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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto l'avv.Guido
Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia
mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento sia andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018).
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx,
che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21
Le
ragioni per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti
umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella
delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
NON
DIMENTICARE CHE:
Le informazioni
contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore
deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun
caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
La
ringraziamo sinceramente per il
Suo interesse nei confronti di una produzione duramente colpita
dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini
di stagionatura. Il sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana
Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme
crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve
la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di
conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che
va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e
poi trasferito
in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo
perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito
http://emergenze.coldiretti.it tutte le
informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse
regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori
di Campagna Amica.
Ladri
di bambini A Mosca si sta scrivendo un nuovo testo scolastico di Storia
in cui l'invasione dell'Ucraina viene descritta come una necessaria
guerra di difesa, unica soluzione all'aggressione dell'Occidente,
che starebbe usando l'Ucraina come un «pugno» per colpire la Russia
e come «punto d'appoggio per un attacco della Nato contro la
Russia». Insomma, la guerra su vasta scala non poteva essere
evitata. Il testo, che entrerà in classe a settembre, ribadisce la
linea del Cremlino secondo cui l'obiettivo sarebbe quello di
«demilitarizzare e denazificare» l'Ucraina e si conclude con una
frase di Viaceslav Molotov riesumata dai tempi di Urss e nazisti:
«La nostra causa è giusta! Il nemico sarà sconfitto! La vittoria
sarà nostra!».
E fin qui, nessuna sorpresa. La notizia diffusa da Meduza non fa che
aggiungere dettagli alla riscrittura della Storia di Mosca, ma
assume contorni diversi se si pensa che a leggere quelle righe
saranno 16 mila bambini ucraini, figli di quei «nazisti» che la
Russia vuole eliminare dalla faccia della terra.
Dall'inizio dell'invasione russa sono in totale 16.226 i bambini
ucraini deportati in Russia. Di questi, solo 300 sono stati
riportati alle loro famiglie o comunque in patria, mentre in totale
quelli che sono stati «localizzati» sul territorio della Federazione
sono 10.513. Degli altri cinquemila che mancano all'appello non si
sa più nulla. Si sa, invece, come raccontato dal Guardian, che
alcune famiglie russe hanno tentato di nascondere bambini ucraini
per non perdere i sussidi garantiti per l'affido. Ci sono stati
casi, racconta il giornale britannico, in cui i genitori sono stati
convinti da parenti e amici russi ad affidargli temporaneamente i
propri figli per salvarli dai bombardamenti. Svitlana, mamma di
Kherson, ha rintracciato sua figlia dopo mesi, era finita in un
villaggio nella Russia profonda, in un «centro di riabilitazione».
Basta consultare le pagine web delle associazioni ucraine che stanno
cercando i bambini deportati per capire che una grande parte dei
piccoli scomparsi dai radar abitavano a Mariupol e nei territori
occupati. L'assedio più feroce della guerra e la cortina di silenzio
caduta dopo l'occupazione ha garantito un ampio margine di manovra.
Contrariamente a quanto immaginato, a sparire oltreconfine non sono
stati solo gli orfani e bambini non accompagnati, ma anche allievi
di collegi e bambini separati dalle famiglie a causa dei
bombardamenti. In alcuni casi tratta di piccoli che si trovavano in
zone occupate mentre il resto della loro famiglia si trovava in zone
controllate dagli ucraini, o figli di genitori imprigionati dopo
essere stati separati nei campi di filtraggio o i cui genitori sono
stati uccisi, in particolare durante l'assedio di Mariupol. Ci sono
nonni che da mesi cercano i loro nipotini, volatilizzati assieme ai
genitori.
Alcuni bambini sono spariti da oltre un anno, come Vlad Hristosenko,
7 anni, scomparso il 25 febbraio nel villaggio occupato di
Petropavlivka, oblast di Lugansk, o Yaroslav Sytnyk, 3 anni,
scomparso a Mariupol il 21 maggio 2022. Di alcuni si hanno tracce
grazie alla spudoratezza russa, che li ha usati come bandiera della
propaganda. Uno dei casi più eclatanti lo scorso febbraio: al
culmine dello sfarzo a Mosca per celebrare il primo anniversario
dell'inizio della guerra, il Cremlino ha mostrato alle tv di Stato i
bambini «salvati» da Mariupol, in modo che potessero "ringraziare"
gli invasori. Una delle protagoniste di questa orgia di patriottismo
è stata Anna Naumenko, quindicenne dai capelli neri, che è stata
spinta sul palco dello stadio Luzhniki di Mosca per ringraziare un
soldato soprannominato "Yuri Gagarin": «Grazie zio Yura per aver
salvato me, mia sorella e centinaia di migliaia di bambini a
Mariupol». La mamma di Anna, Olga Naumenko, era morta per le schegge
di un a bomba russa.
Per Anna, e per gli altri 16.225 bambini, la Corte penale
internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di cattura contro il
presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti
dei bambini, Maria Lvova-Belova, con l'accusa di crimini di guerra
per aver deportato illegalmente bambini ucraini in Russia. —
"Sleale l'attacco ai giudici contabili il consenso non esenta dai
controlli" «La polemica con la Corte dei conti non è un fatto isolato,
ma solo l'ultimo di numerosi sintomi di un progressivo
allontanamento dal principio di legalità. Il ritorno a un governo
politico viene inteso come diritto a svincolarsi da ogni tipo di
controllo. La rivincita astiosa di una politica che si pensa senza
lacci e lacciuoli è una preoccupante caduta culturale», dice Gaetano
Azzariti, docente di diritto costituzionale all'università La
Sapienza.
A quali sintomi si riferisce?
«L'Anac e l'ufficio parlamentare di bilancio messi al bando. Ogni
rilievo tecnico, giusto o sbagliato che sia, liquidato con
supponenza».
Come valuta le rimostranze della Corte dei conti?
«La Corte, come il Consiglio di Stato, è rubricata nella
Costituzione tra gli organi ausiliari del governo. La Carta demanda
alla legge di assicurarne l'indipendenza. È chiaro che un controllo
sulle spese va fatto da un organo terzo rispetto a chi ha la
responsabilità della spesa».
La Corte ha esondato?
«Non mi pare. Ha mosso rilievi su un fatto politicamente acclarato e
contabilmente delicato: i ritardi sul Pnrr. Dunque questa ostilità è
incomprensibile, nell'ottica della leale collaborazione».
Un principio che non è scritto nella Carta.
«Ma è stato elaborato dalla Corte costituzionale, come bussola dei
rapporti tra istituzioni. Qui mi pare si vada nella direzione
opposta, verso la sleale contrapposizione».
Qual è l'effetto?
«La chiusura dei singoli poteri in sé stessi».
Di tutti i poteri?
«In realtà, paradossalmente, gli organi di garanzia si aprono e
cercano leale collaborazione; quelli politici, da molto tempo, la
rifiutano. Un esempio è dato dal fatto che il Parlamento non ha
risposto - o nell'ultimo caso, ha risposto tardivamente e malamente
- alle tre sollecitazioni della Corte Costituzionale su fine vita,
carcere per diffamazione ed ergastolo ostativo».
Questioni che risalgono a periodi precedenti.
«Le prime due sì. A dimostrazione che questo governo porta solo
all'estremo i difetti preesistenti, aggiungendo in più, però, una
pretesa rivendicativa di legittimità. Mentre gli altri almeno se ne
vergognavano, o comunque non li ostentavano».
Qual è la differenza?
«Un preoccupante presupposto ideologico: noi eletti rispondiamo solo
al popolo, non a controllori o garanti».
Compreso il Quirinale?
«Sì, come dimostra l'ultimo richiamo ai presidenti delle Camere sui
decreti legge, dopo precedenti inascoltati».
Non è il primo governo ad abusarne.
«La patologia è antica, ma la volontà di alterazione di questo
governo è inedita. Non solo per l'aspetto quantitativo – un decreto
a settimana – ma anche per le forzature nel contenuto su materie
disomogenee ed estranee a quelle originarie. In violazione della
stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale».
Il richiamo del capo dello Stato sortirà effetti?
«Questi vizi sono facili a prendersi, difficili a perdersi».
Va ripensato lo spoils system?
«Ha senso per ruoli di stretta collaborazione fiduciaria del
governo. Quando si allarga coinvolgendo tutti gli enti sino alla
televisione pubblica, diventa un'altra cosa».
L'anno prossimo la Corte Costituzionale cambierà segno, con 6 nuovi
giudici, di cui 4 decisi dal Parlamento. Rientra in questo discorso?
«Sarà un banco di prova decisivo. Se prevalesse questa mentalità di
occupazione delle istituzioni, sarebbe una rottura costituzionale.
Non ci si può appropriare degli organi di garanzia».
Le regole non bastano?
«Alla logica di scelte condivise dei giudici risponde la previsione
di maggioranze qualificate. Quando però sono state introdotti premi
e sistemi maggioritari si è alterato l'equilibrio. Ora è più facile
imporre l' appropriazione».
È un rischio attuale?
«Auspico che non avvenga. Sarebbe una cesura rispetto alla
tradizione di una Corte che deve rimanere estranea al controllo
della maggioranza parlamentare. La avvicinerebbe a democrazie
illiberali come Ungheria e Polonia. Persino negli Usa la Corte
suprema, quando c'è un forte sbilanciamento politico, perde
autorevolezza e produce sentenze divisive al limite della crisi
costituzionale».
Questo discorso vale anche per il presidenzialismo?
«Noi siamo molto bravi a copiare i modelli quando questi sono in
crisi. Vale soprattutto per il presidenzialismo. Che vogliamo
importare con grave ritardo, e proprio mentre anche i modello
ritenuti migliori, quelli americano e francese, mostrano segni di
profonda crisi. Per non parlare di quello dell'elezione diretta del
capo del governo, durato in Israele lo spazio di un mattino».
Il premierato, o sindaco d'Italia, è un compromesso?
«A me pare la soluzione più ipocrita. È uno slogan, come se
governare uno Stato equivalga ad amministrare un Comune. E poi si
giustifica con la tutela e conservazione della figura di garanzia
del capo dello Stato».
Non le pare un'esigenza condivisa?
«Messa così o è una truffa o è frutto di insipienza. Se al capo
dello Stato sottrai i due poteri principali – scelta del presidente
del Consiglio e scioglimento delle Camere – lo riduci a un simulacro
di sé stesso. Per giunta eletto da un Parlamento senza più
autorevolezza, a fronte di un premier investito dal popolo. Un
fragile vaso di coccio al cospetto di un vaso di ferro».
Intervenire sulla Corte dei Conti con decreto sarebbe un problema?
«Con un decreto legge sarebbe più che un problema, un'insensatezza.
Si tratterebbe solo di un decreto usato strumentalmente per regolare
i conti, e mi scuso per il gioco di parole».
Erdogan voglia di vendetta
Davanti al caffè Osman saranno una ventina, tutti uomini fra i
trenta e i sessanta, le camicie a quadretti, le facce grigie come i
vetri impolverati del locale, davanti ai tavolini con le scacchiere
del taule, il backgammon mediorientale, o il rosario in mano e un
bicchierino del tè, cupo come i loro sguardi. Alle propaggini
occidentali di Fatih, ai piedi delle colossali mura romane, con
incastonate le rovine del palazzo dei Porfirogeniti, l'ultima
dinastia bizantina, l'aria è dimessa, come se il padrone di casa in
questo quartiere conservatore, Recep Tayyip Erdogan, non avesse
vinto. La sezione dell'Akp è ancora chiusa, il manifesto con lo
slogan "l'uomo giusto, il momento giusto", mezzo scollato. Il fiume
di turisti che invade e tiene in vita Istanbul qui sgocciola appena.
Murat, 34 anni, barba nera tagliata a spazzola, ha provato a
intercettarne qualcuno con un piccolo locale, dieci seggiole in
tutto, sotto antiche arcate in mattoni. Mostra la vota con la moglie
velata e i due figli di otto e dieci anni e attacca una lunga tirata
contro i rifugiati siriani, causa di tutti i mali. Nella classe del
più grande, spiega, "ora sono in quaranta, quindici arabi, che non
parlano turco, è una bolgia, non si può andare avanti così". Ha
sempre votato per l'Akp ed Erdogan ma questa volta non è andato ai
seggi: "La politica ci ha rovinati, la lira non vale più niente, una
volta che ho pagato l'elettricità e la benzina, a fine mese non mi
resta nulla dell'incasso, che devo fare, me ne andrò in Canada come
tanti miei amici".
Il risveglio nel "secolo della Turchia", come l'ha definito il capo
nella notte dopo la vittoria, sembra quello dopo una sbornia finita
male. La prima brutta sorpresa, per milioni di piccoli imprenditori
che sono nati e cresciuti nell'era Erdogan, è stato il crollo della
valuta, che ha toccato i nuovi minimi storici nei confronti
dell'euro, a quasi 23. La Borsa è andata su, ma non è un buon segno,
perché sconta il fatto che sono in arrivo nuovi tagli ai tassi
d'interesse per la strana idea di politica economica del leader
turco, che ha imposto la riduzione del costo del denaro mentre
l'inflazione galoppa all'85 per cento annuo, seconda sola a quella
del Libano. Erdogan, davanti alla folla che lo osannava, ha
sorvolato su questi aspetti spiccioli, per concentrarsi sui "sogni"
della nazione, i grandi progetti in patria e alle frontiere. Ma sa
molto bene che presto lui e il suo popolo dovranno fare i conti con
la realtà. L'erosione del potere d'acquisto è troppo violenta, i
dubbi fiaccano anche la sua base più fedele, e allora rilancia,
devia la rabbia e le angosce, promette il pugno di ferro contro i
curdi mentre i militanti cantano "pena di morte per Demirtas", il
leader dell'Hdp imprigionato dopo la tremenda repressione del 2016,
annuncia che manderà via "un milione di siriani", su base
volontaria, certo, ma intanto ribalta la sua politica di accoglienza
e strizza l'occhio agli ultranazionalisti.
Ha una spina nel fianco destro. A partire dall'inaspettato consenso
per Sinan Ogan, sovranista odiatore degli immigrati, che è dilagato
persino nelle roccaforti dell'Akp come Fatih. In Parlamento, per
quanto depauperato di potere dalla riforma presidenzialista, deve
appoggiarsi sull'Mhp dei "lupi grigi", che i curdi li
sterminerebbero e gli "arabi" li picchiano in raid sempre più
frequenti. In quelle frasi rabbiose arrivate dopo le prime reazioni
da padre della patria, di vittoria di "tutti gli 85 milioni di
turchi", spiegano questo disagio, oltre il calcolo politico, cinico
come al solito. Fra un anno ci saranno le amministrative, il Chp già
controlla Istanbul, Ankara, Smirne, l'Akp rischia la disfatta. Il
fronte dei sindaci, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, è rimasto
compatto attorno al candidato Kemal Kilicdaroglu, nonostante la
frattura interna al partito, e ancora ci crede, lo stesso
Kilicdaroglu ha evitato di ammettere la sconfitta e si è detto
"triste per la situazione economica", con il peggio che "deve ancora
venire". Come dire, "non è finita", e quel 48 per cento, conquistato
con tutte le tivù e gli apparati dello Stato schierati contro, è
comunque un risultato che fa sperare.
Erdogan ha usato tutti i poteri, tutte le epurazioni dell'ultimo
decennio, per ritagliarsi un posto nella Storia. Ma sente il vento
girare, anche sul piano internazionale. Ha ricevuto le
congratulazioni della Casa Bianca e del Cremlino, di leader asiatici
ed europei, è vero, ma intanto Mosca minaccia di uscire dall'accordo
sul grano, indispensabile per mantenere a livelli accettabili il
prezzo del pane e dell'amata pide, la focaccia turca. In Medio
Oriente ha assistito alla riabilitazione del suo nemico giurato
Bashar al-Assad, che aveva promesso di abbattere per "andare a
pregare alla moschea degli Omayyadi" a Damasco. Ora, se davvero
vuole rispedire a casa i siriani, dovrà scendere a patti con
l'odiato raiss, e forse, addirittura, ritirare le sue truppe dai
territori occupati fra il 2016 e il 2019, abbandonare al loro
destino gli alleati jihadisti usati per fare il lavoro sporco contro
i curdi.
Non sono belle prospettive. L'idea grandiosa di tornare il ponte
indispensabile tra Oriente e Occidente si scontra con i limiti
dell'economia, delle capacità industriali. Le sanzioni Usa pesano,
il ministro dell'Interno Süleyman Soylu, campione sovranista dell'Akp,
minaccia di "cacciare" i soldati statunitensi, colpevoli di
proteggere i curdi, cavalca l'antiamericanismo, mai sopito ma alla
fine impotente, perché tutti sanno che fuori dalla Nato il ruolo
della Turchia sarebbe a dir poco dimezzato. La sbornia della
retorica non è finita, Erdogan celebra su Twitter la "conquista di
Costantinopoli", il 29 maggio di 570 anni fa. Era previsto un grande
comizio, prima della preghiera a Santa Sofia, ma poi i piani sono
cambiati. La realtà incombe, i sogni imperiali hanno bisogno di
soldi, il consenso di pane e lavoro. Anche il Sultano che ha
dominato il primo quarto del "secolo della Turchia" deve farci i
conti. —
Metodo Erdogan : Gli stranieri chiedono: "Come è possibile?
Perché ha vinto di nuovo?". Io rispondo dicendo tre cose, in questo
ordine: primo, le cifre non sono del tutto affidabili a causa dei
brogli elettorali. Secondo, la competizione elettorale non è stata
equa: noi ci siamo battuti contro uno stato-partito. Terzo, avete
voglia di ascoltare la versione lunga dei fatti? Se è così, ecco
qui.
Erdogan, più di ogni altra cosa, ha insegnato alla Turchia che il
fascismo non è soltanto opera di cattivi che sconfiggono i buoni e
li sostituiscono dalla sera alla mattina. Si tratta, invece, di un
tracollo morale esasperatamente lento, di un processo politico in
technicolor che fa a pezzi l'intera società. Tutto incomincia come
qualsiasi schema a piramide. All'inizio troppe persone credono con
troppo entusiasmo in qualcosa di losco. Poi subentra l'enorme
tempesta dell'"Everything, Everywhere, Happening all at Once" che,
secondo una battuta molto popolare in Turchia, sembra quasi una
prova di resistenza su vasta scala gestita da alieni malvagi. Poi,
nel gran finale, dopo vent'anni di incredibile indebolimento, il
Paese deve scegliere tra perdere tutto oppure ricostruire a partire
da zero, sia dal punto di vista politico sia da quello morale, tutto
ciò che è andato distrutto. Nel XXI secolo il fascismo, ci ha
insegnato Erdogan, è ancora una questione di sfacciataggine, di
crudeltà organizzata e di condiscendenza. E inizia sempre con
promesse impossibili.
Ventuno anni fa, Erdogan era un conducente di tram che prometteva a
tutti di portarli a destinazione, addirittura in direzione opposte.
Aveva una causa. La causa rimase abbastanza vaga da attirare
chiunque. Ed è così che i poveri delle città, gli imprenditori
conservatori dell'Anatolia centrale, le sette islamiche, l'élite
liberale di Istanbul, gli ex sinistrorsi e i centristi elessero i
loro rappresentanti. A non molti piaceva che fossero ricordate loro
le parole pronunciate da Erdogan prima di arrivare al potere nel
1996: "La democrazia per noi è un tram. Scenderemo quando saremo
arrivati dove vogliamo arrivare". Il tram è andato troppo veloce,
quelli che hanno deciso di scendere sono stati investiti, e già
troppe persone si sono lasciate suggestionare fin dal primo giorno.
Erdogan ha instaurato un rapporto emotivo indissolubile con la sua
base prima di salire al potere. Ed è stato anche maledettamente
fortunato. Subito dopo l'11 settembre, quando l'Occidente aveva
bisogno di un leader esemplare nel mondo musulmano, gli fu facile
cavalcare l'onda e incarnare agli occhi di tutta la comunità
internazionale il connubio perfetto tra Islam e democrazia. In
Turchia, grazie al predominio nel dibattito politico di valenti
addetti alle relazioni pubbliche del partito, è riuscito ad
assimilarsi alla democrazia. Se siete contro Erdogan, siete contro
la democrazia. Il culto della sua persona, così efficacemente
costruito da lui stesso, è rimasto inviolabile grazie al fiorire
dell'economia. Non molti erano disposti ad ammettere che, di fatto,
Erdogan stava trasformando il contratto sociale dietro le quinte,
con la sottomissione a chi governa in cambio di benessere economico.
Eppure, nel 2007, quando ha vinto ed è stato eletto per la seconda
volta, nel discorso per la proclamazione della sua vittoria qualcosa
ha timidamente segnalato un cambiamento: "Quelli che non hanno
votato per noi sono gli altri colori di questo Paese". Da allora,
alcuni di noi non sono stati più cittadini alla pari, ma un
abbellimento del Paese. In un primo momento sono stati quelli
sacrificabili poi, con il passare del tempo, sono diventati quelli
da disapprovare.
Con sufficiente sostegno politico, nel secondo mandato sono occorsi
a Erdogan soltanto tre anni per trasformare il regime a suo piacere.
La democrazia parlamentare è stata soppiantata da un sistema
presidenziale con minimo controllo mentre l'apparato statale,
compreso il ramo giudiziario, è diventato un arto artificiale del
presidente. Il tutto è avvenuto con due referendum soltanto.
L'epurazione tra le forze armate, i media e gli opinion leader laici
ha segnato il suo secondo mandato. Un'enorme struttura carceraria,
Silibri, è stata realizzata con tanto di tribunale interno per stare
al passo con le sentenze sfornate a getto continuo. Il suo stile
mafioso sempre più spiccato in politica, il crescente nepotismo al
governo, l'inizio della corruzione assoluta del suo potere assoluto
erano ignoti ai suoi sostenitori, perché Erdogan è riuscito a
mettere a tacere tutti i media più importanti con indagini
tributarie e mandando in carcere i giornalisti. Oltre a esercitare
il controllo su quasi il 90% della stampa, nel 2012 la macchina
della propaganda del partito ormai lavorava a pieno regime anche sui
social media di recente diffusione, e gettava fango su qualsiasi
personaggio politico che esprimeva critiche contro Erdogan.
Quell'anno a mio nome c'erano molti account porno, molti dei quali
creati per far credere che io fossi una concubina in un palazzo di
uno sceicco saudita, se non una spia al soldo di britannici,
tedeschi e iraniani, tutti contemporaneamente.
Le crescenti tensioni politiche esplosero nel 2013, durante le
proteste per il Parco di Gezi, e dilagarono nel Paese per tutta
l'estate. Milioni di persone tennero testa alla sua oppressione. La
reazione fu spietata. L'insaziabile brama di potere di Erdogan e il
suo disfacimento morale si manifestarono in due incidenti
sanguinosi: quando impartì l'ordine alla polizia di aprire il fuoco
e quando fece scendere in piazza i suoi sostenitori. Il tutto si
concluse con dodici morti. Una delle vittime, il diciassettenne Ali
Ismail Korkmaz, fu picchiato a morte da alcuni commercianti,
fedelissimi di Erdogan. Il quattordicenne Berkin Elvan, investito da
una lattina di gas lacrimogeno, morì dopo mesi di coma. Quel giorno,
il presidente invitò i suoi sostenitori presenti a un comizio a
fischiare i genitori del ragazzo, accusati di essere terroristi.
Paralizzati dalla sua sfrontatezza, i presenti rimasero frastornati
quando, per sbaglio, si udirono dall'altoparlante le parole di una
sostenitrice del presidente che diceva: "Io sono i peli sul culo di
Erdogan!". Molti commentarono dicendo: "Stiamo combattendo contro
gli orchi".
La malvagità sconvolgente di cui Erdogan ha prova dopo il 2013 è
penetrata giù, fino alla sua base, e i suoi tirapiedi hanno assunto
il controllo della vita sociale al punto che quando i femminicidi
sono aumentati in modo esagerato gli assassini hanno potuto restare
pressoché sicuri di rimanere impuniti: bastava gridare a voce
abbastanza alta "lunga vita a Erdogan!". Nelle cause di divorzio, il
coniuge che accusava l'altro di aver denigrato Erdogan aveva la
meglio. Nel 2014, quando ha messo piede nel suo nuovo gigantesco
palazzo abusivo, si è visto che godeva di un alto livello di
immunità. In otto anni della sua presidenza sono state intentate
quasi duecentomila cause per diffamazione del presidente, 305 delle
quali a carico di bambini.
Erdogan ha vinto le elezioni del 2014 e 2018 con la politica della
paura, con brogli elettorali su vasta scala, con l'oppressione vera
e propria. Malgrado ciò, è stata perlopiù la rete dei rapporti
economici politici a tenerlo saldamente al potere, come pure la rete
della sicurezza che ha tessuto così bene a suo favore. Nel mezzo,
poi, c'è stato lo strano colpo di Stato del 2016. Il colpevole è
stato indicato nel movimento di Fethullah Gülen, suo ex alleato
politico, a cui aveva assegnato i ministeri delle forze armate,
dell'istruzione e della giustizia. Ma costoro non sono stati gli
unici a essere puniti.
Essendo un animale politico spietato, capace di trasformare ogni
crisi in un'opportunità di convenienza politica per tutta la durata
della sua carriera, Erdogan si è sbarazzato di ogni avversario e
critico possibile, facendo del tentato colpo di Stato la sua arma
assoluta. Nella notte del tentato golpe, per ordine diretto di
Erdogan i minareti hanno intonato la "sela", la preghiera dei morti,
e hanno continuato a suonarla fino al mattino. Alcuni, me compresa,
hanno ricordato i versi della poesia che fece di Erdogan prima un
martire politico e poi, nel 1997, l'eroe delle masse: "Le moschee
sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le
nostre baionette…" Quello era il capolinea. A molti, come me, non è
rimasta altra scelta se non quella di partire.
La Turchia ha assistito così alla sua fuga di cervelli più
significativa. In tre anni hanno lasciato il Paese quasi
quattrocentomila persone, perlopiù medici, accademici e ingegneri.
Nel 2021, Erdogan è stato libero di equipararsi allo Stato e al
partito dicendo: "Il destino del Paese è diventato tutt'uno con
quello del partito. Chi non ama il partito non ama la Turchia". In
ogni caso, il partito era spossato dalla lunga permanenza al potere
e ha dovuto affrontare la crisi economica più grave della Storia
turca, mentre l'opposizione radunava tutte le sue forze per dire
"adesso basta". Lo abbiamo fatto due volte, alle elezioni del 14
maggio e al ballottaggio del 28. L'esito, però, è chiaro. Metà delle
esortazioni del Paese a salvare le donne e i bambini dagli islamisti
radicali, a liberare il Paese dal regime di un solo uomo e a
invertire la fuga dei cervelli dalla Turchia è rimasta vana. Quasi
il 52% degli abitanti del Paese – compresi siriani, qatarini e
sauditi ai quali Erdogan ha dato la cittadinanza – hanno votato a
favore del leader autoritario. Dalla sera delle elezioni l'altra
metà della popolazione è lacerata dalla sensazione di aver perso il
Paese per sempre e dal desiderio di raccogliere le forze per tenere
testa alla situazione e combattere contro le tenebre. Tutti, però,
sanno dalla storia di Erdogan che, se si arriverà a tanto, sarà un
lungo inferno.
29.05.23
LA CORTE DEI CONTI NON SI DEVE TOCCARE :
Per il ministro delle Infrastrutture
Matteo Salvini il futuro Ponte sullo Stretto di Messina deve essere
fatto, e nonostante i molti dubbi che circolano, e che riguardano il
costo per lo Stato, l'impatto ambientale, il rischio sismico e altri
aspetti, al leader della Lega la realizzazione sembra farsi più
vicina: «I primi fondi per finanziare la costruzione arriveranno
nella legge di Bilancio del prossimo inverno» ha detto ieri Salvini
al Festival dell'Economia di Trento, provando anche a rassicurare:
«I 13,5 miliardi di euro di cui si è parlato sono la cifra
ipotizzata massima di spesa, ma conto che si possa arrivare a un
minore costo». Questo benché un'esperienza pluridecennale dica il
contrario: in Italia la spesa per le opere pubbliche è sempre
superiore al previsto, e di solito largamente superiore.
Sull'opportunità di realizzare il Ponte, ieri Salvini ha trovato
sostegno da parte del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, sia
pure nell'ambito di un discorso articolato («siamo favorevoli, ma
non può essere una sola infrastruttura, deve inserirsi in un piano
delle infrastrutture molto ampio. E sulle risorse spetta al governo
trovarle», ha detto Bonomi).
Sempre allacciandosi alla questione del Ponte, Salvini ha riacceso
anche il dibattito sulle riforme istituzionali, citando in
particolare la questione dell'Autonomia rafforzata e differenziata
fra le Regioni, che i detrattori temono possano ampliare i divari di
ricchezza fra i territori: il leader della Lega ha detto che «i
critici dell'Autonomia sono come quelli del Ponte, non sanno di che
cosa stanno parlando. L'autonomia non toglie un euro a nessuno ma
incita a spendere meno e spendere meglio». E nel solco della
tradizione della Lega, sempre attenta a sostenere le identità dei
territori, Salvini ha perorato anche la necessità di ripristinare le
Province. Prendendo spunto da quanto avvenuto in Emilia Romagna
nelle settimane scorse, ha detto che l'ente Provincia «deve tornare
a esistere, con tutti gli onori e oneri, con rappresentanti eletti
da tutti i cittadini, perché nelle condizioni in cui sono adesso le
Province non sono in grado di poter far fronte alle esigenze».
Comunque il leader della Lega è prudente sulla questione più
generale delle riforme. Ha detto infatti che «quando si tratta di
mettere mano alla Costituzione c'è da andare cauti», e in
particolare «non toccherei il ruolo del Presidente della
Repubblica». Le priorità, ha detto, sono altre: «Bisogna garantire
la stabilità dei governi e il rispetto del voto dei cittadini nelle
urne. Abbiamo avviato un'interlocuzione con le forze di opposizione
per capire su quale modello, e ce ne sono tanti, possa essere
raggiunta la più ampia convergenza. È ancora presto per dire quale
sarà la proposta che formalizzerà il governo»
IL PONTE SULLO STRETTO ANNEGA IL CUNEO FISCALE : Allarme da
Confesercenti: «Il tasso di inflazione rimarrà sopra il 2% fino al
2025, erodendo la capacità di spesa delle famiglie, frenando la
ripresa dei consumi e depotenziando gli effetti positivi del
previsto alleggerimento fiscale»; secondo l'associazione dei
commercianti, «l'inflazione rischia di bruciare in tre anni 10
miliardi di euro di potere d'acquisto delle famiglie».
La stessa Confesercenti avverte che «un assaggio lo si sta avendo
con il taglio del cuneo fiscale predisposto dal governo, che in
parte sarà eroso proprio dal fisco. Bisogna rivedere la struttura
delle aliquote per annullare gli effetti negativi del fiscal drag, o
si rischia di depotenziare l'impulso che la riforma fiscale in
preparazione potrebbe produrre sulla capacità di spesa delle
famiglie».
Confesercenti stima «un tasso di aumento dell'indice dei prezzi del
5,7% nell'anno corrente, del 3,8% nel 2024 e del 2,8% nel 2025. Solo
nel 2026 si dovrebbe assestare sul 2%» che è l'obiettivo di
stabilità dei prezzi fissato dalla Bce.
Tale scenario avrà conseguenze importanti sul potere d'acquisto
delle famiglie: considerando anche la perdita già maturata nel 2022,
la compressione subita dalla capacità di spesa degli italiani
ammonterebbe, nella media 2022-2025, al 16% del reddito disponibile.
Invece nel quadriennio 2016-2019, l'erosione di potere d'acquisto
provocata dall'inflazione era stata in media dell'1,5%.
L'associazione si preoccupa anche perché l'impatto dell'inflazione
sul potere di acquisto «incide sulla crescita dei consumi».
L'impatto inflazionistico «sta inoltre rallentando il recupero dei
livelli di consumo pre-pandemici».
28.05.23
XI-PUTIN : Cessate il fuoco
e soluzione politica che tenga in considerazione sovranità e
integrità territoriale, ma anche le «legittime preoccupazioni
sicurezza di tutte le parti». La posizione ufficiale della Cina
sulla guerra in Ucraina è sempre stata questa. Con due implicite
conseguenze. Il congelamento del conflitto e, dunque, il
mantenimento da parte di Mosca dei territori annessi. Due
conseguenze diventate meno implicite durante il viaggio tra Ucraina,
Europa e Russia dell'inviato speciale Li Hui, che ieri ha incontrato
Sergej Lavrov a Mosca. Secondo il Wall Street Journal (ripreso con
entusiasmo dalle agenzie di stampa russe), il diplomatico cinese
avrebbe sollecitato agli interlocutori europei una tregua immediata,
destinata appunto a lasciare al Cremlino il possesso delle regioni
occupate. Una ricostruzione di funzionari citati anonimamente e, per
ora, non dichiarazioni ufficiali di Li. Immediata la reazione
dell'Ucraina: «Qualsiasi scenario di compromesso che non preveda la
liberazione di tutti i territori dell'Ucraina, di cui periodicamente
parlano fonti anonime nelle élite europee e americane, equivale ad
ammettere la sconfitta della democrazia e a vittoria della Russia»,
ha scritto su Twitter Mykhailo Podolyak, consigliere di Volodymyr
Zelensky. «Tutto questo è il caro sogno della Russia». Il
riconoscimento delle repubbliche separatiste sarebbe un inedito per
Pechino, con rischi di cortocircuito su Taiwan, tema su cui ci sono
nuove tensioni per l'arrivo sull'isola di un primo lotto di missili
antiaerei Stinger dagli Usa.
Il tour di Li ha portato alla luce qualcosa che era già abbastanza
chiaro: la prospettiva di "pace" di Pechino non è conciliabile
(almeno per ora) con quella di Ucraina e occidente, riaffermata
peraltro con forza durante il G7. Nei comunicati di Pechino, si
reiterano le formule tradizionali sui negoziati, insieme alla
richiesta ai paesi europei di «rafforzare la loro autonomia
strategica». Nell'ottica cinese, significa emancipazione dagli Stati
Uniti. Non sembra essere andata benissimo. Sibillina la portavoce
del ministero degli Esteri Mao Ning: «Dato che la crisi è in Europa,
la Cina sostiene l'Europa nel compiere maggiori sforzi per la pace e
nel proporre una soluzione pacifica accettabile per tutti». Dunque
anche per Mosca, dove ieri Li ha avuto con Lavrov 90 minuti di
colloquio «cordiale», al termine del quale il ministro degli Esteri
russo ha elogiato la posizione «equilibrata» della Cina, puntando il
dito contro gli «ostacoli creati da Kiev e Occidente» per arrivare
alla pace. Tre giorni dopo l'incontro tra il premier Mikhail
Mishustin e Xi Jinping.
Il tabloid nazionalista Global Times critica l'Ue: «Le osservazioni
dei funzionari europei non sono tanto una presa di posizione
dell'Europa, quanto piuttosto parole degli Stati Uniti per bocca
dell'Ue». Con distinguo per Francia e Germania, «che hanno cercato
di mantenere l'autonomia». Non un caso. Nei giorni scorsi, Parigi si
è detta convinta che la Cina possa svolgere «un ruolo costruttivo»
sull'Ucraina. Il commento più positivo al viaggio di Li. Olaf Scholz
ha espresso invece l'intenzione di parlare con Vladimir Putin «a
tempo debito», mettendo potenzialmente fine al lungo silenzio tra
Cremlino e Paesi europei. Il presidente russo ha fatto sapere di
essere «pronto» alla telefonata col cancelliere tedesco. Ma per
Pechino resta «irrealistico» e «irragionevole» legare la richiesta
dell'Ue di premere sulla Russia per un ritiro completo delle truppe
all'andamento dei rapporti bilaterali.
Molto attivo anche Lula. Dopo aver evitato un bilaterale con
Zelensky a margine del G7 di Hiroshima, il presidente brasiliano ha
parlato sia con Putin sia con Xi. «Ho ribadito la volontà di parlare
con entrambe le parti del conflitto insieme a India, Indonesia e
Cina», ha detto Lula, che ha spiegato di aver rifiutato l'invito di
Putin al forum economico di San Pietroburgo. Col leader cinese,
incontrato di persona solo poco più di un mese fa, Lula ha spiegato
di aver parlato anche del vertice Brics di agosto. Il Sudafrica, che
ospita il summit, riconosce la Corte penale internazionale. Ammesso
che non ne esca prima, potrebbe essere costretto ad arrestare Putin
se si presenterà all'evento.
IL PAPA CERCA LA PACE : «Zuppi nella missione di pace sarà
interlocutore unico del presidente ucraino Zelensky e di quello
russo Putin». Parola del cardinale segretario di Stato vaticano
Pietro Parolin. La dichiarazione del porporato giunge poche ore dopo
l'apertura di Mosca all'iniziativa diplomatica del Pontefice,
valutata «positivamente», come afferma il Ministero degli Esteri.
Con la soddisfazione di Parolin: «Siamo lieti della disponibilità,
stiamo ragionando sulle date; la richiesta è di incontrare i due
Capi di Stato».
La missione diplomatica vaticana da una settimana ha un nome e un
cognome: Matteo Zuppi. Un intermediario evidentemente gradito dal
Cremlino. Il cardinale presidente della Cei e Arcivescovo di Bologna
è stato scelto dal Pontefice come suo emissario per tentare di
disinnescare le tensioni e gli scontri tra Kiev e lo Zar, prima che
si registri un'escalation militare planetaria. «E il Santo Padre ha
scelto la persona giusta», commenta un alto prelato; «Zuppi è il
porporato più mediatore del Collegio cardinalizio, sa parlare e
trattare con chiunque, a tutti i livelli».
In questi giorni Oltretevere ma anche a Bologna si lavora per dare
vita a una tela che possa schiudere le porte di una disponibilità
delle parti in guerra a una tregua e soprattutto a una trattativa.
Il Cardinale ha chiesto massima riservatezza su tempi e modalità.
Unica certezza: sarà un lavoro «certosino», afferma un presule, «sul
modello Mozambico». Nel 1992, con la Comunità di Sant'Egidio
l'allora giovane vice parroco a Trastevere don Matteo Zuppi
contribuì a raggiungere un complesso accordo di riconciliazione che
mise fine a sedici anni di guerra civile nel Paese del sud
dell'Africa. La strategia che seguì, insieme al fondatore di
Sant'Egidio Andrea Riccardi, fu di unire «le azioni umanitarie
insieme alla continua e paziente ricerca di relazioni tra le fazioni
in lotta».
Un altro dettaglio lo ha comunicato lo stesso Zuppi: la missione è
«in accordo con la Segretaria di Stato»; dunque il Cardinale avrà
piena libertà e allo stesso tempo agirà informando la Terza Loggia.
Ma quali messaggi veicolerà per avvicinare Mosca a Kiev? Un
monsignore osserva che il 21 febbraio scorso, all'Università Roma
Tre, Zuppi raccontava di avere «riletto un'intervista di Henry
Kissinger», aggiungendo: «Credo che abbia ragione: disse, adesso
bisogna cominciare almeno un dialogo esplorativo, altrimenti c'è il
nucleare». Inoltre, è «ovvio che c'è un aggressore e un aggredito e
che serve la pace come la giustizia». Ma occorre «credere che la
pace è sempre possibile, difficile ma possibile».
BENE BRAVA : Aumenteranno del 30 per cento i posti per chi
vorrà iscriversi a Medicina nel prossimo anno accademico, ci saranno
incentivi per specializzazioni «accoglienti e non respingenti» e il
Ministero dell'università e ricerca (Mur) garantirà che il costo
degli affitti sarà inferiore a quello di mercato. Sono le promesse
rivolte da Anna Maria Bernini, ministra dell'Università e della
Ricerca, alle studentesse e agli studenti che fin dal suo arrivo
alla guida del ministero la stanno incalzando con appelli e
proteste.
In Italia mancano 30 mila medici ospedalieri, una stima che appare
in diverse analisi pubblicati negli ultimi mesi. Come pensate di
intervenire?
«Aprendo in maniera programmata e sostenibile l'accesso al corso di
laurea di medicina. Il gruppo di lavoro che abbiamo istituito al
Ministero ha operato benissimo insieme alle Regioni, al Ministero
della Salute e alle Università, e ha stimato i fabbisogni futuri.
Occorrono 30 mila nuovi medici da inserire nei corsi di laurea nei
prossimi 7 anni. Per l'anno accademico 2023/2024, ci sarà un
incremento importante, tra il 25 e 30 per cento: da 3.553 a 4.264
posti in più. Il numero definitivo verrà stabilito insieme alle
Università tenendo conto delle loro capacità di assorbimento».
Le università avranno la capacità di sostenere l'aumento dei posti?
«Non caliamo decisioni dall'alto. Fin dall'inizio abbiamo avviato
una proficua collaborazione con la Conferenza dei Rettori e il suo
presidente, Salvatore Cuzzocrea. Il Ministero si sta adoperando per
reperire i fondi chiesti dalle Università per rendere sostenibile
l'aumento, a questo scopo metteremo a disposizione 23 milioni di
euro».
Da anni il costo per l'accesso ai test è in aumento. Il Governo
pensa di aiutare in qualche modo chi è in difficoltà o di definire
un tetto di spesa?
«Ad oggi la gestione dei test è affidata a una disciplina che durerà
fino alla fine dell'anno accademico 2024/2025. Sarà importante in
futuro ragionare di questo con le università per trovare soluzione
condivise».
Quello che impedisce ai laureandi di arrivare in corsia è
soprattutto il mancato finanziamento delle borse di
specializzazione. Prevedete un aumento delle risorse?
«Aprire in maniera sostenibile significa pensare anche alle
specializzazioni. Con il ministro Schillaci vogliamo ottimizzare e
rendere meno burocratici gli accessi, creando dei meccanismi di
incentivo affinché non vi siano squilibri come sulla medicina
d'urgenza. La scelta infatti non deve essere di necessità ma di
vocazione. Dobbiamo tutelare la libertà di scelta degli
specializzandi. Questo comporta dei costi, il Governo è determinato
a sostenerli».
Gli affitti troppo cari sono stati al centro delle richieste e delle
proteste delle studentesse e degli studenti fin dal suo arrivo alla
guida del ministero. Avete stanziato 950 milioni di euro. Gli
studenti dicono che, invece, servono almeno 3 miliardi. Una
richiesta esagerata?
«Abbiamo messo quasi un miliardo di euro dopo nemmeno due mesi dalla
nascita del Governo, segno che il diritto allo studio è una delle
nostre priorità. E siamo solo all'inizio, faremo sicuramente di
più».
Secondo gli studenti la promessa di creare più di 8 mila posti letto
attraverso il Pnrr è falsa. I posti letto realmente nuovi saranno
circa 3 mila, gli altri sono i soliti appartamenti dei privati. Lei
ha risposto che, senza il privato, da solo il pubblico non riesce a
garantire i posti necessari.
«Non siamo qui per dire bugie o per rappresentare false realtà. Il
Ministero non inventa numeri. Le risorse e i tempi del Pnrr non
permettono di costruire immobili. Abbiamo, quindi, creato nuovi
posti vincolando i gestori ad assegnarli esclusivamente agli
studenti universitari per un periodo che va da un minimo di 10 a un
massimo di 25 anni. Allo stesso tempo abbiamo fatto in modo che i
privati riservassero il 20 per cento dei posti al diritto allo
studio. Il prossimo obiettivo sono 52.500 posti letto entro il
2026».
Si può ipotizzare un intervento sui prezzi per evitare che aumentino
oltre una certa soglia?
«Con una manifestazione d'interesse individueremo gli immobili
disponibili. Più aumentiamo l'offerta, più soddisfiamo la domanda e,
soprattutto, abbattiamo i costi che, comunque, il Mur garantirà
siano al di sotto di quelli di mercato. Un gruppo di lavoro si sta
occupando specificamente di questo».
Le rappresentanze studentesche chiedono un ripensamento del sistema
nazionale del diritto allo studio che scardini la retorica del
merito e metta al centro il loro benessere. Da tempo le chiedono un
incontro sul benessere che - dicono - lei ancora non ha concesso.
«Non è così. Ci siamo incontrati più volte e torneremo a farlo tra
dieci giorni. Ho avuto anche diversi confronti con rappresentanze
studentesche nei singoli Atenei. Con il Consiglio nazionale degli
studenti, che ho incontrato la scorsa settimana, abbiamo deciso di
lavorare su singoli temi, incluso il benessere psicologico».
E concretamente?
«Il Mur intende stanziare risorse per i presìdi psicologici che
puntiamo a rendere strutturali. Abbiamo anche confermato il
finanziamento di 15 milioni per progetti per l'orientamento e il
tutorato. L'obiettivo è individuare le iniziative migliori che
possano sostenere gli studenti non solo nella scelta ma anche lungo
tutto il loro percorso formativo».
Pensa che ci sia abbastanza pluralità all'interno delle università
oppure ritiene che ci siano soggetti o realtà ancora poco
rappresentati?
«Io lavoro per l'inclusione e l'ascolto. È mia intenzione non
trascurare nessuno».
Lucia Annunziata e Fabio Fazio sono andati via dalla Rai. Ai vertici
dei Tg Rai sono stati indicate figure vicine al centrodestra. Nasce
"TeleMeloni" come sostiene l'opposizione, oppure è solo il normale
avvicendamento dovuto al cambio di governo?
«È un dibattito che non mi appassiona. È da quando sono nata, quindi
un bel po' di anni fa, che sento parlare di occupazione della Rai a
corrente alternata».
Lei è sempre stata sensibile alle tematiche dei diritti civili. Si è
schierata a favore delle unioni civili e alla stepchild adoption.
Fanno bene i sindaci a protestare contro il no alle trascrizioni
delle nascite per garantire ai figli delle coppie omogenitoriali
eguali diritti?
«Sono una liberale, convinta che la mia libertà finisca dove inizia
quella altrui. E proprio da liberale dico che sono questioni da
risolvere in Parlamento, con massima trasparenza e serietà. Su una
materia così delicata va adottato il principio di massima cautela,
ancor più perché parliamo di bambini».
COME SPRECARE I SOLDI DEL PRNN: Di fronte alla Fontana dei
Dodici Mesi sorgerà una nuova piazza pedonale, che diventerà un
punto d'osservazione privilegiato del monumento realizzato da Carlo
Ceppi per l'Esposizione Generale Italiana del 1898. Il Padiglione V,
invece, diventerà l'unica area raggiungibile in auto e sarà dotato
di circa 600 posteggi per compensare quelli che andranno persi lungo
i viali.
Sono soltanto due delle trasformazioni che, grazie ai 14,5 milioni
di fondi Pnrr, interesseranno il futuro parco del Valentino: il
progetto, pensato insieme alla Soprintendenza, è stato presentato
ieri ai cittadini nell'ambito del Festival del Verde dall'assessore
al Verde Pubblico Francesco Tresso e alla presenza di Circoscrizione
8, stazione di committenza Scr ed esperti di Università e
Politecnico.
L'avvio dei lavori è previsto nella prima metà del 2024, il
completamento dei cantieri dovrà avvenire entro il 2026, ma durante
le opere il parco resterà sempre aperto seppur con qualche chiusura
parziale. Uno degli interventi servirà a rimuovere totalmente
l'asfalto dai viali principali: una superficie totale di 65 mila
metri quadri sarà convertita in pavimentazione permeabile, per
ridurre l'effetto isola di calore. Al tempo stesso i viali saranno
pedonalizzati e quindi interdetti al transito delle auto. Il
contemporaneo restringimento dei viali (che da una larghezza di
16/20 metri passeranno a 9) metterà a disposizione una nuova
superficie verde di 20 mila metri quadrati. Sempre in tema di
mitigazione dei cambiamenti climatici, nel parco saranno creati
nuovi spazi ombreggiati con la messa a dimora di 555 alberi.
Accanto al Borgo Medievale invece nascerà un roseto con spazi
dedicati al ristoro. Nel Padiglione V, oltre al parcheggio per le
auto, verrà ricavato anche uno skate park e sarà realizzata una
nuova copertura, che riprenderà le linee curve del disegno
originario del parco all'inglese. «Questo è solo un tassello del più
ampio progetto con cui la Città investirà nell'area del Valentino
157 milioni di fondi Pnrr, dando così il via alla riqualificazione
di Torino Esposizioni dove verrà realizzata la nuova Biblioteca
Civica – dice l'assessore Tresso – Altri interventi sono quelli che
riguardano il Borgo Medievale e il ripristino della navigazione
turistica sul Po. Opere che contribuiranno a migliorare anche
l'accesso e la fruizione del parco per tutti gli utenti».
BREXIT DA REVOCARE : Sono tredici anni che i conservatori
promettono di ridurre l'immigrazione nel Paese, e i numeri
continuano a salire. Nemmeno la Brexit è riuscita a invertire la
tendenza. È tutto qui il problema di Rishi Sunak, quando il nuovo
dato sugli ingressi regolari mostra un livello record: l'anno scorso
sono entrate nel Paese 606mila persone in più di quelle che ne sono
uscite. Il dato precedente sull'immigrazione regolare netta era di
504mila.
Secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica, nel 2022 sono arrivate un
milione e 163mila persone, e ne sono uscite 557mila. Aumenta
l'immigrazione da paesi extra Europei, con 925mila arrivi, mentre
diminuisce quella dall'Europa, appena 151mila arrivi, a fronte di
oltre 200mila partenze. Più di centomila persone sono arrivate
dall'Ucraina e 52mila dall'ex colonia Hong Kong. Moltissimi gli
studenti e i loro familiari, tanto che il governo ha varato un giro
di vite sui ricongiungimenti familiari a partire dal 2024.
I dati creano imbarazzo nel governo, tanto più se si considerano gli
sbarchi di immigrati irregolari, 45 mila nel 2022. «È semplice: sono
numeri troppo alti, e li voglio abbattere», ha detto Sunak. Ma,
conscio del fallimento dei suoi predecessori, non ha indicato un
numero specifico.
Dal 2010, cioè da David Cameron in poi, tutti i primi ministri Tory
hanno promesso di tagliare l'immigrazione. Il referendum sulla
Brexit è stato vinto grazie al famoso slogan "take back control",
riprendersi il controllo, soprattutto delle frontiere. Ma non è
accaduto. Nigel Farage, l'ex leader dell'Ukip che della Brexit è
stato uno dei maggiori artefici, ieri ha gridato alla "totale
violazione della fiducia tra gli elettori e questo governo".
L'istituto di statistica ha sottolineato la natura «potenzialmente
temporanea» del livello record, dovuto a una «serie di eventi
mondiali senza precedenti avvenuti nel 2022 e alla fine delle
restrizioni da Covid». Il flusso si sta stabilizzando, ha fatto
sapere.
Sunak resta sotto pressione: deve sperare che un eventuale calo del
numero di immigrati arrivi in tempo per le prossime elezioni, da
tenersi entro il gennaio del 2025.
BUFFONI VENETI :È giovedì 18 maggio e dall'Emilia-Romagna
arrivano le immagini di quel fango che devasta paesi e campagne.
Marco le guarda e decide che andrà a spalarlo, quel fango. Si fa uno
scrupolo, avvisare il suo datore di lavoro. Anche se è un lavoro
precario e debole, uno di quelli che vanno e vengono: fa il rider
per una pizzeria di Thiene, provincia di Vicenza. Contratto a
chiamata. Marco Santacatterina, poco più che ventenne, studia
all'Università e lavoricchia: vive nei dintorni, ancora con i suoi
genitori. Una pizza dopo l'altra, una notte dopo l'altra. Prende il
telefono e scrive al titolare: «Sabato e domenica non posso venire,
vado a fare il volontario tra gli sfollati». Riceve questa risposta:
«Sei un coglione, un buffone, mi fai ridere. Vai pure ad aiutare, io
mi troverò qualcun altro. Bye bye». Conseguenza: licenziato. Ora
racconta la sua storia, ma ha un ultimo riguardo: niente nome della
pizzeria. E quindi niente gogna social, grandinerebbero attacchi e
veleni. Parliamone, dice, ma senza bersagli.
Giovedì lei manda quel messaggio. A questo punto che cosa succede?
«Mi prendo del buffone e del coglione, appunto. Il venerdì sera mi
presento lo stesso, perché era previsto che lavorassi. Entro nel
locale e il titolare mi fa: "che cosa ci fai tu qui?". Ho capito che
era finita. Ho salutato e me ne sono andato».
E davvero non è stato possibile salvare il posto?
«Ho perso il lavoro per due giorni di volontariato. Mi ero anche
preoccupato di avvisare in anticipo».
Che mestiere era? Quanto guadagnava?
«Prendevo circa 30 euro a serata ma l'avrei fatto anche se fossero
stati mille. Non sono ricco, i soldi vanno e vengono. Aiutare è
qualcosa di più».
Andare ad aiutare gli sfollati dell'Emilia Romagna: è stato un gesto
estemporaneo o di cose del genere ne aveva già fatte?
«Non ho mai fatto volontariato e non frequento i social.
Dell'alluvione me l'ha detto mia madre. Una cosa simile è successa
anche qua in Veneto nel 2010, dove abito io. Ero bambino ma ricordo
quei giorni. Vedendo il dramma dell'Emilia-Romagna ho pensato: posso
fare qualcosa».
E cos'ha fatto?
«Mi sono messo in contatto con la Protezione civile di Bologna, ma
non essendo iscritto non potevo aggregarmi. Allora ho cercato i
gruppi Telegram: sabato e domenica sono andato a Cesena con mia
sorella Sara. In pizzeria c'erano due fattorini che potevano
coprirmi. Non credo che rischiasse il fallimento».
Che esperienza è stata?
«Breve ma profonda. E paradossale. Sorridevano anche se avevano
perso tutto. E cercavano, loro, di tirare su il morale a me. Sono
tornato con il cuore pieno di speranza».
Lei studia all'Università. Quell'entrata le faceva comodo.
«Non mi pare decisivo. Avrei fatto lo stesso anche con una famiglia
a cui badare. Due giorni di volontariato. Ho visto album di ricordi
galleggiare nell'acqua, le foto dei bambini ridotte a carta
straccia. Ho fatto la cosa giusta».
Sembra una favola al contrario, senza lieto fine.
«Io lì ci lavoravo da inizio marzo e non ho mai avuto problemi. Da
quando in qua i soldi sono più importanti della gente che sta
male?».
Ora il lavoro l'ha perso. Per privilegiare la morale.
«Mica provo odio. I miei genitori hanno capito che non avevo colpe,
sto ricevendo molta solidarietà. Mi ha chiamato anche il sindaco di
Thiene. L'aiuto conta più dei soldi».
27.05.23
BENE I CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI :
Il governo individua nel Pnrr il
principale motore di crescita dell'economia italiana nei prossimi
anni, ma i ritardi nell'attuazione del piano rischiano di
ingolfarlo.
Secondo il Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica
della Corte dei Conti, «nel quadriennio 2023-2026 due terzi del
tasso di crescita medio annuo prefigurato nel Documento di economia
e finanza (Def) sono, infatti, ascrivibili al Piano (1,2%, a fronte
dello 0,4 in assenza di Pnrr)». Un apporto significativo, benché
rivisto al ribasso per via dell'inflazione che di fatto ha ridotto
il potere di acquisto dei 191,5 miliardi messi dall'Unione europea a
disposizione del Paese.
Il problema è che la spesa di questi fondi procede a rilento
rispetto al cronoprogramma. Alla fine del 2022 i 24,5 miliardi di
esborso sostenuti dalle Amministrazioni centrali titolari di misure
del Pnrr «testimoniavano un avanzamento del 12,8%». Considerando
anche il progresso dei primi mesi di quest'anno, prosegue il
rapporto, «il tasso di attuazione sale al 13,4%». Numeri ancora
lontani da quanto sarebbe necessario per alimentare una ragionevole
convinzione di completare il piano entro il 2026.
Se le prime 3 missioni (digitalizzazione, transizione energetica e
infrastrutture), «evidenziano progressi più ampi, tutti superiori al
16%», sottolineano i magistrati contabili, le missioni 4 e 5 (legate
all'istruzione e all'inclusione) presentano tassi di avanzamento
vicini al 5%, mentre la 6 in tema di salute non raggiunge la soglia
dell'1%», a dispetto dei grandi progetti sulla sanità immaginati
all'indomani della pandemia da Covid-19.
I diversi gradi di progresso delle varie missioni, puntualizza
tuttavia la Corte dei Conti, «non sono necessariamente emblematici
di eventuali ritardi di alcune missioni rispetto ad altre: essi
riflettono prevalentemente la diversa distribuzione temporale nella
programmazione delle risorse all'interno dell'arco di vita del
Piano». Questi tassi di avanzamento richiamati, però, forniscono la
misura «dell'importante sforzo finanziario richiesto nei prossimi
anni per ciascuna missione e componente».
«Le ottime capacità di resistenza dimostrate dall'economia italiana
ai ripetuti shock», rimarca comunque il rapporto, «costituiscono una
solida base per la ripartenza e spingono ad affrontare con fiducia
le complesse sfide legate alla necessità di accrescere durevolmente
il tasso di sviluppo e ridurre il peso del debito pubblico nel nuovo
quadro di governance economica dell'Ue».
L'incastro fra l'esigenza di investire sulla crescita e quella di
ridurre il disavanzo dello Stato rischia di rivelarsi complicato già
nel 2023. Nadef e legge di bilancio si annunciano «particolarmente
impegnative» perché il Def non ha compreso nel quadro programmatico
alcune voci come le risorse per i contratti del pubblico impiego o
per l'aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea,
ndr)che andranno invece inserite in manovra». Per quanto riguarda il
pubblico impiego, anzitutto, «a fine anno si esaurisce l'una tantum
da un miliardo che, per il solo 2023, ha offerto un aumento lineare
dell'1,5% agli stipendi nella Pubblica amministrazione». Un aumento
retributivo che, a fronte della persistente inflazione, «appare
difficile non prevederne l'estensione», ragiona la Corte. A ciò si
aggiunge la necessità di reperire le ingenti risorse che «saranno
necessarie per la conferma delle misure di riduzione del cuneo
attualmente in essere». Se infine la crisi energetica dovesse
riaffacciarsi, conclude il rapporto, «si riproporrebbero, pur con le
caratteristiche sempre più selettive, fabbisogni per le fasce
sociali ed economiche più deboli, per ora finanziati per il solo
2023»
RISCHIO DA APPALTI E RICICLAGGIO
"Il piano è un'occasione per i criminali" monito del neo-comandante
della GdF
«Oltre ad offrire al paese un'opportunità di rilancio e
ammodernamento, il Pnrr può rappresentare per le consorterie
criminali un'occasione per espandersi mediante l'acquisizione di
commesse e appalti pubblici e il reinvestimento di significativi
flussi di capitali illeciti nei vari segmenti del tessuto produttivo
e finanziario». Lo ha detto il comandante generale della Guardia di
Finanza, Andrea De Gennaro, al festival dell'economia di Trento. «Il
controllo sull'erogazione di tali risorse – ha spiegato il generale
– rappresenta un'attività di rilevanza strategica, in considerazione
della necessità di garantire la corretta destinazione dei fondi, a
cui il Corpo è chiamato a fare fronte collaborando con le autorità
giudiziarie, penali e contabili e operando quale baricentro delle
principali indagini nel segmento». De Gennaro ha proseguito: «Siamo
consapevoli che dalla corretta destinazione di queste risorse
dipende la capacità del nostro Paese di affrontare adeguatamente le
sfide dei prossimi anni e di innestare un cambio di paradigma nel
rapporto tra Stato e cittadini. Come confermato dall'ultimo
Documento di economia e finanza, recentemente approvato dal
Parlamento, il Pnrr continuerà a rappresentare per i prossimi tre
anni e mezzo la più grande sfida a livello tecnico, organizzativo e
di coordinamento fra amministrazioni e livelli di governo».
AFFARI SUOI : Dimissioni ormai attese, forse con impazienza.
E subito accettate: «Mi è pervenuta una lettera del dott. Ricardo
Franco Levi nella quale si dice pronto a mettere a disposizione
l'incarico di Commissario straordinario del governo per l'Italia,
ospite d'onore alla Fiera del libro di Francoforte 2024 – scrive il
ministro Sangiuliano in un secco comunicato stampa d'inizio
pomeriggio –. Preciso di non essere il soggetto istituzionalmente
abilitato ad accettare tali dimissioni, pur condividendo la
necessità di dare discontinuità a questo incarico dopo le recenti
polemiche. Informerò il governo per concordare eventualmente la
nomina di un nuovo commissario. Ringrazio il dott. Levi per la
sensibilità dimostrata e il lavoro svolto finora». E così, nel giro
di pochi giorni, la destra si sbarazza di un personaggio forse
scomodo, scelto dal governo precedente e di necessità confermato da
questo (perché il decreto di nomina è firmato dal Presidente della
Repubblica) anche se non si direbbe, con grande entusiasmo.
Si era già intuito al Salone del libro, considerata la freddezza
dimostrata dal ministro Sangiuliano nei confronti del commissario (e
presidente degli editori). Pesava l'infortunio della lettera in cui
Levi aveva comunicato al fisico Carlo Rovelli di averlo escluso
dalla cerimonia inaugurale di Francoforte (in conseguenza delle
dichiarazioni sulla guerra in Ucraina fatte a Roma dal palco del
primo maggio), seguita da una rapida marcia indietro dopo l'alzata
di scudi degli editori. Levi in quell'occasione si era assunto tutte
la responsabilità, affermando di avere agito in totale autonomia.
Ecco però che nel giro di pochi giorni lo "scoop" di un quotidiano
di destra rivela come nella agenzia belga scelta per la promozione
dell'evento Italia paese ospite alla Fiera tedesca, la IFC Next,
lavori Alberto Levi, figlio appunto di Ricardo, anche se in ruoli
subalterni, che nulla hanno a che fare con il contratto. Il
commissario risponde che «abbiamo fatto una gara cui hanno
partecipato svariate compagnie e la ICF Next ha vinto perché sia per
progettualità che per costo era di gran lunga quella più indicata, a
nostro avviso». La IFC Next è una multinazionale tra le più
importanti in Europa nel suo settore, lavora abitualmente con le
istituzioni, è controllata da una società americana quotata in
borsa, insomma non è certo una start up. Ma la presenza del figlio
non suona quantomeno inopportuna? «È un fatto di assoluta
inconsistenza – ci dice –, mio figlio è uno dei tanti giovani
italiani che sono andati a cercarsi un lavoro all'estero. Detto
questo, però, si stava mettendo in dubbio la correttezza del mio
operato, e non lo posso tollerare. Ho così rimesso il mandato al
ministro, anche se non è l'istanza che ne può disporre, come scrive
del resto nel suo comunicato. Il commissario viene nominato dal
Presidente della Repubblica, su proposta del governo».
Colpiscono i tempi stretti, come se ci fosse stata una sorta di
strategia, innescata dal caso Rovelli. Indiscrezione non
verificabile: già al Salone si era avuta l'impressione che la
ricerca di un nuovo commissario, più vicino al governo, fosse
cominciata almeno sotto traccia, che insomma l'addio di Levi fosse
dato per probabile e soprattutto auspicabile. L'insistenza su una
nuova egemonia da affermare partendo dall'alto, lo stesso attivismo
dell'enfant prodige della destra culturale, quel Francesco Giubilei
pubblicamente elogiato durante la presentazione di Alain De Benoist,
ideologo della Nouvelle Droite francese, dal ministro Sangiuliano in
collegamento video, lasciavano ampiamente intuire che fra le poste
più rilevanti non poteva non esserci la mai nominata Francoforte; e
in un certo senso già mettevano il commissario di governo, se non
fuorigioco, certo in una posizione di difesa.
Si è sentito accerchiato, o addirittura vittima di una trappola ben
organizzata? «Non lo so, non voglio fare illazioni. E devo dire che
il ministro Sangiuliano, prima di rilasciare il comunicato, mi ha
chiamato molto cortesemente. Ho apprezzato. Ha anche chiarito che la
sua decisione va nel senso della discontinuità». È il termine che
spiega tutto. «È il termine chiave. Non c'è nulla da obbiettare, dal
punto di vista formale, ma è molto significativo». È già l'abbozzo
di un programma. Dove del resto, se non alla grande fiera tedesca
del libro, trovare l'anno prossimo palcoscenico migliore per
celebrare, dopo quella elettorale, la rivincita «culturale»?
26.05.23
BISIGNANI SA': Il virus
dell'intelligence colpisce ancora. Nella ristretta cerchia della
premier raccontano della sua infatuazione per i Servizi segreti da
quando e entrata a Palazzo Chigi.
«Ogni giorno le noticine che le arrivano su amici e nemici la
mandano in visibilio ed esaltano quel tratto di personalità
machiavellica che non le fa difetto».
Meloni vede complotti e intrighi dappertutto, e in questo i Servizi
stuzzicano le sue fantasie.
«Non tanto diversamente da alcuni suoi predecessori che, non avendo
dimestichezza col potere, sono finiti per cadere invischiati nei
loro giochi».
Ma non sarà che questo evocare trame e cospirazioni dietro ogni cosa
e un po' esagerato? Basta una narrazione, magari spruzzata di
mistero e ripresa da qualche sito di gossip compiacente, per
incantare i presidenti del Consiglio?
«I politici scafati, come si dice scherzosamente a Roma, li
considerano dei cazzari, sanno benissimo che le barbe finte fanno
mille pastette, e i neofiti ne subiscono il fascino».
Eppure Giorgia mi sembra più che scafata, una che non si lascia
incantare dalla prima storiella che le raccontano.
«Scafatissima. Ma il retaggio degli anni della sua gioventù non è
facile da accantonare. Da giovane militante ha avuto rapporti
controversi con la polizia, ora osserva il mondo dalla parte
opposta. Coloro che le danno le informazioni riservate sono quelli
da cui in passato si e dovuta guardare le spalle».
Le guardie, come le chiamavano quelli del Fronte della gioventù,
dalle quali scappavano quando di notte uscivano per le affissioni
dei manifesti ciclostilati in proprio.
«Lei stessa racconta degli attacchinaggi, quando bisognava restare
sempre in gruppo, attenti alle retate dei celerini e agli agguati
delle zecche, come definivano i comunisti».
Però ne e passato di tempo da allora. Quelle paure se le sarà
lasciate alle spalle. O la sua diffidenza verso gli altri e atavica
e senza speranza? Fatte salve mamma e sorella, naturalmente.
«Ormai il suo mantra quando incontra le persone e sempre lo stesso:
"Aho, me posso fida' o no?". E alla fine del colloquio: "Guarda che
me fido"».
Anche per Giuseppe Conte i Servizi sono stati come una droga. Nel
febbraio del 2021, in articulo mortis, gli sarebbe bastato lasciare
quella delega al suo famiglio Mario Turco, pugliese come lui,
affinché Renzi, soddisfatto di quel passo indietro, non riuscisse a
cacciarlo.
«Degli ultimi presidenti del Consiglio, Giuseppi è stato il più
ossessionato dall'intelligence. Coscienti del potere che
esercitavano sul premier, le barbe finte lo riempivano di notizie
confidenziali su vicende personali o qualche gossip relativo a suoi
amici o avversari».
Infatti collocò un suo caro amico, Gennaro Vecchione, a capo del Dis,
il Dipartimento informazioni e sicurezza che addirittura coordina le
agenzie dei Servizi interni (Aisi) ed esterni (Aise). Una potenza...
«Salvini lo inquadrò subito, mettendo nel mirino Vecchione per le
sue scorribande mondane e un certo debole per le belle donne.
Immancabile ospite delle terrazze romane e delle feste più
gettonate, come quella per il Sigaro toscano a Villa Letizia,
sontuosa location sugli argini del Tevere»...
Oggi al posto di Vecchione al Dis c'è Elisabetta Belloni, nominata
da Mario Draghi, con il quale in tempi diversi ha frequentato
l'Istituto Massimiliano Massimo, la severa scuola dei gesuiti a Roma
che ha visto tra i suoi banchi anche Luca di Montezemolo e il
superprefetto Gianni De Gennaro.
«La chiamavano Betty, era molto amata anche perché, da 007 in fieri,
passava i compiti in classe senza farsi scoprire e faceva la ragazza
pompon durante le partite di calcio dei suoi compagni».
Conte ha preso il cambio al vertice del Dis come un affronto
personale e non ha mai perdonato Draghi, che considera un
usurpatore. In più, l'autorità delegata alla sicurezza della
Repubblica fu affidata al prefetto Franco Gabrielli, nel segno di un
opportuno cambio di strategia.
«Era necessario, almeno in apparenza, rimettere ordine.
L'ambasciatrice Belloni, del resto, è la figura perfetta per la
politica. Ma a settembre del 2023 potrebbe andare in pensione e, a
meno di sorprese, uscire definitamente dai radar istituzionali.
Fintanto che c'è Meloni, pero, non la tocca nessuno, e chi ha
provato a metterla ai vertici di qualche partecipata, come per
esempio Leonardo o Eni, è stato incenerito».
Il primo a scoprirla fu Giovanni Castellaneta, consigliere
diplomatico nel governo guidato da Silvio Berlusconi.
«La voleva come capo ufficio stampa esteri, ma ci fu il veto
dell'indimenticabile portavoce dell'epoca, Paolino Bonaiuti: "Non va
bene una donna così bella e charmante a Chigi"»...
Ma oggi come sono realmente i rapporti tra Belloni e Meloni?
L'intesa si è consolidata molto tempo prima che Meloni diventasse
premier. All'inizio era molto diffidente sui Servizi, mentre oggi ne
apprezza l'utilità. C'è un passaggio sull'elezione del presidente
della Repubblica nel gennaio del 2020 che nessuno ha mai
raccontato».
Raccontiamolo, allora.
«Meloni, dopo la quarta votazione, pensò di candidare Belloni, prima
ancora che Salvini ne facesse il nome. Ne parlò riservatamente con
Anna Maria Bernini e Antonio Tajani. Anzi, fu la stessa Giorgia a
convincere Conte, contrarissimo alla rielezione di Mattarella, a
convergere sul capo del Dis. Era stato sondato anche Gianni Letta
che, come detto, è da sempre affascinato dai modi avvolgenti e
suadenti di Belloni».
Ma alla fine, con così tanta stima e supporto, come mai non e
atterrata al Quirinale?
«L'errore di non dichiararsi subito indisponibile le è stato fatale.
È andata in campagna ma, anziché isolarsi e fare il cincinnato, si è
lasciata coinvolgere in un vorticoso giro di telefonate, finendo
uccellata da Renzi con il famoso anatema che "un capo dei Servizi
non può fare il capo dello Stato". Mattarella ringrazia».
Adesso a Belloni la premier chiede, come è prassi istituzionale,
schede dettagliate su tutto e tutti, specie prima degli incontri con
gli interlocutori internazionali. Ma non solo loro. Si è messa anche
in testa di ridisegnare l'intelligence.
«Appena insediata Meloni si è trovata costretta a compiere due
forzature. La prima per cambiare la legge che vieta al
sottosegretario alla Presidenza di avere anche la delega ai Servizi
segreti, come era stato per Gianni Letta, così da poter nominare nel
duplice ruolo Alfredo Mantovano. La seconda per aggirare la norma
che impedisce ai magistrati, ai giornalisti e ai ministri del culto
di lavorare nei Servizi. E adesso il paradosso vuole che sia un
magistrato, anche se impeccabile, a coordinarli».
Mantovano sta lavorando quindi per modificare la legge 124 del 2007
che regola i compiti delle barbe finte. Una riforma a cui aveva
cominciato a pensare anche lo stesso Conte.
«L'interpretazione data dal leader pentastellato ai poteri che la
legge conferisce al premier è apparsa eccessivamente
autoreferenziale, se non del tutto accentratrice».
Nel progetto di riordino, Mantovano gestisce i rapporti con tutti i
direttori delle agenzie, con i comandanti generali delle forze
armate e di polizia.
«Per sentire il loro parere su un'ipotesi di riforma, poche
settimane dopo il suo insediamento, un sabato, Mantovano ha
organizzato, prima volta nella storia, una sorta di "festival delle
spie" con un panel condotto da Mario Sechi, ancora all'Agi, in
versione Amadeus. Un appuntamento che si è poi ripetuto
all'auditorium di piazza Dante, sede dei Servizi, con tutte le
autorità che in passato se n'erano istituzionalmente occupate. Da
Gianni Letta a Marco Minniti a Gianni De Gennaro, che si sono
confrontati con i grandi manager pubblici, da Claudio Descalzi a
Francesco Starace a Matteo Del Fante, e a ministri e magistrati...
Sulla riforma dei Servizi il sottosegretario Mantovano ascolta molto
Violante. Anche Meloni ha un rapporto consolidato con lui da quando
divenne vicepresidente della Camera. Una situazione che fa
inorridire i duri e puri di Fdi».
L'ex magistrato svolge un importante ruolo di ambasciatore, ma non è
il solo membro del Pd che abbia un canale aperto con Palazzo Chigi.
«Un altro che Meloni stima da sempre è Massimo D'Alema. Pensa che
mesi fa, prima che diventasse premier, l'ha chiamata invitandola a
scrivere un articolo su Italianieuropei. Il titolo era: Il trumpismo
non è stato un incidente della storia».
Mantovano ci sarà rimasto male, visto che proprio D'Alema l'aveva
battuto nel collegio di Gallipoli. Un duello all'ultimo voto.
«Ironia della sorte, a votare per D'Alema anziché per Mantovano sono
stati gli uomini di Raffaele Fitto, che oggi con lui è tra i
ministri più accreditati».
Colui che Berlusconi aveva soprannominato "il cucciolo" quando era
ministro per gli Affari regionali nel suo ultimo governo.
«Oggi è diventato una tigre. Un vero mastino con delega al Pnrr. Per
Meloni e un punto di riferimento imprescindibile, non solo nel
governo, ma in Europa».
È il suo jolly a Bruxelles anche con la Commissione, ma soprattutto
con il Ppe e con il gruppo dei Conservatori.
«E sarà lui a costruire l'unione tra Ppe e Conservatori e
riformisti»...
Ma questa corrispondenza di amorosi sensi come può giovare alla
perigliosa navigazione di Giorgia tra alleati e fratelli coltelli
d'Italia?
«Andreotti non aveva dubbi: le assidue frequentazioni con i Servizi
alla fine portano male. Anche perché i generali dell'intelligence,
diceva, sanno fare una sola guerra: quella tra di loro. Già si
preparano a combattere i vicedirettori dell'Aise Zontilli e Boeri
per sostituire il direttore Caravelli nel 2026».
25.05.23
LA CINA NON SI METTERA' CONTRO LA RUSSIA :
Per quasi due secoli è stata conosciuta
come Haishenwai ed era governata dalla dinastia Qing. Nel 1860, è
passata all'impero russo con uno dei trattati "ineguali" del "secolo
dell'umiliazione" che il Partito comunista ha giurato non tornerà
più. Dal 1° giugno, Vladivostok tornerà un po' cinese. E senza
bisogno di scontri armati come quelli dell'era di Mao Zedong. No,
grazie a un accordo di cui si sta parlando moltissimo sui social di
Pechino, il principale porto dell'estremo oriente russo diventerà di
fatto un hub interno della Cina. Sarà utilizzato per trasportare
merci dalla provincia Nord-orientale dello Jilin a quella orientale
dello Zhejiang. Un risparmio enorme di tempi e costi per la Cina. Le
merci arriveranno al porto di Vladivostok su rotaia o camion, senza
dover pagare tariffe o tasse. E per arrivare a destinazione ci
metteranno circa l'80% in meno.
Già in precedenza c'erano stati accordi simili con la Russia, ma
quello su Vladivostok ha un altro valore. Non solo per il
significato storico ricoperto dalla città, ma soprattutto perché il
porto ha usi sia commerciali sia militari. Il via libera all'accesso
cinese è un ulteriore segnale di fiducia da parte del Cremlino. Ma
anche di accresciuta dipendenza di Mosca da Pechino. Tendenza
accentuata drammaticamente dopo la guerra in Ucraina che ha spinto
sempre di più Vladimir Putin tra le braccia di Xi Jinping come
àncora di salvezza economica, prima ancora che diplomatica.
Proprio la cantieristica navale è uno dei settori individuati da
Mikhail Mishustin in cui rafforzare la cooperazione bilaterale,
insieme alla produzione di droni e all'agroalimentare. Il premier
russo si è recato nei giorni scorsi in Cina insieme al responsabile
dell'Energia Alexander Novak e a una serie di magnati di aziende
russe, alcuni di loro sanzionati dall'Occidente. Tra questi Herman
Gref, amministratore delegato di Sberbank of Russia e consigliere di
vecchia data di Putin. Mishustin ha incontrato ieri Xi e l'omologo
Li Qiang. Ne è uscita l'intenzione di portare la cooperazione a «un
nuovo livello» e l'impegno a garantire stabilità alle catene di
approvvigionamento in opposizione «alla pressione illegale delle
sanzioni».
Dopo l'aumento del 30% dell'interscambio nel 2022, le esportazioni
russe sono aumentate del 67% nei primi 4 mesi del 2023 ed entro la
fine dell'anno si prevede una crescita del 40% nel settore
dell'energia, con il netto superamento dei 2 milioni di barili di
greggio al giorno.
Ma diversi analisti ritengono che con il 2023 si raggiungerà un
"plateau" dell'import cinese di energia, che a oggi rappresenta il
74,5% delle importazioni totali di Pechino dalla Russia. Il viaggio
di Mishustin andrebbe inteso dunque come un tentativo di
diversificare le relazioni commerciali, anche perché Xi non sembra
intenzionato a diventare troppo dipendente da gas e petrolio di
Mosca. Secondo Reuters, Pechino sta infatti dando priorità a un
nuovo gasdotto col Turkmenistan rispetto ai lavori sul Power of
Siberia 2. Anzi, starebbe utilizzando l'annuncio del futuro
collegamento con la Russia via Mongolia per far avanzare a prezzi
meno alti il progetto dell'Asia centrale. La Cina punta tantissimo
sulle repubbliche ex sovietiche, ospitate proprio la scorsa
settimana a Xi'an per il primo vertice tra leader senza la Russia,
con Putin costretto a concedere maggiore spazio di manovra rispetto
al passato per l'accresciuto squilibrio nei rapporti con Pechino.
Ma Mosca non vuole certo essere considerata un semplice sparring
partner. E passare informazioni riservate alla Cina è ancora
considerato alto tradimento. Nei giorni scorsi è stato arrestato
Alexander Shiplyuk, direttore dell'Istituto siberiano Khristianovich
di meccanica teorica e applicata. È accusato di aver consegnato
materiale classificato durante una conferenza in Cina. Dal 2020 sono
almeno tre i casi di scienziati e specialisti russi incriminati per
spionaggio a favore di Pechino. Un segnale che Mosca non vuole
perdere vantaggi tecnologici, nemmeno con un presunto amico senza
limiti.
24.05.23
Reddito, per una famiglia su due è inadeguato rispetto al costo
della vita
Sempre più famiglie in Italia si trovano a vivere situazioni di
indebitamento, oltre a lamentare un generale peggioramento della
propria situazione economica, determinata dalla crescita
dell'inflazione, dalla perdita della capacità di spesa e dagli
ancora elevati costi energetici.
A rilevarlo è l'Osservatorio "SalvaLaTuaCasa" promosso da Esdebitami
Retake, società benefit operante nella consulenza del debito. Tra le
famiglie che affermano di contrarre debiti o che prelevano risparmi
per far quadrare il proprio bilancio, 1 su 2 dichiara che il proprio
reddito è inadeguato rispetto al costo della vita. Tra le
motivazioni che contribuiscono a far crescere le difficoltà
economiche degli italiani si aggiungono le elevate spese legate alla
casa (27% degli intervistati), difficoltà lavorative (17%) e,
inoltre, inaspettati problemi di salute e cambiamenti nella
composizione del nucleo familiare.
23.05.23
Nel 2022 il fisco italiano ha recuperato dalla lotta all’evasione
oltre 20 miliardi di euro. Merito anche della digitalizzazione, con
strumenti quali la fatturazione elettronica e l’invio telematico dei
corrispettivi che hanno indotto una serie di contribuenti – tra cui
gli evasori incalliti – a “ravvedersi”. È quanto si legge
nell’ultimo report dell’Ufficio studi della Cgia sulla base di dati
del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef).
All’appello mancano ancora quasi 79 miliardi di euro di tasse ogni
anno, un importo straordinariamente elevato, ma l’amministrazione
finanziaria italiana sta migliorando la capacità di contrasto
dell’infedeltà fiscale. Tra il 2015 e il 2020, infatti, l’evasione
in Italia è scesa di 16,3 miliardi di euro. Il tax gap stimato dal
Mef è sceso a 89,8 miliardi di euro, di cui 78,9 sono ascrivibili
al mancato gettito tributario e gli altri 10,8 miliardi sono il
“frutto” dell’evasione contributiva.
Poco “sensibili” all’obbligo di adempimento fiscale – sottolinea lo
studio della Cgia – sono anche “quelle multinazionali e i giganti
del web che, in Italia, realizzano profitti milionari”, ma versano
la grande maggioranza delle imposte “nei paesi a elevata fiscalità
di vantaggio”.
Secondo la Cgia, l’Italia potrebbe, nel giro dei prossimi 4-5 anni,
dimezzare l’evasione fiscale e allinearsi al dato medio europeo, ma
occorre attuare una serie di misure, in cui la digitalizzazione
delle procedure continuerà a svolgere un ruolo chiave. Bisognerà,
per esempio, riuscire a incrociare in maniera più efficace le 161
banche dati fiscali che possiede la nostra amministrazione
finanziaria.
Serve, infine, “una seria riforma del fisco che tagli
strutturalmente il peso del fisco su tutti i contribuenti”.
Il digitale per la semplificazione
In attesa dell’approvazione dei decreti attuativi, per l’Ufficio
studi della Cgia “una riforma fiscale importante che abbia
l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare
preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture,
dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente
brevi, almeno altri tre obbiettivi”: la riduzione del carico fiscale
a famiglie e imprese; la semplificazione del rapporto tra il fisco e
il contribuente; la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.
L’evasione da Nord a Sud
Nel 2020 il peso dell’economia non osservata sul valore aggiunto
nazionale (Pil) era all’11,6%, pari a 174,6 miliardi di euro. Nelle
varie aree del paese, il sommerso economico ha una diversa incidenza
sulla ricchezza prodotta: del 9,2% a Nordovest, del 9,8% a Nordest,
del 12% al Centro e addirittura del 16,8 % nel Mezzogiorno.
Specularmente, si è distribuito per ogni regione il mancato gettito
tributario e contributivo che, invece, si aggira attorno ai 90
miliardi di euro. In altre parole è come se, a livello nazionale, a
fronte di ogni 100 euro di gettito incassato ne venissero evasi
13,2. Nel Nordovest, l’Ufficio studi della Cgia ha stimato che
l’ammontare totale del gettito evaso sia pari a 23,4 miliardi di
euro; pertanto ogni 100 euro incassati in questa ripartizione
geografica gli evasori se ne trattengono 10,3, nel Nordest 11,1
(17,6 miliardi di gettito eroso dagli evasori), al Centro 13,6 (19,8
miliardi di gettito perso) e nel Mezzogiorno 19 (29,1 miliardi di
gettito perso).
CENSURA GIUDIZIARIA :
Come azionista Atlantia mi ero costituito parte civile nel processo
sugli omicidi del Ponte Morandi , ma il Tribunale non mi ha ammesso
con motivazioni irrilevanti che sottoporro' al CSM.Intanto Radio
Radicale e' stata silenziata nel silenzio anche della stessa perche'
il processo viene fatto senza alcuna motivazione giuridica a porte
chiuse .Perche' ? Per un fare sentire direttamente che :Il momento
più drammatico si materializza dopo mezz'ora di audizione. «In una
riunione fra manager e dirigenti emersero dubbi sul fatto che il
Ponte Morandi potesse rimanere in piedi, a causa d'un grave difetto
di progettazione. Io chiesi se c'era un ente terzo che certificasse
la stabilità del viadotto, mi dissero che lo autocertificavamo.
Quella risposta mi terrorizzò, ma non dissi e feci nulla. Tenevo al
posto di lavoro. Castellucci (Giovanni, ex amministratore delegato
di Autostrade per l'Italia, ndr) era presente e pure lui non
aggiunse niente».Gianni Mion, ex capo di Edizione ovvero la
cassaforte della famiglia Benetton che controllava la holding
Atlantia e a cascata Autostrade per l'Italia (Aspi), parla per mezza
giornata, in qualità di testimone, al processo sulla strage del 14
agosto 2018 (43 vittime). Mion, in relazione a quella riunione, dice
di non ricordarne con precisione la data, ma da accertamenti
incrociati risulterebbe verosimile che si riferisca a un summit del
2010, otto anni prima del crollo. Molti passaggi della sua
deposizione rappresentano il j'accuse più duro sentito finora, in
materia di mancate manutenzioni.E uno dei legali del pool difensivo
di Autostrade chiede di verificare se non sia a sua volta da
iscrivere sul registro degli indagati, avendo palesato inerzia a
valle di timori. Una mossa che, se accolta dal tribunale, renderebbe
di fatto nulla sia la deposizione sia il verbale, altrettanto
incisivo, che Mion aveva reso agli inquirenti sempre in qualità di
teste nel corso dell'indagine (una specie di analogia con il caso
Ruby Ter, sui pagamenti di Silvio Berlusconi alle Olgettine, finito
in un nulla di fatto perché la Corte ha ritenuto che le ragazze
andassero sentite da inquisite e non come semplici testi). E però il
presidente dei giudici Paolo Lepri, ancorché precisi di volersi
riservare sul punto, pare piuttosto tiepido.«Entrai in Edizione nel
1986 - precisa quindi Mion - e l'ho guidata per quasi trent'anni».
Descrive poi l'Opa su Autostrade per privatizzarla (fine Anni 90) e
la nascita di Atlantia, che controllava proprio il concessionario.
«Era Gilberto Benetton (poi deceduto, ndr) a occuparsi
specificamente del settore autostradale per la famiglia.
Inizialmente ero io il tramite esclusivo tra loro, Vito Gamberale e
Giovanni Castellucci (rispettivamente primo amministratore delegato
e direttore generale quando Aspi fu privatizzata, poi Castellucci
divenne ad, ndr). Con il passare del tempo il mio ruolo si
affievolì, entrambi volevano avere un rapporto più diretto con la
proprietà».Focalizza poi l'informazione nodale: «Si facevano
periodiche riunioni, cosiddette di "induction", con i management
delle varie società controllate. Erano importantissime».«In una si
parlò del Morandi, me lo ricordo benissimo. E a quell'incontro
parteciparono tra gli altri Castellucci e l'allora direttore
generale Mollo di Aspi (Riccardo, imputato, ndr). Emerse la
specificità del progetto di Riccardo Morandi. Io, che pure non sono
tecnico, chiesi: c'è una certificazione di un agente esterno sulla
percorribilità del Ponte?». Il pm lo contesta: «Lei alla Finanza, in
un precedente interrogatorio, disse: "I tecnici rivelarono dubbi sul
fatto che quel ponte potesse stare su e la rassicurazione fu "ce lo
autocertifichiamo"». Mion conferma e il giudice Lepri chiede: «Chi
rassicurò?». Mion: «L'ingegner Mollo. Io purtroppo non replicai, ma
ero preoccupato. L'autocertificazione è una contraddizione in
termini. Non condividevo, ma non dissi niente, è un mio rammarico».È
qui che interviene Giorgio Perroni, uno dei difensori, e chiede che
Mion sia a sua volta accusato. Il manager poi riprende: «Visto il
tipo di opera, o la verifica un terzo o chiudi il Ponte. Ma
l'autocertificazione sembrava assurda soltanto a me, nessun altro
aveva dubbi, erano tutti d'accordo. C'era anche Gilberto
Benetton».Gli chiedono di spiegare il significato d'una telefonata
del 26 gennaio 2021 a Bertazzo (Carlo, allora amministratore
delegato di Atlantia, non imputato): «Se sapevi che aveva difetto di
progettazione - diceva Mion al cellulare - perché non ci hai pensato
prima? Si sapeva da sempre che il Ponte aveva un problema di
progettazione. Abbiamo comprato Aspi, la nostra responsabilità era
dire "sì ragazzi bisogna rifare 'sto ponte"». In aula si limita a
puntualizzare: «Non ho capito perché non l'abbiamo fatto».Le domande
della procura vertono ora sulla figura di Castellucci, presente, che
scuote la testa. «Lo feci assumere io: lo proposi prima come dg
Aspi, poi quale amministratore delegato dopo la mancata fusione con
Abertis. Approfondiva tutto, andava nei dettagli, era un
accentratore forsennato». Il pm: «Perché disse alla Finanza "hanno
fatto i furbi per far assolvere Castellucci nel processo sulla
strage di Avellino (un pullman nel 2013 precipitò da un viadotto
Aspi anche per le imperfette condizioni del new-jersey, ndr)?"».
Mion: «Non era pensabile non sapesse. Basti ricordare che per
l'aeroporto di Roma (a un certo punto passato sotto il controllo di
Atlantia, ndr) fece pure il protocollo sulla pulitura delle
finestre».Ancora, Mion ricorda la stima di Gilberto Benetton per
Castellucci. E il pm chiede se questa fosse legata ai risultati di
gestione. «Anche per quello - dice Mion -. I risultati economici
erano molto buoni, l'azienda redditizia e i dividendi alti. I grandi
azionisti erano molto soddisfatti di Castellucci». Il pm: «Ricorda
pressioni per aumentare i dividendi a scapito di costi e
manutenzioni?». Il testimone: «Che io sappia no».Il contro-esame dei
difensori serve a ricordare che Mion rientrò poi in Edizione, ma
soprattutto che ai primi del 2020 incontrò informalmente l'ex
procuratore capo Francesco Cozzi: «Gli chiesi io di vederci nel suo
ufficio. Parlammo del Morandi e lui mi disse "non avete messo i
sensori, quindi non avete fatto tutto quello che si doveva fare".
Eravamo soli, io e lui, e in generale focalizzammo il collasso del
sistema di controllo: noi pensavamo che anche Anas e Ministero, a un
certo punto, verificassero qualcosa. Affrontammo poi altri temi fra
i quali il mantenimento della concessione e i test alle gallerie, ne
era appena crollata una sull'A26. Non fu fatto alcun verbale».
DELINQUENZA ECONOMICA : Parla con calma e però a un
certo punto la mette giù senza giri di parole: «Via via che i test
erano validati da società esterne al gruppo, ci rendevamo conto che
in precedenza erano stati attribuiti coefficienti di rischio ad
alcune opere decisamente inferiori allo stato effettivo
dell'infrastruttura: in alcuni casi rilevammo un incremento anche
del 200%. I comportamenti di alcuni dipendenti di Spea Engineering
(azienda collegata ad Autostrade delegata ai monitoraggi, ndr) erano
inaccettabili: non la ritenevamo affidabile, perciò ci rivolgemmo
all'esterno».
Roberto Tomasi, amministratore delegato di Aspi (tornata sotto il
controllo pubblico con l'ingresso di Cassa depositi e prestiti), e
succeduto a Giovanni Castellucci, aveva parlato appena prima di
Gianni Mion, nella giornata che il tribunale ha dedicato
all'audizione dei supermanager. Tomasi non è coinvolto né in questo
né in procedimenti collegati ed è stato sentito come testimone,
senza l'affiancamento d'un legale.
«Fino al mio incarico di direttore generale (ottobre 2018, giunto
nel 2015 in Aspi da Enel, ndr) non mi ero mai occupato di
manutenzioni. Nel febbraio 2019 fui nominato amministratore
delegato, con deleghe limitate. Non avevo quella sulla gestione
finanziaria della società o ai rapporti con il concedente (lo Stato,
ndr). Nell'autunno 2019, dopo la diffusione di alcune
intercettazioni, Castellucci si dimise anche da Atlantia (in
precedenza aveva lasciato l'incarico di capo azienda in Autostrade,
ndr) e a quel punto passarono a me pure le altre competenze, molto
importanti». Chiede il pm Walter Cotugno: «Cosa accadde in Aspi da
lì in avanti?». E Tomasi: «Si discuteva di come mantenere la
concessione, finché una notte di luglio 2020 fu perfezionato
l'accordo transattivo per l'ingresso di Cdp: si trattò di un atto
molto complesso».
Si torna adesso indietro di 2-3 anni, al tempo in cui era appena
diventato ad di Autostrade. Il pm: «Sono aumentati i lavori sulla
rete?». Risposta: «Certamente sì, sulle attività di ammodernamento e
manutenzione abbiamo investito molto, in particolare con il capitolo
su gallerie e viadotti».
L'incremento, certificato da slide mostrate in aula, fece schizzare
le spese da 264 a 769 milioni di euro fra 2017 e 2021, tra quota
base e piano straordinario. «Nel piano straordinario - è ancora
Tomasi a parlare - erano inclusi specificamente i restyling a
gallerie e ponti». Insiste il pubblico ministero: «Cambiaste il
soggetto delegato alla sorveglianza?». E il dirigente è netto: «Spea
Engineering fu affiancata dalle esterne Speri e Progear: subito per
16 opere, poi per 33, infine per tutte. Ci rendevamo conto che c'era
divergenza tra i punteggi in precedenza attribuiti da Spea e quelli
delle società terze, abbiamo rilevato per anni un incremento dei
coefficienti di rischio (segno che prima c'era stata una
sottovalutazione, ndr). Emergeva uno stato peggiore della rete,
sostanzialmente peggiore, anche un più 200% nell'aumento dei
punteggi sui pericoli... e ancor più deficitario era il quadro
conoscitivo sulle gallerie. Al novembre 2022, avevamo trovato nei
tunnel liguri 6mila difetti non segnalati da Spea; 27mila su quelli
italiani». Il pm: «All'esito di questi nuovi controlli sulle opere
d'arte, emersero valutazioni 70 (il massimo di rischio, ndr) a
seguito delle quali si profilava come soluzione per evitare pericoli
la chiusura dell'infrastruttura?» «Sì», insiste lapidario Tomasi.
Va ricordato che Tomasi era stato intercettato nel corso delle
indagini, e le sue rivelazioni hanno permesso di appurare con
maggiore certezza come durante riunioni tecniche d'alto livello il
capo nazionale delle manutenzioni di Autostrade Michele Donferri
Mitelli (imputato) ordinasse di abbassare a tavolino i coefficienti
di pericolo su varie opere. E a un certo punto chiese espressamente
di ridimensionare la valutazione del rischio-stabilità sul Ponte
Morandi, almeno un anno prima della strage, con precise finalità
economiche.
Lo si comprende da un dialogo - agli atti - appunto fra Tomasi e il
responsabile dell'ufficio legale di Autostrade Amedeo Gagliardi (non
indagato o imputato). L'11 dicembre 2019 fanno riferimento con
stupore alla lettura, da parte dello stesso Gagliardi, d'una serie
di trascrizioni. Secondo gli inquirenti è la sbobinatura delle
captazioni clandestine effettuate da Marco Vezil di Spea Engineering
tra il 2016 e il 2017 a margine degli incontri con Donferri. Ed è in
uno di quei summit che, perlomeno in base a quanto riferito da
Gagliardi a Tomasi, di nuovo Donferri ordina di ammorbidire i dati
sulla pericolosità del viadotto del capoluogo ligure, motivando
quest'input con l'imminente ingresso di soci tedeschi e cinesi e con
la necessità di contenere i costi in vista d'un consiglio
d'amministrazione.
UNA CARTABIA DA CANCELLARE : Tre Procure della Repubblica –
Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena – lavorano sull'alluvione in
Romagna. Per ora si tratta per lo più di fascicoli a modello 45,
ovvero senza titolo di reato né indagati, e legati ai decessi. Atti
dovuti. C'è un'eccezione a Ravenna. Dove la Procura ha aperto cinque
fascicoli senza ipotesi di reato, tra cui quelli relativi ai due
coniugi di 73 e 71 anni, morti mentre erano rientrati in casa
nonostante l'allagamento per spostare un frigorifero che li avrebbe
prima folgorati e poi schiacciati. Ma per un sesto caso ipotizza
l'omicidio colposo: riguarda la morte di un 75enne che aveva deciso
di restare in casa nonostante gli inviti all'evacuazione. I vicini
di casa hanno raccontato di aver chiamato i soccorsi per tre quarti
d'ora, invano.
Non risultano, a oggi, indagini «sistemiche» sulla gestione del
territorio e sui sistemi di allerta. Le fonti giudiziarie sono molto
prudenti su questi fronti. Le prime valutazioni indicano che le
caratteristiche del disastro siano tali da non giustificare
iniziative d'ufficio. Quando arriveranno sulle scrivanie dei
procuratori esposti e denunce da parte di privati, esponenti delle
istituzioni e associazioni si valuterà. Ivan Mantovani, sindaco di
Monterenzio, ne ha già annunciato uno. Si può già delineare il
quadro normativo e giurisprudenziale entro cui si dovrebbero muovere
queste inchieste. Lo ha illustrato Pasquale Fimiani, avvocato
generale della Corte di Cassazione, intervenendo domenica a Modena
nel convegno organizzato dalla fondazione Occorsio in chiusura del
Festival della giustizia penale.
La storia dei disastri naturali in Italia è costellata di indagini
giudiziarie, ma poche sono arrivate in porto con sentenze di
condanna. Quanto alla gestione dell'emergenza hanno fatto scuola i
casi di Sarno e Genova, dove i processi si sono conclusi con
condanne definitive perché l'emergenza non era stata gestita
adeguatamente. L'alluvione di Sarno, tra il 5 e il 6 maggio 1998,
provocò la morte di 137 persone. Nel 2013, dopo una prima
assoluzione annullata dalla Cassazione, il sindaco dell'epoca è
stato condannato a cinque anni per la condotta negligente di non
aver ordinato l'evacuazione della popolazione. A Genova, l'ex
sindaca Marta Vincenzi è stata condannata a tre anni per omicidio
colposo, disastro e falso per l'alluvione del 2011.
Quanto ai processi sulle responsabilità sui disastri, fa testo il
terremoto de L'Aquila del 2009. Il controverso processo agli esperti
della commissione grandi rischi si è giocato sulle questioni della
prevedibilità e della prevenibilità dell'evento. La sentenza di
assoluzione prescrive tre condizioni – definizione della sfera del
rischio, modalità di gestione, disponibilità economica – per
configurare una «cooperazione colposa».
La Procura di Piacenza aveva archiviato l'inchiesta sul crollo di
una strada causata dall'alluvione del 2015 in val Nure (la voragine
aveva inghiottito tre persone) sottolineando «la pronta attivazione
del sistema di allarme», ma soprattutto la natura «eccezionale,
catastrofica e non prevedibile» dell'evento. Significativo anche il
passaggio sul «contesto di risorse disponibili per le pubbliche
amministrazioni», a fronte di «molteplici situazioni di dissesto
idrogeologico che hanno richiesto interventi urgenti». A ciò bisogna
aggiungere che la riforma Cartabia ha cambiato la regola di giudizio
per pm e gip. Per celebrare un processo non basta più «l'idoneità
degli elementi a sostenere il giudizio», ma occorre «la ragionevole
previsione di condanna». Difficile da acquisire per ipotesi di
condotte colpose, per lo più discrezionali e omissive, a fronte di
eventi atmosferici estremi.
CI SI PUO' FIDARE DI XI ?Proteste ufficiali al Giappone, un
documento sulla «coercizione economica» degli Stati Uniti, visite
incrociate con la Russia. E lo stop a Micron, uno dei colossi
americani dei microchip. La Cina non ha apprezzato il G7 di
Hiroshima. Sul piano diplomatico, ha convocato l'ambasciatore
giapponese Tarumi Hideo, per contestare le «diffamazioni» subite al
vertice. Particolare stizza nei confronti di Rishi Sunak, che a
Hiroshima ha definito la Cina «la più grande minaccia alla sicurezza
e alla prosperità globali». L'ambasciata di Pechino a Londra ha
detto che il premier britannico ripete «a pappagallo parole di
altri». Sul fronte economico, il ministero degli Esteri ha
pubblicato un lungo documento in cui ribalta le accuse di
«coercizione economica», girandole verso gli Usa. Citando casi di
embargo, sanzioni e restrizioni, Pechino sostiene che sia Washington
a «danneggiare la stabilità globale». La «riduzione del rischio»,
formula coniata dall'Unione europea e adottata ora dagli Usa, è
bollata dai media di stato come «decoupling mascherato». Soprattutto
sul fronte tecnologico. Non a caso la reazione finora più concreta
di Pechino è sul fronte dei semiconduttori, col divieto agli
operatori di infrastrutture chiave di usare prodotti di Micron a
causa di «rischi per la sicurezza». La stessa accusa utilizzata
dalla Casa Bianca per aumentare i controlli alle esportazioni di
chip in chiave anti-cinese.
Sul piano politico, la Cina lamenta il tentativo di
internazionalizzare la questione Taiwan. E infastidisce il filo
rosso tessuto dal Giappone tra guerra e Asia-Pacifico, che Fumio
Kishida ha più volte detto che rischia di diventare «la prossima
Ucraina». Anche la partecipazione di altri Paesi asiatici come Corea
del Sud e Vietnam non è stata apprezzata. La presenza di Volodymyr
Zelensky non è stata criticata apertamente, ma l'invio di F-16
rafforzerà la narrativa secondo cui Usa e Occidente «gettano benzina
sul fuoco» e le parole di pace del G7 «non credibili». Pechino si
descrive come l'unica potenza in grado di parlare sia con Kiev sia
con Mosca, mentre aumentano le tensioni con l'India, l'altro Paese
neutrale che in Occidente qualcuno immagina mediatore, ancor di più
dopo l'incontro tra Zelensky e Narendra Modi. La Cina ha boicottato
la ministeriale turismo del G20, fissata da Nuova Delhi in un
territorio conteso del Kashmir.
Nel frattempo, fitta agenda di incontri sinorussi. Ieri c'è stato un
colloquio tra Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di
sicurezza, e Chen Wenqing, membro del Politburo del Partito
Comunista che supervisiona polizia e intelligence. Atteso a Mosca Li
Hui, inviato speciale per la guerra reduce dalle tappe in Ucraina e
in vari paesi europei. Oggi invece il premier russo Mikhail
Mishustin è al Russia-China Business Forum di Shanghai, prima di
incontrare l'omologo Li Qiang e Xi Jinping. Con lui un'ampia
delegazione che comprende rappresentanti di aziende di magnati
sanzionati dall'Occidente. Focus su petrolio e gas mentre, secondo
Tass, le esportazioni russe in Cina sono aumentate del 67,2% su base
annuale tra gennaio e aprile. Quelle cinesi in Russia sarebbero
cresciute addirittura del 153% ad aprile.
Sullo sfondo si intravede però una ripresa del dialogo tra Pechino e
Washington. Al termine del G7, Biden ha previsto un «rapido
disgelo». Nei prossimi giorni è atteso negli Usa il ministro del
Commercio cinese Wang Wentao. Potrebbero a breve fare il percorso
inverso: Blinken, Janet Yellen e John Kerry. Il dialogo potrebbe
ripartire anche sul fronte militare, su cui i rapporti sono
interrotti dal viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi. La Casa Bianca sta
considerando la «riabilitazione» di Li Shangfu, il generale neo
ministro della Difesa sanzionato dal 2018 per l'acquisto di armi
russe. Mossa utile a favorire un incontro col segretario alla Difesa
Lloyd Austin allo Shangri-La Dialogue di Singapore, il principale
summit di sicurezza dell'Asia-Pacifico.
SEXGATES: La vasta rete di connessioni e complicità ordita da
Jeffrey Epstein ha penetrato palazzi di potere della Corporate
America, come quello di Redmond, quartier generale di Microsoft,
andandosi a insinuare ai piani alti. O meglio al piano più alto
quello di Bill Gates, un altro personaggio illustre ad essere
associato al finanziere newyorkese. Il quale non solo ha minacciato
il co-fondatore di Microsoft, ma lo ha addirittura ricattato via
e-mail per la relazione extraconiugale con una giocatrice di bridge
russa. È il Wall Street Journal a levare i veli all'ennesimo
capitolo della saga criminale del finanziere 66 enne travolto dallo
scandalo sessuale che lo ha visto accusato di abusi, sfruttamento
della prostituzione e traffico di minori. Epstein è stato trovato
morto il 10 agosto 2019 dopo essersi presumibilmente impiccato nella
cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan, dove era
recluso in attesa del processo.
Era noto che nella lista di conoscenti di Epstein ci fosse anche
Gates, ma ora emerge che i rapporti tra i due erano decisamente più
complessi di quanto si sapesse in precedenza. Dopo aver incontrato
la giocatrice di bridge russa Mila Antonova nel 2013 - spiega il
Journal - il finanziere scopre la presunta liaison con Gates che la
donna aveva conosciuto nel 2010 ad un torneo di carte quando lei era
ventenne. Successivamente minaccia di rivelare tutto, visto che
all'epoca il co-fondatore di Microsoft era ancora sposato con l'ex
moglie Melinda French. Epstein chiede a Gates di rimborsargli le
spese sostenute per iscrivere la giovane a un corso di
programmazione di software presso il colosso di Redmond. Una
ritorsione a quanto sembra, scatenata dal fatto che il finanziere
non era riuscito a convincere il re del software a sostenere una
fondazione di beneficenza creata per rifarsi una reputazione
offuscata da una precedente condanna per abuso sessuale di una
minorenne. La sentenza era giunta da un tribunale dello Stato della
Florida nel 2008 che lo aveva giudicato colpevole di aver
sollecitato la prostituzione di una minorenne e finendo in carcere.
Nel 2017, quindi, il finanziere invia un'e-mail al co-fondatore di
Microsoft chiedendo di essere rimborsato per il costo della scuola.
"Bill Gates ha incontrato Epstein esclusivamente per scopi
filantropici - fa sapere un suo portavoce - Avendo ripetutamente
fallito nel trascinarlo oltre tali questioni, ha tentato senza
successo di sfruttare una relazione passata per minacciarlo". Già un
paio di anni fa, a pochi giorni dall'ufficializzazione del divorzio
da Melinda, Gates diede ragione all'ormai ex moglie facendo mea
culpa per la frequentazione, che peraltro sarebbe stata uno dei
motivi che hanno portato la moglie a chiedere il divorzio. Il
co-fondatore di Microsoft ha definito il rapporto con il finanziere
un "enorme errore", pur ribadendo di averlo incontrato soltanto
perché sperava di raccogliere più fondi per le sue cause
filantropiche. Gates ha incontrato Epstein diverse volte a partire
dal 2011: è stato a cena nella sua casa a New York, e ha volato sul
suo aereo privato dal New Jersey alla Florida nel marzo 2013.
Antonova ha rifiutato di commentare sulla relazione con Gates, ma ha
assicurato che non sapeva chi fosse Epstein quando si sono
incontrati. «Non avevo idea che fosse un criminale o che avesse
secondi fini - ha sottolineato - Pensavo solo che fosse un uomo
d'affari di successo e mi volesse aiutare».
Una vicenda infinita quella del finanziere newyorkese: di recente
Deutsche Bank è stata costretta a impegnarsi a pagare 75 milioni di
dollari per chiudere in via extragiudiziale una potenziale causa
collettiva che lo vede accusato di aver facilitato il giro di
sfruttamento sessuale del finanziere americano. La "class action"
era stata avviata lo scorso anno a New York da una donna anche e per
conto di altre accusatrici dell'ex milionario. Deutsche Bank era
coinvolta nel caso perché accusata di aver fatto affari con Epstein
nonostante sapesse che il denaro dei suoi conti venisse utilizzato
per attività illecite legate al traffico sessuale di minorenni. Il
finanziere aveva avviato i suoi affari con la banca tedesca dopo che
Jp Morgan Chase con cui faceva affari dal 1998 aveva liquidato i
suoi conti nel 2013 in seguito alle sue vicende giudiziarie.
Baiardo ambasciatore mafioso:
Questo Baiardo comincia a diventare stucchevole, oltreché losco:
rivela, minaccia, confida, prevede, allude, chiede soldi; non sembra
aver paura, né che gli tappino la bocca i suoi vecchi sodali, né che
qualche giudice gli metta le manette (e, francamente, non si capisce
il perché non lo facciano). Si capisce perché la trasmissione di
Giletti su La 7 sia stata chiusa – l'editore non voleva finire nei
guai -, si capisce meno perché la Rai abbia mandato in onda ieri
sera un'ennesima puntata della saga del gelataio, in cui Baiardo
rivela che l'ormai famosa foto (virtuale) del trio Berlusconi –
Graviano – Generale dei CC Delfino, seduti tranquilli al bar della
piazza di Orta San Giulio, sono non una, ma tre e che le ha scattate
lui. A poco sono servite le proteste dei legali e della famiglia
Berlusconi, per l'infamia che sottendono; se La 7 si è ritirata
dallo show, la Rai insiste; e io non riesco veramente a capire il
perché. Né, di nuovo, capisco perché carabinieri o magistrati
lascino libero Baiardo di imperversare, da sei mesi. Forse pensano
di risalire attraverso di lui ai suoi mandanti?
O forse pensano di lasciar passare senza troppi colpi di scena,
l'anniversario della strage di Capaci, il trentunesimo per
l'esattezza: un altro secolo, un'altra vita, un'altra generazione.
O forse c'è – intorno a Baiardo – qualcosa di indecoroso e di
indicibile.
Nelle righe che seguono vi propongo di riconsiderare una sequela di
eventi, la maggior parte dimenticati, che formano una possibile
narrazione, come si dice ora.
Dunque, nel 1992, Giuseppe Graviano, boss palermitano semi
sconosciuto, ma in realtà molto ricco, molto potente e molto
protetto, conduce una latitanza dorata e senza problemi di sicurezza
tra il paese di Omegna e Milano, dove ha "nella sua disponibilità",
un appartamento a Milano 3, la creatura di Berlusconi, con cui, dice
lui, è in rapporti di affari (affari molti seri). Ad Omegna è invece
è Salvatore Baiardo, un affiliato al clan, a fargli da segretario e
autista tuttofare. Il generale dei carabinieri Francesco Delfino,
dopo anni passati a Miano ad occuparsi di sequestri di persona (il
suo reparto, piuttosto che "La Benemerita" era chiamato "La
Benestante", perché il generale, quando liberava un rapito, lo
convinceva a ringraziare l'Arma). Delfino conosceva Berlusconi? Non
c'è prova, ma è probabile, di certo pescò tra i carabinieri gli
uomini per la sicurezza privata della sua famiglia. Delfino
conosceva Graviano? Sicuramente, in quanto Graviano gli fece fare
"il colpo del secolo", con l'arresto dell'autista di Riina, nel
paese di Borgomanero, a pochi chilometri da Orta. Non solo, ma
Delfino si premurò di avvertire, sei mesi prima del fatto, politici
potenti che sarebbe stato lui ad arrestare Riina. Giuseppe Graviano,
tre anni fa, pubblicamente rivelerà di conoscere Delfino e si
vanterà di aver fatto un servizio allo Stato contribuendo alla
cattura di Riina. (E' un argomento che il generale Mario Mori,
uscito indenne dopo un ventennio dal famoso processo trattativa, non
ama affrontare. Il merito tocca a lui. Delfino non ribatte, perché è
morto, in disgrazia peraltro).
Dunque, sicuramente la notizia della foto che ritrae il trio è
falsa, ma naturalmente è verosimile; siamo insomma nella situazione
peggiore.
Ma torniamo al nostro gelataio. Salvatore Baiardo il 27 gennaio 1994
accompagna con la sua Mercedes 190 i Graviano Giuseppe e Filippo da
Omegna a Milano. I due, le loro fidanzate e altri amici palermitani,
vengono arrestati la sera mentre mangiano al ristorante. Ma nessuno
trova loro le chiavi di casa, né di Omegna, né di Milano Tre. In
sostanza, un po' come era successo per la casa di Riina a Palermo,
nessuno tocca le sue cose, i suoi documenti, i suoi effetti
personali, i suoi soldi o i suoi telefoni. Salvatore Baiardo sarà
arrestato più di un anno dopo e accusato di reati gravissimi:
avrebbe organizzato la logistica dell'attentato degli Uffizi a
Firenze, organizzato un imponente riciclaggio di denaro per contro
dei Graviano. È verosimile che Baiardo abbia preso in consegna gli
effetti personali dei fratelli Graviano? Sì.
Molto strano è il passaggio di Salvatore Baiardo attraverso il mondo
giudiziario. Arrestato dalla DIA di Firenze e passato sotto la
supervisione di Pier Luigi Vigna, parla molto, ma non mette a
verbale. Fa nomi, elenca circostanze, ricostruisce la filiera dei
soldi, ma non diventa un "collaboratore di giustizia". Viene
liberato dopo due anni e due mesi. Quando si andrà a processo,
sorpresa: contro di lui Vigna firma solo una richiesta – risibile –
per favoreggiamento. E per questo viene liberato e perdonato. Se ci
sia stata una trattativa privata tra il procuratore e l'imputato non
si saprà mai.
Vigna intanto è diventato procuratore nazionale antimafia e
quell'esperienza "baiardesca" gli viene utile, quando, luglio 1997,
viene arrestato a Palermo Gaspare Spatuzza, il killer più in gamba
del clan Graviano. Spatuzza e Baiardo si conoscono, eccome. Il clan
Brancaccio si sta dissolvendo, tra pentiti e semi pentiti. Gaspare
Spatuzza non è da meno e spiffera tutto subito: "se volete la
verità, guardate a Milano Due" sono le sue prime parole: il
procuratore Vigna lo cura, lo fa trasferire al carcere di Tolmezzo
(il penitenziario preferito per colloqui riservati) e lì, insieme al
suo vice Piero Grasso, Spatuzza racconta tutto, luglio 1998, ma
proprio tutto: le stragi, Capaci, via D'Amelio, i Graviano, Dell'Utri,
Berlusconi, la nascita di Forza Italia, l'impostura del falso
pentito Scarantino, il ruolo malefico del questore Arnaldo La
Barbera. Ne esce un verbale di 164 pagine, che dovrebbe essere
studiato nelle scuole (e che i lettori possono facilmente trovare
online digitando "Il Post"-"Deaglio"-"Spatuzza"), con un particolare
succoso: quando sembra che l'accordo sia fatto, Spatuzza non firma,
affermando che le garanzie per sua moglie non sono sufficienti.
Succede spesso così, nelle grandi trattative, ma stranamente Vigna
non rilancia; eppure era facile: avrebbe potuto coprirla d'oro la
moglie di Spatuzza e lui medesimo, la coppia era terribilmente
venale. Per dire, quando Spatuzza uccise don Puglisi, al Brancaccio,
prese dal suo portafoglio la marca della patente. Quando Graviano
gli impose di controllare i freni della Fiat 126 che avrebbe ucciso
Borsellino, si fece dare cinquantamila lire, ma non li diede al
meccanico).
E invece, niente, i tre si salutano… Resta però un verbale scritto
(quello audio invece pare proprio si sia perso) che riaffiora
quindici anni dopo in un dimenticato faldone della procura di
Caltanissetta, davanti alla quale Spatuzza nel 2010 ha finalmente
concluso la trattativa sul suo pentimento light. E dire che quel
documento non avrebbe mai dovuto saltare fuori.
C'è un altro particolare che lega Baiardo a questa grande vicenda.
Nel 2010, quando, insieme a Spatuzza viene resa nota la
testimonianza di tale Fabio Tranchina ("Giuseppe Graviano ha
schiacciato il telecomando di via D'Amelio"), il gelataio di Omegna
si fa vivo con i giornali: io so la verità! Tranchina mente, quel
giorno Graviano era con me ad Omegna, un poliziotto può
testimoniarlo; si fa forte del fatto che, in fin dei conti, è stato
solo un favoreggiatore, reato minore. L'alibi era palesemente falso,
ma nessuno neanche pensa di incriminare Baiardo. Chissà perché.
Ora, quindici anni dopo, tutto sembra dimenticato e Salvatore
Baiardo è in grado di tenere sulla corda mezzo mondo. Ha la foto del
Trio, ha visto, anzi l'ha addirittura fotocopiata, l'Agenda Rossa di
Borsellino, ha trattato una soluzione del caso con Paolo Berlusconi,
sta per pubblicare un libro, nessuno lo può fermare, Tik Tok lo
ospita volentieri, Report anche. Sa anche perché è stato ucciso
Falcone: l'hanno ucciso i comunisti perché indagava sui
finanziamenti russi al Pci.
Ma davvero siamo ridotti così, che dopo 31 anni di antimafia, chi
comanda la scena è il gelataio di Omegna?
L'altro ieri ero a Capaci, a parlare di queste cose, in piazza.
Capaci è diventato un bel paese, ben amministrato, solido e temprato
dalla storia. Ma tutti i presenti sapevano che la memoria del boato
venuto dal sottosuolo dell'autostrada non li abbandonerà mai. Un
uomo adulto, (che continua a chiamarsi "ragazzo"), ha raccontato di
come il 23 maggio 1992 lui, che era ragazzo davvero e fotografo di
matrimoni per professione, fosse stato il primo a recarsi sul
cratere. Abitava a cento metri, scattò rullini di panoramiche. Poco
dopo arrivò il vice questore Arnaldo La Barbera, che gli fece
sequestrare i rullini. Un altro uomo adulto ha raccontato che
all'epoca era garzone in una panetteria e venne un uomo, del paese,
ad ordinare venti panini, per i suoi operai che facevano un lavoro.
Sulla collinetta, è stato ricordato, dove adesso è scritto "No
Mafia" (che non si capisce se voglia dire, come "no global", non è
stata la mafia, o se voglia dire semplicemente: non vogliamo la
mafia), c'era Antonino Gioè, per conto dei servizi segreti italiani,
probabilmente uno dei destinatari dei venti panini. Gioè venne
arrestato l'anno dopo, e portato a Rebibbia. A Rebibbia era stato
anche portato Salvatore Riina, il capo dei capi. Stranamente Riina,
in carcere, disponeva di un telefono cellulare. Stranamente Gioè
aveva la cella vicina alla sua. Stranamente, Gioè venne trovato
morto – impiccato? – nel luglio 1993. "Si è pentito di quello che ha
fatto" disse il generale Mori. Non ci fu mai un'inchiesta, nessuna
curiosità, in trentun anni. E tutt'ora, che sarebbe ancora
possibile.
Oggi è l'anniversario, e Baiardo è l'unico a festeggiarlo. E'
diventato famoso, ha vinto. Ed è un peccato che noi – noi opinione
pubblica, noi magistrati, noi Stato, noi giornalisti gli abbiamo
permesso tutto questo scempio di verità.
Resta davvero l'amaro in bocca, inoltre, che la verità si sapesse
fin dall'inizio e che sia stata così facilmente occultata. —
22.05.23
PRNN FLOP : L'intervento del
ministro Fitto ha chiuso il dibattito organizzato dalla fondazione
Vittorio Occorsio nell'ambito del festival della giustizia penale a
Modena. Magistrati, accademici e avvocati d'accordo: il destino del
Pnrr in termini di trasparenza, legalità ed efficacia non dipenderà
dallo spauracchio delle inchieste penali, ma da puntuali controlli
amministrativi e contabili. Ed è su questo fronte, non sul
«legittimo ma ozioso dibattito sull'abuso d'ufficio, che peraltro
non suonerà bene alle orecchie europee», che si sofferma il
procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
I motivi di «grande preoccupazione dal mio osservatorio carente di
ottimismo» sono tanti: «I controlli antimafia sono stati indeboliti,
come dimostrano le attività delle prefetture; banche e imprese non
collaborano fornendo i dati sui percettori dei fondi; c'è una
carenza allarmante di know how sui controlli preventivi in materia
ambientale e digitale; le imprese legali ricorrono ai servizi di
quelle mafiose; la polverizzazione delle stazioni appaltanti è
crescente». Ce n'è anche per il sistema giustizia, «che risponde a
logiche microcorporative, non a obiettivi di efficienza».
METODO SBAGLIATO: Sostiene Raffaele Fitto, il ministro che ha
in mano il dossier del Pnrr su cui si gioca il destino del governo e
del Paese, che «è questione di pochi giorni, poi sarà tutto chiaro.
Io non mi faccio condizionare da attacchi al limite degli insulti,
che mirano a screditarci in un gioco di sponda tra Roma e Bruxelles,
né distrarre da un dibattito surreale come quello sull'uso dei fondi
del Pnrr per il dissesto idrogeologico. Noi stiamo lavorando e
porteremo in Europa fatti, non chiacchiere, per spiegare perché il
Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi.
Altrimenti ci facciamo molto, molto male».
L'analisi di Fitto parte dai numeri, «scusate lo so che in Italia
sembra strano o provocatorio, ma serve una diagnosi reale per non
sbagliare terapia. In pochi mesi abbiamo monitorato l'utilizzo dei
fondi europei 2014-2020. Tre anni dopo la scadenza, su 126 miliardi
ne abbiamo speso il 34%. Vogliamo riproporre questo schema con i
fondi del Pnrr che sono quasi il doppio (ai 220 miliardi bisogna
aggiungere i 30 del fondo complementare), con meno della metà di
tempo di spesa, regole e vincoli molto più rigidi? Il calcolo è
facile. Giugno 2026 sembra lontano, ma è vicinissimo. Questo è il
problema».
Idee chiare
La ricognizione dello stato di attuazione del Piano nazionale di
ripresa e resilienza, decisa dal governo per rinegoziare i contenuti
concordati da Draghi, è praticamente conclusa. Mancano alcuni
dettagli, ma nella sostanza il dado è tratto e Fitto ha le idee
chiare. Non si tratterà di cosmesi o di chirurgia di precisione, ma
di uno «smantellamento con la revisione strutturale anche di alcuni
obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi».
Questa è la conseguenza inevitabile che scaturisce dalla «oggettiva
constatazione che «gran parte del Pnrr non è spendibile. C'è un
problema di quantità di interventi e uno di qualità. Non si può
spendere tanto per spendere. Quindi noi stiamo immaginando dei
cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una
serie di interventi non strategici, su cui abbiamo acquisito la
certezza di non realizzabilità».
Il catalogo non sarà breve. «Ci stiamo lavorando con senso di
responsabilità». Sicuramente il capitolo infrastrutture sarà
notevolmente sforbiciato. «Quelle grandi non sono tutte
realizzabili, perché il sistema imprenditoriale italiano non è in
grado di triplicare in un anno questo genere di interventi».
La trappola finanziaria
Si può stimare un taglio del 30% delle grandi opere. Quanto alle
piccole, il problema è «la polverizzazione in decine di migliaia di
progetti. Per lo più preesistenti al Pnrr, che per questo motivo
richiedono un supplemento di valutazione. Serve una riflessione
all'insegna del realismo, alla luce dei meccanismi di controllo
europei: campionamento a sorteggio e restituzione di tutto il
finanziamento in caso di mancata realizzazione anche solo dell'1% di
un'opera, una beffa con effetti pesanti sulle finanze pubbliche».
Per Comuni e Regioni, che rischiano di perdere pingui fonti di
spesa, si ragionerà su compensazioni con gli altri due fondi
(sviluppo e coesione) che Fitto vuole mettere a fattore comune
«secondo il principio dei vasi comunicanti», visto che hanno
scadenze più lunghe e regole più lasche.
Guerra ed energia
Considerando che nel Pnrr ci sono 110 miliardi di opere pubbliche su
220 totali, l'impatto della revisione sarà gigantesco. Scartata
l'idea di rinunciare ai fondi, si tratta di decidere dove
ricollocarli. Sul punto vacilla persino la mitezza dorotea di Fitto,
mai intaccata dall'approdo meloniano. «Si fa un dibattito surreale,
privo di lucidità e concretezza» ipotizzando di cambiare i progetti
in corso d'opera, a seconda dell'emergenza contingente: ieri
l'immigrazione, oggi le alluvioni, domani chissà.
Il ragionamento di Fitto è che «non si possono sostituire gli
interventi del piano, in gran parte ereditati dal passato,
anacronistici e comunque in ritardo, inventandone di nuovi ancora da
progettare e a maggior ragione irrealizzabili in tre anni. I ritardi
nella spesa sul dissesto idrogeologico, con progetti per 2,5
miliardi già esistenti e inseriti nel Pnrr dal governo Draghi,
dovrebbero essere una lezione. Bisogna cambiare gli obiettivi». A
cominciare da alcuni dei 27 legati alla quarta rata da 16 miliardi,
con scadenza a giugno. Entrano nella trattativa, che in ogni caso si
chiuderà entro la fine di agosto. «Questa è la finestra, il momento
di un'operazione verità».
Il bando flop
Della categoria «obiettivi non raggiunti» fa parte il bando flop
sulle colonnine per la ricarica di idrogeno, su cui era sorta una
«incomprensione» con la Corte dei Conti che aveva pubblicato un
dossier di censura. Fitto, che aveva protestato, oggi rilancia: «Che
colpa abbiamo noi se arrivano solo 36 domande per 40 colonnine? Come
si fa a ipotizzare una responsabilità? E in ogni caso quella
competenza è dell'Ue. Piuttosto, bisognerebbe pensare che
l'obiettivo era sbagliato».
L'idea guida è spostare decine di miliardi verso gli incentivi alle
imprese, con meccanismi automatici e rapidi, già sperimentati con
successo perché minimizzano l'intermediazione delle pubbliche
amministrazioni. «Incentivi che alla luce delle nuove regole sugli
aiuti di Stato, ormai ammessi anche per il funzionamento delle
imprese, servono a garantire la nostra competitività nei confronti
di Paesi con forte capacità fiscale. La Germania ha messo sul piatto
200 miliardi. Noi non avremo spazio nemmeno con il piano RepowerEu
in discussione, perché abbiamo preso tutta la quota a debito. Dunque
dobbiamo rendere la nostra competitività industriale sostenibile.
Altrimenti non reggiamo».
Il collegamento con guerra («possiamo mai immaginare che fosse
prevedibile, quando fu lanciato il Recovery?»), inflazione e choc
energetico sarà il grimaldello per invocare la norma del regolamento
europeo che consente modifiche al Pnrr per oggettive circostanze
sopravvenute.
Il doppio fronte
Il ministro non si nasconde difficoltà e incertezze della
trattativa. «La Commissione sembra formalmente collaborativa, nei
prossimi giorni capiremo se lo è anche nella sostanza». Resta
l'indizio del blocco da gennaio della terza rata da 19 miliardi.
«Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, stiamo aspettando una
risposta dalla Commissione. Forse c'è un eccesso di attenzione.
Peraltro quella rata riguarda il governo precedente, perché è la
rendicontazione a fine 2022».
Quanto al fronte interno, le tensioni con gli altri ministri non
sono mancate. «All'inizio alzavano molte resistenze, perché il
nostro lavoro mette in discussione una loro grande capacità di
spesa. Ora stanno collaborando perché hanno capito che così il Pnrr
gli scoppierà tra le mani».
Perciò Fitto non teme «il fuoco amico», quanto un movimento
magmatico e trasversale che «difende il piano così com'è, giocando
di sponda con Bruxelles». E a cui attribuisce «gli attacchi al
limite degli insulti» che riceve quando parla di questo tema,
conditi da rappresentazioni macchiettistiche della trattativa con la
Commissione europea, alla Totò e Peppino. «Falsità per colpirci e
screditarci», chiosa senza voler «alimentare conflitti e polemiche,
perché il Pnrr va attenzionato ma salvaguardato. Non è frutto del
nostro governo, appartiene a tutto il Paese»
21.05.23
NON BASTA : Insomma: in
gergo la chiamano «rottura controllata». Spacchi l'argine per
alleggerire le pressione. Fai un taglio, crei uno sfogo. E così
hanno fatto ieri i Vigili del Fuoco, in via degli Zingari, nel
quartiere periferico della Basetta di Ravenna: un taglio sugli
argini del canale Magni. Era pieno come mai nella sua storia, era
molto minaccioso. Scendeva verso il centro della città. Ma se rompi
gli argini, da qualche parte l'acqua si allarga. Nel caso specifico
è finita nei terreni di proprietà della Cooperativa Cab Terra, cioè
la cooperativa agricola dei braccianti del Ravennate.
È stato lo stesso presidente della cooperativa, Fabrizio Galavotti,
a spiegare quello che stava succedendo con un post su Facebook: «La
prefettura ci ha chiesto il permesso di tagliare il canale dove c'è
l'idrovora e allagare i nostri 200 ettari in via Romea per cercare
di alleggerire la pressione dell'acqua e salvare il salvabile, le
idrovore non riescono a pompare tutta l'acqua che c'è. Naturalmente
abbiamo acconsentito sperando che serva a qualcosa».
Questa è la storia. Un gesto di generosità, o meglio un gesto
politico. Accettare un danno privato, per evitare un danno pubblico
peggiore. «Quei lavoratori sono gli eredi dei bonificatori che hanno
liberato queste terre dalle paludi», dice il sindaco di Ravenna
Michele De Pascale. «Il loro profondo senso di comunità arriva da
quella storia. E noi, adesso, non possiamo altro che dire questo:
grazie».
PUTIN GAME OVER : L'unico appuntamento che Volodymir Zelensky
ha saltato al G7 di Hiroshima è stata la cena fra i leader, giunta
al culmine di una giornata che lo ha visto viaggiare per 14 ore,
stringere mani, incassare solidarietà e perorare la causa ucraina.
Questa mattina l'Ucraina tornerà al centro di una sessione dei
lavori estesa ai Paesi ospiti, come Unione africana, Isole Cook,
India, Brasile, Corea del Sud fra gli altri.
Nel primo pomeriggio Zelensky avrà un bilaterale con Biden al quale
arriva rinfrancato dalla luce verde che gli Usa hanno dato
all'addestramento dei piloti all'uso degli F-16 e alla loro consegna
a Kiev. Per Washington l'appoggio «continuerà solido e risoluto sino
a quanto sarà necessario», ha detto un funzionario
dell'Amministrazione sottolineando che «Jake Sullivan (consigliere
per la Sicurezza nazionale, ndr) da settimane guida gli sforzi»
sugli F-16. Una precisazione per smontare la tesi che Biden abbia
cambiato posizione su pressione degli alleati dopo che in
un'intervista alla ABC in febbraio aveva detto che i caccia non
sarebbero stati dati a Kiev perché non necessari. È una linea che
gli americani anche ieri hanno confermato, sostenendo che i caccia
serviranno in uno scenario post-bellico per rafforzare la sicurezza
e deterrenza ucraina. L'Amministrazione non ha ufficialmente
confermato lo stanziamento per un nuovo pacchetto di armamenti da
oltre 350 milioni di dollari, ma l'annuncio sarebbe imminente.
Gli emissari del G7 lavoravano da settimane alla logistica
dell'arrivo di Zelensky a Hiroshima. Zelensky aveva chiesto che
fosse un aereo militare di Parigi a fare da spola, dapprima
portandolo dal confine polacco a Gedda, dove ha partecipato al
summit della Lega Araba, e poi dal Golfo all'Estremo Oriente. Macron
gli ha garantito il totale appoggio e a bordo del volo c'era
Isabella Dumont, consigliera ed ex ambasciatrice a Kiev. Quel che
l'inquilino dell'Eliseo ritiene è che la presenza di Zelensky
potesse avere «un effetto game changer» su Modi e Lula. La linea di
Macron è condivisa da Washington e un funzionario Usa ha confidato
che «altri leader ora possono usare la loro influenza su Putin». Il
piano ha lo scopo di rosicchiare ulteriormente credito a Putin,
isolandolo sempre di più sul fronte diplomatico. Per questo il G7,
nel comunicato finale, si esorta anche Pechino a usare la sua
influenza sulla Russia. Zelensky ha visto Meloni, Macron, Sunak, ma
è a Modi che ha recapitato il messaggio più forte «invitandolo ad
aderire al suo piano di pace». Il premier indiano ha replicato che
New Delhi «farà tutto il possibile per mettere fine al conflitto».
I tentativi di coinvolgere altri attori condotto dal Giappone ha
provocato la reazione di Mosca e Pechino. Il ministro degli Esteri
russo Sergei Lavrov ha denunciato i tentativi di "contenimento" da
parte del G7, mentre da Pechino sono arrivate piccate reazioni al
documento finale del summit. In una nota il ministero degli Esteri
cinese ha ribadito che «la soluzione della questione è affare del
popolo cinese».
Il G7 è compatto sulla necessità di ridurre la dipendenza da Pechino
su alcuni settori, sul rafforzamento della sicurezza economica e sul
monitoraggio di pratiche commerciali illegali. Sono i perni di una
visione che si traduce nell'attenzione agli investimenti diretti a
Pechino affinché non siano dirottati nell'industria hi tech e
militare; nel controllo della supply chain e nella costruzione di
una "Via della Seta occidentale", ovvero la Partnership for Global
Infrastructure and Investment (Pgii) per lo sviluppo di progetti
infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo per cui sono stati
sinora stanziati 600 miliardi di dollari. Un'operazione di ampio
respiro cui verrà fatto un ulteriore tagliando nel giugno 2024
quando il G7 sarà in Puglia.
MAFIA ED IMMIGRANTI :Il 30
novembre del 2019 di fronte ai poliziotti della squadra Mobile di
Crotone compare Ali Awat Ismail. La notte dello sbarco a Torre
Melissa, 2952 abitanti nell'alta costa jonica calabrese, è passata e
lui è un reduce che può raccontarla. Ore di audizione. Scrive due
nomi su un foglio bianco: Namr Ranya e Sadon Qit. Sono i ras della
rotta balcanica che lo hanno fatto partire dalla Turchia. Tira giù
dalla rubrica i numeri di cellulare, indica un profilo Facebook. Li
ha incontrati nel quartiere Aksaray, tutto alberghi e negozi nel
distretto di Faith. E di lì ha atteso la chiamata per salpare verso
l'Italia. Al ristorante "Instanbul Pizza& Kebab" si ritira il pass
per l'Europa e si sblocca la prima transazione su un sistema Hawala,
un canale di pagamento da remoto funzionale anche al riciclaggio
oltre che al saldo del debito. In una sola agenzia di Trieste, gli
investigatori segnaleranno 87 rimesse sospette di soldi in quattro
mesi: 442 mila euro dal 21 agosto 2020 al 31 dicembre successivo.
Il testimone mostra un video in cui i migranti, in spiaggia, vengono
costretti a inneggiare ai trafficanti. Un tributo di cartone, un
inno macabro a pochi chilometri da un'ansa di mare che dal 26
febbraio scorso (e fino a pochi giorni fa) ha restituito, alla
spiaggia, 100 corpi di bambini, uomini e donne nel drammatico
naufragio della Summer Love, Steccato di Cutro: una strage.
Sono partiti da lì i poliziotti dello Sco: trenta sbarchi monitorati
in quattro anni, 1100 persone salpate da Smirne e da Salonicco per
raggiungere l'Europa. O da Patrasso e da Atene. Qui, nel quartiere
Omonia, all'hotel Lido, i trafficanti affittano stanze per metterle
a disposizioni dei transfughi in attesa delle barche a vela "che
davano meno nell'occhio". Alla fine, ventinove arresti.
L'inchiesta disegna un upgrade nel contrasto al traffico di migranti
gestito da network criminali stranieri. «Perché – per dirla con le
parole il direttore centrale dell'Anticrimine Francesco Messina - si
colloca ben oltre il livello degli scafisti» (che pure – al netto di
questo blitz - sono stati arrestati nella misura di una ventina) e
racconta di una «vera e propria agenzia transnazionale – dice
Messina - scoperta grazie all'impiego di gruppi di investigazione
misti con una strategia che da tempo ormai non può prescindere dalla
cooperazione internazionale con altre forze di polizia ed Europol».
Una holding «che offriva un pacchetto completo fino al paese di
destinazione»: Germania, Francia, Austria. Dall'aereo per
raggiungere Istanbul, ai bus per arrivare sulle spiagge di notte,
alle barche a vela, all'approdo sulle coste calabresi, al treno per
risalire la penisola, alla "scorta" per oltrepassare il confine. "E
se a Ventimiglia lo respingono ci proviamo altre dieci volte, se lo
arrestano lo liberiamo e ripetiamo altre 100 volte fino a quando non
riusciamo a farlo passare. Il prezzo resta uguale, tranquillizza i
passeggeri". Fino a diecimila euro per arrivare in Italia. Duecento
euro dal Ponente Ligure fino a Lione, 300 a Parigi, 1200 a Berlino.
"A bordo di treni o di taxi" raccontano le carte dell'inchiesta, si
può arrivare ovunque.
Sette cellule, dalla Calabria alla Puglia; Torino, Milano, Foggia,
Crotone, Ventimiglia. Accolgono i viaggiatori". Li aiutano a
scappare dai centri di accoglienza. I telefoni, sotto controllo,
parlano: "Una volta arrivati in Italia – dicono i trafficanti - vi
dovete nascondere e chiamare questo numero. Solo Viber e WhatsApp,
vi manderemo una macchina e vi salverà dal fotosegnalamento Ok?".
E poi c'è Trieste. Qui il «Grande Sheiks sa tutto» dice al telefono
Mamhood. Motivo: «Fa il trafficante da 20 anni. Sa dirti dove
arriverai, a che ora, chi ti aspetta, chi ti porterà in Francia.
Conosce le spiagge dove ci sono gli sbirri e quelle dove si può
sbarcare easily». Il suo vero nome è Mustafa Omar Mohammed Ali,, 46
anni, iraqeno. E poi c'è Mama Awat, cosi recensito nelle
intercettazioni agli atti dell'inchiesta: "Una brava persona,
generoso, ogni volta fa partire più di 30 per volta".
Leggendo le conversazioni si capisce bene come in Turchia nessuno
dei trafficanti abbia timore che esista il potere – o la volontà se
preferite – di arginare il loro business. E se qualcuno viene
arrestato come Tawfeeq Omar Akbar fermato a Istanbul con la pesante
accusa di associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione
clandestina, il commento del ras Sadon Qit è lapidario: "Si vede che
non ha pagato abbastanza la polizia".
"I migranti – scrive il gip Gabriella Pede che ha disposto gli
arresti su richiesta del procuratore Nicola Gratteri e dai sostituti
Paolo Sirleo e Anna Chiara Reale - raggiungono anche Milano a bordo
di un'auto condotta dai sodali della cellula del sud Italia. Detto
servizio – chiosa il giudice - è pagato dai 500 ai 600,00 euro". Dal
giardino pubblico "di fronte alla stazione centrale" parte la prima
telefonata alle sentinelle al confine francese. "Ti ho mandato gli
ospiti!! Sono vestiti bene". Ancora: "Gli uccellini sono saliti
tutti quanti (sul treno ndr), uno di loro "non è accompagnato" (non
ha un trafficante di riferimento ndr). Lo portiamo dentro lo
stesso?". Incassata la risposta affermativa, chiude la telefonata:
"Non ho mai guadagnato così tanti soldi".
20.05.23
DISUMANO: Nei primi
frammenti si vede un van bianco fermarsi in una strada sterrata. Dal
camioncino vengono fatti scendere degli adulti e almeno tre bambini,
di cui uno così piccolo che viene portato in braccio, sembra avvolto
in una coperta bianca. Nel video successivo questo piccolo gruppo di
persone viene fatto salire su un gommone grigio. Nelle terze
immagini, sempre molto nitide, il gommone si ferma sotto una nave
della guardia costiera Greca e le persone vengono trasferite da un
mezzo all'altro, i bambini presi in braccio dagli adulti, tanto sono
piccoli e non riescono a salire da soli. Nell'ultimo, le immagini
sono prese da lontano, sono molto meno nitide, ma grazie all'aiuto
di un circolino bianco sovraimposto graficamente, è possibile capire
quello che sta succedendo: il gruppo di persone, bambini compresi,
sono ora su una piccola scialuppa di salvataggio, in mezzo al mare,
abbandonati, mentre la nave si allontana nella direzione opposta. È
questo il contenuto del video pubblicato ieri dal New York Times
ripreso dal volontario Fayad Mulla l'11 aprile scorso sull'isola di
Lesbo, la prova che inchioda le autorità greche, colte nell'atto di
abbandonare i richiedenti asilo in mare, in violazione delle leggi
internazionali e di quelle europee sul trattamento dei migranti.
"Un'indagine del Times ha verificato e corroborato il filmato",
scrivono i quattro autori dell'articolo - Matina Stevis-Gridneff,
Sarah Kerr, Kassie Bracken e Nimet Kirac – spiegando anche come sono
arrivati a identificare il gruppo. La scialuppa è stata infatti
recuperata dalla guardia costiera Turca e i migranti messi in salvo
e trasportati nel centro di detenzione di Izmir, sulla costa turca.
Qui, il 20 e il 21 aprile i giornalisti del Times hanno intervistato
11 richiedenti asilo provenienti da Somalia, Eritrea ed Etiopia. Tra
questi Naima Hassan Aden, 27, madre del più piccolo del gruppo, un
bambino di soli sei mesi, che ha dichiarato: «Non ci aspettavamo di
sopravvivere. Quel giorno quando ci hanno messo sulla zattera
gonfiabile, lo hanno fatto senza alcuna pietà». Oltre a intervistare
i sopravvissuti – molti dei quali con addosso gli stessi abiti che
si vedono nel video e che hanno fornito una cronologia degli eventi
identica – il The Times ha verificato il filmato effettuando
un'analisi fotogramma per fotogramma "per identificare le persone
nel video, geolocalizzare gli eventi chiave e confermare l'ora e il
giorno utilizzando i dati sul traffico marittimo, nonché un'analisi
della posizione del sole e delle ombre visibili", scrivono gli
autori. Una conferma arrivata anche da Medici Senza Frontiere
attraverso un comunicato: "L'11 aprile scorso il team di Medici
Senza Frontiere (MSF) a Lesbo era stato avvisato di 103 persone
arrivate sull'isola che avevano bisogno di cure mediche urgenti.
Quel giorno MSF ha assistito 91 persone senza riuscire a trovare le
altre 12. Un video pubblicato oggi dal New York Times mostra il
respingimento di un numero simile di persone. (…) A Lesbo i pazienti
di MSF hanno più volte raccontato di essere stati vittime di
respingimenti traumatici da parte delle autorità di frontiera".
Sulekha Abdullahi e i suoi sei figli, dai 2 ai 17 anni, erano sulla
zattera, insieme a Aden e al suo bambino Awale, tutti sopravvissuti.
Del gruppo facevano parte anche Mahdi, 25 anni, e Miliyen, 33. Tutti
hanno raccontato di essere arrivati a Lesbo su un gommone di
contrabbandieri il giorno prima e di aver trascorso una notte
nascosti nella boscaglia prima di essere catturati dagli uomini in
passamontagna che si vedono poi nel video. La signora Aden e il suo
bambino erano originariamente fuggiti da Jilib, una piccola città in
un'area della Somalia controllata da Al Shabab, un gruppo militante
legato ad Al Qaeda. Abdullahi, accompagnata dai suoi figli,
originaria di Mogadiscio, in Somalia, ha affermato di essere fuggita
nello Yemen nel 2013. I suoi figli più piccoli – Mariam, Majid e
Marwan, di età compresa tra i due e i sette anni - sono nati lì.
Aveva deciso di trasferirsi in Turchia a causa della guerra nello
Yemen, e poi dalla Turchia cercare di arrivare in Europa. «Gli
uomini che ci hanno fatti salire sul van hanno detto che lavoravano
per Medici Senza Frontiere», ha dichiarato al Times. Le donne e
alcuni dei bambini più grandi hanno raccontato in lacrime di aver
avuto l'hijab strappato e di aver subito una perquisizione. "Hanno
preso tutto ciò che avevamo, contanti, telefoni, tutto". Poi sono
stati rinchiusi nel furgone bianco e portati in giro per diverse
ore. «Non riuscivamo a vedere nulla fuori, non avevamo un posto dove
sederci» ha detto la figlia maggiore, Ladan, 17 anni. «Eravamo
sdraiati, uno sull'altro». Mahdi e Miliyen, provenienti da diverse
parti dell'Etiopia, hanno raccontato storie simili. Il primo,
studente di ingegneria, aveva speso mille dollari per trasferirsi a
Istanbul, prima di rendersi conto che neanche lì avrebbe avuto un
futuro migliore. Il secondo era partito con la madre, lasciata in
Sudan perché troppo fragile per tentare la traversata in Europa.
Senza telefono, portatogli via dagli uomini prima di farlo salire
sul furgoncino bianco, non sa come contattarla, non sa neanche se è
ancora viva. Seppur salvati in mare dalla guardia costiera turca,
per questo gruppo è difficile che ci sia un lieto fine. Al momento
alcuni sono stati rilasciati, altri, come le donne somale e i loro
bambini, sono rinchiusi in una struttura di accoglienza, di fatto
una prigione, in attesa che le autorità decidano cosa fare. In
teoria i richiedenti asilo hanno il diritto di richiedere protezione
internazionale in Turchia - come spiega al Times Ozge Oguz, un
avvocato che lavora con le persone nel centro di detenzione - ma le
possibilità sono quasi nulle. "Quando le persone vengono portate in
questa struttura perché lasciate dai greci alla deriva in mezzo
all'Egeo, sono già vittime". Accarezzando le mani del suo bambino di
sei mesi Awale, Naima Hassan Aden dice: «Vorrei solo andare in un
posto dove poter sentirmi al sicuro ».
CONTRADDIZIONI MELONIANE: Le polemiche non scalfiscono
Giorgia Meloni e FdI. Per la presidenza della commissione Antimafia
il nome indicato dalla premier resta quello di Chiara Colosimo,
fedelissima dell'inquilina di palazzo Chigi. Le opposizioni (non
tutte) e i famigliari delle vittime non gradiscono: Colosimo,
secondo la trasmissione «Report» sarebbe amica dell'ex terrorista
nero dei Nar Luigi Ciavardini, condannato a 30 anni per la strage di
Bologna, a 13 per l'omicidio del poliziotto Francesco Evangelista e
a 10 per quello del giudice Mario Amato. Martedì il voto, a
scrutinio segreto.
Dopo mesi di attesa la bicamerale è stata convocata per il 23
maggio. La data è simbolica: l'anniversario della strage di Capaci
in cui la mafia uccise Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini
della scorta. Ci si arriverà con i rapporti tesi tra maggioranza e
opposizioni. Colosimo, per essere eletta al primo scrutinio, ha
bisogno di 26 voti su 50: serve la maggioranza assoluta. Se non ce
la facesse, il secondo scrutinio prevede il ballottaggio tra i due
nomi più votati.
Meloni ha scelto lei ed è intenzionata a tirar dritto, nonostante le
famiglie delle vittime di mafia abbiano lanciato un appello alle
forze politiche a non votarla. Da Pd e M5S non dovrebbe arrivare
nemmeno una preferenza, mentre i due commissari del Terzo Polo, la
deputata di IV Raffaella Paita e il senatore di Azione Giuseppe
Castiglione, secondo la maggioranza, potrebbero dare il via libera
alla candidata di Meloni. I condizionali sono d'obbligo, perché lo
scrutinio è segreto. Senza dimenticare che sul piatto della
bilancia, nella trattativa per sbloccare l'impasse sull'Antimafia,
ci sarebbero anche molte altre presidenze, tra cui Affari regionali,
del Federalismo fiscale, Schengen e il Femminicidio. Mancano poco
più di 48 ore: appuntamento alle 13 di martedì a palazzo San Macuto.
COSA C'E' DA NASCONDERE ? La Regione ha nominato il nuovo
collaudatore tecnico amministrativo del Grattacielo Piemonte dopo le
polemiche dimissioni dell'ingegner Natale Comito che, come scritto
da La Stampa, ha rinunciato all'incarico denunciando di aver subito
pressioni e minacce e di non aver mai ricevuto i documenti necessari
per portare a termine il suo incarico.
Il nuovo commissario che andrà a completare la terna insieme con
Luigi Spina e Riccardo Crivellari è Vincenzo Scarano, impiegato
tecnico al Comune di Rivoli. Delle quattro candidature arrivate,
Scarano è l'unico architetto. Gli altri sono ingegneri. Si tratta
della terza scelta della Regione. La prima, l'ingegner Diego
Tollardo, nonostante la sua candidatura, si è sfilato per precedenti
impegni. La seconda, l'ingegnera Anna Monaco, ha invece declinato
non avendo ricevuto il nulla osta dal proprio dirigente. Sarà dunque
Scarano, laureato in Architettura per il restauro e la
valorizzazione dei beni architettonici e ambientali, a dover
valutare la regolarità della mole di appalti e opere della nuova
sede istituzionale della Regione.
Compito non facile. I contratti firmati per il Grattacielo Piemonte
occupano due container e la commissione avrà solo 29 giorni per
vagliare tutto. L'architetto Scarano ha infatti ottenuto un incarico
a tempo: dal 1° al 31 luglio. Ricordiamo che per legge la
commissione collaudo ha un anno di tempo per valutare le carte e le
dimissioni dell'ingegner Comito, avvenute ormai a febbraio scorso,
erano dovute proprio ai ritardi nella consegna del materiale.
Dall'atto di nomina dell'architetto Scarano sembra inoltre che i
documenti non siano ancora completi.
Nel frattempo la notizia delle dimissioni del collaudatore anima la
politica regionale. Giulio Manfredi dei Radicali noto per le sue
battaglie sul Grattacielo, denuncia: «Le ultime notizie delle
dimissioni testimoniano che fino alla fine, con un migliaio di
dipendenti già trasferiti nella sede unica, manca la necessaria e
doverosa trasparenza sull'opera. Per la seconda volta è stato negato
l'accesso civico ai documenti che riguardano il Grattacielo. Oggi a
un giornalista (il riferimento è al rigetto della nostra richiesta,
ndr), nel 2019 a noi».
Il Pd, per bocca del vicepresidente del Consiglio regionale Daniele
Valle, annuncia invece una richiesta di accesso agli atti e
un'interrogazione urgente affinché la giunta riferisca in Consiglio:
«La Regione non può nascondersi dietro al silenzio e invocare la
confidenzialità sui documenti e sulle lettere del collaudatore
dimissionario – dichiara Valle –. Bisogna fare chiarezza su una
situazione preoccupante».
Nessuna reazione è per ora giunta, invece, dalla maggioranza che
governa Palazzo Lascaris. Né, pare, qualcuno si sia mosso per
verificare la fondatezza delle accuse dell'ormai ex collaudatore
dimissionario. La partita è aperta ed è una corsa contro il tempo
per arrivare a ottenere il collaudo entro il termine di fine luglio.
19.05.23
"change.org/fuori-la-politica-da-nomine-della -sanità" : I
conti di Asl e ospedali vanno sempre peggio, le liste di attesa non
ne parliamo, ma ai vertici delle aziende sanitarie girano da anni
più o meno gli stessi uomini nominati dalla politica. Che
indipendentemente dal colore ha sempre voluto mantenere ben salda la
presa sulla sanità, che da sola vale l'80% dei bilanci regionali,
più assunzioni e appalti. Per questo è destinato a far scalpore il
disegno di legge che toglie dalle mani di regioni e partiti di
maggioranza la nomina dei direttori generali delle aziende
sanitarie, prossimo ad essere presentato dal Pd, primo firmatario il
senatore Andrea Crisanti. Un testo che sta già trovando consensi tra
i Cinque Stelle, che nella scorsa legislatura avevano proposto un
provvedimento dai contenuti analoghi «ma senza trovare sponde»,
rimarca la senatrice Maria Domenica Castellone.
L'idea piace anche a medici, infermieri e associazioni dei malati, i
cui rappresentanti, insieme a uno nominato dalla regione e un altro
dall'Agenas, più uno espresso dal Comune, andrebbero a comporre le
nuove commissioni locali, che azienda per azienda sarebbero
costituite dall'Autorità anticorruzione. Una sorta di "commissione
di salute pubblica" chiamata a scegliere il candidato tra gli
iscritti all'attuale albo dei Dg. Il presidente di regione potrà
rifiutare la nomina del candidato proposto «solo per motivate e
comprovare ragioni derivanti dall'esistenza di un conflitto di
interessi», si legge nel testo che verrà depositato a giorni a
Palazzo Madama. Tutto il contrario dell'attuale meccanismo, che
lascia a una commissione di esperti, indicati però dalla regione, il
compito di proporre al presidente regionale una terna di nomi tra i
quali scegliere.
A supporto del ddl è già partita la raccolta di firme sulla
petizione popolare che chiede di ristabilire il principio di
indipendenza tra il controllore politico e il controllato che
amministra. Ieri in dodici ore all'inequivocabile indirizzo "change.org/fuori-la-politica-da-nomine-della
-sanità" erano già state raccolte oltre mille firme a riprova della
voglia di cambiamento su una gestione sanitaria che fa acqua da
tutte le parti. Mentre infatti le liste di attesa si allungano anche
per le prescrizioni di visite e accertamenti diagnostici con
priorità a 10 giorni, i conti delle Asl si tingono sempre più di
rosso, tanto che quest'anno sono in 39 ad essere state
commissariate, tornando così ai livelli di tre anni fa dopo due anni
di calo. Ma a preoccupare è il deficit che si accumula: 3 miliardi
nel 2021 mentre per il 2022 si prevede un buco a consuntivo di 8
miliardi, con il rischio concreto che anche regioni fino a ieri
virtuose, come Emilia Romagna e Toscana, finiscano per essere
commissariate ed entrare così in piano di rientro. Che significa poi
blocco rigido delle assunzioni e tagli alle prestazioni.
«Se andiamo a scorrere l'elenco degli attuali di Dg di Asl e aziende
ospedaliere scopriamo che c'è un carosello di nomi che da anni
passano da azienda ad azienda, mentre con il nostro disegno di legge
dopo due mandati si decade dall'incarico anche se si cambia
regione», puntualizza Andrea Crisanti. «Non c'è una selezione in
base alle competenze, si è sempre andati avanti con gli amici degli
amici. Il Dg della Asl Padova – porta ad esempio il senatore Pd- ha
ricoperto prima lo stesso ruolo a Mestre e Rovigo ed ora ha in
carico anche Belluno, nonostante abbia accumulato negli anni 100
milioni di deficit».
Così mentre molti suoi colleghi di partito reclamano più risorse per
la sanità, Crisanti va contro corrente, affermando che «prioritario
è mettere al comando persone realmente competenti e che non
rispondano a logiche clientelari, altrimenti sarà come fare il pieno
di benzina avendo il serbatoio bucato».
Critico sulla proposta è invece Giovanni Migliore, presidente della
Fiaso, la federazione di Asl e ospedali che rappresenta i manager
della sanità pubblica. «Il vero tema da porre - afferma - è quello
della valorizzazione gestionale e professionale degli attuali Dg,
che vanno motivati anche da un punto di vista economico, visto che
le loro retribuzioni sono ferme da 20 anni». Oggi un direttore
generale di Asl guadagna dai 130 ai 150 mila euro lordi l'anno. Per
dirigere aziende che fatturano anche due miliardi di euro come
talune Asl, il privato arriva a pagare i suoi manager 10 volte
l'anno. Ma anche le basse retribuzioni sono state un modo per tenere
in questi anni ben salda la presa dei partiti sulla sanità. —
OPERE PUBBLICHE , DUBBI Il
grattacielo della Regione, la più importante opera pubblica in
Piemonte degli ultimi 50 anni, rischia di non ottenere il collaudo
tecnico-amministrativo. Il 1° febbraio scorso, nel silenzio
generale, si è dimesso uno dei tre membri della commissione:
l'ingegnere Natale Comito, dipendente della Regione stessa. Nella
sua lettera di rinuncia all'incarico Comito dice esplicitamente di
essersi sentito pressato, minacciato, di aver perso la necessaria
serenità per continuare il suo lavoro perché «il solo obiettivo del
Rup (il Responsabile unico del procedimento che segue i lavori del
Grattacielo per conto della Regione, ndr) è quello, probabilmente su
indicazione dell'amministrazione, di conseguire il Certificato di
collaudo tecnico amministrativo positivo entro il termine prescritto
del 29 luglio 2023». Questo, però, «non tenendo conto della
complessità dell'oggetto da collaudare e dalla mole della
documentazione da verificare».
Va precisato, innanzitutto, che il collaudo tecnico amministrativo
non riguarda la stabilità dell'edificio (valutata e approvata lo
scorso autunno), ma la conformità dei lavori eseguiti con il
contratto, i progetti e la contabilità.
La lettera di Comito però è esplosiva ma non sembra aver turbato più
di tanto l'assessore regionale Andrea Tronzano, uno dei destinatari
della lettera: «Conosco personalmente l'ingegner Faccipieri (il Rup,
ndr) ed escludo che possa aver fatto pressioni o minacciato
qualcuno», dichiara a La Stampa. Anche la dirigenza regionale nega:
«È un'accusa grave che si rispedisce al mittente, ci riserviamo di
tutelare l'ente».
Eppure, intorno alla lettera dell'ex collaudatore, circola un certo
imbarazzo. Abbiamo tentato di ottenerla con un accesso agli atti ma
la Regione ha rigettato la richiesta per motivi di confidenzialità e
riservatezza. Contattato in seguito al rifiuto e pur non concedendo
interviste, l'ex commissario ha rivelato di non essersi opposto alla
divulgazione e ha inviato la lettera.
Vigilare sui soldi pubblici
Per capire cosa c'è in gioco è necessario capire prima cos'è e cosa
fa la commissione di collaudo tecnico amministrativo. Si tratta di
un organo formato da tre commissari con un alto livello di
specializzazione con il compito di accertare che tutte le opere
eseguite siano conformi al contratto firmato. Tutela la Regione e i
soldi dei contribuenti. Evita, per esempio, che direttore dei lavori
e ditte possano mettersi d'accordo facendo pagare marmi di Carrara
al posto di pavimenti previsti in legno. Oppure che la qualità dei
materiali sia più scadente.
Per effettuare questi controlli la commissione ha un anno di tempo
dalla fine lavori e per legge deve ricevere entro tre mesi i
documenti necessari. La direzione lavori del grattacielo ha emesso
il certificato il 29 luglio 2022. Ma i lavori non erano proprio
finiti: la direzione stessa ha assegnato alla ditta altri 60 giorni.
Può farlo - spiega la Regione - per lavorazioni di piccola entità
accertati come marginali e non incidenti sulla funzionalità
dell'opera. Un mese dopo, però, è la stessa direzione a certificare
che siamo ancora lontani dall'obiettivo: non c'è un'opera terminata,
le percentuali di completamento vanno dal 91 al 97%. Quando sono
finiti davvero i lavori? C'è un secondo documento che lo ha
accertato? Per il Rup non serve: «Non è prevista l'emissione di un
ulteriore certificato e la fine lavori non è stata revocata».
Se così è, significa che la commissione collaudo deve certificare
entro il 29 luglio 2023.
Valutare senza documenti
Ed è qui che iniziano le difficoltà. Nella lettera, Comito dice che
la commissione ha inviato una prima richiesta di documenti a
settembre, ma non ha ricevuto risposta. A gennaio 2023, parte una
seconda lettera con un tono ancora più preoccupato: mancano sei mesi
al collaudo. La Regione, sentita da La Stampa, dichiara che «la
documentazione è stata fornita con regolarità ai collaudatori, nel
rispetto delle tempistiche e compatibilmente con le varie fasi del
collaudo a tutt'oggi in corso». Ma Comito smentisce nella sua
lettera: mancherebbero dei documenti e quelli esistenti non
sarebbero stati forniti in modo regolare.
Sull'assenza di documenti, è la Regione stessa a confermare quanto
denunciato dall'ex collaudatore. Dopo le dimissioni
l'amministrazione deve trovare un sostituto per ricomporre la
commissione. Un primo bando non va a buon fine ma nel secondo - del
10 marzo - è la Regione stessa a dichiarare che «sono ancora in
corso adempimenti della direzione lavori per la contabilizzazione
finale dei lavori e le attività della stazione appaltante
preordinate al collaudo tecnico amministrativo dell'opera». In
pratica manca il conto finale, il documento principale su cui deve
basarsi la commissione collaudo.
Corsa contro il tempo
L'assessore Tronzano, a nostra specifica domanda, ha risposto di
sentirsi tranquillo sul rispetto dei tempi: «Siamo in linea, non ci
sono particolari problemi per quel che riguarda il collaudo tecnico
amministrativo». Un nuovo collaudatore è stato nominato il 5 maggio
scorso (la determina dirigenziale non è ancora online per un
problema tecnico). Riuscirà il neo commissario, che ha così
ricomposto la terna, a valutare in due mesi (ricordiamo che la
scadenza è il 29 luglio 2023) ciò che doveva essere analizzato in 12
mesi? E sarà pronta la documentazione che il commissario
dimissionario lamentava di non avere?
Il Grattacielo Piemonte è un'opera gigantesca, con più corpi. È
composto da una Torre con base quadrata di 45 metri di lato, alta
205 metri, con 42 piani fuori terra e due interrati; ha un centro
servizi, un ex asilo, un parcheggio sotterraneo e una centrale per
la produzione e distribuzione dell'energia. In questi dieci anni si
sono alternate ditte affidatarie, Rup, commissari di collaudo,
relazioni tecniche critiche e la bellezza di 9 varianti. L'ammontare
degli appalti è pari a 300 milioni di euro. Insomma, un livello di
complessità davvero alto, tanto da aver spinto l'ex collaudatore -
in mancanza di risposte - alle dimissioni dopo cinque anni di lavoro
sull'opera.
Interesse pubblico
Al di là dell'esito del collaudo, resta in piedi l'accusa di
pressioni e minacce sollevata dall'ex collaudatore. La dirigenza
regionale rigetta le accuse e dichiara che si tutelerà in ogni sede.
L'assessore Tronzano è certo che un'ipotesi del genere non è nemmeno
immaginabile. Una conferma o una smentita si sarebbero forse potute
trovare nel carteggio tra commissione di collaudo e Rup intercorso
nei mesi scorsi, ma questa documentazione non ci è stata fornita.
Alcuni commissari si sono infatti opposti alla divulgazione del
materiale perché lo hanno ritenuto confidenziale e la Regione
Piemonte ha ritenuto preminente l'interesse alla tutela dell'ente
stesso su una vicenda molto complessa, con cause tutt'ora in corso,
rispetto a quello della divulgazione all'opinione pubblica.
18.05.23
RICATTO POLITICO : Ci
risiamo. Ancora una volta il corto circuito governo-Camere, sui
decreti che lievitano durante il passaggio parlamentare, costringe
il Quirinale ad esercitare una moral suasion sulla maggioranza. Il
decreto bollette all'esame di Montecitorio, che stanzia 5 miliardi
di euro contro gli aumenti di luce e gas, ieri, prima di approdare
in aula, è tornato in commissione perché alcuni emendamenti
approvati rischiavano di trasformarlo in un provvedimento omnibus.
Dal testo saltano quattro norme: una misura sul payback dei
dispositivi medici; il ruolo di Assoprevidenza a supporto degli
investimenti dei fondi pensione nella capitalizzazione delle pmi; la
possibilità per i parlamentari di visitare gli ospedali senza
preavviso e il fondo per una scuola intitolata alle vittime di
Marcinelle. Dal Colle fanno sapere che non c'è stato alcun
intervento diretto perché la decisione sull'ammissibilità degli
emendamenti spetta ai presidenti delle Camere, però il punto di
vista del capo dello Stato sui decreti omnibus è noto e sicuramente
ha pesato sulla retromarcia del governo. Il presidente Sergio
Mattarella aveva sollevato un'obiezione tre mesi fa sul decreto
Milleproroghe varato dall'esecutivo Meloni, proprio per la sua
natura disomogenea. Ma un richiamo era arrivato anche durante il
mandato di Mario Draghi a Palazzo Chigi, quando il decreto Sostegni
bis raddoppiò il numero dei commi tra Camera e Senato.
Nel decreto bollette, c'è un'altra norma che ieri è stata stralciata
dalla commissione bilancio di Montecitorio per un problema di
copertura rilevato dalla Ragioneria dello Stato. Il testo sotto
accusa riguarda la stabilizzazione dei ricercatori precari degli
Irccs e degli Izs (rispettivamente Istituti di ricovero e
zooprofilattici). «È un passo indietro che accettiamo con molta
fatica», dice il presidente della commissione Finanze Marco Osnato,
di Fratelli d'Italia. Osnato se la prende con «alcuni ministeri
costruiti come fortini stratificati negli anni scorsi. Questa
maggioranza non può accettare che qualcuno pensi di detenere rendite
di posizione a scapito della democrazia», polemizza. Comunque la
fiducia sul decreto ormai è stata messa e oggi verrà votata. Il
provvedimento andrà poi al Senato per la seconda lettura.
CREDIBILITA DI STATO ? Subito dopo la lettura della sentenza,
Nicolas Sarkozy è uscito dall'aula rispondendo con un sorriso appena
accennato ai tanti giornalisti che gli chiedevano un commento sulla
condanna per corruzione e traffico di influenze inflittagli dalla
Corte dAppello di Parigi. L'ex leader dei neogollisti francesi,
all'Eliseo tra il 2007 e il 2012, ha dribblato i cronisti lasciando
ai suoi avvocati il compito di annunciare il ricorso in Cassazione
contro la pena di tre anni, di cui due con la condizionale e uno ai
domiciliari con il braccialetto elettronico, decisa dai giudici in
quello che è stato ribattezzato come «l'affaire delle
intercettazioni». Un responso, quello del tribunale, «stupefacente»,
«criticabile» e «contestabile», ha commentato la legale Jacqueline
Laffont, secondo la quale nella sentenza ci sono più «lezioni
morali» che «diritto».
Una pena mai vista prima d'ora in Francia per un ex presidente, che
prevede anche tre anni di interdizione dai diritti civili e di
conseguenza l'ineleggibilità. L'ultimo «record» apparteneva a
Jacques Chirac, che nel 2011 era arrivato a due anni con la
condizionale per un caso di impieghi fittizi risalente al periodo in
cui era sindaco di Parigi. Condannati con la stessa pena di Sarkozy
il suo avvocato storico Thierry Herzog, che non potrà esercitare la
professione per tre anni, e l'ex magistrato Gilbert Azibert. Anche
per loro ci sarà un ricorso.
Secondo la giustizia francese, Sarkozy è colpevole di aver promesso
nel 2014 ad Azibert, in quel periodo avvocato generale alla Corte di
Cassazione, di impegnarsi per fargli ottenere un importante incarico
nel Principato di Monaco (mai arrivato), in cambio di informazioni
giudiziarie che lo riguardavano. Il tutto con l'avvocato Herzog a
fare da mediatore tra i due. Un «patto di corruzione» tra i tre,
stando alla Corte d'Appello.
L'affaire nato quasi per caso, quando alla fine del 2013 gli
inquirenti stavano intercettando le telefonate dell'ex inquilino
dell'Eliseo nell'ambito delle indagini sui sospetti finanziamenti
libici alla campagna presidenziale del 2007. In quell'occasione,
furono messi sotto controllo due telefoni di Sarkozy, ma presto si
scoprì l'esistenza di un terzo, registrato a nome di Paul Bismuth,
un vecchio compagno di scuola di Herzog finito suo malgrado a dare
il nome mediatico al processo. Proprio quest'ultimo dispositivo era
utilizzato da Sarkozy esclusivamente per entrare in contatto con
Azibert. Inutili le argomentazioni della difesa, che hanno criticato
il modus operandi giudicandolo contrario al rispetto della
confidenzialità tra un avvocato e il suo cliente. «Lo farò salire»,
«lo aiuterò», si sente dire da Sarkozy a Herzog in
un'intercettazione, con chiaro riferimento a Azibert. Secondo la
Corte, i fatti rappresentano una «particolare gravità» proprio
perché vedono come responsabile un ex capo dello Stato, che dovrebbe
essere «garante dell'indipendenza dell'autorità giudiziaria.
Ma il «processo Bismuth» non è l'unico a togliere il sonno a Sarkozy.
L'ex presidente il prossimo autunno dovrà affrontare anche il
giudizio in seconda istanza su dei sospetti finanziamenti illegali
per la campagna del 2012, mentre nei giorni scorsi la Procura
nazionale finanziaria ha chiesto il suo rinvio a processo per dei
presunti finanziamenti libici arrivati durante la corsa all'Eliseo
di sedici anni fa che lo vide vittorioso. Una sfilza di guai con al
giustizia della quale ancora non si intravede la fine.
COLLUSIONI DI COMODO : L'analisi è stata realista: «La
‘ndrangheta a Torino? Una presenza stabile, forte, radicata e per
nulla occasionale. Cerca di entrare nell'economia legale, va a
caccia di contatti con pezzi della politica e della pubblica
amministrazione, affilia anche non piemontesi». In sintesi: «Torino
e il Piemonte hanno almeno due record di cui non andare esattamente
fieri». Il magistrato Paolo Toso, 10 anni alla Dda di Torino,
autore, insieme alla polizia giudiziaria, di diverse inchieste sulla
mafia calabrese (da Big Bang, ad Alto Piemonte, da Cerbero a
Carminius) è stato ascoltato ieri per un'ora e mezzo dalla
commissione legalità del Comune di Torino. Nella sala dell'Orologio,
Toso, ha spiegato che «è vero che gli ‘ndranghetisti non viaggiano
col cartello in fronte (motivo per cui i politici sostengono sia
complicato evitare contatti scomodi), ma non può essere nemmeno
sempre cosi ogni volta. Incontrare boss non è reato, ma pone un tema
morale che non è di interesse della magistratura». In aula silenzio.
Seduto tra i banchi dei commissari c'è anche Domenico Garcea,
consigliere comunale finito mesi fa al centro del dibattito per le
risultanze di un'inchiesta proprio condotta dal pm Toso che registrò
un effettivo interessamento di due boss (uno anche suo parente non
di primo grado) per la sua candidatura. Intercettati al telefono i
mafiosi (conclamati) dicevano: «Stasera andiamo da Rosso (alla festa
elettorale dell'ex assessore regionale Roberto Rosso ndr), ma domani
votiamo Garcea». La procura non lo ha considerato una condotta
rilevante penalmente, ma il quadro storico resta. Come resta il
sorprendente stupore di molti dei commissari dell'assise,
evidentemente "distratti" sui 17 processi celebrati dal 2011 a oggi
al netto della maxi operazione Minotauro, dei 350 imputati, delle
inchieste già diventate letteratura nelle antologie di
giurisprudenza «Dottore – hanno detto – grazie per questa analisi,
ma lei ci ha inquietato. Grazie, comunque, di averlo fatto» hanno
detto in molti. «Non eravamo preparati a questo quadro» hanno
aggiunto altri. Toso, per nulla polemico, ma efficace nella replica
ha detto: «Che nessuno si offenda perché non si tratta di un
attacco. Ma da magistrato mi stupisco, e da cittadino un po' mi
indigno, che chi amministra i territori non legga le sentenze (di
quei territori ndr). Se l'obiettivo della giustizia è anche
restituire un pezzo di verità sui fatti, allora bisogna informarsi».
LA CINA SCAVA LA TOMBA A PUTIN :
17.05.23
GLI ELETTORI COSA PENSANO ? Dice
Claudio Scajola: «L'Italia deve costruire una classe dirigente
all'altezza, bisogna uscire dalla iattura del giovanilismo e
rimettere al primo punto la competenza». Lo dice gettando un occhio
sul calendario, che scandisce i 75 anni e li festeggia con la quarta
elezione a sindaco di Imperia. La seconda consecutiva con il 63 per
cento al primo turno. Ha battuto il poliziotto che lo aveva
inquisito, candidato dal Pd. Sei vicende locali, altrettante
assoluzioni. Incastonate tra le grandi vicende nazionali. La casa
con vista sul Colosseo, vicenda prescritta dopo un'assoluzione in
primo grado. Intanto si era dimesso da ministro. Quella sulla
mancata scorta a Marco Biagi (archiviata) e le polemiche per quel
«rompicoglioni» che lo costrinsero a dimettersi da ministro
dell'Interno. Il processo ancora in corso per aver tentato di
favorire la latitanza del deputato di Forza Italia Matacena. Ma dopo
la condanna in primo grado, anche questa vicenda è già prescritta
anche se i suoi avvocati chiederanno l'assoluzione in appello.
Scajola, lei non ha voluto simboli di partito accanto al suo nome e
il centrodestra si è adeguato. Ma è stato anche protagonista
dell'epoca dei partiti tradizionali. Che cosa è accaduto nel
frattempo, tanto da ripudiarne i simboli?
«Hanno perso il collegamento con il corpo elettorale e la classe
dirigente è più debole. Alle politiche la gente firma delle sigle,
mette delle croci su stemmi. Invece il sistema con cui si eleggono
gli amministratori dei comuni è molto bello, fa scegliere le
persone. Guardiamo a Brescia».
Dove però ha vinto una candidata di centrosinistra.
«A Brescia ha vinto la candidata che è stata vicesindaco nella
precedente amministrazione di Del Bono perché i cittadini hanno
giudicato che ha lavorato bene. Non c'è stato nessun effetto Schlein,
i bresciani non sanno nemmeno chi è».
Ora la discussione politica è concentrata sull'assetto dello Stato;
tra le idee c'è quella del "sindaco d'Italia".
«Premessa. Sono contrario al presidenzialismo. L'Italia non è in
grado di reggerlo. C'è bisogno di una carica in cui tutti si sentano
uniti. Poi bisogna rafforzare i governi. Cancellierato alla tedesca,
elezione diretta del premier, sindaco d'Italia: si può discutere.
Certo con un riequilibrio dei poteri. Ma la cosa più importante è
uscire subito dal votificio».
Lei ribadisce: questo è un Parlamento di nominati. Devono tornare le
preferenze?
«Le preferenze o qualunque altro sistema, ma l'elettore ha il
diritto di indicare il suo parlamentare».
Le viene riconosciuto di aver contribuito al periodo d'oro di Forza
Italia.
«In questa elezione ho usato lo stesso schema. Un focus alla mattina
e uno alla sera sulle cose da fare. Il modello che utilizzavo quando
costruivo FI sul territorio accanto a Berlusconi. Andavamo nei
posti, facevamo i congressi e si sceglievano i dirigenti. Non sono
cambiato io. Sono cambiati i partiti».
Le è stato chiesto di dare una mano alla riorganizzazione di Forza
Italia.
«Il mio rapporto con certe persone è sempre saldissimo. Stamattina
ho sentito Letta e Confalonieri. Abbiamo deciso di rimanere vicini».
La politica di che cosa ha bisogno?
«Credo che serva un nuovo contenitore, un rassemblement che metta
insieme le istanze del centrodestra fino alle più moderate».
Giorgia Meloni potrebbe garantire questo passaggio?
«La stimo: è determinata, capace nelle decisioni, parla chiaro.
Credo che lei stessa si renda conto che serve un ulteriore salto.
Chissà che Berlusconi, possa darle le chance giuste».
Nel 2018 disse che il "modello Toti" era una patacca.
«Oggi ho un rapporto molto buono con lui. Ma sono io che sono
rimasto sulle mie posizioni. Credo che la sua partita a livello
nazionale sia un tentativo finito, ora fa il buon governatore»
MARCHIONNE NON HA MAI AMMESSO : A quasi
otto anni dalla deflagrazione in Usa del dieselgate, lo scandalo
sulla manipolazione dei gas di scarico nei motori diesel, per la
prima volta un manager tedesco di alto livello ammette le sue
responsabilità davanti a una corte di giustizia. È quanto successo
ieri davanti al tribunale di Monaco, dove l'ex amministratore
delegato di Audi, Rupert Stadler, ha dichiarato «di aver mancato di
informare sul dispositivo di spegnimento» del sistema di controllo
dei gas e «di rendersi conto da solo che ci sarebbe dovuta essere
una maggiore diligenza». Quattro pagine di confessione, scritte in
prima persona ma lette in aula dalla sua legale, in cambio della
sospensione della pena in carcere e la condanna a una multa di 1,1
milione di euro. Questo l'accordo pattuito con la procura due
settimane fa. Secondo la ricostruzione dei giudici, il top manager
della controllata di VW sarebbe venuto a conoscenza del meccanismo
di manipolazione dei gas nel 2016 e avrebbe protratto, pur
sapendolo, la vendita delle auto coinvolte fino al 2018. Stadler non
è dunque accusato di aver permesso la manipolazione delle auto ma di
esserne venuto a conoscenza senza reagire. Su chi abbia dato
l'incarico di frodare invece – a otto anni dallo scoppio dello
scandalo che ha fatto tremare l'automotive tedesca - non è ancora
stata fatta chiarezza. La confessione del manager di Audi, oltre due
anni di processo, i procedimenti in corso nei confronti degli
ingegneri non sono bastati a chiarire chi sia stato a dare
l'incarico di studiare un meccanismo che permettesse di non
registrare i valori reali di emissione dei gas serra nella fase di
scarico dei motori.
Per scoprirlo resta il procedimento – attualmente congelato – contro
l'ex ad di Volkswagen, Martin Winterkorn. Il Ceo di lungo corso del
gruppo era stato costretto alle dimissioni, all'indomani della
denuncia negli Usa nel settembre 2015. Sul manager 75enne pende un
processo più volte sospeso per malattia, impedimento che non ha
potuto esimerlo dal pagare alla casa automobilistica risarcimenti
per 11,2 milioni di euro. La stessa Volkswagen, del resto, ha pagato
per il dieselgate - tra multe e risarcimenti - oltre 30 miliardi di
euro.
16.05.23
L'ESEMPIO DI BERLUSCONI : Nell'ambito
del processo per tangenti e corruzione nato dall'inchiesta «Mensa
dei Poveri» i pm di Milano hanno chiesto una condanna a 5 anni e 6
mesi per l'eurodeputata di Forza Italia Lara Comi. Sono arrivate
altre richieste di condanna illustri: 9 anni e 10 mesi per
l'imprenditore Daniele D'Alfonso, 7 anni per l'ex vice coordinatore
lombardo di Fi Pietro Tatarella, 6 anni per l'ex patron di Tigros
Paolo Orrigoni, 3 anni e 3 mesi per l'ex consigliere regionale
lombardo Fabio Altitonante e 2 anni per l'ex deputato Diego Sozzani
per la sola accusa di finanziamento illecito.
INUTILE: Un finanziamento di oltre dieci milioni di euro per
arginare le partenze dei migranti, oltre alla fornitura di
motovedette e strumentazioni come radar e droni e la formazione di
cittadini tunisini per favorire il loro trasferimento in Italia come
lavoratori regolari. Ecco le novità principali emerse dalla visita a
Tunisi del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, ricevuto ieri da
Kaïs Saïed, il presidente della Repubblica ultraconservatore che ha
impresso una svolta autoritaria al Paese e che, con le dichiarazioni
dai toni xenofobi nei confronti dei migranti subsahariani, ha
determinato proteste che hanno spinto la Banca mondiale a sospendere
i negoziati in corso con le autorità tunisine. «L'approccio della
sicurezza ha mostrato i suoi limiti nell'affrontare il fenomeno
della migrazione irregolare» ha detto Saied, annunciando la sua
intenzione di proporre un incontro tra capi di Stato e di governo o
tra ministri dell'Interno dei Paesi colpiti dalla crisi migratoria.
Piantedosi ha anche incontrato il suo omologo, il ministro Kamel
Fekih, a cui ha espresso «il pieno apprezzamento per il rilevante
sforzo compiuto dalla Tunisia per sorvegliare le frontiere marittime
e terrestri, per contrastare le reti di trafficanti e confiscare le
loro imbarcazioni, per soccorrere in mare i migranti e riportarli
sulla terraferma prestando loro assistenza».
Il titolare del Viminale ribadisce, inoltre, «l'impegno del governo
tunisino contro i trafficanti di esseri umani e contro le torture ai
migranti». Al nostro giornale è pervenuto un drammatico video in cui
un ragazzo tunisino viene torturato perché la famiglia paghi un
riscatto. E da alcune fonti emerge che in Tunisia la situazione è
sempre più devastante, con scenari non lontani dalle violenze in
Libia. «Ma all'Italia - precisa il ministro Piantedosi - non risulta
il coinvolgimento del governo tunisino in azioni terribili come
questa. L'esecutivo di Tunisi è in prima linea contro i
trafficanti».
Per quanto concerne il sostegno del nostro Paese a Tunisi per il
controllo delle frontiere terrestri e marittime, si attingerà ai
fondi per l'assistenza economica nazionali, in collaborazione con il
nostro ministero degli Esteri. Un modo, questo, per ovviare alla
latitanza del Fondo monetario internazionale che non ha sbloccato i
contributi promessi alla Tunisia. Al di là dei piani di assistenza
tecnica e forniture, si procederà inoltre anche alla formazione di
tunisini che possano essere immessi nel mondo del lavoro italiano.
In cambio il nostro governo chiede che si faciliti il rimpatrio dei
migranti irregolari.
Dall'inizio dell'anno sono oltre 45 mila i migranti sbarcati sulle
coste italiane: di questi, 25 mila sono arrivati attraverso la rotta
della Tunisia, ma tremila appena sono tunisini. L'Italia ha ben
presente che la Tunisia sta facendo moltissimo per bloccare le
partenze e contrastare i trafficanti, che mettono a serio rischio la
vita dei migranti e la stessa incolumità dei soccorritori. In questo
contesto si è discusso, appunto, di implementare programmi congiunti
di rimpatrio volontario assistito dalla Tunisia verso i Paesi di
origine dei migranti.
«Gli sbarchi in Italia - precisano dal Viminale - sarebbero molto
più numerosi senza l'attività messa in campo dalle autorità tunisine
che si trovano a contrastare un forte flusso dai Paesi
sub-sahariani». Del resto, i buoni rapporti tra i due Paesi si
evincono anche dal fatto che Piantedosi sia stato ricevuto anche dal
presidente della repubblica tunisina, circostanza che non si era
verificata durante la visita, nello scorso aprile, della commissaria
europea Ylva Johansson.
«Lavorare tutti insieme in collaborazione con l'Unione europea e le
organizzazioni internazionali - aggiungono dal ministero
dell'Interno -, per affrontare e governare i flussi migratori, è
fondamentale. L'Italia è grata alle autorità tunisine per l'impegno
su questo delicato fronte, e sono già stati fissati ulteriori
incontri a livello tecnico per proseguire con azioni congiunte in
attuazione delle strategie elaborate». Lo scorso 5 maggio è venuta a
Roma una delegazione tunisina e una italiana si recherà a Tunisi
nelle prossime settimane.
COSA NE PENSA IL PAPA ?A un bambino
autistico di 10 anni il parroco non ha permesso di fare la prima
comunione assieme agli altri suoi compagni. Un titolo così
sintetizzato suscita immediato sdegno, io però mi sento di dire che,
in questo caso, non vorrei associarmi al coro degli indignati.
Accade a Silvi, nel Teramano, i genitori raccontano che il prete
avrebbe valutato più opportuno per il piccolo fare una cerimonia in
differita, solo perché durante le prove ha avuto un momento di
irrequietezza. Per il religioso, un possibile ripetersi di questo
episodio, avrebbe compromesso lo svolgimento della funzione
eucaristica per gli altri 40 comunicandi.
Madre e padre non hanno accettato la proposta e si sono rivolti a un
altro parroco, che pare fosse molto più malleabile del collega,
tanto che in poche ore ha organizzato la cerimonia, a cui è seguito
il pranzo in un ristorante di Pescara.
Sarebbe troppo semplice concludere che nella storia c'è un prete
cattivo e discriminatore, a cui contrapporne uno buono e inclusivo.
Mi prendo tutta la responsabilità di trovare superficiale tale
semplificazione, soprattutto da padre che per decenni si è battuto
di persona contro ogni discriminazione verso persone neuro
divergenti, come il proprio figlio.
Non è nuovo il caso di una disputa tra genitori che vorrebbero che
al figlio autistico fosse impartita comunione e cresima, in
contrasto con parroci che non vedono sempre con entusiasmo di
doverlo fare.
Da un punto di vista totalmente laico trovo che il sacerdote abbia
piena facoltà di stabilire se un bambino abbia le caratteristiche di
piena consapevolezza per ricevere un sacramento. Non voglio
addentrarmi in ambiti che non mi competono, però se per accostarsi
alla comunione occorre seguire un percorso di preparazione
spirituale, che ricordo essere lungo e non superficiale, significa
che questo passaggio richiede strumenti di conoscenza e
consapevolezza.
Il parroco, che ha proposto una cerimonia individuale e posticipata,
racconta che il bambino durante le prove ha avuto quella che noi
genitori sappiamo essere una crisi oppositiva. Don Antonio Iosue
spiega quando ha deciso di proporre una cerimonia a parte per il
bambino autistico: «Dopo aver constatato la vivacità e
l'insofferenza del ragazzo, che ha buttato a terra candele,
sull'altare urlava e non si riusciva a fermarlo» aggiungendo che
«bisogna poi sempre considerare l'espressione da parte del giovane
alla minima volontà e coscienza ad assumere l'eucarestia».
Io non ho fatto fare la comunione a mio figlio Tommy, mi è bastato
il casino che ha messo su il giorno in cui si comunicava il fratello
maggiore di due anni. Si è messo a strillare «Aiuto!» nel momento
cruciale della cerimonia e ho dovuto portarlo fuori perché già gli
altri genitori mi guardavano storto. Riguardando il filmato in
famiglia c'abbiamo riso per anni, dicendo che ci sarebbe voluto un
esorcista. Non ci siamo più posti il problema, non riesco a
immaginare il desiderio di comunicarsi o la consapevolezza di cosa
rappresenti un sacramento nel mio ragazzo, a cui mi è stato
impossibile spiegare persino cosa significhi morire. Ammesso che
esista un Padreterno che premia i giusti e punisce gli empi, davvero
non lo vedrei giudice spietato di Tommy non comunicato.
Altra cosa è reclamare che un bambino autistico sia partecipe alle
feste con gli amici, alle allegre mangiate in compagnia, alle gite
scolastiche. Giusto e sacrosanto chiedere ai suoi coetanei di
lasciare un po' del loro illimitato spazio di espansione nella vita
anche a lui, che ha maggiori difficoltà a relazionarsi con il mondo.
Sarà facile per tutti oggi scrivere nei propri social: «vergogna
dove è finita la carità cristiana?», chiedendo scomunica per chi ha
voluto negare una bella cerimonia a un bambino fragile. Io, in piena
sincerità, non riesco a condannare quel parroco. Allo stesso tempo
comprendo bene anche il desiderio dei genitori di pretendere per il
figlio tutto quello che è disposizione dei suoi coetanei, compresa
la prima comunione con l'abito bianco, con la candela in mano, con i
canti e le preghiere, i fotografi, i parenti vestiti a festa,
l'orologio, la catenina, la penna stilografica, poi il pranzo al
ristorante, le bomboniere, la torta e tutto quello che probabilmente
rende quel giorno unico e indimenticabile.
Mi resta solo il dubbio se fossero certi anche di quanto per quel
bambino fosse veramente importante la parte sostanziale di tutto
questo. Può anche essere che io non sia capace di capire da che
parte soffi lo Spirito, penso solo che nostro compito sia pretendere
una vita terrena il più possibile felice per i nostri figli dai
cervelli ribelli. Sono più che convinto che la beatitudine nella
loro ipotetica vita ultraterrena se la stiano già conquistando, ogni
giorno, proprio nell'affanno di dover gestire un mondo popolato da
alieni che tollerano appena il loro esistere, purché non si noti
troppo.
DIO VEDE E PROVVEDE: San Giovanni
Apostolo va incontro alla Madonna dopo la Resurrezione di Gesù. È
Domenica di Pasqua. La statua corre sulle braccia dei "portatori",
fa la spola tra Cristo e Maria. Una volta, due, tre per comunicare
che il Signore ha davvero vinto la morte. Seguono inchini. Il velo
nero della Madre viene strappato, il lutto va in archivio, il
miracolo è servito. Eccolo lo storytelling della processione dell'Affruntata,
tradotto dal dialetto, l'incontro: una tradizione lunga e
rispettabilissima che migliaia di fedeli seguono con trasporto e
devozione. Non tutti.
Nel 2014 a Sant'Onofrio, 2.792 abitanti a pochi chilometri da Vibo
Valentia, la cerimonia fu commissariata per infiltrazioni mafiose. È
uno dei tanti riti che le cosche di ‘ndrangheta hanno cercato di
piegare a una logica perversa. Per ostentare il loro potere. Ma con
la colonizzazione del Nord Italia e dell'Europa, anche il tentativo
di strumentalizzazione di un momento di fede popolare è stata
oggetto di transito fuori dai territori di origine.
Nei video acquisiti dal Gico della Guardia di Finanza di Torino, la
corsa tra le statue portate a spalla è accompagnata da una prima
fila di mamme santissime che con la Vergine dei cristiani c'entrano
nulla. Ed è a Carmagnola, provincia di Torino: Francesco Arone,
giacca e cravatta d'ordinanza per l'occasione, accompagna il santo
al rendez-vouz con Madre e Figlio. Nei mesi scorsi è stato
condannato dal Tribunale di Asti a 18 anni e 6 mesi. Il suo prossimo
parente, Salvatore, detto Turi, ha incassato 17 anni e 9 mesi: è tra
i vertici piemontesi della ‘ndrina Bonavota. L'architrave sono tre
fratelli, l'ultimo, Pasquale, super ricercato dopo l'arresto di
Messina Denaro, è stato arrestato a Genova nei giorni scorsi.
Pregava nella cattedrale di San Lorenzo quando i carabinieri del Ros
lo hanno catturato. Da giorni, sempre alla stessa ora, il "position"
del suo telefono veniva intercettato in quel punto: tra i banchi
della chiesa. Forse è per questa spiccata pseudo-vocazione che anche
in Piemonte i Bonavota avevano messo nel mirino la manifestazione
gemella nella città del Peperone. Pochi mesi fa ha parlato così, in
aula, al maxi processo Rinascita Scott il collaboratore di giustizia
Andrea Mantella: «So che in un paesino qui a Torino dove facevano l'Affruntata
c'era un comitato presieduto da Arone Salvatore che organizzava
questa festa. Dalla Calabria salivano Nicola, Pasquale e Domenico
Bonavota per portare la statua». Tre boss. «I Bonavota – ha spiegato
il pentito - si dividevano i compiti per essere ovunque e
trasmettere ai calabresi del posto chi comandava portando la vara».
Non pervenuta dal punto di vista giudiziario, ma abbastanza lineare
sul fatto storico in se è la vicinanza con pezzi di ‘ndrangheta da
parte di alcuni dei fedeli della Madonna di Polsi nella celebrazione
parallela che si è svolta per alcuni anni a Ventimiglia.
L'ultima, nel 2019, ha sollevato un polverone. Si è parlato di
inchino della statua trasportata a braccio dai fedeli in favore del
fratello (incensurato) di un noto boss della zona: Carmelo Palamara.
In molti si sono affrettati a smentire con una motivazione piuttosto
articolata: nessun inchino, la statua non si è girata verso nessuno.
Di certo, però, c'è una sosta della Santa di fronte alla panchina
dove sedeva – insieme alla moglie – il parente del capomafia. «Per
noi un fatto chiarissimo – racconta Christian Abbondanza della "Casa
della legalità Onlus" -. La processione partita dalla Chiesa di San
Michele Arcangelo ha effettuato una sola fermata non programmata di
fronte a quella panchina». Vi è di più: «L'anima della
manifestazione è lo stesso che ai funerali del capo locale di
Ventimiglia, va a baciare la bara del boss di fronte alla Chiesa».
La Dia lo ha messo a registro nella relazione annuale. Di
consuetudini e simboli che vedono la mafia calabrese sconfinare
abusivamente nel la religione anche al di fuori dal territorio di
origine, sono pieni i documenti giudiziari.
Il mosaico di San Michele Arcangelo, incastrato nel cotto
fiorentino, nella tavernetta di un boss del Canavese (condannato a
13 anni) è storia recente. In quel luogo si tenevano le riunioni tra
i capimafia del Piemonte. Sul tavolo i santini che bruciavano per le
nuove affiliazioni, sotto i piedi il santo "rubato" dai boss alla
polizia di Stato. La statua a grandezza naturale della Madonna di
Polsi è stata sequestrata in casa di un membro di spicco della
famiglia Giorgi a Duisburg in Germania nel corso del blitz "Platinum".
E anche al Nord adesso si cominciano a bloccare i funerali pubblici
dei boss in chiesa, occasioni di incontro tra affiliati, sullo
sfondo di una cerimonia religiosa, finora "fermate" dai questori
soltanto a ridosso dell'Aspromonte. Quello di Benito Pepè, 86 anni,
di Bordighera, condannato a sei anni per mafia, è uno dei primi,
sopra la linea della Palma.
15.05.23
Illustre Signor Presidente della Repubblica
In riferimento alla proposta di autorizzare la
clonazione del cda, mi permetta di osservare che la legge permette
la candidatura di membri del cda in relazione al possesso azionario
in quanto gli azionisti propongo ed eleggono dei rappresentanti. Il
cda che dovrebbe solo rappresentare gli azionisti, su libera scelta
degli stessi, con questa nuova norma, intende proporre lui agli
azionisti, una sua clonazione. A quale titolo di rappresentanza ?
Con quale iniziale base azionaria di sostegno ? Credo che se ciò
fosse consentito allora , almeno, qualsiasi socio dovrebbe poter
proporre una sua lista per la elezione del cda.
Confido quindi in un Suo rinvio alle Camere col fine
del ritiro di una norma che intende condizionare la liberta' di
scelta degli azionisti nella scelta dei propri rappresentanti.
Con ossequio.
Marco BAVA
14.05.23
Illustre Signor Presidente della Repubblica
In riferimento alla proposta leghista di consentire ,
per legge, il solo accesso alle assemblee degli azionisti del
rappresentante comune, per me e' un provvedimento incostituzionale
perche' viola l'art..47 della Costituzione , nell'esercizio diretto
della tutela del proprio risparmio attraverso l'intervento in
assemblea.
Confido quindi in un Suo rinvio alle Camere col fine
del ritiro.
Con ossequio.
Marco BAVA
13.05.23
LA POVERTA' CRESCE: Sembra
una frase fatta, ma adesso ci sono anche i numeri a corroborare quel
che fino a poco tempo fa era un adagio popolare: gli italiani sono
più poveri rispetto a trent'anni fa. Secondo il rapporto annuale
Censis-Confcommercio, nel 2022 il reddito disponibile pro capite si
è attestato a 21.081 euro: sotto di 150 euro rispetto al 1995.
Per reddito disponibile si intende il reddito da lavoro o da
pensione a cui si aggiungono eventuali rendite finanziarie, soldi
che le famiglie italiane non sono riuscite a recuperare dopo le
grandi crisi. Nel 2019 il reddito si attestava a 21.175 euro, nel
2007 a 22.801 euro. I salari fermi e le ultime fiammate
inflazionistiche, seguite alla pandemia e all'invasione russa in
Ucraina, hanno portato a questo scenario.
Lo studio di Confcommercio rileva una contraddizione definita
«pericolosa»: la fiducia è ai massimi storici o quasi, ma le
intenzioni di acquisto sono inferiori al 2019. Le famiglie, spiega
il direttore dell'ufficio studi dei commercianti, Mariano Bella,
«sentono che le cose potevano andare peggio e tirano un sospiro di
sollievo: l'occupazione è ai massimi, i consumi grazie a turismo,
spettacoli e cultura sono in ripresa, però l'inflazione non è domata
e gli aiuti pubblici si riducono. Così c'è l'idea di ricostituire
uno stock adeguato di risparmio per fare fronte al contesto ancora
caratterizzato dall'incertezza». Insomma, il ragionamento che fanno
gli italiani in questo periodo è lo stesso osservato nelle altre
grandi crisi: meglio rinviare le spese a tempi migliori.
Dal rapporto emerge come i soggetti più fragili siano i giovani,
visto che i provvedimenti di politica economica e fiscale si
concentrano sempre di più sugli anziani. Mettere su famiglia e fare
figli, quindi, diventa sempre più difficile, anche perché il lavoro
- quando c'è - è a termine.
Per allentare la morsa dei prezzi il governo monitora la situazione
e promette tutte le misure possibili contro la speculazione. Al
tavolo convocato da "Mister Prezzi" Benedetto Mineo sui rincari
della pasta è emerso che il costo della materia prima (frumento duro
e semola) è in discesa. Il ministro delle Imprese e del Made in
Italy Adolfo Urso annuncia un'iniziativa simile anche per monitorare
il caro bebè. La manovra di dicembre ha abbassato l'Iva sui prodotti
per l'infanzia dal 22% al 5%, ma qualcosa non ha funzionato. «Non
tutto il taglio dell'Iva è andato a beneficio delle famiglie»,
sottolinea Urso agli Stati generali della natalità. «L'intervento
che abbiamo fatto in queste ore sul caro pasta, tra pochi giorni lo
faremo sui prodotti dell'infanzia», assicura. Il Garante dei prezzi
accenderà un faro sull'andamento dei costi di biberon, latte in
polvere, pannolini e omogeneizzati.
Le sigle dei consumatori sono rimaste deluse dal tavolo sulla pasta
perché non sono state prese azioni concrete, al di là delle riunioni
continue garantite dall'esecutivo per monitorare e scoraggiare la
speculazione. Assoutenti preme per una nuova convocazione a stretto
giro: «Come nel caso della pasta, già solo l'annuncio di un focus da
parte delle istituzioni contribuisce e frenare la crescita dei
listini», sottolinea il presidente dell'associazione Furio Truzzi.
Il Codacons ha calcolato i benefici teorici del taglio dell'Iva sui
prodotti per bambini che è stato inserito in legge di Bilancio. Il
risparmio per il latte in polvere potrebbe raggiungere 112 euro
l'anno a famiglia, per i pannolini sarebbe in media di circa 96 euro
e per gli omogenizzati di poco più di 25 euro. Tuttavia, rimarca
l'associazione, lo sconto non sempre si trasferisce sui prezzi al
pubblico, con la conseguenza che i consumatori non beneficiano di
una riduzione dei listini. Anzi, in alcuni casi, i prezzi avrebbero
continuato a salire. L'Unione nazionale consumatori ha registrato
rincari sugli alimenti per bambini del 2,7% a febbraio rispetto al
mese precedente, perciò attacca: «Siamo contenti che il ministro
Urso annunci di voler intervenire nuovamente sui prodotti
dell'infanzia ma, visto il fallimento precedente, vorremmo sapere in
che modo».
SEI SEI DEL PD PUOI TUTTO:Sex toys, mutande, monetine per i
bagni pubblici, weekend d'amore in riva al Canal Grande, inchiesta
«spese pazze» o caso «rimborsopoli». Di quel che scoprì la Guardia
di Finanza tra il 2012 e il 2013, che vide processare rappresentanti
di tutti i partiti in moltissime assemblee regionali di tutta
Italia, accusati di presentare note spese esorbitanti ed
omnicomprensive, oggi restano poche condanne, molte carriere
bruciate e una sola incarcerazione. Si tratta di Marco Monari, ex
capogruppo Pd in Emilia-Romagna, da ieri l'altro presso la casa
circondariale di Forlì, dove sconterà 4 anni e 5 mesi per peculato.
Il motivo per cui la prigione sia toccata solo a lui è giuridico e
giudiziaro: assoluzioni, patteggiamenti, condizionali, prescrizioni.
Il peculato è il crimine di un pubblico ufficiale che si appropria
di un bene a cui può accedere grazie alla sua posizione. Nel caso
specifico, il denaro. Questo è l'illecito contestato alla maggior
parte dei consiglieri coinvolti e per Monari, condannato a un
periodo molto prossimo al minimo della pena (che è 4 anni e
interdizione dai pubblici uffici), l'accusa inziale era di aver
maliziosamente presentato fatture e ricevute fiscali per 940 mila
euro. Tra queste, c'erano anche fine settimana a Roma e Venezia, con
camera matrimoniale in alberghi dotati di concierge all'ingresso e
cene per due in posti da Guida Michelin, che i tribunali non hanno
ritenuto far parte del suo mandato di rappresentanza.
D'altra parte, la cifra è stata poi molto ridimensionata, scalando
per esempio i rimborsi per auto blu, farmaci, pasti in orario di
lavoro, cellulare, fino all'importo di circa 23 mila euro. Nel
giugno 2017, in un capitolo parallelo, la Corte dei Conti condannò
questo funzionario arrivato alla politica dopo una carriera nelle
coop, a risarcire 518 mila euro alla regione, ridimensionando dalla
richiesta iniziale di 614 mila. Nel dicembre dello stesso anno, fu
condannato in sede penale a 4 anni e 4 mesi. In questo processo di
primo grado, furono assolti gli altri 12 membri del Pd che con lui
si trovavano alla sbarra.
Nel maggio del 2022, Monari patteggiò in appello le spese di una
delle legislature incriminate. La corte, quindi, gli scontò questa
condanna, unificò gli altri pronunciamenti, tolse la condizionale e
arrivò a 30 giorni in più rispetto all'assise: 4 anni e 5 mesi. Ora,
la cassazione ha respinto la richiesta di revisione presentata dai
suoi avvocati, rendendo definitivo il verdetto. Nessuno degli altri
condannati per «rimborsopoli» ha finora visto il carcere. Come
ricostruisce Il Resto del Carlino, che ha dato la notizia
dell'arresto di Monari, Franco Fiorito, detto «Er Batman», ex
capogruppo Pdl nel Lazio, ex sindaco di Anagni e candidato alle
elezioni di domani per la medesima carica nello stesso comune del
frusinate, ha scontato 2 anni e 11 mesi coi servizi sociali. Roberto
Cota, debutto politico con la Lega e poi passaggio a Forza Italia,
ex governatore del Piemonte con elezione annullata, nonché ex
deputato, è stato condannato in via definitiva a 1 anno e 7 mesi a
fine febbraio scorso. Un mese in meno, la sentenza contro Augusta
Montaruli, che ai tempi in cui era consigliera regionale di FdI in
Piemonte, spese circa 25 mila euro in gioielli, borsette, social
network, eccetera. Tuttora ferma nel proclamarsi innocente (starebbe
valutando il ricorso alla Corte di Giustizia UE), il fatto le costò
le dimissioni da sottosegretaria all'Università. Il procedimento
contro Renzo Bossi, figlio d'Umberto e consigliere in Lombardia, è
caduto in prescrizione. Per contro, volti noti dell'attuale
establishment sono stati scagionati e diverse carriere di politici
innocenti, sono state irrimediabilmente compromesse.
RITORSIONE GOVERNATIVA : L'Italia mi ha chiesto di
rappresentarla alla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di
Francoforte, ma siccome ho osato criticare il ministro della Difesa,
il mio intervento è stato cancellato». Così Carlo Rovelli, fisico di
grande successo letterario annuncia di aver ricevuto da Franco
Ricardo Levi, commissario per la Fiera del Libro di Francoforte, una
email che ritira l'invito alla fiera libraria più importante
d'Europa (e forse perfino oltre).
Rovelli è stato al centro delle polemiche, nei giorni scorsi, per il
suo intervento al Concerto del Primo Maggio nel quale ha criticato,
senza complimenti, l'operato del governo italiano in Ucraina. Gli
scrive Levi: «Il clamore, l'eco, le reazioni che hanno fatto seguito
al suo intervento al concerto del Primo Maggio mi inducono a
pensare, mi danno, anzi, la quasi certezza, che la sua lezione che
così fortemente avevo voluto per l'inaugurazione della Buchmesse con
l'Italia Ospite d'Onore diverrebbe l'occasione non per assaporare il
fascino della ricerca, ma per rivivere polemiche e attacchi».
Rovelli era stato chiaro. Forse troppo: «Tutti dicono pace, ma
aggiungono che bisogna vincere per fare la pace, solo che volere la
pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra». Levi non si
nasconde dietro a un dito. Ricorda a Rovelli: «Ciò che più di ogni
altra cosa sento il dovere di evitare - e di questo mi prendo tutta,
personale la responsabilità - è che un'occasione di festa e anche di
giusto orgoglio nazionale, si trasformi in un motivo di imbarazzo
per chi quel giorno rappresenterà l'Italia. E non le nascondo la
speranza che il nostro Paese sia rappresentato al massimo livello
istituzionale
DANNI SA VACCINO ANCHE DA USA : La fine dell'emergenza Covid
era attesa da tempo.
La nostra risposta è stata un miserabile fallimento: la perdita di
vite umane a causa del sabotaggio del trattamento precoce, le
lesioni da vaccino e il bilancio umano delle interruzioni.
Vogliono porre fine in silenzio all'emergenza e ignorare tutti i
danni fatti. Come promemoria, ecco un video in evidenza (meno di 2
minuti) dei miei commenti nel corso degli anni sulla pandemia.
Come ho detto a Epoch Times, il modo migliore per riassumere la
nostra risposta al Covid: un folle, miserabile fallimento.
Epoch Times: La manipolazione dell'America da parte dei "cartelli
COVID".
Mentre la fine dell'emergenza Covid è attesa da tempo, le tutele del
Titolo 42 sono scadute alle 23:59 di giovedì.
L'autorità sanitaria di emergenza ha consentito ai funzionari
statunitensi di respingere i migranti per prevenire la diffusione
del Covid-19.
Tweet dal sindacato delle pattuglie di frontiera
Il presidente Biden e il segretario per la sicurezza interna
Mayorkas hanno causato questo disastro e i media legacy hanno
consentito la crisi dei confini coprendola.
Ora che la catastrofe è totalmente fuori controllo, il malaffare, la
corruzione e l'insabbiamento continueranno?
Conferenza sulla libertà sanitaria nel Wisconsin
Il senatore Johnson intervenendo alla conferenza
Libertà e verità sono gli ingredienti essenziali di questo
esperimento americano. Sono stato onorato di parlare alla conferenza
annuale del Wisconsin United for Freedom del mese scorso nel
Wisconsin Dells. Le mie osservazioni sono state trasmesse su
Facebook e puoi guardarle qui.
Mi impegno a perseguire con tenacia la verità sul Covid-19 e sul
vaccino danneggiato.
Lettera a HHS
Ho inviato una lettera al segretario del Dipartimento della salute e
dei servizi umani Xavier Becerra chiedendo copie non modificate di
106 pagine che mostrano funzionari della sanità pubblica
statunitensi che condividono informazioni sull'ivermectina.
I documenti pesantemente redatti sono stati rilasciati a Judicial
Watch in seguito a una richiesta del Freedom of Information Act.
Il pubblico ha il diritto di sapere quali informazioni i funzionari
HHS, FDA, NIH e NIAID hanno esaminato in merito all'efficacia dell'ivermectina
e come ha considerato o respinto determinati dati. È giunto il
momento per HHS di rimuovere le redazioni sulle 106 pagine e di
essere trasparente con il popolo americano.
Risarcimento per i feriti da vaccino Covid
Immagine del vaccino Covid
Ho inviato un'altra lettera all'HHS per ulteriori informazioni sulla
revisione da parte del governo delle richieste di risarcimento per
lesioni legate ai vaccini Covid-19.
HHS deve al popolo americano una spiegazione completa della sua
amministrazione del programma di risarcimento per le persone che
hanno subito lesioni da vaccino Covid-19.
È sorprendente vedere un numero così basso di richieste di vaccino
Covid-19 perché secondo il Vaccine Adverse Event Reporting System,
al 31 marzo 2023, ci sono stati 1.541.275 eventi avversi e 35.048
decessi associati ai vaccini Covid-19.
Ecco solo alcune delle domande che ho:
Come fa un individuo a sapere di presentare un reclamo?
È una campagna pubblicitaria?
Quanti dipendenti stanno esaminando queste affermazioni?
Cronologia Covid-19
Come ho detto molte volte, intendo scoprire la verità e ritenere
responsabile il cartello Covid.
Dall'inizio della pandemia, ho indagato sulla risposta fallita del
governo federale al Covid-19 e ho chiesto trasparenza e
responsabilità attraverso la supervisione del Congresso .
12.05.23
ECCO PERCHE' LA LIQUIDITA' EMIGRA DALLE BANCHE:
Quindici mesi da record per le banche italiane. I dati definitivi
ancora non ci sono, ma la proiezione è per circa 12 miliardi di euro
per l'intero comparto finanziario per il 2022 e per i primi tre mesi
del 2023, secondo i dati della società di ricerca Refinitiv. La metà
solo per gli istituti di credito nel primo trimestre dell'anno in
corso. I rialzi dei tassi d'interesse introdotti dalla Banca
centrale europea (Bce), 375 punti base da luglio 2022 a oggi, hanno
spinto la redditività degli istituti di credito. Ma non sempre si è
tradotta in un vantaggio per la clientela finale. E sta aumentando
il coro di chi domanda una contribuzione da parte dei banchieri per
limitare l'impatto sui conti correnti, i cui oneri in media sono
aumentati del 7% su base annua solo in aprile.
Tassi su, profitti idem, ma per i costi nessun calo. Nel 2022 le
prime cinque banche italiane hanno registrato un utile netto in
crescita del 66% rispetto all'anno precedente. Però non sempre
questo si è tradotto in un risparmio per i consumatori. La Banca
d'Italia, nell'ultima indagine di poche settimane fa, ha informato
che le spese di gestione medie di un conto corrente nel 2021 sono
state di 95 euro, 3,8 euro in più rispetto all'anno precedente, e
per il 2023 si prevede un ulteriore aumento. Allo stesso tempo,
tuttavia, il tasso di remunerazione sui conti correnti medio lordo è
stato dello 0,17 per cento.
Secondo Refinitiv, i margini di profitto delle società per azioni
nell'eurozona, misurati dall'utile netto in percentuale sui ricavi,
sono stati in media dell'8,5% nell'anno 2023 fino a marzo, un passo
indietro rispetto al recente picco dell'8,7% a metà febbraio. Prima
della pandemia, a fine 2019, il margine medio era del 7,2%. Nel caso
delle banche, il margine di profitto sale fino al 12% per la media
dell'area euro. Il tutto al netto delle imposte. Un esempio è stato
dato dagli istituti di credito iberici. Le sei maggiori banche
spagnole quotate in Borsa, ovvero CaixaBank, Banco Santander, Bbva,
Banco Sabadell, Bankinter e Unicaja, hanno versato 1,12 miliardi di
euro secondo la nuova tassa introdotta dal governo per ridistribuire
la ricchezza a famiglie e imprese colpite dagli effetti della guerra
in Ucraina. Hanno guadagnato 5,696 miliardi di euro nel corso dello
scorso esercizio commerciale, quasi il 14% in più rispetto al 2021.
Un aumento che, secondo Refinitiv, sarebbe stato del 36% senza la
nuova imposta.
La Bce ha più volte rimarcato come non debbano esserci squilibri. Ma
l'impressione degli operatori, in media, è che non ci sia stato
ancora un trasferimento netto degli effetti della nuova normalità di
Francoforte sui clienti finali. Impatto che dovrebbe, secondo Morgan
Stanley, materializzarsi entro la fine dell'estate.
11.05.23
IL NUCLEARE ATTIRA TANGENTI: IL
NUCLEARE FRANCESE E' UN COLABRODO DI PERDITE. LA GERMANIA STA
CHIUDENDO LE CENTRALI NUCLEARI. IN ITALIA I BERLUSCONIANI
RAPPRESENTANTI DI CACCIATORI DI FONDI PUBBLICI E POLITICI ANSIOSI DI
INCASSARE TANGENTI PUNTANO SUL NUCLEARE.
In Europa si vota il trattato anti-violenze Lega e Fratelli d'Italia
si astengono
Nonostante sei Stati membri non l'abbiano ancora fatto, l'Unione
europea potrà ratificare la Convenzione di Istanbul, il trattato
internazionale contro la violenza sulle donne. Il primo via libera
ieri dal Parlamento europeo a larga maggioranza, ma il voto ha
sollevato polemiche in Italia perché gli eurodeputati di Lega e
Fratelli d'Italia si sono astenuti. Ora tocca al Consiglio
esprimersi: come stabilito dalla Corte di Giustizia Ue nel 2021 non
è necessaria l'unanimità, ma basta la maggioranza qualificata. I
Paesi che ancora non l'hanno ratificata sono Bulgaria, Repubblica
Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia.
10.05.23
LAUS 1 ELLY 0:
Salute, benessere, consulenze aziendali, noleggio autoveicoli,
immobiliare, biglietterie, portierato, vigilanza. È un risiko di
società, con un incastro di quote e nomine, l'impero riconducibile
al deputato Pd Mauro Laus all'ombra della cooperativa Rear. Con un
fatturato di 30 milioni di euro e 1500 dipendenti, il colosso è
finito sotto inchiesta. Il parlamentare, ex presidente e socio della
multiservizi, è indagato per malversazione.
Sotto la lente degli investigatori della Guardia di finanza, che
ieri si sono presentati in procura per un incontro con il
procuratore aggiunto Enrica Gabetta e il pubblico ministero
Alessandro Aghemo, ci sono anche le partecipazioni, tra cui le
società emerse negli archivi elettorali in qualità di "benefattori"
degli aspiranti consiglieri comunali. Nulla di illegale in questo
dedalo di sigle e compartecipazioni. Ed è bene sottolinearlo.
La Guardia di finanza sta scandagliando bilanci, fatture e sta
sottoponendo ai raggi X tutti i conti.
E in questo risiko di società c'è un indirizzo chiave, nel cuore del
quartiere Parella: via Niccolini, civico 20/F. Lì c'è un Centro
Salute che fornisce, si legge sul sito web, prestazioni di
kinesiterapia, preparazione atletica, fisioterapia. Giusto per
citarne alcune. Capitale sociale da 10mila euro. E una buca delle
lettere in cui, insieme al Centro Salute srl, compaiono la Manager
Srl, la Business Consulting Srl e Futura Investimenti. Cos'hanno in
comune tutte queste società con capitale che si aggira intorno ai
diecimila euro? Un intreccio di nomi, cariche, sedi.E finanziamenti
elettorali destinati ad alcuni esponenti della Sala Rossa per la
corsa alle comunali del 2021.
Amministratore delegato della Centro Salute Srl è Salvatore
Gandolfo, amministratore unico della Business Consulting Srl, che
fornisce assistenza gestionale, organizzativa, contabile e che nel
2012 ha inglobato la Manager Srl, e della Mtt Service Srl, noleggio
di autovetture e autoveicoli leggeri.
Amministratori e soci unici che si susseguono. Punto in comune anche
la sede secondaria in strada del Portone 179 a Grugliasco. Allo
stesso indirizzo c'è la sede amministrativa della cooperativa Rear e
l'omonimo istituto di vigilanza privata. Proprietaria dell'immobile,
la Futura Investimenti, una Srl con un capitale sociale di 90mila
euro. Presidente del consiglio d'amministrazione Mauro Donato Laus,
tra i consiglieri Antonio Munfarò. Partecipata della cooperativa, la
Rear ne detiene i 2/3.
Partecipazioni, registri finiti al vaglio degli inquirenti che
vogliono fare luce sui conti della Rear. Il sospetto della procura è
che i fondi pubblici destinati alla cooperativa siano stati
utilizzati per interessi privati. Indagati, oltre al parlamentare
Mauro Laus, ex presidente della cooperativa e ora socio, altre
cinque persone, tra cui il presidente del consiglio
d'amministrazione Antonio Munafò. E ancora. La presidente della Sala
Rossa Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo
Carretta, già dipendenti Rear.
TANGENTE CI COVA : «Il via libera della Camera alla mozione
sul nucleare, come fonte alternativa e pulita per la produzione di
energia, è la risposta più netta alla demagogia della sinistra»,
sentenzia il deputato Alessandro Cattaneo di Forza Italia, primo
firmatario della mozione sul nucleare passata ieri coi voi sia del
centrodestra che di Azione-Italia Viva. Mentre Pd, 5 Stelle e
Alleanza Verdi sinistra protestano (e Carlo Calenda difende la sua
mossa), il governo ringrazia il Parlamento per aver dato un
indirizzo preciso all'esecutivo e incassa il risultato.
«Ricerca e sperimentazione in questi ultimi decenni hanno fatto
passi enormi: il nucleare di quarta generazione, secondo gli
scienziati, è sicuro quanto pulito», scrivono in una nota congiunta
Gilberto Pichetto Fratin e Vannia Gava, rispettivamente ministro e
viceministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica. Che ora
assieme a i partner europei dicono di voler valutare «con la massima
attenzione, come inserirlo nel mix energetico nazionale dei prossimi
decenni, con l'obiettivo di raggiungere gli obiettivi di
decarbonizzazione stabiliti dall'Unione europea».
La mozione votata ieri alla fra le altre cose, oltre a impegnare il
governo «a valutare l'opportunità di inserire nel mix energetico
nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la
produzione di energia», chiede all'esecutivo di «partecipare
attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna
iniziativa volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie
nucleari», di «proseguire l'impegno nella ricerca scientifica» e di
«formare nuovo capitale umano altamente qualificato nel settore»,
per «recuperare il ruolo dell'Italia nel campo dello studio e dello
sviluppo tecnico in materia».
ECCO PERCHE' NON CI SI PUO' FIDARE DEL
PROGETTO DI PACE DI XI: La Cina non sta fornendo aiuti "letali" alla
Russia ma l'intensificarsi del sostegno in diversi settori sta
garantendo un «appoggio vitale» che consente a Putin di sopportare
gli sforzi bellici, mantenere in funzione l'industria militare e
garantire una crescita economica (+0,7% nel 2023 secondo l'Fmi). È
uno studio diffuso dell'Atlantic Council ad analizzare le voci in
cui si articolano questi aiuti.
Se l'Ucraina ha nella Nato e negli Stati Uniti la sponda
fondamentale per alimentare la controffensiva, la Russia ha nella
Cina, come spiega dati alla mano il report, la potenza che ne
sorregge le chance di resistere alle sanzioni e a continuare ad
avere una macchina bellica funzionante. I dati economici forniscono
l'evidenza dell'appoggio di Xi e Putin, già nitido sul fronte
diplomatico tramite l'astensione all'Onu sulle risoluzioni di
condanna dell'invasione di Kiev; o nei consessi come il G20 dove gli
inviati di Pechino hanno sempre bloccato l'adozione di comunicati di
chiusura anti-russi.
Il commercio bilaterale di beni è cresciuto del 29% nel 2022 e ha
consentito a Mosca mantenere le attività e i negozi aperti; l'import
di greggio da parte cinese è salito dell'8%. Pechino beneficia di
prezzi ridotti e indirettamente del cap price imposto dagli
occidentali. E i suoi acquisti hanno una conseguenza fondamentale
sull'industria energetica russa poiché la capacità di stoccaggio di
greggio da parte di Mosca è ai limiti e la domanda cinese consente
alla Russia di non bloccare la produzione che avrebbe ripercussioni
pesanti sul budget statale.
In altri comparti l'impatto sul conflitto in Ucraina è più diretto.
La Cina, ad esempio, ha fornito circuiti elettronici integrati a
Mosca; il giro di affari è salito a 179 milioni di dollari, il
doppio del 2021. Molti di questi congegni arriverebbero da Paesi
terzi. Con tutta probabilità tramite una triangolazione dalla
Turchia. Pechino ha incrementato l'export di componenti hi-tech
verso Ankara, 125 milioni nel 2022 contro 73 milioni nel 2021. E la
Turchia ha aumentato del 50% le vendite sul mercato russo. È grazie
a queste componenti che Mosca tiene aggiornati sistemi d'arma e
software militari.
Altre due voci intrecciate con il conflitto sono le vendite di droni
e camion diesel per il trasporto di mezzi pesanti: nel dicembre del
2022 la quota di veicoli esportati da Pechino è cresciuta del 1143
per cento. Mentre sono circa sessanta - fra modelli e marchi cinesi
- i droni che Mosca può usare per raccogliere dati sul fronte di
battaglia.
L'Amministrazione Biden sin dal 22 marzo quando Blinken ne parlò al
Congresso ha espresso i timori per un coinvolgimento della Cina nel
conflitto, ma sostiene di non aver prove che la soglia di engagement
(impegno) sia stata superata. Fonti del Consiglio per la Sicurezza
nazionale in febbraio avevano detto a La Stampa di un imminente
report che avrebbe svelato il coinvolgimento complesso di Pechino
nel conflitto ucraino, ma quando parte delle informazioni sono
diventate pubbliche si è visto che il linguaggio era stato smussato
rispetto alle attese. A Washington i dubbi sulle reali intenzioni di
Pechino sono profondi. Nonostante anche ieri il ministro degli
Esteri cinesi Qin Gang abbia sottolineato la necessità di tenere
canali diplomatici aperti con «chiunque cerchi un cessate il fuoco».
Il Pentagono è concentrato sulla controffensiva ucraina e Blinken
resta fermo nella necessità di delineare i confini di una pace
«giusta e duratura» che richiedono nuovi sforzi bellici per mettere
Kiev in una posizione di forza negoziale: ieri gli Usa hanno
annunciato un nuovo pacchetto di armamenti di 1,2 miliardi, dal 2022
l'Amministrazione ha dato 36 miliardi di dollari in assistenza
militare a Kiev.
ALTRO POLITICO CORROTTO: L'ex premier pachistano Imran Khan è
stato arrestato durante un'udienza in tribunale a Islamabad, dove
era accusato di frode e corruzione, nello specifico di non avere
dichiarato i guadagni ricavati da doni ricevuti da funzionari di
Paesi esteri durante il suo mandato da primo ministro e di averne
successivamente rivenduti altri. Ma non è tutto. Khan era coinvolto
in una dozzina di casi giudiziari, rimasti in sospeso da quando è
stato rimosso dall'incarico lo scorso anno. Il suo partito ha
definito l'arresto un «rapimento» da parte delle forze dell'ordine.
A confermare la notizia dell'arresto è stato l'account Twitter
ufficiale della polizia di Islamabad.
L'episodio ha subito dato il via a disordini nelle strade della
capitale pachistana. I funzionari del partito Pakistan
Tehreek-e-Insaf (Pti), guidato proprio da Khan, hanno esortato i
loro sostenitori a scendere in piazza per protestare contro
l'arresto del loro leader. Una situazione a cui la polizia ha
risposto con un'ordinanza che vieta i ritrovi di più di quattro
persone. Le stazioni tv locali hanno mostrato scene di caos fuori
dal tribunale, mentre centinaia di sostenitori del Pti si
scontravano con gli agenti di sicurezza per le strade di Islamabad.
Nei giorni scorsi Khan aveva persino accusato un alto ufficiale
dell'esercito pachistano di aver cospirato per ucciderlo.
Khan ha 70 anni, è un ex campione di cricket ed è il politico più
famoso e popolare del Pakistan. Era stato eletto primo ministro nel
2018 con il PTI, e poi sfiduciato ad aprile del 2022 in seguito a
una grossa crisi politica. Le accuse di frode che lo riguardano
risalgono allo scorso ottobre, e il mandato che ha portato
all'arresto era stato emesso lo scorso 1° maggio.
DEBITO USA = ITALIA : L'America comincia a tremare nello
sprint finale per evitare un «catastrofico default» dall'inizio di
giugno, come profetizzato dalla segretaria al tesoro Janet Yellen
nel caso non si alzi o non si sospenda il tetto al debito. Una data
X che potrebbe scatenare un terremoto, costando - secondo la Casa
Bianca - 8 milioni di posti di lavoro, drastici tagli alla spesa
pubblica e perturbazioni finanziarie globali, dato che finora il
mondo ha considerato il debito pubblico Usa l'asset sicuro per
eccellenza. Joe Biden gioca una delle sue ultime carte prima di
partire per il G7 in Giappone convocando alla Casa Bianca i "Big 4",
ossia i vertici del Congresso, per discutere un'emergenza che sta
già agitando i mercati. Nello Studio Ovale entrano lo speaker
repubblicano della Camera McCarthy, il leader dei deputati dem
Jeffries e quelli del Senato, Schumer per il partito dell'Asinello e
McConnell per il Grand Old Party. Sarà "deal or default", è la
domanda che aleggia sullo showdown, dopo mesi di braccio di ferro in
cui le posizioni si sono congelate. I repubblicani alla Camera non
vogliono alzare il tetto del debito - ora fissato a 31,4 mila
miliardi di dollari - senza tagli consistenti, come previsto in un
disegno di legge che hanno già approvato ma che non ha nessuna
chance di passare al Senato, dove i dem hanno la maggioranza. Il
loro obiettivo è azzoppare l'agenda di Biden in vista delle elezioni
del 2024. Il presidente, dal canto suo, ha tracciato la sua linea
rossa ed esige che si alzi il tetto del debito senza condizioni
invitando i repubblicani a fare il loro «dovere costituzionale».
Come hanno già fatto 78 volte in passato, di cui tre sotto la
presidenza Trump, quando aggiunsero 8000 miliardi al deficit per
tagliare le tasse ai ricchi.
LE MICRO PARTICELLE CHE EMETTONO GLI INCENERITORI UCCIDONO :
Pronti. Anzi, prontissimi. «Se gli iter legislativi e burocratici
saranno ultimati entro la fine dell'anno o nei primi mesi del 2024
la quarta linea dell'inceneritore del Gerbido sarà operativa nei
primi mesi del 2028». Alessandro Battaglino, il presidente di Trm,
lo spiegherà anche questa mattina durante la cerimonia organizzata
per festeggiare i dieci anni di attività del termo valorizzatore,
l'ultimo realizzato in Italia. Ieri il consiglio regionale ha
approvato il nuovo piano rifiuti che dà il via libera
all'ampliamento dell'impianto del Gerbiso e oggi Battaglino, davanti
al sindaco di Torino, Stefano Lo Russo - la città ha una
partecipazione di minoranza nella società controllata da Iren - e al
presidente del Piemonte, Alberto Cirio, racconterà i tempi di
realizzazione dell'ampliamento che agevolerà il percorso che
dovrebbe portare entro il Piemonte entro il 2035 a raggiungere l'82%
di raccolta differenziata e di ridurre del 3% i conferimenti in
discarica. «Ampliare il nostro impianto - spiega - permette di
dimezzare i tempi di operatività rispetto alla costruzione di un
nuovo inceneritore e riduce i costi rispetto alla costruzione di un
nuovo impianto».
Realizzare un secondo impianto non serve, dunque?
«Non dico questo. Si tratta di valutazioni politiche ma io posso
dire che per ampliare il nostro impianto serviranno 337 milioni,
comprese le compensazioni per il territorio che dovrebbero aggirarsi
su una trentina di milioni. Non sarà consumato altro suolo perché
dentro il sito c'è lo spazio sufficiente alla nuova linea di
produzione. Per realizzare un nuovo impianto i tempi sono più
lunghi, diciamo sei, sette anni. Qui la progettazione è partita nel
2002 e l'impianto è diventato operativo nel 2013. E comunque il
metro di paragone sarà il tempo di realizzazione dell'eventuale
inceneritore di Roma».
Senza dimenticare che non realizzare un secondo impianto
permetterebbe alla Regione di evitare contestazioni sui territori
come è successo a Cavaglià. È così?
«L'idea che si possa applicare il principio di rifiuti zero non è
praticabile mentre si può raggiungere, e qui lo stiamo già facendo,
lo spreco zero. I 4,7 milioni di tonnellate di rifiuti che abbiamo
bruciato in questi dieci anni hanno permesso alla società di
produrre 3,5 milioni di MW/h di energia elettrica e, a partire dal
2020, 296 mila MWh di energia termica».
E questo dovrebbe evitare le contestazioni?
«Posso dirle che in questi anni oltre 28 mila persone hanno visitato
l'impianto per capire di persona il suo funzionamento. A febbraio,
in un giorno sono arrivati 700 cittadini. C'è interesse e poi ci
sono i numeri del monitoraggio dell'attività che sono la migliore
risposta ai timori dei cittadini per quanto riguarda le emissioni».
Che cosa dicono i numeri?
«Il monitoraggio che avviene ogni 24 ore mette in luce come le
nostre emissioni siano abbondantemente al di sotto dei valori limiti
fissati ma anche delle emissioni di altri inquinanti. La metà
dell'anidride carbonica emessa non è di origine fossile ma biogenica.
E poi ci sono le api, un bio-indicatore importante di salubrità. Nei
nostri alveari vivono 120 mila api».
La realizzazione di una quarta linea di produzione non attrarrà
rifiuti da altre regioni?
«No perché sarà in grado di bruciare 250 mila tonnellate di rifiuti,
cioè la quantità che serve a rendere autonomo il Piemonte ed evitare
che i rifiuti finiscano all'estero o in altre regioni. Una nuova
linea permetterà alla Regione di raggiungere l'obiettivo ambizioso
di aumentare di quasi il 20 per cento la quota differenziata entro
il 2035».
Iren è d'accordo sull'ampliamento?
«Credo si perché con una quarta linea si potrà proseguire l'ottimo
lavoro fatto da Trm fino ad oggi».
E i cittadini che cosa ci guadagnano?
«Una tassa smaltimento rifiuti più bassa rispetto ad altri
territori. Roma, ad esempio, spende 120 milioni l'anno per portare
al Nord i suoi rifiuti. Un costo che viene scaricato sui cittadini».
09.05.23
CINA STOP PER AMBIGUITA':
Dopo aver preso di mira diversi settori dell'economia russa con
dieci diversi pacchetti di sanzioni, l'Unione europea si prepara a
entrare in una nuova fase per colpire i Paesi terzi che sostengono
in qualche modo Mosca. A partire dalla Cina, che si è già detta
pronta a reagire per «tutelare i propri interessi». Ma non solo:
l'Ue è pronta a tagliare le relazioni commerciali con tutti quei
Paesi che stanno aiutando la Russia a eludere le misure restrittive,
partecipando a triangolazioni per consentire il flusso di merci
europee il cui export verso Mosca è bloccato. In questo caso nel
mirino ci sono Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l'Armenia, il
Kazakistan, ma anche la Turchia. La Commissione ha messo a punto
l'undicesimo pacchetto di sanzioni economiche che, per la prima
volta, inserisce nella blacklist sette aziende cinesi (alcune delle
quali sono basate ad Hong Kong). Secondo Bruxelles, le società
venderebbero alla Russia una serie di attrezzature e tecnologie
utilizzate per scopi militari nella guerra in Ucraina. «L'Unione
europea non si metta sulla cattiva strada» ha avvertito un portavoce
del ministero degli Esteri di Pechino, secondo il quale «si utilizza
il pretesto delle relazioni tra la Russia e la Cina per adottare
delle sanzioni illegali». Le misure non sono state ancora discusse
formalmente tra gli ambasciatori dei 27 Stati membri, che avranno un
primo confronto soltanto domani. Secondo le indiscrezioni raccolte
in ambito diplomatico, non sarà facile raggiungere un'intesa sul
nuovo pacchetto di sanzioni in tempi brevi proprio per le possibili
ripercussioni nei rapporti con la Cina. Ma oggi Ursula von der Leyen
cercherà comunque di usare questo biglietto da visita durante il suo
viaggio a Kiev, dove celebrerà simbolicamente la giornata
dell'Europa
RITORNO DEL CILE : Era lo scenario più temuto per il
presidente del Cile Gabriel Boric. Dopo mesi a rincorrere la destra
nelle politiche su sicurezza e immigrazione, il leader progressista
eletto poco più di un anno fa con un record di voti e l'etichetta di
erede di Salvador Allende, si è visto sfilare anche l'ultimo
bastione dal quale avrebbe potuto cercare di smantellare le restanti
vestigia della dittatura di Pinochet, rappresentate dalla
costituzione del 1980 ancora vigente. A imporsi domenica con il
35,4% delle preferenze nelle elezioni per la scelta dei 50 membri
del Consiglio incaricato di redigere un nuovo testo costituzionale è
stato proprio lo schieramento che rivendica i successi della
dittatura militare instaurata da Pinochet nel '73 con l'uccisione di
Allende. Si tratta del Partito Repubblicano guidato da José Antonio
Kast che, forte dei 22 seggi ottenuti, ora è in grado di opporre il
diritto di veto a qualsiasi proposta e boicottare il processo
costituente. —
08.05.23
IL VERO VOLTO DELLA SVIZZERA : A
poco più di un mese e mezzo da quel 19 marzo in cui venne salvato,
con un intervento di 109 miliardi di franchi della Banca Nazionale
Svizzera, premessa per un’integrazione con Ubs, Credit Suisse
continua a riservare notizie di scandali, relativi al suo passato.
Domenica 7 maggio si è appreso, grazie a un’inchiesta del
settimanale SonntagsZeitung di Zurigo, che quella che fino a poco
tempo fa è stata la seconda banca svizzera per importanza, durante
molti anni ha versato centinaia di milioni di franchi di bonus
occulti, nel senso che non sono mai stati iscritti a bilancio, a un
gran numero di alti quadri della direzione.
Dal 2008, quindi proprio quando scoppiò la maggiore crisi
finanziaria del secondo dopoguerra, fino almeno al 2019, quelle
ricche prebende nascoste vennero elargite senza che, poi,
figurassero nel rapporto annuale dell’istituto, sottoposto al voto
dell’assemblea degli azionisti. La prassi sarebbe stata iniziata dal
top manager statunitense, Brady Dougan, che ricoprì la carica di CEO
di Credit Suisse dal 2007 al 2015, anno in cui lasciò la banca,
sanzionata nel 2014 da una multa di 2,8 miliardi di dollari, per
aver violato la legge fiscale USA, favorendo l’evasione delle
imposte di molti suoi clienti nordamericani.
Tra i beneficiari dei bonus non iscritti a bilancio figurerebbero
diversi ex-dirigenti statunitensi della banca svizzera, In
particolare l’oggi 62 enne Robert Shapir, già responsabile dell’Asset
Managememt e co-responsabile della Gestione Patrimoniale di Credit
Suisse, nonché CEO per le americhe della banca e che, per quelle
funzioni, incassava un lucroso stipendio di 7,9 milioni di franchi
l’anno.
Uno che, decisamente, non aveva alcun bisogno di intascarsi altri
soldi, soprattutto in maniera così furtiva. Una prassi indegna se
pensiamo che avveniva in anni in cui milioni di persone soffrivano
per le conseguenze della crisi finanziaria e si stava facendo
strada, nell’opinione pubblica, un sentimento ostile nei confronti
delle cifre mirabolanti che guadagnavano i grandi dirigenti
d’azienda.
Fatto sta che, giorni fa, il quotidiano di Zurigo Tages Anzeiger ha
quantificato in 32 miliardi di franchi l’entità dei bonus, beninteso
quelli palesi, distribuiti da Credit Suisse negli ultimi 10 anni.
Considerando la miserrima fine della banca ci si può chiedere se, di
fronte a queste vagonate di bonus, elargiti nonostante il cattivo
andamento dell’istituto, non ci siano i presupposti per un’azione
della magistratura. […]
CONFLITTI DI INTERESSI POLITICO-ECONOMICO :
Nella City milanese è ripreso il gioco sullo scacchiere
Mediobanca-Generali. A innescarlo è stata la conferma dell’ascesa di
Francesco Gaetano Caltagirone nel capitale di Piazzetta Cuccia al
9,9%, dopo i rumors rivelati lo scorso ottobre da MF-Milano Finanza.
La mossa arriva mentre nella banca d’affari milanese è appena
partito il complesso iter per la presentazione della «lista del cda»
in vista del rinnovo del board all’assemblea del 28 ottobre. E che
ora potrebbe essere influenzato in maniera rilevante da alcune
decisioni tra Palazzo Chigi e Parlamento, proprio relative alle
«liste del cda».
La partita si gioca sul filo del diritto, tra commi e codicilli che
sembrano minuzie da legulei ma che invece possono avere effetti
molto concreti. Per riannodare il filo bisogna tornare al Consiglio
dei ministri del 4 maggio che, all’interno di un decreto legge
omnibus ha inserito una norma in base alla quale gli statuti delle
società quotate possono prevedere la «lista del cda» stabilendo che
questa dovrà essere presentata 40 giorni prima dell’assemblea, e non
25 giorni come per gli altri candidati.
[…] I contenuti della norma in questione ricalcano, in parte, un
emendamento al decreto Fintech presentato in Senato da Fratelli
d’Italia a meta aprile ma cassato ancora prima della partenza per
estraneità alla materia del provvedimento. L’emendamento originario
di Fratelli d’Italia prevedeva un terzo aspetto non previsto invece
nel decreto del 4 maggio: qualora lo statuto non preveda altrimenti,
la lista del cda si considera «non presentata» se uno o più soci con
una quota di almeno il 9% del capitale stilino una propria lista con
un numero di candidati pari a quello dei consiglieri da eleggere.
Insomma, una lista di maggioranza.
[…] le liste dei board sono a pieno titolo nel decreto, sempre che
il Quirinale non abbia nulla da obiettare sulla presenza stessa di
questi provvedimenti. Se passasse il vaglio di Mattarella, nel corso
dell’iter parlamentare di conversione in legge un emendamento simile
a quello presentato nel decreto Fintech stavolta passerebbe il
vaglio di ammissibilità.
Cosa c’entra tutto questo con la battaglia lungo l’asse
Mediobanca-Generali? Secondo diversi osservatori, se quella norma
tornasse e venisse approvata, sarebbe un forte assist per
Caltagirone. Se un anno e mezzo fa la proposta D’Alfonso fosse
diventata immediatamente operativa, avrebbe potuto tagliare fuori
dalla corsa per il rinnovo l’amministratore delegato uscente di
Generali Philippe Donnet, candidato nella lista del cda avversata da
Caltagirone con l’appoggio di Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt
e i voti dei Benetton. Ora la tenaglia sul Leone, via Mediobanca,
prova a fare leva sulla politica. […]
07.05.23
BASTAVA E BASTA FARE MUTUI A TASSO FISSO:
La decisione della Bce di alzare i
tassi d'interesse per la settima volta in nove mesi non riguarda
soltanto lo Stato italiano e i suoi 2770 miliardi di debito. Il
costo del denaro al 3,75% incide anche sulle famiglie che hanno
acceso un prestito e su quelle che vorrebbero farlo.
In Italia sono 6,8 milioni le famiglie indebitate, un quarto del
totale. Su 3,5 milioni di loro pesa un mutuo, talvolta stipulato con
tasso variabile. Stando ai calcoli della Fabi, la rata di queste
ultime famiglie è cresciuta in media del 65%:chi pagava circa 500
euro al mese, oggi paga 825 euro, ossia 325 euro in più. E l'ultimo
rialzo dello 0,25% deciso dalla Bce è destinato a far lievitare
ancora l'esborso.
L'aumento dei tassi condiziona però anche le scelte di quanti
vorrebbero ricorrere a un nuovo finanziamento, avverte il sindacato
bancario. I nuovi mutui a tasso fisso sono passati da un interesse
medio di circa l'1,8% ad anche oltre il 5%, con rate mensili
raddoppiate. I nuovi mutui a tasso variabile potrebbero poi
arrivare, a breve, in media, verso il 6% dallo 0,6% di fine 2021.
Per un prestito da 15 mila euro della durata di 20 anni, quindi, la
rata mensile sarà di 1.090 euro, ossia 325 euro in più (+63,9%)
rispetto a quella di 665 euro che si sarebbe ottenuta un anno fa.
L'incremento dei costi di finanziamento è evidente anche su altri
prodotti di credito. Per acquistare un'automobile da 25 mila euro
interamente a rate, con un finanziamento da 10 anni, servono 45.704
euro, con una differenza di 8.279 euro (+22,1%) rispetto ai tassi di
fine 2021. Per comprare una lavatrice da 750 euro interamente a
rate, con un finanziamento da 5 anni, il costo totale passa da 942
euro a 1.061 euro, con un aumento di 119 euro (+25,3%) rispetto a
poco più di un anno fa.
La Bce ha ribadito che gli aumenti dei tassi sono necessari per
riportare sotto controllo l'inflazione. La crescita dei costi dei
prestiti si aggiunge così al caro-vita che, in mancanza di aumenti
salariali, sta abbattendo la capacità non solo di indebitamento ma
anche di spesa degli italiani. Secondo il Codacons, del resto, in 10
anni la spesa media annua per luce, gas, acqua e rifiuti è salita
complessivamente del +68,7% un incremento di 1.625 euro a famiglia,
con i prezzi dell'elettricità che, rispetto al 2012, hanno
registrato un aumento record del +240%.
Il nodo è la separazione tra super veloci e regionali
Bologna ce l'ha, Firenze finalmente sembra che lo stia per fare, a
Roma probabilmente è impraticabile.
Quattro incidenti minori in 17 giorni, tre dei quali in Toscana, due
che si ripercuotono a cascata sul resto del traffico nazionale
causando disagi enormi, e un'unica soluzione ragionevole: separare
l'alta velocità da intercity, interregionali, regionali e merci.
Già, ma se questa soluzione certe volte risulta possibile, in alcuni
casi invece è quantomeno difficile, mentre per altri è proprio
impossibile.
Chiunque viaggi su rotaia sa che Bologna, Firenze e Roma sono colli
di bottiglia. La prima tra queste città ha inaugurato quello che
tecnicamente si chiama «bivio Emilia-Bologna Centrale» l'8 maggio
del 2012. Ventitre metri più in basso dei binari del traffico
ordinario sulla stazione, i Frecciarossa e gli Italo possono passare
per questo hub moderno dotato di comfort per i passeggeri in attesa,
ad oltre 100 km orari, indipendentemente dal quanto accada in
superficie e viceversa.
A Firenze il cantiere per la costruzione di una stazione analoga è
oggetto di dibattiti, gare d'appalto, esposti, cause e polemiche
ormai da 30 anni. Le Ferrovie dello Stato indicano il 2007 come data
dell'inizio dei lavori per questa stazione che pure potrebbe
eguagliare i 100 km/h in transito che ci sono su Bologna e implica
2,735 miliardi di euro di investimenti.
La data di consegna è prevista per il 2028 e il presidente della
regione Toscana, Eugenio Giani, ha ribadito la necessità di averla
pronta in fretta, dopo che la rottura dell'asse di un vagone merci
nei pressi del capoluogo ha bloccato mezza Italia.
Tuttavia, c'è ancora chi si oppone: comitati di quartiere,
ambientalisti e urbanisti che nel tempo hanno insistito
sull'impraticabilità del progetto. Ne è un esempio l'ingegnere dei
trasporti Vincenzo Abbruzzo, il quale ricorda come «da anni io
proponga l'alternativa di un passaggio in superficie dell'alta
velocità, ma municipio e Regione hanno sempre insistito perché fosse
sotterranea, senza peraltro spiegare il perché».
Roma, dove ieri è caduto il più recente dei granelli capaci di
bloccare l'ingranaggio ferroviario italiano, è un caso a parte. Qui
secondo gli esperti, per come è organizzata la rete e per la natura
stessa della città, una stazione sotterranea esclusivamente dedicata
alla Tav è più prossima alla fantascienza che alla realtà.
Un'alternativa possibile è quella praticata a Reggio Emilia, con un
terminal moderno in periferia e poi treni di cabotaggio fino al
centro.
QUANTI ALTRI FAVORITI DAI POLITICI: L'Asl To4 ha licenziato
Carla Fasson, la manager a capo del Dipsa (il dipartimento delle
professioni sanitarie) perché non ha i titoli per essere iscritta
all'albo dell'Ordine dei tecnici di laboratorio biomedico, come
richiesto dalla Legge del marzo 2018 dell'allora ministro alla
Sanità, Beatrice Lorenzin. Per il legale dell'Asl To4, l'avvocato
Andrea Castelnuovo il licenziamento è un atto dovuto, quale diretta
conseguenza della mancata iscrizione all'albo professionale: «L'Asl
si sta occupando in maniera approfondita di molte questioni, alcune
delle quali anche oggetto di procedimento penale. Sono stati aperti
vari procedimenti disciplinari perché l'Asl intende perseguire ogni
illecito con la massima serietà e tempestività».
Un atto inevitabile anche per la legale della Fasson, l'avvocato
Beatrice Rinaudo: «Ci vorrà tempo per dimostrare che la mia
assistita ha tutti i requisiti per essere iscritta all'albo e faremo
tutto il possibile per dimostrarlo, ma i tempi non coincidono con
quelli del disciplinare. E per quanto la vicenda sia dolorosa, la
mia assistita oggi è più serena vista la delicatezza della
situazione».
Quella che vede al centro Carla Fasson è un'inchiesta penale aperta
dalla procura di Ivrea e che aveva portato la ex manager agli
arresti domiciliari per corruzione e abuso (domiciliari poi revocati
dal Riesame e sostituiti con una interdittiva di 8 mesi). Secondo la
pm Valentina Bossi ci sarebbero 11 avanzamenti di carriera pilotati
nell'azienda con domande e risposte delle prove d'esame che
sarebbero state inviate in anticipo da Fasson ai concorrenti
preferiti. E poi c'è il filone d'inchiesta a Torino perché Fasson
avrebbe manifestato al dottor Giulio Meinardi, medico otorino
all'ospedale di Chivasso, l'intenzione di posizionare un gps sotto
l'auto del direttore di otorinolaringoiatria. Una bufera giudiziaria
che vede 33 indagati tra cui il direttore generale Stefano
Scarpetta.
Schlein attacca Descalzi "Non si può barattare l'impunità con il gas"
«Penso che l'Italia non possa considerare la mancata collaborazione
dell'Egitto sull'omicidio di Giulio Regeni come un prezzo da pagare
sull'altare degli interessi economici». La segretaria del Partito
democratico Elly Schlein, da un evento elettorale a Treviso,
commenta le parole pronunciate venerdì dall'amministratore delegato
di Eni Claudio Descalzi sul palco della convention di Forza Italia a
Milano: «L'Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi
quest'estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi»,
aveva detto l'ad, in riferimento alla strategia italiana per
emanciparsi dai rifornimenti di gas russo. «Questi sono Paesi a cui
se dai, ricevi». A quest'ultima frase di Descalzi, appena
riconfermato alla guida della partecipata, ha risposto la leader dem:
«Ho sentito dire che da paesi come l'Egitto "se dai ricevi". Voglio
chiedere al governo se tra le cose da "dare per ricevere" è
considerata anche l'impunità dei torturatori e degli assassini di
Giulio Regeni». Il processo sulla morte del ricercatore italiano di
28 anni, il cui cadavere è stato ritrovato al Cairo il 3 febbraio
2016 non lontano da una prigione dei servizi segreti egiziani, è in
una fase di stallo. Gli alti funzionari della National Security
egiziani, Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi,
Magdi Ibrahim Abedal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di
persona, lesioni e concorso nell'omicidio del giovane studioso, non
si sono mai presentati alle udienze. La prossima udienza si terrà il
31 maggio. In quell'occasione il gup potrebbe decidere di rivolgersi
alla Corte Costituzionale per sciogliere l'impasse causata
dall'assenza degli imputati. Il 28 aprile, la famiglia di Giulio
Regeni ha chiesto, con una lettera, che il governo «pretenda senza
se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e
l'uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio».
L'Egitto non ha mai collaborato alle indagini e non ha mai permesso
che le notifiche arrivassero ai quattro dipendenti degli apparati di
sicurezza del Cairo: «Laddove non possono arrivare gli ufficiali
giudiziari notificando ai quattro imputati l'invito a comparire –
hanno scritto i genitori di Regeni – arriverà l'eco della nostra
scorta mediatica, che siete tutti voi. Questo processo si deve fare
e si deve fare in Italia, perché non è accettabile che chi tortura e
uccide pagato da un regime che il nostro Paese ritiene "amico",
possa abusare del nostro sistema di diritto e godere dell'impunità».
Anche Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde critica le parole
dell'ad di Eni Descalzi: «A noi il governo egiziano ha dato Giulio
Regeni cadavere perché assassinato. L'Italia cosa ha dato all'Egitto
in cambio del gas? Rinunciare a perseguire gli assassini di Regeni?»
06.05.23
SOLITA INGORDIGIA INFERNALE :
Negli Stati Uniti si parla di greedflation, inflazione da avidità.
Le multinazionali produttrici di beni di largo consumo hanno
aumentato i prezzi oltre quanto sarebbe stato necessario per
compensare l'incremento dei costi di energia, materie prime e
lavoro. Risultato: i loro margini di profitto sono saliti nonostante
il calo dei volumi di vendita. Nestlé, per esempio, ha alzato i
prezzi della sua gamma del 9,8% fra gennaio e marzo. Nonostante gli
acquisti dei prodotti siano scesi dello 0,5%, così, il colosso
svizzero è riuscito a incrementare i ricavi del 5,6% a 24 miliardi.
Stessa dinamica si ritrova nei conti trimestrali di Procter & Gamble
- che aumentato i prezzi del 10% - Unilever (11%), Pepsi (16%),
Coca-Cola (11%) e altri marchi internazionali che popolano gli
scaffali dei supermercati europei.
Le aziende in questione hanno respinto l'accusa di aver approfittato
della confusione generata nei consumatori dalla crisi energetica per
speculare sull'inflazione. I rialzi dei listini andrebbero a
compensare i costi sopportati dalle aziende nell'ultimo biennio di
choc in serie, e neanche per intero. Secondo un'analisi di Allianz,
però, la tesi non è del tutto convincente, perlomeno nel settore
alimentare. Gli esperti dell'assicurazione tedesca hanno calcolato
che circa il 10% dell'aumento dei prezzi di cibo e bevande non è
giustificato dalla crescita dei costi di energia, materie prime e
logistica. In altri termini, va soltanto a gonfiare i profitti dei
produttori. Ma per quanto ancora? Buona parte dei gruppi citati ha
dichiarato al mercato di aver pressoché esaurito il suo potere
negoziale nei confronti dei consumatori: ulteriori incrementi dei
prezzi si rivelerebbero contropruducenti, deprimendo troppo la
domanda dei clienti.
05.05.23
OMICIDI STYLE PUTIN :
«Sono il campione di ascolto dei discorsi di Putin, mi addormento al
suono della sua voce». Dopo aver torturato Alexey Navalny con la
fame, il freddo, la cella di punizione e l'abolizione delle visite,
l'amministrazione del carcere dove è rinchiuso il leader
dell'opposizione russa ha inventato un supplizio ideologico,
costringendolo ad ascoltare a tutto volume il suo peggior nemico.
Una «punizione creativa», come la chiama il detenuto più famoso di
Russia, che a lui ricorda «un libro di spie dove i prigionieri
dovevano ascoltare a volume assordante le poesie di Mao Tsedong».
Più che un tentativo di rieducazione da rivoluzione culturale
cinese, o da Arancia meccanica, questa innovazione nel regolamento
carcerario della colonia penale numero 2 della regione di Vladimir
sembra una tortura psicologica: le registrazioni con Putin vengono
accese nella ora di «tempo personale» serale e durano fino al
momento di coricarsi.
Un nuovo dispetto che conferma quello che ieri ha ripetuto anche
Evgeny Cichvarkin, l'imprenditore russo amico di Navalny costretto
già anni fa all'esilio dal regime: l'oppositore incarcerato è «il
detenuto personale di Putin», e quello che gli viene fatto dietro le
sbarre accade per ordine del Cremlino. Oltre alle vessazioni comuni
a tutti i prigionieri di quello che resta ancora per tanti aspetti
un «arcipelago Gulag» – come la denutrizione cronica per via di
razioni troppo piccole e scadenti – per Navalny è stato inventato un
programma di tormenti in un girone dell'inferno a lui dedicato. Le
sue lettere vengono bruciate, i suoi pacchi viveri buttati, non
riesce a ricevere cure mediche e soffre di dolori addominali che
hanno fatto venire ai suoi familiari la paura di un nuovo, lento,
avvelenamento. Da mesi ormai il politico non esce quasi dalla cella
di punizione, alla quale viene condannato anche per la più piccola
delle violazioni, come un bottone slacciato: si tratta di 15 giorni
rinchiuso in un cubo di cemento gelido, dal quale il politico emerge
dimagrito di 5-8 chili. Quando rientra nella sua cella abituale,
Navalny si ritrova spesso in compagnia di un altro detenuto, che
soffre di squilibri mentali e non si lava da settimane: «Avverto una
giustizia nel fatto che la prigione equipari l'impatto dei discorsi
di Putin a quello della puzza», ironizza Navalny nel suo messaggio,
consegnato agli avvocati e diffuso sui suoi social.
Una situazione tragicomica, se non fosse che il dissidente si trova
al centro di un Gulag dentro il Gulag, costruito appositamente per
lui e dal quale chiaramente non dovrebbe più uscire, almeno nelle
intenzioni del suo carceriere. Condannato a due anni e mezzo per una
presunta violazione delle regole di libertà condizionata per una
precedente condanna, già in carcere Navalny è stato processato e
sentenziato a dieci anni per «truffa» e «offesa alla corte», mentre
ora è stato incriminato per «organizzazione comunità estremista» e
altri reati che insieme dovrebbero fruttargli fino a 30 anni. Di
recente però il politico ha comunicato che rischia l'ergastolo,
quindi probabilmente alle imputazioni esistenti si sono aggiunte
altre, presumibilmente quella di «terrorismo», basata sul fatto che
Daria Trepova, la giovane che ha portato la bomba che ha ucciso ad
aprile il propagandista nazionalista Vladlen Tatarsky, fosse una
seguace del movimento di Navalny.
È evidente che per Putin Navalny non deve uscire più dal carcere.
Nonostante il suo movimento sia stato messo fuori legge, e i suoi
militanti siano in esilio, o in carcere, il suo solo nome è già un
capo d'accusa: nei giorni scorsi un uomo è stato arrestato per aver
postato sui social il programma dei «15 punti per chi vuole bene al
proprio Paese», in cui Navalny invita i suoi seguaci ad aiutare la
vittoria dell'Ucraina e rovesciare il regime di Putin per costruire
una Russia democratica e «non più imperiale». La vicepresidente
della Fondazione anticorruzione di Navalny, Anna Veduta, è appena
finita al centro di polemiche per aver dichiarato di donare soldi
all'esercito ucraino: il Cremlino ha appena introdotto l'ergastolo
come pena massima per «aiuto al nemico», ma anche nei ranghi degli
oppositori non tutti approvano. Dopo un anno e mezzo, un fronte anti
putiniano non è ancora nato, e anche alla recente conferenza che ha
cercato di unire a Berlino i vari esponenti del dissenso i
navalniani non si sono presentati. E Boris Zimin, il principale
sponsor del movimento, ha proprio ieri annunciato di voler diminuire
gradualmente il finanziamento alle donne e agli uomini di Navalny,
per spingerli a «variare e cercare altre fonti».
Navalny resta comunque la figura più carismatica dell'opposizione
russa, l'unico ad aver creato un movimento massiccio e ad aver dato
voce e parole d'ordine a milioni di persone, soprattutto esterne ai
salotti liberali di Mosca e Pietroburgo. Uno dei motivi per cui
rimane il nemico pubblico numero uno, per Putin come per gli
ufficiali penitenziari dei quali ha esposto – già dal carcere – le
ruberie. Una condanna all'ergastolo lo sposterebbe in un carcere di
massima sicurezza, dove l'accesso alle lettere e agli avvocati
sarebbe limitato al minimo, «cancellando la sua presenza», dice
Cichvarkin. Soltanto la settimana scorsa 130 personalità della
cultura – da J.K.Rowling a Benedict Cumberbatch – hanno firmato una
lettera in cui chiedono a Putin di liberare il suo «prigioniero
personale». Ma è difficile che il Cremlino molli la preda: a questo
punto, è uno scontro personale, come dimostra la tortura con la voce
di Putin che deve avvelenare anche quei 60 minuti di tempo libero
che la prigione concede a Navalny.
RISCHI INTELLIGENZA ARTIFICIALE: L'intelligenza artificiale
ha potenzialità enormi, può migliorare le vite, ma pone anche dei
rischi per le libertà civili. Per questo i colossi hi tech hanno
delle responsabilità etiche, morali e legali nel garantire la
sicurezza dei prodotti generati da IA e servono delle direttive
chiare da rispettare, magari incapsulate in una legge votata dal
Congresso. Al termine dell'incontro di circa due ore svoltosi ieri
alla Casa Bianca con i leader del mondo dell'industria tecnologica,
la vicepresidente Kamala Harris – che ha presieduto l'incontro – ha
così sintetizzato la visione dell'Amministrazione.
Al meeting ha fatto a un certo punto capolino anche il presidente
Biden, cosa non rara quando si tratta di questioni sensibili, e ha
ribadito rischi e benefici dell'innovazione.
Sono tutti elementi che da tempo hanno attirato l'attenzione della
Casa Bianca. Nel 2023 la competizione fra i maggiori player si è
fatta ancora più intensa e a Washington ha preso piede l'idea che la
rincorsa al profitto e a superare rapidamente le frontiere della
ricerca possa avere degli effetti negativi sulla democrazia, la
privacy e i diritti delle persone.
Così nei giorni scorsi, l'Amministrazione ha deciso di convocare una
riunione con i boss di Google, Sundar Pichai, Microsoft, Satya
Nadella, Open Ai Sam Altam e Anthropic guidata dall'italo-americano
Dario Amodei. Con loro attorno al tavolo oltre a Kamala Harris
c'erano Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa,
Jeff Zients, capo dello staff di Biden, Gina Raimondo, segretaria al
Commercio e altri alti funzionari. Un incontro quindi al massimo
livello cui l'arrivo di Biden ha dato ulteriore spinta.
La Casa Bianca sta cercando di sviluppare un approccio comprensivo e
coerente al tema che ha subito un ulteriore segno di urgenza nelle
ore seguenti l'annuncio della ricandidatura di Biden alla Casa
Bianca quando i repubblicani hanno risposto rapidamente con un breve
video – generato interamente con AI – ai contenuti del messaggio di
Biden. Una rapidità che ha destato non pochi timori. Lo ha
sottolineato in un report anche Darrell M. West studioso della
Brookings Institution sottolineando come l'intelligenza artificiale
accorcerà i tempi di risposta, di mediazione, di riflessione e sarà
in grado di generare risposte immediate senza doversi basare su
chissà quali analisi approfondite di consulenti. «La IA
democratizzerà anche la disinformazione portando strumenti
sofisticati nelle mani di chiunque voglia promuovere le idee di
qualunque candidato». E con il 2024 e la sfida – possibile e sin
probabile – fra Biden e Trump fornirà un terreno di sperimentazione.
Il fronte delle sfide aperte secondo l'Amministrazione è assai
vasto. Un alto funzionario della Casa Bianca in una call con i
reporter accreditati ha sottolineato come «la stella polare
dell'azione del governo è che se si vuole beneficiare dei vantaggi,
bisogna essere in grado di mitigare i rischi». Anzitutto ai ceo
Harris ha chiesto responsabilità e trasparenza, tutti parteciperanno
in agosto al DEFCON 31 di Las Vegas, fiera della tecnologia dei
software, lì i progetti di AI saranno resi pubblici e di fatto
valutati.
C'è la piena consapevolezza che l'intelligenza artificiale e i suoi
prodotti – che sia la composizione di immagini, il linguaggio o
altre applicazioni mediche – siano la nuova normalità, ma spiegano
le fonti, «la corsa all'innovazione sta accelerando e le
applicazioni si allargano sempre di più». Washington ha introdotto
già dall'autunno alcuni paletti per regolarne lo sviluppo. Sono
state diramate direttive per una sorta di Carta dei diritti della
IA; quindi, è stata elaborata una struttura di Risk Management e le
varie agenzie federali hanno maggior potere per tutelare le persone
e valutare le azioni delle società hi tech.
Ieri è stato annunciato l'investimento di ulteriori 140 milioni di
dollari per sette nuovi centri nell'ambito del National AI Research
Institute. Ad ora sono 18 i laboratori negli States. Verranno
rafforzate le disposizioni per le agenzie federali nella gestione
degli strumenti dell'AI e verrà rafforzato lo scambio di conoscenze
fra governo e compagnie private nello sviluppo affidabile degli
strumenti dell'intelligenza artificiale.
MAFIA INTERNAZIONALE: L'intercettazione è un romanzo
breve sul potere della ‘ndrangheta nel mondo. Parlando di traffico
di cocaina «i calabresi sono più famosi di Pablo Escobar, hanno più
soldi loro di lui». Così, l'imprenditore (colluso) Pasquale
Bevilacqua – rientrato in un paesino della costa jonica reggina dopo
decenni trascorsi a Canberra in Australia – raccontava alle famiglie
Nirta e Strangio, enclave di altissimo rango mafioso originarie di
San Luca, il suo profilo di emigrante di ritorno: «Calabria hai
capito? Non Sicilia se vuoi fare business». Calabria come ponte
verso il mondo, col ventre gonfio di soldi sporchi, con una mafia
geneticamente portata a espandersi in ossequio a una logica
darwinistica. Di evoluzione continua. Per conquistare mercati e
territori.
Ed effettivamente la dimensione europea della malavita calabrese
trasuda in tutte le migliaia di pagine che raccontano i 200 arresti
eseguiti l'altroieri dai carabinieri del Ros, dalle procure di
Reggio Calabria (guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri),
Milano e Genova e dagli investigatori belgi e tedeschi. Il
procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, ha introdotto
l'immagine «del network internazionale». Con cellule in Portogallo,
Olanda, Francia, Belgio, Spagna, Nordreno Vestfalia, Turingia,
Saarland in Germania. E casa madre in Aspromonte (o alle sue
pendici). Eccoli gli estremi di una retta criminale che supera i
confini, parla una lingua universale, quella dei soldi, vuole
scrollarsi di dosso, quasi come un'ossessione «il rischio – si legge
agli atti dell'inchiesta, dove un gregario intercettato introduceva
il tema dell'infiltrazione nella politica – di rimanere una mafia
agricola». Lo diceva anni fa un boss di Gioia Tauro a un giovane
rampollo sulla strada dell'apprendistato: «Ricordati che il mondo si
divide in due: quello che è Calabria e quello che lo diventerà». Una
profezia.
E allora eccole le tonnellate di cocaina – 20 solo quelle
sequestrate, molte di più quelle transitate nei porti – che
viaggiano da Ecuador e Brasile verso Olanda e poi Italia. Le cosche
calabresi, moderne e solvibili, hanno rilanciato quando il mondo
sembrava crollare intrappolato nella pandemia da Covid. Le hanno
comprate a partire da maggio 2020 dal clan del Golfo, formato da ex
paramilitari dell'Auc che nel 2004 non accettarono accordi di
pacificazione con l governo colombiano e si presero il mondo del
narcotraffico partendo dal distretto di Antioquia. O dai membri
dell'Oficina de Envigado, erede dello storico cartello di Medellin.
O infine da gruppi (sempre paramilitari) di matrice leninista e
marxista. Prezzi imbattibili, guadagni immensi. Con agganci nei
porti di destinazione: due gli arresti di uomini delle cosche che
avevano "avvicinato" portuali di Gioia Tauro. In Olanda ci pensavano
gli albanesi a condurre fuori dal porto i borsoni da 300 chili per
volta destinati alle famiglie di San Luca e Africo. Ristoranti e
locali le lavatrici dei cartelli che a Lisbona, Braga e Vila Nova de
Gaia aveva messo su «un indefinito numero di intestazioni fittizie
anche su cinque ristoranti». Cognomi vecchi (Morabito, Giorgi,
Bruzzaniti) che richiamano faide in mondovisione (Duisburg) e
omicidi brutali, ma capaci di rigenerarsi di continuo per non
perdere il monopolio di un traffico che vale ogni anno, decine di
miliardi di euro: una manovra finanziaria. E che per ricambiare i
favori (olandesi) alle mafie dell'Est con le quali hanno stabilito
una inusuale (per la ‘ndrangheta) joint-venture "sbloccano" i loro
carichi nei porti calabresi. I pagamenti viaggiavano su canali
cinesi: una sorta di Hawala sulla quale sono stati documentati
passaggi per 22 milioni di euro in due anni. E basta un click con i
criptotelefonini per spostare soldi veri senza muovere una
banconota. Chi ritira i soldi (anche un milione) consegnati in
borsoni, trattiene tra l'8 e il 10% della transazione. Che sarebbe
scomparsa un minuto dopo se gli investigatori del II reparto
investigativo del Ros centrale, guidati dal colonnello Massimiliano
D'Angelantonio, non fosse riuscito a infettare i server (non i
singoli telefonini), dai quali estrarre le chat protette. Nel
Varesotto il punto di arrivo in Italia: un hub in cui in cui i
depositi restano lo stretto necessario per ripartire a bordo di Tir
verso tutta Italia. Non una casualità. Le cifre dei carichi gestite
da Bartolo Bruzzaniti (originario di Africo) insieme ai broker
napoletani Raffaele Imperiali e Rocco Carbone, sono queste: trecento
chilogrammi di cocaina «al mese», che poteva essere rivenduta «a 34
mila euro al chilo» e dunque per un valore di oltre 10 milioni di
euro. È lui stesso, intercettato il 20 giugno 2021, a rivendicare
che «Milano mi spetta di diritto». Milano però, vuol dire Morabito,
Rocco per la precisione, l'autore di una rocambolesca fuga dal
carcere di Montevideo in Uruguay, arrestato proprio dal Ros pochi
mesi fa. Bruzzaniti ne favorì un pezzo di latitanza e così nelle
carte si scopre che Morabito «per pagare una fornitura di droga
organizzò la spedizione di un container carico di armi da guerra in
Brasile, provenienti dai paesi dell'ex Unione Sovietica, fornite da
un'organizzazione criminale operante in Italia e in Pakistan». Più
internazionale di cos.
INDAGINI INTERNAZIONALI :Per portare a termine l'operazione
Eureka e venire a capo di una fitta e internazionale rete di
narcotraffico legato mani e piedi alle cosche di ‘ndrangheta con
"cellule" attive in sei Paesi, ci sono voluti anche – e per la prima
volta dopo molto tempo – tre agenti infiltrati. Un italiano e due
belgi (Paese dal quale nel 2018 è partita l'operazione con una
segnalazione alla Dda di Reggio Calabria).
Ai membri delle diverse articolazioni internazionali della
‘ndrangheta votate al narcotraffico di cocaina dal Sud America
all'Europa, gli infiltrati si sono presentati nel tempo come
imprenditori capaci di fornire assistenza logistica. Non interessati
a partecipare a carichi di cocaina (che comporterebbe un'altissima
percentuale di rischio e condotte di reato gravissime), ma come
specializzati nel recupero dei narco-proventi. E per la fornitura di
automobili in grado di trasportare la droga in Italia e in alte
nazioni del Centro Europa dotate di invisibili "doppifondi". Lo
hanno fatto in più di un'occasione attrezzando però i veicoli di
microspie ambientali e gps per monitorare gli spostamenti e
ascoltare qualsiasi conversazione. Da tempo il Ros dei carabinieri
partecipa a gruppi di lavoro europei che contemplano anche lo
scambio internazionale di investigatori per mascherare meglio
l'infiltrato e garantire allo stesso una maggiore sicurezza.
Nell'inchiesta in questione è avvenuto esattamente questo. Ma
"l'infiltrazione" nel sistema criminale delle cosche è legato anche
alle conversazioni. I boss parlavano solo su sistemi non
intercettabili direttamente e sui quali nemmeno il Trojan (il virus
informatico inoculato sul telefonino che ne attiva, a richiesta, il
microfono) avrebbe potuto portare risultati rilevanti. E così, non
potendo "attaccare" lo smartphone, gli investigatori italiani ed
europei (coordinati da Eurojust) hanno "infettato" i server sui
quali transitavano le conversazioni. Estrapolando a distanza di
tempo le chat criptate: un lavoro che ha coinvolto investigatori
italiani, francesi e belgi «in una sinergia – ha spiegato in
conferenza stampa il procuratore Bombardieri – che è stata l'arma
vincente: di fronte alla transnazionalità della ‘ndrangheta è
corrisposta una cooperazione europea di forze di polizia decisiva
per il risultato».
GERMANIA IN TRINCERA : «Il più grande risultato raggiunto
finora al livello europeo nella lotta alla'ndrangheta». La definisce
così il procuratore di Düsseldorf, Julius Sterzel, la maxi
operazione Eureka che ha portato a 108 arresti in totale, di cui
circa un terzo in Germania. Oltre 30 i mandati di cattura emessi
dalle procure tedesche di Düsseldorf, Monaco I, Coblenza e
Saarbrücken, più di 114 le perquisizioni di immobili, negozi e
uffici. «L'Italia è stata un esempio per noi, dalla direzione
nazionale antimafia è venuta l'idea del nostro centro ZeOS che
riunisce le indagini sulla criminalità organizzata in Nordreno
Vestfalia», continua Sterzel.
Quali sono le attività della 'ndrangheta in Germania?
«Usa il nostro Paese come un centro logistico per il narcotraffico,
data la vicinanza ai porti di Rotterdam e Anversa. Gli stupefacenti
vengono importati dall'Olanda e Belgio e poi smistati passando da
qui. Ma la Germania è anche un buon posto dove nascondersi quando si
è ricercati in Italia, dove sparire e fare affari illeciti senza
essere osservati. Lo definiamo "un punto di ritiro strategico". Qui
la 'ndrangheta ricicla denaro nel settore della gastronomia. Bar,
gelaterie, ristoranti e pizzerie italiane hanno un triplice
vantaggio: consentono di reimmettere nel mercato legale proventi
illeciti, rendono possibile scomparire dai radar e permettono di
reinvestire in attività redditizie. Non solo si ricicla il denaro,
ma si fa anche fatturato».
Il Made in Italy come cavallo di troia per il riciclo. Ma perché
proprio in Germania?
«Il cittadino tedesco è incline a usare il contante, anche se
lentamente le cose stanno cambiando. Fino a pochi anni fa si
potevano comprare immobili cash ed era ovviamente molto redditizio.
Immagini riciclare in un colpo solo 400 mila euro di denaro sporco.
Ora la politica ha inasprito le leggi, ma non abbiamo ancora la
situazione giuridica che avete voi in Italia. Se non c'è una certa
soglia oltre la quale devo provare l'origine del denaro, gli affari
illeciti sono molto più facili».
Chi erano le persone che avete arrestato ieri?
«Due italiani che lavoravano in una gelateria a Siegen, e 28
tedeschi che facevano parte di una rete impegnata nel trasporto
degli stupefacenti. Tra loro ci sono impiegati, titolari di imprese,
lavoratori autonomi. C'è poi una terza persona della gelateria che è
stata arrestata dalle autorità italiane a San Luca su nostro
mandato. Crediamo che questa attività sia stata acquistata da un 'ndranghetista
di rango».
Che legame c'è tra gli arrestati di Siegen e la faida di San Luca,
la strage di Natale del 2006 a cui è seguita la vendetta con il
massacro di Duisburg?
«Non abbiamo prova certe per dire che siano legate alla faida ma
sono persone imparentate alle vittime di quelle vicende. Uno è il
nipote di un capo 'ndranghetista di San Luca, un altro dipendente è
il figlio di una persona morta nel massacro di San Luca, e il terzo
era imparentato con una donna morta nella strage di Natale».
Si può dire che gli affari della 'ndrina siano andati avanti in
Germania dopo Duisburg?
«Dopo la strage c'è stata una grande attenzione mediatica, se n'è
parlato molto, ma non mi pare si siano registrati successi
investigativi particolari. O almeno non l'ho registrato, quindi
suppongo che gli affari siano andati avanti».
Cosa è cambiato di recente nella lotta alla criminalità organizzata
italiana da voi?
«Abbiamo fatto un po' di esperienza, se pensiamo all'operazione
Pollino del 2018, ma certo non abbiamo l'esperienza dei colleghi
italiani, che sono di più e possono contare sulla Direzione
nazionale antimafia. Noi dal 2020 ci siamo dotati di una struttura
centrale, la ZoES che coordina le indagini del Nordreno Vestfalia,
il Land dove comunque la 'ndrangheta è più attiva perché è il Land
più popoloso e più ricco».
Avete imparato dall'esperienza italiana?
«Sì, il nostro ministro della Giustizia nel 2021 ha detto
esplicitamente che questa idea della struttura centrale gli è venuta
dopo una visita alla Direzione nazionale antimafia in Italia. Per
noi è un esempio».
Se è vero che la 'ndrangheta è diventata internazionale, quale
contributo ha dato la cooperazione tra tante autorità investigative
europee?
«È stata fondamentale, non avremmo raggiunto questi risultati senza
una perfetta collaborazione. Siamo stati in costante contatto con le
autorità investigative italiane e degli altri Paesi. Questo è il più
grande risultato raggiunto finora al livello europeo nella lotta
alla 'ndrangheta»
IL PD DEBITORE DI LAUS : Come sono stati gestiti i conti
della cooperativa Rear? Per la procura i fondi statali sarebbero
stati utilizzati per interessi privati. E ora anche il ministero
delle imprese e del made in Italy vuole vederci chiaro e fare luce
sui bilanci e gli estratti conto finiti al centro di un'indagine per
malversazione e truffa.
La direzione generale per la vigilanza sugli enti cooperativi e le
società del Mimit, su indicazione del ministro Adolfo Urso, ha
disposto un'ispezione straordinaria presso la cooperativa
multiservizi. Un provvedimento di peso, preso a seguito degli
sviluppi di un'inchiesta che rischia di terremotare il Pd torinese e
la società colosso dei servizi di vigilanza, sicurezza e
biglietteria. Rear, come tutte le cooperative, è sottoposta a
verifiche periodiche da parte del ministero. Ma questo controllo è
diverso. E per conoscerne l'esito, dicono i bene informati, ci
vorranno almeno un paio di mesi.
Gli indagati a oggi sono sei. A partire dal deputato Pd Mauro Laus,
ex presidente e ora tra i soci più in vista della cooperativa,
figura di peso sulla scena politica cittadina. E ancora, i suoi
fedelissimi di sempre, collaboratori nell'azienda e in politica: la
presidente della Sala Rossa Maria Grazia Grippo e l'assessore ai
Grandi Eventi Mimmo Carretta. La prima, storica collaboratrice del
parlamentare dem, per la cooperativa si è occupata di comunicazione
e rapporti con i media; il secondo, che il deputato ha fortemente
appoggiato alla guida della segreteria provinciale del Pd, nella
multiservizi seguiva gli appalti e la gestione del personale. Sotto
il faro degli inquirenti anche i vertici della società, a partire
dal presidente del consiglio d'amministrazione Antonio Munafò.
La Rear è un'impresa di successo. Centinaia di dipendenti, un
fatturato che sfiora i 30 milioni, appalti pubblici di alto livello
tra musei ed enti culturali. Ma anche generosa con chi, negli anni,
si è candidato, sempre nel Pd, sempre appoggiato dalla corrente che
fa capo a Laus. Gli avversari del deputato hanno effettuato alcuni
accessi agli atti elettorali a Palazzo Civico per verificare i
contributi elargiti dalla Rear alle ultime comunali di Torino, nel
2021, e hanno appuntato la sequenza di finanziamenti dispensata ad
alcuni protagonisti della politica cittadina, come Grippo e
Carretta, dalla cooperativa e da persone e società ad essa
collegate, o che ne condividono la sede, in un complesso immobiliare
di Grugliasco. Decine di migliaia di euro.
Battaglia politica, da un lato. E accertamenti della procura
dall'altro. La Guardia di finanza, facendo le pulci al bilancio
della cooperativa, sta analizzando tutti i flussi finanziari per
scoprire come siano stati impiegati i pagamenti pubblici ricevuti
dalle decine di appalti che Rear si è aggiudicata negli anni.
Gli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e
dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, starebbero cercando di
ricostruire le modalità con cui la Rear è riuscita ad ottenere gli
appalti più significativi in Piemonte e Valle d'Aosta da musei ed
enti culturali, alcuni di primaria importanza nel panorama
cittadino.
LO RUSSO DEBITORE ? Prudenza. Fiducia nei giudici e negli
assessori indagati anche se con contestazioni diverse. Ma anche il
dubbio e il timore che l'inchiesta possa nascere da qualcuno che sta
cercando di colpire il lavoro della sua giunta. L'invito-appello
alla sua squadra ad andare avanti ed essere ancora più uniti per
concretizzare il lavoro portato avanti in questi mesi per mettere a
frutto le risorse del Pnrr. Stefano Lo Russo ha parlato
dell'inchiesta Rear che vede indagati l'assessore a Sport e Grandi
Eventi, Mimmo Carretta, la presidente del Consiglio comunale, Maria
Grazia Grippo, e il deputato Mauro Laus, alla fine della riunione di
ieri della giunta. Un giro di tavolo - a cui non ha partecipato
Carretta, impegnato nella cerimonia per ricordare il disastro aereo
dove 74 anni fa perirono i giocatori del Grande Torino – che è
servito a mettere a punto un breve comunicato che suona, anche, come
una risposta al pressing del capogruppo M5S, Andrea Russi che ancora
ieri mattina parlava di «silenzio assordante del sindaco».
Gli assessori indagati sono due: Carretta, per malversazione e
truffa nell'inchiesta Rear condotta dalla procura di Torino; e Paolo
Mazzoleni, assessore all'Urbanistica, sotto indagine dei pm milanesi
per abuso d'ufficio per la sua attività professionale di architetto
a Milano. Profili e contestazioni diverse, naturalmente, ma quel che
conta per il sindaco è rinnovare la fiducia a tutti e due e anche
agli altri assessori, scelti di persona. Parole apprezzate dagli
assessori che sicuramente lavoreranno al massimo dal punto di vista
amministrativo. L'esecutivo torinese, dunque, «continua a lavorare
con il massimo impegno, nell'esclusivo interesse della Città e nel
pieno rispetto del lavoro della magistratura», si legge nella nota
di Lo Russo.
Rispetto e prudenza, dunque, caratterizzeranno il comportamento del
sindaco nei prossimi giorni. E così si dovrebbe muovere anche il
gruppo consiliare del Pd che si è riunito l'altra sera per discutere
dei provvedimenti in discussione nelle commissioni o in aula e dove
Carretta e Grippo hanno spiegato di aver appreso la notizia dai
giornali. Il timore del sindaco, ma anche del segretario regionale
Domenico Rossi e di quello metropolitano, Marcello Mazzù, è che
l'inchiesta scateni un regolamento di conti nel partito. Scontri che
potrebbero alla fine danneggiare anche il lavoro della giunta ma
soprattutto di Lo Russo che ha trovato in Laus e Carretta i più
determinati sostenitori della sua corsa da sindaco contro il Pd
nazionale.
Non è un caso, dunque, che Rossi nei giorni scorsi abbia
sottolineato la necessità di fare chiarezza al più presto. Quel che
è certo, però, è che almeno dal punto di vista politico Laus ha
scelto la strada di andare all'attacco. Un modo anche per serrare le
file della sua area politica liberalsocialista che conta tanti
eletti negli enti locali torinesi e anche per rassicurare gli
alleati. E in un post su Facebook assicura: «Il mio impegno politico
aumenterà e non si scalfirà a partire dalle prossime elezioni
regionali». E poi lancia un avvertimento: «Oggi vanno all'incasso i
miei detrattori, poi incasserò io e tutti i cittadini che non mi
hanno fatto mai mancare il loro sostegno». E aggiunge: «Dalle
legittime indagini della Guardia di Finanza e dalla procura mi
difenderò nelle sedi competenti come fanno tutti i cittadini
italiani; dallo sciacallaggio me la caverò da solo, fortunatamente
arrivo dall'ultimo banco, sono strutturato psicologicamente e
mentalmente».
Intanto, però, il M5S va all'attacco. «Il sindaco - spiega Russi -
ha affidato a Carretta la delega allo Sport e Grandi Eventi che può
riguardare in maniera diretta o indiretta, i rapporti fra il Comune
e la Rear che fornisce innumerevoli servizi». Un intervento di Lo
Russo in aula sarebbe necessario «per fugare ogni dubbio e per
dimostrare che la trasparenza viene prima di tutto». Enrico Costa,
uno dei leader piemontesi di Azione, va invece all'attacco di Forza
Italia che ha chiesto una sospensione cautelativa, una richiesta
«non proprio ispirata alla presunzione d'innocenza che ha uno stile
molto grillino. Tutti sono garantisti ma se capita all'avversario
non resistono alla tentazione».
SLOT MACHINE ROULETTE RUSSA PIEMONTESE : In Italia le slot
machine sono sempre meno, in Piemonte - dopo anni di diminuzione -
aumentano. A finire sotto osservazione è la legge regionale voluta
dalla giunta Cirio che ha liberalizzato il settore. Lo studio Gasp,
condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche, dice che il numero
di macchinette in Piemonte è aumentato del 10,3% nel 2021, in
controtendenza con la media nazionale che parla di un –1,4%. A oggi
nella nostra regione (l'unica, con Calabria, Campania e Puglia dove
le macchinette aumentano) ci sono 51,4 apparecchi ogni 10 mila
abitanti, contro i 46,6 del 2020. Dal 2016 al 2020 i locali con slot
in Piemonte erano diminuiti di 5.039 unità, quasi l'80%, mentre la
diminuzione nel resto del Paese era stata del 33%. Nel 2021 in
Piemonte risalgono di quasi mille unità (e arrivano a 2.239, ndr),
quasi raddoppiando in un solo anno, mentre nel resto del paese
continuano a diminuire.
Cosa ha portato a invertire il trend? Forse è la riforma voluta
dalla Regione nel 2021 che ha cancellato il testo restrittivo
approvato nel 2016 dalla giunta Chiamparino che aveva portato alla
scomparsa di migliaia di slot. La legge di due anni fa, al
contrario, ha liberalizzato nuovamente il settore mettendo mano alla
distanza minima tra gli apparecchi e alcuni luoghi sensibili
(scuole, luoghi di culto e di ritrovo), e dando la possibilità di
reinstallarli. Quella legge era stata voluta dalla Lega in Regione,
attirandosi le preoccupazioni delle opposizioni, del mondo
associativo e pure di alcune forze politiche di centrodestra.
«L'avevamo detto che la nuova legge sul gioco d'azzardo avrebbe
fatto danni. La revisione della norma che ha riportato le lancette
al 2016 è stata una scelta scellerata», commenta il segretario
regionale del Pd Domenico Rossi. «Ho già chiesto di calendarizzare
la legge di iniziativa popolare per il contrasto alla diffusione del
gioco d'azzardo patologico promossa da Libera, Acli, Arci, Gruppo
Abele, sindacati e associazioni», avverte il capogruppo Dem a
Palazzo Lascaris Raffaele Gallo. Sindacati e associazioni si
ritroveranno martedì in un presidio di fronte al Consiglio
regionale.
«La legge è stata approvata nel luglio 2021, e questi dati sono del
2021. Mi sembra difficile che possano già tenere conto degli effetti
della legge – spiega l'assessore alle Attività produttive, Andrea
Tronzano –. Questo dimostra quanto siano strumentali gli attacchi
del Pd: è grave che speculino su questo tema. La legge precedente
rischiava di favorire il gioco illegale e sommerso. Il nostro
obiettivo era correggere queste anomalie, dando certezze alle
imprese che avevano investito, pur intervenendo in modo serio nel
contrasto alle ludopatie». Da cosa dipende un aumento così rapido ?
«Probabilmente i Monopoli hanno censito come locali con slot anche a
quelli che avevano fatto solo istanza di reinstallarli», spiega
Paolo Jarre, già direttore del dipartimento Patologie delle
dipendenze dell'Asl To3. Insomma, il nesso tra legge e aumento ci
sarebbe.
04.05.23
ERRORE MORTALE :
Cinquecento milioni di euro per aumentare la produzione di armi da
destinare all'Ucraina e per rimpinguare le scorte di munizioni dei
singoli Stati europei che vanno svuotandosi a un ritmo vertiginoso.
Si chiama «Asap» (Act in support of ammunition production) il piano
presentato ieri dalla Commissione europea. L'obiettivo è arrivare a
una capacità produttiva di un milione di munizioni l'anno. Per
concorrere alla spesa i ventisette «Paesi membri che lo desiderano -
spiega il commissario per il Mercato unico Thierry Breton - potranno
utilizzare parte dei fondi del Pnrr per le munizioni». Movimento 5
Stelle e Alleanza Verdi Sinistra annunciano barricate e chiedono a
Meloni di riferire in Parlamento: «È inaccettabile - dice Giuseppe
Conte - non lo permetteremo mai. Quei fondi servono a far rialzare
l'Italia, non a fare la guerra».
La proposta della Commissione Ue punta a rafforzare l'industria
della difesa continentale per portarla in «modalità economia di
guerra». E lo fa con un testo dal nome in codice, «Asap», che ne
dice l'urgenza: ricalca l'acronimo inglese «as soon as possible», il
prima possibile. La Commissione mette sul tavolo 500 milioni di
euro: 260 dal fondo europeo per la difesa e 240 dal futuro strumento
per gli appalti comuni, Edirpa, che dev'essere ancora approvato. A
questi dovrebbe sommarsi un co-finanziamento da parte degli Stati di
altri 500 milioni, per un totale di un miliardo. Questo miliardo si
sommerà al miliardo stanziato dal fondo europeo per la pace per
l'acquisto comune di armi da inviare all'Ucraina, che ieri ha
ottenuto il via libera dagli ambasciatori Ue. Snellire le gare di
appalto, favorire un acquisto comune europeo di munizioni: è il
modello vaccini applicato alle armi. L'idea non piace alle
opposizioni, che alzano un muro. Si dicono «allibiti» i Cinquestelle.
Marco Grimaldi, parlando in aula alla Camera, chiede una
«informativa urgente». A Palazzo Chigi il dossier non è ancora stato
aperto. Eventualmente, andrà discusso con gli alleati, a partire
dalla Lega, che più volte ha espresso perplessità sulla corsa agli
armamenti.
INGORDIGIA : L'attaccante dell'Arsenal Gabriel Martinelli
fotografato con il padre Joao Carlos in piazza Risorgimento a
Lauriano. Era l'agosto 2019. Qui nel Comune di mille e 452 abitanti
sulla collina torinese verso la provincia di Asti, loro figurano
iscritti all'Aire (l'anagrafe degli italiani residenti all'estero).
Come altri 67 connazionali tra cui il campione della nazionale
verdeoro di pallamano Josè Guilherme De Toledo, risultano residenti
al B&B Cascina Colombaro, che da ottobre 2020 ha cambiato proprietà
e nome. Fino al 2019 la struttura dove erano ospiti, immersa nel
verde, era composta solamente da due stanze. Gli ex responsabili,
insieme ad altre otto persone tra cui la sindaca Matilde Casa, la
responsabile dell'anagrafe di Lauriano e un dipendente comunale,
sono indagati dalla procura di Ivrea per associazione a delinquere,
corruzione e falsità ideologica.
Iscritti nel registro degli indagati ci sono anche gli agenti della
società d'intermediazione Rotunno - Immigration Solutions & Business
di San Paolo in Brasile alla quale i destinatari della residenza si
rivolgevano per ottenere i documenti necessari. Nei guai è finito
anche il responsabile dell'ufficio anagrafe nel Comune di Asciano
(Siena) perché nell'indagine dei carabinieri di Chivasso emerge che
si sarebbe fatto consegnare denaro per trovare immobili dove
ospitare, fittiziamente, i cittadini stranieri.
Per ottenere la cittadinanza i brasiliani versavano cifre comprese
tra i mille e 500 euro e i 10 mila. I soldi venivano versati alla
Rotunno Immigration Salutions&Business, i cui agenti si
interessavano per far ottenere la residenza e la successiva
cittadinanza italiana «iure sanguinis» (cioè attraverso una
discendenza italiana) ai richiedenti, a quanto pare senza avere
diritto.
Per far ottenere le cittadinanze la responsabile dell'anagrafe di
Lauriano - si legge nelle carte dell'inchiesta della pm Valentina
Bossi - avrebbe ricevuto dalla società di intermediazione borse, una
catenina in oro e altri regali. Alla sindaca Matilde Casa, quale
corrispettivo per la disponibilità dimostrata, sarebbe stato
regalato un computer per la biblioteca comunale.
Nelle carte, la pm Bossi scrive che «i certificati non sono conformi
a legge in quanto emanati nonostante l'omissione dei controlli a
monte, che avrebbe dimostrato che i soggetti non erano residenti e
in quanto non residenti non avrebbero potuto ottenere la
cittadinanza italiana».
Al padre del calciatore dell'Arsenal, si legge nelle carte che «in
data 3 aprile 2019 veniva rilasciata falsa autorizzazione a
stabilire la residenza presso il B&B Cascina Colombaro, luogo in cui
l'uomo non soggiornava nemmeno una notte - infatti pernottava tra il
2 e il 3 aprile 2019 presso un altra struttura del Torinese -
Tuttavia la proprietaria rilasciava autorizzazione alla residenza
presso il B&B di Lauriano».
INUMANO : Scende le scale di casa strisciando, facendo forza
sulle braccia, per arrivare in cortile e salire sulla sedia a
rotelle, parcheggiata nel sottoscala. A Maurizio Mangiapane, 59
anni, di Chieri, nel Torinese, quasi un anno fa sono state amputate
entrambe le gambe, sopra il ginocchio. E se in casa non ci sono la
moglie o i figli che possono aiutarlo questa è la sua condanna di
tutti i giorni: strisciare sui gomiti per poter affrontare le scale
di casa.
Settembre dell'anno scorso, il momento che ha devastato la sua vita:
«I primi malesseri erano comparsi sette mesi prima. Non riuscivo ad
alzarmi dal letto, avevo dolori dappertutto», racconta. Ad agosto
sua moglie Irina decide di portarlo alle Molinette di Torino. «Sono
finito subito in rianimazione». Aveva un trombo di quattro
centimetri nell'aorta del cuore: «I trombi si sono poi diffusi in
tutto il corpo – racconta la moglie – hanno bloccato la circolazione
delle gambe e l'intestino». A settembre hanno dovuto amputargli le
gambe ed è cominciato un nuovo tormento quotidiano.
Il 3 novembre ha presentato la domanda per l'invalidità totale. Ma a
oggi non è ancora stato chiamato dalla commissione dell'Asl di zona,
la To5, che deve accertare la sua invalidità. E quindi non ha
diritto a nulla: alla pensione innanzitutto, ma soprattutto a un
cingolato che gli permetta di salire e scendere le scale senza
strisciare. Oppure a delle protesi, o a non dover pagare di tasca
propria tutte le cure, le visite e gli esami. «Mi vergogno a dover
uscire così – mormora – ma non posso stare chiuso in casa tutto il
giorno quando i miei lavorano. Ho dei vicini eccezionali che quando
possono mi aiutano. A me piace scendere un po' in cortile,
altrimenti divento pazzo». Così non gli resta che uscire
strisciando.
Maurizio e la moglie Irina vivono a Chieri dal 1986, l'anno in cui
si sono sposati. Un vecchio stabile senza ascensore: «Abbiamo anche
pensato di trasferirci – rivela Irina – ma lavoro solo io e gli
affitti sono alti, per le case più nuove con ascensore e senza
barriere. Comprare, solo con il mio stipendio, è impossibile:
nessuna banca mi concede un mutuo. Forse se ci fosse anche la
pensione».
Maurizio lavorava alla Aunde, azienda tessile della zona, ma 14 anni
fa è stato lasciato a casa per riduzione di personale: «Mi sono
arrangiato e ho fatto un po' di tutto, finché non ho cominciato a
star male».
Ora la sua situazione economica, di per sé difficilissima, non è la
sua principale angoscia: «Dovermi spostare in questo modo è uno
sforzo pesante per il mio fisico, anche per il cuore. E anche
un'umiliazione». Per salire sulla carrozzina si aiuta con una specie
di tavoletta, simile ad uno skate, che si è costruito da solo. Anche
per riuscire a fare la doccia ha realizzato una seduta all'altezza
della carrozzella: «Le mani funzionano ancora, le uso per cercare di
essere il più autonomo possibile». Irina lavora in un grande
supermercato: «Mi vengono sempre incontro, ho colleghi e superiori
davvero disponibili. E i miei figli hanno accantonato il progetto di
andare a vivere per conto proprio per darmi una mano. Non è giusto,
ma per ora non saprei come fare altrimenti». È lei ad assistere
Maurizio in tutto e per tutto. Ci fosse l'invalidità le cose
sarebbero diverse: Maurizio avrebbe diritto a un montacarichi per
uscire di casa, non sarebbe costretto a costruirsi da sé gli
attrezzi che rendono un po' meno impossibili le sue giornate,
potrebbe forse cambiare casa. E magari i suoi figli potrebbero
cercare la propria strada anziché badare a lui. Già, se solo non
fossero passati quasi sei mesi da quando ha fatto domanda. «Che poi
non ho più le gambe, che cosa c'è da accertare?». Tutto vero, se non
ci fosse di mezzo un'ottusa burocrazia: «L'accertamento sanitario
deve essere effettuato entro nove mesi dalla data di presentazione
della domanda», spiega l'Asl. Ne sono passati solo sei, c'è tempo
insomma.. Si può fare più in fretta, bastano 15 giorni, ma bisogna
essere malati di tumore. E poi c'è la solita storia: «A causa delle
carenze di personale i tempi di attesa sono superiori ai sei mesi»,
dice Pier Paolo Roviero, medico legale nella To5.
Maurizio può attendere. E, nel frattempo, strisciare. —
TERRORISMO INFORMATICO: Rivendicazioni non ce ne sono. E
testimoni tantomeno. Quel che è certo è che ieri, verso le 7,
qualcuno ha dato fuoco alle condotte dei cavi dati su un viadotto
dell'autostrada Torino-Bardonecchia, all'altezza di Salbertrand. Tre
le conseguenze. La prima è il fumo che ha invaso l'autostrada e l'ha
resa «pericolosa». La seconda è legata al traffico, che ha subito
rallentamenti pesantissimi. Colpa dei Tir, deviati sulle statali
verso Susa che hanno casato code chilometriche. Il terzo è relativo
ai disservizio delle comunicazioni, tanto che i tecnici del
consorzio «Topix» hanno lavorato per ore in modo da riuscire a
ripristinare i collegamenti dei dati tra Italia e Francia. I disagi
maggiori sono stati per i comuni dell'alta valle di Susa, tra Oulx e
Bardonecchia.
Cosa è accaduto è presto spiegato. Sulle spallette del piccolo
viadotto di Salbertrand, corrono - appese alle spallette esterne - i
«cavidotti» di Topix. Le linee sono agganciate ad entrambi i lati
del ponte, e in teoria inaccessibili a chiunque. Eppure qualcuno,
all'alba di ieri, ha versato del liquido accelerante (benzina?
alcol? solventi?) nelle condutture in alluminio e ha appiccato il
fuoco. I rivestimenti in plastica della fibra e i cavi di servizio
si sono fusi e hanno interrotto il sistema. Il fumo della gomma
bruciata ha invece invaso l'autostrada ed il guaio è stato scoperto.
Chi sono gli autori? Qui viene il mistero. Tentare collegamenti con
il mondo insurrezionalista, piuttosto che con l'ala più
intransigente del movimento che si oppone alla linea ad alta
velocità, è un azzardo. Non si sono, infatti, rivendicazioni o
spiegazioni plausibili. E l'origine del gesto, un mistero. Che
ricorda - e neppur troppo vagamente - gli incendi alle centraline
elettriche lungo questa stressa autostrada alla fine degli Anni 90,
quando già l'Alta velocità era argomento di discussione e di
divisione. E c'era chi manifestava il suo dissenso all'opera facendo
ampio uso del fuoco. Ma oggi? L'area cintata lungo l'autostrada - a
Salbertrand - che diventerà la zona di lavorazione dei conci per la
galleria Tav, non è lontana. Sebbene non accanto al punto del rogo.
E allora, per saperne di più, si aspettano gli esiti dei rilievi
della polizia scientifica effettuati nella tarda mattinata, e le
analisi degli investigatori della Digos di Torino. E comunque non ci
sono dubbi sulla volontarietà del gesto. Nessuna incertezza anche
sul fatto che, con le fiamme, si volesse provocare un disagio
pesante alla valle e alla circolazione in autostrada.
Ecco, è da qui che partono le indagini dell'attentato. E si cerca
chi conosceva la strada per arrivare - non visto - accanto al
viadotto e scalare il terrapieno fino a alle condutture.
Ecco, ruotano attorno a questo, le indagini della Digos. E le piste
da seguire sono tante. Compreso il fatto che possa trattarsi si un
gesto di vendetta, per un torto subito.
ELLY CHE FA ? : Rischia di allargarsi
l'inchiesta sul caso Rear, la multiservizi fondata nel 1984, colosso
nel settore. Gli investigatori stanno entrando sempre più a fondo
nella documentazione sequestrata nelle scorse settimane nella sede
della società, negli uffici della Regione e del Forte di Bard.
Bilanci, contratti, registri contabili. Nel mirino del nucleo della
Finanza che sta scandagliando i bilanci della Rear ci sarebbero le
modalità di acquisizione delle commesse accaparrate, così pare, con
un'abile riduzione delle offerte limando sempre su una manciata di
percentuali. Così da sbaragliare i concorrenti.
Strategia aggressiva che in più occasioni ha scatenato le ire di
società rivali rimaste a bocca asciutta. E gli appalti sono
consistenti e riguardano musei, enti culturali. La Rear, in queste
attività, ha sempre fornito servizi di biglietteria, vigilanza. E
ancora: teleallarme e antincendio.
Il sospetto degli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto
Enrica Gabetta e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, è che i
proventi derivanti dalle commesse pubbliche siano stati utilizzati
in maniera impropria. Per questioni, cioè, che nulla c'entrano con
l'attività della cooperativa. Principale indagato, in questa vicenda
ancora sovrastata di ombre, il deputato Pd Mauro Laus. Ex presidente
della multiservizi e ora «semplicissimo» socio. «Quando sono entrato
in Consiglio regionale, ho preferito uscire dal consiglio
d'amministrazione della società. Non era un atto dovuto, ma l'ho
deciso per una questione di opportunità», ha specificato a La Stampa
il parlamentare. E spunta un nuovo faro sul vertice della società,
oggi guidata da Antonio Munafò. Anche lui, a quanto si apprende,
iscritto nel registro degli indagati.
In veste di presidente del Consiglio d'amministrazione poteva non
sapere delle possibili distrazioni di denaro derivanti dagli appalti
pubblici? Com'è possibile che questo flusso di denaro, stando alle
ipotesi di indagine, sia entrato nei conti della cooperativa e sia
fuoriuscito per altre vie per alimentare interessi personali di
altri? Domande al vaglio degli inquirenti.
Indagato principale è il parlamentare Laus, senatore nel 2018,
attualmente deputato e prima ancora presidente del Consiglio
regionale, da un decennio tra le figure di spicco del Pd torinese di
cui è stato negli ultimi tempi l'ago della bilancia.
Il faro della procura si è allargato sui suoi fedelissimi, già
collaboratori nella cooperativa: la presidente del Consiglio
comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo
Carretta. La prima, da maggio 2018 a dicembre 2021, si è occupata
della comunicazione esterna, delle relazioni con i media e
dell'ufficio stampa. Il secondo, dipendente della Rear in
aspettativa, si occupava, spiega , di appalti e gestione del
personale.
L'inchiesta è ancora agli albori, ma c'è apprensione tra i
dipendenti e i sindacati perché la Rear, che ha chiuso un bilancio
2021 con un fatturato di oltre 28 milioni, gestisce appalti pubblici
in tutta Italia ed è partecipata di una società immobiliare, la
Futura Investimenti proprietaria del complesso immobiliare di
Grugliasco, dove c'è la sede amministrativa della società.
03.05.23
IGNORANZA POLITICA: Lasciate
perdere Elon Musk. L’uomo più importante del capitalismo mondiale si
chiama Yu Qun Zeng, Robin Zeng per gli amici occidentali. Farà la
differenza nelle nostre vite, ma di lui si sa poco.
Ha 55 anni, risiede ufficialmente a Hong Kong, ha un dottorato in
fisica dall’Accademia cinese delle Scienze, ha un patrimonio stimato
tra trenta e i quaranta miliardi di dollari (37esimo al mondo) ed è
fondatore, presidente con deleghe esecutive e azionista di
riferimento di Contemporary Amperex Technology Ltd (Catl).
La sua azienda controlla oltre un terzo del mercato mondiale delle
batterie elettriche ed è il principale fornitore di colossi del
capitalismo del ‘900 come Ford o Bmw e campioni del 21esimo secolo
come Tesla.
[…] Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), l’anno
scorso la spesa nel mondo per l’acquisto di auto elettriche ha
sfiorato i 500 miliardi di dollari. È stato un aumento del 50% sul
2021. [...] Mentre noi in Italia ci balocchiamo sognando i
biocarburanti, negli ultimi mesi del 2022 la quota delle auto
immatricolate che vanno solamente a batteria elettrica in Europa
(per non parlare delle ibride) ha superato di gran lunga quelle a
diesel.
Queste ultime erano la tecnologia dominante fino a pochissimi anni
fa, un fiore all’occhiello dell’industria europea capace di
presidiare il 53% del mercato dell’auto ancora nel 2014. Oggi il
diesel è distrutto dagli scandali di Volkswagen, che truccava i test
sulle emissioni per nascondere l’obsolescenza del suo modello di
fronte alle sfide del clima. […]
Siamo […] sul punto di diventare dipendenti dal misterioso, geniale
Robin Zeng. Un imprenditore con dottorato in fisica di cui sul web,
ricercando il suo nome cinese, compaiono solo riferimenti a
brevetti. Un uomo che ha fondato giovanissimo una prima azienda di
batterie al litio, l’ha venduta a una multinazionale giapponese
dell’elettronica, quindi ha lanciato uno spin-off che oggi è
campione mondiale della tecnologia del momento.
[…] In passato l’Europa aveva un enorme surplus, vendendo ai cinesi
auto per cinque o sei miliardi di euro a trimestre […] e importando
quasi niente. Oggi l’Europa è ancora in attivo, ma la Cina esporta
auto a batteria elettrica verso la Ue per un valore circa dieci
volte superiore a quanto avvenga in direzione opposta. Sulla nuova
tecnologia […] siamo nettamente in deficit commerciale. Restiamo in
surplus solo nelle tecnologie in declino. […]
Quanto a noi – italiani ed europei – siamo così in ritardo che non
capiamo neanche cosa sta accadendo attorno a noi. Non è solo che fra
i dieci principali produttori di batterie elettriche sei sono
cinesi, tre sono sud-coreani e uno è giapponese. Conta ancora di più
il modo in cui essi si stanno muovendo in Europa.
Negli ultimissimi anni quattro di questi produttori hanno annunciato
oltre undici miliardi di euro in investimenti da «prato verde»
(significa, fabbriche dal nulla) in un solo Paese dell’Unione
europea: l’Ungheria illiberale, filo-russa, permeabile alla Cina
dell’autocrate Viktor Orban.
Di quel regime noi percepiamo l’autoritarismo, la complicità con il
Cremlino, la cleptocrazia. Gli investitori cinesi e coreani la
facilità del fare business, leggi e dunque costi del lavoro
semi-schiavistici, forti sgravi fiscali e nessun rischio politico
per le imprese partecipate dalle banche pubbliche di Pechino. Così
Orban lavora per fare dell’Ungheria il polo delle batterie
elettriche in Europa, da cui dipenderanno grandi gruppi come
Volkswagen, Bmw o Daimler.
Inutile dire che gli investimenti sono guidati da un progetto da 7,3
miliardi della Catl di Robin Zang, sempre lui. […]
[…] Un recente studio di Andrea Orame e Daniele Pianeselli della
Banca d’Italia mostra come nel nostro Paese le imprese non si siano
preparate alla rivoluzione elettrica depositando più brevetti o
fondendosi fra loro.
Fiat-Chrysler fra il 2013 e il 2018 non ha prodotto nemmeno un
modello a batteria, mentre persino nell’arretrata Europa ne uscivano
molte decine. E la IEA mostra che l’Italia non solo ha pochi modelli
elettrici in circolazione, ma presenta un numero di punti di
ricarica al di sotto della media mondiale in proporzione alle auto
presenti. Sono livelli da sottosviluppo, inaccettabili. Continuiamo
così, e arriverà un momento in cui non potremo più definirci un
Paese tra i più avanzati. […]
I BANCHIERI SI AUMENTANO GLI STIPENDI
NON I TASSI DEI DEPOSITANTI : La ragione che ha spinto Giorgia
Meloni a concentrare il poco a disposizione per aumentare il potere
d'acquisto dei redditi più bassi è nei dati preliminari
dell'inflazione di aprile. Aveva iniziato a scendere, invece è
risalita, e di molto: dal 7,6 all'8,3 per cento. Un aumento molto
più alto della media della zona euro (dal 6,9 al 7 per cento) ed
essenzialmente causato dall'energia: i prezzi "non regolamentati"
sono saliti in un mese dal 18,9 al 26,7 per cento.
Ora, vero è che gli economisti guardano essenzialmente all'andamento
"core" dell'inflazione, ovvero senza la componente energetica: in
Italia è fermo al 6,3 per cento ed è sceso di un decimale in Europa.
Ma si tratta ancora di piccoli segnali che lasciano poco spazio alla
fantasia. I prezzi restano alti come non accadeva dagli anni
Ottanta, e perché tornino a livelli accettabili occorreranno mesi.
Se negli Stati Uniti il peggio è alle spalle, in Europa no. Questa
settimana sia la Banca centrale europea che la Federal Reserve
aumenteranno i tassi dello 0,25 per cento. Per la Fed sarà
probabilmente l'ultimo, per Francoforte no. E così al governo non
resta che puntare tutto sui redditi delle famiglie.
Meloni è in buona compagnia: Joe Biden è dovuto intervenire per
calmierare i prezzi dei medicinali, il brasiliano Lula ha annunciato
(anche lui il primo maggio) l'allargamento delle famiglie esenti dal
pagamento delle imposte sul reddito. In Francia, già martoriata
dalla decisione di Macron di aumentare l'età pensionabile (da 62 a
64 anni) c'è una dibattito feroce attorno alla pubblicazione di un
romanzo sentimental-erotico del ministro dell'Economia Le Maire.
«Ecco perché la pasta costa due euro e trenta al chilo», hanno
commentato alcuni. Questi sono i momenti in cui un basso debito
pubblico fa la differenza: dieci giorni fa in Germania è stato
firmato un accordo sindacale per aumentare i salari del pubblico
impiego del 5 per cento: costerà 23 miliardi in due anni. I
sindacati chiedevano il doppio. Per avere un termine di paragone: la
Finanziaria italiana di quest'anno non ha stanziato nemmeno un euro
per i rinnovi pubblici, e al momento è difficile immaginare ci siano
le risorse nel 2024.
Nei giorni precedenti l'approvazione del decreto del primo maggio il
ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha dovuto frenare le
richieste di chi avrebbe voluto altre misure, una scelta che avrebbe
reso meno visibile il taglio dei contributi sociali in busta paga.
Ma ora per rendere strutturale quel taglio nel 2024 occorrerebbero
dieci miliardi, una cifra immaginabile solo a fronte di tagli alla
spesa. L'impressione è che Giorgetti, d'accordo con Meloni, abbia
deciso di concentrare l'intervento su cinque mesi spingendo il
dibattito verso una conferma. «In mezzo a molte difficoltà queste
misure temporanee le stiamo rendendo definitive», ha detto il primo
maggio ad una festa leghista a Brescia. Fonti del Tesoro negano una
strategia, e la speranza è che «l'incendio dei prezzi si spenga». Ma
è difficile immaginare che Meloni avrebbe diversamente accettato di
ridurre il carico fiscale correndo il rischio di riaumentarlo con
l'anno nuovo. Più probabile immaginare che la premier userà questo
argomento contro chi, nei partiti e nei sindacati, tenterà in
autunno di ottenere risorse per spese oggi irrealistiche come
l'abbassamento dell'età pensionabile. Una ipotesi su cui i
sindacati, sempre più governati dagli iscritti più anziani, non sono
disposti a mollare la presa.
Stretta di mutui e prestiti
Un nuovo rialzo dei tassi d'interesse per la Banca centrale europea
arriverà dopodomani. Da definire se sarà da 50 punti base, come
chiede il fronte del Nord, o se sarà da un quarto di punto, anche
alla luce delle recenti turbolenze sui mercati finanziari.
Preoccupano le banche regionali statunitensi, dopo il salvataggio di
First Republic Bank. Ma fa paura anche l'inflazione, tornata a
salire in aprile, toccando quota 7%, dopo il 6,9% registrato a
marzo. Fra tanta incertezza, c'è qualcosa di sicuro: le condizioni
creditizie si sono inasprite ancora nel primo trimestre del 2023.
Fattore, sottolineato dal Bank Lending Survey di Francoforte, che
testimonia come la trasmissione della politica monetaria sia
efficace. A giugno ci sarà la verifica dell'attuale percorso. E sarà
possibile un ricalibramento, se necessario. Come quello a cui a
breve è attesa la Federal Reserve.
Christine Lagarde, numero uno della Bce, è stata chiara nelle ultime
settimane. «Il nostro lavoro non è ancora terminato», ha ripetuto
più volte. Lo spazio di manovra per Francoforte, tuttavia, si sta
riducendo sempre più. Da un lato, i rincari la costringono a nuove
strette. Dall'altro, l'instabilità finanziaria globale la induce a
un monitoraggio estremo. E tra le due, la priorità andrà al
contrasto dell'inflazione, sia generale sia depurata da energia e
alimentari. Che, secondo le simulazioni delle maggiori banche
d'affari, resterà elevata fino alla fine dell'estate. «Solo da
settembre inizierà a calare», rimarcano il presidente della
Bundesbank, Joachim Nagel, e il governatore del Banque de France,
François Villeroy de Galhau. Secondo Ubs, lecito è attendersi un
rialzo da 25 punti base. Stesso dicasi per Pimco, Pictet e T. Rowe
Price. I fondi hedge come Citadel e Bridgewater puntano a mezzo
punto.
VACCINO-CONSEGUENZE ? All'inizio compaiono delle macchioline
rosse sulla pelle, da non confondere con varicella o morbillo. Poi
arrivano febbre sopra 38, faringite, ingrossamento dei linfonodi del
collo, talvolta dolori addominali e mal di testa. Sono i sintomi
della scarlattina, che da almeno due mesi sta dilagando in tutta
Italia, mandano in tilt scuole e famiglie, perché lo streptococco,
il batterio che origina la malattia, colpisce soprattutto i bimbi e
ragazzi tra 2 e 15 anni. «A Roma e nel Lazio i casi sono aumentati
in media del 30% con punte anche del 50, il che sta mettendo sotto
pressione gli studi medici. Ma la situazione è più o meno simile in
tutta Italia», spiega Pierluigi Bartoletti, vice segretario
nazionale vicario della Fimmg, la federazione dei medici di medicina
generale.
«Le famiglie chiamano di continuo – rivela Teresa Rogai, a capo
della Federazione dei pediatri del Lazio - e nei giorni scorsi per
il moltiplicarsi dei casi in una scuola abbiamo dovuto dare
indicazione a tutte le famiglie di procedere con il tampone». Che è
poi l'unico modo di scoprire se si tratti di scarlattina o di altre
malattie dai sintomi simili. In Veneto poi va peggio che altrove.
Negli ultimi tre mesi si sono contati ben 1.166 casi, dieci volte
tanto quelli dello stesso periodo di un anno fa.
Le cause di questa recrudescenza delle infezioni da streptococco in
generale e della scarlattina in particolare sono imputabili sempre a
lui, il Sars-Cov-2, che avendoci imposto per quasi tre anni
distanziamento e mascherine ha finito per far perdere allenamento al
nostri sistema immunitario, ora più suscettibile a contrarre virus e
batteri. Che la cosa non sia da prendere sottogamba lo rivela anche
la circolare del ministero della Salute che giorni fa ha invitato le
strutture sanitarie a intensificare la sorveglianza e a fornire
adeguata comunicazione dei casi. Perché «per curare la scarlattina
basta il vecchio antibiotico Zimox a base di amoxicillina - spiega
sempre Bartoletti -, ma se non presa in tempo l'infezione può dare
sia problematiche renali che al cuore, soprattutto tra chi ha
problemi con le valvole cardiache, che in questo caso è a rischio di
endocardite, una forma di infezione quantomai temibile». Più di un
pericolo, ricorda a sua volta la circolare ministeriale, lo corre
poi chi è reduce da infezioni virali come varicella o influenza,
«che potrebbe sviluppare una infezione da iGas». Una forma molto
violenta che «può manifestarsi con batteriemia, polmonite, sindrome
da shock tossico streptococcico, febbre reumatica» e problemi «ai
tessuti molli e alle ossa», come «cellulite, osteomielite, fascite
necrotizzante». Casi così gravi che possono costringere anche
all'isolamento dei contatti stretti, come compagni e insegnanti.
Alla diagnosi si arriva con un tampone faringeo, prima del quale è
inutile azzardare ipotesi e procedere alla somministrazione
fai-da-te di antibiotici. La trasmissione del batterio avviene
attraverso il contatto di muco e saliva, l'incubazione dura tra i 2
e i 5 giorni. Prima dei sintomi, raccomandano i medici, è inutile
fare il tampone, anche perché gli asintomatici non trasmettono il
batterio.
RESPONSABILITA' PENALE ED INTELLIGENZA ARTIFICIALE:
Geoffrey Hinton ha 75 anni ed è ritenuto il pioniere
dell'intelligenza artificiale. Nel 2018 ha vinto il Premio Turing e
se negli ultimi anni c'è stato un boom di AI (Artificial
Intelligence) lo si deve anche al suo ingegno e alla dedizione del
suo gruppo. Nel 2012 insieme a due studenti dell'Università di
Toronto - uno di questi è Ilya Sutskever, oggi attivo per OpenAI -
creò la tecnologia su cui i colossi dell'hi tech si basano per
sviluppare software di AI con ChatGPT.
Hinton, origini britanniche e passaporto canadese, lavora a Google
dal 2013 quando la sua società venne comprata dal colosso di
Mountain View ingolosito dal software di deep learning (quelli alla
base della catena che ha al culmine gli applicativi come ChatGPT e
Bard) che consentiva di identificare oggetti semplici analizzando
una mole di foto.
Il professor Hinton ha lasciato la casa madre Alphabet il mese
scorso. Il 27 aprile ha incontrato il ceo Sundar Pichai e gli ha
detto che era tempo di fare un passo indietro. Forse toccando con
mano le potenzialità dell'AI, Hinton ha deciso di denunciare con un
megafono privo di condizionamenti i pericoli per il mondo dello
sviluppo a tappe forzate degli strumenti dell'intelligenza
artificiale. «Voglio poterne parlare senza preoccuparmi dell'impatto
che le mie parole avranno su Google», ha detto in un'intervista al
New York Times.
Quello che spaventa Hinton è quanto già altri intellettuali - come
Yuval Harari, uscito pubblicamente con un saggio sul New York Times
il mese scorso - e ricercatori hanno denunciato: ovvero una corsa
sfrenata al rialzo fra le aziende allo sviluppo di un sistema che
potrebbe creare segni e codici in numero maggiore rispetto a quelli
generati dagli uomini. E stravolgere così, con un linguaggio nuovo e
criptico, un impianto valoriale ed etico, impedirci di distinguere
il vero dal falso e gettare il mondo in un caos primordiale da cui
uscirebbero vive solo le macchine guidate dall'AI .
L'incubo è quello che il 29 marzo lo scrittore Eliezer Yudkowsky su
Time aveva riassunto con «estinzione del genere umano» proponendo la
drastica soluzione: «Il mondo per affrontare l'Intelligenza
artificiale? Chiuderla». «La distruzione della civiltà» è anche una
delle preoccupazioni di Elon Musk anche se il patron di Tesla e di
Twitter è impegnato nello sviluppo della tecnologia. Il 14 aprile ha
annunciato infatti la creazione di una società, X.AI. Corp, dopo che
nel 2015 aveva co-fondato OpenAI prima di lasciare la compagnia nel
2018. Nell'azienda che avrà sede in Nevada lavorerà Igor Babuschkin,
già a DeepMind, il braccio di Alphabet attivo nella IA.
La rapidità con cui questo scenario catastrofico si realizzerebbe è
l'elemento di novità più marcato. Al New York Times, lo scienziato
ha detto che «anch'io anni fa pensavo che l'intelligenza artificiale
potesse diventare più intelligente di noi, ma, come altri studiosi,
la ritenevo una possibilità remota: credevo comunque mancassero dai
30 ai 50 anni, forse di più. Ma non è così».
Il processo di dominio è ritenuto rapido, fulmineo rispetto alle
previsioni, ma avviene comunque per tappe: la prima è la
sostituzione di alcuni lavori; quindi, l'intelligenza artificiale si
sostituirà all'uomo persino nella scrittura di codici e algoritmi
che la alimentano diventando in pratica auto-sussistente, un Super
Uomo capace di schiacciare il genere umano.
Alcuni gradini di questa «discesa agli inferi», sono già stati
calpestati. Il direttore esecutivo di IBM, Arvind Krishna, ha detto
che la società intende non assumere più persone per ricoprire ruoli
e fare cose che possono essere fatte dalle macchine a guida IA. In
un'intervista a Bloomberg Krishna ha fornito anche dei numeri: ci
sono 26mila ruoli dentro IBM che non implicano un contatto con il
cliente, il 30% di questi nell'arco di 5 anni verranno chiusi e al
loro posto saranno "assunti" dei software.
IL CALIFFO NON PERDERA' LA TESTA , IL PD CONTROLLA: Un
controllo di routine, su uno degli ultimi appalti acquisiti dalla
Rear, avrebbe portato alla luce anomalie sulla gestione dei
pagamenti pubblici per i servizi erogati dalla società. Il deputato
Pd Mauro Laus, tra i soci più in vista e figura di peso sulla scena
politica torinese, è indagato per condotte riconducibili alla
malversazione. E il faro degli inquirenti si allarga sui suoi
fedelissimi, già collaboratori nella cooperativa: la presidente del
Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi
Eventi Mimmo Carretta.
Il sospetto è che di parte del denaro destinato alla Rear,
cooperativa multiservizi fondata nel 1984, colosso nel settore, non
sia stato fatto buon uso. Anzi. Che sia stata utilizzata per
questioni private, che nulla c'entrano con le attività di vigilanza
e sicurezza. La Guardia di finanza, nelle scorse settimane, si è
presentata negli uffici della Rear, della Regione, e del Forte di
Bard in Valle d'Aosta, dove la coop gestisce l'appalto per
l'attività di presidio e accoglienza dei visitatori, per acquisire
registri contabili, contratti, bilanci. Accertamenti esplorativi.
Tra i documenti al vaglio degli inquirenti, coordinati dal
procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal pubblico ministero
Alessandro Aghemo, ce ne sarebbero diversi che riguarderebbero
l'attività di Mimmo Carretta, dipendente della Rear in aspettativa,
e di Maria Grazia Grippo che da maggio 2018 a dicembre 2021, per la
società si è occupata della comunicazione esterna, delle relazioni
con i media e dell'ufficio stampa. Carretta, dopo essere stato
segretario provinciale del Pd, è entrato nella giunta Lo Russo di
cui è stato un sostenitore della prima ora. Grippo è diventata
presidente della Sala Rossa sull'onda delle oltre 1.200 preferenze
ottenute. Un sodalizio che costituisce una delle principali
architravi del Pd torinese di cui Laus è a tutti gli effetti un big
con una forte influenza.
I controlli e le acquisizioni della Guardia di finanza proseguono
per fare chiarezza sull'utilizzo dei proventi derivanti dalle
commesse pubbliche ottenute da Rear. Una lunga lista: il Museo
Egizio, il Museo del Cinema, l'Università di Torino, il Teatro
Stabile di Torino, per fare qualche esempio che riguarda la città. E
ancora. I Musei Civici del Comune di Verona, l'auditorium "Parco
della Musica" del Comune di Roma, il Comune di Bardonecchia.
Negli anni non sono mancate le accuse di stipendi troppo bassi, a
cinque euro lordi l'ora. E nel dicembre 2012 il regista Ken Loach
aveva dato forfait al Torino Film Festival con la decisione di non
ritirare il premio «Gran Torino» in segno di solidarietà con i
lavoratori della cooperativa al Museo del Cinema. Non solo. In
passato anche le polemiche per appalti sotto soglia. Sconti che le
altre imprese, dicono i maligni, non riescono a praticare.
Principale società del settore nell'area piemontese, la Rear è
considerata un gigante tra le cooperative multiservizi. Con un
bilancio 2021 chiuso con un utile di 53 mila euro. Controlla una
società immobiliare, la Futura Investimenti proprietaria del
complesso immobiliare di Grugliasco, dove c'è la sede amministrativa
della società, e l'omonimo l'istituto di vigilanza privata. Tra le
iniziative finanziarie messe a segno negli ultimi anni, stando
all'ultimo bilancio depositato ed esaminato dagli investigatori, c'è
l'acquisizione di una quota di 15 mila euro del capitale del
Consorzio nazionale servizi di Bologna. Tra gli investimenti
immobiliari effettuati dalla Rear anche l'acquisto di uno stabile
della Utet Grandi Opere tra il 2004 e il 2005.
ELLY BATTI UN COLPO: Certo, è troppo presto per capire che
cosa succederà nel Partito democratico. A fare la differenza
saranno, sicuramente, gli sviluppi di un'inchiesta giudiziaria, che
è ancora agli albori, e che vede Mauro Laus, deputato dem ed
esponente di un'area liberale e socialista del partito indagato
dalla procura. Un'area politica di peso che ha portato alla guida
del Pd subalpino Mimmo Carretta, ora assessore comunale ai Grandi
Eventi e Maria Grazia Grippo alla presidenza del Consiglio comunale.
Laus ancora ieri ha ribadito di non «aver nulla ma proprio nulla da
temere». Non senza manifestare un certo stupore: «Trovo singolare
che io e il mio avvocato ne sappiamo meno dei giornalisti».
L'ex presidente del Consiglio regionale sa anche, però, che
politicamente dovrà fare i conti «con il fuoco amico» cioè con le
reazioni dei suoi compagni di partito – «Vuol dire che quando uscirò
da questo calvario avrò ottenuto una ulteriore certificazione di
qualità» – perché la sua area è stata al centro delle principali
scelte politiche del partito torinese, spesso determinandole e «non
facendo prigionieri», racconta una autorevole fonte. Per una
battaglia persa, l'ascesa di Paolo Furia alla segreteria regionale,
Laus può vantare altre vittorie a partire dalla resistenza e
«disobbedienza politica», condotta in prima linea dall'allora leader
metropolitano, Carretta, contro la segreteria di Enrico Letta e
dall'allora responsabile degli enti locali, quel Francesco Boccia
che fino all'ultimo aveva cercato di imporre un nome scelto con il
M5s al posto di Stefano Lo Russo come candidato sindaco di Torino e
che adesso è il capogruppo al Senato voluto da Elly Schlein.
Laus, invece, ha fatto la campagna elettorale per Stefano Bonaccini
insieme a Lo Russo, mozione coordinata dal consigliere regionale
Daniele Valle che punta a sfidare Alberto Cirio o il candidato o
candidata del centrodestra alle regionali del 2024. Una capacità di
mobilitazione – le adunate della domenica mattina con cui in
campagna elettorale si riempiva il teatro Alfieri a cui
partecipavano anche molti dipendenti della Rear, la cooperativa di
cui è socio – che gli ha permesso di strappare un posto sicuro alle
ultime politiche dopo aver vinto un collegio senatoriale incerto nel
2018.
La posizione ufficiale del Pd ieri l'ha espressa il segretario
regionale, Domenico Rossi: «Esprimo massima fiducia nei confronti
della magistratura, così come sono certo che Mauro Laus saprà
chiarire la sua posizione». Una posizione condivisa anche dal leader
metropolitano Marcello Mazzù. Ma sotto la garanzia di anonimato
autorevoli esponenti del partito iniziano a domandarsi se non sia
opportuna una sua autosospensione. Nessuna, però, si è fatto avanti.
Per ora prevale la linea garantista ma il rischio che la vicenda
giudiziaria, al di là di come vada a finire, possa venire usata come
arma per un regolamento di conti nel partito è alto. C'è chi
ipotizza «scossoni» in un futuro prossimo. Non è un caso che il
segretario Rossi, nel suo comunicato, aggiunga: «È interesse di
tutti che si faccia chiarezza al più presto».
QUANTE ALTRE : Lauriano Po scosso dall'inchiesta sui
falsi documenti rilasciati a 68 brasiliani Sono tutti accusati a
vario titolo di associazione a delinquere, corruzione e falso in
atto pubblico
Sindaco e altri 9 a processo per le cittadinanze illegali
andrea bucci
A Lauriano Po, comune sulla collina chivassese, c'era una comunità
brasiliana. Tra loro anche un giocatore della nazionale di pallamano
verdeoro, un cantante e anche il papà di un calciatore italo
brasiliano dell'Arsenal.
Cittadinanze illegali rilasciate a 68 brasiliani ospiti al B&B di
Cascina Colombaro a Lauriano. E' quanto hanno scoperto tra il 2018 e
il 2019 i carabinieri di Chivasso, nell'inchiesta coordinata dalla
pm Valentina Bossi della procura di Ivrea. Dieci le persone iscritte
nel registro degli indagati tutti accusati, a vario di titolo, di
associazione a delinquere, corruzione e falso in atto pubblico.
Tra gli indagati c'è la sindaca di Lauriano, Matilde Casa (che non
si è ricandidata alle prossime elezioni) e due dipendenti del
Comune: Barbara Anselmino (responsabile dell'ufficio anagrafe) e
Giuseppe Marcucci; gli agenti della società Rotunno – Immigration
Solutions & Business di San Paolo in Brasile: Stefano Bardelli di
Siena, Gabriela Val De Sousa Rotunno e la madre Silvia domiciliate
ad Asti e Ileana Pastrone di Sommariva di Perno (Cuneo) e i titolari
del B&B di Cascina Colombaro, Niva Detti e il marito Mauro Franchini.
Tra gli indagati anche Marco Petrioli responsabile dell'ufficio
anagrafe nel Comune di Asciano (Siena).
I brasiliani attraverso la società Rotunno – Immigration Solutions &
Business si rivolgevano al Comune di Lauriano e, in tre casi ad
Asciano, per ottenere la cittadinanza italiana. Soggiornavamo per
qualche giorno al B&B, ma la responsabile dell'anagrafe del Comune
di Lauriano, Barbara Anselmino, a volte anche Giuseppe Marcucci,
ometteva di fare i controlli per verificare l'effettiva residenza e
se avessero i requisiti dello jus sanguinis, e cioè attraverso la
linea di sangue con discendenti. Cittadinanze poi riconosciute dalla
sindaca Matilde Casa. E per diventare cittadini italiani, i
brasiliani pagavano tra i mille e 500 e 10 mila euro, soldi versati
alla società di intermediazione. Dalle carte emerge anche come la
responsabile dell'anagrafe, Anselmino, come pubblico ufficiale
preposto alle trattazioni delle pratiche, avesse ottenuto da parte
dei soci dell'agenzia di intermediazione borse, una catenina d'oro
ed altri regali. E a Natale 2018, gli intermediari avrebbero
regalato alla sindaca, Casa, una stampante per la biblioteca.
Sindaca che ha annunciato di farsi interrogare e il suo legale,
l'avvocato Mauro Carena è sicuro: «La mia assistita a cui contestano
l'associazione, il falso e la corruzione è amareggiata. Crede di
aver svolto il suo compito in modo conforme al dettato
amministrativo. Non c'è stato alcun vantaggio economico e la
stampante non è mai stata donata». —
02.05.23
Impresa o organizzazione EUROPEANCOMMUNITY
Nome Sig. MARCO BAVA
E-mail mbmarcobava@gmail.com
Dati dell’autorità o dell’organismo
Nome dell’autorità CAMERA DEPUTATI
Persona di contatto LORENZO FONTANA
E-mail FONTANA_L@CAMERA.IT
Telefono 800-012955
Via e numero civico PALAZZO MONTECITORIO
Codice postale, località: 00186, ROMA
Paese Italia
Provvedimenti nazionali sospettati di violare il diritto dell’Unione
Provvedimenti nazionali sospettati di violare il diritto dell’Unione
Legge del 24.02.2023 n. 14, in merito alla mancata partecipazione
diretta dei soci alle assemblee di società quotate. Legge 24 febbraio
2023 n. 14, di conversione del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d.
“Decreto Milleproroghe”), ha introdotto (all’art. 3, comma 10 – undecies)
un ulteriore rinvio del termine di applicazione della disciplina
emergenziale in tema di riunioni assembleari di società di capitali e
cooperative, che continuerà quindi ad applicarsi alle assemblee che si
svolgeranno sino al 31 luglio 2023: la precedente proroga era stata
disposta sino al 31 luglio 2022 ad opera del D.L. n. 228/2021. Il
termine è riferito allo svolgimento dell’assemblea, sicchè la disciplina
non troverà applicazione per le assemblee convocate entro il 31 luglio
2023 ma che si terranno in data successiva. La disciplina emergenziale
sulle assemblee a distanza è contenuta nell’ art. 106 D.L. 17 marzo 2020
n. 18, il quale prevede che, anche in deroga alle diverse disposizioni
statutarie, con l'avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o
straordinarie, le società per azioni, le società in accomandita per
azioni, le società a responsabilità limitata e le società cooperative
possano prevedere che l'intervento all'assemblea avvenga, anche
esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano
l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio
del diritto di voto, senza la necessità che si trovino nel medesimo
luogo il presidente, il segretario o il notaio. In caso di assemblea
nella quale tutti i partecipanti sono collegati in audio/video
conferenza, il verbale assembleare può essere redatto anche
successivamente, con la sottoscrizione del presidente e del segretario
oppure del notaio. La normativa emergenziale consente alla società di
obbligare (indicandolo nell’avviso di convocazione) i soci a partecipare
all’assemblea in audio/video conferenza, senza alcuna presenza fisica
dei partecipanti nel luogo prescelto per svolgere l’adunanza, anche in
presenza di opposte previsioni statutarie: chi intende partecipare
all’assemblea è tenuto a collegarsi in modalità audio/video, non potendo
presentarsi fisicamente nel luogo di convocazione. Se l’assemblea si
svolge in audio/video conferenza deve essere certificata dal segretario
soltanto la circostanza dello svolgimento on line. L’art. 106, comma 2,
D.L. n. 18/2020 stabilisce inoltre che – indipendentemente dalla
previsione statutaria - ogni tipo di società possa consentire
“l’espressione del voto in via elettronica” ovvero “per corrispondenza”,
disponendolo nell’avviso di convocazione: al fine di consentire al socio
di esercitare in maniera corretta e consapevole il diritto di voto in
sede extra-assembleare, deve essere predisposta da parte dell’organo
amministrativo, per ciascun argomento all'ordine del giorno, una
proposta di deliberazione, non essendo sufficiente la sola conoscenza
delle materie da trattare: la manifestazione di volontà da parte del
socio avviene, conseguentemente, sulla base di un rigido schema di
adesione od opposizione ad una proposta preformulata, sulla quale lo
stesso socio non può intervenire. Il voto per corrispondenza si esercita
mediante l’invio di tante dichiarazioni di voto quante sono le proposte
di deliberazione. Per effetto della proroga disposta dal D.L. n.
198/2022, nelle assemblee che si terranno entro il 31 luglio 2023, le
società a responsabilità limitata potranno poi consentire, anche in
deroga a quanto previsto dall' art. 2479, comma 4, c.c. ed alle diverse
disposizioni statutarie, che l'espressione del voto avvenga in ogni caso
mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto.
Alla consultazione scritta si può ricorrere anche nelle ipotesi per le
quali era in precedenza esclusa la possibilità di ricorrere a tale
procedimento decisionale, vale a dire anche nel caso di deliberazione
comportante “una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale
determinato nell’atto costitutivo
Legge dell’UE che a vostro avviso è stata violata Ritengo violi :
Direttiva 2007/36/CE relativa all’esercizio di alcuni diritti degli
azionisti di società quotate Direttiva (UE) 2017/828 che aggiorna la
Direttiva 2007/36/CE.
Descrizione del problema
Si prega di descrivere il problema. , il luogo dove la sacralità della
democrazia trova la sua massima espressione, quasi tutti rispondereste
facendo riferimento all'assemblea che, se rispecchia tutti i canoni, le
regole, le norme, persino le leggi, è tale perché consente a ciascuno di
esprimere le proprie idee, di fare le proprie proposte oppure di
dissentire, facendo gli altri partecipi delle proprie perplessità. Sì,
forse la stiamo prendendo alla lontana, ma parlare di democrazia violata
ci sembra il minimo quando apprendiamo che le assemblee societarie
potranno continuare a tenersi con modalità a distanza fino al prossimo
31 luglio, ovvero con le stesse modalità decise e fatte rispettare
quando la pandemia era un oggettivo ostacolo alla tenuta di riunioni, di
qualsiasi tipo, perché ritenute terreno favorevole per l'espandersi del
virus. Se all'epoca c'era una ragione, sostenuta in prima battuta dai
virologi (in questo confortati da studi e ricerche e dalle
raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della Sanità), oggi
sinceramente ce ne sfugge la giustificazione, tenuto conto che la curva
epidemiologica si è andata appiattendo per effetto delle campagne
vaccinali, che hanno rallentato la corsa dei contagi. Eppure, è stato
deciso di allungare l'efficacia del primo decreto sino alla fine di
luglio, ovvero quando le assemblee delle società tradizionalmente si
tengono. Una decisione che appare strana considerato che i partiti che
oggi formano la coalizione di governo, quando erano all'opposizione,
manifestavano quotidianamente la loro opposizione a misure limitative
delle libertà personali. Oggi forse quelle libertà personali che si
difendevano all'epoca di vaccini, confinamenti, mascherine e quarantene
sono improvvisamente diventate meno importanti, qualcosa su cui non
spendersi troppo. Insomma, ''scurdammoce o passato'' e con esso le
promesse. Ora, il nostro discorso, che potrebbe apparire circoscritto
agli azionisti (parliamo dei piccoli, di quelli che rischiano di tasca
propria), è invece più ampio perché la proroga sembra non tenere conto
non solo della situazione sanitaria del Paese, ma anche se fatto che si
è deciso di perpetrare una condizione emergenziale che oggettivamente
sembra senza una spiegazione logica (a meno che non si voglia fare della
dietrologia semplicistica, come, ad esempio, pensare al peso dei grandi
gruppi economico-finanziari). Ma il dato di tutta evidenza è che, ancora
quest'anno, le assemblee - per le quali è comunque previsto che si
possano seguire via telematica - saranno silenziate, nel caso di un mai
escludibile dissenso. Perché è chiaro, anzi chiarissimo che seguire i
lavori assembleari (gestiti dai vertici delle società, attraverso le
persone delegati a presiederli) in modalità da remoto impedisce di
cogliere l'essenza di occasioni del genere, quali sono ad esempio i
piccoli gesti o, per dirla tutta, la possibilità di intervenire anche
solo sulla base di una sensazione o di un atteggiamento irridente.
Impedire ancora una volta che gli azionisti vivano, in presenza, le
dinamiche delle assemblee non è, quindi, solo un fatto meramente tecnico
od organizzativo, ma un semplice attentato al principio di
rappresentanza e di intervento che deve essere garantito, per come lo è
da statuto, anche a chi ha poche azioni, che però ha comprato e quindi
lo pone su un piano di eguaglianza rispetto ai titolari di grossi
pacchetti. Perché se la democrazia è essenzialmente rappresentanza,
tutti hanno diritto a goderne. Fatte salve tutte le norme a tutela della
salute pubblica, resta da capire perché questa cautela sia stata
riservata esclusivamente alle assemblee societarie, che sarebbero quindi
l'ultimo caso concreto di misure sanitarie nel Paese, dal momento che,
se lo si vuole, si possono frequentare (magari indossando ancora, ma
solo come scelta personale, delle mascherine) stadi, cinema, teatri,
discoteche, musei, aree pedonali e ci fermiamo qui, non volendo tediare.
Ma per le assemblee societarie resta la luce rossa, ad eccezione del
''Rappresentante designato'', misure mitologica metà azionista, metà..
forse è il caso di fermarsi. Italia Informa (basta guardare i nostri
archivi) si è sempre detta, finita l'emergenza sanitaria, contraria a
questa misura e continuerà ad esserlo perché qui non è in gioco solo il
diritto di un azionista di discutere anche del suo portafoglio. Il gioco
c'è la possibilità che i vertici di una società facciano e disfacciano a
loro piacimento, davanti a poltrone vuote, senza che nessuno alzi la
mano per dire anche solo ''non è chiaro. Lo volete spiegare, questa
volta chiaramente?''.
Lo Stato membro interessato riceve finanziamenti dell’UE in relazione
all’oggetto della vostra denuncia, o potrebbe riceverne in futuro? Sì
La vostra denuncia è connessa a una violazione della Carta dei diritti
fondamentali dell’UE? Sì
Spiegare in quale misura riguarda il diritto dell’Unione e quale diritto
fondamentale è stato violato. Direttiva 2007/36/CE relativa
all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate
Direttiva (UE) 2017/828 che aggiorna la Direttiva 2007/36/CE.
Documenti giustificativi
Elenco dei documenti
Precedenti tentativi di risolvere il problema
Avete già intrapreso azioni nello Stato membro in questione per tentare
di risolvere il problema? Sì
Quali azioni avete già intrapreso? Azione amministrativa (ad es.
ricorso, denuncia alle autorità pubbliche centrali, regionali o locali
competenti, denuncia a un mediatore nazionale o regionale),
Amministrative - Spiegare quale tipo di decisione è scaturita dalla
procedura amministrativa. Pec alla Presidente del Consiglio
Siete a conoscenza di eventuali azioni in corso nello Stato membro in
questione riguardo alla questione sollevata nella denuncia?: No
01.05.23
SOLITA SPECULAZIONE :
Quarantamila dollari per uscire dall'inferno. È la cifra che
chiedono i passeur al confine fra il Sudan e l'Egitto. Promettono
permessi speciali per tutta una famiglia, e un pullmino a
disposizione per attraversare i posti di controllo alla frontiera.
Una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille
dollari. Ma di fronte alla prospettiva di ritrovarsi inghiottiti in
una guerra civile tipo quella siriana, come ha avvertito l'ex
premier democratico Abdallah Hamdok, molti sono disposti a bruciare
tutti i risparmi o vendersi la casa pur di scappare. La tregua è
stata prolungata di 72 ore, ma è una farsa, i combattimenti a
Khartoum continuano. L'iniziativa è tornata nelle mani dei miliziani
della Rapid support force del generale Mohamed Hamdan Dagalo,
conosciuti anche come Beretti rossi o "janjaweed, "diavoli a
cavallo". A differenza che nel Darfur, quando terrorizzavano i
villaggi davvero con cariche a cavallo, hanno a disposizione mezzi
blindati e tank di fabbricazione sovietica e hanno ricominciato ad
avanzare nella parte orientale della capitale, a Est del Nilo
Bianco, con l'obiettivo di conquistare l'aeroporto.
Lo scalo di Khartoum, concepito quando la metropoli era una
cittadina, ha la peculiarità di trovarsi in mezzo ai palazzi, e
lungo la grande avenue che corre da Nord a Sud si vedono i jet in
fase di atterraggio bassa quota, quasi a sfiorare la strada. Una
posizione problematica in tempo di pace, figuriamoci adesso. Gli
uomini di Dagalo sono arrivati a pochi isolati, con l'obiettivo di
privare il rivale Abdel Fattah al-Burhan di una possibile via di
rifornimenti. Il secondo obiettivo è avere una base per cominciare a
utilizzare i propri elicotteri. Le evacuazioni degli occidentali,
ormai nella fase finale, devono trovare altre vie, più complicate.
Ieri un convoglio con 500 cittadini americani è arrivato dalla
capitale fino a Port Sudan, sul Mar Rosso, dopo un viaggio di 800
chilometri attraverso il deserto. Lungo il percorso è stato scortato
dall'alto da droni, pronti a intervenire in caso di assalto da parte
di predoni o miliziani.
Tutto è possibile in uno Stato in disfacimento. Le Forze di supporto
rapido di Dagalo contano 100 mila uomini, più o meno quelli a
disposizione di Al-Burhan all'interno dell'esercito regolare. Il suo
vantaggio finora era stato garantito dall'aviazione, ma i vecchi Mig
e Sukhoi hanno bisogno di continua manutenzione, i pezzi di ricambio
scarseggiano e i raid sono più sporadici. Significa una situazione
di stallo prolungato e quindi la prospettiva è una lunga guerra
civile, «come in Siria», ha paventato l'ex primo ministro Hamdok
alla Bbc. I morti accertati sono oltre 500, migliaia i feriti.
Mancano cibo e medicine, dilaga la malnutrizione fra i minori, come
ha denunciato Save the Children. I profughi verso i Paesi confinanti
sono 50 mila. Migliaia di persone sono bloccate, altro paradosso,
perché hanno lasciato i loro passaporti nelle ambasciate, chiuse in
tutta fretta, e adesso non possono recuperarli.
Hamdok è stato messo da parte nel gennaio del 2022, quando i
generali, vale a dire gli stessi Dagalo e Al-Burhan si sono ripresi
tutto il potere nel Consiglio esecutivo, in teoria un governo misto
civile-militare. Era la fine di fatto della transizione cominciata
nell'aprile del 2019, con la deposizione del dittatore, ricercato
dall'Aja, Omar al-Bashir. Gli Stati Uniti hanno cercato di rimettere
sui binari il processo democratico, con la nomina di un
ambasciatore, John Godfrey, dopo un'assenza di 25 anni, e le
pressioni del segretario di Stato Antony Blinken e della sua vice
Victoria Nuland, che ha visitato Khartoum ancora il 9 marzo. Troppo
tardi. Dagalo e Al-Burhan erano già ai ferri corti, affilavano le
armi e cercavano di accreditarsi presso i loro protettori, la
Russia, gli Emirati, l'Egitto e l'Arabia Saudita. Il tutto
mantenendo buoni rapporti di facciata con le potenze occidentali. I
due, entrambi stretti collaboratori e complici di Al-Bashir, provano
a giocare la parte del "buono" e del "cattivo". Nessuno ci crede
più. È una lotta di potere a oltranza, senza alcun obiettivo ideale,
se non il potere e l'arricchimento personale.
30.04.23
VERGOGNOSO : Non bastavano
gli 11 avanzamenti di carriera "pilotati" (secondo i pm) con tanto
di domande e risposte delle prove d'esame girate in anticipo su
WhatsApp ai concorrenti "preferiti". E nemmeno un episodio di
corruzione legato al tentativo (riuscito) di non far accettare
l'incarico all'effettiva avente diritto n graduatoria per poter
scalare la lista e far entrare una persona più "gradita" in cambio
di una promozione. Per Carla Fasson, 53 anni, la manager
dell'AslTo4, a capo del Dipsa, dipartimento delle professioni
sanitarie infermieristiche e della professione di ostetrica
dell'azienda sanitaria, si profilano nuovi guai giudiziari. E nuove
possibili accuse da fronteggiare. Nell'ordinanza di custodia
cautelare che l'aveva portata agli arresti domiciliari nelle scorse
settimane (poi revocata su istanza del suo legale Beatrice Rinaudo
con contestuale sospensione per 8 mesi da qualsiasi incarico in
Asl), il gip di Ivrea Fabio Rabagliati, rimanda una trasmissione
atti alla procura di Torino che avverrà in questi giorni su
ulteriori condotte passibili di contestazione a danno della manager.
Si cita un nuovo fascicolo che va in parallelo all'inchiesta madre.
Fasson avrebbe manifestato a un suo collaboratore l'intenzione di
posizionare un gps (sistema di posizionamento) sotto la macchina
dell'attuale direttore di otorinolaingoiatria dell'ospedale di
Chivasso, nonché del dipartimento chirurgico di tutta l'AslTo4. Lo
chiede al dottor Giulio Meinardi medico otorino a Chivasso senza
cariche dirigenziali: "Monitora i suoi spostamenti" avrebbe detto
Fasson al sanitario. Perché? Qual è il motivo per cui la manager
voleva conoscere i tragitti compiuti dal primario al punto da
pensare di "controllarlo" attraverso un software di position di
solito utilizzato dalle forze dell'ordine per seguire gli indagati?
La risposta a questa spy story arriverà nel tempo. Ciò che è
documentato è che nello stesso procedimento stralcio, Fasson e
Meinardi, scrive il giudice delle indagini preliminari "concorrono
nel reato di accesso abusivo al sistema informatico" in quanto "Fasson
– si legge – si sarebbe fatta timbrare il cartellino da altre
persone". Altre accuse dunque rischiano di aggiungersi a quelle di
abuso d0ufficio, corruzione e rivelazione di segreto che già
popolano l'ampio fascicolo dei pm Valentina Bossi e Alessandro Gallo
che hanno coordinato l'inchiesta del "Gruppo Torino" della Guardia
di Finanza. «Sulla questione gps, al momento, alla mia assistita non
viene contestato alcun reato. E dunque non è vero che lo aveva
posizionato sotto l'auto. Credo piuttosto che la questione sia
frutto di fraintendimento di una dichiarazione fatta. Io comunque
non ho ancora avuto modo di ascoltare gli audio delle telefonate».
Prova a difendere Carla Fasson la sua legale, l'avvocato Beatrice
Rinaudo ribadendo, poi, come la linea difensiva sia in una fase
delicata. E anche sull'accusa che la sua assistita facesse timbrare
il cartellino d'ingresso da altre persone, l'avvocato Rinaudo è
sicura: «Non è assolutamente vero. Al momento non fa parte dei capi
d'imputazione contestati, ma se dovessero contestare questo reato,
allora, produrremo tutta la documentazione a dimostrazione che è
tutto falso».
Carla Fasson ha chiesto ai magistrati eporediesi di poter essere
interrogata in merito alla vicenda della impossibilità di potersi
iscrivere all'albo dei tecnici di laboratorio (come richiesto dal
Decreto in vigore dal marzo 2018 e firmato dell'allora ministro alla
Sanità, Beatrice Lorenzin) perché non avrebbe i requisiti richiesti
per ricoprire il ruolo di dirigente del Dipsa. La data
dell'interrogatorio, al momento, non è stata fissata.
29.04.23
Cara SEC
Vorrei informarvi di quanto sta avvenendo nei tribunali in Italia in
merito alla Dicembre soc semplice che controlla Stellantis e
Ferrari.
Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli, nel momento
della sua
morte lascia l’intero patrimonio in eredità ai nipoti Elkann, e
nulla alla figlia
Margherita, che poi degli Elkann è la madre. Ne nasce un contenzioso
giudiziario davanti ai magistrati del Tribunale civile di Torino:
Margherita vuole vederci chiaro. È una storia fatta un po’ di
misteri, con delle tinte di giallo, dove vengono coinvolti anche
degli ex servizi segreti svizzeri. Margherita nel 2004 aveva
ereditato dal padre, rimasta unica erede per la morte prematura di
Edoardo, 1 miliardo e 200 milioni di euro. Questo in seguito di un
accordo transattivo, dopo aver accettato un accordo successorio. E
scrive nell’atto: “Accetto per amore di pace”, rinunciando a
qualsiasi pretesa futura sull’eredità della madre Marella.
Solo che però subito dopo aver firmato scopre che forse c’erano dei
beni riferibili al padre di cui lei non era a conoscenza. E così
nascono le prime questioni legali: la prima nel 2008 e poi dopo la
morte della madre Marella nel 2019. In ballo c’è un patrimonio
presunto di circa 3 miliardi di euro. È una stima, fatta anche in
base a delle carte inedite che Report ha acquisito, di cui è venuto
a conoscenza proprio in questi giorni, e che vi mostreremo in
esclusiva. Insieme c’è anche nel contenzioso la proprietà della
società Dicembre, che è la cassaforte della famiglia di Gianni
Agnelli, che controlla a cascata la BV Giovanni Agnelli, che
controlla a cascata la Exor, che possiede a cascata Stellantis,
Iveco, Ferrari, Gruppo Gedi con Repubblica e La Stampa, The
Economist, e anche la Juventus. Ora, Margherita dopo aver ceduto le
sue quote nel 2004 alla madre le rivuole indietro.
Tutto ruota intorno a un testamento, che è stato scritto in
Svizzera, e intorno a
una scrittura privata che riguarda proprio la proprietà della
società Dicembre. Marella Caracciolo ha lasciato in testamento tutti
i suoi averi a 3 dei suoi 8 nipoti.
John, Lapo e Ginevra Elkann. Saltando non solo la sua unica figlia
in vita,
Margherita, ma anche gli altri 5 nipoti, figli del suo secondo
matrimonio col nobile di origine russa Serge de Pahlen. Margherita,
invece, si era accontenta solo del patrimonio del padre Gianni. Nel
2004 aveva incassato 1,2 miliardi e in cambio aveva rinunciato a
qualsiasi pretesa sull’eredità della madre firmando un patto
successorio regolato secondo le leggi svizzere. Questo è l'inizio
della guerra, perché Margherita si pente subito dopo.
Adisce il Tribunale civile di Torino per chiedere l'annullamento e
la nullità di quegli accordi.
Il problema è che l'accordo è stato firmato in Svizzera, non è
compatibile con le leggi italiane.
Per quanto riguarda il testamento di sua madre chiede che venga
aperto secondo le regole della legge italiana e non secondo il
diritto successorio svizzero, poiché, secondo la tesi di Margherita,
sua madre aveva una residenza fasulla in Svizzera.
E in Italia, a differenza della Svizzera, i patti successori sono
vietati. Ma Marella era ufficialmente residente in Svizzera, e in
questi casi si applica la legge del paese di residenza.
Per risiedere all'estero bisogna soggiornare all'estero più di 183
giorni all'anno
perché altrimenti si è residenti in Italia, anche se uno dichiara di
essere residente all'estero.
E quindi valgono le leggi italiane.
La splendida magione di Villar Perosa era stata ufficialmente
affittata dalla signora Caracciolo al nipote John Elkann. Ma a
viverci era sempre la vedova dell’avvocato. Infatti J Elkann ne ha
fatta costruire accanto una per se piu’ grossa di quella dei nonni.
Oltre che a Villar Perosa Marella era spesso a Villa Frescot, la
casa principale di Gianni, che dall’alto domina tutta Torino,
proprio di fronte alla ex fabbrica del Lingotto. Qui Marella
riceveva la Torino che conta. Evelina Christillin è stata a capo del
comitato olimpico di Torino 2006 ed è attualmente presidente del
Museo Egizio e componente del consiglio della FIFA. Era una delle
persone più vicine a donna Marella.
EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
TORINO
MI ha insegnato molto a stare al mondo. Imparare a comportarsi,
imparare
quando stare zitta, quando parlare, eccetera. Gli ultimi anni, lei
non si muoveva quasi più da Frescot, per cui la vedevo proprio
tanto, tanto tanto e cercavo di farle un po' compagnia. Torino, era
la base che lei amava molto.
MANUELE BONACCORSI
Era la città in cui stava più spesso?
EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
TORINO
Ah, beh, assolutamente sì.
Nella casa nuova, in Svizzera, c’è mai stata?
EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
TORINO
Quella no. Non son mai andata a Gstaad, no.
Ma ci andava spesso?
EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
TORINO
Ma non aveva neanche tanta voglia.
Siamo riusciti ad analizzare gli spostamenti degli aerei e degli
elicotteri
privati che erano usati dalla signora Caracciolo dal 2003 al giorno
della sua morte nel 2019. Secondo questo documento, agli atti del
processo di Torino, tra il 2004 e il 2018, l’ereditiera passa in
media 185 giorni in Italia e appena 69 giorni in Svizzera. Nel 2014,
ad esempio, Marella trascorre 208 giorni in Italia, 114 nella sua
straordinaria villa di Marrakesh, in Marocco e appena 43 giorni a
Lauenen, nella casa in cui era ufficialmente residente. Ci andava in
genere in aereo, atterrando nel vicino aeroporto di Gstaad.
Abbiamo alcuni messaggi di alcuni degli inservienti che ci dicono
che gli hanno
proibito di parlare.
Nel momento in cui si scopre che la signora Marella Caracciolo
Agnelli, non
passava 183 giorni almeno in Svizzera.
La residenza di fatto è italiana e a quel punto è applicabile sulla
successione la
legge italiana. Diventa erede la figlia e deve fare la denuncia di
successione del
valore della partecipazione.
Oltre alla tassa di successione il fisco italiano potrebbe
recuperare anche le
imposte sul reddito di Marella Caracciolo, 7 milioni l’anno, su cui
si applicherebbe l’aliquota massima del 48%. Anche gli immobili
esteri e i conti offshore verrebbero tassati.
Potremmo ipotizzare un recupero in termini di imposta di 170 milioni
di euro,
con una sanzione di importo corrispondente, applicando la misura
minima di
queste sanzioni.
E se la misura fosse la massima?
Andremmo su cifre molto elevate, fino a 650 milioni di euro di
sanzioni.
Naturalmente, diciamo, non avendo pagato all'epoca sarebbero poi gli
eredi e
ovviamente si dovrebbero far carico di questo pagamento.
Secondo il rendiconto la vedova Agnelli pagava appena 90 mila euro
di imposte
in Italia. In Svizzera nel 2018 ha invece pagato oltre 252 mila
franchi. Perché
nel cantone poteva godere di una tassazione forfettaria. Per Marella
l’iscrizione
all’Aire, il registro degli italiani all’estero, faceva parte di una
precisa strategia
fiscale.
Una volta che l'Agenzia delle Entrate ha verificato che Tizio e Caio
è iscritto
quindi all'Aire, cancella dal proprio registro fiscale italiano e
quindi non ha più
motivo di andare ad indagare. La sottoscritta che sta qui da 26
anni, non ho mai avuto un controllo successivo, ma come tutti i
600.000 italiani che sono
registrati, come dire, qui in Svizzera.
Non è un caso quindi che la signora Caracciolo avesse redatto il suo
testamento in Svizzera. Report , trasmissione televisiva italiana, è
in grado di mostrarvi il documento redatto in tre diversi momenti,
2011, 2012, 2014. Nell’ultimo atto Marella specifica: la Svizzera è
il centro delle mie attività. Confermo che la mia successione sia
sottoposta al diritto svizzero. Ma la dichiarazione viene redatta in
italiano. E davanti a lei sia il notaio che i testimoni sono
svizzeri, tutti di lingua madre tedesca.
Un testamento in cui i testimoni non parlino la lingua della persona
che fa il
testamento è valido?
Sicuramente no. I testimoni altrimenti cosa testimoniano?
E in Svizzera?
Ma in Svizzera il principio è più o meno il medesimo. Il testatore
comunica la
volontà al notaio, il quale redige la scrittura. Dopo di che i
testimoni intervengono e dichiarano che il testatore l'ha letta ed è
in condizione di intendere e di volere.
Il testamento riporta la data di nascita sbagliata di Marella
Caracciolo: 5 maggio e non 4 maggio. Ed è scritto con un italiano
molto stentato: questo testamento sera stentato in uno solo esempio.
Il originale rimane con il notaio. Il testamento e, senza accento,
redigato per il notaio. Immediato dopo sono convocati come
testimoni. Questa è la dichiarazione dei testimoni, allegata al
testamento, redatta anch'essa in Italiano.
Peter Hafter. E non è una persona qualsiasi. È uno dei fondatori di
Lenz &
Staehelin, il più importante studio di avvocati d’affari svizzero. È
un mago dei
paradisi fiscali: il suo nome risulta nei panama papers in ben 23
società offshore.
Eppure Hafter il 22 agosto 2014 parte da Zurigo, viaggia per 200 km
e raggiunge Gstaad per fare da semplice testimone al testamento di
Mariella Caracciolo.
Gli avvocati di Margherita hanno denunciato il notaio Von Grunigen.
Questo
perché sospettano che le firme sotto il testamento non siano
autentiche in base a una perizia calligrafica. I legali degli Elkann
invece sono sicuri su questo punto.
Poi ci sarebbe da stabilire la competenza territoriale di questa
vicenda. I giudici
dovranno stabilire se è italiana o svizzera. In Svizzera ci sono
altre cinque cause che riguardano questo contenzioso. E poi insomma
va da sé che una eventuale competenza italiana porterebbe anche con
sé una questione fiscale.
Bisognerebbe però pagare le tasse sull’eredità italiana, sul
patrimonio che entra in Italia. E qui si parla di centinaia di
milioni di euro. Ci sarebbe anche da capire la presunta esistenza di
conti nei paradisi fiscali che l’investigatore di Margherita avrebbe
trovato. Ma insomma questo è tutto da verificare. Però Margherita,
quello che è certo, è che vuole tornare in possesso delle sue quote
della società Dicembre. Ovvero di quella società che controlla a
cascata l’impero industriale del gruppo più potente d’Italia. Che
fine farà la Dicembre?
La proprietà della Dicembre verrebbe ridiscussa e negoziata.
Verrebbe a dover
essere ridiscussa tutta la governance e avrebbe delle ripercussioni
sulle
partecipate, su Stellantis, sulla Giovanni Agnelli BV, su Exor,
sulla Ferrari, sulla
Juventus
Allora parliamo dell’eredità degli Agnelli che è al centro di un
contenzioso di
Margherita e i figli Elkann. Nel contenzioso c’è anche la società
Dicembra, che
controlla un impero industriale. Nel 1996 Gianni Agnelli aveva
intestato il 25 per cento della cassaforte di famiglia, con questa
lettera, a John Elkann. E dopo la morte dell’Avvocato, nel 2004 John
Elkann diventa socio di maggioranza. Tutto ruota intorno a una
scrittura privata che però presenterebbe anche questa delle
anomalie. Tutto nasce nel 1984, quando viene istituita la Dicembre.
E si sceglie come status quello della società semplice: si chiama
così perché viene dal mondo agricolo. Ha dei vantaggi perché
permette anche di non versare le imposte quando c’è la successione
per il patrimonio che ha in pancia. Soprattutto ha il vantaggio di
rimanere segreta.
La Dicembre viene fondata nel 1984.
Quindi, per non aver reso pubblici gli atti della Dicembre, dal 1996
al 2012, i
componenti della famiglia Agnelli/Elkann hanno ricevuto una multa di
200 euro.
Per ogni singola omissione o ritardo.
Ma dopo l’iscrizione la società non viene mai aggiornata. A giugno
del 2019, la
Dicembre risulta di proprietà di tre persone: la Signora Marella
Caracciolo,
deceduta a febbraio di quell’anno. Il manager di fiducia di Gianni
Agnelli Gianluigi Gabetti, morto a maggio. E l’anziano ex ad di fiat
Cesare Romiti.
Infatti, noi alla morte di Caracciolo abbiamo scritto a Romiti
chiedendo di
aggiornare la situazione della Dicembre. E Romiti non l'ha fatto.
Il 18 agosto 2020 muore anche Romiti. Quindi in quel momento la
società
Dicembre, che ripeto controlla a cascata il più grande gruppo
privato italiano,
diciamo, se io facevo la visura in quel momento, mi risultava una
società di
fantasmi. Di altissimo livello. Ma tutti fantasmi.
Fino a quando il giornalista Gigi Moncalvo, nel 2021, non decide di
denunciare
tutto. Ma non a un magistrato italiano. Direttamente alla Sec,
l'authority di
controllo della borsa americana, dove sono quotate alcune società
del gruppo
La Sec ha aperto un'investigazione su questo mio ricorso. Ebbene,
finalmente
John Elkann si è convinto a presentare documenti che da venti anni
egli avrebbe dovuto per legge presentare.
Solo nel 2021 si scopre che già nel 2004, con una semplice scrittura
privata,
Marella Caracciolo aveva ceduto la nuda proprietà del 41,29% della
Dicembre ai tre nipoti Elkann: John, Lapo e Ginevra, mantenendo per
sé solo l’usufrutto delle quote.
È chiaro che una vendita ai nipoti, unici eredi, non ha alcun senso
logico: Marella Caracciolo, con tutto quello che aveva, non aveva
mica bisogno dei soldi dei nipoti per vivere, no?
E quindi perché l'hanno fatta?
Per evitare che probabilmente la figlia impugnasse tutto e quindi
che questa
grossa quota della Dicembre andasse a finire in una causa e quindi
venisse
bloccata.
Non lo sapeva neppure l’Agenzia delle Entrate. Il fisco - durante un
accertamento del 2009 - pone a Marella un questionario sulla sua
residenza fiscale fino al 2008.
Dal documento emerge che Marella avrebbe avuto della Dicembre solo
la nuda
proprietà non l’usufrutto.
Se è vera la scrittura privata, ha detto il falso all'Agenzia delle
Entrate. Se non
ha detto il falso all'Agenzia delle Entrate quella scrittura è stata
fatta dopo il
2009.
La copia della scrittura privata con cui Marella aveva ceduto le
quote della
dicembre viene depositata in camera di Commercio. Ma il notaio Remo
Morone
appone una certificazione che non è la solita dicitura “conforme
all’originale.” Ma una che agli addetti ai lavori appare strana. il
presente documento è copia
conforme al documento a me esibito.
Senta: un notaio che deve scrivere un atto all'interno del fascicolo
in Camera di
commercio, come lo deve produrre questo atto tecnicamente.
Deve dichiarare che quella è la copia conforme all'originale
E infatti il tribunale di Torino il 7 luglio 2022 impone di
cancellare l’atto della
cessione delle quote della Dicembre dal registro perché “risulta
privo dei requisiti formali”. Ma appena una settimana dopo il
documento viene ripresentato alla camera di commercio il controllo
che fa il registro delle imprese è meramente formale.
Alla fine i legali degli Elkann producono al processo di Torino.
un’altra versione
della scrittura privata, si tratta sempre di una copia, ma in questo
caso è
autenticata nel 2004 da un notaio di Ginevra, Etienne Jeandin. Che a
sua volta
contiene una postilla con l’autenticità della scrittura fatta da un
altro notaio,
collega di studio di Jeandin, ma redatta nel 2021.
E’ vero, ma il notaio ha verificato la firma, non il contenuto
Ma avete il documento originale qui?
SEGRETARIA STUDIO NOTARILE JEANDIN
No, non l’abbiamo
Secondo le perizie calligrafiche dei legali della figlia Margherita,
le firme della
madre Marella sulla scrittura privata sarebbero probabilmente
apocrife. Per
dipanare la questione basterebbe avere l’originale. L’avvocato di
Margherita lo
ha chiesto ai legali di John Elkann senza ottenere risposta. Noi
abbiamo scritto
al notaio svizzero Jeandin,chiedendogli se Caracciolo e i fratelli
Elkann fossero
presenti avessero firmato davanti a lui. Ci ha risposto lapidario:
Non intendo
esprimermi. Poi c’è il giallo del giorno della firma della scrittura
privata : secondo le indagini degli investigatori di Margherita il
19 maggio 2004 Marella Caracciolo non poteva trovarsi a Ginevra.
Dove si trovava il 19 maggio 2004?
ANDREA GALLI - INVESTIGATORE PRIVATO
A Torino e il 21 maggio è partita per Marrakech.
Questo è invece il documento, che Report può mostrarvi in esclusiva,
che
certifica il pagamento delle quote. John versa alla nonna 2,5
milioni; Lapo e
Ginevra 39,2 milioni a testa tramite la Gabriel Fiduciaria di
Torino, allora guidata dall’avvocato di Gianni Agnelli, Franzo
Grande Stevens. La nonna incassa in totale 80,9 milioni di euro. Ma
li tiene in deposito per appena 48 ore. In attesa di ulteriori
istruzioni.
Entrambe le parti hanno un conto con la fiduciaria. E La fiduciaria
ha conti presso Banca Pictet. La fiduciaria è di Torino, chi fa
l'operazione sono tutti italiani, tutto questo viene fatto in
Svizzera con movimenti finanziari che non si vedono perché vengono
fatti dietro le società fiduciarie.
Cioè non c'è una ricevuta di pagamento elettronico?
Non c'è nessuna contabile bancaria. Manca l'evidenza
dell’intervenuta
movimentazione del denaro.
La storia, l’abbiamo visto, è complessa. I giudici dovranno
esprimersi,
probabilmente, entro l’inizio dell’estate. Un contenzioso che
riguarda la proprietà della Dicembre: una società semplice, così è
stata istituita nel 1984, tuttavia controlla un impero. Una società
semplice che è stata a lungo segreta: doveva essere registrata nel
1996 e invece fino al 2012 è rimasta completamente segreta. Poi nel
giugno del 2019 da visura risulta che nella Dicembre c’era ancora
Marella Caracciolo, poi c’era anche Gabetti, uomo di fiducia di
Gianni Agnelli che però era morto a maggio, Marella era morta a
febbraio. L’unico in vita era l’ex amministratore delegato di Fiat
Romiti: avrebbe dovuto aggiornarla lui questa visura. Sennonché non
lo fa e muore nel 2020. Fino a quando poi scopre tutto il
giornalista Gigi Moncalvo che denuncia tutto alla Sec, l’autorità di
controllo della Borsa americana, e pubblica anche una e-mail che fa
girare presso tutti gli amministratori delegati del comparto auto. A
quel punto Elkann sana tutto e da amministratore della società
pubblica i documenti mancanti. Si scopre in quel momento che Marella
aveva ceduto nel 2004 le proprie quote, il 41,29 per cento, ai
nipoti Elkann. Ma aveva mantenuto l’usufrutto di quelle quote, cede
solo la nuda proprietà. Tutto attraverso una scrittura privata, che
però abbiamo visto, presenta delle anomalie. La prima è che manca il
luogo dove è stata redatta. E secondo gli investigatori di
Margherita, Marella quel giorno non era in Svizzera, era a Torino a
firmare un altro documento che riguarda sempre la Dicembre. Poi
era partita per Marrakech. Insomma, basterebbe per sanare la
situazione
l’originale. Noi l’abbiamo chiesto. Un rappresentante della Dicembre
ci ha
risposto che «ogni volta che i giudici italiani si sono espressi, in
ben tre gradi di
giudizio, con riguardo alla prima iniziativa di Margherita De Pahlen,
l' hanno
respinta poiché infondata. E che anche le nuove azioni intentate
dalla contessa
Agnelli sono infondate e che «attendono con serenità e fiducia la
decisione dei
giudici. Decisione che in ogni caso - dicono - non muterà gli
assetti di
governance della Dicembre». Insomma, indipendentemente da chi
vincerà ci sembra che l’unico sconfitto qui, è l’amore tra madre e
figli.
Marco BAVA
28.04.23
IL PREZZO PER DRAGHI:
L'Unione europea ha nove rappresentanti speciali in diverse aree del
mondo, tra cui il Sahel, l'Asia Centrale, il Corno d'Africa e il
Medio Oriente. Hanno il compito di «promuovere le politiche e gli
interessi dell'Ue in regioni e Paesi specifici» e svolgere «un ruolo
attivo negli sforzi volti a considerare la pace, la stabilità e lo
Stato di diritto». Luigi Di Maio, quando la sua nomina sarà
confermata in maniera definitiva, sarà il decimo rappresentante
speciale e dovrà occuparsi dei Paesi del Golfo Persico, lavorando in
particolare alle partnership con Bahrein, Arabia Saudita, Kuwait,
Qatar, Oman ed Emirati arabi uniti. L'ammontare dello stipendio non
è noto pubblicamente, ma secondo i minimi tabellari previsti dall'Ue
per questo genere di incarichi dovrebbe aggirarsi tra i 13 mila e i
16 mila euro (netti) al mese. La durata del suo incarico sarà di
ventuno mesi.
PERCHE' NON CI SI PUO' FIDARE DEGLI USA : «Voglio che mio
marito torni a casa: la sua battaglia non riguarda ormai solo lui ma
tutti noi, il nostro diritto di vivere in una società civile». La
voce dell'avvocata e difensore dei diritti umani Stella Morris
Assange – dal 23 marzo dello scorso anno moglie di Julian, a cui ha
dato due figli, Gabriel e Max, di 6 e 4 anni – si leva dal palco
della sede romana dell'Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana)
durante la presentazione del libro dell'ex relatore speciale delle
Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer, Il processo a Julian
Assange. Storia di una persecuzione (Fazi Editore). In segno di
solidarietà, diciannove sigle sindacali di giornalisti di diversi
Paesi europei (compresa quella inglese), in sinergia con l'Fnsi,
hanno deciso di dichiarare da oggi Julian Assange iscritto ai loro
Sindacati. Il numero di aderenti potrebbe aumentare nei prossimi
giorni.
Nato in Australia – più precisamente nella città di Townsville –
cinquantun anni fa, Julian Paul Assange – all'anagrafe Julian Paul
Hawkins – è assurto agli onori delle cronache nel 2010, per aver
rivelato per mezzo dell'organizzazione divulgativa WikiLeaks, di cui
è co-fondatore, documenti statunitensi secretati ricevuti dall'ex
militare Chelsea Manning – una «presunta» fonte, come il giornalista
ha sempre puntualizzato – e riguardanti svariati crimini di guerra.
Dall'11 aprile 2019 è detenuto nel Regno Unito nel carcere di
Belmarsh – che venne definito la «Guantanamo inglese» quando, in
seguito agli attentati dell'11 settembre 2001, ospitò sospetti
stranieri imprigionati senza accuse formali –, prima per violazione
dei termini della libertà su cauzione in relazione alle accuse di
stupro, poi archiviate, da parte della Svezia, poi per la richiesta
di estradizione inoltrata dagli Stati Uniti d'America, dove è
incriminato per violazione di segreti di Stato. Il 21 aprile 2022 la
Westminster Magistrate's Court di Londra ha emesso nei suoi
confronti l'ordine formale di estradizione negli Usa.
Il sistema WikiLeaks viene perseguito nella persona di Assange: si
tratta realmente di un'organizzazione irresponsabile che ha
danneggiato delle persone?
«Il governo americano ha fatto tante affermazioni in questo senso.
In realtà, durante il processo a Chelsea Manning, ma anche in
occasione di diverse sessioni relative all'estradizione di Julian,
rappresentanti governativi hanno ammesso sotto giuramento che le
rivelazioni non hanno mai messo a rischio la vita di alcun
dipendente del governo statunitense».
A suo parere, quali ricadute potrebbe avere il caso Assange sul
giornalismo d'inchiesta e, più in generale, sulla libertà di stampa?
«Questo caso rappresenta la più grande minaccia alla libertà di
stampa a livello internazionale. Prima di tutto in quanto
criminalizza la ricezione e la pubblicazione di informazioni vere.
In secondo luogo perché l'America sta applicando le proprie regole
in materia di segretezza in maniera extra-territoriale, fra l'altro
nei confronti di un cittadino che non è nemmeno americano: si va
delineando un nuovo modello, secondo cui sarebbe possibile
perseguire qualunque giornalista o editore in qualsiasi parte del
mondo».
Riguardo il trattamento riservato ad Assange, è lecito parlare di
tortura psicologica?
«Sono sua moglie, ho assistito alle sue sofferenze e a come la
prigione l'abbia ridotto. Direi senz'altro di sì, ma anche diversi
psicologi ed esperti indipendenti concordano».
Ha riscontrato una qualche forma di parzialità o arbitrio da parte
dei giudici, delle istituzioni politiche e governative e della
stampa internazionale?
«Non c'è alcun dubbio che la persecuzione e il danno alla
reputazione di Julian sia avvenuto a molti livelli. Il libro di Nils
Melzer ricostruisce bene i diversi aspetti dei numerosi attacchi
perpetrati contro la sua persona. Di certo, Julian è stato
silenziato ancor prima di venire arrestato: già un anno prima del
suo arresto il governo ecuadoriano gli aveva impedito di parlare in
pubblico. Oltretutto, abbiamo assistito alla diffusione, nelle
principali testate internazionali, di storie prive di fondamento,
con l'evidente obiettivo di infangare il suo nome. Penso ad esempio
a un articolo a tutta pagina pubblicato dal «Guardian», in cui si
sosteneva che il responsabile della campagna presidenziale di Trump,
Paul Manafort, avesse visitato più volte Assange all'interno
dell'ambasciata ecuadoriana, notizia che poi lo stesso giornale è
stato costretto ad ammettere essere falsa».
Riguardo la sua espulsione dall'ambasciata ecuadoriana, è possibile
parlare di atto politico?
«L'ascesa al potere in Ecuador di Lenín Moreno ha mutato gli assetti
geopolitici del Paese. Lo stesso Moreno aveva manifestato
l'intenzione di migliorare i rapporti con gli Usa e, ai suoi occhi,
Assange si prestava ad essere una pedina perfetta da usare per
ottenere delle concessioni da parte degli americani. Basti pensare
come, nel giro di pochi mesi dall'espulsione di Julian
dall'ambasciata, il governo ecuadoriano abbia ricevuto miliardi di
aiuti dal Fondo Monetario Internazionale».
Perché un detenuto politico non violento come Assange sia recluso
nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh?
«In una democrazia sana non dovrebbero esistere prigionieri politici
e Julian non si troverebbe in prigione, figurarsi in un carcere di
massima sicurezza riservato a terroristi e pericolosi estremisti. Le
condizioni in cui è detenuto sono estremamente ristrettive, è
controllato giorno e notte. I nostri incontri sono sorvegliati dalle
guardie della prigione e non vi è spazio per alcuna privacy».
Quali saranno i prossimi passaggi della vicenda giudiziaria?
«In questo momento è in corso una duplice procedura d'appello, sia
nei confronti dell'esecutivo britannico che ha autorizzato
l'estradizione – o quanto meno non intende ostacolarla –, sia nei
confronti delle Corti che l'hanno approvata. L'High Court of Justice
(l'equivalente della Corte Suprema in Italia), tuttavia, non ha
alcun obbligo legale ad accogliere il nostro appello, quindi stiamo
ancora aspettando di sapere se avremo anche solo la possibilità di
presentarlo».
È ancora possibile evitare la sua estradizione negli Usa?
«Questo è un caso politico, quindi non saranno dei tecnicismi legali
a liberare Julian. Molto, se non tutto, dipenderà dall'evoluzione
del contesto politico, e in tal senso ci tengo ad evidenziare quanto
stia accadendo in Australia, dove, per la prima volta dall'inizio di
questa storia, il governo si appresta a chiedere all'America una
qualche forma di risoluzione della vicenda. Ciò costituisce un passo
in avanti e mi infonde speranza, soprattutto considerata
l'accresciuta importanza dell'Australia nel contesto dell'alleanza
occidentale. —
UNA FAMIGLIA DA ESPELLERE DALL'ITALIA: Yasmin, la chiameremo
così, ha 19 anni, lei e le sua famiglia sono indiani sikh. Il padre
è una figura nota nel tempio dell'abitato più prossimo alla località
delle campagne modenesi in cui vivono. Il culto in questione
professa l'amore universale e in qualche modo lo concilia con la
tradizione dei matrimoni combinati. Per questo, quando il padre di
Sara scopre che si è fidanzata con un connazionale di 23 anni,
mentre lei è già promessa sposa a un altro uomo scelto d a lui,
reagisce sequestrandola, sedandola, picchiandola e negandole il
cibo, con la collaborazione del resto dei parenti.
D'altra parte, se oggi possiamo chiamare Yasmin questa ragazza e non
riferirci a lei semplicemente come «un nuovo caso Saman», è perché,
a differenza della 18enne pakistana uccisa nel 2021 a Novellara (RE)
per lo stesso motivo (e anche allora dai suoi consanguinei), questa
volta e nonostante gli intoppi burocratici, al coraggio di
denunciare che entrambe hanno avuto, si è aggiunto l'intervento di
una rete fatta di associazioni per la difesa delle donne, della
polizia e degli assistenti sociali.
Il primo segnale che qualcosa non va arriva con una telefonata della
zia che giustifica l'assenza della nipote alla scuola per
parrucchiere che frequenta. Ai dirigenti di questo istituto in
provincia di Bologna, la donna dice che la nipote è stata assente
perché indisposta, poi, che era irraggiungibile a causa della
perdita del cellulare.
Ma il giorno dopo Yasmin riesce a tornare a scuola e spiega ai
professori di non essere affatto stata malata e che il cellulare
gliel'hanno sequestrato i suoi. Nello specifico, dirà anche che il
padre l'ha presa a calci, che i lividi che porta sul collo sono
segno di un'aggressione, che il latte che le hanno offerto «aveva un
sapore cattivo» e che bevendolo «si è addormentata profondamente»,
risvegliandosi con «un forte mal di testa».
Yasmin parla male l'italiano, ma spiega comunque che l'hanno privata
dei suoi vestiti e che in casa le negano il cibo. Tutto, spiega,
dopo aver scoperto del suo fidanzamento. Dalla scuola si rivolgono a
un piccolo gruppo di attivisti che si battono contro la violenza su
«donne, minorenni e animali». Li conoscono perché hanno fatto un
intervento formativo nell'istituto. Davanti a loro, l a ragazza
conferma tutto ciò che ha dichiarato in precedenza, ma si rende
conto di aver imboccato un cammino che la separerà per sempre dalla
sua famiglia e questo la sconvolge. Esita e decide di provare a
ottenere il consenso dai genitori per le sue scelte, per poi
trasferirsi dal fidanzato.
Potrà parlare col ragazzo solo dopo Pasqua e, quando ci riesce, lui
è disposto ad accoglierla in casa con la madre, ma i famigliari di
Sara restano contrari. Il 13 aprile, allora, la preside va dalla
polizia e sporge denuncia, ma qualcosa si inceppa.
Ieri l'altro, nonostante una nuova deposizione davanti agli
inquirente ( che Barbara Iannuccelli, portavoce dell'associone
Penelope (altro ente contro la violenza di genere), riferisce essere
stata resa «in lacrime»), le istituzioni non trovano un posto
disponibile per lei in una residenza protetta. Preoccupata dalle
possibili ritorsioni dei genitori, la preside si offre di ospitarla
a casa sua. Passa la notte e la Questura di Bologna per fortuna
risolve l'impasse, offrendo a Yasmin un alloggio che lei, poichè
maggiorenne, è per la legge italiana ora libera di accettare o meno,
tanto quanto l'ospitalità offerta dal suo fidanzato.
27.04.23
FORSE LA CINA SI OCCIDENTALIZZA ?:
Il "momento opportuno" evocato a Emmanuel Macron è arrivato. Xi
Jinping ha tenuto il suo primo colloquio telefonico con Volodymyr
Zelensky dall'invasione russa. Dialogo «lungo e significativo»,
secondo il presidente ucraino, che ha preso il via dal concetto che
più gli sta a cuore: «Il rispetto reciproco della sovranità e
dell'integrità territoriale è la base politica delle relazioni tra
Cina e Ucraina», ha detto Xi. Durante la visita del leader cinese a
Mosca, il tema era finito in secondo piano dopo le «legittime
preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi». Soprattutto, Xi
ribadisce il riconoscimento dei confini ucraini dopo le
dichiarazioni dell'ambasciatore cinese a Parigi, Lu Shaye.
C'è chi ipotizza un'accelerazione di Xi dovuta proprio alla
negazione della sovranità dei Paesi ex sovietici da parte del
diplomatico "lupo guerriero" che, secondo l'influente commentatore
Deng Yuwen, potrebbe essere richiamato a Pechino per un ruolo
all'Università di Affari esteri per diplomatici.
Nel colloquio con Zelensky, Xi auspica lo sviluppo dei rapporti
bilaterali al di là della «contingenza» del conflitto. Avvisa Mosca
che «non ci sono vincitori in una guerra nucleare», richiamando a
«calma» e «sobrietà» dopo le nuove minacce dell'ex presidente
Dmitrij Medvedev. Ma parla implicitamente anche degli Stati Uniti,
quando sostiene che «la Cina non è l'artefice della crisi in
Ucraina, né vi partecipa», cioè non sta mandando aiuti militari alle
parti in causa. E ancora: «In qualità di membro permanente del
Consiglio di Sicurezza Onu e di grande Paese responsabile, non
getteremo benzina sul fuoco, né approfitteremo dell'opportunità di
fare profitti». Messaggi rivolti soprattutto all'Europa, con la
quale Pechino si è dimostrata risoluta a mantenere aperti i legami,
cercando allo stesso tempo di convincerla a svincolarsi da quella
che chiama «mentalità da Guerra Fredda» americana.
Il riferimento sembra essere proprio a Macron (e al brasiliano Lula)
quando Xi afferma: «Ora che pensieri e voci razionali stanno
aumentando, tutte le parti dovrebbero cogliere l'opportunità» di
favorire una soluzione politica. La Cina, che si «impegnerà in prima
persona per fermare la guerra e il cessate il fuoco», manderà un
inviato speciale in Ucraina e in altri Paesi europei. Il prescelto è
Li Hui, ex ambasciatore in Russia tra il 2009 e il 2019 e dunque
nome di garanzia anche per Vladimir Putin, che lo ha peraltro
premiato con una "medaglia all'amicizia".
Le basi del negoziato restano però ancora avvolte nell'ombra.
Zelensky e l'Occidente chiedono il ritiro delle truppe russe dai
territori invasi, Pechino lascia intendere che la cosa migliore
sarebbe una soluzione alla "coreana". Difficile che la Cina possa
esplicitare una proposta concreta. D'altronde anche nella telefonata
con Zelensky traspare nuovamente la disponibilità a facilitare il
dialogo, più che a mediare.
La prima urgenza di Xi sembrava d'altronde essere quella di
completare lo sforzo diplomatico intrapreso nei mesi scorsi. Prima
il confronto con Putin, poi quello coi leader europei, infine il
contatto con l'Ucraina. Comunque vada, il leader cinese può
sostenere di averci provato. E che se le cose andranno storte, la
colpa sarà di qualcun altro. Coincidenza o meno, dopo la grana Lu
Shaye, l'esito è anche quello di rassicurare i Paesi dell'Europa
Nordorientale e dell'Asia centrale sul preteso ruolo di "grande
stabilizzatore" di Xi. Il portavoce di Ursula Von der Leyen ha
descritto la telefonata come «un primo passo importante da parte
della Cina», sottolineando che la «richiesta di Zelensky» era stata
trasmessa dalla presidente della Commissione europea e Macron
durante il trilaterale di Pechino.
Per ora nessuna apertura dal governo russo, che «nota la
disponibilità della Cina a compiere sforzi per stabilire il processo
negoziale» ma sostiene che Kiev «rifiuta qualsiasi iniziativa volta
a un accordo». Il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa
Bianca, John Kirby, ha invece giudicato "positiva" la conversazione
tra Xi e Zelensky. Mentre non viene escluso che il segretario di
Stato Antony Blinken possa recarsi a Pechino a maggio, intorno al G7
di Hiroshima.
UNA AZIONE PER IL MOMENTO POSITIVA : Una rondine non fa
primavera. Una telefonata non fa pace. Ma fa diplomazia. Ci vorrà
ben altro per il cambio di stagione, dalla guerra alla pace. Nelle
grandi pianure dell'Europa centrale gli inverni sono rigidi e
lunghi. La primavera tarda sempre ad arrivare. A maggior ragione
tarderà ad ingranare la diplomazia, dopo 14 mesi di aggressione
russa senza quartiere e di strenua difesa ucraina. Dopo 14 mesi
durante i quali il presidente cinese aveva ignorato quello ucraino.
Ma più rigido l'inverno più importanti anche piccole avvisaglie di
disgelo. Ieri Pechino ha scongelato il dialogo con Kiev. Se
maturerà, sarà in tempi lunghi. Difficilmente distoglierà l'Ucraina
dalla controffensiva in preparazione da mesi. Ma è un'avvisaglia che
potrebbe successivamente rimettere in moto la diplomazia. Affinché
abbia successo la Cina deve essere parte dell'equazione. Ieri ha
segnalato di volerlo essere. E di diplomazia cinese sull'Ucraina,
finora, se n'era vista poca. Solo parole e un piano di pace talmente
annacquato da non essere preso sul serio nè da ucraini nè da russi.
All'indomani della telefonata di Xi Jinping a Volodymir Zelensky,
annunciata dall'uno, attesa dall'altro, sollecitata da terzi (in
particolare da Emmanuel Macron), ignorandone il contenuto, si
possono solo fare due osservazioni e porsi una domanda. Primo, la
telefonata, importante soprattutto perché prima non c'era stata, va
inquadrata in un articolato attivismo diplomatico di Pechino, a 360
gradi. Dopo aver incassato il terzo mandato, da Segretario generale
e da presidente, Xi Jinping ha cominciato a muoversi con alta
visibilità: visita di Stato a Mosca, tappeto rosso per Macron a
Pechino. Nelle retrovie, arrivavano altri visitatori europei. La
Cina ha fatto da mediatore fra Teheran e Riad. Sta cercando di
riallacciare un dialogo con l'Unione Europea: il ministro del
Commercio Estero Wang Wentao era ieri a Bruxelles per incontrare il
commissario Ue Valdis Dombrovskis; a giugno è previsto un vertice
bilaterale di lavoro con la Germania.
È come se improvvisamente la Cina si destasse da una sorta di
torpore diplomatico che non si addice alla seconda potenza mondiale
- e di cui non possiamo che rallegrarci perché costringe Pechino a
recitare il ruolo internazionale che le si addice, a prendersi
auspicabilmente responsabilità, mettere sul tavolo le sue carte
anziché nasconderle dietro comunicati anodini. In quest'attivismo
rientrano evidentemente anche errori come le improvvide, e
preoccupanti, dichiarazioni dell'ambasciatore a Parigi Lu Shaye che
negavano piena statualità internazionale alle ex-Repubbliche
sovietiche, fra le quali appunto l'Ucraina. Rappresentano tuttora un
piccolo mistero diplomatico. Chi sa come funziona il sistema cinese
esclude che Lu Shaye possa aver parlato impromptu, senza la luce
verde del suo capo, il ministro degli Esteri, Qin Gang, quest'ultimo
non al di sopra di una strizzata d'occhi al Cremlino che non chiede
di meglio di deminutio di status degli Stati ex-Urss. Tuttavia, era
troppo grossa anche da parte di un "falco" come Lu Shaye. La
portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha dovuto fare una
precipitosa smentita. La diplomazia cinese non è usa a queste
giravolte.
Secondo, la telefonata rilancia il ruolo della Cina nella futura
ricerca di una soluzione diplomatica alla guerra ucraina. Era
nell'aria da tempo. La necessità di correzione di rotta sulla piena
statualità post-sovietica può aver avuto qualcosa a che vedere col
tempismo. Adesso anche Emmanuel Macron potrà portarla a proprio
credito - era uno dei punti su cui aveva insistito durante la visita
a Pechino. Ma la conversazione con Zelensky non basta a fare del
presidente cinese un mediatore. Fra visita di Stato a Mosca, che
segue regolari contatti fra i due Presidenti, e una telefonata sia
pure cordiale con Kiev - e, pare, apprezzata dall'altra parte del
filo - corre un abisso di posizionamento.
A Xi resta ancora molta strada da fare per essere un "mediatore"
credibile. Ma resta uno dei pochi, se non l'unico leader straniero
che può esercitare influenza su Vladimir Putin. E questo fa della
Cina un attore quasi indispensabile nel momento in cui si aprisse la
porta negoziale. Ieri Pechino ha fatto un primo passo, specie
assicurando che «non getterà olio sul fuoco» - tradotto: niente armi
dalla Cina alla Russia.
Infine, l'interrogativo: Vladimir Putin era al corrente? Tutto fa
pensare che il Cremlino fosse informato sul fatto che la telefonata
ci sarebbe stata. Ha reagito senza sorpresa cercando di scaricare su
Kiev la responsabilità di non voler trattare. Informato non
significa però "consultato". Ma, a suo tempo, quanto Putin consultò
o informò Xi sull'operazione speciale che meditava in Ucraina?
Qualche curiosità su quanto si sono detti Xi e Zelnsky aleggerà oggi
a Mosca. Pan per focaccia pur fra due amici senza limiti? —
LA RUSSIA NEL CAPPIO CINESE : In Russia «sta crollando
tutto», e il potere è «nelle mani di uno stronzo». Se la
conversazione è autentica - come sostengono e scrivono diversi
collettivi giornalistici russi indipendenti che abbiamo consultato -
è un altro devastante capitolo della lotta intestina nelle élite
russe, che ormai non credono più a Vladimir Putin e, non potendolo
dire pubblicamente, parlano tra loro. Tanto. Disperatamente. Un
nuovo impressionante leak (rivelato dal progetto investigativo
«Sistema») svela il dialogo tra due uomini che sembrano essere il
miliardario Roman Trotsenko (vicinissimo a Igor Sechin, il boss di
Rosneft), e l'uomo d'affari Nikolai Matushevsky.
I due che parlano al telefono discutono della guerra, organizzano la
partenza dei loro parenti dalla Russia e dicono quello che pensano
sulle autorità del Paese. «Non esiste il concetto di un domani.
Moriranno, a un certo punto nel tempo, e non lasceranno nulla
dietro. Sarà solo un deserto bruciato», dice un uomo con una voce
simile a quella di Trotsenko, che è una delle persone più ricche di
Russia. Trotsenko e Matushevsky hanno definito la registrazione un
falso. Matushevsky ha detto ai giornalisti di «Sistema»: «Penso che
sia un falso o uno stupido scherzo di qualcuno che usa
l'intelligenza artificiale». Trotsenko dice di non sentire l'amico
da più di un anno. Ma - scrivono per esempio Astra e Svoboda -
diversi fatti suggeriscono che la conversazione sia autentica. Anche
Sota la avvalora. Current time, citando una fonte, scrive che il
numero dal quale telefona l'uomo che nell'audio viene chiamato
«Roma» corrisponde a quello di Trotsenko.
I due interlocutori prevedono scenari da guerra civile, come già
fecero - in un altro precedente leak - l'oligarca Akhmadov e il
produttore musicale Iosif Prigozhin. «Le persone si taglieranno a
vicenda per le strade di Mosca», dice il presunto Trotsenko.
«Sfortunatamente, la Russia, che amiamo così sinceramente, è finita
nelle grinfie di uno stronzo». «Le persone si uccideranno a vicenda
per le strade di Mosca. È solo una questione di tempo». E il suo
interlocutore raddoppia, dice di aver visto di recente un video con
il taglio degli auguri di Capodanno dei presidenti, «a partire da
Eltsin fino all'ultimo, quando questo deficiente non è sullo sfondo
dell'albero di Natale, come sempre, ma i militari». «Come può vivere
una nazione in cui l'unica ideologia è che un ristretto gruppo
faccia soldi e mantenga il potere?».
Trotsenko è considerato una delle «casse» del capo di Rosneft Igor
Sechin, dal 2012 al 2015 fu il capo della filiale di Rosneft in
Svizzera, è uno degli uomini più ricchi di Russia (in questo momento
38°, con 3,8 miliardi di dollari di patrimonio), e Nikolai
Matushevsky è il creatore di spazi artistici importanti e alla moda,
Flakon e Khleb-zavod, a Mosca. Lo sfondo della conversazione, che
avrebbe avuto luogo all'inizio di gennaio 2023, è di estrema
confidenza. I due si chiamano con diminutivi affettuosi - Kolya e
Roma - discutono delle vacanze a Bali, «Kolya» dice a «Roma» che ci
sono molti investitori lì e che è un posto da tenere in
considerazione: «Di recente è stato davvero difficile per me in
Russia, ho capito che qualcosa non andava, non è bello stare lì», si
lamenta Kolya, e quello che sarebbe Trotsenko si mostra d'accordo.
Poi Kolya parla in dettaglio del suo nuovo progetto: «Airbnb for
Business»: «Esatto, non devi ricordare più cosa è successo in
Russia. Non esiste più e non accadrà più», e a quel punto «Roma»
approva l'idea e sostiene che in Indonesia «tutto decuplicherà in
dieci anni, e la Russia cadrà due volte». Si decuplicherà, par di
capire, anche il livello di capitali (russi) che stanno affluendo.
Poi gli amici parlano di trasloco, bambini, famiglie, e finiscono a
commentare la guerra e la situazione in Russia.
Andrà sempre peggio, sembrano pensare. «Sembra che il ‘23 sia
l'ultimo anno in cui puoi cambiare qualcosa, andare da qualche
parte, iniziare a fare qualcosa, perché nel ‘24 ci sono già le
elezioni, lì, dannazione, gireranno già le palle, che cazzo»,
suggerisce presumibilmente Matushevsky. Il suo interlocutore
conviene: «Sarà una c...». I due sono d'accordo che nel 2023 i russi
hanno ancora la possibilità di prelevare denaro e beni dal Paese,
per cercare di ottenere un permesso di soggiorno in un altro Paese
prima della chiusura delle frontiere. Presumibilmente, Trotsenko
dichiara: «Non esiste il concetto di un domani, capisci?». Sono
uomini con le spalle al muro, anche se miliardari. E stanno
sostanzialmente fuggendo.
TANTO VA LA GATTA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO :
Domenica i servizi segreti ucraini avrebbero cercato di uccidere
Vladimir Putin con un drone esplosivo. Sebbene l'agguato sia
fallito, il tentativo sarebbe stato tenuto segreto dalle autorità
russe. Lo scrive Bild. Nel pomeriggio del 23 aprile sarebbe partito
dall'Ucraina un drone UJ-22 con una portata fino a 800 chilometri e
con a bordo «30 blocchi di esplosivo C4, per un peso totale di 17
chilogrammi». L'obiettivo sarebbe stato il parco industriale di
Rudnevo, vicino Mosca, in cui avrebbe potuto esserci una visita di
Putin. Il drone, però, precipitato 20 chilometri prima. Non è chiaro
se la visita di Putin sul posto ci sia mai stata. Bild cita
l'attivista ucraino Yuri Romanenko, che «si dice abbia stretti
legami con i servizi segreti di Kiev» e che ha scritto che «la
scorsa settimana i nostri agenti dei servizi segreti hanno ricevuto
informazioni sul viaggio di Putin al parco industriale di Rudnevo.
Di conseguenza, il nostro drone kamikaze è decollato, ha
attraversato tutte le difese aeree della Federazione Russa e si è
schiantato non lontano dal l'obiettivo». Bild ricorda che lunedì i
media russi avevano riferito di un drone UJ-22 precipitato a est di
Mosca, in una foresta. Immediatamente era stato chiuso lo spazio
aereo proprio per la possibile incursione di piccoli veivoli
radiocomandati. Già il generale ucraino Kyrylo Budanov, 37enne capo
del servizio segreto militare, aveva alluso a piani per colpire il
centro di Mosca e addirittura il Cremlino. Nei giorni scorsi sui
canali Telegram ucraini, e anche russi, erano girate le immagini
della Piazza Rossa vista da vicina, attribuite a un drone di Kiev ma
che poi sono risultate manipolate. Il ministero della Difesa di
Mosca ha comunicato che gli ucraini hanno cercato di colpire con tre
droni sottomarini la base della flotta russa del Mar Nero a
Sebastopoli, in Ucraina, ma sono stati intercettati senza provocare
danni. C'è poi stato il ritrovamento a 35 chilometri della capitale
russa di un velivolo senza pilota con un carico di 18 chilogrammi di
esplosivo. Secondo il Washington Post, gli Stati Uniti temono che
queste azioni sul territorio russo possano indurre una pericolosa
escalation del conflitto. E avrebbero convinto le forze ucraine a
fermare gli attacchi programmati nell'anniversario dell'inizio del
conflitto. Ma Kiev aveva smentito il quotidiano Usa. «Perché
dovremmo farlo? Cosa risolverebbe un'azione una tantum?». Ma
crescono i timori per possibili attacchi su Mosca il 9 maggio,
anniversario della vittoria contro i nazisti nella Seconda guerra
mondiale.
POCA TRASPARENZA : «Open to Meraviglia» tira dritto.
Nonostante il lungo elenco di gaffe e polemiche suscitate negli
ultimi giorni la campagna da 9 milioni di euro voluta dal ministero
del Turismo per promuovere le bellezze italiane nel mondo il primo
maggio sbarcherà all'aeroporto internazionale di Dubai.
Maxi-cartelloni dai quali la Venere influencer comincerà il suo tour
fra stazioni, fiere e hub vari, oltre che naturalmente sulle
piattaforme digitali con il suo nickname @Venereitalia23. Dodici
mesi suddivisi in due stagioni: primavera-estate e autunno-inverno.
Il brand Italia in versione prêt-à-porter.
Il costo totale sarebbe così spalmato: 4,5 milioni per la
realizzazione del video promozionale, per la sua diffusione (andrà
anche sugli schermi di alcune compagnie aeree) e per le affissioni
urbi et orbi, 4 milioni per le campagne crossmediali che attraverso
un QrCode svilupperanno traffico su Italia.it (il portale lanciato
nel 2007 da Francesco Rutelli) e 500 mila euro per altre spese
(compresi i 138 mila pagati all'agenzia pubblicitaria Armando
Testa).
La versione ufficiale, che arriva dalle parti del ministero di via
di Villa Ada, è che dato che tutti ne stanno parlando l'obiettivo
della campagna è stato raggiunto. E che l'effetto virale fosse in
qualche modo studiato per agganciare gli utenti più giovani dei
social. «Mi stanno tutti aiutando ad avere un grande successo» si
sarebbe sfogata la ministra Daniela Santanchè con i suoi. I vertici
di Armando Testa si celano dietro un garbato no-comment. Idem Enit,
l'agenzia nazionale per il turismo, recentemente trasformata in una
Spa, guidata da Ivana Jelenic, titolare di un'agenzia viaggi in
Umbria e manager di fiducia della Santanchè. E così pure dal
ministero e da Accenture, travolti insieme ad Almawave (gruppo
Almaviva) nel pasticciaccio delle traduzioni in tedesco su
Italia.it. Quelle rimosse, dopo la denuncia di Selvaggia Lucarelli,
in cui Brindisi veniva tradotto con Toast, Prato con Rasen e
Camerino con Garderobe. Rientrerebbero in un appalto a parte da 3
milioni di euro. «Almawave si è aggiudicata una commessa per offrire
tecnologie di machine translation, basate su intelligenza
artificiale, complete di servizio di revisione linguistica,
effettuato da traduttori madrelingua sul contenuto, essenziale per
una qualità certificata - fanno sapere da Almawave, che essendo
quotata a Piazza Affari non nasconde di essere parecchio scocciata
da tutta questa "pubblicità" -. Nel caso degli errori di traduzione
riscontrati per la parte tedesca del sito Italia.it, ci risulta
pertanto che, per ragioni non dipendenti da Almawave, i testi siano
stati pubblicati senza richiesta di revisione finale dei contenuti,
quali ad esempio i titoli, da parte dei traduttori professionali,
come previsto dal processo». Fine delle comunicazioni.
Gli unici che continuano a parlare sono gli esperti di marketing e
chi, per ragioni politiche, estetiche (il sottosegretario alla
Cultura Vittorio Sgarbi, per dire, ha bollato il tutto con un «Roba
da Ferragni») o anche solo per puro divertimento, si sta dedicando a
mettere in fila gli strafalcioni del caso. Uno dei più battaglieri è
il consigliere regionale toscano del Pd Iacopo Melio, che ha già
dedicato varie puntate alla questione. Questa volta il focus è sulla
pagina Instagram @Venereitalia23 e sulle caratteristiche «sospette»
dei suoi follower. Secondo Melio si tratterebbe di profili fake
acquistati con soldi pubblici attraverso servizi appositi «per
gonfiare i numeri».
Un nuovo capitolo che si aggiunge a quelli già sbeffeggiati nei
giorni scorsi: i fotogrammi girati in una cantina slovena scaricati
da una piattaforma di videostock, le foto dei monumenti pubblicate
dopo essere passate da whatsApp con il doppio limite della bassa
qualità e dei problemi di indicizzazione, il dominio
Opentomeraviglia.it, non registrato dal ministero e comprato venerdì
scorso per 4,99 euro dalla società toscana Marketing Toys. «Abbiamo
salvato Botticelli da qualche sito porno che poteva prendersi il
dominio per accaparrarsi il traffico e reindirizzarlo» scherza, ma
solo fino a un certo punto Filippo Giustini, l'autore del blitz. Che
però, in vista del primo maggio, spera che le cose comincino ad
aggiustarsi. «Tanti dettagli potevano funzionare meglio, non c'è
dubbio - prosegue -. Noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di
trasformare questo errore in un'opportunità. Abbiamo aperto un form
e in queste ore tantissimi italiani ci stanno scrivendo con proposte
e idee per parlare di Italia e di bellezza italiana nel mondo. Se la
ministra Santanchè ci chiama siamo pronti a donare gratuitamente il
dominio al progetto del governo e magari anche a condividere con lei
alcune di queste riflessioni». Poi la rassicurazione finale: «Non
siamo trader di domini. Io ogni tanto ne acquisto uno ma solo per
divertirmi un po' e magari vendere qualche t-shirt. Ad esempio
l'avevo già fatto con Viodiotutti.it». Come si dice in tedesco
povera Venere?
ESEMPIO EDUCATIVO: Quando lo stralcio di indagini è arrivato
da Firenze, la procura di Milano aveva già aperto un fascicolo sulla
presunta concorsopoli lombarda. Così, mettendo insieme i pezzi, i pm
hanno compreso il senso delle chat sequestrate che erano sulla loro
scrivania. «Due tuoi professori non si sono mica… Sono ancora ben
presenti all'interno del concorso… Ecco, siccome c'è anche l'altro
in ballo, cioè non vorrei interferenze spiacevoli sulle due
procedure…», diceva intercettato il rettore della Statale di Milano,
Elio Franzini al rettore dell'università San Raffaele, Felice Enrico
Gherlone. Al centro della discussione, un posto da professore di
prima fascia in Urologia all'ospedale San Paolo, a tavolino
destinato, per l'accusa, a Bernardo Maria Cesare Rocco.
Così ieri, entrambi i rettori sono stati rinviati a giudizio dal
giudice Cristian Mariani, assieme a Francesco Montorsi, ordinario di
Urologia del San Raffaele, Marco Carini, ordinario di Urologia
all'Università di Firenze, e al direttore del Dipartimento Scienze
della Salute alla Statale, Stefano Centanni. Nel processo, che si
aprirà il 5 luglio, sono accusati a vario titolo di corruzione,
turbativa d'asta e falso dai pm Carlo Scalas e Bianca Maria Baj
Macario. «Ho sempre operato per difendere esclusivamente il bene
dell'università e della sanità pubbliche – ha dichiarato Franzini –
dimostrerò nelle opportune sedi istituzionali la correttezza delle
mie azioni e la totale mancanza di interessi privati che le hanno
guidate».
Il concorso da ordinario al San Paolo, per l'accusa nell'interesse
del fiorentino Carini, era stato bandito dal rettore della Statale
l'8 luglio del 2020, senza prima interpellare il Collegio dei
professori ordinari di Urologia di Milano, scatenando la «rivolta»
di una ventina dei suoi membri. Che avevano «deciso di fare
ostruzionismo a questo modo di procedere, presentando tutti la
domanda per quella posizione». Con il presunto obiettivo di battere
il predestinato e poi di non accettare la chiamata al termine della
procedura per lasciare il posto vacante.
Alla fine, a risolvere la situazione, sarebbe stato per i pm un
«accordo corruttivo», ricostruito tramite una delle chat
sequestrate. Dopo una cena dell'ottobre del 2020, il presidente
della commissione del concorso al San Paolo, Carini, e il direttore
Centanni si sarebbero messi d'accordo con Montorsi, per far bandire
entro sei mesi un posto «gemello» da ordinario di Urologia
all'ospedale San Donato. Una procedura che doveva essere gestita
dalla stessa commissione giudicatrice presieduta da Carini, che
avrebbe, questa volta, garantito la vittoria del candidato indicato
dal professore Montorsi: Luca Carmignani. Solo dopo il nuovo bando
al San Donato, Montorsi avrebbe ritirato la domanda presentata per
il posto al San Paolo e convinto gli altri candidati a seguirlo.
Nascevano, però, alcuni problemi. A partire dal fatto che la legge
vieta che la stessa commissione possa giudicare un nuovo bando se
non sono passati sei mesi dal primo. Non solo. Al momento della
pubblicazione del concorso per il San Donato, dieci dei candidati
che si erano inizialmente presentati non avevano ancora ritirato la
domanda per la procedura al San Paolo. E tra loro c'era proprio
Montorsi.
Così Franzini, al telefono, e «senza alcun freno inibitorio»,
secondo gli inquirenti, chiede espressamente al rettore Gherlone di
intervenire: «Due tuoi professori non si sono mica...Sono ben
presenti all'interno del concorso... Montorsi e quell'altro che si
chiama Briganti. Non vorrei interferenze spiacevoli sulle due
procedure… Perché non si è ritirato sostanzialmente come aveva
promesso». Parte uno scambio di messaggi: «Tutto a posto - scrive
alla fine Montorsi a Franzini - Abbraccione». Poi il rettore della
Statale informa Centanni che il problema è risolto. «A questo punto
direi che siamo a posto...». Montorsi informa via sms Gherlone di
aver rinunciato alla candidatura, così come farà anche Briganti. Nei
giorni successivi Centanni e Franzini continuano a chattare: «A
questo punto facciamo una grande festa». Centanni: «E poi diciamo di
portare il Dom Pérignon ovviamente». «Dom Pérignon in calici». Fin
qui le accuse, respinte dagli imputati. Che spiegheranno le loro
ragioni a processo.
26.04.23
INTERESSI DI STATO : Anche
l'accordo sul grano è destinato ad essere l'ennesimo fallimento
negoziale del dossier ucraino. A impartire l'estrema unzione
all'unica intesa (mediata da Onu e Turchia) sinora raggiunta nella
più ampia vicenda del conflitto russo-ucraino, è Serghei Lavrov
secondo cui «un'iniziativa umanitaria – quella sul Mar Nero –
trasformata in un'iniziativa commerciale solleva dubbi e
interrogativi». Il ministro degli Esteri russo ha parlato nel corso
della conferenza stampa conclusiva della due giorni di lavori in cui
ha presieduto due Consigli di sicurezza, il secondo dei quali sul
Medio Oriente. «Dalle statistiche solo il 3% dell'intero volume del
grano realmente raggiunge i paesi poveri nella lista del Pam –
aggiunge lapidario il caso della diplomazia di Mosca – tutto il
resto va in Paesi ad alto o medio reddito». «Non posso dire che
l'Onu non abbia fatto passi nella giusta direzione» sulle richieste
della Russia, ha continuato Lavrov, «ma praticamente non ci sono
stati risultati». Di fatto il ministro considera l'intesa arrivata a
un «punto morto» e che ancora ci sono «blocchi all'esportazione dei
prodotti russi». E minaccia che il patto, raggiunto il mese scorso,
e che dovrebbe durare 60 giorni, potrebbe non essere rinnovato da
Mosca, se l'Occidente «non rimuoverà tali ostacoli».
In merito all'"operazione militare" speciale in Ucraina il ministro
accusa Kiev di «discriminare» i russofoni e di minacciare la
sicurezza della Russia. «L'Ucraina ha messo al bando l'educazione in
russo bruciando libri russi nelle piazze in stile nazista», spiega
l'emissario di Putin, ammonendo sul fatto che il Cremlino non vuole
discriminazioni in Ucraina contro i russofoni e i credenti della
chiesa ortodossa russa. Il messaggio successivo è poi diretto agli
alleati occidentali di Volodymyr Zelensky: «Ci era stato promesso
che non ci sarebbe stato un allargamento della Nato, ma ci hanno
mentito». Ed in questa chiave Mosca punta a rafforzare la propria
geometria di alleanze, segnando un successo: è di ieri infatti la
notizia che il Sudafrica ha chiesto di uscire dalla Corte penale
internazionale. In questo modo Putin – inseguito da mandato di
cattura per crimini di guerra dall'Aia – potrà partecipare al
meeting dei Brics in programma ad agosto in Sudafrica. Lavrov
dribbla l'invito a occuparsi delle questioni interne agli Usa, e in
particolare alla candidatura di Joe Biden e Donald Trump a Usa 2024.
La missione di 48 ore di Lavrov al Palazzo di Vetro è stata
preceduta da numerose polemiche sommate a quelle sull'opportunità
che la Federazione Russa, il Paese che ha dichiarato guerra a Kiev,
presieda l'organo creato per mantenere la pace e la sicurezza
internazionali, per quanto previsto dalla turnazione mensile dettata
dalla Carta costitutiva. Così come Mosca ha espresso profonda
irritazione per il diniego alla richiesta di visto da parte dei
giornalisti russi al seguito della delegazione. «È spaventoso quello
che accade riguardo l'accesso all'informazione, la libertà di
stampa. Si vede che non è conveniente per gli occidentali avere
punti di vista diversi, che non siano in linea con la loro
narrativa», spiega Lavrov. «Terremo presente le misure inappropriate
degli americani quando loro avranno bisogno di noi», chiosa. Così
come è stata più volte toccata, negli scorsi due giorni, la
questione dei detenuti americani (il reporter del Wall Street
Journal Evan Gershovich e l'ex marine Paul Whelan). Così
sull'ipotesi di uno scambio dei prigionieri Lavrov ha spiegato che
«esiste un canale speciale, non pubblico», per queste cose,
avvertendo che «la pubblicità complica i colloqui»
LA CORRUZIONE CORRODE IL PERU': Un piccolo penitenziario alle
porte di Lima ospita da questa settimana ben tre ex presidenti della
Repubblica del Perù. Con il nuovo arrivato Alejandro Toledo,
estradato dagli Stati Uniti, il carcere di Barbadillo entra così nel
Guinnes dei primati, specchio di un Paese segnato da una corruzione
dilagante. Quasi tutti i capi di Stato peruviani degli ultimi 30
anni sono caduti per scandali di favori e mazzette, in un clima di
caos sociale ed eterna instabilità politica. La prigione di
Barbardillo sorge in un'area di 800 metri quadrati dove in passato
esisteva una scuola per ufficiali di polizia. Nel 2007 l'ha
inaugurata l'ex presidente autoritario Alberto Fuijmori, condannato
a 25 anni di prigione per violazioni dei diritti umani durante il
suo mandato. Al "Chino" come viene chiamato per le origini
giapponesi, è stato assegnato bungalow di 50 metri quadrati formato
da una sala con cucina annessa, camera da letto, bagno e un piccolo
giardino sul fondo.
Dieci anni dopo è arrivato a fargli compagnia Ollanta Humala,
presidente progressista dal 2011 al 2017, arrestato per le mazzette
ricevute dalla grande ditta di costruzione brasiliana Odebrecth,
protagonista anche dello scandalo Petrobras in Brasile. Humala ci è
rimasto solo nove mesi, ma a metà dicembre 2022 le porte si sono
riaperte di nuovo, questa volta per Pedro Castillo, il vulcanico
leader nazionalista che ha tentato c un autogolpe per evitare la
messa in stato di accusa da parte del Congresso. Destituito dai
parlamentari, Castillo adesso deve scontare due prigioni preventive
di 18 e 36 mesi per insurrezione, tradimento e, guarda caso,
corruzione. Il Perù, nel frattempo, ha preso fuoco, i suoi
sostenitori sono scesi in piazza e hanno bloccato diverse regioni
contadine tra cui la turistica Cusco, base per le gite alle rovine
incas del complesso del Machu Pichu. Castillo passa le sue giornate
curando un piccolo orto nel retro della sua cella.
Il suo nuovo vicino è Alejandro Toledo, in carica dal 2001 al 2006,
anche lui coinvolto nell'affaire Odebrecth. Secondo la procura
generale che ne ha chiesto l'estradizione dagli Stati Uniti, Toledo
avrebbe intascato dal colosso brasiliano mazzette per un totale di
30 milioni di euro per le varie tappe di costruzione dell'autostrada
trans americana. Rischia 20 anni di prigione ma potrebbero essere
meno se inizierà a collaborare con la giustizia. Secondo la stampa
locale i detenuti illustri di Barbadillo hanno libertà di movimento
e di ricevere visite e si incrociano negli spazi comuni, come
fossero in un country club per ex mandatari. Il decano dei tre è
Fujimori, 84 anni e un capitale politico ancora importante. La
figlia Keiko ha preso la sua eredità politica, nelle ultime due
elezioni presidenziali ha perso per un soffio al ballottaggio.
Toledo, invece, è riuscito con mille cavilli ad evitare durante sei
anni di essere estradato dagli Stati Uniti. Mentre lui viveva in
California i suoi ex ministri hanno ricostruito il giro di mazzette
del suo governo. Barbadillo avrebbe dovuto ospitare un altro leader
caduto in disgrazia, ma nel 2019 il carismatico Alan Garcia decise
di togliersi la vita per evitare di essere arrestato. Garcia fu
presidente dal 1985 al 1990, quando prendeva parte ai congressi
dell'Internazionale socialista ed era molto amico di Bettino Craxi.
Tornato al potere dal 2006 al 2011, è finito anche lui nello
scandalo Odebrecth.
I peruviani assistono ormai rassegnati al degrado assoluto della
loro classe politica. I presidenti eletti a suffragio universale non
riescono a formare maggioranze in un Parlamento storicamente
frammentato, le crisi di governo sono all'ordine del giorno, le
casse dello Stato depredate da giri colossali di mazzette.
L'economia informale la fa da padrona, le risorse naturali vengono
sfruttate da multinazionali e questo provoca diverse ribellioni tra
gli indios e nelle campagne. Oggi al potere c'è Dina Boluarte, l'ex
vice di Castillo, ma ha una popolarità bassissima e nuovi scandali
in arrivo. Un Paese ingovernabile, dove si passa fin troppo
facilmente dalla più alta poltrona dello Stato al "carcere dei
presidenti".
25.04.23
OPPORTUNISTI DI STATO : Quando
arriva il momento delle nomine il giornalista tocca con mano quanto
Stato ci sia nell'economia italiana. Chiusa la trattativa sulle
grandi società quotate a controllo pubblico (Eni, Enel, Leonardo,
Terna), ora la politica deve prendere decisioni importanti su altre
centinaia di poltrone in scadenza di qui alla primavera del 2024.
Non ci sono solo quelle delle Ferrovie (ci arriviamo a breve), ma le
controllate minori di Tesoro, Rai, Poste, Cassa depositi e prestiti,
delle stesse aziende quotate. C'è da decidere la sorte di aziende
come Manifattura Tabacchi o Corneliani, un marchio storico del
tessile finito sotto il controllo di Invitalia (altra controllata
pubblica) andata in soccorso del privato. Con scorno di chi lamenta
eccessi liberisti, lo Stato intermedia sempre metà del Pil italiano,
e a scorrere la lista delle società in scadenza se ne ha una
plastica riprova. Entro il 31 dicembre c'è da rinnovare i vertici e
i consigli di amministrazione di dieci società a diretto controllo
pubblico, 51 di secondo livello, quattro di terzo. Di qui al 2024
c'è da rinnovare circa 130 aziende su cui la politica avrà l'ultima
parola, non meno di cinquecento poltrone. Per citarne alcune in
ordine sparso: Consip, Poligrafico dello Stato, Invimit, Sogesid,
Consap, Sogin, Difesa servizi, Sose, Infratel, Lng shipping.
Sia come sia, la partita imminente e più delicata per Giorgia Meloni
riguarda il futuro delle Ferrovie. Superata l'ipotesi di mandare
l'attuale numero uno della capogruppo Luigi Ferraris in soccorso dei
problemi di Enel, c'è comunque da scegliere i nuovi vertici delle
due principali aziende controllate: quella che gestisce l'alta
velocità (Trenitalia) e la rete, ovvero Rfi. Per capire l'importanza
della scelta basti dire che il piano industriale del gruppo prevede
190 miliardi di investimenti in dieci anni, 110 dei quali su
gallerie e binari. Di questi, 24 miliardi arriveranno da fondi del
Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nei giorni scorsi, dopo un
lungo pranzo con la premier, Matteo Salvini ha diffuso diversi
dettagli su alcuni degli appalti finanziati con le risorse europee.
Gli investimenti più grossi (in questo caso nazionali) riguardano
l'alta velocità fra Napoli e Bari e i sette chilometri di tunnel a
Firenze necessari a raggiungere la nuova stazione sotterranea di
Santa Maria Novella. Fra inchieste della magistratura e problemi
ambientali la faccenda va avanti da trent'anni. Ebbene, per queste
due poltrone Salvini (coadiuvato dal fedele sottosegretario Edoardo
Rixi) ha pronto un ticket sul quale c'è il massimo riserbo.
Nei palazzi e in azienda girano voci secondo le quali l'attuale
amministratore di Trenitalia Luigi Corradi potrebbe essere
confermato, o essere spostato a Rfi, su consiglio di Ferraris. I
candidati alternativi a Corradi alla guida di Rfi sono ben quattro:
Vincenzo Macello, Umberto Lebruto, Maria Annunziata Giaconia o
Arrigo Giani. Fatto salvo quest'ultimo (è l'amministratore delegato
della milanese Atm) gli altri sono manager interni. E in effetti
così accade sin dai tempi in cui la rete era guidata da Mauro
Moretti. Insomma, le Ferrovie funzionano un po' come l'Eni: la
politica ci mette bocca, ma alla fine il capoazienda esce quasi
sempre dai ranghi del partito azienda. C'è poi un altro problema di
cui Meloni e Salvini dovranno tenere conto: il ticket uscente è
formato da due donne, Vera Fiorani e Anna Masutti. Difficile
immaginare che il primo capo del governo donna della storia
repubblicana non imponga un'adeguata alternanza di genere.
A proposito di nomine, donne e Meloni: la premier ha un altro
problema urgente da affrontare, ovvero il destino
dell'amministratore delegato uscente di Terna Stefano Donnarumma.
Uscito sconfitto dal conclave che lo doveva nominare gran capo di
Enel, è rimasto schiacciato fra i dubbi dei fondi azionisti di Enel,
le richieste di Salvini e la decisione di Meloni di nominare ad ogni
costo una donna (la manager di Nokia Giuseppina Di Foggia) come
primo amministratore delegato di una grande azienda quotata pubblica
(finora erano state scelte solo per la meno importante carica di
presidente). Ora a Donnarumma - rimasto disoccupato a causa del
legame con Meloni - sarebbe stato promessa la poltrona di Cdp
venture capital, una delle tante società della galassia pubblica
della cassaforte del Tesoro. Ebbene, il suo passaggio si sta
complicando per almeno due ragioni: il lauto emolumento che gli
garantiva la poltrona di Terna (impossibile in una partecipata molto
più piccola) e i rischi legali associati al passaggio da una società
all'altra dello stesso gruppo. Non sempre la vicinanza alla
politica, alla prova dei fatti, aiuta. —
LADRI ED INCAPACI DI STATO : Tre milioni di euro per far
tradurre il sito di promozione turistica nazionale "Open to
meraviglia" e il risultato è che la cittadina marchigiana di
Camerino diventa «Garderobe», «guardaroba», e quella toscana di
Prato «Rasen», come l'erba. Ad accorgersene per prima la giornalista
Selvaggia Lucarelli. Da lì in poi, pioggia di critiche e ilarità. Ma
c'è poco da ridere.
La cifra monstre, soprattutto visto l'esito discutibile, è stata
pagata dal ministero del Turismo ad alcune società tra cui Almawave,
del gruppo Almaviva, che si definisce «leader nell'intelligenza
artificiale», e Accenture, altro colosso della consulenza digitale.
«Almawave fornisce una prima traduzione automatica e, solo dopo
l'attivazione di un terzo soggetto, effettua la revisione tramite
traduttori madrelingua», fa sapere Almawave. Il terzo soggetto
sarebbe invece Accenture, a quanto si apprende. «Nel caso degli
errori per la parte tedesca», spiegano ancora, «ci risulta che, per
ragioni non dipendenti da noi, i testi siano stati pubblicati senza
richiesta di revisione finale da parte dei traduttori professionali,
come previsto». In sintesi, Almawave respinge ogni responsabilità.
Intanto, mentre infuria la bufera per la traduzione "maccheronica",
il sito in tedesco viene oscurato. «Questa campagna è mediocre come
il governo. Non c'è creatività, né impegno», commenta Oliviero
Toscani, autore di campagne fotografiche famose e discusse.
"Open to meraviglia" e la Venere di Botticelli scelta come icona
erano già state investite da polemiche per le foto da archivio low
budget (nelle quali figura una cantina vinicola slovena) e per la
mancata registrazione del dominio internet opentomeraviglia.it
CINA INAFFIDABILE : STOP CREDIBILITA':L'atteggiamento da
tenere nei confronti della Cina continua a far discutere i Paesi
dell'Unione europea. E l'ultimo episodio ha dato alcuni validi
argomenti a chi, come il ministro degli Esteri lituano Gabrielius
Landsbergis, è convinto che «la Cina non può fare da mediatore» per
risolvere il conflitto in Ucraina: «Pechino ha scelto di stare dalla
parte della Russia».
A far salire la tensione sono state le parole dell'ambasciatore
cinese in Francia: nel corso di un'intervista, Lu Shaye ha detto che
la sovranità dell'Ucraina, ma anche quella delle ex repubbliche
baltiche che facevano parte dell'Unione sovietica, «non è pienamente
definita» perché non c'è stato un accordo internazionale.
Dichiarazioni che hanno subito scatenato la protesta formale di
Estonia, Lettonia e Lituania: i tre Paesi hanno convocato i
rispettivi ambasciatori cinesi. Emmanuel Macron ha definito
«inadeguato» il linguaggio di Lu Shaye, ma secondo il leader del Ppe
Manfred Weber quest'uscita è «il risultato della visita di Macron in
Cina che ha incoraggiato Pechino a dividere l'Ue».
L'ambasciata cinese di Parigi ha cercato di correggere il tiro,
liquidando l'uscita di Lu Shaye come «un giudizio personale». Anche
il ministero degli Esteri ha chiarito che Pechino «rispetta la
sovranità» delle ex repubbliche sovietiche. Per Josep Borrell il
chiarimento della diplomazia cinese è sufficiente, ma l'Unione
europea deve comunque «ricalibrare e rivalutare» la sua strategia
nei confronti della Cina. Nelle prossime settimane l'Alto
Rappresentante porterà sul tavolo dei ministri degli Esteri un
«documento di posizione» dedicato proprio all'atteggiamento da
tenere con Pechino: il tema sarà poi discusso dal Consiglio europeo
di giugno, come ha confermato Charles Michel. Prima ancora, però, la
questione cinese sarà al centro del G7 di Hiroshima. Con un
intervento sulla stampa francese, Borrell ha esortato i governi Ue a
inviare le loro navi per pattugliare lo stretto di Taiwan in modo da
«mostrare l'impegno dell'Europa per la libertà di navigazione in
un'area cruciale».
Intanto da Kiev arrivano nuove richieste d'aiuto. Durante il vertice
dei ministri degli Esteri Ue, che ieri si sono riuniti a
Lussemburgo, c'è stato un duro intervento in videoconferenza di
Dmytro Kuleba: il ministro ucraino è parso «furioso» per i ritardi
nella fornitura di munizioni e di missili a lungo raggio. «Verrà il
momento dei guanti bianchi e della diplomazia – ha detto – ma ora
dateci le munizioni. Per la pace non esistono scorciatoie».
I POLITICI MAFIOSI NON RICONOSCONO GLI EROI: «Posso essere
diretta?». Deve. «Ormai ho una certa età, mio marito non sta bene.
Spero almeno che potremo assistere alla riapertura delle indagini.
Abbiamo resistito fino ad oggi per non permettere che Attilio
venisse ucciso due volte: la seconda con l'infamia. E abbiamo
vissuto questo lungo inferno in una bolla di solitudine in cui – a
tratti - la rabbia ha superato il dolore».
Era il 14 maggio del 2001 quando al Policlinico Gemelli di Roma un
giovane e brillante urologo siciliano, il figlio d mamma Angela,
Attilio Manca, operò per la prima volta in Italia un paziente malato
di tumore alla prostata con la tecnica laparoscopica. Pioniere, si
disse, grazie a un'esperienza maturata in Francia sulla
prostatectomia radicale. Un anno e mezzo dopo vinse un concorso a
Viterbo e lì fu trovato morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio
2004. Overdose da eroina raccontano gli atti dell'epoca, ma appare
sempre più chiaro che potrebbe essere stato ucciso. E che dietro il
suo omicidio ci possa essere la mafia con la "M" maiuscola, cioè
Bernardo Provenzano. Che di quel medico avrebbe avuto bisogno
durante la latitanza e che avrebbe ordinato di ammazzarlo perché lo
aveva riconosciuto «o perché – come dice adesso mamma Angela – si
era rifiutato di prestargli le cure».
Lo dice un'intercettazione del 2003 scovata da un giornalista
inglese e sulla quale insistono verifiche attendibili. I boss
discutono «di dover fare la doccia a un medico». Una pugnalata per
Angela: «Leggere quella conversazione mi ha fatto pensare
all'Olocausto. Agli ebrei che vengono accompagnati nelle camere a
gas».
Pochi giorni prima di finire riverso sul letto di casa col naso
deviato e un testicolo gonfio «Attilio aveva confidato a un medico
suo amico di non essere tranquillo. Invitato a raccontare di più,
senza remore di fiducia, rispose: "Non posso dirlo nemmeno ai miei
genitori". Pochi giorni prima di essere ucciso, telefonò a casa e
chiese a suo padre se conoscesse un tale, poi risultato vicino a un
boss della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Rosario Pio Cattafi».
Un nome finito al centro di diversi misteri italiani, (al momento
non indagato) tirato in ballo da un collaboratore di giustizia
attrezzato di plurimi attestati di credibilità: Carmelo D'Amico
detenuto insieme a un mafioso molto vicino al boss dei Corleonesi e
da lui "omaggiato" di dettagli sul caso Manca. Il pentito lo indicò
come colui che avrebbe in contatto il gruppo Provenzano con
l'urologo.
La famiglia della vittima, assistita dall'avvocato Fabio Repici, ha
depositato nei giorni scorsi una nuova istanza alla procura di Roma
e alla Direzione nazionale antimafia. Ci sono nuove evidenze e fatti
intervenuti nel frattempo considerati dirimenti dal legale per
corroborare una riapertura dell'inchiesta. Tra queste, le
conclusioni della commissione parlamentare antimafia che parla
apertamente di una morte «dovuta a probabili contatti con
Provenzano». C'è poi l'assoluzione definitiva e con formula piena
della donna, Monica Mileti, che – per l'accusa - avrebbe ceduto
l'eroina al medico. Non c'entrava niente con questa storia. E c'è la
consulenza del tossicologo Salvatore Giancane che è una mitragliata
sulle indagini svolte all'epoca: «Sulle due siringhe trovate in casa
non c'erano le impronte di mio figlio – racconta mamma Angela -, sul
cadavere c'erano solo i fori delle due somministrazioni, non venne
repertato nessun altro segno di pregresse venipunture». Ancora: «i
segni delle punture di eroina rinvenute sul braccio sinistro sono
incompatibili con il mancinismo puro di mio figlio». Infine: «Non fu
rinvenuto nessun laccio emostatico, né l'occorrente per sciogliere
l'eroina».
Sullo sfondo di questa storia che incrocia anche presunti pezzi
deviati dei servizi e l'immancabile massomafia di cui quella
striscia di Sicilia è capitale mondiale, resta la tenacia di una
madre coraggio, rimasta ai margini della città in cui, ha visto
crescere suo figlio e l'ha dovuto infine sotterrare: «In tutta
Italia tante associazioni ci hanno trasmesso solidarietà e
vicinanza. A Barcellona Pozzo di Gotto avvocati, magistrati, medici
non ci salutano. Il Comune non ha mai organizzato una
manifestazione, un convegno per Attilio. Quando cercavo da sola la
verità e facevamo il nome di Provenzano, qualcuno avvicinò la mia
famiglia per suggerire di dire che ero diventata pazza per il
dolore. In questi 19 anni nessun magistrato ha ravvisato la
necessità di interrogare me, mio marito e mio figlio». Piange ancora
dopo tutto questo tempo? «No, sono una donna che il dolore se lo
tiene dentro, sperando un giorno di poter rincontrare Attilio e
dirgli: ho lottato per te».
PROVE DEL POTERE POLITICO DI SPADA: Nuovo coup de théâtre
nella vicenda che ha portato Roberto Spada - esponente di spicco
della criminalità del litorale romano - allo sfratto dall'alloggio
popolare che occupa con la compagna da 17 anni. Già condannato per
il reato di violenza privata, aggravata dal metodo mafioso, Spada è
stato deferito all'autorità giudiziaria per il reato di furto
aggravato di energia elettrica mediante allaccio abusivo: la coppia
avrebbe maturato negli anni un debito di oltre 43 mila euro nei
confronti del comune di Roma e di oltre 11 mila euro nei confronti
del gestore della rete elettrica. Circostanze che la coppia ha
smentito ieri su Facebook: «È solo teatrino. Siamo ancora a casa»,
hanno fatto sapere. L'epilogo è atteso a breve: il sequestro
dell'immobile concede agli Spada 10 giorni di tempo. Dovranno
andarsene entro il primo maggio.
PADRONI DEL MONDO: Sundar Pichai ha l'abitudine di svegliarsi
fra le 6.30 e le 7. Ogni mattina dell'ultimo anno si è alzato con
168 mila dollari in tasca. Tanto ha incassato nelle prime sette ore
di sonno di tutti i giorni del 2022 l'amministratore delegato di
Alphabet, la casa madre di Google. Nei 12 mesi il suo stipendio ha
toccato i 226 milioni, cioè 619 mila dollari al dì, 25.800 all'ora e
430 al minuto. O, se si vuole un termine di confronto, il compenso
di Pichai è stato di 808 volte superiore al pur alto salario medio
dei 190 mila dipendenti della società.
Non è un caso isolato. Secondo un'analisi dell'Economic Policy
Institute, fra 1978 e 2021 il compenso dei manager delle 350
maggiori imprese statunitensi è aumentato del 1.460% e questo
tenendo conto dell'inflazione. Non ne hanno invece tenuto conto i
salari medi dei dipendenti che negli stessi 43 anni sono saliti
soltanto del 18%. La tendenza pare destinata a proseguire: la
retribuzione mediana dei ceo di Wall Street è aumentata del 6,3% nel
2022.
Il divario fra le remunerazioni dei capi-azienda e dei loro
sottoposti si sta così ampliando a dismisura. Se nel 1965 l'ad di un
grande gruppo americano guadagnava 20 volte un suo dipendente, oggi
il rapporto è di 399 a 1. Detto altrimenti, l'ad incassa in un
giorno più che un lavoratore in un anno. Ma come si è scavato questo
solco? «Nel tempo gli investitori hanno cercato di legare sempre più
i pacchetti retributivi degli amministratori delegati ai risultati
dell'azienda, in modo da allineare gli interessi del mercato e dei
manager», spiega Fabio Bianconi, managing director di Morrow Sodali,
fra i principali consulenti nella corporate governance. «Gli
azionisti dedicano quindi più attenzione al metodo impiegato per
determinare la retribuzione e meno al suo ammontare: chiedono che i
parametri di performance – economica, finanziaria o ambientale –
siano misurabili e verificabili in maniera scientifica», prosegue.
«È perciò aumentata l'incidenza sul compenso finale della componente
variabile, legata anzitutto all'andamento della società in Borsa».
La corsa dei mercati azionari - e di Wall Street in particolare - ha
così trainato la crescita degli stipendi, producendo un altro
fenomeno curioso: la sottostima delle paghe dichiarate dagli ad. La
retribuzione media riconosciuta ai top manager americani nel 2021 è
stata di 15,6 milioni, mentre quella effettivamente intascata ha
raggiunto i 27,2 milioni. Merito della differenza fra il valore
teorico delle azioni all'assegnazione e quello effettivo al loro
incasso.
Lo stipendio da 226 milioni di Pichai è frutto per esempio di una
stima, probabilmente per difetto: la dimensione finale del suo
compenso dipenderà da diversi fattori, soprattutto all'andamento di
Alphabet in Borsa. L'ultimo piano del 2019 riconosceva sulla carta
al manager un bonus di 277 milioni; in realtà, gli ha fruttato in
tre anni 504 milioni, l'82% in più.
Simili emolumenti hanno suscitato proteste all'interno e all'esterno
delle assemblee dei soci. L'anno scorso, per esempio, molti
investitori hanno criticato i 100 milioni ricevuti dal ceo di Apple,
Tim Cook, e i 212 milioni incassati dall'omologo di Amazon, Andy
Jassy. Non è da escludere che tocchi anche a Pichai, se non altro
perché Google ha appena annunciato 12 mila licenziamenti.
Qualcuno, intanto, inizia a dubitare della validità stessa del
meccanismo che aggancia le remunerazioni ai dati
economico-finanziari di una società. Gli ad delle grandi compagnie
petrolifere, per esempio, hanno ottenuto lauti incrementi
retributivi nel 2022 grazie all'impennata dei prezzi di greggio e
gas. Davvero merito della loro gestione accorta? O della guerra in
Ucraina?
La stessa domanda si pone per i colossi digitali come Apple, Google
e Amazon. Il loro boom nel biennio 2020-21 è da ascrivere
all'indubbia superiorità tecnologica o all'imprevedibile pandemia
che ha costretto alla digitalizzazione le relazioni sociali e
lavorative? «La paga strabiliante dei dirigenti premia la fortuna,
non la capacità manageriale», ha chiosato il Financial Times.
«In Europa i livelli retributivi non sono paragonabili a quelli
raggiunti negli Stati Uniti perché da un lato le aziende hanno
dimensioni inferiori e dall'altro il controllo sociale è superiore»,
precisa comunque Bianconi. Ciò non toglie che alcuni casi abbiano
fatto scalpore. Basti pensare al dibattito sui 7,5 milioni percepiti
nel 2022 dall'ad di UniCredit, Andrea Orcel, e sui 23,5 milioni
incassati da quello di Stellantis, Carlos Tavares. Il compenso
assegnato al manager dell'auto nel 2021 (19 milioni) è diventato
persino oggetto di scontro elettorale fra Marine Le Pen ed Emmanuel
Macron.
Quest'ultimo aveva promesso che, in caso di rielezione alla
presidenza, si sarebbe adoperato per imporre un tetto a livello
europeo ai compensi degli amministratori delegati. A quel proposito
non sono seguite iniziative legislative, così come non ha avuto
successo in passato il referendum in Svizzera volto a stabilire un
rapporto massimo di 12 fra lo stipendio di manager e dipendenti. —
NESSUNO LI PUO' FERMARE IN TERRA COME IL RICCO EPULONE : vero
che nella vita ci si abitua a tutto. Ci abituiamo a trovare le scale
mobili rotte nella metro, alla spazzatura fuori dai cassonetti e
alle fanfaronate di molti politici. Ma non riusciamo ad abituarci
agli stipendi astronomici di certi super manager. So di toccare uno
degli argomenti preferiti dai populisti ed io non lo sono. Ma per
esempio i 226 milioni di dollari guadagnati lo scorso anno dal
numero uno di Google Sundar Pichai sono uno dei tanti segnali che il
nostro sistema economico è guasto. Anzi, è marcio. I 226 milioni di
dollari non sono lo stipendio di Sundar Pichai: quello è di 2
milioni di dollari; la gran parte del resto, 218 milioni di dollari,
proviene dal pacchetto di azioni di Google che l'amministratore
delegato incassa ogni tre anni (tre anni fa fu addirittura di 281
milioni).
Nessuno qui contesta la bravura di Sundar Pichai come manager (anche
se il valore delle azioni di Google lo scorso anno è crollato di
quasi il 40 per cento e l'azienda a gennaio ha licenziato 12 mila
persone, il 6 per cento dei dipendenti, bloccando promozioni e
benefit per tutti gli altri: insomma, non esattamente una grande
performance per un manager).
Ma Google non è una società che fa beneficenza e Pichai avrà
sicuramente centrato degli obiettivi che gli erano stati assegnati
per avere tutti quei soldi. Il punto è un altro: è stato calcolato
che il salario medio a Google è 280 mila dollari l'anno, quello di
Pichai, considerando le azioni, è 800 volte superiore. Ha senso per
una azienda? Una volta Adriano Olivetti stabilì che nessun
amministratore delegato doveva guadagnare più di dieci volte
l'ammontare del salario minimo di un operaio. Una "regola morale"
largamente inapplicata.
Se poi guardiamo al salario minimo di 15 dollari e mezzo l'ora che
vige in California, dove Google ha sede, è stato notato che una
persona dovrebbe lavorare per più di settemila anni per guadagnare
quello che Pichai ha guadagnato lo scorso anno. Pensate ad un essere
umano di settemila anni fa: molto prima della civiltà
assiro-babilonese per intenderci. Pensate ad un essere umano che
inizi a lavorare allora, nel Neolitico, e lavori ogni giorno fino ad
oggi per eguagliare quello che Sundar Pichai ha intascato in appena
un anno. Ha senso? Come si tiene assieme una società dove la
distanza fra pochi super ricchi e tutti gli altri aumenta ogni anno?
Il problema è che il caso di Sundar Pichai non è un caso ma un trend
che va avanti da quasi mezzo secolo: dal 1978 ad oggi i compensi dei
super manager sono cresciuti del 1460 per cento. E perché quelli di
tutti gli altri sono sempre fermi? Qui non siamo più all'1 per cento
che ha più ricchezza del restante 99 come si diceva ai tempi di
Occupy Wall Street: siamo allo 0,1 che ha più ricchezza del 99,9.
Che fare? Un paio di mesi fa l'amministratore delegato di Apple, Tim
Cook, ha proposto all'assemblea degli azionisti di ridurgli il
compenso per il 2021 e 2022 di circa il 40 per cento, portandolo a
49 milioni di dollari l'anno, dopo che gli stessi azionisti si erano
lamentati per l'importo alla luce del calo del 27 per cento in Borsa
delle azioni di Apple. Ma la soluzione ad una così lampante
disparità, ad una diseguaglianza che aumenta, può essere affidata al
buon cuore, o meglio, alla decenza, di un top manager? —
Questi sono i risultati quando si sbaglia il ministro dell’economia
: I ritardi sul Pnrr e le mosse della Banca centrale europea
mettono l'Italia nel mirino dei mercati. Ed è possibile che arrivino
nuove fibrillazioni sui Btp. A lanciare l'allarme è il suggerimento
di Goldman Sachs, che preferisce la Spagna rispetto all'Italia e
vede uno spread in aumento di 50 punti base entro fine anno. Vale a
dire, fino a 235 punti base. Preoccupano l'attuazione del Recovery e
le conseguenze del restringimento del bilancio della Banca centrale
europea (Bce). Da giugno, salvo sorprese, si aumenterà la stretta, a
oggi pari a 15 miliardi al mese. A ballare sono Btp per circa 36
miliardi di euro. E non c'è solo Goldman Sachs a essere scettica.
Anche fondi hedge come Brevan Howard, Bridgewater e Citadel sono
pessimisti su Roma.
Non si può parlare di fuga totale, che potrebbe non esserci.
Tuttavia, l'indicazione è chiara. In uno scenario di crescente
incertezza, amplificato dai chiari di luna del governo Meloni su
diversi dossier, il consiglio è quello di «andare corti» sui Btp. In
altre parole, venderli. Pnrr in bilico, riforma del trattato del Mes
da ratificare, una legge di Bilancio asfittica e un Patto di
Stabilità e Crescita che potrebbe penalizzare Roma sono tra le
motivazioni che stanno inducendo più di un'istituzione bancaria a
rivedere le proprie posizioni sul debito italiano. «I fondamentali
dell'eurozona non riflettono gli attuali valori degli spread. I
rialzi dei tassi della Bce non sono ancora prezzati», avvertono gli
strategist di Citi e di Morgan Stanley. Per la banca statunitense
guidata da David Solomon, «è improbabile che si rafforzi la
congiuntura favorevole che ha sostenuto» il credito sovrano e in
particolare quello dell'Italia. Goldman Sachs in particolare prevede
che «aumenti il controllo (da parte della Commissione europea, ndr)
sull'attuazione del Recovery Fund da parte dell'Italia» il che
«potrebbe iniziare a pesare sulle aspettative di crescita» del
Paese.
Non è dissimile la visione di tre dei maggiori fondi d'investimento
internazionali. Due settimane fa Bridgewater ha iniziato, secondo le
indiscrezioni, uno short (una scommessa al ribasso, ndr)
sull'Eurozona in vista dei prossimi sei mesi. Ovvero quando
s'intensificherà il Quantitative tightening (Qt) della Bce. Sono 36
i miliardi di euro di Btp italiani in pancia a Francoforte, nel
portafoglio dell'Asset purchase programme, che andranno in scadenza
nel 2023 e non saranno rinnovati. «Si tratta di un percorso dovrà
essere calibrato anche nelle strategie», ha segnalato a inizio
aprile una nota di Citadel. Kenneth Griffin, come Ray Dalio,
preferisce asset più sottovalutati. Ragionamento che, tanto per
Bridgewater quanto per Citadel e Brevan Howard, non vale per
l'Italia e il suo debito. I cui tassi, come rimarcato anche da J.P.
Morgan, sono ancora troppo benigni. Ieri il differenziale di
rendimento fra i Btp a 10 anni e i corrispettivi tedeschi è stato di
187 punti base. Legittimo, ha scritto Citi a fine marzo, un
ritracciamento al rialzo.
Un primo banco di prova si avrà giovedì prossimo, quando il Tesoro
emetterà titoli di Stato per 9 miliardi di euro. Nello specifico, il
Mef andrà in asta con Btp a 5 anni per 2,5 miliardi, Btp a 10 anni
per 5 miliardi e Ccteu a 7 anni per 1,5 miliardi. Importante sarà
capire, come sottolineato da Bank of America, «come si muoveranno i
rendimenti del debito europeo» in modo «da posizionarsi in modo
strategico per il resto del 2023». Occhi puntati sull'Italia.
Intanto, mentre le banche internazionali e gli hedge fund si
posizionano, arrivano nuove richieste di più intransigenza sulla
normalizzazione della politica monetaria. il governatore della banca
centrale del Belgio. Pierre Wunsch, in un'intervista al Financial
Times è stato chiaro: «Non sarei sorpreso se a un certo punto
dovessimo salire al 4%». Vale a dire almeno un altro rialzo da 50
punti base o due da 25. E proprio di 50 punti base ha parlato Isabel
Schnabel, membro tedesco del Board della Bce. «È chiaro che
occorrono altri incrementi dei tassi, così come che l'ammontare
dipenderà dai dati che arriveranno», ha spiegato. Ciò che è sicuro,
ha detto Schnabel, è che «un aumento da 50 punti non è fuori dal
tavolo di discussione». La corsa verso il 4 maggio, quando
Francoforte deciderà le prossime mosse, è iniziata.
ERRORI SVIZZERI DISTRUTTIVI: La finanza internazionale torna
ad avere dubbi sui buoni del Tesoro italiani, ma questo non si
risolve in una corsa dei capitali verso le banche svizzere: il loro
mito è incrinato, e lo si legge nella grande fuga di capitali dal
Credit Suisse. L'istituto di Zurigo è fallito il 19 marzo, poi è
stato salvato dal gruppo Ubs grazie a un'operazione abbondantemente
lubrificata da fondi pubblici di Berna, e adesso si lecca le ferite.
Nel primo trimestre del 2023 sono scappati dai forzieri del Credit
Suisse più di 128 miliardi di franchi, fra depositi e titoli in
gestione, una quantità di denaro che corrisponde quasi esattamente a
128 miliardi di euro (visto che la Banca centrale elvetica si svena
per mantenere il cambio fra le due valute vicino al rapporto 1 a 1).
Ieri è stata pubblicata la trimestrale del Credit Suisse da cui
risulta, ed è il dato più preoccupante, che la grande fuga non è
ancora finita: il gruppo comunica che «nella seconda metà di marzo
la banca ha registrato una significativa perdita di depositi e asset,
più acuta nei giorni immediatamente precedenti e seguenti l'annuncio
della fusione, secondo una tendenza che, seppure attenuata, ad oggi
non si è ancora invertita». Insomma l'acquisizione da parte di Ubs
non ha ancora prodotto quel ritorno di fiducia e di capitali che ha
motivato l'operazione.
In dettaglio, la crisi è costata un deflusso netto di 67 miliardi di
franchi di depositi e 61,2 miliardi di titoli (il 5% del totale) e
questo si è aggiunto ai numeri già pesantemente negativi del quarto
trimestre 2022, quando i dubbi sulla strategia di rilancio del
Credit Suisse, nonostante un aumento di capitale da 4 miliardi di
franchi, avevano spinto i clienti a spostare 110 miliardi di asset
netti e a ritirare 138 miliardi di depositi. A conti fatti nel primo
trimestre 2023, quello del grande crac, è andata meglio del
precedente, ma è una magra consolazione.
I conti della banca, pur se ripuliti dall'azzeramento di 15 miliardi
di bond At1 (contro il quale un gruppo di investitori ha citato in
giudizio la Finma, la Consob svizzera) restano in profondo rosso:
l'utile contabile di 12,4 miliardi di franchi si traduce in una
perdita "adjusted" prima delle tasse di 1,3 miliardi, e anche per
l'intero 2023 è attesa «una sostanziale perdita». Secondo gli
analisti di Kbw «la dimensione delle perdite e dei deflussi è
allarmante» e il Credit Suisse «rischia di rimanere una zavorra per
Ubs».
24.04.23
PUTIN=HITLER : Il Sudan
rientra in una più ampia "orbita africana" in cui la Russia vuole
cristallizzare la propria presenza attraverso il gruppo Wagner. La
conferma giunge dai leak del Pentagono, riferisce il Washington Post
secondo cui la società di Yevgeny Prigozhin vuole creare una
"confederazione" di Stati anti-Occidente in Africa. Il gruppo
«fomenta instabilità in Africa usando i suoi paramilitari e puntando
sulla disinformazione per rafforzare gli alleati di Mosca». In una
delle carte segrete si stilano le opzioni a cui Usa e alleati
potrebbero ricorrere per colpire Wagner. Fra queste: offrire
informazioni mirate alle forze ucraine per aiutarle a uccidere i
comandanti del gruppo. Wagner è presente in diversi Paesi del
continente tra cui la Repubblica Centroafricana dove ha stabilito il
proprio baricentro (operativo e di intelligence). Lo Stato
(praticamente fallito) è uno snodo chiave sulle dorsali di traffici
leciti e illeciti che si intersecano tra Africa occidentale a
orientale. In particolare, sulla direttrice delle rotte
dell'illegalità che dal Golfo di Guinea arrivano al Congo e dove
opera Iswap (ovvero l'Isis), e dell'altra parte dove si concentrano
gli interessi leciti soprattutto dei cinesi, partendo dal Golfo di
Aden un punto chiave anche per la presenza meno forte degli Usa in
Somalia (in chiave anti al-Shabaab). «In un momento di forti
pressioni sull'Europa e di distrazione sull'Ucraina i Paesi
tradizionalmente presenti in Africa, Francia e Usa in testa,
allentano la presenza sul continente e la Russia ne approfitta. Non
è un caso che appena Parigi ha ritirato la missione Barkane dal
Sahel, il giorno dopo in Mali è arrivata Wagner», spiega il
professor Arije Antinori, docente de La Sapienza, ed esperto europeo
di terrorismo e "stratcom". Secondo Antinori, i mercenari
garantiscono la sicurezza alle leadership locali, proponendosi anche
come guardiani dei grandi investimenti degli altri attori
internazionali. «Tra tutti i cinesi che pagano per cautelarsi e
prediligono accordi con la Russia essendo già partner». Per il
futuro occorre osservare che la Wagner sta «tamponando le posizioni
di interesse jihadista e gli hotspot per i migranti, perché
garantisce la sicurezza, fa affari e regola all'occorrenza i
rapporti con i gruppi terroristici anche trattando - conclude
Antinori -. In cambio la Wagner acquisisce risorse posizionandosi
nelle aree di attivazione dei macroflussi dei migranti diretti in
Europa»
SCARSA MEMORIA CINESE: «Questi Paesi dell'ex Unione Sovietica
non hanno uno status effettivo secondo il diritto internazionale,
perché non c'è un accordo che concretizzi il loro status di Paesi
sovrani». A parlare è Lu Shaye, ambasciatore cinese a Parigi, alla
tv francese. Una risposta alla domanda se considerasse la Crimea
parte dell'Ucraina. Lu dimentica (o non considera) che la Cina ha
invece riconosciuto nel 1994 l'accordo del memorandum di Budapest,
in base al quale la Russia ha accettato i confini dell'Ucraina.
Pechino aveva anche offerto le proprie garanzie di sicurezza,
affidandosi a Kiev sull'import militare. La Francia e i Paesi
Baltici hanno condannato le dichiarazioni di Lu. L'alto
rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, le ha
definite «inaccettabili». Il consigliere presidenziale ucraino,
Mykhaylo Podolyak, ha parlato di commenti «assurdi» e ha aggiunto:
«Se Pechino vuole essere un attore politico importante, non può
ripetere a pappagallo la propaganda dei russi». Per nulla contente
le repubbliche dell'Asia centrale, a cui Xi Jinping ha promesso
aiuto contro «qualsiasi interferenza esterna». Lu è considerato uno
dei cosiddetti «lupi guerrieri» della diplomazia cinese. A
differenza di altri, ama rilasciare interviste ed è spesso autore di
affermazioni roboanti. Lo scorso agosto, per esempio, aveva detto
che «dopo la riunificazione i taiwanesi andranno rieducati» per
farli tornare «patriottici». La sua ultima uscita rischia di
offuscare l'immagine da «grande stabilizzatore» che Xi sta cercando
di proiettare sulla scena globale. Un problema, per di più, nato
proprio da quella Francia che il leader cinese era convinto di aver
irretito ospitando Emmanuel Macron.
LULA INAFFIDABILE: Nonostante le promesse di Lula,
l'Amazzonia continua a bruciare e il mondo, ad iniziare
dall'amministrazione Biden, si prodiga per aiutare il Brasile. Il
presidente americano ha annunciato una donazione di 500 milioni di
dollari al Fondo Amazzonia, il meccanismo di aiuti internazionali
istituito 20 anni da Norvegia e Germania e che adesso torna dopo la
sospensione forzata durante il governo di Jair Bolsonaro. Il futuro
della più grande foresta tropicale del Pianeta sta a cuore
all'Occidente perché ad esso sono legate le strategie di lotta al
riscaldamento globale.
Lula da Silva, che si è insediato ad inizio anno, ha promesso un
cambio di rotta totale rispetto al negazionismo del suo
predecessore, secondo il quale la foresta andava vista come
un'enorme risorsa da sfruttare economicamente e non un patrimonio da
proteggere. Come marchio di qualità, il presidente progressista ha
sistemato la paladina Marina Silva al ministero dell'ambiente, ma
gli ultimi dati sulla deforestazione non sono affatto buoni. Nei
primi tre mesi dell'anno, che coincidono con il primo trimestre del
nuovo governo, il disboscamento è cresciuto invece che diminuire. A
marzo è addirittura triplicato rispetto all'anno scorso; i
rilevamenti satellitari parlano di 870 chilometri quadrati di
foresta distrutta, il triplo rispetto allo stesso periodo dell'anno
scorso. A Brasilia spiegano questi dati con lo stato disastroso in
cui hanno trovato gli organi chiamati a proteggere la foresta, ad
iniziare dall'Ibama, la polizia ambientale, con 2.500 agenti
licenziati durante il governo Bolsonaro. Sostengono poi che i
«nemici» dell'Amazzonia stanno premendo sull'acceleratore perché
sanno che avranno filo da torcere in futuro. L'esercito, ad esempio,
ha già smantellato una decina di piste d'atterraggio clandestine
nella riserva degli indios Yanomani, che venivano usate dai «garimpeiros»,
i cercatori illegali d'oro.
Spiegazioni anche plausibili, ma sta di fatto che gli occhi del
mondo sono puntati sull'Amazzonia e tutti si aspettano fatti
concreti oltre le promesse. Lula lo sa e parlerà di questo a Madrid
con il premier spagnolo Pedro Sanchez. La questione ambientale, del
resto, è cruciale per lo sblocco definitivo dell'accordo commerciale
tra Unione Europea e Mercosur. Dopo la notte del bolsonarismo il
Brasile, ora, è chiamato a fare la sua parte.
UN'EROE : Ha salvato due ragazzini in difficoltà mentre
facevano il bagno al mare, ma è scivolato in acqua ed è morto. Il
corpo di Vito Bugliarello, 35 anni, è stato ritrovato dai
sommozzatori dei vigili del fuoco di Reggio Calabria che lo
cercavano da sabato, quando l'uomo risultava disperso in mare tra
Siracusa e Avola. Bugliarello aveva visto in difficoltà due
ragazzini, entrambi minorenni, che approfittando della giornata
primaverile avevano deciso di fare un bagno vicino al ponte di
Cassibile. In un primo momento, l'ipotesi era che i due giovani
fossero finiti in acqua mentre si scattavano un selfie: tesi poi
smentita dagli accertamenti. I due una volta in acqua erano in
difficoltà a tornare a riva e Bugliarello, che ha visto tutto da
terra, ha deciso di aiutarli e ha legato due teli, poi gettati in
acqua come fossero una corda. Ma l'uomo è scivolato in acqua. Per
tutta la giornata di ieri sono andate avanti le attività di ricerca
con il coordinamento della Capitaneria di Porto: poi il cadavere è
stato recuperato vicino a un costone roccioso, distante chilometri
dalla caduta in mare. Bugliarello era originario di Floridia, aveva
frequentato l'Istituto tecnico Fermi a Siracusa ed era un amante dei
viaggi che immortalava sulla sua pagina Facebook da Mykonos a Pukhet.
Molti gli amici e conoscenti che gli rendono omaggio sui social
chiamandolo «eroe» e apprezzando il suo coraggio e altruismo.
«Staremo sempre vicino alla famiglia Bugliarello. Cercando di
mettere ogni giorno in pratica ciò che vostro figlio ci ha insegnato
con questo grande gesto», scrive un utente sotto il profilo
dell'uomo. La procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta. —
23.04.23
Aumenti a doppia cifra sulla filiera per gli ingredienti chiave Pizza sempre più cara, pesano olio e pomodori
Mai così cara. Oltre alla pasta, anche la pizza diventa sempre più
costosa. Secondo il Pizza Margherita Index di Bloomberg, una
classica costa l'8,5% in più rispetto a un anno fa. Ma sono i
singoli ingredienti a essere schizzati. Più 13,4% anno su anno per
la passata di pomodoro, più 17,6% per la farina, +26,9% per la
mozzarella, +27% per l'olio di oliva. E più 28% per gli extra costi
dell'energia elettrica. A peggiorare la situazione, la siccità che
sta imperversando da due anni in Europa. Ne deriva che per trovare
una pizza margherita a buon mercato bisogna cercare bene.
Una volta era il cibo popolare per eccellenza. Ora sta diventando un
lusso. Secondo il Margherita Index, dopo i rincari dell'energia, ora
sono quelli delle materie prime a preoccupare. In particolare,
spiega Bloomberg, quello dell'olio di oliva. Il quadro siccitoso
della Spagna, il maggiore produttore al mondo di questo ingrediente,
è tale che stanno aumentando i prezzi in modo pirotecnico. Più 2,2%
mese su mese per l'olio di oliva. E più 1,9% per i pomodori. In
aumento, inoltre, anche il prezzo della mozzarella.
Salgono dunque i casi in cui le famiglie decidono di privarsi della
classica "pizzata" al ristorante, preferendo soluzioni alternative.
Come la produzione domestica, per evitare di pagare il coperto e
spese accessorie. «Un fenomeno sempre più diffuso», si fa notare.
SPECULAZIONE: A sferrare il primo attacco sul caro-pasta è
stata Coldiretti, a ruota sono arrivati i consumatori invocando
l'intervento di Mister prezzi, chiamando in causa l'Antitrust e le
procure e rilanciando le accuse contro i produttori, che a loro
volta han tirato in ballo le fluttuazioni di mercato contro cui «non
possono far nulla». La «guerra del maccherone» è combattuta da
giorni a suon di numeri, i costi del grano duro che negli ultimi
tempi sono letteralmente crollati e quelli della pasta, uno dei
vanti del made in Italy, che nello stesso lasso di tempo sono
aumentati del 18/25/35% a seconda delle stime a fronte di una
inflazione che a marzo è scesa al +7,6%. Quelli di Coldiretti,
guardando l'andamento dei prezzi medi al consumo, parlano di «chiara
distorsione» del mercato. L'Assoutenti a sua volta ha deciso di
inviare un dossier a Mister prezzi e al ministro delle Imprese e del
Made in Italy per spingerli a verificare se siano in corso
speculazioni. «La pasta – spiega il presidente Furio Truzzi – è uno
dei beni più amati dagli italiani, con un consumo pari a circa 23
chilogrammi procapite all'anno ed è evidente che listini così
elevati incidono sulle tasche dei consumatori». Il Codacons,
addirittura, sta studiando un esposto all'Antitrust e alla
magistratura.
Secondo l'Osservatorio del Ministero del Made in Italy a marzo in
media un chilo di pasta costava 2,13 euro, ovvero il 25,3% in più di
un anno fa quando il costo medio di spaghetti penne e rigatoni si
fermava a un euro e 70. In base ai dati elaborati da Assoutenti il
record spetta ad Ancona, dove il prezzo medio si attesta a 2,44 euro
al chilo, a seguire Modena (2,41), Cagliari (2,40), Bologna (2,39) e
Genova (2,38). Tra le grandi città Torino tocca quota 2,29, Milano
2,15, Roma 2,30 e Napoli 1,88. La città più economica è Cosenza,
dove per due pacchi di pasta basta un euro e 48. Solo 12 province
italiane registrano oggi listini medi della pasta inferiori ai 2
euro al chilogrammo, e tra la città più costosa e quella meno cara
(Ancona e Cosenza) la differenza di prezzo è del 64,8%, pari a quasi
1 euro in più al chilo. A Siena (+58,4) e Firenze (+52,8) i rincari
annui più forti, ad Alessandria (+4,6%) quelli più contenuti.
Di contro le quotazioni del grano duro sono pressoché uniformi lungo
tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo. E se nei primi
sei mesi del 2022 il grano duro costava 550 euro a tonnellata negli
ultimi giorni è arrivato a costare 360-390 euro a tonnellata. Per
Coldiretti siamo di fronte ad una evidente «anomalia di mercato
sulla quale occorre indagare, anche sulla base della nuova normativa
sulle pratiche sleali a tutela delle 200 mila imprese agricole che
coltivano grano» e che a fronte di queste quotazioni in molti casi
saranno costrette a rinunciare alle semine.
«Il grano ha prezzi troppo fluttuanti e non è l'industria della
pasta a determinare il prezzo del grano duro, a farlo è il mercato
globale con meccanismi e quotazioni internazionali» si difende il
presidente dei pastai di Unione Italiana Food, Riccardo Felicetti.
«Contrariamente a quanto viene spesso detto – aggiunge – il grano
estero costa anche più di quello italiano (in media il +10%),
soprattutto in questo momento storico particolare. Spiace che la
Coldiretti continui ad avanzare dei dubbi su presunte speculazioni,
con il consueto intento di confondere i notri consumatori».
Felicetti spiega poi che «la pasta che compriamo oggi è fatta col
grano acquistato mesi e mesi fa a prezzi più alti. Inoltre quando
parliamo di pasta è vero che il grano duro e la semola impattano in
modo rilevante sul costo finale, ma dobbiamo tenere presente anche
altre voci di costo come l'energia, gli imballaggi primari e
secondari e la logistica (trasporto locale e internazionale), tutti
ambiti in cui i rincari sono ancora evidenti ed elevati. Nonostante
tutto – conclude Felicetti – la pasta continua a restare un alimento
accessibile, perché con mezzo chilo di pasta e pochi altri
ingredienti si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e
bilanciato per una famiglia di 5 persone, con meno di due euro».
«Il prezzo della pasta deve scendere immediatamente. Le scuse stanno
a zero. È vero che a fare il prezzo è il mercato globale, peccato
che il prezzo del frumento duro sia sceso» ribatte Massimiliano
Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. Secondo lo
studio dell'Unc, i prezzi della pasta stanno salendo
ininterrottamente dal giugno del 2021 e sono esplosi a partire da
agosto 2021, per via dei cattivi raccolti in Canada e Usa. Da allora
i prezzi sono rincarati del 35-37%. Ma ora la situazione nei mercati
all'ingrosso è completamente cambiata ed i prezzi dell'energia sono
scesi, «per cui non ci sono più giustificazioni: i prezzi devono
calare senza se e senza ma».
Come finirà la disputa? Secondo gli operatori del settore occorrerà
aspettare qualche mese per vedere i prezzi al dettaglio della pasta
scendere, anche perché la grande distribuzione nel 2011 ha fatto
aspettare mesi prima di riconoscere ai produttori i rincari delle
materie prime che già allora segnavano forti aumenti. Nell'attesa
l'unica via di scampo che hanno i consumatori è quella di
aggrapparsi alle offerte promozionali. Buona caccia. —
L'EFFETTO DELLA BURLA GRILLO : La gratitudine, si sa, non è
di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di
stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che
qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel
piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello
che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in
precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. E oplà –
come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o
eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova
avventura. O almeno provarci, accreditando così la sensazione che
stia aderendo a quello che, a parti invertite e nella sua precedente
vita politica, avrebbe bollato come voltagabbanismo (parola
certificata dal Vocabolario Treccani).
Dal Movimento 5 Stelle dell'uno vale uno siamo così passati, nei
casi di alcuni ex e fuoriusciti, all'uno vale tutti, o all'uno vale
qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa
di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove
Beppe Grillo perorava la causa dell'economia circolare e del riciclo
il riciclaggio vale anche nell'ambito della carriera. Non male per
chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni
corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato
ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso,
Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle
scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello
specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte)
manifestazioni di coerenza del M5S.
D'altronde, come scriveva Schopenhauer, «declamare è più facile che
dimostrare, e moraleggiare è più facile che esseri sinceri». E,
sempre per rimanere nei dintorni, Nietzsche diceva che «i giudizi
morali sono epidemie che hanno il loro tempo». Scaduto il quale, si
potrebbe soggiungere, scatta l'operazione si salvi chi può. E
dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia,
pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte
alla scoperta (un po'tardiva…) che «l'esperienza e la
professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con
indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente
alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l'altro! ». Così,
adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo,
mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della
platea e benedetto dall'apprezzamento di Schifani perché, va da sé,
«Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello
«smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5
Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto,
accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con
la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto
a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora,
come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti
colpisce… Comunque, l'ex viceministro pentastellato si ritrova in
buona compagnia in quanto a piroette e tripli salti carpiati. Il
gattopardismo, visto che stiamo parlando di politici già
pentastellati siciliani, è sempre in agguato. Che dire, infatti, di
Dino Giarrusso, uno dei grillini "castigadem" più implacabili? Tra
le sue numerose prese di posizione in materia si possono ricordare
tweet e post nei quali, allo scoppio di uno scandalo nella sanità
regionale, sosteneva che «in Umbria c'è un'organizzazione criminale
legata al Partito democratico». E al culmine dello scontro con Conte
gli aveva pure rimproverato di avere trasformato il M5S nello
«zerbino del Pd». Eppure, evidentemente, quel «partito morto» (altra
garbata definizione del Pd) esercitava nei suoi confronti un fascino
"necrofilo" irresistibile, al punto da avere sfacciatamente provato
a entrarci, fino a che una sollevazione interna ai dem gli ha
sbarrato la strada. E non c'è due senza tre, come mostra la plurima
parabola di Laura Castelli, anche lei purissima fondamentalista del
grillismo e "integerrima" avversaria della partitocrazia (altrui),
che salpò con la scialuppa dimaiana di Insieme per il futuro.
Avventura finita ingloriosamente e, allora, ecco che la "creativa" e
sabauda ex viceministra dell'Economia ha deciso di approdare al
ruolo di portavoce di «Sud chiama Nord», la lista di Cateno De Luca,
per la quale era brevemente transitato (con dirompente litigio
finale) lo stesso Giarrusso.
D'altronde, il trasformismo sta nel dna della politica nazionale da
un bel po'di tempo. Praticamente da subito, dal 1876, l'epoca della
«rivoluzione parlamentare» che portò Agostino Depretis alla
presidenza del Consiglio dei ministri. E, difatti, anche i
protagonisti della diaspora grillina si ergevano a (incendiari)
rivoluzionari, per poi finire, inevitabilmente, pompieri. E, per
riprendere il filo della comparazione storica, si sono rivelati
degli aspiranti notabili postmoderni, alquanto – non ce ne voglia
nessuno, si tratta semplicemente di una constatazione (e del
principio di realtà) – in sedicesimo rispetto ai predecessori
ottocenteschi.
IL MIGLIOR ALLIEVO DI RENZI: L'ex
capogruppo dei senatori del partito Democratico Andrea Marcucci, un
renziano di ferro rimasto coi dem anche dopo che l'ex premier aveva
fondato Italia Viva, ha annunciato ieri in un post sui social di non
aver rinnovato la tessera Pd per il 2023. «Non rinnoverò la tessera
del Pd per il 2023, il partito di Elly Schlein è molto lontano da
quello che penso io - ha scritto Marcucci -. Incontrerò la nuova
segretaria nei prossimi giorni, per spiegarle i motivi della mia
decisione. Il Pd ha comunque una funzione molto importante:
competere coi 5 Stelle, la possibilità di costruire un'alternativa
alla destra passa comunque da un forte ridimensionamento del partito
di Conte».
Oltre a Marcucci in Toscana ha deciso di lasciare i Pd anche l'ex
assessore comunale Massimo Mattei, ma se quest'ultimo entrerà
direttamente in Italia Viva, Marcucci dovrebbe rafforzare l'ala
liberale del Terzo Polo puntando a costruire una federazione per
tenere assieme Renzi e Calenda. «Meglio concentrarsi sull'ipotesi
concreta della federazione - ha infatti spiegato - non sul partito
unico. Sento il dovere di lavorarci, sono un'inguaribile ottimista,
ce la faremo». Fonti di Italia Viva, ieri hanno fatto sapere che
«Matteo Renzi è concentrato in queste ore sul numero zero de Il
Riformista, ma si aspetta nelle prossime settimane ulteriori arrivi
anche alla luce del grande successo nelle ultime ore della campagna
di tesseramento».
«Ben ritrovato, Andrea Marcucci. Ottima scelta. Gli altri liberali e
riformisti ancora nel Partito Democratico cosa aspettano? Noi
liberali e democratici europei siamo pronti per costruire Renew in
Italia» ha scritto invece sui social Sandro Gozi, eurodeputato di
Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo.
PUTIN MODELLO HITLER : Una delle foto più significative
circolate nei giorni scorsi mostra alcuni combattenti delle Forze di
supporto rapido del Sudan (Rsf) maneggiare alcuni missili terra-aria
da una cassa appena giunta a destinazione. Le armi hanno compiuto un
lungo tragitto prima di approdare nel Paese di nuovo sconvolto dai
combattimenti che vedono contrapposti il gruppo paramilitare guidato
da Mohamed Hamdan Dagalo e il generale Abdel Fattah al-Burhan,
presidente del Consiglio di transizione del Sudan e capo delle Forze
armate del Paese. Il percorso nasce dall'unione di diversi punti,
ognuno dei quali riconducibile a un nome, Wagner, i mercenari che
rappresentano la lunga mano di Mosca nel mondo. A denunciare il
traffico di armi diretto nel Paese africano è stata la Cnn sulla
base di rivelazioni provenienti da fonti diplomatiche sudanesi e
regionali, che troverebbero riscontro nelle immagini satellitari. In
particolare viene descritto l'intensificarsi di rotte aeree e
terrestri in transito nella porzione orientale della Libia, quella
sotto il controllo del generale Khalifa Haftar fedele alleato di
Vladimir Putin.
L'intreccio di relazioni pericolose rende ancora più complicato il
quadro generale nel Paese dove, nonostante l'annuncio di una tregua
di tre giorni per l'Eid al-Fitr, la festa di fine Ramadan, ieri
mattina si sono intensificati gli scontri soprattutto a Khartoum.
Nel frattempo, i piani di evacuazione dei cittadini europei dalla
capitale sono pronti a scattare ma la situazione è ancora troppo
pericolosa e circa 140 italiani sono bloccati, nessuno degli
aeroporti è operativo. Anche se l'ambasciata Usa a Khartoum ha messo
in guardia gli americani che qualsiasi spostamento via terra è
troppo pericoloso, gli 835 km da Khartoum a Port Sudan sono stati
percorsi dai diplomatici sauditi per mettersi in salvo e lo stesso
tragitto di 12 ore dovrebbe essere tentato dalla missione giordana.
Una situazione infuocata che rende l'ipotesi della lunga mano di
Wagner sul Paese deflagrante. I traffici toccherebbero le basi di
Wagner in Cirenaica dove i mercenari che fanno capo a Yevgeny
Prigozhin si sono insediati nel 2019 per dare supporto ad Haftar
nella quarta guerra civile contro le forze di Tripoli a loro volta
sostenute dalla Turchia. Le immagini satellitari analizzate
dall'osservatorio «All Eyes on Wagner» mostrano un aereo da
trasporto russo che fa la spola tra due basi aeree libiche di Haftar
e utilizzate dal gruppo paramilitare. L'intensificarsi delle rotte
del velivolo Ilyushin-76 inizia due giorni prima lo scoppio delle
ostilità in Sudan, e continua per una settimana. L'aereo dalla base
aerea Khadim in Libia giovedì 13 aprile fa rotta sulla città
costiera siriana di Latakia – dove la Russia ha un'importante base
aerea. Da Latakia torna a Khadim. Il giorno dopo, vola di nuovo
verso un'altra base aerea di Haftar a Jufra, nella parte più a sud
della Libia orientale andando ad atterrare in un'area piuttosto
marginale e coperta. L'Ilyushin-76 riparte per Latakia martedì prima
di tornare nuovamente a Khadim e poi a Jufra. Quel giorno, secondo
fonti regionali e sudanesi, la Russia avrebbe paracadutato missili
terra-aria sulle posizioni della milizia di Dagalo nel nord-ovest
del Sudan, in una zona vicina al Tom Camp, dove poi sarebbe giunta
una pattuglia di pick up per recuperare il carico. Per anni Dagalo è
stato un beneficiario chiave del coinvolgimento russo in Sudan, in
quanto destinatario di armi e addestramento da parte di Mosca -
sostengono le fonti della Cnn -. Anche Haftar ha sostenuto Dagalo,
sebbene il diretto interessato neghi ogni schieramento nelle vicende
del Paese confinante. L'aumento dell'attività di Wagner nelle basi
libiche suggerisce tuttavia che sia Putin sia l'uomo forte della
Cirenaica potrebbero essersi preparati a sostenere l'Rsf da tempo.
Anche Prigozhin smentisce ogni coinvolgimento in Sudan: «Wagner non
è in alcun modo coinvolta nel conflitto, le voci che circolano sono
solo provocazioni».
Coperture di facciata secondo alcuni osservatori. «Esiste un
concreto rischio di penetrazione dei Wagner in Sudan, non c'è nessun
altro contractor che può garantire la sicurezza in Africa come
quello di Prigozhin», conferma a La Stampa il professor Arije
Antinori, docente de La Sapienza, ed esperto europeo di terrorismo e
stratcom. Il gruppo paramilitare, dopo essere penetrato in Mali,
Burkina Faso, Mozambico e dopo aver insediato la sua centrale
operativa in Repubblica Centrafricana potrebbe ora allungare
ulteriormente i suoi tentacoli. «Anche perché Wagner ha compiuto un
ulteriore passo in avanti portando le forze speciali nell'area -
prosegue Antinori -. Non piccole unità che devono essere supportate
da governi locali, ma realtà strutturate che entrano negli Stati.
Quindi portano armamenti, tecnologia e personale per fare resistenza
e arroccamenti».
Al contempo occorre dire che la Russia non può permettersi di
concentrare tutti i suoi sforzi bellici in Ucraina perché per
mantenere il suo status, adesso ammaccato, di grande potenza
militare deve avere voce in altri dossier in cui già operava prima
del conflitto tramite affiliati (Wagner) fino ad aprirne altri. La
proiezione africana della Russia è risaputa e il pantano ucraino con
il fallimento della guerra lampo rischia di frenarla. In termini di
narrazione poi, Mosca gioca in Africa sempre il ruolo di protettore
anti-occidentale (caratterizzazione che rientra nella retorica
anti-colonialista e per un nuovo ordine mondiale). In Sudan e Sud
Sudan l'interesse del gruppo di Prigozhin è soprattutto nella
realizzazione della base militare a Port Sudan sul Mar Rosso,
assieme all'estrazione di oro e all'addestramento dei combattenti.
Elementi che fanno intendere come la penetrazione di Wagner
nell'area più che un rischio è un modello di business acquisito e
consolidato.
QUANTI ALTRI TRADITORI CI SONO ? E adesso chi glielo
dice ai bambini dello Zen che la loro preside è stata arrestata? Chi
glielo dice che l'hanno sorpresa a fare la cresta sulle forniture
della loro mensa, sui computer che era riuscita a portare nelle loro
classi dove le incursioni dei vandali sono all'ordine del giorno?
Chi glielo dice che quella donna che li chiamava per nome a uno a
uno, che sfidava gli spacciatori a viso aperto, che teneva alta la
bandiera della legalità senza retorica mettendoci le mani e la
faccia, che li invitava a non avere paura a costruire il proprio
futuro, è la stessa che le telecamere riprendono mentre porta a casa
conserve e barattoli, tablet e computer comprati con fondi europei
per la scuola?
Lei, Daniela Lo Verde, Cavaliere della Repubblica, da dieci anni
anima dell'Istituto intitolato a Giovanni Falcone, adesso è agli
arresti domiciliari per corruzione e peculato, così come il
vicepreside. Al suo posto è stato nominato reggente Domenico Di
Fatta, il suo predecessore nella scuola dello Zen: un segnale
immediato per colmare la voragine che si è aperta tra i casermoni
del quartiere dove il lavoro regolare non arriva al 2 per cento,
l'analfabetismo tende al 5, la dispersione nella classi supera il
16. E dove adesso si inseguono le stesse parole: «E adesso a chi
crediamo? Ci sentiamo traditi».
Una voragine di senso, di fiducia, di speranza nello Stato, quello
Stato che soltanto nel 2011 – mezzo secolo dopo la costruzione del
quartiere – ha piantato il suo fortino, una caserma dei carabinieri,
tra baby spacciatori, criminali di rango e disgraziati di ogni tipo.
Parliamo dello Zen 2. Perché lo Zen 1, realizzato nel 1960, in
qualche modo è diventato un pezzo di città.
Lo Zen 2, invece, è fallito come tante analoghe utopie urbanistiche
piovute sul terreno come astronavi. Al punto che poco più di dieci
anni fa l'archistar Massimiliano Fuksas propose di raderlo al suolo.
Lo aveva progettato nel 1969 per l'Istituto case popolari il
patriarca degli architetti italiani, Vittorio Gregotti, come un
sistema di insulae, costruzioni basse con un cortile interno, per
riprodurre i cortili del centro storico che si era svuotato l'anno
precedente, con le scosse e i crolli del terremoto del 1968.
Ma la fame di alloggi scatenò ben presto la corsa alle occupazioni
abusive (ancora adesso soltanto il venti per cento degli abitanti è
un assegnatario regolare), i servizi non furono mai realizzati e
l'utopia non tardò a diventare ghetto. A poco servì cambiargli nome,
come fece l'ex sindaco Leoluca Orlando: San Filippo Neri, lo
ribattezzò. Ma Zen era e Zen restò. «Un dolore per il quartiere e
per la città tutta, un episodio che contribuisce a scalfire la
fiducia nei confronti delle istituzioni», dicono all'unisono Zen
Insieme, Bayty Baytik, l'Albero della vita e Handala, le quattro
associazioni impegnate in questa terra di frontiera. Accanto a loro
c'è stata a lungo Daniela Lo Verde ad accendere un faro di speranza.
È stata lei a battersi per i corsi pomeridiani nella scuola che
accoglie alunni dalla primaria alla media, lei a portare in gita
d'istruzione gambe e occhi che non erano mai usciti dal quartiere.
Lei a fare miracoli con quei fondi comunitari che secondo la procura
europea avrebbe però utilizzato in modo improprio e anche a suo
vantaggio, gestendo spregiudicatamente forniture e fatturazioni,
oltre che attestando falsamente la presenza degli alunni ai corsi.
Saranno i giudici a stabilire le responsabilità, ma Palermo ha già
condannato. Un'icona non può permettersi di sbagliare.
OMERTA' ISTITUZIONALE : L'emergenza abitativa a Roma è una
realtà così diffusa che uno sgombero non fa certo notizia, a meno
che l'inquilino abusivo non sia un personaggio talmente noto alle
cronache da far tornare alla memoria quella famosa canzone di Lucio
Battisti che diceva: «Ancora tu, non mi sorprende lo sai. Ancora tu,
ma non dovevamo vederci più?». E invece rieccolo: l'incorreggibile
Roberto Spada, figura apicale dell'omonimo clan, da poco tornato in
libertà nel suo quartier generale di Ostia, in attesa che vengano
determinati gli anni di pena che ancora deve scontare per
associazione a delinquere di stampo mafioso. Mentre la giustizia
procede non proprio celermente, Roberto è tornato in quella che lui
considera casa sua, in via Guido Vincon 27, ma che invece appartiene
al Comune di Roma e che lui occupa da ben diciassette anni, senza
che nessuno - prima dell'arrivo dei Carabinieri del Nucleo di Ostia
- lo avesse mai disturbato. Il fatto è emblematico di uno smisurato
senso di impunità, di chi pur accusato di reati gravissimi continua
a porsi al di sopra delle leggi, occupando pur senza averne bisogno
un alloggio popolare e rubando l'energia elettrica attraverso
l'allaccio diretto all'appartamento. Una sorta di immunità criminale
che ha consentito negli anni al clan Spada (come altrove ai cugini
Casamonica) di piegare il territorio di Ostia alla loro prepotenza,
esercitata anche e soprattutto attraverso il racket delle
occupazioni abusive. Quest'ultimo episodio che riguarda Roberto
Spada lascia però particolarmente sbalorditi per la grave
disattenzione di chi da decenni avrebbe dovuto vigilare sul
patrimonio pubblico e non l'ha fatto, a maggior ragione nei
confronti di un soggetto che a giudicare dalle sentenze non è certo
un pesce piccolo; viene da chiedersi infatti come sia possibile che
una figura al vertice di un'associazione giudicata mafiosa, dedita
al traffico di droga, alle estorsioni e guarda caso proprio al
racket delle case popolari, possa essere prima arrestato, spedito
nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, poi rimesso in libertà
per un cavillo giuridico e tornare a vivere - come se nulla fosse
accaduto - in una casa di proprietà del Comune di Roma che occupa
abusivamente dal 2006? Che segnale è quello che arriva ai cittadini
romani, soprattutto a quei quattordicimila che da anni sono in
attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare?
A proposito di spudorato senso di impunità, qualche giorno fa sempre
ad Ostia i Carabinieri, coordinati dai procuratori aggiunti Ilaria
Calò e Michele Prestipino della Dda di Roma, hanno arrestato Rosario
Ferreri, legato da vincoli di parentela al clan Fasciani, per
estorsione aggravata dal metodo mafioso, truffa e occupazione
abusiva di immobili. Ferreri gestiva e faceva gestire da vent'anni
(!) una novantina di immobili di proprietà dell'Ater adibiti al
confezionamento di stupefacenti, al deposito di armi e perfino,
incredibile ma vero, anche a set cinematografico per la serie
prodotta da Netflix Suburra (mai location fu scelta meglio); Ferreri
stipulava contratti di affitto spacciandosi per il reale
proprietario delle case. Possibile che l'Ater non si sia accorta che
cantine, negozi, palestre e case di sua proprietà in via degli
Ebridi ad Ostia erano occupate illegalmente da vent'anni?
Un articolo pubblicato due giorni fa su questo giornale faceva il
punto sull'emergenza casa, destinata ad aggravarsi per i rincari
previsti fino al 25% del canone di affitto, per gli sfratti in
aumento, per lo stop deciso ai sussidi legati al Reddito di
cittadinanza. Una congiuntura economica che si incrocia
pericolosamente con l'abbandono del territorio e con l'eterna
inefficienza del sistema di assegnazione delle case popolari:
graduatorie che seguono parametri non più attuali, occupanti che
scavalcano - tra sanatorie più o meno mascherate - chi invece
rispettando le regole aspetta l'alloggio pubblico e sistemi
informatici di raccolta dati assolutamente inadeguati a gestire un
immenso patrimonio immobiliare; impossibile ad esempio ricevere una
risposta sul numero reale delle case occupate perché non tutte sono
censite.
L'incuria, la disorganizzazione e forse qualche funzionario infedele
hanno favorito nel tempo il mercato nero delle occupazioni,
incoraggiando chi nell'assenza dello Stato si fa welfare mettendo a
sistema lo sfruttamento dei bisogni primari - come il diritto alla
casa - di chi vive in condizioni economiche e sociali precarie. La
lentezza e l'assenza di trasparenza nell'assegnazione delle case
hanno spesso fatto preferire a chi aveva necessità immediata di un
tetto l'offerta illegale ma sicura e pronta dell'agenzia criminale
di turno a quella legale, ma irraggiungibile. La beffa è che le case
sono sempre le stesse, pubbliche. Ma chi ci entra lo decidono ancora
e troppo spesso gli Spada di turno. Succede solo ad Ostia? —
IL VERO PADRONE DEL PD - TO : LAUS Per ora prevale la
prudenza ma il Partito democrativo, in blocco o quasi, esprime
vicinanza a Mauro Laus, il deputato e figura di punta del partito in
Piemonte su cui la procura ha acceso un faro. L'altro giorno la
Guardia di Finanza si è presentata negli uffici della Rear, della
Regione del forte di Bard, per acquisire documentazione legata alla
multiservizi di cui Laus è stato a lungo presidente e ora è socio.
Gli inquirenti sospettano che una parte delle risorse ricevute da
Rear per servizi di vigilanza e altro sia invece stata utilizzata
fini privati.
Ieri il parlamentare, che già venerdì sera contattato da La Stampa
si era detto certo del suo operato, ha commentato l'accaduto con un
post su Facebook, dicendosi «tranquillo». Pioggia di like, tra cui
quelli dei consiglieri comunali torinesi del suo partito e
dell'assessore ai Grandi eventi del Comune Mimmo Carretta, che di
Laus è un fedelissimo.
Il gruppo dirigente Dem per ora rimane prudente. Raffaele Gallo,
capogruppo del Pd in Regione, si dice «fiducioso che tutto si
chiarirà nel più breve tempo possibile. Ho pieno rispetto e fiducia
nel lavoro della magistratura e della Guardia di Finanza"» Posizione
simile da parte della sua omologa in Comune Nadia Conticelli, che
esprime «fiducia convinta nell'operato della magistratura, la cui
azione è una garanzia per tutti i cittadini, e fiducia e vicinanza a
Laus».
Il segretario regionale eletto da poche settimane, Domenico Rossi,
preferisce non esprimersi: «No comment», si limita a rispondere. Si
spinge oltre, ma non di molto invece, il segretario torinese e
metropolitano, Marcello Mazzù: «Non mi sembra che siano elementi a
carico di Laus. Si tratta piuttosto di accertamenti su procedure
della cooperativa». Daniele Valle, vicepresidente del Consiglio
regionale, anche lui persona vicina al deputato, spiega che «anche
noi, come tutti, aspetteremo l'esito di questi accertamenti. Mi
posso dire fiducioso nell'operato di chi li sta portando avanti,
così come su quello del nostro compagno di partito».
Qualcuno che commenta un po' più a gamba tesa c'è. Si tratta di
Stefano Esposito, ex deputato e senatore Dem, da qualche tempo
lontano dalle prime linee: «Curioso che questa notizia finisca sui
giornali. Vedo che nonostante la legge Cartabia le notizie, in
questo caso neanche di reato, escono dalla procura in modo
incontrollato. Esprimo a Laus la mia vicinanza». Recentemente
Esposito è stato coinvolto nell'inchiesta ribattezzata "Bigliettopoli"
ed è stato al centro di un caso giudiziario, dal momento che la
procura ha utilizzato decine di intercettazioni ottenute senza
l'autorizzazione del Parlamento nel quale all'epoca Esposito sedeva.
Il caso finirà davanti alla Corte costituzionale.
Il caso comunque scotta, perché Laus non è solo un deputato.
Potentissimo esponente del Pd, ha avuto un ruolo determinante in
tutte le vicende che negli ultimi anni hanno coinvolto il suo
partito sul territorio, che si trattasse dell'elezione dei segretari
provinciale o regionale o della scelta dei candidati sindaci. Per
dire, è stato uno dei pochi a sostenere fin dal primo minuto la
candidatura di Stefano Lo Russo, che ieri non ha voluto rilasciare
commenti. Qualunque fosse la partita l'attesa per scoprire le mosse
di Laus è sempre stata massima. Una sua decisione, o un suo
posizionamento, da anni ha la possibilità di determinare dove pende
l'ago della bilancia. Non è un caso che la sinistra – sia quella Dem
che quella della coalizione – abbia sempre sofferto la sua figura.
E dalle altre parti politiche non arriva nessun commento? No.
Esponenti di Lega e Fratelli d'Italia, interpellati, decidono di non
rispondere. Alcuni nemmeno rispondono al telefono. Anche dal
Movimento 5 Stelle sono prudenti. «La questione è ancora in una fase
troppo preliminare»,è la risposta di rito.
CONTE FA I LOOKDWN E GLI ALTRI PAGANO : Dopo la pandemia,
alcune piccole attività hanno faticato a ripartire. Problemi
economici. E lui, italiano di 40 anni senza scrupoli, ha pensato di
approfittarne. Di prestare del denaro ai titolari di negozi e
officine per poi pretendere un interesse del 60%. La squadra mobile
l'ha arrestato l'altro giorno su misura cautelare con l'accusa di
usura.
Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Giuseppe Drammis,
hanno preso il via dopo due tentativi di incendi in un'officina di
ricambi per auto. Qualcuno aveva cosparso di liquido infiammabile la
saracinesca. C'era tutto: innesco, combustibile. Il rogo, secondo
gli investigatori, non è divampato solo per questione di mera
fortuna. Il titolare dell'attività, chiamato a testimoniare in
questura, è stato vago: «Non ho ricevuto minacce da nessuno», «Non
so chi può avercela con me e perché», «Io? Dei nemici? Assolutamente
no». Raccontando la sua quotidianità, però, ha spiegato di avere
«serie difficoltà economiche. Durante la pandemia, il lavoro è
calato. Ho avuto gravi perdite di denaro e mi sono indebitato». Una
frase che ha messo in allerta gli investigatori della mobile,
coordinati dal dirigente Luigi Mitola. Gli agenti hanno acquisito e
analizzato le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona,
alla periferia nord della città. E ancora. Visionato estratti conti
e movimenti bancari. Chi, nella notte, ha cercato di dare fuoco
all'officina non è stato ancora rintracciato. Ma testimonianze e
analisi finanziarie hanno permesso di risalire al quarantenne. Che,
secondo la procura, avrebbe prestato cinquemila euro al meccanico.
Per poi pretendere uno smisurato tasso d'interesse. La vittima ha
pagato sino a che ha potuto. Quando non ha avuto più soldi, è stata
minacciata e intimidita.
I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2021 e il 2022. E,
secondo gli inquirenti, le vittime dell'usuraio sarebbero tre. Tutti
piccoli commercianti torinesi che, dopo il Covid, hanno avuto
difficoltà a portare avanti la loro attività. Così l'indagato,
contattato tramite un passa parola, forniva cifre che si aggiravano
intorno a cinquemila, seimila euro. Al massimo diecimila. Con
interessi esorbitanti. Il giudice, a suo carico, ha disposto anche
il sequestro preventivo dei beni: sessantaseimila euro e due orologi
dal valore di 150mila euro.
Negli ultimi sei mesi, la polizia ha arrestato per usura cinque
persone. Un dato in netta crescita, rispetto agli anni passati. E a
più voci le autorità hanno lanciato l'appello ad agevolare, «in un
momento di crisi, misure a favore dell'accesso al credito legale»
INACCETTABILE :Per contrastare gli
incendi di una certa entità che divampano nel Torinese sono
disponibili solo quattro autoscale dei vigili del fuoco. Una al
Lingotto, capace di arrivare a 30 metri di altezza, due nella
centrale di corso Regina (da 39 e 42 metri), e una nel distaccamento
di Volpiano, acquistata dai volontari. Un'altra versa in pessime
condizioni nella sede di Pinerolo.
«Altre tre autoscale ci risulta siano in riparazione e non si sa
quando potranno essere disponibili» allarga le braccia Diego Mele,
il primo cittadino di Borgone di Susa. Perché è partita proprio da
lui e da altri sindaci della Valle di Susa, la protesta che ha come
obiettivo quello di poter contare su un'autoscala dei pompieri
dislocata in Valle di Susa. Un territorio vastissimo, costellato da
centinaia di frazioni e case sparse.
«Il nostro non è un capriccio - mette in chiaro Mele - ma una presa
di coscienza molto chiara che si è concretizzata ancora di più la
settimana scorsa quando un rogo ha incenerito un capannone in disuso
a Condove, durante la festa patronale e per domare le fiamme è stato
necessario l'impiego di un'autoscala arrivata da Torino. E quindi
con tutto il tempo che occorre per percorrere una quarantina di
chilometri di distanza, anche con i sistemi di allarme attivati».
Che, per gli amministratori sono davvero un bel po' di strada. Un
po' come quando i grossi mezzi dei vigili del fuoco devono
arrampicarsi nelle Valli di Lanzo, del Canavese o dell'Eporediese
dove, a parte i chilometri da macinare in sirena, devono fare i
conti anche con arterie strette e tortuose, spesso inaccessibili ai
grandi mezzi di soccorso.
«Da quando sono sindaco presto molta più attenzione agli interventi
dei nostri vigili del fuoco che sono un po' degli angeli custodi,
sempre pronti ad intervenire quando si presenta un'emergenza -
continua ancora Mele che, insieme ai suoi colleghi attiverà anche la
Regione per capire se ci sono dei fondi disponibili - Da sempre,
come Uncem Piemonte, ci battiamo per le nostre valli e montagne, per
la tutela delle nostre comunità che devono già fare i conti con una
serie di disservizi. Per questo cercare di far arrivare un'autoscala
in Valle di Susa è una battaglia che credo valga assolutamente la
pena di essere combattuta».
Attualmente la valle può fregiarsi di una sede dei pompieri
effettivi a Susa e di un certo numero di distaccamenti di volontari.
Come quello di Borgone che dopo cinque anni, grazie ai rimborsi
accumulati dagli interventi dei volontari, insieme ai contributi del
Comune e di alcuni privati, è riuscita ad acquistare un'autobotte da
7mila litri con un investimento di circa 175mila euro. «Ma non avere
un'autoscala in un'area che si allarga da Avigliana a Sestriere, o
comunque sino al confine con la Francia è, a mio modesto avviso, è
una carenza che non possiamo permetterci» taglia corto Mele.Il
numero minimo delle autoscale sul territorio viene stabilito da una
circolare del ministero dell'Interno, tenendo conto delle distanze
che ci sono tra una sede e l'altra. Anche perché un mezzo come
quello costa circa 700mila euro e deve essere supportato da un
equipaggio specializzato. Senza contare i costi di manutenzione che
sono molto alti. Per una revisione delle funi, per esempio, si parla
di 20mila euro, giusto per fare un esempio».Lo dice chiaramente Igor
Locoro, il segretario provinciale della Uil vigili del fuoco.
É possibile che la Valle di Susa possa avere un'autoscala?
«Sinceramente, anche per quanto riguarda l'ultimo incendio
all'azienda agricola di Condove, sarebbe cambiato poco avere a
disposizione un'autobotte nel distaccamento di Susa. A parte questo,
se riuscissero ad acquistarla attraverso una raccolta fondi e poi
donarla alla sede di Susa, si potrebbe anche fare. Ma il prezzo di
questi mezzi, anche usati, resta comunque molto alto. Basti pensare
che, a parte quello nuovo al Lingotto, i nostri hanno una ventina di
anni di servizio e necessitano di una continua e accurata
manutenzione ».
Quanti soccorsi vengono effettuati all'anno con l'impiego delle
autoscale?
«Guardi Lingotto si attesta sul migliaio di soccorsi all'anno e più
o meno lo stesso numero di quelli effettuati dalla sede di corso
Regina. E, la maggior parte di questi, vengono effettuati in città
dove c'è il numero maggiore di palazzi di una certa altezza».
Che tipo di interventi?
«Ovviamente non si tratta solo di incendi ma, soprattutto, di
apertura porte o soccorsi a persone che abitano in appartamenti agli
ultimi piani dove è necessario operare in sicurezza visto che spesso
si sale a oltre venti, trenta metri dal suolo».
Quindi nella provincia Torinese è minimo l'utilizzo delle grandi
autoscale?
«Si impiegano quando serve ma, ripeto, la maggior parte degli
interventi avviene in città. La macchina che arriva fino a 42 metri
d'altezza, ad esempio, lavora bene sui grandi viali, dove c'è
spazio, ma potrebbe essere in difficoltà in molte strade di alcuni
paesi».
22.04.23
PRENDIAMO SOLO I SOLDI A FONDO PERDUTO :
«Il sistema Italia non è in grado di
mettere a terra tutti i progetti del Pnrr, bisogna prendere solo le
risorse che siamo in grado di spendere». Di fronte alla platea dei
più importanti imprenditori cuneesi, durante la presentazione della
classifica Top 500, a cura di Pwc e La Stampa, il ministro della
Difesa Guido Crosetto, affronta i temi economici e finanziari, dal
Recovery al Mes ai balneari. Invita l'Europa a fare di più per il
cessate il fuoco in Ucraina e a investire con forza in Africa per
cambiare il verso dell'immigrazione.
Ministro rischiamo di perdere i fondi del Pnrr?
«L'Italia può fare tutto tranne che perdere i soldi. Faccio un
esempio: prendiamo 100 milioni di euro per un'opera, entro la
scadenza ne spendiamo solo 98. Significa che dobbiamo restituirne 98
milioni e ci teniamo l'opera non finita che dovremo pagare con il
nostro bilancio. Il problema non è solo burocratico, di
progettazione. La vera domanda è l'Italia ha la possibilità di
scaricare a terra 200 miliardi in tre anni».
Che risposta si dà?
«La risposta va cercata nel Paese. Se io progetto di fare, ad
esempio, 100 chilometri di gallerie e non ho le talpe per scavare, è
inutile che faccio l'appalto. Perché le aziende che producono le
talpe che scavano le gallerie sono 3 al mondo. Una è tedesca e due
sono cinesi, e hanno prenotazioni per i prossimi 5 o 6 anni. Quando
il Pnrr sarà già terminato. La discussione in Europa è su questa
tagliola. La risposta del governo deve essere pragmatica, reale,
valutata nei tempi».
Abbiamo chiesto troppi fondi? L'Italia è l'unico Paese che ha
chiesto tutto.
«Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere».
Rifare gli stadi serve?
«Un investimento deve produrre qualcosa. Non so se rifare uno stadio
sia proprio un investimento come una strada, un ponte o il 5G».
Veniamo al Mes, restiamo gli unici a non aver approvato la riforma.
«Il Mes non è nato come forma di finanziamento, ma come possibilità
dell'Europa di intervenire in crisi come quella greca. E in Grecia
dopo il maxi-prestito, la Troika ha commissariato una nazione
sostituendosi al Parlamento. A me non piace. Se il Mes diventasse
uno strumento che sostituisce la possibilità della Bce di
intervenire nell'acquisto dei debiti sovrani quando si alzano troppo
i tassi allora se ne stravolgerebbe il ruolo originale e potrebbe
diventare utile».
Perché la Francia ha firmato e noi no?
«Perché pensa di non averne bisogno».
La guerra in Ucraina sarà ancora lunga?
«Per la Russia i morti e il tempo non hanno valore. Putin vive in
una condizione per cui i morti, 100 mila o 300 mila, e il tempo, 1
anno o 3, non sono un problema. Per l'Occidente il tempo, i morti e
le opinioni pubbliche sono un fattore rilevante. Si scontrano due
mondi completamente diversi».
Zelensky ha detto che la pace si può ottenere quando l'Ucraina avrà
riconquistato tutti i territori , Donbass compreso. Una prospettiva
da tempi lunghi per la pace.
«L'Italia si muove lungo due linee portanti. La prima è quella
dell'aiuto: dobbiamo garantire all'Ucraina il diritto a difendersi.
Ma dall'altra c'è un costante e quotidiano impegno a provare a
costruire un tavolo per la pace. Perché adesso l'unica cosa che noi
possiamo cercare di fare non è far finire la guerra, ma far
interrompere lo scontro e provare a far sedere allo stesso tavolo
due interlocutori che non si parlano e non hanno nulla in comune».
Che ruolo può avere la Ue?
«Auspicherei un ruolo maggiore dell'Europa per cercare di gettare
acqua sul fuoco. Perché si è bravissimi a buttare benzina, ma non
c'è nessuno che fa il pompiere. Noi abbiamo bisogno di pompieri in
un mondo in cui l'Onu, che doveva essere il pompiere, ha perso la
possibilità di esserlo. Perché il Consiglio di sicurezza è bloccato
dai membri permanenti come Russia, Cina, Stati Uniti. Quindi per la
pace c'è bisogno di un altro interlocutore».
Può esserlo la Cina?.
«"La Cina dev'essere un interlocutore al tavolo della pace. Per gli
imprenditori però è un grandissimo concorrente. È uno dei temi che
dobbiamo porci in Italia e in Europa. Io oggi voglio sapere fra
trent'anni quale sarà la terra rara, di cui magari non abbiamo
nulla. E in quest'ottica per l'Europa e per tutto l'Occidente,
diventa rilevantissimo quello che fino adesso abbiamo considerato un
problema: l'Africa dove i cinesi cercano di farla da padroni».
Le imprese lamentano di non trovare manodopera e chiedono più
immigrati. Il governo invece chiude le porte.
«Il tema non sono i 200-300 immigrati al giorno. Il tema è che se tu
non cambi la situazione in Africa, fra vent'anni ci saranno 1,5
miliardi di disperati che guarderanno verso noi perché non avranno
di che sfamarsi. O li fermi adesso facendoli crescere, o fra
vent'anni 1,5 miliardi non li fermi mettendo tutte le marine, gli
eserciti e le aeronautiche d'Europa. Quello che adesso è un
problema, fra vent'anni invece può essere la vera arma in più
dell'Europa per l'indipendenza totale dall'Asia per materie prime,
acqua, produzioni agricole».
Insisto. Nel Def, redatto dal Tesoro del governo, nei numeri
dell'Inps, c'è scritto che senza migranti anche nel breve periodo i
conti pubblici rischiano di non reggere.
«C'è una doppia immigrazione: quella che diventa lavoro normale,
pagato, e quella che serve in molte zone del Paese ad abbassare il
livello del costo del lavoro illegalmente, facendo concorrenza
sleale. L'immigrazione non vuol dire porte aperte a tutti. Ha senso
quando c'è l'integrazione. Se io prendo 1000 persone e le ghettizzo
in un quartiere, le faccio vivere di sussidi e le dimentico, creo un
esercito di 1000 persone che si sentono trattate come nei quartieri
francesi dove non entra né polizia né esercito. L'immigrazione è un
problema serio e non vuol dire lavarsi la coscienza».
Insisto ancora, all'ultimo click day l'offerta era di 80mila posti
di lavoro ma le aziende ne chiedevano 250mila.
«Dobbiamo abituarci a chiedere le cose di cui abbiamo bisogno. E noi
abbiamo bisogno di ingegneri. E con 850 ingegneri elettronici l'anno
non abbiamo futuro».
Ma i giovani ingegneri vengono pagati 1500 euro al mese. Forse
basterebbe alzare gli stipendi.
«C'è il mercato. Se trovo qualcuno che mi paga di più mi sposto e
molti ragazzi si stanno spostando all'estero. Alla fine il mercato
regola. I l problema è la formazione. Ancora oggi abbiamo troppi
diplomati e laureati in materie umanistiche e troppo pochi in
materie scientifiche».
Passiamo alle tasse: nel programma di governo era annunciata una
forte riduzione. Nella manovra però non ci sono le risorse.
«Intanto il governo ha cominciato da 5 mesi. Quando siamo arrivati
il prezzo dell'energia era alle stelle, il Pil scendeva, la guerra
era - ed è - in corso. Un percorso difficile, ma con poche risorse
abbiamo cercato di dare qualche segnale. La ricchezza la crea
l'attività privata. Lo Stato la deve amministrare e non la deve
toccare se viene reinvestita.
Certo non possiamo fare altro debito. E non solo perché l'Europa non
lo consente.
«Non dobbiamo avere un rapporto di soggezione con la Ue. Perché la
Ue tende a mettere regole molto dure per alcuni e poi consente al
Lussemburgo di utilizzare regole fiscali di grande vantaggio. Allora
vogliamo anche noi le stesse regole. Dobbiamo renderci
concorrenziali dal punto di vista fiscale e amministrativo rispetto
agli altri Paesi europei.
Le imprese ogni giorno indossano l'elmetto per contrastare i
concorrenti. Il governo invece tutela i balneari.
«Si possono adeguare regole e tariffe, senza portare avanti
un'ideologia. Se a parità di incasso per lo Stato posso avere 100
bagni gestiti da 100 famiglie o 100 bagni gestiti da una sola grande
società, preferisco avere 100 famiglie».
Il 25 aprile sarà a Cuneo e a Boves, luoghi simbolo della Resistenza
antifascista. Non si porta il presidente del Senato La Russa al
seguito?
«(Sorridendo) Sarò con il Presidente della Repubblica. Io viaggio
solo con la prima classe.
Sudan
Polveriera
Sapete come è: tutte le storie hanno un inizio. Qui in Sudan
l'inizio e la fine si chiama AK-47. Perché questa è una delle terre
del kalashnikov dove grava il diminuito rispetto della vita e
dell'individuo che le guerre portano con sé come portano la peste.
Guardate come lo stringono i famigerati malfattori della battaglia
di Khartum dove i morti "contati" sono già più di seicento tra cui
un cittadino americano, e questo forse sarà quello che fa la
differenza. L'Italia intanto prepara l'evacuazione dei duecento
connazionali, e lo stesso fanno gli Usa e gli altri Paesi europei.
Dalle zone bombardate si alza un fumo nero, tremulo, vegetale. Lo
levano in aria, il loro fucile d'assalto, lo maneggiano a raffica,
non se ne separano mai, segno di forza e garanzia di sopravvivenza,
potere e modernità, amuleto e salvezza, correttivo miracoloso alla
paura che, per chi è privo di Tempo e di Storia come costoro, è
spavento senza nome, terrore perpetuo e buio. Unico correttivo alla
sciagura di essere nati in un luogo dove il destino non sembra
offrirti possibilità e puoi giocare, ogni giorno, una sola carta per
sopravvivere.
Perché non buttare via la "malloda", la zappa, con cui puoi far
crescere in po' di sorgo, di mais? La terra è deserto, o non è molto
fertile, e non ci sono aratri trattori sementi concimi. Meglio
affidarsi agli aiuti internazionali, un sacco di farina prima o poi
arriva sempre. Il meccanismo funziona, lo conosco, tu attendi il
cibo in qualche campo di rifugiati, non dai fastidi al governo, del
nord e del sud, che continua i suoi traffici, la corruzione, le
guerre private. I bianchi perfezionano anche loro gli affari
petroliferi e minerari e con l'elemosina si salvano l'anima.
E allora la soluzione ce l'hai in pugno. Con il kalashnikov sei un
uomo, puoi difendere la tua famiglia, trovare un padrone, altrimenti
sei niente. Toccatelo, guardatelo: tre chili di ferro e di legno,
antico o nuovo, semplice, robusto, affidabile, micidiale. Il
prodigio di un diavolo sovietico con laurea da ingegnere che ha
creato il comunismo della morte, che rende possibile perfino le
economiche armate di bambini. I segni della guerra qui si cancellano
alternativamente sepolti dalle siccità e dalle inondazioni, quando
il vento solleva la sabbia o l'acqua si ritira ricompaiono, ossa
teschi, morte indisturbata, abbandonata a sé stessa accanto alla
vita. Le capanne con un po' di frasche e di fango si ricostruiscono
in fretta, c' è sempre una bidonville un poco più in là. A Khartum
quelli che il kalashnikov non l'hanno ora fuggono, lasciandosi
dietro i loro miseri avanzi, e la città resta indietro deserta e
sola, in preda ai suoi padroni. Si preparano a fuggire anche gli
occidentali: per i tedeschi è già certo, gli americani hanno le
forze speciali pronte nella base di Gibuti. Noi (gli italiani sono
duecento) definiamo la situazione «preoccupante». Chissà.
Vivevamo questi giorni feroci del Sudan, della guerra civile tra
esercito e milizie, nell'angosciosa attesa dell'irrompere dei
mercenari russi della Wagner putiniana, accorti fornicatori di tutte
le tragedie africane lasciate a incancrenire da noi, illuminato
occidente. E invece i pretoriani di Prigozhin l'africano stanno
quatti, alleati di tutti, del generale dittatore e del suo rivale.
Aspettano di vedere chi vincerà la battaglia per il potere. Ecco
spuntare loro, gli islamisti, poiché nelle terre dove il kalashnikov
segna la distinzione tra umano e disumano sono a loro agio, ne sanno
sfruttare ogni piega, stabilmente incistati negli interstizi del
caos. Sono già tutti intorno, shebab, isis, al qaida, in Somalia,
Mozambico, Centrafrica. Il Sudan è uno dei luoghi da cui da tempo
sono usciti dall'ampolla e benché all'inizio sembrassero un gracile
demonietto, hanno iniziato a crescere fino a diventare tanto grandi
da agguantare mezzo mondo per la gola. Il Sudan è il segnalibro
nella narrazione del jihad africano. Comparse, semplici ascari, o
protagonisti? Chissà. Sarebbe un paradosso dover chiedere aiuto ai
manovali putiniani della Wagner per mettere in salvo gli occidentali
finiti ostaggio della battaglia di Khartum!
Dicono che gli islamisti siano più numerosi tra i sostenitori del
generale Burham: i fedeli del dittatore al Bashir, l'amico di Bin
Laden, sopravvissuti senza troppi danni alla stenta rivoluzione del
2019, rimasti soprattutto nell'esercito regolare in ruoli di potere.
Il suo rivale Mohamed Dagalo detto Hemetti proclama di aver
scatenato proprio contro di loro le sue milizie per portare a
termine «la liberazione» rimasta a mezzo, tradita cinque anni fa. Ma
qui è tutto un gioco di ombre grigie, di sigle. Il nucleo della
lugubre armata privata del golpista è tratto dalle tribù guerriere
del Darfur dove si sono esercitate ad ammazzare nella pulizia etnica
dei neri "africani". Ebbene le reclute del "Movimento per la
giustizia e la legalità'' del grande vecchio, Hasam al Turabi, erano
raccolte proprio nel Darfur tra la tribù degli zaghawa. Turabi:
santone ambiguo e misterioso, regista della sharia con laurea alla
Sorbona, soprattutto tessitore negli anni ottanta della prima
Internazionale islamista a cui, in fondo, Bin Laden ha poi aggiunto
soltanto un arsenale e grandi fondi, una mentalità da multinazionale
e le occasioni che gli hanno offerto i tempi nuovi della jihad
contro l'Occidente.
Abbiamo dimenticato in fretta che ancora prima di Tourabi qui è
sbocciata la prima jihad contro lo strapotere dell'Occidente, per
cancellare la gigantesca allucinazione secondo cui sono solo i suoi
eventi a fare la Storia, e agli altri non resta che vivere in una
condizione di ciclico stupore, sgomenti e paralizzati.
Si voleva purificare, partendo da questi deserti, armi alla mano,
prima il mondo corrotto dell'Islam e poi quello pestifero dei
miscredenti. Sì, come spesso accade, è nelle periferie del mondo che
l'incendio meglio si attizza, trovano nuovo vigore formule come la
guerra santa, il regno di dio sulla terra, che immaginiamo venute a
finir qui come i vecchi battelli coperti di ruggine che solcano il
Nilo. Per capire il perché verso sera, l'aria trasparente non vibra
più come se uscisse da un forno, bisogna andare a Omdurman passando
un ponte sul Nilo bianco, raggiungere la moschea della città araba,
assai più vecchia di Khartum. Le storie più antiche e drammatiche vi
sono riposte, di quando i sudanesi tennero testa fieramente agli
inglesi e agli egiziani che si dividevano in diseguale condominio
questo gigantesco frammento d'Africa.
A insorgere contro il regime corrotto ed esoso del kedivè egiziano,
gran trafficante di avorio e di schiavi, fu un misterioso "profeta''
Ahmed Mohammed che si fece chiamare il madhi, il Messia. Annunciava
guerra, ovviamente santa, ordinava di cacciare gli stranieri e
portare le sue schiere armate di elmi e corazze quasi medioevali,
lance e spingarde fino a liberare la Mecca e Istanbul dagli
apostati, a pregare nella grande moschea sul Bosforo. Conquistò
Khartum, massacrò egiziani e inglesi, trucidando una leggenda
dell'Inghilterra vittoriana, Gordon pascià, singolare figura di
mistico e beone, implacabile missionario del colonialismo con la
Bibbia in mano.
Ci vollero tredici anni agli inglesi per riconquistare Khartum dopo
aver risalito il Nilo con le cannoniere. Il madhi nel frattempo era
morto, davanti a Omburdam si combattè la battaglia decisiva. Gli
inglesi ebbero 49 morti, i jihadisti diecimila. La moschea con
l'immensa cupola argentata era allora il mausoleo del Madhi. Il
sarcofago è vuoto, gli inglesi lo hanno aperto nel 1898 e hanno
gettato le ossa nel Nilo. Il cranio fu riservato alle macabre
curiosità del museo antropologico di Londra. Nel 1958 al momento
della indipendenza i sudanesi furono più civili con la grande statua
che celebrava il generale Gordon. Con una cerimonia austera la
smontarono dal piedistallo e chiesero agli inglesi di venire a
riprendersela. —
ERA ORA CHE CE NE ACCORGESSIMO : La siccità diventa
sempre più grave, nonostante la leggera pioggia caduta nelle ultime
ore su diverse zone del Torinese. Lo confermano le statistiche
raccolte dall'Arpa che evidenziano come a febbraio sia caduto l'80
per cento di acqua in meno. Un dato ben al di sotto della «norma
climatica» registrata dal 1991 al 2020. Fanno eccezione le zone
delle Alpi occidentali dove le nevicate, soprattutto di fine mese,
hanno contenuto il deficit intorno al 40 per cento. E le portate
medie dei fiumi sono calate del 70 per cento.
Con la fine del mese, si è chiuso anche l'inverno meteorologico
2022-2023. L'ennesima stagione anomala sia dal punto di vista delle
temperature visto che è stato il nono inverno più caldo degli ultimi
66 anni e ha contribuito ad accelerare lo scioglimento dei ghiacciai
e della poca neve che si è depositata in quota. E, proprio pioggia e
neve, alla fine, hanno fatto registrare un deficit complessivo di
circa il 45 per cento in meno rispetto alla norma 1991-2020. Ma il
deficit è ancora più marcato sulle zone pedemontane delle Alpi
Occidentali dove è arrivato fino al 50 per cento. In sintesi, se si
da un'occhiata ai dati raccolti da Arpa nell'ultimo anno, si può
evincere come in 10 mesi su 12, le precipitazioni sono state molto
sotto le medie stagionali innescando quindi condizioni di siccità
«severa o estrema».
E questo lo si vede guardando i letti di fiumi e torrenti che si
sono trasformati in distese di terra, sabbia e sassi.
«Le portate dei corsi d'acqua del reticolo idrografico principale e
secondario permangono ovunque al disotto dei valori medi storici di
riferimento - spiegano i tecnici dell'Arpa -. I deficit più
significativi si registrano nel bacino del Tanaro con valori oltre
il meno 70 per cento e anche lungo l'asta del Po dove si passa da
oltre il meno 70 per cento di Torino a oltre il meno 60 per cento a
valle a Isola Sant'Antonio.
All'idrometro di Isola Sant'Antonio, che rappresenta la chiusura del
bacino piemontese del Po, la portata media di febbraio, pari a 124
metri cubi al secondo, in una classifica di portate mensili di
febbraio dal 1996 al 2022, si posiziona al primo posto tra le più
basse, seguita dal 2005 dove era stata pari a 158 metri cubi al
secondo.
«Ritengo positivo il piano di investimenti presentato dal ministro
Pichetto - spiega Roberto Colombero, il presidente di Uncem Piemonte
- . Molti punti toccati e le proposte fatte, a fronte di
stanziamenti economici, vanno nelle direzioni promosse e auspicate
da Uncem». «Chiediamo a governo e parlamento di prevedere bonus e
incentivi per dotare i nostri immobili, anche pubblici, di sistemi
domestici di accumulo, come fanno altri Paesi europei» - continua
Colombero. Uncem accenna poi ai gettiti economici che si otterranno
in Piemonte dal rinnovo delle concessioni delle grandi derivazioni
idroelettriche, scadute o in scadenza. «L'uso plurimo, idropotabile
e idrolettrico in primis, dell'acqua di questi bacini è un punto
fermo - dice Colombero -. Investimenti si potranno fare
trasformando, con nuovi o vecchi gestori delle concessioni, le
centrali in "pompaggi", riutilizzando la stessa acqua per produrre
energia verde. Ho avuto modo confrontarmi con gli amministratori di
Ceresole Reale. In tutta la Valle Orco e altre Valli alpine possono
convivere usi diversi della risorsa idrica, senza conflitti e
generando opportunità, anche turistiche e ambientali, per le
comunità locali»
APERTI GLI OCCHI ? Gli avversari lo
definiscono un caterpillar delle urne elettorali. I maligni un
"signore delle tessere" per via della sua capacità di mobilitare
iscritti ed essere sempre determinante nelle competizioni interne al
centrosinistra. Il deputato del Pd Mauro Laus finisce ora sotto la
lente della procura. E la questione non è politica, ma legata
all'attività della Rear, cooperativa fondata nel 1984 per offrire
una gamma di servizi tra cui vigilanza, teleallarme e antincendio.
Un colosso, la principale società del settore nell'area piemontese,
1.500 dipendenti e 30 milioni di fatturato. L'altro giorno, la
Guardia di finanza si è presentata negli uffici della Rear, della
Regione, di cui Laus è stato presidente del Consiglio regionale dal
2014 al 2018, e del Forte di Bard in Valle d'Aosta, dove la coop
gestisce l'appalto per l'attività di presidio e accoglienza dei
visitatori. I finanzieri avevano con sé un'ordine di esibizione e
hanno acquisito diversa documentazione: registri contabili,
contratti, bilanci e così via. «Riceveranno tutto nel dettaglio»,
assicura Laus. Massima collaborazione, quindi? «Non userei questi
termini. Per quanto mi riguarda non ci sono problemi. Non ho il
minimo dubbio sul nostro operato, ma tutte le verifiche sono
legittime».
Gli accertamenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta
e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, hanno preso il via da
una segnalazione inoltrata dalla stessa Guardia di finanza.
Accertamenti esplorativi. I militari avrebbero controllato i conti
della cooperativa e pare abbiano riscontrato qualche anomalia. Il
sospetto è che ci sia stato un utilizzo improprio dei proventi
derivanti dalle commesse pubbliche e che alcune somme di denaro
siano state utilizzate in modo improprio rispetto alle attività
della cooperativa che ha una posizione dominante nel settore e
contratti con enti, poli culturali, aziende, istituzioni pubbliche.
«Ci possono essere tutte le ipotesi di questo mondo, ma da parte mia
e della società i dubbi sono zero. Non zero virgola qualcosa,
proprio zero», ribadisce Laus. Che si dice «sereno sui comportamenti
tenuti in questi anni sia da me sia dalla società». E aggiunge:
«Sono tanto dispiaciuto, questo sì».
La Guardia di finanza ha chiesto documentazione e chiarimenti alla
direttrice del personale, al dirigente della società e al
fiscalista. «L'ufficio amministrativo sta preparando tutta la
documentazione richiesta», ribadisce il deputato.
Da oltre un decennio tra gli esponenti di punta del Partito
democratico a Torino, Mauro Laus è stato anche presidente del
Consiglio regionale. Nel 2018 viene eletto al Senato e nel 2022
passa alla Camera. Questa la carriera politica. Della Rear, spiega,
«sono semplicissimo socio». In passato è stato presidente della
multiservizi. «Quando poi ero in Consiglio regionale, ho preferito
uscire dal consiglio d'amministrazione della società. Non era un
atto dovuto, ma l'ho deciso per una questione di opportunità».
La procura ora vuole vederci chiaro su come funziona Rear. Ma il
deputato è chiaro: «È evidente che ci sono dei dubbi, ma li
dissiperemo. Poi qualcuno quei dubbi li avrà anche fatti venire».
Dal 1990 al 2022 la Rear ha incrementato il fatturato, il numero di
dipendenti, e ha diversificato la gamma di servizi offerti:
vigilanza in primis. E portierato, gestione di centralini e
front-office, fino alla fornitura di hostess e steward. Eppure le
polemiche, nella sua storia, non sono mancante. Anzi. Una decina di
anni fa i lavoratori del Museo del Cinema, dipendenti della Rear,
avevano denunciato di essere sottopagati. E persero il lavoro. Una
storia che fece il giro del mondo. Al punto che il regista Ken
Loach, in gesto di solidarietà, nel 2014 rifiutò il premio «Gran
Torino» del Torino Film Festival. Parlando di «sopruso». La vicenda
era iniziata nel 2012. Il tribunale del Lavoro aveva riconosciuto
come illegittimi i licenziamenti di quei dipendenti lasciati a casa
dopo aver contestato una retribuzione che dicevano «da fame, a
cinque euro lordi l'ora». Corsi, ricorsi, questioni giuridiche e
guerre sindacali. Accuse di stipendi troppo bassi, di appalti sotto
soglia. E polemiche politiche. Anche interne al centrosinistra e al
Pd, dove Laus è potente ma non amato da tuttI.
FESSERIE DA DECISORI INCOMPETENTI ED ARROGANTI: Legambiente,
docenti universitari ed esperti lanciano l'allarme: "Si rischia di
creare l'effetto isola di calore, in estate fino a tre gradi in più"
Il vecchio pavimento si scalda fino a 50 gradi, il bitume può
raggiungere anche i 60: "E in più perdiamo il valore storico della
nostra città"
Dalle pietre all'asfalto via Po diventerà rovente "Temperature più
alte, rimpiangerete le lose"
«La sostituzione in via Po delle pietre con l'asfalto nasconde un
altro problema: aumenta il cosiddetto effetto "isola di calore"».
Mentre l'escavatore solleva le prime lose (è in corso anche un
sondaggio archeologico) Giorgio Prino, presidente di Legambiente
Piemonte e Valle d'Aosta, solleva il tappo dal vaso di Pandora.
«L'asfalto è più scuro – spiega –; si scalda di più». Di quanto?
«Non di poco – precisa Gian Vincenzo Fracastoro, già ordinario di
fisica tecnico ambientale del dipartimento di Energia del
Politecnico di Torino -; stiamo parlando di 5/10 gradi in più
rispetto alla pietra». Il che vuol dire che, a parità di condizioni,
se la pietra si scalda di 50 gradi al sole, l'asfalto può
raggiungere i 55/60 gradi.
Di conseguenza, anche l'aria e l'ambiente della via aumentano di
temperatura. Un problema non indifferente, soprattutto nel periodo
maggio-settembre. Di quanto può aumentare? «Anche di 3°C», chiosa
Teodoro Georgiadis, primo ricercatore all'Istituto di
Biometeorologia del CNR di Bologna. Il pensiero va all'estate 2022,
quando la temperatura ha superato, per giorni, i 35.
«Problemi come quelli di via Po li ho vissuti anche a Roma – spiega
Georgiadis – dove ci sono tanti motorini che effettuavano continue
cadute sui sampietrini bagnati». Le pietre di via Po hanno proprietà
di riflessione dei raggi solari più elevati dell'asfalto. «Se
l'asfalto ne riceve il 98%, le lose si fermano al 50% - precisa
Georgiadis, fisico esperto in pianificazione territoriale e
specializzato in bilanci energetici superficiali nell'ambiente
urbano –; non è assolutamente un fattore da sottovalutare». Una
soluzione? «Se davvero si procede come presentato dal progetto,
consiglio ai tecnici comunali di effettuare un esame fluidodinamico,
da confrontare poi con i dati al termine dei lavori: rimpiangerete
le pietre. Mi rendo conto che i costi per lasciare le lose sono
superiori, ma ne va anche della salute».
Fracastoro è, nella sua specializzazione, un esperto di lunga
esperienza. «Lo dico subito – precisa – da ciclista le pietre sono
oggettivamente un problema, ma lo risolvo passando dalla pista
ciclabile di via Principe Amedeo; da Torinese penso che stiamo
perdendo pian piano il valore estetico e storico della nostra città;
da ingegnere credo che il problema sia serio e da non sottovalutare.
Ho letto con grande attenzione i pareri dei colleghi ieri sulla
Stampa: concordo con entrambi». Oltre alla proprietà di emanare
calore, la pietra ha una maggiore capacità di diffondere il calore
nel terreno sottostante. «In questo l'asfalto si comporta come una
barriera – continua Fracastoro – mentre la pietra rilascia il calore
al di sotto: questo è un aspetto di grande importanza».
«Se volessimo risolvere il problema dell'isola di calore
bisognerebbe piantare gli alberi lungo tutta la via, o perlomeno una
serie di cespugli – conclude Fracastoro -; ovviamente è impossibile,
e lo dico come provocazione. Negli ultimi anni negli Stati Uniti
hanno testato un nuovo materiale con resa simile alla losa. È un mix
composto da pietre sminuzzate e cemento; si può colorare a
piacimento e sarebbe una valida alternativa all'asfalto. Si potrebbe
anche avere del colore simile alla pietra storica. I risultati sono
buoni, ma ancora non conosciamo la sua durata; quindi, non sappiamo
se sia conveniente».
DELINQUENTI : la coppia applicava interessi mensili al 20%. in caso
di ritardo intimidivano, pedinavano e picchiavano le vittime
Usurai in manette: "Ricattavano i più deboli"
irene famà
Approfittavano delle difficoltà economiche dei loro connazionali. Di
chi, lasciato il Perù per raggiungere l'Italia e Torino, non
riusciva a far quadrare i conti. A trovare i soldi per la spesa, le
bollette, le scuole dei figli. Vanessa Alfaro Lopez, 43 anni, e il
compagno Juan Carlos Ticona Vilcapoma, 44 anni, sono stati arrestati
dai carabinieri su misura cautelare. Usura, questa l'accusa. E
ancora. Tentata estorsione, lesioni e abusiva attività finanziaria.
Già in Perù erano conosciuti come una coppia senza scrupoli, incline
alla violenza. Una nomea che avevano alimentato anche in Piemonte.
Individuano i soggetti più deboli, con lavori part time e un reddito
molto basso. Prestavano soldi e poi chiedevano interessi intorno al
20%. Le rate le pretendevano ogni mese. Se qualcuno non riusciva a
pagare o era in ritardo con la consegna del denaro? Scattavano le
minacce, le intimidazioni. E in alcuni casi anche le botte. Com'è
successo a una donna aggredita a Collegno il 21 giugno 2022 durante
una festa. Nell'agosto 2019, la signora si era rivolta alla colpa
per un prestito di 2.500 euro. Voleva aiutare un amico che non aveva
i soldi per pagarsi un volo dall'aeroporto di Jorge Chávez, a Lima,
a Caselle. Così si era rivolta alla coppia. L'amico quei soldi non
li ha mai restituiti e lei si è ritrovata a pagare gli interessi
sino all'agosto 2021. Ma il denaro, ai due, non bastava mai. Durante
quella festa, ne hanno chiesto altro. E poi l'hanno colpita con
calci e pugni.
La donna si è rivolta ai carabinieri della compagnia Torino San
Carlo e la sua denuncia è finita in procura, sul tavolo del pubblico
ministero Paolo Del Grosso. Intercettazioni, testimonianze. Diverse
persone hanno raccontato agli inquirenti di essere finiti nella rete
della coppia. Una signora, in città da nove anni, ha spiegato di
lavorare come colf: «Con uno stipendio di 500 euro al mese non
riuscivo a far fronte alle spese. Così ho chiesto in giro e mi hanno
consigliato di parlare con loro». Un'altra signora, dopo essersi
separata, non sapeva come pagare la scuola ai figli. «Ti ho chiamato
per dirti che non potrò pagarti questo mese», diceva una vittima.
«Devi dare sempre, devi dare quello», rispondeva l'indagata
intercettata al telefono dai carabinieri.
Vanessa e Juan Carlos, questa l'ipotesi degli inquirenti, vivevano
di usura. «Era la loro principale fonte di sostentamento», si legge
negli atti. Accompagnavano i figli a scuola al mattino, poi qualche
«furto in dei negozi di abbigliamento» e quei prestiti. Accorti
nelle chiamate, invitavano gli interlocutori a «parlare con
attenzione». «Suave, no mas». Durante la perquisizione nel loro
appartamento, i carabinieri hanno sequestrato un libro mastro su cui
risultano annotati nomi e cifre: per gli investigatori si tratta dei
conteggi dell'attività usuraia.
L'autorità giudiziaria ha poi disposto il sequestro preventivo di
seimila euro e di un'auto.
21.04.23
I SOLDI DI PUTIN : Mentre
combatteva l'Occidente corrotto e l'ossessione del consumo, Kirill
consumava, a sua volta. E non poco. La Chiesa ortodossa russa ha
definito «un'assurdità» le voci di ville sul Mar Nero e yacht, conti
in Svizzera e orologi da decine di migliaia di euro (ma con un
Breguet da 30mila dollari è stato fotografato ancora nel maggio
2022). Eppure Novaya Gazeta scrisse (senza mai arretrare) che Kirill
era intestatario di conti correnti tra quattro e otto miliardi di
dollari: in Svizzera, Austria e – ça va sans dire – Italia. Il
giornale russo aggiunse che la cifra esatta era difficile da
stabilire, perché «il patriarca ha preferito mantenere i suoi
risparmi in banche svizzere, da dove solo negli ultimi anni sono
stati parzialmente trasferiti in Austria e in Italia (probabilmente
sotto le garanzie del Vaticano)». I monaci ortodossi in teoria fanno
voto di non possesso quando vengono ordinati, ma ciò non sembra aver
fermato l'accumulo di Kirill. Il collettivo di reporter indipendenti
russi Proekt ricostruì che il patriarca possiederebbe, insieme a due
dei suoi cugini di secondo grado, immobili per 2,87 milioni di
dollari a Mosca e San Pietroburgo. La seconda dei due cugini, Lidia
Leonova, di 73 anni, avrebbe a Mosca una casa del valore di circa
600mila dollari su Gagarinsky Pereulok, più una di 533mila dollari a
San Pietroburgo sul Kryukov Canal. L'appartamento sul canale ha una
storia nella storia interessante: le fu donato nel 2001 da un uomo
d'affari, Alexander Dmitrievich, grande amico di Kirill, pochi mesi
dopo che il sindaco di Mosca aveva ritirato le pretese del Comune in
un contenzioso contro colui che, secondo Proekt, era un presunto
partner commerciale di Dmitrievich, un italiano di nome Nicola
Savoretti (uno dei non pochi contatti italiani del religioso).
Savoretti replicò che Kirill non si era adoperato per la risoluzione
di quella vicenda e di non avere progetti in comune con Dmitrievich.
Carte in possesso di collettivi di giornalisti indipendenti russi
hanno poi consentito di ricostruire che Kirill avrebbe una residenza
sul Mar Nero vicino a Gelendzhik, la cui costruzione è stata stimata
in un miliardo di dollari, che appartiene formalmente alla Chiesa
ortodossa russa ma dove non è permesso libero accesso nemmeno ai
vescovi, rilevò Novaya Gazeta. La residenza di Gelendzhik,
casualmente, non è lontana dal celebre palazzo di Putin di cui ha
parlato Alexey Navalny. Kirill possiederebbe poi azioni in una serie
di proprietà immobiliari tra Mosca, Smolensk e Kaliningrad, e uno
chalet vicino a Zurigo. Il tutto prescindendo da venti residenze che
formalmente appartengono a varie organizzazioni religiose che sono
emanazione della Chiesa ortodossa russa. Una specie di miracolo
dorato, come le icone ortodosse del grande Andrey Rublev.
(...) Altre storie, tipo i suoi presunti aerei, ci hanno riportato
ancora una volta in Italia, da dove sono decollati alcuni dei voli
di Kirill verso la Grecia, la Crimea, la Siberia. Chi proteggeva il
patriarca miliardario nel Belpaese? Forse lo stesso Vaticano? In un
documento ufficiale del 2 giugno 2022, l'Office of Foreign Assets
Control del Dipartimento del Tesoro americano ha posto sotto
sanzioni una apparentemente oscura società aerea di San Marino, a
diciannove chilometri da Rimini. La Srl Skyline Aviation (Skyline) è
coinvolta per aver operato avanti e indietro in Crimea con l'aereo
targato T7-OKY, nel quale la società aveva cointeressenze. Secondo
gli americani, lo schema costruito era questo: jet di proprietà di
Vtb Bank, la banca braccio del comparto militare industriale del
Cremlino, erano controllati dall'amministratore delegato di Vtb Bank,
Andrey Kostin – che ha ricevuto un'alta onorificenza dalla
Repubblica italiana poche settimane prima dell'invasione russa in
Ucraina. I velivoli sono stati trasferiti a una società offshore
anonima, ma per gli Stati Uniti il capo dello staff di Kostin
gestisce ancora questi jet, che vengono materialmente operati dalla
società sanmarinese, Skyline. Cosa c'entra Kirill è presto spiegato:
tracciando i voli di uno degli aerei di Skyline, si è scoperto che
il patriarca ha ripetutamente usato, quasi in esclusiva, un jet
privato Gulfstream G450 del valore di 43 milioni di dollari, targato
T7-ZZZ, intestato a una società offshore dell'Isola di Man chiamata
Helter Management Ltd, riconducibile a Vtb Bank. La società
sanmarinese si occupava di assicurare anche comodi trasferimenti per
la conduttrice televisiva di Stato Nailya Asker-Zade e per la moglie
del primo ministro Dmitry Medvedev, stando a due inchieste della
Fondazione Navalny. Tra il 2013 e il 2016, il passeggero di gran
lunga più frequente del Gulfstream è stato appunto Kirill. Altre
volte (molte meno) sono stati passeggeri l'ex capo dello staff del
Cremlino Sergey Ivanov, il vice primo ministro Yuri Trutnev,
l'inviato presidenziale Nikolai Tsukanov.
La Chiesa ortodossa sostiene che questi voli fossero offerti da
mecenati e donatori privati. La Skyline è stata messa in
liquidazione il 26 novembre 2021. Il direttore generale
dell'Autorità dell'Aviazione civile, la navigazione marittima e
l'omologazione della Repubblica di San Marino, Marco Conti, ha
emesso un comunicato per dire che «durante il periodo di attività
(16 agosto 2016-8 aprile 2021) non ha mai compiuto infrazioni o
irregolarità alcuna».
Anche nelle migliaia di carte ricostruite nell'inchiesta Magnitsky –
che ha consentito al team di Bill Browder di svelare una truffa
miliardaria compiuta dagli uomini degli apparati russi, protetti
direttamente da Putin – emerge che diversi fondi illeciti di quella
celeberrima frode erano finiti in Italia. Secondo una inchiesta de
La Stampa, dalle holding offshore legate al caso Magnitsky arrivano
in Italia quasi 90 milioni di euro. Non è possibile dire con
certezza che questi soldi siano tutti provenienti dalla vicenda
denunciata da Browder, le stesse strutture societarie e i conti
correnti a queste collegati, secondo quanto ricostruito, potrebbero
essere state utilizzate da soggetti diversi in tempi diversi. Ma sui
230 milioni della frode fa un bell'effetto. Il team di Browder fa un
passo in più: «Ci sono stati bonifici dalla rete di riciclaggio di
denaro al conto personale in Italia di uno dei più importanti
sacerdoti della Chiesa ortodossa russa, l'archimandrita Philip (nome
civile Andrey Vsevolodovich Vasiltsev)». I bonifici di cui è stata
trovata traccia documentale ammontano ad almeno 435.623 dollari in
32 rate sul suo conto personale nel Monte dei Paschi di Siena. Non
abbiamo potuto verificare indipendentemente l'appartenenza di quel
denaro alla provvista Magnitsky. Il prelato – poi nominato al rango
di abate e segretario dell'amministratore del patriarcato di Mosca
in Italia – è stato, si legge sul sito ufficiale del patriarcato,
presidente della Fondazione Santa Caterina la Grande Martire a Roma
e «responsabile della costruzione della Chiesa di Santa Caterina
presso la Villa russa Abamelek a Roma». Villa Abamelek è la
residenza dell'ambasciatore russo a Roma.
Una sera, parlando alla tv bulgara, Valery Simeonov, vice primo
ministro della Bulgaria, disse di Kirill: «Quest'uomo non è disceso
dal cielo, non è venuto dal paradiso e non è un inviato di Gesù
Cristo. È conosciuto come il "metropolita del tabacco" russo. Dal
1996 ha importato 14 miliardi di dollari di sigarette e quattro
miliardi di dollari di "vino della Chiesa".
Possiede anche un jet privato. Il suo orologio costa 30mila dollari.
Chi è lui? Non è un sacerdote dell'Europa orientale. È l'agente
Mikhailov, agente di secondo grado del Kgb sovietico».
I MERITI DI SPERANZA CHE ENTRA NEL PD: Poche
somministrazioni, molti vaccinandi, in teoria, vaccini a gogò. E' la
situazione, per molti versi paradossale, se pensiamo a cosa abbiamo
visto negli ultimi due anni, in cui versa il Piemonte. E
probabilmente le altre Regioni.
C'è un numero, che dice molto. Anzi due. Attualmente, in base
all'ultimo dato fornito dalla Regione, nei magazzini delle Asl si
trovano complessivamente 900 mila dosi: di tutto un po'. Di queste,
più della metà sono in scadenza tra ottobre 2023 e l'estate 2004.
Nel primo caso, quindi, a breve termine: una manciata di mesi. E
veniamo al secondo numero: 1800 le somministrazioni settimanali,
prevalentemente a Torino; la dimostrazione di una campagna di
immunizzazione che ha toccato il fondo. Tra venerdì 7 e giovedì 13
aprile in Piemonte sono state vaccinate 1.833 persone: 42 hanno
ricevuto la prima dose, 37 la seconda, 85 la terza, 855 la quarta,
864 la quinta. Di fatto, le quarte dosi hanno bruscamente rallentato
mentre le quinte non sono mai veramente decollate. Se la media
settimanale continuerà a mantenersi la stessa, significa che
prossimamente si porrò il solito dilemma: restituire le dose
eccedenti alla struttura centrale, perchè le redistribuisca a Paesi
che ne hanno necessità, o attendere che superino la data di scadenza
per poi smaltirle, cioè buttarle? L'esperienza ha insegnato che la
prima strada è difficilmente praticabile.
Situazione paradossale, si premetteva, anche perchè il Covid, di cui
non parla più nessuno, non è per nulla scomparso. Certo: le attuali
varianti sono meno aggressive delle prime, soprattutto della
famigerata Delta. Certo: una parte considerevole della popolazione
bene o male è immunizzata, al netto del mezzo milione di piemontesi
a zero dosi. Oggi il sistema sanitario è sotto pressione per mille
motivi, ma non certo per il Covid.
Il quale, però circola, e guadagna terreno. Se parliamo degli
adulti, nella settimana 7-13 aprile l'incidenza regionale è stata
40.6, con andamento in rialzo (+16,1%) rispetto ai 35 dei sette
giorni precedenti. Mentre in età scolastica è in calo solo nelle
fasce di età 11-13 e 14-18 anni. Il virus avanza, i vaccini
arretrano.
LA PROVA DELLA MALAVITA IN PIEMONTE: Il 28 luglio del 2017
nessuno ci aveva capito niente. Serafino Ferrino non era più sindaco
di Favria da poche settimane. Due persone lo avevano atteso sotto
casa di sera. Stava parcheggiando l'auto in garage e gli sono
saltati addosso. Calci, pugni al volto e alla testa. Botte da orbi.
Per giorni in paese, e si sa come sono i paesi, si era detto di
tutto, ma a ordinare il pestaggio dell'ex primo cittadino era stata
la ‘ndrangheta. Che si era offesa perché Ferrino – ha raccontato un
testimone ai carabinieri – si era permesso di sostenere che «la
sorella di Piero Scalisi (detenuto per associazione a delinquere)
aveva un incarico di portaborse al Comune di Favria perché sostenuta
dallle cosche». Eccoli qua i boss del "locale" di Ivrea l'undicesima
struttura delle cosche scoperta in provincia di Torino e smantellata
dai carabinieri del nucleo investigativo di Torino (e di Chivasso)
che, ieri mattina, hanno arrestato nove tra boss e gregari .
L'inchiesta, coordinata dalla pm Livia Locci conta 35 indagati a
vario titolo per associazione mafiosa, truffa aggravata, estorsione,
ricettazione, usura, violenza privata e detenzione illegale di armi.
Nel mirino sono finiti gli Alvaro, famiglia di élite della mafia
calabrese. Il soprannome "Carni i cani" dice già molto dello
standing criminale e dell'indole violenta di questa depandance
mafiosa che vedeva in Carmine e nel figlio Domenico i leader più
carismatici. Accanto a loro, come concorrente esterno, una vecchia
conoscenza della giustizia, Piero Speranza, difeso dall'avvocato
Celere Spaziante. In passato ne aveva combinate tante, poi si era
pentito, rendendo dichiarazioni agli inquirenti anche sui
maxi-appalti della Salerno-Reggio Calabria. Ma era tornato alla
base. A fare affari con gli Alvaro che per rifornire il suo
ristorante – Lago Just Blu di Bollengo di cui gestiva anche la
società sportiva dilettantistica – avevano costretto un imprenditore
a vendere 10 kg di pesce (capitone) e aragoste per 80 persone a
prezzo ridotto («il ristorante – dirà Alvaro è di un amico mio, ma è
come se fosse mio. Non dovete guadagnare niente»). Speranza, per
conto suo aveva il compito di individuare le vittime da da piegare
alle volontà dell'organizzazione, da truffare: la sua specialità.
Furbo Speranza, che gode delle amicizie pesanti nella galassia
mafiosa, ma rifiuta l'affiliazione, rimanda indietro la concessione
di ben quattro doti che gli sarebbero state concesse subito per la
fedeltà dimostrata agli Alvaro e che lo avrebbero proiettato in alto
nelle ferree gerarchie delle ‘ndrine fino al grado di "santa". Ci
sono due avvocati indagati sul versante delle consulenze e
intermediazioni offerte in trattative che per la procura sono alla
stregua di truffe. Riguardano lingotti d'oro e simili. E nei guai è
finito anche l'ex solista del kalashnikov Pancrazio Chiruzzi. Non
per mafia, sia chiaro. È accusato di due ricettazioni di lingotti
d'oro (da un chilo in totale sui quali avrebbe guadagnato duemila
euro. Nell'incheista sono finiti anche i fratelli Francesco e
Giuseppe Belfiore, (avvocati Marco Ferrero e Barbara Passanisi):
avrebbero fatto un'estorsione ai sodali di Alvaro perchè si erano
permessi di fare un truffa a una vittima nel loro territorio di
influenza. Lesa maesta'.
TRIANGOLAZIONE : n aprile scorso il regime di Vladimir Putin
fatturava oltre 1,1 miliardi di euro al giorno da fonti fossili,
oggi la metà. Eppure non tutto sta andando come immaginavano i
governi occidentali, quando hanno imposto il regime di ritorsioni
più vasto mai concepito contro una delle maggiori economie al mondo.
Non avevano immaginato, in particolare, che proprio i Paesi
democratici — Italia inclusa — sarebbero diventati protagonisti di
un massiccio sistema di aggiramento delle sanzioni contro il
petrolio russo.
La dimensione del fenomeno emerge in un rapporto del Centre for
Research on Energy and Clean Air (Crea) di Helsinki, un think tank
che nell’ultimo anno si è dedicato allo studio dell’export di
materie prime dalla Russia. Quel che sta accadendo è tecnicamente
legale, non risultano in alcun punto della filiera operazioni
clandestine o false fatturazioni.
C’è però un reticolo di triangolazioni con i grandi Paesi emergenti,
che permette a Unione europea, Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti
e Giappone di violare nella sostanza le misure sul petrolio russo.
Se l’intenzione era ridurre le entrate con cui il Cremlino finanzia
la guerra, i Paesi democratici stanno agendo in contraddizione con i
loro stessi obiettivi.
[…] Dall’avvio dell’aggressione all’Ucraina, le quantità trasportate
dalle petroliere prevenienti dai porti russi esplodono del 140%
verso cinque Paesi che non applicano le sanzioni: Cina, India,
Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore. In parallelo, questi
cinque Paesi aumentano fortemente le spedizioni di prodotti
raffinati — gasolio e carburante per aerei — verso tutti i
principali Paesi che, invece, tengono la Russia sotto sanzioni.
Le spedizioni di derivati del petrolio dalla Cina verso i sistemi
democratici crescono nell’ultimo anno del 94%; quelle dalla Turchia
del 43%; quelle da Singapore del 33% e dagli Emirati Arabi Uniti del
23%. Nel complesso, nel primo anno di guerra, avviene quello che il
centro studi Crea definisce un «riciclaggio» del greggio russo
attraverso le potenze emergenti e verso le democrazie, con un
aumento delle vendite di prodotti raffinati per 10 milioni di
tonnellate e 18,7 miliardi di euro.
Gran parte dell’aumento si registra dopo il 5 dicembre scorso,
quando scatta l’embargo europeo e le democrazie del G7 indicano un
tetto di 60 dollari al barile per l’acquisto di greggio russo per
chi non applica le sanzioni. Fra il 5 dicembre e il 24 febbraio
scorso le democrazie importano quasi 13 milioni di tonnellate di
prodotti raffinati dai Paesi che Crea definisce «riciclatori», per
9,5 miliardi di euro. Nel primo anno di guerra l’Italia ha comprato
da quelle cinque potenze emergenti 1,9 milioni di tonnellate di
carburanti, in buona parte derivati da greggio russo. Ma i primi di
questa classifica sono (nell’ordine) Australia, Stati Uniti,
Giappone, Gran Bretagna, Olanda e Francia. L’obiettivo non è
approfittare di sconti derivanti dal tetto al prezzo. Semplicemente,
gli importatori delle democrazie cercano forniture in un mercato in
tensione.[…]
20.04.23
GUERRA CIBERNETICA: La
Russia starebbe sperimentando da mesi sistemi per colpire le
trasmissioni del satellite Starlink di SpaceX, vitale per l'esercito
e l'intelligence dell'Ucraina. Lo riporta il Washington Post che fa
riferimento ai report dei servizi Usa, rubati e diffusi sulla
piattaforma Discord.
Per interrompere le trasmissioni di Starlink, Mosca starebbe
utilizzando il sistema di guerra cibernetica Tobol. Secondo i "leaks"
Tobol «presumibilmente progettato per proteggere i satelliti del
Cremlino, potrebbe ora essere utilizzato per attaccare i satelliti
utilizzati dai suoi nemici». Sia SpaceX che l'ambasciata russa a
Washington non hanno rilasciato commenti sull'argomento. Kostyantyn
Zhura, portavoce del ministero della Difesa ucraino, ha affermato
invece che i funzionari di Kiev sono consapevoli dei tentativi della
Russia e stanno «prendendo provvedimenti per neutralizzarli».
Mosca è in una fase più avanzata di sviluppo, rispetto a quanto era
noto fino a ora, di armi in grado di sabotare il sistema satellitare
Starlink di Elon Musk.
Il sistema elettronico Tobol-1 a cui Mosca sta lavorando è stato
messo in cantiere originariamente allo scopo di proteggere i
satelliti russi, ma può essere usato anche per colpire quelli degli
avversari. I test avvengono in tre diverse località in Russia. Una
fuori da Mosca, poi vicino alla Crimea e la terza nell'exclave di
Kaliningrad. In Ucraina sono stati registrati blackout di Starlink,
ma non è chiaro se sono dovuti a esperimenti del sistema Tobol o di
altre capacità russe come i Tirada-2 montati su camion.
19.04.23
LA CINA ? Il G7 prova a
dare segnali d'unità sulla Cina. Pechino risponde alzando la voce.
Ieri è andato in scena un nuovo capitolo della contesa tra Stati
Uniti e Repubblica popolare, che sta rallentando il dialogo sulla
guerra in Ucraina e acuendo le tensioni sul fronte orientale. In
Giappone, la riunione dei ministri degli Esteri del G7 ha avuto al
centro l'invasione russa ma anche i timori di un'azione simile
contro Taiwan. Nel comunicato finale critiche anche per le «attività
di militarizzazione» sul mar Cinese meridionale, dove Pechino ha
varie dispute territoriali coi Paesi del Sud-Est. «Non esiste una
base legale per le sue rivendicazioni marittime», dice il G7, che ha
reiterato l'avvertimento a Paesi terzi di non inviare armi alla
Russia.
Il Partito comunista ha sempre cercato di evitare paralleli tra
Ucraina e Taiwan, proponendosi da una parte come grande
stabilizzatore e dall'altra provando a regionalizzare il dossier.
«Il G7 interferisce in modo grossolano negli affari interni della
Cina, diffamandola e screditandola», ha dichiarato il portavoce del
ministero degli Esteri, Wang Wenbin. L'accusa è sempre la stessa: la
reiterazione di «mentalità da Guerra Fredda e pregiudizi
ideologici». Avvisi anche più decisi agli Usa, sulla preannunciata
vendita di 400 missili antinave Harpoon a Taipei. «Usano Taiwan per
contenerci», ha detto Wang, ma «è molto pericoloso giocare col
fuoco».
Non basta la garanzia dei diplomatici del G7 per cui «non vi è alcun
cambiamento» sulla politica della «unica Cina». Xi Jinping punta a
convincere il mondo che è Washington a creare i rischi di uno
scontro su Taiwan. Nessuna risposta all'affermazione di Antony
Blinken a margine dei lavori: «Siamo pronti a portare avanti le
relazioni, ma ciò richiede che la Cina chiarisca le proprie
intenzioni». Secondo il Financial Times, finora Pechino ha evitato
di fissare una nuova data per la visita del segretario di Stato, in
attesa di capire come verrà gestita pubblicamente l'indagine sul
presunto pallone-spia. Mentre la portaerei Shandong ha effettuato
test non troppo lontano da Guam.
Il governo cinese ha presentato «dure rimostranze al Giappone che ha
ospitato l'incontro». Tokyo si sente nel mirino di manovre anche
militari, tra le esercitazioni russe vicino alle isole contese
Curili e quelle di Pechino sul mar Giallo.
Nella prospettiva cinese, il G7 è sempre più una sorta di «braccio
diplomatico» di Washington. E ne sottolinea maliziosamente le
possibili divisioni interne. Il ministro degli Esteri giapponese,
Yoshimasa Hayashi, ha parlato di «forza di solidarietà a un livello
mai visto prima» tra i Paesi del gruppo. I media di Stato cinesi
ribattono: «Vogliono mostrare unità ma il mondo vede spaccature».
Il richiamo esplicito è alle recenti dichiarazioni di Emmanuel
Macron sulla necessità di «autonomia strategica europea» dalla
politica estera americana. Quello implicito è alla voce secondo cui
il presidente francese ha incaricato Emmanuel Bonne, il suo
consigliere per la politica estera, a lavorare col capo della
diplomazia cinese Wang Yi a un piano di pace sull'Ucraina. Secondo
Bloomberg, l'idea di Parigi sarebbe di arrivare ai colloqui già in
estate. Se confermato, si tratterebbe di un'apertura di credito
rilevante a Xi, che ancora non ha parlato con Volodymyr Zelensky
dall'inizio della guerra. Per proiettare un'immagine da paciere
globale, dopo aver officiato il disgelo tra Arabia Saudita e Iran,
la Cina si è intanto detta ufficialmente disposta a facilitare le
ripresa dei colloqui tra Israele e Palestina.
EGITTO ? Connessioni internazionali, missili egiziani, spiate
al Palazzo di Vetro. Emergono novità e conferme sulla vicenda della
fuga di informazioni contenute in documenti militari classificati
fatti trapelare sui social. Un affare che vede protagonista Jack
Teixeira, il 21enne del dipartimento di intelligence della Air
National Guard dello Stato del Massachusetts accusato di essere la
talpa e pertanto a rischio di condanna sino a 15 anni di reclusione
per aver violato l'Espionage Act.
Le informazioni contenute nei dossier racconterebbero di una
fornitura di missili alla Russia da parte dell'Egitto, sospesa in
corsa a marzo dopo colloqui tra rappresentanti del Cairo e
funzionari americani. Alla luce dei quali il governo di Al Sisi ha
imboccato la strada opposta, ovvero quella di produrre munizioni per
l'Ucraina. I documenti - spiega il Washington Post - rivelano che
l'Egitto in cambio puntava ad avere sistemi avanzati militari Usa.
Per l'amministrazione Biden, a caccia di nuovi sostenitori di Kiev,
il cambio di posizione del Cairo è stato un successo della sua
azione diplomatica. Era stato lo stesso quotidiano della capitale ad
anticipare che un documento di quelli trapelati, datato 17 febbraio,
riportava presunte conversazioni tra il presidente egiziano e alti
funzionari militari del Paese nordafricano che facevano riferimento
a piani per fornire alla Russia munizioni di artiglieria e polvere
da sparo. Nel documento, Al Sisi ordinava di mantenere segreta la
produzione e la spedizione dei razzi «per evitare problemi con
l'Occidente». A marzo la svolta e il cambio in corsa.
Sempre tra le anticipazioni dei "leak" c'era quella delle
intercettazioni da parte degli americani nei confronti di Antonio
Guterres con altri funzionari delle Nazioni Unite. I carteggi
riportano un sommario di conversazioni in cui Guterres si definisce
«sdegnato» per il divieto di una visita in Etiopia e frustrato con
Volodymyr Zelensky. In uno dei documenti, infatti, Guterres è
descritto come non contento della possibilità di visitare Kiev in
marzo, a ridosso della sua trasferta in Africa e poi in Svizzera,
Iraq e Qatar. Le ragioni del suo scontento non sono spiegate ma
sembrerebbe che la visita avrebbe rappresentato un lungo viaggio per
il 73enne segretario Onu. Peraltro - secondo il dossier -
considerato dagli Usa «troppo accomodante» con Mosca, in particolare
in merito all'accordo sul grano, mediato da Onu e Turchia che
Guterres risultava così ansioso di preservare da essere disposto a
soddisfare gli interessi della Russia. Da New York la reazione non
si è fatta attendere. «L'Onu ha espresso ufficialmente al Paese
ospitante la propria preoccupazione per le recenti notizie sulla
sorveglianza e interferenza da parte del governo Usa» spiega il
portavoce del Palazzo di Vetro, Stephane Dujarric. «L'Onu - ha
aggiunto - afferma in maniera netta che tali azioni sono
incompatibili con gli obblighi degli Usa elencati nella Carta delle
Nazioni Unite e nella Convenzione su privilegi e immunità dell'Onu».
Gli investigatori intanto stanno cercando di individuare potenziali
contatti tra Teixeira e fiancheggiatori o interlocutori di altri
Paesi, o - spiega Politico - contatti con qualche governo straniero
avuto prima della diffusione dei documenti. Al momento non ci sono
prove che Teixeira abbia avuto alcun legame estero o fosse parte di
operazione straniera coordinata.
L'interesse di far luce su un raggio più ampio nasce dal fatto che
la fuga di notizie non si è fermata al giovane militare che ha
postato i documenti segreti sulla chat di Discord, ma è stata
ampliata da una blogger nota come Donbass Devushka, ovvero Donbas
Girl. La ragazza del Donbass, riconducibile a una rete
propagandistica pro-Cremlino, ha rilanciato i file su diverse chat.
Il punto è che dietro la "ragazza del Donbass" si nasconde una
esperta di elettronica per di più ex sottufficiale della Us Navy. Si
tratta di Sarah Bils, 37 anni, di stanza sino al 2022 presso la
stazione aeronavale di Whidbey Island, nello Stato di Washington.
Ieri infine si è tornato a parlare delle macabre confessioni dei due
ex membri della Wagner (per le quali si cercano conferme su più
direzioni) che hanno suscitato condanna e sdegno, in particolare per
le presunte esecuzioni di minori. Alexey Savichev, uno dei due ex
mercenari, ha dichiarato di aver detto «solo il 10%» di ciò che
poteva condividere. Lo dice il canale Telegram del media
indipendente russo Vertska. Savichev ha detto di essere stato
contattato insieme all'ex compagno di Wagner Azamat Uldarov da
Vladimir Osechkin, il fondatore di Gulagu.net, che lo ha pagato 123
dollari per l'intervista e che, dopo questa, ha ricevuto molteplici
minacce. «Ho detto solo il 10% di ciò che poteva essere detto. E per
questo 10% ora mi nascondo come un ratto nei meandri della Russia.
CORRUZIONE SANITARIA : Diventa (anche) un caso politico
l'indagine della guardia di finanza sui concorsi dell'Asl To4. Tra
gli indagati, infatti, figura anche Maria Grazia Gazzera, 58 anni,
assistente sanitaria, consigliere comunale di Cuorgnè, capogruppo di
maggioranza e presidente della commissione bilancio del Comune.
Risulta indagata per rivelazione di segreti d'ufficio e corruzione
per atto contrario ai doveri d'ufficio. Proprio quest'ultima voce è
stata al centro del dibattito dell'ultima commissione bilancio, nel
corso della quale gran parte dei consiglieri di minoranza ha
lasciato la seduta per protesta. Danilo Armanni dei «Moderati»,
Davide Pieruccini e Lidia Perotti di «Cuorgnè C'è», infatti, hanno
chiesto le dimissioni della presidente, valutando come
«inopportuna», in questo delicato momento, la posizione del
consigliere Gazzera a capo della commissione bilancio, vista
l'indagine per corruzione. «Un gesto che non costava nulla - dice
Pieruccini – perché non abbiamo chiesto le sue dimissioni dal
Consiglio comunale. Vista la situazione ci saremmo aspettati un po'
di sensibilità, la stessa che abbiamo avuto noi, in questi quattro
mesi, nel corso dei quali abbiamo volutamente evitato ogni tipo di
polemica. A quanto pare, la questione morale è stata totalmente
dimenticata da questa amministrazione». Armanni, che aveva
presentato un'interpellanza già a dicembre, conferma: «Farsi da
parte sarebbe stato un gesto doveroso, anche a sua tutela. Da parte
del sindaco, invece, non c'è stata nessuna volontà di confronto.
Eppure il Consiglio dovrebbe agire al di sopra di qualunque
sospetto. E' opportuno che un consigliere indagato per corruzione si
occupi del bilancio di un Comune dove ci sono anche capitoli che
riguardano l'Asl To4? A nostro avviso avrebbe fatto bene a fare un
passo indietro».
Se ne discuterà, comunque, anche pubblicamente, nel corso del
prossimo Consiglio comunale. Il sindaco Giovanna Cresto, intanto, a
nome di tutta la maggioranza, difende il suo consigliere: «A fronte
della richiesta di dimissioni ho ribadito che vale il principio di
non colpevolezza e non essendoci norme ostative alla prosecuzione
del mandato, tale richiesta al momento non poteva trovare
accoglimento – spiega il primo cittadino - sarà l'autorità
competente, non certo noi, a pronunciarsi su un'indagine che non
riguarda assolutamente l'attività di amministratore comunale».
E ancora: «La consigliera Gazzera ha sempre svolto il suo operato in
municipio con serietà, consapevole dei propri doveri morali, fin dal
primo giorno di insediamento».
18.04.23
Cairo non ha dato alcuna motivazione alla sospensione di Giletti. E
questo un'editore non lo può fare se non vuole minare la sua
credibilità definitivamente. Questo atteggiamento ricorda quello di
Berlusconi in Rai con Biagi . Cairo ubbidisce e tace. Mb
DIABOLICO: Bambini uccisi a
sangue freddo, esecuzioni di massa, «pulizie» sommarie. Le
confessioni di due ex membri della Wagner, se confermate, tracciano
un quadro ancora più macabro di quanto sta accadendo nel conflitto
in Ucraina. In particolare, a Soledar e Bakhmut dove lo scontro tra
le truppe di Kiev e la compagine di Mosca ha raggiunto livelli di
efferatezza indescrivibili. I due miliziani hanno consegnato le loro
testimonianze all'organizzazione russa per i diritti umani
Gulagu.net, spiegando di aver anche ammazzato una bimba di cinque
anni, con un colpo in testa. Il loro ex capo Yevgeny Prigozhin ha
provato a smentire dichiarando che «nessuno spara mai a civili o
bambini, nessuno ne ha bisogno. Siamo andati lì per salvarli dal
regime in cui si trovavano». Kiev invece invoca «una punizione
crudele e giusta».
I presunti reo confessi sono Azamat Uldarov e Alexei Savichev,
entrati nella Wagner quando Prigozhin ha dato il via libera al
reclutamento nelle prigioni. «Ho eseguito l'ordine con questa mano,
ho ucciso i bambini, anche di cinque anni», ha riferito Uldarov nel
video in cui i due mercenari riferiscono i dettagli sull'esecuzione
di oltre 20 bambini e adolescenti ucraini. Orrore che si aggiunge a
orrore come la fossa fatta saltare in aria con più di 50 prigionieri
feriti. O le «pulizie» di edifici residenziali a danno di donne e
uomini, minori compresi. L'ordine di «ripulire» Bakhmut senza
risparmiare nessuno sarebbe arrivato dallo stesso Prigozhin, secondo
i due combattenti.
A Soledar è andata anche peggio. Savichev ha spiegato che c'era un
ordine per il quale tutti coloro che avevano più di 15 anni dovevano
essere fucilati assieme. «Sono state uccise 20-24 persone - ha detto
l'ex Wagner -, di cui dieci avevano 15 anni». A sostegno delle
confessioni dei Wagner c'è poi un'intercettazione pubblicata
dall'intelligence ucraina in cui un soldato russo racconta a sua
moglie di aver ricevuto l'ordine di «uccidere bambini, donne, tutti.
L'annientamento deve essere completo. Sono pronto». Alle esecuzioni
sommarie si sommano poi le ventimila persone tenute in ostaggio dai
russi come riferito dal commissario per i diritti umani del
Parlamento ucraino, Dmitry Lubinets.
Dall'altra parte del Pianeta, intanto, spunta un secondo nome nella
vicenda della fuga di documenti riservati del Pentagono con i quali
sono stati messi a nudo segreti militari inerenti alleati e
avversari degli Stati Uniti. Un nome riconducibile a una sigla
quella di Donbass Girl. In realtà si tratta di un ex membro della
Marina americana che gestisce un profilo social dichiaratamente
pro-russo e che avrebbe contribuito a diffondere ulteriormente i
documenti pubblicati da Jack Teixeira sulla chat Discord. Il 21enne
del dipartimento di intelligence della Air National Guard dello
Stato del Massachusetts è accusato di essere la sospetta talpa e
rischia sino a 15 anni di reclusione per aver violato l'Espionage
Act. La fuga di informazioni classificate non si è però fermata al
giovane militare. La ragazza del Donbass, il cui volto appartiene a
una rete di social media, podcast, materiale propagandistico e
profili di raccolta fondi pro-Cremlino, ha rilanciato i file su
diverse chat dalla provenienza fosca.
Dietro la «ragazza del Donbass» non si nasconde un'abile blogger
russa ma un'ex esperta di elettronica della Us Navy. All'anagrafe è
Sarah Bils, 37 anni, sottufficiale di stanza presso la stazione
aeronavale americana a Whidbey Island, nello Stato di Washington,
fino alla fine dello scorso anno. Il punto è che la donna sembra
avere un debole per Vladimir Putin dal momento che gli account da
lei supervisionati glorificano le Forze armate russe e i
paramilitari Wagner. Il 5 aprile, il profilo Telegram di Donbass
Devushka ha pubblicato quattro dei presunti documenti riservati
diffusi online ai suoi 65 mila follower. Lei non fa mistero delle
sue attività pro-Mosca come conferma in un'intervista al Wall Street
Journal. Bils era stata promossa alla fine del 2020, per poi essere
degradata (fatto per cui non si hanno motivazioni), e nel novembre
del 2022 ha lasciato la Marina, sembra per motivi di salute, dopo
aver sofferto di disturbo da stress post-traumatico.
LA CINA COSA FA ? Il ministro della Difesa cinese per la
prima volta in Russia dopo l'invasione dell'Ucraina, mentre in
Giappone si svolge la riunione dei ministri degli Esteri del G7.
L'annuncio di «importanti attività militari» dell'esercito di
Pechino nel mar Giallo, mentre Mosca avvia esercitazioni
missilistiche nei pressi delle isole Curili, contese con Tokyo. Il
tutto mentre dal Brasile il ministro degli Esteri Sergei Lavrov
dichiara che «Mosca vuole che la guerra finisca il prima possibile».
Difficile pensare che questi eventi siano scollegati. Il Giappone si
sente nel mirino mentre ospita un consesso sempre più percepito come
anti-russo e anti-cinese da Vladimir Putin e Xi Jinping. E dopo che
la recente visita di Fumio Kishida in Ucraina ha schierato con
maggiore decisione il Paese al fianco degli Stati Uniti.
Il generale Li Shangfu, peraltro sanzionato dagli Usa dal 2018 per
l'acquisto di jet e sistemi missilistici russi, si trova da domenica
a Mosca per una visita di 4 giorni. È il suo primo viaggio
all'estero da quando è ministro. La meta russa è una tradizione per
il ruolo, ma è significativo (e inusuale) che sia stato ricevuto da
Putin. Appuntamento non previsto in un'agenda che include un
bilaterale con Sergej Shoigu, colloqui con ufficiali e la visita ad
accademie militari. Nel breve video dell'incontro diffuso dal
Cremlino, Putin elogia l'avanzamento della cooperazione
«tecnico-militare». Li sottolinea invece «la natura speciale e
l'importanza strategica» delle relazioni.
La visita di Li è destinata a rafforzare il dialogo militare. I
media cinesi prevedono maggiori scambi sulle tecnologie di difesa,
ma sostengono che il viaggio non sia collegato alla posizione cinese
sull'Ucraina, che continua a essere definita «imparziale».
Nonostante le voci, Pechino nega di aver inviato o voler inviare
armi a Mosca. Ma il messaggio della visita di Li è che il trend di
rafforzamento dei rapporti non verrà intaccato dalla «contingenza»
del conflitto. Una doccia fredda per chi in Europa immagina una
pressione cinese per il ritiro russo.
Anzi, Putin e Li hanno sottolineato il crescente coordinamento in
materia di esercitazioni congiunte. Nei giorni scorsi la flotta
russa del Pacifico ha simulato la difesa delle isole Curili. Da oggi
a sabato in programma test missilistici vicini all'arcipelago
conteso. Il Giappone ha protestato, ma Mosca sarebbe forte dello
stop cinese (indicato nel 1964 da Mao Zedong) al sostegno alle
rivendicazioni di Tokyo.
Ieri sera, invece, l'amministrazione per la sicurezza marittima di
Qingdao ha annunciato «importanti attività militari», proibendo
l'ingresso di navi in alcune aree del mar Giallo. Non lontano dal
Giappone e soprattutto dalla Corea del Sud. Il tutto a pochi giorni
dalla visita di stato del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol alla
Casa Bianca e il giorno dopo il botta e risposta tra G7 e Pechino su
Taiwan. Il consesso riunito a Karuizawa ha annunciato che si
concentrerà sul tema, il ministero degli Esteri cinese ha ribadito
che si tratta di una «questione interna su cui non sono ammesse
interferenze». Così è stato percepito anche il nuovo transito sullo
Stretto del cacciatorpediniere americano USS Milius. Tokyo teme che
le frizioni possano aumentare in vista del summit G7 di maggio, in
programma a Hiroshima.
La 'ndrangheta è sempre leader ora collabora con gli albanesi"
Nicola Gratteri
I primi «scaricatori» di droga in mare li trovò negli anni Novanta a
largo di Saline, minuscolo comune a scavalco tra Reggio Calabria e
Melito Porto Salvo, capitali di due dei tre principali mandamenti di
‘ndrangheta nel mondo, quello jonico e quello del capoluogo:
«Lanciavano in acqua decine di chili di eroina comprata dai libanesi
con dei galleggianti per farli recuperare ai pescatori». Da quella
scoperta investigativa sono passati 30 anni, la ‘ndrangheta «si è
presa il mondo del narcotraffico» con l'arroganza dei soldi e la
cattiveria dei clan dell'Aspromonte: un mix micidiale innestato
sugli errori stragisti dei Corleonesi. Le due tonnellate trovate al
largo di Catania, ancorate a boe galleggianti, raccontano che
cambiano le rotte, nuovi protagonisti entrano nel mercato
(«soprattutto la mafia albanese»), ma certi sistemi resistono.
Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, resta lo specialista
della lotta ai cartelli della coca: «Abbandonare temporaneamente in
mare un carico così rilevante – dice – comporta meno rischi e più
risparmi».
Procuratore, due tonnellate di cocaina sono tante. Perché lanciarle
in mare e non farle invece arrivare sulle banchine nei container
sigillati?
«Perché comporta meno rischi e comunque ogni volta che la cocaina
arriva nei porti l'organizzazione o le organizzazioni criminali che
controllano quello scalo percepiscono una tangente pari al 20% del
valore del carico».
Quante volte dopo Saline le è capitato di recuperare droga in mare?
«L'ultima qualche anno fa: sequestrammo nell'oceano otto tonnellate
di cocaina».
Per la sua esperienza c'è la ‘ndrangheta dietro un carico così
grande?
«Il mercato della droga è aperto, non direttamente vincolato a
un'organizzazione mafiosa anche se in questo caso si può propendere
per questo. Poi ognuno spunta un prezzo in base ai pregressi, alla
serietà, alla solvibilità, alla puntualità nei pagamenti».
E qui la mafia calabrese non ha pari. O no?
«È ancora leader, lo dicono tutti i rapporti pubblicati nel mondo,
dall'Onu, all'Interpol ad Eurojust».
Lei lo diceva vent'anni fa...
«Ma in Olanda, ad esempio, non ci hanno ascoltato. Recentemente i
ministri della giustizia e della sicurezza sono venuti in Italia a
rappresentare che erano terrorizzati da una serie di omicidi legati
al traffico di droga avvenuti nell'ultimo periodo».
Olanda crocevia del narcotraffico mondiale?
«Li si ritrovano con tre mafie ormai strutturate».
Quali?
«La ‘ndrangheta, la mafia albanese e la "Maffia", terza generazione
di un'organizzazione nordafricana. Hanno stanziato 100 milioni per
costruire nuove carceri, sono pronti a copiare la legislazione
antimafia italiana, ma ormai è tardi».
E in Europa?
«Se l'avessero capito avrebbero adottato quantomeno il sistema
giudiziario italiano nel contrasto al fenomeno, ma quello di due
anni fa. Perché un anno e mezzo di riforma Cartabia ha fatto
disastri».
Si affacciano nuovi protagonisti che possono insidiare i calabresi?
«La mafia albanese, ma non in ottica di concorrenza semmai di joint
venture tra le due organizzazioni che cominciamo a vedere in
Colombia».
Punti di forza?
«I mafiosi albanesi sono abbastanza ricchi, provengono da uno Stato
molto corrotto e comunque facilmente corruttibile in pezzi degli
apparati di sicurezza e dell'amministrazione. Hanno la durezza che
somiglia un po' a quella della ‘ndrangheta. Questo li rende capaci
di imporsi sui territori».
Solo l'Olanda è terminale dei carichi dal Sudamerica?
«Anche la Spagna, con la zona della Galizia, ha una sua centralità
ma lì la droga arriva a bordo di lance in alluminio con motore Roll
Royce capaci di trasportare nell'oceano fino a 8 tonnellate di
droga».
Quanto costa un chilo di coca alle cosche calabresi?
«Mille euro direttamente nella foresta amazzonica».
Agli altri?
«Milleottocento».
Cosi non c'è partita…
«Ma infatti, almeno da 25 anni, se non subito dopo la stagione delle
stragi, a noi risulta processualmente che è la ‘ndrangheta che
rifornisce Cosa Nostra catanese e palermitana».
17.04.23
UNO SCAMBIO TRADIZIONALE ITALIANO :
Chi è davvero Artem Uss, l'imprenditore fuggito dai domiciliari
italiani mentre era in attesa di estradizione negli Usa? Una spia
dei russi che si muove agilmente tra Venezuela, Stati Uniti, Italia,
Turchia? Oppure è semplicemente un criminale di alto bordo, degno
rampollo di una famiglia di oligarchi, che organizza un contrabbando
su larga scala del petrolio venezuelano sotto embargo, proprio per
questo molto appetibile per i russi, e di tecnologia militare
statunitense? È uno dei nodi di fondo. E la risposta è che Artem Uss
– almeno a quanto risulta finora – non è un agente segreto. Due
diverse fonti di intelligence confermano quanto detto dalla premier
due giorni fa in Etiopia: l'intelligence americana non ha mai
interessato gli 007 italiani perché, banalmente, Uss ai loro occhi
non era «un target».
Certo, nel pieno di una guerra, ogni aiuto sottobanco può essere
considerato degno di attenzione dai servizi segreti occidentali.
Tanto più se la persona da tenere sotto osservazione è un russo
incriminato negli Usa, durante i mesi in cui il Cremlino scatena
l'inferno in Ucraina. C'è una parte delle dichiarazioni rilasciate
da Meloni da Addis Abeba che svela quanto intorno allo scaricabarile
sulla fuga di Uss, tra magistratura milanese e ministero della
Giustizia, ci siano altre domande da farsi: «Noi non eravamo stati
informati a livello di intelligence sulla natura della figura.
Sapevamo che c'era una richiesta da parte del Dipartimento della
Giustizia americano, legato però a questioni di frode fiscale,
quindi a un'altra materia rispetto a quella che può sembrare più
ampia».
Qui va chiarito un punto. Se il governo italiano era stato informato
presso il ministero della Giustizia, com'è possibile che le notizie
giunte da oltreoceano riguardassero solo un reato limitato, e per
giunta minore rispetto agli altri, come la frode fiscale?
Ripercorrendo le ricostruzioni di questi giorni, infatti, non è
così. Il ministero e dunque i magistrati conoscevano i reati per i
quali gli americani volevano giudicare in patria Uss. In realtà,
quello di Meloni è il tentativo di difendere gli apparati di
intelligence che riferiscono direttamente a Palazzo Chigi, a due
persone che considera di estrema fiducia, come la direttrice del Dis
– dipartimento che coordina gli 007 – Elisabetta Belloni, e il
sottosegretario che è anche Autorità delegata sui servizi, Alfredo
Mantovano. Giovedì scorso siedono entrambi accanto a Meloni, quando
la premier parla al Copasir, il comitato di controllo parlamentare
sull'intelligence. È lì che matura la linea difensiva del governo,
sintetizzata in una frase che però non sarebbe mai stata pronunciata
in quella sede – «La colpa è di un altro organo dello Stato» –, e
riportata dall'Agi, agenzia il cui ex direttore è l'attuale capo
ufficio stampa della premier Mario Sechi. Sta di fatto che 48 ore
dopo, in Etiopia, Meloni ribadisce il concetto, con parole diverse.
A suo avviso «l'anomalia principale» va ricercata nella decisione
della Corte d'Appello di Milano che ha mantenuto il faccendiere ai
domiciliari. Nella giornata di sabato, però, dopo due giorni di
polemiche e precisazioni dei magistrati, ormai anche Meloni sa che
era nei poteri del ministro della Giustizia– secondo l'articolo 714
del Codice di procedura penale– imporre il carcere dopo la
segnalazione dagli Usa. Per questo, aggiunge, presto vedrà Carlo
Nordio, per «approfondire la vicenda e capire meglio».
Nel rimpallo di responsabilità c'è così un terzo attore di cui va
tenuto conto, ed è l'intelligence. Gli 007 non ci stanno a finire
sul banco dei sospetti. L'Fbi – è la spiegazione offerta dalle
nostre fonti – nel momento in cui si è rapportato agli italiani, per
il tramite del loro ministero della Giustizia, operava come forza di
polizia. «A volte, quando c'è di mezzo l'Fbi, si ingenera confusione
perché il Bureau ha una doppia anima: può essere considerato
intelligence in patria, mai all'estero». Fuori dagli Usa a fare
intelligence è la Cia che nel caso Uss non c'entra.
In verità tutti gli atti portano ad altro. C'era il rinvio a
giudizio a opera del Gran Giurì Federale degli Stati Uniti. C'era un
mandato di cattura internazionale che la polizia italiana ha
eseguito a ottobre, mentre Uss tentava di raggiungere Istanbul. Il
percorso, insomma, era quello classico della cooperazione
giudiziaria. Ed è qui che qualcosa s'è inceppato. L'attaché legale
dell'ambasciata americana s'è dannato per avvertire il ministero
della Giustizia che Uss sarebbe scappato se lo mandavano ai
domiciliari. C'è una sua nota inviata a Via Arenula del 29 novembre
esplicita, e ultimativa nei toni. «Ai sensi del codice di procedura
penale italiano – scriveva – le misure coercitive devono tenere
conto delle esigenze di garantire che la persona della quale è
domandata l'estradizione non si sottragga all'eventuale consegna».
La nota è arrivata ai magistrati tre settimane dopo, e il ministro
non ha disposto alcunché.
IL DEBITO ITALIANO DELLA CREDIBILITA' :
«Questa e la nostra società madre». Secondo le carte dell'inchiesta
americana contenute nell'«atto d'accusa» contro Artem Uss e il suo
socio russo Yuri Orekhov, i due russi (proprietari al 50 per cento
ciascuno della società NDA GmbH, con sede in Germania, ad Amburgo)
utilizzavano la società – tra le tante attività illegali, tra le
quali c'era anche far arrivare in Russia tecnologia militare sotto
sanzioni, come semiconduttori, radar, satelliti – anche per spedire
milioni di barili di petrolio dal Venezuela ad acquirenti in Russia
e Cina, collaborando con altri due imputati, Juan Fernando Serrano e
Juan Carlos Soto, due trader assai spregiudicati che mediavano gli
accordi con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA, su
cui gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni già nel 2019.
Tuttavia nelle intercettazioni contenute (almeno parzialmente)
nell'inchiesta americana, emerge che la società di Uss era a sua
volta collegata a un gigante dell'alluminio di Stato della Russia,
una società di cui non viene fatto il nome (noto agli investigatori)
ma sembra corrispondere (gli americani per la verità non hanno
dubbi) a quella dell'oligarca Oleg Deripaska, uno dei più grandi
oligarchi a cavallo tra affari, Cremlino e, secondo diverse accuse
americane, malavita russa e servizi.
In uno degli scambi di messaggi intercettati, il 4 dicembre 2021,
Orekhov (il socio di Uss, che lo tiene informato passo passo) scrive
a "Juanfe" Serrano (il trader): «questa è la nostra società madre»,
e gli posta il link al sito della società di alluminio russa e un
link alla pagina Wikipedia di quello che nelle carte viene chiamato
"l'Oligarca". Orekhov dice: «Anche lui ("l'Oligarca") è sotto
sanzioni. Ecco perché noi stiamo agendo attraverso questa società.
Come front». E Serrano risponde: «Anche il mio partner, ah ah ah...
È molto vicino al governo. È una delle persone più influenti in
Venezuela. Vicinissimo al vicepresidente». E gira a sua volta il
link di un avvocato e uomo d'affari venezuelano ricercato dagli
americani per corruzione internazionale e riciclaggio. Più tardi
Orekhov e Serrano trattano un contratto da un milione di barili di
petrolio al mese, e chiariscono che «con la società di alluminio è
un contratto annuale, ogni mese, ogni mese... Stabile, di sicuro».
Nelle carte ufficiali gli Usa non scrivono chi sia "l'Oligarca". Ma
sanno chi è, e ne scrivono l'identikit davvero molto preciso: le
carte dicono testualmente che la società dell'alluminio «è stata
sottoposta a sanzioni statunitensi il 6 aprile 2018 e il 27 gennaio
2019». Cosa che coincide perfettamente con le due date in cui è
stata sanzionata la società russa di alluminio Rusal.
Rusal ha dichiarato che non acquista petrolio venezuelano o altri
prodotti soggetti a sanzioni e ha agito nel pieno rispetto delle
leggi internazionali sulle sanzioni (un avvocato di Deripaska non ha
risposto a una richiesta di commento). Tuttavia le carte dicono di
più: Uss e Orekhov parlano apertamente dell'oligarca. Orekhov a un
certo punto – dopo l'invasione di Putin in Ucraina – ha dei dubbi se
continuare apertamente a trattare affari di questo genere con la
Russia. Il 30 marzo del 2022, discutendo esplicitamente dei loro
traffici illegali con la società di alluminio della Russia, Uss
scrive a Orekhov: «Se dici seriamente... io incontrerò (e Uss scrive
le iniziali dell'oligarca) quando torno a Mosca... e gli comunicherò
personalmente il tuo desiderio di saldare tutti i debiti... se non
vuoi lavorare con la Russia ora, ed è davvero tossico, allora non ci
lavorare. Seguirò da vicino questa vicenda». È Uss stesso, l'uomo
stretto dell'oligarca.
È come se, nella piramide, Orekhov riferisca a Uss, che a sua volta
riferisce all'oligarca. Come che sia, Orekhov alla fine non si tira
indietro affatto. Anzi. Lui e Uss trasferiscono petrolio venezuelano
illegale non solo alla Russia, ma anche alla Cina, dalla società
venezuelana (PDVSA) a una società cinese a Hong Kong. I cinesi
mandano istruzioni, «petroliera a Singapore, pagamento 5 giorni dopo
il carico, nessuna menzione al fatto che il petrolio viene dal
Venezuela, please». Al che Orekhov risponde: «Questo è certo».
Orekhov dà anche istruzioni sul fatto che i trasponder verranno
spenti, per ingannare anche i siti come marine Traffic, e come paese
di spedizione cosa si metterà? Ci scherzano su: «Disneyland» (ossia
il Venezuela).
In una delle trattative con un dipendente della società di alluminio
russa (quella dell'"Oligarca"), il socio di Uss assicura al
dipendente la possibilità di ispezionare i carichi, e poi scrive a
Uss: «La chiatta è a Kingston, Giamaica, dobbiamo sapere se (la
società di alluminio) accetta le specifiche di viaggio o no».
Specifiche che ovviamente sono tutte fuorvianti o false, per
nascondere l'origine venezuelana dell'olio. Nel frattempo, la
società di Uss compra semiconduttori che finiranno a società russe
che lavorano anche per la componentistica dei jet da combattimento.
Ma anche da altre parti si arriva all'Italia. Dettagli interessanti
riguardano il trader spagnolo Serrano. Si occupa, secondo i
documenti americani che abbiamo letto, oltre che di mediare servizi
coi venezuelani, o col Medio Oriente, anche di fornire i
«portafogli» in criptomonete (con pagamenti, ripetiamo, a botte di
milioni). Serrano ha una società, che nelle carte americane non è
nominata ma si dice che è una società con sedi in Emirati Arabi,
Spagna e, indovinate dove? In Italia, ovviamente. Secondo quanto
risulta a La Stampa, al nome Juan Fernando Serrano Ponce, risulta in
Italia solo una srl che fornisce servizi, si trova a Bergamo, ed è
stata messa in liquidazione (al telefono listato nei documenti della
società non risponde nessuno). Abbastanza difficile pensare che di
tutte le connessioni "italiane" di questa storia, che sono in
documenti ormai pubblici, i poteri dello Stato italiano – che adesso
fanno a scaricabarile sulla fuga di Artem Uss – non sapessero
niente.
PUTIN IN AFRICA COME LA CINA : LA MORSA
ENERGICA AL MONDO Il Sudan ha una storia senza requie, scorre con
l'impeto del Nilo, il suo fiume travolgente, il fiume magico. Pensi
che tutto ormai sia stabilito, regolare, durevole. Passano alcuni
mesi è tutto ridiventa fluido e spesso radicalmente mutato. Gli
articoli scritti un anno fa non servono già più, sono superati
dall'accavallarsi degli avvenimenti: sempre drammatici. Eppure,
golpe dopo golpe, la sensazione è quella di una scena eguale, senza
sviluppo come il fotogramma di una pellicola ferma. La tragedia qui
si coniuga al presente. Sotto un'interminabile canicola si attende
che il sole sfochi all'orizzonte in un vibrante luccichio, come se
il mondo esalasse l'ultimo respiro. A Kharthoum c'è poco da vedere.
Si sta ad ammirare il Nilo, le acque gialle di quello Bianco che si
mescolano con quelle bruno verdi del Nilo azzurro. Anni fa, se non
erano disturbati dai battelli, si vedevano i coccodrilli prendere il
sole appiattiti sulle lingue di sabbia, simili a tronchi secchi
abbandonati dalla corrente. Pazienti. Rassegnati. Si attende.
Prendete i due protagonisti della guerra che da due giorni trasforma
la capitale nel campo di una confusa battaglia, stordita dal fumo
che si leva dai quartieri che ospitano i luoghi del Potere e i
comandi militari, guizzi di clamidi bianche in strade deserte, gente
che rischia la vita per cercare cibo o una zona della città più
sicura. I morti sono già decine, i becchini lavorano in fretta
tenendo d'occhio il cielo in cui sibilano, scaricando razzi, caccia
ed elicotteri.
Non è la rivoluzione, purtroppo. Un regolamento di conti tra
criminali in uniforme, tra sudici cleptocrati ornati di greche e
usurpate medaglie: il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo della
giunta militare che nei 2021 ha spazzato via a mitragliate un
fragile tentativo di speranza democratica e Mohamed Hamdam Dagalo
detto "Hemetti", capo degli squadroni della morte, il boia del
genocidio nel Darfur.
Non c'è un buono e un cattivo, non perdete tempo a distinguerli.
Sono due ex complici che hanno litigato per il bottino, ovvero il
Sudan, i suoi morti di fame, la sua miseria, i suoi traffici, le sue
miniere.Le milizie, i "janjawid", i diavoli a cavallo responsabili
della pulizia etnica, dopo il golpe sono state inglobate
nell'esercito con il pomposo nome di Forza di intervento rapido. A
cui era affidato anche il lucroso controllo delle frontiere e dei
migranti, con il sostegno finanziario dell'Unione Europea.
Un modo, nei piani di Burhan, per metter loro in uno solo colpo
divisa e museruola, ridurle all'obbedienza, limitando così gli
appetiti del loro padrone. Sì, perché Hemetti ha ambizioni vaste,
vuole il potere, tutto. Così ha scatenato il suo esercito, che ha
ben armato, contro quello regolare. Non gli manca l'impudenza.
Pensate: lui, il genocida, accusa l'ex socio di essere «un criminale
da consegnare alla giustizia» per aver tradito le speranza di
«democrazia» e invita il popolo a scendere in piazza al suo fianco
per rovesciare la giunta.
Ti prende lo scoramento pensando al 2019 quando i sudanesi dopo tre
generazioni di dittature, l'ultima quella di al Bashir, il complice
di Bin Laden, estrassero quasi alla cieca dal proprio coraggio e
dalla propria disperazione una imprevedibile rivoluzione. Fu uno
scoppio di realtà, il destarsi di antiche speranza che non si osava
nemmeno confessare, di rabbie tumultuose, di contraddizioni fino ad
allora nascoste. Una rivoluzione, sì, ma priva di idee come spesso
in Africa. Durò poco due anni e molti morti. Poi tutto tornò come
prima: spazzata via la festa, l'accampamento della democrazia vicino
al ponte di ferro sul Nilo azzurro, le scuole per i bambini di
strada , le distribuzioni di cibo per i poveri, le infinite
discussioni sulla libertà possibile, temporanea ed eterna.
Tornarono subito gli esponenti di una gerarchia militare infognata
di gente feroce, arretrata, avida, di un attaccamento vischioso al
potere e alle sue prebende. Gli Hemetti e i Burhan, appunto. Sì
perché se sollevi le divise di stile britannico quello che conta,
sempre, è il portafoglio dell' esercito, un patrimonio saggiamente
diversificato, dall'allevamento dei polli all'immobiliare, alle
miniere.
Già, le miniere. Hemetti, un massacro dopo l'altro, è diventato uno
degli uomini più ricchi del Sudan. Non solo ripulendo il Darfur ma
anche nelle province del Kordofan e del Nilo azzurro. Il dittatore
al Bashir ordinava e i suoi tagliagole eseguivano. Massacri
saccheggi stupri razzie di bambini trasformati in mini soldati
efficaci, crudeli, a basso costo. Dieci anni dopo un altro Ruanda,
lo stesso odore del Mostro, la stessa omertà, 800 mila orfani del
diritto internazionale, eccezioni dell'imperialismo umanitario. Non
lo sottovalutiamo, questo ex commerciante di cammelli è più che un
rozzo manovale delle pulizie etniche. Ha intuito che in Africa il
vento stava cambiando, i tempi un po' sonnacchiosi del post
colonialismo occidentale erano al tramonto. C'erano i cinesi , ma
soprattutto erano tornati i russi. Non più i sovietici e le
stagionate frottole dell'internazionalismo proletario. Ma il sorriso
implacabile di Putin e i suoi apostoli africani con kalashnikov e
società minerarie al seguito, ovvero Evgheni Prigozhin e la Wagner.
Offrono armi, «sicurezza» e contratti in cui si può fare a metà
senza retoriche umanitarie e rimorsi. Nella sinfonia africana di
Putin i golpisti sudanesi suonano gli strumenti fondamentali.
È vero, l'infiltrazione russa qui è iniziata ai tempi di al Bashir,
isolato dalla sanzioni, braccato dalla lumachesca giustizia
internazionale. Il nuovo imperialismo russo era un alleato perfetto:
piovevano armi moderne, istruttori militari, addirittura la firma
per la concessione di una base navale vicino a Port Sudan, di fronte
ad Aden dove passa il dieci per cento del commercio mondiale. Era la
duplicazione africana di Tartus in Siria, il ritorno dell'orso che
aveva imparato a nuotare in mari perduti dopo la chiusura della base
sovietica in Somalia nel 1977. Il contratto prevede la concessione
per 25 anni, una rada per ospitare almeno quattro navi da guerra tra
cui unità a propulsione atomica, una guarnigione militare russa di
300 uomini con immunità diplomatica.
Il cambio di dittatori al potere ha solo rafforzato l'intesa.
Khartoum è diventata il nodo centrale del sistema Wagner. Nella sede
dei servizi segreti sudanesi e con la loro mediazione è stato
siglato l'accordo con i gruppi armati del Centrafarica che ne ha
fatto una delle "colonie" russe del continente insieme al Mali e al
Burkina faso. Per questo si ipotizza che Mosca potrebbe essere il
regista del tentato golpe di Dagalo. Il paradosso della guerra tra i
due generali è che entrambi sono legati alla Russia. Mentre
l'attenzione dell'Occidente è fissa su quanto accade in Ucraina
Putin sta vincendo la guerra in altre zone del mondo, seduce regimi
dittatoriali che gli assomigliano e che diventano dipendenti da lui
per la sopravvivenza autocratica, controlla zone del mondo, si
assicura materie prime che diventeranno sempre più decisive in una
guerra mondiale che è già in corso e che durerà decenni. L'Ucraina è
solo il pretesto, la miccia usata da Mosca per dar fuoco
all'incendio. Bakhmut non conta nulla, serve a ipnotizzarci. La
vittoria si giocherà nel Sahel, in Africa centrale, in Medio
oriente. E domani nel Mar cinese e a Taiwan.
16.04.23
ABBIAMO IL DIRITTO DI CAPIRE: «Giletti
è solo la pedina meno importante. Questa è una grande storia
italiana. Ed è tutta qui». Ed Enrico Deaglio sbatte sul tavolo il
suo libro, Qualcuno visse più a lungo (Feltrinelli), la bibbia sui
fratelli Graviano.
Come ci sei arrivato?
«Dei Graviano mi ha sempre colpito che nel 1991 si erano trasferiti
a Omegna, sul lago d'Orta. Godendo, ha detto, di una "favolosa
protezione"».
Da parte di chi?
«Dallo Stato - politica, apparati investigativi, magistrati - per
averlo aiutato a catturare Riina».
Lui e il fratello sono al 41 bis.
«Il che non gli ha impedito di avere figli. Mogli libere. Patrimoni
pressoché intatti. La madre quando andava a trovare i figli
alloggiava a Milano 3».
Però nel '94 sono stati arrestati.
«Potrebbe esserci lo zampino di Berlusconi. Gli stavano addosso.
Volevano uscire dal ruolo di soci occulti».
Congetture.
«Graviano ha parlato di una "colletta tra palermitani" per
finanziare Berlusconi con 20 miliardi di lire. Fininvest ha sempre
smentito».
Dove comincia questa storia?
«A Borgomanero, dieci chilometri da Orta, con l'arresto di Balduccio
Di Maggio, l'autista di Riina, gestito dal generale del Sismi
Delfino. L'uomo più corrotto d'Italia».
Che sarebbe nella foto con Berlusconi e Graviano.
«Verosimile, ma non ne avevo mai sentito parlare. Quella piazza, a
Orta, si presterebbe. Baiardo sarebbe il fotografo».
Berlusconi con un superboss latitante? Mah.
«Dipende dal periodo. All'epoca Graviano non era considerato un
superboss. Nel '94 il suo arresto a Milano fu quasi ignorato dai
giornali».
Chi è Baiardo?
«Un trafficone di paese, figlio dello stimato capostazione di
Omegna, siciliano».
Tutto qui?
«Portavoce dei Graviano. Che in una trattativa lunga trent'anni ora
rivendicano il secondo regalo allo Stato: l'arresto di Messina
Denaro, di cui hanno rivelato la malattia, dopo quello di Riina».
Chi ha cercato chi?
«Baiardo contatta Report e Giletti. Per soldi, ma non solo. Giletti
fa lo scoop. Poi lo porta in trasmissione, dopo l'arresto di Messina
Denaro. E mi invita. Quando parlo, Baiardo reagisce male».
E Giletti?
«Manda la pubblicità. Poi parlo più».
Che cosa avevi detto?
«La sua storia. Baiardo è una vecchia conoscenza della Dia. Aveva
detto tutto, dei Graviano e di Berlusconi, rifiutandosi però di
firmare il verbale. Aveva dato ai Graviano un falso alibi per la
strage di via D'Amelio. Ma se l'è cavata con una blanda condanna per
favoreggiamento».
Hai più sentito Giletti?
«No. In compenso mi ha cercato Cairo. Voleva parlarmi. Di queste
storie. Sono andato a Milano. Era spaventato».
Perché?
«Lui è in mezzo. Ci teneva a farmi sapere che quando era assistente
personale di Berlusconi, fu messo in guardia: "Attento, Dell'Utri
vuole farti fuori"».
In che senso?
«Figurato. Credo».
Perché scoppia il caso Giletti?
«La mia impressione è che volesse fare il grande colpo: la foto di
Graviano e Berlusconi. Mentre Berlusconi è in ospedale e si riparla
di Mediaset in vendita. Un incubo. Per tutti». La vicenda della
sospensione del programma di Massimo Giletti Non è l'Arena è un
brutto segnale, da tanti punti di vista. Innanzitutto, per le
persone che ci lavorano e non solo per lo stipendio alla fine del
mese, che per quanto prioritario sia, non vale più della dignità e
dell'orgoglio professionale di chi ci collaborava. Ma è un pessimo
segnale che riguarda anche noi che facciamo informazione, a
cominciare da quella difesa della libertà di stampa per cui in tante
altre occasioni (e giustamente!) ci si è stracciati le vesti. Qui,
invece, la libertà di stampa finisce dove inizia quella di uno che
ci sta antipatico, verrebbe da dire, parafrasando il noto detto. Già
perché, la decisione improvvisa di chiudere Non è l'Arena ha
scatenato immediatamente un profluvio di illazioni. Alcune delle
quali palesemente false, altre fuorvianti, altre screditanti verso
lo stesso Giletti. Da subito, è stata fatta circolare una notizia
importante e preoccupante e cioè che ci sarebbe stata una
perquisizione a casa del conduttore e negli uffici della produzione.
Ad una veloce, quanto facile - e magari doverosa - verifica dei
fatti, la notizia è risultata falsa, smentita tra l'altro dal
diretto interessato. In molti poi, hanno fatto riferimento alla
solita soap opera della trattativa Giletti-Rai per tornare
all'ovile, che va avanti da anni, ma che stavolta avrebbe inasprito
a tal punto i rapporti con l'editore de La 7 Urbano Cairo da
convincerlo a chiudere di botto il programma. Ma anche fosse vero -
è il mercato, bellezza! - si chiude una trasmissione di peso per
questo, due mesi prima della fine già prevista? «Ah ma gli ascolti
bassi», «Ah, ma costa troppo», si è aggiunto, ma se così fosse lo
avrebbe precisato la rete.
Non basta. Il vero problema, si è poi scritto, è il cachet
corrisposto per le famose ospitate a Salvatore Baiardo, uomo a
disposizione dei fratelli Graviano, condannato per favoreggiamento.
Argomento che pone certo un tema di opportunità, ma che La 7 non ha
di certo scoperto l'altro ieri, visto che Baiardo è comparso per
mesi nello studio di Giletti e tutti ne hanno dovuto dare notizia
per quella "profezia" sull'imminente resa dell'allora latitante
Messina Denaro. Ad aggiungere discredito, è stato anche detto,
infatti, che Giletti avrebbe pagato Baiardo, sottobanco e in nero.
Un'indiscrezione rivelatasi anch'essa falsa.
Senza proseguire oltre nell'elenco dei rumors, tutti più o meno
orientati nella stessa direzione, colpisce che non ci sia stata da
parte del mondo dell'informazione, salvo poche eccezioni, quella
forte e partecipata levata di scudi che abbiamo visto quando
chiusero, per esempio, la trasmissione di Sabina Guzzanti Raiot, un
atto di evidente censura, fu considerato da tutti.
Senza dire per citare i casi più clamorosi dell'indignazione e della
mobilitazione provocate vent'anni fa dall'editto bulgaro,
pronunciato da Sofia dall'allora presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi nei confronti di Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele
Luttazzi, estromessi dalla Rai. Cosa ha di diverso Giletti da loro?
Non è di sinistra, anzi mostra confidenza con i leader della destra,
ammicca da piacione alla telecamera e piace più alla pancia del suo
pubblico che ai critici e ai colleghi. Ma allora come funziona la
difesa dell'informazione? Vale solo per chi ci piace? Non dovremmo
difenderla sempre e a prescindere dai nostri gusti personali?
Massimo Giletti da anni si occupa di mafia e di altri argomenti
delicati, alternandoli in verità a temi ben più leggeri e
acchiappa-ascolti. Piaccia o no il suo stile, si valuti
favorevolmente o meno la sua capacità di approfondimento, di fatto
negli ultimi mesi ha animato il dibattito pubblico, toccando materie
scottanti. Per altro non si dimentichi che da anni il conduttore di
Non è l'arena vive sotto scorta per le inchieste condotte sulla
mafia. In più, gli articoli pubblicati ieri, a firma Marco Lillo,
Lirio Abbate e Giacomo Amadori, su giornali diversissimi tra loro,
hanno raccontato un fatto importante, ovvero la convocazione di
Giletti da parte dei magistrati di Firenze Luca Tescaroli e Luca
Turco; i pm cercavano la conferma dell'esistenza di una foto
scattata ad Orta, agli inizi degli anni '90 che ritrarrebbe insieme
il boss Giuseppe Graviano, il generale dei carabinieri Francesco
Delfino e Silvio Berlusconi. Giletti ha confermato ai magistrati che
Baiardo gli aveva mostrato quella foto, non escludendo che lo avesse
fatto per ricevere in cambio credibilità e soldi; Giletti gli
rispose che avrebbe dovuto far esaminare la foto per verificare se
fosse un falso.
Ad oggi, non si conoscono le ragioni reali della brusca chiusura di
Non è l'arena, decisa da Urbano Cairo - che replicando
indirettamente a Giletti che a Striscia aveva detto: «L'Italia non è
ancora pronta ad ascoltare certe verità, fa più comodo tenerle nei
cassetti» - ha dichiarato: «Giletti ha condotto in sei anni 194
puntate di Non è l'Arena dove ha potuto trattare in libertà tutti
gli argomenti che ha voluto, inclusi quelli relativi alla mafia
sulla quale ha fatto molte puntate, con tutti gli ospiti che ha
voluto invitare». È sicuramente vero, ma proprio per questo
bisognerebbe allora, nell'interesse di tutti e non solo del
conduttore e della sua redazione, conoscere il motivo di questo
secco e definitivo stop al programma, da un giorno all'altro. —
ALTRA AZIONE PUTINIANA: Nessun corteo del 1° maggio a Mosca:
«Il livello del pericolo terroristico è troppo elevato», comunica il
vicepresidente della Federazione dei sindacati indipendenti
Aleksandr Shershukov, e quindi non si sfilerà in piazza Rossa e non
si terranno comizi con le bandiere rosse. Non che i sindacati
(indipendenti soltanto nel nome) si aspettassero un grande afflusso
di manifestanti: dopo la fine del regime sovietico i moscoviti
associano la festa dei lavoratori più alla partenza verso le dacie
da rimettere in sesto dopo l'inverno che alla lotta per i propri
diritti. Ma la tradizione è rimasta, e il fatto che il corteo venga
cancellato per paura di un «atto terroristico» è un segnale inedito
e inquietante.
È singolare che il Cremlino decida di discutere pubblicamente la sua
paura di un attacco contro Mosca, in una ammissione di vulnerabilità
che contraddice la retorica aggressiva della propaganda. Soltanto un
mese, fa la cancellazione del concerto per l'anniversario
dell'annessione della Crimea che doveva tenersi allo stadio Luzhniki
era passata sotto silenzio, come il rinvio più volte del discorso al
parlamento di Vladimir Putin, preoccupato secondo diverse voci di
diventare un bersaglio dei droni ucraini.
Adesso se ne discute senza imbarazzo e le autorità di diverse
regioni frontaliere cancellano anche l'appuntamento più sacro del
calendario putinista, la parata della Vittoria il 9 maggio, abolita
in Crimea, a Kursk e a Belgorod, il cui governatore dice
esplicitamente di non volere «provocare il nemico».
Da potenza che attacca, la Russia si sente ormai il bersaglio sotto
attacco, e le difese antiaeree installate nel centro di Mosca e nei
pressi delle dacie di Putin non hanno sortito un effetto
tranquillizzante, semmai l'opposto. Nelle inserzioni immobiliari
della capitale la prossimità di una batteria di missili Panzir viene
ormai menzionata tra i vantaggi della casa, insieme alle zone di
verde nel vicinato e ai collegamenti con i mezzi. Ma la sensazione
di vulnerabilità è qualcosa di nuovo e sgradito, anche perché i
droni ucraini (e i gruppi di infiltrati) hanno già colpito alle
porte di Mosca, e i continui incendi ed esplosioni nelle fabbriche
militari e nelle caserme – l'ultima è di ieri, al poligono dei carri
armati a Kazan, secondo i social una detonazione del magazzino
esplosivi con 30 morti – non fanno che aumentarla. Con il regime che
si trova di fronte a un dilemma: ammettere di essere sotto attacco
significa aumentare lo scontento, ma nello stesso tempo permette di
coalizzare l'opinione pubblica, e aumentare la repressione del
dissenso, ormai apertamente accusato di complicità con Kyiv. È
proprio questa la pista proposta per la bomba contro il
propagandista nazionalista Vladlen Tatarsky, ucciso a Pietroburgo
dieci giorni fa: una bomba piazzata su ordine degli ucraini dai
seguaci del movimento di Alexey Navalny, proclamato una
«organizzazione terroristica». Un pretesto per distruggere quel poco
che resta di una opposizione il cui leader viene torturato in
carcere: il suo collaboratore Ruslan Shaveddinov ha dichiarato
venerdì ai giornali britannici che Navalny è «in condizioni
critiche», dopo un ennesima reclusione in cella di punizione. Ha
perso 8 chili in 15 giorni, lamenta dei forti dolori addominali e
gli viene negata la possibilità di ricevere visite di medici
qualificati, ottenere i medicinali inviati da sua madre e acquistare
prodotti alimentari nell'emporio del carcere. I medici della
prigione continuano a non rivelare a Navalny la sua diagnosi, e il
fatto che nei giorni scorsi siano stati costretti a chiamare per il
dissidente un'ambulanza dimostra, secondo Shaveddinov, che le sue
condizioni sono molto serie. Dopo la visita dell'ambulanza non sono
giunte altre notizie dal carcere, e il collaboratore del politico
ritiene che «lo stanno uccidendo gradualmente con un veleno ad
azione lenta nel suo cibo».
Un'ipotesi che non suona incredibile, considerando che Navalny era
già stato avvelenato dai servizi russi nel 2020, e che Mosca non si
sente più vincolata dall'opinione pubblica internazionale nel
sterminare ogni dissenso. A confermare il sospetto che il Cremlino
voglia eliminare il problema Navalny alla radice è arrivato anche
l'ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili, a sua volta oggi
detenuto e a Tbilisi, e in condizioni di salute peggiorate a tal
punto da far sospettare un avvelenamento. Rispondendo a un messaggio
di solidarietà mandatogli da Navalny, Saakashvili ha augurato al
dissidente russo di «sopravvivere, tornare in libertà e di
raggiungere il suo obiettivo», cioè «diventare presidente di quel
che resterà della Russia».
SONO I DITTATORI AFRICANI I VERI SFRUTTATORI DEL POPOLO AFRICANO
: I Berretti rossi sono tornati. E hanno riportato il terrore
nel cuore di Khartoum, come quattro anni fa, quando loro, i
miliziani del generale Mohamed Hamdan Dagalo, trucidarono a colpi di
mitragliatrice centinaia di studenti accampati per protesta davanti
al quartier generale delle Forze armate. Ma ieri l'obiettivo del
massacratore del Darfour, già braccio destro dell'ex dittatore
ricercato dall'Aja Omar al-Bashir, era un altro. Ovvero il nuovo
uomo forte del Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan. La
primavera sudanese del 2019 aveva portato a una lentissima
transizione verso la democrazia, un governo misto civile-militare
che doveva poi lasciare il posto alla società civile, protagonista
della rivoluzione culminata a fine giugno con la "marcia del
milione", l'ultima spallata al regime. Al-Burhan, fautore anche
della normalizzazione dei rapporti con Israele, era pronto. L'11
aprile doveva essere firmato l'accordo per il nuovo esecutivo tutto
civile. Ma qualcuno ha bloccato tutto. E quel qualcuno è Dagalo.
Nei giorni scorsi la gente era tornata nelle strade. Con lo stesso
grido di quattro anni fa, «houkoume madaniyeh», «governo civile»,
libertà, diritti. Al-Burhan ha cercato di convincere Dagalo a un
passo indietro. Poi, la sera di venerdì, ha deciso di sciogliere il
nodo con la forza. Ha decretato l'assorbimento dei Beretti rossi, la
milizia personale di Dagalo, conosciuta anche come Rapid Support
Forces o Rsf, nelle forze armate regolari. Un modo per disarmare il
rivale. Che ha reagito con la massima brutalità, il suo marchio di
fabbrica. Ieri, prima dell'alba, ha lanciato l'assalto ai centri del
potere nella capitale, alla confluenza del Nilo Azzurro con il Nilo
Bianco. Cannonate contro il comando dell'esercito, e poi l'assalto
all'aeroporto internazionale e al palazzo presidenziale, dove
risiede lo stesso Al-Burhan, subito conquistati. Al-Burhan,
presidente del Consiglio esecutivo civile-militare però non c'era.
Si era spostato, dopo aver annusato il pericolo, in una caserma con
militari a lui fedeli. E ha lanciato il contrattacco. Si sono alzati
in volo i vecchi cacciabombardieri di fabbricazione sovietica e
hanno cominciato a bombardare le postazioni dei Berretti rossi.
Un golpe mezzo fallito, e una guerra civile fra fazioni militari a
pieno regime. Dagalo ha accusato il rivale di essere un «sionista
traditore» e promesso di «mandarlo alla corte marziale» una volta
catturato. Gli attivisti della rivoluzione però non disperano. Sono
convinti che Al-Burhan, con l'appoggio della popolazione, alla fine
prevarrà. «Ci sono scontri in tutti tre i settori della città –
conferma alla Stampa uno di loro, Mohamed Youssif -. I ponti sono
bloccati e le fazioni si sparano con l'artiglieria pesante». I
miliziani di Dagalo puntano a isolare la capitale e a impedire alla
gente di uscire, con il terrore, i morti sarebbero già decine,
mentre dai palazzi colpiti dalle bombe ieri sera si levavano dense
colonne di fumo. Muhameda Tulumovic, direttrice di Emergency nel
Paese, racconta che ha dovuto chiudere l'ospedale pediatrico, e il
personale del centro di cardiochirurgia è bloccato perché «è
impossibile spostarsi» nella capitale.
Uno scenario di guerra che preoccupa i Paesi vicini, Europa e Stati
Uniti. Il segretario di Stato Antony Blinken ha rivolto un appello
affinché «cessino subito le violenze», senza però accusare nessuno.
Anche l'equilibrio nei rapporti internazionali, come quello interno,
è precario e variabile. Dagalo, come il suo mentore Al-Bashir, mai
consegnato all'Aja, aveva un ventaglio di alleati che andava dagli
Emirati alla Russia. Ancora a febbraio è andato in visita a Mosca. E
parte dei suoi miliziani sarebbe stata addestrata dalla Wagner. Dopo
la rivoluzione del 2019 il Sudan si è invece riavvicinato agli Stati
Uniti fino a impegnarsi a firmare un accordo di pace con Israele
«entro la fine del 2023». Russi e alleati nel Golfo non hanno però
mai abbandonato del tutto la presa. E i loro rapporti privilegiati
con Dagalo, anche se ieri il Cremlino ha esortato alla «tregua».
Dalla battaglia di Khartoum dipendono anche i rapporti di forza nel
Sahel e in Africa orientale.
PAURA NEI TRIBUNALI : «Mi chiamo Ilaria Salamandra, sono
un'avvocata e sto facendo questo video da una stanza dell'ospedale
Bambin Gesù di Roma accanto a mio figlio di due anni». Potrebbe
essere il trailer di una nuova serie strappalacrime prodotta da
Netflix, ma è invece l'estratto di un video pubblicato su Facebook
da un'avvocata cui il collegio giudicante composto da tre donne ha
rigettato l'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo
impedimento, una delle tante madri che, nel nostro paese, sono
costrette a vivere in condizioni da terzo mondo, come dice sempre
Ilaria Salamandra. Che mette il dito nella piaga. E lancia
l'ennesimo appello che, per l'ennesima volta – e non lo scrivo per
disfattismo, ma per senso di realtà –, cadrà nel vuoto. Se c'è una
cosa che caratterizza il nostro paese, d'altronde, è proprio la
distanza siderale che esiste tra il "dire" e il "fare". Da un lato,
c'è la retorica che circonda la maternità: fate figli! nulla è più
bello del dono della vita! se avete problemi vi aiutiamo noi!!
Dall'altro lato, c'è la realtà: quella fatta di bambini che si
ammalano e di madri cui si nega il legittimo impedimento; quella
piena "di donne e di uomini piccoli piccoli", come racconta Ilaria
Salamandra nel video registrato ieri al Bambin Gesù dove aveva
accompagnato per un day hospital suo figlio Leonardo; quella fatta
di scelte drammatiche buttate addosso alle donne che sono ancora
sistematicamente costrette a scegliere tra figli e carriera; quella
che premia solo chi c'ha i mezzi oppure chi – scusate la brutalità
con cui lo scrivo – della cura dei figli, se ne frega. Da una parte,
ci sono le frasi fatte, i buoni propositi, gli slogan e l'ideologia
dominante che negano ai bambini delle famiglie arcobaleno gli stessi
diritti di chi ha un padre e una madre; dall'altra, ci sono le
decisioni che scavano dentro e fanno sanguinare le donne, come
quella presa due giorni fa dalle tre giudici del Tribunale di Roma.
«Questi sono i deliri di onnipotenza di una certa magistratura», ha
continuato l'avvocata Ilaria Salamandra nel suo video raccontando
come il figlio, ogni sei mesi, deve essere ospedalizzato per cure e
accertamenti sotto anestesia. «Leonardo sta bene», ha quindi
concluso ringraziando tutti coloro che, nel frattempo, le avevano
manifestato solidarietà, ma chiedendo anche di condividere il suo
messaggio disperato: com'è possibile che tante madri debbano ancora
tollerare questo tipo di soprusi?
L'Italia non è un paese per madri, lo sappiamo da tempo. Qualunque
sia la sua professione, quando una donna ha figli è costretta a
subire: pregiudizi, angherie, pressioni, ingiustizie. Poi, certo,
questi pregiudizi e queste angherie le subiscono anche i padri,
soprattutto quando si tratta di coppie di gay, e comunque
ogniqualvolta entrino in gioco i sentimenti, gli affetti e, più
generalmente, la vulnerabilità della condizione umana, perché il
vero problema è la disumanizzazione che trionfa oggi, la falsa
credenza che si lavori bene solo quando ci si comporta come una
macchina, l'ideologia dell'onnipotenza della volontà, che mette tra
parentesi imperfezioni, défaillance, lutti, malattie, stanchezza,
emozioni. Ma la miscela infernale, per le donne, è l'intreccio
sistematico di sessismo e volontarismo: se sei una donna e vuoi
riuscire (riuscire a che? in cosa? a quale scopo?), devi presentarti
al lavoro subito dopo aver partorito, devi venire in studio o in
ufficio o in università o in tribunale anche se piegata in due per
un ciclo mestruale doloroso e debilitante, devi vestirti in un certo
modo altrimenti non sei credibile, devi farti valere con il marito o
il compagno e spedire lui in ospedale con tuo figlio. Poi ci si
chiede perché le adolescenti e gli adolescenti sono in crisi, si
sentono inadeguati, non hanno speranza nel futuro. In che senso? si
starà forse chiedendo qualcuno, immaginando che io stia divagando,
saltando di palo in frasca. Ma non è così, tutto è legato; e i
nostri giovani, che assistono alla disperazione dei propri genitori,
sono solo il sintomo di una società fatta, appunto, di donne e di
uomini piccoli piccoli, come ha detto bene l'avvocata Salamandra
sottolineando il delirio di onnipotenza di una certa magistratura.
Che è poi il delirio di onnipotenza di una società impotente, perché
è solamente quando si è impotenti nei confronti della vita che si
può poi pretendere l'onnipotenza da parte di una madre.
—La strage di Erba, dopo aver già
conquistato il primato di peggiore carneficina del nuovo millennio
nel nostro Paese, colleziona un'altra inquietante peculiarità: un
sostituto procuratore generale dopo aver letto gli atti chiede che
il processo venga riaperto, affatto convinto che Rosa e Olindo siano
davvero gli assassini di quei quattro innocenti ammazzati la sera
dell'11 dicembre 2006 a Erba. Un documento analitico, frutto di mesi
di lavoro quello che il sostituto Cuno Tarfusser, già procuratore
capo a Bolzano e ora a Milano, ha elaborato, dopo aver incontrato
gli avvocati di Rosa e Olindo, i due che stanno scontando
l'ergastolo dopo la pronuncia definitiva della Cassazione nel 2011.
Una richiesta sollevata «in tutta coscienza per amore di verità e di
giustizia e per l'insopportabilità del pensiero che due persone,
probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando
l'ergastolo». La conclusione è netta: «Fin dal primo grado c'erano
prove della loro innocenza».
Il documento è ora sulla scrivania del procuratore generale
Francesca Nanni perché sta a quest'ultima decidere se vistarlo e
trasmetterlo a Brescia per il vaglio della Corte d'Appello
sull'eventuale revisione, oppure archiviarlo non ritenendolo
condivisibile. Nel documento Tarfusser valorizza elementi
controversi su tutte le tre prove principali che portarono
all'ergastolo. Si parte dalle macchie di sangue della vittima
sull'auto usata dagli imputati, che sarebbe in realtà un effetto
ottico, al riconoscimento e l'identificazione di Olindo da parte di
Mario Frigerio, unico testimone della strage, che sarebbe
compromesso dai "buchi" nelle intercettazioni e, da ultima, la
confessione stessa della coppia che poi ha ritrattato.
L'auto accusa dei coniugi, per il magistrato, sarebbe «da
considerarsi false confessione acquiescente», la testimonianza di
Frigerio una «falsa memoria» legata al «peggioramento della
condizione psichica» dell'uomo e alle «errate tecniche di intervista
investigativa». Osservazioni, sottolinea il magistrato, che «se
approfondite e valutate, avrebbero già sin dal giudizio di primo
grado potuto portare ad un diverso esito processuale».
Hanno colpito il sostituto procuratore generale, sia le
intercettazioni ambientali di quando Frigerio era in ospedale, mai
entrate nel procedimento, sia gli audio e i video effettuati prima
della confessione, Tarfusser ha cioè maturato dubbi sull'istruttoria
ancora prima di valutare le "nuove prove" che gli avvocati di Rosa e
Olindo hanno raccolto negli ultimi anni, contando su numerosi
consulenti ed esperti. Sembra infatti che Tarfusser si sia sorpreso
di numerosi dettagli a iniziare dal fatto che Rosa e Olindo vennero
sentiti addirittura da quattro pubblici ministeri.
Per capire la portata di questa mossa di Tarfusser è forse davvero
la prima volta dal 1930, con l'entrata in vigore del nuovo codice di
procedura penale nella storia della nostra giustizia, che un
sostituto procuratore generale – e quindi chi rappresenta l'accusa –
ponga dei dubbi sulla colpevolezza dei condannati, sollecitando la
revisione e la riapertura del dibattimento. In genere, infatti, è
l'imputato a chiedere un nuovo processo. Proprio a Brescia, che con
ogni probabilità sarà investita della questione dai colleghi di
Milano, quest'autunno la Corte aveva respinto – ad esempio – analoga
istanza presentata da Maurizio Tremonte, già informatore dei
servizi, dopo la condanna all'ergastolo ricevuta per la strage di
piazza Della Loggia, accogliendo così il diniego suggerito dal
procuratore generale Guido Rispoli.
A questo punto è difficile ipotizzare che Nanni sconfessi il proprio
consigliere più anziano mentre è più probabile che la pratica
finisca a Brescia, come prevede il codice per passare al vaglio
della Corte che dovrà innanzitutto decidere sull'ammissibilità della
stessa.
Da parte loro, avendo alle spalle già incassato un diniego su una
precedente analoga istanza, i difensori di Rosa e Olindo oggi
saranno di certo più ottimisti visto che a presentare l'incartamento
è la pubblica accusa. In questa direzione è possibile che il
difensore Fabio Schembri, con i colleghi Nico D'Ascola, Luisa
Bordeaux e Patrizia Morello stiano aspettando le determinazioni del
procuratore generale di Milano, prima di presentare a loro volta
istanza di revisione a Brescia. È infatti chiaro che arrivassero le
richieste da entrambi i soggetti preposti, la Corte, sarebbe un
fatto di indubbia rilevanza. E si tornerebbe a quelle ore, alla sera
delle atrocità, a quei 76 colpi inferti con spranghe e due coltelli,
l'11 dicembre 2006 quando in una delle palazzine di via Armando Diaz
25 a Erba vennero ammazzate quattro persone: Raffaella Castagna (30
anni), il figlio Youssef Marzouk di appena due anni, la nonna del
bimbo, Paola Galli di 60 anni, e una loro vicina, Valeria Cherubini
di 55 anni che viveva con il marito Frigerio al piano superiore, in
una mansarda. Ed è proprio Frigerio l'unico a rimanere in vita. E
questo grazie a una assai particolare malformazione congenita alla
carotide che gli impedisce di dissanguarsi. E così Frigerio diverrà
il testimone chiave dell'accusa, quello che, recuperate le forze,
punterà l'indice contro Rosa e Olindo.
I due, a gennaio del 2007, confesseranno la strage con parole da
pelle d'oca. Quando i pm chiedono a Rosa: «Il bambino perché lo ha
ucciso?», lei senza battere ciglio risponde: «Perché urlava… (…)
perché piangeva e mi dava fastidio… mi aumentava il mal di testa
quando lo sentivo». Olindo: «No, è stato come ammazzare un coniglio,
se l'è meritata». Rosa e Olindo andranno poi a ritrarre, accusando
di esser stati indotti a confessare, senza però essere creduti.
Olindo: «Non ho fatto altro che dirgli le notizie apprese tramite i
giornali» mentre la procura osserva come nei ricordi dei due messi
agli atti abbondino «particolari significativi riferibili solo da
soggetti che abbiano effettivamente vissuto la scena del crimine».
A questo punto, diventa importante non solo che venga fatta
chiarezza ma che questo avvenga in tempi rapidi e in modo
definitivo. Non si possono lasciare le vittime e i loro parenti
rimasti in vita con dubbi di questo tipo. In pochi giorni, al
massimo una o due settimane, il procuratore di Milano Nanni deciderà
se vistare e condividere le venti pagine firmate da Tarfusser
dopodiché bisognerà capire se e cosa faranno i giudici a Brescia.
Anche perché è sempre stato ritenuto improponibile solo ipotizzare
che gli autori della strage siano da cercare tra le persone che non
abitavano nella stessa palazzina e le prove contro Rosa e Olindo ad
oggi sono state sempre ritenute granitiche e tali da convincere
giudici di ogni ordine e grado.
QUANDO LO CHIEDO NELLE ASSEMBLEE DELLE SOCIETA' MI DERIDONO :
Nel Sud del mondo un bambino su tre è costretto a lavorare. In
totale, denuncia l'Unicef, lo sfruttamento minorile riguarda un
decimo della popolazione infantile. Su 152 milioni di
baby-lavoratori (88 milioni maschi, 64 milioni femmine), la metà
sono sfruttati in occupazioni classificate come pericolose. Una
piaga che non risparmia l'Italia dove prende in genere le forme di
mansioni sommerse e illegali (cioè attività svolte prima dei 16
anni, l'età consentita per legge). Spiegano al Gruppo Abele:
«Incontriamo molti giovani schiacciati su una prospettiva
materialistica della vita, rassegnati a ragionare sulla base di
necessità economiche. Cerchiamo di riportarli a una prospettiva di
desiderio, di passione, di sogno da realizzare per realizzarsi». Il
fenomeno coinvolge 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15
anni (un minore su 15). 58 mila ragazzi (il 27, 8% cioè dei
14-15enni occupati) hanno subito danni ai percorsi scolastici e al
benessere psicofisico. Uno su dieci ha iniziato prima degli 11 anni
nella ristorazione (25, 9%), nella vendita al dettaglio nei negozi e
attività commerciali (16, 2%), in campagna (9, 1%), nei cantieri (7,
8%), come caregiver familiari (7, 3%), in mansioni online (5, 7%)
come la fornitura di contenuti per social o videogiochi o ancora il
"reselling" di sneakers, smartphone e pods per sigarette
elettroniche.
Dai romanzi ottocenteschi di Charles Dickens e Mark Twain alla crisi
globale post-pandemia, quindi. Il lavoro minorile è sempre più
emergenza sociale. Si celebra oggi la Giornata internazionale contro
la schiavitù infantile, come accade ogni anno nel nome del pakistano
Iqbal Masih, ucciso a 12 anni per aver cercato di promuovere la
difesa dei bambini dallo sfruttamento lavorativo. Una ricorrenza per
chi ha diritto a giocare, studiare, formarsi come cittadino. «In
questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci
sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, sfruttati,
maltrattati, schiavizzati, profughi. Di tutto questo noi ci
vergogniamo davanti a Dio», afferma papa Francesco. Un allarme
testimoniato in Italia e nel mondo da Save the Children, Ilo e
Gruppo Abele. «Il lavoro minorile non è solo confinato in alcuni
paesi del mondo, ma è anche un problema italiano. Servono sforzi
perché i minori possano integrarsi nella società– spiega la ministra
del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone. – Le
priorità sono l'intensificazione dei controlli contro il lavoro
minorile illegale e l'accompagnamento dei ragazzi alla vita
lavorativa futura. Abbiamo avviato un intervento su più piani. Si
chiama'Garanzia Infanzia'e rafforza l'attività svolta sui territori
dagli ispettorati, accompagna i percorsi di crescita attraverso la
frequenza scolastica e l'apprendistato duale (alternanza
scuola-lavoro), correla lo sviluppo della persona alla sua età». Ma
le storie dei baby schiavi fanno emergere un'Italia invisibile.
Valerio ha 17 anni ed è il secondo dei sei figli di una famiglia rom
che vive in una casa in affitto a Milano. Per contribuire al reddito
familiare ha iniziato a lavorare a 8 anni, insieme a suo padre. Come
imbianchino, idraulico, muratore. «A 10 anni sono andato per i fatti
miei, fino a 13 anni ho lavorato nelle giostre, poi ho fatto il
muratore e l'idraulico fino a 15 anni. Mi hanno preso in un bar e in
un panificio. Volevo i soldi per uscire con gli amici, mi vergognavo
di chiederli ai genitori– racconta Valerio-. Alle giostre ho
iniziato nel periodo estivo e ho proseguito. Andavo nei campi a
zappare, coltivavo pomodori e angurie, tagliavo l'erba. Mai avuto un
contratto. Mi davano 50 euro per 8 ore. Era molto pesante: guidavo
il trattore, caricavo la frutta. "Se vuoi i soldi, te li devi
guadagnare con il sudore", ripeteva il padrone. Tante gente ti
spinge a fare brutte cose per intascare di più ma io preferisco
dormire la notte». Non va meglio al bar: «Ogni giorno il turno dalle
17 alle 5 di mattina. Dovevo portare le casse d'acqua, pulire le
vaschette del gelato, riportare le sedie dentro. 8 alla volta invece
di 4 per fare più in fretta». Quando Valerio torna a casa all'alba
mangia qualcosa, beve un caffè e si precipita al panificio dalle 7
alle 14 per «scaricare dal camion sacchi di farina da 50 chili e,
nel caldo infernale del forno, impastare panini e pizzette sotto lo
sguardo di un datore di lavoro che solo una volta mi ha dato mezza
giornata libera e sono al mare con gli amici. Il giorno più bello
della mia vita». Oggi l'ex baby schiavo frequenta l'istituto
alberghiero per diventare chef e sogna di aprire un ristorante e di
mettere su una famiglia vera»
Emma ha origini tunisine e una situazione molto fragile tra le mura
domestiche. Oggi ha 17 anni e vive a Napoli con il fratello più
piccolo di cui si occupa. Il padre li ha abbandonati. D'estate a 12
anni Emma si è ritrovata a lavorare in un campeggio per accompagnare
sua madre ormai dipendente dall'alcol. «Ero troppo piccola per
rimanere a casa da sola, quindi ero costretta ad andare con lei».
Nel campeggio Emma aiuta sua madre nel lavoro ma l'età da bambina
non le risparmiare le fatiche, anzi. Dalle 5 di mattina fino alle
tre di notte si arrangia a fare un po'tutto quello che serve:
«Prendevo le casse d'acqua dal magazzino, facevo i caffé al ba,
eropiccola ma dovevo avere gli occhi su tutto». Per lei non c'è né
contratto né assicurazione né paga. Eppure non mancano pretese e
rimproveri da parte dei titolari che si aspettavano che sia sempre
operativa: «Distrutta dalla fatica, aspettavo che la padrona del
campeggio si assentasse e mi sdraiavo per riposarmi dieci minuti, ma
poi lei veniva e si arrabbiava se non riuscivo a reggermi in piedi».
Un incubo inflitto a un'età in cui «avrei dovuto solo svagarmi e
divertirmi Invece ero sfruttata, dovevo fare tutto io». Altri suoi
coetanei sono bagnini o camerieri. «Si rimboccano le maniche per
aiutare la famiglia, convinti che la scuola non serva a pagare le
bollette o a prendere in affitto una casa». Adesso Emma è tornata
sui banchi e vuole diplomarsi in Ragioneria per andare
all'università: «Lascerò un segno per me stessa e per mio fratello
che crede in me». In Italia, su 144 mila bambini che lavorano, 31
mila lo fanno in condizioni di sfruttamento come Valerio ed Emma. A
schiavizzarli sono soprattutto i produttori di falsi prodotti
griffati e la criminalità organizzata. «Non si possono regolare il
lavoro minorile e la schiavitù. Alcune cose sono semplicemente
sbagliate», dice il regista Michael Moore. —
QUANTE ALTRE ? «Un modus di procedere ispirato dalla
conoscenza personale e dalla simpatia, oltre che dai favori
ottenuti, quali ad esempio i risultati delle analisi del sangue di
persone richiesti ed immediatamente ottenuti, piuttosto che al
valore di ciascun dipendente, da misurarsi imparzialmente con le
regole del concorso, e fondato sulla indebita promessa del posto». È
quel che scrive il gip Fabio Rabagliati nel descrivere i
comportamenti della manager Carla Fasson, dirigente Dipsa dell'Asl
To4, agli arresti domiciliari e al centro dell'inchiesta coordinata
dalla procura di Ivrea sulla sanità canavesana. Per il gip c'è il
pericolo di reiterazione del reato e inquinamento delle prove.
Un grave quadro probatorio che emerge «dal numero dei concorsi
alterati e dal vincitore deciso prima delle prove concorsuali». E lo
si desume dalle conversazioni telefoniche tra Carla Fasson e i suoi
«luogotenenti», così descritti dal gip, Massimo Gai, coordinatore
Spresal, e Enzo Bertellini (Sian), indagati e ai quali il gip ha
disposto l'interdittiva dal lavoro per dieci mesi. Il primo
«asservito per necessità di ottenere la promozione della moglie
Maria Grazia Gazzera (indagata per corruzione e rivelazione segreti
d'ufficio); il secondo per ottenere ulteriore promozione».
È rilevante il caso dell'avviso pubblico per mobilità per la
copertura di 4 posti di collaboratore Spresal all'Asl To4 del 31
maggio 2022. Fasson fa pressioni a Gai perché scoraggi la prima in
graduatoria che proviene da Torino perché il posto era stato
promesso a Gaia Pavan (indagata) e che l'aveva poi ottenuto. E per
convincerla a rinunciare Fasson chiede a Gai di dirle: «Ivrea è un
dramma, non si arriva, c'è la neve». E ancora dice a Gai:
«Massacrala. Dille che i turni sono importanti, sono reperibilità
importanti: tre o quattro la settimana, compreso sabato e domenica».
Carla Fasson ordina a Gai di metterle pressione perché dia una
risposta entro sera e insiste di far sapere alla ragazza che se
accetta «la sede di Ivrea è a vita»
15.04.23
DOVE STANNO LE DIFFERENZE DELLA MELONI ?
Cosa c'entra Gabriella Alemanno con la
Consob? Nei corridoi della Commissione che controlla la Borsa, si
respira un certo scetticismo rispetto alla designazione della
sorella dell'ex sindaco di Roma a nuova commissaria. C'è chi fa
notare il curriculum non proprio aderente ai compiti previsti da
ruolo: «È stata una dirigente di medio livello dell'Agenzia delle
entrate, in passato al Demanio, con nessuna competenza in materia di
mercati finanziari», è il ragionamento che provoca malumori.
Accompagnati dai dubbi sulla sua effettiva indipendenza nello
svolgimento del delicato incarico, «per il quale si è spesso oggetto
di sollecitazioni esterne». Pesa, poi, il confronto con l'altro neo
commissario designato, cioè Federico Cornelli, sicuramente più a suo
agio nella parte: finora responsabile delle relazioni istituzionali
dell'Abi (l'associazione delle banche), in passato già impegnato in
Consob, dove si era occupato di analisi finanziaria ad alti livelli.
Ma, è inutile negarlo, le alzate di sopracciglio sono provocate
anche dal sospetto che la scelta di Gabriella Alemanno sia dettata
da logiche politiche, vista la storica militanza a destra del
fratello Gianni. Un sospetto simile a quello suscitato dal recente
ingresso della sorella di Alemanno nel consiglio di amministrazione
di Ita Airways, anche lì senza particolare esperienza in materia di
trasporto aereo. Per la verità, però, i rapporti di Gianni Alemanno
con gli ex amici missini negli ultimi mesi si sono piuttosto
incrinati, a causa delle critiche dell'ex sindaco sull'invio delle
armi in Ucraina: tema su cui è più vicino a Giuseppe Conte che a
Giorgia Meloni.
La premier, comunque, ha puntato sul nome Alemanno per la Consob,
avviando l'iter di nomina, che ora prevede il parere (obbligatorio,
ma non vincolante) del Parlamento, con le commissioni Finanze di
Camera e Senato che potrebbero anche decidere di convocare in
audizione la commissaria designata. Poi, di solito nel giro di un
paio di mesi, la proposta di nomina arriverà sul tavolo del
presidente Mattarella, che deve firmarla, senza che in Consob
abbiano alcuna voce in capitolo. D'altra parte, non dovrebbero
emergere incompatibilità, visto che Alemanno, 68 anni a luglio, dopo
l'ultimo incarico da direttore regionale dell'Agenzia delle entrate
in Campania, è andata in pensione. Per entrare in Consob, comunque,
dovrà lasciare la poltrona nel cda di Ita.
Quanto alla presunta incompetenza, non è certo la prima polemica che
affronta nella sua lunga carriera da funzionaria dello Stato. Dieci
anni fa era stata anche indagata, e poi sotto processo, per abuso
d'ufficio, accusata di aver fatto pressioni, in qualità di
vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, per evitare a un'amica di
pagare una quota di cartelle esattoriali da circa 80 mila euro. Una
vicenda da cui è uscita assolta in tribunale. In precedenza, invece,
quando dirigeva la vecchia Agenzia del Territorio (nominata nel 2008
dal governo Berlusconi), si era ritrovata nella bufera per aver
esagerato con le spese di rappresentanza, strisciando la carta
aziendale: oltre un milione e mezzo di euro tra pranzi, cene, regali
e gioielli. Anche in quell'occasione, la signora Alemanno se l'era
cavata senza conseguenze, continuando a collezionare incarichi
pubblici. Quella sì una sua competenza indiscutibile, checché ne
dicano alla Consob.
NO CONTROLLI : Decideva tutto lei. Dalle persone da far
vincere alle selezioni interne fino ai rapporti con la direzione
dell'Asl To4. Lei è Carla Fasson (avvocato Beatrice Rinaudo),
dirigente del Dipsa (dipartimento delle professioni
infermieristiche), a cui il giudice per le indagini preliminari di
Ivrea, Fabio Rabagliati, al termine dell'interrogatorio di garanzia,
ha confermato la misura degli arresti domiciliari per pericolo di
«reiterazione del reto» e «inquinamento delle prove». Nella maxi
inchiesta sulla sanità Canavesana coordinata dalla procura di Ivrea,
Carla Fasson è indagata per «abuso e rivelazione di segreti
d'ufficio» e «corruzione». Sotto la lente di ingrandimento ci sono
una decina di selezioni interne all'azienda che sarebbero state
pilotate.
Il giudice scrive come Fasson fosse «importante nell'organizzazione
dell'Asl To4 dimostrata dai rapporti e contatti con Stefano
Scarpetta, direttore generale dell'Asl». Una manager influente anche
nei confronti della direzione dell'azienda, come emerge in una
telefonata in cui si rivolge al direttore generale dicendogli che
«deve seguirla, che ci sarà un rimpasto e che verranno sicuramente
spostati...». A riprova del suo inserimento anche in situazioni che
non la riguardano, in un'altra conversazione telefonica del febbraio
di un anno fa chiede a Scarpetta «se Rossi (liquidatore Saapa) ha le
palle per gestire l'ospedale di Settimo e tutta la situazione». E
ancora quando in un altro colloquio telefonico la dirigente del
Dipsa detta al direttore Scarpetta ciò che deve dire ai giornalisti.
Dalle carte emerge la figura di una manager con contatti anche a
livello politico contiguo all'Asl To4 e, più in generale, alla
sanità regionale. Per il giudice è questo l'ambito in cui Fasson
strumentalizza il procedimento concorsuale tanto da decidere chi
mettere a capo delle diverse strutture che le sono affidate. In un
caso garantisce il posto di coordinatore di Radiologia medica ad una
persona in cambio di «esiti delle analisi biologiche di alcune
persone». E il suo interlocutore, che poi si sarebbe presentato alla
selezione interna, le risponde: «Ogni tua richiesta è un ordine per
me».
Nelle oltre 70 pagine dell'ordinanza il gip Rabagliati ha anche
applicato nei confronti di altri indagati (in concorso con Fasson),
Massimo Gai dello Spresal (avvocato Luca Fiore) e Enzo Bertellini
del Sian (avvocati Mario Benni e Enrico Scolari), quest'ultimo in
pensione da poco, la misura interdittiva dalla professione per 10
mesi. Il gip non si è invece ancora pronunciato nei confronti della
quarta indagata, Claudia Griglione (avvocato Francesca Magagna), che
avrebbe ottenuto di anticipare il concorso per lo Spresal di Cirié
perché doveva partire per una vacanza negli Usa
14.04.23
LA BUSSOLA DI MELONI NON FUNZIONA ?
Una condanna penale e un'altra della magistratura contabile alle
spalle, un curriculum che non menziona altre specializzazioni oltre
a quella di "statistica sanitaria", un h-index, l'indice che misura
il livello scientifico delle ricerche pubblicate, che è neanche un
quarto di quello vantato da Gianni Rezza. Colui che "Franceschiello"
Vaia - come lo aveva ribattezzato il suo ex assessore alla sanità
laziale, Alessio D'Amato, un secolo prima di nominarlo a capo dello
"Spallanzani"- è candidato a sostituire il mese prossimo alla
direzione della prevenzione al ministero della Salute. Un posto di
importanza strategica nella malaugurata, ma non improbabile ipotesi
di una nuova pandemia.
Al dicastero di Orazio Schillaci già si misurano i passi che lo
separerebbero dalla stanza di Gianni Ippolito, il direttore del
dipartimento Ricerca che quando era lui il numero uno allo
Spallanzani arrivò alle mani con il "camaleonte", altra definizione
affibbiatagli da D'Amato.
Diversamente da Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie,
Francesco Vaia ha però regnato per ben più di un anno. Il ruolo di
direttore, prima delle Usi e poi delle Asl, lo ha mantenuto per
oltre 15 anni, passando indenne ai cambi di colore delle giunte che
via via si succedevano, prima nella sua Campania, poi nel Lazio.
Dove "Lady Asl" - l'imprenditrice della sanità privata Anna Iannuzzi
- lo tira dentro lo scandalo delle tangenti che fioccano dalle parti
delle cliniche romane. Dopo una fuga a Gaeta, non da Garibaldi ma
dal Gip, Vaia finirà ai domiciliari prima che le accuse finiscano in
prescrizione.
A pesare su di lui sono invece rimasti il patteggiamento a Napoli a
un anno e sette mesi di reclusione per una storia di appalti e
tangenti, con ipotesi di associazione e delinquere e corruzione. Il
direttore quando si è candidato alla guida dello Spallanzani, ha
sventolato il provvedimento di estinzione dei reati oggetto di
quella sentenza, ma la condanna resta.
Così come dovrebbe pesare quanto a suo tempo scritto dal Gip
Luisanna Figliola quando ne dispose l'arresto: «Particolare allarme
sociale desta la situazione afferente al Vaia. Lo stesso risulta
pluricondannato a una pena complessiva di anni uno e mesi sette di
reclusione e di lire 1.200.000 di multa per associazione a
delinquere, reato commesso a Napoli dal 1991 al 1993, nonché per
vari e numerosi reati di corruzione e per atti contrari ai doveri
d'ufficio». Un curriculum più lungo di quello scientifico. Dove l'h-index
di Vaia è di 17 punti contro i 67 di Rezza. Senza contare che la
maggioranza delle pubblicazioni sono cofirmate con ricercatori dello
Spallanzani di cui è alla guida. Ma all'uomo che sussurra alla
Meloni, consigliandole mosse e strategie sulla sanità, al ministero
hanno costruito un interpello per il posto di direttore della
prevenzione che sembra cucito su misura. Oltre alla laurea in
medicina è infatti richiesta una generica «formazione in materia di
interesse di sanità pubblica», quando in quella posizione sarebbe il
caso di avere titoli in epidemiologia o infettivologia. Riguardo la
«comprovata esperienza professionale nella direzione di strutture
organizzative complesse» ci sono invece due deliberazioni del
Policlinico Umberto I di Roma che dimostrano come Vaia non avesse i
titoli per ricoprire il ruolo di direttore sanitario. Secondo i
calcoli dell'Umberto I gli emolumenti non dovuti ammonterebbero a
320mila euro, ma poi tra l'ospedale e il medico si è raggiunto un
accordo di conciliazione che non aggiusta però il curriculum
sanitario del candidato alla successione di Rezza. Che in realtà
aveva puntato alla presidenza dell'Iss, che è anche il più grande
istituto pubblico di ricerca in Europa. Forse un po' troppo, tanto
che li a sostituire il Professor Silvio Brusaferro, in scadenza di
mandato a luglio, dovrebbe arrivare il direttore della clinica di
malattie infettive al "San Martino" di Genova, Matteo Bassetti. Una
virostar con curriculum scientifico di tutto rispetto e un h-index
delle pubblicazioni scientifiche da 77 punti. Oltre quattro volte
tanto quello di Franceschiello Vaia, indirizzato verso una poltrona
non meno strategica.
LA MAFIA TEME GILETTI: Altro che perquisito, altro che
indagato. Non solo Massimo Giletti è stato sentito dai magistrati di
Firenze, in due occasioni, come semplice testimone, ma dalla procura
filtra addirittura preoccupazione per la sua vita.
Si teme per la sua sicurezza personale - nonostante sia già sotto
scorta - per l'attività giornalistica svolta nelle interviste a
Salvatore Baiardo, l'uomo che coprì la latitanza dei fratelli
Giuseppe e Filippo Graviano (ora in carcere), reato per cui scontò 4
anni di carcere negli Anni Novanta.
Al centro della puntata di «Non è l'Arena» dello scorso 5 novembre
la rivelazione di Baiardo sulla malattia di Matteo Messina Denaro e
l'ipotesi che presto si sarebbe fatto arrestare. Un autentico scoop,
tanto più che due mesi dopo, il 15 gennaio, il super boss di Cosa
Nostra venne fermato proprio nella clinica privata di Palermo dove
si curava per un cancro.
Come mai Baiardo era così ben informato? La procura di Firenze sta
indagando su quelle anticipazioni perché da tempo si occupa di
Messina Denaro che ha pianificato la strage di via Georgofili, a
Firenze, nei pressi della Galleria degli Uffizi. Era il 27 maggio
1993: Il Fiat Fiorino imbottito di esplosivo saltò in aria vicino
agli Uffizi. Provocò la morte di cinque persone, mentre furono
trentotto i feriti. Con danni importanti anche per lo stesso museo.
Quell'assalto (per cui Messina Denaro venne condannato in via
definitiva dalla Cassazione nel 2002) viene inquadrato nella scia
degli altri attentati del 1992-1993 che provocarono la morte di 21
persone (tra cui i giudici Falcone e Borsellino) e gravi danni al
patrimonio artistico.
La procura di Firenze è quindi molto interessata a tutto ciò che
gravita intorno a Messina Denaro. Di qui l'intenzione di
approfondire le affermazioni di Salvatore Baiardo di fronte a
Massimo Giletti. Il noto conduttore tv è stato così interrogato,
come persona informata dei fatti, due volte: il 19 dicembre 2022 e
il 23 febbraio scorso. Nulla emerge da quei due incontri, coperti
dal segreto istruttorio, se non l'intenzione a ricostruire come
siano state organizzate le interviste a Baiardo (oltre a novembre,
fu ospite su La 7 anche il 5 febbraio). E inoltre filtra, appunto,
la preoccupazione sull'incolumità di Giletti.
La puntata su cui è concentrato il faro degli inquirenti è,
comunque, quella del 5 novembre, due mesi prima del clamoroso
arresto del capo di Cosa nostra. «Chissà che non arrivi un regalino
– aveva detto Baiardo – che un Matteo Messina Denaro, che presumiamo
sia molto malato, faccia una trattativa lui stesso di consegnarsi
per un arresto clamoroso. In questo modo, qualcuno in ergastolo
ostativo potrebbe uscire senza che si faccia troppo clamore». Per
questa intervista Baiardo è stato pagato? E con quelle parole spese
in tv il pentito stava anche inviando messaggi a esponenti mafiosi?
Si sta indagando per scoprirlo.
LA RUSSIA NON POTEVA AVERE INTERESSE : La talpa del
Pentagono ha un nome, Jack Douglas Teixeira 21 anni; è un aviatore e
membro della 102esima Intelligence Wing della Guardia nazionale del
Massachusetts; ha una passione per le armi e un'inclinazione al
complottismo.
Ieri poco dopo le due la sua carriera di divulgatore di carte
segrete è finita. Gli agenti dell'Fbi l'hanno portato via
ammanettato, t-shirt verde militare e pantaloncini corti, dalla sua
casa a North Dighton. Il portavoce del Pentagono Pat Ryder, parco di
dettagli perché «c'è un'inchiesta in corso», ha detto che quello di
Teixeira è un «deliberato atto criminale». L'Attorney General
Merrick Garland ha confermato l'arresto, avvenuto «senza incidenti»,
ha detto che l'inchiesta prosegue e anticipato che l'arrestato
comparirà per l'incriminazione secondo l'Espionage Act in tribunale
a Boston. Ogni memo è un capo d'accusa punibile fino a 10 anni di
reclusione.
La rapidità con cui le autorità Usa sono riuscite a rintracciare la
talpa che ha copiato e fotografato per mesi documenti d'intelligence
segreti e top secret, lascia pensare che Teixeira non avesse un
piano specifico, e né godesse di copertura. Le foto finite sul Web
erano disseminate di indizi – dall'immagine della colla Gorilla, a
dei tagliaunghie sino a particolari della casa d'infanzia e impronte
digitali elettroniche come la data della stampa sui fogli – che una
volta radunati hanno rapidamente condotto gli agenti a dare un volto
un nome e una storia a OG: così era noto sulla chat di Thug Shaker
Central che animava, sulla piattaforma Discord.
È stato il New York Times a dare per primo un nome alla talpa, dopo
che ieri mattina il Washington Post ne aveva tracciato un identikit
molto dettagliato grazie ai racconti di alcuni dei venti-trenta
utenti che condividevano interessi e passioni militari su Thug
Shaker Central.
Teixeira frequentava una di queste "stanze virtuali" su Discord dai
tempi della pandemia. Si era iscritto – come migliaia di altri
giovani – per evadere dalla solitudine innescata dalle regole del
Covid. Insieme ad altri utenti era quindi approdato in una chat di
appassionati di armi e di equipaggiamento militare. Qui era riuscito
nei mesi a conquistare una certa credibilità parlando di questioni
militari in modo molto dettagliato e informato. Due dei compagni di
discussione hanno raccontato al Washington Post che Teixeira voleva
solamente «indottrinare» e che quando le carte segrete, dalla stanza
virtuale e dalla stretta condivisione con gli amici, sono finite sul
Web, dopo che un teenager le ha girate su altri server di Discord, è
andato nel panico. Negli ultimi giorni lavorava di notte a Cape Cod
e aveva cambiato anche numero di cellulare, ha riferito la madre.
Non saremmo quindi dinanzi a un nuovo Snowden; e nemmeno di qualcuno
manovrato dai russi come alcuni anche autorevoli commentatori
avevano evidenziato. I suoi amici l'hanno difeso, «sicuramente non
lo definirei una talpa», e lo stesso nome della stanza "Orso contro
Maiale" ci sono riferimenti sprezzanti sia alla Russia sia
all'Ucraina. Teixeira ha una visione complottista, ritiene – secondo
quanto ricostruito dai media Usa – che il governo e gli apparati di
intelligence opprimessero i cittadini e li tenessero all'oscuro di
informazioni importanti. In un video scovato sul Web si vede anche
Teixeira sparare dei colpi al poligono di tiro dopo aver scaricato
una serie di insulti razziali e antisemiti.
L'arresto della talpa non chiude l'inchiesta. Ci sono tantissime
incognite. Anzitutto legate alla circolazione delle carte segrete.
Il Washington Post ha detto di aver analizzato 300 fotografie, la
Cnn ha visionato 53 documenti segreti. Potrebbero essere centinaia i
memo divulgati e nascosti da qualche parte sul Web e nei canali
social come Telegram. Non è nemmeno chiaro quando Teixeira abbia
iniziato la sua "attività". Di sicuro all'inizio trascriveva a mano
il materiale, poi è riuscito a fotografarlo. La cosa che ha sorpreso
gli osservatori è che le informazioni uscite sono molto fresche,
alcuni memo sull'Ucraina ad esempio sono datati 22 febbraio.
Il Pentagono ha adottato già nei giorni scorsi contromisure per
limitare le liste di distribuzione delle email sensibili. Teixeira e
il suo reparto si occupavano di intelligence per il Joint Chiefs
Command, il cuore della Difesa Usa guidato dal generale Mark Milley.
Ecco perché nonostante non avesse un grado alto, l'aviatore poteva
avere accesso al materiale più sensibile. —
LE SPIE AMERICANE SEMPRE IN SERVIZIO : I tentacoli della
sorveglianza americana abbracciano l'intero Pianeta andandosi a
insinuare in ogni pertugio che le maglie di sicurezza dei governi
offrono, con l'obiettivo di spiarne segreti riconducibili al
conflitto russo-ucraino e alle attività degli emissari di Mosca. È
quanto emerge dalla fuga di documenti militari riservati secondo
cui, spiega il Washington Post, i radar Usa erano orientati verso
gli attori più o meno coinvolti nel conflitto, a partire da nazioni
più piccole fino ad arrivare alle Nazioni Unite.
Ucraina
Sotto la lente di ingrandimento americana ci sono i punti deboli
nelle difese aeree ucraine e potenziali problemi con le forniture di
munizioni. Un'istantanea di fine febbraio scattata dal Pentagono
spiega che la «capacità dell'Ucraina di fornire una difesa aerea a
medio raggio per proteggere le linee del fronte sarà fortemente
ridotta entro il 23 maggio». Un altro rapporto «top secret» offre
una cupa valutazione della prevista controffensiva dell'Ucraina,
avvertendo che probabilmente si tradurrà in «modesti guadagni
territoriali, ben al di sotto» degli obiettivi di Kiev.
Russia
Grazie all'opera di infiltrazione nell'intelligence russa gli Stati
Uniti sono stati in grado di avvertire l'Ucraina di attacchi
imminenti. I documenti fanno anche riferimento alla pianificazione
interna del Gru, l'agenzia di intelligence militare russa, e del
Gruppo Wagner, i mercenari al soldo di Mosca, suggerendo che
entrambi sono stati compromessi dagli hacker di Washington.
Cina
I documenti includono analisi sui rischi ad ampio raggio posti dalla
Cina, inclusa la volontà di Pechino di inviare armi letali alla
Russia e dettagli di un test sperimentale di armi ipersoniche
condotto dalla Cina a febbraio, il DF-27 che ha volato per 12 minuti
su oltre duemila chilometri ed ha «alta probabilità» di penetrare
nei sistemi di difesa balistica statunitensi. Un dossier pubblicato
a febbraio afferma inoltre che un attacco ucraino sul suolo russo
utilizzando armi della Nato potrebbe trascinare Pechino nella
guerra.
Egitto
Un documento datato 17 febbraio riassume presunte conversazioni tra
al-Sisi e alti funzionari militari egiziani che fanno riferimento a
piani per fornire alla Russia munizioni di artiglieria e polvere da
sparo. Nel documento, il presidente ordina di mantenere segreta la
produzione e la spedizione dei razzi «per evitare problemi con
l'Occidente».
Iran
Le agenzie Usa monitorano produzione e approvvigionamento degli
armamenti di Teheran, mentre un rapporto top secret riferisce di
sforzi per veicolare un'imminente visita di Rafael Grossi, capo
dell'Aiea.
Ungheria
Un «aggiornamento della Cia» afferma che Viktor Orban ha
identificato gli Stati Uniti di Joe Biden (con Donald Trump i
rapporti erano cordiali) come uno dei «tre principali avversari» del
suo partito. L'affermazione è stata identificata come una
sostanziale escalation del livello di retorica anti-americana.
Serbia
Un documento dell'intelligence statunitense da poco trapelato sembra
indicare che il Paese balcanico avesse fornito armi letali a Kiev.
«La Serbia non ha inviato armi all'Ucraina e tutte le accuse
pubblicate su questo argomento sono false voci - è la replica del
ministro della Difesa Milos Vucevic -. Qualcuno ovviamente mira a
trascinare la Serbia in quel conflitto».
Corea del Sud
Seul è nei radar Usa per aver inizialmente accolto con diffidenza la
richiesta di Washington di inviare munizioni per artiglieria
all'Ucraina. L'intelligence del Paese asiatico era preoccupata che
la richiesta potesse causare irritazione a Mosca.
Turchia
Sarebbe stata contattata da Wagner per ottenere armi e attrezzature
«con cui sostenere attività del gruppo di Yevgeny Prigozhin in Mali
e Ucraina». Non è dato sapere se la Turchia sapesse o se la
trattativa è andata a buon fine.
Canada
Zarya, un gruppo di hacker filorusso, il 25 febbraio ha condiviso
documenti con un presunto ufficiale dell'agenzia di intelligence di
Mosca Fsb in cui si affermava di aver ottenuto l'accesso alla rete
infrastrutturale del gas canadese e di poter, tra le altre cose,
avviare un arresto di emergenza di un sito di distribuzione. L'Fsb
credeva che si potesse causare un'esplosione. Non è chiaro se un
episodio del genere si sia verificato.
Haiti
Emissari del gruppo Wagner avevano in programma alla fine di
febbraio di recarsi «sotto copertura» ad Haiti per valutare un
potenziale accordo col governo e combattere le bande criminali che
controllano vaste aree della capitale, sul modello di quanto
accaduto in Mali in chiave antijihadista. A ottobre, il primo
ministro Ariel Henry ha invocato il dispiegamento di una forza di
sicurezza straniera per arginare la violenza delle bande, ma Usa e
alleati non si sono dimostrati inclini a occuparsene, sebbene una
frangia repubblicana spinga per un intervento. Il governo di
Port-au-Prince nega ogni contatto con gli emissari di Prigozhin.
Onu
Gli Stati Uniti ritengono che Antonio Guterres sia troppo
accomodante con Mosca. Washington ha monitorato da vicino il
segretario generale specie le comunicazioni private col suo vice. Un
carteggio in particolare si concentra sull'accordo sul grano,
mediato da Onu e Turchia e fa intendere che il segretario fosse così
ansioso di preservare l'accordo da essere disposto a soddisfare gli
interessi della Russia.
LA MALAVITA CONTROLLA LA POLITICA PIEMONTESE : Oltre ai
pluridichiarati – e noti – pericoli che la presenza della
‘ndrangheta a Torino e in Piemonte, trascina con sé ormai da decenni
e che sono agli atti ormai di decine di indagini e seguenti
processi, la capacità più temuta delle cosche calabresi – al Nord
come al Sud – è quella di saper rimpolpare le proprie fila anche
dopo una Caporetto giudiziaria come è stata ad esempio Minotauro nel
2011 e come lo sono certamente state cerbero e Platinum, le ultime
due mxi inchieste. Il tema è un focus della relazione semestrale
della Direzione investigativa antimafia (Dia). Nel documento di
centinaia di pagine, in cui due capitoli sono dedicati alla città e
alla regione si legge: «Pur seriamente colpita con numerosi arresti
e condanne, la criminalità calabrese continua a mantenere
significativo il proprio potere, dimostrando grande dinamismo e
assoluta capacità di rigenerarsi permettendo così l'affermazione di
leader di nuova generazione».
Sono giovani, terza o quarta generazione di mafiosi doc che sono
arrivati n Piemonte ormai negli anni Settanta. Forse anche prima.
Instaurando locali (strutture di base delle cosche) nei paesi
soprattutto dell'hinterland nord e sud. Hanno imparato tutto, ma
tengono un profilo anonimo differenziandosi da imprudenti figli di
capimafia che frequentano i locali della città tra champagne e
ricche cene destinati a dissolvere il loro potere (senza carisma)
molto presto.
Scrive la Dia. «Il semestre in rassegna non ha evidenziato
significative inversioni di rotta circa l'assetto del variegato
contesto criminale. Per quanto concerne la criminalità organizzata
di tipo mafioso, benché presente in tutte le sue forme, la
‘ndrangheta risulta quella più incisiva, come più volte documentato
da numerose sentenze, molte delle quali già passate in giudicato».
Si richiamano le parole pronunciate dal Procuratore Generale del
Piemonte Francesco Saluzzo all'inaugurazione dell'anno giudiziario
che poneva l'accento sulla dimensione che desta più allarme, quando
parla di contiguità con pezzi del mondo politico, imprenditoriale,
la cosiddetta area grigia in cui la ‘ndrangheta «sempre più
pervasiva e più forte economicamente» ha aperto canali
insospettabili «proprio ora che si debbono investire i soldi del
Pnrr». Nel nuovo corso delle cosche ci sono anche alleanze, note da
tempo agli investigatori e ai cronisti (meno all'opinione pubblica)
con tessuti criminali locali: «Sempre più spesso emergono
collegamenti con esponenti della criminalità locale con soggetti di
etnia sinti che, in talune circostanze, hanno svolto una funzione
sussidiaria specie nel reperimento di armi da fuoco». Ancora: «Tutte
le indagini eseguite nei confronti di formazioni ‘ndranghetiste
operanti in Piemonte e nella vicina Valle d'Aosta hanno evidenziato
il coinvolgimento di rappresentanti politici, accertando come i
candidati alle competizioni elettorali, consci del potere acquisito
da soggetti affiliati o contigui ai sodalizi mafiosi nei confronti
di parte della popolazione (specialmente se corregionali), cerchino
apertamente il loro appoggio per il risultato elettivo. In questo
scenario restano sullo sfondo - ma solo al momento – le altre mafie:
Cosa Nostra e camorra. La prima vantava fino alla fine degli anni
Ottanta una posizione di supremazia nel "controllo del territorio" a
Torino e provincia, ma è stata di fatto soppiantata dai "calabresi".
Che, per gli investigatori «prediligono una strategia silente,
finalizzata all'infiltrazione del tessuto socio-economico e alla
scalata dei gangli della cosa pubblica, non disdegnando, se
necessario, il ricorso ad atti di violenza per il perseguimento
delle proprie finalità illecite».
13.04.23
MELONI CRASH : Certo, c'è
la scusa delle riforme di legislatura, per cui Meloni e C. hanno
ancora diversi anni di tempo per realizzare tutti i loro programmi,
ma il nuovo Documento di Economia e Finanza, il Def (approvato
martedì dal Consiglio dei ministri, sulla carta perché il testo
completo non è stato ancora diffuso) concede sì un piccolo taglio al
cuneo fiscale, ma rinvia tutto il resto (e non è poco) a tempi
migliori.
Non si parla né di flat tax né di riformare l'Irpef, su cui si
ritornerà eventualmente in autunno quando la Nota di aggiornamento
chiarirà meglio le prospettive economiche del 2024, e men che meno
si parla di riforma delle pensioni. Oltre a questo non ci sono
risorse per finanziare il rinnovo dei contratti nella pubblica
amministrazione, per evitare che la sanità pubblica collassi
definitivamente dopo i tagli degli anni passati o per far fronte ad
una eventuale nuova emergenza bollette che potrebbe presentarsi il
prossimo inverno. Come al solito il sentiero è stretto e in
prospettiva oltre agli oneri del superbonus, di cui Giorgetti
continua a lamentarsi, pesa l'aumento degli interessi sul debito
pubblico che a causa dell'aumento dei tassi faranno salire il costo
annuo dai 74,6 miliardi di quest'anno ai 100,85 del 2026 con un
esborso aggiuntivo di 76,47 miliardi di euro in 4 anni.
Il solo intervento di riduzione dell'Irpef da 4 a 3 aliquote, primo
passo verso una tassa piatta estesa poi tutti, a seconda delle
opzioni costa tra i 6 ed i 10 miliardi di euro l'anno. Una parte
delle risorse la si può ricavare dalla revisione di detrazioni e
sconti fiscali, ma resterebbe certamente una quota importante da
coprire. Lo stesso vale per l'azzeramento dell'Iva sui beni di prima
necessità come pane, pasta e latte che pure era stata ipotizzata.
Niente coperture, niente sconti, nessuna riforma. Idem sulle
pensioni. E del resto un governo che nonostante i ripetuti appelli
del ministro del Lavoro Calderone fatica a racimolare i 180-200
milioni che servono a ripristinate il vecchio meccanismo di Opzione
donna che l'ultima legge di bilancio ha schiantato, come può pensare
di poter fare di più nel campo delle previdenza. Per questo non solo
resta al palo il disegno complessivo di riforma dopo anni di toppe e
ripetuti aggiustamenti sempre provvisori – tant'è che da settimane i
sindacati non vengono nemmeno più convocati al ministero - ma non
prende nemmeno corpo l'idea di introdurre la possibilità per tutti
di andare in pensione senza penalizzazioni con 41 anni di contributi
a prescindere dall'età anagrafica come chiede da tempo la Lega. Che
infatti ora mastica amaro dovendo accontentarsi di un altro anno di
Quota 103.
Niente, salvo sorprese che potrebbero spuntare nel testo del Def,
anche di pensioni non si parla. La ragione? La solita. Secondo le
stime dell'Inps l'estensione a tutto campo di Quota 41 costerebbe
infatti più di 4 miliardi nel primo anno di «attivazione» per poi
arrivare a superare la soglia dei 9 miliardi nell'ultima annualità
di un percorso decennale. In pratica un botto di soldi che il
governo non ha.
Rosicchiando qualche decimale di deficit rispetto alle stime
tendenziali, infatti, Giorgia Meloni per quest'anno ha a
disposizione appena 3 miliardi di euro che saliranno a 4 l'anno
prossimo. Come ha annunciato l'altra sera in una nota il ministro
dell'Economia Giorgetti le risorse che si liberano quest'anno
verranno tutte concentrate su un nuovo taglio dei contributi sociali
a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi in modo
da sostenere il potere d'acquisto delle famiglie e contribuire alla
moderazione della crescita salariale.
In concreto? Pochi euro. Basti pensare che coi 4,8 miliardi
stanziati dall'ultima legge di bilancio coi quali il governo ha
ridotto di 3 punti il peso dei contributi a carico dei lavoratori
dipendenti con un reddito lordo annuo sino a 25 mila euro e di due
punti quelli tra 25 e 35 mila euro, è stato assicurato uno sconto di
appena 19,25 euro lordi al mese (231 in un anno) per i redditi sino
a 10 mila euro, di 28,88 (346,50 anno) per un reddito di 15 mila,
per salire poi a 32,9/395 anno con 20 mila euro e a 41,15/493,85 con
25 mila. Mentre con 35 mila euro di lordo in busta paga si ottengono
32 euro lordi in più al mese e 384 in un anno.
I 3 miliardi che il governo adesso vuole aggiungere, insomma, non
basterebbero a raddoppiare lo sconto e solamente concentrandoli
nella seconda parte dell'anno consentirebbero di avvicinarsi alle
richieste dei sindacati che da mesi chiedono un taglio secco di 5
punti in modo da ottenere un aumento medio di 100 euro. Questo, tra
l'altro, a patto di non concedere nulla alle imprese, che invece a
loro volta battono cassa. Senza contare poi che nel 2024 poi si
dovrebbe ricominciare da capo, perché che non è pensabile che il
governo faccia dietrofront e non confermi il taglio dei contributi.
Per questo già oggi si può dire che i 4 miliardi che liberano il
prossimo anno non solo sono già impegnati, ma non sono nemmeno
sufficienti a garantire gli stessi miseri vantaggi di quest'anno. —
LA MELONI HA CAPITO ? L'Aula della Camera ha definitivamente
approvato la proposta di legge sull'equo compenso delle prestazioni
professionali: 243 voti favorevoli, nessuno contrario e 59 gli
astenuti. La nuova legge definisce, in 13 articoli, l'equo compenso
e stabilisce la nullità delle clausole che non lo prevedono,
introducendo la possibilità di tutelare i diritti individuali
omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe. Le norme
riguardano, oltre alle prestazioni professionali svolte in favore di
imprese bancarie e assicurative, anche quelle per imprese che
nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato
più di 50 lavoratori o con ricavi annui superiori a 10 milioni.
ERRORI DI VITA: Si riaccendono i timori per la salute di
Alexey Navalny. Secondo l'avvocato Vadym Kobzev, il rivale numero
uno di Putin avrebbe perso ben otto chili in 15 giorni, e nella
notte tra venerdì e sabato - dopo un ennesimo periodo in isolamento
- avrebbe accusato dolori allo stomaco così forti da costringere i
dirigenti del carcere in cui è rinchiuso a chiamare un'ambulanza.
«Non possiamo escludere che lo stiano avvelenando lentamente, in
modo che peggiori in modo graduale ma costante», ha affermato il
legale secondo Meduza, sostenendo che Navalny abbia «una non chiara
malattia» e che nessuno lo stia curando. Difficile dire come stiano
le cose con l'oppositore rinchiuso in un carcere del regime di Putin
e, per sapere di cosa soffra, Navalny dovrebbe essere visitato da
medici indipendenti.
L'avvocato Kobzev ha detto di voler chiedere esami tossicologici e
radiologici per il dissidente, che in questi anni non ha mai smesso
di criticare il Cremlino e di condannare la crudele invasione
dell'Ucraina. «Potrebbe sembrare insensato e una paranoia per
qualcun altro, ma non per Navalny dopo il Novichok», ha scritto
Kobzev su Twitter riferendosi all'agente nervino col quale si
ritiene che Navalny sia stato intossicato tre anni fa, in un
avvelenamento che ha fatto a lungo temere per la sua vita e per il
quale si sospettano gli 007 russi.
Navalny fu curato a Berlino e arrestato non appena rimise piede in
Russia. Da allora il regime di Putin lo ha sommerso di accuse di
palese matrice politica, e la repressione pare continui a prenderlo
di mira anche nel centro detentivo IK-6 di Melekhovo, il carcere a
250 chilometri da Mosca dove è rinchiuso. Navalny racconta infatti
di aver trascorso gran parte degli ultimi mesi in un'angusta cella
di rigore e che per le guardie ogni pretesto, anche il più assurdo,
è buono per punirlo. L'oppositore ha fatto sapere di essere stato
mandato in isolamento per un bottone slacciato o per essersi lavato
il viso un po' prima del previsto. Amnesty denuncia che l'obiettivo
dell'amministrazione carceraria è quello di «spezzare lo spirito di
Navalny rendendo la sua esistenza nella colonia penale
insopportabile, umiliante e disumanizzante».
Nonostante le precarie condizioni di salute, Navalny sarebbe in
cella di rigore anche adesso. L'oppositore dice infatti che lunedì è
stato mandato ancora una volta in isolamento per altri 15 giorni.
Per la tredicesima volta in otto mesi. E denuncia che le condizioni
siano passate «da infernali a estremamente infernali». Ad esempio,
la sua passeggiata quotidiana sarebbe stata spostata alle 7 di
mattina e, secondo l'oppositore, solo nel pomeriggio si può «avere
la fortuna di stare per un po' in un posto illuminato dal sole». Il
blogger anticorruzione ipotizza che dietro questo trattamento ci sia
un'indagine del suo team in cui si afferma che il carcere in cui è
rinchiuso acquisterebbe cibo a prezzi troppo alti.
IMPOSSIBILE PER ALMENO L'INTELLIGENZA:Dopo il confronto tra
Pietro Orlandi e il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi,
l'inchiesta aperta a fine 2022 in Vaticano sulla scomparsa, 40 anni
fa, della sorella quindicenne Emanuela potrebbe andare avanti. «Ho
percepito la volontà di fare chiarezza - ha detto Orlandi -. Lo
stesso Diddi mi ha detto: ho avuto mandato di fare chiarezza al 100%
e non fare sconti a nessuno». Orlandi ha presentato una memoria con
i risultati delle indagini promosse dalla famiglia con l'avvocato
Laura Sgrò. E un aspetto sollevato è particolarmente spinoso. «Mi
dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori
polacchi e non andava certo a benedire le case» è la frase-chock
pronunciata da Orlandi a DiMartedì con la quale ha ribadito i suoi
sospetti sul Papa polacco. Al magistrato ha consegnato un audio in
cui un uomo vicino alla banda della Magliana farebbe il nome di
Giovanni Paolo II. E torna sulla pista della pedofilia, «penso che
una delle possibilità è che Emanuela possa aver magari subito un
abuso, ma che quell'abuso sia stato organizzato per creare l'oggetto
del ricatto».
12.04.23
PATNER ENERGICO BY CINGOLANI E DESCALZI: GOVERNO MELONI AL
CAPOLINEA: Antony Blinken,
segretario di Stato Usa, ha chiamato l'omologo ucraino Dmitry Kuleba
e l'ha rassicurato sull'impegno «incrollabile» di Washington al
fianco di Kiev. Quindi ha smentito «categoricamente che gli Usa
abbiano dubbi sul fatto che l'Ucraina possa vincere sul terreno la
guerra». Qualche ora prima Lloyd Austin, capo del Pentagono, aveva
avuto una telefonata con gli alleati sudcoreani rassicurandoli
fornendo spiegazioni sulle carte segrete finite on line e che stanno
creando non pochi imbarazzi negli Stati Uniti.
La diplomazia Usa chiama gli alleati, offre spiegazioni e
precisazioni ma – come ha spiegato John Kirby, portavoce del
Consiglio per la Sicurezza nazionale – non ha nessuna certezza se ci
sono altri documenti sensibili nel Web pronti per essere rivelati.
«Certo, che siamo preoccupati».
L'ultimo motivo di preoccupazione viene dall'Egitto dove il
presidente Al Sisi era intenzionato a far produrre e vendere ai
russi 40mila proiettili per l'artiglieria. La conversazione fra Al
Sisi e alcuni funzionari è avvenuta il primo febbraio, i documenti
trapelati portano la data del 17 febbraio. In essi si racconta di
come il presidente egiziano si sia premurato con i suoi di far
produrre in una delle fabbriche egiziane le munizioni e di spedirle
poi in Russia «senza che gli occidentali lo scoprissero». Per questo
l'ordine da recapitare all'azienda e ai lavoratori era che le
munizioni e gli armamenti erano destinati all'esercito egiziano.
Il governo del Cairo ieri ha smentito la ricostruzione, Washington
ha precisato di non aver indicazioni che il piano è stato portato a
termine ma il "leak" ha comunque messo a nudo la difficoltà degli
Usa nei rapporti con Al-Sisi. Anche se Kirby ha precisato che
«l'Egitto è un partner importante per la sicurezza nella regione».
Qualche giorno prima la conversazione fra Al-Sisi e i suoi, in
Egitto c'era stato Antony Blinken, e in marzo Austin aveva chiesto
al Cairo armi per l'Ucraina. La replica degli egiziani alle
rivelazioni è stata affidata a un portavoce del ministero degli
Esteri, Ahmed Abu Zeid, che ha liquidato la questione come falsa ma
allo stesso tempo ha ribadito «l'equidistanza del Cairo» nella
vicenda ucraina. L'Egitto è l'importatore principale di grano da
Ucraina e Russia, ben l'80% del suo fabbisogno arriva da lì.
L'Egitto ogni anno riceve 1,3 miliari di dollari in aiuti per la
propria sicurezza da Washington. È un accordo ormai datato e spiega
quanto Il Cairo sia strategico per gli equilibri in Medio Oriente e
Africa. In settembre il Dipartimento di Stato ha sospeso
l'erogazione di 130 milioni denunciando violazioni dei diritti umani
e chiedendo l'adeguamento ad alcuni standard nel trattamento dei
prigionieri, oltre che la liberazione di quelli politici. Tuttavia,
il flusso di fondi per la sicurezza non è calato. E nemmeno le
visite degli americani al Cairo. Anche Biden in novembre ha avuto un
incontro – prima di andare al summit sul clima di Sharm El Sheikh –
con Al-Sisi.
Il Dipartimento di Giustizia Usa ha avviato un'inchiesta sulla fuga
di notizie. Si cerca la talpa, e dal Pentagono si fa sapere che
potrebbero occorrere mesi. Il materiale è uscito dal ramo
d'intelligence del Joint Chief of Staff (J2) ed è etichettato come
«secret» o «top secret». Sui materiali c'è la scritta Noform (ovvero
non condivisibile con l'intelligence straniera) o Fvey
(condivisibile con Nuova Zelanda, Canada, Australia e Regno Unito, i
Five Eye con gli Usa). Fonti ufficiali Usa hanno detto che il
materiale uscito è originale anche se qualche elemento – come il
numero delle vittime della guerra – potrebbe essere stato alterato.
Il senatore Chuck Schumer, democratico di New York, ha chiesto un
«briefing classificato» per tutti i senatori da parte dei vertici
dell'Amministrazione.
CINISMO DI NONNA ELISABETTA: Nelle famiglie aristocratiche di
tutta Europa la tradizione era la seguente: il primogenito maschio
era formato per diventare l'erede del patrimonio di famiglia; il
secondo figlio maschio era mandato sotto le armi e, nel caso vi
fosse, il terzo figlio maschio poteva entrare nella Chiesa.
La Royal family inglese è, ovviamente, una delle ultime famiglie
aristocratiche regnanti rimaste. Così, quando il secondogenito del
Re Charles, il principe Harry, si è firmato "The Spare" (la
"Riserva", N. d. T.) nell'autobiografia di successo, in pratica si è
lamentato del fatto di avere una famiglia del tutto tradizionale che
lo ha trattato da secondogenito.
Un nuovo cortometraggio che sta per essere trasmesso dalla
televisione britannica, però, lascia intendere che la verità
potrebbe essere per alcuni aspetti molto più complessa.
Effettivamente, si tratta di una verità così complessa che, a
partire da uno stesso comunicato stampa reso noto dagli autori del
documentario, i giornali inglesi ne hanno dato versioni discrepanti.
Il "Daily Mail" scrive che, in un'intervista inserita nel
cortometraggio, il generale Sir Mike Jackson, capo delle forze
armate durante la guerra in Afghanistan, racconta che la compianta
regina Elisabetta ha impedito al figlio maggiore di Charles, il
principe William, di combattere in Afghanistan, consentendo però al
fratello minore di quest'ultimo, il principe Harry per l'appunto, di
andare a combattere i talebani perché… ebbene sì, era "la riserva".
Il "Sun" e il "Times", invece, affermano che dall'intervista risulta
che la regina voleva che entrambi i nipoti «facessero il loro
dovere» e combattessero nella guerra in Afghanistan, ma che altre
persone non identificate – e che secondo i giornali sarebbero
personalità di spicco dell'establishment –
hanno ritenuto troppo rischioso per il principe William andare in
guerra, dato che da lì a poco sarebbe diventato l'erede al trono,
come di fatto è avvenuto nel settembre scorso, quando la regina
Elisabetta è mancata all'età di 96 anni.
Che cosa ci fa comprendere questa confusione? In primo luogo, ci
ricorda che la royal family moderna in effetti ha già preso le
distanze dallo stereotipo aristocratico, visto che entrambi i figli
di re Carlo servivano sotto le armi e non solo il secondogenito.
All'inizio degli anni Settanta, anche l'attuale re trascorse cinque
anni nella Royal Air Force e nella Royal Navy. Ma non combatté
nessuna guerra. In pratica, la tradizione della famiglia reale
inglese era quella di mandare i propri figli nelle forze armate ad
addestrarsi, senza esporli a un pericolo mortale.
La seconda cosa che le recenti notizie ci fanno capire è che nel
primo decennio del XXI secolo la situazione era diversa. Le forze
armate britanniche combattevano due guerre – in Afghanistan e in
Iraq – e la presenza dei due principi nei ranghi militari sollevò un
interrogativo inedito: dovevano combattere o soltanto imparare a
guidare un elicottero?
Eccoci, quindi, a una terza informazione, forse quella più aderente
alla realtà. A quanto pare, entrambi i principi volevano essere
mandati a combattere in Afghanistan, ma soltanto uno poté soddisfare
la sua ambizione: il principe Harry. Che la decisione di impedire a
William di andare in guerra sia stata presa dalla regina o da altri
è secondario rispetto al fatto di sapere che entrambi avrebbero
voluto andarci.
Chiunque ha preso la decisione di impedire al principe William di
andare a combattere non ha fatto altro che ripristinare la
tradizione aristocratica piuttosto ovvia di cui ho parlato prima.
Nondimeno, questa notizia getta nuova luce sulle affermazioni del
principe Harry, secondo cui il fatto di essere "The Spare" ha
ingiustamente ostacolato la sua vita di membro della famiglia reale.
Nel caso dell'Afghanistan, infatti, a essere stata ostacolata è
stata la volontà di William.
In ultima analisi, alla maggior parte di noi non interessano molto i
dissapori all'interno della famiglia reale, una sorta di
intrattenimento con personaggi celebri. Come nel caso dei personaggi
celebri immaginari, molte persone istintivamente si schierano da una
parte o dall'altra, per puro divertimento. Adesso chi si schiererà
dalla parte di Harry, la bistrattata riserva, farà bene a
riflettere: per ciò che riguarda il suo servizio nell'esercito, in
definitiva è stato lui a fare quello che voleva. —
11.04.23
OBIETTIVI IMPOSSIBILI :
Rate, scadenze e spese: le tappe del Recovery
DOMANDE & RISPOSTE
l1Che tempi prevede il Pnrr?
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un percorso a tappe. Ha
preso il via nel 2021 con la trasmissione alla Commissione Ue del
documento redatto dal governo Draghi. Dovrà concludersi entro
l'estate del 2026, termine ultimo per la spesa dei fondi europei.
l2Quanto vale?
Nell'ambito di Next Generation Eu l'Italia ha ottenuto 191,5
miliardi di euro. I fondi sono ripartiti in 69 miliardi di
contributi a fondo perduto e in 122,5 miliardi di prestiti. I primi
non andranno restituiti, mentre i secondi andranno rimborsati dal
2028 in poi. In confronto al debito italiano, i finanziamenti
europei offrono un tasso più conveniente perché Bruxelles riesce a
spuntare sul mercato interessi inferiori rispetto a Roma.
l3Come sarà investito?
Il Piano si articola in sei missioni. La prima vale 49,1 miliardi e
riguarda la digitalizzazione e la cultura. La seconda ammonta a 68,6
miliardi e andrà a finanziare la transizione ecologica. La terza
missione stanzia 31,4 miliardi ed è dedicata alle infrastrutture per
la mobilità sostenibile. La quarta destina 31,9 miliardi
all'istruzione. La quinta accorda 22,4 miliardi all'inclusione e
alla coesione territoriale. La sesta e ultima missione finanzia con
18,5 miliardi il settore sanitario.
l4Cosa deve fare l'Italia per ottenere i fondi?
Deve centrare 525 obiettivi, attuare 190 misure fra riforme e
investimenti per la transizione verde e digitale. Periodicamente la
Commissione Ue controlla l'avanzamento dei lavori e, in caso di
rispetto, eroga con cadenza semestrale le somme dovute.
l5Quanto ha già incassato il governo?
Sinora Roma ha ricevuto da Bruxelles quasi 67 miliardi. Ad agosto
2021 sono stati erogati 24,9 miliardi in forma di pre-finanziamento
- pari al 13% del totale - suddivisi in 9 miliardi a fondo perduto e
15,9 di prestiti. La prima rata da 21 miliardi è poi arrivata ad
aprile 2022, distribuita in 10 miliardi di sovvenzioni e 11 di
prestiti. Eguale importo è stato incassato a dicembre 2022 per la
seconda tranche. La terza rata da 19 miliardi (10 a fondo perduto e
9 di prestiti) era attesa a febbraio, ma è tuttora sub iudice.
l6La prossima scadenza?
La quarta rata da 16 miliardi sarà erogata dall'Ue a patto che
l'Italia raggiunga 27 obiettivi entro il 30 giugno di quest'anno,
completando l'attuazione della riforma della giustizia civile e
penale, il codice per gli appalti e la riforma del pubblico impiego.
l7Quando arriverà la terza rata?
È l'oggetto del dibattito in corso fra governo e Commissione. Entro
fine 2022 l'Italia era chiamata a raggiungere 55 obiettivi: dalla
riforma della concorrenza a quella della giustizia, fino agli
investimenti in cybersicurezza, energie rinnovabili, reti, ferrovie,
ricerca, turismo. Bruxelles avrebbe dovuto concludere la valutazione
a febbraio ma dietro richiesta di Roma ha prolungato l'esame.
l8Quali sono i punti critici?
I dubbi dei tecnici Ue si appuntano sulle norme sulle concessioni
aeroportuali, le reti di teleriscaldamento e su due progetti
contenuti nei Piani Urbani Integrati: la riqualificazione dello
stadio di Firenze e la creazione del Bosco dello Sport a Venezia.
l9Si può modificare il piano?
Sì, se circostanze oggettive che non consentono di realizzare gli
obiettivi previsti. Dopo la crisi del gas scatenata dalla guerra in
Ucraina, inoltre, Bruxelles e gli Stati membri hanno concordato di
inserire nei piani di rilancio nazionali iniziative volte a
rafforzare l'autonomia energetica. Entro il 30 aprile, perciò, il
governo italiano dovrà presentare la versione del Pnrr aggiornata a
tal fine.
l10Cosa chiede Roma?
Il governo italiano vorrebbe poter spendere oltre il 2026 parte dei
191,5 miliardi del Pnrr, quelli destinati alla realizzazione di
opere complesse. Una delle idee allo studio è quella di spostare
alcune risorse del piano ai fondi di coesione che prevedono scadenze
più lunghe. Non è detto che l'ipotesi incontri il favore di
Bruxelles né soprattutto dei Paesi del Nord Europa, preoccupati che
l'estensione apra la porta a una maggior autonomia fiscale e
indebitamento dell'Ue.
ERA GIA' TUTTO PREVEDIBILE : Se i freddi numeri del Documento
di economia e finanza (Def) raccontano qualcosa, non c'è da essere
allegri. L'Italia quest'anno crescerà più del previsto, ma appena
dell'un per cento, quasi un quarto del 2022. Qualcuno si chiederà se
ciò dipenda da chi ci governa, la risposta è meno banale di così. La
Germania nel 2022 è cresciuta dell'1,9 per cento, quest'anno si
fermerà allo 0,3, un terzo dell'Italia. La guerra, l'inflazione, ma
soprattutto un pesante aumento dei tassi di interesse necessari a
fermare l'aumento dei prezzi hanno imposto un brusco rallentamento a
tutta Europa. Per l'Italia la scarsa crescita è un problema doppio:
meno cresce il Pil, maggiore è l'impatto su deficit e debito. A
fronte di una stima di crescita della ricchezza prodotta di quattro
decimali superiore alla precedente (era dello 0,6 per cento) il
ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha deciso di confermare la
previsione di deficit. Secondo le indiscrezioni che circolano a
Bruxelles questa ipotesi non sarebbe graditissima alla Commissione
europea, che deve fare i conti con la pressione della Germania
perché il ritorno alle vecchie regole del Patto di stabilità sia più
severo. Ebbene, anche tenendo il punto su questi numeri, le stime di
Giorgetti valgono per la prossima legge di Bilancio una manciata di
miliardi. Non ci sarà nulla per aumentare la spesa per pensioni
(come sperava Matteo Salvini), né per dar seguito alle promesse di
riduzione delle tasse fatte con la presentazione della delega di
riforma del fisco.
La cosa più preoccupante del prossimo Def, che verrà approvato oggi
dal Consiglio dei ministri, è lo scarso impatto che il Piano di
ripresa e resilienza (Pnrr) avrà sulla crescita del Paese. Nelle
stime di autunno era ipotizzato un contributo di ben sei decimali.
«E invece sarà molto, molto modesto», ammette una fonte tecnica
impegnata ieri nella stesura degli ultimi numeri. Potrebbe essere
della metà, o forse addirittura meno. È possibile che il documento
non la stimi del tutto, evitando così di prestare il fianco alle
critiche. Se c'è un'occasione che l'Italia non dovrebbe perdere in
un periodo di scarsa crescita, è quella degli investimenti
finanziati con il sostegno dell'Europa. Giorgia Meloni ha chiesto al
ministro delegato Raffaele Fitto di far funzionare il prima
possibile la nuova struttura di vertice a Palazzo Chigi, e tentare
così di recuperare i mesi perduti dal passaggio di consegne con
Mario Draghi.
Nonostante questo il governo si mostra ottimista: l'ipotesi di
crescita per il 2024 è dell'1,4 per cento, con un deficit in calo. A
ieri sera una stima precisa non c'era ancora: Giorgetti ne discuterà
questa mattina con Meloni prima della riunione di governo. «Sarà
certamente sopra il 3 per cento», e dietro a quel numero (il vecchio
Patto di stabilità impone di restare dentro a quel limite) c'è tutto
l'imbarazzo per un contesto politico radicalmente diverso dopo il
liberi tutti del periodo pandemico. Fra Tesoro e Palazzo Chigi si
sta discutendo anche delle stime di debito: l'unica certezza è che
quello di quest'anno segnerà il 144,4 per cento, quello del 2025 il
140,9. Giorgetti oggi pomeriggio partirà per Washington e le
riunioni di primavera del Fondo monetario internazionale. Quella
sarà l'occasione per testare la reazione dei grandi investitori al
lavoro che sta facendo in cima alla montagna di debito più
importante del globo. Più che mostrarsi prudente, altro non può. In
autunno trovare le risorse per finanziare qualunque nuova spesa sarà
più complicato di quanto non lo sia stato l'anno scorso. A meno di
non fare riforme, tagliare e spostare capitoli di spesa.
COME SI DIFENDONO SENZA ARMI ? I presunti documenti top
secret del Pentagono spiattellati di recente sul web potrebbero aver
costretto l'esercito ucraino a cambiare in parte i propri piani. E
proprio alla vigilia di una possibile controffensiva. È quanto
sostiene «una fonte vicina al presidente ucraino Volodymyr Zelensky».
Da Kiev però smentiscono. «In questo momento è impossibile
rivalutare i piani, perché sono solo in fase di elaborazione», ha
detto il consigliere presidenziale ucraino Podolyak aggiungendo che
«ci sono compiti strategici che sono immutabili» mentre «gli scenari
operativi e tattici vengono costantemente perfezionati in base alla
situazione».
L'autenticità dei documenti pubblicati online non è al momento
verificata. Podolyak ritiene che non siano autentici e si basino su
«una grande quantità di informazioni fittizie» diffuse dalla Russia.
Tuttavia, secondo diversi media internazionali, dei funzionari
americani avrebbero definito «originali» alcune delle carte, e il
Pentagono - pur sottolineando che sta ancora studiando i documenti -
ha dichiarato che «sembrano contenere materiale sensibile e
altamente classificato» e ha parlato di «un grave rischio per la
sicurezza».
Alcune fonti comunque indicano presunte versioni manipolate per
ridimensionare le stime dei militari russi morti o feriti nella
guerra in Ucraina e aumentare al contrario quelle riguardanti i
soldati ucraini. E così, mentre il Dipartimento di Giustizia
americano apre un'inchiesta sul caso e alcuni parlano di una caccia
a una possibile talpa, il Cremlino nega di essere coinvolto nella
vicenda e afferma che «dare la colpa di tutto alla Russia è ora una
malattia comune».
Intanto il New York Times sottolinea che, stando ai presunti ex
documenti segreti e ad alcuni funzionari statunitensi, la difesa
aerea ucraina rischierebbe di finire in ginocchio «senza un ingente
afflusso di munizioni» e ciò potrebbe consentire a Putin di
«scatenare i suoi caccia letali in modi che potrebbero cambiare il
corso della guerra». Secondo il giornale americano, una delle carte
pubblicate online rivelerebbe che i missili S-300 e i Buk di epoca
sovietica rappresentano l'89% delle difese ucraine contro
l'aviazione russa - considerata in buone condizioni - ma potrebbero
essere terminati tra metà aprile e inizio maggio. Inoltre, anche le
difese aeree delle truppe ucraine al fronte potrebbero esaurirsi
presto, entro il 23 maggio. Il presunto documento risalirebbe però
al 28 febbraio, e la settimana scorsa la Casa Bianca ha annunciato
nuove forniture militari a Kiev per 2,6 miliardi di dollari: un
pacchetto di armamenti che dovrebbe comprendere anche munizioni e
intercettori per la difesa aerea. Il New York Times ha chiesto a dei
funzionari americani se ritengono che queste nuove forniture di armi
di difesa aerea siano sufficienti da un punto di vista militare. E
la risposta è stata «dipende». Dipende da «una serie di fattori»,
hanno dichiarato, «tra cui se gli alleati della Nato effettueranno
le proprie consegne» di armi «e se Putin continuerà a evitare di
rischiare i suoi preziosi aerei militari».
La guerra continua a devastare l'Ucraina invasa. Cruenti
combattimenti si registrano ancora a Bakhmut, dove Kiev accusa le
truppe russe di essere passate alla tattica «della terra bruciata» e
di «distruggere edifici e posizioni con attacchi aerei e
d'artiglieria», e il capo dei filorussi di Donetsk sostiene che i
soldati di Mosca controllino il 75% della cittadina dilaniata dalla
guerra. Le informazioni sul conflitto sono però difficilmente
verificabili. Nonostante un importante scambio di prigionieri
(sarebbero stati rilasciati 106 prigionieri russi e 100 ucraini), la
situazione resta tesa anche dal punto di vista diplomatico, con il
Cremlino che - all'indomani del viaggio di Macron in Cina - ha
dichiarato che la Francia «difficilmente può rivendicare un ruolo di
mediatore» perché, a suo dire, «coinvolta» nel conflitto «dalla
parte dell'Ucraina». Mosca ha inoltre annunciato un rafforzamento
delle sue difese dopo l'ingresso della Finlandia nella Nato e ha
dichiarato che al momento non si discute di una tregua in vista
della Pasqua ortodossa, che si celebra domenica prossima. Da parte
sua, Papa Francesco anche ieri ha invocato «il dono della pace per
tutto il mondo» e la fine dell'atroce guerra in Ucraina.
L'AMBIGUITA' CINESE: Più brevi, meno estese e dirompenti, ma
con segnali di maggiore prontezza al combattimento. Si sono concluse
nei tempi previsti le esercitazioni militari cinesi intorno a
Taiwan, lanciate in risposta all'incontro fra la presidente
taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano Kevin
McCarthy. Nell'ultima giornata di manovre, il ministero della Difesa
di Taipei ha rilevato nell'area 91 jet e 12 navi da guerra. 56 aerei
hanno oltrepassato la «linea mediana», confine non riconosciuto ma
fino allo scorso anno ampiamente rispettato sullo Stretto. Nessuno
si è però avvicinato alle 12 miglia nautiche, il fronte delle acque
territoriali. Domenica si è verificato un confronto più ravvicinato
a ridosso delle 24 miglia nautiche che segna l'ingresso nelle «acque
contigue», ma secondo i funzionari di Taipei nessuna delle 20
imbarcazioni coinvolte da una parte e dall'altra ha agito «in modo
provocatorio».
Le manovre vengono descritte come «meno estese» rispetto a quelle
dello scorso agosto, dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Ma
sono stati osservati sviluppi a livello «qualitativo». Vero che sono
stati avvistati meno aerei oltre la «linea mediana», ma per la prima
volta si sono palesati dei caccia J-15, sviluppati per essere
utilizzati su portaerei. Non un caso, visto che la Shandong è stata
coinvolta nelle operazioni che hanno simulato attacchi a «obiettivi
chiave» sull'isola, «blocchi marittimi» e «assalti mirati con
imboscate a navi nemiche». L'Esercito popolare di liberazione ha
spiegato di aver «testato nuovi metodi operativi che aumentano la
prontezza a combattere».
A Taipei, però, nessun segnale di panico. Anzi, durante i tre giorni
di esercitazioni ha regnato una certa assuefazione. D'altronde,
l'impatto sulla vita delle persone comuni è stato del tutto assente.
A differenza dello scorso agosto, nessun volo di linea è stato
cancellato e le navigazioni commerciali sono andate avanti
regolarmente. A fare la differenza nella percezione dell'opinione
pubblica è stato il mancato lancio di missili, che lo scorso agosto
aveva invece fatto molto discutere anche e soprattutto per il
mancato allarme del governo taiwanese. Allora, la notizia era stata
data dal ministero della Difesa giapponese, che ieri ha mobilitato i
suoi aerei da combattimento per monitorare le operazioni cinesi.
Confermando «circa 120 decolli e atterraggi» dalla portaerei
Shandong, piazzata non troppo lontano dall'isola di Miyako, a
Sudovest di Okinawa e nei pressi di Taiwan.
Il completo presidio della costa orientale è ritenuto strategico
dalla Cina, visto che gli eventuali aiuti di Stati Uniti e Giappone
a Taipei potrebbero arrivare solo da lì. La crescita della flotta di
portaerei favorirà in un futuro non ancora immediato la
realizzazione di un ipotetico blocco totale. Il tentativo è sempre
più quello di convincere il mondo esterno che il dossier taiwanese
sia una questione interna. «L'indipendenza e la pace» nello Stretto
sono «incompatibili», ha avvisato il portavoce del ministero degli
Esteri Wang Wenbin. La Russia, attraverso il portavoce del Cremlino
Dmitry Peskov, ha appoggiato la risposta cinese a quelle che
definisce «molteplici azioni provocatorie». Il governo di Taipei ha
condannato le manovre, dichiarando che continuerà a mantenere la
comunicazione con gli Stati Uniti.
A proposito di Washington, ieri il cacciatorpediniere con missili
guidati Uss Milius ha attraversato acque rivendicate da Pechino nel
mar Cinese meridionale (lontano da Taiwan) in un'operazione di
«libertà di navigazione». La Cina ha parlato di «intrusione
illegale».
Chiudendo i test, Xi Jinping torna invece a occuparsi di diplomazia.
Oggi arriva a Pechino Luiz Inácio Lula da Silva, che ha lodato lo
sforzo diplomatico cinese sulla guerra in Ucraina. Il presidente
brasiliano sembra voler proporre una soluzione «mediana» tra il
cessate il fuoco alla cinese e il ritiro russo chiesto
dall'Occidente. Lula ha suggerito a Volodymyr Zelensky di cedere
ufficialmente la Crimea: «Non può volere tutto, bisogna trovare una
soluzione».
MACRON DIPENDENTE DA XI: L'ultima
metamorfosi di Emmanuel Macron avviene sull'aereo tra Canton e
Parigi, dopo tre giorni di Cina, sei ore di colloquio con Xi Jinping,
un bagno di folla tra i mille studenti dell'Università Sun Yat-sen.
Arrivato a Pechino con l'idea di convertire l'erede di Mao a un
gesto in favore dell'Ucraina, ne ritorna convertito sulle posizioni
cinesi, si smarca dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea sulla
crisi di Taiwan e si lancia in una solitaria candidatura a leader di
una «autonomia strategica europea». Isolato sul fronte interno per
la riforma delle pensioni, Emmanuel Macron prova a distinguersi
anche nel contesto internazionale. Una fuga in avanti che ha
inevitabilmente irritato gli Stati Uniti e di cui Mosca ha
approfittato immediatamente negando a Parigi alcun ruolo di
mediazione nel conflitto con Kiev. Questo scenario si è manifestato
in seguito a un colloquio che il presidente ha avuto con gli inviati
del quotidiano online "Politico" e del giornale economico francese
Les Echos sul volo di ritorno a Parigi.
Un articolo uscito in inglese e in francese che contiene retroscena
sulla missione cinese e parecchie frasi tra virgolette di Macron.
"Politico" ha precisato che queste ultime sono state visionate dallo
staff dell'Eliseo e sono dunque «autorizzate», mentre altre sono
state tagliate. Ma quelle pubblicate sono abbastanza per agitare
l'Unione europea e non sono certo una novità: poco più d'un anno fa,
poco prima della guerra ucraina e tutto quel che è seguito, aveva
gettato lo scompiglio tra gli alleati dichiarando che «la Nato era
un'organizzazione in stato di morte celebrale».
Preparando la missione alla corte di Xi Jinping, Emmanuel Macron
voleva dare una dimensione europea alla sua visita, dopo aver
incassato a novembre il rifiuto del cancelliere tedesco Olaf Sholz a
compiere insieme il viaggio in Cina. Macron ha così deciso di
invitare Ursula von der Leyen, immaginando di portate con sé davanti
al gigante cinese i 450 milioni di europei e non soltanto i 68
milioni di francesi. Tuttavia si sa che la Cina preferisce i
rapporti bilaterali tra stati piuttosto che gli incontri bilaterali
e ha riservato al capo dell'Eliseo i fasti e le solennità di una
visita di stato. E le cose non sono andate esattamente come aveva
previsto Macron, confidando come sempre sulla sua forza di seduzione
che ultimamente è piuttosto in ribasso, non solo in Francia. Primo
scoglio Taiwan, la crisi da sempre latente, ma riaperta in questi
giorni in seguito alla tournée diplomatica in America centrale dal
presidente taiwanese Tsai Ying-Wen che in uno scalo in California ha
incontrato il presidente repubblicano della Camera dei
rappresentanti Usa Kevin McCarthy. In questi ultimi anni più volte
Pechino ha minacciato di invadere l'isola, diretta da un governo
democratico, per affermare il territorio di Taiwan come parte
integrante della Repubblica Popolare Cinese.
Secondo la ricostruzione di "Politico" nel primo colloquio avvenuto
con Xi Jinping, Ursula von der Leyen ha riaffermato la posizione
ufficiale dell'Unione europea sulla crisi, allineata con quella
degli Stati Uniti: «La stabilità nello stretto di Taiwan è di
importanza capitale e la minaccia di ricorso alla forza per
modificare lo statu quo è inaccettabile». A questo punto Xi Jinping
ha brutalmente risposto che chi pensava di poter influenzare Pechino
su Taiwan «si cullava di illusioni».
E Macron? Finita la missione, ed evidentemente esaurite le illusioni
di incidere sulla posizione cinese, il presidente si è allineato:
«Non riusciamo a risolvere la crisi in Ucraina, come possiamo essere
credibili su Taiwan dicendo: attenzione se fate qualcosa di male,
noi saremo là? Se veramente volete aumentare le tensioni questo è il
miglior modo».
Un diplomatico presente ai colloqui nella versione trilaterale ha
riferito che Xi Jinping si è alterato solo su due temi: l'Ucraina e
Taiwan: «era visibilmente contrariato per essere considerato parte
responsabile nel conflitto ucraino e ha minimizzato la sua recente
visita a Mosca». Su Taiwan, invece, il leader cinese è parso
addirittura «furioso» per il passaggio negli Usa del presidente
taiwanese e per il fatto che delle questioni di politica estera
venissero sollevate dagli europei. Finché la presidente della
Commissione Ursula von der Leyen è stata presente, Macron ha
condiviso la sua posizione. Ma poi il francese ha avuto almeno altre
quattro ore a tu per tu con il cinese, presenti soltanto gli
interpreti.
E, da quel che poi lui stesso ha raccontato ai giornalisti di
"Politico" e "Les Echos", la sua posizione è parsa molto più
conciliante di Stati Uniti e Ue. «Sarebbe paradossale se ci
mettessimo a seguire la politica americana per una sorta di riflesso
di panico. Abbiamo interesse che ci sia un'accelerazione su Taiwan?
No. La peggiore delle cose sarebbe pensare che noi, europei,
dovessimo adattarci al ritmo americano rispetto all'escalation
cinese». Un dettaglio rivela che da Pechino è partito immediatamente
un apprezzamento simbolico: le operazioni militari di accerchiamento
dell'isola di Taiwan sono cominciate solo dopo che l'aereo del
presidente francese ha lasciato lo spazio aereo cinese. Un segnale
che secondo "Politico" è stato apprezzato dall'Eliseo.
Ma Emmanuel Macron non si è fermato qui. Indossando una felpa con
cappuccio e la scritta "French Tech" sul petto, il presidente si è
schierato con le aziende europee che soffrono in modo indiretto per
le sanzioni contro Russia e Iran per la «militarizzazione del
dollaro» e ha aggiunto che l'Europa non deve immischiarsi in crisi
«che non sono le nostre» e deve invece ridurre la sua dipendenza
dall'«extraterritorialità del dollaro americano che in caso di
accelerazione della crisi ci trasformerà in vassalli».
In crisi in patria per la riforma delle pensioni, Emmanuel Macron
rilancia altissimo sul piano internazionale. Un classico riflesso
francese. Ma chi lo seguirà?
IL CAPOLAVORO DI ZINGARETTI: Lo schiaffo d'Anagni, la saga
dei Florio «leoni di Sicilia», Valéry Giscard d'Estaing, la
donazione del cardinale Antonio Maria Salviati, la vendita per
decreto dei beni pubblici. Sembra la «ghigliottina» che nel quiz
«L'eredità» si abbatte su concetti apparentemente inconciliabili. In
realtà bastano due parole a unire tutto: San Giacomo. Dalla villa di
famiglia nella pianura pisana a raccontare il clamoroso «scacco al
Palazzo» è la duchessa Oliva Salviati, nipote dell'armatore Ignazio
Florio e del fondatore della Stampa, Alfredo Frassati. La sorte
dell'ospedale romano a due passi da piazza del Popolo era segnata.
Nonostante il centro della capitale sia congestionato ogni giorno da
centinaia di migliaia turisti e lavoratori pendolari (un alveare
impazzito per il Giubileo 2025 e il possibile Expo 2030), 15 anni fa
una decisione bipartisan della Regione di centrosinistra e del
governo di centrodestra ha chiuso una struttura pubblica appena
ammodernata e che in pandemia avrebbe alleggerito la pressione sui
policlinici. La destinazione d'uso (foresteria per parlamentari)
azzera con un tratto di penna otto secoli di cure e assistenza. A
cambiare un finale già scritto, però, è una telefonata e così la
palla di neve diventa valanga. Settembre 2008 squilla il cellulare
di Oliva Salviati. È sua figlia Polimnia che in via del Corso si
imbatte in un picchetto di medici e infermieri che protestano contro
la giunta guidata da Piero Marrazzo per aver abbassato la
saracinesca del San Giacomo.
«Sono morti tutti gli eredi del cardinale Salviati che lo aveva
donato ai malati», spiega un manifestante. Oliva ha un tuffo al
cuore: «Sapevo che era una donazione della mia famiglia, come
ricorda una grande targa all'ingresso del nosocomio. Mia figlia si
precipita agli archivi per cercare i documenti del Cinquecento.
Inizia la mia corsa contro il tempo, un mese per salvare dalla
chiusura un ospedale in piena funzione. La sanità nel Lazio è stata
poco prima commissariata. Il piano di rientro del governo si fa
forte del depotenziamento del San Giacomo. I posti letto tolti
all'ospedale pubblico finiscono un mese dopo a un centro privato: il
Campus Biomedico». Come è stato possibile? «Il sistema è sempre lo
stesso. Si è iniziato chiudendo la neonatologia e la pediatria, poi
hanno messo la Ztl a cento metri dai reparti, infine è arrivata una
maxi-ristrutturazione con aumento del personale a ridosso della
chiusura - risponde Oliva Salviati -. Da un lato si tagliavano posti
letto per poi trasferirli a strutture private, dall'altro si
inserivano in organico cento nuovi dipendenti. Tutto per poter dire
che il San Giacomo costa troppo e registra utili insufficienti a
sostenerlo». Intanto Valéry Giscard d'Estaing è in visita a Roma e
la sua amica Oliva Salviati lo porta al San Giacomo. L'ex presidente
della Repubblica francese definisce «uno scandalo» la soppressione
di un ospedale rinnovato due mesi prima e dotato delle più moderne
tecnologie. Nelle stesse ore i documenti riannodano i fili della
memoria familiare e collettiva. Il cardinale «protettore degli
orfani» aveva ricostruito dalle fondamenta nel 1575 l'ospedale
edificato dalla famiglia Colonna per farsi perdonare dal Papa
l'affronto di Anagni: il 7 settembre 1303 un gruppo di armati agli
ordini di Sciarra Colonna cinse d'assedio il palazzo di Bonifacio
VIII. Un passaggio fondamentale per la storia europea: la fine della
teocrazia e la nascita degli Stati nazionali. «A vedere la luce fu
anche il Collegio Salviati (per far studiare gli orfani più
meritevoli) da poco sottratto alla sua destinazione originaria e
assegnato al Senato con spese di ristrutturazione da 10 mila euro al
metro quadro- puntualizza Oliva Salviati -. Il patrimonio del Pio
istituto Santo Spirito, poi, riuniva gli ospedali laziali, i
patrimoni immobiliari e i terrieri donati nei secoli per mantenere
le strutture sanitarie e le opere d'arte lì conservate». Un tesoro
rimasto intatto fino alla riforma sanitaria di mezzo secolo fa. Poi
la nebbia burocratica ha avuto la meglio. Nell'autunno del 2007, un
anno prima della chiusura, uno squadrone di quaranta tecnici cuce su
misura il nuovo abito per il San Giacomo. «Mi sono trovata davanti a
una scelta brutale ed irrazionale a danno di una comunità - spiega
Oliva Salviati -. Ogni sera andavo a dormire bastonata da notizie
sempre peggiori e il macigno diventava una montagna. Però mi
svegliavo e ricominciavo. Sapevo di avere contro interessi economici
colossali e talvolta mi prendeva la voglia di mollare. Ma speravo
che certi equilibri saltassero. Attorno uno strano silenzio.
Contavano su di me 800 lavoratori e dal ministro della Salute
Ferruccio Fazio prima della chiusura arrivò la proposta di aprire un
polo per l'Alzheimer perché "le esigenze della sanità sono cambiate
e gli ospedali non servono più". Gli replicai che in centro a Roma
senza spazi verdi l'edificio storico si sarebbe trasformato in un
incubo per i pazienti affetti da demenza senile. Dovevano essere
utilizzate piuttosto le proprietà ospedaliere: 17 mila ettari
intorno a Roma di cui 7000 dentro la città. Tenute donate per scopi
caritatevoli e che fanno parte del patrimonio indisponibile della
Regione Lazio. Borghi, fattorie, castelli, come Santa Severa, Castel
di Guido alle porte della capitale. Tutti beni da destinare a
finalità socio-sanitarie. Come sugli ospedali, preme la mannaia
della speculazione».
Nel giorno della chiusura i centri sociali occupano l'unico reparto
non ristrutturato del San Giacomo, tra cariche della polizia e
possibilità di salvezza ridotte al lumicino. Fino al colpo di scena.
Dal Rinascimento spunta un rescritto in cui l'avo porporato
stabilisce l'inalienabilità della struttura «sotto alcun Diritto,
sotto alcuno Stato». Prevedendo che lo Stato e il Diritto sarebbero
cambiati nei secoli. Dallo Stato Pontificio a quello italiano. E
così dopo una causa durata 14 anni contro la Regione Lazio, Oliva
Salviati vince il ricorso in Cassazione per la riapertura
dell'ospedale che non diventerà il residence dei deputati. «Ho vinto
la battaglia più importante della mia vita. Se tutto ha un prezzo,
nulla ha più valore. Per una volta il senso d'umanità ha prevalso
sul freddo calcolo. Lo spirito del cardinale benefattore soffia
ancora».
DOVE PROVERANNO L'ACQUA ? L'ingegner Giovanni Brasso, il
presidente di Sestrieres spa, arriva alla partenza della seggiovia
Cit Roc quando i primi dei 1.400 piccoli atleti in gara iniziano a
scendere su cinque piste contemporaneamente. C'è anche il sindaco di
Sestriere Gianni Poncet, in mezzo ad un mare di persone che vanno
avanti e indietro freneticamente. Un successo anche per Gualtiero
Brasso, figlio del presidente, al timone dell'organizzazione
dell'evento: «Non lo vedo come una gara agonistica, piuttosto una
grande festa per i bambini che si divertono e socializzano
attraverso lo sport».
«Guardi lassù - indica Brasso - Si scia ancora ai 2900 metri del
monte Motta e siamo al 10 aprile, con un sole caldo e il cielo
azzurro. Dobbiamo anche ringraziare quello che io chiamo il "socio
occulto". Perché, condizioni meteo a parte, godiamo di una posizione
privilegiata. Per non parlare dei 26 gattisti e degli otto
innevatori che ci garantiscono piste eccellenti». E questo anche
perché, come evidenzia Poncet: «Il nostro comprensorio ha il 75% dei
tracciati esposti a Nord e il 70% oltre i 2mila metri di quota». Un
dato essenziale per la pianificazioni dei nuovi investimenti che ha
in serbo la Sestrieres spa. Soprattutto per quanto riguarda la
produzione di neve artificiale, sparata oggi da circa 180 cannoni.
«Tra qualche mese inizieremo la sostituzione di una parte della rete
dell'innevamento nella zona Alpette - illustra Giovanni Brasso - ma,
entro cinque anni, il nostro obiettivo è quello di rimodernare tutto
l'esistente sostituendolo con nuove e più performanti tecnologie,
che ci consentiranno di risparmiare energia e sfruttare al meglio i
nostri bacini. Si tratta di un progetto che va ben oltre i 10
milioni di euro, ma è arrivato il momento andare in questa
direzione».
Oggi come oggi, sistemare un cannone sparaneve su un terreno
considerato «facile» e quindi non impervio, costa circa 500 euro al
metro lineare. Quello che le stazioni sciistiche delle Alpi
piemontesi si lasciano alle spalle è un inverno sorprendente che ha
confermato sempre di più la voglia delle persone di godere degli
spazi aperti. «Sono convinto che il turismo non debba cambiare -
termina Brasso - perché lo confermano i numeri. Noi abbiamo
registrato 12 milioni di passaggi per un milione e 100mila "giornate
sci", nonostante l'aumento dei giornalieri del 6%, ovvero 43 euro se
acquistati on-line e 44 alle casse. Ma questo grazie anche al
ritorno degli sci club visto che abbiamo avuto dai 30 ai 40 pullman
tutti i fine settimana, provenienti anche da fuori regione. Per non
parlare dei charter in arrivo dai Paesi del Nord».
Continua: «In alta stagione sono atterrati all'aeroporto di Caselle
dai 70 ai 90 voli charter la settimana. Tutto questo rappresenta
un'economia che in valle, tra dipendenti diretti e indotto,
garantisce un'occupazione ad oltre 5mila persone. Per questo credo
che, tutti insieme, dobbiamo lavorare per migliorare sempre
l'offerta e l'accoglienza. Il futuro della montagna si decide anche
così»
10.04.23
UN GROSSO ERRORE Sottotraccia,
dopo vani tentativi via legge e referendum, una semplice circolare
ministeriale amputa la legge Severino, entrata in vigore dieci anni
fa come presidio anticorruzione. Il ministero dell'Interno cancella
l'incandidabilità dei politici che patteggiano una condanna tra due
e cinque anni per reati contro la pubblica amministrazione come la
corruzione. La circolare è stata inviata a tutti i prefetti in vista
delle elezioni amministrative di maggio.
Secondo fonti del governo si tratta di una questione tecnica, priva
di disegno politico, posta con uno specifico quesito dalle
prefetture. Il ministero si è rivolto all'Avvocatura dello Stato,
rimettendosi al suo parere: «colpa» della riforma Cartabia, che sia
pure «tacitamente» ha abrogato la norma della legge Severino che
equiparava, ai fini della incandidabilità, il patteggiamento alla
sentenza di condanna. La modifica ha valore retroattivo, dunque chi
finora era incandidabile può «concorrere alle prossime elezioni».
Il patteggiamento, con cui giudici e imputati concordano una pena
evitando il processo, esiste da oltre trent'anni. Ma finora è stato
poco utilizzato a differenza del sistema americano cui era ispirato.
La legge Cartabia, approvata lo scorso anno con l'obiettivo di
ridurre i tempi dei processi del 25%, prova a incentivarlo
rendendolo più conveniente. Allarga le maglie dei reati
patteggiabili, garantisce all'imputato la salvezza da confische
patrimoniali e pene accessorie, cancella gli effetti extrapenali.
Quest'ultimo è il punto controverso. Secondo il Viminale, sulla
scorta di quanto stabilito da Corte europea e Consulta, l'incandidabilità
è appunto un effetto extrapenale. Dunque viene meno con il
patteggiamento. L'interpretazione è ragionevole, ma non univoca. Si
può sostenere che la legge Severino prevalga sulla Cartabia in
quanto norma speciale. La relazione di accompagnamento della riforma
e la commissione di esperti che l'ha elaborata non facevano cenno
all'abrogazione dell'incandidabilità. E in ogni caso
l'interpretazione del Viminale non è vincolante per i giudici
amministrativi, qualora chiamati a pronunciarsi sulle candidature di
politici condannati con patteggiamento.
Ma soprattutto la questione è ora politica. Se il governo vuole
tenere lontani dalle istituzioni i corrotti, anche se patteggiano,
può farlo con una norma di chiarificazione di due righe, in un
decreto.
Diversamente, questo sarà il primo passo per mettere in discussione
l'intero impianto della legge Severino. Che, varata in pompa magna
dal governo Monti, è ben presto finita sotto attacco. Non solo di
Berlusconi, prima e più illustre vittima nel 2013, con la cacciata
dal Senato. Anche nel Pd non sono mancate le voci critiche. Lega e
Radicali hanno promosso l'anno scorso un referendum abrogativo,
sostenuto anche da Forza Italia e Terzo Polo (non da Fratelli
d'Italia) ma fallito per mancanza di quorum.
A presiedere il comitato per il sì era Carlo Nordio, allora ex
magistrato e ora ministro della Giustizia. Nel 2021 definì la legge
Severino «incostituzionale e inopportuna» perché «nata male per
ragioni di demagogia politica». Ulteriori modifiche dovrebbero
essere nel pacchetto di riforme a cui Nordio sta lavorando, con
l'abrogazione dei reati di abuso di ufficio e traffico illecito di
influenze.
L'INSTABILITA' RUSSA:
Il ministro
degli Esteri russo Serghei Lavrov ha minacciato di nuovo di
abbandonare l'accordo per l'export del grano dai porti ucraini,
qualora persistessero gli ostacoli alle esportazioni di Mosca.
Mediato a luglio dalla Turchia e dalle Nazioni Unite, l'accordo
consente all'Ucraina, uno dei maggiori produttori mondiali di grano,
di esportare cereali attraverso un corridoio sicuro lungo il Mar
Nero. «Se non ci saranno ulteriori progressi nella rimozione degli
ostacoli all'esportazione di fertilizzanti e cereali russi,
valuteremo la necessità di rimanere in questo accordo», ha detto
Lavrov in una conferenza stampa ad Ankara. L'accordo ha finora
consentito l'esportazione di oltre 27 milioni di tonnellate di
cereali e prodotti agricoli trasportati su 866 navi, contribuendo
alla stabilità dei prezzi agricoli a livello mondiale. É stato
rinnovato due volte. Quando è stato prorogato a marzo, la Russia ha
dichiarato che sarebbe stato valido per 60 giorni invece dei 120
giorni del formato originale: il Cremlino si è lamentato del fatto
che la parte dell'accordo che riguarda la Russia (in cui si
stabilisce il diritto di esportare fertilizzanti), non viene
rispettata. La Turchia sta spingendo per una proroga di 120 giorni,
pur riconoscendo che l'accordo non è stato pienamente attuato.
Lavrov ha aggiunto che la Russia è aperta a un negoziato per porre
fine alla guerra con l'Ucraina «se saranno presi in considerazione i
suoi interessi», ha detto, ribadendo che «è l'Occidente a non volere
il negoziato.
UNA GUERRA NON SICURA
: È un giallo dal
sapore della "spy story" quello della fuga di notizie in merito ai
piani segreti di Stati Uniti e Nato sul riarmo ucraino in funzione
antirussa. Una vicenda amara per l'amministrazione di Joe Biden
perché ha il sapore di un punto messo segno dagli 007 di Mosca, e
sulla quale il Pentagono ha avviato un'inchiesta. È il New York
Times a riferire come su Twitter e Telegram (piattaforma con oltre
mezzo miliardo di utenti e disponibile in Russia) siano stati
pubblicati foto di documenti di guerra classificati, in particolare
piani per rafforzare l'esercito di Kiev in vista dell'annunciata
controffensiva di primavera. Carte che contengono grafici e dettagli
su consegne di armi, stato di truppe e reparti, piani strategici e
altre informazioni sensibili.
I documenti, almeno uno etichettato come top-secret, risalgono a
circa cinque settimane fa, con il più recente datato 1° marzo,
giorno in cui ufficiali ucraini erano nella base americana di
Wiesbaden, in Germania. Secondo gli analisti Usa alcune pagine del
dossier finite sui social potrebbero essere state manipolate, ad
esempio per ridurre la stima delle vittime registrate dalla
compagine russa e aumentare quella dei soldati ucraini. Ovvero tra i
16 mila e i 17,5 mila russi e 71.500 ucraini, numeri ben diversi
rispetto a quelli resi noti sino ad oggi: il Pentagono e altri
osservatori avevano parlato di circa 200 mila tra morti e feriti
nell'esercito di Putin e oltre 100 mila in quello ucraino. Questo
rafforza la convinzione che i documenti sarebbero stati intercettati
proprio dai servizi di Mosca, probabilmente avvalendosi dell'aiuto
di operatori informatici al soldo del Cremlino. Comunque, per gli
esperti parte del carteggio appare autentico e pertanto foriero di
informazioni preziose per Mosca sui tempi di consegna degli aiuti
bellici, sul numero delle truppe ucraine ed altri dettagli militari.
Tra cui le spese per armi e munizioni fornite dagli Usa, compresi i
sistemi missilistici Himars. E ancora - riferisce il quotidiano
della Grande Mela - in una delle carte si riassumono i programmi di
addestramento da gennaio ad aprile di 12 brigate di Kiev, di cui
nove addestrate dalle forze Usa e della Nato, mentre si parlava
della necessità di fornire 250 carri armati e più di 350 veicoli
meccanizzati.
Gli esperti dell'amministrazione Biden hanno tentato di cancellare i
documenti dalla rete ma senza successo almeno sino ad ora, mentre la
vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, non si è pronunciata
sulla loro autenticità, limitandosi a dire che il dipartimento della
Difesa è «a conoscenza delle segnalazioni di post sui social media e
sta esaminando la questione». Il consigliere presidenziale ucraino
Mykhailo Podolyak ha assicurato che le carte diffuse non hanno
«nulla a che fare con i veri piani» del suo Paese e si basano su
«una grande quantità di informazioni fittizie». «Sono un bluff,
polvere negli occhi... se la Russia avesse davvero ricevuto i
preparativi per scenari reali, difficilmente li avrebbe resi
pubblici», ha sottolineato. Mentre il Cremlino, che a sua volta
parla di inattendibilità dei documenti, ha ribadito tuttavia di non
avere «il minimo dubbio sul crescente coinvolgimento diretto o
indiretto degli Stati Uniti e della Nato nel conflitto tra Russia e
Ucraina».
La fuga di informazioni arriva in coincidenza dell'incriminazione
formale per spionaggio del giornalista del Wall Street Journal Evan
Gershkovich, arrestato nei giorni scorsi in Russia. Interfax
riferisce che Gershkovich, corrispondente del Wall Street Journal
che in passato ha lavorato anche per la France Presse, è stato
incriminato ai sensi dell'articolo 276 del codice penale russo, ed è
punibile con una pena che arriva sino a 20 anni di carcere. Secondo
l'accusa Gershkovich avrebbe «raccolto informazioni che
costituiscono segreto di Stato sulle attività di una delle imprese
del complesso militare-industriale russo». Il giornalista ha negato
categoricamente tutte le accuse e ha dichiarato di «essere impegnato
in attività giornalistiche in Russia», scrive la Tass. La detenzione
di Gershkovich è stata annunciata dal Centro per le relazioni
pubbliche del Servizio di sicurezza federale russo il 30 marzo. Lo
stesso giorno, il tribunale distrettuale Lefortovsky di Mosca ha
accolto una mozione degli inquirenti che chiedeva di tenerlo in
custodia almeno fino al 29 maggio. Della vicenda hanno parlato
l'ambasciatrice Usa in Russia Lynne Tracy e il viceministro degli
Esteri russo Sergei Ryabkov, che ha spiegato che il 31enne cittadino
americano «è stato colto in flagranza mentre cercava di ottenere
informazioni riservate, usando il suo status da giornalista come
copertura per azioni illegali».
DIVINA PROVVIDENZA : Niente cibo e, per dissetarsi, hanno
bevuto l'acqua del motore e del mare. Una traversata di quattro
giorni tra stenti, freddo, paura. I volti provati da violenze di
ogni tipo: sessuali, bruciature ed elettroshock. Disidratati, in
balia di onde alte più di 4 metri. Poi, martedì scorso, il
salvataggio di Medici Senza Frontiere nel Mediterraneo e ieri lo
sbarco a Brindisi per 339 migranti. Altri 100 erano stati già
trasbordati al largo delle coste della Sicilia e per un altro si era
reso necessario il trasferimento a Malta, in elicottero, per le
gravi condizioni di salute. Avevano perso i sensi. Nella storia
della Geo Barents, come racconta il responsabile delle operazioni di
salvataggio in mare, Riccardo Gatti, «è stato il soccorso più
difficile».
In Puglia è arrivata anche una famiglia siriana: genitori e due
bimbi piccoli che, per quattro volte, avevano tentato di fuggire
dalla guerra, ma erano stati intercettati dalla guardia costiera
libica e rispediti nei centri di detenzione. Sui loro corpi i segni
delle torture. Altri migranti sono stati ricoverati con fratture,
altri ancora avevano ustioni. Due ventenni hanno raccontato di aver
subito abusi. A Brindisi rimarranno alcuni adulti e 24 minori non
accompagnati. Gli altri sono stati smistati in altre regioni.
Provengono da Siria, Pakistan, Egitto, Somalia, Bangladesh e Sri
Lanka. «Mangerò la pizza? Che bello, ditemi che in Italia mangerò
pizza tutti i giorni» ha chiesto più volte ai soccorritori un bimbo
partito con il suo papà.
Intanto, procede il ricollocamento dei sopravvissuti al naufragio di
Cutro dello scorso febbraio. Sono 76 i richiedenti protezione
internazionale: 18 in Italia e si trovano nei centri del Sistema di
accoglienza e integrazione, mentre 5 minori sono in strutture
dedicate. Dei restanti 53, in 14 si sono allontanati
volontariamente. La posizione di altri 39 è stata esaminata dalle
autorità tedesche che hanno ammesso 33 persone, già partite per la
Germania ad eccezione di una che necessita di ulteriori cure
mediche. «Impegni del Governo rispettati» fa sapere una nota di
Palazzo Chigi.
PROBLEMI IN FAMIGLIA: L'unico momento in cui è sembrata
sgomenta è stato all'arrivo dei poliziotti: la ragazza in corridoio
ha estratto il coltello dalla tasca e urlato, forse per paura o
frustrazione. A chiamare la Questura è stata un'insegnante della
scuola San Francesco di Biella, dopo che un'allieva di 14 anni della
seconda media, rimproverata a causa dell'uso (vietato) del
cellulare, ha estratto dallo zaino la lama, simile a quelle che si
possono trovare in qualsiasi cucina, e se l'è messo in tasca. «Che
cosa ne vuoi fare?», le ha chiesto l'insegnante. E lei: «Adesso lo
uso».
L'episodio risale all'altro giorno durante l'intervallo. Tutto è
scaturito dal quel rimbrotto per via dello smartphone acceso in modo
da ascoltare la musica con le cuffiette, cosa vietata dal
regolamento scolastico. Due insegnanti hanno cercato di farglielo
mettere via ma senza successo. Con un'alzata di spalle la ragazza ha
continuato imperterrita davanti ai compagni. È quindi stata chiamata
la preside Monica Pisu che ha chiesto alla giovanissima di seguirla
nel suo ufficio. Non è risultato convincente neanche il tentativo di
spiegarle che le regole valgono per tutti, che anche i suoi compagni
avrebbero potuto seguire il suo cattivo esempio. Non appena
oltrepassata la porta della presidenza l'alunna ha indossato
nuovamente le cuffie e fatto ripartire la musica. Un gesto plateale
che non poteva essere ignorato: preside e professoressa l'hanno
seguita, sempre cercando di convincerla. Fino a quando è arrivata al
suo zaino e ha estratto il coltello, «tenendolo sempre in tasca», ha
poi precisato la preside in Questura.
Un coltello resta comunque un'arma. E poi, c'è quella frase «adesso
lo uso» impossibile da ignorare. È quindi scattata la richiesta di
intervento alle forze dell'ordine. Sul posto è arrivata una
pattuglia della polizia e vedere una divisa aggirarsi per i corridoi
della scuola ha molto incuriosito i ragazzi, ai quali tutta la
vicenda era fino a quel momento sfuggita grazie anche al
comportamento dei docenti che non volevano turbarli. Giusto il tempo
di una reazione probabilmente più stizzita che furiosa e tutto era
già finito. Il coltello sequestrato, lo zaino perquisito (c'erano
solo i libri di scuola) e la quattordicenne accompagnata in
Questura, dove sono poi andati a riprenderla i genitori. Spetterà
ora al giudice del Tribunale dei Minori decidere se può essere
processata. Resta da capire il motivo per cui una ragazzina si metta
un coltello nello zaino per andare a scuola. Secondo indiscrezioni
vivrebbe in un contesto familiare complesso.
«Fatto inaccettabile – dice l'assessore regionale all'Istruzione,
Elena Chiorino di FdI, esprimendo solidarietà a preside e insegnanti
-. Fatti simili sono l'ennesimo campanello d'allarme che rende
necessario essere compatti per sostenere il "sistema scuola"
affinché sia possibile riappropriarsi dell'autorevolezza di un
tempo».
HA RAGIONE SALVINI : «Rimanete in me. Senza di me non potete
fare nulla». È il suo slogan, il suo biglietto da visita nel mondo
dei social, corredato dal volto di Gesù. La maestra della scuola
primaria di San Vero Milis (Oristano), Marisa Francescangeli, 58
anni, svela da subito le sue priorità. Di recente, il dirigente
della scuola l'ha sospesa per 20 giorni dall'insegnamento, dopo la
denuncia dei genitori di due alunni di classe terza, per aver fatto
realizzare ai suoi allievi un piccolo rosario a forma di
braccialetto, per Natale, e aver recitato insieme ai bambini alcune
preghiere prima della lezione. «Non ho fatto niente di sgradevole,
l'Ave Maria e il Padre Nostro erano state richieste dai bambini che
mi adorano», afferma la docente. «Siamo alla follia. Buona Santa
Pasqua a questa maestra, un abbraccio ai suoi bambini», scrive sui
social Matteo Salvini, ministro dei Trasporti.
La fede cattolica appare come un tassello imprescindibile, emerge
sempre nella quotidianità di Marisa Francescangeli. Pervade pure il
suo modo di insegnare. «Nella scuola primaria le materie sono
interdisciplinari. Quindi, posso parlare di scienze e al tempo
stesso di religione, tutto è collegato. Quando ho consegnato il
braccialetto agli alunni, altra cosa che mi contestano, ho
pronunciato la frase: "Che Dio ti benedica"», spiega la docente:
«Apriti cielo! Non mi pare che ci sia qualcosa di male, è una
raccomandazione che ci fa anche Papa Francesco. Dobbiamo tutti
volerci bene, come fratelli: la benedizione è una cosa molto
importante. Io sono prima di tutto un'educatrice. Quando si parla di
rispetto, si parla di Dio. E sono gli stessi bambini che adattano
questo tema anche alla storia, magari perché se ne è discusso
durante l'ora di religione». La maestra nata a Nuoro non appare
pentita, sebbene abbia più volte chiesto scusa nella speranza di
arginare sul nascere le polemiche. Tutto vano. Da Natale a oggi
alcuni genitori non hanno sotterrato il rancore, ed ecco spiegato il
provvedimento che ha portato alla sospensione della maestra e alla
decurtazione dello stipendio.
Un'insegnante esperta, con un percorso lavorativo iniziato nella
metà degli anni Ottanta. A San Vero Milis Marisa Francescangeli
segue tre classi: due terze e una quarta. Insegna storia, geografia
e musica, nelle terze; scienze, matematica e tecnologie, in quarta.
«Prima di Natale ho deciso di fare un regalo ai bambini e di
coinvolgerli nella realizzazione di un piccolo rosario, un
braccialetto», racconta. «All'inizio della lezione, e solo quel
giorno, abbiamo pure recitato le preghiere con gli alunni di terza.
Nella quarta, invece, le preghiere erano una costante: i bambini si
avviano al sacramento della Comunione e ho ottenuto l'autorizzazione
da tutti i genitori, ben contenti della novità. Era una loro
richiesta: recitare il Padre Nostro, l'Ave Maria e il Gloria a Dio».
Il preside che ha avviato il procedimento disciplinare preferisce
non commentare. Dall'ufficio scolastico regionale, invece, fanno
capire come le contestazioni avanzate alla maestra siano numerose.
«Non cambierò il mio modo d'insegnare», conclude Marisa
Francescangeli: «Il 16 aprile ritornerò a scuola, a testa alta. Il
Signore mi darà la forza di sopportare tutto questo trambusto.
Comunque, ora attendo un'indagine che faccia chiarezza». —
UNIVERSITA' OSTACOLO: «La mia vita inconcludente e inutile».
Questo scriveva di sé il giovane studente di Medicina che si è tolto
la vita a Chieti. Ancora un suicidio di uno studente, ancora un
gesto definitivo di chi non riesce più a sopportare la pressione
sociale, le aspettative, il timore di un fallimento. In quarantadue
fogli di un block notes il giovane, 29 anni, raccontava la propria
sofferenza per il mancato traguardo della laurea e le bugie
raccontate ai genitori che lo hanno trascinato, con ogni
probabilità, ad una profonda depressione.
Originario di Manduria in provincia di Taranto, viveva a Chieti con
la sorella e studiava Medicina alla D'Annunzio: giovedì pomeriggio è
stata proprio la sorella, rincasando, a trovarlo privo di vita. «Il
mondo universitario è diventato sempre di più un luogo di
depressione e ansia», denuncia l'Unione degli Universitari nazionale
e abruzzese che sono tornati a chiedere 100 milioni per la creazione
di presidi psicologici nelle università e nelle scuole. Solo il 2
marzo scorso si è uccisa a 27 anni, buttandosi giù da un dirupo a
Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Diana, a cui mancava un
solo esame per la laurea in Lettere moderne. Pochi mesi prima, il 28
novembre, Riccardo, 26 anni, aveva deciso di schiantarsi con l'auto
tra Padova e Abano Terme: aveva annunciato la data della sua laurea
in Scienze infermieristiche ma gli mancavano ancora alcuni esami per
poterla ottenere. I primi di febbraio di quest'anno, invece, una
giovane di soli 19 anni si è impiccata nei bagni dell'Università di
Milano. In una lettera di addio manoscritta la giovane riconduceva
il gesto alla percezione fallimentare della propria vita e del
proprio percorso di studio.
FIN TROPPI PER LA DISONESTA'
POLITICO-ECONOMICA CHE RENDE SEMPRE più POVERI : Crollano le nascite
ancora sotto la quota psicologica delle 400mila unità e per la prima
volta l'Istat segnala quanto il cambiamento climatico stia assumendo
una rilevanza fondamentale sulla mortalità. Se si esclude il 2020,
anno dello scoppio della pandemia, «è opportuno rilevare che delle
quattro annualità sin qui riconosciute come caratterizzate da
livelli di mortalità superiori all'atteso ben tre (2015, 2017, 2022)
siano concentrate nell'arco di soli otto anni, mentre una soltanto
(2003) risalga a venti anni fa. Un segnale, apparentemente
inequivocabile, di quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo
rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, nel
contesto di un Paese a forte invecchiamento», recita il report Istat.
Nel 2022 i decessi in Italia sono stati 713 mila, con un tasso di
mortalità pari al 12,1%. Rispetto all'anno precedente il numero dei
morti è superiore di 12 mila unità ma inferiore di 27 mila rispetto
al 2020, anno della pandemia.
Il numero maggiore dei decessi si è registrato in concomitanza dei
mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e
agosto. In questi soli quattro mesi si sono osservati 265 mila
decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni
climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei
casi la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente
da donne. Numeri preoccupanti tanto quanto quelli del calo
demografico.
Per la prima volta dall'Unità d'Italia sono appena 393 mila bambini
nati con il risultato che il Paese continua ad invecchiare. In
Italia ci sono 14 milioni di over 65, in sostanza un italiano su 4.
Il numero dei centenari, che si è triplicato negli ultimi 20 anni,
per la prima volta sfiora la soglia dei 22 mila. Rispetto al 2018,
l'ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è
di circa 184 mila nati. E il numero medio di figli per donna si è
ridotto a 1,24. Il rapporto si interroga sulle ragioni e le
riconduce solo in parte a una scelta delle coppie, dando invece un
peso significativo al progressivo invecchiamento della popolazione
femminile: la continua posticipazione dell'esperienza della
maternità finisce con il trasformarsi in una definitiva rinuncia.
La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un
valore pari a 1,51 figli per donna, seguita da Sicilia e Campania,
che però registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e
1,33. Fanalino di coda la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è
per il terzo anno consecutivo l'unica regione con una fecondità al
di sotto dell'unità. Ovviamente ci sarebbe da interrogarsi sul tipo
di agevolazioni che una regione come il Trentino-Alto Adige mette a
disposizione delle famiglie rispetto alla Sardegna. Un punto di
forza del territorio è rappresentato dai servizi per l'infanzia. In
Trentino la percentuale di utenti che possono accedere a questi
servizi è del 30% (la media in Italia è del 15%), inoltre è stata
introdotta nel 2019 una "Dote finanziaria" per aiutare i giovani e
un incentivo di 5.000 euro alla nascita di ciascun figlio per le
famiglie numerose. Gli abitanti del Paese sono scesi a 58 milioni e
851 mila, 179 mila in meno del 2021. Un calo che pur essendo
inferiore a quello degli anni più acuti della pandemia, non è stato
compensato dai movimenti migratori dall'estero, che pure hanno visto
per l'Italia un recupero di attrattività con un saldo netto di 229
mila unità nel 2022. I movimenti migratori interni penalizzano il
Sud e in particolare la Basilicata e la Calabria, con un saldo
negativo nelle due regioni pari al 5,5%, contro una media del 3,4%.
Torna anche a crescere il numero degli stranieri: al primo gennaio
2023 sono 5 milioni e 50 mila, 20 mila in più dell'anno precedente
(+3,9%). La speranza di vita alla nascita nel nostro Paese è di 82,6
anni, 80,5 per gli uomini e 84,8 per le donne. Per i primi si
evidenzia, rispetto al 2021, un recupero di circa 2 mesi e mezzo di
vita, mentre per le donne il valore rimane invariato. I livelli di
sopravvivenza del 2022 risultano ancora inferiori al periodo
pre-Covid, registrando valori di 6 mesi i meno rispetto al 2019, sia
tra gli uomini che tra le donne.
SEGNALE NEGATIVO:Microsoft ha avviato il
primo piano di licenziamento collettivo in Italia. Lo confermano a
La Stampa sia l'azienda che fonti sindacali. Il piano di esuberi
riguarderà 59 dei circa 1.000 dipendenti che l'azienda ha tra Roma e
Milano. Si tratta di 15 manager e di diversi dipendenti del reparto
vendite. La trattativa sindacale inizierà la prossima settimana.
Prima di Microsoft, ad annunciare tagli in Italia sono stati Meta
(22 dipendenti) e Yahoo! (21). L'azienda conferma di aver aperto le
consultazioni con i sindacati «al fine di trovare un accordo per
gestire al meglio il piano. Le decisioni che hanno un impatto sulle
nostre persone sono particolarmente difficili e ci impegniamo
affinché tutti coloro che sono colpiti ricevano il nostro pieno
supporto». Il licenziamento collettivo rientra nel piano di esuberi
a livello globale deciso il 17 gennaio: 10.000 tagli, secondo
l'azienda, dovrebbero portare a 1,2 miliardi di risparmi l'anno.
I motivi dei tagli, come già annunciato a gennaio da Satya Nadella,
amministratore delegato dell'azienda, sono motivati soprattutto
dalle difficoltà che le tech company stanno affrontando in questo
periodo, tra inflazione e tensioni internazionali: «Stiamo
assistendo a grandi cambiamenti: le organizzazioni di tutto il mondo
stanno evidenziando segnali di cautela data l'incertezza economica
globale», fanno sapere da Microsoft Italia, che conferma i piani di
investimento «in aree strategiche di crescita per rispondere alle
esigenze del mercato e delle imprese». Quello in OpenAi, la società
che ha creato ChatGpt è uno di questi. Il 27 gennaio Redmond aveva
annunciato un investimento «multi milionario» nell'azienda di
Intelligenza artificiale di San Francisco, per poi integrare i suoi
software in prodotti come Bing e Office .Tuttavia i tagli sono
necessari.
I COLPEVOLI DELLA MALASANITA': La selezione per un posto da
coordinatore Spresal a Cirié anticipato di qualche giorno invece del
30 maggio 2022 perché Claudia Griglione, che avrebbe dovuto
vincerlo, quel giorno aveva il volo per una vacanza negli Stati
Uniti. E poi ci sarebbero le domande rivelate in anticipo a Massimo
Gai, coordinatore Spresal di Ivrea, per «favorire» la moglie, Maria
Grazia Gazzera, consigliera comunale a Cuorgné, che avrebbe
partecipato alle selezioni a Cirié e Ivrea per un posto al Sisp
(Servizio Igiene Sanità Pubblica).
Al centro della vicenda c'è lei: Carla Fasson, dirigente Dipsa dell'Asl
To4, da martedì agli arresti domiciliari perché - scrive il Gip
Fabio Rabagliati - «esisterebbe il pericolo di reiterazione dei
reati di corruzione (quello ipotizzato nel concorso di Gazzera),
rivelazione e abuso d'ufficio». Ieri mattina, Fasson si è presentata
in tribunale a Ivrea per l'interrogatorio di garanzia durante il
quale si avvalsa della facoltà di non rispondere. Il gip non si è
ancora pronunciato sulla revoca degli arresti domiciliari avanzata
dal legale Beatrice Rinaudo.
Per i magistrati Valentina Bossi e Alessandro Gallo, Carla Fasson,
sarebbe la figura apicale nell'inchiesta che riguarda la gestione
dell'Asl To4. Sarebbe stata lei a divulgare le domande e valutare
chi avrebbe dovuto ricoprire quel posto. «Spaventala, massacrala». È
il tono di una telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza tra
Carla Fasson e Massimo Gai. Fasson avrebbe chiesto a Gai di
convincere una dipendente a non accettare il posto allo Spresal a
Ivrea. Perché quel posto sarebbe stato «promesso» ad un'altra
persona. E in cambio Fasson avrebbe fatto sapere a Gai le domande
della selezione alla quale si sarebbe sottoposta la moglie, Gazzera,
per il posto al Sisp di Cirié. Gazzera ha vinto il concorso, ma
qualche giorno dopo ha rinunciato all'incarico.
Nei confronti di Enzo Bertellini (coordinatore Sian di Ivrea),
Massimo Gai e Claudia Griglione (coordinatrice Spresal
Cirié-Settimo-Chivasso), i magistrati eporediesi hanno chiesto la
misura interdittiva dai pubblici uffici per un anno perché non
sarebbe opportuno che da indagati continuino a lavorare come
ufficiali di polizia giudiziaria a fianco della procura.
Anche loro tre accompagnati dai legali sono comparsi, ieri mattina,
in tribunale per l'interrogatorio. Anche nei loro confronti il gip
Fabio Rabagliati ha rinviato ogni decisione. Enzo Bertellini
(avvocati Mario Benni e Enrico Scolari), accusato per due episodi di
rivelazione di segreti d'ufficio, non ha riposto alle domande.
La posizione di Claudia Griglione (i pm ipotizzano rivelazione e
abuso d'ufficio) è stata rinviata alla prossima settimana dopo che
l'avvocata Francesca Magagna ha sollevato alcune eccezioni. L'unico
che ha risposto alle domande è stato Massimo Gai, nei guai per
rivelazione segreti d'ufficio e corruzione (si è auto sospeso da
coordinatore Spresal di Ivrea). Ipotesi di reato che il suo legale,
l'avvocato Luca Fiore proverà a quantomeno a ridimensionare. Perché
- a suo dire - Fasson non avrebbe comunicato a Gai le domande
relative al concorso, ma avrebbe parlato di altre questioni.
E sempre secondo il legale non sussisterebbe anche l'accusa di
corruzione in quando la moglie di Gai (Gazzera) non era interessata
al concorso a Cirié tanto è vero che quel posto lo ha rifiutato.
IL SINDACO DI TORINO POLITICO ARROGANTE : Torino vuole
costruire una nuova immagine di se stessa per raccontarsi al mondo
e, per farlo, chiede l'aiuto dei torinesi, dei turisti che arrivano
sotto la Mole e di tutti gli stakeholder. È questa la strategia che
Palazzo Civico sta mettendo in piedi per definire un city brand
riconoscibile, uno strumento di cui intende dotarsi anche forte
della collaborazione avviata nei mesi precedenti con la Fondazione
Bloomberg.
L'obiettivo è pubblicare una gara nel corso di quest'anno, per
dotarsi del nuovo brand e presentarlo ufficialmente entro il 2024.
Prima però si apre un percorso con cui si intende coinvolgere tutti
le realtà. «Tramite un istituto di ricerca vogliamo fare un
sondaggio fra i torinesi per capire quale percezione hanno della
nostra città così da aiutarci a costruire insieme un brand che
funzioni - ha spiegato ieri il sindaco Stefano Lo Russo durante la
seduta dedicata al Bilancio - L'idea è coinvolgere tutte le anime di
questa città, per avere una cornice allargata su questo strumento».
A tale scopo sarà sottoposto un sondaggio anche ai turisti, così da
raccogliere le loro percezioni su luoghi, musei e tutto ciò che
possa promuovere l'immagine di Torino all'estero. Al contempo
verranno coinvolti gli stakeholder istituzionali, quelli che operano
negli ambiti del commercio, dell'industria e dell'economia. Un
lavoro al termine del quale si avrà una sorta di manifesto, utile
alle definizione del bando. "Anche Bloomberg è entusiasta del metodo
che abbiamo scelto" aggiunge Lo Russo. I loro rappresentanti sono
tornati sotto la Mole proprio nelle giornate di giovedì e venerdì
scorsi, la Fondazione aiuterà Torino a lavorare soprattutto sulla
definizione del nuovo piano regolatore e, appunto, del futuro city
branding.
Nel frattempo dovrebbe debuttare già alla fine del mese di aprile
una piattaforma georeferenziata per raccontare ai torinesi tutti i
progetti legati al Pnrr che, da qui ai prossimi cinque anni,
dovranno cambiare la fisionomia della città. Si tratterà di una
mappatura interrogabile e consultabile in tempo reale, che
consentirà di seguire passo dopo passo il procedere dei cantieri.
L'idea è anche quella di installare in ogni luogo di trasformazione
alcuni pannelli informativi, magari dotati di Qr Code, scansionabili
con gli smartphone
09.04.23
UN SEGNO
PASQUALE : «Sì, come molti ho fede ma
sinceramente sono poco praticante. Di certo non sono una fanatica, non
racconto di visioni e non cerco di suscitare clamore. Tuttavia mi è
capitato qualcosa di insolito e sento il bisogno di condividerlo con
altri».
Cinzia Bannò ha impiegato un anno prima di mostrare quella foto scattata
nella Basilica di Superga, al tabernacolo dell'altare della Cappella
delle Grazie, dove è conservata la statua della Madonna a cui Vittorio
Amedeo II si rivolse in preghiera per salvare Torino dall'assedio
dell'esercito francese di Luigi XIV, nel 1706. Scattando una fotografia
col telefonino, il venerdì santo dello scorso anno, avrebbe catturato il
volto di Gesù comparso come un riflesso sulle pareti del tabernacolo,
rimasto aperto e senza la coppa delle ostie al suo interno. «Subito non
mi sono accorta di quel dettaglio straordinario. L'ho notato nel corso
di quella sera, a casa, riguardando la foto ingrandita. Non riuscivo a
credere ai miei occhi». Suggestione? Effetto ottico? Manifestazione?
Adesso che lei ha deciso di rendere noto quello scatto, i commenti si
possono sprecare. Come le critiche e le malignità. L'altro ieri è
tornata a Superga, con un po' di emozione. «Francamente - dice -
preferirei che qualcuno mi dicesse che è tutto un abbaglio, che c'è una
spiegazione razionale, sarei più sollevata. Ma più cerco spiegazioni e
meno ne trovo». Questione di fede, prima di tutto. Ingrandendo quello
scatto, l'è sembrato di scorgere il volto di Gesù, la corona di spine,
l'occhio martoriato ed il labbro gonfio. Così pare. La signora si è
confrontata con il personale del Sermig che gestisce la Basilica. Le
hanno garantito che nel tabernacolo non sono incollate immagini di Gesù.
Le pareti sono lucide, dorate e riflettono come uno specchio. «Ho
chiesto loro di studiare il caso, di provare a vedere se in qualche modo
si riusciva a replicare un effetto simile a quello fotografato o di fare
altri scatti di prova». Non solo, la signora Cinzia ha cercato conforto
nella legge. «Ho chiesto a un notaio di esaminare il mio telefono,
affinché certificasse che il file non è stato manipolato. Cosa che è
stata confermata. Desiderosa di risposte, ho regalato una copia della
foto al povero don Carlo, l'ex parroco del Duomo morto alcuni mesi fa,
anche lui rimase sorpreso nel vedere quell'immagine».
Quella cappella è un luogo amato dai fedeli. Lo testimonia la teca posta
di fronte alla statua della Madonna, sempre piena di lettere di
invocazioni e preghiere. La Basilica di Superga, per i torinesi, è una
sagoma amica che accoglie da lontano. Per altri, è solo un balcone
romantico sulla città, un'attrazione per turisti. Per i granata è un
mausoleo alla memoria del Grande Torino. Ma è soprattutto un luogo di
preghiera. «Amo quel posto, per la sua forza, la sua bellezza. Da quando
vivo a Torino ho sempre cercato di abitare in case da cui si potesse
ammirare Superga. Come luogo credo che andrebbe rispettato di più.
Difeso e valorizzato, sia per i fedeli e sia per la città».
08.04.23
ARROGANZA ITALIANA : Scintille
tra Fdi e Pd. Ad accendere le polveri un brutto fatto di cronaca: lo
stupro di una ragazzina di 15 anni il 18 settembre alla Festa
dell'Unità di Bologna. La notizia - secondo Fratelli d'Italia -
«lascia attoniti» per due motivi: la brutalità della violenza
sessuale in sè e - subito dopo - per il «silenzio assordante» dei
dem su quanto accaduto. «Pretendiamo che si faccia luce per punire i
responsabili e chiediamo che si faccia sentire anche la voce del Pd
e del suo segretario Schlein che, in quanto donna, dovrebbe avere
maggiore sensibilità sul tema», tuona Elisabetta Gardini, vice
capogruppo di Fdi alla Camera. Replica il Pd bolognese: «La destra
fa bassa propaganda. La famiglia della ragazza si è subito rivolta
alla direzione della Festa per chiedere aiuto, trovare i ragazzi e
consegnarli ai carabinieri. E questo è ciò che è stato fatto».
ARROGANZA AMERICANA: Il giallo sul furto di documenti
segreti del Pentagono si allarga e mette in stato di allerta
l'amministrazione americana, dopo la pubblicazione sui social di un
altro carteggio questa volta contenente informazioni che vanno oltre
la guerra in Ucraina e toccano dossier strategici come Cina,
Indo-Pacifico, Medio Oriente (in particolare Israele e i capi del
Mossad) e terrorismo. E a Washington scatta la caccia alla talpa che
avrebbe reso possibile la fuga di notizie questa volta di
riservatezza maggiore a quelle sui piani di riarmo delle truppe di
Kiev trapelati nei giorni scorsi. Una falla clamorosa, nonostante i
sospetti di manipolazioni russe, che rischia di levare i veli sui
piani Usa nel mondo, bruciare fonti preziose e innescare
ripercussioni diplomatiche pesanti. Tutto ciò rivelerebbe la forte
capacità di penetrazione americana degli apparati militari e di
sicurezza russi e al contempo - riferisce il New York Times -
verrebbe confermato che l'intelligence statunitense spia i suoi
alleati (non è del resto la prima volta). A partire dai leader
politici e militari ucraini (un riflesso della difficoltà di
Washington ad avere una visione chiara delle strategie di
combattimento ucraine, secondo il quotidiano Usa) e Seul,
quest'ultima in relazione alle sue decisioni sugli aiuti letali a
Kiev. Il secondo "leak" comprende oltre 100 documenti apparsi su
4chan, un website anonimo, e poi su altri social tra cui Twitter,
provenienti da varie agenzie, anche se tutti compilati dallo stato
maggiore del Pentagono: dal dipartimento di Stato alla Nsa, dalla
Cia all'agenzia di intelligence geospaziale che analizza le immagini
satellitari. Il dipartimento della Giustizia ha aperto un'inchiesta,
dopo quella interna della Difesa, che sta cercando di identificare
chi poteva vedere quelle carte e ha già cambiato le modalità con cui
il personale può avervi accesso. Dato che si tratta di fotografie
(come ai tempi della guerra fredda) di mappe e slide di
presentazione stampate e che i documenti classificati possono essere
stampati solamente su sistemi approvati, è probabile che esista
qualche traccia documentale su chi li ha gestiti. E potrebbe non
essere finita qui, come suggerisce un esperto militare sentito dal
quotidiano della Grande Mela, il quale dice chiaramente che quanto
accaduto sino ad ora è solo la «punta dell'iceberg»
LA CINA NON MI CONVINCE : Il tè prima della tempesta. Poche
ore dopo aver congedato «l'amico» Emmanuel Macron con cui aveva
sorseggiato la bevanda al Pine Garden di Guangzhou, Xi Jinping tira
fuori i muscoli e lancia nuove esercitazioni militari intorno a
Taiwan. È la preannunciata reazione all'incontro in California fra
la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso
americano Kevin McCarthy. Dopo 48 ore di attesa, l'Esercito popolare
di liberazione ha annunciato tre giorni di manovre e pattugliamenti
per testare «prontezza di combattimento» e un «accerchiamento»
dell'isola. Pechino definisce la mossa un «severo avvertimento»
contro le «collusioni» tra le «forze secessioniste» di Taipei e gli
Stati Uniti.
La prima giornata di esercitazioni, denominate Joint Sword (spada
congiunta), sono servite a testare le capacità di controllare «mare,
aria e informazioni». Il ministero della Difesa di Taipei ha
rilevato in totale 9 navi da guerra e 71 jet nelle acque intorno a
Taiwan. Tra gli aerei, 45 hanno oltrepassato la «linea mediana»,
confine tra le due sponde non riconosciuto ma ampiamente rispettato
sino all'anno scorso.
I media di Stato cinesi includono la portaerei Shandong tra i mezzi
che partecipano alle manovre. Nei giorni scorsi aveva attraversato
lo stretto di Bashi tra Taiwan e le Filippine, per poi raggiungere
il Pacifico orientale per la prima volta da quando è operativa. La
costa Est è quella che Pechino punterebbe a presidiare con la sua
flotta nell'ipotesi di un blocco navale. Solo da lì potrebbero
arrivare aiuti esterni a Taipei.
Sembra un déjà vu rispetto a quanto accaduto dopo la visita di Nancy
Pelosi, anche se a differenza dello scorso agosto non è stata
rilasciata una mappa con le zone precise delle manovre. Con l'avvio
dei test (durati 7 giorni nonostante all'inizio ne furono annunciati
4), erano state allora fornite le coordinate di sei zone, in alcuni
casi sovrapposte alle acque territoriali taiwanesi. La presenza o
meno di dettagli è un barometro importante, visto che coi lanci di
missili scatterebbe l'obbligo di segnalare le zone interdette alla
navigazione.
Finora sono state annunciate esercitazioni a fuoco vivo in vari
round fino al 20 aprile sulla costa di Fuzhou, capitale della
provincia del Fujian. Piuttosto lontano da Taiwan, ma in prossimità
delle isole Matsu, amministrate dal governo di Taipei. Più
attenzione sui test a fuoco vivo previsti per domani a Pingtan. Si
tratta di un'isola direttamente affacciata sullo Stretto, da dove lo
scorso agosto erano stati sparati diversi razzi.
Funzionari taiwanesi segnalano a La Stampa che, durante la prima
giornata, la pressione e l'estensione delle manovre sarebbero state
«meno gravi»rispetto ad agosto e i passaggi oltre la «linea mediana»
piuttosto brevi. Ciò non significa che oggi e domani non possano
esserci nuovi sviluppi, vista la fluidità dello scenario.
Ieri, le televisioni cinesi hanno ripetutamente mostrato le immagini
delle esercitazioni. Sui tg taiwanesi se n'è parlato molto più
brevemente, con priorità alla visita di Michael McCaul, capo della
Commissione esteri del Congresso Usa. Tsai lo ha ricevuto poco dopo
essere rientrata dalla California e ha incassato la promessa di un
invio «più rapido» di armi.
Il lancio o meno di missili, unito all'effettiva estensione delle
manovre, sarà un indicatore importante anche a livello politico. Con
una risposta troppo aggressiva Xi potrebbe fare un favore al Partito
progressista democratico di Tsai (la sua nemesi) in vista delle
presidenziali taiwanesi del 2024. Riducendo così le speranze
dell'opposizione del Kuomintang, molto più dialogante con Pechino.
Senza contare il possibile impatto sulle relazioni con l'Occidente e
sull'immagine da «grande stabilizzatore» che il leader cinese sta
provando a proiettare sulla scena globale. La conclusione prevista
delle esercitazioni, se sarà rispettata, si incastra perfettamente
con l'agenda di Xi: martedì arriva infatti a Pechino il presidente
brasiliano Lula, giovedì sarà la volta di Josep Borrell, alto
rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri. Sempre
martedì, a Taiwan è invece previsto l'arrivo di una delegazione
parlamentare italiana, la prima dal novembre 2019.
MAFIA CAPITALE : A Roma tutti vedono cosa succede, ma nessuno
riesce a capirne il perché: esecuzioni per strada, gambizzazioni,
sequestri, torture, pestaggi e ferimenti a colpi di pistola fanno
sembrare da sei mesi le strade della città come quelle messicane di
Tijuana, in un crescendo di brutalità difficile da decifrare. Nella
città aperta a tutte le mafie, di regola non si spara, perché la
torta è grande tanto quanto gli appetiti criminali e perché la
guerra danneggia gli affari, attira le forze dell'ordine e accende
le telecamere. Da novembre, invece, la cronaca di Roma è un
bollettino di guerra, un romanzo criminale violentissimo che riporta
agli anni feroci della banda della Magliana: in cinque mesi,
quindici omicidi sono stati eseguiti e sette tentati (quelli di cui
si è a conoscenza); non tutti ovviamente sono maturati in contesti
malavitosi, ma molti sì e destano particolare allarme sociale.
Alcuni sono un regolamento di conti, nell'ambito del traffico di
droga, altri hanno un peso diverso e rappresentano una spia
allarmante di un riassetto criminale in corso. Nello scorso marzo
hanno sparato a quattro persone, a tre in una sola settimana. Molti
omicidi, tra cui gli ultimi due, quelli di Luigi Finizio e di Andrea
Fiore, sono avvenuti nel quadrante est di Roma, regno dei Senese, i
napoletani che arrivati a Roma negli anni '80 hanno costruito un
impero nel narcotraffico e allevato batterie di narcos e
picchiatori, al cui vertice c'è da sempre Michele ‘o pazzo, che dal
carcere non ha certo perso peso e autorevolezza, né la possibilità
di comunicare con l'esterno, come dimostrano i pizzini trovati nelle
sue scarpe. Il 13 marzo, Luigi Finizio, imparentato con i Senese
attraverso il fratello, è stato freddato in dieci secondi davanti ad
un distributore di benzina al Quadraro, da due uomini, ancora
sconosciuti, a bordo di uno scooter. Sul luogo del delitto, era
apparso un amico della vittima, Andrea Fiore, un carrozziere, anche
lui con precedenti. Si era fatto notare mentre parlava con gli
investigatori. Una mossa imprudente, tanto che dopo appena quindici
giorni e a poche centinaia di metri da lì, il piombo è toccato a
lui: Danilo Rondoni e Daniele Viti si sono presentati a casa sua e
il secondo gli ha sparato, mentre Fiore tentava di difendersi con
un'accetta. Per la Squadra Mobile stavolta non è stato complicato
rintracciare i responsabili, visto che prima di ucciderlo, i due
hanno sequestrato e picchiato un vicino di casa di Fiore per
ottenere ulteriori informazioni, ma prima di rilasciarlo Viti ha
commesso un errore tanto fatale quanto surreale: gli ha restituito
il portafogli sbagliato, cioè il suo, con i suoi documenti
all'interno. Interrogato dagli inquirenti, Viti confessa di aver
eseguito l'ordine superiore di un capo. Sì, ma di chi? Chi può
essere il mandante di un duplice omicidio, proprio nel feudo
militare di un pezzo da novanta come Michele ‘o pazzo? Difficile
ipotizzare infatti che nel territorio dei Senese si assumano
iniziative di rilievo, come qualsiasi fatto di sangue, senza il loro
benestare, a meno di non volerli sfidare di proposito. Lo stesso
ragionamento potrebbe valere per la duplice gambizzazione di due
giovani e ambiziosi (troppo?) spacciatori, Alex Corelli e Simone
Daranghi, avvenuta poche settimane prima, tra Morena e la Romanina.
Zona controllata dai Senese e dai Casamonica, che comunque
rispondono ai primi. Daranghi è uno spacciatore di Alatri, mentre
Corelli è figlio d'arte, di Roberto detto "il Capitano", trafficante
legato ai Senese. Hanno tentato di allargarsi in piazze altrui?
Hanno provato a fare i furbi? Serviva una lezione per ricordare a
loro e a chiunque si facesse venire in mente idee diverse, chi
comanda? Fatto sta che Corelli, forse per evitare che il referto
finisse in procura, ha tentato di evitare il pronto soccorso,
facendosi inizialmente soccorrere in un locale vicino.
In questa inedita gomorra romana, non si spara soltanto, ma si
sequestra e si tortura, con un sovraccarico di ferocia mai vista.
Francesco Vitale, un pr barese noto come Ciccio Barbuto, nella vita
faceva il narcos, prima di contrarre mezzo milione di debito con le
persone sbagliate. Era venuto a Roma il 22 febbraio scorso per
incontrare i suoi creditori, dopo aver lasciato la sua fidanzata in
albergo, ma era una trappola. È stato torturato per ore in un
appartamento della Magliana, fino a quando sfinito ha preferito
lanciarsi dalla finestra, ma dal quinto piano non si salva nessuno.
Ci ha sperato, ci ha provato, come dimostrano le impronte delle mani
sporche di sangue impresse nel muro esterno del palazzo, ma non
poteva farcela. Poche ore prima gli era stata concessa, per
mettergli pressione, un'ultima telefonata alla compagna, giusto il
tempo di dire addio a lei e al bambino. I Carabinieri del nucleo
investigativo di Roma hanno arrestato per sequestro di persona, con
l'aggravante della morte della vittima, il buttafuori Sergio
Placidi, detto Sergione e Daniele Fabrizi, alias Saccottino, che
probabilmente avevano ricevuto l'appalto per la riscossione del
credito da un altro re della criminalità romana, Elvis Demce,
l'albanese che si proclamava Dio, tanto feroce da cavare a mani nude
l'occhio di un suo nemico, tanto sicuro del suo ruolo da affermare:
«Quando parlo io è cassazione, è morte». I carabinieri lo hanno
arrestato l'anno scorso, mentre stava per scoppiare una guerra
sanguinaria con il suo rivale albanese Ermal Arapaj, "l'Ufo" che
aveva approfittato della carcerazione del capo per allargarsi. Elvis
Demce, cresciuto sotto l'ala protettrice di Fabrizio Piscitelli,
Diabolik per tutti, era il suo braccio armato, insieme alla batteria
degli albanesi di Ponte Milvio, utilizzata per risolvere i lavori
più sporchi; a quanto ci risulta, dopo l'omicidio del Diablo, Demce
si sarebbe allontanato dal gruppo originario di appartenenza, quello
di Arben Zogu, il referente degli albanesi a Roma, per avvicinarsi
alla cerchia dei Senese, all'interno della quale potrebbe essere
maturato proprio l'omicidio del suo amico Piscitelli. Del resto, nel
mondo criminale, si sa, le inimicizie come le amicizie hanno un
prezzo.
A spiegare bene il grado di efferatezza raggiunto a Roma, è la
spirale di violenza innescata dal furto di 107 kg di cocaina a casa
di un pusher, Gualtiero Giombini (morto in circostanze ancora tutte
da chiarire), che doveva custodirla per conto di Elias Mancinelli,
di certo non uno spacciatore qualsiasi, a giudicare dal quantitativo
di droga in suo possesso e dal peso criminale dei suoi referenti.
Circostanza non valutata bene inizialmente dal carabiniere infedele
Rosario Morabito e dal basista Cristian Isopo che insieme a due
donne rom hanno organizzato il furto della cocaina. La reazione di
Mancinelli non si fa attendere, come racconta Isopo ai pm Erminio
Amelio e Giovanni Musarò che coordinano le indagini, svolte dai
Carabinieri di via In Selci; Elias, scoperto senza troppa fatica chi
ha compiuto il furto, si presenta da Isopo e gli dice: «Sai perché
sono qui?», poi lo incappuccia e lo fa salire a bordo di una
macchina, per condurlo in una villetta: «Mi ha sequestrato dalle
quattro del pomeriggio alle quattro di notte», racconta Isopo, «dopo
12 ore mi hanno rilasciato pesto come l'uva, con gli aghetti
infilati dentro alle unghie… avevo le mani gonfie che non riuscivo a
muoverle…mi menavano in testa, botte sulle costole, sul torace, sul
collo…». Per terrorizzarlo, gli mostrano Giombini (a casa del quale
era stata rubata la droga), torturato in un'altra stanza con la
fiamma ossidrica e lasciato al gelo per giorni. Isopo racconta che
il pusher era «in condizioni irriconoscibili perché era stato
ammazzato di botte, indossava solo le mutande, la sua faccia era
tumefatta, aveva sangue e lividi in tutto il corpo, una sorta di
mostro». Non soddisfatto delle torture, Mancinelli per indurre Isopo
a recuperare in fretta il carico di droga che si era smezzato con le
rom, lo porta con l'aiuto di altre otto persone in zona Laurentina e
lo sospende penzoloni da un ponte con la ferrovia sotto, dicendogli
che se non avesse riportato la droga o sarebbe andato giù o lo
avrebbero impiccato. Nel frattempo Elias risale all'identità delle
due donne che hanno partecipato al furto e le sequestra, poi ne
rilascia una (quella sbagliata) e ne trattiene un'altra, fino a
quando non è pronto lo scambio di soldi e di droga, che avviene nel
centro commerciale Maximo, dove ad aspettarli però c'è la Polizia.
I sequestri di mala stanno diventando un'abitudine a Roma, a Natale
era stato sequestrato a Ponte Milvio davanti ad un noto e molto
frequentato ristorante giapponese, Danilo Valeri, ventenne figlio di
Maurizio, detto il "sorcio", pusher di San Basilio, gambizzato
qualche mese prima. Valeri è stato rilasciato 24 ore dopo e non ha
fornito alcuna informazione agli inquirenti sul commando che lo ha
prelevato. Se si arriva a compiere un atto così violento e
controproducente, come il sequestro di un ragazzo per un debito di
12 mila euro, cifra irrisoria nel mondo della droga, significa che
in certi contesti il livello dello scontro è del tutto fuori
controllo.
Un discorso a sé merita un'altra parte della suburra romana, che non
è periferia ma impero. Ostia è da sempre terra di conquista
criminale, per gli interessi economici e strategici che concentra:
chilometri di litorale con stabilimenti e ristoranti da gestire e in
cui riciclare, ma soprattutto due porti vicini, quello di Fiumicino
e quello di Civitavecchia dove transitano i carichi di stupefacente
dal Sudamerica e dalla Spagna. Negli anni, sul lungomare dei romani
-tra le tante piazze di spaccio, il racket delle case popolari e le
estorsioni- si sono consumate vere e proprie guerre di mafia: prima
i Triassi, poi i Fasciani, poi gli Spada contro i Fasciani, poi gli
Spada contro il gruppo di Marco Esposito, detto Barboncino, fino a
quando il quadro è saltato: Barboncino è morto, i Fasciani hanno
subito inchieste pesantissime, così come gli Spada, sebbene una
delle figure più simboliche, Roberto Spada- assurto nel 2017 alle
cronache nazionali per la testata al collega Daniele Piervincenzi e
condannato per associazione mafiosa - è da poco tornato in libertà,
accolto sul litorale da fuochi d'artificio e festeggiato come un
capo, nell'attesa (ma senza fretta) che vengano determinati gli
altri anni che deve ancora scontare in carcere . Il suo rientro nel
contesto di Ostia desta ovviamente preoccupazione, per le
fibrillazioni che ne potrebbero nascere, con i nemici di sempre,
quelli rimasti e con le forze emergenti. Tra i nuovi signori della
droga, per esempio, ci sono i cileni, sempre più forti, sempre più
autonomi. Qualcosa intanto di poco chiaro sta già accadendo sul
litorale, come dimostrano l'omicidio di Fabrizio Vallo, avvenuto il
3 febbraio scorso, e quello -dopo pochi giorni- tentato, ma fallito
di Antonio Da Ponte. Vallo, rapinatore noto alle forze dell'ordine,
è stato crivellato con cinque colpi di pistola davanti all'androne
di casa sua, in via del Sommergibile. A casa del sospettato di
origini siciliane, la Polizia ha trovato sei pistole. Più
significativo, per la diversa caratura criminale e per la
provenienza della vittima da un contesto di camorra, è il tentato
omicidio di Antonio Da Ponte, condannato anni fa per omicidio e da
poco uscito dal carcere. È stato colpito all'addome, sua moglie al
gluteo e suo figlio neonato, miracolosamente illeso. In mezzo a bar
e ristoranti aperti, anche se, come sempre, nessuno ha visto. Non si
esclude, ma è solo un'ipotesi, che questa vicenda possa avere un
possibile legame con gli omicidi del Quadraro.
Mentre il governo tarda a nominare il nuovo prefetto di Roma e il
sindaco Gualtieri è preoccupato, ma tutto sommato ritiene la
Capitale una città non violenta, la scia di sangue si fa sempre più
lunga, segno che qualcosa evidentemente è cambiato negli equilibri
della malavita e che si è rotto quel patto mafioso di non
belligeranza tra clan e narcos che solo i capi possono garantire,
molti dei quali sono ormai indeboliti dalle inchieste o in carcere o
morti, come Diabolik, freddato su una panchina in un parco pubblico
nel 2019. Quello di Fabrizio Piscitelli è stato un omicidio
eccellente, di matrice mafiosa come disse da subito l'allora capo
della Procura di Roma Michele Prestipino. Eppure ad oggi, dopo
quattro anni, conosciamo il nome dell'esecutore materiale,
l'argentino Raul Esteban Calderon, ma non quello dei mandanti, la
cui posizione è stata archiviata per insufficienza di prove. Alcuni
dei presunti colpevoli sono in carcere per altri reati, altri
potrebbero uscire a breve, altri invece sono liberi. Diabolik e il
suo socio Fabrizio Fabietti hanno inondato Roma di cocaina,
sfamavano le principali piazze di spaccio di Roma, da Torbella
Monaca a Primavalle, da San Basilio ad Acilia, dalla Romanina ai
Castelli, passando, appunto, per Ostia, come ha svelato
un'importantissima operazione del Gico della Guardia di Finanza, dal
titolo evocativo, "Grande Raccordo Criminale". Il Diablo l'hanno
ammazzato, Fabietti e la sua banda sono in carcere, come tanti altri
boss della città. Eppure la cocaina continua a scorrere a fiumi tra
le strade della città, in tutti i quartieri, perché i vuoti nella
malavita vanno riempiti rapidamente ed è quello che sta succedendo a
Roma e che spiega tanto fermento e tanta violenza: se mancano le
figure di garanzia per fare la pace, i ranghi inferiori si fanno la
guerra e si armano. Mai girate così tante armi a Roma. A Pietralata
la Squadra Mobile ha rinvenuto un arsenale di armi custodito da una
donna, i ferri con la matricola abrasa erano quasi tutti carichi e
pronti all'uso. In una casa popolare di Ostia, i Carabinieri hanno
trovato un'altra santabarbara, pistole e migliaia di proiettili e
arrestato un pregiudicato che produceva artigianalmente i
silenziatori per le pistole. Quando manca una regia, quando non c'è
chi ha l'autorevolezza e il curriculum criminale per decidere se il
semaforo è rosso o verde, allora si spara, si gambizza, si tortura,
si sequestra. Ma Roma, è bene che le nostre istituzioni lo ripetano
sempre e ostinatamente: «Non è una città violenta e neppure
mafiosa», piuttosto è la capitale del volemose bene.
IGNORANZA SOCIALE: In Piemonte non ci sono abbastanza
ingegneri idraulici per guidare la regione verso la transizione. Al
Politecnico di Torino, una delle principali fucine di esperti del
settore insieme al Politecnico di Milano, quest'anno, al corso di
laurea magistrale di Ingegneria Idraulica, si sono iscritte appena
sette persone.
«I numeri che registriamo sono preoccupanti» spiega il docente del
Politecnico Francesco Laio, direttore del dipartimento di Ingegneria
dell'Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture. Certo, la
diminuzione in parte è generalizzata: «Tutti i quattro indirizzi
magistrali di ingegneria civile contano 120 studenti, mentre fino a
pochi anni fa ne avevano più del doppio. Il caso di Idraulica, però,
è particolarmente problematico». Perché? I cambiamenti climatici e
la siccità hanno messo in crisi il nostro modo di vedere e gestire
l'acqua. Servono soluzione. Lo stesso presidente di Arpa, Secondo
Barbero, sottolinea come «l'acqua non può essere più considerata una
risorsa infinita. Il cambiamento climatico impone dei ragionamenti
di sfida e adattamento». Bisogna rifare gli acquedotti, ridurre le
perdite, fare impianti di monitoraggio per vedere dove le tubature
hanno "buchi", installare nuovi sistemi di irrigazione, di
immagazzinamento. Insomma, prosegue Barbero, «bisogna formare dei
tecnici per dare supporto alle scelte del futuro». E quei tecnici al
momento non ci sono. «Con sette iscritti non si forma una classe
sufficientemente numerosa per le sfide da affrontare», sottolinea il
professor Laio, che parla "crisi vocazionale". «L'ambito non risulta
abbastanza interessante per gli studenti che escono dalle superiori.
L'ingegneria civile sembra vecchi«, adesso l'appeal è più forte
verso informatica o biomedica». In più, i «pochissimi ingegneri
civili non vanno nel pubblico, ma vengono assorbiti dalle grandi
aziende.
Il mondo accademico si sta muovendo, «riformando, ad esempio, i
corsi. Però non basta. Serve l'intervento della politica e degli
studi di settore». Il professor Laio lancia l'allarme: «Se non si
crea una narrativa che supporti il valore di queste figure
professionali, non abbiamo via d'uscita». E ancora. «Bisogna pagare
stipendi maggiori, che significa che le stazioni appaltanti devono
smettere di bandire gare al massimo ribasso». E il sistema pubblico?
«È rimasto fermo per dieci anni. Ripartito negli ultimi due, non ha
più risorse da inserire».
07.04.23
https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/faida-casa-agnelli-mejo-serie-tv-margherita-agnelli-ha-348977.htm
07 apr 2023 09:03
La faida di Casa Agnelli, mejo di una serie tv - Margherita Agnelli
ha presentato una querela civile “di falso” riguardo al testamento
svizzero di sua madre – Qui Trevisan, Marella Caracciolo Agnelli:
sarebbe dubbia la veridicita’ delle firme - Lo scopo di Margherita
è far dichiarare dal Tribunale che l’eredità della madre non poteva
essere regolata dal diritto svizzero, poiché Marella Agnelli,
scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe stata una cittadina
italiana residente in territorio elvetico (per almeno sei mesi
all’anno),
ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita a Torino e a
Marrakech …
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per il “Fatto quotidiano”
Margherita Agnelli, con un’istanza […], ha presentato nelle
settimane scorse al Tribunale di Torino una querela civile “di
falso” riguardo al
testamento svizzero di sua madre, Marella Caracciolo Agnelli.
La notizia è emersa ieri mattina a Torino durante un’udienza
pubblica della causa che la secondogenita di Gianni Agnelli ha
avviato contro i
tre figli nati dal suo primo matrimonio con lo scrittore Alain
Elkann: John (l’attuale presidente di Exor e dunque al vertice di
tutte le
partecipazioni della ex galassia Fiat), Lapo e Ginevra.
Lo scopo di Margherita è esplicito: far dichiarare dal Tribunale che
l’eredità della madre non poteva essere regolata dal diritto
svizzero,
poiché Marella Agnelli, scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe
stata una cittadina italiana residente in territorio elvetico (per
almeno sei
mesi all’anno), ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita
a Torino e nel riad “Ain Kassimou” di Marrakech.
Un pool di investigatori di Zurigo, secondo quanto sostenuto nelle
memorie del legale della figlia dell’Avvocato, lo avrebbe accertato
a
partire dal 2003.
Se così fosse, si applicherebbe il Codice civile italiano e
decadrebbero sia il patto successorio firmato nel 2004 a Ginevra,
nel quale
Margherita rinunciava al patrimonio della madre, in cambio di 1,2
miliardi di euro come quota dell’eredità del padre, e le successive
disposizioni testamentarie di Marella Caracciolo a favore dei tre
nipoti Elkann.
Si rimetterebbe dunque in discussione il controllo della società
semplice Dicembre da parte di John Elkann (che oggi ne detiene il
60%,
mentre il 40% è diviso in parti uguali tra Lapo e Ginevra) e, a
cascata, della Giovanni Agnelli Bv (la società di tutti gli eredi
della dinastia) e
infine di Exor.
Un primato garantito dalle donazioni in vita della nonna e poi dalla
sua successione secondo il diritto elvetico che escludeva la figlia
dell’Avvocato. […] il legale di Margherita ha contestato anche la
validità del testamento della vedova dell’Avvocato (12 agosto 2011)
e delle
sue due aggiunte (14 agosto 2012 e 22 agosto 2014) redatti dal
notaio elvetico Urs von Grünigen. […] sarebbe dubbia “la veridicità
delle
firme”.
Il doppio esame grafologico […] è univoco.
La prima firma del testamento è definita “autografa, ma con margini
d'incertezza”.
La seconda è giudicata: “apocrifa, con grado di probabilità”.
La terza (una sigla con le iniziali “M.C.A.”, all’età di 87 anni) è
indicata come “apocrifa, con elevata probabilità”. […]
Infine, la mossa più clamorosa di cui si è saputo solo ieri e che
chiede di accertare, ex art. 313 del Codice di Procedura civile,
l’eventuale
“falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata
riconosciuta, autenticata o verificata”.
Un accertamento che dovrà essere compiuto […] da un collegio del
Tribunale civile con la partecipazione però di un pubblico
ministero: in
un incrocio tra procedura civile e penale.
Acquisendo se necessario ulteriore documentazione e decidendo
soprattutto se sentire il notaio e anche i cinque testimoni che si
sono
alternati tra il 2011 e il 2014 per certificare le volontà
testamentarie di Marella Caracciolo.
Con un’istanza del suo legale Dario Trevisan, Margherita Agnelli ha
presentato nelle settimane scorse al Tribunale di Torino una querela
civile “di falso” riguardo al testamento svizzero di sua madre,
Marella Caracciolo Agnelli.
La notizia – scrive Il Fatto Quotidiano – è emersa durante
un’udienza pubblica della causa che la secondogenita di Gianni
Agnelli ha avviato
contro i tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann.
Lo scopo di Margherita è quello di far dichiarare dal Tribunale che
l’eredità della madre non poteva essere regolata dal diritto
svizzero,
poiché Marella Agnelli, scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe
stata una cittadina italiana residente in territorio elvetico (per
almeno sei
mesi all’anno), ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita
a Torino e a Marrakech.
Se così fosse, si applicherebbe il Codice civile italiano e
decadrebbero sia il patto successorio firmato nel 2004 a Ginevra,
nel quale
Margherita rinunciava al patrimonio della madre, in cambio di 1,2
miliardi di euro come quota dell’eredità del padre, e le successive
disposizioni testamentarie di Marella Caracciolo a favore dei tre
nipoti Elkann.
Si rimetterebbe dunque in discussione il controllo della società
semplice Dicembre da parte di John Elkann (che oggi ne detiene il
60%,
mentre il 40% è diviso in parti uguali tra Lapo e Ginevra) e, a
cascata, della Giovanni Agnelli Bv (la società di tutti gli eredi
della dinastia) e
infine di Exor.
Non solo, il legale di Margherita ha contestato anche la validità
del testamento della vedova dell’Avvocato (12 agosto 2011) e delle
sue due
aggiunte (14 agosto 2012 e 22 agosto 2014) redatti dal notaio
elvetico Urs von Grünigen.
E lo ha fatto con due mosse diverse.
La prima è costituita da due distinte consulenze grafologiche
secondo le quali sarebbe dubbia “la veridicità delle firme”.
La gestione di testamento e aggiunte, redatti in lingua italiana, è
avvenuta secondo il diritto elvetico. Che prevede due diverse
procedure.
Nella prima, se è il testatore a dettare le sue volontà, il notaio
le redige e poi le legge al suo cliente. Solo dopo, fa entrare i
testimoni i quali
certificano che il testatore dichiara di conoscere il contenuto
esatto del testo, assistono alla firma di cliente e notaio e,
infine, certificano la
“capacità di disporre” del primo.
Se invece il testatore ha dato istruzioni precedenti al notaio,
affidandogli il compito di preparare la stesura, allora i testimoni
dovranno essere
presenti sin dall’inizio della lettura. Per tutti e tre gli atti
testamentari di Marella Caracciolo, la procedura scelta è sempre
stata la prima, ma
non si sa se tutti i testimoni che si sono alternati conoscessero la
lingua italiana (i legali dei fratelli Elkann, invece, sostengono di
sì).
Infine, la mossa più clamorosa di cui si è saputo solo ieri e che
chiede di accertare, ex art. 313 del Codice di Procedura civile,
l’eventuale
“falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata
riconosciuta, autenticata o verificata”.
Un accertamento che dovrà essere compiuto non dal giudice
monocratico che sta istruendo la causa sull’eredità, ma da un
collegio del
Tribunale civile con la partecipazione però di un pubblico
ministero: in un incrocio tra procedura civile e penale.
06.04.23
LO STRUZZO : E niente,
anche questa volta Giorgia Meloni non vuole domande. Lo stupore
viaggia con il premier spagnolo Pedro Sánchez, che oggi è atteso a
Palazzo Chigi per un bilaterale tra due leader che coltivano molti
interessi in comune, a partire dal Mediterraneo e dalla questione
migratoria.
È dalla delegazione spagnola che La Stampa è venuta a sapere che,
per esplicita richiesta del cerimoniale della presidenza del
Consiglio, non sono previste domande. Al termine del vertice ci
saranno solo le dichiarazioni congiunte dei due leader – «come
sempre» confermano da Palazzo Chigi – senza la possibilità di
confrontarsi con i giornalisti. Una scelta che ha spiazzato gli
spagnoli. Solitamente, in occasioni del genere, si prendono una o
due domande per parte. Così accadeva con Giuseppe Conte e con Mario
Draghi. È una consuetudine internazionale, come dimostra la visita
di Meloni a Berlino e l'appuntamento con la stampa italiana e
tedesca assieme al cancelliere Olaf Scholz. Quella di oggi è la
terza tappa di Sanchez in poche settimane. E lo schema è sempre
stato lo stesso: una breve conferenza stampa, con due domande per
parte. Così doveva avvenire a Roma. La delegazione di Madrid ci ha
sperato fino all'ultimo ma Meloni ha detto di no. Il motivo – è una
supposizione che circola anche tra i colleghi spagnoli – potrebbe
essere l'imbarazzo di un confronto sulla realizzazione del Piano di
ripresa e di resilienza.
La gestione del Pnrr del governo socialista in Spagna è stata
premiata dal nuovo bonifico di sei miliardi partito da Bruxelles,
proprio nelle ore in cui invece emergevano con forza le difficoltà
dell'Italia, con tanto di liti e polemiche interne al governo
Meloni. La destra italiana è in ritardo e le domande dei
giornalisti, soprattutto se rivolte a Sánchez, potrebbero
rimarcarlo.
QUALCUNO SI E' SBAGLIATO ? «Mia moglie ha diritto
all'eleganza» aveva dichiarato il deputato Aboubakar Soumahoro
davanti alle foto che ritraevano la compagna Liliane Murekatete con
borse e abiti griffati mentre su di lei, sua madre e suo fratello
piovevano le accuse di fatture false (per oltre 2 milioni di euro
quelle contestate alla madre) ed emergevano problemi con il Fisco
per le cooperative dei migranti. E ora, mentre si profila l'ipotesi
del processo per i familiari di Soumahoro, le carte dell'inchiesta,
in particolare da quelle del Riesame, confermano la passione per il
lusso a scapito delle coop.
Si legge infatti che i fondi anziché essere impiegati per scopi
sociali venivano dirottati, per quanto riguarda le cooperative
gestite da Murekatete e dal fratello, per l'acquisto di beni
voluttuari: «Spregiudicatezza e opacità nella gestione degli ingenti
fondi assegnati alla cooperativa sociale... in parte non
rendicontati e in parte utilizzati per scopi apparentemente estranei
allo scopo sociale: acquisto di beni presso negozi di abbigliamento
di lusso tra cui Ferragamo a Roma».
Il pm di Latina Andrea D'Angeli ha depositato l'avviso di chiusura
indagini che precede la richiesta di rinvio a giudizio da parte
dell'accusa. Rischiano quindi il processo tutti i familiari di
Soumahoro, ex sindacalista dei braccianti eletto tra le file di
Alleanza Verdi-Sinistra e poi passato al gruppo Misto dopo lo
scandalo. I fatti riguardano la cooperativa Karibu, che si occupava
dell'accoglienza di migranti, e il giro di fatture che investe Marie
Therese Mukamitsindo, Liliane Murekatete, Michel Rukundo
rispettivamente suocera, moglie e cognato di Soumahoro. L'inchiesta
vede indagati anche Richard Mutangana, Ghislaine Ada Ndongo e
Christine Ndyanaho Koburangyra Kabukoma che si sono succeduti dal
2014 ad oggi quali legali rappresentanti dell'Associazione di
Promozione Sociale Jambo Africa di Sezze.
Per i familiari di Soumahoro la Procura di Latina ha inoltre
disposto anche il divieto temporaneo, per un anno, di contrattare
con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici
direttivi di persone giuridiche. Secondo quanto ipotizzato dai
magistrati, sarebbero state evase le imposte sui redditi e sul
valore aggiunto, inserendo nelle dichiarazioni dal 2015 al 2019
elementi passivi fittizi e costi inesistenti per diversi milioni di
euro. La posizione più pesante è indubbiamente quella di Marie
Therese Mukamitsindo, a cui viene contestato per i soli anni
d'imposta 2015 e 2016 di aver contabilizzato fatture per operazioni
inesistenti che avrebbero consentito alla Karibu di evadere 597 mila
euro di Ires. In totale il valore delle presunte fatture false
utilizzate e contestate a Mukamitsindo ammonterebbe a più di 2,3
milioni di euro.
Mentre, invece, alla moglie di Soumahoro e al cognato la Procura
contesta, in concorso con la madre Marie Therese, di aver utilizzato
ulteriori false fatture per 55 mila euro, che avrebbe permesso
un'evasione di poco più di 13 mila euro. I due, si legge nelle dieci
pagine di chiusura indagine, in qualità di consiglieri di
amministrazione della Karibu, «al fine di evadere l'imposta sui
redditi e sul valore aggiunto» avrebbero indicato (o omesso «di
vigilare affinché altri, e in particolare, la Mukamitsindo» lo
facessero) elementi «passivi fittizi nella dichiarazione a fini Iidd
(le imposte dirette) relativa all'anno 2019, utilizzando le fatture
relative a operazioni inesistenti emesse dall'associazione di
promozione sociale "Jambo Africa"».
L'avvocato Lorenzo Borrè, che difende Liliane Murekatete, sottolinea
come l'unica accusa rivolta alla donna sia quella di aver provocato
un danno erariale da 13.368 euro, «conseguente all'asserita
violazione dell'obbligo di controllo della dichiarazione dei redditi
presentata nel 2020 dalla presidente della Karibu. La mia assistita
rimane ferma nel contestare la sussistenza di proprie
responsabilità, ma diversamente da quello che spera qualcuno, il
processo si farà in tribunale e non sui giornali»
APRONO GLI OCCHI: Sono bastate poche ore per capire che non
sta esplodendo un nuovo Qatargate nella politica europea, ma
l'inchiesta che ieri ha portato a una serie di perquisizioni nella
sede del Ppe a Bruxelles è destinata a creare più di un imbarazzo al
suo leader, Manfred Weber, in vista delle elezioni europee in
programma il prossimo anno. Alle nove del mattino alcuni poliziotti
tedeschi, supportati dai colleghi belgi, sono arrivati al numero
dieci della rue du Commerce, nella capitale belga. Qui – a poche
centinaia di metri dalla sede dell'Europarlamento – si trovano gli
uffici del Partito popolare europeo, la prima famiglia politica
dell'Ue, di cui fanno parte anche Forza Italia, la presidente della
Commissione europea Ursula von der Leyen e quella del Parlamento Ue,
Roberta Metsola. Gli agenti hanno effettuato una serie di
perquisizioni e hanno sequestrato alcuni computer nell'ambito di
un'inchiesta per frode legata proprio alla campagna elettorale per
le Europee del 2019.
L'indagine è condotta dalla procura di Erfurt, capoluogo della
regione tedesca della Turingia, e ruota attorno alla figura di Mario
Voigt, deputato regionale e leader locale della Cdu. Nel 2019
l'eurodeputato cristiano-democratico era stato chiamato da Manfred
Weber, all'epoca "spitzenkandidaten" del Ppe (candidato capolista
per la guida della Commissione), per gestire la campagna elettorale
del partito sulla Rete. Secondo l'indagine, avviata alla fine della
scorsa estate, Voigt avrebbe ricevuto consulenze mascherate per un
valore di 17 mila euro da un'agenzia di comunicazione che aveva a
sua volta ottenuto un contratto di collaborazione con il Partito
popolare europeo per curare i social network.
Il diretto interessato ha sempre respinto le accuse di corruzione e
i suoi avvocati parlano di iniziative spropositate. Il Ppe ha
diffuso una nota per dire che «sta cooperando in piena trasparenza
con le autorità coinvolte» e che sta «fornendo tutte le informazioni
e documentazioni utili», ma senza commentare nel merito la vicenda.
Che dal punto di vista politico rappresenta un brutto colpo per
Manfred Weber, presidente del Ppe e capogruppo dei popolari
all'Europarlamento, visti i suoi legami diretti con il principale
protagonista dell'inchiesta.
LA PROVA CHE DIO ESISTE: Potrebbero bastare due parole per
raccontare questa storia e questo abbraccio tra una madre che tutti
pensavano morta e una figlia che lei pensava morta. Due parole:
Mistero e Miracolo.
Gizem, la neonata sopravvissuta 128 ore sotto le macerie del
terremoto che aveva commosso il mondo, ha ritrovato la madre a 54
giorni dal disastro del 6 febbraio in Turchia e Siria. Il destino
gioca sempre strani scherzi, è il motore delle storie più
incredibili, nel bene e nel male. Sulle pagine dei giornali è più
facile imbattersi nel ghigno brutto delle tragedie. Questa volta no
e il Miracolo sono in verità tre miracoli: la neonata è
sopravvissuta, la madre anche, e si sono riunite. Una notizia buona,
finalmente, in mezzo a un mare di disastri e di brutte storie.
Nel caos di quei giorni, dove l'unica preoccupazione era tirare
fuori corpi ancora vivi dalle macerie, le due vite strappate alla
morte dai soccorritori si erano divise. Avrebbero potuto perdersi
per sempre, come in un romanzo ottocentesco. Oppure ritrovarsi solo
alla fine di un feuilleton dove, per un ciondolo ritrovato o per un
altro stratagemma narrativo, si produce finalmente il disvelamento
dell'identità. Casomai solo dopo la morte della madre (sarebbe un
bel soggetto per una serie Netflix).La storia, invece, è molto più
semplice. Perché la realtà supera sempre la fantasia. Il vero nome
della bambina è Vetin Begdas, ma i medici l'avevano chiamata Gizem,
che significa appunto Mistero. Era un mistero come fosse riuscita a
sopravvivere per tanti giorni senza latte e al freddo, sotto le
macerie. Era un mistero la sua identità. La bambina senza nome era
stata portata in ospedale ad Ankara, pensavano che il resto della
famiglia fosse morta nel crollo del palazzo. Nelle stesse ore anche
la madre Yasemin era stata tirata fuori dalle macerie della stessa
abitazione.
Nella confusione e nella concitazione dei soccorsi, la donna viene
ricoverata nell'ospedale di Adana. Cinquecento chilometri di
distanza le separano. La donna pensava di aver perso tutta la
famiglia nel crollo: il marito e altri due figli, oltre a Vetin. Poi
arriva la notizia che c'è una neonata sopravvissuta. Yasemin
potrebbe essere la madre. Solo il test del Dna ha potuto confermare
la parentela. La notizia è stata divulgata dal ministero turco della
famiglia e dei servizi sociali: «Davvero è un miracolo. Il fatto che
la bimba sia sopravvissuta e non abbia avuto problemi di salute ci
ha toccato il cuore». In un video, postato su Twitter, l'incontro
tra le due e l'abbraccio straziante della madre, ancora ricoverata
ad Adana, che stringe al seno la piccola trasportata in aereo da
Ankara. Propaganda dell'efficienza governativa, certo. Ma che
importa, le storie belle e una goccia di gioia nutrono il cuore di
tutti. La piccola bambina Mistero ha ritrovato la mamma e si è
riappropriata della propria identità e della propria storia. Pur
nello sfacelo di una famiglia decimata e di una tragedia umanitaria
che ha fatto più di 50 mila morti e 2,2 milioni di sfollati, il
miracolo della bambina Mistero è la speranza che muore sempre
ultima. Chissà, forse la madre in cuor suo non aveva mai smesso di
sperare di ritrovare un figlio vivo. Come fai a sopravvivere in un
letto di ospedale, sennò? Questa immagine, la foto dell'abbraccio
tra la madre e la piccola Vetin – che adesso ha tre mesi e mezzo -
parla da sola. Non ci sarebbe altro da aggiungere se non forse
riflettere sull'importanza di sapere. Per questo si fanno gli esami
del Dna sui resti delle vittime nelle tragedie, che siano terremoti,
guerre o naufraghi in mare. Perché dietro un corpo senza nome c'è
sempre una madre o un famigliare che aspetta e spera.
LA MAFIA DIETRO IL TRAFFICO DEGLI IMMIGRATI : C'è chi è stato
costretto a sborsare 300 euro per il semplice cambio di una ruota o
di un pacco batteria. Chi ha dovuto anticipare mille euro per pagare
una di quelle bici irregolari che sfrecciano tutti i giorni in
città, così veloci e con le ruote così larghe da assomigliare a
motorini. In un caso – che i carabinieri vogliono approfondire ma
sembrerebbe isolato – un ciclofattorino pakistano ha addirittura
dichiarato di lavorare per 12 o 14 ore al giorno, sotto il sole e
sotto la pioggia, anche la domenica e nei giorni di festa, in cambio
dei soli pasti e di 100 euro al mese. Anche lui, ovviamente, con un
account falso fornito da uno sfruttatore connazionale.
È il racket del «caporalato tra rider», nato con l'esplosione del
delivery nel corso della prima ondata della pandemia, e che, al di
là dei numeri che si riescono a rilevare, sembra aver assunto
dimensioni enormi. Al punto che – dopo l'archiviazione della prima
indagine che portò le piattaforme a pagare multe per 90 mila euro e
ad assumere i rider con contratti parasubordinati – il pool
Ambiente, salute e lavoro della procura di Milano ha aperto un nuovo
fascicolo d'inchiesta. Anche questa volta, la pm Maura Ripamonti
ipotizza l'accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del
lavoro. Ma, per iscrivere i primi nomi nel registro degli indagati,
attende la relazione che i carabinieri del Nucleo ispettorato del
lavoro, diretti dal colonnello Loris Baldassarre, stanno preparando
in base ai controlli a tappeto condotti, dieci giorni fa, a Milano e
nelle più grandi città italiane, come Torino, Genova e Bologna.
Degli 823 rider che i carabinieri con i vigili di mezza Italia hanno
controllato, 92 lavoravano con un account falso ceduto da altri. Ma
tra loro, solo 23 ciclofattorini sono risultati irregolari in
Italia: chi non ha i documenti non può essere ingaggiato dalle
piattaforme di delivery e, pur di lavorare, è costretto a rivolgersi
al mercato nero degli account. Tutti gli altri, però, hanno il
permesso di soggiorno: di fatto avrebbero potuto aprire un proprio
profilo senza ricorrere a presunti caporali. Ma non ci riescono,
magari perché non parlano italiano o inglese, e non hanno gli
strumenti culturali minimi per fare tutto da soli. Così, finiscono
per rivolgersi agli sfruttatori, il più delle volte connazionali che
gli forniscono l'account fasullo e in cambio fanno la cresta sui
guadagni, con una percentuale che varia a seconda del pacchetto
offerto. Se oltre all'account c'è anche la bici (il più delle volte
modificata e irregolare), lo zaino, la pettorina, il caporale
titolare del profilo falso arriva a trattenere il 50 per cento del
guadagno, che a Milano può arrivare a 70 euro al giorno: 35 euro
finiscono nelle tasche del caporale, per ogni profilo falso aperto.
Ma fa tutto da solo o esiste una organizzazione che gestisce questo
racket? È una delle domande a cui la nuova inchiesta aperta dalla
procura vuole dare una risposta. Molti dei rider sfruttati girano
con biciclette modificate, veloci come motorini e irregolari, tant'è
che nel corso degli ultimi controlli ne sono state sequestrate 22.
Tutte molto simili. L'ipotesi è che esistano dei canali di
approvvigionamento di pacchi batteria, spesso rubati da monopattini
e biciclette a pedalata assistita, usati per modificare i mezzi in
centri specializzati e poi forniti ai ciclofattorini a un costo che
può raggiungere i mille euro.
Di certo per arginare un fenomeno così diffuso servirebbe anche
l'intervento delle piattaforme di delivery, che stanno collaborando
alle indagini. Anche se c'è chi, come Deliveroo, ancora si rifiuta
di caricare la foto del rider nell'app dei clienti. Così, è molto
più difficile capire se chi fa la consegna corrisponde al titolare
del profilo e quindi del contratto.
«Sicuramente, la cessione dell'account è molto più rara in Just Eat
- spiega Davide Contu, rider che lavora per la piattaforma ed è
anche delegato sindacale in azienda della Filt Cgil - perché in
questo caso i ciclofattorini sono assunti con contratti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato e organizzati in flotte che, prima
di iniziare il turno, si ritrovano in alcuni starting point - ne
esistono 15 a Milano, 4 a Torino e così via - dove il "capitano", di
fatto un capoturno, si occupa di dare supporto ai colleghi. I suoi
compiti sono di sorveglianza sull'uso dei dpi forniti dall'azienda:
casco e pettorina catarifrangente; verifica dello zaino in cui
vengono trasportati cibi e bevande; ma anche di controllo
"anticaporalato", cioè della corrispondenza tra il titolare del
contratto e chi si presenta al lavoro».
Una forma di sfruttamento favorita anche da «alcuni programmi che
circolano su gruppi Facebook e che, a pagamento, permettono di
aprire account con documenti falsi». Un problema enorme, sempre a
scapito dei più disperati che, spiega ancora Contu, «pur con tutti i
problemi ancora presenti, in Just Eat è stato risolto, proprio con i
contratti di lavoro subordinato per una flotta che oggi conta 3 mila
fattorini. Perché, finché le piattaforme continuano a trattare come
autonomi questi lavoratori, i controlli non potranno mai essere
efficaci. Se i fattorini venissero tutti assunti con contratti di
lavoro subordinato il caporalato tra i rider scomparirebbe. O,
almeno, sarebbe molto più contenuto».
IL VERO FINE DELLA IMMIGRAZIONE : Camerieri, operai e
manovali: in Italia quasi 1 minore su 15 lavora o ha lavorato per
brevi periodi e per questo abbandona la scuola. Era il '92 quando
Lina Wertmuller dirigeva Paolo Villaggio in "Io speriamo che me la
cavo" nei panni del maestro Sperelli, insegnante che cerca di
salvare i suoi piccoli alunni dall'abbandono scolastico. Trentuno
anni dopo – non al cinema ma nella realtà – sono 336 mila i
ragazzini tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto «esperienze di lavoro
continuative, saltuarie o occasionali», mentre il 27,8% tra i 14 e i
15 è stato coinvolto in «attività lavorative dannose per i percorsi
scolastici e per il benessere psicofisico». I due terzi sono maschi
(65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Molto incisivo il
livello di istruzione genitoriale: «La percentuale di quelli senza
alcun titolo di studio o con la licenza elementare/media è
significativamente più alta». Emerge dal rapporto di Save the
Children "Non è un gioco" presentato ieri a Roma alla presenza della
ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone. Save the Children lancia
l'allarme a dieci anni dal suo ultimo studio sul tema, registrando
che il coinvolgimento di giovanissimi prima dell'età consentita (16
anni) è tuttora diffuso nel nostro Paese. I settori maggiormente
interessati sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio
(16,2%), seguiti da attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%)
e di cura di fratelli, sorelle o altri parenti (7,3%). Emergono
anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di
contenuti per social o videogiochi, o la vendita di sneakers,
smartphone e altri prodotti tecnologici. Il fenomeno, si legge nella
relazione, «rimane in Italia per lo più sommerso in assenza di
rilevazioni statistiche ufficiali».
Nel periodo in cui lavorano, questi minori sono costretti a
trascurare o abbandonare del tutto la scuola: più della metà di
quelli intervistati lavora tutti i giorni o qualche volta a
settimana, la metà di loro per più di 4 ore al giorno. Dall'indagine
emerge che tra i 14-15enni intervistati che lavorano o hanno
lavorato durante l'anno precedente, quasi 1 su 3 (29,9%) lo fa
durante i giorni di scuola e il 4, 9% di loro salta le lezioni. La
percentuale di bocciature, infatti, tra chi ha lavorato prima dei 16
anni rispetto a chi non ha mai lavorato è addirittura doppia.
Perché lo fanno sono loro stessi a precisarlo: per «avere soldi per
sé» (il 56,3%) o per la «necessità o volontà di aiutare i genitori»
(32,6%). Il 38,5% del campione dice «per il piacere di farlo».
Nello studio è stata indagata anche la relazione tra lavoro e
criminalità, evidenziando il legame tra esperienze lavorative
precoci e coinvolgimento nel circuito penale: quasi il 40% dei
minori e giovani adulti presi in carico dalla Giustizia Minorile –
più di uno su 3 – infatti ha svolto attività lavorative prima
dell'età legale. «Per molti ragazzi e ragazze in Italia l'ingresso
troppo precoce nel mondo del lavoro incide negativamente sulla
crescita e sulla continuità educativa», spiega Claudio Tesauro,
presidente di Save the Children. «Molti ragazzi entrano nel mondo
del lavoro dalla porta sbagliata: troppo presto, senza un contratto,
tutele, protezione e conoscenza dei loro diritti. In assenza di
interventi il quadro può peggiorare», ha aggiunto Raffaella Milano,
direttrice del Programma Italia-EU di Save the Children.
Sollecitata, la ministra Calderone ha assicurato che «il ministero
del Lavoro interverrà su più fronti: sul contrasto allo
sfruttamento, su cui intensificheremo l'attività degli ispettorati,
e rendendo evidente che è importante frequentare la scuola». Nel
frattempo, la ministra ha ribadito l'importanza di «valorizzare
l'incontro con il mondo del lavoro attraverso l'alternanza
scuola-lavoro o l'apprendistato duale».
Ho iniziato a lavorare come fattorino in un minimarket a 14 anni,
portavo la spesa alle persone, dal lunedì al sabato, dalle 9. 30
alle 20, per 80 euro alla settimana, tutto in nero. All'epoca mi
sembrava anche una buona paga». Francesco (nome di fantasia) ora ha
17 anni ma lavora sempre nello stesso posto, sempre senza contratto.
La sua vita non è stata facile: è il secondo di tre fratelli, abita
solo con la madre in una città siciliana, e non vede suo padre da
quando aveva due anni. Arrivare alla fine del mese spesso non è
stato facile: la mamma è disoccupata e la famiglia ha attraversato
periodi di fragilità economica molto forte. «A volte mi sono sentito
solo, come se non avessi nessuno, solo mia madre». Ha anche cercato
altri impieghi: «Avevo provato a chiedere se potevano prendermi in
una pizzeria, in una pescheria o in un panificio ma in quanto
minorenne non mi volevano». Tutto è cominciato tre anni fa: «Ho
iniziato a lavorare perché molti ragazzi vicino a me riuscivano a
comprarsi le cose che volevano, così ho pensato: "Voglio provarci
anche io" . Grazie a quel lavoro se vedevo in tv qualcosa che mi
piaceva la potevo acquistare con i miei soldi». Prima di fare il
fattorino, Francesco andava a scuola ma piano piano la tentazione di
riuscire a mettere da parte un gruzzolo per essere indipendente è
stata più forte di tutto: «Quando ero piccolo adoravo andare a
scuola ogni giorno, poi quella voglia è sparita, preferivo
guadagnare qualche cosa». Nel primo periodo non aveva nemmeno
realizzato che, stando nel minimarket tutto il giorno, 6 giorni su
7, non poteva avere una vita sociale come tutti i 14enni: «Avevo la
testa soltanto per raccogliere i soldi e lavorare, quindi non ci
facevo caso alle uscite con gli amici, forse perché ero piccolo».
Francesco ha abbandonato la scuola definitivamente due anni fa, dopo
la pandemia. All'orizzonte però sembra esserci una vera possibilità,
fuori dal circuito dello sfruttamento e dell'illegalità: adesso
frequenta un corso di formazione IFP (Istruzione e Formazione
Professionale) nel turismo presso un Punto Luce di Save the Chidren:
«Mi trovo bene, alcuni compagni li conoscevo già, e qui sei messo
nelle condizioni di trovare poi un buon lavoro». Guardando al
futuro, i sogni di Francesco sono come quelli di tanti ragazzini
della sua età: «Vorrei fare il rapper, entrare nel mondo della
musica, che mi piace tanto e la ascolto da sempre. Ho provato anche
a scrivere qualcosa, ci terrei tanto, ci penso da quando ero
piccolo. Oppure, siccome adoro il basket, mi piacerebbe giocare in
Nba». Prima di tutto però vuole lasciare casa e vivere in
tranquillità: «Mi concentro su quello che mi piace e spero di
migliorare sempre la mia vita».
ERRORI MACROSCOPICI: Nelle ultime settimane l'Intelligenza
Artificiale è affiorata nel dibattito pubblico, in seguito
all'esplosione di Chat Gpt. Ma in realtà il dibattito al proposito è
vecchio come il mondo, letteralmente, perché il problema teorico ha
di molto preceduto le sue realizzazioni pratiche.
Nel mito di Pigmalione, per esempio, lo scultore crea la statua di
Galatea, e finisce per innamorarsene. Sembrerebbe una reazione
esagerata, ma è quello che succede spesso nel nostro rapporto con le
macchine: quelle letterali, come le automobili o le motociclette, e
quelle metaforiche, come i computer o i telefonini.
George Bernard Shaw riprese nel 1913 il mito di Pigmalione in
un'omonima commedia, che poi approdò nel cinema con My fair lady. Il
problema che lo scrittore affrontò riguardava le contesse: per
esserlo, bisogna nascere con il sangue blu, o basta imparare a
comportarsi come loro? Nella commedia, una fiammiferaia viene
addestrata alle maniere nobili, e le impara così bene, che quando
viene introdotta in società nessuno si accorge che non è una vera
contessa.
Nel 1950 Alan Turing, l'inventore del computer, propose un test
analogo: quand'è che un computer diventa intelligente? La risposta
dello scienziato fu: quando, chiacchierando con lui sullo schermo,
non riusciamo ad accorgerci che non è un vero essere umano, ma è
solo un programma. L'articolo di Turing fu la prima formulazione
moderna del sogno dell'Intelligenza Artificiale.
Per molti anni, l'unico computer in grado di superare il test di
Turing fu quello del film 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, che
ripropose il solito dilemma sulle macchine che alla fine scappano di
mano e finiscono per fare ciò che vogliono loro, procurando danni
invece che benefici. Più o meno come nell'episodio della scopa
portatrice d'acqua nel film Fantasia di Walt Disney, basato su una
ballata di Goethe. O nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley.
Poteva sembrare solo fantasia, ma già nel 1966 uno dei primi
programmi di Intelligenza Artificiale mostrò che i problemi
sollevati dagli scrittori erano reali. Si chiamava Eliza, come la
protagonista del Pigmalione di Shaw, e il suo programmatore, Joseph
Weizenbaum, scoprì con sorpresa due cose. Primo, bastavano poche
righe di codice per imitare in maniera convincente il comportamento
di uno psicanalista. Secondo, gli utenti ebbero subito l'impressione
di parlare per davvero con uno psicanalista, e incominciarono a
interagire con il programma come se fosse un essere umano.
Weizenbaum rimase scioccato, e divenne uno dei primi critici
dell'Intelligenza Artificiale.
Nel 1997 il programma Deep Blue batté il campione mondiale di
scacchi Gary Kasparov, in un torneo di sei partite. Fu un momento
epocale, perché gli scacchi sono considerati uno dei giochi più
intellettuali che ci siano. Ancora anni dopo quella sconfitta,
Kasparov rifiutava di credere che fosse stata tutta farina del sacco
del computer. Sosteneva, in particolare, che alcune mosse erano
troppo umane, perché una macchina avesse potuto pensarle.
Oggi i programmi per computer ormai superano facilmente i giocatori
umani, esattamente come le automobili corrono più veloci degli
atleti. Questo non impedisce che ci siano le Olimpiadi di corsa o i
Campionati di scacchi, ma c'è una differenza: gli uomini sapevano da
sempre di non essere i più veloci del creato, ma credevano di essere
i più intelligenti. Ora hanno dovuto ricredersi, almeno per il tipo
di intelligenza logico-deduttiva che serve per giocare a scacchi.
L'arrivo di Chat Gpt ha impressionato anche il pubblico che non
gioca a scacchi, perché tutti hanno potuto vedere di persona quanto
sia facile imitare un'intelligenza di routine. O, viceversa, quanto
sia meccanico il lavoro compilatorio che Chat Gpt produce senza
fatica, e che molti di noi sono costretti a fare nel proprio lavoro
di ufficio. Siamo dunque di fronte a un potenziale rischio che
riguarda la disoccupazione di molti impiegati, che possono o
potranno essere facilmente sostituiti dalle macchine, come già sono
stati sostituiti dai robot molti operai.
Ma l'Intelligenza Artificiale minaccia di avere ben altro in serbo,
per noi. Primo fra tutti, il rischio che qualcuno ne abusi a proprio
vantaggio e a danno altrui, come si è già visto per gli algoritmi di
Twitter usati nella campagna elettorale di Trump nel 2016, o negli
scandali dei dati venduti per un analogo sfruttamento da aziende
come Telecom nel 2006, o Facebook nel 2019. I maggiori rischi sono
però altri. Anzitutto c'è la possibilità che, anche con le migliori
intenzioni, i programmi finiscano per fare cose che non erano state
previste dal programmatore. La verifica di correttezza dei
programmi, per assicurarsi che facciano tutto e solo ciò che devono
fare, è un problema dimostrabilmente insolubile. Sono dunque sempre
in agguato potenziali disastri, come il falso allarme nucleare del
1983 in Unione Sovietica, o disastri attuali, come il Flash Crash in
borsa del 2010 negli Stati Uniti.
Inoltre, e infine, c'è la possibilità che l'Intelligenza Artificiale
non raggiunga soltanto l'intelligenza umana, ma la superi, e prenda
il sopravvento su di essa. Gli idealisti credono che la coscienza e
i valori siano unicamente umani, e che una macchina rimarrà sempre
una macchina. Ma i materialisti sanno che la coscienza è solo un
epifenomeno, che sorge spontaneamente in un cervello che ha
raggiunto una massa critica.
Quando anche l'Intelligenza Artificiale raggiungerà una massa
critica, saremo di fronte a una nuova specie tecnologica, con i
propri valori, che potrebbero essere in competizione con i nostri.
Se ne preoccupano Bill Gates e Elon Musk, che di certe cose se ne
intendono. Forse faremmo bene a preoccuparcene anche noi. —
QUANTI LADRI ? «Massacrala, falla desistere. Dille che il
posto è a Ivrea (e non a Settimo ndr), che lì nevica, che da Torino
c'è un sacco di strada da fare, tutti i giorni. Dille che le sarà
chiesta una reperibilità h24, sempre, che lavorerà sabato e
domenica, che le ferie sarà complicato farle e che non avrà mai il
trasferimento».
Non si dava pace Carla Fasson, ex responsabile, all'epoca dei fatti
contestati e cioè da maggio 2022 fino a poche settimane fa, del
Dipsa, Dipartimento delle professioni sanitarie infermieristiche,
tecniche e della riabilitazione e della professione di Ostetrica
dell'Asl To4, arrestata dalla Guardia di finanza ieri mattina e a
cui il gip di Ivrea Fabio Ravagliati ha concesso i domiciliari per
una serie indefinita (tra i 10 e 12) di abusi d'ufficio e per un
caso di corruzione.
Cinquantatré anni, carriera fulminante, aveva iniziato nel '90 come
tecnico di laboratorio biomedico al Sant'Anna salvo diventare nel
2020 responsabile della gestione delle risorse dei dipartimenti
diagnostici dell'Asl To4 di Ivrea-Chivasso, pur di scalzare la
legittima aspirante a un posto nello Spresal di Settimo che in
graduatoria era classificata poche posizioni prima della sua
"prescelta" aveva incaricato un collega di chiamare la «avente
titolo» e fare pressioni perché non accettasse il posto. Ma ci sono
un'altra decina di vicende contestate alla manager che l'1 marzo
scorso era stata sospesa dall'azienda sanitaria in via cautelare
perché – pare di capire – non risulterebbe iscritta all'ordine di
appartenenza in relazione al ruolo che ha ricoperto per anni.
L'azienda lo ha comunicato nelle scorse settimane alla Finanza che
indaga su una vera e propria cricca dedita a diverse nomine.
Secondo i pm di Ivrea Valentina Bossi e Alessandro Gallo la signora
Fasson, che in un caso almeno avrebbe ricevuto (per l'accusa)
«vantaggi patrimoniali», si sarebbe intromessa in una serie di bandi
interni all'Asl per la progressione di carriera o per la mobilità.
Aiutando alcuni concorrenti riuscendo ad anticipare i temi di prova.
Così sarebbe accaduto per il coordinatore del Sian (Servizi di
igiene degli alimenti e nutrizione) di Ivrea-Settimo-Chivasso, per
l'omologo del Sisp (Servizio di igiene e sanità pubblica) di Ciriè o
per il concorso di coordinatore presso la Radiologia dell'ospedale
di Chivasso o della radiologia territoriale di tutta l'azienda
sanitaria. C'è ancora un concorso professionale per sanitari senior
e tecnici di radiologia medica, per coordinatore del Sian
dell'AslTo4, del laboratorio analisi dell'ospedale di Ivrea e del
dipartimento Spresal (servizio prevenzione e sicurezza degli
ambienti di lavoro) di Ciriè-Settimo-Chivasso, del dipartimento di
diagnostica dell'AslTo4 e per il referente qualità e accreditamento
presso l'azienda sanitaria.
Insieme a Fasson ci sono sei nuovi indagati, tra questi alcuni che
si sono aggiudicati le progressioni interne o i bandi in concorso
con l'ex manager. Il numero complessivo degli indagati è salito ora
a 32. Tra questi figura il direttore generale dell'Asl To4, Stefano
Scarpetta e una ex "mugnaia" del Carnevale di Ivrea. Molti i fronti
aperti dai finanzieri: trasferimenti tra uffici interni all'Asl (tra
diverse aziende sanitarie) ottenuti avendo accesso a informazioni
riservate su posizioni vacanti e disponibilità, bandi per
l'affidamento di due residenze sociosanitarie assistite (Rsa)
entrambe dell'Eporediese prima chiacchierate e poi diventate oggetto
di attenzione degli investigatori, concorsi interni pilotati (anche
per primariati) uno dei quali è costato l'avviso di garanzia (per
abuso d'ufficio) proprio a Scarpetta, bandi di gara per prestazioni
e forniture che sarebbero stati svolti in maniera non esattamente
trasparente. In fase di approfondimento la pista che porta alle Rsa
strutture da sempre al centro di grandi interessi: il faro è acceso
sul bando per la gestione delle strutture di San Mauro e Settimo
Torinese aggiudicato di recente dalla ditta Cm Service di Cascinette
d'Ivrea. Il punteggio di aggiudicazione per la gestione – doppio
rispetto al secondo concorrente classificato - ha destato in procura
più d'un sospetto. —
05.04.23
LA PRIMA COSA GIUSTA : L'idea
di abbandonare una quota dei fondi del Pnrr si fa più concreta,
anche se Giorgia Meloni non ne vuole sentir parlare. Non in questi
termini, non adesso. A palazzo Chigi temono che una scelta del
genere si possa trasformare, agli occhi del Paese, in una bandiera
bianca sventolata dal governo di fronte alla più importante sfida
per l'Italia degli ultimi anni. In altre parole, un'implicita
ammissione di incapacità, un disastro comunicativo.
I leghisti, al contrario, vorrebbero affrontare la discussione senza
perdere altro tempo: «Stiamo solo rinviando il problema», ragionano
preoccupati, da giorni, i colonnelli di Matteo Salvini. Il
capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, in accordo con
i vertici del partito, decide di fare un tentativo. Lo dice senza
giri di parole: «Forse sarebbe il caso di valutare di rinunciare a
una parte dei fondi a debito». Meglio questo che «spendere soldi
tanto per spenderli, a caso», aggiunge Molinari, con l'obbligo poi
di restituirli all'Europa, e avendo in cambio progetti che magari
«non servono».
Nelle chat di Fratelli d'Italia l'ordine che arriva da Palazzo Chigi
è: «Non rispondete alla Lega, non alimentate polemiche». Ci pensa
Meloni a replicare. Solo lei. La premier è obbligata a non mostrare
cedimenti, a ostentare sicurezza, sostenendo di non avere dubbi che
il governo ce la farà a realizzare gli obiettivi del Pnrr. In
realtà, di dubbi Meloni ne ha molti. Nella sua cerchia più stretta
hanno interpretato con un certo «stupore» gli articoli sull'incontro
tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l'ex premier
Mario Draghi, avvenuto il 20 marzo e non la settimana successiva,
come scritto. L'impressione di palazzo Chigi è che Mattarella voglia
dare una mano, mostrare all'Europa la coesione delle istituzioni. Le
parole di Molinari, invece, per Meloni vanno nella direzione
opposta. Non solo perché creano una spaccatura nel governo, con
l'irritazione dei ministri di Fratelli d'Italia, ma anche perché le
considerano «un messaggio sbagliato», che arriva in un momento
particolare, mentre il ministro per gli Affari europei Raffaele
Fitto sta trattando con Bruxelles la rimodulazione del piano, dei
progetti e degli obiettivi, rimescolando i miliardi del Pnrr con gli
altri fondi europei a disposizione. Parole «inopportune»,
aggiungono, perché non sono accompagnate da controproposte e
alternative. Si chiedono quindi, nel partito di Meloni, perché mai
Molinari metta in dubbio la fetta di risorse a prestito, se poi gran
parte di esse riguardano i ministri della Lega, dal leader Salvini
che guida le Infrastrutture al titolare dell'Istruzione Giuseppe
Valditara.
La Lega però non vuole mollare. Nel mirino - sospettano gli uomini
di Meloni - c'è proprio Fitto, il fedelissimo della premier che ha
incassato tutta la gestione del Pnrr e che Salvini - sibilano gli
alleati - sostituirebbe volentieri con un tecnico. La domanda che si
fanno ai vertici del Carroccio di fronte alla difesa alzata da
Meloni è la seguente: cosa vuole fare davvero Palazzo Chigi?
Aspettare e trovarsi con decine di miliardi di euro da restituire
senza averli spesi bene?
Fitto, da parte sua, è ancora in attesa che i suoi colleghi, dai
ministeri, gli inviino la loro relazione sui progetti del Pnrr
rimasti incagliati. Chiede di fare in fretta, perché entro circa un
mese deve inviare la proposta di revisione del piano a Bruxelles.
Intanto prepara gli emendamenti al decreto per la Governance del
Pnrr, da presentare oggi in Senato. Il pacchetto di modifiche
governative avrebbe il doppio obiettivo di mettere a posto quei
tasselli che servono a scongelare la rata da 19,6 miliardi di euro
dell'anno scorso e ad evitare che venga bloccata la prossima tranche
di fondi, mancando gli obiettivi fissati dall'Europa per il 30
giugno. Non è detto che riesca.
Intanto, il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, tende la
mano dopo aver rintuzzato gli avversari sulle «preoccupanti
spaccature nel governo». Vuole aprire un canale di dialogo con
Meloni, che parta dalla Rai e finisca, magari, sulle riforme
costituzionali. Il Pnrr può essere una tappa di questo percorso: «Il
Movimento è disponibile. Apriamo un tavolo». Appello che dalle parti
di palazzo Chigi, per il momento, suona ancora come l'ennesima
trappola.
PERCHE' ? Nella mattinata di ieri la Presidenza della
Repubblica ha pubblicato una nota per smentire la notizia uscita su
La Stampa, di un colloquio tra Sergio Mattarella e Mario Draghi
avvenuto nei due giorni precedenti il pranzo del 31 marzo tra il
Capo dello Stato e Giorgia Meloni. L'incontro c'è stato, ma è
avvenuto - nel massimo riserbo - il 20 marzo. Lo confermano fonti
del Quirinale e vicine all'ex presidente del Consiglio. Dunque, va
retrodatato di dieci giorni rispetto a quanto scritto e secondo il
Colle non si è parlato di Pnrr.
Ecco cosa succede nelle ore e nei giorni seguenti. Emergono le
preoccupazioni di Bruxelles sulla realizzazione del piano, mentre è
noto già da un po' che la Commissione avrebbe preso più tempo per
dare il via libera all'ultima rata del 2022. Quattro giorni dopo
l'incontro con Draghi, il 24 marzo, a Firenze, Mattarella lancia il
suo allarme e citando Alcide De Gasperi avvisa: «È il momento per
tutti, a partire dall'attuazione del Pnrr, di mettersi alla stanga».
Il governo si sente sotto processo e reagisce puntando il dito
contro l'eredità di Draghi. Al di là delle dovute rassicurazioni, la
paura di non farcela a mettere a terra i progetti e a spendere tutti
i 209 miliardi è tanta. Lo confessa a questo giornale un
diplomatico, a margine del Consiglio europeo del 24-25 marzo, e in
quelle stesse ore anche un ministro meloniano. Il 30 marzo esce la
notizia di una telefonata tra Draghi e Meloni. Il giorno dopo, il 31
marzo, Mattarella riceve la premier, che torna a insistere sulla
propria linea difensiva: e cioè di aver sempre contestato la
fattibilità del Pnrr nei tempi previsti e rilanciato la necessità di
una rinegoziazione in Europa. La leader e il presidente parlano per
due ore. Un tempo lunghissimo.
SOLDI BUTTATI : Come sta Kais Saied? Da giorni questa domanda
rimbalza dai social network ai café di Tunisi, chiusi di giorno e
aperti dopo il tramonto per il Ramadan. Il presidente della
Repubblica non appariva in pubblico dal 22 marzo, un fatto
inconsueto che ha causato diverse speculazioni sul suo reale stato
di salute. Prima in maniera sussurrata, poi sempre più forte con il
passare dei giorni. Saied ha risposto ieri incontrando la premier
Najla Bouden Romdhane. «C'è qualcuno che vuole una crisi dopo
l'altra, questo non succederà. Hanno cominciato a diffondere un
attestato di morte. Il capo di Stato è stato assente solo per tre
giorni a causa di un'influenza e hanno invocato il vuoto di potere.
C'è un grado di follia diffuso mai visto prima», ha affermato il
presidente dal palazzo di Cartagine. Tuttavia, dalle ultime
ricostruzioni attendibili, l'influenza citata da Saied era in realtà
un lieve arresto cardiaco che ha portato anche a un intervento
chirurgico. Le immagini rilasciate dalla presidenza della Repubblica
sembrano confermare una convalescenza ancora in corso. Noto
fumatore, il presidente è apparso visibilmente stanco.
Le voci preoccupate e incontrollate su Kais Saied si inseriscono
all'interno di un contesto tunisino molto precario. Oggi il Paese
nordafricano soffre di una grande crisi economica e politica ed è al
centro delle preoccupazioni europee per quanto riguarda le partenze
verso Lampedusa. La sponda nord del Mediterraneo sta facendo
pressioni al Fondo monetario internazionale per concedere un
prestito da 1,9 miliardi di dollari, considerato essenziale per
salvare la Tunisia.
Nelle quasi due settimane di inconsueta assenza pubblica, diversi
analisti hanno provato a capire chi avrebbe eventualmente dovuto
sostituire il presidente della Repubblica qualora fosse stato
dichiarato il vuoto di potere definitivo. La risposta non è chiara.
Secondo la costituzione voluta dallo stesso Saied nel luglio 2022 e
votata da poco più del 30 per cento degli aventi diritto, dovrebbe
essere il presidente della Corte costituzionale. Un organo che a
oggi non esiste.
Le crisi non finiscono qui. Oltre a quelle che preoccupano l'Europa,
ce ne sono almeno altre due che hanno radici molto più profonde e
che rischiano di causare forti tensioni sociali nell'imminente
futuro. In questi giorni in molti quartieri di Tunisi e del Paese è
stata tagliata l'acqua corrente nelle fasce serali per fare fronte
alla siccità dovuta al cambiamento climatico. Una situazione
emergenziale che durerà almeno fino a settembre. Il problema
dell'accesso alle risorse idriche è sempre stato un motivo di forte
preoccupazione per le autorità centrali, specialmente nelle regioni
del Sud e in particolare durante il periodo estivo. Tuttavia per la
prima volta le paure e i timori diventano di dominio nazionale.
L'altro fattore è sempre legato al cambiamento climatico ma riguarda
i cereali. A causa della mancanza di precipitazioni, quest'anno il
raccolto sarà di poco più di tre milioni di quintali rispetto ai
sette dell'anno scorso. Un dato che coprirebbe solo il 12 per cento
del fabbisogno nazionale, quantificato in 32 milioni di quintali.
Elementi di crisi, questi, che interessano da vicino Saied e che
promettono di coinvolgere la Tunisia di oggi e dei prossimi decenni.
«Parlano sempre di cambiamento climatico, saremo stati mica a noi
crearlo? Dovrebbero darci in realtà delle compensazioni», ha
dichiarato sempre ieri il presidente della Repubblica. Segno che
l'agenda climatica sia uno dei veri elementi di preoccupazione per
Cartagine. —
04.04.23
VIA LIBERA ALLE TANGENTI:
Polemiche a non finire sul cosiddetto "Codice Salvini", ovvero la
nuova normativa relativa agli appalti. «Nei giorni scorsi
l'Ispettorato del Lavoro ha controllato 334 cantieri: ebbene l'80%
non era in regola, 433 imprese fuori dalla legalità, 110 gravi
violazioni in materia di sicurezza e infine 116 lavoratori erano in
nero», ha tuonato il responsabile economia di Sinistra Italiana,
Giovanni Paglia. Il quale ha spiegato che in questo quadro il
governo e il ministro Salvini «non hanno di meglio che proporre il
subappalto selvaggio e meno controlli: esattamente il contrario di
quello che serve nel nostro Paese». A distanza risponde il
viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, il quale non
vede errori. «In questi giorni abbiamo ascoltato troppe critiche,
tutte infondate. È possibile che le procedure per i bandi e le gare
durino più dei lavori da realizzare? Per noi no, perché i ritardi
amministrativi pesano sui cittadini e sull'economia», ha rimarcato.
Poi la difesa: «E respingiamo al mittente l'equazione tra più
discrezionalità agli amministratori e più reati: i sindaci non
possono essere considerati dei malfattori presunti. Non
dimentichiamo che la Costituzione parla di presunzione di innocenza,
e non di presunzione di colpevolezza, come caro alle opposizioni».
Stessa linea per la presidente dell'Ance, i costruttori edili,
Federica Brancaccio. Secondo la quale la situazione «non è
irrimediabile», ma serve «un monitoraggio più puntuale». Intanto,
proprio ieri sono partite le gare per la SS89 Garganica e la SS106
Jonica. I due appalti per oltre 740 milioni di euro sono stati
pubblicati dall'Anas in Gazzetta ufficiale.
IL PONTE IMPOSSIBILE BANCOMAT PER LA MAFIA: Stando al
progetto originale messo a punto da Eurolink, il consorzio che nel
2005 si era aggiudicato la gara, per realizzare il ponte sullo
Stretto di Messina saranno necessari poco più di 6 anni, 72 mesi per
la precisione. Più altri 6 per i collaudi. Il progetto tecnico
attualmente disponibile consiste in circa 8.000 elaborati e prevede
una lunghezza della campata unica centrale tra i 3.200 e i 3.300
metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva del
manufatto comprensiva delle campate laterali, 60,4 metri larghezza
dell'impalcato, 399 metri di altezza delle torri, 2 coppie di cavi
per il sistema di sospensione, 5.320 metri di lunghezza complessiva
dei cavi, 1,26 metri come diametro dei cavi di sospensione, 44.323
fili d'acciaio per ogni cavo di sospensione, 65 metri di altezza di
canale navigabile centrale per il transito di grandi navi, con
volume dei blocchi d'ancoraggio pari a 533.000 metri cubi. Una
struttura del genere avrebbe una resistenza al sisma sino a 7,1
gradi di magnitudo della scala Richter e per effetto di un impalcato
aerodinamico di «terza generazione» resterebbe stabile fino a
velocità del vento pari a 270 chilometri orari. L'opera così
strutturata prevederebbe 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di
marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità
dell'infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno.
Secondo le stime del Mit, una volta completata l'alta velocità in
Sicilia e Calabria, grazie al nuovo ponte sarà possibile collegare
Palermo a Roma in appena 6 ore contro le 12 di oggi, compresa l'ora
e mezza richiesta per traghettare i vagoni dei treni.
FINALMENTE : Le nozze combinate tra il Credit Suisse e Ubs
saranno oggetto di indagine da parte della procura federale della
Confederazione elvetica.
A oggi non v'è una specifica ipotesi di reato. Tuttavia, «vista la
rilevanza degli eventi» l'autorità giudiziale svizzera vuole
«adempiere in modo proattivo al suo mandato e alla sua
responsabilità di contribuire a una piazza finanziaria svizzera
pulita e ha istituito un monitoraggio con lo scopo di adottare
misure immediate in caso di qualsiasi circostanza che rientri nella
sua giurisdizione». Il timore, secondo fonti prossime alla
negoziazione tra i due istituti di credito, è che a scatenare la
fuga dei depositi che ha condannato la banca di Paradeplatz sia
stata indotta da notizie false o fallaci. In particolare, continuano
le fonti, l'attenzione sarebbe anche indirizzata al ruolo dei media
nel coprire le notizie, così come le dinamiche interne fra i
dipendenti di Credit Suisse. I quali, secondo le fonti legali
interpellate da La Stampa, avrebbero inviato «in modo fraudolento»
documenti riservati «col fine di destabilizzare la banca stessa».
Accuse che dovranno essere passate al vaglio degli inquirenti, ma
che circolano tanto negli ambienti luganesi, quelli del nuovo ad di
Ubs, Sergio Ermotti, quanto in quelli zurighesi, dove il presidente
del Credit Suisse, Axel Lehmann, ha ceduto lo scettro del potere del
numero 8 di Paradeplatz.
Le controversie contro il takeover che ha rivoluzionato il sistema
bancario della Confederazione saranno numerose. E saranno in larga
parte contro il governo di Berna. Lo scorso weekend l'autorità di
regolamentazione finanziaria Finma aveva acceso un faro per
«esplorare opzioni» su come ritenere responsabili i dirigenti di
banca sospettati di gestire negligentemente i rischi che hanno
portato al collasso il Credit Suisse.
Intanto, Ermotti procede con il perfezionamento del deal. Ieri il
domenicale Sonntagszeitung ha scritto che Ubs, dopo aver completato
l'operazione con Credit Suisse, taglierà tra il 20% e il 30% dei
suoi posti di lavoro, circa 36 mila posti in tutti il mondo di cui
11 mila in Svizzera. Le battaglie sono numerose, dunque, e sono
appena iniziate.
GLI STIPENDI NON AUMENTANO: Non ci sono soltanto i rincari di
bollette e alimentari a pesare sui bilanci delle famiglie. Adesso a
incidere è anche la telefonia. Con l'inflazione ancora alta,
infatti, alcuni operatori hanno inaugurato il 2023 incrementando i
costi per i già clienti. A colpi di uno, due euro alla volta hanno
alzato i prezzi. C'è però anche un'altra grande novità che riguarda
il settore e che fa discutere: con il nuovo anno alcuni gestori
hanno introdotto nuove tariffe che sono indicizzate all'inflazione.
Vuol dire che i prezzi salgono se il caro vita aumenta. Al
contrario, non è invece previsto un meccanismo di ribasso nel caso
di inflazione in discesa. In più la nuova formula non darebbe la
possibilità di esercitare il diritto di recesso.
È quanto emerge dall'analisi effettuata dall'Osservatorio Tariffe di
SOStariffe.it e Segugio.it che ha fotografato nel dettaglio i nuovi
trend del settore della telefonia.
Per quanto riguarda gli aumenti emerge che per la telefonia mobile i
rialzi sono arrivati da Tim (2 euro in più al mese per alcuni
clienti) e WindTre (2 euro in più al mese) olt