della moglie, facendo una piccola virata verso un pop più minimalista, testi più sintetici. «E già, è la verità» è la frase d'apertura, interpretabile in tante maniere diverse. Scaduto il contratto, diventa un free-lance che produce in proprio e poi cerca un distributore: guarda caso, la Sony che anni dopo si fonderà con la BMG che ha incorporato la RCA/Numero Uno. I giri immensi della discografia nuovo millennio.
    I due ex-amici nel frattempo hanno rotto. Battisti e la moglie, molto privati, difendono col silenzio tutto quello che è successo. Direi che solo loro due sanno esattamente com'è andata, e se non lo hanno mai voluto rivelare nel dettaglio la scelta va rispettata e non scavata. Ricordiamo che l'ultima intervista Lucio l'ha data nel '76, giusto per capire. Proseguendo, si affianca a un altro creatore di parole, Pasquale Panella. Per la prima volta scrive lui la musica sulle parole e non il contrario. Testi surreali, acrobazie letterarie che portano a una musica di flusso, senza ritornelli, meno cantabile di prima, certamente lontana dalla sensibilità popolare dei testi di Mogol. Un'operazione di de-strutturazione e ri-strutturazione musicale audace, a dispetto di tutto, meno accessibile al mainstream. C'è bellezza in quei quattro dischi, ma è diversa da quella di prima.
    Quindi, abbiamo un musicista che non vuol più fare pop, ma esplorare nuovi suoni e significati, e che non vuole avere più niente a che fare con l'ex-socio ed ex-amico, al quale non va giù. Spettatori della spinosa questio qualche milione di ascoltatori disorientati. Che è successo? Eran così belle le canzoni Battisti-Mogol, ci siamo cresciuti, queste nuove sono difficili (c'è comunque una larga fetta di fan che pensa siano invece molto «avanti», più artistiche di prima), che peccato, ma perché è successo? Perché la gente cambia, si potrebbe rispondere. Si cresce in direzioni e con velocità differenti, si dice quando i matrimoni vanno in crisi, qui non sembra tanto diverso. Quando si è diventati coppia di fatto (artistica) e uno dei due (per motivi non esplicitati ma legittimi) decide di rompere, come ci si comporta? In tante maniere diverse, si potrebbe aggiungere (in quest'epoca di social, poi, vale tutto). La loro è stata silenzio da una parte e molto rimuginare dall'altra. Mogol ha continuato con grande successo a fare testi per altri, ma – questo mi sembra evidente – non s'è mai dato pace della fine del sodalizio. Maria Grazia Veronese ha difeso la memoria (e i diritti di copyright) del marito in modo maniacale, sbagliando a mio parere quando non voleva che i brani di Lucio apparissero su Spotify (si difende la memoria di un artista gestendola, non rendendola inaccessibile), ma resistendo alle lusinghe dei soldi e senza lavare i panni sporchi in Arno.
    Se ne fa menzione adesso è, suppongo, per l'irritazione della causa portata ora in Cassazione per «mancata chance»: tradotto, la non-volontà di aprire il catalogo di Battisti ai «diritti secondari», cioè film e pubblicità per la quale serve il parere dell'autore e non solo dell'editore, e che nel caso di Lucio aprirebbe le porte a lauti guadagni. Cosa sulla quale ormai han mollato anche gli intransigenti (resistono solo i Beatles), ma che una volta era un questione di integrità ed evidentemente rispecchia le ultime volontà di Battisti. E per la storia brutta della lettera consegnata per vie traverse a un Battisti commosso sul letto di morte, divulgata da Mogol e che lei sostiene sia assolutamente falsa. Da fan di Battisti-prima-e-dopo, dico sommessamente al signor Rapetti: ma metterci una pietra sopra e voltare pagina no? Visto che la verita' lui non l'ha mai detta e quella della moglie di Battisti viene censurata ultima lettera compresa .

 

 

 

 

 

16.09.23
  1. I NODI VENGONO AL PETTINE :    Non solo migranti, Pnrr e nuovo patto di stabilità, lo scontro tra Roma e Bruxelles si riaccende anche sulla corruzione. Cioè sull'abolizione del reato di abuso d'ufficio e sul ridimensionamento di quello di traffico di influenze, come previsto dal disegno di legge firmato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e ora all'esame del Parlamento. Un provvedimento che appare in contrasto con la proposta di direttiva della Commissione europea sulla lotta contro la corruzione. E proprio la commissaria Ue agli Affari interni, la svedese Ylva Johansson, sollecitata da un'interrogazione presentata dagli eurodeputati del Movimento 5 stelle, torna ad avvisare il governo italiano sui rischi che le modifiche normative in questione possano «influire sull'efficacia dell'individuazione e del contrasto della corruzione». E ribadisce che «il reato di abuso d'ufficio è uno strumento importante, anche perché riguarda l'esercizio di funzioni pubbliche per conseguire un guadagno personale».
    Parole simili a quelle già scritte all'inizio di luglio, nel capitolo dedicato all'Italia all'interno della relazione sullo Stato di diritto, dove viene sottolineato il pericolo di vedere «depenalizzate importanti forme di corruzione». Di fronte a questa forte presa di posizione, la maggioranza di destra ha replicato implicitamente un paio di settimane dopo con un voto parlamentare. In commissione Affari Ue alla Camera è stato approvato un parere motivato sulla proposta di direttiva europea anticorruzione, di fatto bocciandola, perché «palesemente in contrasto con il principio di sussidiarietà e proporzionalità». In sostanza, andrebbe a travalicare le competenze europee rispetto alle scelte del legislatore italiano. Una motivazione già avanzata, tra l'altro, dalla stessa commissione per opporsi alla proposta di regolamento Ue sul riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali. Nella risposta ai 5 stelle, Johansson fa sapere che «la Commissione sta valutando il contenuto del parere e risponderà conformemente agli orientamenti della Commissione» e «continuerà a seguire gli sviluppi in Italia».
    Insomma, lo scontro sull'abuso d'ufficio è destinato a trascinarsi nelle prossime settimane, con una nuova bacchettata dei vertici di Bruxelles che sarà recapitata a Montecitorio e, indirettamente, al ministero della Giustizia e a Palazzo Chigi. «Il governo si fermi - attacca Laura Ferrara, eurodeputata M5s – altrimenti rischia di deragliare in Europa anche sul tema della giustizia e di fare la fine dei suoi alleati nazionalisti polacchi e ungheresi».
  2. SCARICATO MASSA MA NON E' GIUSTO : La linea decisa da Rete ferroviaria italiana si potrebbe inasprire ancora. Antonio Massa, tecnico Rfi preposto alla scorta del cantiere diventato un cimitero di operai sul binario di Brandizzo la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi e principale indagato, potrebbe essere licenziato a breve dall'azienda. Un modo, per Rfi, di sottolineare che la responsabilità di aver violato i protocolli è individuale e non riferibile all'azienda. Massa non ha ancora ricevuto una notifica ufficiale da Rfi ma nei giorni scorsi sarebbe stato informato ufficiosamente della decisione di licenziarlo. E, di questo provvedimento, ne avrebbe parlato anche con alcuni colleghi con cui continua a mantenere i contatti. Per ora il capo scorta è sospeso dal servizio in via cautelativa mentre nei primi giorni dopo la tragedia risultava in mutua stabilita dai medici che lo hanno soccorso quella notte. I passaggi formali prevederebbero che gli venga notificata una sanzione disciplinare e solo dopo il procedimento. L'azienda avrebbe anche la possibilità di proseguire con la sospensione almeno fino al primo grado di giudizio. Invece sembra proprio che Rfi abbia deciso diversamente: licenziamento subito.
    Nel video-testamento girato dalla più giovane delle vittime della strage (Kevin Laganà, 22 anni), si sente distintamente la voce di Massa mentre si rivolge agli operai: «Se dico treno, buttatevi di là». È questo – ma non solo – per lui un pesante riscontro alle accuse che gli muove la procura della repubblica di Ivrea: omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale sono le ipotesi di reato. Ci sarà un giusto processo e valgono per Massa (come per tutti gli indagati) le garanzie di innocenza. Certo non giocano a suo favore anche le testimonianze del capocantiere Si.gi.fer e dell'amministratore delegato Franco Sirianni (anche loro indagati con profili diversi), che sostengono che i loro operai (le cinque vittime morte perché travolte da un convoglio vuoto in transito) fossero stati autorizzati proprio da Massa a scendere sui binari e iniziare i lavori in anticipo. Il tecnico è un uomo comprensibilmente distrutto. Lo testimonia l'audio dell'ultima telefonata (acquisito dalla procura attraverso i server Rfi) fatta con la dirigente movimento di rete Ferroviaria Italiana a Chivasso nella quale, per spiegare il disastro appena avvenuto, urla: «Sono tutti morti, tutti morti!». E fa il paio lo sfogo con alcuni colleghi vicini a lui il giorno seguente alla tragedia: «Ho schiantato cinque vite, penso solo ai ragazzi». Chi lo conosce lo racconta come un dipendente serio, con esperienza ventennale sui binari tanto da arrivare al ruolo che rivestiva la notte del drammatico incidente. Nei giorni scorsi ha cambiato avvocato e scelto di nominare come legali di fiducia Maria Grazia Cavallo e Antonio Maria Borello. «Al momento la nostra priorità è l'aspetto umano» hanno detto dopo aver incontrato Massa. «Il nostro assistito è talmente sconvolto che dobbiamo procedere con molta cautela, gradualmente, nel chiedergli di rievocare i fotogrammi di quella notte».
  3. NON E' UNA SCELTA SINGOLA: Nel 2014 l'incidente a Butera dove morirono tre operai investiti da un treno L'unico condannato il dirigente che dichiarò che non sarebbero passati convogli
    In Sicilia una strage fotocopia ma in appello tutti assolti i vertici della Rete ferroviaria
    Giuseppe Salvaggiulo
    Gli operai sui binari con martelli pneumatici e cuffie. Un treno in arrivo. La tragedia. Non è Brandizzo 2023, ma Butera 2014. Una strage fotocopia. Dopo nove anni, la sentenza della Corte di appello di Caltanissetta ha assolto sette imputati su otto. È il 17 luglio 2014, dieci minuti prima delle 18. Sulla tratta a binario unico Gela-Canicattì ci sono gli operai manutentori Antonio La Porta, Vincenzo Riccobono e Luigi Gaziano. Il treno regionale 12852 li «investe mortalmente», recita il comunicato di Rfi, la società delle Ferrovie. Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi commenta: «Non si può perdere la vita così».
    La Procura di Gela ricostruisce i fatti. La mattina un treno diagnostico ha rilevato «cinque difetti rilevanti, tali da imporre l'interruzione della linea». Sei manutentori vengono inviati dopo pranzo e divisi in due squadre, a distanza di 8 chilometri. In questi casi, racconta uno di loro, «senza visuale o in presenza di una curva si fa sempre obbligatoriamente l'interruzione della linea».
    Ma la linea non viene interrotta, secondo la prassi «elusiva» dell'allarme a vista. Una squadra mette il pietrisco sotto il binario, senza usare mezzi pesanti. «All'arrivo del treno regionale - raccontano - abbiamo visto abbassarsi la sbarra del passaggio a livello e siamo fuggiti all'ultimo momento».
    L'altra squadra deve sistemare uno sghembo di 8 millimetri. Che però si trova «dopo una curva chiusa con scarsa visibilità». Alle 17,45 un operaio chiama il dirigente operativo della sala controllo di Palermo «per sapere se passano treni». «Nessun treno per 40 minuti». La telefonata che costa la vita ai tre operai dura 25 secondi.
    Dopo cinque minuti, il treno partito alle 17,37 da Gela li travolge a 80 chilometri orari. La capotreno è sconvolta: nessuno l'aveva informata dei lavori. Dall'indagine risulta che i tre operai «erano stati mandati sul posto sprovvisti di giacche ad alta visibilità e altri dispositivi di sicurezza. E non avevano adottato alcuna procedura di protezione cantiere».
    La Procura conclude che «l'intervento sul binario doveva essere programmato e attuato in regime di interruzione della linea». Con l'accusa di omicidio plurimo colposo, manda a processo otto imputati: dai responsabili operativi all'amministratore delegato di Rfi, oltre alla stessa società per aver «conosciuto e avallato una costante prassi illegale e pericolosa».
    Ma secondo i giudici, sia in primo grado che in appello, l'ipotesi ha trovato riscontro solo in un paio di «testimonianze imprecise, titubanti e contraddittorie». Viceversa i documenti aziendali provano centinaia di interruzioni di linea, talvolta per molti giorni. Dunque «solo il giorno dell'incidente stranamente la linea non fu interrotta, con una condotta anomala» sconosciuta ai quadri e vertici aziendali.
    Peraltro la Cassazione, pronunciandosi sulla strage alla stazione di Viareggio del 2009, ha stabilito una soglia molto rigorosa per dimostrare responsabilità aziendali, richiedendo la prova di «una scelta orientata a risparmiare sui costi d'impresa per massimizzare i profitti».
    Il risultato è paradossale: in definitiva la colpa «del fatale errore» è degli stessi «sventurati operai» che non chiesero di interrompere la circolazione. E dell'unico condannato, il dirigente che da Palermo assicurò al telefono che non sarebbe passato alcun treno. La pena per lui è due anni, sotto la soglia del carcere. Dopo il deposito delle motivazioni della sentenza di appello, la Procura generale valuterà il ricorso in Cassazione. I familiari delle vittime hanno accettato i risarcimenti e sono usciti dal processo.
    La vicenda rappresenta una lezione per la strage di Brandizzo. Ma con due differenze. Gli operai siciliani erano dipendenti di Rfi, quelli piemontesi di una ditta appaltatrice. La linea siciliana era a bassa circolazione, il che esclude un interesse economico a tenerla aperta; quella piemontese tutt'altro.
    Resta una domanda: com'è possibile, a distanza di nove anni, che si verifichi un incidente uguale? Sarà solo, come scrive il giudice siciliano, «fatale disattenzione e sciagurata opzione lavorativa?».
  4. LA FRANCIA IN AFRICA HA CHIUSO : Niger, ambasciatore francese in ostaggio "Non può uscire si nutre di razioni militari"
    Nella guerra di nervi tra la Francia e i militari golpisti in Niger, il presidente Emmanuel Macron ieri è andato all'attacco con una pesante accusa nei confronti della giunta salita al potere Niamey: l'ambasciatore di Parigi, Sylvain Itté, è «ostaggio» all'interno della sede diplomatica francese. Non ha «più la possibilità di uscire, è persona non grata» e non si può «alimentare», ha affermato Macron durante una visita a Semour-en-Auxois, nella Francia centrorientale. Per questo Itté si nutre solamente con «razioni militari». Una situazione che riguarderebbe anche altri membri del personale diplomatico. Da settimane gl autori del colpo di Stato che a fine luglio ha deposto il presidente eletto Mohamed Bazoum, oltre a chiedere il ritiro delle forze francesi, esigono il rientro dell'ambasciatore, che Parigi continua a mantenere al suo posto rifiutandosi di riconoscere la giunta al potere. «Farò quello che converremo con il presidente Bazoum perché è lui l'autorità legittima e gli parlo ogni giorno», ha spiegato Macron. Ma la tensione resta alta anche con gli altri Paesi della regione guidati da golpisti. Il Burkina Faso ha intimato all'addetto per la Difesa dell'ambasciata francese di lasciare il Paese entro due settimane, accusandolo di «attività sovversive». Parigi garantisce che continuerà ad accogliere artisti provenienti dal Sahel, mettendo così fine a una polemica nata dopo una nota redatta dal Ministero degli Esteri in cui si chiedeva agli attori del settore culturale di interrompere le cooperazioni con Mali, Niger e Burkina Faso.
  5. SPRECO VACCINALE : Chiarito che per i sani tra i 6 mesi e i 59 anni di età il vaccino anti Covid continuerà a essere gratuito, stanno per sbarcare 9 milioni e 173 mila dosi, 2, 9 di Novavax gli altri di Pfizer, di antidoti aggiornati sulle nuove varianti. Circa la metà di quelli che servirebbero per coprire l'intera platea di over 60 e popolazione più giovane ma fragile. Ma il nuovo invio farà andare al macero la ventina di milioni di vecchie fiale che nessuno oramai vuole perché tarate sulla vecchia versione del virus, portando così lo spreco dall'inizio della campagna a oggi a quota 102 milioni di dosi, per un valore vicino ai 2 miliardi, visto che gli antidoti costano in media 19 euro a somministrazione.
    I vaccini inutilizzati alla fine saranno però molti di più perché sul nostro Paese, scaglionate negli anni, arriveranno ancora qualcosa come 61,2 milioni di dosi targate Pfizer, più 2, 9 di Novavax. Una valanga di fiale che rischiano di finire in larga parte al macero, vista la stanchezza vaccinale oramai imperante, dalla quale non contribuiranno di certo a scuotere gli italiani i messaggi ambigui, che da un lato parlano di virus innocuo e dall'altro invitano a vaccinarsi. Tanto che alla fine il conto dello sperpero vaccinale rischia di lambire i 3 miliardi.
    Ma per capire come siano andate le cose bisogna partire da quando la pandemia faceva spavento. Allora l'Ue per tutelarsi si lanciò in acquisti massicci, dei quali all'Italia spettava una quota proporzionale alla sua popolazione, ossia il 13,6%. Che non si sia badato a spese al momento di decidere le quantità da acquistare lo dimostrano i numeri esposti a suo tempo dal generale Tommaso Petroni, a capo della task force per il completamento della campagna vaccinale: 60 milioni di dosi vicine alla scadenza regalate all'Africa e spesso finite nella spazzatura per l'impossibilità di conservarle alle adeguate temperature, più 22 milioni di dosi scadute a fine 2022. A queste vanno poi aggiunte circa 20 milioni consegnate lo scorso anno e mai somministrate. In tutto fanno 102 milioni di fiale mandate al macero nonostante nei primi anni di campagna vaccinale l'Italia abbia fatto registrare record di adesioni da parte della popolazione.
    Ma lo spreco vaccinale non finisce qui, perché a causa di una clausola capestro l'Europa si ritrova ora costretta ad acquistare dalla Pfizer qualcosa come 450 milioni di dosi, delle quali 61, 1 destinate all'Italia. Una quantità ingestibile, tanto che dopo una lunga trattativa la Pfizer ha concesso di spalmare su più anni gli invii e i relativi pagamenti.
    Che le cose non siano del tutto chiare lo hanno pensato anche quelli del New York Times, quando l'inverno passato hanno deciso di portare la Commissione Ue in tribunale per non aver reso pubblico lo scambio di messaggi tra la presidente von der Leyen e il ceo di Pfizer, Albert Bourla, riguardo il negoziato che ha portato all'acquisto dei vaccini anti Covid. Certo è che resta difficile comprendere come mai in questa massa di dosi siano compresi i 19 milioni aggiornati su Omicron 1, acquistati dall'Ue e autorizzati dall'europea Ema appena una manciata di giorni prima che venisse accesa la luce verde a quelli aggiornati sulle nuove sottovarianti di Omicron 4 e 5. Come non si sapesse che quasi tutti avrebbero preteso gli venissero somministrati i «nuovi modelli».
    Così mentre si fatica a trovare i soldi per pagare medici e infermieri o per tagliare le liste di attesa ci si carica di una tassa vaccinale per gli anni a venire che si fatica a comprendere, visto che la ricerca dei vaccini è stata finanziata a suon di decine di miliardi di euro anche dagli Stati.
    Intanto, Schillaci annuncia che «nuovi vaccini aggiornati contro le varianti Xbb circolanti di Omicron arriveranno entro due settimane e la campagna vaccinale anti-Covid e antinfluenzale partirà dagli inizi di ottobre».
    In base alla recente circolare diramata dal direttore della Prevenzione del ministero, Francesco Vaia, i vaccini sono più specificatamente raccomandati a: over 60, donne in gravidanza o in allattamento, operatori sanitari e socio-sanitari, «persone dai 6 mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da patologie o con condizioni che aumentano il rischio di Covid-19 grave». Tra questi la circolare cita cardiopatici e affetti da malattie respiratorie gravi, obesi, pazienti oncologici, dializzati, trapiantati e immunodepressi. «La vaccinazione potrà inoltre essere consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità», fermo restando che in via prioritaria andrà assicurata a ultraottantenni, ospiti di strutture per lungodegenti, come le Rsa, persone con elevata fragilità e marcata compromissione del sistema immunitario.
  6. ERA GIA' TUTTO DECISO : Prima assemblea tra i lavoratori: "Rischiamo di perdere il posto, ora dobbiamo restare uniti" I sindacati vedono i vertici dell'azienda che formalizza la richiesta: 13 settimane di sussidio
    Cassa integrazione alla Sigifer "Rfi cerca di scaricare le colpe"

    La prima assemblea sindacale per gli operai della Si.gi.fer è stata ieri mattina. Un incontro carico di paure e angosce, dopo la morte dei cinque colleghi schiacciati dal treno a Brandizzo. Nel pomeriggio, invece, gli stessi sindacati hanno incontrato i rappresentanti dell'azienda: Franco Sirianni (direttore generale), Cristian Geraci (direttore tecnico), Simona Sirianni (legale rappresentante) e il socio Daniele Sirianni, tutti indagati dalla procura di Ivrea per omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo. Presenti anche i loro avvocati. Lo scopo di entrambi gli incontri è quello di provare a dare un futuro ai lavoratori, ora in bilico. Partendo dagli ammortizzatori sociali. Giovedì, infatti, Rfi ha notificato lo sospensione dell'attività lavorativa alla Si.gi.fer. In pratica l'azienda di Borgo Vercelli ha perso tutti gli appalti dell'unico committente che aveva e con questa motivazione ieri è stata formalizzata la richiesta di tredici settimane di cassa integrazione ordinaria (il tempo massimo) per tutti i lavoratori rimasti in azienda, 79 tra impiegati e operai. Due mesi fa, secondo i dati della cassa edile, erano molti di più (126 solo gli operai) ma poi alcuni hanno lasciato. «È stato un confronto semplice, l'azienda ci ha comunicato la notifica di Rfi e la richiesta di cig. La priorità è attivare i sussidi per questi lavoratori», spiega Carlo Rivellino, della Filca Cisl di Vercelli.
    Però non c'è stato un accordo sull'anticipo della cassa integrazione quindi gli operai rischiano di rimanere senza sussidio finché non verranno sbrigate le pratiche burocratiche. «L'azienda - spiega Giuseppe Manta, segretario generale della Feneal Uil Piemonte - ci ha comunicato che non può anticipare la cassa perché non ha liquidità. Con la sospensione formalizzata da Rfi sono stati sospesi anche i pagamenti e Si.gi.fer sostiene che ha ancora fatture non saldate da maggio». Garantito, invece, il pagamento dello stipendio di agosto, che verrà accreditato il 20 settembre. Sirianni ha ancora assicurato che pagherà qualche giornata di settembre a chi ha lavorato. Poi basta, il conto è in rosso.
    Quello che succerà le prossime settimane è un'incognita. E ieri mattina, durante l'incontro tra i sindacati (presenti i regionali e i territoriali di Fillea, Filca e Feneal) i lavoratori hanno espresso tutte le loro preoccupazioni. Hanno partecipato una cinquantina di operai anche se mai prima d'ora in azienda erano state elette rsu. Pure la rabbia è tanta: «Stanno cercando di ribaltare sulla Si.gi.fer le loro colpe. Rischiamo di pagare solo noi, che abbiamo perso anche colleghi a cui eravamo affezionati», è il commento condiviso dagli operai. Per questo la priorità è tutelare il posto di lavoro. «Una ottantina di famiglie rischiano di restare senza stipendio. Questi lavoratori devono essere assorbiti e ricollocati tutti dalla società appaltatrice (la Clf) o da Rfi. Non sono soli, noi siamo al loro fianco», sottolineano Ivan Terranova e Massimo Cogliandro della Fillea Cgil. «Siamo convinti che la colpa non sia solo di Si.gi.fer ma anche committente e impresa appaltatrice hanno le loro colpe», aggiunge Manta. Lunedì mattina è prevista un'altra assemblea «per capire che strada intraprendere».
  7. Dopo la Juve anche Bigliettopoli Il Pg di Cassazione: "A Roma il processo Muttoni-Esposito"
    Non bastava il procedimento nei confronti della Juventus già destinato ufficialmente a essere assorbito – ed un eventuale processo celebrato – a Roma per manifesta (per i giudici) incompetenza territoriale. Da Torino potrebbe andare via anche il maxi-processo legato all'inchiesta ribattezzata "Bigliettopoli" che vede tra gli imputati principali gli imprenditori dello spettacolo Giulio Muttoni e Roberto de Luca e l'ex senatore Pd Stefano Esposito accusati di corruzione in concorso.
    La Cassazione deciderà a ore ma il procuratore generale, ha già chiesto alla Corte di esprimersi nel senso di un trasferimento a Roma della parte più rilevante del procedimento quella legata agli imputati già citati. La competenza radicherebbe nella Capitale anche in relazione al primo bonifico che Esposito ricevette da Muttoni (per l'indagato a titolo di prestito personale interamente restituito e nato nel contesto di una lunga e datata amicizia tra i due, per la procura il prezzo di una corruzione ricambiato da Esposito con una serie di presunti favori all'imprenditore). Nota a latere: non tutti gli imputati lo avevano chiesto, ma è stato il presidente del Collegio che li sta giudicando nel processo in corso con rito ordinario a trasmettere a Roma il quesito anche alla luce delle modifiche sul tema introdotte dalla riforma Cartabia.
    Per il giudice Paolo Gallo nonché per il pg della Cassazione «la competenza territoriale dovrebbe essere attribuita al giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del (presunto) reato e cioè Roma. Luogo in cui Esposito aveva acceso il conto corrente – si legge agli atti dei giudici – su cui, il 20 maggio 2010, pervennero i due accrediti rispettivamente di euro 150 mila e 14 mila». Cosa accadrà adesso? Che in caso di accoglimento della corte di Cassazione l'inchiesta – nella parte che riguarda le ipotesi di reato contro Muttoni, Esposito e De Luca – deve andare a Roma. Tornare alla fase delle indagini preliminari che prima o poi – dopo nuovo vaglio di altri pm diversi dal collega torinese titolare (Gianfranco Colace) – verrà chiusa in un senso o in un altro.
    Su questo procedimento peraltro grava l'attesa del giudizio anche della Corte Costituzionale investita dal Senato a larga maggioranza e che dovrà occuparsene nel merito avendo dichiarato ammissibile il ricorso presentato da Palazzo Madama contro la procura e l'ufficio Gip/Gup del tribunale di Torino. Il nodo è il possibile utilizzo o meno delle intercettazioni che riguardano l'ex senatore (in carica all'epoca dell'inchiesta nonchè componente della commissione parlamentare antimafia). La Consulta dovrà valutare se quelle oltre 100 conversazioni finite nel fascicolo del processo (sulle oltre 500 effettuate) potevano essere fatte e potranno essere dunque utilizzabili in sede processuale.

 

 

15.09.23
  1. PAGA SEMPRE L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO:   Dopo la tragedia Rfi sceglie la linea dura "Sigifer non lavora più nei nostri cantieri"
    GIUSEPPE LEGATO
    CLAUDIA LUISE
    TORINO
    La ditta che avrebbe dovuto eseguire i lavori di sostituzione di sette metri di rotaia a Brandizzo estromessa dagli appalti futuri, il tecnico addetto alla scorta del cantiere della morte che diede agli operai il via libera a scendere sui binari senza interruzione di linea sospeso in via cautelativa dal servizio. È la linea dura di Rfi (Rete ferroviaria italiana) dopo la tragedia di Brandizzo costata la vita a cinque lavoratori della Si. gi. fer di Borgo Vercelli, da anni inserita tra le società abilitate da Rfi a gestire numerosissimi subappalti di manutenzione sulla rete ferroviaria.
    La notizia, circolata già nei giorni scorsi in via informale tra i lavoratori è stata ufficializzata ieri alla ditta edile e poi resa pubblica in serata dall'amministratore delegato di Rfi, Gianpiero Strisciuglio: «Si. gi. fer non lavora più nei nostri cantieri, sulla nostra infrastruttura, sono stati presi provvedimenti, il tragico incidente impone misure di questo tipo».
    Quanto accaduto alle porte di Torino «è una violazione del sistema di regole con cui si devono effettuare i lavori sull'infrastruttura ferroviaria italiana». E rilancia: «Alla nostra azienda non è nota alcuna prassi né è consentita alcuna prassi differente da quella prevista dalla nostra rigida normativa, abbiamo delle norme e delle procedure che regolano queste attività, il cantiere non era autorizzato all'inizio dei lavori e i cantieri che riguardano l'infrastruttura ferroviaria devono essere preventivamente autorizzati, l'autorizzazione consiste nell'accertare che non ci deve essere la circolazione dei treni».
    L'intervento del vertice aziendale è andato in onda nella trasmissione Cinque Minuti su Rai Uno. Strisciuglio ha aggiunto: «Ho promesso a mio figlio che suo padre e tutta l'azienda lavorerà con la massima determinazione e con il massimo impegno e il massimo rigore affinché non si possa più verificare una situazione così tragica», sottolineando (a suo dire) che a livello tecnologico «siamo all'avanguardia in Europa. Abbiamo anche un piano importantissimo di sviluppo dei sistemi di sicurezza, che ha la priorità assoluta».
    Il dirigente ha spiegato di aver visto «moltissime volte» il video girato da Kevin Laganà, la più giovane delle vittime (aveva 22 anni) pochi minuti prima dell'impatto con il treno che trasportava undici convogli vuoti. In quei frame si vede chiaramente come gli operai fossero scesi sui binari mezz'ora prima dell'orario in cui erano programmati i lavori. Si sente distintamente il tecnico Rfi Antonio Massa (al momento principale indagato insieme al capocantiere Andrea Gibin Girardin) che dice agli operai: «Se dico treno buttatevi da quella parte». «L'ho visto tantissime volte il video, è grande il dolore, un dolore che porto dentro di me, tutti i ferrovieri sono fortemente addolorati. È un tragico evento». Intanto Massa, che di Rfi è dipendente, è stato sospeso in via cautelativa e nei prossimi giorni potrebbe arrivare anche la contestazione disciplinare.
    L'intervento di Strisciuglio traccia una linea chiara di Rfi sui fatti, dichiarazioni che non possono non essere lette anche come un posizionamento extragiudiziale in attesa di nuovi eventi. La società, al momento, non ha ricevuto contestazioni penali dalla procura di Ivrea che indaga sul disastro, ma non è per nulla escluso che – risalendo la gerarchia di ruoli superiori a quello di Massa – possano esserci persone che conoscessero quella maledetta prassi di cominciare i lavori prima di aver ottenuto l'interruzione della linea per guadagnare tempo e rimanere nei range stabilito dai contratti di appalto e subappalto. Si vedrà. Ad affidare i lavori alla Si. gi. fer è stata la Clf (Costruzioni linee ferroviarie), un grande gruppo che fa parte della multinazionale olandese Strukton Rail (6. 500 dipendenti e un fatturato di circa 1, 9 miliardi di euro). L'azienda di Borgo Vercelli era inserita, appunto, nella "white list" dei fornitori. «La sicurezza nel settore delle costruzioni ferroviarie è la massima priorità all'interno del Gruppo Strukton – risponde l'azienda – quindi questo incidente è uno shock per tutti noi. I lavori sono stati eseguiti esclusivamente e in autonomia dalla ditta subappaltatrice Si. Gi. Fer, azienda con oltre 30 anni di esperienza nel settore ferroviario e dotata delle qualifiche richieste. Le circostanze dell'incidente sono al vaglio delle autorità. Stiamo collaborando alle indagini e attendiamo gli esiti».
  2. GIOCO AL MASSACRO : Chi conosce Franco Sirianni, il titolare della «Si.Gi.Fer Armamenti Ferroviari» di Borgo Vercelli – l'azienda per la quale lavoravano i cinque operai morti travolti dal treno alla stazione di Brandizzo nella serata del 30 agosto – dice che è una persona distrutta, annientata dal dolore e senza più lacrime per piangere. Ancora di più dopo aver saputo di essere ufficialmente indagato dai magistrati di Ivrea per «omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario».
    Un colpo durissimo per lui che, prima di prendere il timone della Si.Gi.Fer, dove oggi lavorano un centinaio di addetti, ha faticato nei cantieri per trent'anni, giorno e notte. Un colpo ancora più devastante di quella scritta «Assassini basta appalti» che, qualche giorno fa, è comparsa davanti ai cancelli dell'azienda di Borgovercelli e che lui ha fatto subito cancellare. Perché, come aveva detto a La Stampa una decina di giorni fa: «Questi sono i giorni più brutti di sempre. Non posso avere pace, ma so di avere la coscienza a posto».
    Infatti gli avvocati Pierpaolo Chiorazzo, Paolo Grasso e Alberto de Sanctis, che assistono lui e gli altri tre sotto inchiesta, hanno fatto sapere che: «I nostri assistiti, respingono con decisione le ipotesi accusatorie, oggi formulate a titolo provvisorio e solo per consentire il corretto esercizio del diritto di difesa e sono convinti che verranno accertate le reali responsabilità di quanto accaduto».
    Anche perché, in questi giorni, si è detto di tutto. Operai ed ex operai della Si.Gi.Fer hanno detto che venivano impiegati nei cantieri senza aver fatto formazione, che rischiavano sempre, che era un'abitudine. Già allora l'imprenditore di Villata, un piccolo centro al confine con il Novarese, era stato molto chiaro: «Assolutamente no, non dovevano essere lì. La scorta di Rfi non doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto e questo i ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari durante gli interventi».
    Dopo giorni di immenso dolore e di interrogatori fiume in Procura ad Ivrea - in attesa che finiscano gli accertamenti del dna per ricomporre i corpi straziati dal treno dando loro la sepoltura - ieri, la direzione della ditta di Borgovercelli ha deciso di chiarire alcuni particolari. Un'iniziativa adottata anche in seguito alla notizia di altri quattro indagati (al tecnico di Rfi, Antonio Massa, 48 anni, e al caposquadra della Sigifer, Andrea Girardin Gibin, 53 anni si sono aggiunti Franco Sirianni, la figlia Simona Sirianni, amministratore unico dell'azienda, l'altro figlio Daniele e il direttore tecnico Cristian Geraci), dopo il lavoro effettuato dai pm Giulia Nicodemi, Valentina Bossi e dalla procuratrice capo Gabriella Viglione.
    «Come azienda, anche supportati dal nostro personale, ci siamo messi a disposizione della magistratura sin dalle prime ore, dai primi minuti dopo la tragedia quando siamo accorsi sul posto» - ha spiegato in un comunicato Simona Sirianni. «Lo abbiamo fatto silenziosamente, attoniti di fronte a tanto dolore. Non possiamo che respingere le ipotesi accusatorie, ma siamo convinti che verranno accertate le reali responsabilità di quanto accaduto». E, come aveva già fatto il padre nei giorni scorsi, ribadisce che: «Teniamo ad evidenziarlo con energia che Si.Gi.Fer non ha e non poteva avere il controllo del traffico ferroviario che compete esclusivamente al committente. La notte del 30 agosto non è stata garantita ai nostri operai l'interruzione della linea che è la base elementare per permetterci di lavorare».
    E ieri Rfi, dopo trent'anni, ha momentaneamente sospeso il rapporto con Si.Gi.Fer dopo quello che è accaduto e in seguito alle indagini. «Nel rispetto delle vittime, dei nostri operai e di tutti i soggetti coinvolti in questa immane tragedia – termina ancora l'amministratore unico di Si.Gi.Fer – riteniamo di mantenere un doveroso riserbo sugli accertamenti in corso e ci auguriamo che non vengano diffusi gli atti delle indagini».
  3. NORDIO E PROCURA IVREA : Lavoro, sicurezza e giustizia. Elly Schlein, nel suo viaggio tra il popolo del Pd che affolla le feste dell'Unità di Aosta e Torino, sceglie di far tappa a Brandizzo per riaccendere i riflettori della politica e del governo sulla strage dei cinque operai che lavoravano di notte alla sostituzione dei binari. La segretaria del partito democratico tornerà a chiedere più fondi per combattere l'emergenza e aumentare le ispezioni e dare voce alla protesta dei parlamentari subalpini che chiedono con urgenza l'intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per rafforzare la procura di Ivrea dove mancano giudici e personale amministrativo. Temi che la leader riprenderà nell'intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, in programma alle 21 alla kermesse di piazza d'Armi. Alla stazione di Brandizzo, infatti, la parlamentare accompagnata da una delegazione del suo partito renderà omaggio alle vittime. Poi dovrebbe incontrare il sindaco, Paolo Bodoni.
    La segretaria, nei giorni scorsi, alla festa del Fatto Quotidiano a Roma, era andata all'attacco di Palazzo Chigi: «Il dramma di Brandizzo è un dramma che purtroppo è quotidiano, perché dobbiamo renderci conto che questa è una vera emergenza del Paese. Questo governo non parla mai di sicurezza sul lavoro. È chiaro che non è un problema che nasce oggi, perché questo tema da tempo è trascurato. Occorre mettere risorse perché, ad esempio, ci siano più ispettori del lavoro». Ma sicuramente metterà l'accento anche sulla giustizia dopo l'allarme della dalla procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, rilanciato dal procuratore generale, Francesco Saluzzo. Che cosa sta succedendo? La Procura di Ivrea è cenerentola per numero di fascicoli pendenti per magistrato superiore alla media nazionale (1940), e carente di personale amministrativo (18 su 32 previsti) e anche gli agenti di polizia giudiziaria (8 anziché 20) sono insufficienti a smaltire i carichi di lavoro. Per Saluzzo la strage di Brandizzo potrebbe segnare il «tracollo» definitivo dell'ufficio. E in previsione della prossima legge di bilancio, il Pd ha deciso di andare all'attacco del governno e, in particolare, del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il primo affondo arriva da Anna Rossomando, vicepresidente del Senato: «Le criticità sono note da tempo. A maggio il Pd aveva presentato un'interrogazione al ministro denunciando la totale inadeguatezza di tutte le piante organiche. Nessuna risposta alla richiesta di ripristino di consone misure di lavoro per magistrati e personale per consentire un adeguato servizio giustizia nel territorio. Adesso speriamo che Ministero e Governo battano un colpo».Poi tocca a Chiara Gribaudo, presidente della commissione d'inchiesta della Camera sulle condizioni di lavoro in Italia: «I morti di Brandizzo e le loro famiglie meritano giustizia, e per farla serve mettere quanto prima la procura di Ivrea nelle migliori condizioni per investigare su questi tragici fatti. Dobbiamo capire le cause del sovraccarico di lavoro, ma oggi l'urgenza è intervenire sulla dotazione di risorse, di personale amministrativo, di magistrati e di polizia giudiziari». E il consigliere regionale, Alberto Avetta, chiede l'intervento del presidente del Piemonte, Alberto Cirio, perché «agisca sul Governo per trovare una soluzione: non possiamo abdicare al diritto alla giustizia dei cittadini, lo dobbiamo anche alle vittime di Brandizzo. Le carenze di organico compromettono questo diritto sancito dalla Costituzione».
  4. APRIAMO GLI OCCHI :  L'allarme della Dia "La 'ndrangheta punta sui lavori Pnrr"
    Pnrr e mafie, la Dia rilancia l'allarme: «La perdurante, delicata fase economico e sociale, conseguente alla emergenza pandemica ha determinato anche in Piemonte una certa vulnerabilità sociale e finanziaria. Le ingenti iniezioni di denaro destinate all'Italia dall'Europa, nell'ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, potrebbero costituire un singolare fattore d'attrazione per le organizzazioni criminali operanti in Piemonte e Valle d'Aosta, regioni caratterizzate anche dalla presenza di organizzazioni criminali strutturate, prime fra tutte la ‘ndrangheta». Lo si legge nella relazione semestrale pubblicata ieri sul sito della Direzione Investigativa antimafia. E che le cosche dislocate da Volpiano a Chivasso, da Carmagnola a Moncalieri godano di buona salute nonostante i durissimi colpi inferti negli ultimi 12 anni dalle indagini (da Minotauro in poi) è fatto noto agli investigatori: «Si deve ritenere che la ‘ndrangheta, più delle altre consorterie criminali mafiose autoctone, si sia insinuata nel tessuto socio-economico radicandosi e intessendo sempre più consolidati rapporti con la sfera produttivo-economica, nonché preoccupanti sinergie con cellule organizzate di altre matrici criminali». Una sentenza di sopravvivenza, un certificata di sana e robusta costituzione criminale, una consapevolezza da cui ripartire. «A fronte dei reati tradizionali (estorsioni traffico internazionale di droga) come fonte primaria di arricchimento – spiega il neo-capocentro della Dia a Torino Tommaso Pastore - la ‘ndrangheta sfrutta il settore fiscale attraverso il sistema delle false fatturazioni per conferire un'apparenza di legalità ai flussi finanziari di derivazioni illecita, inquinando il mercato e portando a termine una sofisticata forma di riciclaggio».
    La malavita organizzata di origine calabrese (ma si può tranquillamente definire piemontese) «mediante operazioni di riciclaggio di ingenti capitali, è attiva nel campo dell'edilizia sia pubblica che privata, con particolare interesse alla partecipazione, occulta, nelle grandi opere» scrive la Dia. «Continua a mantenere inalterato il potere dimostrando grande dinamismo e assoluta capacità di rigenerarsi, permettendo l'affermazione di "leader" nelle nuove generazioni e attuando, talvolta, un modus operandi silente che le consente di penetrare nella realtà socio-economica regionale senza destare particolari attenzioni». E le altre mafie storiche italiane? Alla direzione investigativa antimafia hanno le idee chiare: «Quelle di origine siciliana sembrano rimanere in posizione più defilata»

 

 

14.09.23
  1. SE QUESTA E' SICUREZZA NAZIONALE :   Il 26 maggio 2019 (sono loro stessi a pubblicare foto matrimoniali sui rispettivi social) Irina Osipova si sposa con Luca Pedetti. La foto è quella di una bella festa a Roma in Santa Maria in Cosmedin, con la poco più che trentenne ex candidata di Fratelli d'Italia assieme al neomarito, allora 44enne, un giovane di antica famiglia romana dai capelli chiari, e al padre di lei, Oleg Osipov, per anni capo di Rossotrudnichestvo, l'importante agenzia russa del ministero degli Esteri ritenuta oggi dall'Unione europea uno strumento di influenza della Russia di Putin all'estero, e perciò sanzionata. Oleg Osipov è adesso di stanza a New Delhi. Osipova, come ormai è noto, di recente è risultata idonea a un concorso per coadiutore parlamentare in Senato, e dovrebbe essere assunta a Palazzo Madama dal 1 novembre, dove avrà accesso a banche dati e alla possibilità di classificare atti. Cosa che ha suscitato diverse preoccupazioni sull'opportunità politica, ma anche per possibili profili di rischio per la sicurezza nazionale. Non solo per via delle relazioni familiari di Osipova con strutture governative e circoli della Russia putiniana, ma anche per le sue ripetute frequentazioni politiche – anche abbastanza esibite, ne esistono tante foto – con esponenti dell'estrema destra italiana e russa, alcuni dei quali hanno combattuto in Donbass come paramilitari accanto alla Russia, già nel 2014. Persino nei corpi russi "Rusich", una delle milizie simil-naziste più vicine al Cremlino.
    Naturale chiedersi chi sia questo giovane italiano che sposa una russa così al centro delle polemiche in Italia. Osipova ha infatti anche la cittadinanza italiana, sebbene abbia informato di averla da prima del matrimonio con l'italiano. È lei stessa, sul suo Facebook, a dirci che il marito si chiama Luca Pedetti, lo ringrazia in un video-post che Osipova dedica ad Albano (sì, il cantante italiano), in cui Pedetti l'ha aiutata con le riprese. E qui, utilizzando una serie di fonti aperte e qualche conferma riservata, veniamo a sapere cose interessanti su Luca Pedetti. Nel suo profilo Instagram, che fino a ieri mattina era visibile a tutti previa una semplicissima richiesta di amicizia online, oltre a tante foto romantiche con Osipova, qua e là Pedetti aveva lasciato tracce della sua attuale attività, di esperto di tecnologie, e alcune connessioni in particolare che destano preoccupazione. C'era una foto in cui per esempio Pedetti esponeva la schermata di un workshop all'Ugid, l'Ufficio Generale Innovazione della Difesa italiana. Un'altra foto in cui Pedetti si faceva un selfie con alle spalle diversi militari, dell'esercito e della marina militare italiana. Compariva una foto in cui lui e Osipova sono elegantissimi e abbracciati a Villa Abamelek, ospiti dell'ambasciatore russo a Roma. Foto dei biglietti d'invito che la coppia riceve dal ministero della Difesa per la Festa della Repubblica del 2 giugno del 2017. In un post di un altro profilo Instagram, quello del presidente della commissione trasporti e tecnologia del Senato, Salvatore Deidda di Fratelli d'Italia saluta «i miei amiconi sovranisti che passano da Roma a Mosca in pura logica non imperiale». In altri post del suo profilo Pedetti parlava della startup che ha fondato nel 2019, che si chiamava Pepeeta e si occupava prevalentemente di tecnologie, blockchain, sistemi distribuiti (oggi ne ha creata un'altra). Cercando tra altre fonti aperte, sul sito ufficiale della Difesa italiana ci viene in soccorso un curriculum di un Luca Pedetti che dice di aver fondato la startup Pepeeta (il personaggio del curriculum sembra dunque coincidere con quello del profilo Instagram che pubblicava fino a ieri mattina tante foto assieme a Osipova), e prima di questo riferisce di essere un pioniere della blockchain e di aver avuto, leggiamo, «un impiego in ingegneria dei sistemi presso aziende del gruppo Finmeccanica (ora Leonardo Company) dove ha fornito supporto logistico integrato all'interno del team ILS per il sistema di pianificazione delle missioni denominato Mission Support Systems, un complesso assieme di sistemi hw/sw fornito alle Forze Armate italiane, in particolare all'Aeronautica Militare e all'Aviazione dell'Esercito, oltre che ad altre forze armate in ambito Nato». Fonti aziendali confermano che Pedetti ha davvero lavorato per Leonardo quand'era Finmeccanica, come consulente. Con la startup Pepeeta Pedetti informa di aver partecipato «nel 2020 alla Nato Innovation Challenge arrivando in finale con altri 10 finalisti tra oltre 90 sfidanti». Riferisce di esser stato relatore alla conferenza «presso il Centro Alti Studi della Difesa (CASD) di Roma». E nel 2022 di esser anche stato «invitato dalla Nato HQ Supreme Allied Commander Transformation alla tavola rotonda Blockchain in Logistics». Si definisce anche un «contributor» di una pubblicazione «edita dallo Stato Maggiore della Difesa – UGID». La foto sull'evento all'Ugid, come abbiamo visto, era sul profilo Instagram in cui erano esibite mille foto di lui con Osipova. Abbiamo tutti gli screenshot di queste foto e questi post. Possibile che la giovane putiniana a Roma, oltre che in procinto di essere assunta in Senato, e connessa per famiglia ai circoli del potere di Vladimir Putin, abbia anche impalmato un italiano che è contributor della Difesa italiana nelle tecnologie, viene invitato in eventi Nato, e ha lavorato con Leonardo? Raggiunto telefonicamente, Pedetti non vuole confermare né smentire, ma appare molto seccato alla telefonata di verifica. In serata, dopo la telefonata de La Stampa, i suoi account Instagram e twitter apparivano cancellati e non esistevano più. Fonti nell'amministrazione ci dicono che la sua collaborazione con la Difesa in effetti aveva suscitato anche delle significative resistenze, ma infine fu accettata. L'Italia, si sa, è da sempre un ponte di culture. Osipova, in tutto questo, si appresta a varcare la soglia di Palazzo Madama.
  2. GIUSTIZIA : Dopo la ritirata tattica dalla corsa per la Procura di Milano e la sconfitta bruciante in quella per la Procura nazionale antimafia, Nicola Gratteri diventa capo della Procura di Napoli. Ma più dell'esito della votazione del Csm, scontato da un paio di mesi, sono le modalità e le reazioni a dare il senso della nomina. Gratteri è passato al primo turno a larga maggioranza, con 19 voti tra cui quello del vicepresidente Fabio Pinelli. E la sua incoronazione a capo della procura più grande d'Europa, con 111 pm, è stata salutata da un plauso politico che abbraccia tutto l'arco costituzionale: Pd e Renzi, M5S e persino Forza Italia. Il partito da cui proviene quel Giancarlo Pittelli che del metodo Gratteri è la vittima giudiziaria per eccellenza: arrestato e sotto processo nel maxiprocesso Rinascita Scott, su di lui pende una richiesta di condanna a 17 anni per concorso esterno, in quanto accusato di essere anello di congiunzione tra ‘ndrangheta, mafia e massoneria.
    Sono tre i motivi che connotano la nomina di Gratteri. Uno prettamente giudiziario: i titoli e la specifica competenza antimafia, superiori a quelli degli altri pur qualificati aspiranti (in particolare il procuratore di Bologna Gimmi Amato, ora favorito per la procura generale di Roma). Un altro politico: la destra politico-giudiziaria, targata Fratelli d'Italia, aveva da tempo deciso di puntare su di lui come simbolo di una stagione «legge e ordine», nel solco di una tradizione che vide il Msi votare Paolo Borsellino come candidato di bandiera per il Quirinale nel 1992.
    Infine un obbligo morale: nel 2024, Gratteri sarebbe comunque scaduto come procuratore di Catanzaro. L'ennesima bocciatura di un eroe nazionale dell'antimafia – modello Falcone - sarebbe parsa scandalosamente paradigmatica di una magistratura burocratica e correntizzata. «Gratteri è un simbolo», «C'è un prima e un dopo Gratteri»: le dichiarazioni di voto nel plenum del Csm dicono più di mille tecnicismi ordinamentali. Gratteri è un personaggio unico nel panorama non solo della magistratura italiana. La sua fama varca i confini nazionali. L'elenco dei Paesi con cui ha collaborato per perfezionare 300 rogatorie e arrestare 140 latitanti copre mezzo mondo, dal Messico all'Australia.
    Nato nel 1958 a Gerace, nella Locride, terzo di cinque figli, presa la laurea a Catania e vinto il concorso torna nella sua terra. Non l'ha mai lasciata fino a oggi. Prima giudice istruttore, poi pm, procuratore aggiunto a Reggio dal 2009, capo a Catanzaro dal 2016. Una vita a indagare su mafia, politica, narcotrafficanti, massoneria. È l'unico ad aver fatto cadere due giunte regionali (entrambe di sinistra): la prima quando non aveva nemmeno trent'anni, arrestando un assessore socialista. Infinito l'elenco di inchieste monstre, con centinaia di arresti, ed esiti processuali non sempre corrispondenti. Sotto scorta dal 1989, non si contano i progetti di attentati ai suoi danni, svelati dai pentiti o sventati grazie al sequestro di arsenali mafiosi.
    Stakanovista, trascorre in ufficio dodici ore al giorno. «Sono innamorato di questo lavoro, un tossicodipendente da questo lavoro», ha detto qualche anno fa in commissione parlamentare antimafia. A Catanzaro ha inaugurato l'abitudine, insolita per un procuratore, di ricevere personalmente i cittadini per le denunce. «Ogni settimana 300 persone chiedono di parlare con me», ha spiegato al Csm, raccontando di «una vecchietta del Monte Poro di Vibo Valentia» non ricevuta dal maresciallo dei carabinieri. «Era disperata perché vedova, aveva una figlia e un gregge, il mafiosetto del paese le rubava le pecore». Allora Gratteri prima ha fatto trasferire il maresciallo «a mille chilometri da Vibo Valentia», poi ha ricevuto la donna che, giunta al suo cospetto, «piangeva per l'emozione». Infine ha arrestato il mafioso, «e la signora è tornata e sembrava che avesse dieci anni in meno».
    Nei weekend e d'estate, niente vacanze. Gratteri gira l'Italia per dibattiti, premi, incontri nelle scuole e presentazioni dei venti libri scritti con il docente Antonio Nicaso. Il prossimo uscirà a fine ottobre. Titolo: «Il grifone». Tema: la ‘ndrangheta come la figura mitologica, corpo analogico e testa digitale. Diventato un idolo, una decina di anni fa è stato corteggiato dalla politica. Enrico Letta lo volle consulente a Palazzo Chigi; Matteo Renzi addirittura ministro della giustizia, ma il suo nome fu depennato dalla lista per mano del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Gratteri ha incassato encomi e sconfitte senza cambiare. Anzi, tutto ciò ha alimentato il mito.
    La sua comunicazione è diretta, semplice, concreta. Talvolta troppo. Nell'audizione al Csm ha suscitato sconcerto l'esposizione del suo metodo, sperimentato a Catanzaro e che intende replicare a Napoli: lotta ai pm fannulloni, accentramento carismatico, minaccia di «derattizzare» la polizia giudiziaria che non si adegui. «Non troverà lavativi», «Si comporta come un padre padrone», «Un uomo solo al comando», hanno detto i consiglieri progressisti di Area, che non l'hanno votato. Delle interrogazioni parlamentari sul caso Pittelli, ha detto che sono «dettate ai deputati dagli imputati agli arresti domiciliari», provocando le proteste alla Camera del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti.
    Ora viene il difficile. Napoli non è Catanzaro. Trent'anni fa respinse un mastino come Agostino Cordova. Gratteri in Procura non troverà comitati di accoglienza con ghirlande floreali. Gli uffici giudicanti sono ossi duri. E l'avvocatura ha grande tradizione. Ma Gratteri, al di là della corazza rude, ha già dimostrato flessibilità e arguzia che hanno stupito anche colleghi sussiegosi e sospettosi. Da Reggio Calabria a Milano. —
  3. INGIUSTIZIA : Il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, ha deciso di rinviare la nomina di Michele Anzaldi, già capo ufficio stampa di Matteo Renzi e deputato di Italia Viva, a suo superconsulente per la comunicazione, con specifico mandato di controllo anti fake news. La delibera motivava incarico e stipendio di 85mila euro l'anno con «l'esigenza di curare la comunicazione istituzionale del vicepresidente».
  4. GUARDARE IN ALTO : Svolta nell'inchiesta sul disastro ferroviario di Brandizzo costato la vita a cinque operai di una ditta di manutenzione di borgo Vercelli investiti da un treno di convogli vuoti che viaggiava a 150 km/h la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi. È proprio qui che ieri pomeriggio la polizia giudiziaria della procura di Ivrea coordinata dalle pm Giulia Nicodemi, Valentina Bossi e dalla procuratrice capo Gabriella Viglione si sono presentati per notificare un avviso di garanzia a quattro persone. Sono i vertici della società «Si.gi.fer», azienda in cui erano impiegate le vittime Kevin Laganà, 22 anni Michael Zanera, 34 anni. Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa, 49 anni, di Chivasso. Nel mirino dei magistrati sono finiti l'amministratore delegato Franco Sirianni, i figli Simona Sirianni legale rappresentante, Daniele Sirianni socio e Chistian Geraci direttore tecnico. Salgono cosi a sei le persone iscritte nel registro degli indagati. Si aggiungono ad Antonio Massa, tecnico Rfi preposto alla scorta del cantiere che fece scendere gli operai sui binari senza che la linea ferroviaria fosse interrotta e con un convoglio in arrivo: «Se dico treno - dice in un video agli atti dell'inchiesta girato da una delle vittime pochi minuti prima della strage - buttatevi di là».
    C'è poi Andrea Girardin Gibin, capocantiere della «Si.gi.fer» che avrebbe dovuto stoppare i suoi operai, impedendogli di scendere sulla massicciata e non lo ha fatto. A differenza di questi ultimi due a cui è contestato il dolo eventuale (avrebbero accettato con le loro condotte il rischio che gli operai morissero), per i Sirianni l'accusa è omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo. In concorso ovviamente tra di loro.
    L'inchiesta sale, così, il suo secondo gradino e cioè quello della ditta che in subappalto aveva ricevuto l'incarico dal committente Rete ferroviaria italiana al momento estranea alle contestazioni.
    I titoli di reato nascono da condotte che riguardano - nelle ipotesi degli inquirenti - irregolarità plurime nella gestione di quel cantiere e degli stessi operai molti dei quali non erano formati adeguatamente - secondo l'ipotesi dei pm - per partecipare all'incarico. Proprio Sirianni, alcuni giorni fa, in un'intervista a La Stampa, aveva spiegato di «sentirsi tranquillo al netto dello strazio che provava per i suoi operai e per le famiglie». Aveva aggiunto: «I dipendenti non dovevano assolutamente essere sui binari. La scorta di Rfi non doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari durante gli interventi». Nelle contestazioni sollevate hanno pesato - e molto - le testimonianze rese in questi giorni in procura dai dipendenti dell'azienda. Deflagranti nella ricostruzione delle modalità di rispetto della sicurezza e sulla formazione che veniva garantita prima di entrare in quei subappalti. Gli accertamenti della procura di Ivrea hanno fatto il resto convincendo i magistrati al primo «salto di qualità» nella catena delle presunte responsabilità.
  5. PADRI E PADRONI DIFESI PER PRINCIPIO ED ERRORE: Che sia in affitto o ne sia il proprietario in cima ai desideri degli italiani che una casa ce l'hanno non è avere dei vicini poco rumorosi e nemmeno quello di veder riparare i tempi rapidi la caldaia o l'ascensore. La cosa che sogna di più il 43% dei condomini è avere un amministratore «che tenga una contabilità affidabile e trasparente per non rischiare di essere truffati», secondo un sondaggio su settemila famiglie realizzato da Condes, società specializzata nel benessere abitativo.
    Secondo Confabitare, l'associazione che rappresenta i proprietari di immobili e che ogni mese riceve denunce e reclami da parte di condomini raggirati, i veri truffatori, quelli che scappano dopo aver svuotato il conto condominiale, sono una minoranza, che in alcune grandi città arriva però a un 5% di casi. Ma se per truffa si intende accordarsi con le ditte a cui si affidano gli appalti condominiali per intascare una percentuale «si viaggia intorno all'80% dei condomini», ammettono da Confabitare.
    «Il problema va visto da ambo i lati, ossia anche da quello degli inquilini che scelgono quasi sempre l'amministratore che costa meno anziché quello più adeguato a ricoprire il ruolo», afferma l'ingegner Francesco Burrelli, presidente di Anaci, la più grande associazione di amministratori condominiali. «A Torino ci sono amministratori che prendono 20, 15 euro l'anno a unità immobiliare, quando uno ha fatturato gli resta zero». Detto questo è lo stesso Burrelli a dire che «serve una legge che oltre ai tanti "deve" già previsti definisca anche i limiti della responsabilità oggettiva di chi amministra».
    In Italia il "governo" dei condomini è affidato a 20 mila professionisti scritti in ben 49 associazioni di categoria, anche se ad amministrare palazzi e palazzine sarebbero in realtà molti di più, almeno 80 mila. Un esercito nel quale si nascondono furbi e truffatori. A Bergamo l'amministratore di 117 condomini presentando falsi verbali con spese mai sostenute si è messo in tasca circa un milione prima di essere denunciato. A Novi Ligure 28 famiglie si sono ritrovate con ammanchi di decine di migliaia di euro per bollette elettriche mai versate. A Milano l'amministratore di un centinaio di condomini ha truffato oltre duemila famiglie prima di fuggire in Sud America.
    Andiamo a Roma, nel signorile quartiere dei Parioli in un prestigioso stabile dove fino a qualche tempo fa abitava Francesca Castellani. «I sospetti nascono quando iniziano ad arrivare continui avvisi di distacco della corrente e dell'acqua da parte di Acea. Chiediamo con urgenza la convocazione un'assemblea straordinaria, ma lui niente. A quel punto – racconta Francesca – nominiamo una nuova amministratrice che ha verificato negli anni ammanchi per decine di migliaia di euro. Intanto il vecchio amministratore si è reso irreperibile e noi siamo stati costrette a saldare di nuovo tutte le bollette non pagate». Si perché la legge parla chiaro ed è bene tenerlo a mente: l'amministratore agisce su delega dei condomini che lo nominano e questi ultimi sono responsabili delle sue azioni e debbono perciò controllarne e sorvegliarne l'operato. Altrimenti sono responsabili di omesso controllo e costretti a pagare una seconda volta i fornitori.
    Cosa che è capitata recentemente a mezza Casale Monferrato. Parliamo degli abitanti di 85 condomini, oltre seimila persone che hanno scoperto di dover fare il bis ripagando le rate di gas, teleriscaldamento e acqua potabile che pensavano di aver saldato versando all'amministratore le loro quote condominiali. Soltanto che una parte di quei non sono finiti dove dovevano andare. Ovvio che le società municipalizzate che erogano i servizi, dopo aver aspettato il dovuto, siano andate all'incasso con gli inquilini. Così è esploso il bubbone che adesso avvelena la vita di Casale Monferrato, terra di cementieri e biscotti. Il guaio, a poco più di un mese da quando è stato scoperto, ha interessato operai, impiegati, pensionati, commercianti. Ma nello stabile in centro, dove da 40 anni ha sede lo studio "Ginepro" gli storici amministratori di condominio da tempo nessuno li vede più. Scomparsi portandosi dietro un milione o forse più. «Anche se i cinti si faranno più in la, quando i nuovi amministratori avranno finito di controllare i bilanci», dice il vicesindaco Emanuele Capra.
    Storia simile a Bologna dove il gip, Domenico Truppa, ha ordinato la custodia cautelare di un noto amministratore di condomini nel capoluogo, dove di casi analoghi ce ne sono stati una decina negli ultimi anni. In questo caso i condomini truffati sono 150, che si sono visti sfilare sotto il naso 324 mila euro.
    Ma quando non è la truffa a togliere il sonno al popolo di inquilini ci pensa l'opacità di certi amministratori. Sulla quale diventa un'impresa provare a far luce quando si parla di mega condomini, come quello romani di Ostiense, quartiere una volta popolare ora trendy. «Difronte a una rata raddoppiata, a distanza oramai di tempo dai rincari della bolletta elettrica, ho chiesto dei chiarimenti sulle voci che componevano le rate e la presentazione dei relativi giustificativi. La risposta è stata "se li vada a vedere sul sito", dove né io né le altre decine e decine di condomini riescono a raccapezzarsi», racconta Giovanna. «Di fronte a servizi e attività di manutenzione particolarmente costosi ho anche chiesto fosse presentato più di un preventivo. La risposta sbrigativa è stata: "Non sono tenuto farlo"».
    Falso, replicano gli esperti di Confabitare. Ma molti non lo sanno e ci cascano. Così come sarebbe bene far fronte compatto tra condomini quando si acquista casa in uno stabile di nuova costruzione, dove i primi tempi, avendo ancora dalla sua molti millesimi, il costruttore riesce a far nominare un amministratore di sua fiducia. Con il rischio che poi questo, per "riconoscenza", finisca per addebitare agli inquilini riparazioni causate da difetti di fabbricazione che spetterebbe alla ditta costruttrice pagare. Fenomeno tutt'altro che isolato, fanno sapere le associazioni degli inquilini.
    Ma siccome anche in questi casi è meglio prevenire che curare, ecco qualche consiglio utile dispensati dagli esperti di Condominioweb. «Prima di tutto all'atto di nomina dell'amministratore indicare anche un condomino delegato, con diritto di chiedere direttamente alla banca gli estratti del conto corrente condominiale. Poi richiedere l'attivazione di un sito condominiale, dove l'amministratore è tenuto a caricare tutti contratti e fatture. Fermo restando il diritto di controllare i documenti in assemblea». E quando l'amministratore non fa chiarezza ricordarsi che lo si può sempre cambiare.
  6. UNA DIFESA DI CATEGORIA MOLTA PERICOLOSA: Il decalogo
    "I compensi sono troppo bassi servono regole e un tariffario" PER RUBARE DI PIU':
    Alberto Zanni, da Nord a Sud nelle cronache locali si trovano sempre più storie di inquilini raggirati da amministratori infedeli. Come presidente di Confabitare, associazione dei proprietari di casa, ha un'idea di quale sia la dimensione del fenomeno?
    «Dai casi che ci vengono segnalati direi che è un fenomeno diffuso però dobbiamo prima intenderci su cosa si intende per truffa. Se ci si riferisce a chi si è impossessato dei soldi versati dai condomini scappando con il bottino e chiudendo il proprio studio sicuramente parliamo di un fenomeno ridotto, ma non poi così tanto a vedere le azioni messe in atto in questi anni da magistratura e Guardia di finanza. Solo a Bologna su 200 amministratori si sono contate una decina di truffe vere e proprie».
    E quelli che fanno la cresta su appalti e servizi vari?
    «Ah quelli sono tantissimi, diciamo almeno l'80%. E guardi lo dico pur essendo anche presidente di Confamministrare, che rappresenta proprio gli amministratori di condominio. Ma queste cattive abitudini hanno origini dal fatto che li si paga troppo poco. E allora soprattutto chi ha spese di studio con personale di segreteria o amministrativo per far quadrare i conti a fine mese rastrella qualcosa un po' qui un po' la».
    Beh non è una buona giustificazione. Ma quanto prendono?
    «Non c'è un tariffario nazionale, così come manca un contratto o un albo degli amministratori di condominio. Una parte dei quali è iscritta ad Anaci, l'associazione nazionale amministratori di condominiali e immobiliari, più altre 49 associazioni. Ma per la maggior parte di chi fa questo mestiere non c'è nulla che ne attesti la professionalità. Così abbiano tariffe che vanno dai 50 euro per unità immobiliare ai 150, che di solito chiedono i più bravi e i meglio strutturati, con archivi informatici e personale addestrato».
    E di solito cosa scelgono i condomini?
    «Quelli che costano meno, seguendo un ragionamento che poi si avvita su se stesso: "Siccome so che rubi ti pago il meno possibile". Così si finisce per far amministrare interi stabili a chi a fine cena tira via la tovaglia e fa i conti su un foglio di carta».
    Il confronto tra più preventivi. Molti amministratori non li vogliono portare. Possono farlo?
    «No è un compito che spetta a loro. Ma so bene che in molti casi l'amministratore chiede ai condomini di portare loro proposte alternative, magari senza fornire un capitolato che consenta di confrontare i prezzi in funzione dei reali servizi offerti. Ma c'è anche da dire che l'amministratore che si rifiuta di presentare più preventivi lo si può sempre cambiare».
    È vero che le truffe sono più facili dove ci sono bilanci più grandi?
    «Sicuramente, perché i controlli sono più difficili. Però i condomini devono imparare a conoscere meglio la riforma dell'amministrazione condominiale di 10 anni fa che ha introdotto il bilancio certificato e con questo anche la figura, ancora poco utilizzata, del revisore dei conti. Un professionista esterno che per mille euro a stabile fa quello che noi non sappiamo o possiamo fare: controllare bilanci, documenti e correttezza delle modalità amministrative».
    Chi acquista casa in palazzine nuove spesso si lamenta di avere amministratori che spalleggiano i costruttori. Come mai?
    «Perché all'inizio questi avendo più millesimi per via dell'invenduto ne impongono uno di loro fiducia. Ma ho visto anche parecchi rogiti con già scritto che nei primi due anni l'amministratore è di nomina della ditta costruttrice. E vedrete che molte riparazioni in questi casi non finiranno a carico di chi vi ha venduto una casa come nuova ma a voi che avete accattato la clausola capestro»
  7. LE RESPONSABILITA' SONO IN ALTO BASTA VOLERLE VEDERE : I vertici della Si.gi.fer inguaiati dai racconti dei loro dipendenti
    Dipendenti ed ex lavoratori inguaiano la Si.Gi.Fer., l'azienda di Borgovercelli che opera nel settore dell'armamento ferroviario dal 1993 e per la quale lavoravano Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa, travolti dal treno lungo i binari a Brandizzo, la notte tra il 30 e il 31 agosto. Come anticipato da La Stampa, si allarga il fronte dell'inchiesta e ieri la procura di Ivrea ha notificato quattro nuovi avvisi di garanzia: a Franco Sirianni (direttore generale Si.Gi.Fer), a Cristian Geraci (direttore tecnico), a Simona Sirianni (legale rappresentante), e al socio Daniele Sirianni. A loro i magistrati Giulia Nicodemi e Valentina Bossi contestano l'omicidio colposo plurimo e il disastro ferroviario colposo.
    Salgono così a sei gli indagati dopo Antonio Massa, preposto Rfi che quella notte avrebbe dovuto attendere il blocco della circolazione e Andrea Gibin Girardin, il capo cantiere dipendente Si.Gi.Fer. A Massa e Gibin, entrambi sopravvissuti al disastro, i pm eporediesi contestano anche il «dolo eventuale».
    Al momento le figure apicali della Si.Gi.Fer non sono ancora state interrogate a Palazzo di Giustizia. Una settimana fa, però, Franco Sirianni appariva sconvolto. Raccontava di essere stremato. E diceva: «Non ne posso più di sentire chi mi accusa di non pensare alle famiglie degli operai morti. Io li ho visti: ero su quel binario venticinque minuti dopo il passaggio del treno. Non doveva succedere, nessuno doveva autorizzare quel lavoro». I Sirianni sono una famiglia di ferrovieri. Franco Sirianni ripete: «Sono andato nei cantieri per trent'anni, prima di diventare il titolare della Si.Gi.Fer. ».
    La svolta nell'inchiesta è arrivata, ieri, al termine delle audizioni di dipendenti ed ex operai Si.Gi.Fer che in queste due settimane sono stati ascoltati dalla polizia giudiziaria come persone informate dei fatti. Le ultime accuse sono arrivate l'altro ieri da Giovanni Cisterino convocato negli uffici giudiziari a Ivrea. Lui quella notte avrebbe dovuto lavorare con la squadra di operai travolti dal treno e per oltre quattro ore ha raccontato ai pm come fosse prassi accedere in anticipo lungo i binari per concludere prima i lavori. E ha denunciato: «Spesso i tecnici di Rfi abbandonavano il cantiere prima del termine delle operazioni».
    Il più arrabbiato è stato l'ex operaio Antonio Veneziano che all'uscita da palazzo di Giustizia era tranchant nei confronti della Si.Gi.Fer: «Devono andare in galera e deve chiudere l'azienda». Azienda di Borgovercelli vittima anche di minacce. «Assassini. Basta Appalti» era la scritta con vernice rossa comparsa, lunedì, davanti all'ingresso degli uffici della ditta.
    L'inchiesta però non sembra essere conclusa qui. Lunedì notte la procura di Ivrea aveva incaricato la polizia scientifica di filmare i lavori di sostituzione di circa otto metri di binario a Brandizzo. Hanno registrato ogni cosa. Preso i tempi per effettuare quel lavoro che avrebbero dovuto eseguire i cinque operai morti. Questa volta ad eseguire i lavori sono stati operai di Rfi.
    Sempre sul fronte delle indagini, inizieranno oggi gli esami irripetibili sui Dis (le scatole nere sulla pilotina e la motrice del treno) sui due tablet Samsung in dotazione ai macchinisti e su due telefoni cellulari di Lombardo e Aversa, recuperati la notte dell'incidente. Per questi accertamenti è stato incaricato dai magistrati eporediesi un super consulente, un luogotenente della Guardia di Finanza.
    Non c'è ancora, invece, il via libera per organizzare i funerali delle vittime. Per la procuratrice capo di Ivrea Gabriella Viglione resta una priorità, ma prima c'è da effettuare il riconoscimento con il Dna. Intanto, in memoria dei cinque operai, lunedì 18 settembre, alle 19, il sindaco di Brandizzo Paolo Bodoni ha organizzato una veglia di preghiera alla stazione ferroviaria a cui seguirà una marcia silenziosa.

 

 

13.09.23
  1. PERCHE' E' SUCCESSO ? E PER VOLONTA' DI CHI ?   L'intervento davanti ai tecnici della scientifica: "Che impressione lavorare qui"
    La gru, le luci, i caschi Rfi rimanda a Brandizzo la squadra super protetta
    lodovico poletto
    brandizzo (torino)
    È appassito il fiore che qualcuno aveva piazzato proprio sotto la scritta «Brandizzo». È appassito e s'è piegato sul collo della bottiglia di prosecco adoperata come vaso. L'avevano posata, nel punto esatto dove il treno, dieci giorni fa, ha maciullato le carni e rubato l'esistenza a cinque uomini che lavoravano sui binari. E stasera nessuno ha il coraggio di gettarla via.
    Raspano via i sassi, gli operai, con grossi tridenti dalle punte d'acciaio, tra una traversina e l'altra. E sono gesti già visti in un video. Erano gli ultimi istanti di vita di quei cinque operai mandati a lavorare sulla ferrovia anche se una ragazza si sgolava al telefono per dirgli che non dovevano mandarli, che stava per passare ancora un convoglio. Dovevano sostituire un tratto di binario: otto metri d'acciaio, 480 chili. Lavoro di due ore o poco più. E scherzavano e ridevano. «Quando dico treno vi buttate di là» dice la voce fuori campo, ed è una - non voluta - condanna a morte. Gli ultimi istanti li vedi in quel video registrato dal più giovane, Kevin. Stasera ci sono gli operai a completare quel lavoro. Dipendenti di Rfi. E sono otto, dieci, in certi momenti in quattordici. E se gli parli prima che entrino su quei binari coperti di calce, dove tra un interstizio e l'altro ancora ci sono resti di quegli uomini, dicono che sì: «Fa impressione lavorare dove altri prima di te hanno perso la vita».
    Ecco, adesso, a mezzanotte ampiamente passata, mentre raspano via le pietre sembra proprio di rivedere quel video. Quella notte. Quei momenti prima dell'impatto. Quegli uomini. Ma stasera qui è tutto perfetto. Tutto stra illuminato. In sicurezza. E ci sono i tecnici della polizia scientifica che filmano tutto. Hanno piazzato telecamere e fari. E registrano ogni gesto. Prendono tempi. Servirà alle indagini, alla procura, a tutto quel che sarà in seguito. E allora chi è qui, stanotte, si domanda se tutto questo non poteva essere fatto prima, lasciando a Kevin Laganà la possibilità godersi l'esistenza, sbagliare, ripartire: aveva solo 22 anni. Ma quella notte era tutto differente. Non c'era – sussurra qualcuno – la gru che per spostare il binario da mezza tonnellata. E lo avrebbero dovuto fare a mano. Non c'era l'ingegnere che adesso controlla ogni gesto. Non c'erano così tanti uomini. Tante luci. Tanti occhi puntati. C'era la fretta. Forse la disattenzione. O chissà che altro ancora. Il binario 1 adesso è più popolato di una piazza. Lo guardi dal posteggio, dove sono stati catapultai pezzi di uomini e vedi - dall'altra parte, della ferrovia - la recinzione a ridosso della quale Kevin filmava, fumava e scherzava. E sembra un film. Il film di un dolore infinito. Il film che vedranno - forse - in aula i fratelli, le mogli, i figli di chi non c'è più. E quegli operai quasi sembrano attori, di un dramma che replicano, anzi di un copione a cui hanno cambiato il finale.
    S'accedono i grossi flessibili che servono per tagliare i binari. Lapilli, acciaio infuocato che si spandono tutt'intorno. Rumori di avvitatori che servono per sbullonare i binari. Qualcuno prova la fiamma ossidrica che servirà per tagliare ancora l'acciaio. La gru sposta i tronconi. Caschetti gialli. Occhiali di sicurezza nuovi. Salvatore, il capocantiere con trent'anni di esperienza che rettifica appena qualche dettaglio.
    Erano le 23,45 quando il treno investì quegli uomini. E c'era un gruppo di ragazzi che scherzava vicino al posteggio. Poi c'era stato quel rumore di inchiodata. E il convoglio che ancora correva e si fermava un chilometro più giù. Le grida. La gente che scende in strada dal palazzo lì vicino. Le sirene. Le famiglie svegliate nel cuore della notte. «Non tornerà più» ed il mondo che ti crolla addosso. Sono tornati a casa gli operai dell'altra notte che faceva già l'alba. Stanchi, sfiniti. Vivi.
  2. INTERVENTO DI SALUZZO : SEMBRA MIO ! L'attacco di Saluzzo, procuratore generale a Torino: "È un ufficio senza risorse, le nostre richieste cadute nel vuoto"
    " Procura di Ivrea al collasso , Roma ci ignora"
    giuseppe legato
    torino
    Andrà in pensione tra pochi giorni per limiti di età, ma non è il vicino commiato dalla toga indossata per decenni in prima linea contro la mafia e al vertice degli uffici giudiziari del Piemonte ad aver spinto il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, a denunciare con toni durissimi la drammatica situazione in cui versa (dalla nascita, 10 anni fa) la procura di Ivrea. «Un ufficio che vive in palese situazione di illegalità, sopravvive di carità e con quest'indagine ad altissima intensità di impegno rischia il collasso».
    Nata «nel 2013 sulla base di una scelta infelicissima (non si sa per quali interessi, certamente non giudiziari), la procura è divenuta assegnataria di un territorio vastissimo, ingrandita a dismisura, senza la benché minima dotazione di risorse, proporzionate alle nuove competenze, territorio, popolazione, qualità "criminale" del territorio» accusa il Pg.
    Ecco il quadro della macchina che ha iniziato da 10 giorni una delle più delicate inchieste della storia del Nord Ovest. Un ufficio "Cenerentola", in cui quasi nessuno anela a vedersi assegnato. E dove manca un po' tutto tranne la professionalità – e un po' di temerarietà - di chi c'è già.
    Basti pensare che la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi, a disastro appena avvenuto, la pm Giulia Nicodemi, 32 anni, in servizio da sei mesi, ha raggiunto Brandizzo con la sua auto per coordinare i rilievi della Polfer. A Ivrea i magistrati non hanno l'autista. Gli investigatori della polizia giudiziaria - agenti, carabinieri e finanzieri - dovrebbero essere sedici (due per ogni pm) ma sono la metà. La pianta organica conta otto magistrati per un bacino d'utenza più di mezzo milione di abitanti.
    Eppure qui c'è una florida contaminazione (per non dire storico radicamento) criminale della ‘ndrangheta, ci sono realtà produttive rilevantissime, agglomerati urbani da più di 50 mila abitanti: «In quel circondario – aggiunge Saluzzo - è avvenuto di tutto: indagini e processi per fatti di grandissimo rilievo nazionale e mediatico; ma, prima ancora, per fatti criminali e di reato di straordinaria gravità e rilevanza». Risultato? «Solo anni di disinteresse, da parte di chi avrebbe -e aveva- la competenza e gli strumenti per rimediare» dice Saluzzo. Che aggiunge: «Tutte le nostre (collettive, individuali, istituzionali, scritte, "parlate") richieste, sollecitazioni, segnalazioni sono state voci (forse giudicate stridule) in un deserto. Abbiamo bussato a tutte le porte delle istituzioni competenti ad affrontare e porre rimedio al problema. Si sono sempre aperte con cortesia e si sono richiuse lasciando noi postulanti fuori dalla porta a mani vuote».
    Per ogni pm di Ivrea ci sono 1940 fascicoli di "debito" di partenza: sono meno di mille per i magistrati di altre strutture. Per non parlare del personale amministrativo: 18 anziché 32. Da qui il ricorso al volontariato: la procura ha iniziato ad arruolare ex carabinieri in congedo iscritti all'Anc. «L'arretrato è ingestibile e perché se ne forma di nuovo, continuamente e inesorabilmente», avverte Saluzzo. La domanda di giustizia, la fiducia dei cittadini rischia di essere svilita, senza risposte: «Chi aspetta "giustizia" (nonostante il fascicolo sia magari "maturo") attende, e non sa cosa ne sarà della sua ansia, della sua aspettativa». Un fallimento di tutti, soprattutto di chi si sta guardando dall'altra parte.
  3. INDIPENENZA NON E IRRESPONSABILITA': Provvedimento del Csm: stop a funzioni e stipendio in attesa dell'esito del processo disciplinare
    Sospeso il giudice poeta con 858 arretrati "Rifiuta il lavoro e discredita la giustizia"
    GIUSEPPE SALVAGGIULO
    Ernesto Anastasio, il giudice-poeta che non scrive le sentenze perché avrebbe voluto dedicarsi agli studi letterari, non può più fare il magistrato, perché «rifiutando il lavoro getta discredito sull'intera amministrazione giudiziaria». Così la sezione disciplinare del Csm motiva il provvedimento cautelare urgente che lo sospende da funzioni e stipendio, come chiesto dalla procura generale della Cassazione che lo ha messo sotto accusa per aver accumulato l'arretrato record di 858 provvedimenti non depositati nell'ultimo anno.
    Anastasio è recidivo. Per «ritardi sistematici» è già stato processato cinque volte quando lavorava a Torre Annunziata e Santa Maria Capua Vetere: due volte assolto perché i ritardi sono stati valutati «limitati e contenuti» o «scarsamente offensivi»; una volta condannato alla modesta sanzione della censura; gli altri processi sono in corso. A distanza di anni, anche dopo aver cambiato ufficio, Anastasio deve ancora depositare circa 200 sentenze di processi celebrati in Campania. A ciò si sono aggiunte le nuove accuse dopo il trasferimento a Perugia. Dove, a dispetto delle migliori intenzioni, ha suscitato non solo le proteste degli avvocati, ma anche una rivolta dei detenuti privati di una risposta a istanze urgenti in materia di libertà personale. Anastasio non ha negato i ritardi. Ma ha presentato un certificato medico e invocato una perizia psicologica, che ha riconosciuto «un disturbo di personalità per cui il magistrato non è in grado di superare con le sue attuali risorse psicologiche» le difficoltà lavorative. Il giudice ha ripercorso la sua vita: amava e ama la letteratura, non la giurisprudenza. Avrebbe voluto fare altri studi, ma fu indotto a sacrificare la sua inclinazione dal padre avvocato. È questa frustrazione che gli impedisce di lavorare. «Vivo questa situazione di dissidio interiore – ha raccontato al Csm -. Il problema è grave, non sta bene che un giudice faccia tutto questo macello di provvedimenti non depositati. Non credo che morirò magistrato, non mi pare plausibile».
    La sezione disciplinare del Csm ha usato un metro molto rigoroso contro «la non laboriosità» del giudice, qualificando «i reiterati, gravi, ingiustificati ritardi come violazione dei doveri di diligenza». Tanto più che Anastasio, anche dopo l'inizio del processo disciplinare, non si è ravveduto. Al contrario, è andato avanti come se nulla fosse successo. Non ha rispettato i programmi di smaltimento dell'arretrato, concordati nell'ufficio. E i suoi nuovi ritardi hanno comportato, tra l'altro, l'indebita scarcerazione di tre detenuti che avevano violato le prescrizioni con cui erano state concesse misure alternative al carcere. A marzo, il tribunale di sorveglianza aveva deliberato che dovessero tornare in cella. Ma Anastasio non ha depositato il provvedimento, vanificandolo.
    Un comportamento che, scrive il Csm, «compromette la credibilità professionale del magistrato e più in generale il prestigio dell'autorità giudiziaria». E che Anastasio, dimostrando «insensibilità», non pare disposto a cambiare. Per cui viene sospeso, in attesa che dal processo disciplinare emerga una decisione definitiva.
  4. STILE SANTANCHE , AFFONDERA' MELONI :Milano, le telefonate del compagno di Santanchè nell'inchiesta sulla società della ministra. Si ipotizza il reato di truffa ai danni dello Stato
    In Cassa ma al lavoro, il ricatto di Visibilia "Se fai un casino succederà un macello"
    monica serra
    milano
    «Che hai lavorato in cassa lo sappiamo io, noi e te. L'Inps non lo sa...». « Era una cosa tacita dove comunque, come dire, c'era una ottimizzazione che andava bene a tutti...»
    La «cosa tacita» di cui parla Dimitri Kunz D'Asburgo Lorena, il compagno e socio di Daniela Santanchè, è il ricorso alla cassa integrazione di emergenza Covid prevista dal decreto Cura Italia di cui le aziende della ministra hanno usufruito tra il 2020 e il 2022, mentre i dipendenti avrebbero continuato a lavorare regolarmente. A pagarli, però, non era la società - se non in parte minima o ridotta, magari attraverso rimborsi spesa - tanto lo faceva lo Stato.
    Secondo gli accertamenti dell'ufficio di Vigilanza ispettiva dell'Inps, tra Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria, erano in tutto 13 i lavoratori in cassa (tra i 7 a zero ore e i 6 in ordinaria), per un importo complessivo di ben 126.468,60 euro di fondi pubblici erogati e un totale di 12.019 ore di cassa. A tanto ammonterebbe il valore della presunta truffa aggravata ai danni dello Stato su cui si concentra la procura di Milano che ha aperto un fascicolo ancora senza indagati.
    I numeri emergono dall'ultima annotazione del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf che le pm Maria Giuseppina Gravina e Laura Pedio hanno depositato al processo civile intentato dai soci di minoranza di Visibilia, con gli avvocati Antonio Piantadosi e Dario Cantoro, in vista dell'udienza di domani, per chiedere l'«ispezione» della società e l'«estensione dell'azione di responsabilità ai nuovi amministratori», dopo il misterioso suicidio di Luca Reale Ruffino.
    L'informativa della Gdf dimostra innanzitutto la «consapevolezza dei responsabili di Visibilia delle irregolarità della condotta societaria». E questo emerge dalla trascrizione di tre telefonate registrate da Federica Bottiglione, l'investor relator di Visibilia che ha fatto causa di lavoro all'azienda quando ha scoperto di essere in cassa «a sua insaputa». E nonostante, nello stesso periodo, avesse prestato servizio anche in Parlamento, grazie a un contratto di consulenza con l'attuale presidente del Senato Ignazio La Russa.
    Il 12 novembre del 2021, Bottiglione «inviperita» telefona a Kunz, il giorno dopo aver scoperto tutto rivolgendosi a un Caf. La risposta «stizzita» viene riportata dalla Gdf: «Prima di tutto, voglio dire, per carità, te ti sei messa in regola eheh e però magari hai messo in difficoltà l'azienda, cosa che invece bastava ne parlassi con noi e non avremmo avuto problemi».Prosegue Kunz: «Siccome sono tutti in queste condizioni... E tutti sanno esattamente come stanno le cose... Era una cosa tacita dove comunque c'era una ottimizzazione che andava bene a tutti…». Kunz cerca di spiegare alla dipendente che non c'è stata alcuna «ostinazione contro di te… So tutti a zero ore. Tutti».
    Kunz chiede così a Paolo Giuseppe Concordia, responsabile della tesoreria del gruppo, di mettere una pezza e «ripristinare al più presto la condizione lavorativa di Bottiglione concludendo la cassa integrazione» ma a lei spiega di «non poter disporre la restituzione all'Inps di quanto percepito poiché comporterebbe un'ammissione dell'irregolarità della condotta societaria».
    «Federica scusami...- dice Kunz al telefono - Adesso, è chiaro che non è che possiamo renderli all'Inps perché sarebbe come ammettere...». Lei risponde: «Ma io lo devo fare». E lui: «Non lo puoi fare, sennò metti nei casini tutti. Adesso ti tiriamo fuori dalla cosa e fine, finisce lì... Poi vediamo... Magari non ti chiediamo dietro neanche quella parte lì… E te la tieni te... Se un giorno te la chiede l'Inps....». La dipendente insiste: «Non me ne importa nulla, però io voglio stare a posto». La risposta di Kunz: «L'unico modo per essere a posto e non fare casino Fede, perché se fai casino, fai un macello». Poi la minaccia: «Ma se ti autodenunci, dopo anche l'azienda, anche noi dobbiamo difenderci... Cioè, poi ci mettiamo l'uno contro l'altro... In maniera sbagliata.. Tutto lì».
    C'è anche una telefonata con Concordia, in cui Bottiglione fa presente che mentre era in cassa ha ricevuto bonifici dell'azienda mascherati da rimborsi spesa chilometrici nonostante il lockdown: «... Che hai lavorato, lo sappiamo io, noi e te. L'Inps non sa che tu hai lavorato, l'Inps…».
  5. SONO REALI : Nel loro piccolo, oltre ad arrabbiarsi, le formiche possono fare danni. Tanti danni. Specie se sono rosse, addirittura di fuoco. Solenopsis invicta, a evocare che finora è imbattuta, la chiamano gli scienziati che ne hanno confermato la presenza in un'area di quasi cinque ettari, a ridosso della foce del fiume Ciane, alle Saline di Siracusa. È l'habitat che la formica di fuoco ha scelto in Sicilia, dopo lo sbarco in Europa, avvenuto attraverso un percorso – con ogni probabilità marittimo – che l'ha fatta arrivare dal Sudamerica al nord di quello stesso continente, poi in Cina, infine in Europa. A Siracusa, appunto. Dove si teme per la salute dell'uomo e delle piante, ma anche per un'altra devastante capacità di questi insetti perniciosi e difficili da debellare: quella di rodere i cavi elettrici, con tutto quello che ne può conseguire per l'alimentazione degli impianti civili e industriali, ma anche delle reti delle connessioni.
    La foce del Ciane è incantevole, spesso al centro di controversie tra ambientalisti e cementificatori, ma adesso il problema è di tipo diverso e non viene affatto sottovalutato da esperti e addetti ai lavori: gli ottantotto nidi individuati potrebbero non essere i soli, in quest'area al confine con la riserva naturale orientata, istituita dalla Regione Siciliana da ormai quasi quarant'anni. E soprattutto, la presenza – adesso certificata da uno studio pubblicato dalla rivista Current Biology, realizzato dall'istituto di Biologia evoluzionistica dell'Università di Barcellona, in collaborazione con gli atenei di Catania e di Parma – non è recente.
    L'area è a sud di Siracusa, a pochi chilometri dal capoluogo di provincia-città d'arte e centro culturale tra i più famosi d'Europa. «Non abbiamo ancora avuto segnalazioni ufficiali – dice Francesco Ferreri, presidente di Coldiretti Sicilia –, ma siamo molto preoccupati per gli effetti che questa nuova vicenda potrebbe avere su un'agricoltura isolana già fiaccata da mille altri problemi. Perché con ogni probabilità questi insetti continuano ad arrivare e ad espandersi. L'area sud-orientale della Sicilia è ricca di aziende che si dedicano all'ortofrutta, alla zootecnia, alla viticoltura, all'olivicoltura, agli agrumi, ai fiori. Ancora facciamo i conti con le devastazioni paesaggistiche provocate dal punteruolo rosso, che ha distrutto palme di ogni epoca e dimensione, non solo nell'Isola, ma soprattutto da noi, dove ce n'erano tantissime». La capacità di rosicchiare può lasciare i cavi elettrici scoperti e privi della protezione dei materiali isolanti: e questo non fa dormire sonni tranquilli a Lorenzo Bazzana, responsabile per l'Economia di Coldiretti nazionale. «Possono provocare black-out – dice – ma soprattutto interrompere il segnale della rete Internet, fermando così comunicazioni e produzione, danneggiando le imprese. Proprio nei giorni scorsi avevamo diffuso un comunicato per elencare tutti i parassiti che colpiscono il nostro settore: riteniamo che abbiano già provocato danni complessivi per un miliardo di euro. Sono come le piaghe d'Egitto: ci sono ancora le cavallette in Sardegna e nell'Appennino romagnolo, ma non solo».
    La segnalazione raccolta dagli studiosi, informati da un abitante della zona delle Saline aretusee, punto dalla formica rossa, è servita da input per dare la caccia a questo insetto, che col suo pungiglione acuminato provoca negli esseri umani reazioni cutanee simili a bruciature e vere ustioni e da qui il nome di formica del fuoco. Se gli allarmi delle aziende agricole e industriali della zona tardano ad arrivare (molti hanno appreso della finora mini-invasione dai giornali di ieri) è la gente comune a segnalare la presenza della particolarmente aggressiva formica, «almeno dal 2019», in particolare da chi abita in villette vicine a un vivaio: «I formicai – dice un residente, che preferisce restare anonimo – sono a punta, pericolosissimi se li si calpesta. Inutile qualsiasi tentativo di allontanarli: medicinali a siringa, metodi fai da te. Non funzionano».
    L'Enel finora non ha dato al proprio personale della zona aretusea indicazioni particolari su contromisure da adottare, nessun danno è stato segnalato, a parte quelli provocati dai topi, che si intrufolano dove trovano aperture. Le formiche però non hanno bisogno di fessure e i capi unità della zona del Siracusano ieri sono stati invitati a vigilare e a raccogliere eventuali segnalazioni dai residenti di una zona che ancora definire infestata è prematuro.
    Si muovono anche gli scienziati, gli stessi che hanno scoperto la Solenopsis invicta: «Tramite il sito dell'Università di Parma – dice Enrico Schifani, biologo – si può pure scaricare un'app da cellulare, che può essere usata per le segnalazioni da inviarci. Noi le raccoglieremo in un progetto dedicato al modo per affrontare la formica del fuoco». —
  6. CON QUESTA SITUAZIONE SANITARIA VOLETE RIELEGGERE CIRIO ? L'ambito, deficitario, è sempre lo stesso: quello ambulatoriale. Non a caso, l'ultimo alert in ordine di tempo -il sondaggio dell'Osservatorio Sanità condotto da Nomisma per UniSalute -non verte sui ricoveri ma su visite ed esami.
    I torinesi fanno meno accertamenti del necessario, anche rispetto ad altre regioni: il 33% contro un 41% di media nel resto d'Italia. Il dato, oltretutto, è in calo rispetto al 42% del 2022, e in controtendenza rispetto alla crescita registrata dalla media nazionale e dalle altre città oggetto dell'indagine. A conferma di questo, solo il 39% delle donne torinesi è andata dal ginecologo nell'ultimo anno, e il 66% dei torinesi non svolge una visita dermatologica da molti anni. Ancora: quasi un torinese su due (48%) oggi si cura soltanto quando comincia a soffrire di un disturbo o di una malattia. Sostanzialmente stabile la quota di chi dice di non fare nulla di particolare per tutelare la propria salute (9%, contro il 10% dell'anno scorso).
    Meno prevenzione, più rischi per la salute. Prima di spiegare il perchè, conviene capire di quali sono i controlli oggetto dell'indagine, che periodicamente sonda l'attitudine alla prevenzione degli abitanti di varie città italiane.
    Le analisi del sangue risultano il controllo più effettuato: lo hanno svolto nell'ultimo anno circa tre torinesi su quattro (74%). Al secondo posto l'esame delle urine, che più di uno su due (54%) ha effettuato negli ultimi 12 mesi. Appaiono invece più trascurati altri esami importanti, come la visita dermatologica per il controllo dei nei: nonostante la crescente pericolosità dell'esposizione eccessiva ai raggi solari, due torinesi su tre (66%) dichiarano di aver fatto l'ultima visita di questo tipo "molti anni fa", o addirittura di non averla mai fatta, e solo il 17% l'ha svolta negli ultimi 12 mesi.
    Guardando al campione femminile, emerge come poco più di un terzo (39%) delle donne si sia sottoposta a una visita ginecologica nell'ultimo anno, con più di una su quattro (28%) che addirittura non ha mai svolto questo controllo o non lo effettua da molti anni. Di conseguenza, soltanto il 32% dice di essersi sottoposta a un Pap test negli ultimi 12 mesi.
    Naturalmente si tratta di capire per quale motivo i torinesi si sottopongono a controlli regolari meno degli abitanti di altre grandi città, oltre che al resto del Piemonte: la cosa migliora è lasciare a loro risposta. Non a caso, l'indagine ha sondato le ragioni. «Da quanto emerso, la difficoltà ad accedere alle cure risulta un ostacolo importante: tra chi non ha svolto alcun controllo nell'ultimo anno - si legge nel report -: ben il 21% dà come motivazione i tempi di attesa troppo lunghi, e il 20% i costi troppo elevati». Cause dirette. Quella sui tempi di attesa, peraltro, non è una novità. E questo, nonostante gli sforzi della Regione per migliorare. Questione di organici, in primis, non solo a Torino. Secondo gli ultimi dati di CIMO-Fesmed Piemonte, diffusi ieri, negli ultimi 5 anni il numero di professionisti piemontesi che operano in strutture sanitarie pubbliche è calato di circa 1500 unità, «un dato allarmante che impatta in modo determinante sull'erogazione dei servizi verso i cittadini».
    Ma sempre secondo l'indagine, «c'entra anche una scarsa cultura della prevenzione, tanto che le motivazioni più citate sono la tendenza a fare visite solo quando ci si sente poco bene (29%), e soprattutto la convinzione di non avere bisogno di fare controlli (30%)». Resta da capire se questa propensione, diciamo così, è una decisione volontaria o una scelta obbligata, stante la difficoltà di accedere alle prestazioni: l'una e l'altra, probabilmente.
  7. VERTICI RFI SOTTO PROCESSO ? Tragedia di brandizzo, l'operaio della si.gi.fer cisternino ieri è stato interrogato dai magistrati
    "I tecnici Rfi lasciavano il cantiere quando eravamo ancora sui binari"
    andrea bucci
    Per oltre quattro ore davanti ai magistrati di Ivrea Giulia Nicodemi e Valentina Bossi ha raccontato come si svolge il lavoro lungo i binari. Qual è la prassi. È Giuseppe Cisternino, dipendente Si.Gi.Fer, che ieri è stato ascoltato come persona informata dei fatti. Uno degli operai che, da giorni sono convocati negli uffici giudiziari di Ivrea, chiamati a raccontare come si svolgevano i lavori nei cantieri lungo i binari della rete ferroviaria. In possesso della qualifica di tecnico di primo livello, Cisternino ha spiegato che probabilmente nemmeno poteva effettuare quelle lavorazioni lungo i binari: «Perché non abbiamo ancora le mansioni».
    Quella notte tra il 30 e il 31 agosto Giuseppe Cisternino avrebbe dovuto lavorare con la squadra di operai travolti dal treno. «La chiamata non è mai arrivata. Sapevo che volevano aggregarmi a loro», sospira mentre quattro militari della polizia giudiziaria della guardia di finanza verbalizzano il suo racconto. Era cresciuto insieme a Kevin Laganà (una delle cinque vittime). Si conoscevano da piccoli e forse proprio per questo, oggi, ha scelto di raccontare una volta per tutte come funziona il lavoro. E confessa che, se quella notte avesse lavorato lungo il binario 1 a Brandizzo, forse, si sarebbe accorto del treno e avrebbe potuto avvisare. Ma il destino ha voluto diversamente.
    Ai magistrati, Cisternino, ha confermato come la prassi di scendere in anticipo lungo i binari fosse una consuetudine. Motivo? «Per terminare il lavoro prima del tempo e andare a casa in anticipo». Poi ha raccontato come, spesso, i tecnici di Rfi abbandonassero il cantiere prima del termine delle operazioni: «Avrebbero dovuto essere i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via dal cantiere e invece se ne andavano sui furgoni lasciando gli operai da soli». Ai magistrati Cisternino ha poi raccontato un altro particolare. Quando dovevano scendere lungo i binari della linea ad Alta Velocità dove transitano i Frecciarossa e Italo lavoravano a cinque centimetri dai convogli in transito, rischiando la vita.Bastava un niente per essere risucchiato.
    Cisternino non ha paura di svelare come si svolge il lavoro e con l'audacia dei ventenni confessa: «A gennaio mi scadrà il contratto in Si.Gi.Fer. Ma io non ho alcuna intenzione di tornare a lavorare per l'azienda di Borgo Vercelli. L'ho capito dopo questa tragedia dove ho perso non solo colleghi di lavoro, ma degli amici».
    Intanto l'inchiesta prosegue. Gli indagati, al momento, restano due: Antonio Massa, il preposto Rfi e Andrea Gibin Girardin, capo cantiere della Si.Gi.Fer. Domani inizierà il lavoro del superconsulente informatico, un luogotenente della guardia di finanza, incaricato di analizzare i Dis (registratori di eventi di marcia e di condotta) installati sulla pilotina e sulla motrice del treno. E sui tablet in dotazione ai macchinisti e su due telefonini di due delle cinque vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Lombardo). Un lavoro che si preannuncia lungo, ma che potrebbe portare a delle nuove decisioni dei magistrati che si occupano di questa enorme tragedia.

 

 

 

 

 

 

12.09.23
  1. CHI PAGA LO SCONTO CINEMA ? :     Niente fondi per l'aumento di spesa alle strutture private convenzionate
    Le liste di attesa sono la vera piaga della nostra sanità: quattro milioni di italiani che non hanno i soldi sono costretti a rivolgersi al privato o rinunciare alle cure. Il ministro della Salute Orazio Schillaci era riuscito a far aumentare da 50 a 80 euro la remunerazione oraria per le prestazioni aggiuntive taglia-liste, ma ora difficilmente porterà a casa l'innalzamento del tetto di spesa per il privato convenzionato, una soluzione permetterebbe di aumentare l'offerta e ridurre i tempi di attesa ma che costano 130 milioni per ogni decimale in più. I soldi ci sono o per i medici o per le cliniche, per cui agli assistiti che restano intrappolati nelle liste di attesa resta la legge che consentirebbe loro di rivolgersi direttamente al privato, con automatico rimborso pubblico quando si superano i tempi massimi di attesa. Una possibilità teorica, perché con 15 miliardi di Fondo sanitario eroso dall'inflazione e solo in minima parte rifinanziato, le Asl continueranno ad essere in debito di ossigeno e fare quel che fino ad ora hanno sempre fatto: disapplicare la legge.In nove casi su dieci macchinari obsoleti Risorse per gli acquisti dai fondi europei
    Se le liste d'attesa si allungano, se aumentano le diagnosi tardive di tumore, se sempre più giovani medici fuggono all'estero e l'assistenza domiciliare resta un miraggio per la quasi totalità dei nostri anziani si deve anche al Jurassic park tecnologico della nostra sanità, dove l'89 per cento delle strutture utilizza macchinari obsoleti. Ora il Pnrr finanzia con 1,2 miliardi il rinnovo del parco macchine ospedaliero, ma il rischio è che non ci siano industrie disposte a consegnare le apparecchiature diagnostiche. Questo perché il governo proverà a non far pagare alle imprese il miliardo circa di pay back, ossia il ripiano dello sfondamento del tetto di spesa per il periodo 2019-22, così come pare disposto ad aumentare lo stesso tetto di spesa di due miliardi in due anni, al ritmo di poco meno di 700 milioni l'anno. Per l'altro miliardo che resta da saldare per il 2015-18 niente da fare. Le centinaia di aziende che hanno presentato riscorso al Tar hanno già minacciato di ritirarsi dal mercato se costrette a saldare il conto di quello che hanno ordinato Asl e ospedali.
  2. LA SICUREZZA CHE TENDE A 0: Matteo Piantedosi, ultimo di una lunga serie di ministri che lamenta tagli alla sicurezza, ha detto esplicitamente qualche giorno fa al forum di Cerobbio: «I fattori di legalità non devono far parte della contrazione della spesa». Perché questa è la paura al Viminale: che i fondi vengano tagliati in maniera lineare a tutti i ministeri.
    Chi si occupa delle forze di polizia, ricorda con angoscia ciò che accadde nel 2012. Anche all'epoca c'era una emergenza per le Casse dello Stato e arrivò la mannaia di Mario Monti. Addio assunzioni per diversi anni, riduzione del parco auto, dei presidi e di tutto il resto. I danni si vedono ancora. Quest'anno mancano all'appello almeno 11 mila carabinieri, il 9,5% della forza prevista. E rispetto alle piante organiche del 2012, la polizia è priva di ben 20 mila agenti.
    «Il saldo negativo pesa molto sulla struttura organizzativa, condizionando in particolar modo l'operatività delle unità minori: le stazioni e le tenenze», ha detto qualche mese fa in Parlamento il comandante generale dei carabinieri Teo Luzi. I freddi numeri però dicono poco di quello che davvero accade sul campo. Ci parlano di quantità, non di qualità. Non raccontano fino in fondo quanto il personale abbia la lingua di fuori.
    «Da dove vogliamo iniziare?», chiede retorico un sindacalista. Cominciamo con l'esplosione degli straordinari. Agli agenti e ai carabinieri viene richiesto di fare molte più ore dell'orario previsto. Ore che dallo Stato vengono pagate poco e addirittura con 18 mesi di ritardo. «Ma la vita delle nostre famiglie - racconta Pietro Colapietro, segretario del Silp-Cgil -, come immaginate, è un po' particolare. In tanti piccoli centri, specie al Sud, i nostri sono "i figli del poliziotto". I ragazzi sono molto soli. E noi padri non ci siamo mai perché dobbiamo fare i doppi turni. È un grosso problema di cui nessuno si cura». Se si ascolta un carabiniere, il tono non cambia: c'è sui social il video di un maresciallo dell'Arma, rappresentante del Cocer, che illustra i problemi a un sottosegretario. Ha già raggiunto un milione di visualizzazioni e picchi di commenti, specie quando il carabiniere dice: «Ci chiedete sacrificio. Ma il sacrificio non ci garantisce la dignità. Quando magari si hanno due figli e a fine mese bisogna scegliere se comprare i jeans all'uno o le scarpe all'altro. E si deve decidere perché ci sono le utenze e quant'altro... I colleghi che sono al Nord, poi, dove la vita costa di più, sono ridotti alla cessione del quinto dello stipendio. Questo grava sulla serenità». In gergo è detto «burn-out», quelli che scoppiano. Sintesi brutale di Colapietro: «La nostra gente non ce la fa più. Abbiamo numeri altissimi di suicidi».
    Vista da fuori, poi, quella della sicurezza è una macchina che funziona a singhiozzo. In troppe stazioni dei carabinieri, dopo 6 ore si chiude la porta e c'è solo un citofono. Molti commissariati non ci sono più. Sono scomparsi tanti presidi della polizia stradale o della polizia ferroviaria. «Diciamola tutta: il controllo del territorio com'era una volta ormai ce lo sogniamo. Poco personale significa avere poche volanti», dice Felice Romano, segretario del Siulp.
    A Bari, per fare un esempio, quindici anni fa, prima della grande sforbiciata, ogni notte uscivano 16 o 17 volanti con tre persone di equipaggio; attualmente è tanto se ce ne sono 5, con due soli agenti a bordo. E così è dappertutto.
    Il problema è clamoroso con la Stradale: le pattuglie sono talmente poche, e quelle poche sono riservate alle autostrade per via di una convenzione non eludibile, che in sostanza la polizia ha smesso di presidiare la viabilità ordinaria. Arrivano solo su chiamata quando c'è qualche brutto incidente. Di controlli a campione, specie con etilometri, sempre meno.
    E quando il ministro Piantedosi promette che riaprirà i posti fissi di polizia negli ospedali, c'è chi fa due conti e sa che non potrà succedere se non per casi eccezionalissimi. Questione di aritmetica.
    La politica era stata avvertita per tempo. I capi della polizia e i comandanti dei carabinieri non hanno mai nascosto il problema. Il prefetto Franco Gabrielli, nel 2018: «Mi capita di vivere nel paese di Alice. Per un certo periodo si è immaginato che poliziotti, carabinieri e finanzieri fossero troppi e quindi si bloccava il turn-over. Improvvisamente ci si sveglia e ci si accorge che c'è qualcosa che non va». Il suo successore Lamberto Giannini, nel 2022: «La stagione che ci attende ci presenterà il conto del turn-over con tanti colleghi che andranno in pensione». Il comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli, nel 2013: «Il mancato turn-over del personale ha portato una progressiva carenza di effettivi, oggi pari a circa 6.400 unità». Il generale Giovanni Nistri, nel 2020: «Abbiamo una carenza di oltre 10 mila unità. Sul piano pratico equivale a ben 1.000 stazioni di media consistenza». Fino all'ultimo, Teo Luzi, che nell'aprile scorso parlava del progressivo invecchiamento del personale: «L'età media dei carabinieri oggi è di quasi 44 anni, di molto superiore alla media di dieci anni fa. Un'evidente criticità per una forza armata e di polizia che fonda la propria funzionalità anche sul requisito dell'efficienza e della prestanza fisica».
    I risultati, in termini di arresti e di inchieste, sono sempre imponenti. Nei primi sette mesi dell'anno, sono 434.940 le persone denunciate dalle forze di polizia (erano 490.097 nello stesso periodo del 2022). Ma a prezzo di uno sforzo sempre più pesante per chi veste la divisa. E bisogna sapere che le cose peggioreranno.
    Le statistiche, infatti, come i famosi polli di Trilussa, vanno lette bene. In polizia chi davvero manca sono i detective, ovvero gli ispettori. Sono la colonna portante, quelli che conducono le indagini: secondo organico, dovrebbero essere 24 mila e ce ne sono appena 12 mila. «Ma sono quelli più vicini alla pensione, perciò entro il 2032 si scenderà a 5 mila ispettori a meno di concorsi straordinari. Se non si corre ai ripari, la polizia va in tilt», dice amaramente Felice Romano. Un'ipotesi del Siulp è permettere, su base volontaria, agli ispettori - che come tutti in polizia vanno in pensione a 60 anni - di restare almeno un paio d'anni al lavoro. «Anche per garantire la trasmissione delle competenze».
    Un problema analogo ce l'ha l'Arma, con i comandanti delle 4.500 stazioni, i mitici marescialli. Assumerli è il meno. Ciò che conta è formarli sul campo, lentamente, progressivamente, mettendoli alla prova. Devono avere capacità di investigazione, ma soprattutto di leadership. Perché lo Stato, specie nei piccoli Comuni, alla fine sono loro. —
  3. UN ESEMPIO PER IL MONDO : «Non preoccupatevi per me. Questa è una battaglia e, nel nome di mio figlio, la combatterò fino alla morte». A cinque giorni dall'anniversario dell'assassinio di Mahsa Amini rimbalzano dall'Iran le parole di Mahsa Yazdani, arrestata due settimane fa a Sari semplicemente perché mamma dello studente ventenne Mohammad Javad Zahedi, una delle prime vittime della rivoluzione "Donna, vita, libertà". Mohammad è stato ammazzato dalla polizia religiosa il 22 settembre 2022 durante una manifestazione per l'emancipazione delle ragazze dal velo, ma, come quella degli oltre 500 morti dall'inizio delle proteste, la sua presenza grava sul regime minacciosa come fosse reale. Ecco perché i pasdaran braccano in queste ore le madri, gli amici e i parenti di chi è ormai un'icona di libertà. Prima è toccato a Safe Aeli, uno zio di Mahsa Amini rinchiuso preventivamente nel carcere di Evin, poi al padre e alla sorella di Mohammad Hassan Zadeh, al fratello quindicenne di Esmail Barahouei, ai genitori di Javad Rouhi: una cella per ciascun seme, il buio impenetrabile contro la luce che non si spegne.
    Da settimane in Iran incombe il conto alla rovescia. Il 16 settembre è là, dietro l'angolo, il giorno in cui il malcontento sociale ha assunto il volto livido di Mahsa Amini e a distanza di dodici mesi proietta la sua ombra sul presente, appuntamento catartico del cambiamento in potenza. Sebbene per le strade non si vedano più i cortei massicci di un anno fa la protesta è tutt'altro che domata e le ragazze a capo scoperto sono sempre più numerose, a Teheran come nelle provincie remote del Sistan-Baluchestan e del Kurdistan. Prova ne sia la morsa che la teocrazia ha stretto intorno al Paese ribelle. Una morsa doppia.
    Da una parte c'è il pugno di ferro vero e proprio, l'autoconservazione sanguinaria della Repubblica islamica: almeno mille impiccagioni eseguite dall'estate scorsa a oggi (solo 7 delle quali ufficialmente legate alle proteste), un record anche per gli ayatollah; il nuovo regolamento che prevede fino a 15 anni di reclusione per trasgressione del codice di abbigliamento islamico e il divieto ai tassisti di trasportare passeggere senza hijab; la chiusura imposta ai locali più accomodanti come il parco acquatico Mojhaye Khoroushan, reo di aver tollerato la clientela meno osservante. Dall'altra c'è l'offensiva diplomatica con cui Teheran cerca di divincolarsi dalla condanna internazionale: l'annunciata nuova cooperazione con Riad, l'asse con la Russia e il dialogo energetico con la Turchia, la mano tesa all'Europa (come ribadito domenica al rappresentante speciale dell'Ue per il Golfo Persico Luigi di Maio) in vista dall'imminente fine dell'embargo sulle armi secondo l'accordo sul nucleare del 2015. Eppure, per quanto il governo iraniano sigilli il Paese per soffocarne le voci, come di fronte ad ogni sfida interna dal 1979, l'impressione è che stavolta la terra continui e continuerà a tremare.
    Sono le donne a scuotere il sistema, le giovanissime e le loro madri, vinte dall'audacia di una generazione satura di compromessi e utopie riformiste. Sono gli uomini, quelli che si schierano a testuggine in difesa delle compagne e muoiono. È la giornalista ventitreenne Nazila Maroufian, arrestata e rilasciata a singhiozzo per mesi dopo aver intervistato il padre di Mahsa Amini e oggi di nuovo in carcere, dove ha iniziato lo sciopero della fame e ha denunciato di essere stata stuprata dalle forze di sicurezza («rivelo questo abuso per me stessa e per tutte quelle che sono state soggette a violenza e abusi sessuali durante il loro arresto ma hanno paura di parlarne»). È Suzan Eid Mohammad Zadegan, rapita dai pasdaran in quanto donna disobbediente e in quanto baha'i, una delle minoranze più perseguitate in Iran insieme ai beluci, agli azeri e ai curdi come la stessa Mahsa Amini e come Soheila Mohammadi, detenuta politica nella prigione di Urmia dove si è cucita le labbra per denunciare le umiliazioni impostale e la persecuzione dei curdi, ai quali territori quest'estate il governo negava l'acqua per spegnere gli incendi come rappresaglia contro il sostegno alla rivoluzione. È Zaynab Kazemi, condannata a 74 frustate per aver parlato a un evento dell'Assemblea degli ingegneri di Teheran scoprendosi il capo e puntando l'indice contro i colleghi attoniti («Non riconosco un'assemblea che non permette alle donne di essere candidate se non portano il velo"). E sono gli uomini, tantissimi, uomini come Mehdi Yarrahi, il musicista quarantunenne che canta l'epopea delle "donne libere della sua terra" e che, accusato di "sfidare la morale e i costumi della società islamica", è stato prelevato dalle forze di sicurezza ed è scomparso. Sue sono le parole che in queste settimane segnano il ritmo del countdown nelle mille clip delle ragazze danzanti sulle note di "RooSarito", in farsi "il tuo velo". I social consentono di identificare i ribelli, ma i social tengono tuttora in vita la ribellione.
    «Non so se di questi dodici mesi siano stati più crudeli e cinici l'assassinio dei manifestanti spacciato per suicidi o incidenti, lo stupro delle detenute, le minacce ai genitori di chi è stato ucciso, ma è comunque una sequela di crimini che dovrebbe concludersi in un tribunale di qualche Stato che voglia esercitare la giurisdizione universale, portando a processo le più alte cariche dell'Iran» ragiona il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury. Ce ne vorrà di tempo, se solo una settimana fa la Fondazione Nobel aveva pensato bene d'invitare i rappresentanti della Repubblica Islamica d'Iran (oltre a quelli russi e bielorussi) alla cerimonia di consegna dei premi salvo poi revocare il tutto dopo le «forti reazioni della società svedese». Ce ne vorrà. Intanto c'è il 16 settembre, domani. —
  4. INTOCCABILE. CHI LA TOCCA MUORE : Gli azionisti di minoranza di Visibilia "Nuovo Cda ancora in mano a Santanchè"
    Nessun rilancio di Visibilia Editore, nessuna «netta cesura tra il vecchio organo gestorio e quello in carica». La governance attuale - che fino al misterioso suicidio faceva capo a Luca Giuseppe Reale Ruffino - di fatto opererebbe «in continuità» con la precedente, proseguendo anche nella «dolosa manipolazione delle voci di bilancio» che ha fatto finire indagata la ministra al Turismo Daniela Santanchè.
    A rilanciare la battaglia sono gli azionisti di minoranza che, in vista della discussione della causa civile nell'udienza del 14 settembre, hanno depositato una nota al Tribunale di Milano, chiedendo non solo di «ordinare l'ispezione dell'amministrazione al fine di verificare la sussistenza delle irregolarità denunciate», ma anche di «revocare amministratori e sindaci e nominare un amministratore giudiziario della società».
    Già nell'estate del 2022, era stato il gruppo di soci, che rappresentano più del 5 per cento del capitale, con gli avvocati Antonio Piantadosi e Dario Cantoro, a denunciare le presunte gravi irregolarità dando il via anche all'inchiesta su Santanchè, finita nel registro degli indagati per falso in bilancio e bancarotta fraudolenta. La pm Maria Giuseppina Gravina e l'aggiunta Laura Pedio, titolari del fascicolo, si sono costituite nel giudizio civile. E il 22 giugno hanno depositato le consulenze del professore Nicola Pecchiari che dimostrano - sottolineano i soci di minoranza - che «laddove i nuovi amministratori avessero proceduto a una seria revisione delle voci di bilancio, lo stato patrimoniale sarebbe evidentemente di assoluto dissesto», nonostante «la più che rosea rappresentazione fornita dall'organo gestorio» dopo l'approvazione anticipata della semestrale. Le voci di bilancio alterate «quantomeno a partire dal 2016 - quando secondo le valutazioni Pecchiari, tra svalutazione degli avviamenti e dei crediti, il patrimonio netto negativo era di fatto pari a 4 milioni di euro - non sono infatti mai state modificate dagli attuali amministratori».
    Tra le altre cose, i soci si chiedono «come si faccia ad attribuire da anni il valore di 735 mila euro ai marchi di una società in costante perdita?». Un capitolo a parte è stato destinato alla scarsa trasparenza rispetto al «rientro dei crediti» avanzati dalle altre società del gruppo, «già pesantemente indebitate». Soprattutto si sottolinea che il contratto di accollo sottoscritto da Santanchè rispetto al debito da oltre un milione e 800 mila euro di Visibilia in liquidazione Srl, salvata dal fallimento grazie a un accordo con l'Agenzia delle entrate, «era stato condizionalmente sospeso all'accoglimento da parte del Tribunale della domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione». E questo non solo «non risponde a un'utilità della società, ma è chiaro indice del permanere di rapporti e interessi coltivati con la vecchia controllante, il cui capitale sociale è detenuto al 95 per cento ancora da Santanchè». Del resto, anche «il compianto Ruffino, aveva già in passato detenuto una partecipazione rilevante in Visibilia Editore, concorrendo ad approvare il bilancio di esercizio del 2019», tra quelli finiti sotto la lente dei pm.
    Ancora, i soci denunciano la mancata trasparenza nel recesso del contratto col fondo Negma e soprattutto «delle verifiche effettuate in merito alla provenienza dei fondi versati nelle casse di Visibilia». Per non parlare della «irregolare» scalata di Ruffino in Visibilia, che ha superato il 70 per cento del capitale senza promuovere l'Opa, rendendo necessario il recente intervento della Consob.
  5. SE QUESTO E' UN PM : Maltrattamenti alla moglie il pm chiede l'assoluzione "È un fatto culturale"
    Le violenze e i maltrattamenti a discapito della moglie non vanno puniti se questi fanno parte dell'impianto culturale del paese d'origine del marito. Questo il senso delle conclusioni scritte dal pubblico ministero di Brescia Antonio Bassolino che ha chiesto l'assoluzione per un uomo del Bangladesh, residente a Milano, denunciato nel 2019 per maltrattamenti e violenza sessuale da quella che oggi è la sua ex moglie, nonché cugina, 27 anni, nata in Bangladesh ma residente in provincia di Brescia dall'età di 4 anni.
    «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato – scrive il pm – sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima». Le offese, le minacce, gli anni trascorsi segregata in casa con le sue due bambine, gli schiaffi denunciati dalla donna durante il processo, rientrerebbero cioè nel campo dei reati culturalmente orientati, ragion per cui l'uomo va assolto. «La disparità tra l'uomo e la donna – scrive ancora il pm – è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine». Come dire, sapevi che le cose stavano così, adesso non puoi ribellarti. Cosa che invece la 27enne ha fatto nel 2019, lasciando il marito e denunciandolo per maltrattamenti fisici e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l'imputazione coatta per l'uomo. In dibattimento poi i maltrattamenti sembrano essere stati provati, anche se, scrive il pm, «si tratterebbe di condotte episodiche maturate in un contesto culturale che, inizialmente accettato dalla parte offesa, si è rivelato per costei nei fatti intollerabile proprio perché cresciuta in Italia». Quasi fosse una colpa per la donna aver vissuto in una società laica e civilizzata.
    L'ultimo atto del processo è in calendario per i primi giorni di ottobre, quando si conoscerà il destino dell'imputato. Intanto però la vicenda è esplosa sul piano politico ed è stato per primo Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d'Italia, a invocare «un'ispezione urgente alla procura di Brescia» promettendo sul fatto un'interrogazione parlamentare al ministro Nordio. La senatrice del Pd Valeria Valente, componente della Commissione Bicamerale contro il femminicidio e la violenza di genere, ha parlato invece di «parole gravi (quelle del pm ndr) perché finiscono con il giustificare proprio la cultura patriarcale contro cui combattiamo per contrastare la violenza sulle donne». —
  6. LE CONTRADDIZIONI NAZIONALI CHE CI METTONO FUORI DALLA CIVILTA' : L'ultima puntata del braccio di ferro tra il governo e le Ong ha il sapore del paradosso. Passa dalla richiesta di realizzare una pista di elisoccorso su una nave che non ha neanche metà dello spazio necessario.
    Passa dall'autorizzazione a uscire in mare ma solo come nave mercantile, non per operazioni di ricerca e soccorso. Passa dall'ordine «di rimuovere le attrezzature e gli equipaggiamenti imbarcati a bordo per lo svolgimento del servizio di salvataggio».
    Così la Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans, l'unica imbarcazione civile che batte bandiera italiana, si trova davanti a un dubbio amletico: uscire in mare senza attrezzature di salvataggio (ma come si fa a soccorrere migranti facendo a meno di salvagenti, battelli gonfiabili e farmaci?) oppure sfidare i divieti e munirsi degli equipaggiamenti rischiando tre anni di reclusione e una multa salata. «Stiamo valutando il da farsi – dicono dalla Ong – ma questo ordine è per noi semplicemente oltraggioso è inaccettabile così come la minaccia di conseguenze penali per i nostri armatori. Contesteremo questo provvedimento in ogni sede».
    L'aut aut arriva al termine dell'ispezione-fiume delle autorità marittime italiane, durata dal 22 agosto al 6 settembre, che blocca la ripartenza delle attività della Mare Jonio, ferma per lavori sin dal giugno 2022.
    Cavilli burocratici. Anzi, secondo la Ong, pretesti. «Nonostante la nave sia riconosciuta come ben equipaggiata per l'attività di ricerca e soccorso e sia stata per questo certificata del Registro navale italiano, il Rina – spiegano dall'organizzazione – non risponderebbe ai criteri di due circolari emanate dalle autorità nel dicembre 2021 e febbraio 2022, che richiedono particolari caratteristiche tecniche dello scafo corrispondenti al codice internazionale SPS emanato nel maggio 2008. Pretesa in sé assurda, e aggravata dal fatto che il governo italiano vorrebbe far diventare questo lo standard per tutte le bandiere europee, in modo da ostacolare l'intera flotta civile».
    Rincara la dose don Mattia Ferrari, parroco impegnato sui migranti e cappellano della Ong. «La risposta delle autorità di per sé non fa una piega, loro stanno applicando delle circolari. Infatti noi non ce la siamo presa con loro, ma con il governo che attraverso queste circolari fa sì che la Mare Jonio non possa essere adatta per il soccorso civile in mare. Solo che questa normativa esiste solo in Italia. È fatta apposta per impedire che ci siano navi del soccorso civile battenti bandiera italiana».
    Adesso la battaglia sarà tutta legale: possibile applicare le circolari retroattivamente? Possibile chiedere a un cargo adeguamenti strutturali che non può tecnicamente fare? Possibile che l'Italia ponga condizioni restrittive rispetto alla normativa internazionale?
    Il sottotesto è molto chiaro, per un governo che ha emanato decreti sempre più restrittivi per le attività di ricerca e soccorso delle navi Ong, dal divieto di effettuare più salvataggi nella stessa missione (e pazienza se la nave è mezza vuota e sulla rotta trovi altri disperati che stanno per annegare) all'assegnazione del porto sicuro lontano centinaia di miglia dal Canale di Sicilia.
    Una guerra a colpi di circolari, commi e cavilli, ben lontana dagli scontri frontali, dichiaratamente ideologici, ai tempi di Salvini ministro degli Interni.
    Una guerra più sottile, ma non meno dura. —
  7. L'ex operaio della Sigifer: "Un treno mi ha quasi travolto perché nessuno mi aveva avvertito di eventuali passaggi"
    "Io mandato a lavorare sui binari senza aver fatto la formazione"

    Leonardo Agusta non lo scorderà mai il primo giorno di lavoro alla Sigifer - l'azienda per cui lavoravano le cinque vittime della strage di Brandizzo - dove aveva spedito il suo curriculum appena finito la quinta superiore. «Mi chiamarono quasi subito, avevo 18 anni e non avevo seguito nessun tipo di corso per lavorare sui binari – ricorda -. Mi mandarono subito al lavoro con la squadra dei colleghi, così, senza alcuna istruzione». Il cantiere era alla stazione di Orbassano, nell'hinterland di Torino: «Arrivammo alla stazione e il mio capo squadra mi fece prendere una "pattina", quella specie di tavola che va su e giù per la strada ferrata e serve per depositare gli attrezzi utilizzati dagli operai. Io la sistemai su uno dei binari, ma nessuno mi avvertì di eventuali passaggi dei convogli, se c'era pericolo insomma, cioè nessuno mi disse niente e io che ne sapevo….». Affila lo sguardo: «A un certo punto sentii un rumore, mi girai e vidi il treno che passava e distruggeva la pattina. Mi buttai a terra terrorizzato. Per fortuna non ero proprio all'interno della sede dei binari, o adesso non sarei qui a raccontarla».
    E oggi quel ricordo a «Leo», 23 anni, di Vercelli, fa ancora più male. Perché lui quei ragazzi e quei padri di famiglia che sono stati straziati dal treno alla stazione di Brandizzo due settimane fa li conosceva tutti e, con alcuni, ha anche lavorato gomito a gomito, scherzato, condiviso ansie e progetti. «Con Kevin Laganà sono cresciuto, per me era più di un amico – dice – invece Giuseppe Lombardo è stato il mio vicino di casa per anni, anche lui una persona eccezionale, come tutta la sua famiglia». È proprio per questo Agusta è ancora più arrabbiato. «Io alla Sigifer ci sono stato due anni e due mesi e poi me ne sono andato perché mi hanno costretto a lasciare senza rinnovarmi il contratto – si sfoga -. Mi hanno isolato perché io parlavo troppo, mi lamentavo, ai capi squadra lo dicevo che, prima o poi, qualcuno finiva male con i loro metodi dove tutto era lasciato al caso. Niente. L'importante era guadagnare e fare in fretta, lavorare giorno e notte, sempre di corsa, alla faccia delle precauzioni e dei treni che dovevano ancora passare. Io, quando tornavo a casa, lo raccontavo anche ai miei come andavano le cose, ero davvero perplesso».
    Il primo stipendio di Agusta era di 800 euro al mese che, nel tempo, sarebbero poi passati a 1.100 o 1.200 come i suoi colleghi con più anzianità. «Si ma con turni massacranti e pure il sabato e la domenica che spesso non ci venivano nemmeno pagati» - evidenzia il ragazzo. Che alla Sigifer, però, ha conosciuto anche quello che ricorda come un «capo squadra serio». «Antonio sì sì, quello ci faceva sempre vedere il foglio di servizio dove c'era l'okay per quando noi potevano entrare a lavorare sui binari senza rischiare nulla – ricorda -. Se qualcuno voleva fare prima o accorciare i tempi per finire prima volevano parole grosse, urla, e quello ci pigliava pure a pietrate certe volte. Si metteva a urlare: "Se poi uno di voi perde la gamba sotto un treno sono cavoli miei, la responsabilità è mia"».
    L'unico? «Si l'unico – risponde il 23enne – tutti gli altri capo squadra che ho avuto io dicevano "Voi fate quello che vi dico io", poi il foglio dell'autorizzazione arriva».
    L'ex dipendente della Sigifer snocciola poi un altro episodio che può far capire meglio l'ambiente di lavoro. «Una volta presi la scossa ad un braccio e, ovviamente, restai a casa in infortunio anche perché era stata una scarica di volt notevole – spiega -. Mi chiamò il geometra della Sigifer e mi chiese se non potevo mettermi in malattia, giusto per evitare dei possibili controlli dell'ispettorato del lavoro. Io mi rifiutai e loro la presero malissimo». Ma è quando il giovane operaio torna alle sue mansioni che il rapporto con l'azienda di Vercelli, già deteriorato, si interrompe. «Un giorno, prima di entrare sui binari chiesi al mio capo squadra se aveva già il foglio MP40, quello che ci autorizzava – rammenta -. Lui mi rispose che se non mi andava potevo anche starmene a casa o andare a dormire sul furgone. Quindi io presi e me ne andai. Qualche giorno più tardi mi arrivò la comunicazione che la Sigifer non intendeva più rinnovarmi il contratto. Ma, in fondo, un po' me l'aspettavo».
  8. La dirigente Rfi: "Avevo detto che bisognava aspettare ancora"
    Nel server di Rfi le telefonate in cui Vincenza Repaci, 25 anni, dirigente movimento della stazione di Chivasso diceva per tre volte al tecnico Rfi Antonio Massa di aspettare e non iniziare i cantieri sul binario di Brandizzo, erano già registrate: "Aspetta, non c'è interruzione, devono passare ancora due treni e uno è in ritardo". Ieri sera, ai microfoni del Tg1, la giovane dipendente di rete ferroviaria italiana ha spiegato di sentirsi a posto con la sua coscienza. "Sono consapevole di aver fatto il mio lavoro nel migliore dei modi rispettando il regolamento. Più di quello non avrei potuto fare".
    Era di turno lei alla sala controllo e non ha mai comunicato a Massa, tecnico Rfi addetto alla scorta del cantiere, di avere l'interruzione della circolazione sul binario pari. Tutt'altro. A quell'ora però mentre i due parlavano al telefono i cinque operai della Sigifer erano già sui binari: sbullonavano, liberavano la massicciata dalle pietre. Li inquadra la telecamera dello scalo ferroviario acquisita dai pm di Ivrea che indagano per omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale. E lo conferma il video testamento di Kevin Laganà, 22 anni, la più giovane delle vittime che pochi minuti prima dello schianto, sul suo canale Instagram trasmetteva immagini dal binario della morte. Si sente Massa che dice: "Se vi dico treno, buttatevi di là". Una prassi? Repaci spiega: "Ci sono dei regolamenti che vanno rispettati anche perché si è ben consapevoli che ci sono di mezzo delle persone e le loro vite".
    La giovane dirigente è rientrata a lavoro pochi giorni dopo la tragedia: "Sono comunque rientrata in servizio perché ritengo che, avendo fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità, sia giusto cosi". —
  9. ieri notte una squadra di operai ha sostituto sette metri di rotaie a brandizzo, dove sono stati travolti cinque colleghi
    Si torna a lavorare sui binari della morte

    Il ritorno sul binario della morte. Ieri notte operai specializzati hanno sostituito i sette metri di rotaia a Brandizzo. La stessa operazione che avrebbero dovuto compiere i cinque manutentori travolti da un treno la notte tra il 30 e il 31 agosto. La circolazione non era stata interrotta: la dirigente di movimento a Chivasso, Vincenza Repaci, non aveva autorizzato Antonio Massa, preposto Rfi alla sicurezza del cantiere indagato insieme all'altro sopravvissuto, Andrea Gibin Girardin, a dare il via ai lavori.
    La notte scorsa, a dodici giorni dalla tragedia, i lavori sono iniziati a mezzanotte. Ad eseguirli sono stati operai specializzati direttamente inviati da Rfi e non più della Si. Gi. Fer, l'azienda di Borgo Vercelli dove lavoravano i manutentori travolti dal treno che stava trasferendo undici vagoni dalla stazione di Alessandria a Torino.
    La notte tra il 30 e il 31 agosto Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Aversa, Giuseppe Sorvillo e Giuseppe Lombardo avrebbero dovuto svolgere un lavoro da un paio d'ore al massimo. Per il tipo di operazione prevista, la Si. Gi. Fer incassa 50 euro al metro. A questa somma vanno aggiunte 200 euro a saldatura, che in questo caso sarebbero state due. E viene facile fare il calcolo: 750 euro. Il materiale lo mette a disposizione la committente, Rfi, mentre la paga oraria agli operai di 25 euro lordi all'ora spetta a Si. Gi. Fer.
    Un incarico di basso costo, inserito invece nell'ambito di commesse ben più importanti (circa 260 milioni) vinte da Clf (Costruzione linee ferroviarie). Clf fa parte della multinazionale olandese Strukton Rail (oltre 6 mila dipendenti ed un fatturato di circa 1,9 miliardi di euro) e ha subappaltato la commessa a Si. Gi. Fer, azienda a cui Clf affidava spesso le manutenzioni di livello più basso, quelle che avevano un margine di guadagno ridotto.
    Ieri notte si è dunque ritornati sul binario pari. Il 30 agosto, però, la sostituzione del binario non era un lavoro programmato. Perché la squadra di operai, secondo quanto ricostruito dai sindacati, quella stessa notte avrebbe dovuto effettuare una manutenzione in un altro punto della rete ferroviaria torinese, a Orbassano o nella zona del Lingotto. L'incarico però era saltato e per non far perdere alla ditta la notte di lavoro, la squadra di operai era stati dirottata a Brandizzo.
    Avrebbe dovuto essere un'operazione rapida, necessario perché sarebbe stata rilevata un'anomalia. Questo è quanto emerge dalle ricostruzioni. E in questi casi Rfi ha venti giorni di tempo per richiedere l'intervento. Come funziona lo spiegano i sindacati: si parla di «interruzione tecnica della circolazione» e al capo scorta, in questi casi, vengono fornite delle finestre temporali. —
  10. Massa cambia legale: "È sconvolto" Via alla commissione di inchiesta
    Il principale indagato nell'inchiesta per il disastro ferroviario di Brandizzo, avvenuto la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi poco prima della mezzanotte costato la vita a cinque operai della Sigifer di Borgo Vercelli (Giuseppe Aversa 49 anni, e Giuseppe Lombardo, 52 anni, Kevin Laganà 22 anni, Michael Zanera 34 anni, Giuseppe Sorvillo 43 anni), ha cambiato legale. Antonio Massa, tecnico Rfi, addetto alla scorta del cantiere della morte, non è più difeso dall'avvocato Matteo Moscardini, cassazionista che nel corso della sua attività è stato impegnato in diversi processi per disastro colposo e violazioni delle normative antinfortunistiche, fra cui quello per la strage di Viareggio. Il nuovo difensore è Maria Grazia Cavallo, del foro di Torino, insieme al collega Antonio Maria Borello. «Al momento la nostra priorità è l'aspetto umano» dicono dopo aver incontrato Massa che nella tragedia ha visto morire colleghi e amici. «Un dramma nel dramma. Il nostro assistito è talmente sconvolto che dobbiamo procedere con molta cautela, gradualmente, nel chiedergli di rievocare i fotogrammi di quella notte».
    Il ministro Matteo Salvini ha nominato la commissione ministeriale sulla tragedia avvenuta sulla linea ferroviaria Torino-Milano, all'altezza di Brandizzo. Nella commissione sono coinvolte alcune delle migliori professionalità del ministero delle infrastrutture e dei trasporti. A guidare l'organismo, il Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Massimo Sessa. Sarà affiancato, tra gli altri, dalle direzioni generali competenti e l'Ansfisa.
    La commissione voluta da Salvini sarà coadiuvata da un comitato tecnico di alto livello, con professori universitari ed esperti di infrastrutture. L'attività, che prevederà anche audizioni, finirà il 31 dicembre, perché il ministro è determinato ad avere uno strumento efficace ma rapido.
    Sul fronte dell'inchiesta, ieri, è stato il giorno del conferimento di incarico a un maresciallo informatico della guardia di Finanza in forza alla polizia giudiziaria del capoluogo. Un superconsulente informatico la cui preparazione in materia di analisi di dati è nota a tutti a palazzo di giustizia. Ed è questo il primo degli accertamenti irripetibili che verranno svolti per dipanare la matassa investigativa su quella drammatica notte. Il militare dovrà analizzare le "scatole nere" del "treno anomalo" (trasportava 11 vagoni vuoti) che ha investito e ucciso gli operai. In gergo tecnico-ferroviario sono noti come Dis (registratori di eventi di marcia e di condotta). Dal loro studio si potranno ricavare le tracce dell'intero viaggio del convoglio. Dalla stazione di partenza fino al momento dell'impatto e alla successiva lunga frenata. Ancora; due tablet aziendali marca Samsung in dotazione ai macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e Domenico Gioffrè (non indagati) che quella notte passarono sul binario pari di Brandizzo a una velocità di 150 km/h con semaforo verde ignari della presenza del manipolo di operai. Stesso dicasi per due smartphones, in dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Saverio Lombardo) che si sono salvati – pur se notevolmente danneggiati - dall'impatto e sono stati recuperati dalla Polfer sul luogo della tragedia. Le memorie andranno estratte, sarà effettuata una copia forense dei contenuti.
  11. UN ESEMPIO :  La petizione di Mina Sharifi (iscritta a Unito) per il diritto all'istruzione: "Scuole online per ragazze, solo così possiamo sconfiggere i talebani"
    "La mia lotta per le studentesse afghane"
    Per 21 anni Mina ha scelto la lunghezza e il colore dei vestiti da indossare e quale scuola frequentare. Libertà che per sua madre erano impensabili. Poi, il 15 agosto 2021, è stata obbligata a indossare l'hijab per la prima volta nella sua vita. All'improvviso ha vissuto sulla sua pelle l'umiliazione che tante generazioni di afghane conoscevano bene. «Il ritorno al potere dei talebani è stato uno choc totale – ricorda –. Avevo tutto e l'ho perso nel giro di poche settimane. L'incubo che avevo conosciuto attraverso i racconti dei miei genitori tornava a essere la realtà di tutti i giorni». Specie per chi, come lei e la famiglia, appartiene alla minoranza Hazara, da sempre perseguitata dal regime oscurantista dei talebani.
    Oggi Mina Sharifi ha 23 anni. Vive a Torino ed è iscritta all'Università, secondo anno di Informatica, grazie a una borsa di studio del progetto "Culture Builds the Future" coordinato da Fondazione Emmanuel con Compagnia di San Paolo, Cassa di Risparmio di Torino e Campus X. Di otto tra fratelli e sorelle, una di 16 anni è rimasta con i genitori a Herat: le manca un anno al diploma e trascorre tutti i giorni chiusa in casa perché alle ragazze è vietato andare a scuola. Ogni volta che si sentono al telefono, implora la sorella di portarla in Europa insieme al resto della famiglia. È soprattutto pensando a lei che Mina ha elaborato, insieme a un'altra sorella che vive in Indonesia, una petizione per il diritto all'istruzione in Afghanistan. Un'idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: una scuola online, resa possibile da connessioni satellitari che portino internet anche nei villaggi più remoti. «Nel mio Paese milioni di ragazze e donne sono private dei diritti umani fondamentali, a partire da quello di potersi sedere ai banchi di una scuola o un'università», ha detto ieri al Centro studi Sereno Regis, dove alla presenza della vice sindaca Michela Favaro, dell'assessore Francesco Tresso e del segretario generale di Fondazione Compagnia di San Paolo Alberto Anfossi ha esposto la sua idea.
    Sulla piattaforma Change.org la sua petizione per rendere accessibile il diritto allo studio alle afghane ha già raccolto 1.800 firme. Lo scorso giugno Mina ne ha discusso al Consiglio d'Europa di Strasburgo e tra pochi giorni lo farà nel Parlamento islandese. «Purtroppo i riflettori dei media si sono spenti e moltissime persone non sanno più nulla dell'Afghanistan – riflette –. La situazione peggiora ogni giorno: è una prigione a cielo aperto. Con i talebani al potere non c'è speranza per nessuno». L'educazione, è convinta, sarebbe «un'arma potentissima per sconfiggerli».
    Mina ama i codici e la programmazione. Avere la possibilità di studiare in Italia non la fa sentire in colpa, ma responsabile sì: «Io ho l'opportunità di cambiare la mia vita e spero in questo modo di poter cambiare quella di milioni di afghane. Sogno un giorno di tornare ed essere protagonista in un nuovo Afghanistan».
    La sua battaglia va avanti tra Torino, che ormai considera come una seconda casa, e le città europee dove è invitata a parlare. «Noi afghane siamo stanche di lottare per cose basilari come i diritti umani. Ma lo facciamo affinché i nostri figli possano nascere e crescere in democrazia e libertà».
    La minoranza Hazara, di cui Mina fa parte, e il genocidio in atto in Afghanistan sarà al centro di un incontro al Polo del ‘900 il 27 settembre.

 

 

 

 

 

 

11.09.23
  1. UN PAESE INCIVILE :   «Ci sono villaggi in disagio totale, non hanno l'acqua corrente, non hanno l'elettricità, prima non avevano le strade asfaltate. Quando capitano queste catastrofi, come si fa ad aiutare le persone? Stiamo cercando di fare i miracoli». Nora Fitzgerald, una delle responsabili dell'associazione Amal Center di Marrakech, nella cucina del ristorante che abitualmente aiuta donne sole con figli, ripudiate dalla famiglia, stavolta sta coordinando la preparazione di 2mila panini al tonno, patate, cipolla e olive, da portare nei villaggi più remoti delle montagne dell'Atlante. «Ringrazio il World Central Kitchen, l'organizzazione internazionale che interviene nelle aree di crisi, perché ci mettono a disposizione un elicottero per arrivare nelle aree tagliate fuori da tutto». Da Amizmiz ad altri paesi ancora più piccoli e sperduti, centri poverissimi e rurali dell'Atlas, dove le condizioni igieniche stanno peggiorando di ora in ora.
    «Non trovavamo il pane – continua Nora –. I panifici non hanno più lavorato, dopo il terremoto. Chi era aperto vendeva col contagocce. Poi, abbiamo trovato una pasticceria che ci ha donato centinaia di pagnotte». Amal Center è una scuola di cucina che insegna un mestiere alle tantissime ragazze rinnegate dalla società, perché "colpevoli" di essere rimaste incinte fuori dal matrimonio. Ed è anche un ristorante, che impiega queste professionalità. Una delle loro allieve ha perso la casa nel terremoto di venerdì.
    Ora, Nora si sta occupando anche di quello, di trovare una sistemazione alla sua famiglia. Poco o nulla arriva dall'alto. Anche se ieri, lo Stato ha dato il via libera agli aiuti internazionali. «Aspettiamo i cani dalla Spagna, per cercare i dispersi. Speriamo di trovare ancora persone vive», dice.
  2. LULA IL DOPPIOGIOCHISTA OPPORTUNISTA CHE PRENDE IN GIRO IL MONDO: D'accordo, arranchiamo in un tempo di disordine. Ma almeno le buone maniere, il mirabile "savoir faire" dei diplomatici! Non si è ancora asciugato l'inchiostro dei venti Grandi, Medi e Piccoli sul sudatissimo documento finale, i leader hanno ancora al collo appassite ghirlande di fiori, il piede sulla scaletta dell'aereo e «i significativi passi avanti» del sommo aeropago indico diventano un fragoroso, stonato passo indietro. Bisogna rincalzare il copione lindo e pulito, la finta letizia del tutto benissimo. Già. Lo sgarbato presidente brasiliano Lula annuncia che al prossimo Supervertice planetario, che sarà a rotazione affar suo, Putin il criminale, il reprobo, il nemico della pace ci sarà. Lo invita lui e con un anno di anticipo. Per far capire che le dissolvenze e gli equilibrismi lessicali il problema vero non l'anno risolto se non coprendoli di gesuitici nulla. Gli astronomici accordi economici, le vie, le autostrade delle palanche, le riverenze, gli inviti, i summetti bilaterali sono teatro.
    È attorno alla guerra in Ucraina, dove al contrario che in Siddharta non si muore vicino a fiumi allegorici ma in concretissime stragi taciturne, che si gioca il confronto tra i tre imperi, Stati Uniti Russia e Cina. E per metter ordine al mondo e evitare ulteriori macelli è un G Tre che ci vorrebbe e non questo teatrino di ombre cinesi. Nella sua attuale impossibilità è alle medie potenze che queste adunate offrono pianure fertili per far commercio con un blocco e con l'altro, giocare a profittevole rimpiattino tra il vecchio padrone e quelli che aspirano a diventarlo, a metterli gli uni contro gli altri, a illuderli su fedeltà molto temporanee. Questa dialettica dell'astuzia di India, Brasile, Sudafrica è il vero risultato del G 20 indiano, è servita alla sua messa a punto, come nella commedia goldoniana la locandiera strema tutti i pretendenti facendo intravedere il sospirato sì e poi agisce - finalmente! -, pensando solo al proprio interesse. Sono loro gli unici vincitori a Delhi perché sono riusciti a far emergere l'epoca dell'equilibrio dell'impotenza, dove possono essere liberi.
    Diciamoci la verità. Il G20 di una volta, dei tempi d'oro del monopolio americano, assomigliava a quei vertici che l'impero britannico, la globalizzazione di fine Ottocento, organizzava per il genetliaco della regina Vittoria. Venivano gentilmente invitati dai quattro angoli del mondo i buoni sudditi: il sontuoso maraja indiano, il misterioso emiro arabico, il robusto pecoraio australiano, il re del Buganda, il pellerossa canadese. Tutti sfilavano nei loro pittoreschi costumi davanti alla sovrana paziente e benevola come una nonna, le porgevano i doni e poi tornavano a casa soddisfatti, riconoscenti. E con gli ordini imperiali in tasca.
    Alla stessa maniera il foglio d'ordine economico e non solo era fissato giudiziosamente prima, al G sette, o G otto quando Putin era ancora un riverito Grande. L'allargamento fu un concessione dovuta anche al susseguirsi delle crisi economiche dalle nostre parti. Opportuno dunque concedere agli Stati proletari del Terzo Mondo o almeno ai più presentabili, meno stracciati e più utili, una festicciola periodica che ne placasse le orgogliose insofferenze e soprattutto desse loro lena a cooperare ancor di più, sgobbando per il nostro riverito benessere. Sono popoli che hanno la propria identità e propri traumi, anzi i traumi sono i caratteri della identità. Chi ha mai pensato di invitare il Bangladesh o la Bolivia al G20? Eppure avrebbero molto da dire sulla cooperazione economica internazionale più di una petromonarchia fanatica o dei bancarottieri populisti argentini. L'importante è che continuino a svolgere il compito che è loro assegnato nell'ordine mondiale post 1989, quello di fornitori, produttori a basso costo e clienti, trasmettendo le direttive anche agli altri, ai più derelitti.
    Da un paio di edizioni questo G Venti, più o meno fossilizzato nella presunta perfezione dell'economia di mercato globale, annaspa. La guerra come sempre semplifica e chiarisce: il confortante grandangolo finale dei protagonisti schierati su due file che siglava l'happy end, di fronte a tutti questi sottintesi, livori, trabocchetti, adesso fa sgomento. Ora bisogna schierarsi: con chi fate gruppo, con l'America o con i due aspiranti regicidi dell'Occidente, Russia e Cina?
    Ritirandosi sveltamente dalle terre sommerse della retorica della cooperazione il disordine lascia un sale sterilizzante che ostacolerà ancora per molto tempo ogni raccolto di equilibrio. Noi facciamo come al solito, sostituiamo freneticamente una pedina all'altra nei nostri entusiasmi: liquidati i russi, diventati i fino a ieri simpatici comu-capitalisti cinesi il pericolo pubblico numero uno, è il momento degli indiani con cui firmiamo qualsiasi cosa. Noi viviamo in una specie di tradimento cronico.
    Per sintetizzare: se c'è qualcosa che il G venti di Delhi ha dimostrato è la sua assoluta inutilità perfino nel contarsi. Sopravvivenza sgangherata di una epoca che la guerra in Europa ha sepolto e che serve solo ma con bugie e accomodamenti acrobatici alle necessità interne dei partecipanti. Da Biden a Meloni a Lavrov tutti tornano a casa sventolando di aver strappato "il massimo possibile", dalla lotta al riscaldamento climatico al silenzio sulla guerra, perfino un selfie per un bilaterale è già un trionfo.
    A Zelensky viene qualche opportuno sospetto: la proclamazione universale della obbligatorietà della vittoria totale contro i russi fino all'ultimo centimetro a Delhi è stata barattata disinvoltamente per un pezzo di carta finale con tutte le firme.
    L'unico che non mente è Narendra Modi che ha accumulato munizioni per vincere le elezioni del prossimo anno. In cui potrà gettare dentro tutto, lo sbarco sulla luna, il trionfo al G Venti e al suo contrario i Brics, non aver stretto la mano al detestato cinese complice nel mettere in disordine il mondo ma fino a un certo punto, di aver fatto da padrone di casa al mondo. Lui continuerà a fare affari con tutti, Cina Usa Russia Europa, il balletto disinvolto e permanente di una specie di Erdogan indù ma con ambizioni ancor più esagerate, forse fondate.
    Una immagine simbolo di questo teatro degli inganni? Il premier indiano in elegantissimo dhoti che guida gli ospiti nel pellegrinaggio al santo Gandhi: l'erede politico dell'estremismo nazionalista indù che sfrutta come simbolo il Mahatma che fu assassinato proprio dal fanatismo indù e fu un nemico tenace e vittorioso dell'imperialismo anglosassone. —
  3. QUELLO CHE ALLA POLITICA NON INTERESSA :  È una mamma che non ha ancora smesso di piangere. Si chiama Barbara Vedelago. Ha perso il suo figlio di 17 anni, Davide Pavan, in un incidente, una macchina che sbanda e lui travolto sul suo scooter, una sera come un'altra. L'autista è un poliziotto che non ha mai sgarrato una volta, torna da una partita di rugby e ha bevuto una birra di troppo nel terzo tempo, ma non è più una sera come un'altra. È una morte assurda.
    Solo la vita può esserlo ancora di più. Un giorno consegnano la posta a casa dei genitori di Davide, e dentro la busta c'è un foglio, una fattura. Lei lo posa sul tavolo, guarda, lo legge: «Bonifica dell'area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per sversamento liquidi». La burocrazia fa sempre così: si nasconde dietro le parole. Però alla fine, il conto è chiaro. Costo: 183 euro. E tocca a lei pagarlo. Semplicemente, ha spiegato Barbara Vedelago, «la cifra ci è stata chiesta per la pulizia del luogo dell'incidente, per togliere i rottami e spargere della segatura sul sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull'asfalto».
    Lei e suo marito hanno dovuto pagare di tasca propria per ripulire la strada in cui era avvenuta la morte del figlio a opera di terzi, e non si capisce bene perché sia toccato a loro e non al responsabile di quella tragedia, già condannato dal tribunale a tre anni e sei mesi dopo avergli riconosciuto le attenuanti generiche. Ma quando si tratta di burocrazia, cercare di capire è la cosa più pericolosa che si possa fare.
    La burocrazia è un mostro di mille teste che parla una lingua astrusa e non ha pietà di nessuno. Racconta Barbara, la mamma che non smette più di piangere, che sono successe un mucchio di altre cose, «ci siamo sentiti abbandonati come se il nostro dolore non contasse. Ci è arrivata pure una raccomandata per avvisarci che il rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare subito a ritirarlo se non volevamo pagare una penale per ogni giorno di ritardo». Ovviamente che a loro costasse molto anche solo rivedere oltre che riprendersi ciò che era rimasto di quel motorino distrutto non contava niente.
    A una ex insegnante di Balangero, Torino, non veniva versata la pensione perché secondo l'Inps era morta il 15 luglio del 2022. Lei si è presentata in carne e ossa con tutti i documenti per dimostrare che era viva. Ma non funziona così. La burocrazia la combatti solo con altra burocrazia, sfoggiando la loro lingua incomprensibile, e adottando i loro codici, tutto quello che serve per trasformare il mondo a loro immagine, una prigione pulita e sicura che insegna ai nostri figli l'impotenza. Vivere forse non è ancora del tutto diventato un esercizio burocratico, come temeva il sommo Ennio Flaiano, e in effetti non abbiamo ancora bisogno di un visto per passare dal 31 dicembre al primo gennaio, non siamo arrivati a questo punto, ma ci arriveremo, perché questa cappa assurda che incombe inflessibile sulle nostre esistenze è capace di far di peggio, come insegnano le mille e mille storie raccontate da Barbara Vedelago e da tutte le vittime senza senso della mala burocrazia. D'altro canto siamo un paese sfortunato.
    Alla fine per assurdo è stato persino più sensibile il poliziotto che ha investito Davide, e poi ha cercato disperatamente di farlo rinascere, con la respirazione bocca a bocca e le sue inutili preghiere bagnate di lacrime. Barbara dice che lo perdonerà «solo il giorno che diventerà papà e guardando suo figlio sono sicura che finalmente capirà cosa mi ha tolto. Allora troverò la forza di perdonarlo». Con lui almeno ci puoi parlare, guardarlo in faccia e cercare nei suoi occhi il senso del tuo dolore. Se non lo trovi è perché c'è il nulla dall'altra parte, e il nulla è come quella fattura di 183 euro, è la burocrazia che non ti capisce. La morte è il nulla. —
  4. PERCHE' AVETE VOTATO TOTI ?«Massimo rispetto per i cittadini spaventati, molto meno per chi li spaventa. Tutti quelli che erano alla catena umana poi vorranno farsi una doccia calda, cucinare un piatto caldo ai figli, avere il condizionatore a lavoro. Non hanno pensato a questo? È piena sindrome Nimby». Dinanzi alla marea umana che ieri ha manifestato in spiaggia, a Savona, contro l'impianto di Snam, il governatore della Regione e commissario all'opera Giovanni Toti non arretra di un millimetro.
    Presidente, cosa risponde ai cittadini preoccupati?
    «È una sfilata suggestiva ma semplicistica. Non ho sentito dire una singola parola su dove vorrebbero mettere il rigassificatore: vogliono tutti i vantaggi dell'energia ma non il gas a casa loro».
    I cittadini temono i rischi per la sicurezza.
    «Rischi che non ci sono. Non è mai successo che un impianto del genere esploda, e il gas non inquina il mare, a differenza del petrolio. Ma non ho sentito nessuno protestare contro le centinaia di petroliere che viaggiano nei nostri porti».
    Non c'è il rischio di ricadute anche sul fronte turistico?
    «Vado ospita una piattaforma container e un terminale petrolifero e non mi pare che ciò abbia avuto ricadute sul turismo. Anzi, a differenza di quasi tutto il Mediterraneo, in Liguria cresciamo ancora».
    Secondo lei si tratta di un tema strumentalizzato?
    «Totalmente strumentalizzato. È facile convincere qualcuno ad andare in spiaggia a protestare parlando di un mostro che distruggerà l'ecosistema. Ma il presupposto è falso. C'è un pezzo di pura ideologia di parte della sinistra e un pezzo di persone in buona fede che si fanno convincere dalle calunnie».
    Ma non teme di perdere consensi?
    «Non mi interessa, temo invece un Paese incapace di dare risposte all'aumento delle bollette o alle aziende che rischiano di chiudere per i costi dell'energia. Dieci mesi fa abbiamo vissuto una crisi che ora si è un po' alleggerita. Oggi ce ne siamo dimenticati. Ma se a novembre dovessero salire alle stelle le bollette, la catena umana sarà in cappotto. Anche a casa, non solo in spiaggia».
    Anche parte dei suoi alleati non sembra convinta: pare che la Lega non voglia firmare un ordine del giorno in Regione sul rigassificatore.
    «Sul punto il mio interesse è zero. Sono commissario di governo e il Ministero dell'Ambiente ha deciso dove collocare l'impianto. È una questione che dovrebbe essere responsabilità di tutti, ma ognuno risponde alla propria coscienza. Se qualche alleato non è d'accordo lo vada a dire al governo e al Parlamento». —
  5. LA SOLITA IGNORANZA DEI PRESIDI CHE SVUOTA LA FUNZIONE EDUCATIVA : Per chi suona la campanella? Per il virus o per gli studenti? E chi mette la mascherina? Basterà il gel sistemato sulla soglia della scuola? Le risposte a queste domande tracciano la trama di una storia che oggi coinvolge sette milioni di studenti.
    Inizia il primo anno scolastico dalla fine dell'emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19, dichiarata il 5 maggio scorso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Certo, la situazione adesso è molto diversa rispetto a quella degli anni passati. Dopo il rientro a scuola il 5 settembre nella Provincia autonoma di Bolzano, oggi si apre una settimana in cui la prima campanella suonerà per altri 7 milioni di studenti italiani. Rimetteranno piede in classe con una preoccupazione in più: l'impennata di nuovi casi di Covid della variante Eg.5 (Eris), che ormai si sta diffondendo in tutto il mondo. Risalgono i contagi, monta la polemica. Stefania Sambataro, manager, mamma di due figli e vicepresidente del Comitato nazionale Idea Scuola è la portavoce di 800 famiglie con figli o familiari malati e a rischio, i cosiddetti "fragili". Hanno deciso di scrivere una lettera aperta al ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara perché «si sentono dimenticati». «Vogliamo mandare i nostri figli a scuola ma non a costo della loro e nostra salute - scrivono - perché nulla è stato fatto per prevenire il contagio. Un tema così delicato non si può lasciare al buon cuore dei dirigenti, va normato».
    Le istituzioni della scuola stanno cercando di scrivere una sorta di nuova grammatica che si adatti alla situazione attuale. E così, se dal ministero della Salute si invita alla calma, i presidi si dicono pronti a correre ai ripari e annunciano la distribuzione di mascherine e di gel disinfettante. Ma basterà? Al momento non esistono misure restrittive anti-Covid specifiche per gli istituti scolastici, anche se in una circolare il ministero della Salute raccomanda, comunque, di osservare le stesse precauzioni valide per prevenire la trasmissione della gran parte delle infezioni respiratorie: indossare la mascherina, se si è sintomatici, rimanere a casa fino al termine dei sintomi, lavare spesso le mani, evitare il contatto con persone fragili. Insomma, anche per quest'anno non si possono abbandonare le buone pratiche di prevenzione del Covid. Studenti, docenti e famiglie iniziano quindi questa nuova stagione scolastica in una sorta di soggiorno obbligato delimitato da prudenza, speranza e timori. Timori che non si sia fatto abbastanza.
    «Ci risiamo. Si continua a fare riferimento solo a medici come virologi, infettivologi, trascurando aree dell'ingegneria, della fisica e della scienza dell'aerosol come se la pandemia non ci avesse almeno insegnato qualcosa». Giorgio Buonanno, ingegnere e professore di Fisica Tecnica all'Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale, è tra i pionieri della ricerca sulla trasmissione aerea del Covid. Fa parte di un gruppo di 40 scienzati internazionali guidati da Lidia Morawska docente della Queensland University of Tecnology. «Il grande errore commesso da parte delle autorità sanitarie è stato quello di negare e accettare solo dopo due anni (ma con misure protettive non adeguate) che il virus potesse trasmettersi per via aerea, con un aumento colpevolmente considerevole di casi e decessi» spiega Buonanno. «La non applicazione del principio di precauzione è stata oggetto di una mia denuncia del Comitato Tecnico Scientifico alla Procura di Roma». «Le particelle respiratorie più piccole emesse (aerosol) - aggiunge – sono assimilabili come comportamento al fumo di sigaretta da cui non ci si difende con il plexiglas, né con le mascherine chirurgiche ma occorre ricambiare l'aria con adeguati sistemi di ventilazione. Non ci sono scelte diverse, volenti o nolenti la scienza ci dice questo». Ma quanto costano? «In media 4 mila euro per classe, ma il prezzo scende al di sotto di mille euro se si utilizza un purificatore adeguato. Molti Paesi (tra cui gli Stati Uniti) hanno cominciato ad investire nella qualità dell'aria negli ambienti chiusi perché ormai è evidente, a differenza di quanto ci avevano detto, che la modalità dominante della trasmissione è aerea. Ascoltare oggi dichiarazioni sull'uso del gel (per un virus respiratorio) o sull'inutilità della ventilazione è follia figlia dell'ignoranza: purtroppo questa viene dai massimi rappresentanti della scuola», conclude il professor Buonanno. In Italia ci sono 40 mila punti di erogazione del servizio scolastico.
    Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi, ragiona così: «Se ci fossero finanziamenti adeguati si potrebbe pensare di andare in questa direzione ma il vero problema è capire il rapporto costo benefici. I sistemi di aerazione, a esempio, richiedono sia costi iniziali che di manutenzione molto impegnativi. Tutto questo avrebbe senso se ci fossero vantaggi immediati da consentire. È logico che un'aria aria più pulita farebbe comodo a tutti ma non vi sono evidenze specifiche scientifiche chiare ed evidenti».
    Da oggi le aule tornano ad affollarsi in Piemonte, Trentino e Valle d'Aosta. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella stamattina inaugura l'anno scolastico a Forlì, nella Romagna colpita duramente dall'alluvione a maggio. Con lui ci sarà anche il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. —
  6. INOPPORTUNA COME SEMPRE: «Quelle italiane restano le mete più ambite. Gli effetti positivi del turismo si traducono anche nel mercato dell'occupazione che, nell'ultimo anno, ha visto il comparto dei servizi di alloggio e ristorazione crescere del 10,3%» ribatte il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, appena sente parlare di estate flop. E dell'inchiesta che la vede indagata per i bilanci della sua ex azienda Visibilia dice: «Le cose si stanno chiarendo e sono fiduciosa che in tempo brevi si risolverà tutto per il meglio».
    I pernottamenti degli italiani in vacanza sono diminuiti in un anno del 5,7%. L'auspicato rilancio del Pil è stato "tradito" dal turismo?
    «Pil tradito dal turismo? No, direi proprio di no. Anzi, come certificato dal Fondo monetario internazionale, il comparto turistico e dei servizi ha premiato l'Italia rivitalizzandone l'intero sistema economico, che cresce dell'1,1% facendo meglio della media dell'area euro. Oltre a ciò, uno dei parametri economici più importanti per misurare la solidità e la salute dell'economia italiana è rappresentato dalla spesa turistica, che a maggio è risultata in surplus di 2,3 miliardi di euro, in aumento sia sul 2022 sia sul 2019, con un incremento tanto della spesa degli stranieri che vengono in Italia sia dei turisti italiani che vanno all'estero».
    Milioni di italiani hanno dovuto rinunciare del tutto a muoversi, costretti da redditi familiari stagnanti e prezzi in aumento. Perché il turismo straniero non è riuscito a compensare quello italiano in calo?
    «Una premessa generale: sul turismo circolano troppi dati provenienti da rilevazioni statistiche differenti perché i panieri di riferimento sono diversi a seconda della fonte; pertanto, non esistono dati univoci e questo molto, forse anche troppo spesso, genera confusione, soprattutto sui mezzi di comunicazione. Senza dubbio ci sono elementi, a partire dall'inflazione, che ovviamente incidono anche sul turismo. Bisogna tuttavia ricordare che nel primo semestre dell'anno abbiamo avuto numeri davvero importanti sui flussi interni, segnando un andamento superiore al periodo pre-pandemia, mentre il ritorno in massa del turismo straniero nel periodo estivo ha fatto registrare un +3,6%. Aspetterei dunque la fine dell'anno per un bilancio definitivo, anche in virtù del fatto che le presenze turistiche non si concentrano più nei canonici mesi estivi, ma si allungano nell'intero arco dell'anno. È proprio per questo che il governo Meloni, da mesi, ha iniziato a operare nei termini di una destagionalizzazione e di una diversificazione dell'offerta turistica italiana».
    Lei è in partenza per la Cina e la Corea del Sud, i nuovi mercati asiatici possono contribuire a bilanciare la diminuzione del turismo interno?
    «I risultati dell'industria turistica vanno misurati non solo in termini di arrivi e presenze ma di volumi di spesa generati. In questo, il mercato asiatico è altamente strategico per la nostra economia, perché spesso costituito da turisti che hanno una forte capacità di spesa e questo è favorevole per l'Italia per la sua offerta di qualità. Non solo, penso all'eccellenza del nostro made in Italy: nelle città italiana della moda si è registrato, nel 2023, uno scontrino medio più alto del 2019 da parte dei visitatori cinesi, che già nel 2022 sono tornati massicciamente a visitare i nostri territori, facendo segnare una significativa crescita del 58% rispetto al precedente anno, con oltre 320 mila arrivi nelle strutture ricettive italiane. Lo stesso discorso vale per i sudcoreani, che hanno persino superato i livelli pre-pandemici del 2019, con un incremento del 22%. In ogni caso, non credo sia corretto parlare di bilanciamento».
    Perché?
    «Noi lavoriamo per promuovere offerte turistiche per tutte le tasche e, al tempo stesso, per essere sempre più attrattivi per gli stranieri di tutto il mondo. Poi il turismo, per come lo intendo, non è solo un motore economico, ma anche sociale e culturale che passa per esempio dallo sviluppo dei piccoli borghi consentendo il recupero della ruralità e dello spopolamento di parte dell'Italia».
    Secondo i dati di Assoturismo, chi questa estate è andato in vacanza ha dovuto pagare molto di più dell'anno scorso. L'Italia è diventata meno conveniente e attrattiva di altre destinazioni del Mediterraneo?
    «Direi di no: i dati dimostrano che l'Italia si sta confermando la meta mediterranea più attrattiva, dietro alla sola Grecia. Il caro-prezzi è una conseguenza di più fattori ma non riguarda solo l'Italia bensì sta interessando l'Europa intera. È una questione che il governo sta affrontando con decisione, ottenendo anche buoni risultati».
    La campagna social "Open to Meraviglia" ha suscitato polemiche sui contenuti e un'indagine della Corte dei Conti del Lazio per danno erariale. La ripeterebbe?
    «Sì, senza dubbio. È una campagna che funziona: tutti ne parlano sempre e il riscontro avuto è stato notevole. Mi piace pensare che tra i fattori del grande ritorno dei flussi turistici stranieri ci sia anche la campagna della Venere, che punta a rafforzare l'attrattività del "marchio Italia" all'estero e a coinvolgere di più le giovani generazioni».
    Il ministero del Turismo è stato criticato per avere aumentato il numero di dipendenti. Era necessario?
    «Noi abbiamo il dovere di dare risposte a un settore altamente strategico per l'economia nazionale, dato che rappresenta, tra diretto e indiretto, il 13% del Pil italiano. Per farlo è necessario rafforzare in maniera sostanziale l'organico di un ministero, come quello del Turismo, che è di recente istituzione, e di dotarlo delle risorse adeguate al fine di allineare sempre di più le politiche e le strategie ai reali bisogni della filiera del settore».
    In merito agli affitti brevi, lei aveva annunciato una regolamentazione sul tema. Anche sulla scia della legge entrata in vigore a New York, in molti lamentano che la riforma sia finita in un cassetto. Cosa replica?
    «Facciamo chiarezza. Sono molti anni che si aspettava un intervento specifico e non mi sembra che nessuno, prima di noi, né la sinistra che è stata per 10 anni al governo, né quei sindaci che oggi chiedono interventi urgenti, abbia mai voluto affrontare una questione riguardante un tema così complesso e spinoso. Abbiamo invece affrontato la situazione degli affitti brevi in tempi non sospetti avviando, già mesi fa, tavoli di confronto con associazioni di categoria e degli inquilini, le Regioni e i Sindaci delle città metropolitane, per di arrivare a una proposta il più possibile condivisa. Senza dubbio quindi, in tempi rapidi abbiamo messo la questione tra le priorità da affrontare nel settore del turismo. Abbiamo appena dato ai soggetti interessati il testo della nostra proposta normativa al fine di formulare soluzioni efficaci ed efficienti che possano essere altamente condivise».
    La tassa sugli extraprofitti delle banche può essere modificata?
    «È una norma di buonsenso che il governo rivendica perché difendiamo il legittimo profitto imprenditoriale ma non le rendite di posizione. Se ci saranno modifiche lo vedremo nel corso dell'iter parlamentare».
  7. BUTTARE SOLDI : si lavora ad un accordo con i colossi della space economy
    Lancio di satelliti e turismo spaziale il governo chiama SpaceX e Virgin
    Leonardo Di Paco
    Un accordo di collaborazione, atteso nel 2024, con i due colossi della space economy made in Usa, Virgin Galactic di Richard Branson e SpaceX di Elon Musk, e un intervento legislativo per regolamentare la presenza dei privati all'interno del comparto italiano ispirandosi al modello in vigore in Francia: che prevede massicci sostegni ad aziende e start up, che intendono investire e attribuisce un ruolo di primo piano dei fondi di venture capital (dopo l'operazione di Primo Space in Italia che ha agito da apripista) come attrattori di nuove figure industriali.
    È questo il piano del governo che si cela dietro alle affermazioni pronunciata dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, durante l'ultimo meeting di Rimii. «È mia intenzione presentare nella manovra d'intesa con altri ministri sulla space economy. Una legge sullo spazio è sempre più necessaria perché ci vanno anche i privati e rappresenta l'economia del futuro».
    L'obiettivo del governo, coinvolgendo le due società americane più quotate in questo campo, è instaurare una collaborazione italo-atlantica, dal lancio di satelliti fino al più ambizioso goal del turismo spaziale sfruttando lo spazioporto di Grottaglie, in Puglia vicino a Taranto, in fase di avvio dei cantieri.
    Già alla fine giugno, spiegano fonti del ministero, Urso era volato negli Usa, a Washington, per incontrare SpaceX e Virgin per coinvolgerli nel piano di potenziamento dello spazioporto europeo di Grottaglie. L'asse con gli Stati Uniti viene considerato cruciale dal governo. L'Italia, in questo senso, sta negoziando con gli Usa anche il trattato Tsa - Technical and security agreement – un accordo giuridicamente vincolante fra i due governi che consentirà alle aziende statunitensi di operare dai porti spaziali italiani e di esportare la tecnologia: un passaggio propedeutico fondamentale per avviare la collaborazione con Virgin e SpaceX.
    Il coinvolgimento di questi due colossi sarà la punta dell'iceberg del piano dell'esecutivo per potenziare la space economy, un settore in cui l'Italia dice la sua parte: è la terza nazione ad avere mandato in orbita un satellite (dopo Unione Sovietica e Stati Uniti) è tra i membri fondatori dell'Agenzia Spaziale Europea e si colloca al sesto posto nella classifica globale delle spese spaziali in relazione al Pil. Inoltre, con 680,2 milioni di euro, è il terzo contribuente della European Space Agency (l'Esa) dopo la Francia (1.178 milioni di euro), che da sola copre il 25% del budget totale, e la Germania.
  8. PARLARE POCO E CHIUDERE GLI OCCHI : CHI SE LA E' CAVATA Brandizzo, via allo studio della scatola nera perizia anche sui tablet dei macchinisti
    Inizia oggi la terza settimana di indagini che la procura di Ivrea sta portando avanti per far luce sulla tragedia ferroviaria avvenuta a Brandizzo nella notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi. E la prima incombenza verrà formalizzata stamattina con l'affidamento dell'incarico a un maresciallo della guardia di Finanza in forza alla procura di Torino. E' un esperto di informatica di alto livello. Ed è questo il primo degli accertamenti irripetibili che verranno svolti per dipanare la matassa investigativa su quella drammatica notte. Il militare dovrà analizzare le "scatole nere" del "treno anomalo" (trasportava 11 vagoni vuoti) che ha investito e ucciso gli operai. In gergo tecnico-ferroviario sono noti come si chiamano Dis (registratori di eventi di marcia e di condotta). Dal loro studio si potranno ricavare le tracce dell'intero viaggio del convoglio. Dalla stazione di partenza fino al momento dell'impatto e alla successiva lunga frenata. Ancora; due tablet aziendali marca Samsung in dotazione ai macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e Domenico Gioffrè (non indagati) che quella notte passarono sul binario pari di Brandizzo a una velocità di 150 km/h con semaforo verde ignari della presenza del manipolo di operai. Stesso dicasi per due smartphones, in dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Saverio Lombardo) che si sono salvati – pur se notevolmente danneggiati - dall'impatto e sono stati recuperati dalla Polfer sul luogo della tragedia. Le memorie andranno estratte, sarà effettuata una copia forense dei contenuti.
    Riprenderanno anche gli interrogatori di altri testimoni e gli inquirenti vaglieranno le segnalazioni mandate da operai impegnati in precedenza nei cantieri ferroviari sulla ferrovia Torino-Milano e su altre linee. Alcune sono arrivate via email ai magistrati titolari dell'inchiesta (Giulia Nicodemo e Valentina Bossi coordinate dal procuratore capo Gabriella Viglione).
    I primi 10 giorni di indagine sull'incidente costato la vita a Kevin Laganà, Giuseppe Aversa, Christian Zanera, Giuseppe Sorvillo e Saverio Giuseppe Lombardo, sono serviti soprattutto a ricostruire la dinamica. Ed il quadro cristallizzato dalla procura di Ivrea è piuttosto chiaro. Due, per ora, gli indagati. Antonio Massa, tecnico di Rfi, e Andrea Girardin Gibin, capo cantiere della Sigifer, la ditta che stava lavorando sui binari della stazione di Brandizzo. Il lavoro nel cantiere sarebbe iniziato senza autorizzazione: da quanto è emerso finora nessuno aveva concesso il nullaosta per l'avvio dei lavori visto che sul binario 1 della stazione doveva ancora passare un treno fuori servizio diretto a Torino. Nel video girato da una delle vittime pochi minuti prima dell'incidente si sente Massa, tecnico Rfi addetto alla scorta del cantiere per conto del committente (Rete ferroviaria italiana) che dice agli operai: «Se dico treno voi vi lanciate dall'altra parte». Cosi i lavori di quella notte sarebbero iniziati prima del dovuto e senza interruzione di linea. Una prassi, a sentire diversi operai della Si.gi.fer, auditi in procura. Appena il quadro dell'indagine sarà cristallizzato saranno sentiti anche gli indagati. —
  9. Alberi mangia smog
    I venti milioni per la forestazione urbana e le infrastrutture verdi e blu che la regione Piemonte metterà a disposizione dei comuni sopra i 10 mila abitanti serviranno «non solo al miglioramento della qualità dell'aria ma anche al sequestro di anidride carbonica, alla mitigazione degli effetti dell'isola di calore urbana e a migliorare il microclima», spiegano il vicepresidente Fabio Carosso e l'assessore all'Ambiente, Matteo Marnati. Nel medio e lungo periodo le ricadute di queste azioni potrebbero entrare a far parte del pacchetto di interventi che il Piemonte deve attuare per evitare la procedura d'infrazione da parte dell'Ue. Ma permetteranno anche di dar vita ad una filiera vivaistica forestale autoctona che dovrebbe permettere di preservare la biodiversità dall'assalto delle piante aliene che secondo l'Ipla ricoprono almeno 120 mila ettari, il 15% del patrimonio boschivo regionale.
    I fondi della Regione sono riservati agli enti locali e saranno assegnati attraverso due bandi. Il primo da 8 milioni e mezzo prevede una varietà di azioni: creazioni di nuovi spazi verdi, miglioramento di quelli esistenti, incremento della dotazione verde urbana (parchi urbani o aree verdi di quartiere ma anche alberate stradali, filari di piante, tetti verdi, verde verticale ma anche interventi di trasformazione e recupero urbano. I vincoli? «Non dovrà essere consumato nuovo suolo e dovrà essere garantita la tutela della qualità delle acque delle falde sotterranee».
    Quasi 12 milioni serviranno invece per le «infrastrutture verdi e blu» che insisteranno soprattutto sulle aree protette e che prevedono anche azioni per la valorizzazione delle sponde e al recupero e riqualificazione di fiumi e laghi naturali e artificiali. Secondo Carosso «la messa a terra dei due bandi rappresenterà azioni di valore per la pianificazione sostenibile del territorio».
    La Regione, poi, ha messo a punto il portale dei materiali forestali di moltiplicazione, che offrirà servizi di gestione e pubblicazione per favorire l'incontro tra la domanda di alberi degli enti locali e l'offerta vivaistica. Il portale dovrebbe aiutare ad individuare le specie più adatte e poi di avere a disposizione piantine che ne certifichi la provenienza attraverso una selezione di semi di cui è nota l'origine, possibilmente locale, e raccolti da esemplari differenti. In questo modo, secondo i tecnici della Regione, si favorisce «l'adattamento alle condizioni dei luoghi di impianto, soprattutto al clima e al suolo evitando che i boschi di nuova realizzazione si dimostrino più fragili e geneticamente impoveriti e che questa ridotta variabilità genetica possa indebolire anche i rari boschi naturali delle aree di pianura, ancora oggi in riduzione per le pressioni di urbanizzazione e agricoltura».
    In questi mesi i tecnici hanno lavorato alla costruzione di una rete e regionale dei boschi più adatti a raccogliere frutti e semi di tutte le specie arboree ed arbustive autoctone. Il Registro regionale, comprende 133 popolamenti (la maggior parte classificati per la raccolta di più specie) e 272 fonti di seme relative alle singole specie arboree soggette all'obbligo di certificazione di provenienza. E poi c'è la certificazione: su più di 15 specie arboree sono state svolte specifiche indagini sul patrimonio genetico. Per il vicepresidente Carosso «l'incrocio tra domanda e offerta dovrebbe permettere la programmazione degli interventi da parte dei vivai e lo sviluppo di una filiera made in Piemonte».

 

 

 

10.09.23
  1. Il Dr. Rand Paul presenta la legge sulla non discriminazione sulla vaccinazione contro il COVID-19

    Non c’è motivo per cui le strutture mediche debbano negare le cure alle persone in base al loro stato di vaccinazione contro il COVID-19, e certamente non c’è motivo per cui le istituzioni che lo fanno ricevano finanziamenti federali.

    Martedì scorso ho introdotto la legge sulla non discriminazione delle vaccinazioni contro il Covid-19 per garantire che i dollari dei contribuenti federali non vengano utilizzati per sostenere le strutture sanitarie che negano le cure ai pazienti in base al loro stato di vaccinazione contro il Covid-19.
    La legge sulla non discriminazione nei vaccini contro il Covid-19 proteggerà i diritti dei pazienti vulnerabili a fare le proprie scelte in materia sanitaria e garantirà che i soldi dei contribuenti federali non sostengano strutture che allontanano i pazienti in base al loro stato di vaccinazione contro il Covid-19.


    Il Dr. Rand Paul presenta una legislazione per attuare la trasparenza del Congresso

    Troppo spesso al Congresso la legislazione viene approvata senza audizioni, emendamenti o dibattiti. Credo fermamente che il popolo americano abbia il diritto di prendere parte al processo legislativo.

    ImageRecentemente, ho reintrodotto il Write the Laws Act, il One Oggetto at a Time Act, il Read the Bills Act e una risoluzione per modificare le regole del Senato per fornire tempo sufficiente affinché la legislazione venga letta prima di essere esaminata dal Senato degli Stati Uniti.

    Ogni singolo atto legislativo ripristinerebbe la trasparenza nel governo e l’equilibrio all’interno della separazione costituzionale dei poteri.

    I miei progetti di legge concederanno ai cittadini tempo sufficiente per leggere la legislazione e fornire input ai membri del Congresso poiché considera le politiche che hanno un impatto sulla vita di tutti gli americani. Continuerò a mantenere la mia promessa di aumentare la trasparenza e l’accessibilità al Senato degli Stati Uniti.

    Il Dr. Rand Paul si unisce agli sforzi per porre fine formalmente alle guerre del Golfo e dell’Iraq

    La guerra senza fine indebolisce la nostra sicurezza nazionale e deruba le generazioni future attraverso un debito alle stelle.

    Per anni ho guidato la lotta per restituire i poteri bellici al Congresso a cui appartengono, e sono orgoglioso di aver continuato questi sforzi unendomi recentemente a un gruppo bipartisan di senatori nel reintrodurre la legislazione che abrogherebbe le autorizzazioni del 1991 e del 2002 per L’uso della forza militare (AUMF), pone formalmente fine alle guerre del Golfo e dell’Iraq.

    Gli AUMF del 1991 e del 2002 – approvati rispettivamente 32 e 20 anni fa – autorizzavano l’uso della forza per le guerre del Golfo e dell’Iraq, ma il Congresso non è riuscito ad abrogare questi AUMF per prevenire potenziali abusi da parte dei futuri presidenti.

    È ormai da tempo che rispettiamo gli equilibri di potere e riaffermiamo la voce del Congresso costringendo i legislatori ad approvare o disapprovare specificamente la direzione della nostra politica estera
  2. LA CINA CON PUTIN CONTRO IL MONDO :  Pechino contro Washington sulla presidenza del Gruppo dei Venti nel 2026 New Delhi pronta a lanciare una linea commerciale coi Paesi del Mediterraneo
    Una rotta dall'India a Venezia gli Usa danno scacco alla Cina
    Dall'inviato a New Delhi
    Sono scortesie protocollari, trucchetti e battute a descrivere la distanza che separa Washington da Pechino. La delegazione cinese, scrive il Financial Times, ha tentato di impedire agli Usa di assumere la presidenza del G20 nel 2026. A loro - in un briefing con i reporter - ha risposto Jake Sullivan, dapprima evidenziando che il comunicato ha certificato che fra tre anni dopo Brasile e Sudafrica tocca agli Usa e «anche la Cina ha approvato, quindi grazie», ma poi sottolineando, sibillino, che nei Brics ci sono «tre Paesi democratici» e che Biden si è fatto ritrarre con i loro leader Modi, Lula e Ramaphosa. «Crediamo tutti fermamente nel G20 per favorire la prosperità e la crescita», il messaggio che gli americani rilancio con enfasi.
    Il segnale è quello di un'America che vuole togliere alleati certi e terreno sicuro ai cinesi. Biden si è detto «dispiaciuto» dell'assenza di Xi ma ieri ha detto che «il summit va bene».
    Washington colma gli spazi che la Cina non occupa. Anche all'Assemblea generale dell'Onu fra dieci giorni potrebbero esserci aree da colmare. Xi non viene, e nemmeno colui che era deputato a sostituirlo, il ministro Wang Yi. Avrebbe, almeno secondo alcune fonti, dovuto lavorare a un incontro a San Francisco per i prossimi mesi fra Biden e Xi. Nulla invece.
    Al G20, al di là delle schermaglie, Washington ha calato cose concrete e rafforzato i progetti di sviluppo, il PGII, (Partnership for Global Initiative and Investment) lanciato al G7 del 2022 per finanziare con soldi pubblici, privati e organizzazioni multilaterali piani infrastrutturali e verdi nel mondo. Un disegno che allora venne definito alternativo alla Via della Seta cinese. Biden - insieme a indiani, sauditi, Emirati Arabi, Italia e Francia, oltre alla Ue - da New Delhi ha annunciato il progetto per collegare l'India con l'Europa passando dalla Penisola arabica e la Giordania e magari Israele. Ferrovie, porti, collegamenti marittimi che si aggiungono a "pipeline" digitali ed energetiche, «energia pulita non più petrolio», spiega Amos Hochstein, responsabile del dossier energia al Consiglio per la Sicurezza nazionale. Il "Memorandum of understanding" è stato lanciato dai Paesi coinvolti e poi suggellato da una stretta di mano fra Biden e l'evidentemente ex reietto principe saudita Mohammed bin Salman su sui si sono posate le mani di Modi a far da garante. È un progetto economico e infrastrutturale la cui portata è strategica. Significa per gli Usa recuperare terreno in Medio Oriente e favorire quel processo di normalizzazione fra Gerusalemme e Riad su cui si lavora da tempo. Va, precisano fonti Usa, su altri binari, ma è evidente che il Corridor faciliterebbe molte cose. E in secondo luogo serve a contrastare la presenza cinese sia nel Mediterraneo e sia a limitarne i legami con i sauditi, anche se gli emissari di Washington evitano di restare impigliati in queste schermaglie.
    Il progetto ha avuto la genesi nel luglio del 2022 quando Biden partecipò al summit sulla Cooperazione dei Paesi del Golfo. Quindi in gennaio il dialogo è partito. Sullivan ha ripercorso le tappe e spiegato come insieme a emiratini e sauditi si è lavorato al Memorandum da maggio sino a ieri. I tempi di realizzazione delle infrastrutture (servono porti, hub logistici, pipeline, ferrovie) non sono definiti, ma gli investimenti inizieranno ad essere raccolti da subito, fra due settimane ci sarà un primo meeting a Washington. L'Europa è pienamente coinvolta con il Global Gateway che stanzia 300 miliardi sino al 2027. La presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen ha definito il progetto «nientemeno che storico» spiegando che i collegamenti fra Europa e India saranno del 40% più veloci, oltre a elencare i vantaggi derivanti dalla costruzione di tubi per l'idrogeno e collegamenti per i dati e le linee elettriche. Se il passaggio "arabo" verso l'India è la novità, la Ue ha aggiunto alla sua proiezione globale la partecipazione al Trans-African Corridor, già spinto da Washington che connette il porto di Lobito in Angola con la provincia del Katanga in Congo e la cintura del rame nello Zambia. Sempre Von der Leyen ha puntualizzato che lo scopo è investire nella forza lavoro locale, creare valore e condividere la prosperità. Sono termini sui quali c'è piena sintonia con Washington tanto che Jon Finer, vice di Sullivan ha detto che ai Paesi del sud globale (e no) non si chiede di scegliere se stare con gli Usa o la Cina ma si «offre un piano trasparente e di alta qualità che porta beneficio a tutti». La foto con i Brics e i sorrisi con Modi servono a fare da volano.
  3.  COME SI PRENDE IL POTERE NEL PD TORINESE : Una gestione personalistica della Rear, «operazioni di investimento e finanziamento in altre società che non sembrano avere alcuna connessione con le finalità statutarie della cooperativa», stipendi aumentati solo ad alcuni lavoratori senza seguire le disposizioni del regolamento interno. Ecco, stando al decreto pubblicato sul sito del ministero delle Imprese del Made in Italy, gli aspetti finiti sotto il faro degli ispettori inviati alla Rear a seguito dell'inchiesta aperta in primavera dalla procura per truffa e malversazione.
    Il Mimit ha deciso di commissariare la multiservizi per tre mesi, prorogabili. E il commissario, si legge nel decreto, è chiamato a «sanare le irregolarità riscontrate». Particolare attenzione «alle operazioni di investimento e finanziamento». E ancora. Il commissario «dovrà verificare la correttezza e l'esistenza dei presupposti oggettivi per il riconoscimento, solo in capo ad alcuni lavoratori, delle integrazioni salariali». Inoltre «dovrà provvedere a ripristinare la democraticità interna». Perché, a quanto sembra, «almeno negli ultimi tre anni, i soci non sono stati informati adeguatamente».
    La vicenda prende il via dagli accertamenti della Guardia di finanza su bilanci ed estratti conti della Rear. Per la procura, i fondi statali incassati per i servizi che la cooperativa doveva offrire, sarebbero stati utilizzati per interessi privati. Sei gli indagati. Tra loro il deputato Pd Mauro Laus, ex presidente e ora tra i soci più in vista della Rear, la presidente del Consiglio comunale di Torino Maria Grazia Grippo, e l'assessore ai Grandi Eventi della Città, Mimmo Carretta.
    Apertura dell'inchiesta, invio degli ispettori da parte del ministero per valutare la gestione della multiservizi, commissariamento: questi gli step. Per gli oltre 1500 dipendenti Rear, questo è doveroso sottolinearlo, non cambia nulla. Le ispezioni e il ruolo del commissario riguardano, infatti, la gestione di una cooperativa finalizzata a scopi mutualistici.
    Le indagini della guardia di finanza proseguono. Nel frattempo gli 88 lavoratori che garantiscono i servizi di accoglienza alla Reggia di Venaria e al Castello di Moncalieri, sono in stato di agitazione. Da dipendenti di CoopCulture, infatti, dovrebbero «passare» alla Rear, che lo scorso giugno ha vinto l'appalto per i servizi di accoglienza e biglietteria nelle due residenze. Un'assemblea è in programma questa mattina, sul tavolo le proposte di accordo formulate dal sindacato Usb a seguito dell'incontro con il commissario straordinario della Rear Francesco Cappello e i vertici del Consorzio Residenze Reali Sabaude. «Al momento siamo soddisfatti perché il commissario ha fornito garanzie sotto il profilo occupazionale ed economico evidenziando come la Rear sia un'azienda sana». E oggi Miccoli spiegherà ai lavoratori le condizioni dell'accordo. «Se l'assemblea darà l'okay andremo avanti con la trattativa e daremo il via libera per il passaggio alla Rear»
  4. BOICOTTAGGIO : Un taglio torta da 15 euro e ritorna la polemica degli scontrini pazzi. Questa volta succede a Pino Torinese, nella pizzeria Pinocchio in via Roma 3. E' successo qualche giorno fa, a inizio settembre. Fabio Bregolato che vive a Rosta, con una decina di amici e parenti, prenota nel locale della collina: «Dovevamo festeggiare un compleanno» scrive in un post su Facebook. E aggiunge: «Eravamo in dieci, pizza ottima e servizio ben fatto ma…. 15 euro per tagliare una torta portata da noi è stata proprio una caduta di stile». E allega foto dello scontrino incriminato: «Potevano pure passarci sopra, non mi è mai capitato in 40 anni (e di pizze ne ho mangiate parecchie) che un locale applicasse un sovrapprezzo per tagliare una torta».
    Bregolato sostiene di aver avvisato della torta: «La pizzeria non poteva far fare un dolce ma ha detto che potevamo portare noi una torta da fuori". Sui social si è scatenata la polemica, alcuni danno ragione a Bregolato ma altri sottolineano come sia un servizio previsto e venga applicato anche da altri locali: «A me è successo a Carmagnola – scrive una signora – ho pagato 2 euro per ogni fetta di torta». Ed è quello che sostengono anche i titolari di "Pinocchio": «Lo abbiamo segnato regolarmente nello scontrino e ci paghiamo le tasse. È un servizio e come tale ha un costo». Bregolato non avrebbe neppure avvisato del dolce portato da casa: «Al momento della prenotazione non ha detto nulla. Quando è arrivato ci ha mostrato la torta e ha detto "Ci pensate voi?" Niente altro. Noi non siamo tenuti a fare questo servizio, anche perché rischiamo a servire qualcosa che non produciamo noi. Lo sappiamo bene, siamo specializzati in prodotti per celiaci e intolleranti».
    Appurato che la torta era confezionata hanno accettato: «Ma era minuscola, da non più di sei persone ed erano in dieci. La cameriera ha portato la torta in cucina e con fatica è riuscita a ricavare dieci fettine accettabili, le ha sistemate nel piatto in modo molto carino proprio per far fare bella figura al cliente nonostante le esigue porzioni. Insomma tra taglio, sistemazione e servizio al tavolo ci si è dedicata 25 minuti, tempo nel quale non ho potuto farle fare altro» sottolineano i titolari.
    Monica Bucolo, presidente dell'Ascom Chieri, conferma «È previsto il servizio taglio torta. D'altronde nei negozi paghiamo i sacchetti, dal benzinaio si paga un supplemento se si vuole la benzina servita e non fai da te. Poi ci vuole buon senso, ma è vero che in questo periodo si sta esagerando a dare sempre addosso ai ristoratori»

 

 

 

 

 

 

 

09.09.23
  1. CINA STOP 30% DAZI SU COMPONENTI AUTO :  «Il premier Li Qiang parteciperà al summit del G20 di Nuova Delhi, India». Con questa scarna comunicazione, la Cina ha fatto sapere che il presidente Xi Jinping avrebbe saltato il vertice di questo fine settimana. Pechino non ha fornito motivi ufficiali per l'assenza, ma il ministero degli Esteri ha sottolineato l'importanza del G20. E Li, dotato per il suo ruolo di competenze specifiche sul dossier economico, sembra avere un margine di manovra più ampio rispetto agli ultimi predecessori. Anche e soprattutto perché è un fedelissimo di Xi.
    Ciò nonostante, l'inusuale assenza del leader cinese fa discutere. Le ipotesi sulle sue ragioni sono molteplici. C'è chi azzarda un collegamento con quanto scritto dal quotidiano giapponese Nikkei, secondo cui gli anziani del Partito comunista guidati dall'ex vicepresidente Zeng Qinghong (vicinissimo al defunto leader Jiang Zemin) sarebbero insoddisfatti delle politiche economiche di Xi.
    La sensazione è che si tratti di un segnale politico. Xi potrebbe aver voluto prendere tempo prima di incontrare Joe Biden, rendendo ancora più urgente il possibile bilaterale di novembre a San Francisco, a margine del summit dell'Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation). Un appuntamento a cui tiene molto la Casa Bianca e sapendolo Pechino potrebbe tirare la corda nel negoziato che precede il viaggio. Nei giorni scorsi, il ministero per la sicurezza di Stato ha accusato Washington di utilizzare «vino vecchio nella bottiglia nuova». Tradotto, continua a perseguire il contenimento della Cina anche se a parole sostiene di non farlo con la recente raffica di visite dell'amministrazione Biden. Dunque ecco l'avvertimento: per far sì che Xi vada a San Francisco, «gli Stati Uniti devono dimostrare sufficiente sincerità».
    L'assenza di Xi (che ha saltato il vertice Asean a Giacarta) colpisce anche l'India, con cui le relazioni continuano a essere complicate. Al summit dei Brics l'atteso bilaterale tra Xi e il premier indiano Narendra Modi si è ridotto a un controverso «breve scambio informale». Pochi giorni dopo, Delhi si è arrabbiata per la nuova mappa pubblicata dal governo cinese che considera suoi alcuni territori contesi. Non il modo migliore per arrivare all'evento che avrebbe dovuto sancire il riavvicinamento. Xi ha preferito concentrarsi sul terzo forum sulla Via della Seta di ottobre, a cui dovrebbe presenziare Vladimir Putin. In India, intanto, secondo Bloomberg la delegazione cinese avrebbe chiesto ai ""Paesi sviluppati" più sostegno tecnologico, chip compresi, per aiutare gli sforzi sul cambiamento climatico. Idea respinta dagli Usa. I semiconduttori sono uno degli snodi cruciali della contesa tra le due potenze.
  2. LA SICUREZZA ITALIANA IN MANO A SALVINI ?: Tutti o quasi si stanno chiedendo adesso: come è possibile? Perché mai come in questa storia i fatti sono chiari: una come Irina Osipova - nonostante abbia vinto un concorso - a lavorare in Senato alimenta una serie di preoccupazioni molto forti. Anche tra i nostri alleati internazionali. Non solo per evidenti ragioni di "opportunità politica", come si sarebbe detto in un'altra era, ma anche per motivi che in qualunque Paese democratico europeo o alleato verrebbero definiti «di sicurezza nazionale», tanto più in un momento in cui la Russia minaccia l'Europa e l'Occidente con l'aggressione all'Ucraina. Osipova, che ha la doppia cittadinanza, russa e italiana, è risultata idonea al concorso per "coadiutore parlamentare", bandito nel 2019 e terminato lo scorso anno, e Palazzo Madama starebbe per assumere non solo i 60 vincitori, ma anche i candidati risultati idonei, fino al 124º. Osipova è 78ª, dunque dal primo novembre - se non accade qualcosa - avrà la possibilità di consultare le banche dati di Palazzo Madama, classificare e archiviare la corrispondenza di Palazzo. Un osservatorio formidabile, praticamente consegnato direttamente a Mosca.
    Chi è Osipova, che ora si troverà a maneggiare atti del Senato - sia pure nella forma limitata che tocca a un coadiutore parlamentare (fare attività amministrativa e contabile, registrare disegni di legge e atti, tenere rapporti con utenza interna e esterna, avere comunque un certo accesso ad archivi) - è facile abbastanza da spiegare. Per almeno un paio di ragioni macroscopiche. Una è che Osipova è vicina non solo ideologicamente, ma anche per relazioni, familiari in primis, al putinismo e ai suoi apparati: è figlia di Oleg Osipov, per anni capo di Rossotrudnichestvo, l'Istituto russo di scienza e cultura, uno degli strumenti più utili in tutto il mondo per le operazioni di influenza della Russia, e in questo caso della Russia di Putin. È una di quei figli di russi degli apparati che troviamo spesso a operare alacremente nel Belpaese (un altro era Oleg Kostyukov - figlio dell'ex capo del Gru, i servizi militari russi - il funzionario dell'ambasciata russa in contatto col consigliere di Salvini, che si informava sulla possibilità di un ritiro dei ministri leghisti dal governo Draghi, due mesi prima della sua caduta).
    L'altra ragione è che Osipova - in tutta coerenza con queste premesse - in Italia in tutti questi anni è spuntata come il prezzemolo, guarda caso, in diversi snodi molto discutibili del postfascismo e dell'estrema destra italiana. Se parliamo della Lega e del putinismo (ma anche della fase putiniana di Fratelli d'Italia), Osipova nel 2011 fondò un'associazione, la "Gioventù Russa Italiana", che era un classico braccio del putinismo all'estero, e si legò nella primavera 2014 a "Lombardia-Russia", la branca leghista più vicina a Putin, guidata dal celeberrimo Gianluca Savoini, consigliere di Matteo Salvini. Ce lo ricorda anche una foto di lei tra Salvini e Savoini belli sorridenti a Mosca. Nel 2016 Osipova si candidò anche: con Fratelli d'Italia, al Comune di Roma.
    La si ritrova (non indagata) nelle carte dell'inchiesta genovese contro alcuni neofascisti italiani andati a combattere in Donbass con la Russia. Carte assai utili per raccontarci che Osipova era in contatto con Andrea Palmeri, noto neofascista di Lucca, già capo degli ultras della Lucchese, poi stabilitosi in Donbass (a Lugansk) fin dal 2014 (prima aggressione russa all'Ucraina), quando già la giustizia italiana era sulle sue tracce. Lì Palmeri fondò una "onlus" che sosteneva di raccogliere fondi per "la popolazione russa del Donbass". E con lui c'era appunto la nuova dipendente del Senato italiano Osipova. C'era una rete di circa 20 italiani (molti dall'area genovese o milanese) che combattevano accanto alle milizie paramilitari russe in Donbass. Le quali, come via via si saprà con sempre più precisione documentale, erano sostenute dai servizi russi e finanziate in parte dall'oligarca ultra-ortodosso Konstantin Malofeev, e facevano capo sul campo al sedicente "ministro della Difesa" del Donbass, Igor Girkin (oggi caduto in disgrazia per le critiche a Putin, e arrestato a sua volta).
    La vediamo fotografata e braccetto del neonazista russo Jan Petrovski, un militare del gruppo neonazista "Rusich", da pochi giorni arrestato in Finlandia. Né è segreto che Osipova abbia partecipato nel marzo 2015 all'infame convegno delle estreme destre europee invitate a Mosca dal partito nazionalista Rodina, una estrema destra nella destra russa, con ospiti eminenti tipo Alba Dorata, l'europarlamentare neonazista Udo Voigt, l'italiano Roberto Fiore. Osipova vi si recò con il segretario di Lombardia-Russia, Luca Bertoni. Persino Savoini, presidente, prese le distanze definendo sul Foglio una «iniziativa privata» la partecipazione al Forum del segretario della sua associazione «con la sua fidanzata Irina Osipova».
    Ecco, una con questo curriculum a lavorare in Senato non pone qualche problema di sicurezza nazionale, senza parlare dell'opportunità politica? Ideologia ultrasovranista, mondi mercenari italiani e operazioni del Cremlino. Un matrimonio insostenibile, anche per un Paese flaccido come l'Italia sulla Russia.
  3. MUSSOLINI HA PERSO LA GUERRA ED I TERRORISTI SONO ASSASSINI : «Marcello De Angelis ha detto solo quello che molti pensano». Un mese dopo il post che ha suscitato indignazione e polemiche, il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, torna sullo scandalo che ha coinvolto il suo ormai ex capo della comunicazione, per difenderlo. Lo fa parlando a una manifestazione politica, "Itaca 20.23", organizzata a Formello, alle porte di Roma. Durante un'intervista con il direttore del Tempo Davide Vecchi sottolinea che «sicuramente la frase è stata istituzionalmente sgrammaticata» ma «la sostanza è quello che tanti chiedono di approfondire». Il riferimento è alla strage di Bologna e alle tesi del suo collaboratore, ex militante di estrema destra, che mettono in dubbio la colpevolezza degli esecutori materiali, già condannati. «Come i martiri cristiani io non accetterò mai di rinnegare la verità per salvarmi dai leoni. Posso dimostrare a chiunque abbia un'intelligenza media e un minimo di onestà intellettuale che Fioravanti, Mambro e Ciavardini non c'entrano nulla con la strage. Dire chi è responsabile non spetta a me, anche se ritengo di avere le idee chiarissime in merito nonché su chi, da più di 40 anni, sia responsabile dei depistaggi» aveva scritto De Angelis su Facebook il 2 agosto scorso, in occasione dell'anniversario della strage costata la vita a 85 persone. «Un giorno molto difficile per chiunque conosca la verità e ami la giustizia, che ogni anno vengono conculcate persino dalle massime autorità dello Stato». Parole che sono suonate da subito gravissime e per le quali diversi esponenti del Pd avevano chiesto la testa del capo della comunicazione. Senza alcun esito.
    Ieri Rocca ha invece parlato di «fango» e di un'indignazione generale che ha coinvolto la Regione Lazio al solo lo scopo di «coprire le tante cose che stiamo facendo». Nessun passo indietro, anzi. Dal palco si è poi scagliato contro con chi lo ha attaccato: «Gli insulti peggiori sono arrivati da Bonelli e D'Amato che nel '96, dopo la Cassazione, firmarono un documento che diceva ciò che ha detto De Angelis. Io non sopporto la disonestà intellettuale». Pronta è arrivata la risposta di Alessio D'amato. «Rocca non è autonomo né dai poteri forti, né dai trascorsi di estrema destra e lo dimostra. La disonestà è aver utilizzato una funzione istituzionale per mettere in discussione la matrice neofascista della strage di Bologna pochi giorni dopo la ricorrenza della strage» sottolinea il consigliere regionale del Lazio.
    Non è la prima volta che il governatore del Lazio corre in soccorso al suo ex collaboratore. Già nei giorni successivi alle esternalizzazioni social di De Angelis, Rocca aveva parlato di frasi dette a «titolo personale» perché «mosso da una storia familiare che lo ha segnato profondamente e nella quale ha perso affetti importanti». Il fratello Nanni, esponente di Terza Posizione, fu infatti coinvolto nelle indagini. Sempre in quell'occasione, il presidente del Lazio riferendosi ai fatti di Bologna sottolineava che «le sentenze si rispettano», ma aggiungeva: «questo non esime dalla volontà di ricerca continua della verità, specialmente su una stagione torbida dove gli interessi di servizi segreti, apparati deviati e mafia si sono incontrati». Una posizione che ora ribadisce e che rischia di creare ulteriori polemiche e imbarazzi.
    Le parole di Rocca mostrano, inoltre, un rapporto ancora solido con l'ex responsabile istituzionale della Regione. Che non sembra essersi incrinato neanche dopo gli altri scandali che hanno portato alle dimissioni di De Angelis, appena dieci giorni fa. Prima la scoperta dell'assunzione in Regione del cognato, poi la diffusione di una canzone dal contenuto antisemita, scritta negli anni 90 quando era il frontman di un gruppo musicale di estrema destra, i 270bis. —
  4. MENEFREGHISMO : «Per i ninni. Tutto per i ninni». Certe volte il dolore è un rimpianto permanente. «Mio fratello Giuseppe aveva deciso di fare il manutentore delle ferrovie per lavorare di notte e prendersi cura dei figli di giorno. Per lui e per la sua compagna, pagare il mutuo della casa e in più la baby sitter era quasi impossibile».
    Quindi, ecco cosa sono quei turni di notte sui binari del treno: un modo per cercare di fare quadrare il bilancio di una famiglia. «Sì, Giuseppe era soddisfatto della sua scelta. Diceva che lo stipendio alla Si.Gi.Fer era anche un po' di più alto di quello che prendeva prima. Aveva firmato il 27 agosto il secondo contratto a termine della durata di sei mesi. A 43 anni aveva messo in discussione tutta la sua vita per amore dei figli».
    Storia operaia. Storia di un lavoratore emigrato al Nord. Storia di un padre. Giuseppe Sorvillo da Sparanise, provincia di Caserta, era l'ultimo arrivato alla Si.Gi.Fer di Borgo Vercelli. Dopo un primo contratto con un'agenzia interinale, aveva firmato il secondo da soli tre giorni. Ma quella notte non avrebbe dovuto essere lì, il che significa che qualcun altro adesso è salvo al suo posto. «Non è partito con la solita squadra, quella notte Giuseppe è stato chiamato all'ultimo», ricorda il fratello Giovanni. «Mancava un lavoratore, hanno telefonato a Giuseppe perché abita a Brandizzo e proprio lì andava fatto il lavoro di manutenzione ferroviaria».
    Sei metri di binari da sostituire. Un caposquadra, cinque operai della Si.Gi.Fer, più la scorta di Rfi. Appuntamento alle 23.30 alla stazione di Brandizzo.
    Giuseppe Sorvillo era arrivato a piedi da casa, abitava poco lontano. Era uscito dopo aver salutato la compagna e dato un bacio della buonanotte ai figli. Ma prima di quel treno lanciato a 160 chilometri all'ora, prima della chiamata per la sostituzione di un collega, sono stati tanti i passaggi salienti della sua vita. Era partito a 21 anni per trovare lavoro alla periferia di Torino, grazie a un amico emigrato prima di lui. Commesso all'Eurospin, dove ha conosciuto la sua compagna. Poi si era trasferito nel supermercato «Prestofresco» di Chivasso. «Era assunto con contratto a tempo indeterminato e con un ruolo importante, per noi era una risorsa preziosa», spiegano in quell'azienda. Le motivazioni del suo cambio di lavoro sono state ufficialmente queste: «La necessità di conciliare il lavoro con le esigenze famigliari».
    «Lui faceva tutto per i ninni. Anche la compagna di mio fratello lavora come commessa. Avevano gli stessi orari. Fuori al mattino presto, a casa alla sera. I figli hanno 7 e 10 anni. Dovevano trovare qualcuno che se ne prendesse cura durante il lavoro, ma questi sono costi che equivalgono a uno stipendio». Così Giuseppe Sorvillo ha pensato di cambiare tutto, mettendoci più sacrificio. Ecco perché era diventato un nuovo manutentore. Operaio di notte, padre di giorno.
    «Ci siamo sentiti alle otto di sera del 30 agosto», ricorda il fratello Giovanni. «Ha detto che era stato appena chiamato per un intervento. "Niente di che", ricordo queste parole. Era un gran lavoratore. Io gli ho detto: "Ciao, fatti sentire"». E invece, all'alba del giorno dopo, il fratello con la moglie e il padre Luigi, sono in auto verso la tragedia. Dalla Campania al Piemonte. «All'inizio si sapeva che due persone su sette erano ancora vive, noi pregavamo e speravamo. Ma all'altezza di Roma abbiamo sentito i nomi alla radio e ci è crollato il mondo addosso. Il piede si è alzato dall'acceleratore. Poi è arrivata la telefonata di un amico poliziotto: "Tuo fratello non c'è più". È stato un lungo viaggio a piangere».
    C'era anche Giuseppe Sorvillo nell'elenco dei morti. Lui con Kevin Laganà, Micheal Zanera, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa. «Siamo andati a vedere quel binario, abbiamo aspettato un altro treno per capire. Abbiamo visto quella curva. E loro erano proprio là dietro, mandati al lavoro senza autorizzazione. Ma come è possibile? Nel tempo dei viaggi spaziali e dell'intelligenza artificiale, come è possibile mandare cinque operai allo sbaraglio? Come è possibile affidarsi a dei moduli di carta?».
    La calce bianca, sparsa sui binari per cento metri, indica ancora oggi quello che è successo davanti alla stazione di Brandizzo. La compagna di Giuseppe Sorvillo sta male. Lo smarrimento dei figli non si può nemmeno immaginare.
    Avete guardato quel video girato sul binario da Kevin Laganà poco prima della strage? «Un'infinità di volte», dice il fratello. «Lo abbiamo anche ascoltato per cercare si sentire la voce di Giuseppe. Ma non parla mai». Cosa ne pensate dei funerali di Stato? «Forse potrebbero essere un modo per rendere onore a questi lavoratori». Quando è stata l'ultima volta che ha visto suo fratello? «A Ferragosto. Non aveva ferie. Ma è venuto giù a Mondragone solo per due giorni. La grigliata, i ninni. Eravamo felici».
  5. Un altro addetto ai pm "Ho rischiato 4 mesi fa"
    Dopodomani i pm di Ivrea che indagano sul disastro ferroviario di Brandizzo costato la vita a cinque operai della Si.gi.fer di Borgo Vercelli affideranno una consulenza a un ingegnere informatico. Dovrà analizzare il materiale sequestrato agli atti dell'inchiesta che vede al momento due indagati (Antonio Massa, preposto Rfi alla scorta degli operai che autorizzò gli stessi a scendere sui binari in assenza di interruzione di linea e Andrea Gibin capocantiere dell'azienda vercellese). Ci sono le "scatole nere" del "treno anomalo" (trasportava 11 vagoni vuoti) che ha investito e ucciso gli operai. Tecnicamente si chiamano Dis (registratori di eventi di marcia e di condotta). Permetteranno di ricostruire tutto il viaggio del convoglio, minuto per minuto. Dalla stazione di partenza (Alessandria) fino al momento dell'impatto e alla successiva lunga frenata.
    Ancora; due tablet aziendali marca Samsung in dotazione ai macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e Domenico Gioffrè (non indagati) che quella notte passarono sul binario pari di Brandizzo a una velocità di 150 km/h con semaforo verde. Stesso dicasi per due smartphones, in dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Saverio Lombardo) che si sono salvati dall'impatto e sono stati recuperati dalla Polfer sul luogo della tragedia. Sul fronte delle audizioni, ieri, è stato convocato in procura Francisco Martinez, operaio di primo livello della Sigifer che è stato chiamato dai magistrati a confermare il contenuto delle dichiarazioni rilasciate a telegiornali e giornali.
    Frasi durissime: «Ho rischiato di morire 4 mesi fa nello stesso modo a Chivasso durante un cantiere. Mi ha salvato un collega che mi ha tirato per la maglietta un secondo prima che passasse un treno. Era una prassi iniziare prima per portarsi avanti con il lavoro». All'uscita da palazzo di giustizia non ha rilasciato ulteriore dichiarazioni, ma ha confermato tutto ciò che aveva già detto ai magistrati. —
  6. CI PRENDE IN GIRO : Caso Saman, il padre finge in aula "Non so chi ha ucciso mia figlia" e gli paghiamo gli avvocati?
    Il programma di giornata prevedeva tutt'altro. Si preannunciava ricco di episodi chiave per il processo, come la prima presenza in aula del padre, Shabbar Abbas, appena estradato dal Pakistan, effettivamente avvenuta, in silenzio e a capo chino. Oppure, la decisione sulla possibilità di interrogare il fratello minore, Alì Haider, e il fidanzato, Saquib Ayub, i principali teste dell'accusa, che saranno sentiti nei prossimi giorni. Tuttavia, il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci, ha preso la parola e ha detto: «Questa mattina ho depositato nuovi atti». Sommarie informazioni testimoniali di due detenuti, che riferiscono di «confessioni» ricevute da Danish Hasnain, in merito a «ciò che ha fatto, visto e come ha partecipato alla soppressione di Saman Abbas».
    Le indiscrezioni parlano di una frase semplice: «L'ho uccisa io». Senza che sia stato possibile confermarlo, va ricordato che proprio con l'accusa di aver strangolato e sotterrato la 18enne pakistana, Danish Hasnain, che ne era zio, è sotto processo dal febbraio scorso. Tuttavia, ha sempre negato questa circostanza. Inoltre, quando Paci precisa si tratti di «ciò che ha visto» e «come ha partecipato», oltre che di «quel che ha fatto», lascia supporre anche l'implicazione di terzi.
    Riguardo all'importanza di questi nuovi atti, la linea del tempo toglie ogni dubbio: il 31 agosto un detenuto manifesta l'intenzione «di rendere dichiarazioni su confidenze apprese dall'imputato Danish Hasnain, in merito alla vicenda». È sempre Paci che parla. Il 5 settembre la procura lo sente. Il 6 interroga un altro carcerato. Lo scopo è «svolgere tutta una serie di accertamenti e riscontri». Ieri mattina, l'8, Pm e procuratore portano il fascicolo in cancelleria, appena in tempo per l'udienza.
    Ora, attenzione a una strana coincidenza: il 31 agosto è anche il giorno in cui Shabbar è arrivato in Italia, al culmine di un processo d'estradizione lampo. Possibile che le esternazioni di Danish ai compagni di cella abbiano una qualche relazione con ciò che il fratello potrebbe dire, quando sarà interrogato il 29 settembre? Possibile che parli anche di lui, nella sua confidenza? C'è un precedente che fa riflettere. Tre giorni dopo l'arresto di Shabbar in Pakistan (15 novembre 2022), Danish disse ai carabinieri dove si trovava il corpo di Saman. La cercavano senza successo da un anno e mezzo.
    In ogni caso, non è la prima volta che gli imputati di un delitto commesso in nome delle tradizioni, per l'opposizione della ragazza di Novellara ai dettami famigliari, per il rifiuto di indossare gli abiti tipici, per le sue proteste contro il divieto di studio e perché voleva sottrarsi a un matrimonio combinato in patria, si lasciano andare a frasi che aggravano la loro posizione. Cominciando da Danish, intercettato qualche giorno dopo il crimine, disse: «Abbiamo fatto un buon lavoro». Suo nipote Ikram Ijaz, in carcere, invece, ammise il proprio ruolo e quello del fratello, Noumanoulaq Noumanoulaq, nel «tenere ferma Saman», mentre Danish la strangolava. Entrambi i cugini sono accusati di essere coautori. Quanto a Shabbar, al telefono con il fratellastro Fakhar, disse: «L'ho uccisa io. L'ho fatto per la mia dignità e il mio onore». Fakhar è nella lista testimoni, ma si è trasferito in Spagna, non vuole più deporre ed è sparito.
    Appurato che la giovane è morta la notte del 30 aprile 2021, il primo maggio, Shabbar e la moglie Nazia Shaheen (considerati mandanti) sono andati in Pakistan. Qui Shabbar è stato latitante per 18 mesi. La madre di Saman lo è tuttora, irreperibile per le autorità locali, nonostante il mandato d'arresto internazionale spiccato dall'Italia.
    Ieri, i legali di entrambi, Enrico Della Capanna e Simone Servillo, hanno detto che il giorno in cui l'uomo è stato fermato, Nazia era «a casa con lui». Per qualche motivo, è sfuggita alla retata. Poi, hanno aggiunto: «Shabbar non sa chi ha ucciso sua figlia, non sa dove sia stata uccisa, non sa quando sia stata uccisa». Una tesi che sembrano voler sostenere insinuando il dubbio sull'attendibilità di testimoni come il figlio di entrambi che, invece, afferma il contrario. —
  7. Francisco Martinez, dipendente Si.gi.fer, testimone in procura per la tragedia in stazione. Quattro mesi fa ha rischiato di essere travolto da un treno
    " Ci dicevano di salire sui binari in anticipo accettavamo per portare a casa lo stipendio"

    Per tre ore ha risposto alle domande dei magistrati raccontando la vita di chi lavora sui binari. Lui l'ha fatto diverse volte, anche se la sua qualifica da tecnico di primo livello non lo consentirebbe. Perché non ne ha ancora le mansioni. Francisco Martinez, dipendente Si.gi.fer, l'azienda di Borgo Vercelli dove lavoravano le cinque vittime travolte dal treno a Brandizzo la notte tra mercoledì 30 e giovedì 31 agosto scorsi, ieri è stato sentito in procura ad Ivrea come persona informata sui fatti.
    Maglietta verde chiaro e pantaloni con i tasconi, Francisco Martinez arriva a passo svelto. Negli uffici lo attendono i pubblici ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi che indagano sulla tragedia di Brandizzo. E lui, alle magistrate che stanno cercando di fare chiarezza sulle prassi adottate per lavorare lungo i binari, fornisce altri tasselli. Perché quello di iniziare le operazioni senza aver prima ottenuto l'interruzione della linea sembra essere la prassi. Quattro mesi fa a Chivasso, Francisco Martinez ha rischiato di morire: «Se un collega non mi avesse afferrato per la maglietta tirandomi via dal treno in transito, oggi, non sarei qui a raccontarvi nulla». No, quella sera non era da solo. C'erano i colleghi e il capocantiere «che si è accorto di tutto, ma non ha segnalato nulla alla ditta». E ancora: «Con Kevin Laganà (una delle vittime della tragedia di Brandizzo) siamo cresciuti insieme. Oggi, però, vorrei lasciare questo lavoro. Non me la sento di mettere più i piedi sui binari dopo tutto quello che è successo».
    Francisco Martinez la racconta così: «Ci mandavano a fare i buchi e quelle che noi chiamiamo preparazioni così da fare più interventi più velocemente». Operazioni come quelle che i cinque manutentori stavano eseguendo in mezzo alla strada ferrata a Brandizzo una settimana fa, prima di essere travolti dai convogli lanciati a 150 chilometri orari.
    Si lavora sui binari senza pensare alla sicurezza, questo sembra essere il discorso di Francisco Martinez. Che qualche volta, così ha spiegato, ha provato anche ad opporsi. «Mi sono lamentato. In qualche occasione avevo detto che non intendevo lavorare in quelle condizioni, che non era garantita la sicurezza». E poi? «Litigavo con il capocantiere e passavo per quello che non voleva rispettare le regole. Così mi sono guadagnato il soprannome di peperoncino». Ai pm ha raccontato ancora: «Ci dicevano di salire prima di avere l'interruzione della linea, ma non solo Antonio Massa, preposto Rfi e addetto alla scorta del cantiere (indagato insieme a Gibin Girardin per disastro ferroviario colposo e omicidio plurimo colposo) perché molti altri ce lo ordinavano. Eseguivamo perché ognuno di noi voleva portare a casa lo stipendio». —

 

 

 

 

08.09.23
  1. PAGHEREMO SEMPRE PER LA TOTALE SCONFITTA FASCISTA :    L'8 settembre 1943 è uno di quegli eventi la cui tragica grandiosità non si lascia imprigionare negli slogan che per anni hanno affollato il confronto tra gli storici. Per intenderci: quel giorno "non morì la Patria", visto che subito dopo migliaia di italiani si sarebbero scontrati, che fossero partigiani o fascisti di Salò, invocando ognuno le ragioni di una Patria diventata di colpo un ideale per il quale combattere e morire. Non morì neanche lo Stato. È vero, dopo l'armistizio sul territorio italiano presero a convivere almeno cinque realtà che ambivano a una sovranità di tipo statuale: al Sud, il governo di occupazione alleata e la monarchia di Vittorio Emanuele III (con quello che rimaneva del governo capeggiato da Pietro Badoglio); al Nord, i tedeschi, i padroni assoluti, e il loro "fantoccio", la Repubblica che Mussolini aveva installato sul lago di Garda; il CLN, a Roma (e a Milano), con i partiti antifascisti, che rappresentava l'Italia del futuro, la speranza della rifondazione di un nuovo Stato, non più soffocato nelle spire di una dittatura totalitaria.
    Cinque forme di governo diverse si contendevano dunque la sovranità nazionale ma questo, se turbò gli animi degli italiani e delle italiane di allora, pure scalfì solo marginalmente i presupposti di quella che gli storici hanno definito la «continuità dello Stato» e che vide, nel dopoguerra, affacciarsi sulla nostra scena politica le istituzioni che avevano rappresentato l'impalcatura del regime fascista quasi del tutto intatte negli uomini, negli organigrammi, nelle linee politiche che ne ispirarono i comportamenti.
    No, il marasma che seguì all'8 settembre, quello raccontato con grande efficacia dal nostro cinema (Tutti a casa) e nel quale precipitarono migliaia e migliaia di soldati, abbandonati senza ordini in balia della Wehrmacht (furono seicentocinquantamila i militari italiani deportati e in Germania e 50 mila vi morirono), certifica una sola realtà: il fallimento di una classe dirigente cresciuta, vezzeggiata, allevata, nel seno di una dittatura, di uno Stato che ambiva ad essere totalitario.
    Si trattava di quelli che avevano defenestrato Mussolini il 25 luglio del 1943, ma soprattutto erano quelli che rappresentavano l'esito finale di un processo di selezione inquinato dalla mancanza di libertà, di un sistema che era vissuto di raccomandazioni e cooptazioni, rinunciando alla dialettica tra maggioranza e minoranza, privandosi, in una parola, del soffio vivificatore della democrazia.
    Una politica malata aveva partorito una classe dirigente fiacca e incapace di misurarsi con i compiti che le piovvero addosso in un'ora così difficile per la nostra storia. Il "Carteggio riservato" conservato nell'archivio della Segreteria particolare di Mussolini è lo specchio impietoso di questa realtà: intrighi e ricatti come metodo, i salotti e le anticamere dei ministri come scenari, la denigrazione personale e la calunnia come obiettivi. Era uno squallore di cui Mussolini si serviva; lo alimentava, anzi, a garanzia dell'intangibilità della sua posizione personale. Con, alla fine, effetti che furono esiziali per lo stesso fascismo.
    C'era tra le sue file un'opacità diffusa, percepita almeno dai più svegli; già alla data del 7 luglio 1929, Ugo Ojetti annotava nel suo taccuino: «Balbo si vanta di non parlare più di politica: - La politica non mi interessa più. Facciano quello che vogliono. Io mi occupo di aeronautica». Era la testimonianza di uno stato d'animo di stanca disillusione che andava sempre più diffondendosi tra gerarchi e semplici gregari: la mortificazione della politica come libero dibattito si risolveva inesorabilmente nell'impossibilità per lo stesso gruppo dirigente che monopolizzava il potere di fare vera politica. Le adunate oceaniche, i comizi di Mussolini nelle piazze gremite, i viaggi del Duce erano momenti che alimentavano una tensione artificiosa senza promuovere un'autentica partecipazione collettiva.
    Gli uomini del 25 luglio furono i protagonisti anche dell'8 settembre e tutti si erano costruiti la loro posizione in questo scenario. A cominciare da Badoglio, che Mussolini, insieme alla monarchia, aveva voluto Maresciallo d'Italia e aveva coperto di onori: per 15 anni (dal 1925 al 1940) capo di stato maggiore generale, Vicerè d'Etiopia, duca di Addis Abeba, collare dell'Annunziata, marchese del Sabotino, etc. Significativamente, quando il 25 luglio 1943 Mussolini fu arrestato, furono veramente pochi i fascisti che reagirono, riconoscendo nei "venticinqueluglisti" i segni rassicuranti di antiche amicizie e di consolidate frequentazioni. Lo stesso generale Enzo Galbiati, il comandante della Milizia, si era affrettato a rassicurare i golpisti sulla fedeltà delle sue truppe alle istituzioni senza accennare ad alcun gesto di ribellione.
    Quelli che siglarono l'armistizio con gli Alleati, e detenevano allora il potere in Italia, disponevano, con Mussolini, loro prigioniero al Gran Sasso, di una carta importante da giocare con i tedeschi, almeno per contenere la loro reazione; e se lo lasciarono scappare. Con un esercito ancora intatto e, in Italia, numericamente superiore, potevano negoziare da posizioni di forza, rinunciando agli ammiccamenti furbeschi e dilatori, un'uscita il più possibile indolore dalla guerra; e non le fecero. In 45 giorni avevano avuto il tempo di preparare il rovesciamento delle alleanze e disporre per fare fronte comune con gli Alleati in un forte schieramento antitedesco; balbettarono invece di attese miracolose, di sbarchi, di lanci di paracadutisti sulla capitale e altri vaneggiamenti. Calcoli egoistici, meschinità assortite, incapacità conclamata: erano queste le coordinate in cui il fascismo li aveva fatti crescere. E gli effetti si videro.
    Sta a noi oggi cercare di imparare da quella lezione. Teniamocela stretta questa democrazia. Corrotta, sfibrata, esausta; ma è sempre meglio di una dittatura. È vero: una tragedia come quella dell'8 settembre nella nostra storia nazionale difficilmente potrà ripetersi. Nel caso, malaugurato, che ciò avvenga, comunque è meglio non affidarsi a chi, come i "polli di batteria", è stato abituato più alle manovre di palazzo che alla dialettica democratica, più a compiacere chi comanda che a occuparsi dei nostri bisogni reali. —
  2. UNA TELEFONATA CHE NON HA ALLUNGATO LA VITA :  Nell'articolata inchiesta della procura di Ivrea sul disastro ferroviario di Brandizzo avvenuto ormai una settimana fa e costato la vita a cinque operai della Sigifer di borgo Vercelli (Kevin Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 34, Giuseppe Sorbillo 43, Giuseppe Saverio Lombardo, 53, Giuseppe Aversa, 49), c'è un giallo al vaglio degli inquirenti guidati dalla procuratrice Gabriella Viglione. Rimanda alla diretta Instagram fatta da Laganà qualche decina di minuti prima di morire e si focalizza sui primi 14 secondi di registrazione.
    Mentre il più giovane degli operai registra con lo smartphone, si sente in sottofondo la voce del principale indagato per questa tragedia, Antonio Massa, «preposto alla scorta» del cantiere per conto di Rfi, colui il quale darà agli operai l'autorizzazione a iniziare i lavori in anticipo.
    Massa parla al telefono: «Tanto io il lavoro ce l'ho sul binario pari che c'hanno il pass». Poi ringrazia, ricambia saluti. La chiamata non sarebbe custodita sui server di Rfi e quindi potrebbe essere stata fatta con un cellulare privato. Si intuisce che il tma è strettamente connesso al cantiere di Brandizzo ma dall'altra parte del telefono non c'è Vincenza Repaci, la dirigente movimento che per tre volte gli chiederà di aspettare, negando che vi sia ancora la linea interrotta e quindi l'autorizzazione a iniziare i lavori di manutenzione su un tratto di 8-9 metri di rotaia. Con chi parla Massa? A chi comunica di aver dato il pass per i lavori? Un suo collega, un suo superiore? Il suo interlocutore era a conoscenza che la linea non era interrotta e che si attendevano ancora due treni?
    Sono le 23,30 circa quando la telefonata si chiude. Seguono frasi rivolte agli operai: «Sul pari (il binario) abbiamo circolazione. Io guardo il segnale, appena vi dico via uscite da quella parte perché è i treni passano da lì e a e 40 (mezzanotte e quaranta minuti ndr) c'è l'ultimo. Tra una cosa e l'altra arriverà l'interruzione: se vi dico treno andate da quella parte!».
    Alle 23,49 diverse telecamere, tra cui quelle interne allo scalo ferroviario, inquadrano il convoglio anomalo con 11 vagoni vuoti che imbocca la semicurva in prossimità dei lavoratori e li travolge.
    A Palazzo di giustizia confermano: «Stiamo verificando interlocutore e contenuto per contestualizzare meglio quelle parole». Ma intanto le indagini – che ieri hanno visto l'audizione di altri ex operai della Sigifer – vanno avanti sempre a più ampio raggio. E accanto ai sistemi di sicurezza in generale delle procedure di lavoro sulle rotaie, alle procedure distorte e «anticipate» diventate «prassi» soprattutto negli ultimi anni, vi è un fronte nuovo.
    Non è un caso che nei giorni scorsi gli investigatori della polizia giudiziaria – Polfer e Guardia di Finanza – abbiano acquisito nella centrale operativa di Rfi al Lingotto tutti i piani di attività dei cantieri avviati in Piemonte dalla rete ferroviaria italiana. Si tratta di numerosissimi appalti, sezionati in ulteriori subappalti, affidati e portati a termine da ditte esterne come la Si. gi. fer ma non solo. Obiettivo? «Comprendere quanti cantieri contemporaneamente siano stati aperti sui binari». Il numero è cresciuto? Una fonte interna a Rfi, che ha chiesto a La Stampa di rimanere anonima, spiega: «Con il Pnrr i lavori a titolo di investimento sono diventati molti di più rispetto a passato. Uniti alle necessità di interventi di manutenzione sono diventati troppi. Diciamo che – ha aggiunto – il volume dei cantieri, quello della circolazione e i tempi di lavorazione pretesi e sempre più corti la situazione è ormai insostenibile. Siamo come i medici: se sbagliamo noi qualcuno muore ed è quello che è successo a Brandizzo».
    Il tema investirebbe anche la formazione del personale «un percorso che necessita dai 5 ai 10 anni per raggiungere livelli che rendano il dipendente in grado di gestire lavori complessi come e più di quello di Brandizzo. A monte – conclude – c'è una catena. L'operaio non dice no perché deve lavorare, l'azienda pressa perché deve concludere il lavoro anche se c'è meno tempo a disposizione, alcuni responsabili di Rfi pretendono di raggiungere l'obiettivo numerico dell'appalto concluso». Ecco perché si comincia a lavorare anche senza interruzione: «Una prassi, avete ragione – ragiona la fonte – tempo fa mi sono permesso di segnalare la cosa in azienda. L'ho fatto verbalmente. Sono nate frizioni: se i lavori finiscono oltre il lavoro programmato si deve chiedere un'interruzione aggiuntiva e salta il piano di circolazione». Cresciuti fin da ragazzini con Kevin Laganà, la più giovane delle cinque vittime del disastro ferroviario di Brandizzo. Si considerano superstiti che oggi sfoderano coraggio in quantità per denunciare ciò che – a loro dire – avveniva da tempo sui binari ogni volta che la squadra Si. gi. fer si formava nei briefing e partiva per le massicciate a sostituire rotaie.
    Si chiamano Giuseppe Cisternino e Francisco Martinez: sono entrambi poco più che ventenni. Operai comuni Si.Gi.Fer, in gergo tecnico di primo livello: «Nemmeno potevamo stare su quei binari perché non avevamo ancora le mansioni», spiegano. Milleottocento euro al mese (duemila nei periodi migliori) il prezzo delle regole tradite.
    Giuseppe doveva essere chiamato per lavorare con la squadra quella notte: «La telefonata non è mai arrivata, sapevo che volevano aggregarmi a loro, sono vivo per questo – racconta con l'aria di chi ha perso otto ore di lavoro e di aver vinto – in parallelo – una vita alla roulette dei turni. Sospira: «Forse se fossi stato lì avrei visto il treno e avrei potuto avvisare, ma se non se ne sono accorti in cinque magari sarei morto pure io».
    La prassi di scendere in anticipo sui binari al centro dell'inchiesta della procura di Ivrea è, nelle sue parole, amara certezza, sinistra conferma: «Era già capitato molte volte». Motivo: «Per andare a casa mezz'ora prima o per accelerare il tempo di lavorazione. Nessuno di noi si è mai rifiutato di farlo, ma è arrivato il momento di dire basta». Racconta, Cisternino, che sulla linea dell'Alta Velocità – su cui transitano Frecciarossa e Italo – lavoravano a cinque centimetri dai convogli: «Una cosa del genere non si può fare più».
    Dice che più volte i tecnici di Rfi, così come lo era Antonio Massa principale indagato e addetto alla scorta del cantiere, abbandonavano i binari a operazioni in corso: «Avrebbero dovuto essere i primi ad arrivare e gli ultimi ad abbandonarlo e invece se ne andavano sui furgoni lasciando gli operai da soli». E alla domanda del giornalista del Tg1 se è consapevole delle possibili ripercussioni che potrebbe subire sul lavoro, replica con l'audacia dei ventenni. «A dicembre mi scade il contratto, non voglio più tornare a lavorare in quell'azienda. Non è la mia strada, l'ho capito dopo questa tragedia».
    C'è ancora la storia del secondo sopravvissuto Francisco Martinez: «Quattro mesi fa a Chivasso ho rischiato di morire come Kevin. Se un collega non mi avesse afferrato per la maglietta tirandomi via dal treno non sarei qui a raccontare». C'è chi ha visto quanto accaduto e ha taciuto: «Il capocantiere si è accorto di tutto, ma non ha segnalato nulla in ditta». Mette le mani avanti: «Con Kevin siamo cresciuti insieme». Racconta: «Voglio lasciare questo lavoro, non me la sento di mettere i piedi sui binari e ricordare che lui è morto».
    Torna, nel suo racconto, la presunta prassi dei lavori in anticipo, iniziati senza avere ancora l'interruzione di linea: «Ci mandavano a fare i buchi e quelle che noi chiamiamo, nell'ambiente, preparazioni cosi aumentavamo la mole complessiva di lavoro».
    Operazioni preliminari come quelle che le cinque vittime del disastro stavano eseguendo sul binario di Brandizzo una settimana fa prima di essere investiti da un treno di convogli vuoti. Tutti, anche gli operai, erano consapevoli dei rischi. Non tutti, però, erano rimasti zitti: «Qualche volta dicevo che non intendevo lavorare in quelle condizioni, che non c'era sicurezza, ma alla fine mi sono guadagnato il nomignolo di "peperoncino". Finivo per discutere col capocantiere. Insomma: davano la colpa a me che volevo rispettare le regole».
    Sui tecnici Rfi preposti alla scorta è lapidario: «Ci dicevano di salire prima di avere l'interruzione, ma non solo Massa (l'indagato di Rfi), molti altri lo facevano. E salivamo tutti (sulla massicciata) perché ognuno voleva portare a casa lo stipendio. Chi ha figli, debiti, mutui, ma anche soltanto sogni come noi, lo faceva per questo».
    L'urgenza adesso è «giustizia per Kevin». I colleghi-amici la invocano con fermezza. «Avremmo potuto morire noi, sono morti loro trattati come numeri, mandati a lavorare sulle rotaie come fossero ad un parco giochi. Giustizia, solo questo. Tutti quelli che hanno sbagliato devono pagare».
  3. BUSINESS DI STATO PER GUADAGNI PRIVATI : TEST D'INGRESSO : Se ci sono state irregolarità sui test di accesso alle facoltà di medicina «le responsabilità saranno chiare», ma allo stato non risultano anomalie. Anna Maria Bernini apre un'indagine sul presunto commercio delle domande dei quiz, che sarebbero state vendute su Telegram per pochi euro. La ministra dell'Università convoca i rettori, promette di fare luce sulla vicenda e - a fine giornata - rassicura: «Abbiamo subito avviato un'indagine, abbiamo convocato i rettori e abbiamo convocato il Consorzio Cisia che gestisce i test di medicina. Proprio adesso ho visto che è uscito un comunicato del Consorzio in cui assicurano - come hanno comunicato anche a noi - che non sono state violate le banche dati e che i test sono avvenuti in maniera regolare». Insomma, Bernini sembra chiudere il caso dopo poche ore, «per quanto ci riguarda la vicenda è certificata», anche se aggiunge: «Però terremo sempre molto molto alta la guardia. Quello che dobbiamo garantire è la serenità degli studenti e dare loro la certezza di cominciare l'anno accademico in maniera efficiente. Senza avere incertezze sul loro status di studente».
    Poche ore prima, quando tutti i giornali parlavano delle presunte "fughe" di notizie sulle domande dei test, i toni erano stati diversi. «Le indiscrezioni su possibili abusi durante lo svolgimento dei nuovi test per l'accesso a Medicina devono essere subito chiarite», diceva Bernini in mattinata. «A tutela di tutti gli studenti coinvolti ho immediatamente convocato la Conferenza dei rettori e il consorzio Cisia che materialmente si occupa dei Tolc (i test di valutazione, ndr). Uno strumento alla sua prima prova e che se non funziona va cambiato. Intendo rassicurare tutti i ragazzi: le verifiche sono in corso, se ci sono state illiceità le responsabilità saranno chiare. Se i Tolc sono da cambiare, lo faremo».
    Nel pomeriggio, però, arriva appunto il comunicato del consorzio Cisia: «Tutto si è svolto nella massima regolarità ed efficienza», viene assicurato. «Ci supportano i primi dati statistici: i punteggi di aprile e luglio differiscono per una frazione di punto. Se vi fosse stato accesso preventivo e generalizzato alla banca dati dei quesiti i risultati tra primo e secondo periodo ne sarebbero stati fortemente influenzati. L'analisi dei punteggi conferma invece il contrario». Bernini prende atto, anche se sui Tolc ribadisce qualche dubbio: «Abbiamo ereditato i Tolc che stanno dimostrando adesso se sono efficaci o meno. Al netto di questa cosa noi dobbiamo sempre vigilare. I rettori, il Mur devono controllare se i Tolc funzionano e se non funzionano dovremo cambiarli».
  4. UNA REALTA' DIMOSTRATA : Antonio Veneziano ha confermato ai pm la prassi di lavorare senza autorizzazione: "Ci buttavamo fuori dai binari quando passava il treno"
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    La rabbia dell'ex dipendente della Si.gi.fer "Devono andare in galera, la ditta va chiusa"

    «Devono andare in galera e l'azienda deve chiudere». A parlare così è Antonio Veneziano, accusando la Si. Gi. Fer., la ditta dove ha lavorato fino a poco tempo fa e dove lavoravano i cinque operai morti la notte tra mercoledì 30 e giovedì 31 agosto travolti dal treno lungo il binario 1 nei pressi della stazione a Brandizzo. Ieri all'uscita da palazzo di Giustizia a Ivrea, dove è stato ascoltato per oltre cinque ore come persona informata sui fatti dai magistrati eporediesi Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, Veneziano è apparso provato. Ha sempre detto di voler raccontare la verità.
    Antonio Veneziano è un passionario ed è il più arrabbiato perché gli operai morti erano suoi ex colleghi. Ma prima di tutto erano amici.
    Ai magistrati, e alla polizia giudiziaria, Veneziano ha raccontato come funzionava il lavoro alla Si. Gi. Fer di Borgo Vercelli e ha confermato che lavorare lungo le linee ancora aperte e senza autorizzazionefosse già capitato molto altre volte.
    «Tutte le volte che lavoravo lì andavo sul binario per affrettare il lavoro perché c'era l'interruzione, magari per un ritardo del treno o perché passava in anticipo. Entravamo dentro per fare i buchi per andare avanti con il lavoro». Un esempio? «In un'occasione è capitato che ci fosse una regolazione (un restringimento del binario, ndr) di cinquecento metri e allora entravamo dentro i binari, svitavamo i chiavardini (i bulloni che tengono avvitate le rotaie, ndr) dopodiché ci buttavamo fuori al passaggio di un convoglio. Eravamo in sei-sette e c'era chi guardava le spalle».
    Ad accompagnare Veneziano dai magistrati c'era Marco Buccino, anche lui ex dipendente dell'azienda di Borgo Vercelli, già ascoltato il giorno prima dai magistrati. «Ci mandano sui binari come se fosse un parco giochi. Siamo solo dei numeri» hanno confidato alcuni lavoratori, che non sono ancora stati ascoltati dai magistrati. Una consuetudine, dunque. Solo che nell'area verde non circolano i treni e non si rischia la vita.
    Intanto si allarga l'inchiesta della procura che vuole accertare anche eventuali carenze nelle procedure sulla sicurezza. Anche le più banali. I magistrati hanno acceso un faro anche su altri lavori commissionati lungo la rete ferroviaria della regione e nei giorni scorsi la polizia giudiziaria ha acquisito tutta la documentazione degli ultimi mesi. Documenti custoditi alla stazione Lingotto a Torino sede del Posto Centrale di controllo della circolazione ferroviaria. Accertamenti necessari per verificare se anche in altre occasioni gli operai hanno rischiato la vita.
    C'è poi un'altra pagina triste in questa già tremenda tragedia. A Brandizzo, comune dove risiedeva Giuseppe Sorvillo, 43 anni, una delle cinque vittime, è allarme sciacalli. Da giorni vengono segnalate persone che bussano alle vetrine dei negozi o alle porte delle case per chiedere soldi destinati a inesistenti raccolte fondi in favore della famiglia Sorvillo. «Anche nei momenti più tragici, non mancano gli sciacalli e i truffatori» mette in guardia il sindaco Paolo Bodoni che avverte: «Nessuno del Comune o dell'associazione "Una Finestra su Brandizzo" passa a chiedere soldi al domicilio per la famiglia del nostro concittadino tragicamente scomparso. Se qualcuno suona il campanello e vi chiede soldi, chiamate il 112 o avvisate il comando di polizia locale». —
  5. VERTICI RFI DA INDAGARE SUBITO: Faro della commissione parlamentare sulla gestione di Rfi dei subappalti
    Prima un sopralluogo alla stazione di Brandizzo con i rappresentanti di Rfi e il vicario del Prefetto di Torino, Michele Lastella. Poi un incontro informale nella sede del Comune di Brandizzo con il vicario del prefetto, il sindaco Paolo Bodoni e i sindacati di categoria di Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
    La commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati arriva oggi a Torino per provare a fare luce sulla tragedia di una settimana fa. La commissione è presieduta dalla deputata Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd.
    Nei giorni scorsi era stato il presidente della stessa commissione, ma al Senato, Tino Magni, parlamentare di Alleanza Sinistra Verdi a effettuare - accompagnato da alcuni dirigenti locali del partito - un sopralluogo a Brandizzo. Ora arrivano i colleghi della Camera ma in una veste più ufficiale e soprattutto insieme con i rappresentanti dell'azienda responsabile della rete ferroviaria e poi a confronto con i sindacati.
    L'audizione di lunedì alla Camera delle Commissioni riunite Trasporti e Lavoro, durante la quale sono stati ascoltati l'ad di Rfi Gianpiero Strisciuglio e i sindacati, non è bastata a chiarire i dubbi dei parlamentari su protocolli e subappalti. Ecco, anche il motivo, del sopralluogo di oggi cui dovrebbero partecipare i membri della commissione, tra cui i segretari Davide Bellomo della Lega e Francesco Mari (Alleanza Verdi e Sinistra). «Il giorno dopo la tragica vicenda, quando il presidente della Repubblica si è recato sul posto, ha stonato l'assenza dei vertici di Rfi - evidenzia Gribaudo -. È un fatto grave perché non ricordo che sia mai accaduto. Quello però che ci interessa è capire come controlla Rfi gli standard degli appalti e quante sono le risorse che il gruppo ha intenzione di investire sul tema della sicurezza. Su questo ho trovato la relazione dell'ad insufficiente.
  6. DIA STRUMENTI INEFFICACI PERCHE' ? Le ultime rilevanti operazioni contro la ‘ndrangheta calabrese in Piemonte e in particolare nel Torinese hanno "azzoppato" personaggi che per decenni hanno gestito il narcotraffico internazionale delle cosche calabresi nel nord Ovest, da sempre ventre molle italiano delle rotte di droga. Ma la ‘ndrangheta ha sempre assi nella manica. E ai broker fin qui arrestati (per citare i più rinomati Nicola e Patrick Assisi e Vincenzo Pasquino), ne ha affiancati molti altri. Un ricambio continuo per alimentare il segmento del business più redditizio delle ‘ndrine che da solo vale il 70% del Pil mafioso: gli stupefacenti. Ed è cosi che al termine di un'operazione che ha coinvolto diversi organi investigativi internazionali, la Dia di Torino – insieme a del Dipartimento Investigativo Nazionale di SON della Polizia nazionale olandese – ha scovato e arrestato un uomo che ha tutta l'aria di essere uno dei broker della malavita. Si chiama Pietro Spitale, origini italiane, da anni domiciliato all'estero. Deve scontare 7 anni per una condanna definitiva dell'autorità giudiziaria belga ed è stato rintracciato ad Herleen in Olanda al termine di una lunga indagine di analisi degli uomini del neo-capocentro Tommaso Pastore. Tradito da alcune chat criptate dei telefoni Sky Ecc "bucate" da polizie straniere" a disvelate minuziosamente dagli uomini della Dia di Torino con un articolato lavoro di analisi. L'investigazione e l'Action Day sono state svolte con il fondamentale supporto di Eurojust ed Europol, utilizzando gli strumenti della Rete @ON finanziata dall'UE
    (Progetto ISF4@ON), di cui la Direzione Investigativa Antimafia è "Project Leader". Dalla direzione distrettuale antimafia di Torino (pm Valerio Longi), Spitale è indagato per associazione a delinquere finalizzato al narcotraffico internazionale. Sarebbe in contatto con famiglie di alto lignaggio mafioso di San Luca. In casa sua, sotto un pollaio a sua volta coibentato da una soletta in cemento, gli investigatori hanno trovato 4 fusti al cui interno è stata trovata sostanza da taglio per confezionare panetti di droga. In casa, gli investigatori hanno trovato documenti contabili relativi alla organizzazione criminale nonché documenti di identità italiani e belgi, con apposte le fotografie dell'arrestato, ma intestati ad altre persone.
  7. Il dottor Rand Paul chiede risposte sulle truppe statunitensi schierate in Niger durante il colpo di stato militare

    Recentemente, ho inviato una lettera al Segretario alla Difesa Lloyd Austin chiedendo risposte riguardo alle truppe statunitensi dispiegate in Niger e agli ulteriori pericoli che gli oltre 1.000 militari di stanza lì affrontano nel caso di un colpo di stato militare.

    Il Congresso non ha mai votato per autorizzare le operazioni di combattimento statunitensi in Niger. La tragica morte di quattro soldati statunitensi – il sergente maggiore Bryan Black, il sergente maggiore Jeremiah Johnson, il sergente La David Johnson e il sergente maggiore Dustin Wright – avrebbe dovuto fungere da catalizzatore per porre fine alle nostre operazioni lì.

    Potete leggere la lettera completa al Segretario Austin QUI .

    Tuttavia, l’amministrazione Biden continua a citare l’autorizzazione all’uso della forza militare dell’11 settembre (AUMF), che è stata concepita appositamente per rendere giustizia a coloro che hanno avuto un ruolo negli attacchi terroristici del 2001, per giustificare la presenza di circa 1.016 soldati statunitensi nel Niger.

    Ho costantemente combattuto per restituire e mantenere i poteri di guerra al Congresso come intendevano i nostri Padri Fondatori.
     
  8. TESLA BRUCIA : Come se non bastasse la distruzione causata dall'uragano Idalia, che nei giorni scorsi ha colpito la Florida, gli sventurati abitanti dello Stato americano stanno accorgendosi che, se possiedono una Tesla, devono iniziare a guardarla con sospetto.

    Stando a quanto riporta CBS News, infatti, già due Tesla hanno preso fuoco dopo essere state sommerse a causa dell'uragano e senza che apparentemente ci sia stata un'altra causa per lo scoppio delle fiamme. Una, in particolare, stava semplicemente venendo trainata dai pompieri che l'avevano recuperata da una zona allagata.

    I due avvenimenti sono stati sufficienti affinché il Palm Harbor Fire Department emanasse un avviso diretto a tutti i possessori di veicoli elettrici: costoro dovranno rimuovere le loro auto dai garage, e parcheggiarle lontano dalle abitazioni, se sono venute in contatto con acqua salata.

    I vigili del fuoco di Palm Harbor spiegano infatti hce l'interazione tra l'acqua dell'oceano e le batterie agli ioni di litio può causare l'insorgere di fiamme: è pertanto necessario spostare in luogo sicuro tutti i veicoli elettrici, dalle auto ai monopattini fino alle biciclette.


    Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=30004

 

 

07.09.23
  1. LA ZAVORRA CHE CI AFFOGHERA' GRAZIE A CONTE E GRILLO:    I tagli al Superbonus e i nodi della misura bandiera dei 5 Stelle dopo Covid restano sotto i riflettori. Così come i costi per le casse dello Stato è accesa.
    Tuttavia, nonostante le polemiche la corsa per fare ricorso all'incentivo continua. E lo confermano i dati diffusi ieri mattina dell'Enea: al 31 agosto 2023 gli investimenti ammessi a detrazione per il Superbonus al 110% sono saliti di due miliardi a quota 85 miliardi (erano 82,996 miliardi di euro a fine luglio), su un totale di investimenti (comprese le somme non ammesse a detrazione) di 86,346 miliardi (a luglio questo dato corrispondeva a 84,326 miliardi).
    Le detrazioni maturate per i lavori conclusi sono arrivate, secondo l'analisi, a 76,138 (erano 74,215 miliardi a luglio), su un totale di investimenti per lavori conclusi ammessi a detrazione di 69,601 (contro i 67,854 miliardi di luglio). Sul tavolo del governo c'è un corposo dossier. Fatto di numeri preoccupanti per i conti pubblici. Ma anche di un pressing che si intensifica per tutelare i tanti condomini che non riusciranno a completare i lavori entro l'anno. Uno scenario che si intreccia con il lavoro in corso sulla manovra, già reso difficile dal sentiero stretto delle risorse e con la spada di Damocle del negoziato sul nuovo Patto di stabilità. Il tutto condito dalla polemica politica, con lo scontro ormai aperto tra l'esecutivo che ha da un po' ha messo nel mirino la misura bandiera del M5s e il leader del Movimento Giuseppe Conte che evidenzia le contraddizioni della maggioranza («Fdi e Lega nel 2022 chiedevano la proroga») e avverte il governo: basta «slogan» e «propaganda»
  2. ITALIA PAESE DALLE RISORSE SPRECATE DA SALVINI , CONTE D'ALEMA : Arriva un altro allarme sull'Italia. Il monito è sull'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). E a lanciarlo è ancora il Financial Times. È il sesto in poche settimane, dopo Ft, The Economist, Bloomberg e Cnbc. «L'Italia rischia di sprecare la sua liquidità inaspettata», evidenzia la direzione del quotidiano britannico. Il quale invita, o meglio esorta, il governo italiano a lavorare con la Commissione Ue per «adattare i piani di spesa». Il rischio, viene sottolineato, è la perdita dei 191,5 miliardi di euro del Recovery. Opzione non contemplabile, considerati i conti pubblici italiani.
    Che la situazione intorno al Pnrr sia difficile, è noto da mesi. Ma ora inizia a far intimorire anche gli investitori internazionali. Il ministro degli Affari Ue, Raffaele Fitto, sottolinea che «a ottobre arriverò la terza rata del Pnrr, mentre sulla quarta la Ue deciderà il 19 settembre». Roma, dice il Ft, ha «bisogno del Pnrr per risollevare le proprie sorti, ma utilizzare in modo efficace il Recovery porterebbe almeno un passo avanti verso l'uscita dal suo malessere decennale di bassa crescita. Se si spreca questo pacchetto, è difficile vedere il Paese uscire dalla sua crisi economica in tempi brevi». L'Italia, viene rimarcato, «ha costantemente speso poco e non è riuscita a fare buon uso dei fondi Ue». Il punto della testata londinese è tanto semplice quanto efficace. «Inizialmente l'Italia avrebbe dovuto spendere poco più di 40 miliardi di euro entro la fine del 2022: secondo Capital Economics, ne ha gestiti meno del 60%», si evidenzia.
    I motivi dei ritardi sono noti. «Problemi gestionali, costi elevati e carenza di lavoratori e materiali», oltre alla caduta del governo Draghi, hanno provocato un impasse che rischia di far deragliare l'intero progetto. «La prima ministra Giorgia Meloni e i suoi alleati affermano che il piano ereditato da Draghi era difettoso. C'è del vero in questo. Assorbire fondi pari al 10% del Pil in cinque anni era destinato ad essere un compito arduo», viene fatto notare. Definendo «improbabile» una proroga, per il Ft «la revisione del Piano ha più senso». E se è considerato come «sensato» il proposito di «reindirizzare i fondi verso le infrastrutture energetiche e i crediti d'imposta verdi per imprese e famiglie», c'è un altro problema. Vale a dire che «sarebbe un errore rimangiarsi» le promesse di riforme strutturali.
    Infine, la stoccata. Tanto a Roma quanto a Bruxelles. «La perdurante incapacità dell'Italia di spendere ed elaborare i fondi europei deriva da molte delle sfide che le riforme cercano di affrontare», scrive la direzione del Ft. Tuttavia, «allo stato attuale, la formulazione approssimativa delle misure previste ha portato alcuni a dubitare che molto cambierà». Per il quotidiano comunque «l'Italia è un indicatore per giudicare il successo del programma dell'Ue». Ed è per tale ragione che «è nell'interesse di Bruxelles rielaborare il piano con Roma». Specie perché dal destino del Pnrr ne va parte della credibilità europea sui mercati internazionali. Punto che non deve essere dimenticato da Roma, ma che non può nemmeno rappresentare un capro espiatorio per evitare di correre con l'attuazione del Recovery.
  3. MELONI NON SA GUIDARE E DRAGHI HA ESAURITO IL SUO CREDITO PERSONALE EUROPEO: Un'unione monetaria può sopravvivere senza un'unione fiscale? Questa è la domanda che ha accompagnato l'area dell'euro fin dalla sua creazione. Poiché fin dal suo concepimento ha impedito trasferimenti fiscali, l'unione monetaria è stata considerata da molti economisti destinata al fallimento, prima ancora di essere lanciata. È sopravvissuta a una crisi esistenziale, tra il 2010 e il 2012, soltanto grazie a soluzioni di ripiego e ancora oggi non si avvicina a dare una risposta a quell'interrogativo.
    Eppure, paradossalmente, le prospettive di un'unione fiscale nella zona euro stanno migliorando – perché la natura dell'integrazione fiscale necessaria sta cambiando. In genere, l'unione fiscale viene vista come un trasferimento dalle regioni più prospere a quelle che stanno vivendo recessioni economiche, e in Europa resta forte l'opposizione dell'opinione pubblica alla possibilità che i Paesi più forti sostengano i più deboli. Questo tipo di politica di "stabilizzazione" federale è diventata in ogni caso meno rilevante. La zona euro si è evoluta in due modi che stanno spianando la strada a un'unione fiscale diversa e potenzialmente più accettabile.
    Il primo: dal 2012, la Banca centrale europea ha messo a punto strumenti politici atti ad arginare l'indesiderata divergenza tra gli oneri finanziari dei Paesi più forti e dei più deboli e ha dimostrato di volerli utilizzare. Questo ha permesso alle politiche fiscali nazionali – che rivestono un ruolo fondamentale di stabilizzazione nella zona euro – di stabilizzare il ciclo economico. A sua volta, questo rende meno indispensabili i trasferimenti di fondi da un Paese all'altro.
    Secondo: l'Europa non sta più affrontando crisi provocate da politiche inadeguate in determinati Paesi. Al contrario, deve confrontarsi con choc comuni esterni come la pandemia, la crisi energetica e la guerra in Ucraina. Questi choc sono troppo grandi perché un Paese riesca a gestirli da solo. Di conseguenza, c'è meno opposizione ad affrontarli attraverso un'azione fiscale comune.
    La risposta dell'Europa alla pandemia è stata la presa d'atto di questa nuova realtà: è stato istituito un fondo di 750 miliardi di euro per aiutare gli stati membri dell'Ue ad affrontare la transizione verde e la transizione digitale. Un prerequisito politico fondamentale affinché una compagine fiscale dell'Ue si sviluppi seguendo linee federali è che i Paesi che ricevono questi fondi li usino in maniera efficace.
    L'Europa deve ora affrontare una molteplicità di sfide sovranazionali che richiederanno in un arco di tempo limitato investimenti considerevoli, tra cui quelli per la difesa, la transizione verde e la transizione digitale. Al momento, tuttavia, l'Europa non dispone di una strategia federale per finanziarli e del resto le politiche nazionali non possono farsene carico perché le regole fiscali e le regole per gli aiuti di stato limitano la capacità dei Paesi di agire in modo indipendente. Tutto ciò contrasta fortemente quanto accade in America, dove per raggiungere gli obiettivi nazionali l'amministrazione di Joe Biden sta allineando spesa federale, cambiamenti normativi e incentivi fiscali.
    Se non si agisce, c'è il serio rischio che l'Europa non riesca a centrare i suoi obiettivi climatici, a fornire la sicurezza che i suoi cittadini chiedono, e che perda la sua industria a vantaggio delle regioni che impongono meno vincoli. Per questo motivo, tornare passivamente alle sue vecchie regole fiscali – sospese durante la pandemia – sarebbe l'esito peggiore.
    L'Europa si trova davanti due possibilità. La prima è allentare le sue normative sugli aiuti di Stato, permettendo agli stati membri di assumersi il pieno carico degli investimenti necessari. Tenuto conto, tuttavia, che lo spazio fiscale nella zona euro non è distribuito uniformemente, un approccio di questo tipo sarebbe in sostanza oneroso. Le sfide comuni, come quella per il clima e la difesa, sono semplici: o tutti i Paesi raggiungono il loro obiettivo comune, oppure non lo raggiunge nessuno. Se alcuni Paesi possono usare il loro spazio fiscale ma altri no, l'impatto che avranno tutte le spese è inferiore, perché nessuno sarà in grado di arrivare alla sicurezza climatica o militare.
    La seconda opzione è quella di ridefinire il quadro fiscale dell'Ue e il processo decisionale per renderli adeguati alle nostre sfide condivise. La Commissione europea ha presentato una proposta di nuove regole fiscali proprio quando – con l'ulteriore allargamento dell'Ue previsto – è arrivato il momento giusto per prendere in considerazione questi cambiamenti.
    Le regole fiscali dovrebbero essere allo stesso tempo sia rigide, per permettere che le finanze dei governi siano convincenti sul medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire a choc inatteso. Quelle attuali non sono né l'una né l'altra, e questo porta a politiche troppo accomodanti nei periodi di crescita e troppo rigide in quelli di bassa congiuntura. La proposta della Commissione europea farebbe molto per rimediare a una simile prociclicità. Anche se messa in atto completamente non risolverebbe del tutto il compromesso tra regole rigide – che per essere credibili devono essere automatiche – e flessibilità.
    Soltanto trasferendo maggiori poteri di spesa al centro sono possibili regole più automatiche per gli stati membri. A grandi linee, questo è quanto accade in America, dove accanto a un governo federale potenziato si applicano regole fiscali inflessibili ai vari stati, ai quali è vietato in maniera categorica fare deficit. Le regole del pareggio di bilancio sono accettabili proprio perché a livello federale ci si fa carico del grosso della spesa discrezionale.
    Qualora dovesse federalizzare parte delle spese d'investimento indispensabili per perseguire gli obiettivi condivisi odierni, l'Europa potrebbe arrivare a un equilibrio simile. La spesa e l'indebitamento federali condurrebbero a una efficienza maggiore e a uno spazio fiscale maggiore, poiché i costi aggregati di indebitamento sarebbero inferiori. Le politiche fiscali nazionali potrebbero a quel punto essere più mirate, concentrarsi sulla riduzione del debito e sulla costituzione di riserve per i tempi peggiori. Regole fiscali più automatiche diventerebbero quindi praticabili.
    Riforme di questo tipo implicherebbero di mettere in comune più sovranità, e di conseguenza richiederebbero nuove forme di rappresentanza e un processo decisionale centralizzato. Quando l'Ue si allargherà per includere i Balcani e l'Ucraina, queste due agende confluiranno in un tutt'uno in modo naturale. Noi dobbiamo evitare di ripetere gli errori commessi in passato espandendo la nostra periferia senza rafforzare il centro. In caso contrario, rischiamo di indebolire la capacità dell'Ue di agire, invece di consolidarla.
    Una capacità decisionale più centralizzata richiederà, a sua volta, il consenso dei cittadini europei sotto forma di revisione dei trattati dell'Ue, cosa che i policymaker europei si sono astenuti dal fare dai tempi dei referendum falliti in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005. Oggi mentre ci avviciniamo alle elezioni europee del 2024, questa prospettiva appare irrealistica, perché molti cittadini e molti governi sono contrari alla perdita di sovranità che una riforma del trattato comporterebbe. Anche le alternative, tuttavia, sono velleitarie.
    Le strategie che hanno garantito in passato la prosperità e la sicurezza dell'Europa – fare affidamento sull'America per la sicurezza, sulla Cina per le esportazioni e sulla Russia per l'energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili. In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente intollerabile per i cittadini, mentre la drastica opzione di uscire dell'Ue ha dato risultati contrastanti. La creazione di un'unione più forte si rivelerà l'unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità tanto desiderate dai cittadini europei.
  4. SEPOLCRI IMBIANCATI : Quegli operai sui binari, al lavoro nonostante il passaggio dei convogli, non sarebbero un caso isolato ma una sorta di prassi, non scritta, sulla scia del "tanto cosa vuoi che succeda". Sottovalutare il rischio perché è più facile, più veloce e chissà, forse pure meno costoso. E ora l'inchiesta per la tragedia di Brandizzo, a quindici chilometri da Torino, potrebbe allargarsi a chi in Si.gi.fer, la ditta di Borgo Vercelli di cui facevano parte i cinque uomini travolti dal treno la notte del 30 agosto, regola e coordina la formazione, la sicurezza e così via.
    I magistrati hanno iscritto nel registro degli indagati due persone: Antonio Massa, l'addetto di Rfi responsabile del cantiere, colui che doveva vigilare sulla squadra al lavoro e autorizzarla ad andare sui binari; e Andrea Girardin Gibin, il caposquadra della Si.gi.fer. Ma ora i pm coordinati dalla procuratrice capo Gabriella Viglione intendono approfondire i criteri e le modalità di formazione del personale dell'azienda vercellese. Non solo. Al centro delle indagini ci sono anche le singole procedure legate alla sicurezza che l'azienda dovrebbe garantire. Perché in troppi raccontano che quel modo di lavorare non era sicuro. E soprattutto era ricorrente: in svariate altre occasioni gli operai avrebbero iniziato a lavorare sui binari prima dell'autorizzazione. Un conto erano le procedure un altro la prassi.
    Per quella trascuratezza Kevin Laganà, Micheal Zanera, Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa e Giuseppe Sorvillo sono morti. Gli altri colleghi? Dei sopravvissuti, così verrebbe da dire. E l'hanno raccontato agli inquirenti della procura di Ivrea i numerosi testimoni ascoltati negli ultimi tre giorni. Ieri, davanti ai pubblici ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi, sono stati sentiti Antonino Laganà e Marco Buccino. Il primo è il fratello di Kevin, la vittima più giovane della strage di Brandizzo. Il secondo è il cugino. Entrambi hanno lavorato alla Si.gi.fer e conoscono bene quel modo di lavorare, di fretta, con tempi teorici che quasi mai collimano con quelli reali. Con le comunicazioni affidate unicamente ai cellulari.
    La frase pronunciata da Antonino, all'uscita dalla procura, riassume un po' tutto questo. «Mio fratello, con quel video, si è fatto auto-giustizia». Ai magistrati avrebbe aggiunto: «Ha fatto giustizia anche per noi». Una sorta di riflessione che suonerebbe in sostanza così: «Abbiamo rischiato la vita pure noi, tante volte, senza saperlo».
    A quel filmato di sei minuti e 48 secondi girato da Kevin per intrattenere i colleghi e gli amici sui social, Antonino dà un nuovo senso. Ben più profondo. «Quel video parla», dice. Poco prima della tragedia, la squadra dei manutentori è al lavoro. E si sente una voce fuori campo, quella di Antonio Massa, il funzionario di raccordo tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria e la squadra di operai: «Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Va bene?». Ecco l'atto d'accusa lanciato da chi non può più parlare. Ecco il video che racconta quella notte. E che, stando a diverse testimonianze, ne racconterebbe anche tante altre.
    Resta cauto l'avvocato Enrico Calabrese, che rappresenta la famiglia Laganà: «Dal filmato ci è sembrato di poter desumere una certa abitudinarietà in questo tipo di condotte». E aggiunge: «Attendiamo il prosieguo delle indagini. Andiamo avanti un passo alla volta. Il primo obiettivo adesso è dare degna sepoltura a Kevin». Il nulla osta della procura arriverà solo quando ai corpi straziati sarà dato un nome e per questo gli inquirenti stanno facendo raccogliere ogni elemento utile per il riconoscimento.
    Dolore e ricerca di chiarimenti si intrecciano. Il vice premier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini definisce l'incidente «al di fuori di ogni regola, di ogni logica, di ogni buon senso. Non si lavora sui binari se ci sono treni in movimento – osserva – Ci sono leggi ferree, protocolli. La morte di queste cinque persone non può restare impunita».
    Salvini va oltre e annuncia di aver chiesto a Rfi provvedimenti contro i responsabili: «Chiederò che se a nome del pubblico qualcuno ha sbagliato paghi. Non faccio il magistrato, c'è una inchiesta in corso però il licenziamento non può essere solo nel settore privato. Se verrà confermato quello che sta emergendo, che è al di fuori di ogni regola e logica, chiederò all'azienda competente di prendere evidenti provvedimenti».
  5. LUI SAPEVA MA TACEVA : FRANCO SIRIANNI Il titolare della Sigifer: " Non si può descrivere quel che ho visto sui binari"
    "
    "Rfi non doveva approvare quel lavoro ho la coscienza a posto, ma non ho pace"
    Niccolò Zancan
    inviato a Borgo Vercelli
    Eccolo, finalmente. Ha una croce d'oro al collo. E gli occhi liquidi, che si sciolgono alla prima parola. «Basta! Sono stremato. Non ne posso più di sentire chi mi accusa di non pensare alle famiglie degli operai morti. Io li ho visti: ero su quel binario venticinque minuti dopo il passaggio del treno. Non doveva succedere, nessuno doveva autorizzare quel lavoro. Un lavoro banale, che poteva anche essere rimandato senza penali per l'azienda. E rimandato, anche, senza problemi per gli stipendi degli operai. Questa è un'altra menzogna che ho sentito: il turno viene sempre pagato. Lavoro fatto o non fatto. Per noi la sicurezza è sempre stata la cosa più importante».
    Franco Sirianni è il titolare della «Si.Gi.Fer Armamenti Ferroviari» di Borgo Vercelli. Erano alle sue dipendenze i cinque manutentori travolti dal treno all'altezza della stazione di Brandizzo. Non aveva mai accettato di parlare, nonostante giorni di insistenze. «Perché prima aspettavo di essere convocato in procura. Ma adesso non ce la faccio più, in giro ci sono troppi sciacalli. Ho sentito dire troppe cose sbagliate». E allora, un po' per stanchezza e un po' per esasperazione, questa è la versione del padrone. È sua la ditta che aveva vinto il subappalto per quel lavoro di manutenzione ferroviaria.
    Signor Sirianni, la sera del 30 agosto quando ha saputo dell'incidente?
    «Stavo dormendo. La prima telefonata non l'ho sentita, mi sono svegliato di soprassalto alla seconda. Era il direttore tecnico Christian Geraci. Si trovava in zona, era accorso. Diceva parole come "morti", "incidente", "strage". Nella mia testa suonavano come parole impossibili. Sono arrivato dopo pochi minuti e ho visto con i miei occhi».
    Cosa ha visto?
    «Ero sul binario. Non si può riferire la scena. Pensavo a Giuseppe Lombardo, il mio amico e collega. Per trent'anni siamo andati insieme nei cantieri delle ferrovie».
    Non aveva sentito nessun altro?
    «Mentre ero in auto, mi ha chiamato Andrea Gibin, il nostro capo squadra. Ma era così sconvolto che diceva frasi incomprensibili. Quando sono arrivato sul posto ho capito il perché».
    È stato criticato per non aver avvisato le famiglie. È vero?
    «Dopo venti minuti, ho parlato con il fratello di Kevin Laganà. Quando è arrivata la polizia, cercavano i cartellini aziendali per l'identificazione, ma non li trovavano per ovvie ragioni. Abbiamo dato gli screenshot delle patenti e delle carte di identità. Gli agenti mi hanno detto che volevano essere loro a avvisare i famigliari. Allora mi sono fatto da parte».
    Era una prassi andare sui binari senza l'autorizzazione?
    «Assolutamente no, non dovevano essere lì. La scorta di Rfi non doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari durante gli interventi».
    Ha visto il video girato da Kevin Laganà, proprio con il suo telefono, prima della strage?
    «Non ce l'ho fatta. Ho iniziato a piangere dopo pochi secondi. Non riesco a guardarlo. Non ce la faccio proprio. Lo dicevamo chiaramente: durante il lavoro niente telefono. Ma chi ha visto tutto il video, mi ha spiegato che è un documento importante per le indagini».
    Era una squadra preparata per quel tipo di lavoro?
    «Certo. Il caposquadra Andrea Gibin è un saldatore da molti anni. Da poco tempo era diventato saldatore anche Michael Zanera. Entrambi hanno fatto dei corsi con Rfi per ottenere quel brevetto. Se non fossero stati giudicati all'altezza, non avrebbero ottenuto la qualifica».
    E gli altri?
    «Operai semplici. Ma per usare il forcone nei sassi della massicciata basta essere degli operai. E loro erano bravissimi operai».
    Perché ha detto che era un lavoro banale?
    «Mi spiego meglio. Nessun lavoro è mai banale. Ma non era di eccezionale difficoltà. Era un lavoro da un'ora e mezza. Il binario, in quel tratto, era danneggiato. Non era un punto con uno scambio, dove servono più squadre. Era un lavoro ordinario. Ma se avessero finito in due o in quattro ore, per me non sarebbe cambiato niente: Lo ripeto: la paga è sempre la stessa».
    Il lavoro poteva essere bloccato?
    «Certo. Bastava che la scorta di RfI compilasse un modulo su cui c'era scritto che quella sera era impossibile lavorare».
    Avete chiamato le famiglie delle vittime in questi giorni?
    «È complicato. Ci sono giornalisti appostati ovunque. Sono andato a casa di una famiglia soltanto, non dirò quale. Ma certo vorrei parlare con tutte».
    State pensando a un sostegno economico?
    «Su questo preferisco tacere. Perché qualsiasi cosa dicessi, verrebbe subito strumentalizzata».
    Suo padre, Sirianni Giovanni, è inciso nel nome dell'azienda. Siete una famiglia di ferrovieri?
    «Sì, è così. Anche io sono un ferroviere. Sono andato nei cantieri per trent'anni, prima di diventare il titolare della Si.Gi.Fer. Questi sono i giorni più brutti di sempre. Non posso avere pace, ma so di avere la coscienza a posto».
  6. 5 MORTI Morti per 750 euro
    Quella notte nei pressi della stazione di Brandizzo andavano sistemati sette metri di binario. Un lavoretto da poco, un paio d'ore circa. Per il tipo di lavorazione previsto, la ditta incaricata incassa 50 euro al metro. A cui vanno aggiunte 200 euro a saldatura e in quel caso sarebbero dovute essere due. Facile fare il calcolo: 750 euro. Questo dovrebbe essere il valore dei lavori affidati alla Si.gi.fer. Il materiale lo mette Rfi mentre la paga oraria di un operaio comune è di 25 euro lordi all'ora. Un incarico piccolo, inserito invece nell'ambito di commesse di ben altro importo (circa 260 milioni) vinte dalla Clf (Costruzioni linee ferroviarie). Ed è stato proprio questo grande gruppo (che fa parte della multinazionale olandese Strukton Rail, 6.500 dipendenti ed un fatturato di circa 1,9 miliardi di euro) ad affidare alla Si.gi.fer. l'incarico. L'azienda di Borgo Vercelli era inserita nella "white list" dei fornitori. «La Clf gli affidava spesso le manutenzioni di livello più basso, quelle che avevano un margine di guadagno ridotto», si racconta nell'ambiente dell'edilizia.
    Il condizionale è d'obbligo perché in questa storia è difficile trovare conferme ufficiali. Ma la ricostruzione che arriva dai sindacati è questa. D'altronde lunedì l'ad di Rfi, Gianpiero Strisciuglio, in audizione presso le commissioni Trasporti e Lavoro della Camera, si è limitato a ribadire più volte che «non possiamo entrare nel merito di aspetti in corso di accertamento da parte dell'autorità competente». E che: «Si trattava di un subappalto che, conformemente alla normativa vigente, è stato autorizzato da Rfi previa positiva verifica dei requisiti generali, tecnici ed organizzativi. L'impresa è iscritta nel nostro sistema di qualificazione quindi il sistema di regole si estende sia all'appaltatore che al subappaltatore».
    E la ricostruzione dei sindacati procede con altri dettagli che svelano quanto i protocolli non sempre vengano rispettati. Le lavorazioni programmate vengono inserite, due mesi prima, nei piani di attività in cui si programmano le lavorazioni necessarie.
    Si deve specificare tutto: se si tratta di un lavoro svolto internamente da manutentori di Rfi o in appalto, dalle persone che prenderanno parte al cantiere, alle professionalità richieste, al tempo necessario per effettuarla. Per questo di parla di interruzione programmata della circolazione ferroviaria sui binari: nella finestra oraria richiesta si sa due mesi prima che i treni non possono passare. Quella di Brandizzo, però, non era una lavorazione programmata. Secondo la ricostruzione dei sindacati che si occupano di trasporti la squadra di operai della Si.gi.fer. quella notte doveva fare una manutenzione in un altro punto della rete ferroviaria torinese (non è chiaro se Orbassano o Lingotto).
    L'incarico però è saltato e per non far perdere alla ditta la notte di lavoro gli operai sono stati dirottati a Brandizzo. Doveva essere un lavoretto di un paio d'ore, appunto. Necessario perché sarebbe stata rilevata un'anomalia. In questi casi Rfi ha venti giorni di tempo dal momento in cui viene appurata la necessità per richiedere l'intervento. E si procede, quindi, senza la possibilità di inserire l'operazione nei programmi concordati. «Si fa extra piano di attività e non si parla di interruzione programmata ma di interruzione tecnica della circolazione. Per questo il capo scorta deve chiedere di farlo quando c'è la possibilità e per questo gli vengono fornite delle finestre temporali», spiegano i sindacati. Quindi si corre, gli operai devono fare in fretta: le finestre temporali non bastano mai.
    Dovrebbe invece essere chiusa la questione del certificato di sicurezza della Si.gi.fer. che sembrava essere scaduto il 28 luglio, quindi un mese prima dell'incidente. In realtà la data di scadenza è riportata nell'Attestazione di qualificazione alla esecuzione di lavori pubblici ma il certificato sarebbe stato rinnovato fino al 2026. La nuova data non sarebbe ancora stata inserita nell'Attestazione perché c'è un tempo tecnico che può arrivare fino a 90 giorni.
  7. ESCLUSIONE PALESE DI STATO : A pensarci bene, un'insegnante di sostegno è anche l'insegnante dei luoghi "scartati", come il corridoio ad esempio. Perché a volte qualcuno di questi 290 mila studenti in classe non riesce a stare. E allora uno dei 194 mila docenti di sostegno si adatta a lavorare fuori dalle aule. Un fenomeno che coinvolge scuole e famiglie e che quindi può essere raccontato dall'interno degli istituti, ma anche dall'esterno.
    E allora proviamoci: interno scuola. Quando si fa l'insegnante di sostegno per vocazione come è successo a Lucia Suriano, fare scuola è una missione. La professoressa (e scrittrice pugliese) è passata dall'insegnamento di Lettere al Lasciarsi ribaltare (titolo del suo ultimo libro) dai suoi studenti speciali, quelli che disturbano, non tengono il passo, difficili, dagli apprendimenti differenti e con storie di vita già complicate. Per 10 anni è stata una felice insegnante di sostegno proprio «in quei luoghi scartati come i corridoi, perché i miei studenti rifiutavano l'aula», racconta. «Ma- osserva – gli insegnanti di sostegno sono l'enzima che tiene insieme gli studenti che sono abituati a stare in classe» e quelli che la prof Suriano definisce i «suoi fuoriclasse». «Se teniamo tutti insieme - conclude - allora la missione può dirsi compiuta». Ma. Ci sono tanti ma, in questo viaggio nel mondo del sostegno. Lucia Suriano è arrabbiata non solo per le cattedre vuote, per il turnover, per i precari del sostegno, perché spesso «non c'è collaborazione neanche tra noi docenti». È arrabbiata soprattutto perché «laddove ci vuole un carico enorme di responsabilità e di competenze, laddove ci sono i più fragili e con bisogni educativi speciali non possono starci docenti, spesso senza competenze specifiche, che vengono a sbarcare il lunario in mamma-scuola». «Soprattutto nella secondaria di primo grado – sottolinea – dove abbiamo in carico anche la gestione psico-emotiva del passaggio dall'essere bambini a divenire adolescenti».
    Come fosse suonata la campanella, proviamo a uscire: esterno scuola. Qui, alla vigilia del nuovo anno scolastico, i racconti di genitori, docenti e dirigenti scolastici descrivono una situazione che pare cristallizzata negli anni. «I docenti non sono sufficienti, molti sono costretti a cambiare scuola e non possono garantire continuità», dicono. Sul sito de La Stampa è stata pubblicata la lettera di un'insegnante ai suoi ex alunni: «Scusa se non ci sarò, ma non è colpa mia», scrive Denise Romano nel suo amorevole saluto dedicato a tutte le studentesse e gli studenti che al ritorno in classe non troveranno più gli stessi insegnanti. «Ti chiedo scusa se sarai arrabbiata e non lo saprai dire. Se mi cercherai e non tornerò. Ti chiedo scusa se proverai a capire con lo sguardo corrucciato e l'aria interrogativa il perché della mia assenza».
    Per l'anno scolastico in arrivo – secondo i dati forniti dal ministero dell'Istruzione e del Merito – le cattedre vuote sono meno rispetto al 2022. Sono 194.439 mila i docenti di sostegno nell'anno scolastico 2023-2024. In particolare, 112.390 sono i docenti di ruolo specializzati, 13.780 i supplenti annuali (con nomina fino al 31 agosto) e 68.269 i supplenti ingaggiati fino al termine delle attività didattiche: lavoreranno fino al 30 giugno.
    Le nomine di ruolo autorizzate dal ministero dell'Istruzione e del Merito sono 18.023. Sono stati coperti 13.358 posti, il 74% a fronte del 53,2% del 2022, mentre le nomine non conferite, per rinunce ed esaurimento delle graduatorie, sono 4.665. Restano vacanti 13.780 posti, mentre lo scorso anno scolastico le cattedre vuote erano 17.582. «Vi è – sottolineano dal ministero - una maggiore copertura dei posti di organico di diritto di 3.802 unità».
    Giuseppe D'Aprile, segretario generale Uil Scuola Rua, non è soddisfatto: «Anche per questo anno scolastico non si è riusciti a coprire tutti i posti vacanti disponibili. È normale che sembri un successo assumere 40 mila docenti su 50 mila posti autorizzati. Un insuccesso sul piano del reclutamento che ormai si manifesta da più anni». D'Aprile avanza una richiesta e la indirizza al ministro Valditara. Sull'accesso al sistema delle specializzazioni sul sostegno chiede: «Va eliminato il numero chiuso delle università per la specializzazione: i posti da garantire sono quelli del fabbisogno scolastico». Nel 2022 il numero degli iscritti con certificazioni che richiedono un insegnante di sostegno è stato di 290 mila. La percentuale degli alunni con disabilità sul totale dei frequentanti è salita dall'1,9% dell'anno scolastico 2004/2005, al 2,7 per cento del 2014/2015 al 3,6% del 2020/2021 a quasi il 4 per cento del 2022: siamo a un alunno su 25.
    Giovanna Tarantino è dirigente dell'Istituto d'Istruzione Superiore Enrico Fermi di Policoro, in provincia di Matera. Sintetizza quello che succede in Basilicata: «Qui è un anno virtuoso: i due provveditorati, di Matera e di Potenza entro fine agosto avevano già assegnato la quasi totalità dei posti di sostegno, con immissioni in ruolo e assegnazioni». Tarantino, anche dirigente reggente all'Istituto Comprensivo di Tursi, pone l'attenzione sulle numerose difficoltà che incontrano gli altri docenti «in aule piene di studenti con disgrafia, discalculia, dislessia, comportamenti oppositivi, gravi problemi di tipo emotivo e sociale». «Ai docenti alle prese con classi sempre più eterogenee anche in conclamate difficoltà spesso manca l'adeguata formazione psico-pedagogica – spiega – che i docenti di sostegno hanno acquisito durante il loro percorso formativo. Così ho pensato di proporre ai Dipartimenti di sperimentare l'interscambio tra i docenti delle discipline e quelli di sostegno (lì dove è possibile) affinché l'avvicendamento possa rinnovare in modo proficuo le pratiche didattiche in uso e assicurare la piena inclusione nel gruppo classe tra gli studenti e il team degli insegnanti»
  8. LA RABBIA SUICIDA : Bucarest suona un campanello d'allarme. Il Sud dell'Ucraina nei giorni scorsi è stato al centro di numerosi attacchi. Nel mirino c'erano i porti ucraini sul Danubio, a due passi dalla frontiera con la Romania, Paese della Nato. E ieri il governo romeno ha denunciato che sul suo territorio sono stati trovati i frammenti di quello che si sospetta essere un drone russo usato nei raid. «Se fosse confermato che i pezzi rinvenuti appartengono a un drone russo, si tratterebbe di una situazione inammissibile» e di «una grave violazione della sovranità e dell'integrità territoriale della Romania», ha tuonato il presidente Klaus Iohannis. Ma se da un lato fa sentire la sua voce, dall'altro lato la Romania getta acqua sul fuoco: il ministro della Difesa ha infatti sottolineato di non vedere una minaccia diretta al suo Paese. «Non credo che si possa parlare di aggressione e penso che occorra saper distinguere tra un'aggressione e un incidente», ha detto Angel Tilvar all'agenzia giornalistica Agerpres. Parole che allontanano decisamente lo spettro di un ricorso all'articolo 5 del Patto Atlantico che vincola i Paesi Nato alla difesa collettiva in caso di attacco.
    La tensione resta alta. Lunedì Kiev aveva dichiarato che dei droni russi erano finiti sull'altra sponda del Danubio esplodendo in territorio rumeno. Frammentisarebbero stati rinvenuti martedì sera nella zona di Plauru, e la Nato ha espresso «forte solidarietà» alla Romania. Plauru si trova proprio di fronte al porto ucraino di Izmail: da cui negli ultimi due mesi sono arrivate incessantemente notizie di bombardamenti. Dopo aver abbandonato il patto sul grano a luglio bloccando di nuovo il trasporto di cereali via mare dall'Ucraina invasa, il Cremlino ha infatti preso di mira anche la rotta alternativa: quella del Danubio. E anche ieri le autorità ucraine hanno accusato le truppe russe di aver bombardato nella notte la zona di Izmail: secondo il governatore locale, il raid di droni è durato tre ore e ha ucciso una persona. «Distruzione e incendi sono stati registrati» in diverse zone, ha dichiarato Kipler, segnalando danni a infrastrutture portuali e agricole. Pare sia stata presa di mira anche Kiev, dove non ci sarebbero vittime ma danni ad alcuni edifici.
    I bombardamenti russi non smettono quindi di colpire le rotte del grano. E Zelensky si è scagliato contro la proposta con cui Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria chiedono all'Ue di prorogare fino a fine anno le restrizioni alle importazioni di cereali ucraini che scadono il 15 settembre. «Ma perché, quando i porti ucraini bruciano quasi ogni notte dopo gli attacchi russi, dobbiamo anche preoccuparci che la nostra logistica terrestre si fermi?», ha puntualizzato il presidente ucraino.
    In suo aiuto è arrivato ieri a Kiev Antony Blinken. Il segretario di Stato Usa ha annunciato un nuovo pacchetto di "assistenza" all'Ucraina per oltre un miliardo di dollari. Gli Stati Uniti sono anche il principale fornitore di armi delle truppe ucraine, che secondo la Casa Bianca riceveranno nuovi sistemi di difesa aerea, missili a lungo raggio Himars, razzi anticarro Javelin e carri armati Abrams. Ma il Pentagono ha confermato che inizierà a mandare a Kiev anche le munizioni perforanti all'uranio impoverito, che i soldati ucraini già ricevono da Londra. Nonostante Washington neghi che queste controverse armi siano pericolose per la salute, ci sono da sempre grandi preoccupazioni per le possibili gravi conseguenze dell'esposizione all'uranio sulla salute umana e molti esperti ritengono che vi siano dei chiari legami tra le malformazioni congenite e l'uso di questa sostanza tossica. Nei mesi passati, gli Usa hanno fornito a Kiev anche le famigerate bombe a grappolo, ritenute pericolosissime per i civili e già largamente usate anche dalle truppe russe.
    La controffensiva ucraina prosegue lentamente e tra scontri cruenti. Tuttavia, secondo diversi osservatori, i soldati ucraini avrebbero superato una prima linea difensiva russa sul fronte Sud e Blinken ha ribadito il sostegno del governo americano alle truppe di Kiev dichiarando che i loro «progressi» militari «hanno subito un'accelerazione nelle ultime settimane».
  9. IL PREZZO VERO E' LA QUALITA' DELLA VITA : Potrebbe nascerne un contenzioso con l'Europa, e di certo non sarà un regalo per l'ambiente né per la salute, ma il governo Meloni ha deciso di rinviare al 1° ottobre 2024 il blocco delle vetture diesel "Euro 5" previsto dal 15 settembre (e fino al 15 aprile prossimo) in 76 Comuni del Piemonte; troppo forti sono i problemi sollevati dagli automobilisti coinvolti, in maggioranza persone a basso reddito e impossibilitate a comprare macchine nuove; tutti costoro fronteggiavano la prospettiva di restare a piedi, e per molti il divieto equivaleva alla quasi impossibilità di andare a lavorare, visto che i mezzi di trasporto pubblici non rispondono a tutte le necessità. Peraltro la questione non è risolta, visto che per il blocco è in arrivo un semplice rinvio, e il problema dell'inquinamento dell'aria non svanisce. C'è da aggiungere che la questione non è di rilievo solo locale ma (in prospettiva) nazionale e europeo.
    «Sono pronto con un decreto che porterò al Consiglio dei ministri» ha annunciato il titolare dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. «Il decreto prevede una serie di azioni di blocco della delibera regionale, con una verifica dello stato di attuazione e del cronoprogramma degli interventi a partire dal 2024».
    Ma questa è una resa, dal punto di vista ambientale? Il vicepremier e ministro dei Trasporti Matteo Salvini giura di no, anche se contemperare i vari interessi sarà molto difficile, infatti la Lega Salvini Piemonte (espressione locale del patito) chiede già che il blocco slitti al 2030. «Siamo determinati a difendere l'ambiente – ha detto ieri Salvini – però vogliamo farlo senza estremismi ideologici, che non migliorano la qualità dell'aria ma peggiorano le condizioni di centinaia di migliaia di famiglie e di lavoratori». Anche il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, prova a rassicurare: «Resta fermo l'impegno del governo e dell'Italia a tutela dell'ambiente. Gli interventi e le misure già attuati hanno consentito di ottenere risultati significativi nella qualità dell'aria», inoltre Urso prepara un programma di incentivi per rinnovare il parco auto (vedi l'altro articolo in pagina).
    Molto più drastica la dichiarazione congiunta di due parlamentari piemontesi di Fratelli d'Italia, il deputato Fabrizio Comba e il senatore Gaetano Nastri, secondo cui «il Piemonte è salvo dal blocco alla circolazione ai veicoli diesel Euro 5 previsto dalle politiche ambientali estreme di Bruxelles», di cui condanna «i provvedimenti talvolta utili solo a distruggere intere filiere produttive».
    I motori Euro 5 non sono vecchissimi, ma la decisione di metterli fuori gioco (assieme ad altri con più anni sulle spalle) dalle 8,30 alle 18,30 nei giorni feriali, era stata presa dalla giunta regionale piemontese (che è di centrodestra, come il governo di Roma) perché a Torino e in altre località piemontesi sono stati ripetutamente sforati i limiti di inquinamento, e questo non solo danneggia la salute dei cittadini, ma in più crea rischi giudiziari per gli amministratori, e può dare luogo a una procedura d'infrazione europea. Il divieto non entrerà in vigore perché nei giorni scorsi il coro di proteste levatosi da molti singoli cittadini, ma anche da diversi Comuni, ha creato sulla politica una pressione insostenibile.
    In dettaglio, il decreto che oggi Pichetto Fratin presenterà al Consiglio dei ministri prevede che «le misure di limitazione della circolazione di veicoli di categoria "diesel Euro 5" possono essere attuate esclusivamente a far data dal 1° ottobre 2024 e in via prioritaria nei Comuni con più di 30.000 abitanti, con trasporto pubblico locale garantito e adeguato e dove ci sono valori inquinanti alti che possono incidere sulla tutela della salute». Resta il fatto che dal 1° ottobre 2025 le Regioni del bacino padano saranno comunque obbligate, salvo l'ipotesi di deroghe, a imporre il limite alla circolazione dei veicoli diesel Euro 5.
    Il decreto dice che nel bloccare il divieto si è tenuto conto «delle criticità legate all'indisponibilità dei materiali necessari alla produzione di batterie per i veicoli elettrici, in grado da assicurare una tempestiva sostituzione dei veicoli Euro 5». È da verificare se è vero che, come si afferma, «la tempistica proposta non confligge con gli obiettivi del Pacchetto Uu "Pronti per il 55%" che, per quanto attiene alla riduzione dell'uso di combustibili fossili nei trasporti, richiede che sia realizzata una infrastruttura sufficiente per la ricarica o il rifornimento dei veicoli elettrici o alimentati con combustibili alternativi».
  10. VERTICI RESPONSABILI : Camminando nel cortile di Palazzo di Giustizia, ad Ivrea, ha sempre avuto sulla spalla la mano del padre Massimo. Un omone con indosso una T-shirt bianca con stampata la foto del figlio Kevin, ventidue anni, la più giovane delle cinque vittime travolte dal treno sul binario 1 a Brandizzo, la notte tra mercoledì e giovedì di una settimana fa. Antonino Laganà, per tutti Tonino, venticinque anni, fratello maggiore di Kevin, ieri si è presentato in procura. Anche lui è dipendente Sigifer, la ditta del Vercellese per la quale lavoravano le cinque vittime della tragedia di Brandizzo. E anche lui si è ritrovato mille volte ad effettuare operazioni di manutenzione sui binari. Un mondo che conosce bene.
    Antonino e il cugino Marco Buccino, che alla Sigifer ha lavorato sino a poco tempo fa, ieri sono stati ascoltati a lungo come persone informate sui fatti. E hanno parlato per oltre sei ore davanti ai pubblici ministeri Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, che da sette giorni indagano sulle cause della tragedia. Sfoghi, ricostruzioni, riflessioni.
    Il padre di Kevin, Massimo, insieme all'avvocato Enrico Calabrese, legale che assiste la famiglia, ha invece atteso pazientemente fuori dagli uffici. No, di lasciare Tonino da solo proprio non ne voleva sapere.
    Ai magistrati, Antonino e Marco avrebbero raccontato la loro esperienza. Simile a quella di Kevin e dei tanti colleghi che in questi giorni sono stati auditi dagli inquirenti. In molti avrebbero spiegato che quello di Brandizzo non è stato un caso isolato, che già in altre occasioni gli operai hanno iniziato a lavorare sui binari prima del passaggio dell'ultimo convoglio.
    Al centro dell'inchiesta, che potrebbe allargarsi, finiscono anche la procedure di sicurezza garantite dall'azienda, la formazione dei dipendenti.
    I pubblici ministeri, a quanto si apprende, chiedono come veniva organizzato e gestito il lavoro, i turni, le operazioni. Bisogna capire se le precauzioni venivano prese, le norme di sicurezza rispettate. Anche le più semplici, le più banali, quelle di routine. E se per gli operai venivano organizzati dei corsi di formazione, di che tipo, di quante ore.
    Kevin Laganà, qualche minuto prima della tragedia, ha registrato un video con il cellulare. Un filmato pensato per gli amici sui social, che ora racconta praticamente tutto di quella notte. Racconta della squadra di manutentori al lavoro sui binari anche se l'ultimo treno non era ancora passato. Su quel video, prodotto agli atti in Procura, l'avvocato Calabrese riflette: «Guardandolo, a me e al collega di studio Marco Bona (che rappresenta la famiglia di Saverio Giuseppe Lombardo, un'altra delle vittime), ci è sembrato di poter desumere una certa abitudinarietà in questo tipo di condotte». E ancora: «Mi sembra che il filmato sia sufficientemente chiaro per comprendere cosa sia accaduto quella notte».
    Questioni tutte al vaglio degli investigatori.
    All'uscita da palazzo di Giustizia Tonino Laganà si sfoga. Occhiali da sole sulla testa, la mano del padre di nuovo sulla spalla, ripete: «Chiediamo giustizia. Lasciateci nel nostro dolore». E poi accenna a bassa voce: «Girando quel video mio fratello si è fatto auto giustizia». E il filmato, nei prossimi giorni, sarà oggetto di un'approfondita analisi tecnica da parte di consulenti che dovranno essere nominati dai magistrati. Quel video, girato quando mancava mezz'ora prima del passaggio del treno, oggi rappresenta una sorta di testamento,una prova importante per ricostruire quanto accaduto.
    Due per ora gli indagati. Antonio Massa, l'addetto di Rfi presente sul posto in qualità di "scorta-cantiere", difeso dall'avvocato Mattia Moscardini. E Andrea Girardin Gibin, capocantiere della Sigifer. Il suo avvocat Massimo Mussato commenta: «È riuscito a scansarsi, ma ha visto la morte colpire gli altri. I suoi colleghi ed amici»
  11. SINDACI NON PREVENUTI :L'audizione di lunedì alla Camera delle Commissioni riunite Trasporti e Lavoro, durante la quale sono stati ascoltati l'amministratore delegato di Rfi Gianpiero Strisciuglio e i sindacati, non è bastata a chiarire i dubbi dei parlamentari su protocolli e subappalti. Per questo i segretari generali regionali che rappresentano il settore dei trasporti e quello ferroviario, di Cgil, Cisl e Uil sono stati convocati per domani in prefettura a Torino. Una convocazione arrivata su richiesta della commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati. La commissione è presieduta dalla vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo, che già lunedì aveva anticipato le sue intenzioni.
    «Da piemontese mi sento di ringraziare i sindacati per la mobilitazione di lunedì a Vercelli e per la loro vicinanza. È evidente che sul tema dei subappalti serve un lavoro di approfondimento della commissione d'inchiesta come sulla questione dei controlli. Sappiamo ad esempio che in Piemonte i controlli sui cantieri sono del 4% e i pochi ispettori del lavoro che sono entrati con regolare concorso ancora non sono nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro. È evidente che abbiamo un ritardo sui controlli e su chi deve svolgere queste funzioni» ha detto la parlamentare in audizione.
    La convocazione è arrivata ieri pomeriggio ai sindacalisti dalla Prefettura e l'incontro sarà in mattinata. Dovrebbero partecipare i membri della commissione, tra cui i segretari Davide Bellomo della Lega e Francesco Mari (Alleanza Verdi e Sinistra). «Il giorno dopo la tragica vicenda, quando il presidente della Repubblica si è recato sul posto, ha stonato l'assenza dei vertici di Rfi - ha aggiunto Gribaudo -. È un fatto grave perché non ricordo che sia mai accaduto. Quello però che ci interessa è capire come controlla Rfi gli standard degli appalti e quante sono le risorse che il gruppo ha intenzione di investire sul tema della sicurezza. Su questo ho trovato la relazione dell'ad insufficiente».

 

 

06.09.23
  1. LUCIDA FOLLIA CHE COPRE IRRESPONSABILITA' POLITICA DELLA NOMINA DEI VERTICI CHE GLI AVVOCATI PROVERANNO A FARE :  Rumore di pala. Di pala e di piccone. Rumore di sassi della massicciata. E poi, c'è questa voce fuori campo, la voce che pronuncia poche parole definitive: «Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Va bene?».
    Kevin Laganà, operaio di 22 anni, il più giovane della squadra di manutentori al lavoro, risponde con un sorriso amaro. «Ho capito, scappiamo. Mi butto da quella parte», dice indicando la cancellata che corre parallela al binario. È lui stesso che sta facendo quel video, riprende il suo volto. Nessun genitore dovrebbe mai vedere niente del genere. È il video di un figlio ancora vivo e sorridente, a pochi minuti dalla sua morte, mentre registra inconsapevolmente tutte le dinamiche che lo porteranno a finire sotto un treno lanciato a 160 chilometri all'ora.
    Kevin Laganà ha salvato il video sul suo profilo Instagram pochi minuti prima della strage di Brandizzo. Lo ha messo, cioè, su una memoria immateriale e perenne. Concludendo così la registrazione: «Lo metto su Tik Tok fra due giorni». E invece, quel video è stato scoperto dal padre, ed è stato depositato in procura dagli avvocati Marco Bona e Enrico Calabrese, perché diventerà un caposaldo dell'inchiesta.
    Il video dura 6 minuti e 48 secondi. Mancano pochi minuti alla mezzanotte del 30 agosto. Stazione di Brandizzo, tutto sta per succedere. E quella voce che si sente fuori campo, quasi all'inizio, è quella del responsabile di Rfi sulla linea. È Antonio Massa, cioè la «scorta», così viene chiamata fra i lavoratori quella figura professionale. È il funzionario di raccordo fra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria e la squadra degli operai della Si.Gi.Fer, chiamati al lavoro con un subappalto per sostituire un pezzo di binario. Quindi è un voce importante. Autorevole. È la voce della «scorta» Antonio Massa quella che dice: «Ragazzi, cominciamo. Se vi dico treno, andate da quella parte. Va bene?». Poco dopo, però, Kevin Laganà dirà altre parole altrettanto importanti: «Manca ancora l'autorizzazione».
    Era prassi fare così. Per sbrigare prima il lavoro, oppure per paura di non finire in tempo. I manutentori hanno precise finestre orarie per intervenire. Fra il passaggio dell'ultimo treno e quello successivo. Quella notte, però, doveva ancora passare un treno speciale, fuori dai soliti orari. Un treno con dei vagoni vuoti da portare in riparazione a Torino. È proprio quello il treno che sta per passare. Loro sanno che passerà. La scorta lo sa. E infatti: «Se vi dico treno…».
    Antonio Massa dovrebbe ricevere l'autorizzazione dalla centrale di Chivasso. E poi, a quel punto, stendere un fonogramma. Il documento che ufficialmente autorizza l'intervento. Ma non va così. Massa parla tre volte con la centrale di Chivasso. E per tre volte, dall'altra parte della linea telefonica, la funzionaria Enza Repaci nega quell'autorizzazione. Ma per qualche ragione, forse per una abitudine consolidata, i lavori incominciano comunque. Durante la terza telefonata, alle 23.47, arriva il treno che uccide cinque operai. «Tutti morti a Brandizzo! Sono tutti morti».
    Tutti tranne «la scorta» di Rfi Antonio Massa e il caposquadra di Si.Gi.Fer Andrea Girardin Gibin: «Era l'unico rivolto dalla parte del treno. Ho alzato lo sguardo, ho visto un lampo di luce e mi sono gettato di lato».
    Il video registrato da Kevin Laganà ha il potere di disvelare perfettamente la situazione prima della tragedia. Eccolo, l'operaio di 22 anni, la tuta arancione da lavoro con il bavero alzato, la torcia la collo, una sigaretta elettronica in bocca. «Questo binario è interrotto?». «Sì, questo sì». «Possiamo bonificarcelo?». «No, passa l'autoscala». Ma mentre discutono su dove intervenire, in quale punto preciso incominciare i lavori, intanto sono già sui binari. «Mi devi dare un a mano socio», dice Laganà. Ancora rumori di pala.
    Per prima cosa bisogna pulire il tratto sui cui è previsto l'intervento, cioè mettere in evidenza i binari. Togliere tutte le pietre intorno. La squadra sta già lavorando. Si sentono mezze frasi. «Che cazzo ne so». «Ahia!». «È rotto». «Ovviamente l'interruzione è qua».
    A un certo punto, dietro la palizzata che corre pungola ferrovia, il video inquadra il camion della Si.Gi. Fer con sopra gli attrezzi da lavoro. Stanno preparando la rotaia. La stanno liberando. Poi useranno il tranciatore, l'incavigliatore. Poi sarà il turno dei saldatori. Ma ora, ancora no.
    Kevin Laganà dice: «Buttala sotto, Michael». Sta indicando all'amico, al collega Micheal Zanera, il punto dove accumulare i sassi. Sono ombre nella notte. Ancora rumori di pala. Le traversine vanno ripulite una a una. Qualcuno ride. «Mario sta guardando». Pala e scherzi.
    Poi un'altra inquadratura frontale di Kevin Laganà. Si toglie i guanti da lavoro, si riposa qualche istante, gira la telecamera verso i compagni di squadra. Sono uomini sui binari. Sono manutentori delle ferrovie italiane in subappalto. «Vai Michael», dice con un sorriso bellissimo Kevin Laganà. E in quel momento, con due dita sulla fronte saluta, dice così: «Ciao ragazzi, ci vediamo alla prossima».
    Poteva essere solo un video su Tik Tok fra operai manutentori al lavoro, in una notte di fine agosto del 2023, sulla vecchia ferrovia Torino-Milano. Ma c'era quella frase all'inizio. Quella frase sul pericolo imminente: «Se vi dico treno, andate da quella parte». Stavano lavorando senza autorizzazione. E quando è passato il treno non c'è stato nemmeno il tempo di accorgersene.
    Nessuno vorrebbe essere il padre di Kevin Laganà, a fare i conti con questo video registrato sul confine esatto fra la vita e la morte. Ma nessuno vorrebbe essere nemmeno «la scorta» di Rfi, il funzionario Antonio Massa. Queste notti tremende di tranquillanti, a risentire la sua voce mentre autorizza i lavoro sul binario. Adesso si capisce meglio la frase pronunciata da lui stesso in lacrime, la notte dopo lo schianto: «Li ho mandati a morire».
  2. RAGAZZI SERI MA SENZA RADICI E FORZA NELLA GIUSTIZIA :Vincenza e la notte dell'autorizzazione negata "Ho fatto solo il mio dovere, ora dimenticatemi"
    Sulle sue spalle. Sulle spalle di una lavoratrice delle Ferrovie di 25 anni. «Dirigente di movimento». Vincenza Repaci detta Enzina, un mestiere scelto in onore di una famiglia di ferrovieri.
    Originaria di Reggio Calabria, cresciuta a Bussoleno in Val di Susa, in servizio a Chivasso nella notte della strage. «Non potete fare i lavori. Non ancora. Deve passare un treno in ritardo prima di mezzanotte». Aveva avvisato. Aveva insistito. Tre telefonate fra lei e la «scorta» di Rfi, Antonio Massa, dimostrano che il quadro fosse chiaro. Quel treno speciale di vagoni vuoti, che dovevano essere riparati a Torino, era atteso sulla linea proprio nel momento in cui poi è passato ai 160 chilometri all'ora. Una velocità consentita in quel tratto.
    Ma la squadra dei manutentori della Si.Gi.Fer ha iniziato lo stesso i lavori previsti. Gli operai sono stati autorizzati, seppure informalmente, proprio dalla «scorta» di Rfi Antonio Massa: «Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Va bene?». Pensavano di vederlo arrivare. Di avere tempo. Di poter mettersi al riparo. Così non è stato. Proprio durante la terza telefonata con Enzina Repaci, che dalla centrale operativa continua a negare l'autorizzazione all'intervento, la tragedia si compie.
    «Mia sorella ha fatto solo quello che doveva fare, non amerà per niente che io sia qui a parlare di lei. È una persona estremamente seria e scrupolosa. È anche una persona riservata. Quello che doveva dire l'ha detto in Procura, non c'è altro da aggiungere. Non ha mai dato l'autorizzazione per quei lavori. Ma quello che è successo è stato molto difficile anche per lei». Anche la madre, la signora Maria Lofaro la protegge: «È piccola, ma molto forte. Mi ha detto che non vuole farsi pubblicità su una storia così. Perché ci sono cinque morti. Ripete a tutti che ha fatto soltanto il suo lavoro. Ha detto che spera solo di essere dimenticata, perché vorrebbe poter tornare a uscire senza sentirsi gli occhi puntati addosso».
    Liceo scientifico in montagna a Ulzio, poi lo studio e il concorso per entrare in Ferrovia. Dicono che abbia sempre avuto le idee chiare. Una scelta che è anche un tributo alle persone che amava nella sua famiglia. Altri ferrovieri.
    Per qualche giorno Enzina Repaci è stata al riparo da tutto, lontana. Lunedì sera si è presentata in procura a Ivrea in qualità di testimone. La madre aspettava fuori dal palazzo di giustizia: «Lei non c'entra nulla con quello che è successo. Eravamo lontani quando abbiamo saputo dell'incidente, eravamo preoccupati per la sua reazione, ma invece è stata lei a rassicurarci». Così è Vincenza Repaci detta Enzina, 25 anni, ferroviera. «Smettetela di parlare di mia sorella. Ha fatto solo quello che doveva fare».
  3. UN RAGAZZO IN PARADISO UN FAMIGLIA CHE NON LO VUOLE CAPIRE : «Quel video proprio adesso no, è un colpo al cuore. Mi fa morire». Massimo Laganà si stringe nella maglietta bianca che non vuole smettere di indossare: c'è il volto del suo Kevin e anche così può sentire accanto gli occhi scuri, profondi del figlio fotografato in un giorno felice in piscina, quando aveva addosso la stessa collanina d'argento che hanno ritrovato in mezzo alla calce dei binari di Brandizzo. «Sì che lo sapevo del video di Instagram, subito pensavano tutti che fosse in diretta e invece no - dice -. È finito in mano ai magistrati, ma come ha fatto a uscire fuori? Perché proprio adesso?». È un altro motivo di rabbia, lui lo dice apertamente: «Certo che sarebbe stato meglio far esplodere questa cosa dopo, più avanti. Adesso è presto».
    È presto perché ci sono ancora ruoli da chiarire, testimoni da sentire e parole non dette? Questo, Massimo Laganà non lo dice: «Sono una persona semplice, magari non lo capisco. Ma secondo me è esplosa troppo presto questa cosa del video». In corso XXVI Aprile c'è un sacrario che possono vedere tutti, a ogni ora del giorno e della notte. E tutti possono partecipare. Dire una preghiera, lasciare un fiore o un biglietto sotto lo striscione che ha mille pensieri e una cornice di palloncini blu.
    «Cosa vorremmo dall'inchiesta? Che Massimo potesse riavere suo figlio, ma tanto non potrà succedere. Oggi non sappiamo ancora nulla dalla magistratura, forse si saprà qualcosa domani. Nel frattempo ci sentiamo sempre un po' più soli», si dispera lo zio Giovanni Caporarello. Come il padre di Kevin, lunedì, è rimasto soltanto per pochi minuti alla manifestazione organizzata a Vercelli: «Massimo ha visto troppa gente ed è andato via, a casa. Non se la sentiva».
    E dopo aver visto il filmato girato da Kevin Laganà, con le raccomandazioni di Antonio Massa, la famiglia di Giuseppe Lombardo è scioccata. «Mio padre lavorava sulle ferrovie da 26 anni e noi a casa eravamo tranquilli, perché lui ci ripeteva sempre "quando scendiamo sui binari i treni non passano, sennò noi mica potremmo andare lì, voi non dovete preoccuparvi"» racconta Elena, una delle due figlie di Lombardo.
    E ancora: «In tutti questi anni non ci ha mai detto "stavamo per essere messi sotto da un treno", altrimenti ce lo saremmo ricordato e poi si sarebbe saputo». Poi la giovane mamma che a Lombardo aveva regalato la gioia dei nipoti Sofia e Alexander, si fa ancora più seria: «Ora chi ha delle responsabilità per questa tragedia dovrà pagare fino in fondo, perché ha tolto la vita non solo a nostro padre, ma anche ad altre quattro persone, distruggendo per sempre delle famiglie. Perché per me, per i miei fratelli e per mia madre l'esistenza non tornerà mai più quella di prima».
    La moglie di Lombardo, Barbara, 44enne, scaffalista nei supermercati, è sul divano stremata da un dolore che, dice: «Mi ha svuotato». «E comunque - aggiunge - nemmeno noi vogliamo funerali di Stato e tutta quella roba lì. Il dolore è nostro e basta». Intorno a lei, oltre a Elena, c'è l'altra figlia Rosanna e il figlio Marco, 19enne che ha saputo della morte del padre mentre era a Bergamo e stata andando al lavoro. «Mi ha chiamato nonna tutta agitata, mi ha raccontato dell'incidente e mi ha detto "guarda che tuo padre non risponde al telefono" - ricorda il ragazzo -. Mi è bastato fare un rapido controllo sul web con il telefonino e c'era già la notizia con il suo nome, erano più o meno le sette e un quarto. È stato un colpo». Tutta la famiglia indossa la t shirt bianca con su stampata l'immagine di Giuseppe. «Era uno degli operai più vecchi della Sigifer – raccontano i famigliari tutelati dall'avvocato Marco Bona per quanto riguarda la parte "penale" della vicenda e dalla Gesigroup di Andrea Rubini per tutta la gestione di quello che avverrà ora -. Pensi che quella mattina aveva mal di schiena e non voleva nemmeno andare. Sarebbe potuto restare a casa, ma guai. Andava a lavorare pure con la febbre. Partiva all'alba, tornava per pranzo, poi si riposava un attimo e poi via a "fare la notte". Ma adesso era consumato, "non ce la faccio più" ripeteva spesso. Dall'azienda non ho ancora visto nessuno».—
  4. LAVORO INSICURO : Nella Si.gi.fer solo 18 addetti con i titoli necessari. La rabbia dei sindacati: "Per gli interventi sui binari servono esperienza e formazione"
    Quattro vittime senza specializzazione non potevano lavorare in quel cantiere
    claudia luise
    È bastata una verifica in cassa edile per scoprire quello che era un sospetto circolato già durante la manifestazione organizzata dai sindacati lunedì a Vercelli: alla Si.gi.fer. quasi tutti i lavoratori (ben 73) hanno la qualifica di operai comuni. Appena 18 sono operai qualificati e 35 sono gli operai specializzati. «Questo vuol dire che hanno il livello più basso - spiega Claudio Papa segretario generale della Feneal Uil Torino - invece sono chiamati a svolgere mansioni per cui non si può essere operai comuni. Avere 73 operai comuni vuol dire che c'è già un problema». E nella squadra travolta dal treno sembrerebbe - secondo gli investigatori - che quattro fossero proprio operai comuni. In linea di principio dunque non avrebbero potuto essere mandati a lavorare sui binari della ferrovia di Brandizzo: un cantiere ad alta specializzazione, non un cantiere di routine e che, perciò, richiedeva la presenza di addetti con determinate qualifiche. Che a quanto risulta non tutte le vittime avevano.
    I requisiti in possesso dei lavoratori della Si.gi.fer sono tra i tanti aspetti al vaglio degli investigatori. «La maggior parte degli infortuni avviene nella catena del subappalto, lo vediamo sempre. Per questo abbiamo bisogno di ridurla, non alimentarla. Il governo invece va nella direzione opposta», aggiunge Massimo Cogliandro, segretario generale della Fillea Cgil Piemonte. «Mai come in questi casi per evitare gli incidenti sono utili la formazione, l'adozione di strumenti preventivi grazie ad un utilizzo virtuoso delle innovazioni tecnologiche, il potenziamento dei controlli nei cantieri. Solo così è possibile garantire la sicurezza, la regolarità e la legalità nei cantieri» aggiunge Mario De Lellis, segretario generale Filca-Cisl Torino.
    In procura a Ivrea il lavoro dei magistrati continua a concentrarsi su due aspetti: la piena ricostruzione della notte della tragedia (e a questo scopo l'audizione fiume di Vincenza Repaci, la dirigente della stazione di Chivasso che aveva negato l'autorizzazione ad avviare i lavori, potrebbe essere stata determinante) e la necessità di far luce sul fatto che entrare sui binari prima del via libera fosse una prassi o un fatto occasionale. In questo senso la testimonianza di Tonino Laganà, il fratello di Kevin, la più giovane delle vittime, potrebbe essere rilevante: anche il ragazzo è un dipendente della Si.gi.fer. e questa mattina verrà ascoltato dai magistrati come persona informata sui fatti.
    Tra gli elementi da approfondire, pure il certificato di sicurezza che sarebbe scaduto 28 luglio, quindi un mese prima dell'incidente. La data di scadenza è riportata nell'Attestazione di qualificazione alla esecuzione di lavori pubblici. Come per altre certificazioni che erano scadute a luglio e che l'azienda ha rinnovato in tempo, si sta cercando di capire se anche in questo caso c'è il rinnovo e, magari solo per lungaggini burocratiche, non sia stato inserito nell'Attestazione. Nel caso non fosse così, spiegano i sindacati, l'azienda non avrebbe proprio potuto lavorare e sarebbe dovuta essere l'azienda committente, quindi Rfi, a controllare.
  5. LA CODA DI PAGLIA : Ha letto una relazione sul funzionamento dei protocolli e sulle certificazioni necessarie per lavorare nelle manutenzioni. L'ad di Rfi, Gianpiero Strisciuglio, in audizione presso le commissioni Trasporti e Lavoro della Camera si è limitato a ribadire le regole.
    Ha dribblato le domande di chiarimenti sottolineando che c'è un'inchiesta in corso e la società è a disposizione della magistratura per tutte le informazioni necessarie. C'è però un punto emerso con chiarezza dalle parole del manager: «Rfi tiene conto degli spazi fisici e temporali necessari alla manutenzione». E, rispondendo a una domanda dei deputati sulla possibilità che le ditte incaricate della manutenzione dovessero pagare penali nel caso avessero sforato, ha aggiunto: «Sono previste contrattualmente, ma è inderogabile che l'attività di manutenzione richieda intervalli temporali che sono garantiti in tutta l'attività manutentiva». In pratica gli operai non potevano sforare, non sarebbe proprio ammesso un ritardo nemmeno nel caso di imprevisti.
    E non c'è nessuna possibilità di eccezione nei protocolli, ci ha tenuto a precisare Strisciuglio. «Il sistema di regole di cui ci siamo dotati, e che è stato riconosciuto dalle Autorità competenti - ha citato più volte Ansfisa, l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferrovie e infrastrutture stradali e autostradali - è un insieme di regole che non ammette deroghe. Questo è fondamentale nella gestione della sicurezza ferroviaria. Per questo il sistema si dota di una serie di controlli, anche interni, in tutte le fasi di processo».
    I deputati hanno provato a far luce sulla gestione dei subappalti. Questo perché l'intervento di manutenzione in corso a Brandizzo, affidato alla Si.gi.fer. «era in subappalto che, conformemente alla normativa vigente, è stato autorizzato da Rfi previa positiva verifica dei requisiti generali, tecnici ed organizzativi». Quindi ha confermato che l'impresa «è iscritta nel nostro sistema di qualificazione» e che «il sistema di regole si estende sia all'appaltatore che al subappaltatore». L'ad ha poi ricostruito il protocollo ma senza fare alcun accenno al fatto che a Brandizzo - come in molti altri casi accaduti in passato o di incidenti sfiorati che stanno emergendo - il problema non sono le regole ma il rispetto delle stesse. «L'avvio delle lavorazioni - ha detto - è tassativamente subordinato all'ottenimento dell'autorizzazione scritta all'interruzione della circolazione dei treni». E ha aggiunto, come per ribadire una cosa che prima dell'altra notte sembrava ovvia: «I lavori con l'occupazione dei binari sono sempre effettuati in assenza di circolazione dei treni e comunque svolti in intervallo orario prestabilito che deve essere formalmente autorizzato per iscritto dall'operatore della circolazione dei treni al richiedente l'interruzione».
    Come sia stato possibile che sia accaduto è la domanda a cui dovrà rispondere anche una commissione di indagine, istituita da Rfi e «presieduta da autorevoli esponenti del mondo accademico, i cui esiti saranno messi prontamente a disposizione delle autorità competenti». A polemizzare sulle parole dell'ad è, però, il capogruppo democratico in commissione Lavoro Arturo Scotto: «Non possiamo dirci soddisfatti della relazione. Un'audizione alla Camera dei deputati non può essere un continuo rimando all'attività di indagine della magistratura». E una critica arriva anche da Chiara Gribaudo, presidente della commissione d'inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia: «Il giorno dopo la tragedia ha stonato l'assenza dei vertici di Rfi. È stato grave». Intanto il ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, ha fatto sapere di essere pronto a riferire in Aula sulla tragedia.
    Diverso l'approccio dei sindacati, che hanno partecipato all'audizione dopo il manager. Cgil, Cisl e Uil hanno confermato un quadro di sottovalutazione e violazioni delle norme. «Qui si tratta di un sistema organizzato in un certo modo e il fatto che avvenga in Rfi ci fa ragionare che quando al centro c'è il massimo profitto e gli investimenti in sicurezza vengono percepiti come un costo, non ci può stupire se su 100 mancati incidenti avviene una strage» ha analizzato la segretaria confederale Cgil, Francesca Re David. «Forse i tempi che vengono dati sono obiettivamente troppo stretti e non si può fingere di non sapere che la partenza dei lavori anticipati ha riguardato tanti altri cantieri dove per qualche tipo di fortuna non è successo nulla» ha aggiunto Ivana Veronese, segretaria confederale Uil.
    E Giorgio Graziani, segretario confederale della Cisl, ha concluso: «Dobbiamo mettere in campo una strategia nazionale sulla salute e sulla sicurezza: siamo l'unico Paese in Europa che non ha una strategia strutturata»
  6. EREDITA' SPERANZA-DRAGHI: Dopo avere ascoltato per settimane la disperazione dei pazienti e delle loro famiglie per il dilazionarsi delle cure radioterapiche all'ospedale San Francesco di Nuoro, due assistenti sociali in servizio nel Comune di Fonni, Anna Gregu e Rosanna Veracchi, hanno scritto all'assessore regionale della Sanità Carlo Doria per denunciare che «la radioterapia per i pazienti oncologici sardi non è più un diritto e il sistema sanitario dell'Isola consiglia a chi è affetto da tumore di cercare le cure radioterapiche fuori dalla Sardegna».
    Alla missiva hanno allegato la risposta choc data a un paziente dal servizio di Radioterapia oncologica dell'ospedale nuorese: «Si fa presente al paziente che causa liste d'attesa, purtroppo non è possibile rispettare una tempistica oncologica corretta – si legge – Attualmente la lista d'attesa per la patologia nel nostro centro è di circa 6 mesi, pertanto si invita il paziente a recarsi in altro centro fuori regione».
    «Siamo abituati da tempo allo smantellamento della sanità sarda ma una cosa così non l'avevamo mai vista – scrivono nella lettera le due assistenti sociali – In questi giorni assistiamo sconcertate e impotenti nel servizio dove operiamo, alla disperazione dei numerosi malati oncologici che devono sottoporsi alle cure radioterapiche, di cui non possono usufruire in nessun presidio della Sardegna per vie delle lunghe liste d'attesa. In tutto questo il sistema sanitario sardo consiglia formalmente, per iscritto, agli utenti di recarsi in strutture della penisola per le cure di cui necessitano, insomma chi bussa alle porte della nostra sanità incontra uno scenario devastante. Chiediamo all'assessore Doria – concludono le due professioniste – che impedisca l'esodo dei malati oncologici sardi e delle loro famiglie con i relativi disagi, per cui molti sardi sono costretti a rinunciare alle cure». La Asl di Nuoro si difende precisando che per alcune patologie la lista di attesa del San Francesco è lunga, «ma si tratta di visite per patologie differibili.
  7. PUTIN ISOLA L'AFRICA : C' è un fenomeno nuovo, di fronte a cui noi occidentali onnipotenti ci accorgiamo di essere improvvisamente impotenti: il fenomeno del disordine necessario. La Russia che osa irrompere nel cortile di casa, in Ucraina, in Europa, i golpe (scandalo, non programmati da noi!) che ridisegnano la carta politica di vasta parte dell'Africa formando un commonwealth dei colonnelli, i Brics, i Paesi che con successo di adesioni propongono di riscrivere addirittura le nostre intangibili regole dell'economia mondiale, il Microsupremo nordcoreano Kim Jong-un che ha l'impunità dell'atomica e va in treno a Mosca a fornire ostentatamente di armi il ricercato Putin; e i piccoli e i piccolissimi che non ci obbediscono più.
    Tutto è legato da un elemento in apparenza semplice: per vasta parte del mondo l'Ordine in vigore non rappresenta più la Forza. Ai giorni nostri l'ordine americano con i suoi dipendenti, Europa, Giappone, Oceania e poco altro, non può più reggersi. Una volta sceglievamo beatamente i nemici che ci servivano, ci bastava un piccolissimo spostamento dell'interruttore del potere, le nostre parole votavano alla distruzione e ristabilivano anche la pace.
    Inevitabile destino: il mondo non esiste solo perché lo si amministri come vogliamo noi. Che indossiamo occhiali che modellano la realtà come di volta in volta ci aggrada. Osserviamo e lasciamo scorrere via disinvoltamente il dolore degli altri, migranti siriani, sudanesi per esempio, se non ci riguarda direttamente con il distacco di un impresario di pompe funebri.
    «Regime change», «nation building», «responsability to protect» diventano ciarpame, raffazzonatura di parole quando non sono in gioco affari nostri. Corruzione, arricchirsi sfruttando perfino la guerra ogni volta che si offra l'occasione come accade per l'Ucraina: prima o poi con queste indecorose evidenze comincia ad esser sospetto il nostro nominare a destra e a sinistra la coscienza. Non ci si accontenta più del latte magro della nostra carità.
    Appoggiarsi a questo ordine con speranza come accadeva fino a qualche tempo fa non significa più accrescere le proprie deboli forze, sentirsi protetti ed esaltati da una comune energia. Intendo la parola forza non nel senso esclusivamente militare, lo intendo come energia umana, fiducia nel progresso, politica, condivisione, sviluppo, dignità, perfino felicità. In buona parte illusioni, certo. Ma non il melenso ottimismo produttivo e consumistico su cui facciamo fiorire i nostrani concretissimi fiori del male.
    Da qualche tempo le energie sono al di fuori di questo ordine, i popoli giovani d'Africa, Asia, America latina, sentono di essere al di fuori di questo ordine. Che è un mondo che per loro puzza di sfruttamento, in cui la povertà non è più una tappa della lotta di classe né una patria mitica ma solo una lebbra da cui ci si deve guardare.
    Niente a che vedere con i muffiti filosofemi del «Tramonto dell'Occidente». Allora era un guardarsi allo specchio europeo concedendosi qualche brividino stimolante. Ora lo specchio è in frantumi. Come tutto ciò che è giovane gli Altri vogliono sentire dentro di sé fluire questa forza vitale, sono attirati e vanno dove pensano o si illudono di trovarla. Esempio: quello che chiamiamo il Sud globale osserva l'America, con quella bisogna fare i conti non certo con la Unione dei mediocri che vivacchia in uno stato di armistizi vari, soppesa i due ultimi presidenti, un guitto scandaloso e un vecchio signore. Eppure tra un anno gli americani sceglieranno di nuovo con ogni probabilità tra Trump e Biden. Dove sono l'energia, il nuovo, la forza?
    Perché questo disordine è purtroppo necessario? Ogni trasformazione rivoluzionaria impone a chi voglia esplorare le vie del nuovo e della forza vitale l'obbligo di opporsi all'ordine, ovvero al Potere in vigore.
    In questa parte del mondo è arrivato il momento di smettere di fare appello all'Ordine: i golpisti accettabili sono solo quelli autorizzati, usiamo l'Ucraina come un poligono con sagome vere, la Cina si adegui alla parte che gli abbiamo assegnato nella commedia capitalista, esser l'officina a basso costo del mondo. L'ordine che noi incarniamo non soddisfa più nessuno, forse nemmeno noi, ed è l'ora di preparargli una decorosa veglia funebre. Ma fino a che non si discioglierà in un nuovo ordine non soltanto geopolitico rassegniamoci a vivere un lungo complicato pericoloso periodo di disordine necessario.
    È come se venisse riscritta davanti ai nostri occhi la parabola del figliol prodigo, che è un parabola politica non teologica. Il reprobo, il ribelle è deciso a non tornare a casa, non lo attira più; il fratello obbediente può tenersi tutta la ricchezza. Perché il bue grasso che gli viene offerto, ovvero la democrazia, è un premio che appare assai meno entusiasmante di quanto proclamava, tentatore, il padre soddisfatto. La democrazia è una parola così grossa e a buon mercato che la si dovrebbe usare con parsimonia. Sarebbe democrazia, ci chiedono i ribelli all'Ordine, la dinastia dei Bongo, Karzai, al Sisi, Putin quando ci faceva comodo, l'etiopico Abiy Ahmed, i cleptocrati nigeriani, i capogang libici, il tunisino Kais Saied, tutti fedelissimi del mondo virtuoso?
    L'ordine attuale non è forse tenuto in piedi dalla connessione tra interessi egemonici e un sentimento arrogante e monopolistico di superiorità morale che serve solo a ungere la macchina degli interventi, degli ultimatum, delle sanzioni? Macron che alla notificazione del nuovo governo golpista nigerino di aver tolto il gradimento all'ambasciatore francese chiedendone la sostituzione come è previsto da normale pratica diplomatica, replica: resta lì! Come se regolasse affari di casa sua. Non è la ennesima manifestazione schiumosa dell'ordine coloniale?
    Si replica indignati: ma questi perturbatori, questi ribelli non sono altro che sordide dittature, Putin, Xi Jinping, gli ayatollah, i colonnelli felloni! Non assomigliano agli educati Non Allineati di Bandung degli Anni cinquanta; questi esigono solo un piatto più grande alla supergreppia a cui vogliono continuare ad attingere. Colonnelli ed autocrati sono canaglia, sono la leva senza cui il disordine necessario non potrebbe fare forza, dare nuovo equilibrio. Ma il disordine è una soluzione in sospeso, in attesa di predicazioni nuove, fino a quando ai popoli non serviranno più.
  8. LA GUERRA E' ILLOGICA E SENZA SCOPO : Un passo avanti e uno indietro. Così si muove Aysha nel Centro di transito per rifugiati a Renk, città sud-sudanese al confine con il Sudan. E lì che dal 15 aprile arrivano via terra decine di migliaia di profughi e sfollati di ritorno. Lì che è giunta anche lei dopo un mese di viaggio. Con sé non ha più niente. Non ha un vestito per cambiarsi, non ha più soldi. Non ha più nessuno. Del passato resta l'immagine della separazione e della disumanità.
    Il giorno che ha trovato il coraggio di lasciare Khartoum, gli uomini delle Rsf (Forze di Supporto Rapido) hanno bloccato il veicolo che trasportava i suoi nipoti, tre ragazzi e tre ragazze. Aysha ha visto i ragazzi legati e trattenuti con la forza dentro il veicolo e le giovani trascinate via tra le grida in un altro mezzo, perso velocemente dalla vista. Tre giovani rapite mentre cercavano la via di fuga dalla guerra, condotte verso un destino di abuso. Per raccontare quello che ha visto e udito cerca una tenda in cui nessuno la ascolti. La vergogna, propria o altrui, per essere raccontata necessita del pudore del silenzio. Così si siede a terra, si scopre il volto e finalmente piange.
    Viveva nella parte settentrionale di Khartoum e ha faticato a resistere nascosta con le donne della sua famiglia e i nipoti più giovani per le prime settimane dopo l'inizio dei combattimenti. Finirà, speravano. Si ripeteva di avere un solo scopo, sopravvivere e proteggere le figlie e le figlie delle figlie da quello che le guerre sudanesi avevano insegnato senza che nessuno imparasse la lezione, cioè che il corpo delle donne sarebbe di nuovo diventato la trincea delle violenze di chi combatte. E volevano proteggere i più giovani dal reclutamento forzato.
    Un giorno di maggio la sua vicina Halima è entrata in casa, le ha detto che uomini senza divisa militare avevano cominciato a fare irruzione nelle case cercando armi e portando via gli uomini. Erano entrati anche in casa sua, avevano chiuso la nipote diciassettenne in una stanza con la madre e avevano violentato la ragazza davanti ai suoi occhi. «Se provate a gridare, vi violentiamo tutte, hanno detto. Sono felici quando violentano. Cantano quando violentano. Ci chiamano schiave, dicono che possono fare di noi quello che vogliono».
    Halima non aveva più lacrime. Le ha detto solo: andate via. Così Aysha ha messo nelle tasche della sua abaya nera i soldi che le erano rimasti, ha chiamato a raccolta i nipoti, e si è decisa a unirsi alle migliaia in fuga, cercando di richiesta d'aiuto in richiesta d'aiuto, il contatto di chi poteva portarli via da Khartoum. Ma da Khartoum è uscita sola. Dei suoi tre nipoti maschi non ha saputo più nulla. Delle ragazze, dicono i sussurri di chi è sopravvissuto, si sa solo che siano state portate in una base militare, che ci siano altre decine di giovani. Che le milizie Rsf le "usino a loro piacimento".
    La storia di Aysha è una delle poche che emerge dai non detti delle tende improvvisate di Renk, tra i miasmi dell'acqua tra cui giocano i bambini, i resti di cibo marcito, la terra diventata fango per le piogge. È la voce di chi non può trattenere il dolore per avere perso i suoi cari, per non aver potuto fare niente per sottrarli a un destino segnato. La storia delle umiliazioni che si consumano sulla pelle, nell'anima di donne e ragazze, stupri usati come arma di guerra, strumento di prevaricazione, onta e marchio che le accompagnerà per sempre, arma utilizzata anche per umiliare la donna, la sua famiglia e la sua comunità. Sono le donne e i bambini a soffrire l'impatto più devastante della crisi in Sudan che ha provocato lo sfollamento forzato di oltre tre milioni di persone, di cui 700 mila fuggite nei Paesi limitrofi, come il Sud Sudan. Quando sono scoppiati i combattimenti, ad aprile, le strutture mediche hanno cominciato a essere danneggiate e distrutte in maniera sistematica, per questo la maggior parte delle organizzazioni internazionali ha evacuato il personale e secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) del Sudan, a luglio quasi l'80% degli ospedali sudanesi erano fuori servizio.
    Erano le donne e le ragazze, anche prima del conflitto, in Sudan, a correre in rischio maggiore di violenza sessuale. Oltre 4 milioni quelle esposte alla violenza di genere.
    Donne che faticano a parlare e non riescono a dimenticare.
    Le donne del Darfur
    «Devi rassegnarti o uccideremo tutti i tuoi fratelli». Sono state queste le ultime parole che Bushra ricorda di aver ascoltato prima di chiudere gli occhi e sperare che il suo corpo non venisse violato. Studentessa di Economia, la sua, a El Geneina, era la vita di una ordinaria venticinquenne, con i desideri e le aspettative della vita che verrà. Terminare gli studi, trovare un lavoro, sposarsi, avere dei figli. Poi in Darfur è tornata la guerra. Bushra ha raccontato ai ricercatori di Human Rights Watch che hanno raccolto la sua testimonianza, di aver sentito entrare in casa otto uomini armati, due con l'uniforme delle Forza di Supporto Rapido (Rsf) e gli altri in abiti civili. In quel momento, nell'abitazione del quartiere Tadamun dove viveva, si nascondevano venti persone, gli otto uomini hanno sfondato la porta, gridato di consegnare tutti i telefoni, imposto agli uomini di uscire e urlato di consegnare le armi. La madre di Bushra ha fatto cenno a lei e alle altre giovani di chiudersi in una stanza. E così hanno fatto, pregando a bassa voce di essere risparmiate. Poi un uomo in abiti civili è entrato nella stanza, si è avvicinato a lei, le ha toccato il seno, le ha puntato il fucile alla tempia, ha fatto un cenno con la mano indicando il materasso e ha detto: non uccidiamo le donne, ma se ti sacrifichi non uccideremo nemmeno gli uomini. Così si è sdraiata, nelle orecchie aveva le urla delle cugine e delle vicine nella stanza, il suono di un proiettile esploso nella stanza accanto, il grido acuto di sua zia che era stata ferita, e le voci di cinque uomini che si alternavano a violentarla.
    Sopravvissuta agli stupri non ha parlato per giorni, prima di chiedere a sua madre di essere portata via. Gli uomini in casa non c'erano più, prelevati dalle Forze di Supporto Rapido (Rsf), e non c'erano più neppure i soldi che servivano a prendere la strada per salvarsi. Ma sua madre ha raccolto una busta con due asciugamani, qualche veste e un po' d'acqua e sono scappate in Ciad, dove sono arrivate una settimana dopo.
    A El Geneina, capitale del Darfur Occidentale, prima della guerra vivevano circa 550 mila persone, dalla fine di aprile alla metà di giugno 400 mila, sono scappate come Bushra, solo una delle tante, troppe, sopravvissute a stupri di gruppo. Due settimane fa Human Rights Watch ha pubblicato un lungo rapporto per denunciare le violenze perpetrate dalle Rsf a El Geneina. I casi di stupro identificati sono 78, ma lo stigma sociale, unito alle infrastrutture distrutte, alle reti di comunicazione compromesse, rendono impossibile fare chiarezza sui numeri. Solo una delle sopravvissute ha dichiarato di aver ricevuto cure di emergenza, perché a El Geneina le milizie hanno saccheggiato e dato alle fiamme non solo abitazioni civili e strutture militari ma anche cliniche, ospedali e uffici di organizzazioni non governative. Secondo l'Unità sudanese per la lotta alla violenza contro le donne, le denunce e le testimonianze rappresentano probabilmente il 2% dei casi totali, il che significa che ci sono stati circa 4.400 casi di violenza sessuale nei primi tre mesi del conflitto.
    «Sono entrati in casa in tre, cercavano armi ma non hanno trovato nulla, poi mi hanno chiesto a quale tribù appartenessi. Quando ho risposto "Massalit" mi hanno violentata in tre. Sono rimasta sdraiata lì pensando che non avrei camminato mai più. Sono tornati dopo alcune ore e mi hanno violentato ancora, uno di loro diceva: "Voglio che resti incinta. Voglio che partorite tutte i nostri bambini". Poi mi hanno trascinato in strada dicendo: "Se non vai via ti ammazziamo". Mi sono alzata, mi sono unita a un gruppo di profughi diretti in Ciad e sono andata via. Da allora non ho più senso dell'orientamento». Anche le poche parole che Alia ha consegnato una volta in salvo in Ciad raccontano lo stupro come arma. Di più, lo stupro come arma contro un gruppo etnico.
    Secondo le testimonianze dei sopravvissuti le milizie hanno attaccato città e villaggi prendendo di mira soprattutto le zone abitate da una delle principali comunità non arabe, i Massalit, facendo tornare in Darfur lo spettro di guerre mai risolte, di una giustizia mai raggiunta né pretesa fino in fondo dalla comunità internazionale.
    Le rivendicazioni basate sull'etnia e l'inazione del governo sudanese nel risolvere le contese legate alla proprietà della terra hanno radici antiche. Già nel 2003, durante la campagna di pulizia etnica dell'allora presidente Al Bashir, le forze governative e le milizie Janjaweed, precursori delle Forze di supporto rapido, avevano attaccato le comunità non arabe, nel 2008 il pubblico ministero della Corte Penale Internazionale definì lo stupro "parte integrante" del modello di distruzione che il governo del Sudan stava infliggendo in Darfur, scenario identico al 2019 quando le Rsf si erano scontrate con i gruppi armati Massalit.
    Lo scorso anno Pramila Patten, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti, aveva segnalato 100 casi di violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza sudanesi, invitando le forze armate a collaborare con le agenzie internazionali per identificare i responsabili e ottenere giustizia. Ma poco, quasi nulla, è stato fatto. Allora come oggi lo stupro era stato un'arma di guerra e nonostante le denunce, le indagini non si sono trasformate in processi esemplari, alimentando il clima di impunità che alimentava e alimenta l'idea che la violenza maschile sulle donne rappresenti l'orgoglio di infliggere umiliazione al nemico.
  9. Il crimine di guerra più antico e meno punito
    Il diritto internazionale umanitario vieta alle parti coinvolte in un conflitto armato di danneggiare deliberatamente i civili.

    L'articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e il diritto internazionale umanitario consuetudinario, entrambi applicabili a tutte le parti in guerra in Sudan, vietano lo stupro e altre forme di violenza sessuale. Lo stupro commesso dai combattenti può costituire una forma di tortura. Lo stupro e altre violenze sessuali commessi nel contesto di un conflitto armato sono crimini di guerra e, se fanno parte di un attacco diffuso e sistematico da parte di un governo o di un gruppo armato contro una popolazione civile, possono equivalere a crimini contro l'umanità.
    Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite definisce lo stupro «il crimine di guerra più antico, più messo a tacere e meno condannato». I dati delle Nazioni Unite mostrano livelli allarmanti di stupri durante i conflitti, sottolineando al contempo quanto le stime siano al ribasso per la difficoltà di denunciare e ricevere cure e assistenza. Secondo i dati ufficiali tra le 250.000 e le 500.000 donne e ragazze sono state violentate nel genocidio del 1994 in Ruanda e almeno 200.000 nella Repubblica Democratica del Congo dal 1996.
  10. COSA SUCCEDE QUANDO GUARDIAMO SU MARTE : Gli abusi stanno aumentando soprattutto sulle bambine e nei campi di sfollati"
    Save the Children ha recentemente pubblicato un rapporto sull'esposizione alla violenza sessuale di bambini e minori. Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children, a quali violenze sono esposti bambine e bambini vittime della guerra in Sudan?
    «Man mano che la situazione in Sudan peggiora e il conflitto si inasprisce, bambine e bambini sono sempre di più vittime di violenza sessuale e di genere. Sono molti gli episodi di stupro, violenza e sfruttamento sessuale segnalati da donne e ragazze fuggite dal conflitto a Khartoum e da altre aree del Sudan, ma non è possibile dare un numero che sia la fotografia reale, perché da un punto di vista culturale è molto difficile per queste donne e in particolare per le ragazze più giovani, denunciare di aver subito violenza: molte delle ragazze che abbiamo incontrato a Renk, al confine tra il Sudan e il Sud Sudan, ci hanno detto di aver visto coi loro occhi le violenze, ma è difficile che parlino di violenze subite direttamente».
    Il Sudan è un Paese non più in grado di far fronte all'emergenza. Infrastrutture distrutte, combattimenti ancora in corso. Qual è la risposta internazionale all'aumento delle violenze di genere? Cosa potrebbe essere fatto e non è stato ancora fatto?
    «A New York, durante la conferenza internazionale per gli aiuti umanitari, Save The Children aveva chiesto circa 3 miliardi di dollari, portando poi a casa la "promessa" di 1,5 miliardi di dollari. Una delle cose che sta accadendo qui come in altri Paesi in questi giorni è l'aumento delle violenze, degli stupri sui bambini ma in particolare sulle bambine. Ma le violenze non avvengono solo mentre scappano dal conflitto e per questo è fondamentale mettere in piedi programmi di protezione per le bambine e i bambini nei campi di sfollati: quando le famiglie cercano da mangiare per tirare avanti, le bambine si devono occupare della "casa" e per disperazione rischiano di essere cedute troppo presto come spose. È necessario intervenire in maniera più decisa sulla situazione nei campi di sfollati, creando le condizioni per cui queste bambine possano essere realmente protette e non siano nuovamente esposte ad altre violenze. Il nostro appello ai leader mondiali, ai donatori, ai Paesi membri delle Nazioni Unite e alle organizzazioni internazionali affinché è che la protezione dei minori venga messa al primo posto di qualsiasi azione internazionale contro la violenza sessuale nei conflitti, a partire dal rafforzamento di servizi e programmi in grado di supportarli pienamente».
    Lo stupro viene usato ancora una volta come un'arma di guerra, in mezzo i bambini, usata per diffondere terrore. Cosa racconta la vostra esperienza sul campo?
    «Oggi i minori corrono quasi 10 volte in più il rischio di subire abusi rispetto a trent'anni fa. Nel mondo, oltre 70 milioni di bambini vivono in zone dove forze armate e gruppi armati sono soliti perpetrare atti di violenza sessuale contro i minori. La violenza sessuale è usata spesso come arma di guerra contro i bambini e gli altri civili proprio per terrorizzare la popolazione, diffondere paura e incutere timore per fini politici e militari, per umiliare determinati gruppi etnici o per punire i civili sospettati di collaborare con i nemici. Si tratta di un trauma con conseguenze devastanti dal punto di vista fisico, psicologico, sociale ed economico con effetti di lunga durata nel tempo. La brutalità dell'atto fisico stesso può essere particolarmente dannosa per i bambini il cui corpo non è completamente sviluppato. Specialmente le ragazze rischiano di subire lesioni al loro apparato riproduttivo, di essere esposte alle complicanze delle gravidanze precoci, fino a mettere a repentaglio la loro stessa vita. Pensare che dei bambini possano essere vittime di violenze sessuali è qualcosa di semplicemente inaccettabile, di fronte alla quale non è possibile rimanere inermi. Spesso sono costretti a vivere questa tragedia in silenzio, portandosi dietro per tutta la vita i segni delle violenze subite e senza ricevere il supporto di cui avrebbero urgente bisogno per affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche che tutto ciò comporta. La violenza sessuale è già di per sé una piaga sottostimata, soprattutto nelle aree dove sono in corso i conflitti più cruenti, e questo è ancor più vero quando le vittime sono proprio i bambini e le bambine»
  11. MILITARIZZARE NAPOLI: Napoli, cosparge di benzina la vicina e le dà fuoco "Le avevo detto che doveva spostare la macchina ..."
    «Io glielo avevo detto che doveva spostare la macchina…». È tutto quello che ha detto ai carabinieri che lo interrogavano Francesco Riccio, 53 anni, pluripregiudicato, arrestato perché al termine di un litigio condominiale – l'ultimo di una lunga serie – ha cosparso di benzina la sua vicina e le ha dato fuoco. Poi ha fatto lo stesso con l'auto della donna e quindi se ne è rimasto lì, come se nulla fosse accaduto, finché non sono arrivati i vigili del fuoco, l'ambulanza e i militari dell'Arma se lo sono portato via sottraendolo alla rabbia degli abitanti delle palazzine popolari di Quarto, il rione "167". Subito soccorsa, Antonella Iaccarino è stata trasportata all'ospedale "Cardarelli" dove l'hanno ricoverata in condizioni critiche con ustioni sul 50% del corpo. Danni estesi e potenzialmente letali per la casalinga 48enne che vive nel paesone-dormitorio – tra Napoli e Pozzuoli – con i suoi tre figli di 23, 24 e 27 anni. «Li fanno uscire e questi sono i risultati», ripete un'anziana, che poi aggiunge: «Una bellissima donna, solare, forte, che ha cresciuto tre splendidi ragazzi, speriamo che ce la faccia… Questi sono soggetti che non dovrebbero stare in mezzo alla gente perché prima o poi fanno piangere qualcuno».

 

05.09.23
  1. 5 set 2023 18:34

    TI FACCIO UN TASSO COSÌ! – LA SPAGNOLA BBVA ROMPE IL MURO DELLE BANCHE ITALIANE SUI CONTI CORRENTI E ALZA AL 4% LORDO ANNUO LA REMUNERAZIONE DEI DEPOSITI, SENZA CONDIZIONI NÉ DI SALDO MINIMO NÉ DI PERMANENZA, CON ACCREDITO MENSILE – È IL RENDIMENTO PIÙ ELEVATO NEL NOSTRO PAESE PER LE SOMME DEPOSITATE SENZA VINCOLO DI DURATA – UNA SFIDA AI GRANDI ISTITUTI NAZIONALI CHE SINORA TENGONO A ZERO IL RENDIMENTO (UNA DELLE RAGIONI USATE DALLA MELONI PER LA TASSA SUGLI EXTRA-PROFITTI)
    Estratto dell'articolo di Francesco Bertolino per www.corriere.it

    Bbva rompe il muro delle banche italiane sui conti correnti. La banca spagnola ha alzato al 4% lordo annuo la remunerazione dei depositi, senza condizioni né di saldo minimo né di permanenza, con accredito mensile.

    Il tasso è il più elevato nel Paese per le somme depositate senza vincolo di durata e rappresenta una sfida ai grandi istituti nazionali che sinora hanno rifiutato di aumentare sopra lo zero il rendimento, sostenendo in più occasioni che il conto corrente è un servizio e non un investimento.

    Bbva aveva già fatto la prima mossa a maggio quando aveva aumentato al 2% il tasso sui conti correnti. Quattro mesi più tardi l’istituto iberico ha raddoppiato la posta: la nuova offerta vale a partire dal 5 settembre fino al 31 gennaio 2025 e si aggiunge al deposito vincolato che propone un interesse fino al 5%.

    Sbarcata nel 2021 in Italia, del resto, Bbva sta cercando di farsi largo nel Paese con un’offerta interamente digitale. Oggi conta più di 240 mila clienti ma ha l’obiettivo di raggiungere quota 320 mila entro la fine del 2024.

    Un eventuale successo dell’iniziativa di Bbva potrebbe spingere altre banche ad aumentare gli interessi sui conto correnti. Sinora, a dispetto dell’elevata inflazione, gli istituti italiani hanno subito modesti riscatti dai depositi, specie per quanto riguarda la clientela retail.

    Le ragioni di tale ritardo non sono chiare: qualcuno ritiene dipenda dalla scarsa educazione finanziaria dei risparmiatori italiani, altri alla loro tradizionale prudenza, altri ancora alla scarsa concorrenza presente sul mercato bancario italiano.

    In ogni caso, la circostanza ha consentito agli istituti nazionali di incrementare il margine d’interesse, ossia la differenza fra il costo della raccolta di denaro e gli interessi applicati sugli impieghi di questo denaro in prestiti e altre forme di credito. Qualora i deflussi dovessero accelerare, allora gli istituti potrebbero vedersi infine costretti ad alzare la remunerazione dei conti correnti.
    Verrebbe così meno una delle giustificazioni addotte dal governo per la tanto criticata tassa sugli extra-profitti bancari. L’aumento delle remunerazioni dei conti correnti, peraltro, non sarebbe utile soltanto ai clienti ma anche benefica per le casse pubbliche. Bisogna infatti considerare che sui rendimenti dei depositi è prevista una ritenuta fiscale del 25%: il rendimento lordo del 4% offerto da Bbva, per esempio, corrisponde a un tasso netto del 3%. Su 1000 euro depositati, così, la remunerazione effettiva per il cliente sarebbe di 30 euro all’anno, mentre 10 euro andrebbero alle casse dello Stato.
  2. ERA GIA' TUTTO PREVISTO DAL COMPORTAMENTO ITALIOTA FAVORITO DALL'ARRIVISMO INCONSAPEVOLE DI CONTE :   Effetti distorsivi del superbonus sulla legge di domanda e offerta, guerra in Ucraina, pandemia. Per capire di cosa parliamo quando parliamo del caro-cantieri che ha investito l'Italia negli ultimi tre anni, e anche dei costi che tutto ciò ha avuto e avrà sulle casse dello Stato e del conseguente «mal di pancia» lamentato domenica a Cernobbio dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, basta confrontare i preventivi recapitati a un palazzo di Milano nel 2017 e quelli per grossomodo gli stessi lavori di efficientamento energetico ricevuti nel 2022. Si passa da 508.077 per il preventivo più caro (gli altri due sono da 415 e 349 mila euro) a 1.147.830 euro, a cui vanno sottratti circa 150 mila euro di caldaia, intervento inizialmente non previsto. Il doppio, o quasi. Un caso limite? Fino a un certo punto.
    Spostandosi in provincia la situazione non è migliore. «L'aumento medio si attesta intorno al 30%, ma se guardiamo ai singoli materiali da costruzione alcuni aumenti sono molto più significativi» spiega Marco Bandini, membro del consiglio nazionale di Anaci e presidente della sede di Lecco dell'associazione degli amministratori di condominio. «Nel settore delle costruzioni gli aumenti più importanti si registrano a partire da settembre 2020 e vengono mantenuti tali fino alla primavera del 2023, ovvero quando lo sconto in fattura è stato eliminato dal superbonus». Chi ci ha guadagnato? «Bisogna specificare che non tutto è attribuibile alla speculazione dovuta al superbonus - prosegue Bandini -. Gli aumenti dei materiali registrati nel 2021 e nel 2022 dipendono dalla pandemia e dalla guerra tra Ucraina e Russia che ha alimentato la bolla speculativa del caro-energia».
    Qualche esempio? Sulla base dei dati del centro studi di Anaci-Lecco il costo di un cappotto termico è passato da 65 a 100 euro al metro quadro, i ponteggi dai 15 euro al metro quadrato del 2020 ai 25-30 di oggi mentre se ad aprile del 2020 sostituire i vecchi serramenti costava 10 mila euro, nel 2022 sono arrivati a costare oltre 15 mila euro. La curva tipica della bolla si vede benissimo, poi, parlando di pannelli fotovoltaici: un impianto medio da 6 kW prima dell'abolizione della cessione del credito ad aprile 2023 si aggirava attorno ai 17.400 euro, nel post-decreto, invece, è sceso a 12.600 euro, più o meno quanto sarebbe costato nel 2019. «Con la domanda in crescita e la disponibilità di impalcature ferma al periodo pre-superbonus non solo si sono dilazionati i tempi di realizzazione dei lavori (fino a 4 anni) ma anche i costi» spiega Riccardo Milani, amministratore di condominio della provincia di Milano. «Personalmente, ho spesso sconsigliato la formula del superbonus per palazzi successivi al 1990. Non solo non c'è beneficio economico ma soprattutto si riduce la possibilità per altri di usufruire dell'incentivo statale, per esempio quegli edifici degli anni ‘60 e ‘70 che necessitano di interventi».
    Secondo alcuni osservatori stranieri l'Italia dovrebbe aumentare il deficit/Pil del 2023 al di sopra dell'obiettivo del 4,5% fissato ad aprile per l'impatto del bonus 110%. Stando ai dati dell'Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) l'aumento degli investimenti per singoli interventi dal 2021 al 31 luglio di quest'anno è di circa il 15%. Se al 31 agosto 2021 la cifra media per un condominio era di 547.191,22 euro, a luglio di quest'anno si passa a 636.611,27 euro, quasi 90 mila in più. Per quanto riguarda gli edifici unifamiliari, nel 2021 la spesa media era di 98.264 euro a fronte di circa 117.403 del 2023. Sempre secondo Enea, nel mese di luglio si è registrato un utilizzo costante della detrazione con un incremento, da inizio anno, di 17,5 miliardi di euro. Più di 421.995 gli edifici interessati dai lavori di efficientamento energetico a fine giugno, con 84 miliardi circa il totale degli investimenti; completato l'81,8% degli interventi. La maxi detrazione, dunque, rimane ancora il traino principale del settore edile, nonostante le modifiche introdotte dal recente decreto Cessioni e la riduzione dell'incentivo dal 110 al 90%. «Il superbonus è stato studiato male, ha creato una congestione ed è poi stato cambiato più volte venendo meno al patto fra Stato, imprese e cittadini» analizza Regina De Albertis, presidente di Assimpredil Ance, l'associazione delle aziende edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza, la più grande d'Italia. «Il vero responsabile dell'aumento dei costi in cantiere, però, è la crisi energetica. Ora noi chiediamo al governo incentivi stabili, sostenibili e duraturi nel tempo. Siamo pronti a sederci al tavolo con le nostre proposte».
  3. SALVINI FRA VITA DA FILM ED IGNORANTE ARROGANZA CHE PIACE MOLTO A CHI LO VOTA SENZA CAPIRE : I messaggi stanno cominciando ad arrivare. Giancarlo Giorgetti ha promesso una «manovra prudente», ma la prudenza del ministro dell'Economia comporta che i colleghi debbano stringere la cinghia e tagliare le spese dei propri dicasteri. Uno dei meno disposti a farlo è Matteo Piantedosi, secondo il quale non investire sulla sicurezza vuol dire mettere a repentaglio non solo la lotta alla criminalità, ma anche la competitività del Paese. L'ex prefetto di Roma ha scelto, infatti, la platea del Forum Ambrosetti di Cernobbio per mandare i suoi messaggi al collega. Malumori si segnalano anche da altri ministri leghisti, mentre il Guardasigilli Carlo Nordio teme che la spending review possa mettere in discussione alcuni interventi strategici, come quello sulla giustizia civile. Sarà difficile, insomma, per Giorgia Meloni anche avvicinarsi all'obiettivo di recuperare dai ministeri un miliardo di euro per la manovra.
    Nel suo intervento di domenica scorsa nella villa affacciata sul lago di Como, Piantedosi ha sottolineato spesso concetti come questo: «I fattori di legalità non devono far parte della contrazione della spesa». Il Viminale l'anno scorso ha messo spesso in rilievo il fatto che, per la prima volta dopo molti anni, ci siano stati più agenti assunti che in uscita, una deroga alle norme sul turnover della pubblica amministrazione, reso possibile dalla dotazione di un fondo da 90 milioni previsto dalla scorsa manovra: «Abbiamo invertito un trend, peraltro con tanti nuovi giovani in organico», ha detto Piantedosi a Cernobbio, preoccupato dal fatto che, con i tagli previsti, il 2023 sia stata solo un'eccezione. Insomma, dopo aver sbandierato il nuovo corso all'insegna della sicurezza e aver criticato gli esecutivi del passato, il governo sarebbe costretto a tornare indietro. Poi c'è la questione territoriale: «Su un totale di 37.614 posti di lavoro derivanti da investimenti esteri nel nostro Paese, solo lo 0,3% e il 2,5% si concentrano, rispettivamente, in Calabria e in Sicilia», ovvero le Regioni, secondo il ragionamento che fa il ministro, dove occorre un impegno economico maggiore sulla legalità. La platea di Cernobbio, sempre domenica scorsa, aveva potuto ascoltare un altro allarme, quello del ministro della Giustizia, Carlo Nordio: «La lentezza della giustizia civile costa all'Italia più di due punti di Pil. Quando parlo con i miei omologhi degli altri Stati, soprattutto europei, e con gli ambasciatori, tutti mi dicono "non investiamo in Italia perché non c'è certezza del diritto"». Il Guardasigilli ha ricevuto dalla platea del Forum Ambrosetti applausi a scena aperta, anche per le anticipazioni sul prossimo pacchetto della sua riforma sul tema delle misure cautelari. Ma, come nel caso di Piantedosi, Nordio sa che un intervento importante sulla giustizia civile richiede dei fondi ulteriori e non certo i tagli ai ministeri. Da via Arenula non arrivano polemiche dirette, ma la preoccupazione esiste e Giorgetti ne dovrà tenere conto.
    Il dibattito è solo all'inizio, Meloni intanto pensa al metodo con il quale verrà affrontata la manovra. Una delle prime preoccupazioni è serrare i ranghi della coalizione. I capigruppo del centrodestra saranno ricevuti domani sera a Palazzo Chigi in un vertice nel quale la premier vuole far passare alcuni messaggi: le risorse sono scarse e vanno concentrate sulle priorità, in particolare la conferma del taglio del cuneo fiscale e le misure a favore delle famiglie con basso reddito. Meloni, come già nelle scorse settimane, dirà ai partiti di evitare di impuntarsi su provvedimenti irrealizzabili in queste condizioni. Oltre alle "bandierine" e gli assalti alla diligenza, si dovranno evitare incidenti parlamentari, sempre in agguato.
    Altro appuntamento della settimana è il Consiglio dei ministri fissato per giovedì. Meloni ha chiesto ai ministri di portare i provvedimenti sulla sicurezza, in parte anticipati nel corso della visita a Parco Verde a Caivano, nel luogo delle violenze su due bambine. Ci saranno con tutta probabilità delle norme per indurire le sanzioni contro i genitori che non mandano i figli a scuola, un giro di vite sui reati che vedono coinvolti minorenni e delle misure che proveranno a impedire ai minori l'accesso ai siti porno, come richiesto dal sacerdote di Caivano don Patriciello. Potrebbe essere rinviato invece il ddl sulla riforma della Costituzione che è ancora oggetto di delicatissime limature a Palazzo Chigi.
  4. IL SALVINIANO DOC IN FI CHE PIACE AL SUD E LO VOTANO :Ancora tre-quattro settimane di tempo per incassare materialmente i 18,5 miliardi di euro della terza rata del Pnrr. Altrettante per ottenere il via libera definitivo alle modifiche mirate della quarta rata, con l'obiettivo di ricevere i 16,5 miliardi entro la fine dell'anno. Ma per arrivare a un accordo con la Commissione sulla revisione globale del Piano serviranno almeno altri due mesi di negoziati. L'esecutivo europeo ha infatti parecchi dubbi sui passi indietro proposti dal governo su alcune riforme: sotto la lente ci sono, in particolare, la giustizia civile, la riduzione dei tempi dei pagamenti della pubblica amministrazione e il nuovo codice per gli appalti. «Troveremo un punto di equilibrio», fanno sapere da Roma fonti di governo. Ma la partita rischia di incrociarsi con gli altri dossier caldi che terranno banco a Bruxelles nel prossimo autunno: dalla trattativa sulla manovra a quella per la riforma del Patto di Stabilità.
    Il ministro Raffaele Fitto è volato ieri a Bruxelles per incontrare Céline Gauer, responsabile della task force Recovery. Il responsabile degli Affari Europei è tornato in Italia in serata decisamente soddisfatto per il confronto, il primo dopo la pausa estiva. I due hanno fatto il punto sulle tempistiche per la terza e la quarta rata dopo le «discussioni positive intercorse alla riunione del Comitato di politica economica alla riunione del Comitato economico e finanziario», ha fatto sapere il ministro in una nota. Dopo il via libera della Commissione a fine luglio, la palla è ancora nelle mani del Consiglio, ma al momento non sembrano essere sorti particolari ostacoli. La revisione della quarta rata dovrebbe essere approvata oggi dal gruppo di lavoro degli esperti di finanza pubblica dei 27, poi finirà sul tavolo degli ambasciatori, probabilmente già la prossima settimana. Una volta adottata dal Consiglio, il governo potrà presentare la richiesta di pagamento dei 16,5 miliardi, dopodiché serviranno almeno due-tre mesi per l'esame. Il governo è convinto di poter incassare i soldi entro la fine dell'anno.
    «Nell'incontro – ha aggiunto Fitto – si è anche discusso in modo costruttivo della revisione globale del Pnrr, incluso il nuovo capitolo RePowerEU». Anche un portavoce della Commissione ha parlato di «un clima positivo e costruttivo». Ma su molti punti restano le distanze perché Bruxelles non intende accettare «a scatola chiusa» le modifiche proposte dal governo. Sulla riduzione dell'arretrato civile nei tribunali, per esempio, l'Italia vuole abbassare significativamente i target concordati, mentre sul taglio dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, Roma punta a un rinvio degli obiettivi.
    Fitto ha difeso la linea del governo: le modifiche proposte – questa la posizione di Roma – sono del tutto legittime perché, al momento della stesura del piano, erano stati definiti obiettivi troppo ambiziosi, impossibili da raggiungere. «Io sto facendo un'opera di realismo», ha confidato ai suoi interlocutori. Dal canto suo la Commissione non può accettare un significativo arretramento sulle riforme, per questo nelle prossime settimane i tecnici cercheranno di lavorare a un compromesso. L'esame riguarda anche le modifiche relative alla lotta all'evasione fiscale, oltre che le novità e i tempi del codice per gli appalti e le concessioni autostradali.
    Un altro capitolo sul quale si sta negoziando è quello del RePowerEu. In questo caso il confronto è in fase avanzata perché Bruxelles aveva ricevuto una prima bozza già durante la scorsa primavera. Ma il piano vero e proprio è stato trasmesso soltanto all'inizio di agosto e in ballo ci sono opere nel campo della transizione energetica per quasi venti miliardi di euro. Il governo spera di poter ottenere l'approvazione della Commissione «tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre» in modo da poter già predisporre le assegnazioni dei lavori, anche se per il via libera ufficiale bisognerà poi attendere un altro mese perché ogni modifica dovrà essere vagliata dal Consiglio. L'obiettivo, comunque, è di poter «mettere a terra» tutte le opere del RePowerEu entro la fine dell'anno.
    Al di là degli interventi sulle singole misure, però, fonti Ue fanno notare che sarà molto importante preservare «lo spirito e le ambizioni del Piano». Un'osservazione che giustifica lo scetticismo con il quale era stata accolta la decisione di stralciare dal Pnrr alcuni interventi del capitolo "green", in particolare quelli per prevenire il dissesto idrogeologico.
  5. MODELLO GRECO IN GERMANIA CHI INTERVERRA' A PORRE CONDIZIONI ? È pesante la critica che arriva dalla Corte dei Conti tedesca alla bozza della legge di bilancio 2024 del governo di Berlino e tra poco in discussione al Bundestag. L'accusa dei magistrati contabili è di aggirare deliberatamente la regola del "freno al debito" scritta in Costituzione e di nascondere il debito reale. Il disavanzo effettivo in effetti sarebbe 5 volte più alto di quello presentato ufficialmente. Non i 16,6 miliardi di euro dichiarati ma 85,7 miliardi, si scrive nella "Analisi dello stato delle finanze federali" della Corte, anticipata per primo dal quotidiano Handelsblatt. La spiegazione di questo tromp l'oeil contabile è che, dalla guerra in Ucraina passando per la crisi energetica, sono stati approvati una serie di "bilanci ombra", i cosiddetti "Sondervermoegen", che hanno in qualche modo nascosto sotto il tappeto l'indebitamento reale del Paese.
    Questi fondi extra-bilancio - per la verità cominciati nel 2020 con l'emergenza Covid - si sono susseguiti ad ogni crisi. Tra i più noti c'è il fondo speciale per la Difesa da cento miliardi, approvato nel marzo 2022 per adeguare le Forze armate alla nuova situazione geopolitica, e il fondo per la Transizione e il Clima da oltre 211 miliardi di euro approvato nell'estate del 2022 per affrontare la transizione energetica. Il bilancio della federazione negli ultimi anni – dicono i magistrati contabili «ha perso gran parte della sua importanza a causa del passaggio a bilanci sussidiari, e numerose spese federali si sono volatilizzate».
    Un'accusa non da poco. Il progetto di legge viene definito "unsolide" che vuol dire insoddisfacente ma anche inaffidabile. Un aggettivo – quest'ultimo - che non siamo soliti vedere associato alla Germania, e soprattutto ad un documento che esce dall'austero edificio della Wilhelmstrasse, la sede del ministero delle Finanze, fino a pochi anni fa tempio indiscusso del rigorismo e dello "Schwarze Null" (letteralmenre "zero nero" ma traducibile come "zero tondo" o "zero virgola zero") di Wolfgang Schaeuble.
    Ma a Berlino i sono una partita interna e una partita internazionale che si intrecciano. Il gioco che si svolge nel perimetro della coalizione "semaforo" (dai colori dei tre partiti di maggioranza) vede il ministro delle Finanze Christian Lindner dichiarare urbi et orbi che è ora di tornare al freno al debito previsto dalla Costituzione, in alternativa alla politica espansiva voluta dai suoi alleati di governo, socialdemocratici e verdi. Del resto questo è il mantra del partito liberale, il recinto da difendere.
    E questo spiega la ragione per cui i fondi speciali per la transizione energetica e per la difesa sono finiti in extra-budget. Per poter dire: rispettiamo la soglia consentita dalla norma costituzionale. A livello internazionale Lindner difende l'idea di una Germania paladina di finanze solide, e nella partita sulla riforma del Patto di stabilità si dice scettico sulla possibilità di introdurre eccezioni al calcolo del deficit per alcuni investimenti, come richiesto da alcuni Paesi (fra cui l'Italia).
    In questa partita doppia si inserisce la corte dei Conti tedesca che dice: il re è nudo. Esternalizzare in fondi speciali spese federali è un espediente ingannevole. «Pianificare spese crescenti senza chiarirne il finanziamento non è segno di solidità di bilancio», scrivono nero su bianco. In altre parole il ministro tedesco delle Finanze si fa promotore nell'agone europeo di una solidità delle finanze che in casa non rispetta. Ma bisogna fare attenzione: la Corte dei Conti tedesca non va in direzione di un allargamento delle maglie, ma in senso opposto. «In vista dei futuri obblighi di rimborso e dell'aumento dei tassi di interesse, il governo federale deve creare le basi per la sostenibilità dei bilanci futuri», è il suo richiamo. Il parere dei magistrati contabili però è obbligatorio prima della discussione parlamentare ma non vincolante. Il deficit tedesco nel prima metà anno viaggiava intorno al 2,1%, riferiscono i dati dell'Uficio federale di Statistica, ma secondo il report mensile della Bundesbank di agosto nella seconda metà dell'anno potrebbe salire molto di più.
  6. DOVE ERANO I VERTICI DI FS NOMINATI DA MELONI ? I precedenti raccontati d a manutentori di Rfi e addetti di scorta alle ditte al lavoro sui binari
    Protocolli ignorati, traffico riaperto troppo presto "Ho fatto segnalazioni e sono stato rimosso"UN SISTEMA MARCIO

    Quello che è successo la notte maledetta di fine agosto a Brandizzo, quando il treno ha travolto cinque operai, poteva accadere anche in altre occasioni? Ormai tutto un sistema di protocolli ignorati sta venendo a galla. E i sindacati dei trasporti stanno raccogliendo un elenco di episodi avvenuti negli ultimi tempi in Piemonte. Casi circostanziati che testimoniano rischi troppo spesso sottovalutati, raccontati dalla voce di manutentori che lavorano per Rfi.
    Aprile 2023. «Riporto due episodi, molto simili. Uno capitato a me, l'altro a un collega», rivela un addetto. «Stavamo operando nei pressi della stazione, quando ci siamo accorti che un treno stava arrivando sui binari che per noi risultavano interrotti. Ci siamo subito spostati. Abbiamo poi scoperto che, per un'incomprensione, il regolatore della circolazione aveva fatto riprendere la marcia dei treni sia sul tratto da noi interrotto che su un altro binario, dove invece i lavori erano già terminati». Il secondo episodio è simile, «ma la marcia è stata fatta riprendere all'orario previsto, dimenticando però che per il prolungarsi dei lavori la squadra del mio collega non aveva ancora comunicato alla stazione di aver terminato».
    Entrambi questi episodi sono stati segnalati a Rfi così come un altro, accaduto alla fine dello scorso anno. «Stavo scortando una ditta che si sarebbe occupata della sostituzione dei binari, delle traversine e del pietrisco», è il racconto di un capo-scorta. «Prima di effettuare questi lavori si trasportano le rotaie lungo la linea con un treno appositamente attrezzato e si adagiano a fianco dei binari esistenti. Vengono scaricate una ad una: un caricatore le afferra a una estremità, poi il treno avanza e le rotaie si sfilano dall'ultimo carro del convoglio. Questo è il metodo più veloce. Avevo fatto presente alla ditta e al mio superiore che gli operai intorno al convoglio correvano un pericolo, in quanto dovevano guidare le rotaie, ognuna lunga quasi 150 metri per 9 tonnellate, con delle aste metalliche. Dopo alcune segnalazioni sono stato sollevato dall'incarico».
    Altro caso, sempre 2022. Le gallerie di valico, nei tratti alpini, di vecchia costruzione sono state costruite tutte a schiena d'asino: nel percorrerle si avrà prima una salita e poi una discesa, in entrambe i sensi di marcia. Un sistema necessario per convogliare i fumi delle locomotive a vapore verso i camini che lo facevano defluire in superficie. «Ho scortato diverse volte una ditta. Per poter lavorare era necessario "spezzare" il treno cantiere: fermarlo, staccare alcuni carri e allontanare gli altri per lavorare. Una volta terminate le lavorazioni riagganciare e ricoverare il treno in una stazione. Questo è vietato dal regolamento, ma per alcune volte ho tollerato lo strappo alla regola. Visto il perdurare dei lavori ho valutato che questa pratica era troppo pericolosa, unita al fatto che i lavori producevano una quantità di polveri enorme che dopo pochi minuti riduceva la visibilità a zero. Ho più volte battibeccato con il capocantiere della ditta e ho informato i miei superiori. Dapprima, hanno insistito perché continuassi a scortare la ditta e a farla lavorare. Poi non sono stato più utilizzato per questa scorta».
    Infine, giugno 2023. A parlare è un altro addetto di Rfi. «Ho svolto per un po' di tempo il servizio di scorta ditta, per alcune lavorazioni che prevedevano un trasferimento di macchine operatrici e carrelli fra una stazione e un'altra. Una notte mi sono accorto che uno dei mezzi sembrava procedere a singhiozzo. La sera successiva sono andato in anticipo in stazione dove erano in sosta i mezzi e ho preteso dal capocantiere che mi facesse ispezionare il carrello che la sera prima non mi aveva convinto. Ho scoperto che aveva un problema al freno ed era stato sistemato con una riparazione di fortuna. Ovviamente non ho permesso alla ditta di uscire. Anche i miei superiori hanno preteso che la ditta sistemasse i mezzi, ma non sono più stato utilizzato per la scorta a quell'azienda. Ero diventato una persona indesiderata».
  7. VERTICI INCOMPETENTI E POLITICIZZATI: È mattina presto quando in procura a Ivrea i magistrati titolari dell'inchiesta sul disastro ferroviario di Brandizzo, costato la vita a cinque operai della Si.gi.fer (Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa), iniziano i primi interrogatori. I colleghi delle vittime vengono sentiti come «persone informate sui fatti»: non possono mentire (sarebbero indagati per falsa testimonianza), non possono avvalersi della facoltà di non rispondere.
    Le prime ammissioni vanno a irrobustire il filone dell'inchiesta anticipato da La Stampa che – al netto delle responsabilità sul fatto specifico – potrebbero a breve far allargare le contestazioni ad altre figure, magari legate a Rfi. Dicono, a mezza voce, che la prassi di iniziare a lavorare sui binari prima dell'autorizzazione, così da riuscire a concludere in tempo i lavori, non era rara. Non un fatto isolato, insomma. «Avevamo sempre poco tempo, abbiamo sempre dovuto correre. Ma il tempo non lo potevamo stabilire noi, dipende da Rfi e non possiamo fare altro che adeguarci alle finestre per le interruzioni dei treni», hanno raccontato alcuni della Si.gi.fer. E sui turni? «Tante notti, è il nostro lavoro, non si può fare altrimenti. Ma ci hanno sempre pagato regolarmente».
    E anche Antonio Veneziano, ex dipendente dell'azienda, già collega di lavoro del più giovane degli operai morti (Kevin Laganà) ha ribadito ai magistrati quanto raccontato ai media: «È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer, ndr), quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro».
    Qualche esempio: «C'era una regolazione, cioè il restringimento del binario, da fare con un convoglio atteso fuori dall'orario corretto di passaggio? Iniziavamo a lavorare, svitavamo i chiavardini (sistemi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno, ndr), dopodiché, prima del passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai binari. Eravamo in sei-sette per ogni gruppo ma in quei casi c'era chi ci guardava le spalle. L'altra notte non è andata così, erano tutti sulla massicciata».
    È esattamente ciò che è accaduto a Brandizzo nel caso dell'incidente dell'altra notte. Gli operai della ditta di Borgo Vercelli, scortati dal tecnico Rfi Antonio Massa, al momento principale indagato in questa bruttissima storia di morte ed errori, avrebbero dovuto iniziare a lavorare alla sostituzione di 7/8 metri di rotaie ferroviarie, a mezzanotte e fino all'1,20. Dopo sarebbe passato un treno. Prima ne sarebbero dovuti transitare altri due, di cui uno regionale e l'altro al traino di carrozze vuote. Alle 23,36 la telecamera della stazione di Brandizzo, i cui filmati sono stati acquisiti dalla Polfer, immortalano Massa al telefono che è ancora in attesa del via libera della centrale operativa: la linea non è ancora interrotta. Sui binari lavorano già i cinque operai. «Ce lo ha detto lui», ha spiegato ai magistrati Alessandro Gibin Girardin, capo cantiere della Si.gi.fer e – al momento - secondo indagato. «Ci ha dato lui l'autorizzazione».
    I rumori di sottofondo della chiamata, recuperata dagli investigatori dai server di Rfi, sono chiari: si sentono operazioni di sbullonamento. Poi il rumore del treno, lo schianto.
    Di questo ha parlato diffusamente la dirigente movimento di Chivasso che non ha mai concesso a Massa l'autorizzazione a iniziare il cantiere. «Per tre volte, in tre distinte telefonate gli ho detto di aspettare. Mi chiedeva quando poteva iniziare, ma non ho mai dato l'ok: dovevano passare due treni e uno in ritardo. L'ho fatto presente».
    La donna, 25 anni, originaria della Valsusa, è in servizio alla centrale operativa da circa due anni. Ha terminato un corso ad Alessandria ed è stata assegnata a Chivasso. Era al telefono quando il convoglio anomalo che trasportava carrozze vuote ha investito in pieno gli operai: «Ho sentito un botto, come una bomba o un petardo». La linea è caduta, lei ha richiamato subito. Dall'altra parte del telefono Massa «urlava che erano tutti morti». La giovane è arrivata in procura accompagnata dalla mamma e dal fidanzato. Era in vacanza in Calabria. Il giorno dopo la tragedia erano programmate le sue ferie. È dovuta rientrare per rispondere alle domande dei magistrati.
    Non è indagata, ma il tempo trascorso di fronte ai magistrati lascia presupporre che molte altre cose siano state dette. In fondo la versione, pur ribadita, di aver negato al tecnico Rfi l'autorizzazione a iniziare il cantiere, era già negli audio agli atti dell'inchiesta dei magistrati.
  8. COMPLICITA' BILATERALE: «Il sindacato? In Si.gi.fer non è mai entrato. Qualche dipendente è iscritto alla Cgil ma non siamo mai riusciti a costituire una rappresentanza sindacale né a fare assemblee con i dipendenti». Alessandro Triggianese è il segretario della Fiom Cgil Vercelli Valsesia: «Non è stato lesinato alcuno sforzo - assicura -: compreso cercare di parlare con i lavoratori di notte, a fine turno. Abbiamo seguito alcune vertenze da parte di lavoratori licenziati o che decidevano di dimettersi» aggiunge. Impossibile, invece, trattare sulle condizioni di lavoro degli operai in servizio. Oggi, intanto, il tema della sicurezza dei lavoratori del settore ferroviario arriva davanti alle commissioni riunite Trasporti e Lavoro della Camera: dalle 17 sarà ascoltato l'amministratore delegato di Rfi Gianpiero Strisciuglio, poi i rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Usb, Orsa Fast Confsal
  9. FIDUCIA E TRASPARENZA DOVE SONO ?«L'Arabia Saudita sarà la vostra seconda casa», promette Khalid Al-Falih, ministro degli investimenti di Riad, agli oltre 500 imprenditori che affollano l'Hotel Gallia di Milano e più di 700 collegati da remoto. Ma quale via della Seta, la nuova Cina sta nel Golfo Persico, indossa il ghutra e per i prossimi sette anni, come ricorda Al-Falih, ha un piano da 3 mila miliardi di euro di investimenti. Tanti petrodollari da fare girare la testa.
    Per questo a Milano gli imprenditori affollano le sale della prima edizione dell'Italian Saudi Investment Forum. Tutti a seguire le orme di Roberto Mancini: dal calcio al business. Non manca nemmeno il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso che sigla una lettera di intenti (memorandum of understanding, per chi mastica l'inglese) col collega saudita, un'intesa che riguarda la cooperazione e la promozione di investimenti.
    Il tono è da grandi occasioni: «È una svolta storica – proclama Urso –. L'Arabia Saudita è stata per lungo tempo un grande partner commerciale, un fornitore di energia per il nostro Paese, per l'Europa. Oggi con questo Forum che a breve realizzeremo anche in Arabia Saudita, si passa dalla partnership commerciale sull'energia, sul carbon fossile, alla partnership tecnologica e industriale tra le imprese italiane e quelle saudite, con ipotesi di significativi, importanti, accresciuti investimenti di imprese saudite nel nostro Paese, nel nostro sistema industriale. In questo modo faremmo un salto significativo». Riad appare interessata, assicura il ministro, a investire anche nel futuro fondo strategico per il made in Italy. Dall'Arabia c'è la «disponibilità ad un confronto» per parteciparvi attraverso fondo sovrano Pif. In tutto questo ci sarebbe un piccolo particolare, su cui comunicati e dichiarazioni sembrano glissare. E riguarda l'opportunità di stringere legami sempre più stretti con un Paese dove i diritti (delle donne, per esempio) sono quelli che sono e i giornalisti (ricordate la vicenda di Jamal Khashoggi?) entrano in un'ambasciata e scompaiono nel nulla. Non esiste un problema etico, dunque? Non c'era per Matteo Renzi, pioniere con le sue conferenze a Riad che oggi se la ride («Mi fa piacere leggere le parole del ministro Urso sulla partnership con l'Arabia Saudita e ricordarmi quelle che diceva tre anni fa», afferma). E non c'è oggi per il governo: «Io vi invito a guardare la realtà – argomenta Urso –. Se per esempio oggi in Africa, non solo noi, ma anche l'Europa ha tanti problemi, è perché abbiamo sempre guardato con occhio europeo i problemi a fronte di altri paesi che, invece, non si fanno tanti scrupoli nell'intervenire in quel campo». Quindi «dobbiamo partire dal sistema di valori europei a cui siamo assolutamente fermi e difendiamo in ogni contesto» ma «il mondo è, comunque, molto diverso da quello che noi pensavamo e da quello che abbiamo realizzato».
    Avanti senza remore dunque. Tra i promotori dell'evento, oltre a Ambrosetti, The Italian Trade Agency, Invest Saudi ci sono anche Confindustria e la sua "costola" milanese, Assolombarda. «È un'opportunità nuova – commenta il presidente Alessandro Spada –, è un paese che si apre e sta investendo molto, è giusto valutarlo e provare a lavorarci assieme. L'interesse è altissimo». Al Forum arrivano 150 imprese da Riad e accorrono i nomi importanti dell'Italia che produce: da Eni a Snam, a Cdp, Enel, Leonardo, WeBuild, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ita, Ansaldo Energia, Saipem, Invimit, Barilla, per citarne alcuni. «Riad sta investendo moltissimo nelle infrastrutture, per il nostro gruppo ci saranno opportunità. Lavoriamo in Arabia Saudita da tanto tempo e ci stiamo organizzando per essere presenti in maniera più strutturata», dice ad esempio Veronica Squinzi, ad del gruppo Mapei, presente per l'occasione. Venti le lettere di intenti firmate. Una riguarda, per esempio, la Technogym di Nerio Alessandri. E ben sei (tra gli altri con Eni, A2A, De Nora) coinvolgono il gruppo saudita Acwa Power, guidato da un italiano, Marco Arcelli. «Questo è un paese che dialoga con tutti, cresce, sta decarbonizzando – assicura il manager –. Le aziende italiane non percepiscono ancora tutte le opportunità che ci sono. Sì, oltre la via della Seta, c'è la via dell'Arabia».
  10. RIXI E SALVINI DOVE SONO IN UNO STATO LATINTANTE CON CONTE, DRAGHI E MELONI ?  La testimonianza più cruda dal quartiere genovese del Cep è arrivata a febbraio. Con il soccorso a una persona che non riesce a muoversi autonomamente e i volontari della pubblica assistenza costretti a percorrere 400 scalini per portarlo all'ambulanza con speciale barella in grado di arrampicarsi sui gradini, lo "scoiattolo".
    L'ascensore che porta alle strade più in alto era guasto. E' quasi sempre guasto. Per la vetustà, il super utilizzo, gli atti vandalici. Il Comune si è impegnato a ripristinarlo ma si va avanti a rattoppi, perché non si può fare molto di più. Dario De Giorgi ha documentato tutto. Spiega: «Da quando sono venuto ad abitare qui ho deciso che non avrei lasciato sole queste persone».
    Così quest'ascensore di via Novella diventa il simbolo di un quartiere irrisolto, contraddittorio, difficile. Il Cep, acronimo di Centro edilizia popolare. Chi abita qui non lo ama. Il nome preferito è Ca' Nuova. Quartiere nato alle spalle del ponente di Genova alla fine degli anni Sessanta, gli ultimi del boom economico. Nato per rispondere alla massiccia immigrazione del Sud. Palazzoni sgraziati, anche se con vista sul mare dalla collina, strade che si avviluppano senza apparente senso e finiscono nel nulla o tornano al punto di partenza.
    Non c'è una piazza. C'è una sorta di slargo, lo chiamano piazza ma non lo è. Uno di quei quartieri, commenta il responsabile della Comunità di Sant'Egidio Andrea Chiappori, «di cui si parla per una ventina di giorni quando in Italia succede qualche episodio in queste realtà disagiate e poi cala di nuovo il silenzio».
    Tra gli anni Settanta e Novanta il tessuto sociale era composto dagli operai e dalle loro famiglie. C'erano associazioni, comitati, tanta partecipazione. Poi man mano chi ha potuto è andato via. E il Cep è diventato, come accade in molte realtà del Paese, una concentrazione di disagi. Il terminale di assegnazione di case popolari. Dove converge chi ha evidentemente dei problemi.
    Racconta Sergio Casali: «Uno studente di Voltri, sul mare, mi ha detto: prof, io abito a un chilometro di distanza in linea d'aria ma sembra che in mezzo ci sia un muro». Casali è docente di religione al liceo scientifico Cassini ed è un volontario di Sant'Egidio. Conosce la realtà del territorio.
    Il Cep, dove i residenti sono circa 6.300, gli immigrati l'8 per cento, è il quartiere genovese dove c'è la maggior percentuale di giovani e giovanissimi. La ragione è intuitiva. Avere figli è uno dei requisiti per ottenere una casa popolare: «Ci sono tante donne sole con tanti figli». Ma qual è la loro esistenza quotidiana? «Il fenomeno di logoramento del tessuto sociale – insiste Casali – affiora per assurdo anche al livello di piccola criminalità. Tra i giovani emerge solo un malessere disgregato e sostanzialmente autolesionista. C'è qualche episodio violento, piccole rapine per procurarsi gli stupefacenti, ma nessuna capacità organizzativa».
    In un contesto di questo tipo, potrebbero accadere anche episodi gravi come quelli di Caivano? «Io – conclude Casali – non lo so dire, non ho una risposta. So che questi ragazzi possono essere una risorsa o un problema, tutto è nelle nostre mani».
    Punta l'obiettivo su queste generazioni Carlo Besana: «I primi a non partecipare più alle nostre iniziative sono stati i ragazzi di 18 e 19 anni. Oggi anche quelli di 13 o di 14 preferiscono trascorrere le loro giornate in altri quartieri. A Voltri, a Pra', a Pegli. Tante famiglie li lasciano liberi già a quell'età di far quello che vogliono. Così diventa difficile fare un'opera di aggregazione e di educazione». E poi c'è l'effetto social: «Hanno modificato il concetto di amicizia e di comunità trasformando tutto in virtuale».
    Besana è un nome storico per il Cep. Nel 1995 ha aperto una farmacia nel quartiere. Due anni dopo è diventato il presidente del Consorzio Pianacci. Quasi un miracolo: il bar, poi la biblioteca, la scuola per stranieri, la festa che univa pesto e il cous cous, il doposcuola, i corsi professionali. Il Palacep, una tensostruttura che non se ne vedono tante.
    L'impegno, anche oggi che è presidente onorario, non è mai venuto meno. Ma intanto il Cep, che tanto difettava di servizi, si è ancor più immiserito. La farmacia esiste sempre, anche se ha cambiato mano. Ma è difficile lavorare se non c'è nemmeno uno studio medico vicino. Non c'è più un supermercato, non c'è più un tabaccaio. Per fare un po' di spesa bisogna prendere lo scooter, l'auto, più spesso l'autobus.
    Ci fermiamo a parlare con un altro residente. Alfonso Leandri abita qui dal 1984, quando è arrivato con la famiglia. «C'erano i lavoratori, i poliziotti, tanta voglia di fare e organizzare per il quartiere. Tutto è cambiato e l'impressione è sempre che le istituzioni siano troppo lontane, che non ascoltino le nostre problematiche».
    Resta l'impegno di Sant'Egidio, che è qui dal 2008. Iniziative per i bambini poi per gli adolescenti e gli anziani. Il supporto scolastico con 150 volontari, soprattutto studenti dell'Ateneo, per le situazioni educative. Le visite dei docenti dell'Istituto di Tecnologia e del conservatorio. Prossimo progetto con la scuola? Un tempo super prolungato dove il 50 per cento degli studenti provenga da altri quartieri meno problematici, con il taxi gratuito. Il tentativo generoso di evitare l'effetto ghetto.
  11. PERCHE' NASCONDERSI SOTTO IL BRACCIO DEL GORILLA CHE SGOMMA VIA ALZANDO L'INDICE ? E' QUESTO IL FUTURO DI FS ? La dirigente delle Ferrovie dai pm per sei ore "Lo schianto in diretta, sembrava una bomba"
    Sei ore. È il tempo trascorso negli uffici della procura di Ivrea dalla dirigente di movimento della stazione di Chivasso, sentita come persona informata sui fatti dalla polizia giudiziaria della Guardia di finanza. Vincenza, 25 anni, originaria della Val di Susa, dopo il corso tenuto ad Alessandria, da due anni è in servizio come dirigente di movimento a Chivasso. È lei la testimone chiave della maxi-inchiesta sul disastro ferroviario di Brandizzo in cui hanno perso la vita cinque operai, travolti dal treno la notte tra mercoledì e giovedì mentre lavoravano lungo i binari.
    «Per ben tre volte, quella notte, non ho autorizzato Antonio Massa a dare inizio ai lavori». Vincenza, rientrata anticipatamente dalle vacanze, lo ha ribadito davanti ai magistrati e ai finanzieri. Sei ore in cui ha ripercorso quella tragica notte. All'uscita dagli uffici della procura, alle 19,40, ad attenderla c'erano il compagno e la mamma. «Sono stupita positivamente di come mia figlia abbia gestito la situazione quella notte», commenta, orgogliosa, la mamma mentre da ore l'attende fuori dagli uffici giudiziari.
    Quella sera la dirigente di movimento non autorizzò l'avvio dei lavori e in una telefonata, la terza avuta con Massa, il preposto di Rfi alla sicurezza del cantiere (indagato insieme ad Andrea Gibin Girardin, capo squadra degli operai morti), udì dall'altra parte del cavo un rumore fortissimo, «come se fosse esploso un grosso petardo, una bomba».
    Una testimonianza fiume, ma fondamentale per le indagini. Perché da ora le attenzioni dei magistrati eporediesi Valentina Bossi e Giulia Nicodemi e della procuratrice capo Gabriella Viglione, si starebbero concentrando sulle condotte adottate durante i lavori lungo i binari. Sembra proprio che l'imprudenza di attaccare a lavorare prima di aver ottenuto l'interruzione della linea fosse una prassi consolidata. E ieri proprio su questo fronte sono arrivate in procura le prime ammissioni.
    Non è un caso, infatti, che le pm Bossi e Nicodemi abbiano ascoltato tre operai di Si.gi.fer, l'azienda di Borgo Vercelli per la quale lavoravano i cinque operai morti. Tra loro anche Antonio Veneziano, ex dipendente dell'azienda, già collega di lavoro del più giovane degli operai deceduti (Kevin Laganà). «È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo: in molte occasioni in cui ho lavorato (alla Si.gi.fer, ndr), quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro». Qualche esempio: «C'era una regolazione cioè il restringimento del binario, da fare con un convoglio atteso fuori dall'orario corretto di transito? Iniziavamo a lavorare, svitando i chiavardini (sistema di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno, ndr), dopodiché, prima del transito dei convogli ci buttavamo fuori dai binari. Eravamo in sei-sette e in quei casi c'era chi guardava le spalle: l'altra notte non è andata così, erano tutti sulla massicciata».
    Sono stati rimandati a casa e convocati nei prossimi giorni Massimo e Tonino Laganà, padre e fratello di Kevin, il più giovane delle vittime. Ieri si sono presentati in procura con la foto di Kevin stampata sulla t-shirt bianca indossata.
    In mattinata si sono presentati a palazzo di giustizia anche l'avvocato Alessandro Raucci (legale nominato d'ufficio per tutelare Antonio Massa) e l'avvocato Enrico Calabrese che tutela la famiglia Laganà: «Sono venuto qui per aver qualche informazione sulle tempistiche e sulla data dei funerali. È abbastanza inutile l'autopsia. Si dovrà ricorrere al Dna o a qualche segno di riconoscimento particolare per identificare le vittime».
  12. VERTICI RFI RESPONSABILI MA ANCORA NON INDAGATI, PERCHE' ? "Spesso al lavoro sui binari senza autorizzazioni scritte"
    Camminano in disparte, lontano dalle bandiere dei sindacati. Al fondo del corteo, senza un simbolo, senza uno striscione. Sono una ventina gli operai della Si.gi.fer. che hanno deciso partecipare al corteo, ieri a Vercelli. Ma non vogliono essere identificati. Non hanno alcuna intenzione di parlare e stringere mani, il dolore è ancora troppo forte e lo si legge sul volto di questi uomini che hanno tra i 30 e i 55 anni. Procedono in silenzio. Non hanno nemmeno il segno del lutto al braccio, come invece mostrano gli altri lavoratori che sfilano con la Cgil, la Cisl e la Uil. A metà manifestazione, prima che il corteo arrivi in prefettura, vanno via. Eppure, a denti stretti, raccontano quella che è la loro esperienza nell'azienda di Borgo Vercelli. «Lavoro lì da otto anni - dice Marco, il più anziano - prima facevo il muratore. Sono lo "zione", ho lavorato con tutti e ho insegnato il mestiere ai più giovani. Ancora non ci credo che sono morti. Oggi pomeriggio (ieri per chi legge, ndr) andremo al magazzino della ditta tutti insieme per farci forza». Per provare a elaborare il lutto, perché prima o poi si dovrà riprendere ad andare sui binari per le manutenzioni. «Ritornerò a lavorare perché si deve fare, ma con la tristezza nel cuore. Dobbiamo trovare la forza».
    Per ora i cantieri che avevano da fare sono sospesi. La Si.gi.fer. è ferma «non sappiamo quando riprenderemo, anche se non possiamo stare così a lungo senza stipendio. E pure l'azienda non può stare ferma altrimenti i soldi finiscono». Ma ora non avete paura? «Certo. Io non entrerò mai più su un binario se non c'è un'autorizzazione scritta e se tutte le pratiche non sono a posto. Tutti i passaggi formali devono essere fatti», dice lo "zione". Ma lo confermano anche gli altri.
    Ed è lui, quello che lavora da più tempo tra i presenti, a raccontare come vanno le cose in azienda: «È da anni che è in piedi quest'azienda, abbiamo sempre lavorato in accordo. Onesti e regolari nei pagamenti. Abbiamo fatto i corsi di formazione indispensabili da contratto». Ma poi, continuando la chiacchierata con altri colleghi, emerge l'altra faccia della luna che conferma la versione emersa finora, confermata dagli addetti sentiti ieri in procura a Ivrea: «Abbiamo sempre poco tempo per i fare i lavori, dobbiamo sempre correre. Ma il tempo non lo possiamo stabilire noi, dipende da Rfi e non possiamo fare altro che adeguarci alle finestre per le interruzioni dei treni». Aggiunge un altro ragazzo sulla trentina: «Il rischio di non finire in tempo è sempre altissimo; per questo anche pochi minuti per noi sono preziosi. Loro pensano - dice riferendosi a Rfi - che sia possibile farcela ma poi siamo noi a dover lavorare». E se c'è un intoppo, magari un macchinario che si rompe? L'operaio alza le braccia. La risposta è da intuire nel suo gesto.
    E i turni? «Tante notti, è il nostro lavoro, non si può fare altrimenti. Ma ci hanno sempre pagato regolarmente», ribadisce. Quanti giorni di fila? «Dipende. Avevamo un giorno di riposo, poi ci regolavamo in base ai turni. Nessuno era obbligato. Dovevamo lavorare quaranta ore a settimana ma se lavori solo di notte non le raggiungi perché le interruzioni sono sempre fino alle 4. Puoi attaccare alle 22 per iniziare a caricare i materiali o continuare dopo le 4 per finire dei lavori sul piazzale. Ma il tempo sui binari non è così lungo».
    Le commesse per l'azienda in questo periodo erano aumentate, anche per i cantieri del Pnrr. «Ci capitava di avere lavori più lunghi, che non si concludevano in un giorno ma che andavano avanti per più tempo». Alla Si.gi.fer. i lavoratori hanno tutti il contratto dell'edilizia e sono proprio i sindacati degli edili a raccontare che qualche iscritto c'è. Però, nonostante la ditta nata nel 1993 abbia una novantina di dipendenti, non c'è mai stata una rappresentanza sindacale interna che facesse da collegamento tra azienda e sindacato. «È una ditta che conosciamo - conferma Ivan Terranova della Fillea Cgil - abbiamo qualche iscritto che ci ha segnalato cose che capitano spesso in quasi tutte le imprese come le differenze retributive. E poi ci sono ex lavoratori che sono passati da noi per delle vertenze e qualche cosa che non andava lo hanno raccontato. Quando lavori di notte l'attenzione deve essere diversa».
    La prima anomalia, evidenzia Terranova, «è proprio che non ci sono delegati interni nonostante le dimensioni. Se ci fossero state delle rsu sarebbe stato diverso. Invece si lavora a mini squadre e i comportamenti possono essere diversi a seconda di chi ne fa parte. E poi ci sono passaggi che si dovrebbero fare, come i briefing per i cantieri con la ditta appaltante: se non c'è il sindacato è più facile vengano saltati».
    «Li vedi i miei colleghi, sono tutti distrutti - conclude lo "zione" -. Eravamo tutti uniti, mangiavamo tutti i giorni insieme. Non sappiamo quando riprenderemo ma come facciamo a stare dieci giorni senza stipendio? Per il dolore che provo domani non mi andrebbe di andare, ma abbiamo dei cantieri aperti che devono pur essere finiti».
  13. INSENSIBILITA' IRRAGIONEVOLEZZA : SINDACO LO RUSSO : Metropolitana, male la prima scale mobili e ascensori fuori uso
    Diciotto scale mobili fuori uso. Undici ascensori fermi. Soprattutto, due interruzioni del servizio, avvenute poco dopo le 8, orario cruciale per chi era diretto sul posto di lavoro. È ripartita da questi numeri, ieri mattina, la metropolitana di Torino. Lo ha fatto dopo quattro settimane di stop, dovute a un intervento di aggiornamento dei sistemi sotterranei. Piccoli e grandi disservizi che, nella giornata di ieri, hanno fatto alzare la voce a numerosi passeggeri. Tanti, sui social, i post di protesta di utenti che si chiedevano perché, in questo mese scarso, Gtt non avesse provveduto a effettuare le manutenzioni del caso. Lamentele cui dall'azienda ribattono ricordando che le manutenzioni, dal 7 agosto al 3 settembre, ci sono state eccome: sono state 13, in questo lasso di tempo, le scale mobili ripristinate. Il tutto, ricordano da Gtt, nell'ambito di un blocco del servizio legato a ben altri lavori: il passaggio dal sistema analogico a quello digitale nella comunicazione tra i treni e la realizzazione di nuovi scambi all'altezza dei binari della zona Ovest, verso Cascine Vica.
    Sono stati due, come detto, gli stop ai convogli segnalati ieri dai passeggeri del metrò. Sono avvenuti in rapida successione. Entrambi sarebbero durati pochi minuti, sufficienti però a costringere molti torinesi in attesa alle stazioni ad abbandonare l'opzione-metro per dirigersi verso un taxi e, con esso, raggiungere il posto di lavoro. Dei due blocchi, a Gtt ne risulta uno solo: dalle 8,10 alle 8,20, per un malore di un passeggero, che aveva bisogno di cure immediate. Nessun dubbio invece sul numero di ascensori fermi: 11, come detto, il cui elenco ieri mattina è stato comunicato agli abbonati. Certo anche il dato sulle scale mobili guaste, 18, su cui aveva fatto il punto l'altro ieri l'assessora ai Trasporti, Chiara Foglietta (di queste, 11 saranno rimesse in funzione entro dieci giorni, mentre per le altre 7 Gtt è in attesa dei ricambi, ad oggi mancanti).
    C'è poi un ulteriore problema con cui i passeggeri del metrò fanno i conti da ieri: la chiusura serale anticipata (alle ore 22) del servizio per cinque giorni su sette, dalla domenica al giovedì (chiusura regolare, all'1,30, venerdì e sabato). Si tratta, in questo caso, di un disservizio che si trascinerà fino al 2025, dettato dalla necessità di proseguire i lavori sotterranei per il passaggio dall'analogico al digitale.
  14. LA REALTA DI SCELTE SBAGLIATE DI RFI : La ferrovia passerebbe in classe C3 ma solo fino a Ciriè, poi si viaggerebbe a 25 chilometri l'ora L'osservatorio: "Indispensabile trattare con Rfi deroghe a queste limitazioni per l'ultima tratta"
    Torino-Ceres, nuove incognite polemiche per i treni lumaca
    nadia bergamini
    Dopo lo slittamento della data di riapertura a gennaio – anziché il 9 dicembre come era stato annunciato con squilli di tromba, nei mesi precedenti - della ferrovia Torino-Ceres, ormai chiusa da tre anni con tutti i disagi che ne sono derivati per pendolari e studenti e che ancora ne deriveranno, ora arrivano nuove preoccupazioni. Preoccupazioni, o meglio criticità emerse dalla lettura del PIR - il prospetto informativo della rete – richiesto nei mesi scorsi dall'Osservatorio per la ferrovia Torino-Ceres che invece di fornire risposte e rassicurazioni ha aggiunto quesiti ai quesiti.
    La prima criticità riguarda la categorizzazione della ferrovia. Gtt ha chiesto, infatti, di elevare la categoria a C3 ma solo per il tratto Torino-Ciriè e poi? «La classificazione B2L – spiegano dall'Osservatorio – da Ciriè a Germagnano significa che il treno, a causa delle limitazioni e le restrizioni di esercizio per alcuni treni procederà a 25 chilometri l'ora, la velocità di una bicicletta insomma, e con un impatto inevitabile su molti dei convogli di Trenitalia sul Passante».
    Un problema non da poco per cui secondo l'Osservatorio «non solo è urgente ma indispensabile trattare con RFI deroghe a queste limitazioni per la tratta Cirié-Germagnano per la quale diversamente risulterebbe gravemente compromessa l'appetibilità e il servizio per i cittadini». Ovviamente lo slittamento della riapertura e quindi della ripresa del servizio da inizio dicembre a data ancora da destinarsi a gennaio, provoca anche il rinvio della data di subentro di Rfi a Gtt come previsto (che avrebbe dovuto avvenire il 16 dicembre). Quando tutto ciò avverrà ancora non è noto e dopo tre anni di inenarrabili disagi e di passione i pendolari dell'intera area da Borgaro a Germagnano non possono che augurarsi che non si arrivi ad una data successiva almeno alla fine di gennaio 2024.
    Sulla richiesta di cambio di classificazione richiesto da Gtt intervengono anche il consigliere regionale dem, Alberto Avetta che ha già presentato un'interrogazione in Consiglio regionale e il responsabile dei Trasporti della Segreteria del Partito Democratico, Federico Ferrara: «la vicenda della riapertura della Torino-Caselle-Ceres continua a riservare sorprese, oltre al rinvio a gennaio 2024, i pendolari dell'Osservatorio ora stanno evidenziando un cambiamento di classificazione operato da Gtt nel Prospetto informativo della rete (PIR) con la richiesta di elevare la tratta Torino-Ciriè da B2L a C3. Richiesta che se accolta porterebbe conseguenti limitazioni sulla parte restante. Un cambiamento incomprensibile a poche settimane dal subentro di Rfi, sempre che venga rispettato il cronoprogramma». Insomma, per la Torino-Ceres non c'è pace: ad ogni passo avanti verso la riapertura, arrivano nuove criticità.

 

 

04.09.23
  1. ROULETTE RUSSA :    La verità dell'ex dipendente "Iniziare le riparazioni prima era una prassi abituale"
    giuseppe legato
    Nella ormai – abbastanza - chiara dinamica della tragedia ferroviaria di Brandizzo avvenuta la notte tra mercoledì e giovedì scorsi, costata la vita a cinque operai della ditta Si.gi.fer di Borgo Vercelli (Kevin Laganà, 22 anni, di Vercelli. Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa, 49 anni) si apre ufficialmente un focus investigativo per comprendere se l'imprudenza di scendere sui binari a lavorare per effettuare manutenzioni prima di aver ottenuto l'interruzione della linea fosse una prassi consolidata così come hanno incominciato a riferire a televisioni e giornali alcuni ex colleghi delle vittime. Non è un caso che ieri i pm che conducono l'inchiesta (Valentina Bossi e Giulia Nicodemo) su uno dei disastri ferroviari più gravi degli ultimi 20 anni in Italia, abbiano convocato – come persona informata sui fatti – Antonio Veneziano ex dipendente dell'azienda, già collega di lavoro del più giovane degli operai morti (Kevin Laganà).
    La sua testimonianza rilasciata ai media va ribadita, approfondita, articolata ancora di più. Il cuore è questo: «È già capitato molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer), quando sapevamo che un treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro». Qualche esempio: «C'era una regolazione, cioè il restringimento del binario, da fare con un convoglio atteso fuori dall'orario corretto di passaggio? Iniziavamo a lavorare, svitavamo i chiavardini (sistemi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno, ndr), dopodiché, prima del passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai binari. Eravamo in sei-sette per ogni gruppo ma in quei casi c'era chi guardava le spalle: l'altra notte non è andata così, erano tutti sulla massicciata».
    La portata dell'interesse investigativo per questo tipo di comportamento è lampante. Lo dice, con chiarezza, la procuratrice capo di Ivrea Gabriella Viglione: «Bisogna capire se procedere con i lavori senza avere il permesso sia una sciagurata scelta delle persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle richieste». Tra alcuni colleghi di lavoro delle vittime l'opinione non è isolata: «Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice a voce che possiamo farlo e ce lo dice non quando arriva un pezzo di carta ma quando i treni hanno smesso di passare. Fanno tutti così». La prassi è nota ai livelli superiori di Rfi che della rete ferroviaria è padrona? Si può immaginare un margine di tolleranza esistente sul punto? Gli scenari che aprirebbe un'eventuale conferma di ciò sono automatici.
    Indagini sulla sicurezza
    Prassi o non prassi, lo sguardo degli investigatori si allunga sui sistemi di sicurezza in generale. Il ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini, per rassicurare gli italiani rispetto alla carenza di sicurezza per i lavori sulle tratte ferroviarie – ha dichiarato che «la procedura c'è: non puoi andare a lavorare su un binario se non c'è l'autorizzazione che non passeranno veicoli. A Brandizzo è stato un drammatico errore su cui ovviamente dobbiamo andare fino in fondo, è inaccettabile».
    La procura va avanti e una delle consulenze che saranno disposte nei prossimi giorni verrà affidata a un ingegnere esperto in circolazione ferroviaria che incrocerà regolamenti, procedure sistemi di allerta previsti su quella tratta per comprendere «se siano sufficienti – ha spiegato il capo degli uffici giudiziari di Ivrea – a evitare disgrazie simili».
    Le minacce al tecnico Rfi
    Per Antonio Massa, addetto alla scorta del cantiere, lavoratore esperto al momento principale indagato dell'inchiesta (le accuse sono disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale), continua il momento difficile. Dopo la disperazione e il senso di colpa che sta vivendo in questi giorni per aver dato in anticipo l'autorizzazione a iniziare il cantiere («Ho schiantato cinque vite, penso solo a quei ragazzi») ci si mettono anche gli imbecilli social: insulti, forse minacce, sono pervenute sul suo profilo Facebook che da ieri l'uomo ha deciso di oscurare temporaneamente. Al momento non ha ancora nominato un legale di fiducia. Lo farà a breve per poter rispondere all'interrogatorio vero e proprio – nella veste di indagato e non più come persona informata sui fatti) che lo attende in settimana.
    Un casco che sanguina
    Nelle ultime ore parenti e colleghi di lavoro delle vittime si stanno recando sui binari della tragedia. Un casco giallo con un cuore che sanguina è stato lasciato vicino al luogo in cui sono morti i cinque operai. I parenti di una delle vittime hanno fatto scoppiare dei mortaretti in suo ricordo. La foto di Giuseppe Aversa campeggia su un muro dello scalo: «Ciao Pe, cavallo pazzo, ci mancherai per sempre».
  2. Il contratto prevede solo due "notturni" a settimana, ma la norma viene aggirata con la formula della chiamata volontaria
    Al lavoro anche sei giorni su sette non rispettati i limiti ai turni di notte
    «Era una persona stupenda, un gran lavoratore, un padre di famiglia spettacolare». A dirlo è un amico di Giuseppe Sorvillo, uno dei cinque operai travolti da un treno nella notte tra mercoledì e giovedì, mentre lavoravano sui binari a Brandizzo, nel Torinese. C'è un altro amico con lui, che non riesce a parlare, annuisce soltanto e ha un mazzo di fiori. Cerca il nome del suo amico, sui mazzi già davanti alla stazione, vuole metterlo accanto a quelli per il suo Giuseppe. Un terzo amico sorride all'espressione «gran lavoratore» e aggiunge: «Eh sì, dovevano andare a lavorare anche ieri e oggi, lui lavorava di sabato e domenica, spesso». E si avviano insieme verso un caffè, coi volti tesi per evitare la commozione. Una testimonianza che, oltre al dolore, ricostruisce un sistema: al lavoro anche sei giorni su sette, quasi sempre di notte sui binari invece di riposare. Tanto si sa, le manutenzioni si possono fare solo quando non si creano troppi disagi alla circolazione dei passeggeri e quindi dopo le 22 e nei fine settimana. Il contratto dei manutentori interni a Rfi, però, parla chiaro. «Il lavoratore è tenuto a garantire all'azienda un massimo di due notti settimanali. Eventuali terze notti per motivi organizzativi e produttivi dovranno essere concordati tra le parti (rsu e azienda). E comunque non possono essere più di dieci al mese». Fin qui è la norma, ma poi, raccontano dalla Filt Cgil, se si andasse a controllare i turni effettivi per ogni lavoratore emergerebbero sempre altre "notti" fatte in deroga, ad esempio con la formula della chiamata volontaria. L'orario di lavoro dovrebbe essere dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 16,36. Quando si deve "fare una notte" si lavora dalle 8 alle 13,12 poi si riprende alle 22 andando in deroga a una legge che prevede le undici ore di riposo tra i due turni (il riposo quindi è di 8 ore). Un altro punto sono le ore di straordinario, che non potrebbero essere fatte di notte. Eppure, spiegano i sindacalisti, succede regolarmente che vengono inserite nei piani di attività tutte le volte che si lavora la notte tra venerdì e sabato. Così si arriva sempre a sei giorni di lavoro.
    Quello che succede quando si tratta di lavori in subappalto «è una giungla», ammettono gli addetti ai lavori. Anche perché spesso si utilizzano contratti diversi da quello ferroviario. Nella migliore delle ipotesi gli operai sono inquadrati come edili, ma anche in questo caso ci sono rilevanti differenze ad esempio sui corsi di formazione da fare per le norme di sicurezza. Una cosa è lavorare sulle impalcature, un'altra sui binari: non che una sia più pericolosa dell'altra, semplicemente le cose da sapere non sono le stesse. Per questo i sindacalisti sottolineano l'impreparazione diffusa. «Venti giorni fa - racconta un manutentore piemontese di Rfi che vuole rimanere anonimo - una capostazione che lavora da poco tempo, finito l'orario dell'interruzione, ha dato il via libera alla circolazione dei treni senza accertarsi che la ditta avesse davvero terminato e non ci fosse più nessuno sui binari».
    Intanto Rfi chiarisce quello che è il piano di investimenti di quest'anno per tutta la rete ferroviaria: 3,5 miliardi per interventi di manutenzione, per un totale di circa 1.800 cantieri. Il Contratto di programma Mit e Rfi parte servizi 2022-2026 prevede un fabbisogno di oltre 11,6 miliardi di euro di investimenti per la manutenzione straordinaria e 1,15 miliardi per anno per quella ordinaria. Rfi impegna oltre 15 mila persone per oltre 31 milioni di ore annue di manutenzione complessiva da parte dei manutentori interni. —
  3. Italicus, la donna che sapeva troppo Così la P2 annientò Alessandra De Bellis
    Aveva poche migliaia di lire in tasca Alessandra De Bellis. E una immensa voglia di libertà. Era l'estate del 1975, il referendum sul divorzio di un anno prima le aveva definitivamente tolto un cappio insopportabile. La sua, più che una vacanza, era una fuga. Sceglie le spiagge della Sardegna per lasciarsi alle spalle la cappa plumbea di quella specie di cordone sanitario che le avevano costruito attorno. Alle spalle non aveva non solo un matrimonio divenuto un incubo, il mondo del marito era quanto di più crudele potesse esistere. Augusto Cauchi, già segretario del Movimento sociale italiano ad Arezzo, legato a doppio filo con Licio Gelli, informatore dei servizi militari, uomo di assoluta fiducia di Stefano Delle Chiaie, da qualche mese era latitante in Argentina. E lei finalmente poteva dimenticare quegli occhi color azzurro ghiaccio, quell'uomo che subito dopo le nozze aveva iniziato a legarla, a picchiarla.
    La sua fuga dura poco. In una spiaggia le rubano i pochi soldi che aveva portato con sé; il 9 agosto del 1975, si presenta davanti ai peggior nemici del suo mondo, la federazione del Pci. I funzionari del partito capiscono subito che quello che voleva raccontare aveva un peso immenso. La portano davanti agli ufficiali della Digos di Cagliari e lei inizia a raccontare: «Preciso che mio marito è un noto attivista, estremista di destra. È amico del noto Mario Tuti, anch'egli extraparlamentare di destra, catturato per l'uccisione di due agenti di polizia di Empoli» mette a verbale. «In relazione all'attentato al treno Italicus posso, in particolare, dirvi che mio marito me ne parlò come qualcosa che si sarebbe dovuto fare in futuro. Mio marito non mi ha parlato di un attentato generico ad un treno ma mi ha confidato proprio il nome del treno, cioè l'Italicus. Mi precisò pure che si sarebbe verificata una strage di un centinaio di persone». Poteva essere la testimonianza decisiva per trovare gli esecutori, e probabilmente anche i mandanti, della strage che costò 12 morti e 48 feriti, la bomba al treno Italicus del 4 agosto 1974. L'unica strage rimasta ancora oggi senza condannati, con una lunga sequenza di processi terminati con assoluzioni.
    Alessandra De Bellis è morta il 2 agosto 2006 e oggi è sepolta in un piccolo cimitero vicino Perugia, con qualche fiore di plastica davanti alla sua tomba e l'unica foto nota sul marmo bianco. Quella sua testimonianza del 1975 venne letteralmente annichilita, distrutta pezzo per pezzo. Finì in manicomio, sottoposta ad elettroshock fino a perdere la memoria. Stritolata dal "cordone sanitario" della loggia P2, grazie a magistrati e familiari vicinissimi a Licio Gelli, l'occulto finanziatore dei neofascisti toscani che formavano le organizzazioni di Cauchi e Tuti, come ha dimostrato la commissione guidata da Tina Anselmi. È un pezzo di storia dimenticato dalle cronache quello di Alessandra De Bellis, che termina con un arcano ancora oggi senza soluzione. Un codice che, come vedremo, potrebbe aprire porte fondamentali per raccontare il mondo occulto di Gelli, dei neofascisti, dei servizi militari, delle bombe che arriveranno fino agli 85 morti della strage del 2 agosto.
    Alessandra De Bellis si sentiva leggera dopo aver raccontato tutto alla Digos di Cagliari. Siamo a metà agosto, quando le ferie svuotavano le città e gli uffici. I funzionari di polizia la mettono su un aereo, spedendola ad Arezzo, il giorno dopo la sua deposizione. Attenzione, non a Bologna dove la Procura indagava sull'attentato all'Italicus, ma nella città del venerando maestro Gelli, dove l'intero sistema giudiziario ed investigativo era nelle sue mani o lo stava per diventare. Nella stessa provincia dove era nato e vissuto il marito aguzzino, Augusto Cauchi. I nomi degli uomini vicini alla loggia P2 verranno elencati in una interrogazione parlamentare, presentata il 21 gennaio del 1982 alla Camera dei deputati, quando gli elenchi di Castiglion Fibocchi erano diventati ormai pubblici: "C'è l'esigenza di rimuovere dai loro incarichi – scriveva un gruppo di deputati del Pci – i pubblici funzionari" della città di Arezzo; seguiva un elenco lungo e dettagliato di alti dirigenti della Questura e del Tribunale della città toscana. Tra questi un nome sugli altri spiccava, quello del pubblico ministero Mario Marsili, genero di Gelli ed iscritto alla Loggia P2. Bene. Sarà proprio lui a verbalizzare la testimonianza di Alessandra De Bellis, poche ore dopo il suo arrivo ad Arezzo. Finirà indagata per calunnia nei confronti dell'ex marito Cauchi e del gruppo dei neofascisti toscani vicini al suo gruppo. Cinque giorni dopo la sua testimonianza, con l'aiuto discreto del padre, la donna viene ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Siena e nel settembre successivo finisce in una clinica romana, specializzata in elettroshock. Nel giro di pochi mesi perde quasi completamente la memoria e la sua testimonianza svanirà completamente. Solo nel 1984, quando il suo fascicolo viene ripreso dal giudice istruttore del procedimento Italicus bis Leonardo Grassi, una perizia ha rivalutato la sua storia clinica, dimostrando che la donna non era affetta da disturbi tali da rendere inattendibile la sua testimonianza. Anzi, il suo racconto era assolutamente credibile: "Si può sostenere che la capacità di intendere fosse nell'agosto 1975 (la data della sua fuga in Sardegna e della sua prima deposizione, ndr) in Alessandra De Bellis assolutamente integra", scrissero i periti nominati dal Tribunale di Bologna.
    Nella scelta del percorso psichiatrico fu determinante il padre della donna, l'ex ufficiale di Pubblica sicurezza Arturo De Bellis. E anche qui si annidava la P2: il suo nome fu ritrovato nella rubrica telefonica sequestrata a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi Turone e Colombo. Non risultava nell'elenco degli iscritti alla loggia riservata, ma quell'annotazione nelle carte di Gelli è un vero mistero. Accanto al nome del padre di Alessandra De Bellis c'è un numero, con il prefisso di Bologna, 051 30574. La Digos fece degli accertamenti, quell'utenza non è mai esistita. Dunque, non era un telefono, ma probabilmente un codice utilizzato da Gelli. Per indicare cosa? La risposta non è mai stata trovata, nonostante le attente indagini guidate dal giudice istruttore Grassi. Non risulta essere uno dei conti correnti noti del mondo pidduista, non corrisponde a nessun riferimento presente nella copiosa documentazione sequestrata al capo della loggia riservata. L'unico link di un certo interesse è probabilmente la città, Bologna, il vero obiettivo della bomba sull'Italicus. Esattamente sei anni dopo, due giorni prima della chiusura dell'istruttoria sull'attentato del 1974, nella sala d'aspetto della stazione della capitale emiliana scoppiava un'altra bomba, con 85 morti. Ancora una volta tornava l'ombra di Gelli. —
  4. "A 50 anni dal golpe il potere in Cile resta nelle mani di mafia e servizi"
    Mi riceve a casa di suo fratello Marcelo, a Nuñoa, quartiere storico di Santiago fatto di casette monofamiliari di un solo piano tra stradine ancora tranquille e piste ciclabili: il traffico e la frenesia del business si concentra in ben altri lidi, un po' più al nord un po' più a oriente.
    Jorge Coulón Larrañaga, membro fondatore degli Inti-Illimani, 76 anni a novembre, di Temuco, nel sud del Paese australe, fa mostra di una serenità lieta e inscalfibile mentre si racconta in perfetto italiano, a 50 anni dal colpo di Stato che instaurò la dittatura pinochettista, e legò per sempre la sua esistenza allo Stivale.
    Jorge, facciamo un salto nel tempo: dov'eri quell'11 settembre del ‘73 quando bombardarono La Moneda?
    «Ero a Roma, nella nostra prima tournée in Europa, che cominciava proprio in Italia. In mattinata andammo a fare un po' di turismo e ricordo che eravamo sulla cupola di San Pietro, quando è arrivato correndo un ragazzo della Figc, ha salito gli 800 gradini di corsa per dirci che c'era stato un colpo di Stato in Cile, che avevano bombardato La Moneda… Una cosa completamente fuori dalla nostra comprensione, e immaginazione».
    La vostra reazione qual è stata?
    «Stupore penso sia stata la prima però anche molto smarrimento… adesso sappiamo cos'è l'esilio, abbiamo vissuto 15 anni di esilio, però in quel momento non sapevamo proprio cosa fare. Era come se ci avessero tagliato le radici, così di netto. Adesso io mi sento tanto italiano quasi quanto cileno, ho vissuto tra i 25 e i 40 anni in Italia. Non sapevamo niente dell'Italia non parlavamo neanche la lingua e anche l'Italia all'epoca era un Paese molto lontano dal Cile».
    E quindi eravate là e avete deciso pur di non tornare.
    «Non è stata una decisione nostra siamo stati bloccati, ci hanno impedito di tornare. Esisteva una tradizione antica, dagli anni Venti forse, per cui gli artisti che lasciavano il Paese, scrittori, intellettuali avevano un passaporto ufficiale del governo che facilitava loro i tramiti, i visti. Avevamo questo passaporto, che dopo il golpe era diventato scomodo per noi. Siamo allora andati all'ambasciata cilena a Roma per rinnovarlo, ma fu impossibile: ci dissero che eravamo nell'elenco di coloro che non potevano tornare in Cile. Siamo stati costretti all'esilio, diciamo, non per scelta nostra».
    Questo per il tipo di canzoni che portavate in giro per il mondo? Come avete interpretata questo esilio forzato?
    «Ma, sapevamo di un precedente in Spagna, un dirigente franchista di cui non ricordo il nome che diceva: "quando sento la parola cultura la mia mano va alla pistola"!»
    Quindi vi è parso non dico normale, ma per lo meno, prevedibile?
    «No, non ci pareva normale, però abbiamo capito che sarebbe stata una cosa lunga. In effetti il colpo di Stato ci ha cambiato la vita. Il giorno dopo il colpo di Stato ci ha ricevuto Giancarlo Pajetta, e lui ci ha detto: "Guardate che un colpo di Stato con queste caratteristiche non è destinato a durare poco". Non ci volevamo credere. Quindi ci disse: "Continuate pure il tour che avete programmato, poi tornate in Italia che noi vi accoglieremo e vi aiuteremo". E così facemmo. E dopo poco tempo, già nell'estate del 74 abbiamo capito che il gruppo era un fenomeno, e che stava accadendo qualcosa di assolutamente imprevisto e straordinario».
    E siete rimasti apolidi fino all'88 quindi?
    «No perché c'era tanta pressione sul regime totalitario da parte delle Nazioni Unite, della comunità internazionale dell'epoca, che alla fine hanno dato il passaporto a noi come a tutti quelli che eravamo in esilio. Ma sulla prima pagina c'era una "L" gigante che voleva dire "limitato" cioè non era valido per tornare in Cile».
    A proposito, recentemente il brigadiere Hernan Chacòn Soto, di 86 anni, condannato a 15 anni di carcere per il suo assassinio, si è tolto la vita. E l'altro giorno nell'atto pubblico della presentazione del Piano di ricerca dei detenuti desaparecidos, il presidente Boric ha fatto un'allusione alla sua morte usando l'aggettivo "vile", provocando così forti polemiche fra i rappresentanti dell'opposizione. Che pensi di questo?
    «Penso che ha avuto coraggio il presidente a dire quel che ha detto. Naturalmente ci sono subito levate le voci critiche dicendo che non ha rispetto. Ma da chi viene questo commento? Da chi non ha non ha mai avuto nessun rispetto per Allende, per le migliaia di vittime… Ed è vero, questi soldati, questi militari, che parlano tanto dell'onore, della patria, prima hanno eluso tutte le responsabilità, Pinochet è stato di una viltà assoluta, tutti a negare, a dare la colpa ad altri. È un momento complicato per questo dico che è stato coraggioso a dire quello che ha detto perché non è facile farlo in questo momento».
    In che senso non è facile? E lui al potere in questo momento, è il presidente!
    «Ma, non so se ha il potere. Il potere non è del governo adesso. E forse non lo è mai stato del governo, quello reale. Questa materia oscura fatta di potere, di mafia di servizi segreti: è' lì che si concentra il potere».
    Tutt'ora?
    «Penso più ora che mai».
    Dovendo riassumere la tua esperienza italiana in tre parole, tre concetti, che diresti?
    «Per me è stata un'esperienza straordinaria. Per varie ragioni: anzitutto per la serietà, la profondità del dibattito politico in Italia di quegli anni; si tende molto a parlare degli anni di piombo, ma tutto questo penso che sia parte della propaganda non della storia. L'Italia è straordinaria ed era un Paese all'avanguardia, nel pensiero, nella proposta sociale… assolutamente all'avanguardia. Adesso tutto questo si è appiattito a livelli incredibili. Tutti questi anni di piombo, io ho seriamente il dubbio su da dove veniva il piombo, se il piombo non era precisamente una forma per porre fine a questa esperienza che era all'avanguardia in Europa».
    Rispetto al Cile attuale, dove cinquant'anni dopo ancora c'è bisogno di un Piano di ricerca per gli desaparecidos; dove famiglie, discendenti delle vittime, ancora reclamano il loro diritto disatteso ad ottenere i resti dei propri congiunti scomparsi o perlomeno a sapere dove si trovano. Rispetto ad un popolo che ancora avverte una ferita aperta quindi, rendendo impossibile una vera riconciliazione, qual è la tua lettura?
    «C'è una canzone di Serrat che parla di lasciare il paese, però " i morti sono imprigionati e non ci lasciano abbandonare il cimitero". Quella frase riassume molto bene la situazione del Cile. Da una parte Cile ha una ferita profonda che non non si riesce a chiudere, perché cercano di farlo in superficie, ma bisogna sanare prima la parte più profonda e poi la superficie. E allora mentre non ci siano alcuni atti rituali, e non si riconosca l'esistenza di questa ferita, mentre si continui a fare ironia e a ridicolizzare le vittime, si continui a dire che i desaparecidos in realtà non sono tali, ma sono andati all'estero, dove vivono felici e contenti… mentre si continui a diffondere queste idee da parte di un gruppo che ha molto potere in Cile, è molto difficile che che si possa parlare di riconciliazione. L'Italia dopo il fascismo ha prodotto una Costituzione che è molto bella e molto attuale, e questo ha fatto sì che il fascismo e tutte le sue brutalità siano una verità accettata da tutti. Ci possono essere minoranze negazioniste, però c'è stato un processo di sanazione, attraverso la storia, la celebrazione del 25 Aprile, tutta una serie di iniziative che sono istituzionali, e che passano a far parte della cultura condivisa. In Cile non c'è stato questo processo. E quello che tu dici è vero siamo ancorati a cinquant'anni fa. Ci hanno ucciso e poi ci hanno lasciato come guardiani del sepolcro. Ci chiedono di dimenticare di non essere così pieni di rancore».
    Come commemorerete questo Undici settembre?
    «Come tutti gli 11 settembre degli ultimi vent'anni: partecipando al concerto davanti allo allo Stadio Nazionale.
    Canteremo "El pueblo, unido, jamás será vencido" ovviamente, perché quello è un classico e poi una inedita con le parole dell'ultimo discorso di Salvador Allende. Poi faremo canzoni di Victor Jara, e alcune nuove, naturalmente: perché siamo vivi!».
  5. Napoli e il concerto per Giovanbattista nella piazza deserta dei Quartieri Spagnoli
    Finestre vuote, balconi deserti. Largo Baracche è desolato come non mai. Eppure c'è un'orchestra di ragazzi che si esibisce e non è certo una consuetudine. Di fronte a pochi ospiti suonano dieci violoncellisti del conservatorio "San Pietro a Majella" sotto la guida del loro insegnante, il maestro Luca Signorini. Bach, Vivaldi, Gershwin: c'è un po' di tutto, tranne gli abitanti. E non ci sono manco le istituzioni: un paio di vigili avrebbero (forse) impedito il frastuono di scooter e di altro. A quattro giorni dall'omicidio di Giovanbattista Cutolo il clima è pesante. Il giovane musicista dell'Orchestra Scarlatti è stato ammazzato a colpi di pistola da un 17enne al culmine di un'aggressione da parte di un branco di ragazzini nella centralissima piazza Municipio. Il piccolo camorrista – che a 14 anni aveva cercato di uccidere un uomo durante una rissa – è cresciuto proprio nei Quartieri Spagnoli. Al giudice ha detto di non essersi accorto che Cutolo fosse morto ed è andato a farsi una partita a carte.
    Proprio nella storica cittadella, ieri mattina si è tenuto il concerto dedicato a Giogiò, come gli amici chiamavano la vittima. Il docente del Conservatorio prova a stemperare: «Sapevamo che sarebbe stato un concerto-non concerto. Che saremmo stati percepiti come un corpo estraneo. Ma bisogna tener conto che portare la musica classica in un luogo dove non s'è mai vista o ascoltata era una sfida». Nel quartiere dell'omicida, poi. «In realtà il concerto era programmato da tempo, e l'idea di Giuseppe Ferraro (un filosofo molto attivo nel sociale, che insieme ad altri ha spazzato la piazza prima del concerto) era proprio di fare qualcosa che non era mai stata fatta prima. Certo, dopo la tragedia abbiamo rimodulato il tutto per omaggiare il giovane collega, bravo e amato da tutti». All'inedito gelo dei Quartieri Spagnoli – dove l'invasione dei turisti non ha intaccato le profonde sacche di arretratezza – fanno contrappunto le voci della città. A cominciare da quella della mamma di Giogiò, Daniela Di Maggio: «Voglio la legge "Giovanbattista Cutolo", una norma per l'abbassamento dell'età imputabile e la certezza della pena», ha ripetuto nei giorni scorsi raccogliendo applausi. E poi, a proposito delle esequie (previste per domani): «Deve essere un'occasione di riscatto. La città deve mobilitarsi come se ci fosse Osimhen. Anzi, chiedo ai calciatori del Napoli di partecipare». La donna, così come il padre del giovane, il regista teatrale Franco Cutolo, è tornata più volte sulle «due Napoli», concetto formulato nell'Ottocento e così declinato: «C'è la città bastarda, quella dei balordi, dei bassi, della monnezza e c'è la Napoli di Benedetto Croce, di Fanzago, di Bellini, di Rossini. Due città che si sono incontrate e ha perso la bellezza, ha perso la cultura».
    Definito «un predatore ancor più pericoloso perché apparentemente innocuo», il baby criminale ha già ricevuto manifestazioni di solidarietà e di stima sul web (come spesso accade ai delinquenti), mentre sull'altro versante il sindaco di Napoli ha annunciato il lutto cittadino (le bandiere sono a mezz'asta già da ieri), e il primo cittadino di Mugnano (dove il ragazzo era nato) ha detto che gli verrà dedicata una strada della cittadina.
    Due universi che convivono da secoli, ma lo fanno sempre peggio. «Non riusciamo a sentirci parte di un unico mondo perché avvertiamo la presenza di un altro mondo a noi completamente estraneo; non riusciamo a non vedere quell'infinito crepaccio nel quale la preziosa vita del tuo vicino di leggio è andata perduta», ha spiegato il maestro Signorini. Efficace fotografia del più dolente e devastante dei paradossi partenopei. —

 

 

 

 

 

03.09.23
  1. IL MASSACRO DI TIM :    L'ingresso del Mef accanto a Kkr & c in Netco serve «per assumere il controllo della rete e salvaguardare l'occupazione», nonchè il Tesoro «avrà adeguati poteri al conseguimento del piano industriale», è scritto nel decreto.

    L'indirizzo impresso da Giorgia Meloni subito dopo la decisione del Cdm di stanziare 2,2 miliardi per il 15-20% della rete, spiega il pressing di queste ore degli uomini del Tesoro guidati da Stefano Varone, al tavolo negoziale con i dirigenti del fondo Usa per concordare la sistemazione della forza lavoro di Tim, fra Netco e ServiceCo, prima della presentazione dell'offerta binding prevista entro il 30 settembre, ma che potrebbe slittare a causa della complessità dell'operazione.

    L'obiettivo del Ministero è arrivare alla definizione di un assetto delle due Tim al più presto, […] . In questo quadro, siccome si vuole comunque coinvolgere Vivendi, è possibile che un accordo Mef-Kkr sulla struttura, possa avvenire entro metà mese e subito dopo avviare i colloqui con il principale azionista.

    Nel gruppo di tlc lavorano 40.665 dipendenti in Italia e i sindacati sono già da giorni in allerta sullo sdoppiamento tra rete e servizi perché temono che […] si possano creare esuberi. E non è un timore peregrino.

    Infatti c'è da combaciare la proposta di Kkr presentata al cda di Tim del 22 giugno (21 miliardi + 2 di earn out), nella quale ha ottenuto l'esclusiva, che trasferiva alla Netco circa 9 miliardi di debiti e oltre 21 mila dipendenti, recepita dal piano finanziario della nuova società della rete consegnato alle banche (fatturato da 3,9 a 4,2 miliardi ed ebitda da 1,5 a 2,5 miliardi entrambi nel 2031).

    Queste proiezioni devono fare i conti con i desiderata fatti trapelare da Vivendi, primo socio Tim con il 23,75%, vigile affinchè nello scorporo dell'infrastruttura, sia assicurata la sostenibilità economica della ServiceCo, cioè la società dei servizi residua, contenente Enterprise e Consumer.

    Per la media company francese che in primis, pretende non meno di 26 miliardi dalla vendita della rete, un equilibrio soddisfacente potrebbe essere raggiunto trasferendo alla Netco 20 mila dipendenti e 8-10 miliardi di debiti, mentre la ServiceCo dovrà avere 5 miliardi di passività e 8 mila dipendenti. Ma su quest'ultima, influirà anche il […] contratto di servizio che verrà stipulato fra Netco e ServiceCo.

    Se l'acquisizione dovesse andare a buon fine, è previsto subito dopo l'assorbimento di Open Fiber (OF), controllata al 60% da Cdp e al 40% da Macquarie. La presenza di Cassa nella cordata, al fianco di Kkr, Adia (fondo sovrano di Abu Dhabi), F2i, avverrà «se non ci saranno vincoli Antitrust», come ha detto Giorgetti. E per eliminare questo rischio, il tavolo negoziale Mef-Kkr sta altresi prevedendo uno spezzatino di OF che, comunque, deve presentare tra qualche settimana il nuovo piano industriale […]. L'idea sarebbe che Netco acquisti le aree bianche di OF, quelle sulle quali sono necessari investimenti, lasciando all'attuale società le aree nere che generano ebitda: con questa tecnicalità non ci sarebbe il faro della Dg Comp e l'attuale compagine sociale potrebbe restare in vita.

 

 

02.09.23
  1. IL VERO OBIETTIVO DI SALVINI:   Dopo la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi a Brandizzo è la volta dei ministri. In mattinata porterà il suo omaggio ai cinque operai morti nel terribile incidente ferroviario Paolo Zangrillo, titolare della Pubblica amministrazione. Nel pomeriggio, invece, arriverà la responsabile del Lavoro e Politiche sociali, Marina Calderone.
    Sarà accompagnata dall'assessore al Lavoro della Regione Piemonte, Elena Chiorino, dal sindaco di Brandizzo, Paolo Bodoni, e dai rappresentanti dell'Inail e dell'Ispettorato del Lavoro. In giornata è previsto anche un confronto con gli organi di vigilanza sul territorio. Ma in queste ore a pesare è l'assenza di un altro ministro competente, quello delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini. Dal lido di Venezia, dove sta trascorrendo qualche giorno insieme alla fidanzata, Francesca Verdini, in occasione della Mostra del Cinema, il vicepremier ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa sull'incidente. Ma non ha ancora annunciato una visita ufficiale. Una decisione che ha suscitato malumori e polemiche, soprattutto sui social. In queste ore diversi utenti stanno rilanciando le immagini di Salvini sorridente, abbracciato alla compagna, mettendole a confronto con quelle del Capo dello Stato in raccoglimento davanti al luogo dell'incidente. C'è chi sottolinea la diversa postura istituzionale, chi ricorda al ministro che una volta appresa la notizia sarebbe dovuto correre per primo nella cittadina piemontese.
    Nei commenti anche le immagini della visita a Caivano della premier Giorgia Meloni, usate come metro di confronto. In tanti sottolineano la capacità di Salvini di «trovarsi sempre nel luogo sbagliato».
  2. LA SICUREZZA NON E' UN PARAMETRO COMMERCIALE DI RFI:  Lunedì Cgil Vercelli Valsesia, Cisl Piemonte Orientale e Uil Vercelli Biella hanno organizzato un corteo di cordoglio silenzioso per le vittime di Brandizzo a Vercelli. Alle 10 la manifestazione partirà da piazza Roma per arrivare sotto la Prefettura. Le sigle sindacali hanno anche proclamato uno sciopero di otto ore in provincia. Valter Bossoni, segretario di Cgil Vercelli Valsesia, ha anticipato alcuni dei temi che saranno discussi: «Si. gi. fer è una realtà del territorio in cui la penetrazione sindacale è bassa, ma è chiaro che sia all'interno un meccanismo economico per cui le aziende che lavorano in appalto hanno come primo obiettivo il contenimento dei costi. Elemento che si ottiene anche investendo meno sulla sicurezza e con retribuzioni meno vicine a quelle che dovrebbero essere quelle reali». «Ma non bisogna dimenticare la committenza, in questo caso Rfi – aggiunge il sindacalista –. Gravano sull'appaltatore le responsabilità che dovevano essere in capo alla committenza. Credo che il committente a Brandizzo non si sia fatto carico della sicurezza per una questione di costi. So di casi di operai di Si. gi. fer. che si sono rifiutati di eseguire interventi per il poco tempo a disposizione prima del passaggio dei treni. Ritmi intensivi, carichi di lavoro notevoli, squadre di lavoro non abbastanza numerose per svolgere le attività in modo consono: Rfi non può dire di non saperlo».
  3. L'ACCETTAZIONE : De Luca: "A Caivano comanda la camorra Assegna anche le case"
    Caivano, il giorno dopo la visita di Giorgia Meloni le polemiche non si smorzano. Oltre la querelle sulla presunta claque che sarebbe stata messa in campo dal partito della premier per garantirle un'accoglienza ottimale, sono tornate all'attacco le donne del quartiere, a cominciare dalla mamma di una delle due bimbe violentate dal branco di ragazzini. «Il Governo passa per Caivano senza mai volgere lo sguardo alla nostra tragedia e sofferenza», ha detto ieri (attraverso il suo avvocato) la signora, che già il giorno prima aveva attaccato direttamente il primo ministro: «Mi ha voltato la faccia, non ha voluto incontrarmi, e nemmeno ha mandato qualcuno al suo posto, manco tenessi la lebbra».
    Le parole dei rappresentanti del governo non hanno convinto. «Pensano ai lavori per la piscina, non hanno capito che qua prima di nuotare dobbiamo mangiare. C'è bisogno di lavoro, ne avevamo bisogno pure prima ma col taglio del reddito di cittadinanza siamo disperati», è il coro che si leva dai palazzacci di quello che è diventato il rione-simbolo delle periferie del mondo.
    E proprio sulle case del Parco degli orchi (piccoli e grandi) ieri è intervenuto il governatore della Campania: «Ho segnalato che la maggioranza degli occupanti di alloggi di Caivano sono abusivi. Molte case sono state liberate e la nuova assegnazione è stata decisa dalla camorra. C'è bisogno di risolvere questo problema, altrimenti ancora una volta facciamo solo propaganda», ha detto Vincenzo De Luca. Una questione delicata, quella delle case popolari nel Napoletano, che soprattutto nell'infinito dopo-terremoto (la cosiddetta Ricostruzione) sono finite spesso in mano ai clan. Esemplare il caso di un potente boss dell'area vesuviana il cui soprannome era "‘o sindaco" proprio perché aveva lui il pieno controllo e dunque stabiliva graduatorie e assegnazioni.
    Dopo aver sottolineato che «ancora oggi lo Stato a Caivano non c'è», De Luca ha ricordato l'impegno del suo ente: «In questi anni la Regione ha fatto una "supplenza" anche senza avere competenza diretta sulla sicurezza e su interventi sociali. Abbiamo cercato di essere presenti realizzando due impianti sportivi e abbiamo finanziato 4 scuole per "Scuola Viva" (il programma messo a punto dall'assessore Lucia Fortini che prevede l'apertura pomeridiana per far svolgere altre attività ai ragazzi tenendoli lontani dalle strade, ndr)». Il governatore ha rimarcato un'altra piaga storica: «Scontiamo purtroppo che i Comuni sono disastrati o sciolti. Non si sa neppure con chi parlare…». Nel caso di Caivano l'amministrazione, già commissariata, fu sciolta per camorra nel 2018 per le riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata. E quasi a ricordare a tutti che il degrado era (ed è) ben più esteso, lo stesso provvedimento (firmato dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti) prorogò lo scioglimento dei Consigli comunali di Casavatore e Crispano.
    Intanto, in attesa dei nuovi sviluppi giudiziari, nell'inferno del Parco Verde continuano ad allungarsi le già inquietanti ombre proiettate dalle violenze del branco. Oltre gli spiacevoli attacchi al parroco, "colpevole" per alcuni di aver attirato l'attenzione del mondo sul territorio, infatti, si moltiplicano le voci su video e foto delle due cuginette. I cui atteggiamenti e comportamenti sono messi in diretta relazione con il profondo degrado ambientale che ne ha accompagnato la crescita, lo stesso che ha spinto i magistrati ad allontanare le bambine dalle famiglie subito dopo i fatti. Il buio oltre il buio. —
  4. XI IMPARA DA PUTIN A GOVERNARE DA SOLO IL MONDO : Tianxia, letteralmente «tutto ciò che è sotto il cielo». Uno spazio a metà tra il reale e l'ideale, quando la Cina non era ancora Zhongguo («Paese di mezzo»), ma era già un impero. Ora, la Repubblica Popolare Cinese di Xi Jinping si ridisegna quello spazio a metà tra il reale e l'ideale, con una nuova mappa sui suoi territori. Pubblicata nei giorni scorsi e, spiegano i media di Stato, «compilata in base al metodo di disegno dei confini nazionali della Cina e di vari Paesi del mondo», include diversi territori contesi e alcuni non amministrati da Pechino. Un'abitudine che il governo cinese ha dal 2006 e che ha l'obiettivo di «eliminare le mappe problematiche», cioè quelle che non includono le rivendicazioni territoriali del Partito comunista. Ma l'attenzione per le cartine geografiche è aumentata nell'ultimo decennio, così come è aumentato il numero delle linee di demarcazione tracciate da Pechino. Da decenni, si parla di «linea dei nove tratti» per fare riferimento alle porzioni di mar Cinese meridionale contrassegnate dalla Cina. Sostanzialmente tutte, in una sorta di U che si sovrappone a territori controllati o rivendicati da diversi Paesi del Sud-Est asiatico. Nella nuova mappa i tratti sono 10 e partono dalla costa nord orientale di Taiwan. Con le manovre militari degli ultimi anni, l'esercito cinese sta provando a trasformare lo Stretto in una sorta di mare interno. Quantomeno a livello simbolico, col presidio dell'area a est dell'isola, l'unica da cui potrebbero arrivare aiuti dall'esterno.
    Scendendo verso sud, vengono inclusi acque e atolli contesi con le Filippine. Le tensioni con Manila sono tornate ad alzarsi dopo che Ferdinand Marcos Jr ha archiviato l'era filocinese di Rodrigo Duterte, aprendo quattro nuove basi militari agli Usa nella parte settentrionale dell'arcipelago. Cioè quella più strategica per la sua vicinanza a Taiwan. Nelle scorse settimane, la guardia costiera cinese ha sparato con cannoni ad acqua verso delle imbarcazioni filippine che cercavano di rifornire un avamposto militare ricavato dal relitto arenato di una nave della Seconda guerra mondiale. Una prassi, in un lembo d'acqua altamente militarizzato. I 10 tratti sono in conflitto anche con rivendicazioni territoriali di Brunei, Malesia e Indonesia. Spesso si tratta di isolette o fondali ricchi di risorse. E per questo ancora più appetibili. Risalendo a Nord, ci sono le isole Paracelso, nodo della discordia col Vietnam, che in passato l'impero cinese ha dominato per quasi un millennio. Dossier in fase di sviluppo, visto che Hanoi ha rafforzato i rapporti con gli Usa in materia di commercio e sicurezza dopo che la guerra in Ucraina ha fatto temere un crescente allineamento tra Russia e Cina.
    Il 10 settembre, subito dopo il summit del G20 a Nuova Delhi, Joe Biden sarà nella capitale vietnamita per siglare un innalzamento delle relazioni bilaterali a partnership strategica. In India potrebbe invece non esserci Xi, a testimonianza di un rapporto certo non idilliaco tra i due partner dei Brics. La nuova carta standard di Pechino considera suoi l'altopiano dell'Aksai Chin e lo Stato indiano dell'Arunachal Pradesh. Di quest'ultimo ha denominato diversi luoghi in mandarino come parte dello "Zangnan", cioè Tibet meridionale. Lungo l'enorme frontiera contesa, nel giugno 2020 e nel dicembre 2022 ci sono stati violenti scontri tra le truppe dei due eserciti: 19 round di colloqui tra funzionari della difesa non sono bastati a risolvere la situazione, che resta ancora instabile. L'area è particolarmente strategica per le sue risorse idriche, ma anche per la questione della successione del Dalai Lama, che in autunno dovrebbe visitare proprio l'Arunachal Pradesh in un gesto dall'alto valore simbolico. Il governo indiano ha spiegato di aver presentato «forti proteste» a quello cinese. Lamentele anche dai vari Paesi del Sud-Est asiatico. Con cui Pechino sta negoziando da tempo un complicato «codice di condotta» navale.
    Sempre sull'Himalaya, oggetto di rivendicazione cinese anche alcuni lembi di territorio contesi al piccolo Regno del Bhutan. La mappa cinese include anche l'intera Bol'soj Ussurijskij, piccola isola invasa dall'Unione Sovietica nel 1929 e dal 2008 a sovranità condivisa tra Pechino e Mosca. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha minimizzato negando l'esistenza di una contesa. Anche perché, almeno su carta, sono stati dimenticati i territori sottratti all'impero Qing coi due trattati «ineguali» del «secolo delle umiliazioni» cinese. Nonostante al confine sinorusso ci siano ancora musei che ricordano la vicenda, ora Mosca è considerata amica. Tanto che a ottobre Vladimir Putin sarà l'ospite principale del terzo forum sulla Via della Seta. —
  5. SICUREZZA 0 . I VERTICI FS NON CONTROLLAVANO ? "Norme e protocolli ignorati per la fretta di finire i lavori"
    claudia luise
    Una denuncia al sistema, che in teoria ha protocolli rigidi e stringenti proprio per evitare ogni possibile rischio ma che poi «puntualmente viene derogato perché bisogna fare in fretta, perché ci sono pochi lavoratori, perché alla fine quello che conta è portare a casa qualche soldo». E perché «si è sempre fatto. Cosa vuoi che accada?». E invece l'incidente è dietro l'angolo e sui binari difficilmente c'è scampo. Remo Calcagno ha trascorso la vita da manutentore di Rfi. Come Antonio Massa, l'addetto di Rfi che doveva vigilare sul cantiere ferroviario e che stava compilando una relazione quando il treno è passato e ha travolto i cinque operai mentre lui è riuscito a salvarsi. «Per 35 anni ho lavorato in Rfi, dal 1987 al 2022. Sui binari ho passato 28 anni, gli altri poi sono stato anche sindacalista per la Filt Cgil Piemonte, prima come rsu, poi come funzionario. L'anno scorso sono andato in pensione».
    Remo conosceva Antonio e conosce benissimo quello che succede ogni notte che c'è un cantiere sulla ferrovia. Al di là delle responsabilità individuali, che sarà eventualmente la procura ad accertare, ricostruisce «una tragedia, che però è avvenuta in un contesto di ordinaria sottovalutazione delle norme. C'è un sistema che non funziona e il sindacato l'ha denunciato varie volte. Solo io, nei vari ruoli che ho ricorperto, ho presentato circa una cinquantina di segnalazioni. Ma c'è chi ha le spalle larghe e se qualcosa non va lo dice e chi invece lascia perdere. Ma se vai a lavorare e non sei sereno è più facile incappare nell'errore».
    I punti che non vanno, per Calcagno, sono numerosi. «Innanzitutto c'è un problema di personale che riguarda sia gli assunti direttamente da Rfi sia le ditte esterne. I manutentori sono pochi, si sommano però i cantieri di manutenzione ordinaria, quelli di manutenzione straordinaria e i lavori di adeguamento della rete con i fondi del Pnrr. Ma, per quanto riguarda Rfi in Piemonte, le persone non bastano, tanto che ci sono state 180 assunzioni circa nell'ultimo anno. Questi operai in più, però, non hanno ancora completato i 24 mesi di formazione obbligatoria e quindi non possono ancora lavorare da soli sui binari, possono solo essere affiancati». Un problema generale che si traduce in due diverse situazioni: «Le ditte esterne fanno lavorare chiunque, spesso sfruttando altri tipi di contratto che non sia quello ferroviario (infatti le vittime avevano il contratto dell'edilizia e uno di loro lavorava da pochi mesi, ndr). Questo è un problema perché manca un'adeguata formazione e anche i corsi sulla sicurezza sono diversi».
    Per quanto riguarda Rfi, invece, «il contratto prevede che si facciano massimo due notti a settimana a cui se ne può aggiungere una terza solo se concordata con il sindacato. E comunque non devono essere più di dieci al mese. Invece puntualmente capita di fare notti aggiuntive perché l'azienda lo chiede, sfruttando la chiamata in disponibilità o la chiamata volontaria. Spesso anche la pausa, che tra un turno e l'altro dovrebbe essere di almeno 8 ore, è più breve. Quindi il carico di lavoro diventa altissimo e si finisce per lavorare anche sei giorni su sette. I ferrovieri potrebbero dire di no, se si è con ditte esterne invece è difficile rifiutarsi, tanto che vediamo sempre le stesse persone lavorare di notte».
    Di base gli interventi vengono programmati con briefing che sono bimestrali in cui si calendarizza ogni dettaglio, dall'orario al numero dei manutentori necessari, alle professionalità coinvolte. E si specifica anche se interviene personale di Rfi o una ditta esterna. Ma poi ci sono le lavorazioni urgenti, che possono essere comunicate 48 ore prima.
    «Le ditte esterne sono una giungla, mi è capitato e mi sono arrivate segnalazioni sulla necessità di bloccare tutto perché non solo non avevano personale formato ma anche perché non avevano la revisione dei mezzi da usare», aggiunge. E poi c'è il problema che bisogna fare in fretta: «Spesso mi segnalavano che non si faceva in tempo a compilare la documentazione e a dare l'autorizzazione che gli operai erano già sui binari». Esattamente quel che è accaduto l'altra notte a Brandizzo: Massa, l'addetto di Rfi, stava ancora compilando i documenti quando è arrivato il treno che ha falciato gli operai sui binari. «Si deve correre, finire in fretta per passare al lavoro successivo. In teoria il responsabile di Rfi che accompagna la squadra esterna dovrebbe bloccarli ma non sempre si riesce. È un modo di operare dato per scontato».
    Calcagno racconta anche un episodio che lascia intendere quanto i protocolli ci siano ma spesso si faccia finta di nulla. «Per lavorare sulla linea ad alta velocità serve una formazione specifica aggiuntiva. Una volta l'azienda mi ha chiesto di aprire un cantiere notturno sulla Av, nonostante i miei responsabili sapevano che non avevo fatto i corsi necessari. Sono arrivato con la squadra di notte e ho chiesto all'addetto l'interruzione della linea ma ho specificato che non avevo la formazione per l'Av. L'addetto, quindi, ha negato l'intervento. Se non avessi riferito questo dettaglio, avremmo lavorato comunque. Dopo questo episodio ci hanno mandato tutti a fare i corsi».
    La conclusione è amara: «Il sistema non lo permetterebbe ma è tutto il contorno a forzare le cose. Non è un contesto sereno e tutti i giorni si prendono scorciatoie per questo tipo di lavorazioni. L'azienda ne è consapevole, l'abbiamo denunciato più volte». Cosa si potrebbe fare? «Intanto si dovrebbero avere due incaricati Rfi e non solo uno». Ma se non ci sono abbastanza lavoratori come si fa?

 

 

 

01.09.23
  1. E' GIA' IN PARADISO:  L'operaio saldatore Michael Zanera, 34 anni, era molto triste negli ultimi giorni. Era vittima di una truffa sentimentale nata su Instagram: una ragazza francese lo aveva illuso. Lui mandava soldi per il figlio di lei, e lei non esisteva. Se ne è accorto quando è andata a prenderla all'aeroporto della Malpensa per la prima volta: da quell'aereo non è mai scesa.
    Michael Zanera era triste e lavorava sempre. Aveva perso il padre per un tumore, accudiva la madre malata. «Mio figlio faceva le notti e i doppi turni per riuscire a guadagnare di più. Ci sentivamo ogni sera prima dell'inizio. E ogni volta, immancabilmente, gli dicevo sempre la stessa frase da mamma: "Attento, Michael. Attento sul lavoro!". Era fiero del suo diploma da saldatore. Amava il suo mestiere. Spero che un giorno possa avere giustizia, perché non doveva morire così. Nessuno dovrebbe morire così. E in tutto questo dolore, noi non abbiamo ricevuto nemmeno una chiamata dalla Si.Gi.Fer».
    «Costruzioni ferroviarie», c'è scritto sull'insegna. Michael Zanera abitava a trecento metri dalla sua azienda. Andava al lavoro in bicicletta. Di giorno lo vedevano in paese con il cane Rocky, perché con il buio era sempre lungo i binari. La notte prima di morire travolto dal treno, aveva visto formarsi una croce dentro le striature di una saldatura. E così aveva scritto sui social: «È la prima volta che mentre saldo la rotaia mi è uscito il crocefisso. Dio mi vuole dire qualcosa sicuramente». «Era come se sentisse un presagio», dice lo zio Marco Faraci.
  2. DOLO PERCHE' ? Il magistrato Enzo Bucarelli, indagato a Milano per frode e depistaggio, rischia anche un procedimento disciplinare. E, nel caso venisse accertata la sua responsabilità sanzioni di vario grado che vanno fino alla radiazione. La segnalazione su quanto avvenuto nell'ambito di un'inchiesta avviata dalla procura meneghina nelle scorse settimane è stata inviata da Torino alla Procura generale di Cassazione che dovrà valutare eventuali profili di natura non penale ma dirimenti ai fini professionali di Bucarelli, magistrato in forza alle fasce deboli della procura ordinaria, già responsabile dell'inchiesta che ha portato all'identificazione dell'assassino del giovane Stefano Leo, ucciso ai Murazzi nell'aprile 2019 da Said Mechaquat.
    Cosa è avvenuto? Secondo le prime ricostruzioni investigative Bucarelli stava indagando su un caso di revenge porn perpetrato da un giocatore del Torino, l'attaccante senegalese Demba Seck in forza alla prima squadra allenata da Ivan Juric, ai danni dell'ex fidanzata. Lei lo aveva lasciato e lui minacciava di inviare un video privato a sfondo hard se lei non fosse tornata con lui.
    Su esposto di quest'ultima era nata l'inchiesta che aveva portato il pm a ordinare una perquisizione nei confronti del calciatore. Demba Seck ne avrebbe avuto contezza prima. Il dato si desume dal fatto che all'arrivo della guardia di finanza e dei carabinieri il giocatore avrebbe fatto trovare i suoi legali. La perquisizione è stata effettuata dalla polizia giudiziaria interna.
    Ma questo sarebbe solo uno dei punti al vaglio dei magistrati milanesi. Perché secondo le ipotesi di reato contestate Bucarelli, presente alla perquisizione, avrebbe ordinato la cancellazione del video dal cellulare dell'indagato comprese le chat che contenevano gli invii del video intimo ad alcuni amici. Il filmato – va detto – era già stato acquisito dalla procura allegato alla denuncia della giovane.
    Ma alcune settimane dopo è stata la stessa Guardia di Finanza a comunicare lo stupore per quanto avvenuto nel corso della perquisizione alla procuratrice aggiunta (e attualmente vicaria) Enrica Gabetta che ha trasmesso gli atti al procuratore generale Francesco Saluzzo a sua volta inviata – da questi – ai colleghi di Milano. La comunicazione è confluita sul tavolo della procuratrice aggiunta Teresa Siciliano, a capo del pool che indaga sui reati contro la pubblica amministrazione. Da qui l'iscrizione del magistrato nel registro degli indagati. Bucarelli non commenta alcunché. Ma alle persone a lui più vicine, si è detto sereno e fiducioso che la vicenda si chiarirà. E non sono pochi in procura coloro che propendono per inquadrare la questione come un'interpretazione in punta di diritto sull'acquisizione delle prove escludendo alcun dolo nella condotta del magistrato.
  3. SOLDI PER LA RETE TIM CI SONO PER LA SANITA NO : Sempre più famiglie, nella nostra regione, si trovano in grandi difficoltà economiche per fare fronte alle spese mediche. L'allarme, lanciato da una ricerca dell'Università Lumsa di Roma, è contenuto in due numeri: 97.625, i nuclei che ogni mese investono oltre il 20% dei propri consumi non essenziali in quelle che l'Organizzazione mondiale della sanità definisce «spese mediche catastrofiche»; e 19 mila, le famiglie che a causa delle spese affrontate (per visite mediche specialistiche, ma anche acquisto di farmaci) si ritrovano al di sotto della soglia di povertà relativa.
    Questo fenomeno è il prodotto della fragilità della nostra sanità, vittima da decenni di tagli, e alle infinite liste d'attesa. Il risultato? Un numero sempre maggiore di famiglie che si trovano costrette a pagare di tasca propria, a volte indebitandosi, per prestazioni e cure mediche private che verrebbero rinviate di mesi, quando non anni, se venissero eseguite negli ospedali pubblici.
    In Piemonte quasi il 7,2% delle famiglie vede ogni mese una larga fetta dei consumi assorbita dalla voce "spese sanitarie". Un dato poco al di sotto della media nazionale (7,6%). La situazione più preoccupante, in termini percentuali, riguarda il Sud (i dati peggiori si registrano in Calabria e Basilicata). Ma i numeri assoluti evidenziano come anche nelle regioni settentrionali, tra cui il Piemonte, la fotografia sia tutt'altro che positiva. Se in Basilicata, ad esempio, sono 17 mila le famiglie che sostengono spese mediche in quota maggiore del 20% del totale dei consumi non essenziali, in Piemonte il dato è di sei volte superiore. Rispetto alle altre Regioni, si legge ancora nella ricerca, la spesa medica delle famiglie piemontesi è inferiore del 30%.
    Il dossier curato dal professore di Statistica della Lumsa di Roma Antonello Maruotti, con i contributi del ricercatore Pierfrancesco Alaimo Di Loro e Cathleen Johnson (Università della West Virginia) evidenzia come le spese mediche siano sempre più a carico delle famiglie italiane. È il paradosso del federalismo sanitario: nelle intenzioni avrebbe dovuto migliorare e rendere più efficiente il sistema sanitario, in realtà ha scavato nuovi solchi che hanno aumentato le diseguaglianze.
    Ma quali sono le famiglie che rischiano di impoverirsi a causa del peso maggiore delle spese sanitarie? Quelle con figli minorenni e anziani a carico, quelle dove i capofamiglia sono donne, con un basso titolo di studio e un lavoro modesto e gli operai.
    La situazione denunciata dalla Lumsa disegna una situazione che mette in dubbio i tre pilastri su cui si basa il servizio sanitario nazionale: universalità (prestazioni estese a tutta la popolazione), uguaglianza (accesso dei cittadini al Ssn senza distinzioni sociali ed economiche) ed equità (a tutti va garantita parità di accesso in rapporto a uguali bisogni di salute). Leggendo questi dati anche l'articolo 32 della Costituzione – «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» – sembra scricchiolare.

 

 

 

 

 

ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI

COST PONTE M

 

 

 

 

Diritti degli azionisti

La Direttiva 2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa' quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti posti.

 

Considerando le difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da seguire per porre domande alle societa',

 

Ritiene la Commissione:

che il diritto degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?

che la possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con la Direttiva 2007/36/EC?

 

In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato appieno? Sergio Cofferati

 

 

IL MIO LIBRO "L'USO DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT, TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da LIBRAMI-NOVARA nel 2004,  e' ora disponibile liberamente  CLICCA QUI 

 

In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto eccone la prova:   

DOC DIGOS

 

Sentenze  

1) IL 21.12.12  alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO aula 80 C'E'  STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE  PER LA QUERELA DELLA  FIAT,  PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME  DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA NELLE ASSEMBLEE .

 Mb

SCAPARONE     SENT Mb

il 24.11.14 alle ore 1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e' responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1° grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di opinione con una sentenza del 14.09.15.

SOTTO POTETE TROVARE LA DOCUMENTAZIONE

SENT 2013   FIAT 2013  PM 2013 SENT 2015  FIAT 2015  PG 2015  SCA 14.11.14 SCA 24.11.14  SENT CASS

2) il 21 FEBBRAIO 2013  GS-GABETTI sono stati condannati per agiotaggio informativo.

SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS

SENT CASS  SENT AP TO

 

Ifil-Exor: no risarcimento a parti civili, Consob punta a Cassazione

Borsa Italiana-21/feb/2013

Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli azionisti, tra cui Marco Bava, noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so ...

 

SU INTERNET IL  LIBRO DI GIGI MONCALVO  SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

PRES LIBRO   COP LIBRO DICEMBRE

Edoardo, un Agnelli da dimenticare

 

Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e' l'ultimo di Puppo :

EDOARDO AGNELLI, UN GIALLO TROPPO COMPLICATO - DIRITTO DI CRONACA

Ma Lapo ricorda il suo cane :

http://www.today.it/rassegna/morto-cane-lapo-elkann-comodino.html

 

 

La vostra voce in Europa - Consultazioni aperte - IT

 

 

www.italiachecambia.org

www.jobyourlife.com

www.osservatoriodannoallapersona.org

www.valserena.it PER PRODOTTI NATURALI

 rowdfundingbuzz.it

http:/fliiby.com/marcobava/?utm_source=in150&utm_medium=email&utm_campaign=life_cycle

http://paoloferrarocdd.blogspot.it/

 

Sarà operativa dal 9 gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo

http://ec.europa.eu/consumers/odr/

 

 

http://www.freevillage.it/ sito avv.Mario Piccolino ucciso il 29.05.15

 

VIDEO Mb

https://youtu.be/ACwrglgdOeA

https://youtu.be/gQoC1u6yWOM

https://youtu.be/pJ3Y_oSqMV8

https://youtu.be/cSQo3ljpM-Y

 

 

 

 http://www.barattobb.it/

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Videoinforma :  www marcobava.it

 

SE VUOI VEDERE COME VA IL MOND0 VAI SU : https://youtu.be/3sqdyEpklFU

 

 

Sistema di Gestione e Controllo PRNN

https://www.mase.gov.it/pagina/pnrr/sistema-di-gestione-e-controllo

 

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI – TESTO UNIFICATO – Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’operato del Governo e sulle misure da esso adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica del COVID- 19

 

 

TO.11.06.23

H2 Mb

l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua. Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità, prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve. Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha senso H2MED.

PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO

Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.

OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2, in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.

A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non sono disponibili.

PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA PRIUS H2.

Marco BAVA
 

 

BENITO MUSSOLINI : PERDENTE

L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca. Negro, tutt’altro che ostile ai nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria, che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.

Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però molto diverse là dove la fame si fa sentire.

In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari. I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro. Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.

Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non sembrano voler infierire con la violenza, ma i fascisti della Repubblica sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.

 

STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE INTERNAZIONALE  DA VACCINI

 

17.09.23

La Ricerca delle Università Australiane basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina, Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil, Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del Queensland, Brisbane.

E’ un colossale lavoro di letteratura scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough (fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di Pfizer-Biontech (fonte 61).

“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19 è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio completo a fondo pagina)

Tutti i link ai precedenti articoli di Gospa News sono stati aggiunti a posteriori

Sommario

La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo, tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta evidenza di patogenicità.

Questo primo articolo esplora i dati sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle proteine ​​spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un “virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia molecolare e fisiopatologia.

La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi. Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e DNA e le proteine ​​spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti dannosi.

Questo articolo esamina gli effetti autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria e tempestiva.

Discussione

Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad essere chiariti.

Abbiamo stabilito che la proteina spike provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle proteine cerebrali.

La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente (infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il messaggio degli estrogeni.

La proteina Spike è citotossica all’interno delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro e causando danni mitocondriali. Le proteine ​​spike espresse sulla superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.

La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno, inducendo la formazione di coaguli di sangue.

Esiste anche un’omologia problematica tra la proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la proteina spike.

I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui geni agiscono come virus sintetici.

Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG mediante anafilassi in individui sensibili.

Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce proteine ​​spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.

Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2, suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.

La piccopatia esercita i suoi effetti, come riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine ​​transmembrana CD147 che interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti; legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi all’ER alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1 e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la funzione delle cellule endoteliali.

Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale parasimpatico.

Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione prolungata della proteina spike.

La miopericardite è riconosciuta ma spesso è stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma [116,117 ]. Le proteine ​​spike hanno anche meccanismi per aumentare la trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2 sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].

Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19 potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane [5,138].

Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono: permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180]; aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44], anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.

Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob (CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello, e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.

La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori ricerche.

Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine ​​spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.

Il vaccino doveva proteggere le persone di età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19 [10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022) [250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di età superiore a 80 anni.

Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta capacità di combattere nuove infezioni [251].

La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252]. Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.

Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie e morte.

Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è anche evidente che le proteine ​​spike ampiamente biodistribuite, prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale, inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.

I trasportatori di nanoparticelle lipidiche per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è altamente localizzata.

Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.

Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.

di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine

BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from Both Virus and Vaccine mRN
A

 

 

14.09.23

Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8 stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia, Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.

«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega l’organizzazione medica.

«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella posizione primaria che in qualsiasi posizione».

E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».

 

 

18.08.23

Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche) che ha bloccato la sua inchiesta.

Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022) per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS chimerici nel centro virologico cinese.

l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio 2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.

Nel giugno 1998 durante il vertice sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,

Nell’aprile 2004 la Commissione Europea presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo, creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS con plasmidi infettati dal virus HIV.

 

 

16.08.23

 l’instabilità del sistema colloidale di nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico) della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali, appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da Pfizer-BioNTech».

Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.

«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US 10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes” caricati positivamente».

«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per modificarne le caratteristiche funzionali:

Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente, però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».

«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata “Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes” [Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45 (31- 33)».

In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)

«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.

NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori, sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali «criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato brevetto US 10,485,884 B2»

 

14.08.23

«Per i suesposti motivi, questo giudicante ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la “particolarità” della materia trattata».

L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi inferiori a 1.100 euro.

Non è il primo e non sarà l’ultimo pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

«Ebbene, al di là delle pronunce del Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)

«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2, 36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»

«Sebbene la legge possa prevedere l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”…»

«E ciò a conferma della consapevolezza del legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria».

In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso di addebito di 100 euro al suo assistito.

 

08.08.23

Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli distribuiti al pubblico.

Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che, a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.

L’ammissione è arrivata durante una rigorosa sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al “Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge Gateway Pundit

23.07.23

I vaccini Covid contengono proporzioni considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle campagne di vaccinazione.

L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e' l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima iniezione Pfizer/BioNTech.

Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA iniettato fabbricato da PfizerBiontech.

L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento. Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove tecnologie vaccinali.

La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14 giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione contro il Covid.

Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione di una proteina.

Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di altrettante proteine ​​​​spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che raggiungono. Queste proteine ​​spike attiveranno una risposta del sistema immunitario.

a proteina avanzata è stata anche presentata come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e allergiche.

Per comunicare, i batteri si scambiano importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi, che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.

Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di SARS-CoV-2.

Il plasmide viene propagato nei batteri e utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che sarà in grado di innescare la produzione di proteine ​​spike nelle cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di portare l’mRNA nelle nostre cellule

Nell’ambito dell’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una presentazione

Pfizer ha risposto di aver rinunciato volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte della loro garanzia di qualità.

Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una soluzione in base alla loro dimensione.

Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA, l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero essere presenti in una soluzione purificata.

Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono ancora stati consegnati.

Un gruppo di ricercatori, preoccupato in particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato all’analisi.

Le loro scoperte sono di natura inquietante:

Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati. Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi prodotti alle normative vigenti.


Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili, consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000 nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori poiché sono imprevedibili.


Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.

Questo è grave perché oggi la scienza non offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.

l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV. Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua produzione di proteine ​​spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).

Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.

Marc Wathelet conferma che se “il rischio di contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più preoccupanti”.

L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”. Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA, mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle nanoparticelle o una combinazione di questi fattori

 

21.07.23

Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni, sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8

“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore… Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…

Come riportato in una recensione del libro di Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans Exposed”:13

“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica degli Stati Uniti…”.

Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.

“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.

“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori nell’uomo.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

 Torniamo alle scoperte di McKernan, che oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il potenziale di causare il cancro).

Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti, afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.

Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2 utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.

Ciò significa che la contaminazione è un milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”, afferma McKernan.

Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.

“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti contaminanti di dsDNA”, scrive.

Se si sequenzia il DNA, si scopre che corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA, come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli (Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
 

Mentre i deceduti non vaccinati sono stati soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.

 

La tabella del Bollettino Covid-19 pubblicato il 24 giugno scorso dall’Istituto Superiore della Sanità di Roma – link a fondo pagina

 

«Numerosi studi riportano l’insorgenza di reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19 (Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021; Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021; Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal, 2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla & Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in tessuti terminali differenziati».

Furono proprio gli esami patologici del medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di RNA.

«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della proteina spike».

Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e Bellavite poi conclude:

«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato, questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».

L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata inchiesta.

 

di Peter McCullough – pubblicato in origine sul suo Substack

Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di mRNA.

In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.

È possibile che le nanoparticelle lipidiche si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli più grandi.

Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.

Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della campagna vaccinale.

Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi (lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto, più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha ricevuta.

Si tratta di risultati di importanza cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze. Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza. Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e, in alcuni casi, letali.

 

IN ITALIA

Il trait d’union tra questa nuova ricerca sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico e farmaceutico.

TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.

Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma, soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.

Dal canto suo la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di “nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”

Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca, Abiogen, e di Gsk Vaccines.

Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di Rappuoli.

La Fondazione Toscana Life Sciences è il soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie, del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.

E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14 Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena); le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per oltre 6 miliardi di fatturato.

Tra queste spicca il nome della bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e assegnata a quello di Pisa.

 

 

NO AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO  NON SI SPECULA
  1. IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO  PER  GIUSTIFICARE IL NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
  2. CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
  3. MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
  4. GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN ITALIA ?

 

LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE    FUSIONE NUCLEARE    QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.

IL FUTURO H2 CHE NON SI VUOLE VEDERE

E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI, COME DIMOSTRA IL : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131

 

   INFETT VIRUS  DIO UOMINI      IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA     BESTEMMIA

   RICETTA LIEVITO MADRE LIEVITO MADRE

RICAMBIO POLITICO BLOCCATO BLOCCO   ROMA  MELONI    INTERNI

 

L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016 (sottotitoli italiano)

https://www.youtube.com/watch?v=2AKpsBF-bvo

"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese

https://war.ukraine.ua/russia-war-crimes/

 

 

 

Cosa c’entra il climate change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?

 

Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia

 

Ghiacciaio della Marmolada: il climate change fa almeno 6 morti
crediti: Local Team

Il ghiacciaio della Marmolada si sta ritirando di 6 metri l’anno

(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9 feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente che ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada. Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate, scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio, pietre e acqua fusa.

La dinamica dell’incidente

Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la vetta più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000 metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e ha investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia precipitando a 300 km/h.

Il punto di distacco del seracco è ben visibile in alto a destra. Crediti: Local Team.

Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il ghiacciaio incontra delle variazioni nella pendenza della montagna. Queste deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di crepacci, che a loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio, i seracchi. Queste formazioni, seppur normali, sono per loro natura instabili. Tendono a cadere a valle, ricompattandosi con il resto del corpo glaciale, ed è difficile prevedere quando esattamente un evento del genere si può verificare.

Il climate change sul ghiacciaio della Marmolada

Il distacco del seracco dal ghiacciaio della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e reso più rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni, anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti il termometro è salito regolarmente a 10°C. Ma è da maggio che si registrano anomalie termiche molto pronunciate.

Anomalie che investono tutto l’arco alpino. Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100 km più a nord-est, uno degli osservatori con le serie storiche più lunghe e affidabili della regione alpina ieri segnalava il quasi completo scioglimento del manto nevoso. Un dato che illustra molto bene quanto l’estate del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era mai sciolta prima del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo 2003).

Che legame c’è tra il crollo del seracco e le temperature elevate? Secondo la società meteorologica alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla base a causa della grande disponibilità di acqua di fusione dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del ghiacciaio: “la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli interstrati) e l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono probabilmente le cause principali di questo evento catastrofico”.

Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di fusione – penetra fra gli strati di ghiaccio o direttamente sul fondo del ghiacciaio, incuneandosi tra massa glaciale e rocce sottostanti, per sgorgare poi al fondo della lingua glaciale. Questo processo “lubrifica” il ghiacciaio, accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle “sacche” piene d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del ghiacciaio.

Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa del riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.

Il cambiamento climatico corre più veloce sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C). Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi 2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi, l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare, rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.

 

 

https://www.rinnovabili.it/ambiente/impatti-ambientali-delle-guerre/

 

 

 

 

 

LA STRAGE DI USTICA

«Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla ricerca del Dc9 Itavia. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma» si legge ancora nell’articolo.

«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15, F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».

Lannes ha aggiunto particolari agghiaccianti. «Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della Repubblica di Roma da due poliziotti della scorta della Polizia di Stato – ho riferito, o meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone quanto avevo scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica. Ed ho indicato loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati dall’autorità giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina Militare) ha dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente esercitazione aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su cui era imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso, pur essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo in atto dall’Arma Azzurra».

 

 

IL VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA TRATTATIVA STATO MAFIA  CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.

I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO


Dichiarazione di Giuliano AMATO

«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» - INTERVISTA

(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi - inserita il 02 luglio 2010 da 31

«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce Giuliano Amato, presidente del Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Pisanu.

Perché, presidente?

«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che bisogna fare?».

Secondo lei?

«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».

Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una trattativa», come dice Pisanu?

«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad horas del provvedimento».

Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?

«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».

Perché?

«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».

L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del '93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?

«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta insoluto è la vera matrice di quelle stragi».

Che intende dire?

«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo, Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza. Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una devastante dimostrazione di potere».

Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che per la mafia furono controproducenti?

«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti israeliani per punire la politica estera italiana sul versante palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».

Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?

«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima dei magistrati».

Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini  di Henry Kissinger,  se ne interessarono con Delle Chiaie che rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia di Rejna , secondo Lo Cicero.

 

 

 

CARO PIERO ANGELA UOMO DI STATO

CARO

 

 

ESPERIENZA STORICA DELL'ARROGANZA DELLA FIAT

https://www.rainews.it/tgr/piemonte/video/2022/07/watchfolder-tgr-piemonte-web-de-ponte-auto-elettrica-vl-tg1tgp2mxf-5f9b9ee5-2a7f-4d92-81c5-52a913e172bc.html

 

 

Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks

 

 FATTI NO BLA BLA BLA  DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO PRIMA DI AGIRE

LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI DOCUMENTATE DA REPORT

DRAGHI NO RISP

QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO ?

Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.

Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe Costanza che quel giorno sedeva dietro.

Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale, viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.

La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata. Muoiono tutti sul colpo.

L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il parabrezza della macchina.

In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.

L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è ancora oggi vivo.

Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità di Cosa Nostra.

Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale. Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare qualcosa del genere.

Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.

È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare l’ordigno.

Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree circostanti.

Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del magistrato.

Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni necessarie per eseguire la strage.

Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.

E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di vita.

Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.

La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione edulcorata e distorta della strage di Capaci.

Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali Peter Gomez e Marco Travaglio.

Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni Falcone prima di morire.

L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI

All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali, incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli.

Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.

Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito comunista italiano.

Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione Sovietica, a quelle del PCI.

La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si dichiarava custode di quella ideologia.

Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con Falcone prima di essere ucciso.

Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i fondi.

I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate da Stepankov.

Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da Ronald Reagan.

Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.

Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.

Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse troppo a Mosca.

Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse, infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi non allineati né con un blocco né con l’altro.

Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente perché si era deciso di demolirla dall’interno.

La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.

Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.

Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa struttura paragovernativa internazionale.

Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale, soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita a portare avanti indisturbata i suoi piani.

Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.

Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue “riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del raggiungimento di questo obbiettivo.

I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione Sovietica.

Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella storia politica recente di nessun Paese.

Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.

A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello che era il patrimonio pubblico dello Stato.

L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e comprati da corporation angloamericane.

Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.

Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli affari penali, Giovanni Falcone.

Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.

Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito. Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca per finire in Italia.

I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.

I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno mafioso.

L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani Pulite

Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.

Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.

Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina inaugurata da Achille Occhetto.

Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico liberal progressista molto simile a quella del partito democratico americano.

Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.

A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone infernale della globalizzazione.

Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere transnazionali.

Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una condanna anticipata.

Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.

Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni mafiose.

Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni dopo a via d’Amelio.

Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.

Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per essere portata in dote alla finanza anglosionista.

Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.

E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della moneta unica, arma della finanza internazionale.

E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere così forte che fa impallidire la mafia.

I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.

Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza di un potere senza volto molto più potente.

È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso anno.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire pagare con la propria vita.

Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di banche e corporation che erano i veri registi della mafia.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la loro vita.

Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è avuta dal 1945 in poi.

 

 

 

Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
multe autovelox

La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati

AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox mobili montati sulle auto della polizia.

UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.

LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva segnalazione".

 

  

COSTITUENDA ASSOCIAZIONE:

NO-ISIS.cloud

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per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le difficolta'.

Inventarsi un lavoro invece che fare l'elemosina.

Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a Gesu' ?

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obiettivi:

1) esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati

2) lavori socialmente utili

3) pulizia e cucina autonoma

3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e far germogliare il seme del Vangelo.  Scrive suor Lucia: “Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”. interpretazione del Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice:  «La terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato, di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono responsabili».

Le storie degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:

1)  Mi trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di colore.

2) Mi trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi, arriva un nero in bici e me li chiede

3) Ero su un bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi posti e si e' messo lui

4) Ero in un team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti e poi fare le proposte: molto innovativo !

5) FINO A QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI PORTA INDIETRO.

6) perche' lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare clienti .

7) Immigrazione ed economia sono interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.

8) Gli extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.

 

09.01.19

Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?

04.02.17l

L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY l'11.09.11.

Riforma sostenuta da una maggioranza trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le assegnazioni penalizzano gli italiani .

Screening pagato dalla Regione e affidato alle Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo” Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono state curate un migliaio di persone.

Il Piemonte è la quarta regione italiana per numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare. L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono 14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a strutturale».

La Regione punta su formazione e compensazioni mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200 nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40% dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar - gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture. Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto: «Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi), “Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni). Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva, aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni, considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone, in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione, Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.

INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando si partirà.

 

Tunisia. Frattini: "Proporremo immigrazione circolare" - Il portale dell ...

www.stranieriinitalia.it/.../tunisia-frattini-qproporremo-immigrazione-circolareq.html

20 gen 2011 - L'immigrazione "circolare" è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...

Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I 60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio. «Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo accompagnato  dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi 12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo - commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia. Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione definitiva alla questione delle espulsioni?»  In ostaggio per ore Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri  21.02.17

Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese: a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli immigrati non viceversa.

 Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto  Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina. Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto, topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit». Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni. D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?». In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti: «Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai, emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne, uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi, invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui. Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso. Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque». Baraccopolid’Italia

01.03.17

GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.

 

 

 

SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10 n33

13/01/2010 - Decreto ministeriale del 13 gennaio 2010, n. 33 - Uibm

 

 

 

CORRISPONDENZA sulla Xylella fastidiosa con la UE luglio 2018

XYLELLA\18-07-31-ARES 4037967.pdf

XYLELLA\18-07-31-ARES 4037967-cover.pdf

 

 

 

Mutui, la prova della truffa Via a rimborsi per 16 miliardi

Dopo tre anni ecco la sentenza Ue sull'Euribor truccato da banche estere. Ma si può far causa pure alle italiane

Giuseppe Marino - Sab, 19/11/2016 - 15:52

La Commissione europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di euro di rimborsi da chiedere alle banche.

La storia parte con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie posizioni commerciali ed esposizioni»

Il risultato ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé, Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di euro.

La Ue ha sempre rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte «censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti: «Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo, leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1 settembre 2005 al 31 marzo 2009».

27.01.17

 

 

Come creare un meeting su Zoom? In un periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale, la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un processo estremamente semplice, che non richiede neppure la registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che desiderano creare un meeting su Zoom.

Ecco dunque una semplice guida per semplificare la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla piattaforma senza confondersi le idee.

Come si crea un meeting su Zoom

Dopo aver scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione, si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In (è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo modo:

  • Fare tap su New Meeting (pulsante arancione)
  • Scegliere se avviare il meeting con la fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
  • Premere Start a Meeting

A questo punto è stata creata la videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:

  • Fare tap su Participants (nella parte in basso dello schermo)
  • Premere su Invite
  • Scegliere il mezzo attraverso cui inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o messaggio, per esempio)

Una volta invitati gli utenti, chi ha creato il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare, piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.

Zoom, anche su dispositivi mobile

Zoom (immagine: Zoom).

Facendo tap sul pulsante Chats (in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting), permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare tutti (End Meeting).

 

 

Windows File Recovery recupera i file cancellati per sbaglio

È la prima app di questo tipo realizzata direttamente da Microsoft.

A tutti - beh, a quanti non hanno un backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file, non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per sempre.

Recuperare i file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per software specializzati.

Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha rilasciato una piccola utility che si occupa proprio del recupero dei file.

Si chiama Windows File Recovery ed è disponibile gratuitamente sul Microsoft Store.

Si tratta di un programma privo di interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di Windows.

L'utility ha tre modalità base di funzionamento. Default, suggerita per i drive Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome, la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni, cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).

Windows File Recovery è in grado di tentare il recupero da diversi filesystem - quali Ntfs, exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a disposizione una pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.

Qui sotto, alcune schermate di Windows File Recovery.

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Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28141

 

Bloatbox ripulisce Windows 10 dalle app indesiderate

Bastano pochi clic per eliminare tutto il bloatware preinstallato.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28201

Non si può dire che Windows 10 sia un sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé, insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.

Rimuoverle a mano una a una è un compito tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera operazione: Bloatbox.

Nata come estensione per Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con Microsoft da Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.

Il motivo è un po' la medesima ragione di vita di Bloatbox: non rendere Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.

Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di archivio .zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file Bloatbox.exe per avviare l'app.

La finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo, Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del computer.

Ciò che occorre fare è selezionare quelle app che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il pulsante , che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si trovano tutte le app condannate alla cancellazione.

A questo punto si può premere il pulsante Uninstall, posto nella parte inferiore della colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.

L'ultima versione al momento in cui scriviamo mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare una "pulizia generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....

Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di eliminazione tutte le app preinstallate e considerate bloatware. Chiaramente l'elenco può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si intende tenere tramite il pulsante Remove selected.

 

 

 

 

Il sito che installa tutte le app essenziali per Windows 10

Bastano pochi clic per ottenere un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo software.

Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente configurato e utilizzabile.

A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter automatizzare.

Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e installarle in autonomia.


Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti (Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e, dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di fornire un'interfaccia grafica.

Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.

Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è molto simile al già citato Ninite.

Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve essere preventivamente installato sul Pc.

Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo sviluppatore ha battezzato Featured Pack.

Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.

In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa di invocare Winget per portare a termine il compito.

I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a creare il proprio e a condividerlo.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369

 

 

Cos’è e a cosa serve la pasta madre

La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.

Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane, pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili, conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.

La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.

I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno, evitando picchi glicemici.

Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi, si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari tipi di farine, anche senza glutine.

La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.

 

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