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Marco Bava è un economista, consulente finanziario e spesso attivo
nel panorama italiano come esperto di economia e finanza. È noto per le
sue opinioni critiche su temi come la gestione della finanza pubblica
italiana, le banche e la situazione economica generale del Paese.
Inoltre, in passato è stato coinvolto in varie iniziative politiche e
civiche, dove ha cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica su
questioni legate alla trasparenza economica e alla gestione del debito
pubblico. |
Dal Vangelo secondo Luca Lc
21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
La gangster
che si fece
suora
pierangelo sapegno
Le due vite di Angela Corradi sono finite adesso. Quella della donna
gangster con la svastica tatuata sulla schiena e della suora laica che
ha dedicato la sua vita ai disperati e agli sconfitti. La notizia l'ha
data su Facebook Tino Stefanini, uno degli ultimi superstiti della
famigerata mala della Comasina: «Resterai per sempre nei nostri cuori».
Ma di Angela Corradi, morta a 73 anni, resta qualcosa di più anche per
tutti noi, il mistero della vita e dei suoi peccati, la sottile linea di
demarcazione che può dividere il bene dal male sulle strade del dolore.
Tutto quello che non possiamo vedere e facciamo fatica a capire. Una
volta le chiesero come aveva fatto a scoprire Dio. «Perché ho sentito la
sua voce», aveva risposto. «Mi disse "Io ci sono". Mi disse solo
questo». Era una sera che Angela Corradi aveva un mitra in mano e una
pistola infilata nei calzoni e stava uscendo dalla sua casa di via
Osculati ad Affori per andare a uccidere qualcuno. Ma qualche anno dopo,
aveva il velo e degli occhiali a goccia che nascondevano uno sguardo che
levigava il tempo e anche le sue ferite, perché non si vive la sua vita
senza perdere pezzi e portarne le cicatrici. Allora le chiesero come
faceva a essere così sicura che fosse la voce di Dio. «Lo so e basta»,
disse con tono di nuovo duro. Il fatto è che pure quando sposò Dio e si
fece terziaria francescana non perse mai la forza del suo carattere. Era
scritta nei suoi occhi, quella forza. Era la pupa del gangster, la «pupa
della banda Vallanzasca», come titolavano i giornali, la compagna
inseparabile di Vito Pesce, il braccio destro del bel René, che la
chiamava «la sorellina» e di lei diceva che non era solo bella e
coraggiosa: «Angelina è stata la donna che in quanto a palle dava dei
punti e tanti maschietti cazzuti. Una forza della natura.
Fondamentalmente, era una femmina da sballo. Bella, intelligente,
simpatica, capace di essere dolcissima. Ma quando c'era da dimostrare il
suo carattere, persino il suo uomo faceva bene a non contraddirla».
Era un giorno di luglio del 1978 quando venne folgorata da Cristo,
mentre doveva andare a vendicare «uno sgarro fatto ai miei compagni in
carcere». Lo raccontò cinque anni dopo esatti, al meeting di Cl a
Rimini: «Io posso solo tentare di farvi vedere una scena. Sono in casa,
sono armata fino ai denti e quando varcherò quella porta so che l'unica
cosa che devo fare è uccidere qualcuno. E sono molto determinata a
farlo. È in quel momento che mi si è presentato il Signore. Non Lui, io
mento se dico Lui. Ma la sua voce. E l'ho sentita benissimo. Ha solo
detto "ci sono". Non ha detto altro. E io mi sono terrorizzata. Non
avevo mai avuto paura di niente. Ma quella volta sì». Prima di cambiare
la sua vita, Angela era stata tutto quello che poteva essere una nata
come lei nella nebbia dell'anonimato ai margini della metropoli. Era
stata commessa, e poi modella prima di approdare nella banda di
Vallanzasca per un «atto di ribellione». Si era tatuata sulla schiena
una svastica e su un dito la «N» di nazista con una croce sovrapposta.
Diventò una protagonista di quegli anni di violenza e finì anche in
carcere, cinque anni a San Vittore. Era una donna bellissima, hanno
sempre ripetuto quelli che l'avevano conosciuta. I suoi lavoravano nel
circo. Il padre faceva il giro della morte in motocicletta. Poi un
gravissimo incidente l'aveva paralizzato e da allora anche la madre,
Bruna, acrobata, lasciò il tendone. I suoi cercarono di avviarla agli
studi, ma non ci fu verso. Angela voleva scappare, andare via da quella
prigione di case grigie e uguali, dalle pene della sua famiglia. A
sedici anni fuggì di casa e dopo poco tempo si legò ai ragazzi della
mala che in quegli anni stavano scalando le gerarchie di Milano a mitra
spianati, lasciando una scia di morte dietro di loro. Diventò la
compagna di Vito pesce, uno degli uomini più spietati della banda
Vallanzasca. I giornali, raccontando i corpi senza vita sparsi sulle
strade, tutte quelle esplosioni di violenza e le sparatorie, li
chiamavano «i killer drogati. La più feroce gang del Dopoguerra». In
quegli anni morì suo padre, mentre lei veniva arrestata. Di San Vittore
ricordò la vita vuota e arida dietro a quelle sbarre.
La conversione avvenne all'improvviso, quando era già una suora laica,
la sua auto, una A112, venne crivellata di colpi in piena notte e lei
rimase quasi in fin vita con ferite sul volto. «Gesù, Gesù aiutami...»,
ripeteva ai medici del Niguarda. Sua madre Bruna raccontò che «era
uscita per andare a portare aiuto ai bisognosi». In realtà,
quell'episodio rimase un mistero senza risposta.
Un po' come il suo viso, conservato negli archivi della cronaca nera e
nelle foto che la immortalarono col velo. Non aveva più i capelli tinti
di biondo e lo sguardo sprezzante. Ma gli occhi sono lo specchio
dell'anima. E non sono cambiati. Erano troppo duri, quand'era ragazzina,
ma anche adesso erano gli occhi di una che aveva sempre dovuto
combattere nella sua vita, farsi largo tra le infinite e irrisolte
violenze delle periferie, fra quegli edifici nudi che nascondevano tutti
le stesse miserie e le stesse rabbie, in quelle ripetizioni di facciate
sempre uguali e in quel piatto e uniforme plurale di una sconfitta
comune, dove ogni finestra apparteneva solo alle nebbie della
disperazione, un disegno senza altri colori che non fossero quelli dei
sogni di chi vuole scappare. Alla fine però Angela Corradi è tornata qui
e ci è rimasta fino alla sua morte, a 73 anni, per dedicarsi alle anime
perse dei drogati, dei detenuti, dei più deboli, di tutti quelli rimasti
senza speranze nella battaglia della vita. È ritornata da dov'era
partita, nella terra di mezzo, nei luoghi di tutti quelli che continuano
a perdere.
|
TO.11.07.24
Intervento fatto al Collegio Carlo Alberto di Torino sulla censura
assembleare dell’art.11 del Decreto Capitali
-
E’ sempre positiva una analisi storica democratica.
-
Qui in p.za Arbarello a TORINO c'era la Facolta' di Economia ed ho
imparato l’ economia industriale dal prof Goss Pietro.
-
Che dai 25 anni ho potuto applicare concretamente direttamente con
Gianni Agnelli.
-
L’invidia dei docenti di Economia di TORINO per questa mia
esperienza formativa , mi e’ costata 16 anni di blocco per la
laurea in Economia a Torino , ottenuta poi in 16 mesi a Novara, a
cui e’ seguita una 2^ laurea in giurisprudenza a Torino per
riabilitarmi con il prof.Dezzani di Economia e Commercio a Torino.
Altri 20 anni mi blocca Economia e Commercio di Torino per l'esame
da dottore Commercialista che poi supero a Roma.
-
A 30 anni proposi a Gianni Agnelli superFIAT, LA FUSIONE IFI
FIAT , che mi chiese di portare a Cuccia, e che Gabetti e Galateri ,
con cui collaboravo, ed a cui chiesi un aiuto, mi bloccarono.
-
Umberto Agnelli attraverso Boschetti mi propose di rifare la Stilo,
ma Morchio si oppose .
-
Muoiono Edoardo Agnelli Gianni Agnelli e Umberto Agnelli
, Gabetti ,attraverso donna Marella e Yaky sceglie Marchionne
che privo di conoscenze automobilistiche, ha lasciato a Yaky la
sola scelta di VENDERE la Fiat che sta progressivamente riducendo la
produzione negli stabilimenti italiani.
-
A cui Cirio Urso e Pichetto rispondono rifiutando l’esame del mio
PROGETTO H2 PER AUTOTRAZIONE. Lo trovate sul mio sito
www.marcobava.it. Mentre DENORA ne REALIZZA uno suo IN LOMBARDIA
programmando il più importante stabilimento europeo di
elettrolizzatori per produrre H2 , affiancata da SNAM dopo che se
ne parlato nell’assemblea aperta di Snam 1 mese fa, in cui viene
convita del futuro della produzione dell’H2 con elettrolizzatori che
fara’ appunto con Denora in Lombardia. Ed io prevedo che seguira’ la
produzione delle auto ad H2 in Lombadia invece che in Piemonte
, che forse saranno finanziate da Unicredito e S.PAOLO. Queste sono
visioni strategiche.
-
Tutto cio’ mentre a Torino ed in Italia il presidente del S.PAOLO
ispirando l’art.11 fascista
del Decreto capitali, censura, in Italia, unica nel mondo, la
democrazia nelle assemblee, pero’ non applicata da Snam che
forse non e’ un importante cliente di S.PAOLO.
-
Prof Goss Pietro E’ COSCIENTE dei danni che questa sua censura
democratica sta provocando e provocherà rispetto alla storia del
paese che avete illustrato ?
-
Perche’ lo sta facendo viste le conseguenze di impoverimento
regionale e nazionale ?
-
Qual’e’ il fine ? il POTERE FINE A SE STESSO come mi risposte anni
fa Grande Stevens ?
-
La stessa decadenza si manifesta anche attraverso le assemblee
Juventus in cui, anche se non sono state mai chiuse , sono stato
aggredito 2 volte dallo staff. Tutto cio’ non puo’ che portare alla
vendita della Juve come e’ successo per Fiat portando sempre piu’ il
Piemonte verso la deriva democratica ed economica.
-
Senza democrazia in economia non ci può essere sviluppo. Siete
d’accordo ?
Mb
Per confermare quale fosse il grado di conoscenza che avevo con GA che
mi ha insegnato dare il 5 posso aggiungere che :
-
soffriva di insonnia per cui leggeva ed alle 12 aveva sonnolenza
-
amava la boxe
-
quando aveva una influenza si curava con la penicellina
Sul prof.GP posso invece ricordare:
-
che ho concordato l'appoggio alla sua prima nomina a presidente di
Intesa S.PAOLO con il prof.Bazoli in cambio di una sua presidenza
onoraria con partecipazione alle decisioni strategiche;
-
che gli ho proposto una fusione di Unicredito in Intesa S.Paolo
|
TO.12.04.24
Illustre Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni perche' con l'art.11 del DISEGNO DI LEGGE
CAPITALI avete approvato un restringimento di fatto della libertà ?
perché avete voluto dimostrarci di volervi ispirare all'epoca
fascista sfociato nel delitto Matteotti ? Non credo sia
nell'interesse suo e del suo governo e mi spiace, ma devo prenderne
atto.
TO.03.02.23
Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera
Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella
Ill.mo Presidente del Senato
Ill.mo Presidente della Camera
Ill.ma Presidente del Consiglio
In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 ,
Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali
e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in
materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di
società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli
emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .
L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni
quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello
statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano
esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In
tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di
deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato
unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate
al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società
ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione;
inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al
31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee
societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal
decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di
mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo
135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del
1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le
assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il
rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in
commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a
condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto
dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle
assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di
contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in
assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia
da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che
la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente
tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da
tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola,
sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio
di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a
disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione
pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del
consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una
affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che
l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di
confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto
da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione
all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori
istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di
voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare,
all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di
stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto,
chiuse ai risparmiatori, con il management della società in
applicazione delle politiche di engagement.
Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di
esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti
da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto alla
partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che
dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra
cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare
alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di
incontri diretti privati e riservati
con il management della società in applicazione delle politiche di
engagement.
Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata
in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di
partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni
nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal
sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.
Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato
questo restringimento dei diritti costituzionali ?
Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite
legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando
l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto
retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard
Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della
Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al
processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con
Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei
suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di
Tesla.
La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i
nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno
finito per plasmare il diritto societario americano.
Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di
investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric
Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School.
Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di
partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come
Tornetta.
Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi
generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano
lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno
fatto gli avvocati nel caso Musk.
Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui
ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i
miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava
a Musk.
Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per
controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici
desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a
condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate
per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti
hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i
rapporti con Wall Street.
Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.
"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha
detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i
prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella
votata da maggioranza e Pd.
Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi
ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo
sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati
degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e
sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata
preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6
commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e
questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e
senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti
per ragioni pandemiche nel 2024 ?
La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese
per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le
misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi,
il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata
prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo
3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le
società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o
straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo
135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la
medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di
convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente
tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite
deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF.
L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione
statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati
designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono
conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente
la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla
prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle
proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole
proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è
sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita,
senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui
contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento
della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è
stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della
regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento
alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto,
le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e
della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il
soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a
comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia
rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene
altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute
fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali
informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al
medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei
commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato
con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena
descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n.
11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime
da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in
alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo
135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di
esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso
si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio
della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da
ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse
conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di
modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte
all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo
106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono
designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante
al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su
tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo
statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì
prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si
svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale
possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi
dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno
stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga
all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione
della specifica condizione del rappresentante designato dalla società,
esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto
della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies
stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono
applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema
multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il
pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea
introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui
presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per
il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato,
introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario,
ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può
prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di
voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla
società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale
rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai
sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies,
comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze,
dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o
dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.
L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo
mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha
ignorato.
Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo
135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il
diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è
esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno
tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In
sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il
diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del
giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima
dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La
società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso
contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le
domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è
dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima
della stessa, quando le informazioni richieste s
iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del
sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata
pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di
società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle
disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese
permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre
misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non
solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso
dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di
un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente
universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi
: dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono
per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene
ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid, con il rappresentante pagato ,
che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.
Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3
della Costituzione, contro la democrazia e trasparenza societaria
, cos’e ?
Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro
paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o
di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una
classe dirigente qui’ palesemente opaca.
Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà
progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle
minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli
sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo
oggi, forse, e’ diventato di coscienza comune , anche se a me e’
costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e
giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed
ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle
assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non
esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di
fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche
contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando
brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo,
silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa
nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare
la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi
Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da
Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe
solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una
storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche
se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei
diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.
Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto
direttamente.
UNA
ATTUALIZZAZIONE DEL:
DISCORSO DEL 30.05.1924
Giacomo Matteotti
Matteotti: «Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre
elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al
banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo
avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel
1919».
Voci: «Non è vero! Non è vero! » .
Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno: «Michele Bianchi! Proprio
lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi! » .
Matteotti: «Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è
semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva
un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero,
sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi
rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori,
interruzioni)».
Finzi: «Non è così! » .
Matteotti: «Porterò i giornali vostri che lo attestano».
Finzi: «Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei!
L'onorevole Merlin cristianamente deporrà».
Matteotti: «L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e
nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non
dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi
essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle
elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui
nell'assemblea? (Rumori a destra)».
Teruzzi: «È ora di finirla con queste falsità».
Matteotti: «L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a
Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole
Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i
fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore
di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)».
Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".
Matteotti: «Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8
giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato.
(Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San
Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli
doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni
deputati che siedono all'estrema sinistra)».
Presidente: «Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano
posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia
breve, e concluda».
Matteotti: «L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per
improvvisazione, e che mi limito...».
Voci: «Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti! » .
Gonzales: «I fatti non sono improvvisati! » .
Matteotti: «Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni
fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento
dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e
senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai
candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro
pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo
al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole
Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo
dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu
impedita... (Oh, oh! – Rumori)».
Voci da destra: «Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete
d'accordo tutti! » .
Matteotti: «Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta
elasticità! » .
Greco: «Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti».
Matteotti: «L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua
conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di
corpi armati, i quali intervennero in città.. .».
Presutti: «Dica bande armate, non corpi armati! » .
Matteotti: «Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera
conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste
condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare
liberamente nella loro circoscrizione!» .
Voci di destra: «Per paura! Per paura! (Rumori – Commenti)».
Farinacci: «Vi abbiamo invitati telegraficamente! » .
Matteotti: «Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio
come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche
dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze armate!
(Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un
contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero
presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è
vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in
seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere
l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)».
Voci da destra: «L'avete studiato bene! » .
Pedrazzi: «Come siete pratici di queste cose, voi! » .
Presidente: «Onorevole Pedrazzi! » .
Matteotti: «Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di
circolare nelle loro circoscrizioni! » .
Voci a destra: «Avevano paura! » .
Turati Filippo: «Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i
briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a
sinistra)».
Una voce: «Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato
rispettato».
Turati Filippo: «Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi
a sinistra, rumori a destra)».
Presidente: «Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti! » .
Matteotti: «Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano
di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! »
(Approvazioni a sinistra – Rumori prolungati)
Presidente: «Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole
Rossi...».
Matteotti: «Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di
parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho
diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)».
Casertano, presidente della Giunta delle elezioni: «Chiedo di parlare».
Presidente: «Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta
delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta».
Matteotti: «Onorevole Presidente! . ..».
Presidente: «Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di
continuare, ma prudentemente».
Matteotti: «Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente,
ma parlamentarmente! » .
Presidente: «Parli, parli».
Matteotti: «I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori.
Interruzioni)».
Presidente: «Facciano silenzio! Lascino parlare! » .
Matteotti: «Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non
potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro
stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le
conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che
accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o
dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)».
Una voce "Erano disoccupati! ".
Matteotti: «No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li
boicottate».
Voci da destra: «E quando li boicottate voi? » .
Farinacci: «Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco! » .
Matteotti: «Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a
nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)».
Voci: «E Berta? Berta!».
Matteotti: «Conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio
partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la
candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe – stato per essere il
destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati – voi avete ragione di
urlarmi, onorevoli colleghi – i candidati devono sopportare la sorte
della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che
oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché
anche questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le
elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie
più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella
della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in
ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per
disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi – anche
in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal
Governo e dal partito dominante – risultarono composti quasi totalmente
di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile,
l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza
del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare.
Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per
cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della
lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno
in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze
che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il
seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e
constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo
reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i
verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi
dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun
rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo,
l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono
svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo
riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche
provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma
questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo – e
l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere – fu
data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati
dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa
popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione
controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma,
strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo
dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza
di suffragi, da superare la maggioranza – con questa conseguenza però,
che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo
le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel
Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni
diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si
ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle
persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni».
Una voce a destra: «Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti! » .
Matteotti: «Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito,
secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai
nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo,
danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che
ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata
protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione
avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi.
Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate
all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà
che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati
prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli
elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola
del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un
prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori
un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi
(Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le
combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno,
potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto.
In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di
Rovigo, questo metodo risultò eccellente».
Finzi: «Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato! » .
Matteotti: «Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella
venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato».
Finzi: «Lo provi».
Matteotti: «In queste regioni tutti gli elettori».
Ciarlantini: «Lei ha un trattato, perché non lo pubblica? » .
Matteotti: «Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie
del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a
destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri
opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate
o diffidate di pubblicare le nostre cose. Nella massima parte dei casi
però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini
sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più
forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia,
la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato
fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)».
Suardo: «L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il
popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori –
Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini,
sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia
dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)».
Teruzzi: «L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on.
Matteotti». (Rumori all'estrema sinistra).
Presidente: «Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda! » .
Matteotti: «lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece
furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era
stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia
prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere
esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per
la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che
non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati
furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano
alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che
certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si
presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva
compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio
pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto,
riuscirono ad impedirlo».
Torre Edoardo: «Basta, la finisca! (Rumori, commenti). Che cosa stiamo a
fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori – Alcuni deputati
scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il
Parlamento! (Commenti – Rumori)».
Voci: «Vada in Russia! »
Presidente: «Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda! »
.
Matteotti: «Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le
cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi Comuni, specialmente
della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare
i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e
verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare
che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla
stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o
addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i
molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della
volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini
ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi
esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere
socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono
più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali,
non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno
esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che
manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del
nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi
all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte
queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose
sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché
ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori)... per queste
ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di
maggioranza. Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità
dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti
voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione
morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione
divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la
licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere
errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha
dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a
destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il
nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato
con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi,
anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi
difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il
più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il
rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle
elezioni».
Terminato così il suo intervento, Matteotti dice ai suoi compagni di
partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso
funebre per me». —
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LO SFASCIO DI JAKY-MARCHIONNE:
https://www.la7.it/100minuti/rivedila7/100-minuti-autostop-30-04-2024-539867
Cara Giovanna Boursier
Ho visto il suo ottimo servizio ben documentato e non di parte .
La storia della targa della Ferrari Testarossa grigia
cabrio di GA che stava nel garage di Frescot entrando sulla
destra e' che io come azionista Ifi l'avevo trovata nelle
immobilizzazioni, chiesi a GA che ci stava a fare e lui la fece
reimatricolare a suo nome con quella targa. Non la usava perche'
mi disse che la trovava scomoda e preferiva le Fiat. L'uso'
Giovanni Alberto Agnelli che ebbe un'incidente sulla
Torino-Milano. Così mi disse Edoardo a cui il padre non la fece
mai guidare. Edoardo aveva le Ferrari in uso direttamente
da Enzo Ferrari.
Chi sta chiudendo la Marelli e' KKR che vorrebbe comprare
la rete Tim pagandola 6 volte il suo valore come Enimont quando
fu venduta da Gardini ad Eni.
A Carlo De Benedetti avevo proposto di acquisire la Fiat prima
che arrivasse Marchionne, mi ha riso al TELEFONO.
Bianca Carretto forse dimentica che prima della Peugeot la Fiat
fu offerta da Jaky a Renault a cui l'ho fatta saltare grazie a
Nissan. Infatti poi i rapporti fra Nissan e Renault sono
cambiati.
Poi Peugeot ha pagato la Fiat 2,9 miliardi rispetto ai 5
richiesti perché non c'era nessuno che volesse comprare FIAT.
Non e' vero che Marchionne ha saputo gestire la Fiat. Non capiva
nulla di auto. Infatti non ha investito su LANCIA , come invece
sta facendo Tavares. Maserati in 5 anni non poteva fare
concorrenza a Porsche che investe da 50 anni !
Marchionne non ha mai saputo scegliere un 'auto nelle
presentazioni, chiedeva di farlo a chi lo avrebbe dovuto
assistere !
La chimera del progetto fabbrica italiana ve la siete
dimenticata tutti ?
Come le condanne per atteggiamento antisindacale a cui è stato
condannato piu' volte Marchionne ?
Come De Benedetti non ne capisce nulla di computer visto che
aveva il padre del Surface con Quaderno e ne' lui ne' Passera lo
hanno capito.
Infatti il progetto della 500 elettrica e' sbagliato e voluto da
Marchionne e realizzato da Jaky investendo tanti soldi .
Proposte d'investimento agli Agnelli e De Benedetti vengono
fatte da sempre da chi guadagna le commissioni, per cui quello
che fa Jaky lo facevano anche Gabetti ed altri a NY con IFINT.
Inoltre i rapporti diretti internazionali sono tantissimo. Io in
un we a Garavicchio a casa di Carlo Caracciolo mi sono trovato
in piscina ed a tavola con il marito di Margherita, Giovanni
Alberto, Edoardo e Carlo Caracciolo che mi ha chiesto come
poteva difendersi da Carlo De Bebedetti. Io gli suggerii di
entrare in Cofide e lui lo fece. 3 mesi dopo GA, dandomi il 5,
mi soprannominò in pubblico Mark Spitz, per comunicarmi che
sapeva tutto .
Il patrimonio di Gianni Agnelli io lo stimo in 100 miliardi ,
con dei parametri approvati da Grande Stevens, per cui a
MARGHERITA hanno dato l'1%.
Il patrimonio di G.A lo gestivano Gabetti e Bormida.
Margherita e' come sua madre , prende tempo per allargarsi .
Edoardo no infatti e' stato ucciso perche' non voleva rinunciare
ai suoi diritto ereditari sulla Dicembre, a cui il Pm di Mondovi, Bausone
non credeva , quando glielo dissi 2 giorni dopo l'omicidio di
Edoardo.
L'ex Bertone finirà come Termoli.
IL RESTO glielo allego come anticipazione di un libro che forse
uscira'.
La proposta del Marocco e' stata fatta ai fornitori gia' a
Torino all'Hotel Ambasciatori nelle stesse ore in cui a 200
metri all'Hotel Concorde c'era il ministro Pichetto, a cui l'ho
detto senza ricevere alcuna risposta, come per la mia proposta
del progetto dell'H2 per autotrazione che rilancerebbe l'intera
economia nazionale, produzione auto compresa che allego.
Tenete conto che dietro ogni persona c'e' un uomo nero, quello
di Jaky per me e' a voi noto :Griva.
Resto a Sua disposizione per ogni chiarimento e documentazione,
Buon lavoro.
Marco BAVA
"L'Avvocato voleva
adottare John Il controllo della Dicembre non cambia"
Jennifer Clark
"
Il libro
Così su La Stampa
Un rapporto difficile, quello dei tre fratelli Elkann con la
madre Margherita, un problema «nato ben prima che lo scontro
arrivasse nelle aule dei tribunali». Jennifer Clark,
giornalista, già caporedattrice per l'Italia di Dow Jones dopo
le esperienze a Bloomberg e Reuters, ha seguito per anni le
vicende degli Agnelli. Recentemente ha pubblicato per Solferino
"L'ultima dinastia" sulla loro saga famigliare.
Clark, in una intervista ad Avvenire John Elkann parla per la
prima volta di "un clima di violenza fisica e psicologica"
subìto da lui e dagli altri due fratelli Elkann da parte della
madre. Da dove nasce, secondo lei, quella tensione?
«Per scrivere il libro ho parlato a lungo con gli esponenti
della famiglia, a partire da John. Il problema dei figli Elkann
con la madre viene da lontano perché, in un certo senso, è la
conseguenza dei problemi di Margherita ed Edoardo con i
genitori, in particolare con il padre, l'Avvocato».
Lei scrive che Gianni Agnelli era un padre poco affettuoso. Che
rapporto c'è tra questo e lo scontro di Margherita con i tre
figli Elkann?
«Lo squilibrio diviene palese quando Margherita divorzia da
Alain Elkann e si risposa con Serge de Phalen. Due mondi quasi
opposti: dallo scrittore parigino bohemien al nobile russo che
sogna il ritorno della grande Russia dei Romanov. Margherita si
converte alla religione ortodossa. Inizia a dipingere icone. E
vorrebbe che diventassero ortodossi anche John, Lapo e Ginevra.
Li costringe a dire le preghiere e a partecipare ai campi estivi
dei nostalgici zaristi in Francia che ogni mattina li fanno
assistere all'alza bandiera con lo stendardo imperiale
dell'aquila a due teste. I figli del secondo matrimonio sono
russi a tutti gli effetti e vivono a loro agio in quel mondo. I
figli Elkann no. A questo punto intervengono i nonni».
In che modo?
«Chiamando sempre più spesso i tre nipoti a trascorrere lunghi
periodi con loro. Per sottrarli a quel mondo estraneo. Per
questo John dice oggi che è stata decisiva per lui e i fratelli
la protezione dei nonni. Ma questo ha finito per rendere i
rapporti tra Margherita e i suoi genitori ancora più difficili».
Il nonno aveva dato ai nipoti l'affetto che era mancato alla
figlia come se l'affettività avesse saltato una generazione?
«Esattamente. Il rapporto tra i nipoti e il nonno è diventato
sempre più stretto al punto che un giorno l'Avvocato accarezzò
l'idea di adottare John. Come si sa poi non se ne fece nulla».
Se i rapporti erano tanto tesi perché allora, alla morte
dell'Avvocato, Margherita accettò di rinunciare alle quote della
Dicembre in cambio di denaro?
«Lei ha sempre sostenuto di averlo fatto nel tentativo di
riportare la pace in famiglia. È anche vero che conosceva l'atto
notarile con cui l'Avvocato, fin dal 1999, consegnava a John la
gestione della Dicembre e quindi deve avere pensato che, persa
la partita per il potere, tanto valeva giocarsi quella del
denaro. Del resto, quell'atto del '99 era stato firmato da tutti
i familiari, anche da lei».
NON E' VERO :
EDOARDO NON LO HA MAI FIRMATO. PER QUESTO LO HANNO UCCISO. Mb
Lei ha poi tentato, e lo sta facendo ancora oggi, di rimettere
in discussione quella scelta…
«Certo e questo è uno dei nodi delle cause legali. Ma la scelta
di non partecipare alla Dicembre ha finito per isolare ancora di
più Margherita. Si diceva che avesse confidato a Lupo Rattazzi
le sue perplessità su futuro della Fiat: "Rischia di fare la
fine della Parmalat". Erano gli anni in cui il fallimento della
Parmalat aveva fatto molto rumore. Come se lei avesse scelto di
scendere dalla nave nel momento di massima difficoltà
dell'azienda. Già nel 2004, al matrimonio di John e Lavinia, la
presenza di Margherita era stata incerta fino all'ultimo».
Da allora in poi la frattura si è andata allargando. Le
battaglie in tribunale contro la madre Marella e ora contro i
figli Elkann hanno aggravato la situazione. Quali conseguenze
potranno avere secondo lei?
«Dal punto di vista della governance della Dicembre, la società
che controlla la Giovanni Agnelli e, per il tramite di questa,
Exor non credo che ci potranno essere conseguenze. L'atto
notarile del 1999 non lascia scampo. Diverso è il discorso se
passiamo dalla governance alle quote. È in teoria possibile che,
se venisse accolta la tesi dei legali di Margherita, si
riconosca il diritto della figlia di Gianni Agnelli ad avere la
sua quota di legittima e dunque un pacchetto di azioni della
Dicembre. Ma non credo proprio che questo impedirebbe a John di
governare come fa oggi».
Si perché
perderebbe il controllo in quanto il 75% passerebbe a Margherita
ed il 25% Jaky 20% . Mb
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TAVARES E JAKY NEL 23
Un compenso da 36,5 milioni è adeguato per il
ceo di una società capace di generare 18,6 miliardi di profitti e di
versare ai soci quasi 8 miliardi? Per i proxy advisor […] no. In vista
dell’assemblea del 16 aprile, […] Glass Lewis e Iss hanno raccomandato
agli azionisti di Stellantis di votare contro gli stipendi percepiti […]
dai manager del gruppo.
A loro giudizio, la paga del ceo Carlos Tavares è «eccessiva»: vale 518
volte il salario medio dei dipendenti di Stellantis che, intanto, sta
attuando massicci piani di esuberi […].
[…] Iss ha criticato anche il benefit da 430 mila euro accordato al
presidente John Elkann che ha potuto utilizzare l’aereo aziendale per
scopi personali. I suggerimenti dei proxy sono di norma accolti dai
fondi internazionali. Se al loro si aggiungesse il «no» del governo
francese, socio di Stellantis al 9,9%, la relazione sui compensi
potrebbe incorrere in una sfiducia. Dal valore consultivo, è vero; ma
fortemente simbolico.
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IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU
L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU PIAZZA LIBERTA', il
programma di informazione condotto da Armando Manocchia, su
BYOBLU CANALE 262 DT CANALE
https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/
https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8
https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w
https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc
https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4
https://www.youtube.com/watch?v=ej0LPowV9YI
OSSERVAZIONI
- IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE
VIAGGI ERA LUCA GAETANI
- EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI
SUOI DIRITTI EREDITARI
- NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI
ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA
GARAVICCHIO.
- INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL
KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
- I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON
EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO
TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E
MARGHERITA .
- DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI
ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI
PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
- L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA
UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA
NON GLIELO PERMETTEVANO.
- NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
- LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E
NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO
CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
- LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO
TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.
GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?
L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO
RISCHIA DI CROLLARE TUTTO
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”
È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le
conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel
cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva
assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera,
dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di
avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia:
per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto,
permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale
della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e
quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa
indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle
indagini.
1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia
l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel
2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e
le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e
Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio.
Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte
nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari
per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media,
oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”.
Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo
dell’impero Agnelli.
2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte
mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva
non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli
immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del
commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei
riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i
domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.
3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […]
sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno
[…] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia.
Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti
erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio
della nonna.
4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla
Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di
Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero
Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due
diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della
signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio,
la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio
per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le
firme.
5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato
migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse
fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon
Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo,
all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella
Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet
di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza?
Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse
sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle
Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a
“membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola,
aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le
tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”,
la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il
tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a
cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.
2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE
Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia,
che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura
di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati
occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.
Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che
finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia:
la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e
madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane
potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e
questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi
civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.
Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto
Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca
Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della
Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella
Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di
Stellantis ed editore del gruppo Gedi.
L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di
dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base
all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita
accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2
miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a
versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di
questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8
milioni di euro (3,8 milioni di tasse).
Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto
detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era
curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a
Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la
quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla.
Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […]
ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto
lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte
del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio
che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.
Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il
commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi
infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe
controfirmate.
Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli
all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano
alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen,
villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella
Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese
mediche coprivano il solo mese di agosto. […]
GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la
riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di
verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere
rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo
scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti
milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri).
Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre
contestato la ricostruzione di Margherita.
DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI
FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:
Margherita Agnelli vuole costringere per via
giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di
Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).
Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila,
sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann
nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel
sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte
(60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento
dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).
[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione
tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale
di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la
Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e
cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del
testamento della madre».
E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo
all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima
della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre
e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante».
A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota
mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e
condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».
Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i
«mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella
Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua
qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a
restituire i beni dell’eredità del padre».
La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando
Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E
nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le
donazioni anche «indirette e dissimulate».
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al
comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo
la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il
calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna
Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in
cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui
valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia
«effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John
per (...) circa 3 miliardi».
John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel
1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo
statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso —
tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed
esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la
nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al
60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a
Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta
notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti
tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più
influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla
Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di
Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.
«La costruzione di una residenza estera
fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e
concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare
l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali
e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo
ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato
«all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel
decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della
guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e
sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella
Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato:
«truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle
entrate)».
Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto
sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli:
«Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco
Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci
sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella
Caracciolo».
Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John,
Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca
Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la
successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un
documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni
di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015
la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi»,
contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni
in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione
dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
Un secondo "round" si è combattuto ieri
davanti al tribunale del riesame di Torino tra la Procura subalpina e lo
staff di avvocati che difendono i fratelli Elkann, indagati per truffa
ai danni dello Stato per non aver pagato la tassa di successione su una
porzione di eredità della nonna, pari a 734 milioni di euro.
I penalisti hanno impugnato il decreto con cui i pm il 6 marzo hanno
disposto un nuovo sequestro dei documenti […] già acquisiti dai
finanzieri durante le perquisizioni del 7 febbraio. E gli inquirenti
hanno risposto depositando ai giudici materiale investigativo finora
inedito, tra cui delle intercettazioni e soprattutto i tredici verbali
del personale al "servizio" di Marella Caracciolo.
La tesi accusatoria - secondo cui John Elkann avrebbe fatto figurare che
domestici e infermiere lavoravano per lui, «al fine di non compromettere
la possibilità che la defunta nonna fosse effettivamente residente in
Svizzera» - «appare largamente confermato dalle dichiarazioni» degli ex
dipendenti sentiti come testimoni in Procura. In sostanza, quasi tutti
hanno confermato che prestavano assistenza alla signora Agnelli quando
lei risiedeva nelle dimore torinesi, ossia per la maggior parte
dell'anno.
Nel locale caldaie dell'abitazione del pupillo di Gianni Agnelli, […] i
militari del nucleo economico finanziario di Torino hanno trovato una
ventina di faldoni con i documenti di «domestici, cuochi, autisti,
governante, guardarobiera, maggiordomi». Per realizzare quella che i pm
ritengono esser una «strategia evasiva», ossia non pagare le tasse
sull'eredità in Italia, John avrebbe assunto formalmente il personale
delle residenze di Villa Frescot, Villa To e Villar Perosa che
«assisteva di fatto Marella Caracciolo».
A sommarie informazioni è stata sentita anche Carla Cantamessa, che si
occupava della gestione amministrativa delle abitazioni riconducibili
alla famiglia Angelli-Elkann. […] «al momento della perquisizione (del 7
febbraio, ndr) contattava immediatamente Gianluca Ferrero (il
commercialista di famiglia indagato, ndr), avvisandolo dell'arrivo della
Finanza e mostrando timore e preoccupazione per documenti che avrebbe
dovuto "nascondere"».
In quel momento, però, i finanzieri stavano bussando anche alla porta
del commercialista, che quindi ha subito riagganciato il telefono. Tra
il materiale che le è stato sequestrato ci sono anche documenti sui
«giardinieri dismessi dal 2020», ossia successivamente alla morte di
Marella. La "prova del nove" è che quasi tutti i dipendenti assunti da
John sono stati licenziati dopo che sua nonna, il 23 febbraio 2019, è
deceduta.
Secondo i legali degli Elkann non esistono gli estremi del reato di
truffa ai danni dello Stato nel caso di mancato pagamento della tassa di
successione. Avvalendosi anche di un parere del professore Andrea Perini,
docente di diritto penale tributario, hanno specificato […] che al
massimo si tratta di un illecito amministrativo. Per i pm, invece, gli
«artifizi e i raggiri» previsti dal reato di truffa si sono
concretizzati proprio nel trucco della residenza in Svizzera di Marella,
con il quale i tre nipoti avrebbero «indotto in errore» l'Agenzia delle
entrate […], e così facendo avrebbero tratto «l'ingiusto profitto» di
risparmiare tra i 42 e i 63 milioni di euro di tasse.
Tra l'altro, la «strategia evasiva» è esplicitata nel cosiddetto
«vademecum della truffa» redatto da Ferrero, in cui si consiglia a
chiare lettere «di non sovraccaricare la posizione italiana di Marella
Caracciolo», facendo assumere i suoi dipendenti al nipote maggiore.
L'altro punto su cui insistono le difese è il «ne bis in idem», il
principio in base al quale non si può essere giudicati due volte per lo
stesso fatto.
Ma la truffa ai danni dello Stato era già stata ipotizzata dalla Procura
torinese prima che venisse eseguito il secondo sequestro, ora impugnato
dagli Elkann e da Ferrero. I giudici, dopo quasi quattro ore di udienza,
si sono riservati di decidere entro sabato prossimo. […]
EREDITÀ AGNELLI, 'I QUADRI SONO CUSTODITI AL LINGOTTO'
Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA
Sarebbero tutte rintracciate e rintracciabili, e donate dalla nonna ai
nipoti Elkann, le 13 opere d'arte, parte del tesoro lasciato da Gianni
Agnelli, e che un tempo arredavano Villa Frescot e Villar Perosa a
Torino e una residenza di famiglia a Roma, e ora reclamate dalla figlia
Margherita, unica erede dei beni immobili dopo la morte della madre e
moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale ne
aveva l'usufrutto.
E' quanto risulta in sintesi da una relazione depositata alla Procura di
Milano dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf
nell'inchiesta che ha portato il gip Lidia Castellucci ad archiviare la
posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore accusati
di ricettazione e a disporre, su suggerimento di Margherita nella sua
opposizione alla richiesta di archiviazione, ulteriori accertamenti.
L'informativa delle Fiamme Gialle è stata redatta in base alle
testimonianze, riportate nell'atto, di Paola Montalto e Tiziana Russi,
persone di fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate
degli inventari dei beni ereditati. Le due donne, sentite come una terza
persona al servizio della moglie dell'Avvocato, hanno ricostruito che
quelle tele di artisti del calibro di Monet, Picasso, Balla e De Chirico
erano alle pareti dell'appartamento romano a Palazzo Albertini-Carandini,
di cui Margherita ha la nuda proprietà, e che furono poi donate ai tre
nipoti John, Lapo e Ginevra dalla nonna.
Dichiarazioni, queste, a cui è stato trovato riscontro: come è emerso
successivamente alle tre deposizioni, quasi tutte le opere d'arte sono
state trovate al Lingotto durante una ispezione della Guardia di
Finanza, delegata dalla Procura torinese nell'indagine principale
sull'eredità. Una invece sarebbe in una casa a St. Moritz e una sua
copia nella pinacoteca di via Nizza.
Dalle consultazioni di una serie di banche dati "competenti", in
particolare quelle del ministero della Cultura e la piattaforma S.u.e.
(Sistema uffici esportazione) è stato appurato che non ci sono state
movimentazioni illecite né esistono particolari vincoli sui quadri e che
il Monet, che si sospettava fosse falso, è stato sottoposto a una
perizia che ne ha acclarato l'autenticità.
Visto gli esiti delle nuove indagini, i pm milanesi coordineranno con i
colleghi di Torino, ai quali, non si esclude potrebbero trasmettere gli
atti per competenza. Sul caso fonti vicine a Margherita chiariscono che
"i quadri oggetto di denuncia nel procedimento di Milano (che prosegue)
non possono essere stati donati, in quanto Marella non ne aveva la
proprietà.
Peraltro, non risulta ad oggi formalizzato alcun documento di donazione.
Comunque, qualora le indiscrezioni fossero confermate, vi sarebbero atti
invalidi e verrebbe richiesta l'immediata restituzione delle opere che
sono e restano di proprietà di Margherita Agnelli". Una questione,
quella della proprietà, che potrà sciogliere solo la magistratura.
FAIDA EREDITÀ AGNELLI: IL GIALLO DEI 13 QUADRI E DEGLI ORIGINALI SPARITI
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano e Manuele Bonaccorsi per “il
Fatto quotidiano”
Diventa un giallo milionario […] la verità sulle opere della Collezione
Agnelli finite nell'inchiesta penale sull'eredità della vedova
dell’avvocato, Marella Caracciolo.
Secondo un’annotazione della Guardia di Finanza di Milano, consegnata al
procuratore aggiunto milanese Luca Fusco, 13 di quei quadri non
sarebbero infatti scomparsi dalle dimore italiane della dinastia (come
ha denunciato la figlia di Gianni Agnelli, Margherita), ma sarebbero
state donate dalla nonna Marella ai tre nipoti John, Lapo e Ginevra
Elkann e ora sarebbero “rintracciati e rintracciabili” in un caveau
della Fiat Security al Lingotto e in Svizzera.
Molto diverso, invece, ciò che emergerebbe dalle indagini che stanno
svolgendo la Procura e la Gdf di Torino, dopo un esposto di Margherita
contro i tre figli. Un fascicolo, al quale nei prossimi giorni sarà
allegato quello di Milano, che ha portato i pm torinesi a indagare i tre
Elkann per i “raggiri e gli artifizi” messi in opera per costruire una
“inesistente residenza svizzera” della nonna.
Nei sequestri effettuati lo scorso 8 febbraio, i finanzieri avevano
visitato anche un caveau nella palazzina storica Fiat del Lingotto, dove
erano conservati arredi di valore un tempo presenti nelle residenze
dell’avvocato di Villar Perosa, di Villa Frescot a Torino e
nell’appartamento di Palazzo Albertini davanti al Quirinale.
Il Fatto Quotidiano e Report […] hanno ricostruito però che gli
inquirenti torinesi hanno rinvenuto al Lingotto solo due originali, La
Chambre di Balthus e il Pho Xai di Gérome, e invece tre copie di modesto
valore di altri tre capolavori: il Glacons effect blanc di Monet, La
scala degli addii di Balla e il Mistero e malinconia di una strada di De
Chirico.
Ma dove sono gli originali? Secondo gli Elkann, […] sarebbero sempre
stati a Sankt Moritz, nella villa Chesa Alkyon dell’avvocato. Per il
momento, la Procura torinese sta approfondendo soprattutto le vicende
legate alla residenza svizzera di Marella e agli eventuali resti
fiscali. Ma è probabile che in un secondo tempo, […] i pm ordinino una
perizia per accertare l’esatta datazione delle copie.
Se emergesse, infatti, che esse sono state realizzate dopo il 24 gennaio
2003, giorno della morte di Gianni Agnelli, allora le indagini
potrebbero estendersi a verificare quando e come gli originali hanno
lasciato l’italia per la Svizzera e sostituiti con le copie. Se fosse
mai dimostrato che i tre quadri si trovavano in Italia, allora potrebbe
trattarsi di un reato. E anche piuttosto grave: esportazione illecita di
opere d’arte, punito dal Codice dei beni culturali con una pena dai 2 a
8 anni di reclusione.
Tutto potrebbe essere prescritto: ciò che invece non si prescriverà mai
è il diritto da parte dello Stato di rivendicare il rientro delle opere
in Italia, con un sequestro. A sostegno delle tesi degli Elkann, secondo
la Gdf di Milano, ci sarebbero anche le testimonianze di due segretarie
di Marella, Paola Montaldo e Tiziana Russi, e di un altro domestico che
avrebbero confermato come la nonna avesse donato quei quadri ai nipoti.
Qualcosa che contraddice l’elenco delle opere acquisito dal procuratore
aggiunto Fusco nel 2009, in un’altra inchiesta sull’eredità Agnelli, e
di cui Report e il Fatto Quotidiano sono entrati in possesso. Una lista
ritenuta veritiera da due personaggi chiave: colui che l’ha redatta,
Stuart Thorton, storico maggiordomo inglese di Agnelli, ed Emmanuele
Gamna, ex avvocato di Margherita che trattò la suddivisione delle opere
tra madre e figlia nel 2004.
Il documento riporta quotazione (assai al ribasso) e collocazione delle
opere. Il De Chirico si trovava a Roma: valore 7 milioni. Il Balla
anch’esso era nella Capitale: 2 milioni. C’era infine il Monet che
risultava essere a Villa Frescot: 8 milioni. L’originale non si sa dove
si trovi.
I quadri di Roma […] erano lì almeno fino al 2018, quando un
trasportatore, il torinese Giorgio Ghilardini, li prelevò: la bolla del
trasporto è stata sequestrata dai pm torinesi. Infine, il professor
Lorenzo Canova, direttore scientifico della fondazione De Chirico,
ricorda che il suo maestro, l’insigne storico dell’arte Mauro Calvesi,
aveva visto l’originale di Mistero e melanconia di una strada
nell’appartamento romano dell’avvocato.
“Me lo presterebbe per una mostra”, chiese il critico ad Agnelli.
“Preferirei di no, i quadri a volte voglio scambiarli, questo non voglio
sia notificato al ministero”, avrebbe risposto il “signor Fiat”.
[…] Margherita Agnelli ritiene […]che le opere le siano state sottratte
dall’eredità della madre Marella e, comunque, chiederà la nullità della
presunta donazione ai figli. Ma il punto non è questo. Quelle opere, a
chiunque spettino, devono rimanere in Italia. Così almeno dice la legge
[…]
|
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13; |
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per avere la newletter quotidiana
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto l'avv.Guido
Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia
mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento e' andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
( vedi :
https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
verbali assemblee
italiane azionisti EXOR :
https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx
verbali assemblee
italiane azionisti FIAT :
https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx,
che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
|
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
TU SEI UN
SOLDATO ?
COMUNICAMI cio'
pensi !
email
|
Riflessioni ....
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
vedi
PRESA DIRETTA 24.03.13
chi e' interessato mi scriva .
Suo. MARCO BAVA
I rapporti umani, sono tutti unici
e temporanei:
- LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
- Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
- E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
- Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
- Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
- LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
- PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
- L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
- MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
- L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
- IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
- LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
- la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
- SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
- QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
- L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
- IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
- L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
-
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
-
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
-
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
- IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
- Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
-
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
-
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
-
sapere x capire (15.10.11)
-
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
-
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
-
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
-
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
-
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
-
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
-
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
-
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'obiettivo di
questo sito e una
critica costruttiva PER migliorare IL Mondo .
-
PACE NEL MONDO
- BENESSERE
SOCIALE
- COMUNIONE
DI TUTTI I POPOLI.
- LA
DEMOCRAZIA AZIENDALE
|
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09 |
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09) |
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
|
|
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO: |
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
08.03.16 |
VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
10°
Convegno
La
grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie
neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
Roma, 7
Dicembre 2019
Auditorium
Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del
Serafico 1 - Roma
alle ore
17,50
Vincenzo
Tarantino
Gino
Saladini
Elio
Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo
giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista,
Criminologo
Il
“suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali
criminologici e grafopatologici.
|
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
|
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10 |
LIBRI
SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI
www.detsortelam.dk
www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
|
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
|
|
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0
Thanks again,
Jennifer
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
17.12.23
Il Sole 24 Ore:
La Giovanni Agnelli Bv ha deciso
di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […]
identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo
Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre
blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici.
Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque
pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a
cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione
proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni
Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha
indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander
Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel
frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un
altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e
Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero
Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono
nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75
anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda
di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto
Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi).
Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo
non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.
Questa la nuova struttura
societaria della
Giovanni Agnelli Bv
per quote di possesso.
Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%
Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%
Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%
Ramo Giovanni Nasi: 8,7%
Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%
Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%
Ramo Susanna Agnelli: 4,7%
Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%
Ramo Emanuele Nasi: 2,5%
Ramo Clara Agnelli: 0,28%
Azioni proprie: 8,2%
Dovranno andare avanti le
indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni
Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma,
sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di
Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità
lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo
in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla
richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le
testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari
dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un
gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione
in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati
trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a
Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere
utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta
da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent,
Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa,
gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo
«riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari
traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere
all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che,
quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di
inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno»
compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad
essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso
da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una
questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in
Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann,
come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito
essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando
l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare -
sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza
abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della
opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione
Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della
Dicembre», la società che fa capo agli eredi.
Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air
Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica
dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta
autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.
Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe
fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica
italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40
anni.
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LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
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deve
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e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
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caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
MARCO BAVA
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ENRICO CUCCIA ----------MARCO BAVA |
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ULTIMO AGGIORNAMENTO
09/11/2024 01.01.49
MESSA DI
RICORDO DELL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI
16.11.24
ORE 18 PARROCCHIA S.MARIA GORETTI
V ACTIS 20
ANG V PIETRO COSSA TORINO
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Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,47-54
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri
dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e
approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: "Manderò loro profeti e apostoli
ed essi li uccideranno e perseguiteranno", perché a questa generazione
sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio
del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso
tra l'altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a
questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della
conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi
l'avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo
in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli
insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa
bocca
PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E
Alexei Navalny IN PARADISO
https://twitter.com/i/status/1763518366122168632
In linea con l'omicidio di Gesu' Israele
continua ad uccidere e dal patto con DIO e' passata a quello con satana.
Il termine Palestina venne adoperato per la prima volta da
Erodoto, ma soltanto per riferirsi alle zone costiere dell’antico
insediamento filisteo.
Successivamente, nel 135 d.C., venne nuovamente adottato dall’Imperatore
Adriano con l’obiettivo di cancellare il carattere ebraico della
Terra d’Israele.
A quei tempi l’area abitata dagli ebrei veniva definita Giudea, come
attestano Plutarco, Tacito e Svetonio all’inizio del II secolo.
Il termine “palestinese” non è presente nell’antichità e ancora
Gerolamo, nel V secolo, si dimostra consapevole dell’uso del termine
Giudea,
tanto da scrivere: “Judaea quae nunc appellatur Palaestina”.
La terra d’Israele è stata rappresentata “geograficamente” sin dai tempi
di Rashi, ovvero Rabbi Shlomo Yitzhaki (1040-1105): alcuni suoi
scritti contengono infatti mappe schematiche ispirate ai racconti
biblici.
Sarà tuttavia il sionismo a imprimere una svolta importante agli studi
geografici della Terra d’Israele: tra i primi cartografi che possiamo
far
rientrare in questo filone troviamo Eliezer ben Yehudah.
Nel 1833 scrisse un volume, “Sefer Eretz Israel”, in cui descriveva nei
dettagli gli aspetti naturali, il clima, la flora e la Inoltre, nel 1919
vide
la luce la carta “Repubblica della Terra d’Israele”.
Il 2 novembre di due anni prima aveva visto la luce la “dichiarazione
Balfour”.
Si tratta di un documento ufficiale, anche se sotto forma di lettera,
inviato dal ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord
Rotschild,rappresentante della comunità ebraica e del movimento sionista, con il
quale il governo britannico esprimeva la volontà di creare un
“focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, nel rispetto
dei diritti civili e religiosi di tutti i residenti.
Al termine della Prima guerra mondiale la Gran Bretagna ottiene dalla
Società delle Nazioni il “Mandato sulla Palestina” e subito riconosce
la linea di demarcazione del 1906 quale confine tra la Palestina
britannica e l’Egitto.
Nel 1921 stabilisce una suddivisione tra est e ovest, facendo così
nascere nel 1922 la Transgiordania palestinese a est del fiume Giordano
e
della valle dell’Aravà.
Nonostante ancora nel 1925 la Commissione Permanente per i Mandati della
Società delle Nazioni avesse ribadito che uno dei motivi per cui
era stato conferito il Mandato per la Palestina era quello di “portare
avanti i princìpi essenziali contenuti nel Mandato” e, quindi, anche la
creazione di uno Stato ebraico, gli inglesi negli anni cruciali tra il
1937 e il 1947 imposero notevoli restrizioni all’immigrazione ebraica.
Tuttavia, nonostante la disillusione dovuta al “tradimento” inglese, nel
1947 i leader sionisti furono pronti ad accettare un’ulteriore
spartizione territoriale di ciò che restava della Palestina mandataria:
quella della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’Onu.
Mentre i leader ebrei accettano, la Lega araba rifiuta e – dopo iniziali
scontri sul campo tra ebrei e arabi – gli eserciti di Siria, Libano,Transgiordania, Iraq ed Egitto scatenano una vera e propria guerra, a
otto ore dalla nascita d’Israele il 14 maggio 1948.
Guerra con cui verrà di fatto sancita l’abolizione del piano di
spartizione e la nascita di nuovi confini: l’Egitto conquista e occupa
quella
porzione di territorio che verrà successivamente chiamato Striscia di
Gaza e lo mantiene sotto il suo controllo sino al 1967, mentre la
Giordania conquista, occupa e annette la Cisgiordania e la parte
orientale di Gerusalemme, compresa la Città Vecchia e il quartiere
ebraico
che, da quel momento e sempre sino al 1967, diventano luoghi
inaccessibili agli ebrei.
In questi anni né Egitto né Giordania si preoccupano di favorire la
nascita dello Stato palestinese sui territori da loro conquistati.
Le linee armistiziali derivanti dalla fine dei combattimenti vengono
segnate sulla carta da un pennarello verde, da qui il nome di “lineaverde”.
Non si tratta pertanto di confini, ma di linee che demarcano il punto in
cui si trovavano gli eserciti il giorno in cui è stato accettato il
cessate
il fuoco.
Linee che avrebbero dovuto essere temporanee, in attesa dei trattati di
pace che le avrebbero modificate seguendo opportune considerazioni
geografiche e le esigenze delle popolazioni locali.
Così, di guerra in guerra, di armistizio in armistizio, le linee di
demarcazione tra i contendenti sono continuate a mutare nel corso degli
anni.
In tutto ciò come hanno reagito i palestinesi?
Pur senza una forte leadership, gli arabi palestinesi avevano fatto
sentire la loro voce all’interno della Lega araba, quando era stato
deciso il
rifiuto alla spartizione del territorio e, ancor prima del 1967 –
momento a partire dal quale la Striscia di Gaza e la Cisgiordania
passano sotto
amministrazione israeliana – i palestinesi avevano dato vita all’Olp
(Organizzazione per la liberazione della Palestina) sotto la guida di
Yasser Arafat, allo scopo di eliminare la presenza dello Stato d’Israele
dall’area.
Soltanto a partire dal 1967 i palestinesi sembrano ritrovarsi attorno
all’ideale di creare uno Stato palestinese indipendente, secondo le
linee
armistiziali del 1949.
*Queste noterelle sono debitrici di alcuni scritti di Daniela Santus,
docente di Geografia culturale all’Università di Torino, pubblicati sul
Foglio.
PROPOSTA AI PARTITI DI COSTITUIRE IL FRONTE ANTIFASCISTA GIACOMO
MATTEOTTI
PER LA TRIOLOGIA DELLA PACE:
-
PACE NEL MONDO
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BENESSERE SOCIALE
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COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI
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LA VERITA' SULLA FIAT E LA
FAMIGLIA AGNELLI, PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA
VERITA':
-
GABETTI, GRANDE STEVENS,
DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.
-
L'AVVOCATO ED UMBERTO NON
HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI
GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.
-
GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA
MARELLA CON JAKY hanno danneggiato la FIAT.
-
GIANNI AGNELLI
FREQUENTAVA BOBBIO , YAKY ELON MUSK.
-
CARO YAKY GESU' AVEVA
AUTOREVOLEZZA NON AUTORITA' ed il fatto che citi piu' spesso
Marchionne che tuo nonno dimostra quanto poco avevate in comune.
LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI
ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE
COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI
DOCUMENTi
SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS
RINVIO GIUDIZIO TRIBUNALE ROMA
DI ANDREA AGNELLI 2024
il mio libro sui Piani
INDUSTRIALI FIAT. OLIVETTI, PININFARINA, BUZZI...
LA MIA TESI DI
LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI PER AGIOTAGGIO
CON SENTENZA NEL 1912
VEDETE
COME LAVORA UIBM
CHE MI HA BLOCCATO OGNI ATTIVITA' MENTRE CON EUIPO RIESCO A LA LAVORARE
NORMALMENTE
CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf |
Presentazione del libro “JUVENTUS SEGRETA”, autore Gigi MONCALVO
Martedì 5 marzo, alle ore 18, nella Sala Musica del Circolo dei Lettori
di Torino
VIDEO:
https://youtu.be/jfPFSm35_W0
ALTRI VIDEO
SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI :
https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/
https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8
https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w
https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc
https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4
Dongfeng a TORINO : credo
sia bipolare promuovere la produzione cinese a TORINO se si vuole
mantenere anche quella della Fiat che invece appena arriveranno i cinesi
scaricherà su di loro i lavoratori.
Intanto Urso , che e' scappato quando gli ho chiesto
perché dei cinesi , Cirio e Tronzano che da 1 anno non rispondono
alla mia proposta di BMW e Toyota per fare entro
il 2028 l'auto ad H2 e la rete H2, DIMENTICANO LA PRODUZIONE CINESE
DEL COVID SU PROGETTO USA E CHE LA CINA E' ALLEATO DELLA RUSSIA NEI
BRICS.
LA FIAT NON VOLEVA FARE LAVORARE GIUGIARO MA
La Hyundai celebra
il traguardo dei 100 milioni di veicoli prodotti con una cerimonia
presso la fabbrica coreana di Ulsan. La Casa coreana, che solo nel 2013
ha festeggiato le 50 milioni di unità, ha ottenuto questo risultato in
57 anni di carriera, alcuni dei quali trascorsi prima di entrare nei
principali mercati internazionali. La vettura numero 100.000.001 è una Ioniq
5, a testimonianza dell'impegno verso l'elettrificazione.
La Pony del 1975. La fabbrica di Ulsan è uno degli elementi chiave
del successo della Hyundai: inaugurata nel 1968, ha dato il via alla
vera crescita del marchio a partire dal 1975, quando è iniziata la
produzione della prima generazione della Pony disegnata da Giorgetto
Giugiaro. La Pony era la prima auto coreana prodotta in serie, non
derivata da modelli esteri ed è stata celebrata dalla Hyundai nel 2023
con la rinascita della Concept
Coupé del 1974.
|
08.11.24
-
Il dramma nel Pinerolese, il ragazzino è ora ricoverato in gravi
condizioni al Regina Margherita L'adolescente, che frequenta la
terza media, ha lasciato un biglietto dove spiega il suo gesto
Prende brutti voti a scuola a 13 anni si getta dalla finestra
gianni giacomino
Un 13enne residente nella zona del Pinerolese sta lottando
per rimanere aggrappato alla vita in un lettino del reparto di
rianimazione del Regina Margherita. L'altro pomeriggio si è gettato
dal quarto piano del palazzo in cui abita. All'origine del suo gesto
disperato ci sarebbero i brutti voti a scuola.
L'adolescente, che frequenta la terza media, avrebbe lasciato un
biglietto per i genitori sulla scrivania della sua cameretta dove
spiegava, in poche righe, come all'origine della sua decisione ci
sarebbe proprio il rendimento scolastico insufficiente.
Ieri è già stato sottoposto ad un intervento chirurgico durato
diverse ore nel quale gli ortopedici del Regina Margherita hanno
stabilizzato le fratture che l'adolescente ha riportato in diverse
parti del corpo. Al momento resta in prognosi riservata. Il quadro
clinico resta molto complicato anche a causa di un trauma toracico
e, solo nelle prossime ore, verrà rivalutata la situazione. Per
fortuna sembra che il ragazzino non si sia procurato lesioni alla
testa.
L'allarme lo hanno lanciato alcuni passanti che, l'altra sera
intorno alle 17,30, quando era già buio, hanno visto il ragazzino
piombare nel vuoto da una decina di metri. L'impatto al suolo è
stato devastante. «Ho avvertito il rumore di un tonfo - racconta un
commerciante con l'attività proprio davanti alla palazzina dalla
quale si i gettato lo studente - ho capito subito che era successo
qualcosa di grave. Sono uscito e ho visto una scena davvero
straziante. Speriamo che quel ragazzo ce la faccia».
Pochi minuti più tardi lo studente è stato soccorso dai medici e
dagli infermieri del 118 che lo hanno stabilizzato e poi lo hanno
trasportato in ambulanza all'ospedale di Pinerolo. Da dove, qualche
ora dopo, vista la gravità delle sue condizioni a causa dei traumi,
è stato trasferito in elicottero al Regina Margherita.
Sull'ennesimo tentativo di suicidio che vede protagonista un
adolescente ora indagano i carabinieri della Compagnia di Pinerolo
che, l'altro pomeriggio, sono intervenuti con diverse pattuglie del
nucleo radiomobile. In queste ore gli investigatori stanno cercando
di ricostruire cosa sia successo nelle ultime ore, o negli ultimi
giorni, per spingere il ragazzo a un gesto così atroce. Forse il
13enne - che probabilmente era solo in casa - temeva di non arrivare
preparato all'esame, forse un rimprovero di troppo, forse una
pressione scolastica eccessiva.
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Militari corrotti, depistaggi, omertà "Il pescatore l'abbiamo
sistemato"
Romolo Ridosso Ex capo clan oggi pentito
Annamaria Ferraiolo Giudice indagini preliminari
Grazia Longo
Roma
Dalle 404 pagine dell'ordinanza non emerge l'esecutore materiale per
la morte del sindaco-pescatore Angelo Vassallo. Ma il quadro è
ugualmente inquietante perché si delinea il sospetto di carabinieri
corrotti - in particolare il colonnello Fabio Cagnazzo, 54 anni - al
punto da organizzare un delitto. E cosi se l'imprenditore Giuseppe
Cipriano, 56 anni, è accusato, oltre che di concorso in omicidio, di
aver gestito il traffico di droga ad Acciaroli, zona di movida nel
Cilento, l'alto ufficiale dell'Arma è stato arrestato non solo per
aver coperto quel traffico in cambio di mazzette, ma addirittura per
aver contribuito anch'egli all'omicidio di Vassallo e per aver
depistato le indagini.
Oltre che a Cipriano e Cagnazzo sono finiti in carcere anche l'ex
brigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi, 62 anni, e Romolo
Ridosso, 63 anni, ritenuto esponente del clan camorristico
Ridosso-Loreto. E scorrendo l'ordinanza della gip del Tribunale di
Salerno Annamaria Ferraiolo si legge come i quattro uomini fossero
legati a doppio filo: «Nel corso dell'interrogatorio dell'8 giugno
2022 Romolo Ridosso riferiva che Giuseppe Cipriano affidava
l'organizzazione dell'omicidio del sindaco Vassallo a Lazzaro Cioffi
e alla "sua squadra", della quale faceva parte anche il colonnello
Cagnazzo il quale, in particolare, avrebbe fornito copertura dopo il
delitto».
Ridosso assicura: «Giuseppe Cipriano è convinto e straconvinto che
tutti i carabinieri che lui conosce, il maggiore Cagnazzo, Lazzaro
Cioffi stavano dalla sua parte. Nel senso che lo coprivano e lo
avrebbero coperto, che erano amici suoi». Alla domanda sul perché
Cagnazzo copriva Cipriano, Ridosso spiega «perché si pigliava i
soldi tramite Lazzaro. Cagnazzo era il primo personaggio, qualsiasi
cosa si faceva si doveva riferire a Cagnazzo».
In merito al delitto si scopre, poi, che Ridosso precisava di avere
appreso direttamente da Giuseppe Cipriano della sua volontà di
uccidere Vassallo. Ridosso a verbale dichiara: «Il 3 settembre 2010
durante l'ultimo viaggio Cipriamo mi disse chiaramente della sua
volontà di uccidere il sindaco Vassallo. Mi disse che con Vassallo
"se la sarebbe vista lui"». Si legge poi che Ridosso, secondo quanto
riferito da Eugenio D'Atri, ex compagno di cella di Ridosso,
aggiungeva «in maniera precisa e dettagliata di aver appreso che
l'omicidio del sindaco era stato organizzato da alcuni carabinieri
in particolare Lorenzo Cioffi e il colonnello Cagnazzo coinvolti in
un'attività di traffico di stupefacenti che il sindaco aveva
scoperto e intendeva denunciare».
D'Atri riferisce che Ridosso sosteneva che «il delitto era stato
organizzato da Cagnazzo nei minimi particolari, dalla fase esecutiva
sino al depistaggio». Ridosso, sempre secondo quanto afferma D'Atri,
definisce Cagnazzo «un dittatore capace di gestire i suoi uomini
fidati. Per Cagnazzo era insopportabile che Vassallo denunciasse il
traffico di droga, non solo nella prospettiva di una carcerazione ma
per la perdita dell'onore».
Molti sono, inoltre, i dettagli sull'attività di depistaggio che
avrebbe messo in campo Cagnazzo: si era anche avvicinato alla
famiglia della vittima che lo definiva «il nostro salvatore». Ma per
gli inquirenti quel rapporto di amicizia instaurato dopo la
tragedia, altro non era, che «un tassello di non trascurabile
rilievo della sua attività di depistaggio». L'ufficiale dell'Arma
avrebbe dirottato le indagini su uno spacciatore della zona, Bruno
Humberto Damiani, incriminato e poi scagionato. Prima del delitto
Ridosso, Cioffi e D'Atri sarebbero andati sul luogo del delitto per
accertarsi che non ci fossero telecamere.
Interessanti, poi, quei 23 minuti di buco nell'alibi del colonnello
Cagnazzo che la sera del delitto si trovava ad Acciaroli. Era
invitato al ristorante da alcuni amici ma si assentò per 23 minuti.
Dai tabulati telefonici si scopre che alcuni dei suoi amici lo
cercarono al cellulare per capire dove fosse. Scrive a proposito la
gip: «A circa 4 metri dall'auto nella quale si trovava il cadavere
di Vassallo veniva rinvenuta una sigaretta con il Dna di Cagnazzo».
Il colonnello disse che in quei 23 minuti forse era andato a
incontrare la figlia. Ma è stato smentito dall'ex moglie : «Quella
sera io e mia figlia eravamo a Napoli».
Sempre dall'ordinanza si evince, infine, la spietatezza in occasione
dell'assassinio di Vassallo, noto come il sindaco-pescatore. «Pure
il pescatore lo abbiamo messo a posto» sono le parole con cui Romolo
Ridosso «salutò» la notizia dell'avvenuta uccisione del sindaco.
Proprio a casa di Ridosso si sarebbe tenuto un incontro successivo
all'omicidio, secondo quanto riferito agli investigatori dall'allora
sua convivente, già testimone di giustizia, considerata attendibile
dagli investigatori della Dda di Salerno che, per oltre un decennio,
hanno cercato di far luce sull'omicidio.
La donna racconta agli investigatori di un incontro tra Cioffi,
Cipriano e Ridosso nell'abitazione di quest'ultimo a Lettere
(Napoli). I due ospiti arrivano sul posto a bordo di un Suv nero e
sono accolti da Ridosso, che intrattiene con loro una conversazione
privata. Al suo rientro in casa, parlando a voce alta da solo,
Ridosso afferma: «Pure il pescatore lo abbiamo messo a posto».
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Agenti perquisiti per associazione a delinquere, peculato e truffa:
in orario di lavoro ristrutturavano case private usando i loro mezzi
di servizio
La doppia vita dei poliziotti imbianchini sette indagati al reparto
mobile di via Veglia
giuseppe legato
caterina stamin
Poliziotti sì e anche esperti. Con funzioni di ordine pubblico
perché in forza a un reparto – il V° Mobile - deputato alla
sicurezza dei cittadini nei grandi eventi e nelle manifestazioni. Ma
anche giardinieri, artigiani, muratori e finanche imbianchini.
Magari in orario di lavoro e con mezzi e strumenti che appartengono
alla polizia utilizzati per fini privati. La doppia vita di sette
agenti in forza alla caserma di via Veglia, al confine tra Torino e
Grugliasco, è finita in un'inchiesta del pm Giovanni Caspani e
dall'Aggiunto Enrica Gabetta che coordina il pool che indaga sui
reati contro la pubblica amministrazione. Ieri mattina sono scattate
– e durate fino al pomeriggio - le perquisizioni a casa degli
indagati. Con accuse pesanti formalizzate in un decreto lungo tre
pagine: associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla
truffa ai danni dell'amministrazione di appartenenza. E invasioni di
edifici.
Da settembre del 2022 e fino a pochi giorni fa dicevano di essere in
servizio, ma – forse anche per arrotondare lo stipendio - andavano a
lavorare per conto di privati (dietro pagamenti ovviamente non
tracciati). Dopo mesi di articolate indagini gli investigatori della
polizia giudiziaria (Polizia di Stato) in forza alla procura li
hanno incastrati. Con video eloquenti girati durante appostamenti
mentre a bordo di un Ducato e un Turbo Daily scaricavano detriti da
ristrutturazioni edili finanche in locali di competenza del reparto
Mobile come - ad esempio - l'ex falegnameria che non solo erano
utilizzati indebitamente, ma anche chiusi a chiave rendendoli di
fatto indisponibili alla polizia stessa. Erano dunque dei magazzini
si apprende dagli investigatori.
Dentro, erano custodite anche le attrezzature utilizzate per
svolgere i cantieri presso privati procacciati grazie alle
segnalazioni di amici e colleghi. Opere a volte importanti, altre di
piccola manutenzione. Nelle carte dell'inchiesta sono finite così le
foto di elettrodomestici tra cui frigoriferi, macerie da demolizione
di interni, conferiti in diverse discariche per ingombranti e inerti
gestite dall'Amiat in città. Tutto – secondo l'accusa – sarebbe
avvenuto anche in orario di servizio. E da qui la contestazione
degli inquirenti «di un ingiusto profitto - si legge nel titolo di
reato notificato ai sette - pari all'importo lordo corrispondente
allo stipendio e ai contributi pensionistici ottenuto grazie ad
artifici e raggiri». Migliaia di euro secondo i primi conteggi. Al
momento non sono noti eventuali provvedimenti di sospensione dal
servizio che vanno comunque adottati dall'amministrazione di
appartenenza che è comunque individuata dai pm come parte offesa, ma
si apprende che sarebbero state loro ritirate le armi di servizio in
via cautelare. Forse solo un primo passo.
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Carabiniera nasconde decine di denunce Il pm chiede un anno e mezzo
di carcere
Se si indossa la divisa da carabiniere, è lecito accumulare
in un armadietto decine di denunce senza trasmettere le rispettive
notizie di reato alla Procura? E si può invocare a propria discolpa
la carenza di organico? Sono queste le domande a cui dovrà
rispondere il Tribunale di Torino nel processo a carico di Roberta
D'Ambrosio, carabiniera fino al 2021 in servizio presso la caserma
di Chieri. Il pm Paolo Toso l'accusa di rifiuto di atti d'ufficio
per aver lasciato per anni un plico con decine di verbali di
denuncia dentro un armadietto. A ritrovarli, nel 2022, è stato un
militare che ne ha preso possesso dopo che la collega era andata a
lavorare altrove.
L'imputata (difesa dall'avvocato Roberto Beretta) avrebbe riferito
che quelle custodite nell'armadietto erano pratiche vecchie da
archiviare. In realtà per il pm, che ieri ha chiesto 1 anno e mezzo,
dovevano essere trasmessi «senza ritardo».l.lop
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Pene fino a 8 anni per gli imputati che avevano preso il controllo
della cooperativa Liberamensa
'Ndrangheta nel bar del Tribunale Condannati boss e colletti bianchi
ludovica lopetti
Si è concluso con sette condanne e un'assoluzione in primo grado il
filone con rito abbreviato del processo nato dall'inchiesta della
Direzione distrettuale antimafia che ha scoperto gli interessi della
‘ndrangheta nella gestione del bar del Palazzo di Giustizia. I pm
Francesco Saverio Pelosi e Paolo Toso hanno ricostruito la ragnatela
che ha permesso a Rocco Pronestì, Rocco Cambrea e Crescenzo D'Alterio
di acquisire il controllo della cooperativa Liberamensa, che si era
aggiudicata l'appalto del Comune per gestire la caffetteria anche
impiegando detenuti nello staff. Il primo è uno storico appartenente
alla criminalità organizzata del Piemonte e da anni legato ai
maggiori esponenti della 'ndrangheta locale, il secondo è già stato
condannato in via definitiva per 416 bis, il terzo è considerato
uomo molto vicino a Pronestì. Ieri il gup ha inflitto 8 anni e 5
mesi a quest'ultimo, 7 anni a Cambrea e 6 anni e 2 mesi a D'Alterio.
Gli imputati (difesi tra gli altri da Rocco Femia e Stefano
Castrale) rispondevano a vario titolo di usura, estorsione,
associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e
intestazione fittizia di beni. Silvana Perrone, ex presidente del
cda di Liberamensa, è stata condannata a 10 mesi e 20 giorni per
trasferimento fraudolento di valori, mentre è caduta l'aggravante di
aver agevolato la mafia. Al commercialista Gianmaria Gallarato sono
stati inflitti 13 mesi: per la Procura con la sua expertise ha
aiutato Pronestì, Cambrea e D'Alterio a eludere le misure di
prevenzione che impedivano loro di possedere imprese e quote
societarie. Il gup ha condannato anche due soggetti indicati come
"teste di legno" dagli investigatori: Raffaele Macchia, coinvolto
anche in episodi di estorsione (5 anni e 10 mesi), e Mauro Amoroso
(10 mesi e 20 giorni).
Nelle carte si parla di appalti e colletti bianchi, ma anche di
prestiti a usura ed estorsioni messe a segno con i metodi "classici"
come minacce, pressioni e intimidazioni. Nell'ambito dell'inchiesta,
a luglio 2023, gli investigatori hanno messo i sigilli al bar
interno al Palagiustizia e nel registro degli indagati è finita
anche Silvana Perrone, ex presidente del cda della coop liquidata
dopo il Covid: subentrata nella compagine societaria durante il
pre-dissesto, a settembre 2020 ha concertato con D'Alterio il
subentro di due prestanome nel cda. In seguito, secondo gli
inquirenti, D'Alterio sarebbe rimasto "il regista occulto" e avrebbe
usato la coop per offrire lavoro a persone vicine alle ‘ndrine,
all'occorrenza. Il controllo era talmente saldo da far dire a
Pronestì, intercettato: «È società nostra». Per questo la "signora
dei migranti" doveva rispondere di un aggravante mafiosa non
riconosciuta al momento dai giudici di primo grado.
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07.11.24
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MUSK IL CAPO DI TRUMP:
Quando Giorgia Meloni arriva nello stadio di Budapest l'operazione
per ricollocare l'Italia dopo la vittoria di Donald Trump è già
ampiamente in atto. La premier non si è schierata apertamente con il
nuovo presidente durante la campagna elettorale e ha chiarissimi i
rischi della transizione dei poteri. Ma con i suoi collaboratori,
arrivando al vertice della Comunità politica europea ospitato dall'eurotrumpiano
Viktor Orban, crede che l'equilibrio mostrato in questi mesi abbia
pagato, come dimostra la telefonata con Trump di mercoledì sera.
Politico, la testata più letta a Bruxelles, lo dice chiaramente:
Meloni e Orban sono i «veri vincitori delle elezioni americane».
Così, ora si tratta di gestire questa fase. Se il leader ungherese
non maschera l'entusiasmo e racconta dei suoi brindisi con la vodka
per festeggiare il trionfo dell'alleato americano, la presidente del
Consiglio italiana resta più coperta, ma con una certa convinzione
di poter aprire una fase nuova. Il paragone con la situazione dei
governi dei principali Paesi Ue giustifica questo ottimismo,
Francia, Germania e Spagna, per motivi diversi vivono momenti
complessi.
Dopodiché, spiegano fonti di governo, l'Italia soprattutto sulle
politiche commerciali, i temutissimi dazi, sarebbe pronta ad aprire
negoziati bilaterali con Washington. Scenari ancora prematuri,
perché l'imprevedibilità di Trump non consente fughe in avanti.
Nella cena al Parlamento ungherese sul Danubio che chiude la
giornata, la premier consegna un messaggio ai partner europei: «Non
bisogna avere paura di Trump». Secondo Meloni, infatti, in questa
fase l'Ue deve pensare alla sua autonomia strategica, senza
aspettare con panico le probabili azioni ostili della nuova
amministrazione Usa. E oggi a Budapest la premier si troverà accanto
il suo predecessore Mario Draghi, che discuterà con i leader dei 27
gli obiettivi del futuro dell'Unione europea, contenuti nel suo
rapporto. Draghi e Meloni oggi parleranno con la stampa praticamente
in contemporanea. La coincidenza ha suscitato qualche malizia: la
prima convocazione arrivata ai giornalisti è quella dell'ex
presidente della Bce, «poco prima delle 10». Passano meno di dieci
minuti e Palazzo Chigi annuncia le dichiarazioni della premier «alle
9.30».
I movimenti post elezioni iniziano quasi all'alba: prima delle otto
del mattino la premier, non senza enfasi, comunica sui propri
profili social di aver avuto una conversazione con Elon Musk. Di per
sé non è una novità, il magnate è un interlocutore ormai fisso della
presidente del Consiglio, ma dopo il 4 novembre, questo colloquio
assume un'altra dimensione. Tanto più che il magnate non tenero con
gli altri europei, e ieri in un tweet ha definito Scholz uno
«stupido». «Sono convinta – scrive la presidente del Consiglio nel
post – che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare
un'importante risorsa per gli Stati Uniti e per l'Italia, in uno
spirito di collaborazione volto ad affrontare le sfide future». Musk,
ormai in maniera plastica è, fra le varie cose, l'azionista di
maggioranza della Casa Bianca e non si può più prescindere da questo
aspetto. Meloni in questa fase è attenta a non mischiare i piani,
c'è l'aspetto tecnologico e degli investimenti e quello direttamente
politico, «la telefonata con Elon non c'entra con la strategia della
politica estera», spiega parlando con i suoi alleati. Eppure è
proprio dal mondo di Musk che si creano delle connessioni: «L'Italia
può e deve ritagliarsi un ruolo da protagonista nei settori del
futuro – dice Andrea Stroppa, il braccio destro del proprietario di
X -. Diventare il partner europeo privilegiato deve essere
l'obiettivo». Parole chiare, che si presentano però a una doppia
lettura. La politica c'è ma resta sullo sfondo. Negli ultimi mesi ci
sono state trattative fra il governo e Tesla per la produzione in
Italia di camion e furgoni elettrici. Nel governo c'è, poi, la
speranza concreta che si concluda presto l'accordo con Starlink, la
costellazione di satelliti di SpaceX per fornire servizi internet a
banda larga nelle aree scarsamente servite da altre reti. Un appalto
finito al centro di un'inchiesta per corruzione in cui è spuntato il
nome dello stesso Stroppa.
A Budapest, è inevitabile, si è parlato anche di migranti. Orban che
si vanta di essere «l'unico leader sopravvissuto» all'ondata di
profughi del 2015 manda un assist a Meloni. Secondo il premier
ungherese per affrontare l'immigrazione irregolare bisogna «uscire
dalla trappola costituita dall'attivismo dei giudici». E
nell'argomentare Orban aggiunge: «È la stessa situazione che si sta
verificando in Italia: i governi prendono decisioni, poi una Corte a
livello europeo decide negativamente». Accanto a lui annuisce Edi
Rama, il capo del governo albanese che ospita i centri per migranti.
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Guerra in libano
Quattro soldati dell'Unifil feriti in un raid
Un raid israeliano vicino alla città di Sidone ha colpito un autobus
e ha provocato la morte di tre persone, oltre al ferimento di tre
soldati libanesi e quattro membri del contingente di peacekeeping
delle Nazioni Unite. In una fotografia l'autobus con i contrassegni
dell'Unifil appare con il vetro alla guida crivellato di colpi.
Secondo quanto riferito dall'esercito libanese, l'attacco aereo è
stato compiuto da Israele nei pressi di un posto di blocco
all'altezza del fiume Awwali. I quattro caschi blu feriti sono
malesi. L'Unifil ha precisato che i peacekeeper sono stati curati
sul posto. Nelle scorse settimane gli avamposti dell'Unifil sono
stati colpiti più volte dai raid israeliani e da razzi di Hezbollah
finiti fuori bersaglio. —
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06.11.24
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critiche da calenda
Maserati, Tavares a Modena. Fiom: il governo ci aiuti
Il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, ha visitato ieri la Maserati a
Modena con il nuovo ceo del Tridente, Santo Ficili, il management
team e i sindacati. L'obiettivo dell'incontro, spiega Stellantis, è
sviluppare una crescita redditizia per l'unico marchio di lusso del
gruppo. Davanti ai cancelli si è presentato anche il leader di
Azione Carlo Calenda, che ha polemizzato con Tavares che non ha
potuto incontrarlo. «Siamo spiacenti di non aver potuto accogliere
il senatore a causa di vincoli di agenda» spiega Daniela Poggio (Stellantis
Italia) sottolineando che «saremmo lieti di ospitarlo, trovando
insieme la data migliore». Critici i sindacati. Per la Fiom «non ci
sono risposte, intervenga il governo». E la Fim conclude: «Va
rilanciata con nuovi modelli». —
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Poirino, protestano i dipendenti di Denso e Teksid: "È uno scandalo:
paghiamo per un servizio che non ci viene dato"
L'autobus non va a prendere gli operai "Lasciati di notte davanti
alla fabbrica"
erika nicchiosini
A piedi dopo il turno di lavoro. Costretti, quando possibile, a
chiedere passaggi a colleghi o colleghe o ricorrere ad un parente
per tornare a casa. Un problema che si è ripetuto in alcune
occasioni nelle ultime settimane per gli operai della Denso di
Poirino e la Teksid di Carmagnola, che utilizano i mezzi pubblici di
«Chiesa Viaggi» per raggiungere il posto di lavoro.
Un drappello di persone - «variamo dai 3 ai 5 agli 11 lavoratori a
turnare al pomeriggio» raccontano - utilizzano il bus che percorre
la tratta Carmagnola-Poirino. «Paghiamo regolarmente un abbonamento
settimanale di 13,50 euro, in parte coperto dall'Agenzia per la
Mobilità, ciò nonostante in alcune occasioni non ci è stato fornito
il mezzo per tornare a casa – sostengono i lavoratori, soprattutto
donne - Succede soprattutto con il turno del pomeriggio che termina
alle 22. La scorsa settimana, mercoledì, quando una collega ha
scoperto di essere rimasta a piedi, abbiamo chiesto agli impiegati
in guardiola e anche provato a telefonare in azienda per chiedere
spiegazioni, ma ci è stato detto che per poche persone il pullman
non si muove».
Il problema è diventato più pressante da quando la Denso di Poirino,
specializzata nella produzione di sistemi di condizionamento per
automobili, ha annunciato la cassa integrazione. «Ma alcuni episodi
si sono verificati già prima delle ferie estive, e in un'occasione
anche al termine del turno del mattino, alle 14 – ripercorrono -.
Per noi avere un mezzo che ci aspetta a fine turno è indispensabile
perché alcuni di noi non hanno l'auto o semplicemente serve ai
familiari. Non viaggiamo in bus per divertimento, ma per andare a
lavorare».
I pullman che servono i lavoratori impiegati nelle aziende, sono
due, spiegano ancora le lavoratrici, «uno messo a disposizione dalla
Denso e che percorre la tratta Carignano, La Loggia e Vinovo e
quella che utilizziamo noi. Purtroppo con la cassa integrazione i
turni di molti sono stati spostati al mattino, ma per esigenze di
lavoro l'azienda può chiedere di fare anche il pomeriggio. Siamo in
pochi. Alcuni hanno rinunciato a prendere il bus e cominciato a
organizzarsi diversamente. Ma chi resta cosa deve fare?». Cosa
chiedete? «Rassicurazioni sul servizio».
La Chiesa Viaggi, a Carmagnola, è un'istituzione e non si occupa
solo di trasporto pubblico locale, ma anche di noleggio autobus e
gran turismo. I titolari, non ci stanno: «Abbiamo avuto un colloquio
con l'Agenzia della mobilità, che contribuisce al servizio, dove
abbiamo rappresentato le difficoltà che come ditta stiamo
affrontando. Chiederemo un incontro alla Denso, per chiedere la
rimodulazione dei turni di cassa integrazione spostandoli
preferibilmente al mattino. Così che sia più semplice anche per noi
garantire un servizio che è costoso. La mia è una ditta con 60 anni
di esperienza, faccio questo tipo di trasporto da 25. Sì, è successo
due volte di aver lasciato la persona a piedi al termine del turno
pomeridiano, ma era comunque stata avvisata per via telefonica, ma
come posso spostare un pullman e un autista, che sono già pochi, per
una sola persona? Viviamo di abbonamenti, siamo in crisi anche noi».
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TRUFFA ALLO STATO DI 6,7 MILIONI, GDF IN BANCA PROGETTO
(ANSA) - Per un prestito di 6,7 milioni di fondi garantiti dallo
Stato ottenuti da Banca Progetto tramite documentazione falsa sono
in corso tre misure cautelari, di cui due arresti, in una indagine
della procura di Brescia, parallela ad una della procura di Monza
per la quale anche sono in corso di esecuzione provvedimenti, tra
cui misure cautelari.
Tra le accuse contestate ci sono la truffa aggravata, la bancarotta
e l'autoriciclaggio. Inoltre la Gdf sta effettuando una serie di
perquisizioni, anche nella sede della banca indagata, dove sta
acquisendo i modelli organizzativi in base alle legge sulla
responsabilità amministrativa degli enti.
TRUFFA ALLO STATO, ARRESTATO IL FRATELLO DI UN PM ANTIMAFIA4
(ANSA) - Il promotore finanziario che lavorava per conto di Banca
progetto arrestato a Brescia nell'ambito di un'inchiesta per truffa
è Marco Savio, fratello del magistrato della direzione nazionale
antimafia Paolo Savio. Quest'ultimo è completamente estraneo alle
indagini. Ai domiciliari anche il braccio destro del promotore
finanziario, Diego Galli, 56 anni, mentre è stato disposto l'obbligo
di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di Federica
Burzio, 34enne ritenuta dagli inquirenti la factotum del gruppo.
BANCA PROGETTO, SIAMO PARTE LESA NELL'INDAGINE PM BRESCIA
ISTITUTO CONFERMA LA VOLONTÀ DI COLLABORARE CON I MAGISTRATI
(ANSA) - Banca Progetto Spa, in relazione a notizie di stampa
diffuse in data odierna relative a indagini della Guardia di Finanza
di Brescia precisa di essere parte lesa nella vicenda" e dunque di
non essere indagata. Lo precisa in una nota l'Istituto in merito
all'indagine della procura di Brescia. "La Banca - prosegue la nota
- conferma la propria volontà di collaborare con la GDF e le
autorità competenti" e "si riserva di assumere ogni più opportuna
iniziativa, anche in relazione alla diffusione di notizie false e
diffamatorie per i danni che potrebbero arrecare all'Istituto
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05.11.24
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come funziona la macchina elettorale
1
Il voto indiretto per scegliere presidente e vice
2
I grandi elettori e il meccanismo distorsivo
Gli Swing States saranno l'ago della bilancia
3
Gli statunitensi non eleggono direttamente presidente e vice, ma
scelgono i cosiddetti grandi elettori. Nel Paese vige infatti il
sistema del collegio elettorale: gli elettori eleggono a livello
statale i grandi elettori, i quali a loro volta si riuniscono nel
Collegio elettorale che elegge il presidente e il vicepresidente. I
grandi elettori sono eletti su base statale e il loro numero è 538,
pari alla somma dei senatori (100, due per ogni Stato), dei deputati
(435, assegnati proporzionalmente al numero di abitanti) e dei 3
rappresentanti del Distretto di Columbia, in cui si trova la
capitale Washington. Il ticket (presidente e vice) vincente in uno
Stato ottiene tutti i voti di quello Stato, tranne in Maine e in
Nebraska, dove la distribuzione è proporzionale. —
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'analisi
L'errore fatale di uno Stato che libera i boss della mafia
palermo
Sono trascorsi più di trent'anni dalla terribile stagione
delle stragi di mafia che misero in ginocchio l'Italia e resero
fragile la nostra giovane democrazia. Una ferita profonda, tanto
violenta da far temere addirittura per la tenuta del Paese che,
però, resse l'urto soprattutto grazie alla decisa reazione delle
istituzioni che impiegarono le migliori risorse per fermare lo
strapotere mafioso. Lo Stato si dimostrò all'altezza e, per una
volta, usò la forza necessaria per combattere un nemico mostruoso in
passato galvanizzato da sottovalutazioni e inerzie istituzionali.
Cosa nostra, insomma, fu "normalizzata" fino a diventare debole come
raramente la si era vista. I boss furono strappati alle loro
latitanze dorate, molti beni illegali finirono nelle casse dello
Stato, picciotti e boss impararono a conoscere il carcere senza gli
sconti e la benevolenza in passato riservati ai mammasantissima
abituati a vivere in cella come al Grand'Hotel.
A quel punto magistrati come Falcone e Borsellino avrebbero
consigliato di insistere nel ridimensionare ulteriormente
l'associazione mafiosa, anche per non cadere nel fatale e ricorrente
errore di far riprendere fiato al mostro. La storia passata lo ha
dimostrato: Cosa nostra non muore facilmente ed è capace di una
ripresa rapida e incontrollabile.
E invece il "fatale errore" si ripresenta: una controproducente
ricerca di "ritorno alla normalità" (dopo anni di fruttuosa
emergenza) induce l'apparato repressivo a seguire le sirene di una
politica poco attenta. Così accade quello che in passato si è sempre
dimostrato un "regalo" alla mafia: abbassare la guardia e guardare
alle organizzazioni criminali come a fenomeni "normali".
Ed ecco le recenti scarcerazioni di boss e gregari di Cosa nostra,
alcuni stragisti con condanne definitive, anche ergastolani, oggi
liberi, o semiliberi o gratificati con permessi speciali, per aver
usufruito dei benefici riservati a "detenuti modello". Altri tornati
fuori dalle sbarre per decorrenza dei termini o, comunque, per
"inadempienza della giustizia" qual è, per esempio, il ritardo nel
redigere le motivazioni delle sentenze, senza le quali viene meno
una delle possibilità di ricorso degli imputati.
Ma entrambi i motivi di questo allentamento delle difese
istituzionali sono spie di un atteggiamento pericoloso da parte
della macchina preposta alla repressione mafiosa, perché tradiscono
una sottovalutazione del fenomeno. La presenza di agguerrite
organizzazioni criminali in una vastissima porzione di territorio
nazionale dovrebbe far riflettere sulla scelta di adoperare
strumenti giuridici condivisibili per "normali realtà criminali". Il
recupero del detenuto, per esempio, è obiettivo che nessuna persona
ragionevole potrebbe mettere in dubbio se vivessimo, specialmente al
Sud, una normale dialettica tra bene e male. Ma cosa c'è stato di
normale nella tragica nostra recente storia?
Sappiamo che il carcere è uno dei temi cruciali dell'essenza
mafiosa. Dice un vecchio adagio siciliano che "L'uomo d'onore è nato
per soffrire" e dunque mette nel conto un po' di anni di carcere.
Tre, quattro, anche di più, ma non il carcere vero. Quello no,
quello devono farlo i poveracci, i boss sanno di avere quasi diritto
a un trattamento più docile. Così funzionava prima: Masino Buscetta,
prima di pentirsi, scontava la sua pena nell'infermeria del carcere
dell'Ucciardone. E quando decise di evadere cosa fece? Convinse i
giudici di sorveglianza di essere un "altro uomo" rispetto alla
persona di prima, detenuto modello lo era e dunque ottenne la
semilibertà. Ovviamente dalla semilibertà passò alla libertà totale
in latitanza, in Brasile. I vari Galatolo, Alfano, Pullarà,
assassini e stragisti come quel Formoso condannato per la strage di
Milano e oggi semilibero, sono redenti? Nessuno di loro ha mai dato
prova di conversione visto che durante gli interrogatori non hanno
aperto bocca se non per declinare nome e cognome e basta. Ma sono
detenuti modello. Giusto, sopportano il carcere, proprio come deve
fare ogni uomo d'onore degno di questo nome. Il saper stare agli
arresti non sempre è sintomo di cambiamento, qualche volta
addirittura potrebbe essere affermazione di mafiosità. Chiedetelo a
chi sta rinchiuso da decenni senza mai essere sfiorato dal dubbio di
poter collaborare con lo Stato. —
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04.11.24
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Caterina Soffici
Iran, la studentessa sfida la polizia morale Protesta senza vestiti
dopo un'aggressione
Quando il corpo diventa uno strumento di protesta. E
un'immagine diventa un simbolo di libertà. Per ricordare al mondo
che le giovani donne iraniane lottano ancora ogni giorno per i
propri diritti e vengono picchiate e muoiono in carcere. Nel
silenzio più o meno generale, perché si preferisce parlare di
missili e di guerra, scordandoci spesso che parlare di Iran e di
regime vuol dire anche questo. Infatti è accaduto ancora, a Teheran.
Dove una studentessa dell'Università islamica Azad è rimasta in
mutande e reggiseno dopo essere stata aggredita dalla polizia morale
per aver indossato il velo in modo inappropriato. Lei in biancheria
intima e intorno donne avvolte da vesti e veli neri, un contrasto
poderoso.
La storia si ripete e sembra di essere in un giorno della marmotta,
dove ogni mattina le donne iraniane si svegliano e tutto ricomincia
come il giorno precedente. Abbiamo iniziato a raccontare di Masha
Amini due anni fa, la ragazza uccisa per aver indossato male il velo
che ha dato il via al movimento Donna Vita Libertà. Poi abbiamo
raccontato di donne che bruciavano il velo, di ragazze che cantavano
e ballavano, di donne che mostravano i capelli e che li tagliavano,
sempre in segno di protesta. Mai avremmo pensato di vedere una
ragazza in biancheria intima in un luogo pubblico iraniano.
È accaduto sabato e la notizia sta rimbalzando sui social di tutto
il mondo. Quella immagine è ormai un'icona. Capelli neri lunghi,
scalza, mutande a righe e reggiseno fucsia: questa ragazza mette il
suo corpo al servizio delle sue idee. Come fece quello studente
cinese che da solo, con le borse della spesa, si pose in piedi di
fronte alla colonna dei carri armati in Piazza Tiananmen. Il corpo
come strumento, come la Libertà di Delacroix, che a seno nudo guida
il popolo rivoluzionario. Il corpo nudo, come le Femen ucraine che
si spogliavano per protestare contro ogni tipo di discriminazione
del corpo femminile.
La ragazza è stata subito arrestata. E il direttore delle relazioni
pubbliche dell'università Amir Mahjoub ha scritto su X: «A seguito
di un atto indecente da parte di una studentessa dell'università, la
sicurezza del campus è intervenuta e l'ha consegnata alle autorità
di polizia. Il movente e le ragioni sono attualmente sotto
inchiesta».
Questa la verità ufficiale. Che in Iran non coincide mai con l'altra
verità, quella di chi combatte per la libertà. La prendiamo da Masih
Alinejad, l'attivista iraniana minacciata dal regime che vive in
esilio a New York. Sui social racconta: «Una studentessa molestata
dalla polizia morale della sua università per il suo hijab
"improprio" non si è tirata indietro. Ha trasformato il suo corpo in
una protesta, spogliandosi fino alla biancheria intima e marciando
per il campus, sfidando un regime che controlla costantemente il
corpo delle donne. Il suo gesto è un potente promemoria della lotta
delle donne iraniane per la libertà. Sì, usiamo i nostri corpi come
armi per combattere un regime che uccide le donne per aver mostrato
i capelli. Il fatto è accaduto all'Università di Scienze e Ricerca
di Teheran». In un aggiornamento spiega poi che le autorità iraniane
sostengono che la giovane donna soffre di una malattia psicologica
ed è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico.
Sempre dai social di Alinejad, perseguitata dal 2009, che guida un
movimento per combattere contro l'obbligo del velo: «L'accusa di
instabilità mentale è una tattica familiare della Repubblica
islamica. Nel 2014, quando ho lanciato la campagna My Stealthy
Freedom contro l'hijab obbligatorio, il regime ha usato bugie simili
contro di me, sostenendo che ho avuto un esaurimento mentale, mi
sono spogliata nella metropolitana di Londra e sono stata violentata
da tre uomini. Questo è il modo in cui cercano di indebolire chi si
oppone alla loro oppressione».
Il racconto di una studentessa, che ha assistito all'intero
incidente, contraddice totalmente la narrazione del regime: «Sabato
2 novembre abbiamo visto le forze di sicurezza dell'università e le
milizie morali cercare di trascinare con la forza una studentessa
nella sala di sicurezza, con il pretesto che non indossava un hijab
adeguato. La studentessa ha opposto resistenza e nella colluttazione
le è stata strappata la felpa, lasciandola con solo gli indumenti
intimi. Choccati, gli agenti di sicurezza l'hanno lasciata andare,
dopodiché, in un momento di rabbia, si è tolta i pantaloni e li ha
lanciati contro gli agenti». L'ennesima donna che rischia la vita in
prima persona con un coraggio non misurabile in una scala realmente
comprensibile nel nostro Occidente, dove la democrazia e la libertà
sono date per scontate. —
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L'omicidio nella città di Sfax, i testimoni dell'aggressione: "È
stata un'esecuzione. Sarebbe questo un Paese sicuro?"
Mohannad, il giovane attivista ucciso in Tunisia "Punito perché si
batteva per i diritti dei rifugiati"
Eleonora Camilli
Mohannad Saad Adam aveva 19 anni e un sogno: arrivare in Europa. Più
volte ci aveva provato, tentando la traversata via mare, prima dalla
Libia poi dalla Tunisia. Ogni volta era stato rimandato indietro, in
quell'inferno da cui scappava e in cui ha trovato la morte. Di lui
restano solo due foto, la prima, in cui accenna un sorriso, è un
selfie spedito alla famiglia, per dire che, anche se con difficoltà,
la sua vita a Sfax stava andando avanti. E che a lasciare il paese
ci avrebbe provato di nuovo, perché quello era l'unico modo per
salvarsi. La seconda, l'ultima, lo ritrae con la stessa maglietta
azzurra del primo scatto, macchiata però dal sangue delle ferite. È
accasciato a terra, gli amici lo scuotono per rianimarlo, ma non c'è
più nulla da fare. Colpito a morte.
«Era un attivista che si batteva per i diritti dei migranti, lo ha
fatto fino alla fine. È morto perché difendeva ciò che è giusto-
sottolinea David Yambio, presidente di Refugees in Libya, che per
primo ha denunciato il caso avvenuto una settimana fa-. Ho
conosciuto Mohannad nel 2021 in Libia, era poco più di un ragazzino.
Insieme abbiamo partecipato alle proteste davanti alla sede dell'Unhcr
in Libia, poi lui è stato arrestato e detenuto nel lager di Ain
Zara». Nel 2023 Mohannad si era poi spostato in Tunisia, dove aveva
continuato a denunciare la mancanza di tutela per migranti e
rifugiati. Le modalità del suo decesso non sono ancora chiare, ma
gli amici che erano con lui raccontano che si è trattato di
un'esecuzione. «Un gruppo di sudanesi si era avvicinato a una
fattoria per lavarsi la faccia - racconta Yambio -. A quel punto un
uomo è uscito di casa urlando frasi razziste e di andarsene, cosa
che hanno fatto, mentre lui sparava prima in aria e poi sulla folla.
Una persona è rimasta gravemente ferita. Così Muhannad è tornato sul
posto a chiedere spiegazioni e lo hanno ucciso a colpi di arma da
fuoco». Ma per il presidente di Refugees in Lybia la sua morte non è
un caso isolato: «La Tunisia è un paese molto pericoloso per i
migranti. Ogni giorno ci sono persone che vengono percosse o
minacciate. Il razzismo è generalizzato, i migranti specialmente i
neri sono tagliati fuori da qualsiasi forma di welfare, perfino
affittare una casa è difficilissimo. Come si fa a considerarlo un
Paese sicuro?».
Anche per l'ong Mediterranea saving humans, Mohannad «aveva sempre
continuato a lottare per la giustizia, a costruire solidarietà con
tutte le altre persone oppresse. Ed è stato assassinato in
circostanze misteriose. In quella Tunisia a cui i nostri governi
vogliono affidare il contenimento dei migranti».
Il caso dell'attivista sudanese ucciso riapre le polemiche sul
governo di Kais Saied, sul trattamento riservato ai subsahariani e
sull'accordo con l'Italia. Anche in vista dei nuovi trasferimenti di
migranti in Albania e di possibili rimpatri. «La Tunisia oggi non è
un Paese sicuro neanche per gli stessi tunisini, Saied ha portato a
una continua erosione dei diritti fondamentali, come la libertà di
espressione. Gli oppositori politici sono oggi in carcere -
sottolinea Sara Prestianni di EuroMed Rights - E poi c'è un clima di
terrore che riguarda anche i migranti subsahariani». Prestianni
ricorda il caso di Sonia Dahamani, avvocata e giornalista reclusa
per aver criticato la gestione dell'immigrazione e il problema del
razzismo diffuso nel paese. «La violenza legittimata dai discorsi
d'odio è solo una delle tante espressioni della deriva democratica
che caratterizza il paese, che non può essere considerato sicuro. Ci
sono anche delle sentenze che lo confermano».
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03.11.24
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'inchiesta di milano sul dossieraggio di equalize
"Abbiamo clienti top, contatti con i servizi" Giallo sui legami con
gli 007 di Palazzo Chigi
Milano
«Noi abbiamo la fortuna di avere clienti Top in Italia... i nostri
clienti importanti... contatti tra i servizi deviati e i servizi
segreti seri ce li abbiamo, di quelli lì ti puoi fidare un po'di
meno... però, li sentiamo, fanno chiacchiere, sono tutte una serie
di informazioni ma dovrebbero diventare prove». A parlare,
intercettato dai carabinieri, è l'esperto informatico Samuele
Calamucci, braccio destro operativo dell'ex poliziotto Carmine
Gallo, entrambi agli arresti domiciliari dal 25 ottobre.
Se siano veritieri o solamente millantati i rapporti dell'agenzia
d'investigazioni Equalize, in cui entrambi lavoravano, con
l'intelligence italiana difficile a dirsi. A suffragare il primo
scenario ci sarebbe, almeno, un incontro avvenuto negli uffici del
gruppo di via Pattari il 4 ottobre 2022.
I carabinieri del nucleo investigativo di Varese intercettano la
conversazione tra Gallo e gli agenti segreti. Il contenuto non
viene, però, trascritto negli atti d'inchiesta depositati alla Dda
di Milano e alla Procura nazione antimafia, ma solo sintetizzato:
«Gallo spiega che tipo di servizi offrono e che tipo di accertamenti
e consultazioni riescono a fare…vanta il fatto che rispetto ai loro
sistemi, lo Sdi non è nulla». Per accreditarsi agli occhi dei
presunti funzionari del Dis della Presidenza del Consiglio –
annotano sempre gli investigatori dell'Arma – «alle ore 17:17 Gallo
mostra con ogni probabilità un telefono agli interlocutori,
spiegando trattarsi di un telefono fuori rete che non utilizza
sistemi di messaggistica quali WhatsApp e Signal in quanto non
sicuri». Per chi indaga si tratterebbe di un «cripto-fonino con
tecnologia israeliana».
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SANTO PADRE PAPA FRANCESCO PERCHE' NON PARLA MAI DI :
Ancora un giovane assassinato in
provincia di Napoli: aveva 19 anni, era una promessa del calcio . Il
killer postava foto in cui mimava una pistola
Santo, ucciso in strada da un diciassettenne " Un piede pestato ed è
scoppiata la rissa"
ANTONIO E. PIEDIMONTE
napoli
La mattanza dei giovani. Copioni simili, protagonisti differenti, un
filo conduttore: a sparare e a morire sono sempre ragazzi. Ieri è
toccato a una promessa del calcio, Santo Romano, 19 anni, che ha
pagato con la vita la voglia di trascorrere una serata con gli amici
nella piccola movida di San Sebastiano al Vesuvio. Una storia già
sentita. Nella piazza ancora affollata qualcuno sale
involontariamente sul piede di un altro e gli sporca la scarpa. Le
scuse non servono, anzi. Scoppia la lite. Il giovane accorre per
difendere un amico e compagno di squadra, cerca di separare i
contendenti, stemperare il clima. Mezz'ora dopo lo scontro, da una
minicar con targa polacca scende un ragazzino che spara con una
pistola. Il 19enne, colpito al petto, morirà in ospedale. L'amico è
ferito ma non gravemente. Il resto è paura, sangue, e un attonito
silenzio rotto dallo strazio composto della fidanzata, Simona, che
poi dirà ai cronisti: «È morto per difendere un amico. Santo era un
generoso, e una persona perbene, figlio di persone per bene. Avrebbe
fatto grandi cose…».
Dopo una notte di indagini i carabinieri hanno individuato un 17enne
che vive nel quartiere napoletano di Barra, già noto alle forze
dell'ordine. Le foto sui social ne immortalano i desideri. E non
solo: la Procura per i minori ha annunciato accertamenti su alcuni
post pubblicati subito dopo l'omicidio. Il presunto omicida è
sdraiato assieme a un amico, entrambi fanno il gesto della pistola.
Sotto choc il mondo dello sport. «Un ragazzo buono da esempio per
tutti. È stato un onore averti nella nostra famiglia. Ciao Santino,
continueremo a volerti bene», si legge in una nota della sua
società, l'Asd Micri (di Pomigliano). Parole commosse anche dall'Albanova
calcio, che oggi avrebbe dovuto incontrare la squadra a vesuviana.
Le circostanze che hanno scatenato l'aggressione hanno riportato
alla mente uno degli episodi più sconcertanti del bollettino della
violenza giovanile in Campania: la morte di Francesco Pio Maimone,
pizzaiolo 18enne ucciso nel marzo 2023 tra la folla degli chalet di
Mergellina, colpito da una pallottola vagante sparata al culmine di
una rissa tra due gruppi (a lui estranei) scatenata proprio da una
scarpa sporcata. Qualche mese dopo, il 31 agosto, un'altra
"tarantella" permise a una baby gang dei Quartieri Spagnoli di
aggredire alcuni ragazzi in un pub di piazza Municipio e il capo
banda, un 17enne già noto per aver accoltellato un 13enne, sparò tre
colpi di pistola nella schiena (la vigliaccheria è una
caratteristica delle nuove leve della camorra) di Giovanbattista "Giogiò"
Cutolo, giovane musicista di talento in forza alla Nuova orchestra
"Scarlatti".
Il Far West corre su due ruote: nel dicembre dello scorso anno, a
piazza Carlo III un aspirante baby boss (arrestato nelle scorse
settimane) affianca un'auto e spara dallo scooter contro un giovane
attore del film "La paranza dei bambini", Ciro Vecchione. Il ragazzo
si salva e gli amici del suo quartiere (la Sanità) un mese dopo
arrivano con gli scooter e sparano quasi cento colpi; la paranza
scatena il panico, colpisce un anziano passante ma non riesce a
uccidere il "nemico", un 19enne che rimane solo ferito. Scena
analoga a quella registrata pochi giorni fa, stavolta però il raid è
finito in tragedia. Muore il 15enne Emanuele Tufano, colpito alla
schiena, due i feriti. Ai funerali, l'altro ieri alla Sanità, una
tromba ha intonato il "silenzio" dei funerali militari, non ha
destato sorpresa: che siano vittime o innocenti, per i ragazzi di
Partenope è sempre una guerra. Se l'Italia non è un Paese per
vecchi, Napoli non è una città per giovani.
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DEMAGOGIA MELONIANA: La condanna
di
Caivano
caivano (napoli)
«Piove in casa, guarda il muro come si sgretola. Le macchie di
umidità in bagno e in camera da letto? Ogni sera mi addormento e
spero non piova. Se crolla il palazzo?». Parco Verde, Caivano, nord
di Napoli. Un anno dopo lo stupro di gruppo delle due minorenni del
quartiere. Parco Verde è come sempre. Brutto, puzzolente, degradato.
L'unico colore è quello della dignità, delle donne, dei bambini e
dei volontari che resistono. Giorgia Meloni è andata due volte a
Caivano nell'ultimo anno. La prima, subito dopo lo stupro delle
bambine, agosto 2023, per affermare che "lo Stato c'è". La seconda,
il 28 maggio di quest'anno, per inaugurare il centro sportivo
Delphinia, ristrutturato dopo che si è scoperto che all'interno si
sarebbero consumate le violenze sulle due cuginette. Signora perché
ha sigillato il balcone con la rete? «Ci sono i topi. Salgono e
entrano in casa. Guarda qua sotto, ce ne sono diversi morti». L'ha
segnalato ai tecnici del Comune? «Sono venuti, hanno messo delle
trappole. Stop. Inutili. Le fogne sono a cielo aperto. La rete
idraulica è un colabrodo. Che ci siano topi e scarafaggi è il
minimo. Sente la puzza? Butto candeggina ogni mattina».
Le case popolari di Parco Verde dovevano essere alloggi temporanei
per i sopravvissuti al terremoto dell'Irpinia del 1980. E invece
sono diventate rifugi per sempre. Dove nascere e morire. «Dicono che
il degrado del quartiere è colpa degli occupanti che non pagano, ma
sono un'esigua minoranza, mi creda. Siamo quasi tutti regolari e chi
era in arretrato con l'affitto, ha rateizzato i debiti e sta
pagando». Un anno fa si è dimesso il sindaco di Caivano, sfiduciato
dalla giunta di centro sinistra: scioglimento e nomina di tre
commissari straordinari. Non è una novità per questo territorio. Dal
1997 nessun eletto primo cittadino, di qualsiasi colore politico ha
resistito per tutta la legislatura. Ad ottobre poi il governo ha
anche azzerato il consiglio comunale per presunte infiltrazioni
camorristiche e ha nominato un Commissario ad hoc, oltre ai tre
sempre in carica, per l'attuazione del decreto-legge 15 settembre
2023, meglio conosciuto come decreto Caivano, convertito dalla legge
13 novembre 2023 e recante «Misure urgenti di contrasto al disagio
giovanile, alla povertà educativa, e alla criminalità minorile». Una
pioggia di milioni di euro. In gran parte fondi per lo sviluppo e la
coesione, periodo di programmazione 2021-2027.
«È salita sui tetti? Vada a vedere. C'è ovunque amianto». In
effetti. Il colpo d'occhio è impressionante. Si dorme sotto
l'amianto, vecchio e in via di decomposizione, quindi ancora più
pericoloso perché soggetto a sgretolamento e quindi il polverio di
questo cancerogeno lo respirano tutti, grandi e bambini. «Ho
protocollato più volte la richiesta urgente di rimozione
dell'amianto». Mi mostra l'ultimo sollecito fatto, il 2023. «Non è
venuto nessuno». Ora c'è un «Piano straordinario di interventi
infrastrutturali e di riqualificazione del territorio», 76 pagine,
con l'elenco delle zone di intervento e le ipotesi di stanziamento.
Somme potenziali generali di spesa: 54.599.036 euro. Obiettivo
primario: il rilancio finalmente della periferia. Sulla pagina
internet del Commissario straordinario, dottor Fabio Ciciliano, si
può monitorare l'andamento attuativo del piano. Ci sono i decreti
attuativi degli appalti avviati ad oggi tra quelli annunciati. A
parte il centro sportivo Delphinia, tra gli interventi più corposi
partiti c'è il cantiere per alla voce «Azione n. 2, riqualificazione
e realizzazione di spazi socio culturali» ( stanziamento di due
milioni di euro) per "l'Auditorium Caivano Arte". C'è poi il grande
progetto per portare l'università a Caivano. Scienze
infermieristiche, scienze motorie, agraria, scienze della formazione
Primaria, Tecnici del Restauro, Scuola dei mestieri, Green Academy.
Sono i corsi che in futuro potrebbero iniziare. Stanziamento 1
milione di euro. I costi in realtà ora sono lievitati, perché si è
aggiunto il cantiere per «La costruzione di un'aula magna,
3.261.985,56 euro, di cui 2.024.813,49 per lavori e progettazione
esecutiva lavori e 1.174.198, 48 per spese tecniche». La macchina è
in moto, questi cantieri sono partiti. «Si, ok. Ma le nostre case?».
Per la riqualificazione dei palazzi di edilizia popolare di
proprietà pubblica sono previsti circa 12 milioni di euro. «Quindi
monteranno le impalcature prima o poi? Mi pioveva in casa, ho
trovato più volte scarafaggi. Escono dal bagno e dai lavandini. Ho
fatto io i lavori qui dentro. Ho pagato gli operai. Si può vivere
così? Faccio le pulizie. Lavoro in nero, mi spacco la schiena. Siamo
persone per bene».
Anna (nome di fantasia) invece ha ottant'anni, è malata. Ma i figli
non le hanno detto che ha un tumore. Ha perso due figlie, per colpa
di questo male. «Guarda la mia stanza da letto, gli angoli sono
tutti marci e dal soffitto piove quando c'è il temporale. Metto i
secchi e gli stracci. Ma è troppo umido, ho sempre freddo nelle
ossa. D'inverno i termosifoni sempre accesi non bastano. Ho comprato
due stufette». Ma il contatore salta. Anche la rete elettrica è
vecchia e fatiscente. Che spreco è stato non ristrutturare queste
case popolari con il superbonus, che dramma sarebbe se ancora una
volta restassero così. «Ci morirò nel degrado. Lo so. Mi sono
rassegnata. Lo scriva però che siamo lavoratori, onesti». Al primo
piano c'è una signora affacciata. Mi chiama. Cos'è quel tubo bianco
sul suo balcone attaccato al contatore dell'acqua? «L'ho fatto io,
c'è una perdita dal tubo portante del palazzo, che mi finisce in
casa. Si allaga sempre tutto. Con questo accrocchio di plastica
riverso la fuoriuscita in strada. Tocca ingegnarsi». Su circa 250
appartamenti sono in corso verifiche della magistratura, per capire
chi va sgombrato e chi invece ha situazioni di fragilità da prendere
in carico.
Bruno Mazza è cresciuto a Parco Verde. Dieci anni in carcere per
spaccio, un fratello morto di overdose, padre suicida. Quando è
tornato libero ha scelto di cambiare vita radicalmente. Ha sfidato i
clan che sfruttano i ragazzini per farli spacciare, come hanno fatto
con lui. Per questo ha subito minacce. Ha fondato "Un'infanzia da
vivere" che in collaborazione con Fondazione per il Sud organizza il
doposcuola per i bambini di Parco Verde, i corsi gratuiti di
calcetto. «Cerchiamo di evitare che restino in strada senza una
guida. Qui si spara ancora». Oggi è giorno di pulizia delle aiuole.
Mazza raduna i volontari del quartiere, distribuisce guanti e buste
a tutti. «Non lavorano, qualcuno ha un passato di tossicodipendenza.
Impegnandoli riusciamo a tenerli lontani da tentazioni». Perché
tagliate voi l'erba e raccogliete l'immondizia? «Perché non lo fa
nessun altro. Almeno intorno ai campetti e le aree gioco allestite
da noi, cerchiamo di tenerle pulite. Qui poi non c'è raccolta
differenziata e i sacchi non li ritirano con cadenza regolare».
Nel Decreto Caivano c'è: «Ambito di azione n. 3 – riqualificazione e
realizzazione spazi pubblici e verde pubblico», 1 milione di euro.
Villa Andersen, 207 famiglie di Parco Verde, 500 bambini, affacciano
su questo scempio. Le donne sono alla finestra. Hanno voglia di
parlare. «Noi questa villa la chiamiamo il cantiere». Qui prima si
bucavano. «Lei suo figlio lo lascerebbe scendere a giocare? Meglio
chiusi in casa». Ora però c'è il Centro sportivo ex Delphinia. «Più
di 44 discipline sportive differenti praticabili, 20 campi sportivi
oltre a 4 progetti di arte partecipata con oltre 100 ragazzi perché
Sport e Cultura sono le due direttrici su cui ci si è mossi» si
legge sul sito di Sport e Salute che lo gestisce. Perché non ci
porta i suoi figli? «Perché costa». C'è un'area verde esterna
gratuita da poco allestita. «Non abbiamo la macchina, io sono sola
con tre bambini. Mio marito fa il muratore, esce alle 5 e torna per
cena». L'ex Centro Delphinia ora si chiama "Pino Daniele" . E quello
spazio che lo separa dai palazzoni fatiscenti seppur poco è tanto
per Parco Verde. «Non accettano nemmeno i voucher per le famiglie
con Isee basso: quello della Regione Campania per iscrivere gratis i
minori».
Ci vado. Scusi, è vero che non avete convenzioni specifiche per le
famiglie con reddito basso? «Non abbiamo stipulato convenzioni ad
hoc. Però ora il Comune ci ha mandato 100 bambini». E gli altri?
«Non so che dirle». Pazienza, bisogna avere pazienza, e credere che
quelle impalcature per la qualità della vita presto saranno realtà.
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GRAVE : La denuncia di una madre di Avigliana: "Dopo l'ospedale
anche il Centro di salute mentale non è intervenuto: dicevano che
non c'erano più fondi"
"Mio figlio cercava un aiuto psichiatrico Non lo ha ottenuto e così
si è tolto la vita"
Francesco Munafò
Elisa Sola
L'ultimo messaggio l'ha mandato alla madre. Alle nove e venti di
mattina di domenica scorsa. «Ciao mamma ti voglio bene». E lei, Lia
Sponton, con la forza di tutte le mamme, di tutti i padri e fratelli
che convivono – e si portano addosso – la malattia psichiatrica di
qualcuno che si ama, gli ha risposto: «Fede ne hai passate tante.
Passerai anche questa». Quel messaggio è rimasto bloccato per
sempre. Erano le 10 e 50. Federico Fedele non lo ha mai letto. Si è
tolto la vita prima. A 27 anni. Nel piccolo alloggio di via Bibiana
dove viveva: il rifugio che la sua famiglia gli aveva comprato per
aiutarlo. Per dargli un supporto nella battaglia contro i tormenti
causati dal suo disturbo di personalità borderline. Orario del
decesso: 1 e 56 del 27 ottobre.
E ora, mentre piange il figlio mamma Lia dice: «Mio figlio è morto
dopo avere chiesto aiuto tante volte. Il suo grido di dolore è
rimasto sempre inascoltato. Provo rabbia perché si poteva salvare.
Nelle due settimane prima di morire ha cercato cure, invano, per due
volte al pronto soccorso. Ha telefonato al Csm. Ho chiamato persino
io. Troppo tardi».
Nella notte tra il 10 e l'11 ottobre Federico, in preda a una «crisi
esistenziale», entra al pronto dell'ospedale Giovanni Bosco. Chiede
di essere ricoverato. «Dopo quattro ore di attesa – racconta la
madre – gli hanno risposto che non aveva niente. Lo hanno mandato a
casa. Eppure lui sapeva che se lo avessero ricoverato sarebbe stato
meglio. Aveva già preparato la borsa. Aveva messo i pigiami e le
dosi di tabacco pronte per un mese. Sarebbe uscito migliorato».
Quando viene congedato Federico tira un pugno a una porta. Arrivano
i carabinieri. Lo arrestano. Dopo poche ore la pm Elisa Pazé chiede
che venga liberato. «Non c'erano i presupposti per una misura
restrittiva, lui in fondo è un buono» spiega l'avvocata Valentina
Tricoli.
«Pochi giorni dopo - ricorda la madre - il 21 ottobre, ha telefonato
al Csm: ha chiesto che lo ricoverassero. Ha risposto un operatore,
dicendo che la dottoressa non c'era fino a lunedì. E ha aggiunto una
frase che fa male: Non possiamo ricoverare perché fino a fine
dicembre non abbiamo i fondi».
La procura ha aperto un fascicolo senza indagati e senza ipotesi di
reato. E il Giovanni Bosco chiarisce: «Non c'è correlazione tra
l'accesso al pronto soccorso e l'evento anticonservativo. È'
arrivato in stato di alterazione alcolica. Era in carico ad un'altra
Asl».
Restano i dati. Il Piemonte (fonte Sism, Sistema informativo della
salute mentale) destina 64 euro annui a persona per la salute
mentale, sei euro in meno rispetto alla media nazionale. Il
personale del Dipartimento di salute mentale piemontese conta 39
professionisti ogni 100 mila abitanti a fronte dei 60 ogni 100mila
della media nazionale.
Dopo quella telefonata del 21 ottobre, Federico ha avuto un'altra
crisi. Spiega la madre: «È intervenuta l'ambulanza. Lo hanno portato
di nuovo al Giovanni Bosco. Ma c'era troppo da aspettare. Ha
abbandonato la sala». Il 22 mamma Lia chiama il Centro di salute
mentale. Parla con un operatore. La richiamano tre giorni dopo. «Mi
hanno detto che fino alla fine di dicembre i soldi per i ricoveri
erano finiti. Il giorno dopo mio figlio è morto. E io provo rabbia
perché Federico ce l'ha messa tutta. Non appena i sintomi della sua
malattia sono emersi nel 2017, si è fatto curare. È stato in in
gruppo appartamento. Poi in due comunità. Ma nessuna struttura
andava bene. Perché c'erano pazienti gravissimi, non autonomi, e lui
si annoiava. Voleva lavorare. In Italia sono fermi ai matti da
manicomio. Federico è stato abbandonato. Era solo un peso. Ecco
perché provo rabbia»
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02.11.24
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Nonostante le sanzioni imposte dall’Unione europea, i prodotti di
decine di aziende italiane hanno contribuito, sicuramente fino alla
fine di marzo di quest’anno, alla realizzazione di Arctic Lng 2, il
progetto che la russa Novatek sta sviluppando in Siberia con
l’obiettivo di trasformare in liquido il gas estratto nell’Artico ed
esportarlo nel mondo.
Alcune di queste aziende registrate in Italia sono
controllate dallo stato, altre sono di proprietà straniera. In quasi
tutti i casi, la fornitura di merce non è avvenuta in modo diretto,
ma attraverso società intermediarie basate perlopiù in Cina, Emirati
Arabi Uniti e Turchia. Paesi che non hanno imposto sanzioni contro
Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.
Registrate negli Emirati e al centro di molte triangolazioni, due di
queste società intermediarie hanno collegamenti diretti con la
Russia. Sono questi i risultati principali che emergono da
un’inchiesta realizzata da Domani insieme ad Arctida, ong
specializzata in ricerche sull’Artico russo.
Arctic Lng 2 è un progetto strategico per Mosca. Secondo l’annuncio
fatto nel 2019, la capacità produttiva annuale dell’impianto – che
si trova sulla penisola di Gyda – a regime sarà di 19,8 milioni di
tonnellate di gnl (gas naturale liquido). Visto che l’anno scorso la
Federazione ha prodotto 32,9 milioni di tonnellate di gnl, l’aumento
sarebbe dunque del 60 per cento, e permetterebbe di compensare il
crollo delle esportazioni via gasdotto verso l’Ue.
Nel progetto ha un interesse personale uno dei più importanti
alleati di Vladimir Putin, Gennady Timchenko. Azionista principale
della società Arctic Lng 2 è infatti Novatek, partecipata dal suo
amministratore delegato, Leonid Michelson, dall’azienda statale
Gazprom, dalla francese TotalEnergies (che nel frattempo, pur non
avendola ceduta, ha deconsolidato dal bilancio la partecipazione) e,
appunto, da Timchenko.
[…] Bruxelles ha messo fin da subito nel mirino il progetto
sviluppato nell’Artico russo. L’8 aprile del 2022 il Consiglio
dell’Ue ha pubblicato il quinto pacchetto di sanzioni contro Mosca,
che vieta di «esportare, direttamente o indirettamente, beni o
tecnologie idonei...all’uso nella liquefazione del gas». Grazie a
dati doganali e documenti societari analizzati da Domani, è
possibile raccontare quello che è successo fino alla fine di marzo
del 2024.
Dal 9 aprile 2022 – data di entrata in vigore delle sanzioni sul gnl
– i componenti di decine di aziende registrate in Italia sono finiti
ad Arctic Lng 2, per un valore complessivo di 134 milioni di euro.
Se il calcolo si fa a partire dal 24 febbraio del 2022, due giorni
dopo l’entrata dei carri armati russi in Ucraina, il totale arriva a
194 milioni di euro.
Limitiamoci però a quanto successo a partire dal 9 aprile 2022. La
maggior parte delle forniture italiane è di Nuovo Pignone, società
fiorentina del gruppo americano Baker Hughes, famosa in tutto il
mondo per la produzione di turbine. Totale del valore fatturato da
Arctic Lng 2: 19,6 milioni di euro.
Con valori inferiori ma comunque rilevanti ci sono poi, solo per
citarne alcuni, i gruppi Tenaris e Marcegaglia, entrambi produttori
di tubi d’acciaio, la multinazionale dei cavi Prysmian, Cortem,
azienda friulana che produce apparecchiature elettriche, Honeywell,
filiale italiana dell’omonimo colosso americano, Erresse, produttore
di valvole della provincia di Novara.
[…] Tra le aziende nostrane che stanno di fatto permettendo la
realizzazione di Arctic Lng 2, i dati doganali elencano anche due
imprese controllate dallo stato italiano. Lo stesso che sta
imponendo le sanzioni. Si tratta di Valvitalia e Ansaldo Energia. La
prima è specializzata in valvole e raccordi, la seconda realizza
turbine.
I loro prodotti risultano essere finiti ad Arctic Lng anche dopo il
9 aprile. Ci sono state ad esempio 30 consegne di materiale
proveniente da Valvitalia, per un valore complessivo di 4,9 milioni.
La merce della partecipata di stato è finita alla Arctic Lng 2
attraverso diverse società intermediarie, ma la più utilizzata è
stata l’emiratina Nova Engineering and Construction, una delle
società collegate alla Russia.
Forniture che non sono quasi mai avvenute in modo diretto, ma
attraverso triangolazioni. In altre parole, le aziende italiane
hanno venduto a società non registrate in Russia, le quali poi a
loro volta hanno trasferito la merce in Siberia. Formalmente,
quindi, tutto regolare.
Nella lista delle intermediarie più gettonate dalle imprese italiane
ci sono: le cinesi Penglai Jutal Offshore Engineering Heavy
Industries, Gac, Bomesc Offshore Engineering Company, Qingdao
McDermott Wuchuan; i gruppi turchi Maritsa e Modmer Trading; due
società emiratine, Nova Engineering and Construction e Waterfall
Engineering. Sono queste ultime le intermediarie di cui abbiamo
individuato collegamenti con la Russia. La Waterfall Engineering Ltd
è stata fondata nel 2023 ad Abu Dhabi. A dire che è collegata al
regime di Vladimir Putin, nello specifico al progetto Arctic Lng 2,
è l’Office of Foreign Assets Control, l’autorità che applica le
sanzioni per conto del governo degli Stati Uniti.
Ma Waterfall Engineering non è solo elencata tra le imprese
sanzionate dagli Usa. Ha sede presso l’Abu Dhabi Global Market,
centro finanziario che si trova all’interno di una torre, sull’isola
Al Maryah. Nello stesso posto c’è un ufficio di rappresentanza della
Gydan Lng. Sicuramente fino a giugno del 2022, questa società era
una joint venture, con cliente unico Arctic Lng 2, partecipata
dall’italiana Saipem (20 per cento, controllata a sua volta dallo
stato italiano), dalla francese Technip Energies (70 per cento) e
dalla russa Nipigas (10 per cento), mentre oggi l’unico proprietario
è Nipigas.
Tra gli azionisti principali di Nipigas (tramite il colosso
petrolchimico Sibur) c’è Gennady Timchenko, considerato uno degli
alleati più importanti di Putin. Con questa motivazione l’Ue lo ha
sanzionato a partire da febbraio 2022.
Come detto, Timchenko è anche azionista di Novatek. Dunque, l’emiratina
Waterfall Engineering ha sede allo stesso indirizzo di Abu Dhabi
della società controllata dalla Nipigas di Timchenko. Anche la Nova
Engineering and Construction, l’altra emiratina che ha intermediato
più volte le forniture italiane ad Arctic Lng 2, è collegata a
Mosca, sebbene in modo meno diretto. Condivide la sede e l’azionista
di controllo, l’uzbeko Ulugbek Kamolov, con un’altra impresa
emiratina, la Smart Solutions Ltd.
Nel consiglio d’amministrazione di quest’ultima siedono due uomini
di nazionalità russa: Denis Mishchenko ed Egor Zubarev. […] Secondo
il governo degli Usa, Smart Solutions è stata usata dalla Russia per
«aggirare le sanzioni statunitensi e rivitalizzare il progetto
Arctic Lng 2»: con questi motivi, proprio ieri, è stata messa sotto
sanzioni da Washington.
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KKR ed Energy Capital Partners hanno deciso di investire
complessivamente 50 miliardi di dollari in progetti di data center e
di generazione di energia per sostenere lo sviluppo
dell'intelligenza artificiale.
L'investimento è una scommessa sull'enorme fabbisogno energetico
dell'intelligenza artificiale e sul crescente stress che sta
esercitando sulla rete elettrica statunitense. Le società hanno
dichiarato che gran parte dell'investimento sarà effettuato nei
prossimi quattro anni.
KKR, una delle più grandi società di investimento al mondo, ed
Energy Capital Partners, una società di private equity, hanno
investito molto nelle infrastrutture alla base del boom dell'IA. Le
società hanno dichiarato che ora stanno collaborando con le grandi
aziende tecnologiche per accelerare il loro accesso all'elettricità,
che è diventato limitato in alcune parti degli Stati Uniti, in
quanto gli sviluppatori di data center competono per le fonti di
energia e l'accesso alla rete.
“Il fabbisogno di capitale è enorme e uno dei grandi colli di
bottiglia, forse il collo di bottiglia, è la disponibilità di
elettricità”, ha dichiarato Doug Kimmelman, fondatore e socio senior
di ECP.
ECP possiede società che gestiscono centrali elettriche
convenzionali e rinnovabili, tra cui Calpine, uno dei maggiori
produttori di energia elettrica del Paese. Di recente ECP ha
ampliato il suo portafoglio di impianti a gas naturale, che secondo
Kimmelman saranno fondamentali per fornire energia 24 ore su 24 ai
data center. Kimmelman ha dichiarato che prevede di effettuare
ulteriori investimenti nel gas, esplorando al contempo modi per
ridurre le emissioni di carbonio con le energie rinnovabili o
sviluppando tecnologie come la cattura e il sequestro del carbonio.
Le aziende tecnologiche si sono affidate pesantemente ai
combustibili fossili per alimentare i loro centri dati, il che rende
difficile per loro onorare gli impegni presi per ridurre le
emissioni di carbonio e al tempo stesso spingere per accelerare lo
sviluppo dell'IA.
Ogni azienda tecnologica sta ora cercando di accelerare lo sviluppo
di fonti di elettricità più pulite.
Microsoft, Google e Amazon.com hanno dichiarato di voler investire
miliardi di dollari per mettere online più energia nucleare. Alcuni
dei progetti dipendono da una tecnologia di nuova generazione non
ancora collaudata e ciascuno di essi richiederà anni per essere
completato, in parte a causa delle sfide finanziarie e tecnologiche
che hanno limitato la crescita dell'industria nucleare statunitense
per decenni.
Secondo la società di consulenza McKinsey, per ora gli impegni in
materia di sostenibilità passano in secondo piano rispetto al
desiderio delle aziende tecnologiche di costruire rapidamente centri
dati.
Waldemar Szlezak, che dirige gli investimenti di KKR nelle
infrastrutture digitali, ha dichiarato che la partnership
dell'azienda con ECP è finalizzata a soluzioni a breve termine per
espandere l'accesso all'energia e alleggerire gli ostacoli che le
aziende tecnologiche devono affrontare nella costruzione di centri
dati. Ad oggi, KKR ha investito più di 29 miliardi di dollari in
società di infrastrutture digitali.
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Nelle intercettazioni l'hacker Calamucci fa riferimento anche all'ex
007 Mancini . Il suo legale: "Fantasie senza fondamento"
Da Milano alla Squadra Fiore la rete degli spioni porta a Roma
irene famà
monica serra
roma-milano
«Mancini è un componente. Doppio Mike, l'ho chiamato doppio Mike. È
un componente della squadra Fiore, un traditore». È Nunzio Samuele
Calamucci a dirlo, intercettato dai carabinieri di Varese. E nel bel
mezzo di una "guerra" tra hacker che lo ha portato a denunciare ai
giornalisti l'esistenza a Roma di una centrale di spionaggio che,
per quel che sta emergendo, aveva molti punti in comune con quella
milanese, di cui Calamucci faceva parte. Anche la «Squadra Fiore»
sarebbe infatti composta da militari ed ex militari legati a
comparti dell'intelligence che accedono alle banche dati, da quelle
della Banca d'Italia allo Sdi. Raccolgono notizie riservatissime su
vip e grandi società e poi le rivendono.
Dai primi accertamenti, le basi logistiche sarebbero due: una in
Italia, nella Capitale, in un appartamento di piazza Bologna, tra
studi di avvocati e medici. Tra quelle mura si poteva parlare
liberamente: a proteggere le conversazioni ci sarebbe stato un
disturbatore di frequenze. La seconda pare sia a New York, nella
Lower Manhattan.
Della Squadra Fiore si inizia a parlare a marzo, dopo gli articoli
di Fabrizio Gatti di Today. it. A contattarlo, sarebbe stato proprio
l'hacker Calamucci. L'obiettivo? "Bruciare" il gruppo rivale, almeno
in apparenza perché stava dossierando un cliente della sua
organizzazione: Leonardo Maria Del Vecchio, figlio prediletto del
patron di Luxottica, che ha pagato almeno 361 mila euro alla società
Neis, dell'ex Ros Vincenzo Di Marzio, per varie attività di
investigazione nel bel mezzo della faida per l'eredità del padre.
Per conto di Del Vecchio, secondo il pm Francesco De Tommasi, la
banda spia la fidanzata ma anche i fratelli, soprattutto Claudio Del
Vecchio, che nel frattempo ha depositato la nomina di un avvocato.
Quando scopre che la squadra Fiore sta spiando Del Vecchio Jr,
Calamucci cerca dei giornalisti a cui racconta una storia tutta da
verificare. Dice di essere stato contattato da un amico militare che
lavora all'Agenzia di Cybersicurezza nazionale e per "Fiore". Dice
che gli avrebbe inoltrato una fotografia mentre era sotto casa
dell'imprenditore. La procura di Roma inizia a indagare sulla
presunta rete clandestina per accesso abusivo a sistema informatico,
violazione delle norme sulla privacy ed esercizio abusivo della
professione. Per ora, la Postale avrebbe individuato cinque presunti
appartenenti al gruppo.
Nelle quasi 5 mila pagine di informative depositate a Milano, solo
Calamucci accenna intercettato alla Squadra Fiore, sostenendo che ne
farebbe parte l'ex dirigente del Dis Marco Mancini ("Doppio Mike"
per via delle iniziali è sempre stato il suo nickname) che ha
terminato la carriera nei Servizi dopo le foto con l'ex premier
Matteo Renzi in autogrill a dicembre del 2020. Ma tramite l'avvocato
Luca Lauri, Mancini fa sapere che la sua appartenenza a Fiore
sarebbe «pura fantasia», che non conosce Calamucci né l'ex
poliziotto Carmine Gallo, a capo del gruppo milanese. Sostiene il
legale: «Gli indagati intercettati riferiscono un coacervo di
notizie confuse, partendo da spunti di vecchi atti di indagine, e
senza fondamento, con l'obiettivo di accreditarsi».
Più volte nelle intercettazioni si nomina Mancini. L'ex Ros Di
Marzio, che ha lavorato nel Sismi, parla di presunti contrasti con
lui: «Mi ha promesso che mi avrebbe fatto ammazzare… Alla fine ho
dato i documenti al notaio, poi ho detto, siccome le prove ce le ho,
se mi investono c'è qualcuno che farà uscire questi documenti». Al
netto di Mancini (non coinvolto nelle indagini), i presunti rapporti
con l'intelligence ricorrono spesso. I carabinieri annotano
misteriosi accessi in Sdi compiuti dall'utente fittizio «Lanza» col
nome «Foga415» identificato come «appartenente all'Aisi».
Anche Gallo sostiene di aver lavorato nei Servizi con Mancini e
Giuliano Tavaroli: «È tutta gente che ho conosciuto quando eravamo
ai Servizi, tutti insieme…». Con queste parole, per i carabinieri,
Gallo spiega «la ragione della sua ragnatela di contatti ovvero
l'aver fatto parte dei servizi segreti». Una dichiarazione, è
scritto, «che non appare frutto di una millanteria. Si tratterebbe
di una situazione che a prima vista può sembrare incredibile poiché
Gallo non ha mai abbandonato i contatti con la polizia e la sua
funzione d'intelligence sembrerebbe essere legata proprio al ruolo
"interno" agli uffici giudiziari della procura di Milano».
Per ora una suggestione, ma il pensiero va subito alle parole del
socio di Calamucci, Massimiliano Camponovo, davanti al gip: «Ho
percepito la presenza di una mano oscura che muoveva il sistema.
Temevo per me e per la mia famiglia»
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Pegoraro: "Ho lavorato per il mio Paese"
«Ho lavorato cercando di sviluppare qualcosa di buono, nel mio
piccolo, nel mio Paese e per il mio Paese».
Per la prima volta, l'informatico 48enne Gabriele Edmondo
Pegoraro si difende dal «fango» e dalle «falsità che ho letto in
questi giorni». È indagato dal pm Francesco De Tommasi perché
avrebbe collaborato con la presunta banda degli spioni di via
Pattari ed è anche coinvolto in un'inchiesta della procura di
Torino. Ma quello di Francesco Pegoraro, «uno dei più abili hacker
ed esperti informatici "disponibili" sulla scena italiana», è un
nome molto noto anche nelle procure con cui ha collaborato – si
legge negli atti – in «importanti operazioni di polizia e
antiterrorismo». Un esempio su tutti: la cattura dopo 37 anni di
latitanza dell'ex leader dei Proletari armati per il comunismo,
Cesare Battisti, condannato in Italia all'ergastolo per quattro
omicidi.
Da diverse ore circolava la notizia falsa secondo cui sarebbe stato
«introvabile», subito smentita dal suo avvocato Massimo Dal Ben.
«Sono residente a Luino e lavoro spesso a Milano – spiega Pegoraro
–. Poiché ogni anno in questo periodo ricorre l'anniversario della
morte di mio padre, torno dalla mia famiglia. Il mio lavoro, anche
per le tante situazioni di stress vissute, purtroppo negli anni ha
reso sempre più precarie le mie condizioni di salute. Per questa
ragione sono stato ricoverato per un lungo periodo. Probabilmente
sarà necessario ancora ricorrere ad ulteriori cure, dunque anche in
futuro potrò essere molto facilmente raggiunto dalle autorità che
necessitassero di me».
Riguardo alle accuse, Pegoraro sostiene: «Con la quasi totalità
degli altri indagati non ho praticamente mai avuto rapporti e con
quelle pochissime persone che conosco non ho rapporti di lavoro da
più di quattro anni». Al centro delle parole del 48enne soprattutto
il suo lavoro («sviluppare tecnologie, non fare dossier»,
sottolinea), al quale «ho sacrificato una vita con dedizione e
passione. Chi mi conosce bene sa quanto mi sono dedicato, non avendo
figli, a sviluppare qualcosa di mio che rimanesse e che fosse
qualcosa di cui andare fiero»
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Il riscaldamento a ggrava le crisi umanitarie. La Banca mondiale:
entro il 2050 emergenza globale. Guterres: con Trump accordi di
Parigi a rischio
Senza terra per colpa del clima, allarme Onu
parigi
A suonare il campanello d'allarme ci ha pensato la Banca
mondiale nel 2021: circa 216 milioni di persone diventeranno
migranti climatici all'interno del loro Paese entro il 2050. Uno dei
principali effetti del riscaldamento globale, che obbliga milioni di
persone a lasciare le proprie terre martoriate dai cataclismi
ambientali come inondazioni, tempeste, siccità o eruzioni
vulcaniche. In alcuni casi si tratta di territori che rischiano
addirittura di scomparire. Un esempio sono le isole di Tuvalu
situate nell'Oceano Pacifico, i cui abitanti sono stati accolti
dall'Australia.
Ma nella maggior parte dei casi il risultato di simili fenomeni si
traduce in una vera e propria crisi umanitaria, le cui vittime però
non vengono riconosciute come tali perché il diritto internazionale
non prevede lo status di «rifugiato climatico». Migranti invisibili
e senza nessun tipo di tutela, quindi, a differenza di chi scappa da
guerre o da situazioni di estrema povertà (anche se spesso queste
situazioni possono sovrapporsi). Ogni anno se ne contano 20 milioni
in tutto il mondo secondo le stime dell'Unhcr. Tra le zone più
interessate c'è l'Africa, ma anche il Medio Oriente e il Sudest
asiatico. In questi ultimi anni, però, il moltiplicarsi di
cataclismi ambientali in tutto il mondo ha dimostrato le
vulnerabilità dell'Europa e di tutto l'Occidente, ormai costretto a
guardare in faccia il problema. Mentre il dibattito sulla creazione
dello statuto va avanti, seppur senza particolari segnali di
avanzamento, l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati ad aprile ha
lanciato il Fondo per la resilienza climatica, che punta a
raccogliere 100 milioni di dollari entro il 2025 per sostenere i
migranti, i Paesi d'origine e quelli d'accoglienza interessati.
Il fenomeno dimostra chiaramente come i cambiamenti climatici
colpiscano in tutto il mondo avendo però effetti diversi. Per questo
è necessaria una risposta omogenea. Ma il destino degli Stati Uniti
preoccupa la comunità mondiale. Un eventuale ritorno di Donald Trump
alla Casa Bianca con le prossime elezioni dovrebbe portare ad una
nuova uscita di Washington dagli Accordi di Parigi sul clima. Uno
scenario già visto nel 2019 e ri-annunciato dallo staff del tycoon.
Il trattato «può sopravvivere, ma a volte le persone possono perdere
organi importanti o perdere le gambe e sopravvivere», ha avvertito
dalle colonne del Guardian il segretario generale dell'Onu Antonio
Guterres, evocando il rischio di avere un accordo «paralizzato».
Un'eventualità che di certo non gioverebbe alla soluzione del
problema.
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Dopo i furti, le frodi informatiche sono i crimini con più denunce:
274 mila in un anno. Cresce il trading fraudolento su criptovalute e
azioni
Finti consulenti e telefonate automatizzate le truffe online tra i
reati più comuni in Italia
Arcangelo Rociola
Non una questione di ceto. Né di età. Ma solo una questione di
soldi. Di soldi e avidità. Una combinazione in grado di vincere ogni
resistenza. Di annichilire ogni prudenza. Chi ne è vittima scopre il
fianco. E lì chi è disposto a approfittarne affonda il colpo.
Migliaia, forse centinaia di migliaia le vittime ogni anno in
Italia. L'enorme, in larga parte sommerso, popolo dei truffati
online. Nel 2023 la Polizia postale ha ricevuto 3.400 denunce di
truffe legate a proposte di investimento online. Ma il numero dei
casi potrebbe essere molto più alto. Diversi report raccontano che
solo uno ogni venti denuncia. Spesso si sta zitti per vergogna. Il
numero dei casi aumenta del 12% l'anno. Mentre di per certo i soldi
spariti sono 111 milioni solo nel 2023. Ma è una cifra arrotondata
per difetto. Con il non emerso si arriverebbe facile a oltre un
miliardo. Mentre il trading fraudolento, insieme alle altre frodi
informatiche, è il secondo reato denunciato in Italia. Solo nel 2022
274 mila.
Le truffe su azioni e criptovalute sono esplose durante gli anni
della pandemia. Oggi con l'Intelligenza artificiale le tecniche si
sono raffinate: chatbot, telefonate automatizzate, finti consulenti
solerti nell'offrire opportunità di guadagno sui social, spesso
nelle vesti di ragazze avvenenti. Anche loro finte, non meno degli
investimenti. Di vero ci sono solo le vittime. Uomini e donne, di
ogni ceto e ogni età. Con pochi denominatori comuni: la solitudine,
il troppo tempo passato online e la voglia di fare soldi facili.
Elementi ideali per questi raggiri. Fluorescenze sul terreno fertile
dei social. Dove la ricchezza prima è diventata una condizione
essenziale, da ostentare. Poi un obiettivo facile da raggiungere
giocando a fare i Gordon Gekko. Ma nessuno ci riesce davvero.
Nessuno è Gordon Gekko.
Il mondo delle truffe online è variegato. C'è un sito in Italia lo
racconta. Si chiama Decripto. Giovedì ha raccontato quello che
sembra essere l'ultimo fenomeno. Riguarda alcune piattaforme che
chiedono dai 5 ai 35 mila euro per trasformare il proprio computer
personale in una macchina per creare Bitcoin. Uno ogni sei mesi. Per
un controvalore di circa 150 mila euro l'anno. Al momento nei
confronti di queste piattaforme non ci sono provvedimenti ufficiali.
Ma di provvedimenti ce ne sono centinaia. Basta fare un giro sul
sito della Consob.
L'autorità il 25 settembre scorso ha oscurato l'accesso di 2139
Exchange. Una piattaforma di trading che prometteva il 5% di
rendimenti al giorno. Tutti i giorni. Un ‘salario' lo chiamavano -
quasi a far sognare una fonte di reddito alternativa al lavoro vero.
E il salario all'inizio arriva davvero. Ma non dal trading. Ma da
altre persone che arrivano e mettono altri soldi. E così
garantiscono le proprie e le altrui cedole. Fino a quando lo schema
non diventa troppo grosso. E allora si chiudono i battenti.
Finiscono i prelievi e tutto sparisce. Sarebbero 200 mila i
coinvolti. Alcuni di loro si sono organizzati su Telegram. Sperano
in una class action. Parlano dietro anonimato. Ma parlano. La voce è
quella di un ragazzo, Xdsk si fa chiamare, foto da palestrato in
canottiera grigia: "Ci ho messo 500 e all'inizio mi davano 5 euro al
giorno, è andata avanti un po'. Poi ho sbloccato il livello
successivo e sono arrivato a 1.000. All'inizio era un gioco. Ma da
due settimane i soldi non arrivano più". Avvicinato dice da una
ragazza su Telegram. Bionda in body nero. Probabilmente un Bot. È
lei che lo invita a entrare nel circuito. E a scalare i livelli di
ricchezza. Livelli. Come nei giochi. Perché è così che queste truffe
vengono organizzate. Si parte da un investimento base. Poi si sale.
Più aumentano i soldi dati più aumentano i premi. A quel punto
iniziano le sfide: coinvolgere amici, parenti, aumentare il cerchio.
Si scalano nuovi livelli. Intanto i soldi arrivano e si diventa
promotori. Ecco, in sintesi, come avvengono queste truffe. Ecco il
meccanismo base, antico ma attuale, di uno ‘Schema Ponzi'.
Tutto nasce spesso sui social, ma nessuna delle grandi piattaforme
frena le pubblicità. Difficile anche colpire i colpevoli. Spesso
vivono all'estero e i soldi in cripto sono difficili da tracciare.
Impossibile riprendere i soldi persi. Anzi, spesso nelle chat di
Telegram dove parlano e si confrontano i truffati, si inseriscono
altri truffatori che promettono di recuperarli, pagando. Un
meccanismo di raggiro senza fine. Che si perpetua. Che prende nuove
forme. Di base però sempre lo stesso schema. Sempre lo stesso
Charles Ponzi. Capace di sfidare e vincere da secoli la sfida con la
psiche e l'avidità umana
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Anziani maltrattati nella Rsa dopo sette anni nessun colpevole
elisa sola
Dopo sette anni dai fatti, arriva il responso. Non ci sono
responsabili per i presunti maltrattamenti che avrebbero subito
alcuni anziani all'interno della rsa Il Porto nel 2017 e 2018. Le
testimonianze raccolte sono, per il tribunale, troppo «confuse e
discordanti». E anche il reato di lesioni - riguardo alla caduta di
un degente - non sarebbe configurabile perché mancherebbe la querela
di parte. Le due imputate, una oss e un'infermiera, sono state
quindi assolte. In attesa del processo di primo grado, due delle tre
presunte vittime sono morte. Per l'età avanzata e per l'aggravarsi
delle malattie degenerative per le quali erano in cura.
La prima indagata, una oss, era accusata di maltrattare i degenti.
Urlando frasi come: «Scema». «Ti puzza l'alito». «Stronzo».
«Deficiente». Non solo. Avrebbe acceso tutte le luci di notte per
disturbare chi dormiva. E sarebbe stata spesso ubriaca. Le bottiglie
di vino erano state viste, nel suo armadietto, da più di un
testimone. Ma, secondo il giudice, un conto è avere l'alcol in un
armadio, un conto è essere colta in flagranza mentre lo si beve in
servizio. E riguardo a questa seconda ipotesi non ci sarebbero
prove. La oss, infine, avrebbe strattonato i pazienti, «effettuando
manovre in maniera brusca e in assenza di condizioni di sicurezza».
La seconda imputata, infermiera, era accusata di non avere
rispettato il protocollo perché avrebbe manovrato da sola almeno tre
anziani, facendoli cadere. La prima vittima si era rotta l'omero.
Era il 31 ottobre del 2017. La seconda, sei giorni dopo, si era
fratturata il malleolo e la tibia. La terza anziana era finita in
ospedale con un trauma cranico, la frattura di una mano e di un
dito. Per lei la prognosi era di oltre 40 giorni. L'inchiesta era
nata proprio da questa serie di strani "incidenti". Gli agenti del
commissariato Barriera di Milano avevano raccolto testimonianze,
lettere di richiamo e sanzioni erogate dalla direzione sanitaria ad
alcune dipendenti, in particolare alla oss. Ma un conto sono i
richiami, un altro i reati, che secondo il tribunale non sarebbero
sussistenti. L'ex direttrice amministrativa aveva testimoniato: «Il
personale è troppo scarso rispetto agli ospiti presenti. Facciamo
quello che possiamo». Ma sui presunti maltrattamenti, i colleghi
sentiti in merito al comportamento delle indagate avrebbero reso
«versioni spesso confuse e discordanti, quindi non credibili, anche
sull'assunzione di alcol». Era stata la stessa procura, riguardo ai
comportamenti della oss, a chiedere l'assoluzione. Al processo era
costituita parte civile la Fondazione promozione sociale onlus,
rappresentata da Maria Grazia Breda. All'epoca dei fatti la rsa era
gestita da una società diversa dall'attuale, che aveva a sua volta
affidato il servizio sanitario a una cooperativa, responsabile
civile
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01.11.24
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RAUL=MARCHIONNE: solo che a Raul e' andata male per incompetenza
finanziaria totale che non mancava a MARCHIONNE
Estratto da “La caduta di un impero” di
Carlo Sama, Rizzoli
Nella sua scalata alla Montedison, che io vissi al suo fianco
momento dopo momento, telefonata dopo telefonata, acquisti di
pacchetti di azioni uno dopo l’altro, Gardini aveva speso una
montagna di soldi, indebitando pesantemente la Ferruzzi.
Raul non aveva badato minimamente al prezzo quando diede ordine al
telefono al nostro agente Umberto Maiocchi di acquistare tutte le
azioni Montedison che poteva trovare; poi strapagò le azioni che
Carlo De Benedetti aveva precedentemente rastrellato in Borsa;
infine, non si fece particolari patemi d’animo nell’acquistare a
peso d’oro il pacchetto detenuto dall’industriale milanese delle
vernici Gianni Varasi, il più importante pilastro di quel drappello
di azionisti di media taglia, che comprendeva anche la Inghirami e
la Maltauro, di cui Schimberni si era circondato per fare di
Montedison una public company indipendente e accrescere e difendere
il suo potere personale.
Gardini aveva comprato la Montedison senza pensarci due volte. Ma
anche senza avere una idea precisa di che cosa fosse e come
esattamente funzionasse, in realtà, quell’oggetto del desiderio che
aveva fortemente voluto e fatto suo. Ovviamente, Raul conosceva bene
la storia di Montedison ed era consapevole dell’importanza
strategica di quella società nel panorama industriale italiano.
Così come era consapevole dell’enormità del passo che aveva appena
compiuto, scalando Foro Buonaparte. Ma, adesso, effettuato il blitz,
tutt’altra cosa era dover gestire di fatto la Montedison, capirne il
complesso funzionamento interno, decidere che tipo di impronta dare
alla sua conduzione, se operare in continuità oppure apportando dei
cambiamenti alla linea che Schimberni aveva fin lì seguito.
Per non parlare della nostra scarsa conoscenza e della diversità dei
nuovi settori della chimica con cui stavamo entrando in contatto
(plastiche, fertilizzanti, fibre, farmaci ecc.) rispetto ai nostri
tradizionali ambiti di attività come lo zucchero o i semi oleosi.
Passata l’euforia per la scalata e per il successo personale e di
immagine del suo riuscito colpo di mano su Montedison, che aveva
sorpreso e stupito tutti, Gardini si rese subito conto di quanto
fosse complessa e intricata quella galassia che, dagli inizi degli
anni Ottanta, Schimberni aveva rivoltato come un calzino,
riorganizzandola, riportandola al profitto e spingendola anche nel
campo immobiliare e dei servizi con la Iniziativa Meta (acronimo di
Montedison Terziario Avanzato).
E fu sufficiente poco tempo perché il sorriso beffardo che Raul
aveva sfoderato quel mattino, varcando il portone di Foro Buonaparte,
gli si spegnesse sul volto, nella consapevolezza di essersi
inoltrato in acque profonde e sconosciute.
In sostanza, fu anche per la paura di non essere da subito
all’altezza della sfida manageriale che Montedison richiedeva, e
quindi non solo per una specie di ammirazione strisciante nei
confronti di Schimberni, che Gardini lo lasciò operare quasi
indisturbato per un lungo periodo.
Da parte sua, Schimberni, pur ammaccato dal ridimensionamento della
«sua» public company, che ormai non era più tale avendo ora un
azionista di controllo, approfittò di quel momento di incertezza di
Gardini e per un bel po’ non gli fece letteralmente toccare palla.
Schimberni affidò Raul, togliendoselo così di torno, alle «cure» dei
suoi due amministratori delegati, Giorgio Porta e Lino Cardarelli,
che di fatto «narcotizzarono» Gardini, blandendolo e intrattenendolo
amabilmente per settimane sui settori industriali di Montedison,
sulla sua strategia, sul suo funzionamento, sulle sue società
controllate, su quella macchina così complessa che sembrava poter
essere guidata solo da chi ne conosceva pienamente tutte le
sfaccettature. Con ciò confondendo Raul e rendendolo, se possibile,
ancora più timoroso e titubante sul da farsi di quanto già non lo
fosse.
Spietato, forse anche per quella impressione di smarrimento che Raul
diede loro in quei giorni, fu il giudizio su Gardini che Cardarelli
espresse in seguito, nel suo libro biografico Dalla Montedison a
Baghdad, edito da Guerini e Associati e curato da Gianfranco Fabi.
In un paragrafo intitolato Gardini: né cultura industriale, né
visione, l’ex manager Montedison, infatti, lo bollò di
«provincialismo» e «scarsa cultura industriale».
In effetti, in quell’ormai lontano 1987, era come se Gardini,
oltrepassando il portone della Montedison, fosse entrato in una
fitta giungla e avesse perso l’orientamento. Gli furono presentati
uno dopo l’altro anche i manager delle numerose società operative di
Montedison, da Andrea Mattiussi a Roberto Bencini, da Giancarlo
Cimoli a molti altri, tra cui anche Giuseppe Garofano, che era a
capo di Iniziativa Meta.
Sembrava che Gardini si smarrisse sempre di più nell’intrico di
quegli organigrammi, società e settori, sballottato un giorno tra la
Montedipe e la Montefibre, un altro tra la Agrimont e la
Erbamont-Farmitalia Carlo Erba, impegnato in una serie infinita di
colloqui con i manager delle diverse compagnie, dai quali usciva con
le idee più confuse di prima.
Infatti, ciascuno di essi gli raccontava una storia diversa,
prospettandogli anche le strategie più improbabili, perorando ognuno
la propria causa e spiegandogli come il proprio settore di attività
fosse il più valido e quello su cui puntare di più. Raul era
frastornato, non sembrava nemmeno più lui. Mentre Schimberni, nel
frattempo, continuava a fare il suo gioco e a tessere le sue trame.
In particolare, Schimberni con diverse operazioni stava indebitando
viepiù la Montedison. Emblematico fu l’acquisto dagli spagnoli Mario
Conde e Juan Abelló, per la stratosferica cifra di 450 milioni di
dollari dell’epoca, del 100% della Antibióticos. Ma alcuni giornali
scrissero che il prezzo fu ancora più alto.
La strategia di Schimberni era chiara: più la Montedison era
indebitata e più essa sarebbe stata difficile da gestire anche da
parte di quel nuovo azionista ingombrante che aveva avuto l’ardire
di scalare il «suo» giocattolo. A fine 1987 i debiti di Montedison
erano ormai saliti a poco meno di 8000 miliardi di lire.
Di tanto in tanto Schimberni si intratteneva furbescamente con
Gardini, esprimendo un finto interesse per la chimica verde che Raul
vagheggiava. In una occasione, per dimostrare la sua completa
sintonia di idee con lui e per solleticarne la vanità, arrivò
perfino a promettere a Raul che avrebbe potuto mettere un cip sul
nostro fallimentare stabilimento di etanolo in Louisiana, la
Missalco (Mississippi River Alcohol), che non riusciva a decollare
per problemi tecnici in quanto Raul si era fatto mal consigliare da
Vernes sulla tecnologia produttiva da adottare.
Schimberni poi effettivamente mise un cip sulla Missalco. Ma si
trattò soltanto di un cip, appunto, niente di più.
Il cul-de-sac in cui, come Ferruzzi, ci trovavamo era evidente. Ci
eravamo indebitati moltissimo per comprare una società che, a sua
volta, si stava indebitando sempre di più. E non potevamo nemmeno
comandarla.
Inoltre, quella esperienza senza costrutto in Montedison stava
modificando geneticamente il Gardini che io avevo conosciuto,
rendendolo incerto e pavido. Ogni giorno che passava, cresceva la
preoccupazione mia, di Cusani e di Sergio Cragnotti, un altro dei
top manager di Gardini, prima impegnato nelle attività del Gruppo in
Brasile e in Francia e, in seguito, amministratore delegato di
Enimont e vicepresidente di Montedison.
Che la realtà di Montedison fosse una macchina complessa, e che per
gestirla andava presa per le corna e non subita passivamente, me ne
ero reso conto io stesso nel mio ristretto ambito di attività.
Infatti, Schimberni aveva costruito attorno a sé non solo una fitta
rete di prime e seconde linee di manager fedeli, ma anche un
apparato ben oliato che lo supportava nelle sue strategie di
comunicazione.
Abilissimo nelle relazioni con gli investitori e in quelle
istituzionali, necessarie per mantenere i contatti con la politica,
con una forte e articolata organizzazione ad hoc che lo supportava,
Schimberni aveva a disposizione anche una potente squadra di
Relazioni esterne guidata da un professionista capace come Carlo
Bruno.
L’ufficio Stampa di Carlo Bruno fu molto abile in quei mesi a far
fluire continuamente verso i media − in modo diplomatico ma duro
nella sostanza − la narrazione secondo cui Gardini era diventato,
sì, l’azionista di riferimento, ma la Montedison continuava a
comandarla Schimberni. Punto e basta. Uno stato di cose per noi
intollerabile.
Un giorno, anche per scuotere Raul dal suo immobilismo, gli dissi
chiaramente che, visto che la Montedison era ormai diventata il suo
mondo ed era una realtà molto più complessa della nostra, cioè
quella della vecchia Ferruzzi, io avrei potuto dimettermi da
responsabile delle Relazioni esterne della Ferruzzi stessa e che il
mio incarico avrebbe potuto essere affidato a Bruno.
Non so se Gardini fosse già arrivato intimamente, lui medesimo, alla
convinzione che non si poteva più continuare così. Con ogni
probabilità, si era finalmente reso conto che Schimberni lo stava
prendendo per i fondelli. Sta di fatto che quel giorno mi rispose
secco: «No! Tu devi continuare a dirigere le Relazioni esterne della
Ferruzzi e devi prendere il comando anche di quelle della
Montedison!».
Fu una svolta, anche perché così Schimberni venne privato del suo
giocattolo comunicazionale. Nel giro di poco tempo lo scenario di
Foro Buonaparte cambiò completamente. Finalmente Gardini affrontò
Schimberni che, messo alle strette, diede le dimissioni. E con lui
se ne andarono poco dopo anche diversi dei suoi uomini più vicini,
come Porta e Cardarelli.
Ma il Gruppo Ferruzzi-Montedison necessitava urgentemente di una
rapida ed efficace cura per non crollare sotto il peso dei debiti.
Ci si dovette perciò rivolgere a Mediobanca, che ideò l’operazione
di fusione tra la Ferruzzi Finanziaria e Iniziativa Meta, holding
che aveva già incorporato Bi-Invest, deteneva quote di Fondiaria e
nella cui pancia stavano società come Standa, Datamont, Tecnimont,
Tre I, Cagisa e Sefimeta. Grazie a vantaggiosi concambi, fu una
operazione decisamente vincente per la Ferruzzi, pur scontentando
gli azionisti di Montedison che si sentirono depauperati di un loro
pezzo pregiato come la Meta.
La Ferruzzi, con la scalata di Montedison, aveva rischiato come
Napoleone di finire in una disastrosa campagna di Russia, che alla
fine fu evitata grazie alla operazione Ferruzzi-Meta e alla nascita
della Ferfin. Gardini e i Ferruzzi, a quel punto, avevano ancora in
mano il loro destino. Con alcune dismissioni mirate, il Gruppo
Ferruzzi-Montedison avrebbe potuto ridurre ulteriormente
l’indebitamento e rifocalizzarsi sui settori più redditizi
mantenendo e rafforzando le più importanti leadership produttive
mondiali, europee e italiane in suo possesso.
Avevamo ritrovato la carica e ricominciammo a spingere con successo
anche sulla nostra comunicazione. Una mattina Gardini entrò in
ufficio e scarabocchiò con una stilografica per alcuni minuti su un
foglietto appena più grande di un biglietto da visita. Poi me lo
mostrò e disse: «Voglio che mi metti tutto il Gruppo
Ferruzzi-Montedison su una sola paginetta, fammene anche una
versione in inglese, una in francese e una in tedesco, così me la
infilo in tasca e quando vado in giro per il mondo la tiro fuori e
la mostro ai miei interlocutori per fargli capire chi siamo e che
cosa facciamo».
«Una paginetta?» gli obiettai. «Impossibile, non ci sta tutto su una
paginetta.» Dopo qualche minuto di discussione, trovammo un
compromesso. Avremmo fatto un piccolo pieghevole con poche facciate.
Con tutta la squadra ci mettemmo subito al lavoro. Studiammo il da
farsi facendo mille prove sulla mia grande lavagna di carta:
schizzi, grafici, decine di fogli scartati, strappati dalla lavagna
e buttati nel cestino.
Smontammo idealmente il Gruppo e le sue società rimontandolo una
infinità di volte in modo diverso e finalmente trovammo la quadra.
Ricomponemmo i pezzi della Ferruzzi-Montedison in cinque macroaree −
alimentazione, ambiente, energia, salute e nuovi materiali – e venne
fuori così anche il nostro nuovo messaggio: «Una strategia
industriale per la qualità della vita».
Gardini e Fortis, poi, scrissero a quattro mani il discorso che Raul
avrebbe dovuto tenere all’Assemblea della Ferfin di inizio settembre
1988, tutto impostato su quel messaggio.
In realtà, cinque macrosettori erano perfino troppi e sarebbe stato
logico portarne avanti solo due, l’agroindustria e l’energia.
Però le cinque sfide funzionavano molto come idea ed erano coerenti
anche con la tradizionale filosofia del Gruppo Ferruzzi di
impegnarsi per l’innovazione e lo sviluppo umano. Tant’è che in
seguito, nel 1989 mi pare, la nostra strategia per la qualità della
vita finì anche in quel famoso case study della Harvard Business
School, promosso dal professor Ray Goldberg: Gruppo Ferruzzi. A New
Global Company. Fu davvero un enorme successo di immagine, per noi.
Avevamo dato a Goldberg e ai suoi ricercatori informazioni, dati,
tabelle e grafici per settimane, durante l’estate.
Purtroppo, però, invece di imboccare alla massima velocità le
autostrade spianate davanti a noi, alimentazione ed energia, anche
sviluppando le nostre nuove plastiche biodegradabili, i
biocombustibili e così via, e dismettendo le attività non
strategiche, ci siamo subito di nuovo impantanati nella chimica più
banale.
Ci fu dapprima il momento magico di quel giovane responsabile della
finanza, di cui Raul si «innamorò» per qualche settimana. Gardini lo
reputava un genio e ce lo vendette come tale. In realtà, era del
tutto inadeguato. Un tipo che ebbe anche una tresca con una collega
e che venne preso per i capelli dalla moglie sul portone di
Montedison. Poi fu la volta di Alexander Giacco, il deus ex machina
della Himont, il suo nuovo guru. Così Gardini, sempre più infatuato
del suo nuovo giocattolo, la Montedison, continuò a voler fare
soprattutto il «chimico» a tutto campo.
Dapprima si perse per mesi nell’illusione di poter diventare il re
mondiale delle materie plastiche, soggiogato dal carisma e
dall’influenza di Giacco, che gli montò la testa. L’esatto opposto
della chimica verde, cioè quello che era stato il mantra suo e
nostro fino a quel momento. La nuova parola d’ordine di Raul,
invece, divenne «polimerizzare».
Sembrava che al mondo ci fossero solo le poliolefine, il
polipropilene, tutto il resto passò in second’ordine. Una vera e
propria esaltazione; fuori tempo massimo, peraltro, perché il
polipropilene, pur con nuove tecnologie come lo Spheripol, non era
altro che il vecchio Moplen che Gino Bramieri già pubblicizzava
negli anni Sessanta a Carosello.
Poi fu la volta dell’epopea tragica di Enimont, su cui però, non
spenderò in questo libro una sola parola, essendo già stato scritto
a proposito di questa vicenda e del suo infelice epilogo tutto e il
contrario di tutto.
Enimont fu l’ossessione finale di Gardini, la sua più grande
sconfitta. Fu un lungo calvario per tutti noi, vissuto in un clima
di crescente incertezza. Solo lui, Raul, restò convinto
ostinatamente fino alla fine di poter vincere la partita con l’Eni,
coinvolgendo Vernes e i suoi amici francesi, scalando la joint
venture guidata da Necci e Cragnotti a dispetto dell’Eni, facendo
infuriare, compattandola, tutta la politica italiana.
E in un clima surreale, nel pieno della palude gestionale di Enimont,
delle ripercussioni finanziarie e industriali negative per
Ferruzzi-Montedison che Enimont determinò, ci fu anche il fastoso e
miliardario varo del Moro di Venezia, che Raul organizzò in modo
faraonico: l’ultima illusione di una onnipotenza che ormai gli stava
lentamente sfuggendo come sabbia tra le dita.
Gardini fece perfino realizzare da Franco Zeffirelli un film sulla
cerimonia del varo, con musiche di Ennio Morricone. La laguna
affollata di barche e motoscafi davanti alla Punta della Salute,
l’11 marzo 1990, fu il palcoscenico per la sua definitiva
incoronazione a nuovo doge della città, tra squilli di trombe e
sfilate di personaggi in costume. Furono invitati a Venezia ad
assistere al varo del Moro decine di ospiti illustri, tra cui Gianni
Agnelli, che venne accompagnato da Jas Gawronski. E furono
distribuiti agli ospiti gadget sfarzosi, tra cui costose coperte in
cachemire rosso carminio con lo stemma in oro del leone di Venezia.
Quante volte, con Alessandra, abbiamo ripensato a quell’ennesima
occasione perduta di Raul! Se, invece di infilarsi nel tunnel senza
sbocco di Enimont e di voler fare il chimico a tutti i costi, si
fosse concentrato sulla vecchia Ferruzzi e su ciò che più sapeva
fare, cioè l’armatore e il velista, forse il suo e i nostri destini
sarebbero stati diversi.
Se, anziché tentare di trasformare il Gruppo Ferruzzi in un
improbabile Gruppo Gardini a danno delle nostre famiglie, avesse
investito di più il suo tempo sulla Coppa America e sulla popolarità
che la sfida velica gli avrebbe portato, forse Raul oggi sarebbe
ancora con noi.
Con il trionfo nel campionato mondiale Iacc del 1991, la successiva
vittoria nella Louis Vuitton Cup e la finale perduta di San Diego
del 1992, trasmesse in diretta da Telemontecarlo, Gardini divenne
l’uomo del momento: tutta l’Italia era praticamente ai suoi piedi!
Invece la vicenda Enimont lo distrusse fisicamente e
psicologicamente. La stessa disastrosa speculazione sulla soia al
mercato di Chicago, che Gardini tentò assieme a un ristretto numero
di trader suoi collaboratori, a nostra insaputa, fu forse dettata
dalla disperata volontà di Raul di guadagnare del denaro da
investire poi nella scalata alla joint venture chimica.
Il fallimento di quella speculazione costò alla Ferruzzi una cifra
imponente e mai precisata, oltre alla vergogna di essere multati e
ripudiati da quel tempio del trading e della finanza mondiale che
era solito accogliere Serafino Ferruzzi come un re.
Quella speculazione sulla soia fu per la Ferruzzi un tremendo bagno
di sangue finanziario. Lo stesso Roberto Michetti, poi braccio
destro di Gardini dopo la nostra separazione, ha stimato una perdita
per il nostro Gruppo assai superiore ai 100 milioni di dollari
inizialmente indicati in via ufficiale; «Forbes» arrivò a parlare di
un buco definitivo di addirittura 400 milioni di dollari.
Forse, quella bottiglia che la figlia Maria Speranza, detta Cochi,
non riuscì a rompere al primo tentativo durante la cerimonia del
varo del Moro era stato veramente un sinistro presagio. E Raul era
molto superstizioso... Tanto che fece anche togliere dal film di
Zeffirelli la scena di quel colpo di bottiglia non riuscito,
lasciando solo il secondo, andato a buon fine.
Chissà, il destino probabilmente era già tracciato. La fortuna di
Raul, in gran parte per colpa sua, da qualche tempo lo stava a poco
a poco abbandonando. Ma Gardini, il mio vecchio amico ormai
geneticamente modificato dalla chimica, non se ne accorse.
Con la scalata di Montedison avevamo sfiorato la Beresina.
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Piantedosi: "Avversari politici nel mirino" Gallo: "Lavoravo ai
servizi con Mancini"
monica serra
andrea siravo
milano
Al settimo piano del palazzo di giustizia, il superpoliziotto in
pensione Carmine Gallo è stato il primo ad arrivare. Non ha risposto
alle domande del giudice che lo ha messo ai domiciliari. Si è
limitato a qualche dichiarazione: «Per quarant'anni ho servito le
istituzioni. Ho sempre collaborato con le istituzioni, lo farò anche
questa volta e chiarirò tutto». Appena fuori, a chi gli ha chiesto
come si sente nella veste di indagato si è limitato a tre parole: «È
la vita».
Per il pm Francesco De Tommasi, è lui il «capo indiscusso» della
centrale dei dossieraggi di via Pattari. Per i carabinieri, «a oggi
non sono emersi rapporti di natura stabile tra apparati dello Stato
italiano e il gruppo». E non stabile? Intercettato, è Gallo a
sostenere di aver lavorato per i servizi, con Giuliano Tavaroli e
Marco Mancini: «Con Tavaroli eravamo amici una volta, quando lui era
nell'Arma, mi ha fatto un sacco di favori quando era alla Tim. Poi
ci siamo persi. Pure con Mancini eravamo amici. È tutta gente che ho
conosciuto quando eravamo ai servizi, tutti insieme eravamo…in
procura…Ovviamente gli ho fatto pure dei favori a lui, lui me ne ha
fatti a me, parecchi eh…».
Al netto dell'agente del commissariato di Rho interdetto, che ha
ammesso di aver effettuato Sdi abusivi per conto di Gallo («Era
stato il mio capo»), nessuno dei quattro arrestati ieri ha voluto
rispondere alle domande del gip Fabrizio Filice. Ma Massimiliano
Camponovo, socio dell'hacker Nunzio Calamucci, si è limitato a poche
inquietanti dichiarazioni: «Ho percepito la presenza di una mano
oscura che muoveva il sistema, per questo non facevo domande. Temevo
per la sicurezza mia e della mia famiglia».
Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa, tra le presunte
vittime di Enrico Pazzali, presidente autosospeso della Fondazione
Fiera – che avrebbe addirittura desiderato «un ufficio
nell'Arcivescovado» – si è chiesto in questi giorni chi siano stati
i mandanti: «A chi Pazzali non ha potuto dire di no? » . Se lo
chiedono pure gli investigatori che stanno indagando su un possibile
«secondo livello».
Sarebbero state almeno 767 le vittime conteggiate dai carabinieri
nelle ultime informative, da cui emergono nuovi dettagli. Come la
conversazione intercettata sulla eventuale nomina di Beniamino Lo
Presti come ad di Trenord. Il governatore lombardo Attilio Fontana
avrebbe detto: «Nel caso, mi dimetto». O ancora, parlando delle
consulenze effettuate per Eni – uno dei clienti del gruppo, che ha
spiegato di non essere mai stato al corrente degli illeciti –
Calamucci sosteneva: «Montiamo tutta la pantomima, non lo sapeva
nessuno, solo Descalzi e Speroni…». Sono parole dell'hacker ma, a
differenza del capo degli affari legali, l'ad della compagnia,
Claudio Descalzi non è indagato.
«Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci e
undici! Poi rimetti anche gli elastici! » , diceva ancora Calamucci
intercettato, mentre contava «mazzette di contanti», per un totale
di 50 mila euro. È parte dei soldi cash che Leonardo Maria Del
Vecchio avrebbe pagato alla banda per spiare familiari e fidanzata.
Il fratello, Claudio, vittima di un finto dossier su un incontro con
una transessuale a New York, ha depositato la nomina del suo
avvocato in procura. C'è anche lui nella decina di vittime che si
sono già rivolte ai magistrati.
«Queste indagini pongono il tema della gravità di comportamenti di
chi potrebbe utilizzare dati illecitamente acquisiti – ha detto al
Senato il ministro Matteo Piantedosi – anche per attaccare gli
avversari politici alterando le regole della democrazia».
-
Umbria, la presidente era indagata per l'uso di fondi Ue
Inchiesta su Tesei archiviata l'abuso d'uffcio non esiste più
Troppi interessi in gioco. La governatrice dell'Umbria Donatella
Tesei, quota Lega e ricandidata alle prossime regionali, e l'assessora
alla programmazione europea, al bilancio e al turismo Paola Urbani
Agabiti avrebbero dovuto astenersi dalla votazione sullo
stanziamento di fondi europei per lo sviluppo rurale. Almeno questa
era la tesi dei magistrati di Perugia che le avevano indagate per
abuso d'ufficio. Ma il reato è stato abrogato e la procura ha
chiesto l'archiviazione. Accolta dal giudice. La vicenda risale al
2021, quando la Regione predispone un bando dopo la pandemia per lo
sviluppo di filiere agricole e circa tre milioni di fondi vanno
all'azienda Urbani Tartufi. Un vero e proprio impero, con 14 sedi, 5
marchi e 300 dipendenti. La sede principale è a Sant'Anatolia di
Narco, paesino di 564 abitanti. Urbani Tartufi ne è il fiore
all'occhiello. Qui l'intreccio di conoscenze. L'azienda è gestita
dal marito dell'assessora regionale. E lì lavora il figlio della
presidente Tesei. In procura a Perugia arriva un esposto anonimo. E
le indagini del nucleo di polizia economico-finanziaria della
Guardia di finanza prendono il via. Gli accertamenti hanno
riguardato due delibere di programmazione economica della Regione.
Per i bandi si sono costituite associazioni temporanee di scopi e
per quella del settore tartufo si sono messe insieme un centinaio di
aziende tra cui quella del marito dell'assessora.
«L'indagine era iniziata da tempo e già questo dimostra ancora una
volta la correttezza dell'operato della mia amministrazione»,
dichiara la presidente, mentre la Lega alza il tiro e parla di
«macchina del fango a orologeria» alla vigilia del voto. L'avvocato
Nicola Di Mario, che assiste l'assessora Agabiti, aggiunge: «Anche
se non fosse stata disposta l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, la
contestazione sarebbe risultata del tutto infondata».
Il Pd attacca, M5s chiede chiarimenti. Il ministro Giorgetti, ieri
ad Assisi per inaugurare la sede della Lega, commenta: «Penso che
gli umbri sapranno valutare il lavoro fatto da Tesei». Caso
archiviato. Non la querelle politica, a pochi giorni dal voto per il
rinnovo di giunta e consiglio regionale.
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31.10.24
-
Uragano
Mario Tozzi
Mediterraneo
Probabilmente si è trattato di un effetto "goccia fredda", una massa
d'aria che si è separata dal flusso globale delle correnti che si
muovono da Ovest verso Est e, questa volta, è atterrata in Spagna.
Una prossima volta potrebbe investire l'Italia, un'altra la Turchia.
Quello che è certo è che si tratta di una perturbazione
meteorologica a elevatissima energia, come quelle che dobbiamo
aspettarci nel prossimo futuro, segnati come siamo da una crisi
climatica senza precedenti. Il maggior contenuto energetico rispetto
alle perturbazioni del passato spiega il fatto che in sole otto ore
sia caduta, a Valencia, la stessa quantità d'acqua che, normalmente,
cadeva in dodici mesi. Ma è l'avverbio "normalmente" che deve ormai
essere abbandonato, in un contesto in cui non c'è più nulla di
normale, se inteso come la regolarità di un certo tipo di clima a
certe latitudini, il regolare alternarsi delle stagioni come le
conoscevamo un tempo. Per questo ha pochissimo senso continuare a
confrontarsi con il passato più lontano e si deve, invece, prendere
come riferimento cosa è accaduto negli ultimi venti o trent'anni. La
ricorrenza secolare dell'energia di certi eventi è spazzata via da
quanto sta accadendo negli ultimi anni, un'accelerazione senza
precedenti nel riscaldamento globale.
Non siamo più di fronte ai fiumi ingrossati che esondano in
pochissimo tempo (flash flood), che pure ci erano diventati
famigliari, ma di fronte a una impressionante distesa di fango in
movimento che ammanta ogni lembo di territorio e si scatena dove
trova intoppi o infrastrutture chiaramente commisurate in altri
tempi per altri climi. Anche in Spagna si è costruito molto e spesso
in aree di pericolosità idraulica, ma le immagini dall'alto
dell'Andalusia, specialmente se comparate con quelle delle isole
Baleari dell'estate appena trascorsa, permettono di indicare
chiaramente che qui caditoie e tombini, pulizia dei fiumi e nutrie
c'entrano poco, qui l'unico territorio che c'entra è quello
inesplorato in cui ci stiamo addentrando da un punto di vista
climatico. Come conferma ciò che sta avvenendo lungo il margine
settentrionale del Sahara e nella penisola arabica: alluvioni
dovunque, con punte di 200 mm di pioggia in 48 ore per luoghi che ne
registravano appena due in mesi.
Decine di morti, danni che possiamo già stimare, globalmente, in
miliardi di euro che hanno un solo responsabile, le attività
economiche dei sapiens che hanno portato al record di concentrazione
di CO2 in atmosfera e al record negativo di copertura glaciale sul
pianeta Terra. Le notizie terribili che provengono dal clima che
cambia violentemente dovrebbero spingere verso un'azione immediata e
decisa l'umanità che, invece, continua a cullarsi nell'illusione che
sarà il libero mercato a proporre soluzioni, quando è chiaro che è
il problema. Il clima non ha confini, a prescindere da chi abbia
contribuito di più (e, nel tempo, noi europei siamo senz'altro al
primo posto), e necessita accordi internazionali obbligatori, non
liberi, con organismi terzi di controllo, non basati sulla fiducia.
Non c'è spazio per le vecchie soluzioni di adattamento, perché il
clima cambia così velocemente che rischiano di diventare obsolete
prima di essere messe in opera. Bisogna agire sulle cause, azzerare
le emissioni clima alteranti, ma oggi, non nel 2050, perché non
sappiamo come ci arriveremo.
E in questa situazione catastrofica dobbiamo ancora perdere tempo
con economisti senza scrupoli, pennivendoli della peggior risma,
briganti e malfattori, mercanti di dubbi a un tanto al chilo che ci
raccontano che, invece, le cose vanno bene e tutto dipende dal Sole
o dai cicli di Milankovitch e dunque noi sapiens non possiamo farci
un granché. E che Annibale aveva attraversato le Alpi e la
Groenlandia era verde: un campionario di sciocchezze smentite
dall'intera comunità scientifica di specialisti sul clima. Sulle
cause dell'attuale crisi climatica la discussione fra gli scienziati
si è chiusa da tempo con l'attribuzione delle responsabilità
all'uomo, e si riaprirà solo con nuovi dati. Che al momento non ci
sono. Ma restano i negazionisti, quelli che hanno come unico
obiettivo prendere tempo per accumulare ancora profitti (questa
l'unica ragione). Quando non sono ignoranti sono in malafede, ma
comunque sono tutti correi, e a loro vanno assommate le enormi
perdite di tempo, i tentennamenti, le incertezze, le politiche di
contrasto deboli o inesistenti, così come i danni e le vittime.
Almeno avessero, ora, il pudore di tacere. —
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Nei primi nove mesi capacità a 64,6 GW
Enel, sempre più energie rinnovabili nel 2024 In Italia la
produzione è in aumento del 19%
Sempre più energia verde, in Italia e nel mondo. A spiegarlo
è Enel, che ha pubblicato i risultati operativi di gruppo al 30
settembre 2024. Si conferma l'impegno verso la decarbonizzazione: a
livello globale la capacità rinnovabile di Enel arriva a 64,6 GW -
in aumento rispetto ai 58,5 GW dei 9 mesi del 2023 - e la produzione
di energia da fonti rinnovabili sale del 13% a parità di perimetro.
La produzione di energia elettrica ad emissioni zero del gruppo ha
raggiunto l'84% del totale, in crescita rispetto al 73% dei nove
mesi del 2023. Analoga la traiettoria di sostenibilità che emerge
dai dati specifici sull'Italia, dove la produzione di energia
elettrica da rinnovabili è in aumento del 19,8% rispetto ai primi
nove mesi dello scorso anno. L'impegno per la decarbonizzazione del
Paese si riflette anche nel peso crescente delle rinnovabili nel mix
energetico. L'elettricità proveniente da fonti verdi è arrivata a
coprire il 73,4% della produzione complessiva di Enel in Italia,
anche in tal caso in incremento se paragonato al 49,5% dello stesso
periodo del 2023.
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Le indagini, nessuna "clonazione" della mail di Mattarella
L'ipotesi: la banda dei dossier aveva una talpa nel Cnaip
Il pm: "A rischio interessi vitali di istituzioni e collettività"
Oggi al via gli interrogatori
monica serra
milano
Lo scrive il pm Francesco De Tommasi: «Le azioni commesse dal gruppo
di via Pattari 6 mettono in pericolo interessi vitali delle
istituzioni e della collettività».
Per giustificare la necessità di fermare la presunta centrale di
spionaggio con sede dietro al Duomo, aggiunge: «Significative sono
le operazioni poste in essere per schermare le attività delittuose e
allargare gli ambiti in cui condurre i traffici illegali di dati
riservati, con il rischio che gli stessi possano finire senza
autorizzazione "nelle mani" di agenzie straniere – agli atti
l'incontro con due presunti 007 israeliani, ndr. – e che all'estero
possa essere creata e detenuta una banca dati destinata a conservare
le informazioni di volta in volta esfiltrate abusivamente». Tant'è
che è stata creata una società "clone", la «Equalize Ltd a Londra»
proprio dove, per l'accusa, «attraverso un gruppo di «ragazzi»
coordinati da «Monica», il sodalizio avrebbe gestito gli accessi
diretti al Ced Interforze e quindi alla banca dati Sdi»
Ma c'è di più. Perché secondo quanto emerge dall'informativa dei
carabinieri, la banda avrebbe avuto anche una talpa che girava
«informazioni» drenate dal Cnaip, il Centro nazionale anticrimine
informatico per la protezione delle infrastrutture della polizia
postale. «Ti faccio un esempio – diceva l'hacker Nunzio Calamucci –
qua c'è il server del Ced… I miei ragazzi sono quelli che hanno
fatto l'infrastruttura e fanno la manutenzione! È quello il trucco!
La piattaforma attinge facendo il giro... perché il server ce
l'abbiamo a Londra?... Perché se lo fai Italia su Italia, ci mettono
le manette...».
Grazie a tecnologie di altissimo livello, nella Equalize di Enrico
Pazzali, il presidente autosospeso di Fondazione Fiera Milano e solo
indagato, sarebbero riusciti a inoculare trojan sui cellulari delle
vittime, a intercettare conversazioni, a schedare manager,
imprenditori e politici. E tra gli strumenti a disposizione spunta
anche «l'Usb Killer» pronta all'uso in caso di indagini e
perquisizioni. All'apparenza una normale chiavetta che, inserita in
un pc, sarebbe in grado di generare «sovraccarichi ad alta tensione
danneggiandone irrimediabilmente i componenti e rendendo impossibile
il recupero dei dati».
Sempre grazie all'informativa, è possibile chiarire che non c'è
stata alcuna «clonazione» della mail del presidente della Repubblica
Sergio Mattarella, come si legge nella richiesta di misura. I nuovi
atti permettono di spiegare che in realtà si sarebbe semplicemente
trattato di un'operazione del gruppo per far dimettere l'ad di una
società, la Linea Verde. Operazione che sarebbe passata anche
dall'invio a «vari indirizzi», da un «account di posta interno
all'azienda», di una serie di mail, che apparivano inviate da un
«dipendente anonimo» che voleva denunciare delle «irregolarità»
all'organismo di vigilanza. Mail inviate, tra gli altri, anche
all'indirizzo di Mattarella».
Oggi la parola passa agli indagati ai domiciliari col braccialetto
elettronico. Il gip Fabrizio Filice interrogherà il superpoliziotto
in pensione Carmine Gallo e l'hacker Nunzio Calamucci, legato ad
Anonymous. Entrambi sono ritenuti «capi dell'organizzazione» con
Giulio "John" Cornelli. Ma saranno sentiti anche Massimiliano
Camponovo, «principale addetto all'esfiltrazione dei dati», e i due
appartenenti alle forze dell'ordine «infedeli» interdetti dal gip:
un poliziotto del commissariato di Rho e un finanziere in servizio
alla Dia di Lecce. —
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Il direttore dell'ospedale nel Nord della Striscia: "Una
catastrofe". Primo discorso di Qassem, nuovo capo di Hezbollah: "La
resa, mai"
L'urlo dei disperati a Beit Lahia "Ho sepolto mio figlio nel
cortile"
Hussam Abu Safiyeh
Nello Del Gatto
Gerusalemme
«Siamo sotto pressione e abbiamo chiesto a tutti di condividere con
noi che c'è una guerra di sterminio in corso ora contro i cittadini
nel Nord di Gaza e contro il sistema sanitario». Non usa mezzi
termini il dottor Hussam Abu Safiyeh, direttore dell'ospedale Kamal
Adwan a Beit Lahia, nel Nord della Striscia di Gaza. L'area è da
oltre tre settimane assediata dall'esercito. Dei 400 mila rifugiati
che qui avevano trovato riparo, oltre 50 mila sono già scappati.
Secondo le autorità locali, sono più di mille le vittime
dell'assedio. Tra queste anche il figlio del direttore
dell'ospedale. E lui rincara la dose: «l'ho dovuto seppellire nel
cortile dell'ospedale. È una guerra ingiusta, una guerra di
sterminio contro i nostri figli, la nostra gente e i nostri bambini
nel Nord di Gaza. Abbiamo bisogno di delegazioni mediche urgenti,
soprattutto chirurghi. Non ne abbiamo nessuno. Abbiamo anche bisogno
di ambulanze per raccogliere i feriti che sono sparsi in giro, sotto
le macerie. Molti moriranno. Siamo talmente in difficoltà in
ospedale che, chiunque lo raggiunga, muore». Il Kamal Adwan è stato
anch'esso sotto assedio. L'esercito lo ha occupato per diversi
giorni e tutta l'area della cittadina del Nord di Gaza è stata
dichiarata zona disastrata. Solo qui sono state uccise 350 persone
secondo il municipio locale.
Il dottore parla di situazione catastrofica, dove non arriva nulla
neanche cibo, acqua o altro tipo di aiuto. «L'ospedale – continua –
è pieno di cadaveri. E quelli che non lo sono lo saranno presto. Non
abbiamo nulla. Sono rimasti solo due pediatri. Ci arrivano
continuamente pazienti feriti e non sappiamo come gestirli». Una
situazione, questa, denunciata anche dal capo dell'organizzazione
Mondiale della Sanità, Ghebreyesus che ha spiegato anche che
l'ospedale è stato pesantemente danneggiato negli ultimi attacchi.
Situazione difficile anche sull'altro fronte di guerra, in Libano.
Dopo aver emanato un ordine di evacuazione, l'esercito israeliano ha
colpito ripetutamente la città orientale di Baalbek. Decine di
migliaia quelli che hanno lasciato la storica città libanese,
patrimonio Unesco. Ore dopo l'avviso, un raid ha colpito una
raffineria a Douris, nei pressi di Baalbek che, secondo i militari
israeliani, si trovava in un compound militare dell'Unità 4400 di
Hezbollah. Altri attacchi israeliani sempre nella valle della Bekaa,
hanno provocato 26 vittime secondo il ministero della salute. I raid
si sono verificati a Sohomor, Bednayel e Mazraat Beit Salibi.
Dal Paese dei Cedri, per tutto il giorno, sono piovuti su Israele
razzi e droni. Secondo i media locali, Netanyahu in una riunione
avrebbe detto che gli obiettivi in Libano sarebbero stati raggiunti
e si dovrebbe ora cercare di tradurli in un accordo per porre fine
ai combattimenti. Domani gli inviati della Casa Bianca, Brett McGurk
e Amos Hochstein, saranno in Israele per discutere dei due fronti.
Ieri si è anche registrato il primo discorso di Naim Qassem come
segretario generale di Hezbollah. Il nuovo leader del gruppo sciita
ha promesso di seguire i «piani di guerra» del predecessore Hassan
Nasrallah. «Vogliono che ci arrendiamo, ma non accadrà, anche se lo
scontro è doloroso» ha detto. «Se Israele decide di fermare la
guerra, acconsentiremo alle condizioni che vanno bene a noi. Finora,
nessuna proposta accettabile è stata messa in discussione» ha
spiegato Qassem. E a proposito dell'attacco alla residenza del
premier israeliano, il segretario generale di Hezbollah ha
minacciato che, dopo aver colpito la casa di Netanyahu, «questa
volta è sopravvissuto ma potrebbe ancora essere ucciso. Magari da un
israeliano mentre tiene un discorso».
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30.10.24
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Tra i presunti clienti dell'agenzia anche Eni e Ilva: le
informazioni usate come merce di scambio Il patto con gli 007
israeliani: "Dobbiamo fermare il finanziamento degli oligarchi russi
alla Wagner"
"Quegli incontri con il Mossad e il report per la Chiesa" Gli
spioni: i pc sono dei servizi
Il summit con gli israeliani
Gli affari internazionali
monica serra
milano
Sono le 8,48 dell'8 febbraio del 2023 e l'ex carabiniere del Ros con
un passato anche al Sismi, Vincenzo De Marzio, entra nella centrale
dei dossieraggi di via Pattari 6. Con lui ci sono due 007
israeliani. O meglio, come si legge nella maxi informativa dei
carabinieri, «due uomini non identificati che rappresenterebbero
un'articolazione dell'intelligence dello Stato di Israele».
In ufficio è presente anche il presidente di Fondazione Fiera Milano
Enrico Pazzali. Lui però non partecipa all'incontro che dura tutta
la mattina per discutere di una possibile «partnership», un «do ut
des», con l'accesso alle rispettive «fonti dati» ma anche la
possibilità di ottenere un incarico per operazioni «cyber»: il
monitoraggio degli attacchi di hacker russi, il contrasto ai
mercenari del «Wagner Group», l'intercettazione dei movimenti
bancari: «Dobbiamo fermare il finanziamento degli oligarchi russi
all'armata Wagner! » .
In cambio, propongono alla banda informazioni per Eni e sull'ex
legale esterno Piero Amara (quello dei verbali sulla fantomatica
loggia Ungheria). La compagnia petrolifera è uno dei «clienti più
importanti» di Equalize per il pm che indaga su Stefano Speroni, il
capo degli affari legali della società che, però, sottolinea di non
essere mai stata al corrente delle attività illecite condotte dal
gruppo dall'ex superpoliziotto Carmine Gallo. Nel suo archivio ci
sarebbero anche «atti riservati di Eni».
Ad annunciare i due ospiti l'hacker Nunzio Calamucci: «Ci hanno dato
quaranta kappa fino a oggi, attraverso Enzo.. .mi hanno proposto un
lavoretto da un milione! Metà dei dati li hanno dati al Vaticano,
l'altra metà gli servono per combattere Wagner! » . Il contatto con
loro è De Marzio: «Ho chiesto a Enzo: ma dove ca… li hai conosciuti
questi? Mi fa... e sai quando ero giù mi fa, ho fatto due anni a Tel
Aviv in Ambasciata... e loro lavoravano con me! ». Sempre loro - a
detta di Calamucci - lo avrebbero «introdotto nell'Opus Dei».
Quando si mette al lavoro è Calamucci a spiegare che si starebbe
occupando di un report commissionato dalla Chiesa: «I dati mi
servono per andare contro l'oligarca… il braccio destro di Putin, la
Chiesa chiede quello. La aiutiamo la Chiesa contro la Russia o no? »
. Gallo risponde: «Se ci paga… è stato sempre gratis». Scherzano:
«Pro bono per il Papa?». Un lavoro che, sempre stando alle
intercettazioni, sarebbe stato concluso: «Gli ho ricostruito tutto,
compresi gli asset, le proprietà, le banche e tutti i documenti
originali che ci hanno chiesto, perché si vede che li devono
sanzionare o qualche cag…ta del genere…».
Grazie alla «rete di contatti di primissimo livello» che «funge da
schermo, da ombrello», «l'Insospettabile» Pazzali si muove con
disinvoltura in ogni ambiente istituzionale. Addirittura viene
notato aggirarsi nel corridoio della Dda di Milano, mentre è in
corso un incontro degli investigatori con il pm Francesco De Tommasi
sull'indagine in corso sulla banda.
E ancora, più volte vengono annotati dai carabinieri
nell'informativa presunti legami tra i componenti del gruppo e i
servizi segreti. Non solo si ipotizza che Gallo abbia lavorato per
un loro «gruppo di intelligence». Ma, è sempre un'intercettazione di
Calamucci a spiegare: «Guarda che l'Aise è stata trasferita… tutti
nostri computer sono i computer usati che hanno lì…tutti i computer
che usano li quei ragazzi sono i Lenovo che danno a noi usati».
Tra l'Iron app israeliana e la piattaforma Beyond, sono di
«altissimo livello» tecnologie e sistemi informatici usati dal
gruppo di via Pattari che avrebbe avuto tra i suoi clienti anche
Ilva in amministrazione straordinaria e il gruppo di lottomatica
Gamenet. Quando era iniziata a circolare la voce di una possibile
indagine su Pazzali, quasi un anno prima dell'operazione della Dda
di Milano, un sms anonimo è arrivato sul cellulare del manager:
«Domani arriva avviso garanzia» da un cellulare che apparteneva a un
«marocchino inesistente». Lui ha iniziato a preoccuparsi: «Avrà
perso tre chili ieri sera... non ha dormito un ca…, ha vomitato
tutta la notte, è andato in Guardia di Finanza... la Finanza gli ha
detto... se fosse vero è peggio ancora…». Alla fine si è scoperto
che l'autore era Calamucci «per rendere ancora più necessario il
ruolo della sua Mercury in Equalize» mentre Pazzali voleva ridurne
gli utili.
Negli enormi archivi della banda c'era di tutto. Anche un elenco con
i nomi dei magistrati italiani: «Quindi i prefetti li abbiamo
caricati, i magistrati te li ho mandati ora, prova a guardare se ti
è arrivata la mail». Gli investigatori ritengono che il gruppo «sia
in grado di rilevare i dati presenti in specifici file Excel», un
sistema a «pesca» che permette le ricerche su tutti i nominativi.
Intercettato mentre osservava l'elenco, l'hacker Calamucci «nomina i
pm milanesi Laura Pedio e Paolo Storari e ancora l'ex procuratore
Francesco Greco». —
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Le manovre politiche di Pazzali "Schedate i fedelissimi di Moratti"
Milano
«C'è un sacco di gente, guarda se conosci qualcuno. Se c'é qualcuno
d'interessante da verificare». «Sì, sì, li guardo tutti». È il 27
ottobre del 2022 ed Enrico Pazzali, presidente da lunedì
auto-sospeso di Fondazione Fiera Milano (estranea ai fatti), figura
chiave nell'inchiesta sugli spioni milanesi, chiede al suo socio,
l'ex superpoliziotto Carmine Gallo di fare uno screening del
consiglio direttivo della lista Lombardia Migliore di Letizia
Moratti. Il motivo? L'ex assessore alla Sanità si è candidata a
presidente della Lombardia contro il governatore leghista Attilio
Fontana, ovvero il politico che insieme al sindaco di Milano Beppe
Sala ha nominato Pazzali ai vertici di Fondazione Fiera.
Il manager, secondo quanto contenuto nelle oltre tremila pagine di
informativa del nucleo investigativo dei carabinieri di Varese,
sarebbe affamato di informazioni da usare nella battaglia
politico-elettorale. Nei mesi precedenti al voto del febbraio 2023
le ricerche si concentrano sugli uomini più vicini a Moratti. Si
fanno accertamenti alla banche dati di polizia ma il finanziere
Giuliano S. (in servizio alla Dia di Lecce e interdetto dal gip),
che lavora per Equalize, fa anche una interrogazione Sdi generando
una «ricerca globale» sul Tiziano Mariani, grande consigliere di
Moratti. Qual è l'obiettivo? «Anche grazie alle informazioni
ottenute nell'agosto 2022 su Mariani - si legge nell'informativa -,
Pazzali approccia quest'ultimo per ottenere informazioni sulla
campagna elettorale della Moratti e ne discute con Paolo Sensale (il
portavoce di Attilio Fontana, non indagato) che sta curando le
rilevazioni statistiche delle intenzioni di voto per le regionali».
In un altro colloquio registrato dagli investigatori Pazzali fa
anche valutazioni politiche. «Adesso non si può negare che la Meloni
stia facendo bene…il tema vero è quello che ci sta intorno». Pazzali,
poi, critica l'ipotesi (che forse avrebbe fatto desistere Moratti
dal candidarsi) di farla ad delle Olimpiadi Milano Cortina. Anche
sulla scelta di sfidare Fontana, però, è tranchant. «Letizia non
doveva abbassarsi a questa roba qua» dice parlando proprio con
Mariani.
Ma questa è solo una delle tante pagine in cui la politica milanese,
lombarda e nazionale incrocia le attività di Equalize. Pazzali
avrebbe utilizzato le notizie raccolte dagli hacker che lavorano per
lui come olio per le sue relazioni. C'è la ricerca di informazioni
su Simona Gelpi - «mi arriva dalla Ronzulli, mi fa un po' paura»
dice Pazzali a Gallo - e ci sono le ricerche su Ignazio La Russa e
sui suoi figli, sul cui mandante si sta interrogando lo stesso
presidente del Senato. Idem su Matteo Renzi. Pazzali fa
un'interrogazione alla piattaforma Beyond che fa infuriare i
collaboratori perché mette a rischio la sicurezza del gruppo. «Metti
caso che io gli do rosso a Matteo Renzi, che ancora è in fase di
trattativa della condanna...quello...» si lamentano.
L'attività è trasversale agli schieramenti. Del resto, come spiega
il capo degli hacker Samuele Calamucci al suo collaboratore Giulio
Cornelli, «Lo Zio (uno dei nickname di Pazzali, ndr) anche se
palesemente non lo dimostrerà mai….è sponsorizzato da Ignazio La
Russa, Santanchè, Fontana, da tutta la parte, cioè da Silvio
Berlusconi... Avendo lo sponsor di centrodestra i contatti sono
settanta per cento centrodestra, trenta il resto». Le informazioni
poi, come testimonierebbe una telefonata fra Pazzali e il ministro
del Turismo Daniela Santanchè, avrebbero anche scopi molto concreti
come cercare di bloccare le nomine dei «rivali».
La politica, anche se non direttamente collegata alla raccolta
informazioni, è sempre al centro dei discorsi degli indagati.
Francesco Barletta, ex socio della Equalize, ma soprattutto ex
consigliere di Leonardo e oggi vice presidente di Sea (anche lui
autosospeso), credendo di essere in un luogo sicuro confida a un
amico che la nomina di Matteo Salvini al Viminale nell'esecutivo
Meloni sarebbe stata stoppata dagli 007 americani «in quanto
sarebbero potuti emergere dossier sui finanziamenti della
Federazione Russa alle organizzazioni politiche italiane». Storia
che in queste ore, a Palazzo Chigi, avrebbe suscitato più di una
risata.
Oltre alle «spiate» politiche, naturalmente, ci sono poi quelle
fatte esclusivamente per «fare il grano». Una delle vicende
ricostruite nei dettagli dagli investigatori riguarda il banchiere
Matteo Arpe che, insieme al fratello Fabio, si sarebbe rivolto a
Equalize per scoprire a quanto ammonta il patrimonio dell'ultima
moglie del padre. Notizie «da usare in sede di negoziazione
extragiudiziale sull'eredità». Durante una videocall Calamucci
spiega come Equalize sia in grado di arrivare ad acquisire dati
bancari degli ultimi trent'anni.
Nel mirino degli hacker, poi, c'è il mondo dello sport. Pochi giorni
dopo aver conquistato l'oro olimpico a Tokyo tocca al velocista
Marcell Jacobs. «Le analisi forensi», scrivono i carabinieri, «hanno
permesso di accertare l'interessamento in intercettazioni illecite a
carico di Jacobs e del suo staff» da parte di due indagati, Lorenzo
Di Iulio e Gabriele Pegoraro. A commissionare le intercettazioni,
per conto di un avvocato padovano in corso di identificazione, è
Carmine Gallo. Ed è sempre Gallo che, parlando al telefono con
Calamucci, racconta anche del possibile incarico per una bonifica.
«Sono andato con Andrea De Donno (altro collaboratore esterno di
Equalize, anche lui indagatio), perché…questo qua è il security
manager della Roma Calcio». m. ser.
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I giovani scappano, a votare vanno i vecchi La mia Liguria non sa
guardare al domani
Visto che sono un incallito sinistrorso e un fiero erede
dell'irriducibile gente Apua, ho diverse buone ragioni per non
essere contento di come sono andate le elezioni in Liguria, ma più
cogente è senz'altro lo smacco di un'orrida certezza, vedranno
ancora i popoli d'Europa galleggiare, a pagamento, sui loro sacri
fiumi la plastica rappresentazione del macchiettistico indecoro a
cui si è ridotta l'idea stessa di Liguria, il mortaio gonfiabile, il
più grande del mondo, e questo è un record che nessuno oserà
contrastare, che già ha solcato il Tamigi al grido di "Pesto Master
Piece o f Liguria". Era un'idea di Toti naturalmente, il
presidente re dell'avanspettacolo, ma a Bucci piaceva un sacco, lui
per il pesto ci va matto, e così quell'affare galleggerà a tempo
indeterminato sulla nostra vergogna, finché alla fine dei tempi si
sgonfierà e non si troveranno i soldi per mandare qualcuno a
ridargli una gassata. E pensare che a me Marco Bucci mi è davvero
simpatico; questo texano prestato all'inflessione genovese, questo
cowboy del fare che fa il John Wayne al galoppo del ponte Morandi,
come il grande John onesto ma onesto per davvero, e come il grande
condottiero di mandrie di manzi e carovane di pionieri coltiva la
sua onestà nel mezzo di saloon affollati da fuorilegge, salutando,
se necessario, con un distaccato cenno e giocando una mano di poker
solo se c'è da incastrare il baro. E comunque lui i saloon non li
bazzica, lui ha da fare.
Eppure non credo che Marco Bucci abbia vinto le elezioni essendo
l'uomo del fare; infatti nella città dove sta ancora esercitando il
suo secondo mandato di sindaco, e dove ha fatto e ha garantito che
molto farà, ha perso, nettamente perso. Forse perché va bene il
fare, a me compreso piace moltissimo fare e veder fatto, ma forse al
verbo fare va aggiunto qualche straccio di complemento, cosa fare,
come farlo e perché farlo, e quello scampolo di cittadini che ha
avuto ancora voglia di esercitare la sua sovranità nell'urna, ha
molto da ridire sui complementi. Intorno al fare un inciso sul
metodo Morandi. Che si regge su tre pilastri. Il primo, è che il
crollo del ponte ha subito assunto, e giustamente, lo status di
tragedia nazionale, e la nazione intera, il governo e lo stato e
l'opinione pubblica, se ne è presa carico, Genova non è mai stata
lasciata da sola alla propria tragedia. Secondo, due giorni dopo il
crollo il titolare di uno dei più grandi studi di architettura del
mondo, Renzo Piano, se ne stava curvo su un blocco di carta a
disegnare e disegnare e disegnare il ponte che sarebbe stato, non
richiesto e non convocato se non dall'imperativo morale che alberga
nel suo cuore; in tempi non immaginabili in una normale e non
kantiana temperie, del suo lavoro ne ha fatto dono alla nazione.
Terzo, il ponte San Giorgio è stato costruito in tempi record grazie
alla deroga da praticamente tutti i lacci, laccioli e lacciacci di
carattere normativo e burocratico. L'eccezione dalla norma può mai
diventare la norma? Sarebbe bello allora che il metodo Genova fosse
stato applicato, ad esempio, alle tre alluvioni di Emilia Romagna;
non che non fosse richiesto dalle comunità, ma evidentemente la
nazione, almeno nella parte di governo e stato, ha pensato che no,
che le regole, andavano rispettate e meglio ancora complicate,
aggiungendo non lacci ma nodi scorsoi che hanno dato i loro perversi
frutti ben descritti anche da questo giornale.
Almeno tecnicamente la vittoria a Marco Bucci gli è stata consegnata
dal principato di Imperia. La ridente città di Imperia è
sommariamente e impropriamente allegata alla regione, in realtà è
proprietà della nobile e vetusta dinastia Scajola, quello della
meravigliosa attestazione di insindacabilità nel «a mia insaputa».
Imperia è dedita senz'altro al fare, propriamente al fare i propri
interessi, di qualsivoglia natura, ed è sempre stato così,
connaturato alla casata che presto, si vocifera, si unirà in
federazione alla casata Grimaldi di Monaco in una nuova e stimolante
prova di europeismo dei principati. Sia chiaro, in nome dei propri
interessi il principato si è proficuamente concubinato con partner
di vario colore senza star lì a spaccare il capello in quattro su
questioni ideologiche o etiche; gli affari sono affari, e come non è
stato Toti il primo a salire sulla ben salda passerella della barca
di Spinelli, così con la casata hanno a suo tempo intessuto buone
relazioni anche i passati regimi vetero comunisti. E qui c'è una
ragione, una delle ragioni, per quello che conta pur onorevole,
della sconfitta di Andrea Orlando. Troppi vecchi elettori di
sinistra, e i loro nipoti a cui si sono dedicati nella pratica
memoriale, ricordano con dolore, con astio, con disincanto, come la
sinistra che per decenni ha retto la regione e le sue città, abbia
presto dimenticato di governare per dedicarsi al potere. Potere non
è sinonimo di governo, nella fattispecie ligure, è gestione delle
rendite di posizione, è infine immobilismo, ostracismo verso i non
sodali, malgoverno in nome degli interessi particolari avverso
all'interesse generale. Ricordano la disinvoltura con cui la
sinistra non ha governato, non ha voluto governare, gli appetiti che
hanno consunto e disfatto l'incalcolabile patrimonio naturale
riducendo la regione a un mostruoso anfiteatro di cemento, a un
forsennato e suicida estrattivismo turistico coronato nella gestione
Toti, cinica fino all'insensatezza. Ricordano l'abbandono delle
periferie al degrado persino umano, l'incapacità anche solo di
immaginare una soluzione progressiva alla grande crisi dell'economia
industriale, il mai contrastato avvilimento della dignità di una
lunga storia di aristocrazia operaia e artigiana. La supponenza, la
strafottenza di coloro che si ritenevano il potere un diritto
acquisito ab aeternum. Andrea Orlando non era dei loro, se no altro
per anagrafe, ma non è abbastanza diverso per chi sarebbe stato
attratto da un radicale mutamento fisiognomico, da una voce davvero
nuova, mai ancora ascoltata ma persistente in ciò che rimane di una
qualche attrattiva per i potenziali elettori di sinistra, quelli che
si astengono per sfinimento, avvilimento, incredulità, l'idea,
l'ideale, il disegno, il progetto. Che paesaggio intendi ricreare
perché io trovi il mio posto per viverci con dignità e promettenza?
In verità questo non è un problema di Orlando, ma di tutto il
personale che si riterrebbe pensante nel campo progressista. Ci sono
le parole d'ordine, anche ossessive, ma il grande disegno
affascinante, convincente, coinvolgente, aggregante al suono di
progressisti d'Italia unitevi, l'avete mai sentito, mai visto? Non
basta il fare e nemmeno il dire, ci vogliono i complementi.
Ma c'è una ragione che si impone sulle altre, e lascio perdere le
solite divisioni, bisticci eccetera. La Liguria è vecchia, è la
regione più vecchia d'Italia e magari del mondo. I pochi giovani
sono invitati a sloggiare, o invitati a restare con il miraggio di
abboffarsi delle opportunità di un'economia d'accatto, c'è un gran
bisogno di camerieri, di guardaporta per gli affitti brevi,
aiutocuochi e lavandai, frullatori di pesto, roba così. Restano i
vecchi e i vecchi non hanno un domani, hanno solo l'oggi, arrivare a
sera sani è salvi è già un progetto. Per questo non mi ha stupito il
risultato elettorale, sono loro che vanno a votare e votano per
arrivare a sera senza troppe noie e inciampi. Votano loro e chi ha
degli interessi per farlo, non interesse, dico interessi. Interessi
che in Liguria sono di norma piuttosto meschini. I balneari, tanto
per dire, i detentori di ciò che resta delle rendite di posizione,
tutta roba che ha a che fare con la vecchiezza morale e mentale se
non fisica. Faccio solo un esempio, ed è esempio luminoso.
Monterosso al Mare, la perla delle Cinque Terre, ha rifiutato un
finanziamento milionario per la realizzazione di uno scolmatore del
torrente che attraversa il paese e ha scatenato l'alluvione
micidiale dell'11. La ragione del rifiuto sta negli interessi
altrimenti lesi e compromessi dell'industria del turismo che avrebbe
avuto per un paio di anni lo scomodo dei movimenti di macchinari
ingombranti, e rumorosi e sporcaccioni, oltre, ci mancherebbe, gli
interessi dei confinanti lo scolmatore che verrebbero infastiditi o
addirittura alienati di preziosissimi metri quadri di proprietà. Per
i bravi cittadini di Monterosso il domani non esiste, fatta
eccezione per quello che si troveranno in tasca domani. E questi del
grande disegno non sanno proprio che farsene. Concludo con
un'invocazione per il nuovo presidente Marco Bucci. La scorsa
settimana l'ho ascoltata alla trasmissione radiofonica Un Giorno da
Pecora rispondere alla domanda se tifa per la Harris o Trump, «io
sto con Trump»; mi permetta presidente di farle notare come l'idea
del fare di Trump sia un filo difforme dai principi sanciti in
questo Paese riguardo alla costituzionalità, alla legalità, alla
fedeltà e all'onore nell'agire di una carica pubblica. Mi rassicuri
pertanto che nella disgraziatissima mancata elezione al suo secondo
mandato non intenda scatenare la prima guerra civile di Liguria. —el
feudo degli Scajola "Abbiamo
fatto vincere il candidato migliore"
Marco Sodano
imperia
Se di Scajola bisogna parlare, dal punto di vista politico, si deve
tornare a Ferdinando. Nato a Frascati nel 1906. Riassumiamo:
iscritto al Partito Popolare, amico di Alcide De Gasperi. Il regime
fascista lo inserì nella lista dei sorvegliati. Nel 1936, dopo la
laurea in Economia, si stabilì a Costarainera (Imperia). Quattro i
figli: Alessandro, Maurizio, Maria Teresa e Claudio. Ebbe un ruolo
nella lotta di Liberazione in Liguria e poi fu eletto primo
segretario provinciale Dc. Nel 1946 entrò nel consiglio comunale di
Imperia. Fu nominato sindaco (1951) e rieletto in consiglio
comunale. Morì il primo giugno 1962. Tra i figli di Ferdinando
merita una menzione anche il più anziano, Alessandro, (1939,
Frascati), sindaco di Imperia e deputato Dc tra il 1979 e il 1987.
Inquadriamo adesso Marco, figlio di Alessandro e nipote di Claudio
(è suo zio), oggi cinquantacinquenne e attuale assessore della
Regione Liguria. «Mi sono dedicato molto alla vita politica, è il
mio modo per mettermi al servizio degli altri». Lo ha fatto spesso:
militante di Fi, in consiglio comunale poi ancora capogruppo (Fi),
assessore e vicesindaco a Imperia. «Ho fatto la gavetta tra gli
Azzurri, a partire dal basso». Eletto per in Regione Liguria nel
2010, è stato consigliere regionale d'opposizione. Nelle giunte Toti
è stato invece assessore regionale all'Urbanistica della Liguria.
«Ferdinando – spiega Marco –, va ricordato come capostipite
politico. I modi, la passione, gli intenti, il desiderio di mettersi
al servizio degli altri e la determinazione, nel senso di crederci e
di impegnarsi sempre al massimo per gli altri». Dicono di Marco: la
sua forza è l'empatia, la capacità di ascoltare gli altri, di
mettersi nei loro panni e di spendere un sorriso per tutti. Gran
lavoratore, serio e preparato.
C'è poi Claudio, nato nel 1948 e oggi sindaco di Imperia, lo è stato
quattro volte. Ministro della Repubblica, amico di Silvio
Berlusconi, nei suoi ruoli di governo lo stesso Berlusconi lo ha
nominato ministro in diverse occasioni: dello sviluppo economico,
delle attività produttive, del programma, dell'Interno in diversi
governi Berlusconi. Più volte chiamato a rispondere in Tribunale in
quanto politico: è stato assolto per la famosa vicenda della casa
romana vista Colosseo (quella dell' "a sua insaputa") e altre tre
volte. Sei volte archiviato, tre prescritto, chiamato a testimoniare
sul Mose. Ad oggi condannato per procurata inosservanza nel Caso
Matacena, due anni, primo grado.
«Mio zio Claudio è un grande politico», dice Marco. «Da lui e da mio
padre ho imparato molto, per esempio la capacità di dare il massimo
sempre con determinazione e coraggio. Mi piace lavorare, studio le
cose nei dettagli, voglio essere concreto». Marco è anche psicologo
clinico e psicoterapeuta, ha compiuto i suoi studi tra Torino e
Siena.
È anche, a buon diritto, uno dei protagonisti della vita politica
della Liguria dell'ultima tornata elettorale: alle Regionali di
domenica e lunedì è risultato primo eletto di Forza Italia con 6308
voti che lo proiettano verso un altro ruolo importante. Primo eletto
di Forza Italia e di tutto il centrodestra. Confermando praticamente
gli stessi voti presi quattro anni prima con una lista civica e
dimostrando che le persone votano lui, la persona, non tanto i
simboli. D'altra parte ha intercettato milioni di fondi per
l'entroterra e non solo, interpretando la pancia della gente ed
essendo costantemente presente. «Ho contribuito a scegliere il
candidato migliore e poi lavorato molto per e con lui», ha detto
Claudio lunedì sera. Lo direbbe anche Marco. Ultimo dettaglio: A 14
anni, da "primino", fu in consiglio d'Istituto al liceo. —
-
La strage
bambini
dei
Fabiana Magrì
Senza cibo e cure, la sopravvivenza di 100 mila persone è a rischio,
nel Nord di Gaza. È la denuncia della protezione civile palestinese
a cui si aggiunge l'allarme del Programma Alimentare Mondiale delle
Nazioni Unite. La mancanza di scorte alimentari e mediche, con
l'avvicinarsi dell'inverno, può portare con sé «conseguenze
catastrofiche» per oltre il 90% della popolazione, mette in guardia
il Wfp.
«Come sopravviveremo senza farina?», si chiede Om Sohay, un
palestinese nella Striscia in contatto con la Bbc Arabic,
all'indomani della decisione della Knesset, il parlamento di
Gerusalemme, di mettere al bando l'Unrwa dalle aree sotto il
controllo di Israele. La maggior parte dei rifugiati e degli
sfollati «dipende» dall'agenzia delle Nazioni Unite, racconta Ghada
Oudah al programma Newsday di Bbc World Service.
È un diluvio di preoccupazioni, moniti e accuse durissime, quello
piovuto su Israele, mentre da tre settimane i raid di Tsahal stanno
rivoltando ogni angolo di Jabalya, Beit Lahia e Beit Hanun, per
«reprimere i tentativi di Hamas di riorganizzarsi», ribadiscono i
portavoce militari. Nella notte tra lunedì e martedì un attacco
aereo ha centrato una palazzina di cinque piani a Beit Lahia. Hamas
conta i morti, «almeno 93» e centinaia di feriti. Che non hanno
potuto ricevere cure – denuncia il ministero della Salute di Gaza –
poiché i dottori sono stati costretti a evacuare l'ospedale Kamal
Adwan: «i casi critici, senza intervento, soccomberanno al loro
destino e moriranno». Il direttore della struttura, Hussam Abu
Safiya, ha aggiunto che «quasi tutto il personale medico è stato
arrestato. Sono rimasti pochi infermieri e un paio di dottori che
devono prendersi cura di 150 pazienti». A fine giornata, fonti
mediche citate dalla testata qatariota Al-Jazeera contano 132 morti
nel Nord dell'enclave palestinese. L'esercito israeliano si dissocia
dal bilancio «impreciso» e insiste che i dati forniti dalle fonti
della fazione palestinese siano gonfiati, «come è stato dimostrato
in diversi eventi precedenti». E il Cogat (l'ente israeliano di
coordinamento con i territori palestinesi) precisa che «88 pazienti,
per lo più bambini, oltre a operatori sanitari e personale, sono
stati trasferiti in altri ospedali attivi nella Striscia» e che «il
trasferimento è stato effettuato su richiesta di Tsahal, in
coordinamento con la comunità internazionale e i funzionari del
ministero della Salute» di Gaza.
Ci prova la Bbc a fare chiarezza. Incrociando le immagini girate sul
campo, individua la posizione del raid israeliano. Tuttavia non
arriva a identificare quale edificio sia stato colpito. Sono troppe
le macerie per raggiungere la certezza. Dall'indagine, la testata
britannica riesce a determinare che «due video mostrano quelli che
sembrano essere 13 corpi avvolti in coperte».
Sui minori, vittime a Beit Lahia, si inserisce l'Unicef: ci
sarebbero «anche 20 bambini» morti. Per la direttrice generale
dell'agenzia Onu, Catherine Russell, sono loro che a Gaza «stanno
pagando con le loro vite e il loro futuro» e «colpirli è diventato
una scandalosa normalità nella Striscia».
L'Unicef si spinge a dire che la decisione di Israele di bloccare l'Unrwa
potrebbe causare la morte di un numero maggiore di bambini e
rappresentare una forma di punizione collettiva. Anche gli Stati
Uniti sono «profondamente turbati». Il portavoce del Dipartimento di
Stato, Matthew Miller assicura che le autorità statunitensi
parleranno con il governo israeliano per approfondire il «come»
intendano attuare la legge. Una norma che «pone rischi per milioni
di palestinesi». Om Yousef, un palestinese di Gaza, ha espresso a
Bbc Arabic la sua preoccupazione e parla di «decisione sbagliata
perché veniamo curati tramite l'Unrwa e i nostri figli vengono
istruiti nelle loro scuole».
Gli Stati Uniti pretendono da Israele che si faccia carico della
crisi umanitaria a Gaza. «Respingiamo qualsiasi tentativo di far
morire di fame i palestinesi», ha ribadito l'ambasciatrice americana
all'Onu, Linda Thomas-Greenfield in sede di Consiglio di Sicurezza.
E quindi deve consentire l'ingresso di cibo, medicine e altri aiuti
in tutta la Striscia e «in particolare nel Nord».
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29.10.24
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PER CHI LAVORA VERAMENTE LA SOGEI ?
un archivio da 800mila dati ottenuti
introducendosi illecitamente all’interno di una serie di banche dati
nazionali, anche su commissione. A fare luce su una rete articolata
di professionisti dello “spionaggio digitale” è la procura di
Milano, che ha indagato 60 persone tra hacker, consulenti
informatici, agenzie private di intelligence ed esponenti delle
forze dell’ordine. Quello che si è aperto di fronte agli inquirenti,
stando alle parole del procuratore nazionale antimafia e
antiterrorismo, Giovanni Melillo, che ha partecipato alla conferenza
stampa del Procuratore generale di Milano, Marcello Viola, è “un
gigantesco mercato delle informazioni riservate”. L’inchiesta della
Procura di Milano arriva a pochi giorni di distanza dal caso di
presunta corruzione che ha riguardato i vertici di Sogei, società
controllata dal Mef, che a catena ha impattato anche su Tim ed Ntt
Data.
L’inchiesta di Milano
A eseguire l’ordinanza del Gip Fabrizio Felice sono stati i militari
del Nucleo investigativo dei carabinieri di Varese: agli arresti
domiciliari sono finiti l’ex poliziotto Carmine Gallo e altre tre
persone, mentre sono stati interdetti per sei mesi dalla professione
un maresciallo della guardia di finanza in forza alla Dia di Lecce e
un agente di polizia del commissariato di Rho. L’inchiesta ha
inoltre portato al sequestro di tre società di investigazioni
private.
Le accuse su cui gli inquirenti procedono sono di associazione a
delinquere dedita all’accesso abusivo a sistema informatico,
intercettazioni illegali, falsificazione di comunicazioni
informatiche, rivelazione di segreto, favoreggiamento ed estorsione.
Le indagini hanno portato anche al sequestro dell’archivio dell’ex
poliziotto Carmine Gallo, sopratutto cartaceo, di cui si sente
parlare nelle nelle intercettazioni e che sarebbe stato custodito un
un garage.
Le richieste dei clienti
L’organizzazione individuata nel corso delle indagini si metteva a
disposizione di clienti che erano disposti a pagare per ottenere
informazioni riservate che gli indagati potevano ottenere “forzando”
l’accesso a banche dati private.
Tra i soggetti che si sarebbero messi in contatto con
l’’organizzazione per chiederne i servizi le indagini hanno
individuato tra gli altri Leonardo Maria Delvecchio, figlio del
fondatore di Luxottica, il banchiere Matteo Arpe e un manager di
Barilla.
Tra le richieste che venivano indirizzate all’organizzazione c’erano
ad esempio l’ottenimento di informazioni o il “monitoraggio”
dell’attività di persone specifiche, anche per motivi sentimentali,
la richiesta di dati che avrebbero potuto rivelarsi utili per la
risoluzione di controversie o ancora la necessità di capire quali
fossero stati i canali informativa che avessero consentito a un
giornalista di arrivare a pubblicare uno scoop. Ma più in generale a
rivolgersi al gruppo sono studi legali o imprese che vogliono
perseguire tramite l’accesso a informazioni riservate un vantaggio
per la propria attività.
Le modalità d’azione
Secondo la ricostruzione del pubblico ministero della Dda Francesco
De Tommasi e del sostituto della Dna Antonio Ardituro al centro
della vicenda ci sarebbe la società Equalize srl, fondata proprio da
Carmine Gallo, passato alla sfera delle investigazioni private dopo
40 arri di carriera in polizia. La società di business intelligence,
risulta dalle indagini, arrivava a fatturare quasi 2 milioni di
euro, con utili da 648mila euro, che l’ex poliziotto avrebbe
spartito con un’altra figura chiave dell’inchiesta, Enrico Pazzali,
presidente di Fondazione Fiera Milano, già manager di Eur, Vodafone,
Regione Lombardia, Sogei e Poste Italiane.
Secondo quanto emerso dall’inchiesta Pazzali, identificato come il
“numero uno” di Equalizer, avrebbe utilizzato la società per
“danneggiare l’immagine dei competitors” o “avversari politici” suoi
e di “persone a lui legate”. Tra i bersagli dell’attività illecita
ci sarebbero stati, secondo quanto appurato dagli inquirenti, figure
di primo piano del mondo economico e imprenditoriale italiano, come
ad esempio Giovanni Gorno Tempini, presidente di Cassa Depositi e
Prestiti. Nelle 518 pagine della procura compaiono inoltre tra le
vittime il presidente del Milan Paolo Scaroni, io giornalisti
Giovanni Dragoni e Giovanni Pons, in forze rispettivamente al
Sole24ore e a Repubblica.
Dagli atti dell’inchiesta emergono inoltre presunti dossier su
cittadini russi. Samuele Calamucci, hacker del gruppo, intercettato
parla di un “report” su un “famoso oligarca russo” e in altri
passaggi i pm scrivono che si è cercato di accertare l’identità del
russo e l’unico elemento è “una vicenda che vede coinvolti dei
cittadini russi-kazaki (Victor Kharitonin e Alexandrovich Toporov)”
e “la costruzione di un hotel a Cortina d’Ampezzo e la gestione di
svariati resort di lusso”. Un accesso abusivo, poi, avrebbe
riguardato Vladimir Tsyganov e Oxana Bondarenko, attivi nel settore
moda.
I passaggi dell’indagine
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti negli ultimi giorni del
2023 gli indagati avrebbero iniziato a sospettare di essere finiti
nel mirino di un’inchiesta. Il 26 dicembre, infatti, Carmine Gallo e
l’hacker Nunzio Samuele Calamucci vengono a conoscenza del fatto che
la vigilanza attiva sulla rete informativa di Heineken Italia “si è
accorta dell’installazione del ‘tools’ d’intercettazione sulla
propria rete informatica, rilevandola come un attacco alla sicurezza
dell’infrastruttura”.
Da quel momento inizia un’attività che gli inquirenti definiscono
“frenetica” di distruzione di tracce e prove: chat di telegram e
altri servizi di messaggistica, documenti cartacei, informazioni
riservate ottenute hackerando alcune delle principali banche dati
nazionali, pari a “Ottocentomila Sdi”, almeno “15 terabyte”.
I prossimi passi
Dopo i dettagli resi noti nel fine settimana, le indagini della
procura di Milano proseguono e si indirizzano ad accertare se siano
avvenute vendite di dati al di fuori dei confini nazionali, dal
momento che gli indagati, secondo la ricostruzione degli
investigatori, avevano rapporti che spaziavano dalla criminalità
organizzata ai servizi segreti, anche all’estero.
Sono intanto in programma nei prossimi giorni, a partire da giovedì
31 ottobre, gli interrogatori di garanzia, davanti al gip di Milano
Fabrizio Filice, delle persone destinatarie di una misura cautelare,
di cui quattro agli arresti domiciliari: tra loro Carmine Gallo in
qualità di ad di Equalize e i tecnici della sua squadra, Nunzio
Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli.
Butti: “Istituire l’Agenzia del dato“
Sul caso dei dossier illegali è interviene Alessio Butti,
sottosegretario della Presidenza del Consiglio con delega
all’innovazione tecnoliogica: “In Italia scontiamo un ritardo di
consapevolezza su quella che è la cultura del dato – afferma a
margine di un evento a Milano – E lo stiamo scoprendo ora,
ovviamente constatando questi danni. Quindi io penso che la cosa
migliore sia costituire una sorta di agenzia del dato, che
sovrintenda ovviamente tutto ciò che riguarda la qualità del dato ma
anche al fatto che questo dato non possa essere sottratto o non
possa essere indagato da soggetti che non hanno alcuna competenza”.
“Allora anche in questo caso la tecnologia ci viene in aiuto. Io
penso che il riconoscimento biometrico facciale, ad esempio per i
soggetti che devono accedere a determinate banche dati sia
fondamentale – ha concluso – così come sia fondamentale garantire un
controllo rispetto al flusso dei dati. Cioè bisogna capire chi entra
in un sistema e poi che cosa ne fa”. “Su questo stiamo lavorando –
conclude – e non escludo che nelle prossime settimane, nei prossimi
mesi ci sia già una risposta tecnica e legislativa”.
Il caso Sogei
E’ della scorsa settimana il “caso Sogei”, emerso dall’ indagine
della Procura di Roma avviata da alcuni pm capitolini, tra cui Paolo
Ielo, per corruzione e turbativa d’asta, che ha portato all’arresto,
tra gli altri, di Paolino Iorio, ex dg di Sogei, braccio informatico
del Tesoro, e dell’imprenditore Massimo Rossi.
Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai pm capitolini Gianfranco
Gallo e Alessandro Picchi, il procuratore speciale di Tim avrebbe
ricevuto “in due occasioni” denaro “non dovuto” dall’altro indagato
“per compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo
ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedeltà”.
In particolare, il procuratore di Tim avrebbe ricevuto 50 mila euro
il 22 febbraio 2024 e una somma non quantificata il 15 maggio 2024.
I due procuratori sono emersi come “soggetti di interesse
investigativo” durante un atto di indagine della guardia di finanza
con riferimento all’imprenditore Massimo Rossi, arrestato in una
diversa inchiesta giudiziaria assieme all’ex Dg Business di Sogei,
Paolino Iorio.
Un segmento dell’inchiesta ha inoltre riguardato “due soggetti,
rispettivamente procuratori delle società quotate Tim e Ntt Data
Italia, per l’ipotesi di corruzione tra privati”, si legge in una
nota delle Procura. “Le perquisizioni sono eseguite presso i
domicili dei soggetti nonché taluni uffici delle menzionate società
– prosegue la nota – Il provvedimento in questione è stato emesso
nell’ambito della fase delle indagini preliminari allo stato delle
attuali acquisizioni probatorie ed è doveroso sottolineare che sino
a un giudizio definitivo vale la presunzione di non colpevolezza
degli indagati”. A finire nel registro degli indagati, in questo
caso, Simone De Rose, dirigente di Tim, ed Emilio Graziano,
procuratore di Ntt Data Italia.
De Rose in Tim è responsabile dal 2019 nell’ambito della funzione
Procurement per gli acquisti It e Ict Business. Nel dicembre 2021
era stato nominato ad interim responsabile della funzione
Procurement.
L’inchiesta è un segmento di quella, avviata da alcuni pm capitolini
tra cui Paolo Ielo, per corruzione e turbativa d’asta che ha portato
all’arresto, tra gli altri, di Paolino Iorio, ex dg di Sogei,
braccio informatico del Tesoro, e dell’imprenditore Massimo Rossi.
Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai pm capitolini Gianfranco
Gallo e Alessandro Picchi, il procuratore speciale di Tim avrebbe
ricevuto “in due occasioni” denaro “non dovuto” dall’altro indagato
“per compiere atti in violazione degli obblighi inerenti al suo
ufficio e comunque in violazione degli obblighi di fedelta’”. In
particolare, il procuratore di Tim avrebbe ricevuto 50 mila euro il
22 febbraio 2024 e una somma non quantificata il 15 maggio 2024. I
due procuratori sono emersi come “soggetti di interesse
investigativo” durante un atto di indagine della guardia di finanza
con riferimento all’imprenditore Massimo Rossi, arrestato in una
diversa inchiesta giudiziaria assieme all’ex Dg Business di Sogei,
Paolino Iorio.
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Gli indagati hanno cercato di far sparire i documenti, ma in un
garage sono state trovate "migliaia di cartelle" Adesso si segue la
pista estera: il gruppo aveva appoggi anche in Inghilterra,
sequestrato un server in Lituania
Trovato l'archivio delle spie "Con il cellulare criptato Gallo
parlava ai Servizi "
milano
In un cassetto della scrivania del superpoliziotto in pensione
Carmine Gallo, per anni colonna portante dell'Antimafia milanese,
era custodito anche un cellulare criptato. Ne è convinto il pm
Francesco De Tommasi. E ancora lo cercano i carabinieri del Nucleo
investigativo di Varese che, nel pomeriggio di venerdì, quando sono
scattati arresti e perquisizioni non lo hanno trovato. Si legge,
infatti, nella richiesta di misura cautelare che «il capo
indiscusso» della presunta organizzazione, finito ai domiciliari col
braccialetto elettronico, «ha anche la disponibilità di un
telefonino criptato, che usa per le comunicazioni più riservate
relative alle attività criminose del gruppo».
Viene annotata in particolare la sintesi di una conversazione del 4
ottobre del 2022 «con agenti dei Servizi segreti», sottolinea il pm.
È Gallo a spiegare al telefono «che tipo di servizi offrono e che
tipo di accertamenti e consultazioni riescono a fare» alla Equalize.
Si vanta che «rispetto ai loro sistemi, lo Sdi non è nulla». Poi, si
legge ancora negli atti, Gallo «mostra con ogni probabilità il
cellulare agli interlocutori» presenti in ufficio, spiegando che si
tratta di «un telefono fuori rete» che non utilizza sistemi di
messaggistica come WhatsApp e Signal «in quanto non sicuri».
«La complessità delle contestazioni richiede l'adozione delle più
opportune cautele nel primario interesse dell'amministrazione della
giustizia. Gallo chiarirà la sua posizione non appena ci sarà la
piena discovery di tutti gli atti d'indagine, a oggi depositati»,
annunciano i suoi avvocati Antonia Augimeri e Paolo Simonetti,
sottolineando che l'ex superpoliziotto ripone «piena fiducia nel
percorso processuale che vedrà riconfermata la sua storia di onore e
impegno verso le istituzioni».
Giovedì, sarà interrogato dal gip Fabrizio Filice con gli altri
indagati, mentre da tempo il pm Francesco De Tommasi ha presentato
l'appello al Riesame contro il rigetto delle misure cautelari che
aveva richiesto. In tutto sedici: il carcere, tra gli altri, per
Gallo e il braccio destro Nunzio Camillucci, i domiciliari per «lo
zio bello» Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera.
Nonostante la pulizia fatta negli uffici della centrale dello
spionaggio quando la banda capisce di essere a rischio, «così siamo
a posto, non dobbiamo avere nulla qua», parte dell'archivio è stato
sequestrato nel garage della segretaria di Gallo. «Quasi quindici,
sedicimila schede personali di soggetti, ma non solo soggetti
mafiosi, anche non mafiosi» e «la mappa delle famiglie calabresi in
Germania, che me la sono presa dai tedeschi quando sono andato li
per Duisburg, un attimo che si sono distratti». «Tantissimo
materiale» come un «database che non ce l'ha nessuno... tutti i
sequestri di persona, i tentati sequestri di persona dal Sessanta ad
oggi».Montagne di atti e documenti che saranno analizzati assieme ai
dispositivi informatici del gruppo, da un pool di tecnici dei
carabinieri del Ros che dovrà scandagliare ogni singolo dato
ritenuto illecito.
Non basta. Tanto materiale si trova anche in Inghilterra e in
Lituania. Nel Regno Unito c'era una società «gemella» mentre la
scelta di un Paese dell'Est era nata per aggirare eventuali
inchieste giudiziarie. La piattaforma Beyond, a disposizione della
banda «è collegata a due server centrali, uno situato a Londra e uno
in Lituania». In un'intercettazione, è Calamucci a svelare: «Noi
abbiamo un server fisico che è qua... E poi il data center. Ho fatto
delle unità di backup, una nella sede di Londra e un altro in
Lituania, ti dico la verità perché era il posto più economico per
comprare i server».
Calamucci spiega a Pazzali che «la collocazione di server all'estero
è finalizzata a rendere più difficili eventuali indagini da parte
degli inquirenti italiani» si legge negli atti. «La Guardia di
Finanza cosa mi chiederà se viene qua a rompermi i co…ni? Una copia
del server italiano, una copia del server in UK e una copia del
server in Lituania. Noi, poi noi qui con questo di Milano, gli UK e
in Lituania diciamo che è un peccato che non lo troviamo...».
Chiarisce Calamucci: «Prendi e fai una rogatoria, vai a vedere,
quando arrivi in Lituania...». Gallo è lapidario: «Poi nessuno andrà
in Lituania a vedere...».
Non è così. La procura diretta da Marcello Viola ha infatti
sequestrato il server in Lituania e sta valutando l'ipotesi di una
rogatoria in Inghilterra
-
Il presidente cede alle pressioni interne. Al suo posto deleghe a
Corritore, già dg del Comune
Pazzali si autosospende da Fiera Milano l'imbarazzo di Fontana che
lo aveva difeso
Francesca Del Vecchio
Milano
Enrico Pazzali si autosospende dalla presidenza della Fondazione
Fiera Milano. Dopo l'inchiesta sui dossier illegali fabbricati dalla
società Equalize di cui era azionista al 95% e su pressione di più
parti politiche - «Mi sarei aspettato un passo indietro», dice il
capogruppo al Senato Pd Francesco Boccia - lo ha comunicato al
comitato esecutivo della Fondazione ieri sera, in una seduta
anticipata di 12 ore rispetto a quanto atteso. Il board era stato
convocato straordinariamente già ieri mattina da remoto per una
informativa da parte dello stesso Pazzali (durata 4 ore) che,
assistito dai suoi legali, aveva illustrato la situazione
giudiziaria. Nella riunione il manager aveva di fatto preso tempo,
senza tentare di minimizzare la portata dell'inchiesta e pur non
essendoci stata una formale richiesta di dimissioni. Ma il comitato
era stato chiaro: «Va tutelata l'immagine dell'Ente». Che il clima
dalle parti di Largo Domodossola fosse teso, comunque, lo si intuiva
già dai cancelli insolitamente sbarrati e dalla circospezione di
vigilanti e addetti all'ingresso.
In serata, poi, dopo 12 ore di «approfondimenti», l'accelerazione:
così, intorno alle 21, Pazzali ha formalizzato davanti al comitato
quello che nell'ambiente vicino ai vertici era dato come l'unico
esito possibile, precisando di «volersi concentrare sulla sua
difesa». A prendere le sue deleghe, per il momento, sarà il
vicepresidente vicario Davide Corritore, un passato da presidente
della partecipata del Comune di Milano MM, da vice in Sea (compagnia
che gestisce il traffico aeroportuale milanese) e da direttore
generale del Comune con Giuliano Pisapia.
Quanto all'ormai ex presidente, la rete di protezione nei suoi
confronti aveva cercato di reggere il più possibile, a partire dal
presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana - che di Pazzali
aveva voluto la nomina - e che nell'unica dichiarazione a 48 ore
dalla scoperta dell'indagine aveva ribadito «stima» nei confronti
del manager e di essere «all'oscuro» delle attività che svolgeva.
Massimo riserbo, invece, dalle parti di Palazzo Marino, dove il
sindaco Beppe Sala - che concorda la nomina del presidente della
Fondazione Fiera insieme al governatore - non si è espresso. Pare,
comunque, che tra Fontana e Sala ci sia stato qualche contatto ma
che la situazione resti sospesa. Anche perché, il Tribunale del
Riesame dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta della Dda
di predisporre una misura cautelare anche per Pazzali, inizialmente
ritenuta non necessaria. E se la posizione del manager fino a ieri
alla guida della Fondazione è fin troppo complessa, delicata è anche
quella politica di Attilio Fontana: il governatore leghista, pur
essendo estraneo all'indagine, ha sponsorizzato una figura invisa al
suo partito. Dalle parti di via Bellerio, già sabato mattina si era
registrata una certa freddezza non senza imbarazzi. Da Matteo
Salvini, invece, nessun commento. Solo la stringata nota del partito
che ribadisce l'intenzione di una proposta in Parlamento «di
incremento delle pene per gli spioni».
Quanto agli altri nel centrodestra - milieu a cui Pazzali era più
vicino - solo generiche richieste di accertamenti da parte della
magistratura. Lo chiede esplicitamente, invece, il presidente del
Senato Ignazio La Russa: «Pazzali dica chi gli ha chiesto un dossier
su di me. Me lo deve
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Ros, Sismi e Palazzo Chigi I curriculum di lusso degli spioni
monica serra
milano
Nome in codice «Tela», originario di Salandra, in provincia di
Matera, Vincenzo De Marzio è un carabiniere in pensione. Anche lui,
per l'accusa, fa parte della banda che dalla centrale dietro al
Duomo, per «clienti top», ha spiato migliaia di persone, tra
politici e imprenditori. De Marzio non è un carabiniere qualsiasi.
Nell'Arma dal 1984, al Ros milanese dalla sua nascita, con una breve
pausa tra il settembre del 2002 e il settembre del 2003, quando ha
prestato servizio al Sismi, i servizi segreti italiani, a Roma, alla
Presidenza del consiglio dei ministri. Super esperto di terrorismo
internazionale, «uno dei primissimi a occuparsene in Italia», come
ha sottolineato Armando Spataro, all'epoca procuratore aggiunto
milanese, in aula, quando lo ha citato come testimone al processo
sul rapimento dell'imam Abu Omar. Nella vecchia registrazione ancora
nell'archivio di Radio Radicale il magistrato e gli avvocati gli
pongono poche domande, soprattutto sui suoi rapporti con l'allora
capocentro della Cia a Milano, Bob Lady: «Solo qualche caffè e
scambio di informazioni», «Ho partecipato all'open house a casa sua
con il resto dell'ufficio a Natale del 2002». Tutte le risposte sono
brevi e concise: «Si», «No», «Non so, non ero a Milano in quel
periodo».
Parla poco Tela, anche nelle intercettazioni che i carabinieri di
Varese hanno raccolto negli uffici dell'Equalize sequestrati su
richiesta della Dda nell'inchiesta per associazione per delinquere,
accesso abusivo ai sistemi informatici, rivelazione del segreto
d'ufficio, e intercettazione abusiva. Con la sua società di
investigazione privata Neis Agency, De Marzio è solo indagato, il
gip per lui ha respinto la misura in carcere richiesta dal pm
Francesco De Tommasi, che invece lo ritiene «estremamente
pericoloso». Non solo perché «fornisce al gruppo di via Pattari 6
un'enorme mole di dati e informazioni fondamentali (Sdi, verbali,
ordinanze, foto...) che ha acquisito e detenuto illecitamente in
violazione delle autorizzazioni di cui può aver goduto durante gli
anni trascorsi nell'Arma». Ma anche perché, si legge negli atti,
sarebbe «comprovata la sua spregiudicatezza nel porre in essere
gravi e abusive intromissioni nelle sfere private e più intime delle
persone, anche ricorrendo all'esecuzione di intercettazioni»
illecite. Come avrebbe fatto ai danni della fidanzata di Del Vecchio
Jr, Jessica Ann Sarfaty: «Sto aspettando perché forse devo portare
dei registratori a Mario... Sì perché lì da mettere a casa, perché
lei non se ne vuole uscire», diceva intercettato.
Tra ex e attuali appartenenti delle forze dell'ordine – un
finanziere della Dia di Lecce e un poliziotto del commissariato di
Rho sono stati interdetti – erano in molti a lavorare per l'ex
superpoliziotto Carmine Gallo, per l'accusa «capo indiscusso»
dell'organizzazione costituita nella società di Enrico Pazzali, l'ammanicatissimo
presidente della Fondazione Fiera che, pur non ricoprendo un ruolo
diretto «nella materiale esfiltrazione» dei dati usati per i
dossieraggi – anche di politici come il presidente del Senato
Ignazio La Russa, di Matteo Renzi o di Letizia Moratti – è
considerato una delle «colonne portanti» dell'associazione che «per
finalità personali» avrebbe sfruttato «le capacità del gruppo». Era
lui a dire a Gallo: «Carmine, Attilio mi chie… Fontana (il
governatore della Lombardia, totalmente estraneo ai fatti, ndr.) mi
chiede se Scaroni ha dei prece… ha delle cose ni corso. Ha fretta di
ricevere le informazioni sul conto di Scaroni», il presidente del
Milan e dell'Enel.
Il braccio destro di Gallo era lo «spregiudicato» hacker Nunzio
Samuele Calamucci, che per l'accusa è «coinvolto nella rete
Anonymous», in grado di violare anche il sistema informatico del
Pentagono: «Con loro, che sono più o meno 3 mila persone,
condividiamo – diceva – se c'è qualche rottura di palle...oppure
dice ci sono dati, li volete? Per dire...questo dice abbiamo trovato
30 account violati a chi interessano?». Geometra con una ditta edile
aperta nel 2015, ma anche esperto informatico «in contatto coi
servizi», per l'accusa sarebbe stato lui a ideare la piattaforma
Beyond e a trovare il modo per bucare le banche dati del Viminale:
«I miei ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura e fanno
la manutenzione!» . Racconta Fabrizio Gatti su Today.it di essere
stato contattato proprio da Calamucci a gennaio, per la vicenda
della squadra Fiore, una rete clandestina con sede in piazza Bologna
a Roma, molto simile a quella milanese, che accedeva alle banche
dati dello Stato per estrarre notizie riservate su imprese italiane
e vip, come del Vecchio Jr. È sempre Calamucci, negli atti, a
raccontare che la rete che aveva costruito la banda è vastissima:
«La politica la abbracciamo più o meno tutta perché Enrico (Pazzali,
ndr.) è destra, Barletta è tutto ambientale di sinistra». Indagato
anche lui, Pierfrancesco Barletta, è un ex dirigente di
Leonardo-Finmeccanica, oggi vicepresidente del gestore aeroportuale
milanese Sea, autosospeso dalla società che gestisce gli scali
milanesi con rinuncia ai compensi. Era stato proprio lui a vendere
la società a Gallo e Pazzali ma, almeno all'inizio, per l'accusa
continuava a lavorare negli uffici dell'Equalize. Vicinissimo all'ex
ministro della Difesa Lorenzo Guerini, avrebbe commissionato alla
banda un dossier su una donna e su un chirurgo plastico del
Policlinico di Milano, per ragioni private, chiedendo se fosse
possibile un'intrusione da remoto nei telefoni, conoscendo solo i
numeri: «Mi serve urgentemente, devo fare delle scelte». Alla fine,
però, anche lui sarebbe stato spiato dal gruppo.
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29.10.24
-
Il capo della società finita nel mirino cercava informazioni sui
figli del presidente del Senato La replica: "Disgustato, conosco
Pazzali da anni e l'ho sempre ritenuto una persona per bene"
Ignazio La Russa
Report sui La Russa e Renzi Tirata in ballo anche la Lega
"Vendiamogli la piattaforma"
monica serra
andrea siravo
milano
Il presidente di Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali e Ignazio La
Russa sono «amici di vecchia data». Ma, per l'accusa, anche sul
conto del presidente del Senato il manager avrebbe chiesto un report
alla banda degli spioni della sua società dietro il Duomo,
attraverso la piattaforma Beyond.
«Esatto, va bene. Fammi un'altra nel frattempo! Ignazio La Russa. E
metti anche un altro, come si chiama l'altro figlio? Come si chiama?
Eh. .. Geronimo, come si chiama Geronimo La Russa? Eh... prova
Geronimo La Russa, ma non si chiama Geronimo... come si chiama?
Antonino? Metti Antonino La Russa. Lui è dell'ottanta... infatti
c'è», chiede Pazzali intercettato negli uffici della Equalize di via
Pattari 6. È il 19 maggio del 2023 e la data, casualità o no, non è
indifferente alla famiglia La Russa. È suggestivo il fatto che nella
notte appena trascorsa, dopo una serata all'esclusivo club Apophis,
si sarebbe consumata la presunta violenza sessuale della ventunenne
che ha poi accusato il terzogenito del parlamentare di Fratelli
d'Italia, Leonardo Apache, con un suo amico.
Solo quaranta giorni dopo, la ragazza ha deciso di denunciare e la
notizia dell'inchiesta in procura è finita sui giornali. Eppure, nel
dialogo con uno dei tecnici informatici, intercettato dai
carabinieri del nucleo investigativo di Varese, spunta anche il nome
del più piccolo dei figli di Ignazio. È sempre Pazzali a farlo: «Ok.
Leonardo sull'intelligence non ha niente?». Dopo il controllo
illecito in banca dati, la risposta è negativa.
«Sono disgustato dal fatto che ancora una volta i miei figli,
Geronimo e Leonardo, debbano pagare la "colpa" di chiamarsi La
Russa, se risulterà confermato che anche loro sono stati spiati»,
commenta il presidente dell'aula di Palazzo Madama. Che si dice
sorpreso: «Conosco Pazzali da anni e l'ho sempre ritenuto una
persona perbene, e vorrei poter considerare, fino a prova contraria,
un amico di vecchia data. Attendo di avere altri elementi prima di
un giudizio definitivo assai diverso su di lui. È noto che i suoi
attuali ruoli in Fiera non dipendano da FdI e sono stupito più che
allarmato dalle notizie di una sua azione di dossieraggio nei miei
riguardi».
Nel gigantesco calderone degli spiati ci sono finiti politici in
vita e anche oramai defunti. Un accesso allo Sdi è stato fatto per
Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano scomparso
nel 2019. A gennaio 2023, invece, è il nominativo di Matteo Renzi a
essere «interrogato». Come nel caso precedente, al gruppo non serve
più ricorrere all'aiuto di poliziotti e finanzieri infedeli (due
sono stati interdetti dal gip). Il controllo viene fatto
direttamente dai pc dell'azienda: «Minchia, quello (Pazzali, ndr.)
va a fare Matteo Renzi, ca… però». È l'hacker Nunzio Calamucci a
spiegare che c'è il rischio di essere scoperti e che Renzi possa
reagire: «Ci manda qua la finanza, i servizi, i contro servizi!». E
il superpoliziotto Carmine Gallo, annota il pm Francesco De Tommasi,
«riprende un vecchio concetto in relazione agli "alert" dello Sdi»
sui soggetti in vista: «Noi i deputati, i senatori e i consiglieri
regionali, non possiamo farli perché c'è l'alert». Lo tranquillizza
Calamucci: «No, nel nostro caso non c'è l'alert! Le mie
interrogazioni non le fa un poliziotto, le fa direttamente... I miei
ragazzi sono quelli che hanno fatto l'infrastruttura (del Viminale,
ndr.) e fanno la manutenzione! È quello il trucco».
Anche il leader di Italia Viva è intervenuto: «Forse oggi bisogna
fare una riflessione in più, anche oltre l'aggressione che io sto
subendo: in un mondo in cui i dati sono il nuovo petrolio, dobbiamo
avere il coraggio di affermare che la violazione dei telefonini o
dei computer è un reato gravissimo. E che la pubblicazione di dati
illegittimi è un crimine».
Per l'accusa, tra i potenziali clienti della Equalize ha rischiato
di esserci anche la Lega, con la possibilità di accedere alla
piattaforma Beyond. «Allora, ascolta una cosa... io come cliente ho
la Lega... l'hai già proposto? », domanda Andrea De Donno, un
collaboratore esterno, a Gallo. Quest'ultimo subito lo ferma: «No,
alla Lega non l'ho proposto perché, per la semplice ragione che c'è
Pazzali, che è collegatissimo a Fontana». La vicinanza di Pazzali
con il governatore – sottolineano gli inquirenti – potrebbe
«generare una serie di problemi reputazionali legati a un possibile
conflitto d'interessi». De Donno prova ad aggirare l'ostacolo,
offrendosi di fare da schermo: «Lo fornisco io, lo compro da te e lo
vendo a lui! ». Da Gallo arriva un nuovo e definitivo stop
all'operazione: «Tu non puoi venderlo! Tu lo puoi solo tenere a
noleggio da noi... tu puoi essere un agente». —
-
L'esperto elettronico di BitCorp, ha eseguito intercettazioni
telematiche sia per i clienti che per gli inquirenti
Indagato come spia e perito delle procure Il doppio ruolo
dell'ingegnere Pegoraro
Giuseppe legato
Sul sito della società per cui lavorava come apprezzatissimo
ingegnere informatico prima di finire nelle maglie della procura di
Milano e prima ancora di quella di Torino, Gabriele Pegoraro, nato a
Vicenza 48 anni fa, è presentato regalmente: «L'anima creativa del
team tra genio e sregolatezza. Ingegnere elettronico "old school",
ha operato trasversalmente nel corso degli anni spaziando dal
settore bancario a quello delle telecomunicazioni. Ha invertito la
notte per il giorno ed è appassionato di missioni impossibili».
Sulle sue competenze nulla quaestio, of course. E però nelle pieghe
dell'inchiesta della Dda di Milano si affaccia «una luce sinistra»
su di lui «e anche sulla società».
Perché per i magistrati è Pegoraro, già amministratore unico della
ML Multiservices Srl, ma soprattutto Chief innovation officer della
società d'intercettazioni BitCorp «a eseguire intercettazioni
telematiche per diversi clienti in riferimento ed effettuare copie
di dispositivi telefonici in favore del gruppo di Equalize (che per
inciso si autoaccusa nelle intercettazioni di aver scaricato 350
mila Sdi, banche dati in uso esclusivo alle forze dell'ordine)». Il
problema è che «esegue le stesse operazioni per conto di diverse
procure della Repubblica». Da qui la profonda inquietudine dei
magistrati di Milano. Lo sa bene uno dei principali indagati Nunzio
Samuele Calamucci, informatico di Equalize (società sotto
sequestro): «Tanto lui (Pegoraro ndr) è uno che le fa pure per la
procura».
Bitcorp, non indagata, ha lavorato più volte per i magistrati
milanesi. E tra la corposa mole di fatture elettroniche emesse dal
2019 al 2023 dalla Bitcorp (3,3 milioni di euro) ne figurano diverse
a beneficio del «ministero dell'Interno dipartimento di pubblica
sicurezza, del Comando delle forze speciali, della procura della
Repubblica di Genova, dell'ufficio giudiziario di Milano (importi
per prestazioni offerte rispettivamente di 891 mila euro e 57 mila
euro), di Torino (24.750 e 36.750) e della Direzione investigativa
antimafia (Dia) con tre fatture per un totale di 35 mila euro».
Nota a margine, ma nemmeno tanto: Pegoraro, stavolta in prestito a
un'altra delle società perquisite, la Skp di Milano, era già finito
nei guai a Torino (a giorni inizia il processo) per aver ricevuto
incarichi di spionaggio sulla multinazionale della malta e del
cemento Kerakoll. Un manager della ditta aveva commissionato
indagini a un altro degli attuali indagati a Milano, Fabio Rovini
(anche lui indagato a Miano nel procedimento odierno e
contemporaneamente imputato a Torino). E Rovini risponde al cliente
che «colui che si sta occupando dell'indagine invasiva indicata è
l'ingegner Pegoraro». Negli atti è riportata la sua mail.
«Attenzione – ammoniscono gli inquirenti torinesi – perché Pegoraro
è lo stesso che questa polizia giudiziaria ha nominato ausiliario di
polizia giudiziaria (nell'indagine su Arciere, ndr) e lo ha
incaricato il 31 maggio 2021 di svolgere le attività di ingegneria
sociale rivolte alla realizzazione del cosiddetto "Trojan" da
iniettare nel telefono di un ex carabiniere oggetto di indagine».
Tentativi richiesti dalla procura con parere favorevole del gip,
andati avanti (senza successo) per mesi fino a ottobre 2021. Di
nuovo la doppia faccia, di nuovo spione e consulente della procura.
Almeno in ipotesi d'accusa. —
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il sistema
i nomi finiti nell'inchiesta
"La rete ha legami con clan e 007 a rischio la sicurezza nazionale"
monica serra
milano
Nell'enorme archivio della banda degli spioni c'erano anche «dati
classificati», top secret. Come un documento di 43 pagine
riconducibile all'Aisi, il servizio segreto italiano interno
«riservato» e risalente al 2008-2009 sulle «reti del Jihad globale».
I carabinieri del Ros, con i colleghi di Varese, lo hanno trovato
quando l'hacker Nunzio Calamucci ha collegato una sua chiavetta a un
pc della società di via Pattari 6 controllato da un Trojan della
procura. Dentro c'erano anche 52.811 interrogazioni Sdi del Ced
interforze del Viminale. Molte erano «riconducibili» a un ex
carabiniere indagato. «Con i report che abbiamo noi in mano possiamo
sputtanare tutta l'Italia», diceva Calamucci intercettato.
Per il pm Francesco De Tommasi, «il principale punto di forza
dell'organizzazione criminale è proprio la rete relazionale di
altissimo livello» su cui possono contare «lo zio bello» Enrico
Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano a capo della società
di intelligence, e il socio Carmelo Gallo, ex colonna portante
dell'Antimafia milanese. Non solo con persone «appartenenti ai più
elevati ranghi delle istituzioni pubbliche, estranee ai fatti e
all'oscuro delle dinamiche criminose interne a Equalize». Ma anche
in altri ambienti come «quello della criminalità mafiosa e quello
dei servizi segreti, pure stranieri, che spesso promettono e si
vantano di poter intervenire su indagini e processi, per bloccare
iniziative giudiziarie».
Non è un caso che Calamucci – legato anche ad Anonymous («Con loro
condividiamo...), che è stato in grado di violare il sistema
informatico del Pentagono – si vantava: «I cialtroni saltano, noi
abbiamo la fortuna di avere clienti Top in Italia (per l'accusa,
come Barilla, Erg, il banchiere Matteo Arpe, Del Vecchio Jr, la
giudice Carla Romana Raineri, ex capa di gabinetto di Raggi)». Ma
anche «contatti tra i servizi deviati e i servizi segreti seri, di
quelli lì ti puoi fidare un po' di meno, però, il sentiamo, fanno
chiacchiere, sono tutte una serie di informazioni…». Dati sensibili
e riservati che, ipotizza la procura diretta da Marcello Viola,
potrebbero essere finiti anche all'estero.
E non è un caso neanche che, quando il gruppo discuteva di
effettuare autonomamente i «positioning» cioè la localizzazione dei
cellulari delle vittime, lo stesso Calamucci proponeva: «Allora,
domani mattina prima di venire qua passo in Regione a chiedere! Vedo
cosa... cosa c'è in sconto e te lo faccio sapere!» . Per il pm, un
chiaro «riferimento agli uffici dei servizi segreti che sono nello
stesso palazzo, dove evidentemente l'hacker vuole verificare la
possibilità di acquistare a prezzo ribassato l'apparecchiatura».
Per l'accusa, la banda che aveva bucato anche i database del
ministero dell'Interno, che sosteneva di aver «clonato» un account
email del presidente Sergio Mattarella, e che era in grado di
«tenere in pugno» cittadini e istituzioni, di «condizionare in modo
pregiudizievole dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche,
anche giudiziarie» e di «mettere a rischio la sicurezza nazionale»,
rappresenta «un pericolo per la democrazia di questo paese». I
Il suo «capo indiscusso», l'ex superpoliziotto Gallo, viene definito
una persona «tentacolare, spregiudicata e senza scrupoli», con «le
mani in pasta ovunque» che «intrattiene rapporti con diverse
personalità di rilievo, oltre che con diversi pregiudicati, anche
per associazione mafiosa».
Per l'accusa, infatti, l'ispettore in pensione è «pronto a scendere
a patti con esponenti della criminalità milanese». Tant'è che «per
ottenere la disponibilità di un posto auto a San Siro per ragioni di
rappresentanza» era intenzionato «a contattare il capo ultrà
dell'Inter Vittorio Boiocchi», poi freddato a colpi di pistola e con
26 anni di carcere alle spalle.
Ma la rete che aveva costruito la banda è vastissima: «La politica –
dicevano – la abbracciamo più o meno tutta perché Enrico (Pazzali,
ndr.) è destra, tutto ambientale di destra, (l'ex socio, ndr.)
Barletta è tutto ambiente di sinistra, quindi bene o male...il
centro è quello...». Il gruppo intratteneva rapporti anche «con ex
vertici delle forze dell'ordine e dell'amministrazione degli
Interni, divenuti poi security manager o membri dei cda di aziende
private». Diceva Calamucci: «Adesso c'è il nuovo... il vice... l'ex
prefetto di Como! Che è entrato come security manager... perché
tutte le ex cariche di un certo livello entrano nel Cda di qualcosa,
e noi… spaziando dai carabinieri alla polizia all'esercito… abbiamo
un ventaglio di ex cariche che diventano nostri clienti... l'ex
questore di Como fa morir dal ridere, è entrato come security
manager in Bennet». Era stato proprio lui, per l'accusa, a mettere
in contatto Equalize con Barilla.
Ma il gruppo poteva contare anche su contatti nei giornali per
spifferare qualche notizia che gli faceva comodo: «Chiamiamo
Roberto, Dagospia… lui sa davvero che ci sono queste foto … quando
tu gli dai una notizia, lui la pubblica ed è una delle testate più
temute dalla gente… lo rispettano tutti come un dio...». —
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Il procuratore di perugia e le indagini sul furto di email
Cantone: "I processi non sono sicuri"
«Ci siamo lanciati in questo mondo del processo penale
telematico o comunque di tutta una serie di meccanismi che
riguardano via internet le attività giudiziarie senza però metterle
in sicurezza. Noi ormai tante attività le facciamo direttamente a
distanza e poi scopriamo che i meccanismi non sono affatto sicuri.
Io, per esempio, ho letto che le mie email sarebbero state in
qualche modo violate da questo hacker di cui si occupa la procura di
Napoli». Lo ha detto il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone.
«Noi con la posta colloquiamo, parliamo di vicende giudiziarie. I
nostri sistemi dovrebbero essere garantiti al cento per cento. Forse
noi abbiamo buttato troppo il cuore oltre l'ostacolo, senza renderci
conto prima di quali potevano essere i problemi», ha aggiunto
Cantone. «Si tratta di due indagini che per quello che io so non
hanno alcuna attinenza fra di loro», sono ancora parole del
magistrato. Non ci sono collegamenti, almeno che mi risultino».
Gli effetti delle riforme che riguardano la giustizia - ha infine
spiegato Cantone a margine degli incontri di CasaCorriere in corso a
Napoli - poi finiscono per riverberarsi sui cittadini, per cui è
evidente che parlando di democrazia e potere non si possa non
parlare di giustizia». «Questo - ha concluso - è un momento
particolare nel quale ci sono tantissime riforme in corso, forse
anche troppe. Io concordo con quello che ha detto il presidente
della Cassazione, forse su questi temi ci sarebbe stato bisogno di
un fermo biologico».
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"Bibi e Khamenei usano la guerra per nascondere la crisi del potere"
Azar Nafisi
Francesca Paci
Roma
La notizia del raid israeliano sull'Iran raggiunge Azar Nafisi
insieme a quella del duplice premio ricevuto a Roma dalla versione
cinematografica del suo bestseller "Leggere Lolita a Teheran", un
film diretto dal regista israeliano Eran Riklis e interpretato da
attori iraniani. La domanda è quale delle due immagini rappresenti
meglio il presente, se la guerra o la letteratura. La risposta,
ammette la grande scrittrice iraniana in esilio, è tanto
esistenziale quanto irreversibile.
Da oltre un anno si evoca la guerra incombente. Il raid israeliano
sull'Iran chiude la partita pareggiando i conti o sposta la palla in
un campo nuovo, più estremo?
«Sia il premier israeliano Netanyahu che la Guida suprema Khamenei
usano la guerra per nascondere i rispettivi problemi interni e le
piazze che, a Tel Aviv come a Teheran, rifiutano la loro leadership.
L'attacco di venerdì notte fotografa la situazione: nessuno dei due
governi è in posizione di forza, entrambi hanno paura del passo
successivo ma non possono arretrare. Gli ayatollah sono certamente
più in difficoltà, da una parte devono mostrare i muscoli contro il
nemico di sempre ma dall'altra sono terrorizzati dall'escalation
perché la popolazione, stanca e disillusa, non reggerebbe. Netanyahu
digrigna i denti perché se finisse la guerra dovrebbe affrontare la
giustizia e magari la prigione ma anche lui ha una serie limitata di
mosse, rivendica le vittorie militari per non fare i conti con la
frustrazione della sua gente. È uno stallo molto pericoloso».
Il mese scorso il premier israeliano si è rivolto agli iraniani
invitandoli a sollevarsi e offrendo il suo aiuto. Come l'hanno presa
e come hanno preso l'attacco?
«Dipende dall'interlocutore, c'è chi accetterebbe tutto pur di
voltare pagina. La maggior parte degli iraniani però, non si fida:
siamo stati traditi troppe volte. Se qualcuno come Netanyahu si
propone, io, prima di considerarlo, mi chiedo come si comporti a
casa propria, come governi. E viste le manifestazioni oceaniche
degli israeliani contro di lui, visto il trattamento riservato ai
palestinesi... credo che non ci sia davvero nulla da accettare. No,
gli iraniani devono contare solamente su loro stessi».
Da vent'anni "Leggere Lolita a Teheran" è la chiave di volta per
capire l'altro Iran, quello delle persone. Cosa aggiunge oggi a
quella missione la sua versione cinematografica diretta da un
regista israeliano e interpretata da attori iraniani?
«La mia protesta è da sempre contro il governo che ignora il proprio
popolo. Per questo parlo degli iraniani che chiedono una vita
dignitosa e non degli ayatollah che cercano la guerra. Iran e
Israele sono due Paesi in cui i politici vogliono combattere mentre
le persone ambiscono a stare in pace. Ho scelto Eran Riklis dopo
aver visto il suo film "Il giardino dei limoni", dove una donna
palestinese sfida il ministro degli esteri israeliano che vuole
distruggerle gli alberi per ragioni di sicurezza. Eran è contro la
guerra, sostiene la soluzione due popoli per due Stati, condivide
con me la convinzione che la cultura debba oltrepassare i limiti che
spesso la politica impone alle nostre vite».
Com'è cambiato l'Iran da quando a Teheran leggeva Lolita alle sue
studentesse?
«Vorrei che il film funzionasse da sprone come allora funzionò il
libro. La situazione è molto peggiorata, le iraniane e gli iraniani
hanno votato a più riprese confidando nel riformismo e hanno avuto
in cambio più repressione, più violenza, più dolore. Di vivo c'è
oggi solo il movimento delle donne, quelle che dopo l'assassinio di
Mahsa Amini hanno bruciato le illusioni e non si sono più voltate
indietro. Sono le ragazze che leggevano Lolita nelle cantine e sono
uscite alla luce del sole togliendosi l'hijab. Il movimento "donna
vita libertà" è la più letale spina nel fianco del regime ma non è
l'unica, anche i sostenitori della teocrazia sono stanchi e il film
racconta bene questa zona grigia. I regimi totalitari divorano tutti
i loro figli, tutti».
Gli iraniani gioiscono suoi social delle umiliazioni ricevute dal
regime ma ripetono di non voler essere liberati da forze esterne.
Cosa può fare per loro l'occidente?
«La maggioranza degli iraniani non vuole invasioni straniere né
esportazione di democrazia. Vogliamo una transizione pacifica come
pacifica è l'opposizione delle donne: il regime spara e noi
balliamo. L'occidente, a parte selezionare sanzioni che non
colpiscano il popolo, può ascoltarci. Quando emigrai mia madre mi
raccomandò di parlarvi di noi, di spiegarvi che se ci aveste
lasciati soli il regime avrebbe vinto. Ascoltateci. Sosteneteci con
la musica, la cultura, i sit-in come faceste con Mandela».
Quelle piazze ci sono in realtà, ma sono riservate alla causa
palestinese, al massimo alla pace in Ucraina a costo della resa di
Kiyv.
«Lo so purtroppo, nessuna manifestazione per le donne iraniane. Alle
mie conferenze c'è sempre qualcuno che mi accusa di essere
occidentalizzata e di non rispettare la cultura che poi sarebbe la
mia. Dovrei rispettare la lapidazione delle adultere, le spose di 9
anni, lo stupro della libertà? La libertà non è né occidentale né
orientale, gridavano le mie compagne già all'indomani della
rivoluzione khomeinista. E forse l'occidente dovrebbe ascoltarci un
po' di più per ricordarsi chi è. A Teheran Hannah Arendt e Vaclav
Havel sono vere e proprie star mentre voi sembrate aver dimenticato:
non è il momento di trascurare i valori fondativi della democrazia
con le nubi che si addensano sul voto americano».
Vincerà Donald Trump?
«Nessuno lo sa ed è una prospettiva terrea. Ma anche se vincesse
Kamala Harris dovremmo interrogarci su come siamo arrivati a questo
punto, come una delle principali democrazie si sia affidata così
tanto a quell'uomo».
Pare che ci siano divisioni nel regime iraniano e che l'ala
razionale avrebbe eletto il presidente Massoud Pezeshkian. Eppure da
quando è in carica ci sono state oltre 250 esecuzioni. Non c'è
alcuna possibilità di riformare la Repubblica islamica?
«Aprirsi alle riforme per il regime iraniano significherebbe
concedere un po' di libertà, ma non funziona così. Avere un po' di
libertà è come dire di essere un po' incinta: o aspetti un bambino o
non lo aspetti. Il modello per noi è il crollo dell'Urss nei Paesi
dell'est Europa, inghiottiti nel proprio vuoto di radici».
Israele ha decapitato molti proxy iraniani, da Hamas a Hezbollah.
Quante divisioni ha ancora l'Iran?
«Gli iraniani irridono il regime a suon di barzellette che
raccontano l'humor nero con cui si sopravvive all'angoscia. La
teocrazia crollerà, ma come siamo arrivati a questo? In Iran, nella
Russia di Putin, nell'America che spera in Trump. Come abbiamo fatto
a bypassare tutte le lezioni della Storia? » .
- fischi
alla cerimonia del 7 ottobre secondo il calendario ebraico. A Doha
riprendono i negoziati per il rilascio degli ostaggi
Netanyahu contestato dai parenti delle vittime "Vergognati".
L'offerta di Al Sisi per la tregua
Fabiana Magrì
Due parole. «Mishpachot iacharot» («famiglie care»). Poi i fischi e
le proteste di quei parenti arrivati al colmo del lutto e della
rabbia, gelano Benjamin Netanyahu sull'incipit del suo intervento
alla commemorazione (secondo il calendario ebraico) per le vittime
del massacro di Hamas del 7 ottobre dell'anno scorso. «Vergogna!».
Per lunghi minuti il premier resta muto (imbarazzato? infastidito?),
in piedi dietro al leggio, a prendersi gli insulti di chi gli grida
addosso di aver avuto il «padre assassinato» e il «figlio
abbandonato» da 388 giorni, ostaggio di Hamas. Quello che passa per
la testa di Bibi (il diminutivo con cui è noto il premier) sotto lo
sguardo di sua moglie Sara, della coppia presidenziale, gli Herzog,
e dei massimi vertici militari, non si legge sul suo volto. Dopo che
i provocatori vengono allontanati dalle forze dell'ordine, il primo
ministro più longevo della storia di Israele, che sta guidando il
Paese nella sua campagna militare più lunga di sempre, riprende
confidenza e il discorso. Ringrazia e si congratula con «tutti i
nostri soldati e comandanti di Tsahal e delle forze di sicurezza»
che hanno collaborato all'operazione "Giorni del pentimento" contro
l'Iran. Li elenca uno per uno, il capo di Stato Maggiore, il
comandante dell'aeronautica, i piloti. Perfino i «meccanici e tutto
il personale di terra» e tutto il sistema di intelligence, «il capo,
gli uomini e le donne del Mossad». Esprime gratitudine anche agli
Stati Uniti, «per lo stretto coordinamento e supporto». Netanyahu dà
"kavod" (onore e rispetto, in ebraico) a tutti. Tranne a uno. Il
ministro della Difesa, la sua spina nel fianco Yoav Gallant, il
ribelle, la voce controcorrente nel suo esecutivo, l'illicenziabile.
L'unico rappresentante del governo attuale con cui l'amministrazione
Biden sente di parlare la stessa lingua. E quando tocca a Gallant
intervenire alla cerimonia di Stato, la distanza tra i due si
manifesta ancora una volta. Certo, anche il capo della Kirya
conferma che, con il suo attacco «preciso, letale e sorprendente»
all'Iran, lo Stato ebraico ha inviato il messaggio chiaro che «il
lungo braccio di Israele raggiungerà chiunque tenti di farci del
male». E sostiene, a testa alta davanti alla platea, che Hamas ed
Hezbollah sono stati scossi nelle fondamenta e non rappresentano più
«uno strumento efficace nelle mani dell'Iran». Tuttavia, in funzione
anti Bibi, sottolinea che non tutti gli obiettivi possono essere
raggiunti tramite la forza militare. «Riportare gli ostaggi alle
loro case richiede dolorosi compromessi», sancisce Gallant. E lo
dice nel mezzo degli sforzi compiuti da Usa, Egitto e Qatar per
ricomporre i pezzi dei colloqui tra Israele e Hamas e raggiungere
un'intesa per un cessate il fuoco, più o meno temporaneo, e per la
liberazione degli ostaggi israeliani. Il Cairo ha proposto una
tregua di due giorni per consentire lo scambio di quattro rapiti per
alcuni palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane. Ma una
fonte di Hamas, parlando con il canale saudita Asharq News,
preannuncia una proposta di accordo "all in": fine della guerra,
ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, scarcerazione di un
certo numero di detenuti palestinesi, rilascio di tutti gli ostaggi
israeliani in una volta sola. Di fatto, nessuna novità. Il che fa
presagire che anche l'esito della trattativa non sarà diverso, con
queste premesse. A nulla ha portato il tentativo di Israele, la
scorsa settimana, di offrire un cessate il fuoco di due settimane
per riportare a casa cinque ostaggi, presumibilmente vivi. Se la
dovranno vedere, in queste ore a Doha, il capo del Mossad, David
Barnea, il direttore della Cia, Bill Burns, e il padrone di casa, il
primo ministro qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani.
Mentre si deposita la polvere sull'attacco di Israele all'Iran, a
sollevarsi sono le prime dichiarazioni che offrono un'indicazione di
dove il conflitto nella regione allargata potrebbe andare. Nei suoi
primi commenti pubblici dalla notte tra venerdì e sabato, la Guida
suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, tramite l'agenzia di stampa
statale Irna, giudica quello di Israele «un errore di calcolo» e
suggerisce che gli attacchi «non dovrebbero essere né minimizzati né
esagerati». La deterrenza è un potere che non si ripristina
facilmente, soprattutto dopo una batosta come quella del 7 ottobre e
dopo una guerra di logoramento che va avanti da oltre un anno. Il
presidente Masoud Pezeshkian promette una «risposta appropriata». Il
segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, mette in guardia Teheran e
invita il regime a «non dovrebbe commettere l'errore di rispondere
agli attacchi di Israele». Gli fa eco la vicepresidente e candidata
alla casa Bianca, Kamala Harris.
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28.10.24
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Azionista al 95% di Equalize, Pazzali avrebbe fatto "accertamenti su
persone legate a Letizia Moratti"
Il patron di Fiera Milano vicino a Fontana Lega in imbarazzo:
"Dimissioni? È adulto"
FRANCESCA DEL VECCHIO
MILANO
Chi lo conosce da sempre giura di averlo visto raramente senza
giacca e cravatta: Enrico Pazzali, finito al centro dell'inchiesta
sui dossieraggi milanesi, è uno dei personaggi più influenti della
politica e dell'imprenditoria milanese, lui che aveva "teorizzato"
il ruolo della Fiera come «strumento di politica industriale del
Paese». Ha sempre goduto di apprezzamento bipartisan «per il suo
decisionismo e il profilo istituzionale», ma storicamente è più
vicino al mondo della destra lombarda. In più occasioni è stato
fatto il suo nome per il dopo Beppe Sala (c'è chi dice solo per
fargli un torto: pare che i suoi rapporti con la Lega e in
particolare con Matteo Salvini non fossero idilliaci). Vicino alla
ministra del Turismo Daniela Santanché e al presidente di Regione
Lombardia Attilio Fontana, non ha mai nascosto la sua stima per
Silvio Berlusconi, tra i primi ad appoggiare un'intitolazione al Cav,
dopo la morte.
Classe ‘64, milanese e bocconiano, un passato da manager in grandi
aziende tra Roma e Milano come Poste, Omnitel, Compaq, Shell e Bull,
dal 2015 è stato per alcuni anni ad di Eur spa (società di cui è
azionista al 90% il ministero dell'Economia e delle Finanze). Dal
2019, nominato dalla giunta di Fontana ed eletto dal Pirellone
d'intesa con il Comune di Milano, è il patron della Fondazione Fiera
dopo essere stato amministratore delegato di Fiera spa dal 2009 al
2015. È anche consigliere di amministrazione dell'Università Bocconi
e presidente del Comitato Bergamo-Brescia 2023. Nel 2020, durante la
pandemia, fu uno dei principali sponsor dell'Ospedale in Fiera, la
terapia intensiva allestita nei padiglioni del polo fieristico
grazie alle donazioni di imprenditori e società civile. Ma è la sua
posizione di azionista di maggioranza (al 95%) della Equalize ad
essere sotto la lente dei magistrati di Milano. Per i suoi soci è
«Zio bello» o «capo» e, stando a quanto emerso dalle carte
dell'indagine avrebbe - tra le altre cose - chiesto «accertamenti»
su persone «vicine politicamente» a Letizia Moratti, quando era
candidata alle Regionali lombarde del 2023 proprio «per favorire
Attilio Fontana». Motivo per cui, è proprio il centrodestra ad
essere in forte imbarazzo: «Leggeremo le carte», dice il
sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio Alessandro
Morelli. Quanto alle dimissioni, «mi sembra abbastanza adulto per
fare le proprie valutazioni». Le dichiarazioni sanno già di presa di
distanze e, a ben guardare, sono il chiaro segnale di un "doppio
standard" dopo che la Lega, su altre inchieste per dossieraggio,
aveva urlato allo scandalo. Nessun commento neanche da Forza Italia,
né tantomeno dal partito della premier. L'unica tra i Fratelli è
Santanchè, che però non si sbilancia nei giudizi: «Non è mia
abitudine commentare le accuse». Di dimissioni dalla presidenza
della Fondazione, comunque, ancora non vuole parlare nessuno. Bocche
cucite sia al Pirellone sia tra gli esponenti della destra
cittadina. Quanto al centrosinistra, si registra solo la nota di
Pierfrancesco Majorino (capogruppo Pd in Regione) che si augura che
Pazzali «possa dimostrare tutta la sua estraneità a una vicenda dai
contorni esplosivi».
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POTERE SENZA LIMITI : le carte
Da Scaroni a Moratti e Bonomi "Abbiamo fatto migliaia di report"
ANDREA SIRAVO
MILANO
«Mi arriva, mi arriva dalla Ronzulli, mi fa un po' paura». Tra i
committenti della Equalize, la società al centro dell'inchiesta
della Dda e della Dna su presunte attività di dossieraggio illegali,
ci sarebbe stata anche la senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli
(non indagata, ndr). A fare il suo nome è il presidente dell'agenzia
di investigazioni Enrico Pazzali quando, nel luglio del 2022, è al
telefono con il suo amministratore delegato ed ex poliziotto Carmine
Gallo. «Non lo so... no no avrà una quarantina d'anni non lo so… e
comunque lavora in Autogrill... guarda che non ci sia mai qualche
roba con Berlusconi... qualcosa del genere…», prosegue Pazzali sul
nominativo indicatogli da Ronzulli. «Non vorrei che fosse da giovane
una delle letterine, quelle robe lì», riflette il presidente di
Equalize. Lo blocca subito Gallo che, avendo già un dossier sulle
cosiddette "Olgettine", lo assicura che la persona su cui fare il
controllo non è di quello «staff lì». L'ulteriore conferma arriverà
quando quel nome, pochi giorni dopo, viene inserito nella banca dati
Sdi dalla Dia di Lecce, dove opera uno gli appartenenti alle forze
dell'ordine infedele.
Appare «inquietante» – per gli inquirenti – invece una conversazione
intercettata in cui Calamucci lascia intendere a Gallo di aver
intercettato un indirizzo email assegnato al presidente della
Repubblica Sergio Mattarella. Un aspetto che le indagini devono
ancora riscontrare. A rivolgersi a Gallo e ai suoi esperti
informatici, oltre che politici, ci sono avvocati, giudici,
imprenditori e manager di grandi aziende come Barilla, Eni, Egr e
Heineken. Ognuno con il proprio tornaconto. Chi per screditare e
rovinare l'immagine di un proprio avversario, in campo familiare o
professionale. Chi per controllare in modo opaco cosa succede sotto
il tetto della propria azienda. C'è Fulvio Pravadelli, direttore
generale della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, che dà
mandato a Equalize di cercare informazioni contro Alex Britti da
usare nella causa di separazione tra la figlia e il cantautore. Un
accesso allo Sdi viene fatto pure su Giuseppe Bivona, grande
accusatore dei vertici di Mps. Il più attivo di tutti – come emerge
dagli atti d'indagine – sembra essere comunque Pazzali. «Se ti
faccio vedere i report di Enrico, ne ho fatti a migliaia di report a
Enrico», dice Nunzio Samuele Calamucci, braccio destro di Gallo,
anche lui agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
La mole di richieste senza che ci sia un ritorno economico fa
storcere il naso nel gruppo. «Report gratis non ne escono più a
nessuno», ammonisce Calamucci. «Neanche per il presidente», annuisce
Gallo. Tra gli obiettivi individuati da Pazzali c'è Paolo Scaroni.
Il suo profilo come quello di Pazzali ad agosto 2022 è tra quelli
papabili per il ruolo di amministratore delegato di "Milano –
Cortina 2026". La competizione sulla carta vede in vantaggio
l'attuale presidente del Milan e del cda di Enel. Da qui la
richiesta di Pazzali a Gallo di fare una verifica sullo Sdi alla
ricerca di informazioni compromettenti che possano escludere Scaroni
dalla "corsa". Il successivo ottobre, il presidente di Equalize si
muove anche per «mettere in cattiva luce l'immagine di Letizia
Moratti», candidata alla presidenza di Regione Lombardia. «Comunque
c'è un sacco di gente, guarda se conosci qualcuno! Se c'è qualcuno
d'interessante da verificare!», afferma riferendosi ai componenti
del consiglio direttivo di Lombardia Migliore, lista che promuoveva
la candidatura dell'ex sindaca ed ex ministra.
Tra le centinaia di informazioni procacciate illegalmente, di cui
veniva a conoscenza, Pazzali alcune le utilizza con amici e
conoscenti per portare avanti i suoi interessi. Lo fa, ad esempio,
con Daniela Santanché, ignara delle attività illecite, quando cerca
di screditare Guido Rivolta, uomo di fiducia di Giovanni Gorno
Tempini, vicino ad entrare nello staff della premier Giorgia Meloni.
Dell'attuale presidente di Cdp la banda era riuscita a bucare il
cellulare per spiare le sue chat Whatsapp. Tra le parole chiave
viene inserito anche l'ex presidente di Confindustria Carlo Bonomi.
Non da Pazzali, ma direttamente da Gallo e Calamucci, si approccia
una giudice di Corte d'appello di Milano per far fare degli
accertamenti bancari sul marito. «Lei praticamente sta per
allontanare il marito... quindi gli sta depredando tutte le imprese,
tutti gli immobili e poi lo farà mettere con l'amministratore di
sostegno». La sua posizione è stata trasmessa alla Procura di
Brescia, competente sulle toghe milanesi. A livello aziendale
sarebbero state, tra le altre, le multinazionali Barilla ed Erg ad
andare alla Equalize per controllare in modo illecito alcuni
rispettivi dipendenti. «C'è la possibilità a ritroso di avere
conferma di questo sospetto», chiede un security manager
dell'azienda alimentare di Parma. L'obiettivo era sapere chi avesse
fatto trapelare notizie sull'avvicendamento del ceo. Nel caso di Egr,
a Gallo e ai suoi, viene chiesto di installare un software per
monitorare l'attività sui pc di lavoro per scoperchiare «una
presunta attività di "insider trading"» da parte di alcuni
dipendenti. Quando parlano della pratica Egr spunta anche un
presunto problematico report fatto per Eni. «Quella di Eni tra
l'altro è neanche dipesa da noi, perché son loro che l'hanno
depositata lì in un altro modo, cioè è andata proprio nel modo
sbagliato da parte del cliente», si giustifica Calamucci.
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L'imprenditore, figlio 29enne del patron di Luxottica, è indagato
per le richieste alla Equalize L'accusa: utilizzati trojan e
informazioni riservate per controllare i famigliari e la fidanzata
"Un finto dossier sul sesso per Del Vecchio junior contro il
fratello Claudio"
Calamucci su Del Vecchio
La risposta degli hacker
monica serra
milano
Il 24 maggio del 2023, negli uffici dell'Equalize di via Pattari,
arrivano i "tuttofare" di Leonardo Maria Del Vecchio, il figlio
ventinovenne del patron di Luxottica, perquisito e indagato in
concorso con l'associazione. Nell'agenzia di intelligence di Pazzali
e del superpoliziotto in pensione Gallo lo conoscono già, è un
cliente «fidato» e abituale, anche se trovano il modo di evitare che
fatturi direttamente alla società perché «se questo mi finisce sul
giornale ca… ci viene fuori il mal di testa che sai».
Marco Talarico, «addetto alla gestione patrimoniale» del manager,
alle spalle qualche guaio giudiziario, e Mario Cella, capo della
Security, hanno bisogno di alcuni lavori che – subito gli viene
chiarito – sono «illegali». L'obiettivo è trovare gli «scheletri
nell'armadio» della fidanzata dell'imprenditore, «questa benedetta
Jessica, era anche innamorato di questa ragazza qua… che è
innamorata di quell'altro» ma anche e soprattutto dei suoi fratelli:
«una questione molto, molto più delicata». Dopo la morte del padre,
il 27 giugno del 2022, Del Vecchio Jr, che ha ereditato le quote
della cassaforte di famiglia, «si sente ricattato dai fratelli». Per
questo si rivolge agli hacker professionisti. «Leonardo – spiegano –
ha ereditato le quote della cassaforte di famiglia… diciamo che è
già la seconda assemblea che fanno e Leonardo si ritrova
praticamente ricattato ai fini di governance dell'azienda, dove ci
sono ogni membro della famiglia che vuole una cosa diversa... ognuno
per ottenerla sta tra virgolette ricattando qualcun altro… Per
esempio uno può essere un po' più sensibile a un dividendo più
importante, l'altro invece vuole mettere nel board un uomo di sua
fiducia... e parlando con Leonardo m'ha detto che lui vorrebbe... ci
sono due persone che vorrebbe monitorare, la prima è suo fratello
maggiore che è Claudio Del Vecchio e la seconda è un consulente che
sta vicino a una delle sue sorelle, Paola Del Vecchio».
Non è la prima volta che alla Equalize viene commissionato un lavoro
di questo tipo. Dice infatti Nunzio Calamucci, uno dei presunti capi
della banda: «Vi parlo in tutta franchezza... noi abbiamo già fatto
un'operazione simile in Luxottica… era un responsabile dell'ufficio
acquisti... abbiamo guardato per mesi il telefono e non abbiamo
trovato nulla... abbiamo fatto un accertamento patrimoniale su lui e
abbiamo scoperto come intascava le retrocessioni... è stato poi
allontanato penso con una lauta buonuscita, per non esplodere sui
giornali!».
Così gli viene chiesto di «inoculare un trojan sui cellulari». La
risposta: «Il trojan è illegale in Italia però con voi lo facciamo
perché abbiamo un rapporto particolare. Non lo faremmo con un altro
cliente che potrebbe rappresentare un pericolo». Così, dalla banda
fermata ieri dalla Dda di Milano, il manager ottiene molte
informazioni su tutti i fratelli, illecitamente "esfiltrate" dalle
banche dati dello Sdi, del Punto Fisco, dell'Inps. Dove però non
arrivavano le sofisticate tecnologie usate dalla banda, arrivano i
report fasulli costruiti ad arte per accontentare il cliente. Come
quello sul fratello Claudio Del Vecchio: dopo numerose ricerche sui
suoi spostamenti a New York incrociate ai locali gay della città, il
gruppo fabbrica un finto rapporto redatto nel 2018 dalla polizia
americana in cui «si dava atto di un controllo eseguito in quella
città nei confronti di Claudio Del Vecchio mentre era in compagnia
di un "travestito", Ralph A Thompson, registrato sul National sex
offender website del Dipartimento di Giustizia americano».
Anche sul cellulare della promessa moglie, la modella Jessica Ann
Serfaty, Del Vecchio vorrebbe inoculare un trojan. Calamucci non
riesce ad accontentarlo. Così gli invia dei report falsi con «chat e
altri contenuti di conversazioni telematiche e informatiche». Ne
simula addirittura «l'intercettazione mediante captatore informatico
di conversazioni apparentemente intercorrenti» tra lei «e David
Blaine, illusionista di fama mondiale». Spiegava Calamucci
intercettato «a me Del Vecchio non piace ma può essere un affare
della vita... perché questo mi ha detto non ho limiti di budget pago
faccio disfo… ci ha dato anche un altro lavoro da 20 kappa da fare
così "d'emblèe" che era un lavoro da 5». Stando alle imputazioni,
Del Vecchio Jr, per la sua avvocata Maria Emanuela Mascalchi,
«sembrerebbe essere piuttosto persona offesa». Per questo il manager
«attende serenamente lo svolgimento delle indagini in modo da
dimostrare la propria totale estraneità ai fatti e l'infondatezza
delle accuse ipotizzate contro di lui».
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Dopo la morte del fondatore l'azienda macina record in Borsa ma i
rampolli litigano sull'eredità
Quella feroce dinasty degli occhiali per spartirsi un tesoro da 40
miliardi
Francesco Spini
Milano
Liti, veti incrociati, cause legali. La storia di spionaggi e
dossier scoperchiata nelle ultime ore, e che chiama in causa uno
degli eredi Del Vecchio, Leonardo Maria, complica la Dinasty di
Agordo. Mentre il capolavoro di Leonardo Del Vecchio, il colosso
dell'occhialeria EssilorLuxottica, macina record arrivando a
tagliare il traguardo, agognato dal patron scomparso due anni fa,
dei 100 miliardi di capitalizzazione in Borsa, la faccenda
dell'eredità si avviluppa. Tra i sei eredi del Cavaliere di Agordo
l'accordo resta lontano e i veleni delle ultime ore rischiano di
intorbidire ulteriormente le acque.
Per capire questa storia fatta di miliardi e potere, occorre tornare
ai giorni dell'apertura del testamento di Leonardo. Il fulcro di un
impero da circa 40 miliardi è la Delfin, cassaforte lussemburghese
che custodisce gli interessi finanziari della famiglia, a partire
dal 32% di EssilorLuxottica, ma anche partecipazioni importanti e
"pesanti" come quelle in Mediobanca, Generali, Unicredit. La finanza
che conta. Le quote di Delfin sono suddivise tra i sei figli –
Claudio, Marisa e Paola Del Vecchio (figli della prima moglie di
Leonardo, Luciana Nervo), Leonardo Maria (figlio di Nicoletta
Zampillo), Luca e Clemente (la cui mamma è Sabina Grossi) –, la
vedova Nicoletta Zampillo e l'altro suo figlio Rocco Basilico.
Ciascuno ha il 12,5% che suppergiù significa avere in mano 4-5
miliardi di euro.
Ma nelle quattro pagine del testamento pubblico accompagnato da tre
postille olografe Leonardo Del Vecchio fa di più. Destina le
proprietà immobiliari (case, ville, i relativi oggetti d'arte) alla
moglie. Non si dimentica nemmeno di destinare la sua riconoscenza ai
suoi più stretti collaboratori, in primis al "delfino" Francesco
Milleri, oggi numero uno di Essilux e presidente di Delfin, quindi
al fidato ad della stessa finanziaria, Romolo Bardin. A quest'ultimo
sono state indirizzate 22.222 azioni, a Milleri, oggi numero uno di
EssilorLuxottica – sono destinate 2.148.148 azioni, più o meno lo
0,5% del capitale.
Il punto, però, è che quattro eredi di Leonardo – Luca, Clemente,
Paola e Claudio – hanno accettato con beneficio di inventario, e di
fatto hanno bloccato l'esecuzione del testamento. Gli ingranaggi si
sono bloccati su diversi aspetti. L'inventario ha rilevato circa 460
milioni di passivo a fronte di un attivo patrimoniale di circa 200
milioni, tra crediti vantati verso Delfin, conti correnti, la
maxi-barca che fu del patron e altro. La differenza avrebbe dovuto
essere stata pagata dagli eredi ma questi non sono ancora riusciti a
trovare un accordo, in particolare sul versamento delle tasse sul
passaggio delle quote di Essilux a Milleri e Bardin. A Milleri è già
stata versata una quota di azioni, pari a 400 mila. Il resto deve
ancora arrivare.
Il tempo però è passato, gli affari sono andati bene, a Essilux
guarda ora con interesse anche Mark Zuckerberg di Meta, e da 340
milioni il pacchetto destinato al top manager vale ora 500 milioni,
ben di più. Ergo: gli eredi devono metterci più soldi per
riconoscere i titoli. L'impasse è inoltre determinata dal fatto che
alcuni figli, di cui si sono create cordate trasversali, vorrebbero
legare l'accordo anche a una modifica del sistema di governo di
Delfin. Del Vecchio, per esempio, ha stabilito che nessun componente
della famiglia (forse conoscendone il grado di litigiosità) debba
far parte del consiglio di amministrazione di holding, retto da 5
consiglieri guidati dal presidente Milleri e dall'ad Bardin. Sono in
carica a tempo indeterminato e, pur dovendo tenere informati i soci,
gestiscono partite delicate come la gestione delle quote in Generali
e Mediobanca, dove sono secondi e primi azionisti. Cambiare le
regole si può, ma serve un voto all'unanimità. E di unanimità tra
tali eredi finora se ne è vista poca. Non sono neppure riusciti a
votare sulla distribuzione dei dividendi, per cui servono due terzi
di voti a favore, altrimenti viene corrisposto il minimo statutario
del 10% dei profitti. Per cambiare anche queste norme bisogna
trovare una sintesi. Che oggi è una chimera. L'un contro l'altro
schierati fratelli ed eredi corrono divisi alla meta. In fondo al
tunnel c'è anche la decisione del giudice, chiamato da Milleri a
dirimere la questione relativa allo stato di graduazione
sull'inventario stabilito da alcuni eredi. Un guazzabuglio, in cui
esplode la bomba Leonardo Maria Del Vecchio.
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Bezos ferma l'endorsement per Harris critiche e sospetti sul
Washington Post
inviata a washington
Che una cosa del genere possa accadere al Washington Post, uno dei
quotidiani con la migliore reputazione del mondo, è insieme una
sorpresa e uno scandalo. Perché sotto la sua testata ha il motto: "Democracy
dies in darkness", la democrazia muore nell'oscurità. Perché a metà
degli anni '70 ha portato alla resa della presidenza corrotta di
Richard Nixon grazie al Watergate, riuscendo a resistere alla
pressione del potere (lo ha fatto l'allora editrice Katherine
Graham, per capire con quanta forza basta rivedere The Post di
Steven Spielberg). Perché in quella redazione, ieri in subbuglio
come non accadeva da molto tempo, nessuno si sarebbe mai aspettato
che il proprietario Jeff Bezos, uno degli uomini più ricchi del
mondo, potesse decidere di impedire all'editorial board del giornale
di pubblicare l'endorsement già scritto per Kamala Harris a pochi
giorni dalle presidenziali americane. Dimostrando così la fragilità
di quelle che ci ostiniamo a considerare inossidabili democrazie. La
permeabilità agli interessi degli oligarchi: Bezos come Musk. La
pervasività del messaggio che Donald Trump sta diffondendo in tutti
gli Stati Uniti: o siete con me, o siete «the enemy within», il
nemico interno che una volta presidente io schiaccerò con ogni mezzo
(ha evocato anche l'esercito. E no, non era una battuta).
Non solo più fonti confermano che lo stop è arrivato dall'editore in
persona causando un'accesa discussione all'interno dell'editorial
board. E portando all'annuncio del mancato endorsement non da parte
del direttore editoriale, ma dell'amministratore delegato, William
Lewis. Oltre a questo, nello stesso giorno, cioè venerdì, i
dirigenti di Blue Origin, la compagnia aerospaziale di Bezos, hanno
incontrato Donald Trump dopo il suo discorso a Austin, in Texas. Lo
ha rivelato l'Associated Press. Facendo aumentare a dismisura i
sospetti su una scelta interessata e tutt'altro che indipendente.
Robert Kagan, storico, politologo, importante editorialista del
Post, conservatore ma da sempre ostile alla politica di Trump, si è
dimesso parlando di «una sorta di inchino preventivo davanti a chi
pensano sia il probabile vincitore delle elezioni. Chiunque faccia
parte dell'economia americana quanto Bezos vuole avere un buon
rapporto con chiunque sia al potere». E poi, alla Cnn: «Possono dare
mille ragioni per cui stanno facendo una cosa del genere, ma penso
che dovremmo vederla chiaramente per quel che è: l'inizio del modo
in cui Trump controllerà i media, in particolare quelli in mano alle
grandi aziende. Perché tutta l'America delle multinazionali si sta
inginocchiando davanti a lui».
Si difende, Lewis, dicendo che questo è per il Washington Post un
modo per tornare alle origini. Non aveva appoggiato alcun presidente
prima del 1976, questo dimostra la fiducia che ha nei suoi elettori
e nella loro capacità di capire da soli cosa fare. Dimentica però di
dire, Lewis, perché le cose nel 1976 erano cambiate. Dopo la
scoperta del Watergate e e dopo quegli anni di battaglia col potere,
il giornale decise di dire da che parte stava: la prima volta,
inevitabilmente, con Jimmy Carter. Le ultime due, contro Donald
Trump.
Così oggi 16 editorialisti scrivono un articolo per prendere le
distanze parlando di un «terribile errore» che «rappresenta un
abbandono delle convinzioni editoriali fondamentali del giornale che
amiamo. Questo è il momento in cui l'istituzione deve rendere chiaro
il suo impegno nei confronti dei valori democratici, dello Stato di
diritto e delle alleanze internazionali, e della minaccia che Trump
rappresenta per loro. Non c'è contraddizione tra l'importante ruolo
del Post come giornale indipendente e la sua pratica di fornire
endorsement politici, sia per orientare i lettori che per dichiarare
i principi in cui crede». Per poi concludere: «Un giornale
indipendente potrebbe un giorno scegliere di tirarsi indietro dal
dare l'appoggio presidenziale. Ma questo non è il momento giusto,
quando un candidato sostiene posizioni che minacciano direttamente
la libertà di stampa e i valori della Costituzione».
Ma soprattutto – in mezzo a una pioggia di abbonamenti disdetti da
intellettuali e celebrities (c'è anche Mark Hamil, il Luke Skywalker
di Star Wars) – parlano proprio gli autori del Watergate, Bob
Woodward e Carl Bernstein: «Rispettiamo la tradizionale indipendenza
della pagina editoriale, ma questa decisione a 9 giorni dalle
elezioni presidenziali del 2024 ignora le schiaccianti prove
giornalistiche del Washington Post sulla minaccia che Trump
rappresenta per la democrazia. Sotto la proprietà di Jeff Bezos,
l'attività di informazione del Washington Post ha utilizzato le sue
abbondanti risorse per indagare rigorosamente sul pericolo e il
danno che una seconda presidenza Trump potrebbe causare al futuro
della democrazia americana e ciò rende questa decisione ancora più
sorprendente e deludente». Se la democrazia muore nell'oscurità, non
bisogna lasciare agli oligarchi - a nessuno di loro - il potere di
spegnere la luce.
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FINALMENTE Il wsj: ipotesi di riciclaggio. Il fondatore: voci senza
fondamento
Indagine su Tether, criptovalute in subbuglio
Tether è sotto indagine negli Stati Uniti per presunta violazione
delle norme anti riciclaggio. Lo rivela il Wall Street Journal che
cita fonti vicine alla procura distrettuale di Manhattan, che sta
valutando che la criptovaluta sia stata utilizzata per finanziare
attività illegali come traffico di droga, terrorismo e cyber
attacchi. Inoltre il Dipartimento del Tesoro, aggiungono le fonti,
starebbe pensando di imporre sanzioni contro Tether a causa dell'uso
diffuso della sua criptovaluta da parte di «individui e gruppi
sottoposti a sanzioni da parte degli Stati Uniti», tra cui Hamas e
alcune aziende russe, tra cui diversi commercianti di armi.
Tether è una criptovaluta stabile. È ancorata al dollaro americano,
il che vuol dire che ogni Tether vale un dollaro. Fondata da due
italiani, Tether oggi fa girare più di 190 miliardi di dollari al
giorno, con una capitalizzazione al momento intorno ai 120 miliardi.
È un architrave fondamentale dell'ecosistema cripto. Il fondatore di
Tether, Paolo Ardoino, savonese, 40 anni, smentisce la ricostruzione
del quotidiano. «È assolutamente irresponsabile che il Wsj scriva
articoli con affermazioni avventate ma con tanta sicurezza quando
nessuna autorità è intervenuta per confermare queste voci », ha
detto Ardoino.
«L'articolo - prosegue il fondatore - sorvola anche sui ben
documentati ed estesi rapporti di Tether con le forze dell'ordine
per reprimere i cattivi attori che cercano di abusare di Tether e di
altre criptovalute»
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27.10.24
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MAFIA PADRONA :
Misure cautelari personali e sequestri emessi dal gip del Tribunale
di Frosinone sono in corso di esecuzione nei confronti di un gruppo
di persone gravemente indiziate di associazione per delinquere
finalizzata alla corruzione per l'aggiudicazione di appalti di
lavori pubblici finanziati col Pnrr e per l'accoglienza dei
migranti.
E' l''esito di un'attività di indagine diretta dall'ufficio di Roma
della Procura europea. A eseguire i provvedimenti investigatori
della Polizia di Stato della Squadra Mobile di Frosinone e del
Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine di
Roma .
Fra gli indagati appartenenti all'organizzazione criminale,
destinatari di arresti domiciliari e di misure interdittive, come il
divieto di concludere contratti di collaborazione con la pubblica
amministrazione., figurano imprenditori e professionisti delle
province di Frosinone e Napoli, nonché funzionari e dipendenti di un
Comune del frusinate. L'inchiesta rappresenta uno dei primi
risultati delle attività investigative coordinate dalla Procura
europea sul reato di corruzione legato a fondi Pnrr.
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Indagine della Dda, sei misure cautelari : "Rubavano informazioni
riservate da banche dati strategiche" . Nella banda poliziotti, un
finanziere e un giudice
Arrestati gli hacker di Stato: "Spiati politici"
Giuseppe Legato
Monica Serra
C'è anche un ex poliziotto, Carmine Gallo, con una società che si
occupava di investigazione privata, tra i quattro arrestati finiti
ai domiciliari col braccialetto elettronico. Interdittive sono state
emesse invece nei confronti di un poliziotto in servizio e un
finanziere. Tutti sono accusati a vario titolo di associazione per
delinquere finalizzata all'accesso abusivo ai sistemi informatici e
corruzione. Informazioni delicatissime che avrebbero riguardato
anche politici, dati segreti e oggetto di indagini conservate nelle
banche dati strategiche nazionali, come Sdi, Serpico, Inps, Anpr,
Siva.
Informazioni investigative ma anche fiscali e sanitarie "esfiltrate"
con l'aiuto di hacker e consulenti, poi rivendute – sembrerebbe
anche ai media – o usate per scambi di favori. Tra le persone
coinvolte dalle indagini ci sarebbe anche un giudice milanese. La
sua posizione, per competenza territoriale, è stata stralciata e
inviata a Brescia.
Per tutta la giornata di ieri la Direzione distrettuale antimafia di
Milano, guidata dal procuratore Marcello Viola e la Direzione
nazionale antimafia, diretta dal collega Giovanni Melillo, hanno
coordinato perquisizioni e sequestri condotti dai carabinieri del
nucleo investigativo di Varese in Italia e all'estero.
Le indagini sarebbero nate da un filone di un'inchiesta antimafia
anche se agli indagati non sarebbe contestata l'agevolazione
mafiosa.
Da quel che emerge, sono diverse le società di investigazione finite
al centro delle indagini. Alcune sarebbero state anche sequestrate.
Nell'inchiesta sarebbero coinvolti anche alcuni "esperti"
informatici in forza a due società di consulenza lombarda utilizzata
da più procure italiane in indagini tecnologicamente complesse
incaricati da più uffici giudiziari di inoculare virus informatici
(i cosiddetti "Trojan") nei cellulari di alcuni indagati. Almeno
fino a poco tempo fa uno di questi lavorava per la Skp di Milano
(ieri perquisita), ed era finito sotto la lente dei magistrati di
Torino in un'inchiesta su presunti spionaggi industriali (tra i
quali alcuni dipendenti della Kerakoll il colosso emiliano leader
nella produzione di malte e collanti per l'edilizia) insieme ad
altri due "procacciatori di affari" legati in qualche modo al
gruppo.
Un'indagine dai retroscena inquietanti. Perché quando i magistrati
piemontesi danno incarico di inoculare un trojan sul cellulare di un
indagato (un ex appartenente alle forze dell'ordine), l'operazione
non va a buon fine. I riscontri dell'informatico ritardano ad
arrivare ed è lì che gli inquirenti si insospettiscono. Riusciranno
a ritroso a ricostruire – o almeno ad ipotizzare – che lo stesso
"esperto" all'epoca in forza alla Skp avrebbe ricevuto la richiesta
di "spiare" un colonnello dei carabinieri in forza alla procura del
capoluogo e un brigadiere accedendo «abusivamente ai loro profili
WhatsApp». Non due persone qualunque. Ma gli investigatori che
avevano nominato l'informatico come "ausiliario di polizia
giudiziaria" per poter contare sulle sue competenze in tema di
«captatori informatici su smartphone».
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Medici senza frontiere
Strage di bimbi a Khan Younis l'Onu: "Crimini atroci al Nord" No di
Hamas alla tregua breve
"
Fabiana Magrì
Elenchi, appunti, versetti coranici e conteggi. Sui fogli vergati a
mano, strappati da un block notes con il logo dell'azienda
palestinese Al Arqam Trading for Printing, Yahya Sinwar ha lasciato
istruzioni ai suoi uomini sulla gestione degli ostaggi israeliani
catturati il 7 ottobre del 2023.
Il quotidiano palestinese Al-Quds ha pubblicato ieri le fotografie
di tre pagine di carta attribuite al capo dei capi di Hamas. Li ha
presentati come «le volontà del martire Sinwar ai combattenti e i
dettagli scritti di suo pugno sui detenuti». Negli appunti, il
regista del massacro nei kibbutz, nelle basi militari e al festival
Nova – 1200 vittime israeliane e 251 persone rapite – si raccomanda
di «prendersi cura della vita dei prigionieri nemici e tenerli al
sicuro, poiché sono un'importante merce di scambio» per liberare i
prigionieri palestinesi. Uno dei fogli svela la posizione – il
centro di Gaza, la City e Rafah – di alcuni gruppi di ostaggi, senza
farne i nomi ma con accuratezza di compilazione e dettagli sulle
età, il sesso, le parentele di ciascuno. E con la suddivisione tra
civili e soldati e tra persone di nazionalità straniera o con una
seconda cittadinanza. Ci sono anche, sui fogli ritrovati, i nomi di
11 donne che furono rilasciate nella tregua di novembre.
Dopo l'uccisione, lo scorso 16 ottobre, del leader assoluto di
Hamas, sono ripresi i voli da un capo all'altro del Medio Oriente da
parte dei capi delegazione di Israele e dei mediatori. Da un lato,
riferisce Afp citando una fonte del gruppo, la fazione palestinese
«ha espresso la sua disponibilità» e ha discusso con gli egiziani
«idee e proposte» per un cessate il fuoco purché Israele si ritiri
dalla Striscia, consenta il ritorno degli sfollati e consentire
l'ingresso di aiuti umanitari a Gaza. Ma è presto – se così si può
dire a un anno dalla prima e unica tregua di questo conflitto – per
essere ottimisti. Perché un'altra fonte di Hamas, Osama Hamdan, ha
dichiarato al notiziario Al-Mayadeen che non c'è stato alcun
ammorbidimento. Anche il Canale 12 israeliano ha registrato la
stessa rigidità da parte di Khalil al-Hiya, negoziatore per Hamas,
che ha escluso di accettare una nuova proposta israeliana di un
breve cessate il fuoco (10-12 giorni) in cambio del rilascio di 5
ostaggi e del lasciapassare per i suoi leader.
Sebbene gli ingranaggi della diplomazia cerchino di rimettersi in
movimento, non senza difficoltà, la guerra procede a ritmo
incalzante. Tanto nella Striscia – dove il bilancio di Hamas dei
morti ha raggiunto quota 42.800 – quanto in Libano – qui i morti
sono oltre 2.500 –, con l'incognita dell'annunciato attacco
israeliano all'Iran e le voci di una possibile azione preventiva
iraniana. Teheran si sta preparando a una guerra con Israele, ma
allo stesso tempo cerca di evitarla, secondo funzionari iraniani
citati dal New York Times.
Il Nord dell'enclave palestinese sta vivendo «il momento più buio»,
ha avvertito l'Onu, accusando Israele di «crimini atroci». Tsahal ha
circondato l'ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia perché ritiene che
vi si nascondano «terroristi e infrastrutture con armi». Uno
sviluppo che il capo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha definito «profondamente inquietante».
Negli scontri armati tra forze israeliane e miliziani palestinesi a
Jabalia, l'esercito ha riportato la perdita di tre soldati.
Medici Senza Frontiere ha invece denunciato l'uccisione di un membro
del suo staff, Hasan Suboh, durante le operazioni militari notturne
israeliane a Khan Younis, nel Sud di Gaza. Qui, secondo il ministero
della Sanità di Hamas, l'attacco di Tsahal ha causato almeno 33
morti (la tv qatariota Al Jazeera ne riporta 38, citando fonti
mediche locali), tra cui 14 bambini.
Altrettanto violento è il confronto bellico tra Israele ed Hezbollah
in Libano. Due morti e venti feriti è il bilancio dei soccorritori
nell'attacco con razzi sul centro commerciale della cittadina araba
di Majd al-Khorum, nel Nord dello Stato ebraico, rivendicato dal
Partito di Dio. L'uccisione di 3 giornalisti in un attacco aereo
israeliano su Hasbaya, nell'Est del Libano vicino al confine con la
Siria è un «crimine di guerra» per il ministro dell'Informazione
libanese.
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occupazione silenziosa
Georgia
Inviata a Khurvaleti
Una mattina come tante la contadina georgiana Valia Vanishvili si è
svegliata prima del solito con una strana sensazione. Ha aperto la
porta di casa, nel villaggio di Khurvaleti, e ha scoperto che nella
notte era stata inghiottita dalla Russia. Lei, il marito, le
galline, l'orto, il frutteto, l'albero di melograno, la cuccia del
cane, tutto era diventato russo. Nella notte i soldati avevano
spostato il confine che divide l'Ossezia del Sud occupata e la
Georgia, mangiandosi altra terra e innalzando una barriera di filo
spinato con un cartello: «Confine di Stato, passaggio vietato». Dal
2020 Valia, che ha da poco compiuto 89 anni, vive grazie ai pacchi
di cibo e medicinali che la guardia di frontiera georgiana e la
figlia Nana, che vive a Tbilisi, le lanciano oltre il muro. Lei
ormai esce poco, parla con un filo di voce dalla finestra, perché,
dice «i russi sono nervosi». È vero: basta avvicinarsi troppo alla
barriera che dal nulla spuntano soldati in mimetica, passamontagna e
mostrine russe, il fucile puntato direttamente alla faccia.
Nei 26 villaggi georgiani lungo la linea di demarcazione, tra cui
Khurvaleti, l'occupazione russa avanza di qualche metro alla volta,
nel cuore della notte, sempre in silenzio. Spesso inizia con una
linea tracciata attraverso un campo, nastri sugli alberi che
stabiliscono il confine, poi si scavano i fossati, i fossati
diventano recinti, i recinti barriere di filo spinato. Quindi si
materializza un cartello che sancisce il nuovo "confine" e torrette
di guardia. I georgiani la chiamano «occupazione strisciante» e non
in senso metaforico.
Khurvaleti si trova al limite meridionale dell'Ossezia del Sud,
regione separatista occupata dalle truppe russe dopo la "guerra dei
cinque giorni" con la Georgia nel 2008, in quella che si è rivelata
una prova generale per l'Ucraina. Da allora, quando i carri armati
di Vladimir Putin entrarono nel Paese, i soldati russi hanno
lentamente e silenziosamente invaso i territori dei loro vicini,
spostando le linee di demarcazione militarizzate sempre più in
profondità nel territorio georgiano. Valia Vanishvili, è una delle
poche persone che continuano a vivere qui. Suo marito, Data, è morto
nel 2021 e le ha lasciato un testamento in cui le chiedeva di non
lasciare la casa. Valia resiste anche per lui: «Non possono
uccidermi, e allora aspettano che muoia per prendersi la mia terra».
Ogni tanto qualche georgiano sparisce nel nulla, qualcuno viene
ucciso, come Tamaz Ginturi, del villaggio di Kirbali, che voleva
solo pregare nella sua chiesa, poco fuori il villaggio, assorbita
anche lei dall'occupazione in una notte come tante altre. Il 6
novembre le truppe russe lo hanno arrestato e poi gli hanno sparato.
«Queste sono le persone più coraggiose della Georgia», ha detto ieri
la presidente filoeuropeista Salome Zourabichvili, riferendosi a
tutti i georgiani che si rifiutano di abbandonare terra e case per
resistere all'avanzata russa. La vita, per loro e per Valia, è
sempre più difficile: il punto di attraversamento più vicino è a 50
chilometri, ed è aperto 10 giorni al mese o secondo il capriccio
degli occupanti. Una visita a un parente dall'altra parte della
linea di demarcazione è un viaggio di andata e ritorno di 200
chilometri.
Un tempo un villaggio densamente popolato, Khurvaleti è ora quasi
deserto. La maggior parte delle case sono abbandonate, le finestre
murate, le porte oscillano appese a cardini precari. Chi poteva se
n'è andato: «Questo posto era pieno di gente», dice il poliziotto
della guardia di frontiera, senza togliere gli occhi da un gabbiotto
azzurro a 10 metri dalla casa di Valia: «Lì stanno i soldati russi e
quelli dell'Fsb». Avverte di non stare troppo vicino alla barriera,
e chiede a Valia di non uscire di casa: non potrebbe comunque,
perché senza forze e malata: «Dopo l'invasione dell'Ucraina, Mosca
ha spostato truppe ed equipaggiamento al fronte, ma quelli rimasti
sono più nervosi». Ci sono pochi soldati nelle due basi militari
costruite sulle colline su entrambi i lati di Khurvaleti, ma i
georgiani temono che se la Russia dovesse vincere in Ucraina, le
forze di Putin torneranno per dare un altro morso alla Georgia,
forse per inghiottire l'intero Paese. «La Russia è già qui – dice
l'agente –, controlla Ossezia del Sud e Abkhazia, un quinto del
nostro territorio».
Per questo, e per l'atmosfera incandescente e violenta del Paese, le
elezioni in programma oggi, rappresentano una scelta che non prevede
scale di grigi tra il governo in carica che tira verso Mosca e le
opposizioni, che provano a orientare la barra verso l'Unione
europea, in linea con il desiderio dell'80% dei georgiani. «Quelli
rimasti sulla linea di demarcazione – spiega Ketevan, vicina di casa
di Valia, ma ancora dalla parte georgiana del filo spinato – sono
ormai vecchissimi come noi. Non resisteremo a lungo». Ricorda ancora
i separatisti, i carri russi nel 2008, il periodo sovietico, la
fame: «Siamo nelle mani dei giovani, della loro forza nuova: noi
cosa possiamo fare se non continuare a coltivare la terra e
aspettare?».
Gli analisti militari hanno stimato che se i russi attaccassero
dall'Ossezia del Sud, potrebbero tagliare la principale autostrada
della Georgia in pochi minuti e raggiungere Tbilisi in un paio
d'ore. Con le truppe di Mosca impantanate in Ucraina, tuttavia, la
comparsa di carri armati russi nelle strade della capitale non è una
minaccia immediata: «Il punto è che la Russia stia già prendendo il
controllo del nostro Paese di nascosto – dice un militare georgiano
– rubandoci la terra e la democrazia da sotto il naso senza nemmeno
bisogno di carri armati».
- La
rabbia degli operai "Nessuna fatalità ignorati gli allarmi"
Niccolò Zancan
inviato a Bologna
«Adesso basta», dice il sindaco Matteo Lepore. «Questo è un giorno
di lutto e di sciopero. Noi staremo vicini alle famiglie dei
lavoratori. Ma vorremmo che il mondo delle imprese rispondesse a
questa ennesima tragedia sul posto di lavoro con qualcosa di diverso
dalle solite pacche sulle spalle».
Piove. Piove ancora. Continua a piovere su questi operai e su questi
fiori al cancello della fabbrica. Bologna sta vivendo giorni
tremendi. Non aveva ancora finito la conta dei danni della quarta
alluvione negli ultimi due anni, quando tutti hanno sentito
l'esplosione che ha ucciso due lavoratori e ne ha feriti undici
nello stabilimento della Toyota Handling alla periferia di Borgo
Panigale. La pioggia è una costante. C'è un nuovo allarme meteo.
Qualcuno parla della partita del Bologna contro il Milan allo stadio
Dall'Ara che dovrà essere rimandata per ragioni di prudenza, e
qualcun altro invece parla della pioggia che è caduta sulla fabbrica
nei giorni scorsi. C'è tantissima gente fuori dai cancelli. Sono
venuti senza bandiere e senza striscioni. Sciopero. E lutto. «È
successo anche qui, è successo anche a noi», dice un'operaia in
lacrime. E mentre lo dice, viene giù ancora.
Lavoravano a ritmo continuo. Producevano carrelli elevatori. La
fabbrica non ha mai chiuso, nemmeno in quei giorni. L'inchiesta
sull'esplosione che ha ucciso Fabio Tosi e Lorenzo Cubello, entrambi
operai nel settore della logistica, si concentra su un punto preciso
dello stabilimento. È la zona dei compressori. Sono come dei
giganteschi boiler che alimentano l'impianto di climatizzazione
della fabbrica. Sono piazzati fuori, ma molto vicini al capannone
della logistica. Da lì è partita l'esplosione. Erano le 17.20 di
mercoledì 23 ottobre. Proprio in quel momento, secondo diversi
testimoni, è stato acceso per la prima volta l'impianto di
riscaldamento.
«Le cose da capire sono tante», dice il delegato per la sicurezza e
sindacalista delegato Uilm Pino Sicilia. Lui ha perso due amici
l'altro giorno, due compagni di lavoro. Ha tenuto la mano di Lorenzo
Cubello mentre moriva. «La prima cosa che vorremmo sapere è questa.
C'entra l'alluvione con l'esplosione? Intendo dire, c'entra tutta
l'acqua caduta fra sabato e domenica con un possibile cortocircuito
che ha fatto saltare il compressore?».
Tutti ricordano che i locali sotterranei si erano allagati. E le
tute, poi. «Molte tute da lavoro lunedì sono state portate al
lavaggio perché erano fradicie di pioggia. La fabbrica continuava a
produrre. È vero, non è stata questa la zona più colpita
dall'alluvione. Ma ci chiediamo se tutta quella pioggia possa avere
causato l'incidente».
Mentre gli operai circondano i cancelli come per un ultimo abbraccio
ai due compagni morti nell'esplosione, all'ingresso principale si
presenta l'amministratore delegato Michele Candiani: «La nostra
squadra di primo soccorso è entrata in azione immediatamente. Sono
stati dei leoni, così coraggiosi. Hanno prestato subito soccorso e
ho saputo che una persona si è salvata proprio grazie a loro, al
loro intervento. Quindi, quello che vi dico, è che dopo l'esplosione
ho visto un'evacuazione dello stabilimento molto ordinata, fatta da
lavoratori addestrati. Ho visto la comunità Toyota, perché noi siamo
una comunità, stringersi e sorreggersi l'un con l'altro». Gli
domandano quando riaprirà la fabbrica: «Noi vorremmo farlo il prima
possibile, ma deciderà la magistratura». Arrivano altre domande,
l'amministratore delegato dice: «Oggi è la giornata del rispetto
verso questi due poveri ragazzi che sono finiti così».
Prima del disastro. Alla Toyota era in corso una vertenza sindacale
sul tema della sicurezza. Discutevano di numeri di lavoratori
necessari per tempi di produzione, discutevano di attrezzature
antinfortunistiche e di ergonomia nella linea produttiva. Quello che
è successo è stato qualcosa di totalmente diverso. All'esterno un
gigantesco generatore è scoppiato per qualche ragione non chiara.
Come una bomba, ha devastato il reparto più vicino, quello della
logistica. «Non possiamo accettare l'idea della fatalità», dice
Massimo Mazzeo di Fim Cisl. «Perché era proprio lì? Era segnalato
nella mappa dei rischi aziendali? E ancora: la pioggia
dell'alluvione può avere avuto un ruolo?», si domanda il
sindacalista Pino Sicilia.
Fra gli operai, ce n'è uno che un tempo aveva suonato con Lucio
Dalla e scritto canzoni per Gianni Morandi. Si chiama Bracco Di
Graci, da 25 anni lavora alla Toyota. Era lì dentro, fino a quindici
minuti prima dell'esplosione. Dice questa frase senza appello, in
quanto a esattezza: «Un'azienda si ripara, la vita no».
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SI TROVANO I SOLDI PUBBLICI PER TUTTO INACCETTABILE RITARDO Piano da
5 milioni per l'edilizia popolare, si tratta di appartamenti che
erano inagibili. Gli ultimi lavori finiranno nel 2026
Ristrutturazioni in 440 alloggi Atc Prime assegnazioni in lista
d'attesa
Pierfrancesco caracciolo
Sono 440 nell'area metropolitana di Torino, di cui 250 nel
capoluogo. È il numero degli alloggi popolari sfitti che Atc, nei
prossimi mesi, metterà a disposizione delle famiglie in lista
d'attesa. Si tratta di appartamenti vuoti perché alle prese con
problemi strutturali e, di conseguenza, dichiarati inagibili.
L'agenzia per la casa, a partire dal 2021, ha iniziato a
ristrutturarli, operazione che chiuderà alla fine del prossimo anno.
Gli interventi di restyling sono finanziati con 5 milioni, risorse
in arrivo da tre fonti: il Pnrr, il fondo Cipess (comitato
interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo
sostenibile) e quello ex Gescal. Le prime assegnazioni sono partite
nei giorni scorsi, quando sono state ultimate le ristrutturazioni.
Andranno avanti fino al 2026, dopo la fine degli ultimi lavori e il
rilascio degli attestati di agibilità.
L'operazione permetterà ad Atc di coprire il 5% del fabbisogno di
appartamenti nell'area metropolitana di Torino. Sono infatti 8.559,
a oggi, le famiglie che hanno fatto domanda per una casa popolare
salvo non essere state ancora accontentate (di queste, 6.038 nel
capoluogo piemontese). I 440 di cui sopra non sono gli unici alloggi
popolari sfitti perché in condizioni strutturali precarie. A questi,
nell'area metropolitana, se ne aggiungono 1.182, la metà a Torino.
Resteranno vuoti ancora per un po' perché Atc, al momento, non ha le
risorse per ristrutturarli. Il tutto, su un patrimonio immobiliare
di edilizia sociale che a Torino e provincia conta 28.422
appartamenti, di cui 17.869 nel capoluogo.
Il piano straordinario di ristrutturazione rientra in una più
profonda operazione e di riqualificazione dell'edilizia sociale di
Torino e provincia, a cura di Atc. Si tratta di un maxi progetto da
500 milioni di euro, avviato nel 2021, che si chiuderà il prossimo
anno. Con queste risorse, in gran parte in arrivo dal bonus al 110,
è in corso la ristrutturazione di 200 stabili Atc, per un totale di
7 mila alloggi. Si tratta di lavori di diversi tipi, che coinvolgono
infissi interni ed esterni, caldaie, cappotti termici, ascensori e
barriere architettoniche.
Il piano è stato presentato ieri in corso Dante. Sono intervenuti
Luigi Brossa, direttore generale Atc, Emilio Bolla, presidente
dell'ente, il vicepresidente Fabio Tassone e l'assessore regionale
alle politiche della Casa Maurizio Marrone. I lavori di
riqualificazione, negli stabili coinvolti, produrranno un risparmio
energetico del 50%, che si tradurrà in un dimezzamento dei costi in
bolletta per gli inquilini. All'atto pratico, ogni famiglia
risparmierà circa 500 euro all'annoa donna:
"senza lavoro, non so dove
andare"
L'odissea di Caterina "Bassa in graduatoria ora dormo per strada"
Da un rifugio di fortuna all'altro. Spesso per strada, qualche volta
nei dormitori, più raramente a casa di amici. Sono scandite dalla
ricerca di un posto in cui dormire le giornate di Caterina P. , 49
anni, e del figlio di 21. È così dal dicembre 2023, data in cui
entrambi erano stati allontanati dal loro alloggio in via Stradella,
quartiere Madonna di Campagna. Lo scorso agosto madre e figlio
avevano presentato domanda per fare ingresso in una casa popolare,
salvo scoprire di aver imboccato una strada in salita. Entrambi
maggiorenni, sono stati inseriti in graduatoria, ma con un punteggio
basso. Per il momento, è stato spiegato loro, dovranno aspettare.
Un'attesa che, ragionevolmente, sarà tutt'altro che breve.
Caterina, separata da oltre un decennio, fino al 2020 aveva lavorato
al Golden Palace hotel. Era addetta alle pulizie delle camere, con
contratto a gettone. Poi era arrivato il Covid. Le attività
dell'albergo dei vip si erano fermate. E lei era rimasta senza
lavoro. Dopo aver ricevuto i primi ristori del governo, era andata a
caccia di un nuovo impiego, senza trovarne uno stabile. Una buona
fetta del denaro familiare, inoltre, veniva giocoforza destinato al
figlio, che nel frattempo si stava diplomando. Per diverso tempo, in
queste condizioni, per loro era stato impossibile pagare le spese
condominiali. Così era arrivato il pignoramento dell'alloggio, su
input dell'amministratore di condominio. E per loro, dieci mesi fa,
la strada.
Il figlio, dopo di allora, è stato costretto a interrompere gli
studi. «Di tanto in tanto va a dormire dal padre, altre dagli amici
o dalla ragazza» racconta Caterina. Per la mamma è più complicato.
Per tre mesi si è rifugiata nel dormitorio del Cottolengo. Poi,
quando le temperature si sono alzate, ha scelto i portici del
centro. «Perché ho atteso otto mesi prima di fare domanda per un
alloggio popolare? Mi avevano assicurato – spiega – che sarei
rientrata tra gli aventi diritto a un appartamento nell'ambito del
piano per le persone in emergenza abitativa». Ma le cose non erano
andate così. E ora? «Piove quasi tutti i giorni, le giornate sono
sempre più fredde. E io non so dove andare.
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26.10.24
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UN GOVERNO CHE NON RAPPRESENTA PIU' IL PAESE : Il ministro e l'uomo
di Fazzolari
una faida tra nomine e parenti
ilario lombardo
roma
Bisogna prendere un bel respiro per entrare in questo ennesimo
racconto familiare dentro il partito monolite di Giorgia Meloni.
Bisogna intrecciare i nomi e tenerli a mente per ricostruire una
vicenda che ha assunto i contorni di una faida. La famiglia è la
matrice della gestione del potere della premier, della scelta della
sua classe dirigente e della rete di fedelissimi. Il ministero della
Cultura è un osservatorio perfetto di questa mescolanza di sangue e
cosa pubblica, di appartenenza e finanziamenti, di cognomi che si
ripetono e consulenze che si sommano.
Partiamo da uno di questi cognomi: Merlino. Emanuele Merlino è il
figlio di Mario, militante Avanguardia Nazionale, coinvolto e
indagato – poi assolto - nell'inchiesta su Piazza Fontana. Emanuele
– che nella sua biografia risulta essere attore, sceneggiatore e
scrittore - è stato il coordinatore del dipartimento Cultura di
Fratelli d'Italia nel Lazio, poi promosso a capo della segreteria
tecnica di Gennaro Sangiuliano. È l'uomo di collegamento tra il Mic
e Palazzo Chigi. Quando Giovanbattista Fazzolari, il risolvi-grane
che Meloni ha voluto in una stanza accanto alla sua, deve chiamare
per capire cosa sta succedendo al ministero è il numero di Merlino
che digita. Ad Alessandro Giuli è bastato varcare la porta del suo
nuovo ufficio, appena preso il posto di Sangiuliano, per capirlo.
Per capire che non avrebbe avuto vita facile, che sarebbe stato
controllato, indebolito, commissariato. È questo il senso di quel
«lasciatemi lavorare» pronunciato l'altro ieri di fronte al
sottosegretario Alfredo Mantovano. A Palazzo Chigi, Giuli non
incontra né Fazzolari, né Meloni. Ma parla con il referente dei
Pro-Vita, i crociati anti-gay che hanno infiammato il partito contro
Giuli dopo la scelta di Francesco Spano come capo di gabinetto.
Merlino riferisce ogni cosa a Fazzolari, come faceva durante il
feuilleton estivo tra Sangiuliano e la sua amante, Maria Rosaria
Boccia. Ma fa anche altro. Gestisce da ministro-ombra le stanze del
MiC, cerca di imporre nomi e si fa artefice di un repulisti che
Giuli, in gran parte, subisce. Sono due fonti che raccontano alla
Stampa quanto segue. Una è del ministero, un'altra è del partito.
Giuli non sceglie Spano a caso. Ha lavorato con lui al Maxxi, si è
trovato bene e, nonostante le radici politiche opposte, si fida. Ma
sa perfettamente che cosa provocherà la sua nomina, e come torcerà
le budella di Fazzolari e di gran parte di FdI che, a partire da
Meloni, lo aveva combattuto quando sotto il governo Renzi fu
costretto a dimettersi da presidente dell'Ufficio nazionale contro
le discriminazioni. Giuli porta con sé due persone dal Maxxi. Uno è
Spano, l'altra è Chiara Sbocchia, dal primo ottobre capo della
segreteria al posto di Narda Frisoni, che rimarrà fino a dicembre
come consigliere per le pubbliche relazioni. Così Giuli aveva
costruito il suo fortino, mentre la paranoia da spie che attanaglia
Palazzo Chigi dopo il pasticcio di Sangiuliano travolgeva funzionari
e dirigenti. Vengono fatti fuori, trasferiti o ridimensionati
Antonio Di Maio (ex segretario particolare), Gianluca Lopes (del
cerimoniale), Renato Narciso, Dario Sigfrido Renzullo, Maria
Veronica Izzo, Carla Costante.
La purga ministeriale è affidata a Merlino e a Stefano Lanna, un
dirigente del gabinetto che Sangiuliano stimava molto, al punto da
volerlo promuovere direttore generale degli Archivi italiani, un
tentativo che frana di fronte al no della Corte dei Conti. Giuli
vede che Merlino e Lanna si muovono in asse, con un'autonomia
lasciata in eredità dal predecessore. I sospetti diventano
quotidiani. Le ragioni dei dissidi vanno ricercati nelle nuove
nomine. A dicembre scade il mandato di Andrea Petrella, portavoce di
Sangiuliano. Per sostituirlo, Giuli si orienta su Fabio Tatafiore,
direttore della comunicazione di Utopia, società con cui ha lavorato
al Maxxi. Merlino, invece, insiste su un'altra formula: vorrebbe far
salire di grado all'ufficio stampa Salvatore Falco, giornalista già
in forza allo staff, e affidare la comunicazione a Michele
Bertocchi, il social media manager autore dello scivolone su Napoli
«fondata due secoli e mezzo fa» pubblicato sul profilo di
Sangiuliano. Come testimoniano le chat che abbiamo potuto vedere,
Bertocchi ha continuato a lavorare sui social, nonostante il
ministro ne avesse annunciato le dimissioni.
Sta di fatto che a Giuli non va giù di non avere il controllo sul
proprio ministero. Chi sopravvive al reset è automaticamente
considerato manovrato da Palazzo Chigi. E così Giuli cerca di
limitare Merlino e Lanna, per inviare un messaggio a Fazzolari.
Lanna è il fratello di Luciano, giornalista in varie testate di
destra, ex Secolo d'Italia, nominato da Sangiuliano direttore del
Centro per il libro il 21 dicembre del 2023. Ma la rete familiare
del clan Meloni è molto più estesa. Al MiC c'è anche Claudia
Ianniello, anche lei intoccabile per volontà di Meloni: è la sorella
di Giovanna, portavoce storica della presidente del Consiglio, ed è
pure la moglie di Paolo Quadrozzi, altro storico collaboratore
dell'ufficio stampa, finito alle dipendenze di Mantovano a Palazzo
Chigi.
Tutti si conoscono da tempo, tutti in qualche modo incrociano le
loro biografie di militanti della destra romana, cresciuti assieme
fino alla conquista del governo. La parentopoli è ampia e
trasversale, perché lo stesso Giuli ha una sorella, Antonella, che
con la famiglia Meloni lavora da tempo. Prima come portavoce di
Francesco Lollobrigida, ormai ex cognato della premier, poi come
assistente di Arianna, sorella di Meloni ed ex moglie di
Lollobrigida, mansione di partito che Giuli (sorella) svolge mentre
è inquadrata come dipendente dell'ufficio stampa istituzionale della
Camera dei Deputati. Due giorni fa è stata beccata dai cronisti in
Transatlantico a urlare contro Federico Mollicone, deputato di FdI,
presidente della commissione Cultura, un altro che non ama Giuli
(fratello) . La faida è una degenerazione del familismo. E qui
nessuno ne sembra immune.
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LA MELONI NON E' PIU UNA CALAMITA DI VOTI :
Ranucci di Report: "Mostreremo come ha
gestito il museo, ma la fonte non è Sangiuliano" Nel dossier la
milit anza in organizzazioni neonaziste e gli incarichi a gente di
famiglia
"Curatori cacciati su due piedi e nomine vicine ai vertici Fdi Un
altro caso Boccia al Maxxi"
irene famà
roma
Militanza in organizzazioni neonaziste e saluti romani, incarichi ai
familiari, sgambetti per favorire gli amici degli amici. «La vicenda
Spano è una piccola parte di quello che racconteremo domenica a
Report». Il giornalista Sigfrido Ranucci a "Un Giorno da Pecora" lo
dice chiaro: «C'è un altro caso che riguarda il ministro Giuli». E
in vista della trasmissione su RaiTre annuncia un'inchiesta a 360
gradi sul ministero della Cultura. Questioni di eleganza, di
opportunità politica. E non solo.
Proprio la gestione del Maxxi, il Museo nazionale delle arti del XXI
secolo, sembra essere al centro della puntata che stila un bilancio
dei due anni di presidenza di Alessandro Giuli. «Il problema è: in
base a quali requisiti è stato nominato ministro della Cultura?
Mostreremo alcune cose che ha fatto in passato e come ha gestito il
Maxxi», annuncia Ranucci. Si parlerà del crollo dei biglietti delle
sponsorizzazioni, della gestione dei progetti lasciati in eredità
dalla precedente amministrazione, di un finanziamento da due milioni
e mezzo di euro per un progetto di rigenerazione urbana con la Sony
rimandato indietro per organizzare una mostra sul Vittoriale degli
Italiani. Evento, dicono i ben informati, finanziato dal ministero
delle Imprese con due milioni di euro ed esposto al Maxxi per cinque
giorni.
«Sveleremo un nuovo caso Boccia», dice il conduttore. Che aggiunge:
«Sangiuliano non c'entra, non è una nostra fonte». E ancora. «Forse
chi non ama Giuli in Fratelli d'Italia, ora lo amerà ancora meno. ..
Mostreremo alcuni episodi in cui ha avuto anche un certo ruolo
all'interno di questo secondo caso Boccia». E c'è un altro evento,
in cui il ministro Giuli sembra aver ricoperto una posizione
centrale. Si tratta della mostra sul Futurismo, in programma a
dicembre alla Galleria nazionale d'arte moderna (Gnam) di Roma e al
centro delle polemiche da più di un mese. Avrebbe dovuto essere il
più grande evento culturale del governo Meloni, per ora pare
caratterizzato da rivalità e interessi interni. C'era un curatore,
Gabriele Simongini, a cui nel 2022 diede l'incarico l'allora
ministro Gennaro Sangiuliano. Insieme al co-curatore Alberto
Dambruoso e al comitato scientifico, si mise subito al lavoro. Poi
venne esautorato. Perché? Il suo curriculum, pare, non era
considerato all'altezza. Secondo l'inchiesta di Report, dietro
questa scelta ci sarebbero in realtà forti pressioni da parte di
alti dirigenti di Fratelli d'Italia che avrebbero favorito un famoso
gallerista molto vicino al partito. Visto in alcune occasioni, così
raccontano, a fare il saluto romano.
L'attuale ministro della Cultura ha sempre difeso il suo «pedigree
di destra, con nonno monarchico che andò a Salò». Parole sue. E la
puntata di Report ricostruisce anche la sua militanza giovanile
nell'organizzazione neonazista Meridiano zero con un'intervista al
fondatore Rainaldo Graziani, figlio dell'esponente di Ordine Nuovo
Clemente Graziani.
Al centro dell'inchiesta, poi, l'ormai nota vicenda di Francesco
Spano, avvocato pisano di 47 anni, sino all'altro ieri capo di
gabinetto del Mic. Dopo solo dieci giorni, è stato costretto alle
dimissioni: mentre era segretario generale del Maxxi, suo marito,
l'avvocato Carnabuci, sposato pochi mesi fa, fu riconfermato tra i
collaboratori retribuiti. Non è la prima volta che Spano finisce al
centro della bufera. E pure nel 2017, per una vicenda di
finanziamenti svelata da Le Iene (la Corte dei conti sancì
successivamente la legittimità degli atti), era stato costretto alle
dimissioni. Faccende passate: così deve aver pensato Giuli. Che, sin
dal suo insediamento, l'ha voluto al suo fianco. Nonostante le
critiche.
Ed è in questo contesto che si inserisce un'altra querelle. Il
senatore di Italia Viva Ivan Scalfarotto attacca la trasmissione di
RaiTre: «Ha pompato il presunto scandalo "al maschile" utilizzando
in modo deliberato una unica leva: la morbosità omofoba». Immediata
la risposta di Ranucci: «Non sa di cosa sta parlando». —
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MODELLO ITALIANO PER LA TOYOTA: L'esplosione dal climatizzatore "Un
solo boato ed è saltato tutto"
I punti chiave
monica serra
inviata a bologna
«È stata una bomba, è successo tutto in quattro minuti»: Pino
Sicilia, responsabile per la sicurezza della Uilm, è stato tra i
primi operai a soccorrere i colleghi. Trattiene le lacrime mentre
racconta: «È stato il finimondo. È saltato tutto: pareti, uffici,
reti». Non ci sono state fiamme, non c'è stato alcun preavviso in
questo capannone devastato della Toyota Material Handling di Borgo
Panigale, alle porte di Bologna, che da una vita produce carrelli
elevatori. Alle 17,20 di mercoledì pomeriggio, solo uno scoppio
tremendo che non ha lasciato scampo.
In base ai primi accertamenti, tutto sarebbe partito da una
componente del grande impianto di climatizzazione all'esterno del
capannone. Era collegato a un grosso tubo, uno scambiatore che ora
non c'è più: si sarebbe disintegrato nello scoppio. Secondo una
prima ipotesi, quel tubo si sarebbe caricato di energia al punto da
saltare in aria. In un istante. L'onda d'urto ha divelto il cemento
e distrutto quello che ha incontrato. La parete del capannone
davanti è precipitata addosso agli operai del secondo turno. Pezzi
di muro, vetri e altri detriti sono stati trovati anche a decine di
metri di distanza.
All'arrivo dei vigili del fuoco per l'operaio trentasette Lorenzo
Cubello non c'era più nulla da fare. Il suo corpo senza vita è stato
estratto dalle macerie, mentre fuori continuavano ad arrivare i
colleghi. Quelli del «turno giornaliero» erano usciti mezz'ora
prima. «Quelli che abitano qui vicino hanno sentito lo scoppio da
casa e si sono precipitati qui» racconta un operaio davanti ai
cancelli della multinazionale vicino ai mazzi di fiori in fila, uno
accanto all'altro. In fin di vita è stato trasportato in ospedale
Fabio Tosi di 34 anni, ma i medici non hanno potuto fare nulla per
lui: è morto poco più tardi. Entrambe le vittime lavoravano nel
settore della logistica, con la mansione di «asservitori delle linee
di produzione», in pratica trasportavano i pezzi da assemblare fino
alle linee. Degli undici feriti più gravi, quattro sono ancora
ricoverati: uno di loro è in Rianimazione.
Con i carabinieri, i vigili del fuoco e la Asl, si è tenuto ieri
mattina un sopralluogo della procuratrice aggiunta Morena Plazzi e
della pm Francesca Rago che hanno aperto un fascicolo d'inchiesta
per omicidio e lesioni colpose per ora contro ignoti. «Il primo
passo – spiega il procuratore facente funzioni Francesco Caleca –
sarà l'autopsia sui corpi delle vittime. Dopo disporremo tutte le
consulenze tecniche necessarie». Qualche testimone ha raccontato che
i riscaldamenti erano stati attivati per la prima volta proprio
mercoledì, ma gli investigatori stanno cercando ulteriori conferme e
verificando se la manutenzione fosse in regola. Subito sono state
acquisite le immagini delle telecamere di sorveglianza e raccolte le
testimonianze degli operai e degli impiegati presenti negli uffici
che pure sono stati danneggiati dallo scoppio. Tutta l'area è stata
messa sotto sequestro.
«Mai avuto un sentore, mai un problema così serio. Lo sciopero di
due ore a fine turno che avevamo indetto prima della tragedia
riguardava altre questioni relative all'organizzazione del lavoro.
Questo è uno stabilimento con un alto livello di contrattazione
interna e con strutturate relazioni sindacali» spiega Giovanni Verla
della Fiom Cgil al termine dell'incontro con l'azienda che si è
tenuto nel pomeriggio. I responsabili hanno fatto sapere di avere
già attivato la cassa integrazione per tutti e 900 i dipendenti:
«Abbiamo chiesto per tutti la continuità salariale con una
integrazione del cento per cento dello stipendio. Si sono riservati
e ci sarà un nuovo incontro martedì. Al momento ovviamente non sono
prevedibili tempi di ripresa».
Nel frattempo, oggi è stato indetto uno sciopero e non solo davanti
alla Toyota Material Handling: «Metalmeccaniche e metalmeccanici
della regione incroceranno le braccia, per dire basta alla strage
quotidiana di donne e uomini che escono di casa per lavorare e non
vi fanno ritorno. La dimensione di questa tragedia ci sconvolge
tutti», si legge in una nota congiunta dei sindacati. «Vorrei
ricordare che 20-30-40 anni fa il metodo Toyota nel mondo era stato
considerato uno dei metodi centrali perché era una delle imprese
all'avanguardia con zero infortuni e zero morti. È evidente che
occorre un nuovo modello per fare impresa», è il commento segretario
della Cgil Maurizio Landini. —
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GOVERNO ASSENTE . A QUANDO LA SFIDUCIA ? "La patente a punti non
salva i lavoratori È solo burocrazia"
claudia luise
«Con la patente a crediti si fa solo sicurezza di carta». Bruno
Giordano è un magistrato di lunga esperienza, oggi lavora alla Corte
di Cassazione. Ha insegnato Diritto della sicurezza del lavoro
all'Università di Milano e ha ricoperto la carica di direttore
dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Analizza criticamente il
provvedimento entrato in vigore a inizio mese ricordando la scia di
morti sul lavoro da inizio anno: come certifica l'Inail «le denunce
di infortunio sul lavoro con esito mortale presentate nei primi otto
mesi del 2024 sono state 680, 23 in più rispetto al pari periodo del
2023». L'edilizia resta uno dei settori più colpiti.
Quali sono gli aspetti critici della patente a credito per le
imprese?
«Non è una misura di prevenzione in materia di sicurezza. È solo
un'autocertificazione che devono fare le imprese per lavorare in
cantiere. Ribadisco, una mera certificazione di essere in regola con
il Durc e con tre obblighi: formazione, documento di valutazione del
rischio e nomina del responsabile del servizio di prevenzione».
Nessun obbligo aggiuntivo?
«Questi obblighi non sono nuovi, risalgono al provvedimento del 19
settembre del 1994. È una norma che esiste da 30 anni. Non c'è
nessun adempimento materiale o organizzativo aggiuntivo, ma solo
burocratico. Un'autocertificazione del genere non aggiunge nulla al
tema della sicurezza: l'azienda, inoltre, riceve in automatico la
patente».
Non ci sono controlli?
«I contenuti del certificato dovrebbero essere verificati
dall'ispettorato ma si attendono 830 mila domande e per controllarle
tutte andando in azienda ci vorrebbero circa 12 anni. È ovvio che si
tratta solo di un ping pong di pec. Inoltre il decreto ministeriale
di Calderone è stato emesso il 18 settembre e la circolare
dell'ispettorato il 24 settembre, quindi cinque giorni prima di
entrare in vigore. Un periodo troppo breve per le pmi che devono
provvedere all'autocertificazione. Alle imprese, che sono
soprattutto piccole o micro, sta costando circa 160 milioni in
consulenze».
Le pene previste per le imprese non in regola sono congrue?
«Il decreto ministeriale ha aumentato il punteggio da 30 a 100. La
morte di un lavoratore porta alla decurtazione di 20 punti. Inoltre
la decurtazione avviene solo sulla base di una sentenza definitiva e
a volte ci vogliono anche otto anni. È chiaro che così non ha
nessuna efficacia deterrente, nemmeno nei confronti delle peggiori
aziende che possono aggirare la norma cambiando ragione sociale. E
poi tra i requisiti stabiliti non è previsto nulla che riguardi gli
appalti e così non si tocca il punto dolente: più si scende nella
catena dei subappalti più la sicurezza è precaria. C'è anche un
ultimo punto».
Quale?
«L'attualità degli obblighi. L'impresa dichiara oggi di avere
requisiti ma domani potrebbe non averli più».
Cosa servirebbe?
«Una verifica preliminare, una certificazione di qualità delle
imprese che sia affidata a controllori esterni. Se voglio la patente
di guida devo sostenere un esame e presentare un certificato medico.
Nessuno mi permetterebbe di guidare solo sulla base di una mia
dichiarazione in cui dico che so farlo».
Altro?
«Il 90% degli infortuni avviene nelle Pmi. Queste aziende devono
essere aiutate a promuovere la sicurezza dal punto di vista
organizzativo e formativo da parte del governo e delle associazioni
di categoria».
Bisogna aumentare gli ispettori?
«Certo, ma anche elevare la qualità delle ispezioni con un
coordinamento tra tutti gli enti preposti. Inoltre serve una
strategia mirata di attività ispettive nei settori a maggior
rischio. Non è il numero che ci interessa ma la qualità». —
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IL PATTO FRA ISRAELE ED IL DIAVOLO: Nord della Striscia sotto
assedio. Domenica riprendono colloqui per una tregua
Gaza, scuola rifugio colpita da un missile "Uccisi nove bimbi"
Mohammed Obeid
nello del gatto
gerusalemme
Riprenderanno domenica a Doha i colloqui per tregua e liberazione
ostaggi da Gaza. La delegazione israeliana sarà guidata dal capo del
Mossad David Barnea e incontrerà nella capitale del Qatar il premier
locale, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo della Cia
William Bunrs, oltre al nuovo capo dei servizi egiziani Hassan
Rashad. Dopo l'uccisione a Gaza del capo di Hamas Yahya Sinwar,
Israele ha ripreso i contatti con l'Egitto. La visita del segretario
di stato americano Blinken ha spianato la strada.
Arrivano anche segnali da Hamas. Uno dei membri del suo ufficio
politico, Mousa Abu Marzook, è volato a Mosca, dove ha incontrato il
vice ministro degli esteri Mikhail Bogdanov. Abu Marzouk ha chiesto
alla Russia di impegnarsi per favorire un governo di unità nazionale
tra le diverse fazioni palestinesi per il post guerra a Gaza. In
cambio, Hamas ha promesso che i primi due ostaggi ad uscire dalla
striscia saranno due soldati che hanno la doppia cittadinanza
israeliana e russa, Alexander Trufanov e Maxim Herkin. Per questo,
secondo media arabi, una delegazione russa sarebbe già arrivata ieri
in Israele per discutere i dettagli. Putin ha offerto il suo aiuto
per far finire la guerra.
Che invece continua cruenta nella Striscia di Gaza. Nei venti giorni
di violenti combattimenti al Nord, secondo fonti palestinesi, ci
sono state più di 700 vittime. In un attacco israeliano a Nuseirat,
nel centro della Striscia, contro l'ex scuola Shuhadaa divenuta
rifugio di sfollati, sono state uccise 17 persone tra le quali,
secondo Al Jazeera, nove bambini, mentre 52 sono rimaste ferite.
Secondo il portavoce del governo di Gaza, questo è il 196mo centro
dove hanno trovato rifugio gli sfollati a essere colpito dall'inizio
della guerra.
L'esercito ha spiegato di aver colpito la scuola di Nuseirat poiché
un gruppo di Hamas vi operava dall'interno per pianificare e portare
a termine attacchi contro le truppe e Israele. I militari
riferiscono di aver preso misure per mitigare i danni ai civili
nell'attacco e accusa Hamas di usare siti civili per il terrore.
Nel Nord sotto assedio, la situazione più difficile si registra
all'ospedale Kamal Adwan, che secondo il direttore Hussam Abu Safia,
è stato attaccato dalle truppe israeliane. I palestinesi denunciano
che le stazioni di desalinizzazione e pompaggio dell'acqua sono
ferme a causa della mancanza di carburante. Circa 400.000 sono i
rifugiati nella zona, alcune decine dei quali hanno cominciato a
lasciare l'area. Nessun camion di aiuti sarebbe entrato da
settimane.
Dati che l'esercito respinge. Secondo il Cogat, l'ufficio dei
militari che si occupa dei Territori palestinesi, il 22 ottobre sono
entrati 104 camion con aiuti umanitari, 20 dal valico
settentrionale, gli altri a Kerem Shalom, a Sud. Martedì sono
entrate anche sei cisterne di carburante. Altri 36 camion sono
entrati dall'ingresso 96 che porta direttamente al Nord. Oggi
dovrebbe partire da Genova la nave che trasporterà la prima
fornitura dei 15 camion di aiuti che l'Italia spedisce nella
Striscia nell'ambito del suo programma Food for Gaza.
Secondo la rete saudita Al-Arabiya, l'inviato speciale degli Stati
Uniti Amos Hochstein e il presidente del parlamento libanese Nabih
Berri hanno concordato una bozza di accordo per un cessate il fuoco
tra Israele e Hezbollah basato sulla risoluzione Onu 1701. Il fronte
resta però molto caldo, con gli attacchi israeliani sul Libano e
centinaia di razzi lanciati verso Israele. Quattro i militari
israeliani morti nel sud del paese dei cedri. —
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IL PATTO DEI BRICS : acqua
dell'
Il ricatto
taipei
Lo chiamano il monte Everest dei fiumi. È il corso d'acqua più alto
al mondo, con una media di quattromila metri. Corre tra Tibet e
Himalaya, prima di fare una drammatica inversione a U e scendere
vertiginosamente di 2700 metri attraverso tunnel e canyon,
confluendo nel Brahmaputra. Il fiume in questione si chiama Yarlun
Tsangpo e potrebbe presto diventare il fulcro di una disputa tra i
due Paesi più popolosi della terra: Cina e India. Nei giorni scorsi,
è stato annunciato un accordo per la gestione della sezione
occidentale dell'enorme confine conteso, utile a spianare la strada
al primo bilaterale ufficiale in 5 anni tra Xi Jinping e Narendra
Modi. Al summit dei Brics di Kazan, il presidente cinese e il
premier indiano hanno detto di voler normalizzare i rapporti. Ma la
sensazione è che non sarà semplice evitare acque burrascose, anche a
causa proprio delle risorse idriche.
Pechino sarebbe vicina a completare lo studio di fattibilità per la
costruzione della mega diga di Motuo, che i media indiani chiamano
enfaticamente "la madre di tutte le dighe". Del progetto si parla da
tempo, ma il cambio di marcia è arrivato nel 2021, quando
nell'ultimo piano quinquennale del Partito comunista è apparso
l'obiettivo strategico di «sfruttare il potenziale idroelettrico del
corso inferiore dello Yarlun Tsangpo». Dettaglio chiave: ci si trova
nelle immediate vicinanze della sezione orientale del confine
conteso. Il fiume corre come un serpente in corrispondenza della
cosiddetta "linea di controllo effettivo" tra i due giganti
asiatici, e la diga dovrebbe sorgere nella prefettura di Nyingchi. È
qui che l'altitudine dello Yarlun Tsangpo precipita, dirigendosi
nell'Arunachal Pradesh, lo stato indiano rivendicato dalla Cina col
nome di Tibet meridionale. Dagli anni Cinquanta, la Cina ha
costruito oltre 20 mila dighe di altezza superiore ai 15 metri, tra
cui la più grande centrale idroelettrica del mondo: la diga delle
Tre Gole sul fiume Azzurro. Nulla in confronto alla Motuo, che
potrebbe essere in grado di generare tra i 40 e i 60 gigawatt di
energia, circa il triplo delle Tre Gole. L'impresa sarà tutt'altro
che semplice: la zona è molto attiva a livello sismico e c'è un
elevato rischio di frane. Ma completare l'opera avrebbe una duplice
valenza. Primo: contribuirebbe a raggiungere la neutralità carbonica
entro il 2060. Secondo: garantirebbe energia per una regione
strategica come il Tibet, che Pechino mira a stabilizzare e
assimilare anche e soprattutto attraverso lo sviluppo economico.
L'India è però preoccupata che la diga possa diventare una
straordinaria arma politica. Stando a valle, Nuova Delhi teme che
Pechino possa controllare il flusso del fiume, trattenendo o
rilasciando acqua. Con conseguenze potenzialmente notevoli su
economia, sicurezza alimentare e rapporti di forza. La Cina sostiene
di non avere intenzione di deviare l'acqua, ma questo non ha placato
le preoccupazioni dell'India, che sta lavorando a una "contro diga"
da 11 mila megawatt sul fiume Siang. L'obiettivo è creare uno
stoccaggio d'acqua sufficiente a ridurre l'impatto di una eventuale
crisi idropolitica. I rischi al confine sino-indiano sono
particolarmente accentuati, visto che l'area conserva una delle
maggiori risorse idroelettriche non sfruttate del pianeta, mentre la
tensione alla frontiera resta irrisolta. Nel giugno 2020 e novembre
2022 ci sono stati i primi scontri tra truppe dei due Paesi dal
1975, con diverse decine di morti da entrambe le parti. Prima della
parziale distensione dei giorni scorsi, Xi ha dato uno smacco a
Nuova Delhi non presentandosi al G20 indiano del 2023, e nel
frattempo lavora all'ampliamento della rete stradale nella regione e
ha fatto rinominare in mandarino alcune località sotto controllo
indiano. Modi ha previsto l'invio di migliaia di nuovi soldati, fa
costruire nuove strutture e cerca il sostegno dei mezzi tecnologici
degli Stati Uniti. Difficile immaginare che la nuova intesa, la cui
portata e tenuta restano tutte da verificare, possa cancellare
questi sviluppi ed evitarne di nuovi. Anche perché sullo sfondo,
oltre all'acqua, resta anche la spinosa vicenda della successione
del Dalai Lama, su cui sia il governo tibetano in esilio che il
Partito comunista rivendicano il diritto di scelta. Tenzin Gyatso si
trova da decenni proprio in India e negli ultimi anni è stato spesso
inviato non lontano dalla frontiera. Pechino, che lo considera un
separatista, teme che la questione possa essere usata dall'India per
creare instabilità in Tibet. Tra tutti questi ingredienti, l'acqua
potrebbe diventare il principale. D'altronde, diversi esperti
prevedono che in futuro l'accesso alle risorse idriche sarà più
importante di quello a petrolio e gas, diventando dunque il fulcro
della competizione globale tra Paesi. —
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Mafia, il reggente della Cisl "Mai più un caso Ceravolo"
giuseppe legato
Dall'altroieri è il reggente della Filca Cisl Torino, sindacato
nella bufera per l'arresto poche settimane fa del rappresentante
dell'iscritto Domenico Ceravolo con l'accusa di mafia. Enzo Pelle,
segretario nazionale della sigla degli edili: «Da noi si è
verificato un problema, dobbiamo averne coscienza affinchè non
ricapiti più. Ho fatto il sindacalista di strada in territori dove
il fenomeno della ‘ndrangheta e credo che questa esperienza mi sarà
utile in una situazione come quella che si è vissuta a Torino dove –
a dire il vero, non mi aspettavo che potesse capitare. Posso
garantire che qui c'è un gruppo sano che va però aiutato ad avere
una maggiore sensibilità sul tema».
Segretario Pelle, sarà una reggenza breve o lunga?
«Non sarà una parentesi corta. Quando lascerò sarà perché sono
convinto che gli obiettivi che ci eravamo prefissati saranno stati
raggiunti. Tutti».
Ecco, che obiettivi ha fissato per superare questo momento?
«Ritrovare maggiore attenzione su comportamenti, linguaggi e
valutazioni delle persone e dei comportamenti da adottare quando ci
sono situazioni dubbie».
Cosa ha detto ai suoi operatori?
«Che dobbiamo stare più attenti. Che metteremo mano al regolamento
se necessario e cambieremo alcune cose. Oltre alla qualità del
nostro servizio ai lavoratori e ai loro diritti ci vuole una cura
particolare dopo quanto avvenuto».
Mettere mano al regolamento per fare cosa, ad esempio?
«Per pretendere il certificato dei carichi pendenti, ad esempio, di
chi lavora per noi».
Basterà?
«Organizzeremo dei corsi, dei seminari, degli aggiornamenti con
esperti della lotta alla mafia che ci aiutino a sviluppare».
Conosceva Ceravolo?
«L'ho conosciuto durante qualche occasione istituzionale del
sindacato».
Non abbastanza da farsi un'idea sua?
«Era una persona molto taciturna. E quando uno non parla molto non è
facile nemmeno per un occhio allenato come il mio cogliere anche
solo una stranezza. Ne ho parlato oggi (ieri per chi legger) con i
nostri operatori».
Come glielo hanno raccontato?
«Come un lavoratore preparato ed efficiente sui cantieri, non
particolarmente forte sul tesseramento al contrario di quanto ho
letto su alcuni giornali e che aveva manifestato qualche fragilità
economica».
Il sindacato sosteneva per Ceravolo spese di un certo rilievo. Dai
contributi per le utenze, ai viaggi per la Calabria per testimoniare
a un processo, ai telefoni. Benefit concessi a tutti gli operatori?
«Non tutti. Diciamo che qualcuno ha fatto qualche concessione in più
a Ceravolo credo per gli stessi motivi di cui ho parlato sopra.
Ecco, bessuno ha letto che dalle debolezze di questa natura possono
nascere comportamenti non corretti».
Ovvero?
«Un gesto di aiuto nella assoluta ignoranza della presunta seconda
vita che è venuta fuori dall'inchiesta».
Che però – in ipotesi d'accusa esisteva ed era inquietante.
«Ha turbato anche noi. Detto ciò nel nostro sindacato non vi è
alcuno spazio per ambiguità».
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25.10.24
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L'incidente nello stabilimento della Toyota Material Handling alla
periferia di Bologna Lo scoppio causato da un compressore. Oggi era
previsto uno sciopero per la sicurezza
Noemi, una dipendente
"
Esplode il capannone "Un boato, poi l'inferno" Due morti e undici
feriti
FILIPPO FIORINI
BOLOGNA
Un compressore industriale è esploso e due operai, lo specializzato
Fabio Tosi e Lorenzo Cubello, sono morti. Undici loro colleghi sono
rimasti feriti e, tra questi, uno è in gravi condizioni.
Erano le 17,15 di ieri. Il secondo turno giornaliero alla Toyota
Material Handling Italia era trascorso per metà ed erano in servizio
circa 300 delle 850 persone impiegate in questa ditta che produce
carrelli elevatori alla periferia di Bologna e che pubblicamente
vantava una qualità del lavoro straordinaria. In realtà, però,
questo non è il primo incidente a verificarsi nello stabilimento e
oggi era previsto uno sciopero per chiedere maggiore sicurezza. Lo
scoppio, udito fino a 10 km di distanza, capace di infrangere le
vetrate degli edifici circostanti e paragonato a «una bomba» o a «un
terremoto», ha spezzato un pilastro portante che ha poi trascinato
con sé il tetto del magazzino, facendolo crollare.
La prima di queste due nuove morti bianche è stata istantanea. La
seconda, invece, è avvenuta durante il trasporto in ospedale con
l'elisoccorso, intervenuto insieme a una decina di ambulanze, mezzi
dei Vigili del Fuoco, Carabinieri e Protezione Civile. Il personale
di sicurezza ha scavato per tutta la notte e continua a farlo anche
in queste ore, ma viene dato praticamente per certo che non ci siano
dispersi. Fatta eccezione per il ferito grave, i restanti 10
dipendenti non sono in pericolo di vita. Molti di loro erano a una
notevole distanza dal luogo dell'incidente e sono rimasti feriti dai
frammenti delle cose rotte dall'onda d'urto.
La fabbrica è uno stabilimento moderno, in cui i muletti vengono
assemblati in catene di montaggio automatizzate, con attrezzi
azionati ad aria compressa dagli operai. I compressori sono in un
reparto separato e proprio qui si è consumata la tragedia.
Soccorritori appena usciti dal luogo del disastro riferiscono che
l'architettura è collassata su sé stessa, ammucchiando macerie di
metallo e laterizi a livello del suolo. Con le indagini appena
incominciate, le ipotesi sulle cause si dividono tra il difetto di
fabbricazione del macchinario, la cattiva manutenzione o un utilizzo
inappropriato. Anche se manca l'ufficialità, è probabile che la
Procura apra a breve un fascicolo per omicidio colposo.
Fatto sgomberare l'impianto, le maestranze si sono assembrate ai
cancelli insieme ai famigliari di chi ancora era irreperibile e i
residenti dei dintorni, venuti a sincerarsi delle ragioni del boato.
«È un macello, è esplosa l'azienda. È crollato il tetto, sono
crollati gli uffici, è successa una cosa assurda», ha detto uno dei
dipendenti, che sulle prime ha riferito dell'esplosione di una
bombola di metano e che come molti compagni è rimasto sul posto a
lungo, nonostante il diluvio.
Una collega, invece, ha paragonato l'esplosione a «un terremoto». «È
andata via la corrente, un rumore fortissimo, siamo corsi tutti
fuori e ci hanno detto che c'era odore di gas e dovevamo scappare.
Siamo usciti in strada e ci hanno portato in mensa».
Inoltre, la donna, impiegata a tempo determinato, ha raccontato che
«qui ci sono sempre problemi, soprattutto alla linea 1. In molti si
sono già fatti male». Proprio per questo, oggi erano previste due
ore di sciopero. Adesso i sindacati Fim, Fiom e Uilm hanno indetto
otto ore di sciopero per domani. Gian Pietro Montanari della
Fiom-Cgil, ha spiegato che «questa non è l'azienda peggiore del
mondo, però bisogna chiarire se c'è stata una corretta manutenzione
o meno». Due anni fa, per esempio, la Toyota Italia aveva annunciato
una riduzione dei turni giornalieri a 7 ore, senza ridurre le buste
paga. Il sindacalista, però, ha ricordato anche che in passato si
era scioperato perché ai lavoratori erano stati assegnati dei nuovi
attrezzi non ancora collaudati. Inoltre, si era propagato un
incendio nel reparto verniciatura, senza conseguenze per le persone,
un epilogo che stavolta è stato molto peggiore.
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Nichelino, la donna, ottantenne, è affetta da demenza senile, deve
essere assistita costantemente L'Utim denuncia: "Situazione assurda:
hanno detto no al contributo per pagare la retta di 3 mila euro"
"È malata grave, ma non è urgente" L'Asl nega l'aiuto per stare
nella Rsa
erika nicchiosini
Maria è una signora quasi ottantenne di Nichelino. Da marzo dello
scorso anno è ricoverata in una Rsa del territorio, la Debouchè,
perché la sua demenza senile grave non le permette di compire
semplici azioni quotidiane come mangiare o stare seduta da sola. Ciò
nonostante, secondo l'Asl To5 e il Cisa12, i servizi sanitari e
sociali a cui fanno riferimento diversi comuni della cintura sud di
Torino, non ha diritto a nessun contributo economico nel pagamento
della retta della Rsa: oltre 3 mila euro mensili.
Una spesa che con il tempo sta diventando insostenibile, e che il
marito Giuseppe Araudo affronta facendo affidamento sulla sua
pensione e sui risparmi di una vita pur di garantire alla moglie
cure e assistenza adeguate. Dice: «Non so per quanto tempo ancora
riuscirò ad affrontare le spese: è una situazione pesantissima». E
c'è già chi parla di «Cortocircuito burocratico». Motivo? Nonostante
un quadro clinico molto grave, che ha ottenuto dalla Commissione di
valutazione geriatrica, di Asl e servizi sociali un punteggio
sanitario di 13 su 14 – corrispondente a una «non autosufficienza di
alto grado con necessità assistenziali e sanitarie elevate», alla
malata è stata assegnata una valutazione «non urgente». Di qui lo
stop all'aiuto economico.
La situazione è stata intercettata dall'Utim - Unione per la tutela
delle persone con disabilità intellettiva - attraverso lo Sportello
diritto alle cure. «Questo ha confinato la signora in una lista di
attesa con tempi di risposta fino a un anno – spiega il referente di
Nichelino, Giuseppe D'Angelo - La paziente, costretta a letto e
incapace persino di mantenere la postura seduta, vede compromesso il
suo diritto alla salute».
Secondo l'Utim e D'Angelo, che chiedono l'intervento delle
istituzioni, non sarebbe una situazione isolata: «E le famiglie
continuano a sopportare il peso economico e psicologico di
un'assistenza tutta privata, con la probabilità di cadere in povertà
e dover poi chiedere aiuto ai Servizi sociali del Comune».
Intanto l'Asl To5 precisa che la gestione degli anziani non
autosufficienti «segue precise normative», che prevedono la
valutazione non solo sanitaria ma anche sociale del paziente. «Nel
caso specifico, è stata attribuita una fascia assistenziale alta, ma
con priorità "non urgente", il che significa che l'accesso al regime
convenzionato potrebbe avvenire entro luglio 2025. Salvo un
eventuale peggioramento». Intanto, però, il signor Giuseppe Araudo
non sa più come fare.
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24.10.24
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CHI LI AVEVA COMANDATI ?
li scontri del 23 febbraio scorso. L'accusa: eccesso colposo di
legittima difesa e lesioni lievi
Dieci agenti sotto inchiesta a Pisa per le cariche contro gli
studenti
Pino Di Blasio
PISA
Sarebbero 10 i poliziotti indagati dalla procura di Pisa per gli
scontri e le cariche contro gli studenti durante il corteo pro
Palestina del 23 febbraio.
Le accuse a loro carico sono eccesso colposo di legittima difesa e
lesioni lievi. Sono stati i sindacati della polizia a rivelare
l'inchiesta aperta sugli agenti di polizia. Valter Mazzetti,
segretario generale del sindacato Fsp Polizia, parla di 6 agenti
indagati per «una manifestazione niente affatto pacifista,
l'ennesimo caso di agenti accusati per essere stati aggrediti mentre
facevano il proprio dovere». Tra i poliziotti sotto inchiesta ci
sarebbero anche agenti della mobile di Firenze e i responsabili
della sicurezza a Pisa. Dopo la manifestazione e gli scontri, il
diluvio di polemiche che si scatenò sulle forze dell'ordine portò
anche al trasferimento del questore di Pisa, Sebastiano Salvo,
"dirottato" alla questura di La Spezia. A febbraio 7 poliziotti in
servizio durante il corteo, si autoidentificarono in procura. I
magistrati hanno acquisito i filmati delle telecamere cittadine e
anche i video girati dalla polizia scientifica.
Il momento più caldo quel 23 febbraio fu la carica di una dozzina di
agenti che volevano impedire al corteo degli studenti di entrare in
piazza dei Cavalieri, dove ha sede la prestigiosa Scuola Normale
superiore. Dieci mesi fa, a criticare il comportamento degli agenti
fu per primo il presidente della Repubblica Mattarella: «I
manganelli contro i giovani sono un fallimento» scrisse nella nota
inviata al ministro dell'Interno Piantedosi. Ma anche il sindaco
leghista di Pisa, Michele Conti, contestò le forze dell'ordine,
definendosi «profondamente amareggiato». Oggi invece la Lega, con
l'eurodeputata Susanna Ceccardi e il parlamentare pisano Edoardo
Ziello, è dalla parte degli agenti. «Sono convinta che stessero
cercando, tra molte difficoltà - ha dichiarato Susanna Ceccardi - di
tutelare la sicurezza pubblica e che siano stati aggrediti, visto
che si parla appunto di legittima difesa. Io sto dalla parte dei
poliziotti anche e soprattutto in questo momento di difficoltà.
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La rete mondiale delle spie al servizio degli ayatollah da Israele
fino a Washington
Fabiana Magrì
Si moltiplicano i casi di spionaggio ai danni di scienziati e di
figure chiave dell'establishment politico e militare israeliano con
la regia di Teheran e con cittadini israeliani nel ruoli di agenti
segreti. Nel giro di pochi mesi, lo Shin Bet ha declassificato una
serie di complotti. Cinque da settembre, due solo questa settimana.
L'ultimo, ieri, quando sono emersi sui media israeliani i dettagli
di un'ulteriore rete di spie arrestata da servizi segreti interni e
polizia, circa un mese fa.
Si tratta di sette persone, questa volta palestinesi di Gerusalemme
Est con lo status di cittadini o residenti permanenti israeliani.
Gli investigatori li hanno pedinati per un mese e mezzo. Le accuse
sono di spionaggio per l'Iran e di pianificazione di attacchi in
Israele per conto della Repubblica islamica. Le autorità hanno
ricostruito come il capo banda, il ventitreenne Rami Alian, sia
stato reclutato direttamente da un agente iraniano e abbia poi
provveduto a coinvolgere gli altri sei. «Non sono stati aiutati da
un intermediario turco, come è accaduto in casi precedenti – ha
spiegato ai media un poliziotto – ma hanno utilizzato altri mezzi,
su cui non possiamo fornire informazioni».
La squadra messa su da Alian era composta da giovani tra i 19 e i 23
anni, senza pendenze penali, tutti amici fra loro e residenti nel
quartiere di Beit Safafa. Dopo un periodo di rodaggio, ha spiegato
ad Haaretz un funzionario della sicurezza, le missioni assegnate dai
contatti iraniani sarebbero diventate «azioni di sabotaggio più
serie». Missioni eseguite per soldi, ma non solo. Le autorità hanno
sottolineato, in questo caso e per la prima volta, il movente anche
ideologico. «Sono orgoglioso che un iraniano si sia rivolto a me»,
avrebbe detto Alian durante l'interrogatorio.
Tra missioni portate a termine e altre messe in cantiere, le
richieste andavano da lanciare una granata a mano contro un agente
di sicurezza israeliano (non compiuta), fotografare un centro di
ricerca (presumibilmente compiuta) e assassinare il sindaco di una
grande città nel centro di Israele o, in cambio di 200 mila shekel
(50 mila euro), uno scienziato nucleare. I preparativi erano già
iniziati. Informazioni sull'obiettivo, sulle sue abitudini
quotidiane e sugli spostamenti abituali erano state raccolte. Ma la
cellula è stata arrestata prima che potesse procedere.
Anche negli Stati Uniti c'è profonda preoccupazione per la
divulgazione clandestina – una settimana fa sul canale Telegram
Middle East Spectator – di due rapporti di intelligence analitica
che descrivono nel dettaglio i preparativi di Israele per l'attacco
di rappresaglia all'Iran. L'Fbi sta indagando, a stretto contatto
con il Dipartimento della Difesa e l'Nsa, sotto lo sguardo del
presidente Joe Biden. Domenica il Pentagono ha confermato che i
documenti top secret dati in pasto al pubblico, compilati dalla
National Geospatial-Intelligence Agency e dalla National Security
Agency, sono reali. Una cosa sembra chiara ad Alon Pinkas,
diplomatico ed analista israeliano: «la piattaforma scelta (il
canale Telegram Middle East Spectator, ndr) indica che questa
probabilmente non è stata una fuga di notizie deliberata degli Stati
Uniti per fare pressione su Israele o allertare l'Iran».
Lo scenario in effetti sembra molto più intricato. Sky News Arabic
ha citato una fonte del Pentagono che sostiene che dietro la fuga di
notizie ci sia un membro senior dello staff dell'ufficio del
Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin. La testata
con sede ad Abu Dhabi avrebbe identificato la "gola profonda" come
Ariane Tabatabai, una iraniana americana già interessata da uno
scandalo sollevato a ottobre del 2023 dalla testata online Semafor,
dal canale tv in lingua farsi con sede a Londra Iran International e
dalla rivista ebraica Tablet Magazine. Una serie di e-mail del
governo iraniano, intercettate e verificate un anno fa, avevano
dimostrato che l'allora inviato iraniano (poi sospeso)
dell'amministrazione Biden, Robert Malley aveva aiutato a
«infiltrare l'agente iraniano» Tabatabai in alcune delle posizioni
più delicate del governo degli Stati Uniti, prima al Dipartimento di
Stato e poi al Pentagono, dove ha avuto accesso a informazioni molto
riservate. «Questa storia non è vera», smentisce sulla piattaforma X
la corrispondente per la sicurezza nazionale di Fox News, Jennifer
Griffin, dopo aver parlato con funzionari del Dipartimento della
Difesa e con la stessa sospettata.
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XI E PUTIN : Lo Zar celebra la partecipazione di 36 Paesi al
summit. Domani forse l'incontro con Guterres
"I Brics siano il motore del Sud globale" Putin e Xi si ritrovano da
vecchi amici
giuseppe agliastro
mosca
Contrastare l'immagine di una Russia isolata a livello
internazionale e cercare di allargare le proprie relazioni
economiche: gli esperti sembrano concordi sugli obiettivi del
Cremlino per il vertice dei Paesi Brics iniziato ieri in Russia,
nella città di Kazan. Un vertice che durerà tre giorni e che si
svolge nel pieno delle tensioni tra Mosca e Occidente per
l'aggressione militare contro l'Ucraina. E con Putin nella lista dei
ricercati della Corte penale internazionale. Il presidente russo ha
iniziato con un abbraccio a favore di telecamera con il premier
indiano Narendra Modi. Poi ha incontrato i leader di Sudafrica e
Cina. E ha colto ancora una volta l'occasione per mostrarsi
pubblicamente in sintonia con Pechino. «Le relazioni russo-cinesi
sono diventate un modello», ha detto Putin a Xi Jinping chiamandalo
«caro amico» e aggiungendo che vuole rafforzare queste relazioni «su
tutte le piattaforme internazionali per garantire la sicurezza
globale e un ordine mondiale giusto». Parole a cui Xi ha risposto
lodando «la profonda amicizia» tra Russia e Cina in una «situazione
internazionale caotica».
Quello in corso a Kazan è il primo vertice Brics da quando Iran,
Egitto, Etiopia e Emirati Arabi si sono uniti a Brasile, Russia,
India, Cina e Sudafrica in un gruppo che ora rappresenta il 45 per
cento della popolazione e il 35 per cento del Pil mondiali. Stando
alle autorità russe, sulle rive del Volga si incontrano i
rappresentanti di 36 Paesi, tra cui 22 capi di Stato. E secondo
alcuni si tratterebbe del più grande evento diplomatico in Russia da
quando le truppe di Putin hanno invaso l'Ucraina attirando su Mosca
sanzioni su sanzioni da parte dell'Occidente.
I Paesi Brics sono molto eterogenei e a volte hanno interessi
contrastanti. Alcuni hanno buone relazioni coi Paesi occidentali,
altri meno. L'India è in stretti rapporti sia con gli Stati Uniti
sia con Mosca, da cui importa armi ma anche grandi quantità di
petrolio a prezzo scontato. E, come la Cina, cerca di proporsi come
possibile mediatrice per mettere fine alla guerra in Ucraina.
«Sosteniamo totalmente gli sforzi per ripristinare rapidamente la
pace e la stabilità», ha ripetuto ieri il premier indiano Modi dopo
aver abbracciato Putin, che nei prossimi giorni dovrebbe incontrare
anche Erdogan, il presidente della Turchia, che non esclude un
proprio ingresso nel gruppo delle economie "emergenti", e
probabilmente anche il segretario generale dell'Onu Guterres.
Al summit sono previste anche discussioni per la possibile creazione
di un nuovo sistema di pagamenti globale, una sorta di alternativa
al sistema Swift, dal quale la Russia è stata tagliata fuori dopo
che i suoi carri armati hanno invaso l'Ucraina. —
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Il report di Cittadinanzattiva : crescono gli italiani che
rinunciano alle cure
Incubo liste d'attesa si aspetta 480 giorni la visita oncologica
Paolo Russo
Mentre il Governo con la manovra lascia pochi spicci alla sanità,
appena 1,2 miliardi "lordi" contro i 4 richiesti dal ministro
Schillaci, cresce la quota di cittadini che denunciano di essere
rimasti intrappolati nelle liste di attesa: più 2,8% rispetto al
2022, +8,6% sul 2021. E oramai quasi un terzo delle segnalazioni di
disservizi, il 32,4%, fa riferimento al mancato accesso alle
prestazioni, mentre il 9% delle donne, il 6,2% degli uomini rinuncia
alle cure, denuncia il Rapporto civico sulla Salute di
Cittadinanzattiva presentato ieri a Roma. Complessivamente oltre il
7% della popolazione fa a meno di visite e accertamenti diagnostici
non tanto per la difficoltà a pagare il conto quanto per i tempi
biblici di attesa che spingono sempre più assistiti verso le braccia
del privato. Questo dato «mostra che avevamo ragione a intervenire
sulle liste d'attesa», ha affermato il ministro della Salute Orazio
Schillaci, il quale ha annunciato che a breve saranno varati i
decreti attuativi della legge sulle liste d'attesa. A cominciare da
quello che specifica come e quando scatteranno i poteri sostitutivi
del ministero delle Salute in caso le Regioni risultino inadempienti
nell'applicare le misure "taglia-coda". In attesa di vedere se il
decreto varato prima delle elezioni europee produrrà qualche effetto
la situazione delle liste d'attesa resta da codice rosso. Anche nel
2024, spiegano da Cittadinanzattiva, visto che le segnalazioni sui
tempi massimi non rispettati continuano ad arrivare numerose ogni
giorno e in costante crescita rispetto a un 2023 che è già da
incubo. Perché tanto per cominciare il 31,1% degli incagliati nelle
liste di attesa denunciano il fatto di non aver proprio avuto un
appuntamento essendosi trovati davanti agende bloccate. Pratica
fuorilegge ma che in molte Asl evidentemente la fa ancora da
padrona. Prima ancora di sentirsi dare appuntamento a un anno di
distanza c'è poi da superare lo scoglio del Cup, che il 20% di chi
ha denunciato un problema di accesso alle prestazioni ha avuto
difficoltà a contattare. Superati questi due ostacoli poi i tempi
restano biblici. Perché saranno anche quelli denunciati da chi ha
avuto da lamentarsi, ma non è facile farsi una ragione di una visita
di controllo oncologica fissata a 480 giorni di distanza. Così come
è difficile accettare che per asportare chirurgicamente un tumore
alla prostata anziché 30 giorni come da codice di priorità riportato
nella richiesta medica si debba invece attendere 159 giorni. Una
delle specialità per cui la pazienza è d'obbligo è l'oculistica,
tanto che per un controllo della vista si arriva ad attendere 468
giorni contro i 120 previsti per una prestazione con codice di
priorità P, ossia "programmabile".
Peggio ancora va per gli accertamenti diagnostici. Per un ecodoppler
dei tronchi sovraortici si può anche dover attendere circa un anno e
mezzo, per l'esattezza 526 giorni. Per una spirometria c'è chi ha
dovuto pazientare 266 giorni nonostante sulla ricetta campeggiasse
le lettera D delle prestazioni differibili, ma non oltre 60 giorni.
Con lo stesso codice di priorità si sono dovuti attendere invece 300
giorni tondi tondi per ottenere una tac della colonna nel tratto
lombosacrale.
Che con queste tempistiche sempre più italiani rinunci alle cure lo
conferma anche il calo delle prestazioni erogate, che nel 2023 sono
state l'8% in meno dell'anno precedente. Con forti differenze
regionali però, passando del -2% di Toscana e Lombardia al -25%
della Sardegna e '27 e meno 28% di Valle d'Aosta e Alto Adige.
Male anche l'assistenza territoriale, l'altro fianco scoperto del
nostri Ssn, con il 14,1% delle segnalazioni di disservizi, dato in
crescita di oltre il 5% rispetto all'anno precedente.
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23.10.24
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La rabbia degli agenti italiani di Gjader "Manca anche lo spazzolone
del water"
Eleonora Camilli
Roma
I 12 migranti (7 bengalesi e 5 egiziani) portati a Shengjin e poi,
per ordine del tribunale di Roma, riportati in Italia, sono ancora
confusi, non hanno capito fino in fondo di essere stati, loro
malgrado, gli sfortunati pionieri del progetto Albania. Ma almeno
stanno bene, hanno ricevuto finalmente l'informativa legale e
incontrato gli avvocati che si occuperanno degli eventuali ricorsi.
Un'impresa non facile come spiega uno dei legali, Gennaro Santoro:
«Per poter parlare col mio assistito ho dovuto fare reclamo ai
Garanti, inviare numerose pec al ministero dell'Interno, chiedere a
parlamentari di intervenire. Continuano a mettere ostacoli nella
speranza di non far presentare ricorso al Tribunale contro il
diniego dell'asilo politico - afferma - Perché sanno che il rigetto
della commissione è illegittimo». L'esame in terra albanese delle
domande di protezione potrebbe, infatti, essere considerato nullo.
Non solo la commissione territoriale chiamata a giudicare, e scelta
dal Viminale, non ha all'interno alcun rappresentante dell'Alto
commissariato per i rifugiati (Unhcr), ma la sua decisione rientra
nelle procedure accelerate di frontiera che, a quanto hanno deciso i
giudici romani, non potevano essere applicate perché i 12 non
provengono da Paesi sicuri.
Per ora, dunque, i migranti restano ospitati nel Centro di
accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari Palese in un limbo
giuridico. Ma la loro situazione non è l'unico cruccio del governo,
che ora ha a che fare anche con le proteste del personale della
polizia penitenziaria, spedito al di là dell'Adriatico, e ora sul
piede di guerra. «I nostri uomini non solo non possono godere della
sistemazione alberghiera come tutti i colleghi delle altre forze di
polizia e armate in Albania, ma addirittura vengono oltraggiate le
specifiche previsioni contrattuali che li tutelano», tuona Gennarino
De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa polizia
penitenziaria che già lo scorso 17 ottobre, con una lettera, aveva
sollevato la questione. E aggiunge: «Se l'amministrazione
penitenziaria e lo Stato non dimostrano il minimo rispetto per le
donne e gli uomini in divisa che li rappresentano, non osiamo
immaginare il trattamento che potrebbe essere riservato ai migranti.
Mai ne arrivassero».
In totale, sono 45 gli agenti della polizia penitenziaria chiamati
in servizio nella terra delle aquile. Il loro compito è occuparsi
del carcere costruito a Gjader, con 24 posti letto, dove dovrebbero
essere inviati i migranti che commettono reati nel periodo di
trattenimento. Ma la paura degli agenti è che il pasticcio
politico-giudiziario sul protocollo Italia-Albania lasci le
strutture vuote ancora per un bel po'. Non solo, ma c'è anche la
questione economica. Per tutto il personale, dagli agenti
penitenziari ai poliziotti, carabinieri, finanzieri, chiamati in
missione a Gjader è previsto un aumento in busta paga di circa cento
euro al giorno. Che tradotto vuol dire novecentomila euro al mese,
solo per gli indennizzi di trasferimento di trecento unità.
Spese folli, per un Cpr (centro per il rimpatrio) e un carcere
vuoti. E su cui grava una questione giuridica di diritto ancora
sospesa. Gli agenti della penitenziaria si lamentano anche degli
alloggi: prefabbricati a cui si accede con una scala metallica
interna, senza elementi di arredo basilari, dalla tv allo spazzolino
per il water. «È tutto paradossale» ripetono mentre sono in attesa
degli altri colleghi e dei migranti. Semmai arriveranno. —
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I BRICS CONTRO L'OCCIDENTE CON CINA E RUSSIA ALLEATI : L'ultima
sfida dei Brics al potere Usa un circuito finanziario anti-sanzioni
Stefano Stefanini
In quindici anni di vita i Brics hanno combinato poco o niente. Al
vertice che si apre oggi a Kazan, dalla Russia senza amore, ci
provano facendo massa critica, arruolando un'ampia ancorché
diseguale partecipazione di leader mondiali, avanzando propositi
ambiziosi – addirittura di lanciare un'alternativa al dollaro come
mezzo di pagamento internazionale. Per il momento quest'ultimo
obiettivo rimarrà nel mondo dei sogni, ma fa da contrappunto
politico all'80esimo anniversario degli accordi di Bretton Woods che
ricorre, in parallelo, nelle riunioni autunnali del Fondo Monetario
Internazionale e della Banca Mondiale in corso questa settimana a
Washington.
I Brics presenti oggi a Kazan superano l'Occidente in Pil (37% di
quello mondiale), popolazione (circa metà dell'umanità) e
territorio. Non sono tuttavia in grado, oggi, di sfidare gli Stati
Uniti e l'Occidente, non perché, messi insieme, non abbiano appunto
risorse, tecnologie e capacità militari (e nucleari) per sostenere
il confronto. Non solo perché divisi, se non rivali, e non omogenei
fra loro ma perché hanno a bordo partecipanti che, senza alcuna
intenzione di diventare fisiologici antagonisti dell'Occidente,
trovano condizioni propizie a tenere il piede in due staffe. Come la
Turchia anche (e soprattutto) in quella della Nato, l'India in
quella del Quad anti-Cina (Usa, Australia, Giappone, India), gli
Emirati ospitando una base militare Usa. L'elenco delle acrobazie
potrebbe continuare, con la grossa eccezione dei due grandi registi
del gruppo, ben schierati sul fronte (anti)occidentale: Cina e
Russia. Ai quali i Brics servono come importante cassa di risonanza
internazionale che faccia da contraltare all'Occidente e ai vari
formati con i quali si presenta – G7, Nato, Ue, Ocse – ma,
soprattutto, al detestato "ordine liberale internazionale". Qui
però, Pechino e Mosca trovano terreno più fertile.
L'insofferenza verso un ordine mondiale e valoriale disegnato
esclusivamente dall'Occidente, talvolta percepito come scia del
colonialismo, spesso accusato di usare due pesi e due misure, fa da
collante ideologico all'intero gruppo dei Brics, per eterogeneo che
sia. E non va sottovalutato. Ma, per quanto possa essere una leva
nelle votazioni alle Nazioni Unite – il cui Segretario Generale
António Guterres è presente a Kazan – di qui a sfidare a tutto campo
l'Occidente deve passare molta acqua sotto i ponti. Molta meno,
però, se il vertice è visto nell'ottica del padrone di casa: non per
lanciare un nuovo ordine mondiale o un'alternativa al sistema di
pagamenti Swift, ma per puntellare la strategia russa volta a
isolare internazionalmente l'Ucraina, tagliando l'erba sotto i piedi
ai tentativi di Volodymir Zelensky di raccogliere consensi
internazionali per il proprio piano di "pace". Con la
partecipazione, per la prima volta, dell'Iran, esiste a questo
vertice uno zoccolo duro filorusso, al quale alcuni partecipanti
(come il Kazakhstan) si allineano non per scelta, ma per necessità
geografica. Basta che il resto della palude Brics non si opponga – e
non lo farà.
Vladimir Putin non ha lasciato nulla al caso. A Kazan, capitale del
Tatarstan, egli gioca in casa, si affaccia sulla sua Eurasia, a metà
strada fra Mosca e gli Urali, trova un palcoscenico mondiale e
approfitta dell'interregno a Washington, dove un leader è al
crepuscolo e due, potenziali, in un duello all'ultimo sangue, nonché
del vistoso vuoto europeo, fra leader nazionali deboli e tempi
biblici dei passaggi di consegne a Bruxelles – dove la nuova
Commissione e il nuovo Presidente del Consiglio Ue prenderanno le
redini sei mesi dopo le elezioni europee. Sarà affiancato dall'amico
senza limiti, Xi Jinping. Il parterre, pur con qualche assenza
eccellente (Lula da Silva rappresentato però dal Ministro degli
Esteri brasiliano): Narendra Modi (India), Recep Tayyip Erdogan
(Turchia), Cyril Ramaphosa (Sudafrica), Abdel Fattah al Sisi
(Egitto), Masoud Pezeshkian (Iran). Non manca il guasatefeste
balcanico, Milorad Dodik, a rappresentare "l'entità serba" della
Bosnia. Quando mai le circostanze sono state così favorevoli a
rafforzare la statura internazionale di Mosca? La Russia fa così da
battistrada nel lanciare il guanto di sfida all'Occidente, mentre
accudisce ai propri interessi nazionali cercando di ristabilire una
zona d'influenza esclusiva nell'ex-Urss, traguardo che il Presidente
russo insegue da tempo, come minimo dalla mini-invasione della
Georgia del 2008. Con le buone – per modo di dire – o con le
cattive.
Kazan è un vertice a due facce. Quella Brics non rappresenta il "Sud
globale", ma ne è certamente un'importante cinghia di trasmissione
che Occidente e Europa non si possono permettere d'ignorare. Per ora
molto più dichiarativa che operativa. Quella russa, ben più
operativa e ad impatto rapido, serve a creare intorno a Mosca un
bacino di consensi o benevolenze internazionali mentre Vladimir
Putin spinge sull'acceleratore con la guerra in Ucraina, con
l'interferenza nelle elezioni in Moldova e in Georgia. A Chi?in?u
gli è andata male, ma giusto per un soffio; fra il 5 novembre e il 3
dicembre sarà il turno di Tbilisi. E, chiunque entri alla Casa
Bianca, il 20 gennaio troverà il fatto compiuto. —
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Gli 007 confermano l'arrivo in Russia, sarebbero 10 mila. Da
Washington altri 400 milioni a Kiev
Soldati nordcoreani diretti in Ucraina Seul chiede di bloccarli, è
crisi con Mosca
giuseppe agliastro
mosca
La Corea del Sud ha convocato l'ambasciatore russo. Chiede
«l'immediato ritiro» di quelle che secondo gli 007 di Seul sarebbero
truppe nordcoreane arrivate nell'estremo oriente russo per
addestrarsi e poi essere «probabilmente» mandate a combattere in
Ucraina.
Anche Kiev nei giorni scorsi ha accusato il regime nordcoreano di
prepararsi a inviare soldati al fianco di quelli del Cremlino: 10
mila secondo il presidente ucraino Zelensky. Mosca e Pyongyang
respingono però le accuse. Mentre Usa e Nato dichiarano di non avere
al momento elementi per poterle confermare, ma si dicono
preoccupati. L'eventuale «invio di truppe nordcoreane in Ucraina per
combattere al fianco della Russia segnerebbe un'escalation
significativa», avverte il segretario generale della Nato, Mark
Rutte. Ed è dello stesso avviso il portavoce dell'Ue per gli affari
esteri, Peter Stano.
La scorsa settimana, l'intelligence di Seul ha dichiarato che tra
l'8 e il 13 ottobre delle navi militari russe avrebbero fatto
sbarcare a Vladivostok circa 1.500 soldati nordcoreani, e che altri
potrebbero arrivarne. La nuova accusa – non confermabile – arriva
circa quattro mesi dopo che i dittatori Putin e Kim Jong-un hanno
firmato un misterioso patto di cooperazione strategica a Pyongyang.
La Corea del Nord è già accusata dall'Occidente di fornire missili a
Mosca nonostante le sanzioni internazionali. Il portavoce di Putin
sostiene invece che la cooperazione con Pyongyang non sia «diretta
contro Paesi terzi».
Nelle stesse ore, il capo del Pentagono, Lloyd Austin, arrivava a
Kiev in una visita a sorpresa per ribadire il sostegno americano
all'Ucraina in un momento in cui le truppe russe sembrano guadagnare
lentamente terreno nel Donbass. Austin ha annunciato nuove armi per
400 milioni di dollari, ma non sembrano esserci novità sulle due
principali richieste di Zelensky: il permesso di lanciare in
territorio russo razzi a lungo raggio di fabbricazione occidentale e
l'invito a entrare nella Nato (e avviare un percorso che comunque
può durare anni, con gli esperti che ritengono altamente improbabile
un ingresso di Kiev nell'alleanza con una guerra in corso).
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IL REPORTAGE
La furia del fiume tombato "I pozzetti saltavano via poi qui
l'asfalto è esploso"
inviato a Bologna
Sotto la chiesa di San Paolo. Sotto lo studio dell'architetto Enrico
Gieri. Sotto il garage condominiale al civico 70 di via Costa. Giù
fra i cavi elettrici, nel magazzino della pasticceria e in
corrispondenza della fermata del pullman. Il fiume Ravone passava
sotto i palazzi del quartiere Saragozza di Bologna ormai quasi
dimenticato da oltre sessant'anni, prima che saltasse fuori come una
furia dalla sua tomba di cemento.
«È incredibile quello che è successo» dice il signor Andrea
Cardinali, di mestiere geometra. «Nel giro di tre ore sono esplosi i
tombini, le auto sono partite come barche, infine si è stappato
l'asfalto e da là è incominciata a salire l'acqua a fontana». È
arrabbiatissimo. Come tutti qui. Perché quel fiume è la prova di un
tempo nuovo dentro a una politica vecchia. «Lo so che sono state
piogge straordinarie, ma ormai non si può più usare questa scusa. Il
problema è l'incuria. Arriviamo da anni di menefreghismo. Serve un
nuovo piano di manutenzione e sicurezza nazionale. Non capisco cosa
stiano aspettando ancora, spendono soldi pubblici per cose senza
senso e noi siamo nel fango».
Il Ravone era un torrente quasi senza storia. Nasce sulle pendici
del monte Paderno. È lungo in tutto 18 chilometri, segue il suo
alveo naturale fino al Reno. Ma il fatto è che per due chilometri
scorre sotto la città. Fu la decisione presa negli anni Sessanta in
ossequio al nuovo piano regolatore: bisognava costruire. Il fiume
intralciava. L'idea fu quella di murarlo vivo dentro una galleria
sotterranea di due metri per due. Ma c'era troppa acqua, l'altra
notte. Troppa acqua per quel piccolo canale di cemento. Ecco cosa
sono state quelle esplosioni assurde: i tombini che volavano in aria
e il cemento che crepitava come sopra a un magma ribollente. Era
l'acqua del Ravone. Era il fiume che si riprendeva il cielo.
L'architetto Gieri sta spalando. Spala fango, butta via cose
irrecuperabili, cerca di asciugare l'ingresso del suo studio: «Serve
un'idea. Capisco che i temporali non siano più quelli di una volta.
Ma bisogna trovare il modo di affrontare questa cosa».
Siamo alla quarta alluvione nel giro di due anni in Emilia Romagna.
Quella del 17 maggio 2023, la più devastante, quella dei diciassette
morti e dei miliardi di danni, aveva causato danni nel centro della
città. Ancora il Ravone. Ma era uscito in un punto senza tombatura e
di proprietà demaniale, all'altezza di via Saffi. Dopo quella
esondazione, il Comune ha fatto studiare il caso a un gruppo di
esperti. Sono stati eseguiti dei lavori in quel punto. E proprio in
quel punto, a questo quarto giro di tempesta, il Ravone ha tenuto. E
quindi? Se il Ravone passa sotto le case private, se il Ravone
scorre sotto negozi e uffici privati, a chi spetta prendersi cura
del tratto intombato?
Alle undici di mattina nel fango arriva il sindaco Matteo Lepore. Un
residente lo affronta a muso duro, un altro, invece, dice: «Sindaco,
siamo con te. Ma qui bisogna fare qualcosa». È successo questo:
sabato nel giro di sei ore è caduto il quantitativo di pioggia di
tutto il mese di ottobre, due volte quello dell'alluvione più
devastante. «Abbiamo dato l'allarme per tempo, tutte le persone sono
state messe in salvo. Ma il Ravone ha un alveo molto piccolo, si
riempie in fretta. La città si è allagata da sotto, non da sopra.
Servono casse di laminazione per difenderla».
Il sindaco risponde al telefono. Chiede notizie degli sfollati. Poi,
con amarezza, dice: «Su queste alluvioni sono state fate troppe
discussioni di parte, abbiamo assistito a troppi litigi
istituzionali. Non voglio attribuire colpe. Ma serve più unità,
quella che io chiamo l'unità repubblicana». Domandiamo: a che punto
sono i lavori dopo il disastro del 2023? «I progetti ci sono, ma
andrebbero finanziati. Invece mancano i soldi. Tutto va a rilento».
E sul caso del fiume Ravone intubato per fare posto ai palazzi,
simbolo della vecchia Italia del cemento? «Bisogna intervenire a
monte. Bisogna trovare un modo per non fare confluire tutta
quell'acqua sotto la città».
Il futuro, quindi. Mentre il fango è il presente, ancora una volta.
Arriva un signore quasi tremando, con un misto di stanchezza e
stupore dice al sindaco: «Sono qui dal '49. Non pensavo di vedere
una cosa del genere». Il Ravone non sta più al suo posto. Sabato
nella furia di liberarsi ha sollevato un intero garage condominiale.
Quelle auto adesso sono piantate dentro gli ingressi, sparate come
proiettili e finite accartocciate.
Quarta alluvione in Emilia- Romagna. Ci sono ancora 1600 persone
sfollate nei comuni dell'area metropolitana. La Regione chiederà
ancora lo stato d'emergenza. La presidente facente funzioni Irene
Priolo, che si trova qui al posto di Stefano Bonaccini eletto in
Europa, sceglie queste parole: «I cittadini che ho incontrato sono
disperati, ormai ben oltre l'arrabbiatura. Ci stanno chiedendo come
istituzioni di stare insieme. Questo grido d'allarme deve arrivare a
livello nazionale e fare in modo che nella prossima finanziaria ci
siano i soldi per un piano strutturale».
Sembra tutto già visto. Sono scene da un'altra ordinaria alluvione.
Ma quegli oggetti tirati fuori dalle cantine e appoggiate sui muri,
quel giradischi e quelle fotografie, sono pezzi unici perduti per
sempre.
Adesso tutti ripetono che piogge del genere non sono arginabili.
«L'acqua non si può fermare», è una delle frasi più ricorrenti. Ma
il caso del fiume Ravone, un piccolo fiume murato sotto la città di
Bologna, era già per certi versi un caso di scuola. C'è una tesi di
laurea datata marzo 2016, questo è il titolo: «Analisi del rischio
idraulico in ambiente urbano: il caso del torrente Ravone a
Bologna». Candidato, Amedeo Bracaloni. Professore, Mario Martina.
Ecco le conclusioni: «Non sembra più possibile far rientrare questi
eventi nella categoria delle calamità o delle fatalità non
prevedibili»
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Il rider
nell'alluvione
Una bici, il lago in mezzo alla strada e un cubo sulla schiena.
L'uomo o la donna che pedala è una parte dell'ingranaggio. Non ha
soggettività. Se l'avesse non sarebbe certo lì, in una notte di
alluvione a Bologna, a portare una pizza Margherita a casa di
chissachì per quattro soldi. Si dirà: questo è il lavoro. È vero.
Non sempre il lavoro è gratificazione. Ma c'è lavoro e lavoro.
Sappiamo tutti che chi pedala sulle bici dei rider, il sempre più
vasto popolo del cubo, non lo fa solo per i soldi di quella corsa ma
anche per non perdere la priorità acquisita con l'algoritmo. Una
consegna rifiutata è uguale a tutte le altre, non importa che ci sia
l'alluvione. L'algoritmo registra comunque. È impersonale, non ha
coscienza. È stato scelto proprio per quello.
Nella fotografia manca un protagonista: c'è l'acqua che ha messo in
ginocchio una città, c'è il rider che pedala controcorrente, c'è il
prezioso carico che si porta sulla schiena. Non c'è chi ha messo in
moto tutto questo: l'uomo o la donna che con una telefonata ha
ordinato la pizza un quarto d'ora prima dello scatto. A differenza
dell'algoritmo, chi ha fatto quella telefonata una coscienza
dovrebbe averla. Avrebbe dovuto immaginare le conseguenze di una
chiamata sventata, fatta nella notte più buia della storia recente
di Bologna, con il sindaco che invitava gli abitanti a salire ai
piani alti delle case per salvarsi dall'onda di piena. È in questo
scenario che al signor X viene in mente di mangiarsi una bella pizza
e di farsela portare sul divano, magari guardando in tv le immagini
dell'alluvione. Ed è sempre in questo contesto che i dirigenti
locali della società dei rider hanno pensato che il servizio non va
interrotto. A nessun costo. La pizza margherita come la canzone dei
Queen: The show must go on, andare sempre avanti, a prescindere.
Ma la lunga notte dei rider nell'alluvione non è finita con il
rifluire delle acque nell'alveo dei torrenti. È proseguita la
mattina dopo, ha inondato le chat degli uomini con i cubi, dando
vita a una discussione serrata. Perché c'è cubo e cubo. I pedalatori
di Just Eat sono gli unici ad avere un contratto da lavoratori
dipendenti. Con condizioni e norme precise. Infatti l'altra sera non
lavoravano: «Lo impedisce l'accordo», spiega Carlo Parenti della
Filt Cgil che ieri stava preparando un esposto contro gli altri
gestori delle piattaforme come Deliveroo, quella del ciclista con la
divisa azzurra della famosa fotografia. Nel contratto di Just Eat
anche il pluviometro è materia sindacale: con più di 5 millimetri di
pioggia in un'ora, con 8-12 millimetri in tre ore, con più di 16 in
sei ore, i rider si fermano. «L'altra sera sono scesi 160
millimetri». Dunque in quel caso non c'era bisogno di contratti: per
fermarsi bastava il buon senso.
La discussione tra gli uomini del cubo è tutta sui confini di quel
consenso. Perché affrontare le ondate di piena rischiando la vita?
Daremo un nome di fantasia alla risposta di Michele, innervosito
dalle critiche dei colleghi di pedalata: «Nessuno mi ha obbligato.
Ho scelto io di farlo. Sono io che rischio e sono io che so fin dove
mi posso spingere. Chi non se la sentiva poteva restare a casa».
Quasi mai il mondo è bianco o nero. Viviamo, chi più chi meno,
nell'area grigia del compromesso. Così non pochi lavorano come
dipendenti per Just Eat e arrotondano, nel tempo libero, con le
altre piattaforme. Michele è uno di loro. Ha pedalato nell'acqua
perché quella sera, in mezzo all'alluvione, i rider disposti a
lavorare erano meno e la consegna veniva pagata di più.«È il
mercato, bellezza», avrebbe commentato Humphrey Bogart.
Di tutto questo noi clienti sappiamo quasi nulla. Non immaginiamo
neppure che esista questo mondo con le sue regole e contraddizioni.
Ma sappiamo una cosa semplice: con l'alluvione non si lavora in
bicicletta. Sembra banale. Anche se l'algoritmo non si ferma, gli
umani dovrebbero farlo. Purtroppo la scelta dell'uomo sul divano
come quella dei dirigenti delle piattaforme che non si sono fermate
è stata compiuta da persone con un'anima e una coscienza. Ognuno è
individualmente responsabile delle sue decisioni. Non prendiamocela
con l'algoritmo.
- l'inchiesta
Interrogata a roma la moglie dell'ex ministro sangiuliano
"Ti mando un documento
riservato, puliscilo" Quel filo diretto tra il militare e l'uomo di
Musk
Boccia indagata per truffa immobiliare a Pisa
Antonio Masala
Andrea Stroppa
irene famà
roma
Da un lato del telefono c'è Andrea Stroppa, il braccio destro di
Elon Musk in Italia, che al progetto Starlink ci tiene davvero: «Sto
contribuendo per fare una cosa bella…fatta bene...per il Paese».
Dall'altro lato del cellulare parla il "suo" riferimento nel
ministero della Difesa Antonio Masala. L'ufficiale di Marina punta
agli affari, a concludere in fretta ogni trattativa anche a costo di
far trapelare carte top secret. «Andrea, è importante che questa
cosa non circoli perché è un documento del Ministero… È veramente
riservato, interno. Ti chiedo di pulirlo te, io non ho modo di
farlo». Le intercettazioni dell'inchiesta della procura di Roma per
corruzione, con una raffica di persone e società indagate,
raccontano di una lunga serie di gare truccate nella pubblica
amministrazione. Per favorire questo o quell'amico, questa o quella
società.
Interessi tra i più svariati. A iniziare da quelli che l'ufficiale
di Marina aveva in Starlink, connessione internet satellitare
ovunque sviluppata dall'azienda spaziale SpaceX. In estate, si
discute sull'utilizzo del progetto sia a scopi militari sia civili.
Il ministero della Difesa vuole dotarsi del sistema satellitare e,
lo scorso 30 luglio, l'ufficio di Gabinetto indice una riunione
tecnica. Forte del suo ruolo, l'ufficiale di Marina partecipa
all'incontro. E i suoi obiettivi, secondo quanto ricostruito dagli
inquirenti, sono diversi. Vuole, si legge nell'informativa della
Guardia di finanza, «far riconoscere, dai massimi livelli
istituzionali coinvolti, un ruolo al VI Reparto dello Stato Maggiore
Difesa nell'iter di pianificazione e implementazione del progetto».
E vuole guadagnarci. Socio occulto, tramite la moglie, della società
di informatica Olidata, cerca spazi e accordi per la Spa.
L'ufficiale Masala contatta l'ex hacker Andrea Stroppa. Con cui, si
legge negli atti, ha «opache interazioni». Gli propone di «lavorare
insieme». Cerca di dettare i tempi. Gli spiega che «se saranno
veloci, entro l'anno potrebbero riuscire a fare un accordo per tutto
il Paese. Se invece andranno per le lunghe, cercheranno di fare le
attivazioni per i singoli clienti, quali per esempio la Marina».
Stroppa aspetta «40 domande» sulla questione, così da poter
«chiedere ai tecnici americani di Starlink di rispondere subito».
Assicura l'ufficiale: «Tutto quello che è possibile fare, cioè
internamente, spingo affinché venga fatto. Perché, comunque...te
l'ho detto pure quando ci siamo visti. Ci tengo a livello
personale...se un progetto deve essere fatto, dev'essere fatto bene.
Almeno posso dire che sto contribuendo a fare una bella cosa».
Ora l'informatico trentenne, finito indagato, assicura: «Non sapevo
che l'ufficiale avesse interessi legati alla società d'informatica».
Secondo gli inquirenti, coordinati dai procuratori aggiunti Giuseppe
Cascini e Paolo Ielo e dai magistrati Lorenzo Del Giudice e
Gianfranco Gallo, qualcosa invece aveva intuito. E gli atti parlano
di una promessa: un contratto di fornitura tra Spacex e Olidata Spa.
Il militare cerca di accreditarsi. E lo fa, almeno per quanto
racconta l'inchiesta, insieme all'ex rappresentante legale di
Olidata, Cristiano Rufini, pure lui finito nel registro degli
indagati. E c'è una conversazione che appare particolarmente
significativa. Masala racconta al "socio" di un Generale che
«sovrintende il progetto» e che l'ha affrontato senza troppi giri di
parole. «Mi ha detto: "Non vorrei che avessi interessi personali
perché stai perorando la causa di Starlink molto fortemente". Ha
detto di trovarlo strano». L'ufficiale nega. E spiega ad Andrea
Stroppa, che in quei giorni stava preparando una presentazione, che
«il nome di Olidata non deve comparire». In nessun modo.
L'ufficiale Antonio Masala, tra le figure chiave di questa inchiesta
condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Roma e del nucleo
speciale polizia valutaria, non aggancia solo Stroppa. Gli
accertamenti, che hanno portato all'arresto dell'ex direttore
generale di Sogei Paolino Iorio e dell'imprenditore Massimo Rossi,
raccontano di un intreccio di affari e conoscenze, di gare e appalti
truccati banditi da Sogei, dal ministero dell'Interno-Dipartimento
della Pubblica sicurezza, dal ministero della Difesa e dallo Stato
maggiore della Difesa. Di «un articolato sistema corruttivo» di cui
Starlink rappresentava forse il progetto più ambizioso.
-
Il tribunale accoglie la richiesta di sospensiva del provvedimento
emanato dal prefetto: fatti troppo vecchi e c'è interesse pubblico
su Tav e Tenda
Antimafia, il Tar congela l'interdittiva a Cogefa Salve le grandi
opere: i cantieri vanno avanti
GIUSEPPE LEGATO
LODOVICO POLETTO
Il Tar smonta l'interdittiva antimafia a carico di Co. ge. fa,
colosso delle infrastrutture che sta realizzando – tra le tante
opere – i cantieri del Tenda e lo scavo del tunnel del Moncenisio. I
fatti richiamati a sostegno del provvedimento dalla Prefettura e dal
gruppo interforze interno che ha istruito il procedimento sono
«troppo risalenti nel tempo». Non più attuali dunque – per
estensione – al fine di motivare uno stop per la società a lavorare
nei cantieri finanziati con fondi – in toto o in parte – pubblici.
Nelle tre pagine di sentenza emessa ieri pomeriggio dal presidente
Raffaele Prosperi si legge: «Il provvedimento prefettizio impugnato
riguarda principalmente fatti estremamente risalenti nel tempo e
talvolta nei decenni, interessando anche persone decedute oltre
quindici anni addietro (si fa certamente riferimento a Teresio
Fantini, fondatore di Cogefa venuto a mancare nel 2006 ndr) oppure
soggetti in stretta parentela e che dunque si può al momento solo
immaginare un coinvolgimento indiretto degli attuali amministratori
della Cogefa». C'è poi una motivazione che pare avere le stimmate
dell'interesse pubblico: «La ditta interessata segue molteplici
cantieri di rilevanza nazionale e concernente i maggiori
collegamenti stradali con la Francia, vie principali di transito per
le esportazioni italiane oggigiorno di assoluto rilievo visto il
perdurare delle interruzioni ferroviarie in territorio francese». I
giudici dunque valorizzano «l'opportunità dell'accoglimento del
ricorso in connessione alla garanzia della momentanea continuazione
delle opere e dei rapporti di lavoro dell'alto numero delle
maestranze impiegate e che per quanto rilevato appare preminente
l'interesse pubblico al mantenimento delle attività della
ricorrente».
Co. ge. fa, raggiunta da interdittiva lo scorso 15 ottobre, è la
testa di un impero che si occupa di grandi costruzioni, opere di
rilevanza strategica: una produzione economica (a fine 2023) di
oltre 214 milioni di euro. Il legale di Cogefa, . Carlo Merani
spiega: «Sono soddisfatto per l'intervenuta sospensione degli
effetti dell'interdittiva che tanti danni stava provocando
all'azienda e anche alle commesse pubbliche. Come evidenziato la
questione sarà riaffrontata in una prossima udienza di fronte
all'intero collegio del Tar». I danni a cui fa riferimento il legale
sono questi: nei tre giorni successivi all'emanazione del
provvedimento i principali committenti di gran di opere hanno
scritto a Co.Ge.Fa (Telt, Anas, Città Metropolitana etc…) intimando
che «non appena sarebbe entrato in vigore il provvedimento
applicativo del Prefetto ne sarebbero derivate le conseguenze».
Tradotto: la risoluzione dei contratti. Non andrà così, almeno per
ora. Tira un sospiro di sollievo la Regione: «La decisione del Tar
del Piemonte garantisce la prosecuzione di opere strategiche per il
territorio e questa è senza dubbio una buona notizia: i cantieri
vanno avanti» dicono, in una nota, il presidente Alberto Cirio, e
gli assessori alle Infrastrutture strategiche Enrico Bussalino e ai
Trasporti Marco Gabus. Co.ge.fa, dal canto suo aveva scritto
nell'atto di impugnazione dell'interdittiva che «l'interdittiva
colpisce una grande società con numerosi addentellati economici e
finanziari a causa di presunte condotte poste in essere non dalle
attuali figure gestorie, ma da soggetti che non rivestono da oltre
dieci anni alcuna carica nella Società (Roberto Fantini, indagato
per concorso esterno in associazione mafiosa) e che con essa non
hanno alcun rapporto, se non quello parenterale evidentemente non
modificabile»
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Germagnano, in manette un pregiudicato di 33 anni che era tornato a
vivere a casa dei genitori Ha trovato i militari ad aspettarlo al
ritorno da un colpo appena messo a segno in una tabaccheria
Torna a casa dopo la rapina e la madre lo fa arrestare
gianni giacomino
Quando è salito sulla macchina parcheggiata davanti a casa a
Germagnano con la madre che cercava di fermarlo è stato
chiaro:«Lasciami vado a fare una rapina in tabaccheria in paese e
torno». La donna, però, non ha perso tempo e ha immediatamente
avvertito il 112. Così quando il figlio 33enne, con alle spalle una
discreta sfilza di precedenti, è tornato dalla razzia è stato anche
raggiunto dai carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria che lo
hanno arrestato e riportato in carcere ad Ivrea.
La storia si è consumata tutta nel giro di un'ora, a Germagnano dove
l'uomo è venuto a stare con i suoi dopo aver avuto dei problemi con
la sua ex, vittima di maltrattamenti in famiglia. Infatti il 33enne
ha il divieto di avvicinamento alla donna e non può più entrare nel
comune di Moncalieri. Per questo ha deciso di raggiungere le Valli
di Lanzo. E, l'altro giorno, si è messo nei guai. Quando è arrivato
davanti all'obiettivo, si è calato sul viso il cappuccio della felpa
ed è entrato in tabaccheria. Dove ha strattonato e gettato a terra
la proprietaria, poi ha arraffato 400 Gratta&Vinci, un migliaio di
euro in contanti. Quindi è risalito in macchina ed è tornato verso
la casa dei suoi, che abitano poco distante. Ovviamente il 33enne
non si immaginava certo che la madre - provata da anni di
sopportazione del figlio che ne ha combinate un po' di tutti i
colori - avesse già avvisato le forze dell'ordine. Quindi si è messo
comodo in salotto e ha iniziato a grattare i tagliandi che aveva
appena rubato. Fino a quando non si è trovato davanti ai carabinieri
del radiomobile di Venaria che lo hanno prelevato e portato in
carcere.
Nel frattempo la commerciante aggredita e parecchio scossa dalla
violenza subita ha raggiunto il pronto soccorso dell'ospedale di
Ciriè dove i medici, dopo un controllo, l'hanno dimessa giudicandola
guaribile in una settimana.
I carabinieri di Ciriè invece, l'altro pomeriggio dopo delle rapide
indagini, hanno denunciato per rapina un ragazzo che aveva assaltato
il bar "Dolomice" nella centralissima isola pedonale di via Vittorio
Emanuele, a Ciriè. Il trentenne, armato di un coltello, indossava un
berretto, ma era a volto scoperto. É entrato nel locale poco prima
della chiusura, intorno a mezzanotte, ha minacciato con l'arma le
dipendenti e si è fatto consegnare circa 600 euro in contanti. Poi è
fuggito per Ciriè. Le fasi dell'assalto sono però state riprese
nitidamente dalle telecamere che sorvegliano il bar e anche via
Vittorio Emanuele. Poco più tardi il 30enne, con alle spalle una
sfilza di precedenti, è stato fermato dagli investigatori. —
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22.10.24
-
senza pace
Bologna
L'urbanistica
La mia
Non so se è una persecuzione. Però è dal 2012, quando le viscere del
sottosuolo cominciarono a rivoltarsi, che questa terra non ha pace,
la regione più moderna d'Italia, un angolo di America piantato nello
stivale con la sua economia diffusa e le sue eccellenze, dove il
basket conta più del calcio e i bambini giocano a baseball. Prima il
terremoto, poi la siccità e dopo la siccità le alluvioni a catena, e
mettiamoci pure il Covid. Dalla Romagna a Bologna è un'epica del
dolore che stringe nella sua morsa questa terra da dodici anni. Sono
due cose diverse, va detto, come spiega Romano Montroni, il Libraio
d'Italia, che ci guida nel volto disastrato della città («anche se
in centro dove abito non è successo niente»). Là è come se
franassero le montagne percosse inesorabilmente da quel diluvio
infinito, qui è il sottosuolo che si ribella al destino che gli era
stato assegnato. Alla fine, le piaghe dell'Emilia Romagna sono
comunque quelle di una regione ricca, ammirata e anche un po'
presuntuosa, come annota Marco Marozzi, il suo Cronista più
importante, abituata a guardare gli altri dall'alto in basso. Ed è
vero in fondo che nella vulgata comune «il cambiamento climatico in
tutta la sua immensa tragicità colpisce a sangue il buon governo».
Eppure c'è anche qualcosa di diverso in questo capriccio del
destino. Perché Bologna ha sempre voluto guardare in alto,
dimenticandosi alla resa dei conti di quel che c'era sotto i suoi
piedi. Tutto cominciò nel 1956, ricorda Montroni, quando il sindaco
Dozza decise che bisognava ammodernare l'urbanistica della città e
da Roma arrivò Campos Venuti per realizzare questo progetto. Fu
deciso che i fiumiciattoli venissero interrati e dimenticati. La
storia di quei canali è antica e affonda le sue radici nel Medioevo,
ma fu proprio grazie a quella gestione delle acque esemplare e
innovativa che Bologna poté sviluppare una fiorente industria. Fra
loro c'è il Ravone, un torrente che nasce sui colli e sfocia nel
Reno dopo 10 chilometri, durante i quali entra in città sotto il
portico di via Saragozza, e la costeggia dal suo lato Est,
nascondendosi nel suo suolo e uscendone ogni tanto. Ma adesso,
com'era già successo nel 2023, ha esondato da quelle viscere, come
se fosse venuto fuori a castigarla, assieme a Idice e Zeno. Via
Saffi inondata, ordini di evacuazione, anche a San Lazzaro, duemila
sfollati, e il sindaco di Casalecchio di Reno, davanti alle immagini
di macchine che galleggiano sull'acqua, dice con voce rassicurante
che è tutto sotto controllo, ma che nessuno deve uscire di casa. Non
c'è bisogno di gridare, qui si fa così. Montroni ricorda come
Giovanni Guareschi faceva benedire i paesi del Grande Fiume da don
Camillo, ma non è più la stessa Bassa di 70 anni fa, i fenomeni
estremi dalle epidemie alle rivolte del sottosuolo e delle sue acque
non guardano in faccia a nessuno e possono colpire anche i lembi
migliori dello sviluppo umano. È questa la fregatura. Se «il buon
governo ha sempre vinto contro tutto e tutti», come sottolinea
ancora Montroni, oggi è come se perdesse contro sé stesso. Nel ‘56
l'arcivescovo Lercaro schierò Dossetti per battere Dozza. Lo
costrinse a radunare il meglio che trovasse e lui chiamò Ardigò e
Pedrazzi fra gli altri, ma la Dc ottenne il peggior risultato degli
ultimi 60 anni, senza contare che molti di quei candidati finirono
poi nelle file avverse. Anche i rivali pensavano di vincere
guardando in alto.
È questo il prezzo che pagano Bologna e l'Emilia? Certo, pure gli
altri la guardano sempre e solo così, nel bene e nel male. Le Monde
la cita come la città più anti Meloni d'Italia, non come quella dove
cedono i canali e un fiumiciattolo dimenticato travolge le sue
strade. In compenso, il New York Times l'ha accusata di aver tradito
la sua storia per vendersi all'overtourism, legando la propria
immagine a uno dei suoi prodotti più tipici, la mortadella. Come a
dire che ha smesso di volare alto, che questo nuovo inferno
turistico si è preso tutto. Però quando il Pd Renziano aveva deciso
di lanciare Bologna come City of Food, la Los Angeles sul Reno, era
partito dall'alto e la immaginava una capitale del cibo
politicamente e dieteticamente corretto, di Farinetti e Segré, e di
Fico. Prodi portava al vecchio Diana Tony Blair e Brad Pitt e
Angelina Jolie mangiavano i tortellini all'Osteria dei Poeti. Non è
che tutto questo non esiste più. È che non puoi più guardare in
alto, questa è l'unica verità che ci consegna quello che accade
adesso.
Giovedì 24 il presidente Mattarella sarà a Bologna e renderà visita
all'Istituto di Scienze Religiose e al Mulino, che compie 70 anni.
Nella sala della Biblioteca, ci sarà anche Romano Montroni, entrato
nel nuovo cda della casa editrice. Lui è il libraio più famoso
d'Italia ed era un ex magazziniere quando nel 1964 passò alla guida
delle librerie Feltrinelli, partendo da qui, sotto le due torri.
Allora si poteva volare alto, si poteva cominciare da queste strade.
Ma oggi sarebbe ancora così? Oggi Monsignor Zuppi dice che è
necessario realizzare una «conversione ecologica». E il sindaco
Lepore parla di Bologna come «laboratorio di innovazione nel
cambiamento climatico». Chissà se sono solo parole. Perché non
bastano neanche più i miracoli. Il 5 luglio del 1433 la Madonna di
San Luca entrò in processione da Porta Saragozza e in quel momento
apparve il sole a scacciare la pioggia che tormentava la città.
Adesso niente. Vedi il cielo che viene giù e un video riprende dei
rider che girano con le pizze sguazzando sulle bici nei fiumi
d'acqua e di fango. C'è chi non si può fermare, ma questa immagine
ci dice qualcos'altro: in quei colori neri e cupi, e in quei ragazzi
fradici, c'è tutta la sconfitta che viene dal basso. —
-
Mario Tozzi
Abbiamo sacrificato gli spazi della natura E ora le alluvioni ci
trovano più fragili
Non porterebbe alcun vantaggio alla comprensione dei fenomeni
e al da farsi, se concentrassimo tutte le nostre attenzioni
sull'Emilia-Romagna, proprio mentre le piogge aggrediscono Umbria e
Marche, appena dopo che la Liguria è stata trasformata in un dominio
subacqueo, e Calabria e Sicilia vedono l'acqua entrare nelle case.
Tutta l'Italia viene ormai alluvionata con una frequenza e una
consistenza sconosciute prima. Ma certo il caso dell'Emilia-Romagna
è comunque in qualche modo paradigmatico per diverse ragioni, a
partire da quella territoriale: una regione tra le più sviluppate
dal punto di vista economico è anche la più interessata da frane e
alluvioni, ed è difficile pensare che si tratti di un caso.
In Emilia-Romagna si è costruito come forsennati e lo si è fatto
anche nelle aree a pericolosità idraulica, quelle che andrebbero
lasciate intatte e, anzi, lentamente sgombrate da parte della
popolazione residente e dalle costruzioni. Non bastasse, la parte
orientale della regione ha visto progressivamente cancellati quei
lacerti di natura che avevano resistito al furore bonificatorio dei
nostri antenati e che, oggi, avrebbero protetto case e persone.
Non si è arrivati agli eccessi della Liguria, quella mezzaluna di
montagne e colline a picco sul mare che è stata trasformata in un
anfiteatro di asfalto e cemento perennemente sommerso e aggredito
dalle mareggiate. E non siamo nello stato comatoso di Calabria e
Sicilia, scampate solo per via della siccità alle ultime piogge, ma
teatri delle famigerate alluvioni dell'abusivismo edilizio e
dell'abbandono. Siamo in una regione moderna che produce reddito e
eccellenze, ma che non ha tenuto in alcun conto l'ambiente naturale,
ritenendo a torto che le aree di pertinenza fluviale dovessero
essere sacrificate ai capannoni industriali e alla regimentazione
coatta delle acque. Per non dire dei fiumi tombati sotto le città:
Modena e soprattutto Bologna, dove oggi ci si meraviglia
dell'esplosione del Reno e dell'Aposa, come se ci si potesse
dimenticare che per visitarli ci si deva infilare sotto terra,
perché sono stati sottratti al godimento della popolazione e
colpevolmente mutati in bombe idrauliche a orologeria.
E in Italia ci sono qualcosa come dodicimila chilometri di corsi
d'acqua seppelliti da asfalto e cemento. Non che non accada lo
stesso in Lombardia (Seveso e Lambro, per citare un esempio) o
altrove, ma il conto che la crisi climatica ci sta presentando è più
salato in Emilia-Romagna e non servirà a molto prendersela con il
cameriere che lo notifica.
Perché lo stato del territorio c'entra parecchio, ma è evidente che
il minimo comune denominatore dell'Italia alluvionata di fine
ottobre 2024 è l'accelerazione spropositata che la crisi climatica
sembra aver messo agli eventi meteorologici a carattere violento,
come ampiamente preventivato dai ricercatori specialisti già da
alcuni anni. In definitiva, queste alluvioni sono figlie delle
nostre attività produttive, un legame ormai ben delineato, visto che
la discussione sul ruolo dei sapiens, fra gli scienziati, è stata
chiusa da tempo e si riaprirà solo se emergeranno nuovi dati. Che al
momento non ci sono. Ed è questo legame che va spezzato, agendo
sulle cause, cioè azzerando le nostre emissioni climalteranti. Solo
allora potremo dedicarci all'adattamento e alla mitigazione degli
effetti, altrimenti rischiamo di adottare provvedimenti che
costeranno sacrifici, ma che non saranno risolutivi, perché, intanto
che li mettiamo in atto, le cose peggiorano.
Nei fatti, però, non riusciamo a prendere decisioni significative
per diminuire le emissioni, figuriamoci per azzerarle. Anche per
colpa dell'ignoranza diffusa e della malafede. Così, perdendoci in
polemiche sterili, non azzeriamo né ci adattiamo. E finiamo
sott'acqua.
Stiamo però affrontando la sfida della crisi climatica e del degrado
territoriale con le armi giuste? A giudicare dai risultati
sembrerebbe di no, non soltanto perché le grandi opere, la nostra
unica risposta, hanno bisogno di grandi quantità di denaro che
spesso manca, ma soprattutto perché, dove pure sono state messe in
atto, non hanno funzionato e non funzionano come ci si aspetterebbe.
Naturalmente qui non parliamo delle piccole opere, delle vasche di
espansione puntuali o della manutenzione ordinaria e straordinaria:
quelle opere occorrono, ma sapienti, puntuali e nel contesto di
interventi "dolci". Qui parliamo di grandi dighe, muraglioni di
contenimento, briglie, sbancamenti e uso fuori misura del cemento:
di quello non abbiamo bisogno perché non funziona e, anzi, peggiora
la situazione. Qui parliamo dell'invasione sistematica delle aree di
pertinenza di montagne e fiumi: non è un caso che esistano letti di
piena e di magra e che vadano rispettati entrambi. Fiumi e montagne
sono sistemi naturali, significa che più li irrigidisci e peggio
fai: un fiume lasciato libero fa meno danni, a patto di mantenersi
alla giusta distanza.
Ma l'Emilia-Romagna, come la Lombardia (più di altre realtà), ci sta
indicando che abbiamo raggiunto uno dei limiti più insormontabili
dello sviluppo economico, quello del suolo, un limite che non può
essere in alcun modo scavalcato. Semplicemente non possiamo
moltiplicare le attività produttive, gli ettari da coltivare, gli
allevamenti, le fabbriche, gli impianti e le infrastrutture, perché
nessun vivente può vivere in un contesto completamente artificiale e
perché lo sviluppo non può incrementare all'infinito su un pianeta
per definizione finito.
Il moltiplicarsi delle alluvioni ci dice che il re è nudo e rivela
che il futuro non può risiedere nelle quantità, ma, se ci riusciamo,
nella qualità. Il capitale economico è integralmente figlio del
capitale naturale, ma quest'ultimo non è rifondabile alla scala dei
tempi dell'uomo e lo stiamo consumando con un assalto
ipertecnologico degno di scopi più nobili. Dove oggi i fiumi
esondano, in passato c'erano paludi e acquitrini, cioè i territori
dell'acqua, che ritornano temporaneamente alla loro origine antica.
Solo che in mezzo ci sono le nostre vite e i nostri beni. —
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URSO E CIRIO VOGLIONO APRIRE TORINO AI CINESI ALLEATI DI PUTIN:
Erdogan e Xi da Putin al vertice dei Brics
giuseppe agliastro
mosca
L'Ucraina dice di aver attaccato una fabbrica di esplosivi e un
aerodromo militare nel cuore della Russia. Ma allo stesso tempo
sostiene che almeno 17 persone siano state ferite in un raid
missilistico su Kryvyi Rih e più di 37 mila siano rimaste senza
elettricità nella regione nord-orientale di Sumy dopo un
bombardamento delle forze russe su una «infrastruttura energetica».
La Russia da parte sua afferma di aver neutralizzato più di cento
droni ucraini nella notte e non commenta (almeno per ora) la notizia
del presunto attacco alla base aerea di Lipetsk-2, ma lascia
intendere che sia stato respinto il raid contro la fabbrica di
esplosivi Sverdlov, tra le più grandi del Paese. «I mezzi di difesa
aerea e di guerra elettronica hanno respinto un attacco di droni sul
territorio della zona industriale di Dzerzhinsk», afferma infatti
Gleb Nikitin, governatore della regione di Nizhny Novgorod,
aggiungendo però che quattro vigili del fuoco avrebbero riportato
«leggere ferite da schegge». Tutt'altra la versione di Kiev, secondo
cui «numerose esplosioni» si sarebbero registrate sia nella zona
dell'aerodromo militare sia in quella della fabbrica di esplosivi,
che è sotto sanzioni di Usa e Ue e dista ben 900 chilometri dalla
frontiera. Al momento nessuno dei due resoconti è verificabile in
maniera indipendente.
Ora che l'inverno si avvicina, aumentano i timori di Kiev per i
bombardamenti russi sulle infrastrutture energetiche, la cui rete in
Ucraina è già stata messa in ginocchio in questi anni di guerra, con
i soldati russi accusati di aver lasciato al buio e al gelo milioni
di persone.
Il presidente ucraino Zelensky intanto è tornato a chiedere ai suoi
alleati «maggiori capacità di difesa aerea» e «a lungo raggio»,
accusando i militari russi di aver lanciato la settimana scorsa
contro l'Ucraina «più di 20 razzi di vario tipo, circa 800 bombe
aeree guidate e più di 500 droni». «Un mondo unito nella difesa può
resistere a questo terrore mirato», ha dichiarato Zelensky.
La Russia da domani a giovedì ospiterà invece il vertice dei Paesi
Brics, a cui sono attesi, tra gli altri, il leader cinese Xi Jinping,
il presidente turco Erdogan e il segretario generale dell'Onu
Guterres. Un evento che servirà a Putin per cercare di smentire la
sua immagine di isolamento.
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Nuovi atti depositati al Riesame: "Ceravolo finanziò la latitanza in
Marocco di un trafficante di droga. La sorella nella ditta di
esponenti della n'drangheta"
Si aggrava la posizione del sindacalista Cisl "Da anni a
completa disposizione dei boss"
leonardo di paco
giuseppe legato
Ulteriori atti di indagine sono stati nel frattempo depositati dalla
Dda di Torino nell'ambito dell'inchiesta che ha portato in carcere –
per associazione mafiosa – il sindacalista (sospeso) della Filca
Cisl Domenico Ceravolo difeso dall'avvocato di fiducia Christian
Scaramozzino.
Si tratta di diverse annotazioni del Gico della Finanza che
raccontano ulteriori – e più datate - e contiguità con appartenenti
o contigui alla ‘ndrangheta. Gli atti sono quelli dell'inchiesta
Fenice ed emerge come Ceravolo, già cinque anni fra, incontrò a
Moncalieri il boss Antonio Serratore e Onofrio Garcea uomo di punta
della cosca Bonavota finito a processo (e condannato in via
definitiva) per voto di scambio politico mafioso con l'ex assessore
regionale di Fdi Roberto Rosso (per quest'ultimo pende Cassazione).
Nelle carte sono mappati contatti telefonici con membri di spicco
dell'organizzazione mafiosa: da Salvatore Arone a Basilio De Fina a
Nazareno Fratea tutti gente già condannata in più gradi di giudizio
a pene severe per ‘ndrangheta tutti soggetti "verso i quali –
scrivono gli investigatori nel Nucleo di polizia economica della
Finanza – Ceravolo si è sempre mostrato disponibile e reverente".
Ancora: "Ha altresì intrattenuto rapporti con Raffaele Arone, altro
esponente della 'ndrina Bonavota per il tramite dello zio, Francesco
Arone". Di più: "Dall'analisi delle conversazioni intercettate
sull'utenza in uso a Raffaele Serratore (già condannato per mafia) è
emerso come quest'ultimo sia particolarmente legato a Ceravolo il
quale, con massima dedizione, si è messo a completa disposizione".
Come? "Oltre a contattarlo quasi quotidianamente, ogni qualvolta
Serratore manifesta la necessità di essere accompagnato da qualche
parte è lui (Ceravolo ndr) che si mette immediatamente a sua
disposizione. Ceravolo – sempre secondo gli investigatori avrebbe
partecipato al finanziamento della latitanza in Marocco (dal
febbraio al dicembre 2016) di Francesco Mandaradoni "a vantaggio
del, quale – si legge agli atti – ha trasferito 1000 euro circa".
E proprio in relazione ai Mandaradoni, soggetti da sempre ritenuti
contigui alla ‘ndrina Bonavota, Ceravolo avrebbe avuto vantaggi a
ricaduta "familiare". Da ottobre 2014 a gennaio 2015 la signora
Rosanna Ceravolo "ha percepito redditi dalla "Build Up Srl, società
per quanto riscontrato dall'attività investigativa svolta dalla
Legione dei Carabinieri di Genova essere congiuntamente gestita da
esponenti della 'ndrina Bonavota".
Ancora a giugno 2022 viene intercettata una telefonata tra un membro
della famiglia D'Agostino e Ceravolo. Il primo racconta al secondo
che in un cantiere in corso a Milano si era presentato un delegato
della Uil per "fare delle tessere" sindacali. Annota la Finanza. "
Immediatamente Ceravolo ha contattato un operaio a lui vicino
invitandolo a riferire ai "ragazzi" presenti in cantiere di non
proseguire con le iscrizioni sindacali". Ciò doveva accadere, ha
proseguito D'Agostino, perché la Uil "non è un nostro sindacato".
Questa affermazione "assume rilevanza almeno per due ragioni: la
prima dimostra come i partecipi del gruppo investigato, consideri la
Filca-Cisl, all'interno della quale opera Ceravolo, come il loro
sindacato di riferimento; la seconda evidenzia come sia lo stesso
datore di lavoro ad indirizzare i dipendenti, impedendone
l'iscrizione verso altre sigle, verso il sindacato di loro
convenienza considerato che il delegato di riferimento è Domenico
Ceravolo appunto". Va ricordato che la Filca-Cisl Torino Canavese è
la federazione territoriale che è cresciuta di più nel 2023
aumentando gli iscritti di 1.061 unità e raggiungendo quota 7.839
tesserati: +16%.
In settimana, infine, all'interno della Filca torinese è previsto il
direttivo per sostituire l'attuale segretario provinciale, Mauro De
Lellis, non indagato, promosso a segretario regionale nei primi
giorni dell'inchiesta. De Lellis, come da protocollo, rassegnerà le
dimissioni dal vertice provinciale. Ma il direttivo del sindacato,
anziché eleggere la nuova segreteria, potrebbe decidere per un
periodo di reggenza. Una mossa cautelativa, che non prevede
l'azzeramento degli organismi, in attesa che si conoscano ulteriori
sviluppi sulle indagini. —
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21.10.24
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Abuso d'ufficio
"
Raffaele Cantone
"Banche dati violate, Italia a rischio sicurezza Sulla giustizia
auspico un fermo biologico"
Separazione carriere
L'uso dei Trojan
Sorteggio del Csm
Inviato a Perugia
Riforma della giustizia? «Non si avvertiva la necessità d tutte
queste modifiche, auspico un "fermo biologico" da parte
dell'esecutivo». E ancora: «Il tema delle violazioni alle banche
dati pubbliche o più in generale dei sistemi informatici pubblici, a
partire da quelli del ministero della Giustizia, si sta rivelando in
questi giorni un problema enorme, anche di sicurezza per l'intero
Paese». E poi la lotta alla corruzione che da anni connota la sua
carriera da magistrato e da ex presidente di Anac «resa molto più
complicata dalle ultime riforme», il ruolo delle Fondazioni create
dai partiti «che in molti casi finanziano in modo illecito e
surrettizio la politica». L'ufficio del Procuratore di Perugia
Raffaele Cantone è un via vai di investigatori: l'inchiesta che vede
indagati, tra gli altri, il tenente della Guardia di Finanza
Pasquale Striano e l'ex magistrato della Dna Antonio Laudati è in
corso: «Di questo ovviamente nulla posso dire» precisa.
Procuratore Cantone, non si è mai visto – o si è raramente visto -
come in questo biennio un profluvio di modifiche legislative. Erano
tutte così necessarie ?
«Effettivamente nell'ultimo periodo si sono susseguiti tanti
interventi in materia di giustizia su molti aspetti sostanziali e
processuali. Va detto, per onestà, che anche altre legislature, pure
recenti, si erano distinte per un eccesso di attivismo. Sulla
necessità ed opportunità non posso che concordare con quanto
saggiamente e felicemente ha detto la Prima Presidente della
Cassazione, Margherita Cassano».
Sarebbe a dire?
«Ha auspicato un "fermo biologico" in materia».
Abuso d'ufficio abolito. E amministratori liberi dalla paura della
firma. Quanto c'è di vero?
«È una leggenda metropolitana che la paura della firma, quella che
qualcuno chiama burocrazia difensiva, dipenda dalla norma sull'abuso
di ufficio; la paura della firma, purtroppo, invece è un fatto
esistente, ma ha ben altre e più complesse cause. Sono convinto che
anche con l'abolizione dell'abuso le amministrazioni pubbliche non
si trasformeranno in esempi di efficienza e i fatti purtroppo mi
daranno ragione».
Cosa accadrebbe alla lotta alla corruzione nell'ipotesi di un
combinato disposto tra l'abrogazione dell'abuso d'ufficio, il
ridimensionamento del traffico di influenze e la ventilata
cancellazione della Spazzacorrotti?
«Chi si occupa di indagini sa benissimo che l'abolizione dell'abuso
di ufficio renderà le indagini in materia di corruzione molto più
difficili, perché viene meno un'ipotesi di "reato spia", che può
nascondere - non sempre - fatti di corruzione. La riforma Nordio
depotenzia moltissimo anche il traffico di influenze che però è un
reato che serve a punire l'attività dei faccendieri, che nelle forme
moderne di corruzione sono coloro che fanno da tramite fra i
pubblici ufficiali corrotti ed i corruttori: l'annacquamento di
questa fattispecie rischierà di indebolire anche questo aspetto
dell'attività di contrasto».
Sono pubbliche le intenzioni di limitare anche l'utilizzo del Trojan
su indagini di corruzione.
«Non consentire il trojan per questa tipologia di reati avrà un
effetto assolutamente deleterio».
Forse qualcuno crede ancora che corrotti e corruttori parlano
liberamente al telefono?
«Ma si figuri. La corruzione è un reato commesso da persone con un
certo livello di cultura e di attenzione, che al telefono parlano
pochissimo e che non lo utilizzano per scambiarsi favori e mazzette;
pensare che possano bastare le sole intercettazioni telefoniche è
quantomeno un'ingenuità».
Dall'inchiesta della procura di Genova sulla politica è emerso un
tema molto delicato legato alle Fondazioni che i politici creano per
finanziare la campagna elettorale. Un sistema trasparente?
«Le Fondazioni create a latere dei partiti nascono con nobili
finalità culturali e di promozione di idee politiche ma in molti
casi diventano un modo per finanziare in modo illecito e surrettizio
la politica. La legislazione, pur con le novità timide introdotte
dalla "Spazzacorrotti", non è in grado di garantire la trasparenza
dei finanziamenti e paradossalmente questa situazione fa danno anche
a quelle Fondazioni che vogliono fare davvero politica e non
raccattare denaro».
Ha ragione il presidente dell'Anticorruzione Busia a invocare una
nuova legge sul conflitto di interessi?
«Ha assolutamente ragione; il conflitto di interessi è l'anticamera
della corruzione: per troppi anni abbiamo pensato che riguardasse un
unico politico e cioè un importante imprenditore; in realtà i
conflitti di interesse nelle amministrazioni pubbliche sono tanti e,
ad oggi, non ci sono strumenti adeguati per rimuoverli».
Stop alle intercettazioni dopo 45 giorni. Anche questa era una
misura impellente per un miglior funzionamento della giustizia? E
cosa c'entra coi diritti degli indagati?
«Credo che sia una riforma sbagliata, malgrado le eventuali buone
intenzioni che la animano; concordo che le intercettazioni non
devono avere tempi lunghissimi, ma fissare un limite per legge non è
una buona idea; vediamo come sarà scritta la norma».
Quanto eventuali limitazioni all'accesso ai cellulari degli indagati
(ddl sui sequestri) avrebbe impattato sull'indagine che sta portando
avanti come procuratore di Perugia insieme al suo ufficio?
«Dell'indagine nulla posso dire ma mi faccia dire che il tema delle
violazioni alle banche dati pubbliche o di interesse pubblico o più
in generale dei sistemi informatici pubblici, a partire da quelli
del ministero della Giustizia, si sta rivelando in questi giorni un
problema enorme, anche di sicurezza per l'intero Paese. Bisogna sul
punto dare atto che fra le tante leggi criticabili il Parlamento ha
varato una buona riforma dei reati informatici, attribuendo il
coordinamento delle indagini alla Procura Nazionale antimafia. Un
plauso meritato, quindi».
Sostiene il ministro che «la madre di tutte le riforme è la
separazione delle carriere ».
«Io sono assolutamente contrario; la riforma fra l'altro di cui si
discute non prevede la separazione delle carriere ma molto di più e
cioè la separazione delle magistrature e paradossalmente renderà il
pm più forte e molto più autoreferenziale, ma anche molto più a
rischio di essere influenzato da scelte della politica. Mi auguro
che su questa riforma vi sia la giusta riflessione, perché si
rischia di stravolgere l'impianto costituzionale».
Ritiene verosimile anche lei – come alcuni suoi colleghi – che «il
vero obiettivo di pezzi di questo esecutivo sia sottomettere (ad
esso) i pm e abolire l'azione penale obbligatoria»?
«Sono rischi concreti che vanno assolutamente scongiurati; certi
principi rappresentarono nel 1946 i capisaldi di una Costituzione
democratica e restano ancora oggi pienamente validi».
L'avviso di arresto, così ribattezzato dalla norma sul
"contraddittorio anticipato" sta svelando alcune fragilità.
«È una riforma che non potrà reggere; nella prima attuazione ci sta
creando problemi seri non tanto per i reati contro la pubblica
amministrazione ma per quelli che riguardano la sicurezza pubblica:
i furti e lo spaccio di droga; in una realtà come Perugia in cui
questi reati sono appannaggio di soggetti senza fissa dimora o che
non sono della zona l'interrogatorio preventivo rischia di rendere
l'eventuale misura successiva inutile, perché gli indagati si danno
alla fuga. Il governo ha promesso che monitorerà gli effetti e mi
auguro, se necessario, che torni davvero sui propri passi».
Capitolo sorteggio/Csm. Il ministro Nordio lo considera «l'unico
modo per dare alla magistratura indipendenza e autonomia». E cita la
Corte d'Assise «composta per la maggioranza da giudici popolari
sorteggiati». ...
«È un ragionamento che faccio fatica a credere possa aver fatto un
giurista raffinato come il collega Nordio; cosa c'entra la Corte di
assise, i cui componenti dovranno partecipare ad un processo per un
tempo relativo, con il Csm chiamato ad gestire la vita professionale
e le carriere dei magistrati? Questa norma mi pare solo punitiva per
la magistratura e vorrei che si capisse che qualcuno, in futuro,
raccogliendo questo precedente potrà chiedere che anche il
Parlamento venga scelto a sorteggio»
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Progetti energetici finti e finanziamenti veri Il tesoro era in un
box di corso Giulio Cesare
Banche truffate e soldi investiti nei lingotti d'oro In 50 a
processo
ludovica lopetti
Hanno messo a segno truffe milionarie ai danni del Gse (Gestore dei
servizi energetici) e dei maggiori istituti di credito italiani (Bpm,
Montepaschi e Ubi banca, solo per citarne alcune) grazie a una
galassia di società fantasma che sono riuscite a ottenere erogazioni
pubbliche, prestiti bancari e crediti fiscali per decine di milioni
di euro.
Per "ripulire" i proventi delle truffe, poi, hanno acquistato
centinaia di lingotti d'oro, in parte stivati in un box di corso
Giulio Cesare insieme a 600mila euro in contanti. E ancora,
avrebbero aperto conti correnti nell'Est Europa e nei paradisi
fiscali e portafogli "crypto" su cui far transitare il denaro
sporco.E sullo sfondo compaiono imputati già coinvolti in indagini
legate alla 'ndrangheta calabrese.
Un meccanismo che ha iniziato a vacillare quando i finanzieri, a
fine gennaio 2019, hanno trovato il box e ne hanno sequestrato il
contenuto. A quel punto Elio Miegge, Luca Villata, Simone Marietta e
Luca Pifferi, che la Procura considera «capi e organizzatori» di una
vasta e radicata associazione a delinquere, hanno cercato di fuggire
in Svizzera grazie alla complicità di un faccendiere, ma sono stati
fermati dai carabinieri con la valigia in mano.
Oggi i quattro colletti bianchi sono finiti a processo insieme ad
altre 48 persone (difese, tra gli altri, da Guido Anetrini e Luigi
Chiappero) con accuse che vanno dal riciclaggio alla frode, tutti
reati commessi, in ipotesi, nella cornice associativa. Alla sbarra
ci sono imprenditori, commercialisti e "teste di legno", ma anche
soggetti già noti alle cronache come Crescenzo D'Alterio, imputato
nel processo sulla presunta infiltrazione della 'ndrangheta
nell'impresa che gestiva il bar del Palagiustizia, e Pasquale Motta,
condannato in via definitiva a 6 anni per aver riciclato il denaro
della cosca Pensabene in una rsa di Favria.
L'udienza preliminare si è aperta nei giorni scorsi con le
costituzioni di parte civile: hanno chiesto di partecipare al
processo, in veste di danneggiati, il Gse (interamente partecipato
dal Mef), Unicredit, Banca Ifis, Leasys spa, Banca Progetto, Credem,
Banca Sella e altre.
Le indagini, coordinate dal pm Ruggero Crupi e affidate a
Carabinieri e Guardia di Finanza, hanno scoperto decine di società
(tra le altre, FS srls, Progest Key srls e la Omnia Energy srls)
intestate a prestanome o a identità di fantasia come "Paolo
Locatelli" o "Elisa Girotti", che presentavano al Gse documenti da
cui risultava l'esecuzione di falsi lavori di efficentamento
energetico. Il gestore erogava i "certificati bianchi" (titoli di
risparmio energetico) e le società li monetizzavano mettendoli in
commercio. Gli amministratori delle ditte poi trasferivano il denaro
all'estero fatturando compensi per prestazioni mai eseguite. Lo
stesso metodo sarebbe stato usato per raggirare le banche: le
società presentavano credenziali solide e ottenevano finanziamenti
da centinaia di migliaia di euro, garantiti per metà dal Ministero
dello Sviluppo. Poi i gestori di fatto trasferivano il bottino
all'estero e ne facevano perdere le tracce. Ma lo schema sarebbe
stato replicato anche con auto prese a leasing, mai restituite e
spedite in Lituania e Bulgaria.
Nell'ambito della stessa inchiesta, nel 2019, era finita sotto
sequestro anche l'Hamburgheria di Eataly dell'outlet di Settimo
Torinese (Eataly estranea ai fatti), che faceva capo a una società
(la Opera srl) gestita di fatto dal sodalizio e, nell'ipotesi della
procura, sarebbe stata utilizzata - emerge dagli atti - per
reinvestire i proventi delle maxi-truffe nell'economia legale. —
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In Vaticano la canonizzazione del beato nato nel 1851. Nel 1996 il
miracolo in Amazzonia: la guarigione di un indigeno aggredito da un
giaguaro
Oggi il Papa proclama Santo Allamano A Torino fondò le Missioni
della Consolata
domenico agasso
Giuseppe Allamano e il suo motto di vita «fare bene il bene» salgono
agli altari della Chiesa universale. Stamattina papa Francesco
proclama Santo il fondatore delle Missioni della Consolata. Il
sacerdote, nato a Castelnuovo Don Bosco il 21 gennaio 1851 e morto a
Torino il 16 febbraio 1926, annoverato nella schiera dei «santi
sociali» piemontesi, è beato dal 1990 per volere di Giovanni Paolo
II. E oggi è di nuovo festa in piazza San Pietro e a Torino, dove
Allamano fu rettore del Santuario della Consolata dall'età di 29
anni.
Il Canonico è nipote di un altro santo carissimo alla Città della
Mole, Giuseppe Cafasso; ed è concittadino di san Giovanni Bosco.
Ordinato prete 22enne, sette anni dopo è Rettore anche del Convitto
ecclesiastico per i neo-sacerdoti.
Come ricorda l'arcivescovo di Torino, il cardinale designato Roberto
Repole, la missione dell'Istituto che ha fondato partì «dall'amato
Santuario della Consolata e oggi è diffusa in tutto il mondo, dove i
missionari e le missionarie della Consolata continuano a
testimoniare la fede, spesso in condizioni di povertà materiale e
spirituale».
Tutto inizia da un'osservazione che turba Allamano: molti giovani
preti desiderosi di diventare missionari vengono ostacolati dalle
diocesi, che alle missioni preferiscono mandare soldi piuttosto che
risorse umane. Il Canonico decide di creare un Istituto di
missionari. Il suo progetto deve attendere dieci anni, tra vari
contrattempi Oltretevere. Ottiene il via libera nel 1901. Nel 1902
parte la prima spedizione: direzione Kenya. Otto anni più tardi
Allamano dà origine anche alle Suore Missionarie della Consolata.
Il fondatore nel 1912, sostenuto da altri leader cattolici,
sottopone a Pio X l'ignoranza dei fedeli riguardo alla missione, un
vuoto causato spesso dalla sottovalutazione che serpeggia nei Sacri
Palazzi. Denuncia, e propone: una Giornata missionaria annuale.
L'idea di Allamano resta in un cassetto vaticano. Fino al 1927,
quando Pio XI istituisce la Giornata missionaria mondiale, che si
celebra proprio oggi.
Il miracolo che conduce il Canonico alla santità è del febbraio
1996: l'insperata guarigione di Sorino Yanomami, indigeno
dell'Amazzonia, attaccato da un giaguaro che gli ha provocato gravi
ferite al cranio. Commenta Corrado Dalmonego, missionario della
Consolata, antropologo, in servizio tra il popolo Yanomami, nel nord
del Brasile: «È come se Allamano ci dicesse "io ho interceduto ma
adesso, qual è la condizione dei popoli indigeni?"». Nella terra
dove si è verificato «il prodigio sta avvenendo una seconda corsa
all'oro, un aumento esponenziale di sfruttamento minerario illegale,
legato ai narcos, al traffico di armi, con 20 mila cercatori d'oro
su una popolazione di 33 mila persone». Oltre a «disboscamento,
devastazione della foresta, contaminazione di acque e terre, si
assiste a un deterioramento delle condizioni di salute della
popolazione».
C'è urgente bisogno di «fare bene il bene».
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20.10.24
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Ostaggi
dell'
acqua
Mario Tozzi
Se non ci lasciamo abbagliare dal solo Po che esonda in
centro a Torino, e che ci sembra quasi famigliare, le immagini che
provengono dalla Liguria destano incredulità anche negli osservatori
più attenti. Ma, a guardare bene, si tratta sempre, e ancora una
volta, della stessa identica modalità. Paesi e cittadini incastrati
nei thalweg fluviali quasi interamente sommersi da una massa d'acqua
marrone in costante flusso verso mare. Non importa se si tratti di
Savona o Genova, di Sori o di Alassio, tutto finisce rapidamente
sott'acqua. E non dovrebbero destare alcuna incredulità, perché
tutto è, ed era, largamente prevedibile, a partire dalla situazione
meteorologica. La "depressione del Golfo di Genova" si studia sui
libri di scuola media superiore ed era, una volta, caratteristica di
quella regione specifica e di quella stagione. Oggi è diventata più
profonda, si genera a contatto di acque sempre più calde, dura più a
lungo e investe aree sempre più vaste, fino alla Toscana e oltre.
Portando peraltro con sé un corredo di fenomeni correlati che vanno
dalle trombe marine ai veri e propri tornado nostrani, tanto che si
parla ormai apertamente di Medicanes, uragani mediterranei.
Perché le cose sono cambiate negli ultimi trent'anni, almeno a
partire dall'alluvione di Serravezza (1996), forse la prima nostrana
da ascrivere alle flash flood, le alluvioni improvvise, che
costringono ad evacuare quantità impensabili di acqua in pochissimo
tempo su aste fluviali relativamente corte. Senza per questo che
siano scomparse le alluvioni "tradizionali" del Nord Italia, quelle
che un tempo permettevano di aspettare in vigile attesa la piena
dopo che il Po aveva caricato piogge, neve e acque di fusione dei
ghiacciai dal Monviso a Pontelagoscuro: il fiume esondato a Torino
ci rammenta che anche le grandi città corrono rischi, pure se ben
munite di argini in pietra.
Ma, stante la situazione meteorologica mutata, da noi la differenza
la fa lo stato del territorio che in Liguria è agghiacciante: a
fronte della struggente bellezza paesaggistica, la regione agonizza
soffocata da un mare di cemento e asfalto che l'hanno resa
impermeabile preda delle acque dilavanti. Non c'è quasi un borgo,
una città o una singola abitazione che non sia costruita in aree di
pericolosità idraulica o franosa: ci siamo illusi che i fiumi
fossero limitati alle loro acque e non al complesso del loro
vastissimo letto, abbiamo tombato interi corsi d'acqua sotto strade
e palazzi, abbiamo privato le colline delle foreste di lecci,
naturale difesa, e le abbiamo sostituite con uliveti e vigne che,
però, abbiamo successivamente abbandonato, con il corredo degli
straordinari muretti a secco oggi impossibilitati a contenere
alcunché. E non è un problema di manutenzione, o pulizia degli
argini, dragaggio degli alvei o nuove opere, tutte operazioni che
servono solo per calmare la popolazione, non ottenendo alcun
risultato ai fini della mitigazione del rischio e, anzi, spesso
incrementandolo.
Non è un fenomeno nuovo, se è vero, come è vero che già Italo
Calvino scriveva della "rapallizzazione", cioè dello "stravolgere a
fini speculativi l'assetto edilizio e urbanistico dei piccoli centri
urbani, in spregio a ogni criterio di pianificazione e alla tutela
dei valori paesaggistici" (Treccani). Ma negli ultimi decenni ha
conosciuto un nuovo vigore, che è arrivato perfino a leggi regionali
che acconsentono le costruzioni a ridosso dei corsi d'acqua, in
spregio a ogni normativa nazionale. Una bulimia costruttiva schiava
del dio denaro che dimentica bellezza, qualità della vita e
paesaggio.
Ma quelle immagini debbono necessariamente essere lette assieme a
quelle della stazione ferroviaria di Siena ridotta a un canale e a
quelle analoghe che vengono dalla Francia meridionale, dove in 48
ore sono caduti fino a 870 mm di pioggia: la quantità che, in
passato, cadeva in una decina di mesi. O a quelle provenienti da
tutto l'emisfero boreale, dalla Biblioteca Nazionale di Spagna a
Monterrey si va senza sosta sott'acqua e si muore: quasi duemila
vittime per queste "nuove" inondazioni. Che andrebbero sommate a
quelle delle regioni che sono, invece, tormentate dalla siccità,
come la Sicilia, una siccità che, altrove, uccide. Perché si tratta
delle due facce della stessa medaglia, quella della crisi climatica
più acuta e più accelerata e globale che i sapiens abbiano mai
subito. E dell'unica che hanno essi stessi creato, prelevando il
carbonio sotterrato nei combustibili fossili, bruciandolo e
spargendolo allegramente in atmosfera in aggiunta ai cicli naturali
che, senza questo contributo, funzionavano egregiamente
all'equilibrio.
Ora, però, tutti i nodi stanno venendo rapidamente al pettine e, per
citare due conseguenze a scala globale, le correnti oceaniche
dell'Atlantico viaggiano verso il collasso, fenomeno che potrebbe
portare, tra l'altro, a celle di tempesta anche fredde nell'emisfero
boreale, come anni fa descritto da un film visionario (The Day after
Tomorrow, di R.Emmerich 2004) e come paventato addirittura dal
Pentagono già dall'inizio degli anni Duemila (Dough e Randall 2007).
O come il fatto che i serbatori naturali di carbonio, che hanno
assorbito CO2 in questi secoli e millenni (foreste e territori
vergini) lo scorso anno non ne abbiano assorbita affatto, preludendo
a un'accelerazione del riscaldamento globale fuori dalla nostra
possibilità di previsione (il collasso dei serbatoi naturali di
carbonio non veniva, in genere, messo nel conto della crisi
climatica). In questa situazione ogni tentativo di adattamento
(termine oggi molto alla moda per nascondere il fatto che non c'è
alcuna volontà politica di intervenire) risulterà fatalmente
inutile, se non verranno prese draconiane misure per azzerare le
nostre emissioni clima alteranti, misure di cui non si vede alcun
profilo all'orizzonte.
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L'hacker che spiava le mail dei giudici "Aveva le password di 15 pm
torinesi"
giuseppe legato
Perché detenesse gli indirizzi mail con relative password del
dominio giustizia.it di tutti quei magistrati (46) in servizio in
diversi uffici giudiziari italiani è comprensibile solo in parte. E
cioè – per una quota - con il tentativo di "bucare" le
corrispondenze elettroniche dei pm che stavano indagando su di lui
(Gela e Napoli in testa). Per acquisire eventuali atti investigativi
che lo riguardavano. Non è ancora noto però – anzi è un giallo - il
motivo per cui Carmelo Miano, 24 anni, originario di Sciacca (Ag),
l'hacker arrestato dalla procura di Napoli alcuni giorni fa,
detenesse nel suo pc anche gli indirizzi mail e relative password di
15 magistrati della procura di Torino.
Non avrebbe effettuato accessi al contenuto delle caselle, ma
riuscendo a bucare le password avrebbe comunque potuto farlo in
qualsiasi momento.
Così «nella serie indefinita» - scrivono i pm di Napoli – di
magistrati colpiti dall'attacco informatico figurano i nomi di un
terzo dell'organico della procura di Torino. Sono contenuti
un'informativa agli atti dell'indagine. Si tratta del procuratore
Giovanni Bombardieri, di Marco Gianoglio, il capo del pool che
indaga contro i reati economici, Cesare Parodi a capo del settore
Fasce Deboli, Enrica Gabetta "Aggiunto" che guida 8 sostituti nel
contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione. Ma ci sono
anche i pm Gianfranco Colace, Mario Bendoni, Giovanni Caspani,
Vincenzo Pacileo, Paolo Cappelli, Chiara Canepa, Elisa Buffa, Delia
Boschetto, Lisa Bergamasco, Emilio Gatti , Patrizia Caputo e Ruggero
Crupi.
A Napoli riflettono sulla possibilità che Miano non abbia agito,
come ha sostenuto davanti al gip nell'interrogatorio di garanzia,
solamente per conoscere i fascicoli d'indagine che lo riguardavano.
Piuttosto «il possesso di documenti relativi all'architettura
informatica di infrastrutture della Gdf e della Polizia di Stato;
gli accessi abusivi ai sistemi telematici di uffici di Polizia di
Stato – che nulla hanno a che fare con le indagini sull'indagato –
appaiono elementi oggettivi che stridono con le dichiarazioni e con
la versione sostenuta da Miano nell'interrogatorio». Ergo l'idea è
che «possedendo Miano wallet contenenti criptovalute convertite per
alcuni milioni di euro,» si possono intravedere «finalità di
profitto connesse agli accessi e alle gestioni di dati, e che allo
stato non possono far escludere l'esistenza di committenti o
destinatari di dati e documenti sensibili esfiltrati». E negli esiti
della perquisizione avvenuta lo scorso 1 ottobre «è stato
riscontrato che. in più occasioni, Miano aveva prelevato dai sistemi
della rete del Ministero della Giustizia il database relativo a
tutti gli utenti di dominio (inclusi dunque i magistrati di tutta
Italia), contenente le userame con le relative password, sebbene
queste ultime memorizzate in forma di hash un codice alfanumerico
non reversibile se non tramite specifici attacchi».
Secondo l'avvocato Gioacchino Genchi, legale dell'indagato «la
circostanza che Miano avesse nel suo computer gli account e le
password di 40 magistrati, fra cui alcuni pubblici ministeri delle
procure di Torino, di Firenze e di Perugia è assolutamente priva di
alcuna significatività. Piuttosto – aggiunge - bisognerà considerare
a quale di queste caselle email e pec Miano abbia effettivamente
acceduto e a quali no. Sicuramente non è acceduto a quella dei
magistrati di Perugia, di Firenze e di Torino, che nell'informativa
depositata alla vigilia del riesame sembrano tirati apposta per i
capelli, nello strenuo tentativo di tenere le indagini a Napoli». —
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19.10.24
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Agente segreto sotto copertura si infiltra nei narcos: 13 arresti
ludovica lopetti
Il 31 ottobre 2023 sono stati i cani antidroga a guidare i
finanzieri alla meta. In un deposito in via Cirenaica hanno trovato
386 chili di hashish. Una montagna di droga già suddivisa in due
milioni e 486 mila dosi singole pronte a finire sul mercato, per
undici milioni di euro. In tutto gli investigatori coordinati dalla
Direzione distrettuale antimafia hanno sequestrato 800 chili di
stupefacente, anche cocaina. Ma è il retroscena dell'indagine che
evoca la sceneggiatura di una serie tv. A stanare i narcos ha
contribuito un agente sotto copertura, che per anni si è dedicato a
quello che in gergo si chiama "money pick up". «Il funzionario -
spiega il gip nell'ordinanza che ha portato in carcere 13 persone
per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga - è
riuscito a infiltrarsi nel sistema dei "prelevatori" dei contanti,
ottenendo la consegna del denaro proveniente dai gruppi dediti al
traffico di stupefacenti».
L'agente tra maggio e agosto del 2020, solo a Torino ha preso in
consegna borsoni di contanti per un milione e mezzo di euro. Il
denaro sarebbe dovuto finire in Colombia, a saldo delle partite di
hashish e cocaina che il «cartello criminale» aveva acquistato a
credito dai narcos sudamericani. L'indagine è partita a Trento, dove
la procura stava investigando sulla lavanderia di denaro che si
reggeva sui "trasferitori" in contatto con il cartello colombiano.
Intermediari incaricati di gestire i pagamenti senza lasciare
traccia si inventavano passaggi tortuosi in grado di schermare la
provenienza illecita dei soldi. Quando la procura torinese ha
ricevuto gli atti, ha fatto mettere sotto controllo i telefoni dei
sospettati che avevano portato i borsoni all'agente in incognito.
Così sono risaliti a due diversi gruppi, organizzati con auto dal
doppio fondo, camion, criptofonini e magazzini dove stoccare e
lavorare la merce. Per i pm Dionigi Tibone e Laura Ruffino il primo
sarebbe capeggiato dal marocchino Hicham Boussen, 45 anni, difeso da
Alessandro Gasparini. Conterebbe su nove "partecipi" - difesi, tra
gli altri, dall'avvocato Giuseppe Spataro - con compiti vari:
approvvigionamento, trasporto e smercio al dettaglio. A capo
dell'altro gruppo ci sarebbe il connazionale Salah Lemaaoui, 49
anni, difeso da Cosimo Palumbo. L'unico gregario identificato è
latitante. Il terzo non è mai stato identificato. Gli investigatori
hanno captato la sua voce al telefono e lo hanno visto all'opera
durante gli appostamenti, ma è sempre sfuggito. Per i soggetti
ritenuti «capi e promotori» che hanno scelto il giudizio abbreviato,
la procura ha chiesto fino a 18 anni di carcere. Per quelli che
hanno scelto il dibattimento si profila un acceso dibattito, perché
il numero minimo per contestare il reato associativo è di tre
persone. Ma il terzo partecipe forse è un "fantasma".
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18.10.24
-
"La salute non è soltanto un costo Si raddoppi il prezzo delle
sigarette"
Silvio Garattini
Le liste d'attesa
Le medicine
"
FRANCESCO MOSCATELLI
MILANO
«Per la sanità il governo non sta facendo quello che potrebbe fare.
Però è facile criticare l'esecutivo in carica. In realtà tutti i
governi che si sono succeduti in Italia si sono mossi considerando
la salute una spesa invece che un investimento. Lo stesso accade con
la ricerca o l'istruzione: vengono considerate un costo, mentre sono
un investimento. Purtroppo chi governa guarda più ai voti che agli
interessi del Paese». Silvio Garattini, 95 anni, fondatore e
presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di
Milano, scienziato e allo stesso tempo combattivo difensore del
diritto alla salute, si concentra sulle responsabilità della
politica senza però dimenticare che «tutto dipende dai cittadini,
perché se tutti andassimo a votare probabilmente avremmo anche
politici migliori».
Professor Garattini, il sindacato dei medici ospedalieri annuncia
barricate contro la finanziaria. Qual è il suo giudizio?
«Se i numeri sono quelli che sto leggendo in queste ore i fondi
previsti dalla manovra per la sanità sono pochi. Soprattutto se
guardiamo a quanto spendono gli altri Paesi. A mio parere il
problema principale è che non possiamo continuare a mantenere gli
stipendi dei medici, degli infermieri e più in generale del
personale del Servizio Sanitario Nazionale ai livelli attuali. Sono
fra i più bassi d'Europa e questo comporta il passaggio al privato,
dove le retribuzioni sono migliori, o il trasferimento all'estero. E
poi c'è il tema disuguaglianze, strettamente collegato alla
questione liste d'attesa».
Perché le disuguaglianze aumentano le liste d'attesa?
«Oggi chi paga può avere visite e analisi rapidamente rivolgendosi
ai privati, sempre più spesso attraverso le assicurazioni. E dato
che le assicurazioni hanno la priorità, le liste d'attesa per chi
non può pagare si allungano. È un'ingiustizia che non possiamo
tollerare perché la nostra Costituzione dice che il Paese tutela la
salute di tutti, non solo di chi può permetterselo».
Come si possono ridurre le liste d'attesa?
«Ci sono cose che si devono risolvere nel tempo perché ci sono liste
d'attesa per troppe malattie evitabili. Promuovere la prevenzione,
ad esempio, è il modo più efficace per ridurle. Intervenendo su
fattori come fumo, alcol, droga, attività fisica e sovrappeso, si
diminuiscono anche gli accessi al Servizio Sanitario Nazionale. Solo
così si inverte la tendenza all'aumento dei costi. Per creare
prevenzione, però, serve una rivoluzione culturale. Eppure i
dirigenti della sanità, invece che uscire da una scuola ad hoc, che
in Italia non esiste, continuano a essere scelti e nominati dalla
politica».
Cosa si può fare, invece, nel breve periodo?
«Se ci fossero davvero le case di comunità, ovvero luoghi in cui
venti o trenta medici di medicina generale lavorano insieme, ci
sarebbero meno liste d'attesa. Le case di comunità, però, per ora
esistono davvero solo nelle leggi».
Il problema è sempre lo stesso: la scarsità delle risorse…
«Non condivido questa idea. Trovare i soldi per la sanità sarebbe
facile. Per cominciare si dovrebbe rivedere il prontuario
terapeutico dei farmaci sul quale non si interviene da trent'anni.
Noi paghiamo un sacco di soldi per farmaci che sono inutili o che
sono in sovrabbondanza».
Faccia qualche esempio...
«Perché dobbiamo avere 70 farmaci anti-diabete? Se facessimo dei
confronti e scegliessimo i più efficaci potremmo averne molti meno.
Per trovare i soldi poi si potrebbe raddoppiare il costo delle
sigarette. Oggi da noi è il più basso d'Europa. In Francia un
pacchetto costa 12 euro, in Gran Bretagna 10 sterline».
Non sarebbe una misura impopolare?
«Raccoglieremmo miliardi di euro per la sanità. Anche perché dodici
milioni di fumatori incidono tantissimo sul Servizio Sanitario
Nazionale: abbiamo costi elevati per malattie che senza fumo
sarebbero evitabili. Lo chiediamo da vent'anni. Idem per l'alcol».
Cosa propone?
«L'alcol è un altro fattore cancerogeno. Non si capisce perché non
si fanno i festival delle sigarette ma si fanno quelli del vino. Non
si fa niente di ciò che servirebbe davvero alla salute. La sanità è
diventata un grande mercato. In Italia abbiamo 4,5 milioni di
persone con diabete di tipo 2 e 180 mila morti all'anno per tumore.
Il 40% di queste patologie sarebbe evitabile. Basta volerlo». —
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UN REAGALO IMMOTIVATO: TFR
Con silenzio assenso destinato ai fondi
9,7 milioni
Addio al Tfr? Fra le misure delle manovra, c'è l'introduzione di un
semestre di silenzio-assenso per destinare il trattamento di fine
rapporto dei lavoratori ai fondi di pensione integrativa (una strada
già tentata nel 2007). La proposta, partita dal ministro del Lavoro
Marina Calderone, aveva sul tavolo due ipotesi. La prima: conferire
obbligatoriamente e automaticamente ai fondi pensione una fetta del
Tfr – nella misura del 25% – di tutti i lavoratori o solo dei
neoassunti. In alternativa, affidarsi a un meccanismo su base
volontaria (opzione più gradita ai sindacati). Stando all'ultimo
rapporto dell'Inps, l'ammontare di Tfr/Tfs accantonato è di 9,7
miliardi per i dipendenti pubblici mentre per il settore privato
sfiora i 6,9 miliardi. Senza contare le piccole imprese che non lo
versano alla tesoreria Inps (l'obbligo scatta dai 50 dipendenti in
su) e che, anzi, hanno nel Tfr un'importante leva finanziaria.
Secondo la relazione annuale Covip, oggi sono iscritti alla
previdenza complementare 9,7 milioni di lavoratori italiani: solo il
36,9% della forza lavoro.
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UN GOVERNO DELIGITTIMATO : Banche
I conti che non tornano
gianluca paolucci
«Aspettiamo di vedere il testo». All'indomani dell'annuncio del
governo sul «contributo» di banche e assicurazioni alla manovra, nel
mondo finanziario prevale la cautela. L'Abi (Associazione bancaria
italiana), che in mattinata ha riunito il comitato esecutivo con
all'ordine del giorno anche l'analisi della manovra, ha fatto sapere
che si esprimerà solo «quando sarà possibile esaminare
l'articolato». Perfino i commenti delle banche d'affari, che in
mattinata sottolineavano l'impatto sostanzialmente neutro della
misura, dopo le parole del ministro Giorgetti e dopo la diffusione
del testo del Documento programmatico di bilancio (Dpb) hanno virato
su un approccio più cauto: «Aspettiamo di vedere il testo». Una
cautela che si è riflessa nell'andamento dei titoli del settore in
Borsa: partenza in buon rialzo, flessione decisa durante la
conferenza stampa del ministro dell'Economia, quando Giorgetti ha
chiarito di ritenere «sacrifici» quelli chiesti al sistema bancario,
lenta ripresa e chiusura poco mossa. Se Giorgetti e il viceministro
Maurizio Leo hanno chiarito che i 3,5 miliardi di maggiori introiti
riguardavano banche e assicurazioni e non solo le banche, il testo
del Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles nella
tarda serata di martedì racconta un'altra storia.
Secondo le tabelle allegate al Dpb, l'impatto della misura -
calcolato sul pil reale del 2024 - sarà pari a zero per quest'anno,
di circa 3,1 miliardi nel 2025 (quando si vedranno i suoi effetti in
termini fiscali) e negativo per 1,35 miliardi e 1,75 miliardi
rispettivamente nel 2026 e 2027. In sostanza, un anticipo di cassa
che sarà restituito dallo Stato nei due anni successivi. Questa
cifra comprende, hanno spiegato Giorgetti e Leo, il contributo delle
imprese assicurative quantificato in conferenza stampa in un
miliardo di euro. Anche in questo caso - come nel caso delle banche
-, per quanto noto dovrebbe trattarsi di un anticipo: l'imposta
prevista per alcuni tipi di polizze alla scadenza viene adesso
spalmata anno per anno. Numeri diversi da quelli citati in
conferenza stampa, che hanno causato un certo spaesamento anche
negli uffici studi delle grandi banche. Tolto il miliardo a carico
delle assicurazioni, per le banche l'anticipo sarebbe di circa 2
miliardi. Inferiore ai 2,5 miliardi citati in conferenza stampa ma
concentrati in una unica annualità, il 2025 appunto. E non spalmati
su due anni. «Per ora ci atteniamo ai numeri citati dal ministro»,
dice in serata un analista.
Gran parte dei due miliardi a carico delle banche viene dalle
cosiddete Dta, i crediti fiscali differiti, accumulatisi nei bilanci
bancari nella stagione delle svalutazioni miliardarie per effetto
della vendita delle sofferenze. Nei primi cinque gruppi bancari,
questi crediti fiscali ammontano a 30,5 miliardi di euro, un bel
tesoretto, che in questa stagione di ricchi utili servono ad
abbattere il carico fiscale. Secondo le stime della Fabi, le minori
deduzioni previste dalla manovra valgono 780 milioni per Unicredit e
913 per Intesa Sanpaolo. Una parte più piccola del contributo,
inferiore ai 100 milioni, dovrebbe arrivare invece dalla sospensione
degli sgravi fiscali sulle stock option. Anche in questo caso serve
il condizionale, perché i testi normativi non ci sono ancora.
Sta di fatto che nel documento di 38 pagine inviato a Bruxelles non
mancano le curiosità. L'impatto sul pil della manovra, ad esempio, è
stimato nello 0,3%. La spending review, nella forma della revisione
della spesa dei ministeri, avrà un impatto positivo per 3,3 miliardi
tra il 2024 e il 2026, nel 2027 rappresenterà un costo di circa 800
milioni. —
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BITCOIN=RICICLAGGIO ma PAOLO ARDOINO L'ad di Tether: "È una misura
che colpisce soprattutto i giovani e le startup delle criptovalute"
" L'aumento delle tasse su Bitcoin è un errore Farà scappare
dall'Italia cervelli e capitali"
Paolo Ardoino
Arcangelo Rociola
«La decisione del governo di portare le tasse sulle rendite da
Bitcoin al 42% è illogica e pericolosa. Colpirà soprattutto i
giovani e le aziende italiane nate in questo settore. Avrà un unico
effetto: aumenterà la fuga di capitali e di cervelli dal nostro
Paese». Nel mondo delle criptovalute, Paolo Ardoino è probabilmente
l'italiano più celebre. È fondatore e guida di Tether, azienda
dietro una valuta digitale dal valore stabile e ancorata al dollaro
che vanta una capitalizzazione di 119 miliardi. Muove ogni giorno 53
miliardi di transazioni e solo nella prima metà del 2024 ha generato
5,2 miliardi di utili. Che giudizio dà alla decisione del governo?
«È una scelta sbagliata, illogica e senza precedenti. Da italiano mi
ferisce. Tassare le rendite più di tutte le altre è il culmine di
una guerra al settore che va avanti da 10 anni».
Perché illogica?
«In conferenza stampa il viceministro Leo ha detto ai aumentano le
tasse sulle rendite perché Bitcoin è diventato uno strumento più
popolare. Cioè il principio è: visto che aumentano i suoi
possessori, portiamo le tasse di chi li possiede dal 26% al 42%. È
miope e pericoloso».
In Italia si stima che i possessori di cripto siano 2,5 milioni, per
circa 2,5 miliardi. Chi sarà più colpito?
«I giovani, che sono la stragrande maggioranza dei possessori. A
loro si sta dicendo che l'Italia tassa un'innovazione e la tassa più
di altre cose. Questo scoraggerà ulteriormente chi vuole fare
innovazione e creare aziende tecnologiche».
Molti sui social dicono di voler lasciare l'Italia.
«Non lo faranno tutti, ma molti penso di si. E poi sia chiaro, chi
lascerà l'Italia sono i grandi possessori di Bitcoin, e sono tanti.
Chi pagherà saranno i piccoli e medi risparmiatori».
Che ne sarà delle aziende italiane del settore?
«C'è un rischio sistemico. Una delle cose peggiori nella vita è non
avere certezze. A queste aziende non solo non ne vengono date, ma
vengono anche penalizzate più di altre. O venderanno o andranno
via».
Un concetto ricorrente nelle sue risposte è la fuga.
«Bitcoin è un portafoglio digitale che ti porti ovunque. Il valore
di Bitcoin è slegato dal Paese in cui ci si trova. È un modo diverso
di intendere la ricchezza. E se un Paese offre condizioni migliori,
uno va. Noi italiani siamo storicamente abituati».
Lei perché è andato via?
«Per necessità. Guadagnavo 800 euro come ricercatore. Ogni anno in
attesa di un rinnovo. Ogni anno con la paura di non averlo. Ripeto,
vivere senza certezze è la cosa peggiore».
Oggi però è uno degli uomini più ricchi d'Italia. C'è chi pensa che
la ricchezza dei possessori di cripto sia iniqua perché finora è
sfuggita al fisco.
«Conosco molta gente che ha cripto e vuole pagare le tasse. Anche al
26%, come avviene con gli altri investimenti. Ma mi faccia dire una
cosa».
Prego.
«C'è una logica sbagliata in tutto questo. Io ho fatto impresa
scommettendo su un'innovazione. L'Italia non ha mai premiato chi
vuole fare innovazione. Non ha mai capito dove andava il mondo,
anche prima delle criptovalute. Conosco menti incredibili nel nostro
Paese che non vengono valorizzate, che a un certo punto si stancano
e vanno via. E poi, se qualcuno riesce in qualcosa non solo non
viene aiutato, ma criminalizzato».
Darebbe un consiglio all'esecutivo?
«Che facciano norme e leggi dopo aver studiato un settore. Si
facciano aiutare da qualcuno. Quello che hanno fatto con le cripto
ha dimostrato che non conoscono né l'industria, né il suo
potenziale. E neppure le conseguenze enormi che avrà questa scelta
sull'intero Paese»
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IL PREZZO DELLA SCELTA DEL TOSSICO MUSK : L'invito mancato da parte
di Biden con Scholz, Macron e Starmer. La premier a Bruxelles
minimizza: "Domani sarò in Libano, preferisco così" DISSE LA VOLPE
ALL'UVA.
Ucraina, l'Italia esclusa dal vertice Usa
Ilario Lombardo
Inviato a Bruxelles
Per due volte in meno di una settimana Giorgia Meloni è stata
esclusa dal vertice ristretto dei principali leader occidentali. La
prima, solo virtualmente: perché la riunione, prevista venerdì
scorso a Berlino, come preparatoria del summit di Ramstein
sull'Ucraina, non si è mai tenuta, rinviata su richiesta di Joe
Biden, costretto a restare negli Stati Uniti per affrontare le
devastanti conseguenze dell'uragano Milton sulla Florida.
Domani, sempre nella capitale tedesca, il presidente americano vedrà
il primo ministro inglese Keir Starmer, il cancelliere tedesco Olaf
Scholz, il presidente francese Emmanuel Macron. Meloni non ci sarà,
nonostante sia la presidente di turno del G7, e in altri casi il
formato del vertice tra gli Usa e i più grandi Stati europei – il
cosiddetto Quint – era stato allargato anche all'Italia.
Meloni, da Bruxelles, prova a minimizzare, puntando su un
appuntamento personale, una missione organizzata negli ultimi
giorni: «Non potrei partecipare all'incontro perché nello stesso
giorno sono in Libano e in Giordania. E penso che in questa fase sia
ancora più utile parlare con gli attori della regione. Questo
viaggio è la mia priorità».
La premier a Beirut vedrà il primo ministro e il presidente del
Parlamento, mentre non andrà a fare visita al contingente italiano
della missione Onu, Unifil, nel Sud, nell'area degli scontri tra
Israele e Hezbollah.
«Troppo pericoloso», spiega il ministro Guido Crosetto, dopo gli
attacchi dell'esercito israeliano ai caschi blu. Di certo il viaggio
è una coincidenza perfetta, che, almeno in parte, copre un'assenza
che in qualche modo va spiegata. Stando a fonti diplomatiche, il
motivo va ricercato nella progressiva marginalizzazione dell'Italia
sul fronte delle commesse militari. Ieri Biden ha annunciato un
altro pacchetto di aiuti per l'Ucraina, di 425 milioni di dollari, e
la spedizione di armi a lungo raggio, in grado potenzialmente di
colpire obiettivi in Russia. Il contributo del governo italiano,
invece, nei mesi è diminuito, l'entusiasmo si è raffreddato, sempre
più condizionato dalla disaffezione dell'opinione pubblica verso le
resistenza ucraina. La destra che guida il Paese è spaccata, ma
nessuno dei tre partiti, né FdI, né Lega, né Forza Italia, è
favorevole a far cadere il divieto di utilizzo sul territorio russo
delle armi fornite a Kiev.
Colpisce un altro aspetto: per due anni Meloni e Biden hanno avuto
un'intesa senza sbavature, affettuosa in pubblico, solida in
privato, nonostante i legami politici della premier con Donald
Trump. E questo di domani potrebbe essere l'ultimo importante
vertice di Biden prima del voto americano e dello tsunami che si
abbatterà sul mondo e sull'Europa, se il tycoon repubblicano
riconquisterà la Casa Bianca. Trump potrebbe ridefinire nuovamente i
rapporti con la Russia di Vladimir Putin, non solo degli Stati Uniti
ma anche degli alleati. Rapporti che si sono incrinati, come prova
anche l'ultimo episodio denunciato da Mosca, che ha protestato per
la decisione di negare i visti alla delegazione russa che doveva
partecipare a Milano al 75esimo International Astronautical Congress.
Un atteggiamento delle autorità italiane che è stato duramente
criticato dalla portavoce del ministero degli Esteri, Maria
Zakharova: «Consideriamo questa come un'altra manifestazione del
corso russofobo dell'attuale leadership italiana che assesta un
altro colpo alle relazioni con la Russia»
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Nello Stato chiave il Tycoon provò a sovvertire la vittoria di Biden
nel 2020. Oggi sarebbe lui in vantaggio
Georgia, 320 mila elettori hanno già scelto E il giudice blocca la
regola del riconteggio
marco liconti
Washington
A fronte di sondaggi poco affidabili – il New York Times ha dedicato
una lunga analisi al problema – un'indicazione reale su chi vincerà
la Casa Bianca potrebbe essere già presente nelle urne. È la pratica
dell'early voting, il voto anticipato per posta e di persona alla
quale gli americani, a partire dal 2000, fanno sempre più ricorso.
Dopo il picco del 69% nel 2020 causa pandemia, nelle elezioni di
midterm del 2022 il 50% dei partecipanti al voto avevano scelto
questa modalità. In attesa dei dati finali – si avranno dopo l'Election
Day del 5 novembre – fa scalpore il record di 328 mila voti
anticipati fatto registrare in Georgia (Stato-chiave) nella prima
giornata di apertura anticipata del voto. E sempre in Georgia, dove
Donald Trump nel 2020 tentò di sovvertire l'esito del voto
favorevole a Joe Biden («Trovatemi i voti», diede ordine alle
autorità elettorali dello Stato), un giudice, Robert McBurney, ha
bloccato la nuova regola voluta dai Repubblicani di riconteggiare a
mano tutti i voti che verranno espressi nello Stato, per verificare
che il numero delle schede coincida con quello degli elettori. Una
richiesta che avrebbe ritardato di giorni l'annuncio del risultato.
McBurney è anche il giudice che presiede il processo (ora fermo) a
Donald Trump per le vicende di quattro anni fa. Il tycoon, che per
anni ha accusato (senza prove) i Democratici di sfruttare l'early
voting per falsificare il voto, in questa tornata elettorale ha
cambiato completamente rotta. La sua campagna sta incoraggiando gli
elettori a votare anticipatamente. Appelli espliciti sono stati
lanciati in questo senso in Pennsylvania e North Carolina, anch'essi
Stati-chiave per la conquista della Casa Bianca. Forse perché un
recente sondaggio dell'Università di Harvard gli assegna un lieve
margine su Kamala Harris nel voto anticipato (48-47). Comunque, una
conferma di quanto in questa elezione ogni singolo voto possa
spostare gli equilibri. Nei sette Stati-chiave, il calendario dell'early
voting prevede le urne già aperte per Arizona, Georgia e in gran
parte delle contee della Pennsylvania. Entro la fine di questa
settimana si aggiungeranno North Carolina e Nevada, entro la
prossima Wisconsin e Michigan. Nel frattempo, fioccano le cause
legali sulle regole elettorali. Soprattutto negli Stati-chiave,
Democratici e Repubblicani hanno già presentato nei tribunali decine
di ricorsi, contestandosi reciprocamente presunti vantaggi. È
un'anticipazione di quanto potrebbe accadere dopo il 5 novembre.
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LA STORIA INFINITA : I dialoghi tra il direttore generale Iorio e
l'imprenditore Massimo Rossi: "Quando arrivano i pacchi?". Per gli
inquirenti si trattava di mazzette
Inchiesta Sogei, gli indagati al telefono "Dai che qui c'è da
lavorare per tutti"
irene famà
roma
«Sono arrivati i pacchi? » . Insistente Paolino Iorio, il direttore
generale di Sogei, che contattava l'imprenditore Massimo Rossi con
cui era in affari. Voleva sapere se erano arrivati i soldi, quel
denaro che tramite Rossi pare si intascasse per favorire questa e
quella società in gare e appalti. Intercettato al telefono dalla
Guardia di finanza, si informava sui tempi. «Quanto devo ancora
aspettare? » . Spazientito continuava a chiamare. E quelle
telefonate, che l'hanno portato agli arresti domiciliari per una
vicenda di corruzione, sono tutte raccolte in un'informativa agli
atti della procura di Roma.
Iorio, una lunga carriera come manager pubblico, dal primo settembre
2023 è a capo della Direzione ingegneria, infrastrutture, data
center e dallo scorso marzo diventa il numero uno della società che
si occupa della gestione dei servizi informatici della pubblica
amministrazione controllata al 100% dal ministero dell'Economia.
L'altro giorno viene arrestato: con sé 15mila euro in contanti
appena consegnati dall'amico imprenditore. Agli inquirenti ha
confessato di aver preso centomila euro. Tangenti? Assolutamente no.
«Davo consigli, facevo attività di consulenza».
Gli accertamenti dei finanzieri del Comando provinciale di Roma e
del nucleo speciale polizia valutaria raccontano una storia diversa.
Massimo Rossi voleva favorire le imprese legate a lui, alla sua
famiglia e ai suoi amici. E pagava Paolino Iorio. In questo modo, si
legge negli atti, con Sogei avrebbe stipulato una «serie di
contratti» per oltre cento milioni. I due si incontravano un paio di
volte al mese. «Dal novembre 2023», sostengono gli inquirenti della
procura di Roma. Iorio pare abbia raccontato che gli scambi erano
iniziati già a febbraio 2023. Altro aspetto al vaglio degli
investigatori che al manager hanno sequestrato pure un cellulare di
quelli vecchi. Acquistato apposta per parlare con Rossi
"riservatamente", senza pericolo che venisse inoculato un trojan. La
sim? Intestata alla moglie dell'imprenditore. Massimo Rossi, anche
lui finito ai domiciliari, davanti ai pm ha scelto di avvalersi
della facoltà di non rispondere.
Le indagini proseguono. Sogei ha inviato un'informativa alla Corte
dei Conti. In una nota spiega di aver revocato «tutte le cariche,
gli incarichi e le procure conferite all'ingegnere», di aver avviato
degli accertamenti interni e di essersi rivolta a un legale per
potersi costituire parte offesa in un eventuale procedimento penale.
L'inchiesta, coordinata dagli aggiunti Giuseppe Cascini e Paolo Ielo
e dai magistrati Lorenzo Del Giudice e Gianfranco Gallo, ruota
intorno a gare e appalti truccati banditi da Sogei, dal ministero
dell'Interno-Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal ministero
della Difesa e dallo Stato maggiore della Difesa. E il ministro
dell'Economia Giorgetti commenta: «Aspettiamo il lavoro della
magistratura». Mentre il senatore Boccia del Pd chiede «al Governo
di spiegare in Parlamento».
Diciotto le persone indagate, quattordici le società, di cui due
quotate in Borsa, Olidata e Digital Value. Ed è proprio su Olidata
spa, noto nome del mondo hi-tech, che gli accertamenti si
soffermano. Due degli indagati, un ufficiale di Marina e un
dipendente del ministero dell'Interno, erano soci occulti tramite le
mogli. E cercavano di stringere dei patti per riuscire a inserire la
società in svariati affari.
«Dai che qui c'è da lavorare per tutti». Così l'ufficiale Antonio
Masala avrebbe detto al telefono ai "suoi" in Olidata, convinto di
essere riuscito a concludere un contratto di forniture con il
colosso SpaceX, azienda aerospaziale statunitense. Come? In cambio
di informazioni con Antonio Stroppa, l'uomo di Elon Musk in Italia.
Nei guai è finito anche il rappresentante legale della Spa Cristiano
Rufini. Lui assicura «la massima disponibilità a collaborare con la
magistratura». E da Olidata si dicono «a completa disposizione degli
inquirenti». —
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MAFIA ISTITUZONALE : 'inchiesta
Anzio, la mafia e il vertice segreto al bar L'ex assessore indagato
pilota le liste
Il bel mare da cartolina è lontano. Una via di periferia anonima,
con casette basse e qualche artigiano. A metà strada un bar senza
tante pretese, tavolini di plastica, un ombrellone inutile con il
sole autunnale. Anzio, 54 mila abitanti, paesone a sud della
capitale, sembra lontano miglia da questo luogo. Distanti i
ristoranti di pesce, la movida, il chiasso estivo, le spiagge dei
romani ad agosto. Nessuno sguardo curioso. Qui un gruppetto di
persone sta decidendo parte del futuro della città. È proprio di
discrezione che c'è bisogno.
Il Comune, sciolto per infiltrazione mafiosa due anni fa, sta per
tornare alle urne, in un'elezione delicata e tesa. Il 17 e 18
novembre si voterà. Una decina di giorni prima arriverà la sentenza
del processo Tritone, l'inchiesta della DDA romana - pm Giovanni
Musarò e Alessandra Fini - che ha colpito, per la terza volta, le
cosche di ‘ndrangheta radicate sul litorale da decenni.
Nel bar nella periferia di Anzio martedì scorso si stavano decidendo
le liste elettorali di una parte dello schieramento della destra.
Discussioni animate sui nomi, i candidati che arrivano per firmare
l'accettazione della candidatura, qualche caffè, tante telefonate.
C'è chi ricorda i bei tempi passati: «Ho lavorato otto anni con
Candido», racconta un trentenne del posto, con ostentato orgoglio.
Il riferimento è all'ex sindaco Candido De Angelis, oggi indagato
per scambio elettorale politico-mafioso. Qualcuno commenta gli
ultimi arresti, o gli esiti di altri processi. Qui, sul litorale
romano, politica e inchieste giudiziarie spesso viaggiano in
parallelo. Due i comuni attualmente sciolti: oltre ad Anzio, la
vicina Nettuno, mentre ad Aprilia - il cui sindaco è stato
recentemente arrestato per un'altra indagine della Direzione
distrettuale antimafia della capitale - è arrivata la commissione
d'accesso da un paio di mesi.
A gestire la delicata fase della chiusura di alcune liste elettorali
nel paese sciolto per mafia ci sono i protagonisti della giunta
colpita dal provvedimento del ministro Piantedosi e, in parte,
dall'inchiesta della Procura di Roma. Assessori, consiglieri
comunali, esponenti della politica locale, alcuni di loro troppo
vicini ai vertici della Locale di ‘ndrangheta di Anzio e Nettuno.
Con qualche nome ben noto alle cronache giudiziarie. Quando la
riunione sta per iniziare arriva sorridente Gualtiero Di Carlo, già
assessore all'ambiente. Insieme all'ex sindaco De Angelis è indagato
oggi per voto di scambio politico-mafioso, un reato che prevede la
pena detentiva da dieci a quindici anni, la stessa prevista per gli
associati alle cosche. Si siede al tavolo dove verranno decisi i
nomi dei candidati. Poco prima una giovanissima studentessa aveva
firmato i moduli per presentarsi in una lista delle prossime
elezioni: «Che partito devo mettere, zio?», chiede ad un altro ex
assessore presente (non indagato), Bruno Tuscano. «Forza Italia»,
risponde, mentre al telefono dà indicazioni per raggiungere il
piccolo bar. Volti nuovi, certo. Puliti, senza dubbio. Ma la
macchina elettorale appare - in questa desolata strada di periferia,
lontano da sguardi troppo curiosi - nelle mani della classe
dirigente sporcata dalle inchieste dei magistrati antimafia. La
presenza sicuramente più ingombrante nella riunione di martedì
scorso - che La Stampa ha potuto documentare - era quella dell'ex
assessore Gualtiero Di Carlo. Un passato da pugile alle spalle, Di
Carlo è legato da un rapporto di amicizia con Davide Perronace,
indicato dai magistrati romani come uno dei tre vertici della Locale
di ‘ndrangheta, insieme a Giacomo Madaffari e Bruno Gallace. Nei
confronti di Perronace il pubblico ministero Giovanni Musarò ha
chiesto 24 anni di reclusione nel processo Tritone. I captatori
informatici del Nucleo investigativo del comando provinciale dei
Carabinieri di Roma hanno documentato i tanti incontri di Perronace
con il mondo politico di Anzio. Strettissimi i rapporti con l'ex
assessore Di Carlo, fotografato, tra l'altro, mentre abbraccia e
bacia uno dei capi della Locale di ‘Ndrangheta. Quando, il 17
febbraio 2022, scatta l'operazione Tritone con 65 arresti, il
politico di Forza Italia organizza subito una raccolta di fondi a
favore della famiglia Perronace, donando personalmente 1.500 euro
alla moglie di Davide. Appena tre giorni prima il boss calabrese
presentava l'amico al cugino, come assessore del Comune di Anzio:
«Mi ci ha messo lui, mi ha mandato a fare l'assessore all'ambiente,
il potere è il suo, mica il mio», si scherniva Di Carlo. Ancora più
inquietante la scena che trovano i carabinieri, all'inizio del 2022,
durante un controllo a Perronace, all'epoca agli arresti
domiciliari. Nel salotto di casa c'erano tanti politici locali, tra
i quali lo stesso Di Carlo. «Ma che state facendo qua, il consiglio
comunale? È meglio che andiamo via», è stato l'incredibile commento
dei militari.
Tra i pilastri dell'inchiesta Tritone c'è proprio l'ipotesi di un
condizionamento delle elezioni comunali da parte dei vertici della
Locale di ‘Ndrangheta. Nel 2018, quando si votò per i consigli di
Anzio e Nettuno, gli investigatori stavano già ascoltando in diretta
le conversazioni telefoniche tra gli esponenti di punta della
politica locale e le famiglie mafiose. Protagonista all'epoca per la
compilazione delle liste elettorali era Vincenzo Capolei, ex
coordinatore locale di Forza Italia per il collegio elettorale di
Anzio, Nettuno, Ardea e Pomezia, nonché fratello di un consigliere
regionale di maggioranza, Fabio. Quando fu scelto dalla coalizione
di destra il nome del candidato sindaco per il Comune di Nettuno «Capolei
informò subito Madaffari Giacomo», ovvero il capo
dell'organizzazione ndranghetista attiva sul litorale romano,
scrivono i pm nella memoria presentata dopo la requisitoria del
processo Tritone. Il candidato, Alessandro Coppola, venne poi
eletto.
Oggi Capolei giura di essere lontano dalla politica locale: «Io non
c'ero alla riunione di Anzio ieri, sto in Toscana - spiega a La
Stampa - può essere che c'era mio fratello, il consigliere
regionale, non io… Io quest'anno mi sono messo proprio in vacanza…».
Di sicuro carriera ne ha fatta: oggi è uno degli uomini di fiducia
del senatore Claudio Fazzone, coordinatore regionale di Forza
Italia.
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Cogefa Stop per mafia
giuseppe legato
La scure dell'Antimafia si abbatte sulla società Co.Ge.fa, colosso
di grandi cantieri e delle infrastrutture autostradali finita alcuni
mesi fa al centro di un'inchiesta della Dda di Torino che ha svelato
l'infiltrazione della ‘ndrangheta nei cantieri deputati alla
manutenzione della A32 Torino-Bardonecchia. Il documento di analisi
della Prefettura, frutto di un lungo e articolato lavoro di un
gruppo investigativo interforze, annota i rapporti che collocano
questa società, destinataria di plurime (e milionarie) commesse
pubbliche ad ambienti della criminalità organizzata calabrese. E
mette nel mirino le contiguità – storiche e recenti – con esponenti
di criminalità comune e mafiosa.
Tutto ruota intorno alla famiglia Fantini il cui capostipite,
fondatore di Cogefa, (e già amministratore di Sitalfa) Teresio
Fantini, deceduto 18 anni fa, viene analizzato dagli investigatori
nei suoi rapporti con Giuseppe Pasqua soggetto definito «ben
introdotto nell'ambiente ‘ndranghetista del torinese ed operante a
Brandizzo» nonché destinatario di una condanna risalente al 1982 per
omicidio e a oggi indagato per associazione di stampo mafioso
nell'ultimo blitz del Ros ribattezzato "Echidna". Ci sono ancora i
fili che collegano Teresio (ma stavolta anche i figli Roberto e
Massimo) ad Antonio Esposito meglio noto come "Tonino", precedenti
penali per associazione a delinquere finalizzata all'usura in
concorso con Rocco Lo Presti, boss di primissimo piano degli anni
Ottanta (e fino alla sua morte) in Valsusa, conosciuto come "il ras
di Bardonecchia" e con Luciano Ursino (esponente di spicco della
‘ndrangheta) entrambi organici alla cosca Mazzaferro-Ursino.
In quel gruppo – fanno notare gli investigatori – Teresio veniva
chiamato "Il Generale". Risulta agli atti che Esposito – insieme a
un socio – abbia beneficiato di incarichi di guardiania dei cantieri
e commesse lavorative per la sua società cooperativa "Dyana".
Ancora a fondamento del provvedimento interdittivo figurano i
rapporti tra membri della famiglia Fantini e l'imprenditore Gian
Carlo Bellavia, attualmente agli arresti domiciliari per concorso
eterno in associazione mafiosa che gli è contestato nell'operazione
Echidna (ma già attenzionato nel procedimento "Platinum Dia").
E secondo quanto si apprende da fonti investigative anche il ruolo
di Roberto Fantini ha un peso sullo stop amministrativo e sul
concreto rischio di infiltrazione mafiosa. Gli investigatori
considerano Roberto, figlio di Teresio, un amico dei Pasqua,
indagati in quanto (presunti) affiliati alla ‘ndrangheta. Giuseppe
Pasqua «aveva con Fantini – scrive il gip nell'ordinanza di custodia
cautelare – un rapporto privilegiato». Infine, un focus riguarda le
cointeressenze economiche nei rapporti tra clienti e fornitori: gli
inquirenti mappano almeno quattro società riconducibili a loro
avviso alla famiglia Fantini (Cogefa, Trama srl, società agricola
"La Teresina" e consorzio Edilmaco) che hanno avuto rapporti
commerciali con imprese "controindicate" tra queste diverse sono già
state oggetto di diniego di iscrizione alla white list della
Prefettura. Per un importo dal 2019 ad oggi di circa 450 mila euro.
L'interdittiva antimafia è un provvedimento amministrativo adottato
dal Prefetto, di natura cautelare e preventiva previsto dal
cosiddetto "Codice antimafia" (decreto legislativo 6 settembre 2011,
n. 159). L'obiettivo è «impedire i rapporti contrattuali con la
Pubblica amministrazione di società, formalmente estranee ma,
direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità
organizzata». Viene emessa ogni volta che siano stati rilevati
tentativi di infiltrazione (sono sufficienti forti sospetti) da
parte della criminalità organizzata volti a condizionare le scelte e
gli indirizzi dell'impresa coinvolta. A chi viene colpito dall'interdittiva
è preclusa ogni possibilità di ottenere contributi, finanziamenti e
mutui agevolati, concessi dallo Stato, da altri enti pubblici o
dall'Unione europe.Il colosso delle costruzioni ha 400 dipendenti e
1.200 lavoratori al giorno in diversi appalti. Decine di cantieri in
pericolo
Dal Tenda alle opere per la Tav
L'azienda: "Noi vittime, ora il ricorso"
massimiliano peggio
Alle otto di sera Cogefa annuncia: «Abbiamo già avviato tutte le
azioni necessarie per impugnare il provvedimento emesso dalla
Prefettura e richiedere la sospensiva presso il Tar per difendere la
nostra reputazione e il futuro di dipendenti e collaboratori. Nonché
per garantire la continuità delle attività aziendali e la corretta
esecuzione delle commesse».
Il tema è ampio e delicato. Cogefa è un colosso con 400 dipendenti
diretti e 1200 lavoratori al giorno distribuiti nei vari appalti. In
ballo ci sono (oltre agli appalti diretti) anche le partecipazioni
ai consorzi di impresa in molti lavori pubblici. Uno per tutti al
col di Tenda, dove l'appaltatore è Edilmaco. Oppure gli interventi
al Moncenisio (tanto per fare due esempi): è possibile che anch'essi
si debbano fermare. Commenta l'avvocato dell'azienda, Carlo Merani:
«Cogefa in questo caso è una vittima. E il paradosso è che invece di
aiutarla viene punita. Dico questo perché è la stessa Prefettura a
scrivere nel documento che c'è la possibilità che l'azienda subisca,
ripeto subisca, dei possibili tentativi di infiltrazione mafiosa».
Nasce da qui, «la necessità» di presentare rapidamente il ricorso
con la richiesta di sospensiva. Nel frattempo, però, ruspe e
cantieri si fermano. Anche nelle opere dei privati, quelli che
adottano per le assegnazioni gli stessi criteri degli enti pubblici.
Ma cos'è Cogefa? È la testa di un impero che si occupa di grandi
costruzioni, opere di rilevanza strategica: una produzione economica
(a fine 2023) di oltre 214 milioni di euro. Seguendo le orme di
partecipazioni e alleanze imprenditoriali si va dagli interventi
complementari del traforo ferroviario della Torino Lione, al
cantiere del nuovo tunnel del colle di Tenda, fino alla
progettazione e realizzazione dei lavori di ottimizzazione della
Torino-Milano con la viabilità locale.
Il nome Cogefa emerge tra la opere collegate al cantiere Tav. È
infatti nel raggruppamento di imprese che deve costruire l'impianto
per il riutilizzo del materiale di scavo proveniente dal traforo
ferroviario. Valore dell'intervento: oltre 648 milioni di euro.
Il valore delle partecipazioni che fanno capo alla Cogefa supera i 6
milioni di euro. Tramite questo reticolato di società, si arriva a
un altro tunnel, quello Cuneese, forse il più sfortunato. Quello del
Colle di Tenda. Prima colpito dalla risoluzione del rapporto con il
precedente appaltatore per clamorose magagne strutturali, poi le
inchieste giudiziarie - che nulla hanno a vedere con l'attuale
interdittiva antimafia - e infine l'alluvione dell'ottobre 2020. La
Cogefa è collegata a quel cantiere tramite il Consorzio Edilmaco, di
cui possiede il 50%. Ed è frutto di un tandem con un altro colosso
delle costruzioni, la Mattioda Spa: è subentrato nell'appalto
integrato per la «progettazione e l'esecuzione dei lavori del nuovo
tunnel». Intervento problematico: l'alluvione di 4 anni fa ha
distrutto il cantiere. Difficoltà così invasive da essere annotate
nel bilancio societario. Di pregio anche la partecipazione alla
società Alfa Batiment Sarl, nel Principato di Monaco, che realizza
stabili di lusso. Tra le altre opere c'è palazzo Bernini a Torino.
- QUANDO C'ERA LA SOPRAELEVATA NON
SUCCEDEVA, MA INTERESSI EDILIZI LA HANNO ELIMINATA: Girone
Baldissera
pier francesco caracciolo
Trenta minuti per percorrere un chilometro. Tanto ci hanno messo
ieri mattina gli automobilisti di passaggio in piazza Baldissera,
intricato snodo del quadrante Nord-Ovest di Torino. Il maltempo, che
ha aumentato il numero di vetture in strada, sommato alla chiusura
di due vie della zona, bloccate per la presenza di altrettanti
cantieri: è nata così la "tempesta perfetta", che si è
materializzata con code che, in corso Venezia, hanno raggiunto i tre
chilometri di lunghezza.
Il picco del traffico si è registrato tra le 8 e le 9, 30, quando
centinaia di torinesi erano diretti a scuola o sul posto di lavoro.
Gli agenti di quattro pattuglie della polizia municipale sono
intervenuti per dirigere il voluminoso flusso di auto, riuscendo
però solo a limitare i danni.
Nel filmato girato da Carmela Ventra, consigliera in Circoscrizione
5, la coda di veicoli si perde all'orizzonte, sia in un senso di
marcia che nell'altro. Il suono dei clacson delle vetture
imbottigliate e la sirena di un'ambulanza impegnata a destreggiarsi
tra i veicoli fanno da sottofondo al video. Il cuore dell'ingorgo,
neanche a dirlo, è proprio la rotonda, dove le auto sono ferme una
dietro l'altra.
«Trentacinque minuti buttati e in ritardo sulla tabella di marcia
già di prima mattina» scrive sui social Valerio Lomanto, presidente
della Circoscrizione 6, rimasto imbottigliato nel traffico. A essere
rallentati, oltre alle auto, i mezzi pubblici: «Sono rimasta un'ora
alla fermata per portare mio figlio a scuola: inammissibile» scrive
una mamma. «Oggi (ieri, ndr) tutta Torino ovest è bloccata» aggiunge
Enrico Sola, automobilista. Ad essere chiuso al traffico, ieri
mattina, uno dei controviali di corso Venezia, bloccato dal 16
settembre per un quadruplo intervento sulle condotte sotterranee.
Interdetto alle auto, da lunedì scorso, anche l'imbocco di via
Chiesa della Salute, che da piazza Baldissera dista 150 metri.
Gli automobilisti dovranno convivere con l'attuale rotonda
Baldissera, dove oggi passano cinquemila auto ogni ora, almeno fino
all'inizio del prossimo anno. Entro la fine del 2024 il Comune
metterà a bando i lavori per il restyling della piazza, finalizzati
a snellire il traffico. I cantieri partiranno nel primo trimestre
del 2025, con l'obiettivo di chiuderli in tredici mesi (dunque nel
2026). L'operazione costerà 7,5 milioni di euro, finanziata per 4,5
milioni con fondi della Città e per 3 milioni con le risorse
assegnate dal Pn Metro Plus.
Il progetto del Comune prevede di sostituire la rotatoria con un
incrocio regolato da sei semafori. Il piano d'intervento contempla
anche il ripristino dell'impianto tranviario (la linea 10) già
presente lungo le vie Cecchi, Chiesa della Salute e Bibiana (il
servizio sarà riattivato anche tra piazza Statuto e via Massari,
dove oggi viene effettuato con autobus).
La gestione dell'incrocio avverrà in modo dinamico, vale a dire con
semafori intelligenti, in grado leggere in tempo reale i flussi di
auto, pedoni e ciclisti e accendere le lampade rossa e verde di
conseguenza. Ogni carreggiata, poi, sarà dotata di una corsia
diretta a destra, per consentire di effettuare la manovra di svolta
a monte dell'intersezione, senza dover impegnare l'incrocio.
Nei prossimi mesi la Città si muoverà per illustrare ai torinesi i
dettagli del cantiere. «Prima dell'inizio dei lavori convocheremo
una serie di incontri pubblici» spiega Chiara Foglietta, assessora
alla Viabilità. Saranno coinvolte, aggiunge l'assessora, le quattro
Circoscrizioni il cui territorio ricade nella zona di piazza
Baldissera (sono la Quattro, la Cinque, la Sei e la Sette). «Come
sta avvenendo in questi mesi in via Po, non ci sarà mai una chiusura
totale al traffico della zona – aggiunge Foglietta, con riferimento
a piazza Baldissera – Si procederà per lotti, così da ridurre i
disagi per gli automobilisti».
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TRIBUNALE INGIUSTO: Si spacca le vertebre a lavoro, per il pm il
caso va archiviato: Cgil, Cisl e Uil contro la decisione
La solidarietà dei sindacati all'operaio " Serve giustizia per
Massimo Fasolio "
Giovanni Turi
«Serve giustizia per Massimo Fasolio. La responsabilità non è sua
come singolo lavoratore che si è infortunato, ma di chi ha
organizzato il processo di lavoro, indipendentemente dal contratto».
Non le manda a dire il segretario generale della Cgil Piemonte,
Giorgio Airaudo. I toni dei sindacati provinciali e regionali sono
amareggiati. Ma anche di denuncia. Rimuginano e non accettano la
storia di Fasolio, ex operaio metalmeccanico, oggi 61enne, che si è
fratturato le vertebre sollevando pacchi a mano da 25 e 50 chili,
inerme davanti alla richiesta della procura di Torino di archiviare
il caso come infortunio sul lavoro.
Una vicenda anticipata che porta a poche, dure conclusioni. Come
quella della segretaria della Cisl Torino-Canavese, Cristina
Maccari: «Valgono più i sacchi di paraffina della salute di un
lavoratore. Un contratto di somministrazione di una settimana a 8
euro all'ora non guarda in faccia a nessuno, anzi rende chiunque
ricattabile».
Era questa la condizione di Fasolio: disoccupato da sei anni, alla
prima chiamata dell'agenzia per il lavoro ha risposto subito
presente. «Non poteva dire di no – continua Airaudo – Non aveva
alternative. La precarietà sommata alle misure del governo sta
portando a una stagionalità perenne. Se poi ai contratti dalla
durata di pochi giorni, che rendono i lavoratori invisibili,
aggiungiamo l'inadeguatezza dei salari italiani si arriva a episodi
come questi». Duro anche il segretario della Uil Torino e Piemonte,
Gianni Cortese. «Le aziende dovrebbero fare formazione e prevenire
queste situazioni – spiega –Laddove non è possibile, servono più
controlli. Anche se oggi la possibilità di un'ispezione sul luogo di
lavoro è sotto il 5%, viste le carenze di organico tra gli
ispettori». Poi, scandagliando la vicenda di Fasolio, aggiunge: «C'è
una responsabilità dell'azienda – dice – Si ravvisa un'assenza degli
ausili al sollevamento dei pesi, il che è anacronistico in un
periodo in cui si parla di intelligenza artificiale e tecnologie che
alleggeriscono il lavoro manuale». Si accoda Maccari che sottolinea
come «il lavoratore non può auto valutarsi le condizioni di salute.
Non comprendo la scelta della procura per cui l'operaio avrebbe
dovuto dire di no. E poi le valutazioni sull'idoneità dovrebbero
passare da un medico».
Sulle denunce d'infortunio in Piemonte, gli ultimi dati Inail danno
uno spaccato chiaro: nei primi 8 mesi del 2024 se ne contano 28.
328, +2, 6% rispetto all'anno precedente. Chiosa Federico Bellono,
segretario generale della Cgil di Torino: «Questa sentenza non ci
soddisfa e auspichiamo che il ricorso del lavoratore, a cui va la
nostra solidarietà, venga accolto – sostiene – Ma il problema non è
nei tribunali, ma fuori dalle aule di giustizia. Le persone sono
sotto ricatto, hanno paura di perdere il lavoro e mantenerlo è più
importante della tutela della propria salute. Ormai siamo di fronte
a un sistema che mette al centro il profitto a ogni costo». —
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BANCOMAT ANTI AMBIENTE : «Indietro non si torna». Il progetto
di mobilità sostenibile «A piedi tra le nuvole», tra Ceresole e il
Colle del Nivolet, con tutta probabilità sarà definitivamente
archiviato.
Lo stop dell'estate appena trascorsa, voluto dall'Ente parco Gran
Paradiso, potrebbe risultare propedeutico a una mezza rivoluzione,
proprio come aveva anticipato, qualche mese fa, il direttore del
Parco, Bruno Bassano. Rivoluzione che potrebbe passare (anche)
dall'istituzione di un «pedaggio ambientale» per chi sceglie di
salire in quota con il proprio mezzo a motore. Un po' quello che
succede alle Tre cime di Lavaredo (tra Veneto e Trentino).
«Per la prima volta in vent'anni, con la riapertura domenicale,
abbiamo raccolto dei dati scientifici che a breve illustreremo nel
dettaglio - conferma il presidente del Gran Paradiso, Mauro Durbano
- presenteremo una proposta di regolamentazione organica del
traffico verso il colle del Nivolet, valida tutti i giorni d'estate
e non solo la domenica e i festivi».
Negli ultimi due decenni, «A piedi tra le nuvole» ha visto la
chiusura domenicale della provinciale 50 che dalla diga del Serrù si
arrampica fino ai 2640 metri di quota del colle del Nivolet.
«Auspichiamo che, dopo la pausa di riflessione di quest'anno, il
Parco e il Comune di Ceresole Reale tornino a fare sistema con la
Città metropolitana - dice in merito il vicesindaco metropolitano
Jacopo Suppo - per salvaguardare, almeno nelle giornate festive dei
mesi di luglio e agosto, un patrimonio naturale e un'infrastruttura
viaria di grande valore, per la cui salvaguardia il nostro ente da
sempre impegna ingenti risorse finanziarie e professionali».
L'ex provincia, proprietaria della strada, ha ribadito dal canto suo
l'impegno a proporre, soprattutto in ambiente montano, alternative
alla mobilità motorizzata individuale: «Siamo disponibili ad un
confronto per definire per il 2025 nuove modalità di
regolamentazione estiva, considerando prioritaria la tutela
dell'ambiente alpino ma anche la sicurezza della circolazione». Il
confronto sicuramente ci sarà (allargato ai Comuni di Ceresole e
Valsavarenche) ma il Parco Gran Paradiso non ha intenzione di fare
passi indietro: «Apprezziamo la volontà di dialogare - conferma
Durbano - ma questo non significa tornare al passato. Anzi sarà
proprio l'occasione per proporre qualcosa di nuovo». Con la
possibilità, come detto, di arrivare ad un «pedaggio ambientale» per
chi sale in quota, anche solo con il pagamento dei parcheggi (oggi
liberi e selvaggi) e l'istituzione di un numero chiuso per evitare
gli «assalti» al colle.
Intanto, da martedì 15 ottobre, per la provinciale 50 del Nivolet è
iniziato il periodo di chiusura invernale che terminerà, neve
permettendo, il 15 maggio del prossimo anno. Ci sono più di sei mesi
per trovare una quadra in vista della prossima estate. —
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17.10.24
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L'intervento
Flavia Perina
Multato perché invoca la pace La libertà vittima dell'eccesso di
zelo
«Quando ho messo lo striscione sul mio banco di miele ho
pensato che non potevo più separare la mia attività lavorativa da
una battaglia che sento urgente: quella per il ripristino dei
diritti dei civili a Gaza. Così mi sono detto: perderò qualche
cliente ma lo preferisco all'essere indifferente». Marco Borella ha
42 anni, è un apicoltore ed educatore comasco. Due giorni fa,
davanti al suo banco al mercato di Desio dove vende il miele della
sua azienda agricola, sono arrivati i Carabinieri che gli hanno
fatto un verbale da 430 euro per aver esposto ed essersi rifiutato
di rimuovere un cartello con la scritta "Stop bombing Gaza. Stop
genocide".
l1Lei si occupa di api. Cosa c'entra Gaza?
«Per me non c'è giustizia ambientale senza giustizia sociale. I due
temi non sono separati. Le api sono politica, esattamente come lo è
lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti. E a proposito di rifiuti,
per ripulire Gaza ci vorranno anni».
l2Come si è sentito quando sono arrivati i Carabinieri?
«Ho cercato di rimanere tranquillo ma ero agitato. Sentivo di stare
subendo un'ingiustizia. Ma ho spiegato le mie ragioni ai militari.
Sarebbe stato ipocrita rimuovere lo striscione per quieto vivere».
l3Perché la contestazione solo adesso, visto che lo striscione lo
espone da due mesi?
«Non so chi ha fatto la segnalazione alle forze dell'ordine. Non so
se c'è un mandante politico. Mi hanno detto che qualcuno si è
sentito offeso dal contenuto dello cartello. In ogni caso, non
conteneva insulti, né incitamento all'odio. Per cui la contestazione
(commi 1 e 11 del codice della strada, ndr) è per aver esposto un
cartello che "distrae gli automobilisti". Ma il banco non guarda la
strada».
l4Cosa farà con il verbale?
«Farò ricorso. Mi sono rivolto a un avvocato e finché non ci sarà la
pronuncia non pagherò».
l5Cosa pensa il suo legale?
«Mi ha detto di star tranquillo. In ogni caso, il livello di
intollerabilità della situazione in Palestina è a un livello tale
che non potevo più stare zitto». —
- Siamo certi che sia solo eccesso di zelo
la multa di 430 euro comminata dai carabinieri di Desio, Brianza,
all'apicoltore Marco Borella che da mesi espone sul suo banco un
cartello con due frasi in favore di Gaza: "Stop bombing" e "Stop
genocide". Siamo certi che gli arriveranno le scuse, e ovviamente la
rottamazione del verbale, e l'affetto delle organizzazioni agricole
grandi e piccole, e le rassicurazioni della politica. Tranquillo, è
stato un equivoco, Stop Bombing si può dire. Mica siamo a Kabul. Da
noi ogni cosa che non sia un insulto o una minaccia si può dire,
soprattutto se si dice a volto scoperto, senza bastoni, e per di più
accompagnata dalla gentilezza del miele.
Al momento non è ancora successo, ma siamo sicuri che succederà.
Viviamo nell'Italia dell'Articolo 21, "tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione", una frase che scolpisce
il divieto di perseguire le opinioni per qualsiasi motivo, compresa
(come è immaginabile sia successo a Desio) la protesta di chi non è
d'accordo. E per di più siamo l'Italia che ama le api e gli
apicoltori, ne ha fatto un tema anche politico, e pure sullo Stop
Bombing, la fine dei bombardamenti sui civili di Gaza, la tregua, si
è espressa ripetutamente ai massimi livelli, e anche se fosse stato
il contrario: ma davvero può costituire un fastidio politico un
cartello su una bancarella?
Ecco, vorremmo che questa vicenda – dopo le scuse, la solidarietà,
l'affetto – aiutasse anche a capire quanto l'eccesso di zelo può
risultare irritante e dannoso per le istituzioni, ovunque. Irritante
perché affoga nei verbali di caserma gli ultimi sprazzi di sogno
personale, giusto o sbagliato che sia, chissà come sopravvissuti
alla cultura dei social e dei reality. Borella, con la sua
cooperativa tra i due rami del Lago di Como, la sua scelta di vita
inconsueta – le api come simbolo di amore per il territorio e le
relazioni umane – è uno degli imprevedibili romantici prodotti da
una società che va da un'altra parte. Erano milioni ai tempi di
Seattle e della Via Campesina, incendiarono le piazze no-global e
poi sparirono, sconfitti da modelli più forti di loro. Non basta?
Pure la multa agli ultimi giapponesi di quel tipo di scelta?
Poi c'è il danno reputazionale, e anche quello non va sottovalutato.
Una istituzione è forte quando usa la mano pesante con i più grossi,
non con i piccoli, gli isolati, quelli che lanciano un messaggio con
un cartello in un mercatino agricolo. E di grandi e grossi nella
questione delle guerre ce ne sono tantissimi, parlano di odio,
ritorsione e annientamento a milioni di persone. Attraverso i social
incitano all'antisemitismo e alla violenza, diffondono notizie
false, talvolta lavorano al servizio di autentiche centrali di
disinformazione che minacciano le nostre democrazie. Nei loro
confronti, anche in virtù della libertà di espressione, poco o nulla
si è potuto fare ma è surreale che gli stessi principi che rendono
incensurabile e inattaccabile il web non valgano per quattro parole
scritte a mano in una piazza di paese.
Sì, siamo sicuri che sia solo eccesso di zelo. Altri motivi non
vengono in mente, sfugge pure quello della pubblica sicurezza (che
avrà il suo da fare con le manifestazioni annunciate contro la
multa) e dunque: stracciare in fretta quella multa, finirla lì prima
possibile.
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"Sollevando pacchi mi sono rotto la schiena per i pm il caso va
chiuso ma io voglio giustizia"
Massimo Fasolio
"
elisa sola
torino
«Mi chiamo Massimo e sono un operaio. Ho 61 anni. E 34 di
contributi. Ho passato la vita in fabbrica. Con turni di giorno e di
notte. In catena di montaggio e in magazzino. Ma dal 2000 in poi le
aziende in cui sono stato mi hanno lasciato a casa. Hanno chiuso o
sono fallite. Mi sono sempre dato da fare. Ho mandato migliaia di
curriculum. Solo che alla mia età non ti vuole più nessuno. Il
giorno in cui mi sono spaccato le vertebre non me ne sono accorto
subito. Ero disoccupato da sei anni. Mi hanno offerto un contratto
di una settimana per otto euro lordi l'ora. Ero felice. Il primo
giorno mi hanno messo a scaricare pacchi di paraffina da 50 chili.
L'ho fatto per otto ore. Sono tornato a casa e mi sono seduto sul
divano. Ho sentito delle scosse alla schiena. Da allora non sono più
riuscito ad alzarmi per tre mesi». Massimo Fasolio non lavora dal 6
giugno del 2022. È stato il primo e l'ultimo giorno del suo ritorno
in fabbrica. Addetto alla catena di montaggio, la mansione prevista.
Lui ha fatto ciò che gli hanno chiesto. La frattura delle vertebre
lo ha costretto a stare immobile, con il busto, per tre mesi. La
procura di Torino ha chiesto l'archiviazione dell'infortunio sul
lavoro perché «non è stato possibile risalire all'autore del reato,
ben potendo il lavoratore rifiutare di effettuare le lamentate
prestazioni di carico e scarico». L'avvocato Guido Anetrini, che
assiste Fasolo, si è opposto alla richiesta, sulla quale deciderà il
gup. «Siamo di fronte a una deriva dei diritti dei lavoratori che ci
conduce verso il baratro - afferma il legale - eppure, e lo dico da
liberale, la nostra Repubblica è fondata sul lavoro. Non può essere
condiviso l'assunto per cui l'operaio avrebbe dovuto rifiutarsi».
Fasolio, come sta?
«Ho ancora mal di schiena».
Dopo due anni dall'incidente?
«Sì. Certi giorni quelle scosse le sento ancora. Ma non è quello il
punto. Non voglio lamentarmi. Io vorrei lavorare. Non mi sono mai
tirato indietro davanti a nessuna fatica nella mia vita».
Lei ha sempre fatto l'operaio?
«Sì. Sono stato in aziende metalmeccaniche. Dal 1983 al 2000 alle
Fonderie Roz di Borgo San Paolo. Poi a Grugliasco. Ero operaio
addetto ai trattamenti termici in catena di montaggio. La ditta è
fallita nel 2013. Ci hanno messi in cassa integrazione, poi lasciati
a casa».
Come ha fatto a mantenersi, senza uno stipendio?
«Ho preso il porto d'armi e ho fatto la guardia giurata. Giravo di
notte nelle stesse fabbriche che mi avevano dato il lavoro e che
erano ormai chiuse. Per mille euro e cinquanta al mese. Ho aperto e
chiuso un'enoteca. Sono rimasto a casa, disoccupato, durante gli
ultimi anni. Mandavo migliaia di curriculum e nessuno mi chiamava».
Secondo lei perché?
«Perché ero vecchio. Per loro. Non per me. Un giorno l'addetta di
un'agenzia interinale me lo ha proprio detto. Avevo appena finito un
colloquio, era andato bene. E ha aggiunto: Lei è piaciuto, ma sa, è
per l'età... Eppure io non mi sono mai tirato indietro. A 14 anni
lavoravo già, al bar della vecchia stazione di Porta Susa».
Come ha fatto a resistere, economicamente?
«È stato grazie a mio fratello che non sono finito in mezzo a una
strada. Ha un posto fisso all'Iveco. Non vivo da solo ma con lui,
nella stessa casa. Quando io non guadagnavo faceva lui la spesa e
mangiavamo in due».
Come ricorda il giorno dell'incidente?
«Ero contento perché erano anni che nessuno mi chiamava. Mi hanno
chiamato alle 10,30. Mi hanno chiesto due cose: se avevo le scarpe
antinfortunistiche e se potevo iniziare alle 13. Ho detto sì».
E poi cosa è successo?
«Appena arrivato, con altri, ci hanno portato in una specie di
capannone. C'era un Tir pieno di paraffina. Stavano aprendo il
portellone dietro. E c'era da scaricare i pacchi. Uno più vecchio di
me non lo ha fatto, perché non ce la faceva. Io ho iniziato con
quelli da 25 chili. E poi con quelli da 50. Erano tonnellate di
roba. Molto pesanti. Finito il turno sono andato in agenzia a
firmare il contratto e sono tornato a casa. Ero felice».
Era un contratto di una sola settimana?
«Sì. Ma è normale nel nostro mondo. A volte ti fanno contratti da
uno o due giorni».
Cosa pensa della richiesta di archiviazione del suo infortunio?
«Ci sono rimasto molto male. Ho ricevuto la raccomandata una
mattina. Erano mesi che nessuno mi diceva più niente. Ho pensato che
non era una cosa giusta. E sono andato da un avvocato. Io ho sempre
lavorato e rispettato tutti. Non mi sono mai tirato indietro. E quel
giorno non potevo rifiutarmi. So di essere nella ragione. Se fossi
andato via, mi avrebbero accusato di non avere terminato il lavoro».
Cosa si aspetta adesso?
«Giustizia. Un risarcimento per la mia schiena e per il male che
ancora ho. Penso alla pensione. Chissà se ci arriverò. Devo arrivare
a 67 anni. Cosa avrei dovuto fare, più di così, non lo so. Mi sono
fatto male lavorando. E se penso a quante volte ho rischiato, in
fabbrica. Anni fa ci facevano salire su dieci pedane, una sopra
l'altra, per raggiungere un silos. È tutto il sistema della
sicurezza che non va. In Italia non esiste e non funziona». —
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16.10.24
-
Consulenze a Ernst & Young "Truccate le gare d'appalto"
Dodici gare della Regione Lombardia truccate per 10 milioni di euro.
Sei consulenti EY – anche in ruoli apicali nella compagine italiana
del colosso – sono indagati dalla procura europea per turbativa
d'asta. Per questo, la Gdf ha perquisito gli uffici milanesi e
romani della società, ma anche le postazioni di alcuni consulenti in
Regione, mentre i pm hanno sentito alcuni dipendenti dell'ente. Per
l'accusa, EY si sarebbe aggiudicata le gare al centro delle indagini
presentando le candidature degli «stessi gruppi di consulenti» con
una «sovrapposizione di incarichi» tale da sommare una «quantità di
ore di lavoro superiori a quelle che possono essere realizzate in un
mese» da ognuno di loro. Si tratta di appalti, finanziati dal Fondo
sociale europeo (Fse) e dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr)
tra il 2019 e il 2023. Progetti che miravano a seguire l'ente
nell'intera gestione dei fondi, dall' assistenza tecnica ai corsi di
formazione. Per i pm, la Regione è parte offesa, ma le indagini
vogliono escludere eventuali responsabilità. «Esamineremo con
attenzione quello di cui si parla e poi faremo valutazioni», è il
commento del governatore Attilio Fontana.
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Nel mirino della Guardia di finanza i bandi gestiti dagli uffici sia
dell'Interno sia della Difesa Sono diciotto le persone indagate: "Un
giro di mazzette per pilotare le forniture informatiche"
"Tangenti nei ministeri" Arrestato il dg di Sogei indagato l'uomo di
Musk
irene famà
roma
I lavori con il colosso SpaceX, l'azienda aerospaziale statunitense
fondata da Elon Musk, e la gara da 180 milioni per la
ristrutturazione della rete del comparto della Difesa. E ancora. La
gara per le licenze software dei server Natanix, all'avanguardia
della tecnologia di cloud. Ecco. Per raccontare «l'articolato
sistema corruttivo» smascherato da un'inchiesta della procura di
Roma bisogna partire da qui. Dai bandi finiti al vaglio degli
inquirenti e dai personaggi coinvolti. Arrestato Paolino Iorio,
direttore generale di Sogei, la società che si occupa della gestione
dei servizi informatici della pubblica amministrazione controllata
al 100% dal ministero dell'Economia. Il manager è stato fermato
lunedì sera mentre intascava una mazzetta da 15 mila euro. Denaro in
contanti, chiuso in una busta, appena consegnato dall'imprenditore
Massimo Rossi, pure lui finito ai domiciliari.
Indagati in diciotto, con reati che spaziano dalla corruzione alla
turbativa d'asta, e quattordici società, di cui due quotate in
Borsa, Olidata e Digital Value. Tra gli altri Andrea Stroppa, classe
'94, referente di Elon Musk in Italia, che in questa storia avrebbe
pure potuto consultare un documento riservatissimo della Farnesina
in cui si valutava l'utilizzo delle tecnologie satellitari fornite
dal dall'azienda americana SpaceX. Nell'elenco anche Antonio Angelo
Masala, ufficiale della Marina distaccato presso il VI Reparto
Sistemi dello Stato Maggiore della Difesa, e Amato Fusco, dipendente
del ministero dell'Interno. E altri personaggi che, a capo di
società minori, sono accusati di aver dato copertura contabile ai
flussi di denaro utilizzato per pagare le tangenti.
«Un sistema corruttivo con ramificazioni sia all'interno del
ministero della Difesa, sia in Sogei, sia al ministero
dell'Interno», è scritto negli atti. I finanzieri del Comando
provinciale di Roma e del nucleo speciale polizia valutaria hanno
intercettato flussi finanziari anomali tra alcuni imprenditori e
dirigenti. Scattano le intercettazioni telefoniche e ambientali e il
numero uno di Sogei in auto parla da solo, si racconta, si
"confessa".
Personaggio chiave, in questa vicenda, è Massimo Rossi, dominus di
un gruppo temporaneo di impresa. È lui, secondo la procura di Roma
diretta da Francesco Lo Voi, a creare relazioni, tenere i contatti,
far girare i soldi. E tra le varie gare e i vari appalti ci si
aggira intorno ai 300 milioni di euro.
Con il manager Iorio, dal novembre 2023 si incontrano due volte al
mese per scambiarsi decine di migliaia di euro. Rossi vuole favorire
le imprese legate a lui, alla sua famiglia e ai suoi amici. Così
paga. E con Sogei avrebbe stipulato «una serie di contratti» per un
valore complessivo di oltre cento milioni. In particolare: «Sogei
spa si è impegnata ad acquistare prodotti e servizi forniti da
Italware srl per 98.617.126,37 euro e da Itd Solution spa per
5.772.010,11».
Sogei, in una nota, «esprime piena fiducia nella magistratura, a cui
sta prestando totale supporto», e si dichiara indiscutibilmente
estranea ai fatti. «Se questi fossero acclarati in maniera
definitiva l'azienda si dichiarerà parte lesa e si tutelerà nelle
sedi competenti».
Denaro, potere, influenze, contatti sono sullo sfondo di questa
vicenda complessa. Un esempio è il caso che riguarda SpaceX.
L'ufficiale della Marina viene a scoprire il progetto del governo di
acquistare il sistema satellitare» Starlink. Lo scorso 29 agosto è
in riunione e attorno al tavolo si valuta «il progetto finalizzato
all'impiego, con scopi militari prima e dual use dopo, delle
tecnologie satellitari fornite dall'azienda americana». Così
aggancia Stroppa. Gli invia anche un «documento riservato redatto a
margine della riunione». Gli propone una sorta di collaborazione:
lui assicura informazioni confidenziali, «in cambio accetta la
promessa da Stroppa della conclusione di un contratto di fornitura
tra Spacex e Olidata spa», nota società di informatica. «Questa
vicenda - si legge negli atti - è sintomatica di un accordo
concluso, o in corso di conclusione, al fine di far beneficiare
Olidata Spa degli affari del gruppo statunitense». E dalla Farnesina
precisano: «Non si tratterebbe di un documento "riservato" secondo
la classificazione di legge della documentazione "riservata" e
"segreta". Dovrebbe trattarsi di un documento interno, un elenco di
necessità espresse dal ministero (il numero delle ambasciate e
consolati) da collegare al sistema se eventualmente fosse andata
avanti la procedura».
Stroppa affida una replica ai social: a un utente che su X gli
chiede: «Puoi rispondere alle accuse che ti riguardano?», lui
risponde: «Certo, non vedo l'ora». —
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Valentina Patrignani , sposata con l'ufficiale di Marina Antonio
Masala, deteneva azioni in Olidata per tre milioni di euro
Soci occulti attraverso mogli e compagne Così il sistema faceva
affari anche in Borsa
roma
C'è un nome che torna nei vari appalti finiti al centro
dell'inchiesta della procura di Roma. Ed è quello di Olidata spa,
società di informatica quotata in borsa. Centrale, a quanto emerge
dagli atti, per comprendere questo giro di appalti truccati, denaro
e interessi. L'ufficiale di Marina Antonio Masala ne era «socio
occulto» tramite la moglie Valentina Patrignani, pure lei indagata,
«titolare di azioni per oltre tre milioni di euro». Così anche il
dipendente del ministero dell'Interno Amato Fusco, che «tramite la
compagna era titolare di azioni per 10 mila euro». Così si
spiegherebbe almeno parte dell'interesse a inserire Olidata nelle
«catene delle vendite».
Il 30 gennaio 2024, il raggruppamento temporaneo di imprese che fa
capo all'imprenditore Massimo Rossi, finito agli arresti
domiciliari, si aggiudica l'ampia gara di ristrutturazione delle
infrastrutture della rete del comparto della Difesa. E Antonio
Masala, «l'Antonio della Difesa» per gli amici d'affari, si muove.
Incontra Rossi, fornisce informazioni utili. Poi, «come illecito
compenso per l'opera prestata nella gestione della procedura»,
Olidata spa viene inserita «dalle imprese aggiudicatarie nella
catena di vendita con proventi quantificabili in oltre 4 milioni e
mezzo».
Stesso schema sarebbe stato attuato dal dipendente del Viminale e
direttore della Centrale dei servizi logistici e della gestione
patrimoniale della Polizia di Stato. Ad aprile 2024, il ministero
dell'Interno apre la gara per le licenze software per il server
Natanix, tecnologia di cloud. Fusco, secondo le accuse, incontra
l'imprenditore Rossi. L'affidamento va ad Itd Solution e ad un'altra
srl coinvolta nell'indagine. Olidata spa viene inserita nella catena
di vendita.
A febbraio 2024, invece, la stessa gara viene bandita dalla
Direzione di Intendenza della Marina Militare. Qui è l'ufficiale
Masala che si attiva. Anche qui «otterrà» dei favori. «Riceverà - si
legge negli atti - un'indebita utilità attraverso partecipazioni
occulte a società formalmente riferibili alla moglie».
Olidata spa, che vede indagato il rappresentante legale Cristiano
Rufini, torna anche nella questione di Spacex. L'ufficiale di Marina
contatta l'uomo di Elon Musk in Italia, gli assicura informazioni
utili. In cambio? «Un contratto di fornitura con Olidata».
Lo Stato Maggiore della Difesa assicura «il massimo supporto alle
autorità inquirenti». E aggiunge: «I presunti comportamenti per i
quali si indaga non sono certamente compatibili con i valori e i
principi fondanti delle Forze Armate italiane».
Borsa Italiana comunica che da oggi, fino a successivo provvedimento
sulle azioni ordinarie, a Digital Value spa e Olidata spa non sarà
consentita l'immissione di ordini senza limite di prezzo. I titoli
ieri hanno chiuso rispettivamente in calo del 10,46% e del 13,33%,
dopo che le sedi delle due società sono state perquisite per le
ipotesi di corruzione e turbata libertà degli incanti nell'ambito di
diverse procedure di appalto e affidamento in materia di informatica
e telecomunicazioni, bandite da Sogei, dal ministero
dell'Interno-Dipartimento della Pubblica sicurezza, dal ministero
della Difesa e dallo Stato maggiore della Difesa.
L'inchiesta prosegue. I finanzieri del Comando provinciale di Roma e
del Nucleo speciale polizia valutaria, a casa e negli uffici degli
indagati e delle società, hanno sequestrato tablet, smartphone,
computer, pennette usb e documentazione di ogni tipo, digitale e
cartacea, per ricostruire i flussi finanziari delle operazioni
finite nell'indagine. Al vaglio le fatture relative alle operazioni
considerate inesistenti, i contratti e i bilanci. Si analizzano i
conti. Mentre nelle chat, in particolare WhatsApp e Telegram, e
nelle email si cercano le parole chiave. Va da sé i nomi delle
società e delle persone indagate, soprannomi compresi come «Cr7» o
«biondina». C'è pure la ricerca «AS Roma»: tra le utilità promesse
in cambio di favori potrebbero risultare anche i biglietti per le
partite di calcio.
- il retroscena
Poche ore prima del blitz
degli inquirenti aveva preannunciato che i "poteri forti" erano in
azione A Palazzo Chigi scattano le verifiche sul 31 enne che
lavorava con il governo all'accordo Starlink
Stroppa, l'ex hacker evoca complotti "Vogliono fermare Elon e
Giorgia"
ilario lombardo
roma
«Giorgia Meloni capisce che il futuro è questo. Coinvolgendo le
aziende italiane si creano lavoro e investimenti, con Starlink si
connettono i cittadini e le Pmi fuori dai grandi centri abitati. Chi
prova a ostacolarla dovrebbe vergognarsi». Alle tre e quaranta di
pomeriggio del 13 ottobre, Andrea Stroppa scrive questo tweet su X,
il social di proprietà di Elon Musk, suo mito, suo mentore, suo
datore di lavoro. Un follower gli chiede: «Se veramente qualcuno si
sta opponendo, sarebbe bene chiamarli pubblicamente a renderne
conto». «Se sarà necessario –è la risposta – al momento giusto». È
come se Stroppa sapesse qualcosa e volesse anticiparlo. Poche ore
dopo, alle sette e mezza di sera, diventa ancora più esplicito:
«Stiamo lavorando per far diventare Italia grande partner di SpaceX.
Qualcuno – anche nei palazzi – sta provando a fermarci. Fate sentire
la vostra voce! ». Passano solo venti ore da questo sfogo, e
scatterà il blitz della Guardia di Finanza: così si verrà a sapere
che Stroppa è indagato dalla procura di Roma. Senza mai staccare le
dita da X, lui non si scompone, dice di non vedere l'ora di
rispondere sulle accuse dei pm, e ripubblica, autocitandosi, il suo
tweet, con un'aggiunta: « "Qualcuno sta provando a fermarci". Un
giorno scriverò un libro». Segue faccina che ride.
I palazzi. I poteri forti. Meloni tirata in ballo come vittima
predestinata di un complotto. Trame evocate, ma senza nessun nome.
Sembra il calco di uno dei tanti discorsi della premier in questi
primi due anni di governo, sempre prontamente rilanciati nelle
batterie delle dichiarazioni dei parlamentari di FdI, nei quali
Meloni ha adombrato cospirazioni e intrighi ai suoi danni, senza mai
portare una prova. La magistratura sospettata di muoversi per fini
politici diventa così il naturale bersaglio della destra che governa
e dei suoi principali sponsor. Lo fa Elon Musk in difesa di Matteo
Salvini, imputato per aver tenuto in mare un barcone pieno di
migranti. E lo fa Andrea Stroppa appena entrano in gioco gli
interessi di Musk.
Meloni è in Senato quando la notizia dell'inchiesta Sogei diventa
pubblica. Le girano i primi articoli. A Palazzo Chigi scatta
l'allarme per verificare ingressi e contatti con Stroppa, l'uomo che
sta trattando l'accordo con il governo per integrare il sistema
satellitare di Musk, Starlink, alla rete della banda ultralarga. La
sua biografia racconta l'ascesa rapida di un ragazzo di trentuno
anni di Torpignattara, prima periferia romana, cespuglio di capelli
disordinato, spesso vestito in tuta Adidas, un hacker, un classico
nerd che prima della guerra in Ucraina coltivava relazioni con
pirati informatici russi, cooptato dalla politica, esperto di
cybersecurity per Matteo Renzi nel 2017 (scoperto dall'amico e
appassionato del settore Marco Carrai), diventato poi il braccio
operativo di Musk in Italia, «referente della multinazionale SpaceX»
scrivono i magistrati. Di fatto, un lobbista che sui social si fa
chiamare Claudius Nero's Legion, dal nome del generale romano del
200 a. C, e che si muove agevolmente tra i ministeri, con
un'interlocuzione costante che si intensifica nell'ultimo anno
quando Meloni entra nell'orbita del pianeta Musk. Stroppa è a
Palazzo Chigi con il guru sudafricano quando Mister Tesla incontra
la premier. È con lui quando viene accolto tra gli applausi come
ospite d'onore ad Atreju, la festa annuale di FdI. È con lui alla
serata di gala del 23 settembre all'American Council di New York,
mentre l'uomo più ricco del mondo siede al tavolo con Meloni dopo
averle consegnato il Global Citizenship Award. Quando c'è Musk, c'è
Stroppa, colpito come per osmosi dall'infatuazione politica del
miliardario per Meloni e per Donald Trump.
A Palazzo Chigi si minimizza l'imbarazzo ma non si negano le
verifiche. La rete di Stroppa si allarga ai ministeri Esteri,
Difesa, Interno, Imprese e Made in Italy. La premier chiede che sia
il sottosegretario con delega ai Servizi, Alfredo Mantovano, a
occuparsene. Anche perché dalle carte spunta un documento della
Farnesina – definito «segreto» dai pm – che un indagato, l'ufficiale
della Marina Militare Antonio Masala, ha passato a Stroppa. Il
ministero guidato da Antonio Tajani conferma, con una precisazione,
però: non si tratta di un documento riservato ma a uso interno. Ed è
un elenco di ambasciate e consolati da collegare a Starlink per
«migliorare il livello delle comunicazioni di installazioni della
presidenza del Consiglio, degli Esteri, della Difesa in aree
problematiche, soprattutto nel Mediterraneo». È solo una piccola
parte del grande affare che Stroppa esalta quasi quotidianamente su
X, e di cui si fa vanto con gli indagati, interessati a entrarci con
la società Olidata. Un accordo pubblico-privato che il governo
sovranista di Meloni sta accarezzando per colmare i ritardi nei
progetti del Pnrr sulla rete ultraveloce, che valgono 6 miliardi di
euro. Lo conferma il sottosegretario all'Innovazione tecnologica
Alessio Butti che ha ammesso una prima sperimentazione per portare
il servizio "space-based" in aree remote, difficilmente
raggiungibili dalle infrastrutture terrestri. Le resistenze di
Telecom e Open Fiber, gli operatori che gestiscono la rete e che
temono l'avanzata di Musk, sembrano ormai superate dalla volontà
politica dell'esecutivo. Meloni è decisa ad andare avanti,
nonostante i rischi evidenziati dal Pd con un'interrogazione alla
premier e al ministro del Made in Italy Adolfo Urso, e con le
dichiarazioni rilasciate da Lorenzo Guerini. L'ex ministro della
Difesa e presidente del Copasir, il comitato parlamentare di
controllo sui Servizi, a fine settembre, durante gli Stati generali
sullo Spazio, ha invitato il governo a riflettere su cosa comporti
per la sicurezza dell'Italia affidare a un privato, proprietario di
satelliti a bassa quota, i dati dei cittadini
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15.10.24
-
10 ANNI DI PROTEZIONI E SILENZI, obiettivo LIBANO e poi IRAN con gli
USA: Dagli insediamenti a
oggi: tutti gli affronti. Oggi consultazioni al Consiglio di
sicurezza sul Libano
Quelle 174 violazioni del diritto internazionale Tel Aviv da dieci
anni sfida le Nazioni Unite
alberto simoni
corrispondente da washington
Israel Katz, capo della diplomazia di Gerusalemme, dice che l'87%
degli israeliani concorda con la decisione dell'esecutivo di
considerare il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres
«persona non grata». «Non cambieremo rotta», ha detto su X
confermando che la decisione del 3 ottobre è irreversibile.
La storia delle relazioni fra Onu e Israele tracima di
incomprensioni, denunce, schermaglie, scontri e lo Stato ebraico si
è sempre sentito bersaglio degli umori dell'Assemblea generale,
storicamente più vicina ad abbracciare causa palestinese e discorsi
dei leader dell'Olp e poi Anp che si sono avvicendati sul palco.
Celebre fu quello di Arafat del 13 novembre del 1974, il capo
palestinese pronunciò il discorso del «mitra e dell'ulivo».
Quest'anno Mahmoud Abbas, che di Arafat è stato successore all'Anp,
ha chiesto l'espulsione di Israele dalle Nazioni Unite in un
discorso concluso fra gli applausi.
È in questo clima che il sentimento di avversione di Netanyahu per
l'Onu germoglia. «In dieci anni – disse Netanyahu il 27 settembre a
Palazzo di Vetro – l'Assemblea ha formalmente denunciato Israele 174
volte, cento volte più che tutte le denunce riservate agli altri
Paesi messi insieme, è uno scherzo!». Segno di pregiudizio per gli
israeliani, fatti incontrovertibili di alcuni comportamenti
imputabili – dal sostegno ai coloni, agli insediamenti, sino
ovviamente alla campagna militare a Gaza – a Gerusalemme.
Per Netanyahu, «l'Onu è uno stagno di odio antisemita e qui si
accusa lo stato ebraico di ogni cosa».
A Palazzo di Vetro solo gli Stati Uniti sono i veri alleati: pronti
a bloccare in Consiglio di Sicurezza ogni risoluzione danneggi
l'alleato e a prediligere azioni bilaterali per indurre Israele a
moderare le sue azioni. Successe così nel maggio del 2021 quando
Washington mise il veto a un risoluzione sulla West Bank sostenendo
di voler lavorare sul canale privato con Israele.
Oggi ci saranno consultazioni – in programma da tempo – a porte
chiuse in Consiglio di Sicurezza su una risoluzione del 2004 (la
1559) che riguarda la sovranità territoriale del Libano. La
sottosegretaria Rosemary DiCarlo riferirà che benché in 20 anni il
contesto è mutato, la risoluzione – che già chiedeva il disarmo
delle milizie libanesi e non, due anni prima della Risoluzione 1701
(quella che ha rafforzato l'Unifil) – rimane ancora attuale. Non è
previsto alcun voto. Il piatto forte, ovvero la riunione d'emergenza
chiesta dalla Francia su Unifil, non è ancora in calendario. Si
capirà ancora una volta quanto Netanyahu può contare sull'alleato
Usa e quanto la comunità internazionale sarà in grado di premere su
Israele per fermare l'offensiva. Netanyahu vede Unifil come un
ostacolo alla distruzione di Hezbollah, «la quintessenza del
terrorismo nel mondo di oggi», disse il 27 ottobre. «Ha tentacoli
ovunque e attacca Israele ferocemente da 20 anni. Ora è troppo»
aggiunse prima di denunciare che per 18 anni Hezbollah non ha
rispettato la risoluzione 1701. Linea condivisa dagli Usa. Che,
tuttavia, hanno espresso sabato sera in una telefonata fra Austin e
Gallant «profonda preoccupazione» per gli spari sui caschi blu.
L'Unrwa (Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi) è altro terreno di
scontro permanente. Per Israele è il veicolo con cui i miliziani di
Hamas sfruttano connivenze e copertura internazionale per colpire
gli ebrei. L'Onu risponde che non «ci sono sufficienti evidenze» a
dimostrare che «il personale Unrwa abbia partecipato» all'eccidio
del 7 ottobre.
Dove l'Onu vede violazioni del diritto internazionale (gli
insediamenti nella West Bank, le operazioni a Gaza, l'invasione del
Libano, le condizioni dei prigionieri palestinesi per citare solo
alcuni casi recenti), Netanyahu fiuta un'ideologia perversa e
distorta della realtà e la negazione del diritto di Israele di
difendersi sancito dall'articolo 51 della Carta Onu.
L'Unrwa, dicono gli israeliani citando loro inchieste, ha avuto 30
membri dello staff coinvolti nel 7 ottobre e centinaia di dipendenti
hanno gioito per la strage. Nel 2004 Peter Hansen, allora
commissario dell'Unrwa disse in un'intervista a una tv canadese:
«Sono sicuro ci sono membri di Hamas sul libro paga dell'Onu». Per
poi precisare che comunque Hamas è un'organizzazione politica e non
solo militare. Ismail Haniyeh era un insegnante pagato da Unrwa,
diversi quadri di Hamas sono stati formati in questa struttura.
Pistola fumante secondo il Bibi-pensiero del cieco sostegno Onu per
i palestinesi. Schermaglie, anche violente. Ma ora gli spari su
Unifil aprono nuovi e incerti scenari.
-
INASCOLTATI : per la soluzione a due stati
Schlein e Conte: "Israele si fermi ora il governo riconosca la
Palestina"
«Dopo i violenti attacchi dei giorni scorsi alle postazioni Unifil,
l'ennesimo sconfinamento di carri armati dell'Idf verso le posizioni
delle forze di pace dell'Onu. Netanyahu va fermato, le sue azioni
criminali non possono essere più tollerate». Lo ha detto la
segretaria del Pd, Elly Schlein, in una nota diffusa ieri. «Il
governo italiano riconosca subito lo Stato di Palestina per iniziare
a costruire la soluzione dei due popoli, due Stati». Il leader dei 5
Stelle, Giuseppe Conte, dichiara: «Fermiamo la follia di Netanyahu,
prendiamo decisioni serie per imporre il cessate il fuoco e la
soluzione due popoli due Stati per Israele e Palestina.
- Fuoco
Mamma Fatima
"
sulle
famiglie
inviato a beirut
Sama ha tredici mesi e da 28 giorni i medici lottano per salvare il
suo viso dalle terribili ustioni che hanno bruciato tutta la parte
sinistra. Le medicazioni sono dolorose e quando comincia a piangere,
sempre più forte, l'infermiera tira la tenda che chiude la stanzetta
al primo piano del reparto ustionati all'Hopital Libanais de
Geitaoui, un quartiere cristiano di Beirut, non lontano dal porto. È
sdraiata su un fianco, con il suo pannolino, gli occhi spalancati, i
capelli castani tirati da un lato, la fronte e la guancia
bucherellate da macchie rosse, che devono rimarginarsi nel modo
giusto. L'infermiera tira meglio la tenda, fino in fondo.
Sarà una lunga lotta, ma almeno Sama non rischia la vita e non l'ha
persa, come tanti nel suo villaggio. L'ospedale è nuovo, luccicante.
Una struttura privata, pulitissimo, con aria condizionata, cartelli
in inglese e arabo, le pareti in granito grigio, nitide come
specchi. L'hanno ricostruito dopo la terribile esplosione del 4
agosto 2020, che ha devastato la parte bassa del quartiere, la più
esposta all'onda d'urto. Le cure sono costose, e solo chi ha una
buona assicurazione può permettersele. Ora però è diverso. C'è la
guerra, e dal Sud continuano ad affluire feriti, soprattutto
ustionati. Gente che non ha più nulla e viene curata gratis.
«Eravamo sulla veranda, io e mio marito, i suoi amici», racconta
Fatima, la mamma di Sama. Ha 36 anni, il velo nero ricamato ai bordi
che le cinge il volto e copre i capelli e le spalle. Indossa una
maglietta nera e pantaloni dello stesso colore, forse troppo
attillati per una donna del Sud sciita. Glieli hanno regalati perché
ha perso tutto nel bombardamento del suo villaggio, Deir al-Qanoun.
«Abbiamo visto esplodere la casa di fronte – continua – così, di
colpo, senza sentire nulla prima. Le bambine erano scese nel cortile
e hanno preso la botta in pieno, non le vedevo più per il fumo, io e
mio marito eravamo per terra, ma illesi, poi ho visto la plastica
che copriva la veranda prendere fuoco». Si mette a piangere. Poi,
dal telefonino, mostra le foto delle bimbe, Sama e la più grande,
sette anni, appena arrivate all'ospedale, tutte coperte di
bruciature. «La casa era in fiamme, abbiamo raccolto un po' di
vestiti e li abbiamo messi in macchina, stavamo per salire e
scappare quando un altro colpo l'ha distrutta, allora siamo corsi
verso i campi, con loro due tra le braccia».
Qualcuno li ha raccolti per strada e portati al primo ospedale
decente, nello Chouf, ma non era abbastanza attrezzato. Poi, per
fortuna, si è liberato un posto qui a Geitaoui. La dottoressa che le
ha in cura non si ferma un attimo da più di un mese. «La prima
ondata è stata quella dei cercapersone – ricorda –. Sono arrivati in
tanti, con ustioni al volto, la vista compromessa. È stato molto
brutto. Eravamo a disagio». Si ferma un attimo, e beve un altro
sorso di caffè. «Sapevamo che erano di Hezbollah, ed Hezbollah non
ama essere riconosciuto. E invece adesso li vedevamo in faccia,
registravamo i loro nomi nel registro. Non ero tranquilla, anche se,
certo, erano persone da curare». Si ferma di nuovo e riflette.
«Ho fatto il giuramento di Ippocrate, ma ho avuto anche brutti
pensieri». E cioè? «In questo quartiere l'esplosione al porto ha
fatto tante vittime. L'ospedale è stato mezzo distrutto. Ed
Hezbollah ha le sue responsabilità per quello che è successo quattro
anni fa e soprattutto per questa guerra dove ha trascinato tutto il
Libano. Ben gli sta, ho pensato».
All'inizio non ha provato molta pietà ma una storia le ha fatto
cambiare idea. «Una giovane di 22 anni – spiega – aveva perso tutte
e due gli occhi. Aveva preso il cercapersone che squillava per
portarlo dal padre, uno del partito, e le è esploso in faccia.
Quando me l'hanno portata, e ho saputo, ho avuto un colpo al cuore,
che destino terribile, che ingiustizia». Anche su Nasrallah ha
pensieri ambivalenti. «L'esplosione che l'ha ucciso mi ha ricordato
quella del porto, mi sembrava un giusto contrappasso. Ma tutto
sommato mi fa anche pena. È che questa guerra ci porta troppo dolore
e noi libanesi ne abbiamo vissuto già abbastanza».
Fatima, la mamma di Sama, l'aspetta in una saletta vicino
all'ingresso del pronto soccorso. Vuole sapere se la piccola tornerà
come prima, avrà una vita normale. Viene da un villaggio dove
Hezbollah la fa da padrone, e che adesso non esiste più. «Io non so
niente di politica – sembra quasi giustificarsi –. Non abbiamo mai
visto nulla, vivevamo tranquilli». In una grossa busta di plastica
trasparente al suo fianco ci sono indumenti di ricambio. Da quasi un
mese vive nell'ospedale. Dorme nella stanzetta della bambina, lei su
una brandina a fianco al letto, il marito sul pavimento, sopra una
coperta. Non sa se un giorno potrà ricostruire la sua casa. Vuole
solo vivere, possibilmente in pace.
-
progetto Albania
Le falle
del
dall'inviato a Gjadër
Mare calmo, visibilità ottima. «Niente, ancora niente», dice il
direttore del porto Sender Marashi. Stanno smontando il luna park,
qualcuno fa il bagno. Fra questi pescherecci che tornano carichi di
sgombri e sardine, uno dei prossimi giorni attraccherà una nave
della Marina Militare italiana. Porterà il primo carico di migranti
della missione Albania. Una missione piena di incognite e di
problemi. Si vedono tutti. A occhio nudo. In queste giornate di
attesa e cielo terso.
Roulette mediterranea
È una questione di fortuna. Si capisce bene. Ogni singola persona
che tenterà l'attraversata per arrivare in Europa avrà quattro
possibili livelli di rischio e di sventura. Scampata la morte per
annegamento, potrebbe essere portata indietro dalla Guardia Costiera
libica finanziata dal governo italiano: altre torture, altre
violenze, altri soldi da pagare. Il terzo livello di rischio è
incontrare una motovedetta italiana. Perché da lì è probabile il
trasbordo sulla nave hub della Marina, quindi una lenta navigazione
verso l'Albania. Che non è ancora Europa, anche se sogna di farne
parte. Per questo essere salvati da una nave Ong diventerà presto,
per distacco, la migliore delle possibilità. Le Ong non vanno in
Albania. Poco importa se verrà assegnato un porto di sbarco
lontanissimo, come scelta punitiva. Genova, Ravenna, Ancona sono
comunque Italia, sono pur sempre Europa.
Paesi sicuri
Possono essere deportati in Albania solo uomini adulti provenienti
da Paesi considerati «sicuri». Ma l'Italia considera sicuri anche
Egitto, Tunisia e Bangladesh. Mentre una sentenza del 4 ottobre
della Corte di giustizia dell'Unione europea fissa altri parametri.
Perché un Paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo in
qualsiasi parte e per qualsiasi cittadino. Chiedete a quel ragazzo
tunisino a cui è stato tagliato un testicolo per ritorsione, dopo
che aveva messo incinta la sua fidanzata, se tornare in Tunisia per
lui sia effettivamente sicuro. Come si comporteranno i giudici che
dovranno decidere sui singoli casi?
Un destino in pochi giorni
La procedura accelerata per chiedere il diritto d'asilo dovrà durare
al massimo 28 giorni. Servono interpreti preparati. Servono
informazioni precise che mettano le persone nelle condizioni di
esercitare un diritto. Serve sapere chiaramente – per esempio – che
in caso di diniego della commissione, il tempo per presentare
ricorso è stato appena ridotto a 7 giorni. Fare tutto questo in
Albania, in video collegamento, secondo molti giuristi discrimina
fra migranti e migranti, il che è anticostituzionale. Di sicuro un
migrante in Albania sarà molto più solo. Più indifeso.
Avvocato d'ufficio o di fiducia
Per esempio: vallo a trovare un avvocato di fiducia, stando dentro
le gabbie del centro di detenzione di Gjadër. Devi difenderti in
lingua italiana, in un Paese che parla albanese, mentre tu ne parli
un'altra ancora. Da queste gabbie il diritto alla difesa appare
fortemente indebolito.
Un piccolissimo Stato italiano in terra d'Albania
Lo dicono gli agenti di guardia: «Oltre il cancello cambia nazione».
Lo dice il premier albanese Edi Rama: «Quei centri non ci
riguardano». Non si capisce quindi cosa succederà in caso di
rivolte, di incendio, di tentatitivi di fuga. O, più semplicemente,
se una persona dentro si sentirà male e avrà bisogno di cure urgenti
dall'altra nazione. Oltre le gabbie.
Prigionieri di fatto
«L'accordo con l'Italia prevede che nessun migrante uscirà mai da
lì», dice sempre il premier albanese Edi Rama. Ma l'Italia non può
costringere all'infinito un migrante dentro a quelle gabbie. Si
prevedono molti viaggi di ritorno: Adriatico coast to coast.
Il conto salato
Per costruire l'hotspot al porto di Shëngjin e il centro di
trattenimento di Gjadër, il governo Meloni ha già stanziato 65
milioni di euro. Il costo di gestione previsto è di 120 milioni
all'anno. Ma è un costo ipotetico. Sottostimato. Perché nessuno sa
quanti trasbordi – effettivamente – verranno fatti. Quanti
poliziotti saranno impiegati in trasferta, quanti costi vivi e
variabili dovranno essere sostenuti.
Il miraggio delle espulsioni
Nella prima metà del 2024 in Italia sono stati firmati 13.330 ordini
di rimpatrio. Le espulsioni eseguite 2. 242. Questi sono i numeri
reali. Cosa sarà dei migranti con il foglio di via in terra
albanese? La probabilità che il governo italiano debba accompagnarli
sul suolo italiano, per poi abbandonarli al loro destino, è molto
alta.
Ma allora perché?
Per rimpatriare direttamente dall'Albania alcune nazionalità,
pochissime. Quasi soltanto migranti tunisini, grazie all'accordo fra
governi. Questo sembra l'obiettivo. Serve una foto simbolica. «Siamo
nel propagandistico» dicono gli studiosi del fenomeno migratorio. Ma
mentre il governo cerca la foto, il rischio è creare una zona
franca. Sarà difficile testimoniare quello che accadrà lì dentro. I
centri in Albania nascono per essere "un altrove". Un posto senza
testimoni. —Nel decreto Flussi inserito un articolo per espellere
anche chi non ha mai messo piede in Italia
Quella norma ad hoc per i respingimenti "Il diritto al ricorso sarà
solo sulla carta"
serena riformato
ROMA
Mentre a Shengjin e Gjader si erigevano le mura dei centri, in
Italia il governo ha silenziosamente cercato di costruire un
impianto normativo per legittimare il sistema Albania. Nel decreto
Flussi, approvato il 3 ottobre, almeno due norme sono state scritte
ad hoc per le strutture albanesi. La più importante è all'articolo
13: l'esecutivo amplia le ipotesi di respingimento alla frontiera
fino a comprendervi i migranti che in Italia non ci abbiano nemmeno
mai messo piede. Finora, il questore poteva decidere l'espulsione –
tramite la procedura accelerata, 28 giorni per esaminare la domanda
– solo per gli stranieri bloccati alla frontiera o appena entrati
nel Paese. Ma l'ipotesi non avrebbe compreso, formalmente, i
migranti che verranno portati in Albania prima ancora di aver fatto
ingresso in Italia. Con il codicillo inserito appositamente nel
decreto Flussi, invece, il respingimento differito potrà essere
applicato agli irregolari «rintracciati a seguito di operazioni di
ricerca o soccorso in mare» durante le «attività di sorveglianza»
dei confini esterni dell'Ue. Prima ancora di sbarcare. Che
l'aggiustamento sia pensato per l'Albania è confermato anche da
altre piccole modifiche: sempre in base all'articolo 13 del
provvedimento, la decisione di rigetto della domanda di protezione
porterà al respingimento anche «qualora la procedura si svolga
direttamente alla frontiera o nelle zone di transito». Per
Gianfranco Schiavone, giurista dell'Asgi, «con il decreto Flussi il
governo italiano ha cercato di rafforzare la possibilità di
espellere i migranti che transiteranno in Albania». Comprimendone i
diritti. All'articolo 17 del provvedimento, infatti, si prevede
anche un dimezzamento del tempo concesso allo straniero per
presentare ricorso nel caso la sua domanda di protezione sia stata
rifiutata: da 15 a 7 giorni. «La decisione di impugnare un diniego
non rientra nei doveri dell'avvocato d'ufficio», spiega Schiavone:
«Il migrante in 7 giorni dovrebbe trovarsi un legale in Italia,
contattarlo non si sa come e convincerlo a depositare l'atto in
pochi giorni». Secondo il giurista, «lo scopo di questa operazione è
lasciare il diritto al ricorso sulla carta, ma svuotarlo di effetto.
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14.10.24
-
Chiara Gribaudo
Le prospettive
"Brandizzo ci ha dato una lezione non parliamo di errori umani"
serena riformato
roma
«Dopo le tragedie, vorremmo che non ci fosse solo una corale
indignazione, ma si imparasse qualcosa: quello che è successo a
Brandizzo non deve accadere mai più». Chiara Gribaudo,
vicepresidente Pd, alla Camera presiede la Commissione parlamentare
d'inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia con questo
obiettivo: dissezionare le stragi degli ultimi anni, comprenderne le
cause e individuare le debolezze su cui intervenire. A settembre, la
commissione ha pubblicato un rapporto sull'incidente di Brandizzo,
dove 5 operai furono travolti da un treno mentre lavoravano sui
binari. «La magistratura cercherà i colpevoli - specifica Gribaudo
-. Noi cerchiamo le opportunità di miglioramento».
La relazione riconosce il «comportamento umano» come «causa
principale» della strage di Brandizzo. La politica cosa può fare?
«Siamo certi che quelle persone, in quel momento, non dovevano stare
sui binari. Ma ci vuole prudenza a parlare di "errore umano". Dietro
la definizione arida c'è un problema più ampio: è l'organizzazione
del lavoro che mette i dipendenti nelle condizioni di sbagliare».
In che modo?
«Influiscono i vincoli di orario, la spinta a fare in fretta, la
percezione che si dà del rischio, anche solo nel linguaggio. La
tendenza generale è certificare il rispetto delle norme dal punto di
vista burocratico e poi vivere quotidianamente una realtà ben
diversa. È un problema di formazione, di clima e cultura della
sicurezza».
Servono più corsi?
«Non riguarda solo gli operai, ma anche i capi. Oggi, per la
Giornata nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro sarò a
Casteldaccia, nel Palermitano, dove a maggio cinque lavoratori sono
morti respirando un gas mortale nel corso della manutenzione
fognaria. Fra loro c'era il proprietario della ditta in subappalto».
Ecco, le scatole cinesi dei subappalti quanto incidono sul fenomeno?
«Purtroppo, se andiamo a vedere i dati, nella catena degli appalti e
dei subappalti si concentra il maggior numero di infortuni. C'è
sempre il rischio che si creino lavoratori di serie A e serie B. Non
c'è dubbio che qualcosa vada ripensato. Con il Codice degli appalti
si è fatto un primo passo. Ma non è abbastanza».
Cosa bisognerebbe fare di più?
«Nel rispetto dell'autonomia della magistratura, mi chiedo se sia
opportuno che le stazioni appaltanti, dopo eventi particolarmente
drammatici, possano continuare ad affidare le lavorazioni a imprese
responsabili di inadempienze con gravi conseguenze».
Nei primi otto mesi del 2024 l'Inail ha contato 680 morti sul
lavoro, con un aumento del 3,5% sull'anno precedente. Com'è
possibile che i numeri siano in crescita anziché diminuire?
«Purtroppo, i dati Inail sono anche parziali perché non considerano
il lavoro nero. Queste cifre ci dicono quanto sia importante non
limitarsi alle norme spot annunciate dopo gli eventi tragici, e poi
lasciar passare mesi senza prestare troppa attenzione al problema.
Servirebbe un cambio di passo radicale. Per questo, dal 29 al 31
ottobre la Commissione d'inchiesta che presiedo organizzerà gli
Stati generali su salute e sicurezza sul lavoro in Italia, in
collaborazione con la presidenza della Camera».
Come si svolgeranno?
«Sarà presente il presidente della Repubblica e interverrà il
commissario europeo per il Lavoro uscente Nicolas Schmit. Faremo
tavole rotonde con tutte le istituzioni che si occupano del tema,
dagli ispettori alla magistratura, passando per le associazioni di
categoria. Approfondiremo i problemi dell'edilizia e
dell'agricoltura, ma anche delle molestie sui luoghi di lavoro. E ci
sarà anche un focus specifico sulla necessità di un massiccio
investimento sulle nuove tecnologie».
Come possono incidere sulla sicurezza?
«Torno ai risultati della nostra inchiesta su Brandizzo. Oggi
esistono meccanismi sofisticati che permettono ai treni di
rallentare la velocità, se percepiscono la presenza di persone sui
binari. Avrebbero evitato l'immane tragedia della notte fra il 30 e
31 agosto 2023. In altri Paesi, questi strumenti sono già
operativi». —
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13.10.24
-
PUTIN CONTINUA AD UCCIDERE :
«Un colpo terribile», dice Volodymyr Zelensky mentre incontra Papa
Francesco, «una notizia sconvolgente», secondo la diplomazia
dell'Unione Europea, un «crimine di guerra» come viene qualificato
dalla magistratura di Kyiv. La notizia della morte della giornalista
ucraina Viktoria Roschina in un carcere russo, a 27 anni, è arrivata
proprio mentre la sua famiglia aspettava di poterla riabbracciare:
dopo lunghe trattative, era stata inclusa nella lista dei
prigionieri da scambiare tra Russia e Ucraina. Invece, dopo lunghi
silenzi, le autorità penitenziarie russe hanno infine comunicato al
padre della cronista, Volodymyr Roschin, che sua figlia è deceduta,
in circostanze e per cause sconosciute, mentre veniva trasferita dal
carcere di Taganrog, nel Sud della Russia, in una prigione
moscovita.
Una fine terribile per una reporter diventata famosa per le sue
inchieste scomode: aveva indagato la strage sul Maidan durante la
rivoluzione in piazza del 2014, ed era andata più volte nei
territori occupati dai russi per raccontare i crimini contro la
popolazione civile. Cronista della tv Hromadske e della Ukrainskaya
Pravda, Roschina aveva iniziato a fare la giornalista a 16 anni e
veniva descritta dai colleghi come molto coraggiosa e determinata.
Era già finita nelle mani dei militari russi nel 2022, mentre
cercava di entrare nella Mariupol assediata dalle truppe di Mosca,
ed era stata rilasciata dopo qualche giorno di prigionia, costretta
a girare un video in cui ringraziava i militari di Putin per «averla
salvata». Nonostante questa esperienza, portare la testimonianza
degli ucraini rimasti sotto l'occupazione russa era diventata la sua
missione: si era infiltrata nei territori occupati ed è proprio lì
che era sparita, il 3 agosto 2023. Le autorità russe avrebbero
ammesso di averla arrestata soltanto nel maggio 2024, ed era stata
inserita ufficialmente nella lista dei prigionieri della Croce Rossa
internazionale. Il 28 agosto scorso Volodymyr Roschin aveva chiesto
ufficialmente ai russi notizie di sua figlia, e giovedì scorso ha
ricevuto una mail (datata 2 ottobre) nella quale gli veniva
comunicato che era deceduta il 19 settembre.
Difficile immaginarsi una causa "naturale" di questa morte: il 6
ottobre Victoria avrebbe dovuto compiere appena 28 anni. Ma il
carcere giudiziario numero 2 di Taganrog, dove era rinchiusa da più
di cinque mesi, è celebre come "l'inferno in terra", dice Tetyana
Katrychenko della ong ucraina "Media per i diritti umani". È uno dei
penitenziari dove vengono tenuti i prigionieri ucraini, civili e
militari, e gli ex detenuti che ci sono passati raccontano di
«torture terribili per costringerli a confessare crimini che non
hanno commesso». Manganelli, martelli e scosse elettriche sono gli
strumenti utilizzati contro i prigionieri, insieme alla denutrizione
e alle umiliazioni, come testimoniato da decine di uomini e donne
ucraini che vi sono passati. Un carcere talmente pesante che perfino
le autorità russe hanno deciso di sostituirne la direzione, dopo la
morte di diversi detenuti. Prima, Viktoria era stata incarcerata
nella prigione di Berdyansk, nei territori ucraini sotto occupazione
russa, un altro penitenziario noto per torture e maltrattamenti
degli ucraini.
Un inferno dal quale però Roschina avrebbe dovuto uscire a breve,
«avevamo fatto tutto il possibile per farla tornare a casa», ha
dichiarato ieri il portavoce dello spionaggio militare di Kyiv
Andriy Yusov.
Secondo alcune indiscrezioni, la giornalista avrebbe dovuto venire
scambiata già il 13 settembre. Qualcosa è andato tragicamente
storto. Troppe torture, troppi maltrattamenti, o forse qualche
vendetta dei servizi russi: Viktoria aveva indagato sui membri dei
reparti speciali Berkut fuggiti in Russia dopo aver sparato sulla
folla a Kyiv. Un indizio inquietante è il fatto che la Russia non
restituirà, almeno per ora, il suo corpo: bisognerà attendere «uno
scambio dei cadaveri di persone trattenute», recita la lettera
ricevuta dal padre, quindi un nuovo negoziato, che durerà mesi, per
fare tornare a casa la giovane reporter. Ci sono altri 25
giornalisti ucraini che restano nelle mani dei carcerieri russi, ha
ricordato ieri durante l'incontro al Vaticano Zelensky, parte di
quegli almeno 1.700 civili (tra cui più di 400 donne) imprigionati
nei territori occupati dai militari di Mosca.
- Howard Kakita Il superstite: "Solo i
testimoni comprendono l'enormità di quel disastro"
Illusione STUPENDA "Se
Putin e Kim ascoltassero la mia storia non vorrebbero più usare le
armi nucleari"
TAipei
«Sono incredibilmente felice». Howard Kakita ha 86 anni. Il 6 agosto
1945 ne aveva sette e si trovava a poco più di un chilometro
dall'epicentro dell'esplosione della bomba atomica sganciata su
Hiroshima dall'Enola Gay. Il premio Nobel per la Pace alla Nihon
Hidankyo e a tutti gli hibakusha è stato annunciato quando in
California, dove vive, era notte fonda. Appena appresa la notizia,
dice a La Stampa di avere una speranza: «Spero che questo risultato
rafforzerà gli sforzi globali volti a fermare la proliferazione
delle armi nucleari e a promuovere un divieto totale del loro
utilizzo». Lui quell'obiettivo lo persegue da decenni, tra le file
della American Society of Hiroshima-Nagasaki A-Bomb Survivors, «la
cui missione è strettamente in linea con quella della Nihon Hidankyo».
Eppure, da qualche tempo quanto accade nel mondo sembra andare verso
il riarmo e maggiori rischi di uno scontro nucleare.
«Spesso mi sono chiesto se alcuni dei leader mondiali abbiano mai
visto o ascoltato quello che è successo a noi. Forse no. Sono
convinto che questo Nobel darà più visibilità alla nostra causa.
Certo, purtroppo non credo che il premio basti per cambiare la mente
di Vladimir Putin e Kim Jong-un, né che possa risolvere
improvvisamente il conflitto in Medio Oriente. Ma io spero ci sia di
aiuto per continuare a evitare che le armi atomiche vengano
utilizzate, come fatto negli ultimi 80 anni».
Che cosa ricorda del 6 agosto 1945?
«Era un lunedì. Io e mio fratello stavamo andando a scuola, quando
altri bambini ci dissero che le lezioni erano state cancellate
perché c'erano degli aerei nemici nelle vicinanze. Ne fummo felici.
Quando abbiamo sentito che un aereo stava venendo verso Hiroshima,
io e mio fratello salimmo in cima al tetto della casa dove vivevamo
coi nostri nonni per vedere le scie. Per nostra fortuna, mia nonna
ci disse di scendere. Quando è arrivata la bomba, non ricordo il
lampo, né il botto. Ricordo le fiamme sui pezzi di casa caduti sopra
di me, l'odore di fumo. Non ero gravemente ferito e sono riuscito a
tirarmi fuori. Mio nonno e altri uomini presero i secchi per cercare
di spegnere un incendio, senza rendersi conto che l'intera città era
completamente scomparsa. Allontanandoci, c'era un'enorme sfilata di
persone simili a zombie. Alcune con orrende ferite, altre morte. Io
mi ammalai a causa delle radiazioni, ma in qualche modo sopravvissi.
Anche se le ferite psicologiche sono state più complicate da
curare».
Il direttore della Nihon Hidankyo ha paragonato la Gaza di oggi al
Giappone del 1945. Che effetto le fa quanto sta accadendo nel mondo?
«È da un paio d'anni, dopo la guerra in Ucraina, che mi chiedo come
sia possibile che siamo in questa situazione. E le cose sono persino
peggiorate. La Russia e la Corea del Nord minacciano di usare bombe
nucleari, la Cina ne vuole avere mille entro la fine del decennio.
Per non parlare dei rischi tra Israele e Iran, o tra Pakistan e
India. Abbiamo 13 mila armi nucleari nel mondo, 13 mila. Se
ascoltassero davvero le nostre storie non ne vorrebbero di più».
Ha fiducia nell'ascolto e nella comprensione delle nuove
generazioni, per evitare che si ripeta la tragedia?
«Vado spesso a parlare nei licei e nelle università. I giovani mi
sembrano molto interessati, ma a meno che tu non sia davvero
testimone di qualcosa del genere, è difficile comprendere del tutto
la grandezza del disastro. Noi la capiamo. Tra noi sopravvissuti, da
quanto è iniziata la guerra in Ucraina diverse persone non riescono
più a dormire, per il timore di dover rivivere quell'orrore».
-
La barca e il canone del Palafuksas al centro dell'inchiesta con 10
indagati
Ci sarebbero anche delle intercettazioni telefoniche a corredo delle
accuse sollevate dall'aggiunto Enrica Gabetta e dal sostituto
Giovanni Caspani nei confronti - anche - dell'imprenditore del gusto
Umberto Montano e della super dirigente del dipartimento Commercio
del Comune di Torino Paola Virano. L'inchiesta dello Scico della
Polizia e della Squadra Mobile di Torino vede 10 persone iscritte
nel registro degli indagati. La presunta corruzione lega le
posizioni di Virano e Montano. Lei lo avrebbe consigliato su come
rientrare da un debito di poco più di 500 mila euro e si sarebbe
interessata per abbassare (di un milione circa) i canoni della
concessione degli spazi del Palafuksas ricevendo in cambio il
prestito di una barca durante un weekend di vacanza all'Isola
d'Elba. g.leg. —
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12.10.24
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MESSAGGIO FORTE E CHIARO : MONITORIAMO I VOSTRI CONTI
dalla filiale di Intesa
Sanpaolo a Bitonto: il dipendente 50enne è stato licenziato Dal
procuratore antimafia alla presidente del Consiglio, oltre 3500
conti controllati in tutta Italia
La banca
La difesa di Coviello
Il bancario insospettabile spiava Meloni, politici e pm Ora si
indaga sui mandanti
"
irene famà
inviata a bari
Insospettabile. Dietro il suo sportello di una filiale di Intesa
Sanpaolo spiava i conti correnti di persone illustri. Illustrissime.
La premier Giorgia Meloni, sua sorella Arianna, il suo ex compagno
Giambruno. E ancora. I ministri Daniela Santanché e Guido Crosetto.
Il procuratore della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo
e carabinieri e militari della Guardia di finanza. Quello di
Vincenzo Coviello, cinquantenne di Bitonto, era un monitoraggio
quotidiano. Settemila gli accessi abusivi effettuati dal 21 febbraio
2022 al 24 aprile 2024: trecento al mese, circa quindici al giorno,
su oltre 3500 clienti portafogliati di 679 filiali sparse in tutta
Italia.
Sbirciava, questo è certo. Perché? Per chi? Difficile credere alla
semplice ossessione. Alla raccolta spasmodica di dati solo per farsi
"grande" con gli amici al bar. Secondo i primi accertamenti della
procura di Bari, guidata da Roberto Rossi, Coviello avrebbe
consultato conti correnti e anagrafiche. Ma quei dati non li avrebbe
né scaricati né condivisi con altri della banca né salvati su
supporti informatici. Insomma: nessun dossier mirato da condividere
come quelli del caso Striano, l'ex tenente della finanza indagato
per aver scaricato migliaia e migliaia di file segreti dalle banche
dati della Dna e delle forze dell'ordine.
Vincenzo Coviello per Intesa Sanpaolo si occupava della clientela
legata al business agro-alimentare con accesso a conti di società e
di aziende su tutto il territorio nazionale. «Quei dati li ho
consultati perché è il mio lavoro farlo», avrebbe detto per
giustificaris. Eppure l'alert è scattato lo stesso.
A banca Intesa Sanpaolo funziona così: il dipendente «autorizzato»
gestisce i dati della clientela e i sistemi di controllo
automatizzati monitorano i comportamenti e segnalano quelli anomali.
Ad esempio, se una stessa persona viene cercata troppe volte.
Insomma, se le consultazioni assumono un particolare rilievo
quantitativo o qualitativo. A quel punto scatta l'allarme. E così è
stato per Coviello. Gli analisti informatici del mega centro di
controllo che monitora i flussi telematici di tutto l'istituto
bancario da Moncalieri, comune alle porte di Torino, riscontrano le
anomalie. E la banca avvia un'indagine interna. A seguire il
procedimento disciplinare, che è una procedura lunga e scrupolosa.
Poi il licenziamento lo scorso 8 agosto.
Oltre ad avere adottato «tempestivamente nei confronti del
dipendente le opportune iniziative disciplinari», la Banca fa sapere
di avere «provveduto ad informare le autorità competenti». Immediata
la segnalazione al Garante della privacy e poi la denuncia in
procura. Insieme a un correntista di Bitonto che sarebbe stato
avvisato dal direttore dei numerosi accessi sul suo conto.
Consultazioni random per mera curiosità? Dai primi accertamenti,
risulta che Coviello abbia tenuto sotto controllo guadagni e spese
di politici, magistrati, sportivi, esponenti delle forze
dell'ordine. E l'elenco è davvero lungo. Compaiono, così raccontano
le prime informazioni, anche il presidente del Senato Ignazio La
Russa, l'ex ministro Raffaele Fitto, ora alla Commissione Ue, il
governatore della Puglia Michele Emiliano e quello del Veneto Luca
Zaia e il procuratore della Repubblica di Trani Renato Nitti.
Vincenzo Coviello era seriale. Non ha scaricato o copiato nulla, è
vero. Ma quei dati, in gran segreto, nascosto dietro il computer e
dietro quella teca di vetro che separa i dipendenti dai clienti, li
ha consultati. Forse appuntati. E ora gli investigatori dei
carabinieri della procura di Bari stanno cercando di ricostruire la
questione. Di risalire ai possibili mandanti. E di capire se il
funzionario ha agito da solo o con l'aiuto di qualcuno.
I numeri di questa sorta di spy story sembrano enormi. E lo sono, se
messi a confronto di un insospettabile funzionario. È doveroso,
però, ricordare che Intesa Sanpaolo gestisce circa 13 milioni di
clienti e al giorno transazioni che si aggirano intorno ai 20
miliardi. In questa vicenda, ciò che colpisce sono i nomi dei
personaggi spiati. E c'è chi si spinge a ipotizzare un
coinvolgimento degli investigatori privati. Faro degli inquirenti,
che hanno acquisito documenti e file e continuano ad ascoltare
testimoni, anche su eventuali pagamenti o altre utilità.
E la storia, con i dovuti distinguo, ricorda anche quella di Carmelo
Miano, l'hacker di Gela che dalla sua camera a Roma, a 24 anni, ha
violato i server del ministero della Giustizia e ha messo le mani su
fascicoli coperti da segreto di quattro procure. «Ho rubato le email
dei pm perché avevo attacchi d'ansia», avrebbe detto agli
investigatori della procura di Napoli.
Ansia. Curiosità. Poi c'è chi ipotizza un grande complotto. E chi
pensa a diversi mandanti impegnati a intercettare le persone giuste
al posto giusto. Per ottenere le informazioni che desiderano. —
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Produzione al palo: -3,2% su base annua "Una Caporetto per la nostra
industria"
La produzione industriale dell'Italia resta al palo. Ad
agosto, secondo l'Istat l'indice destagionalizzato della produzione
industriale è aumentato dello 0,1% rispetto a luglio. Ma in termini
tendenziali, la produzione industriale è scesa del 3,2% rispetto a
un anno fa. Le associazioni dei consumatori Unc e Codacons parlano
di «Caporetto» per l'industria tricolore. «Siamo al 19esimo calo
tendenziale consecutivo» dicono i consumatori. Su base tendenziale,
le flessioni maggiori si rilevano nella fabbricazione di mezzi di
trasporto (-14,2%), nella fabbricazione di macchinari (-11,6%) e
nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-10,8%).
Confcommercio parla di «situazione delicata» a cui si deve reagire e
la Cgil chiede al governo di convocare subito un tavolo di confronto
con imprese e sindacati a Palazzo Chigi.
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QUESTO E' IL FUTURO DI MIRAFIORI: Gli schiavi
del
tessile
niccolò zancan
inviato a seano (prato)
Ecco quello che si deve sapere. «Mi chiamo Ehtisham Hussain, ho 29
anni, sono pachistano. Il mio lavoro nel distretto della moda di
Prato consiste in questo: chiudo scatole, carico scatole, scarico
scatole, metto i capi sugli attaccapanni e poi chiudo altre scatole,
le carico e le scarico ancora. Ogni giorno. Per dodici ore al
giorno. Sette giorni su sette. Guadagno 1200 euro al mese. Ma senza
riposo, senza malattia. Quando devo andare in questura per il
documento, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Ogni volta che c'è
un problema, il capo mi toglie 50 euro dalla paga. Quando finisco il
turno, devo lavare i bagni e i pavimenti».
Ehtisham Hussain lavora in uno dei distretti economici italiani più
redditizi del mondo per una paga di 3 euro e 33 centesimi all'ora.
Ecco perché da domenica è in sciopero con altri lavoratori nelle sue
stesse condizioni. Sono i dipendenti di cinque aziende della zona
che chiedono di poter lavorare otto ore al giorno e di poter avere
un giorno di riposo settimanale. Mercoledì notte stavano facendo un
picchetto davanti ai cancelli della ditta di confezioni "Lin Weidong"
a Seano, quando è arrivata la squadraccia di picchiatori.
«In quel momento c'erano in tutto otto persone» spiega adesso la
coordinatrice di "Sudd Cobas", Sarah Caudiero. «Due lavoratori e due
sindacalisti erano a dormire nelle tende, due lavoratori e altri due
dei nostri erano qui ai tavolini per il turno sveglia». La
squadraccia di picchiatori è arrivata alle spalle. Scavalcando una
rete. Era buio pesto. Notte nera. «Per prima cosa hanno urlato:
"Fermi tutti, polizia!". Poi hanno iniziato a picchiare con dei
bastoni. Avevano felpe scure, cappucci in testa. Picchiavano.
Picchiavano tutti. Prima di scappare, hanno detto: "La prossima
volta vi spariamo"».
Erano italiani. «Leggera inflessione dialettale toscana», precisa
chi si è preso quelle mazzate sulla schiena. Ieri pomeriggio le
vittime del pestaggio - quattro persone con contusioni e lividi -
sono state sentite in procura. E sempre da ieri, un'auto dei
carabinieri resta di scorta davanti al presidio dei lavoratori. È
qui che incontriamo Ehtisham Hussain: «Siamo tutti stanchi, troppo
stanchi. Io mando 500 euro al mese a casa per fare vivere la mia
famiglia. Quando arrivano i miei soldi, loro vanno a fare la spesa.
Sono il più grade di cinque fratelli. Tutti dipendono dal mio lavoro
in Italia». Ma quale lavoro? Quale tipo di lavoro?
Il tessile: 10 mila aziende (compreso l'indotto) grandi, medie e
piccolissime, 35 mila lavoratori emersi. Ma ogni volta che uno
nomina questo distretto deve sempre ricordare i sei operai bruciati
vivi nel laboratorio di Prato dove lavoravano e pure dormivano, deve
sempre ricordare Luana D'Orazio stritolata da un orditoio a
Montemurlo perché il sistema di sicurezza era stato manomesso per
non rallentare l'impianto. E adesso? Ecco questi nuovi lavoratori
picchiati mentre cercavano di affermare la loro stessa esistenza in
vita. Avete paura? «No» risponde la sindacalista Sarah Caudiero.
«Siamo abituati. Non è la prima volta che riceviamo minacce o
peggio. A marzo un caporale di una ditta della logistica, "la
AccaSrl", ha picchiato i lavoratori per farli uscire dal sindacato,
mentre cercavamo un accordo per lavorare 8 ore al giorno invece che
12. Abbiamo contato sei aggressioni fra la primavera e l'estate».
Era il distretto dei cinesi al servizio dei grandi marchi della moda
internazionale. Ma adesso i lavoratori più poveri sono tutti
pakistani e afgani. Sono loro che stanno cercando di portare
all'attenzione di tutti quello che sta succedendo. Lo sciopero di
domenica ha coinvolto i lavoratori di cinque marchi: stireria Tang,
logistica Tredesi, tessitura Sofia, la fabbrica di cerniere Linzhong
e - appunto - confezioni Lin Weidong. Le prime quattro hanno aperto
un tavolo di trattativa. La quinta, per ora, rifiuta qualsiasi
possibile accordo. Per conto di chi sono arrivati i picchiatori? A
nome di chi stavano minacciando i dipendenti in sciopero?
La procura indaga, la politica si indigna. La sindaca di Prato,
Ilaria Bigetti, dice: «È inaccettabile che chi manifesta per i
propri diritti sia intimidito e aggredito». Tutti chiedono
chiarezza. Mentre i lavoratori sfruttati, che erano già scesi in
strada la notte del pestaggio, torneranno a manifestare domenica.
Per capire quello che ancora succede nel distretto del tessile più
famoso d'Italia bisogna sempre tenere a mente il caso Montblanc.
Erano lavoratori in committenza di due pelletterie di Campi
Bisenzio, impiegati dodici ore al giorno, sette giorni su sette, che
confezionavano borse vendute a 1200 euro al pezzo. Quando hanno
protestato, la casa madre ha tagliato i ponti: «Perché l'appaltatore
non ha rispettato gli standard delineati nel nostro codice di
condotta per i fornitori». E loro - i lavoratori sfruttati - sono
finiti per strada. Disoccupati.
- Due giorni di perquisizioni negli uffici
dall'assessorato al Commercio; nel mirino anche i bandi per
l'assegnazione dei posti al settore ittico
Favori e consulenze al patron di Mercato centrale
Indagata LA INTOCCABILE
Virano, super dirigente del Comune
giuseppe legato
giulia ricci
Il mercato coperto e quello ittico finiscono nel mirino della
procura di Torino. A vario titolo bandi – in ipotesi d'accusa -
sospetti , interessamenti per rideterminazioni di canoni di
concessione, consigli su fideiussioni e per "rientrare" da
esposizioni debitorie e – in cambio – regalie e favori. E
nell'inchiesta del procuratore aggiunto Enrica Gabetta e del pm
Giovanni Caspani, finiscono due nomi rilevanti. Si tratta
dell'imprenditore Umberto Montano, presidente e Fondatore del brand
"Mercato centrale", un format di grande successo aperto nel 2014 a
Firenze ed esportato nel giro di 7 anni in altre tre città d'Italia:
a Roma nel 2016, a Torino nel 2019 e a Milano nel 2021. E proprio
Torino è costata a Montano un avviso di garanzia per corruzione. In
questa contestazione figura in concorso Paola Virano, dirigente (con
la carica di direttore) del dipartimento commercio della Città a sua
volta accusata – solo di turbativa – per il bando relativo
all'assegnazione del mercato ittico. Ma andiamo con ordine: l'altroieri
e ieri mattina i poliziotti della Sisco (Sezione investigativa del
Servizio centrale operativo) della polizia e della Squadra Mobile di
Torino hanno notificato 10 ordini di esibizione ad altrettanti
indagati, acquisito documenti anche a Firenze, dove il brand Mercato
Centrale è nato e nella sede dell'assessorato al Commercio del
Comune di Torino. I filoni dell'inchiesta sono tre, ma quelli più
rilevanti conducono alla super-dirigente (già riferimento della
macchina comunale in passato per le politiche urbanistiche) e
all'imprenditore del gusto la cui iniziativa d'impresa a Torino – al
contrario delle altre sedi con fatturati alle stelle e numeri di
pubblico rilevanti – non ha riscosso per nulla successo. Doveva
essere un locale stellato alla portata di tutti, ma il suo rapporto
con Torino non è mai decollato. E questo nonostante all'epoca
l'iniziativa contava su nomi di assoluto spessore del panorama della
cucina e del gusto: Davide Scabin in testa (del tutto estraneo alla
vicenda in oggetto). Secondo l'ipotesi d'accusa - da dimostrare in
giudizio – Virano avrebbe dato consigli a Montano su come gestire il
rientro da un debito pari a poco più di 500 mila euro con Soris e -
sempre su richiesta di Montano - si sarebbe impegnata (senza ancora
risultati concreti) per rivedere i costi della convenzione che
regolava la concessione degli spazi su canone. Con un ipotetico
risparmio di circa un milione di euro. In cambio Virano avrebbe
ricevuto delle regalie – pare l'utilizzo di una barca – durante un
weekend di vacanza trascorso all'Isola D'Elba dove la dirigente ha
anche una dimora estiva. Il secondo fronte è quello del mercato
ittico. Attualmente chiuso, più bandi (base d'asta 2,6 milioni) per
l'assegnazione ad operatori di mercato sono andati deserti.
L'ipotesi di turbativa, di cui Virano risponde insieme ad altre tre
persone riguarderebbe un presunto intervento della dirigente per far
abbassare l'iniziale importo fideiussorio a garanzia della
partecipazione all'investimento che avrebbe potuto favorire o meno
alcuni operatori. Il legale di Virano, Roberto Capra commenta: «La
mia assistita è molto serena perchè ha sempre e solo lavorato per il
bene della città e siamo fiduciosi che gli accertamenti in corso
daranno conto della ‘assenza di qualsiasi ipotesi di
responsabilità». In coda altri indagati a Trofarello in un terzo
filone dell'inchiesta che coinvolge l'attuale segretario comunale in
ordine a presunti reati in materia urbanistica.
- professionisti
da giovedì scorso non hanno più messo piede nell'ospedale
Visite private in orario di lavoro Oftalmico, licenziati due medici
Caterina stamin
Timbravano come se stessero svolgendo regolare attività lavorativa
per l'ospedale. Peccato che in quelle ore, in cui erano pagati con i
soldi pubblici, visitassero pazienti privatamente. Per questo due
giovani oculisti dell'ospedale Oftalmico sono stati licenziati "per
giusta causa" dall'Asl Città di Torino. «A seguito di approfondite
verifiche, abbiamo preso provvedimenti nei confronti di due
professionisti - conferma Carlo Picco, direttore generale dell'Asl -
perché agivano in libera professione durante l'orario d'ufficio».
Per legge è prevista la netta separazione tra l'attività in orario
di servizio dei medici ospedalieri e la loro libera professione. Una
norma volta a evitare che i professionisti "rubino" tempo all'orario
per cui sono pagati dai cittadini e durante il quale devono svolgere
la loro attività da dipendenti. Nel caso in questione l'indagine,
durata mesi, ha preso in considerazione le "bollature" di due anni
consecutivi, dal 2022 al 2023. Per tutto questo periodo di tempo, i
due specialisti dell'Oftalmico - Riccardo B. e Alessandra M. - in
orario di "intramoenia"(ossia privato) più volte non si sarebbero "stimbrati
dall'ospedale": non avrebbero, quindi, sospeso il loro orario di
lavoro di dipendenti pubblici, mentre svolgevano la libera
professione privata. Così facendo, i due medici avrebbero anche
ricevuto un doppio compenso: dall'ospedale e dai privati cittadini
che, ignari di tutto, si sono rivolti a loro.
A mettere fine alle loro truffe alcuni controlli a campione dell'Asl
su diversi professionisti dell'ospedale: sono state esaminate le
prestazioni in intramoenia dei due oculisti e comparati gli orari.
Quindi, una settimana fa, entrambi i medici hanno ricevuto la mail
dall'Asl Città di Torino, che gli comunicava l'immediata
interruzione della loro attività lavorativa "per giusta causa". Da
giovedì scorso non hanno più messo piede all'Oftalmico. Dall'Asl è
partita la segnalazione all'autorità giudiziaria. I professionisti
potranno ricorrere contro il provvedimento di licenziamento,
proposto dalla Commissione di disciplina alla direzione generale.
Ma, viste le ripetute violazioni, sarà per loro difficile dimostrare
la buona fede.
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11.10.24
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MAFIA E STADI :
L'Antimafia
Inter e Milan
Le indagini
su
Grazia Longo
Roma
Sullo scandalo esploso dopo l'inchiesta della procura di Milano
"Doppia curva", che ha portato all'azzeramento dei vertici delle
tifoserie di Milan e Inter, interviene ora la Commissione antimafia.
A Palazzo San Macuto hanno già acquisito gli atti relativi alle
indagini e oggi il capogruppo Pd Walter Verini presenterà
ufficialmente la richiesta di un Comitato che possa occuparsi della
questione. La sua costituzione avverrà molto presto. «La presidente
della Commissione Chiara Colosimo mi ha già comunicato per le vie
brevi che accoglierà la mia richiesta - annuncia il senatore dem -.
È dunque probabile che dopo la lettura delle carte si procederà alle
audizioni dei presidenti dei club milanesi e delle persone utili
alla ricostruzione della vicenda».
L'idea del Comitato nasce dall'esigenza di una struttura più agevole
e snella rispetto all'assemblea plenaria. E l'obiettivo è quello di
estendere i lavori anche alle altre squadre per affrontare la piaga
delle infiltrazioni mafiose nel mondo del calcio. «Dobbiamo
affrontare un problema che non è solo milanese - precisa Verini -. È
noto che in moltissimi stadi italiani c'è questa situazione, in un
connubio pericolosissimo tra ultrà, criminalità e criminalità
organizzata. E le società spesso chiudono gli occhi».
Di qui l'idea di un Comitato che affronti, in un tempo definito, il
tema criminalità negli stadi, i rapporti con la criminalità
organizzata, le responsabilità delle tifoserie e cosa fare per
sradicare questi fenomeni. «Ovviamente non ci vogliamo sostituire
alla magistratura che fa la sua parte - prosegue -, come la fanno
anche le forze dell'ordine. La Commissione antimafia accende un faro
sul problema e il Comitato, dopo le audizioni può avanzare, magari
dopo sei mesi di attività, delle proposte al Parlamento per liberare
il calcio dalla criminalità organizzata che non ha niente a che fare
con il calcio, ma è solo delinquenza».
Verini pone l'accento sugli affari loschi che la criminalità
organizzata macina intorno agli stadi attraverso il bagarinaggio, il
merchandising, i parcheggi. Denaro che confluisce in attività
illegali come il traffico di droga e il riciclaggio: «La collusione
con la ‘ndrangheta è una miscela esplosiva molto pericolosa. La
Federcalcio, la Lega, le società di calcio devono prendere coscienza
e recidere questi collegamenti. Occorre restituire gli stadi ai
tifosi e non lasciarli nelle mani dei delinquenti».
All'attenzione del Comitato, inoltre, anche i pericolosi rapporti
delle tifoserie con l'estremismo nero. «Un aspetto che, come la
vicinanza ad ambienti mafiosi, riguarda varie città d'Italia, tipo
Verona, Bergamo, Torino, Roma - aggiunge -. In merito, infine, al
silenzio, spesso per quieto vivere, delle società di calcio, do atto
al presidente della Lazio Claudio Lotito di aver reciso i rapporti
con gli ultras, tanto da dover vivere sotto scorta».
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LI AVEVO SCONSIGLIATI A PEVERARO MA COME AL SOLITO MI RISE IN FACCIA
: Il Comune ricorre in giudizio per 4 contratti con Jp Morgan e
Dexia Crediop Un altro è con Intesa Sanpaolo. Il primo cittadino:
"Resta partner strategico"
La Città fa causa alle banche per i maxi-derivati del 2000 "Sono
contenziosi ordinari"
ANDREA JOLY
Cinque cause a tre diversi istituti bancari per interrompere un
salasso da quasi 200 milioni (e che rischia di salire di altri 50).
La Città, stretta da anni nella morsa di cinque contratti derivati,
ha deciso di fare ricorso alle banche con cui sono stati
sottoscritti tra il 2006 e il 2007 dagli assessori al Bilancio Paolo
Peveraro (fino a quando divenne vicepresidente della Regione con
Mercedes Bresso) e Gianguido Passoni all'epoca di Sergio Chiamparino
sindaco. L'obiettivo è quello di fronteggiare i debiti ed eventuali
ulteriori rialzi dei tassi d'interesse. Tra speculazione e crisi
economiche, infatti, quelli che sembravano affari 18 anni fa si sono
rivelati una scommessa sconveniente per il Comune. Così, dopo la
ricognizione della situazione la decisione di fare ricorso.
A confermarlo è stato lo stesso sindaco Stefano Lo Russo, ieri, a
margine della sua visita al mercato di Porta Palazzo. «È un fatto
tecnico in mano agli avvocati, ma è una cosa ordinaria», ha
precisato rispondendo alle domande dei giornalisti. Dei cinque
contratti derivati citati in giudizio, due erano stati sottoscritti
con la multinazionale statunitense di servizi finanziari Jp Morgan;
due con l'istituto di credito specializzato nella concessione di
mutui e prestiti a lungo termine per la realizzazione di grandi
infrastrutture Dexia Crediop; uno con Intesa Sanpaolo.
La Città «ha tanti contenziosi e di tutti i tipi, dalle buche alle
multe - ha ricordato Lo Russo - Da sindaco vorrei averne meno, ma
quelli che ogni settimana esaminiamo sono molti e questo è uno di
quelli». E ha poi aggiunto, sollecitato sulla stretta collaborazione
per numerosi progetti con Intesa Sanpaolo Intesa, come «resti un
partner strategico della Città con il quale i rapporti sono
eccellenti e con cui lavoriamo benissimo, continuiamo a lavorare e
continueremo a farlo in futuro. Questo è un caso molto specifico».
Il primo cittadino ha infine concluso citando il caso del
contenzioso col ministero di Grazia e giustizia sul pagamento degli
emolumenti della polizia municipale: «Non ha certo impedito di avere
un buon rapporto in seguito».
L'iniziativa si inserisce nelle numerose azioni intentate dal Comune
per ridurre il debito della Città: «mettere a posto i conti» è tra
le priorità di Lo Russo fin dai primi giorni di insediamento. L'assessora
Gabriella Nardelli, anche alla luce del Patto per Torino siglato col
governo Draghi per garantire l'equilibrio finanziario con risorse
straordinarie fino a 113 milioni di euro, in questa prima parte di
mandato ha studiato i bilanci e la rinegoziazione dei mutui.
Nell'ambito dell'analisi della situazione finanziaria è emerso che i
contratti stipulati non solo avevano procurato un buco da quasi 200
milioni, come filtra dagli uffici, ma forte anche di una serie di
sentenze della Cassazione favorevoli ai ricorrenti si poteva
recuperare almeno in parte la cifra persa.
L'avvocatura della Città, filtra dalle prime indiscrezioni, ha
affidato la pratica allo studio "Cedrini & Zamagni". Obiettivo:
recuperare parte dei milioni persi e smettere di versarne altri. —
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GIUSTIZIA ? La decisione del giudice di Brescia sull'esposto del
magistrato, a lungo nella Procura di Torino. Resta aperta la
posizione dell'ex procuratore
"Non c'è prova di complotto anti Padalino" Ma gli atti su Spataro
finiscono a Milano
elisa sola
«Non vi sono elementi per ipotizzare con un minimo grado di
fondatezza, tale da meritare il vaglio di un processo, che il
magistrato Andrea Padalino sia stato vittima di un complotto ordito
dai colleghi torinesi e della procura di Milano».
Lo scrive la gip Angela Corvi, del tribunale di Brescia, nel
provvedimento con cui ha archiviato la posizione di sette pubblici
ministeri in servizio nelle due città, all'epoca dei fatti al vaglio
delle indagini. La questione , però non è chiusa. La giudice ha
trasmesso le carte alla procura di Milano perché si valuti un ultimo
episodio, per il quale il nome di Armando Spataro, ex capo della
procura di Torino e in pensione al dicembre del 2018, fu iscritto
nel registro degli indagati per rifiuto in atti di ufficio. In
questo caso la gip Corvi ha preso atto che, per ragioni di
«competenza funzionale», non ha titoli per pronunciarsi, dal momento
che non ci sono magistrati milanesi interessati.
Il fascicolo era stato aperto dopo un esposto dello stesso Padalino.
Il magistrato, quando era in servizio a Torino come pubblico
ministero, era stato indagato per una vicenda di presunti favori in
procura. Al processo, celebrato a Milano, fu assolto.
Il caso di cui adesso dovranno occuparsi gli inquirenti di Milano,
riguarda un presunto divieto impartito dall'allora procuratore capo
Armando Spataro ai pubblici ministeri che stavano indagando sul
collega Padalino per i presunti favori nel Palazzo di giustizia di
Torino. A parlare del «divieto», come si ricava dalla lettura degli
atti, sono stati Anna Maria Loreto, succeduta a Spataro alla guida
della procura di Torino, e tre pubblici ministeri. La procura di
Brescia ha già fatto presente che a proprio parere non si
configurano illeciti di carattere penale.
Padalino, nell'esposto che diede il via alle indagini, lamentò, fra
l'altro, il mancato invio da parte di Spataro ai pm di Milano dei
resoconti di due procuratori aggiunti (Paolo Borgna e Patrizia
Caputo) che avrebbero potuto scagionarlo subito, senza passare per
il vaglio di un processo. Il gip del tribunale di Brescia, a
proposito, riporta ampi stralci di una relazione presentata nel 2023
da Anna Maria Loreto, da cui si dedurrebbe che i pm torinesi
chiesero più volte nel 2017 di ascoltare Borgna come testimone,
«vedendosi sempre opporre un netto rifiuto» da parte di Spataro. «In
luogo della testimonianza - affermava Loreto - Spataro si determinò
a chiedere a Borgna di redigere una relazione assicurandolo, su sua
richiesta, che non sarebbe mai entrata nel fascicolo». Il documento,
che non conteneva accuse contro Padalino, venne fatto leggere ai tre
pm torinesi che stavano lavorando al caso, con il «divieto» di
inserirlo negli atti di indagine. Una volta classificato «a
protocollo riservato», fu chiuso in cassaforte. Dopo il
pensionamento di Spataro fu Borgna, diventato reggente della
procura, a trasmetterlo alla procura di Milano il 7 marzo 2019. —
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10.10.24
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valentino Girlanda Sindaco di Bevilacqua: "In struttura pubblica
avrei aspettato 18 mesi"
"Cinquemila euro per non perdere la vista Ho dovuto chiedere un
prestito in banca"
Paolo Russo
roma
Sarà che la sanità non è più nelle mani dei sindaci come ai tempi
delle vecchie Usl, ma non si può dire che per il primo cittadino di
Bevilacqua, nel Veronese, qualcuno abbia avuto un occhio di
riguardo. La vista anzi ha rischiato proprio di perderla a causa
delle liste di attesa.
Valentino Girlanda, 63 anni, è un paziente fragile. «Qualche anno fa
ho infatti subito il trapianto di rene. Poi durante i controlli
periodici ai quali mi devo sottoporre, ho scoperto che quelle prime
difficoltà nel vedere rischiavano di diventare un problema
decisamente grave a detta del medico». In entrambi gli occhi si
erano formate due cataratte. Un male comune a una certa età, solo
che al sindaco è avanzato velocemente, «limitandomi in breve tempo e
in modo significativo la vista. Una situazione anomala, causata dai
farmaci anti-rigetto che devo assumere da quando sono stato
trapiantato», precisa Girlanda. Che a quel punto decide di prenotare
una visita dall'oculista «anche perché di li a poco avrei dovuto
rinnovare la patente di guida, che in quelle condizioni non mi
avrebbero concesso. In regime pubblico però i tempi di attesa
andavano da due a tre mesi». Troppi, «così sono andato a farmi
visitare all'ospedale di Legnano ma in forma privata, sborsando per
questo i primi 100 euro». Una bazzecola rispetto a quello che
sarebbe seguito. «L'oculista mi consiglia di sottopormi subito ad
intervento chirurgico e chiama il centro unico di prenotazione della
Ulss. La risposta però è stata una doccia fredda: il primo posto
libero era disponibile solo dopo un anno e mezzo. E pensare
-aggiunge- che il mio medico nel fare richiesta aveva specificato
che non c'era tempo da perdere perché la situazione avrebbe potuto
peggiorare rapidamente, rendendo incerto l'esito dell'intervento».
Questo perché se non operata la cataratta può causare un aumento
della pressione oculare con danni irreversibili all'occhio.
«A quel punto, per non rischiare di rimanere cieco, sono andato a un
centro privato di Verona, dove dopo un paio di settimane mi hanno
effettuato una seconda visita pagata altri 100 euro e poi, a
distanza di 20 giorni, sono stato operato, sborsando ben 5.000 euro.
Ho dovuto chiedere un prestito in banca per fare subito il bonifico
ma non posso fare a meno di pensare che senza una buona pensione ora
non vedrei più». —
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GRAZIE A SPERANZA PD E DRAGHI :
Collasso della sanità, pagano le famiglie 4,5 milioni di italiani
rinunciano a curarsi
Il 23 dicembre 1978 il Parlamento approvava a la legge 833 che
istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in attuazione
dell'art. 32 della Costituzione. Un radicale cambio di rotta nella
tutela della salute delle persone, un modello di sanità pubblica
ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità e
finanziato dalla fiscalità generale. Un SSN che ha permesso di
ottenere eccellenti risultati di salute e di aumentare l'aspettativa
di vita e che tutto il mondo continua a guardare con ammirazione.
Già nel marzo 2013, in occasione del lancio della campagna "Salviamo
il Nostro Ssn", la Fondazione Gimbe aveva previsto che la perdita
del SSN non sarebbe stata annunciata dal fragore improvviso di una
valanga, ma si sarebbe manifestata come il lento e silenzioso
scivolamento di un ghiacciaio, attraverso, lustri, decenni.
Un processo inesorabile che avrebbe eroso il diritto costituzionale
alla tutela della salute. E se fino alla pandemia la sostenibilità
del SSN è rimasto un tema tra addetti ai lavori, oggi la tenuta
della sanità pubblica, prossima al punto di non ritorno, coinvolge
60 milioni di persone. I principi fondanti del SSN sono stati
traditi: l'universalismo è lettera morta, visto che i Livelli
essenziali di assistenza (Lea) non sono esigibili da tutti;
l'uguaglianza e l'equità sono ormai un miraggio, viste le profonde
diseguaglianze nell'accesso a servizi e prestazioni. Il diritto
costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce
socio-economiche più deboli, gli anziani e i fragili, chi vive nel
Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate si sta inesorabilmente
sgretolando.
Innumerevoli problemi gravano sulla vita quotidiana delle persone:
interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi,
impossibilità a iscriversi ad un medico di famiglia vicino casa,
migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e impoverimento
delle famiglie sino alla rinuncia alle cure. I dati del 7° Rapporto
Gimbe sul Ssn - presentati presso la Sala Capitolare del Senato
della Repubblica - documentano che la sanità pubblica fa acqua da
tutte le parti. Un divario della spesa sanitaria pubblica pro capite
di 889 euro rispetto alla media dei paesi Ocse membri dell'Unione
europea, con un gap complessivo che sfiora i 52,4 miliardi, frutto
del costante definanziamento attuato da tutti i governi negli ultimi
15 anni. E il futuro non è affatto roseo: secondo il Piano
strutturale di bilancio approvato dal governo nel 2026 il rapporto
spesa sanitaria/Pil scenderà al 6,2%. Esplode la spesa pagata di
tasca propria dai cittadini: nel 2023 è aumentata del 10,3%, 3,8
miliardi in più del 2022. Un impatto sulle famiglie che, oltre a
rendere sempre meno esigibile il diritto universale alle cure, nel
2023 ha costretto quasi 4,5 milioni di persone a rinunciare a visite
o esami diagnostici, di cui circa 2,5 milioni per motivi economici.
La crisi motivazionale di medici e infermieri che abbandonano il Ssn
ha generato una carenza di personale che compromette qualità e
accessibilità dei servizi sanitari e aggrava i disagi per i
pazienti. Tra il 2019 e il 2022 il Ssn ha perso oltre 11.000 medici
e si stima che nel solo primo semestre del 2023 altri 2.564 medici
abbiano abbandonato il servizio pubblico.
Ma la crisi colpisce soprattutto il personale infermieristico:
l'Italia conta solo 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, uno dei
numeri più bassi d'Europa. Riguardo i Lea, le prestazioni che il Ssn
è tenuto a fornire a tutte le persone, nel 2022 solo 13 Regioni
hanno rispettato gli standard, con un divario sempre più marcato tra
Nord e Sud. Le uniche Regioni del Mezzogiorno promosse sono Puglia e
Basilicata, che si posizionano comunque in fondo alla classifica. E
la mobilità sanitaria riflette questo squilibrio, con i pazienti del
Sud che migrano verso le Regioni del Nord, gravando ulteriormente
sui bilanci già fragili delle aree meno sviluppate: in dettaglio,
nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato
un debito di quasi 11 miliardi. Diseguaglianze regionali su cui
incombe lo spettro dell'autonomia differenziata che legittimerà tali
divari.
Nel frattempo, altrettanto in sordina, si è involuta la percezione
pubblica del valore del Ssn: salute non più un bene supremo da
tutelare secondo il dettato costituzionale, ma una merce da vendere
e comprare. Una pericolosa involuzione che spiana la strada ad una
sanità regolata dal libero mercato, dove le prestazioni saranno
accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà
sottoscritto costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non
potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura globale
come quella offerta dal Ssn. E senza una rapida inversione di rotta,
il "ghiacciaio" continuerà inesorabilmente a scivolare: da un
Servizio sanitario nazionale fondato per la tutela di un diritto
costituzionale, a 21 Sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi
del libero mercato.
Il Paese corre un rischio gravissimo: perdere il Ssn non significa
solo compromettere la salute delle persone, ma soprattutto
mortificarne la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare
ambizioni e obiettivi. È per questoche la Fondazione Gimbe ha
realizzato il Piano di rilancio del Ssn: un programma chiaro in 13
punti che prescrive la terapia necessaria a salvare il nostro Ssn
"malato". Un piano che mantiene come bussola l'articolo 32 della
Costituzione e il rispetto dei principi fondanti del Ssn, mettendo
nero su bianco le azioni indispensabili per potenziarlo con risorse
adeguate, riforme coraggiose e una radicale e moderna
riorganizzazione. Per attuare questo piano, la Fondazione Gimbe ha
invocato un nuovo patto politico e sociale, che superi divisioni
ideologiche di partito e avvicendamenti dei governi, riconoscendo
nel Ssn un pilastro della nostra democrazia, uno strumento di
coesione sociale e un motore per lo sviluppo economico dell'Italia.
Un patto che chiede ai cittadini di diventare utenti informati e
responsabili, consapevoli del valore del Ssn, e a tutti gli attori
della sanità di rinunciare ai privilegi acquisiti per salvaguardare
il bene comune.
Perché se la Costituzione tutela il diritto alla salute di tutti, la
sanità deve essere per tutti.
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Aggirato il veto di Orban sul piano del G7: per il rimborso si
useranno i beni russi congelati In forse l'arrivo di Biden al summit
di Ramstein. Ipotesi incontro Zelensky -Meloni a Roma
Maxi-prestito all'Ucraina l'Ue va avanti senza gli Usa "Garantiamo
35 miliardi"
Viktor Orban
MARCO BRESOLIN
INVIATO A LUSSEMBURGO
I governi dell'Unione europea hanno superato le titubanze interne e
hanno deciso di andare avanti con il maxi-prestito all'Ucraina
concordato dal G7 prima dell'estate. Anche se al momento non c'è la
garanzia assoluta che gli Stati Uniti faranno la loro parte nel
piano d'aiuti da 45 miliardi che sarà rimborsato con gli utili
generati dai beni russi congelati. L'amministrazione americana ha
subordinato il suo contributo alla modifica del meccanismo
sanzionatorio dell'Ue, che prevede un rinnovo ogni sei mesi:
Washington ha chiesto di estenderlo a 36 mesi, in modo da avere
maggiore prevedibilità ed evitare che due volte l'anno il
congelamento dei beni finisca ostaggio dei veti di un Paese. Ma il
governo ungherese continua a opporsi a questa modifica.
Per uscire dallo stallo, all'Ecofin di ieri i ministri delle Finanze
si sono trovati d'accordo sulla proposta avanzata da Ursula von der
Leyen in occasione del suo viaggio a Kiev del 20 settembre scorso:
l'Ue si impegnerà a erogare «fino a 35 miliardi di euro» - vale a
dire la propria quota da circa 17,5 miliardi più quella degli Stati
Uniti - nella speranza che Washington si accodi in un secondo
momento. I restanti dieci miliardi dovrebbero essere "coperti" da
Regno Unito, Canada e Giappone. I tre testi legislativi che
attiveranno il meccanismo finiranno oggi sul tavolo del Coreper,
l'organismo che riunisce i 27 ambasciatori Ue: per la loro
approvazione è sufficiente la maggioranza qualificata, mentre quello
che modifica le tempistiche per le sanzioni richiede l'unanimità. Ed
è proprio questo il motivo per cui si è deciso di "spacchettarli",
mettendo da parte il tema delle sanzioni.
«Ne riparleremo a novembre – ha tenuto il punto Mihaly Varga,
ministro delle Finanze ungherese –. Noi crediamo che la questione
dell'estensione delle sanzioni debba essere decisa dopo le elezioni
americane. Dobbiamo vedere in quale direzione andrà la futura
amministrazione Usa perché, come si può vedere dalla campagna, ci
sono due modi assolutamente diversi per risolvere il problema: uno
in direzione della pace e l'altro in direzione della guerra». In
sostanza, per dare il suo via libera, il governo ungherese aspetta
di vedere cosa farà la Casa Bianca, la quale però non prenderà una
decisione fino a quando l'Ungheria non avrà sbloccato la questione
delle sanzioni. Un cortocircuito che sembra non avere una via
d'uscita.
A Bruxelles c'è il timore che gli Stati Uniti potrebbero non entrare
mai nel meccanismo del prestito: si tratta di uno scenario probabile
in caso di vittoria di Trump. Per questo nelle prossime settimane
continuerà il pressing sulla Casa Bianca per convincere il
presidente Joe Biden a giocare d'anticipo e mettere così al sicuro i
fondi. Ieri era stato annunciato per sabato un incontro a Berlino
tra i leader di Usa, Regno Unito, Francia e Germania proprio per
discutere della situazione in Ucraina prima del vertice a Ramstein,
dal sostegno militare a quello finanziario. Ma poche ore dopo Biden
ha cancellato la sua presenza per via dell'uragano Milton. Il
vertice si sarebbe dovuto tenere nel formato Quad, dunque senza
l'Italia. In serata, però, è arrivata la notizia di una possibile
visita di Volodymyr Zelensky a Roma, prevista per domani, per
incontrare Giorgia Meloni.
Tornando al maxi-prestito all'Ucraina, il primo dei tre regolamenti
Ue consentirà di introdurre un meccanismo per raccogliere sui
mercati i 45 miliardi definiti dall'accordo siglato dal G7. Servirà
anche il via libera del Parlamento europeo, che si esprimerà a fine
ottobre: la prima tranche dei fondi sarà così erogata a Kiev entro
la fine dell'anno, mentre le restanti nel corso del 2025. Gli altri
due regolamenti modificheranno invece la destinazione d'uso dei
proventi generati dai beni russi congelati, che valgono a circa 3
miliardi di euro l'anno. Prima dell'estate, l'Ue aveva deciso di
utilizzare il 90% di questi fondi per il sostegno militare e il 10%
per la ricostruzione, ma ora le proporzioni si sono invertite: il
95% servirà per ripagare il prestito (nell'arco dei prossimi 40
anni) e solo il 5% per finanziare l'invio di armi. —
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LO AVEVO INTUITO : Brescia, otto mesi a De Pasquale e Spadaro. Il
legale: "Precedente pericoloso per l'autonomia dei magistrati"
"Nascosero le prove alla difesa" condannati i pm del processo Eni
monica serra
milano
Con l'accusa di rigetto di atti d'ufficio, il Tribunale di Brescia
ha condannato a 8 mesi i pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio
Spadaro, ora alla procura europea. Si è chiuso così, almeno in primo
grado, il processo ai due magistrati che avrebbero omesso di
depositare atti favorevoli alle difese nel procedimento Eni Nigeria,
in ogni caso terminato con l'assoluzione di tutti gli imputati,
compresi i vertici della compagnia petrolifera.
«Questa sentenza rappresenta un precedente pericoloso, perché mette
in discussione i principi fondamentali dell'autonomia e della
discrezionalità delle scelte processuali di un pubblico ministero»
ha dichiarato il difensore Massimo Dinoia, alla lettura del
dispositivo di una decisione contro cui ha già annunciato di fare
appello, mentre in quel momento i due pm hanno preferito non essere
presenti in aula.
Travolto a maggio dalla decisione del plenum del Csm di non
confermarlo nelle funzioni semi-direttive nella procura di Milano,
dove fino ad allora ha rivestito il ruolo di procuratore aggiunto a
capo del pool reati economici internazionali, De Pasquale è stato
l'unico pm in Italia ad aver ottenuto la condanna dell'ex premier
Silvio Berlusconi per frode fiscale. Nel giugno del 2021, con il
collega Spadaro, ha scoperto di essere indagato con la notifica di
un decreto di perquisizione informatica eseguita su computer e
dispositivi nel suo ufficio, al quarto piano del palazzo di
giustizia.
Per l'accusa, tra febbraio e marzo del 2021, i due magistrati
avrebbero omesso «volontariamente» di depositare al processo
«informazioni, prima verbali e poi documentali» che avrebbero minato
la credibilità del ex dirigente Eni Vincenzo Armanna, coimputato ma
anche testimone «valorizzato» dai pm. Due, in particolare: un video
e delle chat trovate nel cellulare di Armanna dal collega Paolo
Storari (anche lui finito sotto processo a Brescia per rivelazione
del segreto d'ufficio, poi assolto) che in quel momento indagava sul
presunto complotto Eni e che le aveva inviate per mail ai due
colleghi. Chat che dimostravano che Armanna avrebbe pagato un
poliziotto nigeriano, chiamato come testimone per confermare le
accuse a Eni. «Si trattava solo della bozza di una memoria
informale» si sono difesi in aula i pm. Nella requisitoria, i
colleghi Francesco Milanesi e Donato Greco con il procuratore
Francesco Prete hanno sostenuto che avrebbero dovuto «adempiere agli
obblighi di legge», ossia non tanto «selezionare» gli elementi di
prova ma depositarli tutti alle parti processuali. Invece «con il
loro comportamento omissivo», «nascondendo» atti favorevoli agli
imputati, avrebbero «leso il diritto di difesa».
Il Tribunale presieduto da Roberto Spanò li ha condannati a 8 mesi
con sospensione della pena e non menzione, e ha stabilito che il
risarcimento alla parte civile Gianfranco Falcioni, ex vice console
onorario in Nigeria, da versare in solido con la Presidenza del
Consiglio, sarà liquidato in seguito al giudizio civile. Entro 45
giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza, solo dopo
la difesa potrà fare appello.
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Inchiesta sugli ultrà Inzaghi e Zanetti tra i primi testimoni
Tra una settimana o poco più parte delle carte dell'inchiesta
sulle curve di San Siro, che ha azzerato i vertici ultrà della Nord
interista e della Sud milanista, arriveranno alla Procura federale
della Figc, che dovrà verificare, sul fronte della giustizia
sportiva, eventuali condotte "rilevanti" da parte di Inter e Milan o
dei loro tesserati. In queste ore, saranno ascoltati l'allenatore
nerazzurro Simone Inzaghi, il vicepresidente del club Javier Zanetti
e il capitano del Milan Davide Calabria. In seguito dovrebbero
essere sentiti il centrocampista interista Hakan Çalhanoglu e l'ex
difensore nerazzurro, ora al Psg, Milan Skriniar.
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Il presidente della Provincia di Imperia è indagato per abuso
d'ufficio nell'inchiesta sulla compravendita di un'ex bocciofila. Si
va verso lo stralcio
Silurò la dirigente che non voleva firmare Scajola si salva grazie
alla riforma Nordio
mattia mangraviti
imperia
La riforma Nordio che ha cancellato il reato di abuso d'ufficio
salva anche il presidente della Provincia di Imperia Claudio
Scajola. L'ex ministro, infatti, risulta iscritto nel registro degli
indagati con l'accusa di abuso d'ufficio nell'inchiesta sulla
compravendita di un'ex bocciofila, a Imperia. La sua posizione,
però, verrà stralciata alla chiusura delle indagini, a meno che nel
frattempo non venga modificata l'ipotesi di reato, dato che l'abuso
d'ufficio è stato abolito lo scorso agosto.
Il ddl del ministro della Giustizia Nordio ha eliminato la norma del
codice penale che puniva il pubblico ufficiale che, violando
consapevolmente leggi, regolamenti o l'obbligo di astensione,
provoca un danno ad altri o si procura un vantaggio patrimoniale.
Nel 2020 l'articolo era stato modificato specificando che il reato
non si poteva configurare in presenza di margini di discrezionalità
amministrativa nell'adozione di un provvedimento. Una disposizione
ora cancellata del tutto.
A Imperia, l'inchiesta per falso e abuso d'ufficio vede indagati
Rosa Puglia, segretario generale della Provincia, Manolo Crocetta,
dirigente del settore legale, Michele Russo, dirigente del settore
Infrastrutture, Pier Carlo Gandolfo, geometra del settore
Infrastrutture, e Fulvio Modugno, ingegnere del settore
Infrastrutture. Oggetto dell'indagine presunte irregolarità
nell'acquisizione, da parte della Provincia, dell'ex bocciofila di
proprietà di un privato, Pietro Salvo.
Nel mirino il valore dell'immobile che presenterebbe criticità per
la presenza di vincoli urbanistici e di costruzioni abusive. In
particolare l'ex Bocciofila, in base all'ipotesi dei pm sarebbe
all'origine della decisione del presidente Scajola di sollevare
dall'incarico una dirigente della Provincia, Patrizia Migliorini,
perché si sarebbe rifiutata di firmare l'approvazione del progetto
di demolizione - a carico della Provincia, per 48 mila euro - degli
abusi edilizi commessi dal privato e il successivo atto di
affidamento dei lavori.
Secondo quanto contestato dalla procura Migliorini, dopo la
posizione contraria assunta, sarebbe stata oggetto di un crescente
"pressing" da parte della segretaria generale Rosa Puglia e di
Scajola, culminato con la destituzione dall'incarico e la nomina del
collega Michele Russo, più gradito all'ex ministro.
Proprio nell'ambito delle pressioni contestate dagli inquirenti, la
segreteria del presidente della Provincia, nonché sindaco di
Imperia, avrebbe inviato a Migliorini una mail con, scansionata, la
perentoria annotazione scritta da Scajola: «I dirigenti risolvono;
se non riescono se ne vadano, questo è il dovere!!!». Secondo la
procura una mail dal «degradante contenuto minatorio».
In base alla ricostruzione degli inquirenti, la Provincia avrebbe
quindi acquistato l'ex bocciofila da Pietro Salvo per 115 mila euro,
accollandosi, dopo il rifiuto del proprietario a eseguirli, anche i
lavori di demolizione degli abusi edilizi, 48 mila euro. Un totale
di 163 mila euro, a fronte del prezzo, 30 mila euro, al quale Salvo
aveva rilevato l'ex impianto nel 2010.
Un'operazione fortemente contestata prima dal consigliere
provinciale di opposizione Domenico Abbo («se c'è un abuso edilizio
del privato, perché paga la Provincia la demolizione? ») e
successivamente dalla funzionaria Migliorini che, in una nota
inviata al suo Crocetta scrive: «Ritengo che l'amministrazione
provinciale si stia accollando un onere non solo economico che
spetterebbe al proprietario con conseguente maggiori costi rispetto
al valore della perizia di stima».
L'acquisto dell'area di corso Roosevelt, quest'ultima oggetto anche
di un'inchiesta per corruzione che ha portato agli arresti dell'ex
vicepresidente della Provincia Luigino Dellerba e di due
imprenditori, Vincenzo e Gaetano Speranza, è stato voluto fortemente
da Scajola per realizzarvi un parcheggio il cui progetto prevede la
realizzazione di 28 posti auto. —
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I CINESI DELLA JAC AL POSTO DELLA FIAT: Il mercato
I cinesi di Jac cercano casa per produrre a Torino
claudia luise
I cinesi di Jac sbarcano a Torino. Non una visita di cortesia, ma un
viaggio lungo e articolato della dirigenza della casa
automobilistica statale con sede ad Hefei, con funzionari
governativi al seguito, per valutare la possibilità di aprire uno
stabilimento produttivo in Piemonte. La visita è in programma per
metà novembre e si stanno fissando gli incontri con istituzioni,
università e rappresentanze imprenditoriali con lo scopo, oltre che
di aprire una sponda produttiva in Europa, anche di cercare nuove
partnership per la diffusione e la commercializzazione. Jac nel 2023
ha registrato ricavi intorno ai 5,8 miliardi di euro (in crescita
del 23,7% sull'anno) e le sue vendite in Cina raggiungono il mezzo
milione di veicoli. La sua gamma è composta soprattutto da veicoli
elettrici: city car, suv e commerciali.
La scelta di Torino non è casuale: Jac è da vent'anni a Pianezza,
con un centro di ricerca e sviluppo che nel tempo ha avuto
collaborazioni anche con Pininfarina per la J5. Ed è stato sempre un
manager di Jac a fondare nel capoluogo piemontese, nel 2017, la Xev
che poi ha lanciato la minicar elettrica Yoyo (tra i partner c'è
Eni). In Italia ha collaborato pure con la DR Automobiles per
commercializzare alcuni modelli di Suv riomologati secondo le
normative antinquinamento europee: così è nata la DR 4. Il
produttore orientale è anche entrato in un gruppo controllato al 50%
da Volkswagen e che produce con marchio Sol i veicoli elettrici di
Seat. La delegazione cinese sarà composta, oltre che dai manager
della Jac, anche dal sindaco della città di Hefei, con il ministro
dell'industria della provincia di Anhui, dove ha sede l'headquarter
del prodottore (nato come Anhui Jianghuai Automobile). «Cerchiamo di
giocare la nostra parte - spiega il sindaco di Torino, Stefano Lo
Russo, che venerdì interverrà in commissione consiliare per fare un
punto sullo stato di salute dell'automotive - che è quella di
portare il più possibile nella nostra città occasioni di produzione
e di lavoro, ovviamente dentro un quadro che sta cambiando e cambia
molto rapidamente».
-
sanita'
Costi elevati il 9 per cento rinuncia alle cure
Sanità: aumenta la frattura tra Nord e Sud del Paese. Aumenta la
spesa per le famiglie. E aumenta anche il numero di quanti sono
costretti a rinunciare alle cure. E' la sintesi del Rapporto che la
Fondazione Gimbe pubblica periodicamente per monitorare lo stato di
salute della nostra sanità. Restando al Piemonte, la percentuale di
famiglie che nel 2023 ha rinunciato alle prestazioni sanitarie è
pari al 8,8%. In diminuzione rispetto al 2022 (si attestava al 9,6%)
ma comunque al di sopra della media nazionale, ferma al 7,6%. Quanto
al personale sanitario, in Piemonte infatti (dato 2022) si contano
2,09 medici dipendenti ogni mille abitanti contro una media Italia
di 2,11. Migliore la situazione nel comparto degli infermieri
dipendenti: 5,4 unità ogni mille abitanti contro una media Italia
pari a 5,1. Rapporto medici-infermieri: in Piemonte è pari a 2,59
ogni mille abitanti contro una media Italia ferma a 2,44. Edilizia
sanitaria: entro il 2026 dovranno essere in funzione 82 case di
comunità ma per ora ne sono state dichiarate attive 17, il 21%,
contro una media nazionale peraltro ferma al 19%. Centrali Operative
Territoriali: delle 43 da varare entro il 2024 ne risultano
funzionanti a pieno regime 27, il 63% del totale (contro una media
Italia ferma al 59%). Ospedali di Comunità: 27 da attivare entro il
2026, ad oggi siamo a zero contro una media italiana pari al 13% di
opere realizzate. Terapie intensive e semintensive: al 31 luglio la
Regione aveva realizzato il 57% dei posti letto aggiuntivi di
terapia sub-intensiva, contro una media italiana ferma al 52%.
ale.mon .
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09.10.24
-
Ordinario a soli 29 anni: il padre Annibale è stato presidente della
Corte su indicazione di An
Il giovane costituzionalista figlio d'arte che ha ispirato il
premierato a Meloni
francesco grignetti
roma
Cortese, discreto, sempre attento al confine tra decisione politica
(di cui è rispettosissimo) e consulenza giuridica, Francesco Saverio
Marini è l'uomo che sussurra di riforme costituzionali all'orecchio
di Giorgia Meloni. Sono quasi coetanei, lui nato a Roma nel 1973 e
lei nel 1977. L'area politica, poi, è comune, essendo Marini il
figlio di Annibale Marini che come lui è stato professore di Diritto
all'università romana di Tor Vergata ed è stato giudice
costituzionale dal 1997 al 2006 (e nell'ultimo anno anche presidente
della Corte) su indicazione di Alleanza nazionale.
Di Francesco Saverio si dice che sia il padre della riforma sul
premierato. E in effetti, dalla sua postazione a palazzo Chigi – da
dove salterebbe alla Corte costituzionale con inedito passaggio
diretto – ha pilotato i testi che il governo ha portato in
Parlamento. E fin dai primi incontri che Giorgia Meloni ebbe con
l'opposizione fu evidente che non era un caso se quel giovane
professore le sedeva accanto.
Il mantra della stabilità li accomuna, la leader e il suo
consigliere giuridico. Diceva spesso Marini in quei giorni:
«L'instabilità dei governi è il vero macro-problema italiano». Con
quale forma arrivarci, però, in fondo conta poco per entrambi. E
spiegava la riforma così: «Siamo rimasti nel solco del
parlamentarismo». Per aggiungere: «Il nostro intento è quello di
garantire stabilità e governabilità preservando per quanto possibile
la nostra tradizione costituzionale e gli equilibri istituzionali
esistenti». Per quanto possibile, appunto.
Di suo, Marini ci mette anche una robusta sponda cattolica. È
significativo il bastione dell'università di Tor Vergata, da sempre
nell'alveo dei movimenti cattolici romani: qui era professore suo
padre Annibale; qui insegna suo fratello Renato, ordinario di
diritto privato; e qui Francesco Saverio si laurea, è nominato
cultore della materia, professore associato, ordinario a soli 29
anni e ora è anche pro-rettore. Rettore peraltro era Orazio
Schillaci, ministro della Salute.
Le uniche sortite fuori da Tor Vergata sono nel 1998 alla facoltà di
Giurisprudenza della Libera Università Maria Santissima
Assunta-Lumsa e poi dal 2006 al 2011 nella facoltà di diritto
canonico dell'Università lateranense. Dapprima è stato nominato
giudice istruttore e giudice dell'esecuzione civile presso il
tribunale della città del Vaticano, poi giudice applicato del
tribunale del Vaticano, di recente il Papa lo ha nominato magistrato
ordinario.
Nel 2021 è vicepresidente del Consiglio di presidenza della Corte
dei Conti, membro laico nominato dal Parlamento. Il suo studio di
brillante amministrativista ha molti clienti importanti. Dal 2006 al
2011 ha curato il contenzioso costituzionale della Regione Valle
d'Aosta e oggi presiede il Comitato paritetico Stato-Regione Valle
d'Aosta.
Ad introdurlo negli ambienti romani che contano è stato anche
Antonio Catricalà, amico del padre, che anche lui nel tempo ha
insegnato a Tor Vergata. Così dal 2009 al 2011 Francesco Saverio
Marini è stato consigliere giuridico dell'Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato, in anni della presidenza Catricalà. Lo
avrebbe poi seguito come capo della segreteria tecnica quando l'ex
presidente dell'Antitrust divenne sottosegretario alla presidenza
del consiglio nel governo Monti nel 2011 e 2012. Giovane sopraffino
tecnico al servizio di un aborrito (da Meloni) governo tecnico.
-
ennesimo blitz da inizio settembre al cantiere nella cascina
malpensata, dove nascerà il centro didattico
Meisino, quarto stop degli attivisti
pier francesco caracciolo
Per la quarta volta in un mese hanno bloccato i cantieri nel Meisino.
Questo hanno fatto, ieri mattina, attivisti e residenti nella zona
di Sassi. Una decina di loro, alle 8.30, si sono parati davanti alla
gru che, da circa un'ora, all'interno del parco stava arando una
fetta di prato a ridosso di corso Sturzo. Così facendo, hanno
indotto gli operai incaricati dalla Città a interrompere i lavori,
che in quel punto del parco prevedono la realizzazione di una
passerella pedonale nell'ambito del progetto per la realizzazione di
un «centro per l'educazione sportivo-ambientale».
È stata così bloccata sul nascere quella che doveva essere la
ripartenza del cantiere nel verde del parco, dove i lavori erano
fermi dal 24 settembre. Uno stop, quello delle ultime due settimane,
deciso dalla Città per verificare l'eventuale presenza di ricci nel
Meisino, poi esclusa dopo un accertamento di un pool di esperti.
Quello delle 8.30 non è stato l'unico presidio anti-cantiere di
giornata. Nel pomeriggio, alle 15, la scena si è ripetuta: da una
parte una gru, di nuovo diretta verso il verde a ridosso di corso
Sturzo, dall'altra una decina di attivisti del comitato Salviamo il
Meisino. Gli operai, in nessuno dei due casi, hanno forzato la mano.
Anche perché, a differenza dei giorni scorsi, l'area non era
presidiata in forze dalla Polizia (presenti solo due agenti).
Hanno però proseguito i lavori nella cascina Malpensata, destinata a
diventare la base operativa del futuro centro didattico-ambientale,
al cui interno i cantieri non si sono mai fermati. Un progetto,
quello del Comune, da 11,5 milioni di euro, di cui gli attivisti non
vogliono sentir parlare. Le venti strutture ludico sportive previste
nel verde, a loro dire, devasterebbero una riserva naturale con
caratteristiche uniche, a Torino, in termini di fauna e flora. Per
questo presidiano il parco dal 6 settembre, data di apertura del
cantiere. La prima volta avevano rallentato i lavori il 9. Quella
mattina l'ingresso delle gru nel parco era stato bloccato per tre
ore da un presidio pacifico, poi sgomberato dalle forze dell'ordine.
La seconda due giorni dopo, quando le operazioni degli operai erano
state fermate per circa mezzora. La terza il 24 settembre scorso,
proprio nel verde a ridosso di corso Sturzo: in quel caso gli operai
avevano fatto dietrofront.
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08.10.24
-
NON MERITOCRAZIA MA APPARTENENZA:
coop nere
La rete
delle
L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana.
Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il
rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la
presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui
social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del
governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente
con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della
Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella
sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo
imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di
Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex
ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è
accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e
proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in
grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri,
il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla
Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino
all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei
protagonisti della destra nella capitale ciociara.
Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per
alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di
Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici
dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa
sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha
avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si
occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di
riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi
Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha
ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria
della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I
legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una
seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri
affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo
caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di
Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di
amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato
guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la
giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al
mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati
da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella
cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella
Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da
Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De
Angelis.
Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa
sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente
dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non
effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli
affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi
2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul
sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però
arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la
firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee"
(riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei
fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte
dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto
negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno
portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed
interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al
centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero
dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018
membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici
«falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento
di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di
Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel
1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da
quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal
giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del
2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica
della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione
degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione
coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche
delle società cooperative».
Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori
pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema
destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di
Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo
un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota
militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di
un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini –
estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il
vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di
Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di
quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia
Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo
al mondo dell'ex Nar.
La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire
a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo
grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della
Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un
contratto di assunzione firmato nel 2014. coop nere
La rete
delle
L'ex Nar Luigi Ciavardini è una sorta di faro per la destra romana.
Appena si entra nel mondo che gira attorno a Fratelli d'Italia il
rischio di trovare le sue tracce è decisamente alto. Così fu per la
presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, ritratta sui
social insieme allo stragista di Bologna, o per l'ex portavoce del
governatore del Lazio Marcello De Angelis, imparentato direttamente
con Ciavardini. Fabio Tagliaferri, l'amministratore delegato della
Ales Spa, il braccio operativo del ministero della Cultura, nella
sua carriera politica più recente ha visto passare il mondo
imprenditoriale dell'ex Nar nei suoi uffici di assessore di
Frosinone, che ha occupato fino alla nomina in Ales da parte dell'ex
ministro Gennaro Sangiuliano, arrivata lo scorso febbraio. Tutto è
accaduto a Frosinone, città da anni governata dalla destra, vero e
proprio feudo politico di Fratelli d'Italia, un bacino elettorale in
grado di decidere elezioni e nomine nell'intera regione. Tagliaferri,
il 3 luglio 2017, ha ricevuto la delega ai Lavori pubblici e alla
Manutenzione nel comune a sud di Roma, carica di peso mantenuta fino
all'ottobre del 2021. Per quasi un ventennio è stato uno dei
protagonisti della destra nella capitale ciociara.
Il mondo imprenditoriale legato all'ex Nar si è incrociato per
alcuni anni con la gestione dei parchi, dei viali e dei giardini di
Frosinone – attraverso una serie di affidamenti partiti dagli uffici
dell'allora assessore Tagliaferri – grazie ad una cooperativa
sociale, la Essegi 2012. La società – che tra il 2019 e il 2020 ha
avuto complessivamente più di 3 milioni di euro di fatturato – si
occupa di inserimento dei detenuti ed ha come principale figura di
riferimento Germana De Angelis, la moglie dell'ex Nar Luigi
Ciavardini. A Frosinone, durante il mandato di Tagliaferri, ha
ricevuto diverse decine di incarichi: dalla manutenzione ordinaria
della viabilità, fino al supporto per le attività elettorali. I
legami con la famiglia del terrorista nero appaiono anche con una
seconda cooperativa, la Agm, aggiudicataria nel 2020 di altri
affidamenti diretti. Una sorta di passaggio di consegne. In questo
caso uno dei soci dell'epoca era Andrea Ciavardini, il figlio di
Luigi. Il secondo socio – presidente del consiglio di
amministrazione all'epoca dell'affidamento da parte dell'assessorato
guidato da Tagliaferri – era Manuel Cartella, nominato durante la
giunta Zingaretti vice garante delle carceri, legato anche lui al
mondo di Luigi Ciavardini. Cartella – secondo i documenti consultati
da La Stampa – risulta aver avuto il potere di firma nella
cooperativa Essegi 2012 ed ha avuto un ruolo attivo nella
Polisportiva "Gruppo Idee", l'associazione promossa nel 2009 da
Luigi Ciavardini, fondata, tra gli altri, dalla moglie Germana De
Angelis.
Le determinazioni per gli affidamenti, come prevede la normativa
sulle amministrazioni pubbliche, sono state firmate dal dirigente
dell'assessorato Lavori pubblici. La legge poi permette di non
effettuare la gara per le cifre sotto la soglia europea qualora gli
affidatari siano cooperative sociali, come nel caso della Essegi
2012 e della Agm. Secondo alcuni comunicati stampa pubblicati \sul
sito del comune di Frosinone un input di tipo politico era però
arrivato negli anni precedenti l'inizio degli affidamenti, con la
firma di un protocollo d'intesa tra l'associazione "Gruppo Idee"
(riconducibile a Luigi Ciavardini) e l'ex sindaco Nicola Ottaviani.
Nonostante il fatturato milionario, la Essegi 2012, destinataria dei
fondi per la manutenzione del verde pubblico da parte
dell'assessorato guidato all'epoca dall'ad della Ales, ha avuto
negli ultimi due anni diversi incidenti di percorso, che hanno
portato alla liquidazione. Prima è stata oggetto di verifiche ed
interventi da parte del Tribunale civile di Roma, per poi finire al
centro di un'ispezione dell'organismo di vigilanza del ministero
dello sviluppo economico. Germana De Angelis, nominata nel 2018
membro del Cda della cooperativa, aveva fornito dati anagrafici
«falsi o errati», come si legge in un provvedimento di annullamento
di quella nomina da parte del Tribunale di Roma. Alla camera di
Commercio aveva comunicato di essere nata nel 1976, invece che nel
1962; di conseguenza il codice fiscale inserito risultava diverso da
quello originale. La sua nomina nel Cda è stata quindi revocata dal
giudice del Registro delle imprese il 18 marzo 2023. Nell'agosto del
2022 il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una verifica
della gestione della società, ritenuta anomala; dopo la relazione
degli ispettori, è stato decretato lo scorso anno la liquidazione
coatta, per non aver rispettato «le finalità mutualistiche tipiche
delle società cooperative».
Le due cooperative scelte dagli uffici dell'assessorato ai Lavori
pubblici del Comune di Frosinone hanno salde radici nell'estrema
destra romana. La Essegi 2012 aveva nel Cda, oltre alla moglie di
Ciavardini, Simona Catalano e Giulia Acciarini. Secondo
un'informativa della Digos di Roma, la Catalano era una nota
militante di Forza Nuova, sposata a sua volta con il responsabile di
un'associazione romana legata al mondo Skinheads. Acciarini –
estranea al mondo della destra – è la moglie di Manuel Cartella, il
vice garante delle carceri della Regione Lazio, socio del figlio di
Ciavardini: secondo quanto riferito dalla Digos di Roma, è membro di
quella stessa associazione estremista della Catalano, "Casa d'Italia
Monteverde". In altre parole, lo stesso giro, legato a doppio filo
al mondo dell'ex Nar.
La cooperativa Essegi 2012 ebbe un ruolo chiave anche nel garantire
a Gilberto Cavallini – altro terrorista nero condannato in secondo
grado per la strage di Bologna, oggi in attesa del giudizio della
Cassazione – la possibilità di uscire dal carcere, grazie ad un
contratto di assunzione firmato nel 2014.
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Ecco i falsi nell'inchiesta su 25 direttori (ed ex) della Città
della Salute I pm: "Dissero al Mef che era tutto ok, ma i bilanci
non erano veritieri"
"Tutte le menzogne dei manager indagati alla Corte dei conti"
elisa sola
Non solo i bilanci falsificati. I crediti non riscossi e i
"disordini" contabili accumulati anno dopo anno, dando consistenza a
un passivo totale milionario. Ma ci sarebbero anche le false
comunicazioni riferite alla Corte dei conti, al Mef e alla Regione,
tra i reati contestati dalla procura di Torino nei confronti dei
vertici della Città della salute.
Nelle quaranta pagine dell'atto di conclusione indagini, notificato
nelle scorse ore a 25 direttori (o ex) dell'azienda ospedaliera, a
dirigenti e membri dei collegi sindacali, oltre alle contestazioni
di falso, relative ai bilanci dell'ultimo decennio, e di truffa, che
riguarda il mancato accantonamento del 5 percento delle visite
intramoenia, ci sono alcuni capi di imputazione sulle presunte
"bugie" che sarebbero state scritte, sullo stato dell'arte dei conti
del polo sanitario, alla Corte dei conti. È uno degli aspetti sui
quali hanno indagato i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni, che ad
alcuni ex componenti del collegio sindacale, in totale sette,
contestano il reato di falso ideologico in atto pubblico. «In
concorso tra loro – scrive la procura - con più omissioni e azioni
di un medesimo disegno criminoso in qualità di pubblici ufficiali,
disattendendo i principi di diligenza professionale e correttezza
che reggono l'assolvimento delle funzioni di vigilanza e controllo
proprie del Collegio sindacale, hanno violato la normativa e gli
obblighi di revisione e controllo previsti dal Mef». Le mancate
verifiche riguarderebbero una serie di obiettivi di bilancio che
vanno raggiunti e comunicati anno dopo anno. Tra le inadempienze, ci
sarebbero quelle sul mancato controllo dell'esistenza di una
contabilità separata per i soldi incassati con le attività di libera
professione. Nessuno, in sostanza, avrebbe distinto i conti,
generando una mescolanza ambigua che, ora, è al vaglio degli
inquirenti.
Ma non è finita. Uno dei fatti più gravi - secondo i pm - è
descritto negli ultimi capi di imputazione dell'atto giudiziario.
Gli indagati avrebbero mentito alla Corte dei conti, spedendo
questionari con risposte false. I membri del collegio sindacale per
legge devono relazionarsi alla Corte, ogni anno, inviando una
relazione sul bilancio di esercizio e le risposte di un dettagliato
questionario. Ora, secondo l'ipotesi dell'accusa, gli esponenti dei
collegi sindacali della Città della salute, insieme ad alcuni ex
direttori generali, avrebbero - dal 2014 al 2021 - «attestato
falsamente di avere compiuto fatti e adottato comportamenti di
vigilanza e controllo, dei quali i predetti atti erano destinati a
provare la verità, attestando la corretta organizzazione e gestione
contabile dell'Azienda e la corretta applicazione delle leggi
sull'esercizio della libera professione». Gli indagati avrebbero
anche accertato falsamente che «i sistemi amministrativo contabili
fornivano ragionevole certezza al bilancio», tra cui appunto,
l'esistenza di una «contabilità separata per l'attività intramoenia»
e di avere svolto «puntuali verifiche sulla corretta applicazione
della legge Balduzzi». Insomma, sulla carta, sarebbe stato tutto
perfetto. Conti in ordine, bilanci puliti e normativa rispettata. Ma
secondo la procura la realtà sarebbe stata ben diversa. Gli ex
direttori Pier Paolo Zanetta, Silvio Falco e all'attuale Giovanni La
Valle, secondo gli inquirenti, avrebbero anche scritto risposte
false sui questionari di rilevazione Alpi recepiti dalla Regione
Piemonte, inducendo in errore quindi, la Regione stessa e il Mef.
Entrambi gli enti figurano parti offese in questa indagine, insieme
alla stessa azienda di Città della salute al ministero della Sanità.
Tutti gli indagati
Ecco tutti i nomi dei manager indagati dalla procura che nei giorni
scorsi hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagine, atto che
prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. Hanno 20 giorni di
tempo per chiedere di essere sentiti dai pm. Sono Mario Albertazzi,
Valter Alpe, Vincenzo Altamura (Collegio sindacale), Lorenzo
Angelone, Davide Benedetto, Paolo Biancone, Fabrizio Borasio,
Beatrice Borghese, Andreana Bossola, Rosa Alessandra Brusco, Giacomo
Buchi (Collegio sindacale), Angelo Del Favero, Maurizio Dall'Acqua,
Eugenia Grillo, Giovanni La Valle, Pier Luigi Passoni, Andrea
Remonato (Collegio sindacale), Lucia Scalzo, Margherita Spaini
(Collegio sindacale), Giuseppe Stillitano, Renato Stradella, Alessia
Vaccaro (Collegio sindacale), Nunzio Vistato, Gian Paolo Zanetta.
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07.10.24
-
L'intervista
"Le banche pronte ad aiutare i conti ma ora il governo abbatta il
debito "
Gian Maria Gros-Pietro
Le misure
La crisi ai confini
"
I divari salariali
TORINO
Nessuna chiusura di fronte alla richiesta di sacrifici da parte del
governo. «Il sistema bancario italiano ha sempre avuto come
principio quello di venire incontro al sistema economico e sociale»,
dice Gian Maria Gros-Pietro. «Tuttavia», spiega il presidente di
Intesa Sanpaolo, riguardo l'intervento di cui si starebbe discutendo
al Ministero del Tesoro «ci si attende che non abbia impatti sul
conto economico». Perché già ora quello del credito è il settore
«che paga le imposte più elevate tra le società per azioni».
Presidente, a ogni stagione si parla di tassare gli extraprofitti di
banche e assicurazioni. Che ne pensa?
«Nei principi contabili internazionalmente accettati, il concetto di
extraprofitti non esiste. I profitti sono la differenza tra i ricavi
e i costi, può essere positiva o negativa, l'extra non è
aritmeticamente determinabile. Capisco, però, che ci si riferisca a
un concetto morale: si parla di profitti non meritati, perché
dipendono da qualcosa che non hai fatto tu. Nel caso delle banche,
però, c'è stato il periodo dei tassi di interesse negativi, una
situazione innaturale, in cui si stava "sott'acqua". Non ha senso
considerare "extraprofitto", immeritato, il miglioramento rispetto a
una situazione eccezionalmente negativa e assurda, nella quale chi
prestava denaro, anziché essere remunerato, "pagava" la controparte
affinché si godesse il prestito».
È un'apertura al governo?
«Una disponibilità c'è, certamente».
Che manovra servirebbe, davvero, per i conti del Paese?
«Comincio dal messaggio del Presidente della Repubblica a Cernobbio:
bisogna abbattere il debito. Una delle strade, come ha proposto
tempo fa il nostro consigliere delegato Carlo Messina, passa dalla
vendita di una parte del patrimonio immobiliare pubblico che, se
gestito in maniera più attiva e con investitori istituzionali,
verrebbe valorizzato. Tutto questo unito al controllo dell'avanzo
primario, che rimane imprescindibile».
Una boccata d'ossigeno potrebbe arrivare già nei prossimi giorni,
quando si riuniranno i vertici della Bce. È l'ora di un nuovo taglio
dei tassi?
«L'attività produttiva sta rallentando, l'inflazione scende: ci sono
tutti gli elementi per un taglio dei tassi di interesse. Penso che
la Bce continuerà con riduzioni di un quarto di punto. Ne farà una
adesso e una più avanti».
Dietro il cambio di passo di Francoforte, però, sembra esserci
soprattutto la frenata della Germania. Preoccupante per l'Europa,
per l'Italia e, in particolare, per il Nord-Ovest, che è un
importante fornitore dell'industria tedesca. Quanto sarà grave il
contraccolpo?
«Possiamo aspettarci difficoltà, anche se non così gravi. Il
rallentamento tedesco è legato a tre fattori: l'enorme rilevanza
delle esportazioni per Berlino, la forte concentrazione su alcuni
settori produttivi, come quello dell'automobile, e
l'internazionalizzazione delle catene produttive, soprattutto
nell'Est Europa».
Ma l'Italia, oggi, è ancora così dipendente dalla Germania?
«In parte sì, ma rispetto all'economia tedesca, il nostro settore
industriale, e in particolare quello manifatturiero, è molto più
diversificato, sia dal punto di vista merceologico che geografico, e
flessibile. Abbiamo una struttura produttiva che può adattarsi
rapidamente».
Restiamo tra Roma e Berlino. Cosa pensa della possibile acquisizione
di Commerzbank da parte di Unicredit e delle polemiche che ha
scatenato?
«Viviamo una situazione di forte dinamismo, cosa che non si
riscontra allo stesso modo in altri Paesi. Se si dice che l'Europa
ha bisogno di banche più grandi, e questo vale anche per la
Germania. Finora, in Europa, le grandi operazioni transnazionali
sono state fatte quasi tutte qui da noi: quando Crédit Agricole ha
acquisito Cariparma, quando Bnp Paribas ha rilevato una banca di
Stato come Bnl e quando, per un soffio, Banca Intesa e Sanpaolo Imi
non sono finite nelle mani di Crédit Agricole e Santander».
Ma quella doppia acquisizione sfumò...
«Vero, ma non per intervento del governo. Bensì perché due grandi
banche italiane si sono guardate allo specchio e hanno deciso di
intervenire, fondendosi tra loro».
Dunque Unicredit-Commerzbank va fatta...
«È un'operazione di cui – secondo le forze produttive di quel Paese
– la Germania ha bisogno. Dopo una prima levata di scudi, sono
cominciate a emergere opinioni favorevoli, sia da parte dei clienti
delle banche sia dai regolatori. Più di questo non penso si possa
dire».
I più recenti dati Ocse indicano che in Italia, all'inizio del 2024,
si è registrato un aumento retributivo significativo, pur permanendo
un notevole divario rispetto ad altri Paesi. Quali misure si
potrebbero adottare per colmare questa distanza?
«Il recupero del potere d'acquisto è fondamentale. Intesa Sanpaolo
lo ha sostenuto durante il rinnovo del contratto collettivo dei
bancari. Serve maggiore produttività, che consenta di pagare salari
internazionalmente competitivi. Abbiamo ottime università, ma
rischiamo di regalare all'estero i nostri talenti: una perdita di
valore che bisogna fermare. Dobbiamo attrarre e trattenere il
capitale umano diminuendo il divario di retribuzione tra il nostro e
quello di altri Paesi».
Le imprese lamentano ritardi, le amministrazioni locali troppa
burocrazia. Teme che il Pnrr finisca per essere un'occasione
mancata?
«Certamente abbiamo un problema di burocrazia, ma il Pnrr può essere
uno strumento che ci aiuta a superarlo. Il problema è l'interazione
con le istituzioni, le cui autorizzazioni non arrivano
tempestivamente. Anche questo va superato. Uno degli obiettivi di
questo strumento è fare dell'Europa un posto in cui si può lavorare
meglio. Detto ciò, potrebbe esserci qualche ritardo – la spesa già
realizzata si limita a poco più di un quarto di quanto sarà
disponibile (26%) – ma l'Italia è uno dei Paesi sopra la media in
termini di assegnazione dei fondi. E questo anche grazie al lavoro
del ministro Raffaele Fitto, oggi passato alla Commissione».
Avete appena presentato un libro sulla storia del Sanpaolo. In un
quadro economico così incerto, quali sono le strategie adottate da
voi per affrontare le sfide attuali e future?
«Nel grattacielo di Torino, al piano sotto a quello del mio ufficio,
c'è l'Innovation Center, cinghia di trasmissione tra la banca e il
mondo dell'innovazione. Attraverso esso controlliamo Neva, un
operatore di venture capital. Abbiamo sottoscritto il suo primo
fondo con 100 milioni di euro e il presidente Luca Remmert e l'ad
Mario Costantini ne hanno raccolti altri 150 sul mercato.
Recentemente, abbiamo dato via al secondo fondo in cui noi
contribuiamo con 200 milioni e intendiamo raccoglierne sul mercato
altri 300. Siamo sicuri che ce la faremo, perché i risultati, anche
economici, del primo fondo sono ottimi. Un gruppo grande come il
nostro ha la possibilità di investire in conoscenza. Noi guardiamo a
lungo termine e questo libro lo evidenzia. Oltre all'innovazione,
bisogna essere in grado di affrontare il cambiamento climatico, la
distruzione di risorse non riproducibili e l'inquinamento. Cambiare
il nostro modo di fare è un'urgenza, ma il processo deve essere
socialmente tollerabile».
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Quel blitz sui giudici che mina il pluralismo
Donatella Stasio
Lo sblocco, improvviso e unilaterale, dell'elezione del quindicesimo
giudice della Corte costituzionale conferma, se ce ne fosse bisogno,
un tratto identitario del governo Meloni, quello di un potere
autoritario, insofferente al pluralismo e ai diritti delle minoranze
e, quindi, anche a chi quei diritti è chiamato a tutelare. Come la
Corte costituzionale. Che la premier ha deciso di conquistare, forte
di una maggioranza "qualificata" ottenuta grazie ai cambi di casacca
di alcuni parlamentari. Appropriarsi della Corte significa
appropriarsi delle nostre libertà, dei nostri diritti civili e
sociali, messi a dura prova in questi due anni di governo. Significa
farne ciò che si vuole, senza avere la spada di Damocle di una
censura successiva. Significa eliminare ogni argine al proprio
potere "assoluto". Ed è quanto sta accadendo sotto i nostri occhi,
in un clima politico e mediatico di indifferenza che, forse, è
ancora più preoccupante del tentativo delle destre di appropriazione
indebita della Corte.
Lo aveva detto a gennaio: sarebbe stata lei "a dare le carte" nella
partita sull'elezione parlamentare dei giudici costituzionali, uno
già scaduto a novembre 2023 e altri tre in scadenza a dicembre 2024.
Detto, fatto: dopo aver tenuto la Corte zoppa per quasi un anno, ora
Giorgia Meloni decide di incassare la sua prima vittoria, senza
neanche giocare la partita con l'opposizione, come farebbe chi ha
ben chiari i suoi doveri istituzionali rispetto a un organo di
garanzia come la Consulta. Un fedele interprete di quei doveri
avrebbe cercato subito un candidato che, al di là dell'orientamento
culturale, fosse «meritevole, per cultura giuridica, esperienza,
stima e prestigio, di assumere quell'ufficio così rilevante», per
dirla con le parole del presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, e sul quale far convergere anche i voti
dell'opposizione. Ma la premier non ci pensa proprio a far sedere al
tavolo Schlein e compagni. Il trasformismo politico dei parlamentari
le ha regalato i 363 voti necessari ad eleggersi da sola i giudici
costituzionali, ovvero la maggioranza "qualificata" dei 3/5 di
deputati e senatori: un quorum alto – persino più alto di quello
richiesto per eleggere il Capo dello Stato – stabilito proprio per
garantire la più ampia convergenza politica, in considerazione della
funzione "contromaggioritaria" delle Corti costituzionali, nate,
dopo l'esperienza tragica del nazifascismo, come limite al potere
assoluto e come garanzia del pluralismo e delle minoranze.
Ma tant'è. Forse anche in vista dell'udienza del 12 novembre in cui
la Corte deciderà i ricorsi regionali contro l'Autonomia
differenziata, Meloni ha "ordinato" ai gruppi di maggioranza di
presentarsi puntuali martedì prossimo alla Camera per votare il
"suo" giudice, il primo dei quattro da sostituire, che sarà il "suo"
consigliere giuridico, il costituzionalista Francesco Saverio
Marini, figlio di Annibale, già giudice ed ex presidente della Corte
nel 2005, designato sempre dalla destra.
Un governo che si sceglie da solo i componenti degli organi di
garanzia, sulla base di una maggioranza numerica non uscita dalle
urne ma dal cambio di casacca politica di alcuni parlamentari, è
assolutamente fuori dalle dinamiche di una democrazia
costituzionale. Il che rende concreto il rischio di avere alla Corte
non dei giudici ma dei "soldatini" con un preciso mandato politico.
Un po' come i giudici della Corte suprema americana voluti da Trump
all'epoca della sua presidenza, che il New York Times non chiama più
Justice ma Mister, perché quello che era il baluardo della rule of
law è diventato il baluardo di una linea politica. Bisogna impedire
che avvenga la stessa cosa con la nostra Corte.
Secondo Massimo Cacciari, stiamo facendo l'abitudine alla guerra e
questo rende più difficile la difesa dei principi dello stato di
diritto. Le guerre stanno rafforzando unilateralmente i governi,
silenziando i Parlamenti e aprendo la strada a regimi autoritari in
nome della sicurezza. Anche da noi. Pensiamo al Ddl del governo
Meloni, impregnato di cultura del "nemico", che in nome della
sicurezza criminalizza anche il dissenso. E pensiamo al divieto di
manifestare in piazza. Inquietante, ha scritto ieri Vladimiro
Zagrebelsky, ricordando che manifestare il dissenso è «un'esigenza
propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura
senza i quali non esiste società democratica». Eppure, siamo a
questo. La Corte costituzionale è, per sua natura, un argine contro
questa lenta erosione dei diritti e della democrazia ma i cittadini
non lo sanno, altrimenti riempirebbero le piazze, come hanno fatto
in altri Paesi, e il governo non tenterebbe di appropriarsene o di
fare ostruzionismo alle sue sentenze (vedi il fine vita). Purtroppo,
là dove le piazze non si sono riempite, le democrazie si sono
svuotate. Perciò, come dice Cacciari, non accontentiamoci di
sopravvivere.
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Torino, chiuse le indagini su Città della salute. I pm: boom delle
visite in intramoenia, danno patrimoniale da 7 milioni di euro
"Molinette, dieci anni di bilanci truccati Così i direttori
incassavano i loro bonus"
elisa sola
torino
Buchi dichiarati, che in realtà erano voragini. Crediti non
incassati da anni. Anche da un milione e mezzo di euro. Conti che
sembravano puliti. Obiettivi che apparivano raggiunti, con
riscossione di bonus. Ma era – o meglio, sarebbe stata – tutta una
grande farsa. Almeno questa è la tesi della procura di Torino, che
ieri ha chiuso un'inchiesta colossale sui bilanci degli ultimi dieci
anni dell'azienda ospedaliero universitaria della Città della
salute. Sarebbero falsi. Scritti sulla base di omissioni e
dichiarazioni non vere. «In modo da indurre – mettono nero su bianco
i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni – i destinatari delle
comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale
andamento economico e patrimoniale» dell'azienda.
I due magistrati torinesi hanno fatto notificare nelle scorse ore 25
avvisi di garanzia a molti vertici – ed ex – della struttura. Per i
presunti bilanci falsi sono indagati l'attuale direttore generale
della Città della salute, Giovanni La Valle e i suoi predecessori
Silvio Falco, Gian Paolo Zanetta e Angelo Del Favero. Devono
rispondere dello stesso reato anche direttori sanitari e
amministrativi ai posti di comando negli ultimi dieci anni e vari
componenti dei collegi sindacali. Per ogni bilancio esaminato dai
carabinieri del nucleo investigativo compaiono anomalie. Cifre che
non tornano. Il filo rosso che collega i documenti contabili di un
decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il
risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore
della libera professione era di meno 12 milioni e 753 mila euro. Ma
in realtà, il "rosso" reale, sarebbe stato – secondo la procura –
più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro.
La maggior parte delle cifre "false" per i pm sarebbe relativa alle
attività intramoenia dei medici a libera professione, che svolgono
in ospedale visite al di fuori del normale orario di lavoro, a
fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa.
I conti non tornano, secondo gli inquirenti, perché alcuni indagati
avrebbero, commettendo (anche) il reato di truffa, violato la
normativa sulla cosiddetta "quota a fondo Balduzzi". Anziché
incassare il 5 percento del compenso dei liberi professionisti,
destinandolo ad attività di prevenzione o alla riduzione delle
lunghe liste d'attesa, i direttori della Città della salute
avrebbero evitato di riscuotere sette milioni di euro dal 2015 al
2022. I fatti di reato precedenti al 2018 sono prescritti, quindi
l'ammanco relativo a questa contestazione è di un milione e 700 mila
euro. Sull'intramoenia si era innescato un circolo vizioso. Più le
attività di libera professione si moltiplicavano, più si allungavano
i tempi delle liste d'attesa, e viceversa. Le relazioni sulla libera
professione sarebbero mandate, con dati falsi, alla Regione Piemonte
(persona offesa nel procedimento insieme alla Città della salute e
ai ministeri dell'Economia e della Sanità), che avrebbe elargito
premi e bonus ai direttori, leggendo che avevano raggiunto
determinati obiettivi. Tra cui, paradossalmente, quelli del
«miglioramento dei tempi di attesa».
Al di là di questo, ci sarebbero altre anomalie nei bilanci
dell'ente. Una serie di crediti non riscossi risalenti a vicende
giudiziarie, fallimenti, o fatti misteriosi ancora da accertare. Nel
2015, per esempio, gli indagati avrebbero omesso di svalutare i
crediti nei confronti del fallimento di Ristor matik, società che
gestiva la distribuzione di bibite e alimenti. L'importo complessivo
è di un milione e 212 mila euro. Nessuno sa dove siano finiti quei
soldi. E perché nessuno ha provato a riscuoterli. E ancora. Nel
bilancio del 2017 sarebbero stati svalutati crediti nei confronti
della Fondazione Ordine Mauriziano per quasi tre milioni di euro.
Mancherebbe anche, nelle casseforti, un milione di euro che Michele
Di Summa, cardiochirurgo condannato, avrebbe dovuto risarcire a
Città della salute. È solo uno dei tanti misteri dell'indagine. —
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I boss al telefono: i Belfiore mirano al parcheggio dell'Allianz
«Mi volevo prendere il parcheggio dello stadio di Torino, ma
c'è la famiglia Belfiore che sono di San Luca e sono forti anche a
Torino, hai capito?». Le mire di espansione di Giuseppe Caminiti,
gestore-ombra dei parcheggi intorno a «San Siro», sono rimaste solo
idee che non si sono mai concretizzate. Più volte l'ultrà
nerazzurro-narcotrafficante, arrestato due volte la scorsa settimana
per associazione per delinquere e per un omicidio del 1992, con
l'imprenditore Gherardo Zaccagni ha pensato di poter entrare nel
controllo delle aree di sosta dello Juventus Stadium. Come emerge
dall'inchiesta della Dda milanese, che ha azzerato i direttivi delle
Curve di Inter e Milan, a frenare le voglie di Caminiti sarebbe
stato il suo protettore Giuseppe Calabrò, detto "dutturicchiu",
eminenza grigia al Nord-Ovest delle famiglie di ‘ndrangheta. «Lo
avevo chiesto a Peppe (Calabrò, ndr) e m'ha detto: "Pino.. non è
giusto. Torino va bene, però magari se ci sono gli altri che
mangiano non puoi tirargli via il mangiare dalla bocca. Tu ha già
Milano. Tieniti Milano». A.SIR. —
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06.10.24
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- Alla fine dell’estate del 2024 se n’è andato all’età di quasi 91
anni Bruno Sacco. Italiano di nascita (viene alla luce a Udine il 12
novembre del 1933) e tedesco di adozione, il suo nome è strettamente
legato a quello della Mercedes, dove è entrando come designer nel
1958 dopo gli studi in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino
e alcune esperienze alla Ghia e alla Pininfarina. Dal 1975 è lui il
capo del centro stile di Sindelfingen e resta responsabile di ogni
auto (ma anche autobus e camion) con la stella fino al suo
pensionamento nel 1999. In oltre 40 anni di lavoro ha firmato
modelli iconici, che resteranno per sempre nella storia
dell’automobile. Ho avuto il piacere di cenare con lui 40 anni fa e
lo ricordo molto piu' dispobile ed affabile a rispondere alle
mie domande , come Giugiaro , al contario di Ramaciotti, capo
designer di Pininfarina e Marchionne che quando piu' mi evita.
-
Il ministro: coinvolte grandi imprese estere
Urso rilancia sul nucleare: "Si parta ora" Sui chip verso
investimenti per 10 miliardi
Nucleare e semiconduttori sono al centro dei progetti del
ministero delle Imprese e del Made in Italy, guidato da Adolfo Urso.
«Il nucleare di terza generazione avanzata e poi quello di quarta
generazione, infine il sogno che renderemo realtà della fusione
nucleare, sono opportunità, anche e direi soprattutto, per
l'Italia», ha spiegato il ministro. Secondo cui «sarà un processo di
medio termine, ma che dobbiamo iniziare da subito».
Allo stesso tempo, si punterà anche sulle nuove tecnologie. In
particolare, i chip. «Nel 2024 chiuderemo accordi per quasi 10
miliardi di investimenti nei semiconduttori. Il rilancio della
nostra tecnologia passa dal coinvolgimento di grandi imprese estere
sia a Taranto, e negli altri siti di acciaieria d'Italia, che a
Piombino», ha evidenziato.
-
l caso
Salassi
tabacchi
"
Maria Castellone vicepresidente Senato
Paolo Russo
Una super tassa di scopo sulle sigarette per finanziare la sanità.
L'idea non è nuova ma questa volta, con la caccia aperta ai fondi
per asl e ospedali, potrebbe avere più chance di tagliare il
traguardo. Perché non solo l'appoggiano gli oncologi e le
opposizioni, ma riscuote consensi anche in frange della maggioranza.
L'idea lanciata dai medici oncologi dell'Aimo della vice presidente
del Senato, la pentastellata Maria Domenica Castellone, prevede di
aumentare di 5 euro il costo di un pacchetto di sigarette per
ricavarne un gettito di 13,2 miliardi da mettere sul piatto della
sanità, riducendo contemporaneamente consumi e tumori. E realizzando
un extra gettito che consentirebbe di riallineare il finanziamento
della sanità rispetto al Pil agli standard europei. L'ipotesi non la
disegna nemmeno il ministro della Salute, Orazio Schillaci, che sa
però quanto poco favore incontri nel Palazzo dell'Economia, dove
temono non solo un crollo dei consumi e quindi del gettito legato
alle accise sulle bionde, ma anche un drastico calo della produzione
nazionale di tabacco e dell'occupazione a questa collegata. Una
analisi contraddetta dalla Castellone, «perché in realtà solo l'1%
della produzione del tabacco consumato in Italia è prodotto nel
nostro Paese, mentre la produzione nostrana è oramai altamente
automatizzata».
Ma in caso di muro da parte del Tesoro, 5S e il Pd, che appoggia
l'iniziativa, hanno già un piano B. «Stiamo lavorando anche a una
seconda ipotesi di un aumento limitato a meno di un euro a pacchetto
che consentirebbe comunque di introitare circa 3 miliardi di euro»,
rivela la vice presidente del Senato. Somma che corrisponde a quanto
Schillaci va cercando per finanziare la prima tranche del suo piano
di assunzioni di medici e infermieri più la detassazione al 15%
della indennità di specificità medica, che prendono tutti i camici
bianchi ospedalieri, che in tal modo metterebbero in tasca circa 250
euro in più al mese. Un incentivo utile ad arginare la loro fuga
dalla sanità pubblica. L'idea di tassare le sigarette per curare la
sanità non piace comunque solo alle opposizioni. Come ammette la
stessa Castellone, «ci sono stati contatti con ampie frange della
maggioranza e l'idea ha trovato consensi soprattutto tra le fila di
Fratelli d'Italia, dove al contrario non è vista di buon occhio
l'idea alla quale starebbe lavorando il Mef di finanziare con nuove
tasse la sanità pubblica». La tassa sulle bionde, maxi o mini che
sia, dovrebbe entrare in manovra con un emendamento. Ma nel caso
questo non fosse approvato c'è un'altra strada che si potrebbe
seguire.
«Grazie ad un cambio di regolamento del Senato, se ci sono proposte
di iniziativa popolare che raccolgono 50mila firme, queste - spiega
Castellone - possono essere discusse in aula entro tre mesi dalla
data in cui sono depositate. Possiamo coinvolgere i cittadini su
questo argomento». E i sondaggi dicono che non sarebbe un'impresa
raggiungere il quorum. Secondo un'indagine del 2024 commissionata
dall'Istituto farmacologico Mario Negri, il 62% degli italiani
sarebbe favorevole a una tassa sul tabacco per finanziare l'Ssn.
Anche la Banca mondiale approva, considerando la sovrattassa una
delle più efficaci forme di lotta al tabagismo, visto che a un
aumento del 10% del prezzo corrisponde un calo del 4% dei consumi.
«Chiediamo alle Istituzioni di approvare una tassa di scopo sulle
sigarette, con il duplice obiettivo di disporre di ulteriori risorse
per l'Ssn e di ridurre il consumo di tabacco, perché il tabagismo è
un fattore di rischio anche per altre neoplasie, per malattie
cardiovascolari e respiratorie», afferma il presidente dall'Aiom,
Francesco Perrone. E i numeri gli danno ragione, perchè 9 diagnosi
di tumore al polmone su 10 sono causate dal fumo, al quale in Italia
possono essere attribuiti 40mila nuovi casi l'anno, che diventano
93mila considerando anche le altre forme di cancro, che costano al
paese 26 miliardi in cure.
-
Morte
I precedenti
sui
binari
filippo fiorini
San Giorgio di Piano
Tre ore prima dell'alba di ieri, tra una fila di more selvatiche e 9
colleghi che saldavano una rotaia, Attilio Franzini è finito sotto a
un treno. Probabilmente perché aveva appena rallentato per
attraversare la stazione di San Giorgio di Piano, l'intercity
partito da Bologna e diretto a Trieste era praticamente impossibile
da sentire, se non all'ultimo secondo. Il 47enne è stato colpito di
spalle.
La sua squadra operava su un binario morto, il 4. Tra loro e il
trasfertista di Formia, Latina, c'era un'altra via di manovra, il
binario 3, che come il precedente si estende poco oltre la lunghezza
delle pensiline della stazione ed è transennato a nord e sud. Poi,
il binario 2, soppresso nella notte per garantire la sicurezza del
cantiere. Attilio era sul numero 1, l'unico attivo. Perché?
Una torre faro mobile con generatore annesso. Una troncatrice per
rotaie. Il carrello di servizio appoggiato a un muro e una tanica
blu:
Questo è quel che resta del posto di lavoro in cui è caduta la più
recente delle oltre 370 morti bianche registrate quest'anno in
Italia. È sotto sequestro dalle 4,30 di ieri. Un'indiscrezione
proveniente dall'indagine per omicidio colposo, che la procura di
Bologna ha aperto contro ignoti e che sta conducendo attraverso la
Polfer, sostiene che i colleghi di Franzini abbiano detto che stava
trasportando degli attrezzi verso un capanno. Ma non c'è nessun
capanno in quella direzione e gli attrezzi sono tutti sul lato
sicuro della massicciata. Un'altra fonte riferisce invece che
nessuno dei sopravvissuti abbia spiegato perché uno di loro stava in
mezzo a un binario aperto.
Se tutte le persone presenti in loco, in servizio sui treni e nelle
centrali di controllo avessero seguito alla lettera quanto indicato
nelle oltre 200 pagine del documento "Istruzione per la protezione
nei cantieri" che Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) aggiorna dal 1986
a oggi, se tutti i meccanismi avessero funzionato correttamente, il
fatto non sarebbe accaduto. Qualcosa, però, è andato ancora una
volta tragicamente storto. A qualche ora dall'incidente, con il
traffico attorno al nodo già ripreso e solo qualche ritardo sui
convogli in viaggio tra Bologna e Venezia, è possibile affermare
solamente che i semafori e i segnali acustici funzionano.
Qualche anno fa, Franzini aveva lavorato alla nettezza urbana di
Formia. In seguito, è passato alla Salcef, una società per azioni di
Roma che aveva in appalto le riparazioni in cui ha perso la vita.
Tanto questa società, come Rfi, e il ministro dei Trasporti, Matteo
Salvini, hanno espresso «cordoglio e vicinanza alla famiglia»,
offrendo collaborazione e rimettendosi all'esito dell'inchiesta per
esprimere ulteriori commenti. Attilio non era sposato e non aveva
figli. Suo fratello Emanuele l'aveva sentito al telefono poco prima
che incominciasse il suo ultimo turno di lavoro. «Si era lamentato
della pioggia e del freddo». Si è raccomandato con lui che stesse in
riguardo e poi, le chiamate del giorno dopo non hanno più ricevuto
risposta.
Oltre a Emanuele, lascia un altro fratello, Andrea, e il padre,
Gino. Il sindacato Fiom-Cgil ha indetto uno sciopero di 4 ore alla
Salcef. Molte altre associazioni di lavoratori ed esponenti politici
hanno denunciato il preoccupante susseguirsi di morti bianche,
usando termini come «strage» o «guerra». Hanno denunciato le
storture derivanti dal sistema dei subappalti e accusato il governo
di non fare abbastanza per la sicurezza. Nei primi 5 mesi del 2024,
l'Inail ha contato 369 vittime, un aumento del 3, 1% rispetto al
2023.
Per il contesto in cui è avvenuta, la morte di Franzini ricorda la
strage di Brandizzo: in quella stazione, la notte del 30 agosto 2023
Michael Xanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Aversa, Saverio Giuseppe
Lombardo e Kevin Laganà, operai in subappalto, morirono investiti da
un treno, mentre riparavano i binari della Torino-Milano.
Massimo, padre dell'ultimo di questi cinque uomini, ha detto:
«Nessuno sta facendo un bel niente. Tutti promettono, a partire dai
politici, e poi si continua a morire. Brandizzo non ci ha insegnato
nulla».
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Si è concluso il processo d'appello Platinum sulle infiltrazioni
della 'ndrangheta a Volpiano Pene fino a sei anni e undici mesi per
Mario Vazzana, al fratello Giuseppe sei anni e otto mesi
Condannati i "boss imprenditori" Assolto l'agente della municipale
andrea bucci
ludovica lopetti
Si è concluso con tre condanne e due assoluzioni il secondo grado
del processo Platinum sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel
Canavese, tra Volpiano e Chivasso. Ieri la Corte d'Appello ha
confermato le condanne inflitte in primo grado per associazione
mafiosa nei confronti dei fratelli imprenditori Mario e Giuseppe
Vazzana. Erano proprietari di un impero tra hotel, auto e conti
correnti per un totale di oltre otto milioni di euro, disseminato
tra Chivasso, dove gestivano un bar, Volpiano - dove avevano un
ristorante, una tabaccheria e due locali - e il Canavese.
Considerati 'ndranghetisti di rango (quantomeno dal 1991) e legati
alla potente enclave mafiosa degli Agresta, per i Vazzana ieri la
Corte ha confermato le condanne in primo grado, infliggendo a
Giuseppe Vazzana sei anni e otto mesi e al fratello Mario sei anni e
undici mesi. È stata confermata, inoltre, la condanna a dieci mesi
verso Antonio Agresta.
Al processo è stato invece assolto Paolo Busso, agente della polizia
municipale di Volpiano accusato di aver ‘abbuonato' sei multe a
Giuseppe Vazzana (condannato a 6 anni e 8 mesi) e aver tratto in
inganno una funzionaria dell'anagrafe per ottenere un indirizzo.
Busso era accusato di abuso d'ufficio. È stato assolto «perché il
fatto non è più previsto dalla legge come reato» in seguito alla
riforma Nordio. Riguardo alla seconda contestazione di cui doveva
rispondere, la Corte ha giudicato «di particolare tenuità» l'accesso
abusivo a sistema informatico che, secondo l'accusa, avrebbe
commesso il vigile, che dovrà risarcire di mille euro il comune di
Volpiano (assistito dall'avvocato Giulio Calosso).
«È stata ridata dignità a una persona che non meritava di essere
implicata in una vicenda molto più grossa di lui», ha commentato
l'avvocata Gabriella Vogliotti, che difende Busso, dopo la sentenza.
Con la stessa formula - «il fatto non è più previsto dalla legge
come reato» - è stato assolto anche Domenico Aspromonte, che era
imputato per la bancarotta dell'hotel La Darsena. In primo grado era
stato condannato a sei mesi.
Per Aspromonte il pm Valerio Longi aveva contestato l'associazione
di stampo mafioso e l'estorsione in relazione a una vicenda relativa
al ristorante Lago Reale. Durante le trattative per acquistare
un'altra attività commerciale attraverso la srl omonima, Aspromonte
e i fratelli Mario e Giuseppe Vazzana avrebbero chiesto un forte
sconto sul prezzo d'acquisto - 200 mila euro a fronte di 290 mila
chiesti dai venditori - per via di un presunto abuso da sanare,
minacciando di fare «un lago di sangue». Il tribunale ha
riqualificato il reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni
e aveva prosciolto gli imputati per difetto di querela, visto che le
vittime non avevano denunciato e il reato non è procedibile
d'ufficio. «Non hanno escluso la sussistenza dei fatti, cancellati i
reati, ma non i favori», commenta l'avvocato Calosso. Al processo,
oltre a Volpiano, si è costituito parte civile anche il Comune di
Chivasso, assistito dall'avvocato Andrea Castelnuovo. «Non c'è
spazio per nessuna attività legata direttamente o indirettamente
alla criminalità organizzata nel territorio cittadino», ha detto.—
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05.10.24
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tenuta a gaza da un miliziano legato a isis
L'Idf libera una yazida rapita 10 anni fa
L'esercito israeliano ha annunciato il salvataggio di una donna
yazida di origine irachena che era stata rapita dieci anni fa ed era
tenuta prigioniera nella Striscia di Gaza da un miliziano di Hamas
con legami con lo Stato Islamico (Isis). Le forze israeliane hanno
spiegato che il miliziano è stato ucciso durante la guerra a Gaza,
forse a causa di un bombardamento israeliano, e la donna,
identificata come Fawzia Amin Sido, 21 anni, ha poi colto
l'occasione per fuggire. La giovane donna è stata trasferita prima
in Giordania e infine in Iraq, dove si trova la sua famiglia.
L'attivista yazida irachena Nadia Murad, premio Nobel per la pace
2018, ha affermato su X che «questa ragazza yazida è stata rapita
nel 2014. Dopo la caduta del califfato in Iraq e Siria
(rispettivamente nel 2017 e nel 2019), l'Isis l'ha trasferita a
Gaza. Ma non è l'unica detenuta a Gaza dall'Isis».
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UNA RETE MISTA AV E NORMALE NON E' SICURA LO VEDRETE AL PROSSIMO
INCIDENTE :Non c'è una vera linea per l'alta velocità noi appesi a
un chiodo per altri 10 anni
Andrea Giuricin
L'Italia spaccata in due da un chiodo apre una riflessione sul
sistema ferroviario italiano che è e rimane un esempio a livello
globale per quanto riguarda la liberalizzazione dell'alta velocità.
Il guasto di ieri deve ancora essere compreso completamente, anche
perché sembra una vicenda abbastanza assurda. Al di fuori di quanto
le indagini in corso indicheranno circa le responsabilità, ci sono
diversi fattori per i quali i guasti creano dei problemi così vasti
sia in termini temporali che in termini geografici.
In primo luogo, è chiaro che il Pnrr ha degli effetti importanti
proprio sulla situazione attuale, perché i quasi 30 miliardi di euro
d'investimenti (compresi i soldi derivanti dai fondi europei Cef),
hanno un impatto con migliaia di cantieri aperti contemporaneamente.
Questi cantieri provocano ritardi e cancellazioni sia per il settore
passeggeri che per il settore merci, che in realtà in questo momento
è in grandissima sofferenza con perdite di quasi 100 milioni di euro
come ricorda spesso l'associazione Fercargo.
I lavori, come quelli di questa estate che hanno portato ad avere
allungamenti dei tempi di percorrenza per l'alta velocità tra Roma e
Milano, sono necessari per migliorare la nostra infrastruttura che
per tanti anni non ha visto grandissimi lavori.
Questi lavori sulla rete, che continueranno fino al 2026 e oltre,
creano problemi aggiuntivi quando ci sono dei guasti
all'infrastruttura, perché eliminano di fatto i buffer esistenti
(come se non ci fossero più delle vie alternative).
Tornando al guasto di ieri, c'è da fare una puntualizzazione
importante. L'incidente è successo nel nodo urbano di Roma, il più
trafficato d'Italia e che, come ogni nodo urbano, vede insistere il
traffico non solo dell'alta velocità, ma anche di treni regionali,
intercity e finanche treni merci.
Il traffico misto nei nodi è una caratteristica italiana e provoca
complicazioni che ad esempio in Giappone, Spagna o Francia non
esistono, perché in quei paesi, l'alta velocità viaggia
completamente su linee dedicate e separate dal restante traffico.
Il nodo di Roma, al minimo problema rischia di andare in difficoltà
perché il traffico è molto denso. Solo nella stazione di Roma
Termini ogni giorno transitano circa 1000 treni e di questi solo 300
treni sono ad alta velocità.
La gran parte del traffico è dato dai treni pendolari che nel caso
della stazione principale di Roma incidono per quasi i due terzi del
traffico complessivo.
Quindi si comprende che c'è necessità non solo di diminuire i
guasti, e anche per questo ci sono i grandi investimenti di RFI, ma
anche di avere strategie di corto, medio e lungo termine.
Partiamo dal lungo termine e in questo caso si parla di grandi opere
infrastrutturali. Si può pensare al nodo di Firenze, storicamente
molto trafficato e in questo caso si sta costruendo un passante con
la nuova stazione di Belfiore, dando una soluzione alternativa come
succede ormai da qualche anno anche a Bologna. Ci vorrebbe
probabilmente un passante per l'alta velocità anche a Milano, ma è
chiaro che per queste opere ci vogliono lustri e non anni.
Ci sono poi soluzioni di medio termine, quale ad esempio la
soluzione tecnologica dell'Ertms alta densità. Questo sistema di
segnalamento permette di avere più treni a distanziamento minore ed
in sicurezza sulle stesse linee esistenti. Di fatto si crea nuova
capacità proprio in quei nodi dove la capacità inizia ad essere
scarsa.
Infine, nel breve termine c'è da risolvere il problema della
congestione nelle due principali stazioni italiane, vale a dire Roma
Termini e Milano Centrale. In questo caso la soluzione passa
attraverso una prioritizzazione del traffico che deve essere fatta
in funzione di criteri socio-economici. I treni "meno importanti"
devono fermarsi nelle stazioni di Roma Tiburtina e Milano Garibaldi,
andando a risolvere parzialmente e nel breve periodo i problemi
delle stazioni congestionate.
C'è però da essere franchi e ricordare che, con i tanti lavori sulla
rete attuale, i problemi continueranno ad esserci per i prossimi
anni. —
*Docente di Economia dei trasporti all'Università Bicocca
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nove indagati. Perquisite le sedi di roma, milano e firenze
Indagine sugli appalti concessi dall'Anas Accuse di corruzione per
846mila euro
monica serra
milano
Mazzette in cambio di gare da centinaia di milioni di euro. È questa
l'ipotesi della procura che indaga su un presunto sistema di appalti
pubblici truccati che ruota attorno ai fratelli Stefano, Luigi e
Marco Liani. Il primo è tuttora responsabile della struttura Anas
Toscana, gli altri due «ex funzionari pubblici che, in virtù del
ruolo rivestito in Anas, dopo aver interrotto il rapporto lavorativo
con la società pubblica per passare all'imprenditoria privata,
continuavano a operare nel settore dell'edilizia pubblica e della
costruzione e manutenzione di strade e autostrade attraverso società
a loro riconducibili» come si legge nei decreti con cui ieri il
Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf ha perquisito le
tre società riconducibili alla famiglia Liani e i nove indagati
coinvolti nell'inchiesta: 4 di loro sono ancora oggi funzionari
Anas. Acquisizioni di documenti sono state condotte invece nelle
sedi di Anas di Roma, Milano e Firenze. Ma anche negli uffici del
Consorzio stabile Sis di Torino che fa capo alla famiglia Dogliani.
Quattro gli episodi su cui stanno lavorando i pm coordinati dalla
procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, che ipotizzano a vario
titolo le accuse di corruzione, turbativa d'asta e rivelazione del
segreto d'ufficio. Il primo ruota attorno al Consorzio stabile Sis
che non risulta indagato.
Si sarebbe aggiudicato nel 2019 un appalto da oltre 388 milioni di
euro per i lavori sulla SS340 Regina – Variante Tremezzina mentre
«intratteneva rapporti di lavoro personali» per cui pagava fatture a
Stefano Liani (486 mila euro) e al collega Eutimo Mucilli (360 mila
euro). Somme per i pm «funzionali a garantire fedeltà e benevolenza
dei due alti dirigenti pubblici». Gli altri episodi riguardano
invece due lotti della A4 Brescia-Soave; i 33 km della SS 469 Sebina
occidentale (un appalto da 2 milioni e mezzo di fatto subappaltato
alla Nuove iniziative spa di Marco Liani) e quello per i lavori
della Statale 412 della Val Tidone.
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l'allarme nel Rapporto aris: 6 pazienti su 100 vittime di infezioni
durante la degenza
"Settemila decessi l'anno per gli errori in corsia"
paolo russo
Un milione di ricoverati l'anno è vittima di errori in corsia. E tra
i sei e i settemila muoiono a causa di questi. Un intervento o una
terapia sbagliati, ma in oltre sei casi su dieci per colpa delle
infezioni contratte proprio in ospedale. Per uso improprio dei
cateteri, per scarsa igienizzazione degli ambienti e degli impianti
di aerazione. O perché non si fanno i tamponi in ingresso ai
pazienti fragili che possono così portare in corsia i super batteri
resistenti agli antibiotici, come la Klebsiella o il Clostridium
difficile. Fatto è che i nostri nosocomi sono molto meno sicuri di
quel che dovrebbero. A denunciarlo è un Rapporto dell'Aris,
l'associazione degli ospedali cattolici. Una pandemia silente che
per ogni 100 pazienti ricoverati – si legge nel rapporto- ne
colpisce 6,3, vittime di infezioni durante la degenza in ospedale.
Su un totale di oltre 10 milioni di ricoveri annuali oltre 600 mila
si infettano e almeno l'1%, ossia seimila e più di questi pazienti,
va poi incontro al decesso. Morti evitabili in oltre il 50% dei casi
con una corretta adesione alle linee guida di prevenzione, quelle
per le infezioni del sito chirurgico in particolare.
Se errori ed infezioni dilagano nei nostri ospedali, altrettanto
rapidamente lievitano i contenziosi giudiziari, che oramai marciano
al ritmo di 30 mila cause l'anno, mentre sono 3,8 milioni i casi
pendenti nei tribunali. Una mole di contenziosi che finisce per
costare 11 miliardi l'anno, spingendo verso la cosiddetta "medicina
difensiva", quella che per paura di incappare in una causa fa
prescrivere o operare ai medici anche quando non serve e li frena a
farlo quando invece servirebbe ma i rischi per i pazienti sono
troppo alti. —
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04.10.24
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la procura di firenze: non ha comunicato i 42 milioni in regalo
"Processate Dell'Utri per i soldi da Berlusconi"
La procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per
Marcello Dell'Utri e per la moglie Miranda Ratti in relazione alla
mancata comunicazione delle variazioni patrimoniali, cosa cui Dell'Utri
era tenuto per la legge Rognoni-La Torre come condannato con
sentenza definitiva per concorso esterno in associazione di tipo
mafioso nel 2014. Le accuse, a vario titolo, sono di trasferimento
fraudolento di valori e di mancata comunicazione delle variazioni le
quali, nei saldi di un decennio, la Dda di Firenze ha stimato per un
ammontare di 42.679.200 euro. Nel marzo 2024 la Dda aveva ottenuto
il sequestro preventivo di 10,8 milioni di euro individuati nei
flussi nei conti correnti di Dell'Utri e di sua moglie. Per l'accusa
le movimentazioni di denaro da Berlusconi verso i conti di Miranda
Ratti erano in realtà a favore di Dell'Utri, ma lui non avrebbe
comunicato niente alle autorità.
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LUIGI CHIAPPERO Parla l'avvocato che denunciò il racket per conto
della Juventus
"Stop al monopolio delle curve nel tifo bisogna vietare le trasferte
ai gruppi"
giuseppe legato
torino
In passato, ha assistito la Juventus in un lungo percorso di
denuncia a proposito di minacce e intimidazioni degli ultrà alla
società concluso con le condanne dei tifosi. Ed è dunque, l'avvocato
Luigi Chiappero un tecnico sul tema stadi e curve.
Cosa sta succedendo negli stadi italiani?
«Direi che finalmente ci si sta muovendo per capire cosa succede
all'interno delle strutture che non sono più zone franche. Il caso
di Milano si configura come un intervento quanto mai opportuno».
Dica la verità, le sembra un film già visto: ultrà che ricattano
personale delle società, criminalità comune e organizzata che
scalano le gerarchie del tifo…
«La fermo subito».
Per dire cosa?
«Che a Torino la chiarezza è stata fatta anni fa senza che ci
scappasse il morto per merito di un'azione congiunta di procura,
questura e società».
Perché siamo arrivati a questo punto?
«Sono state tollerate situazioni che in fondo andavano bene a tutti.
Perché fa piacere vedere le curve colorate che fanno festa negli
stadi. Ma è ora di cambiare mentalità».
E come si cambia la testa del tifoso?
«Comprendendo che il tifo non è appannaggio dei gruppi organizzati,
ma è di tutti. Mi passi la battuta: abbiamo in Italia una tradizione
canora internazionale e non mi pare il caso di appaltare a un ultrà
il lancio dei cori salvo poi sentire che il primo è "Noi non siamo
napoletani"? Io, il Napoli, lo voglio battere 4-0 sul campo».
Gli arresti risolvono da soli la questione?
«Le investigazioni hanno liberato gli spazi che ci erano stati tolti
per una nuova democrazia negli stadi. Sta a noi, tifosi comuni e
appassionati riappropriarci di essi. Serve un cambio culturale. E
poi c'è il tema trasferte»
Cosa c'entrano le trasferte?
«Ci vuole una uniformità di trattamento da parte di tutte le
questure d'Italia: per esempio a Torino c'è molta rigidità nel senso
che chi viene da fuori e non è in regola viene fermato fuori dallo
stadio».
E poi?
«E poi è impensabile che delle persone per bene, che stanno a Torino
e domenica prossima vogliono vedere il loro Cagliari in curva
debbano aspettare un'ora per uscire dallo stadio scortati da un
numero imponete di forze dell'ordine. Piuttosto si vietino le
trasferte ai gruppi organizzati».
Basta questo?
«Ovviamente no. Una volta fatti gli interventi che stiamo vedendo
bisogna essere in grado di mantenere la situazione regolarizzata.
Sento dire che qualcuno vuole dare più potere ai privati, non è
questa la strada».
Per intenderci: non basta aumentare il numero degli steward?
«Un ragazzo di 22 anni, anno più anno meno, pagato pochi euro l'ora,
euro più euro meno, non può fronteggiare situazioni che già sono
difficili per chi della tutela della sicurezza ne ha fatto un
mestiere».
Cosa devono fare le società?
«C'è un profilo tecnico oltre che di merito: devono mettere a
disposizione degli stadi moderni che abbiano tecnologie tali da
mettere gli inquirenti nelle condizioni di intervenire con fermezza:
e in Italia ci sono pochissime strutture attrezzate per questo».
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Feletto, il titolare di una ditta di materiale elettrico
insospettito per gli ammanchi in magazzino La indagini dei
carabinieri hanno portato a perquisizioni e denunce: due uomini e
una donna
Dipendenti infedeli in fabbrica rubavano per rivendere sul web
alessandro previati
Avevano organizzato tutto nei minimi dettagli: dal furto dei
materiali fino alla vendita online sottoprezzo. A metterli nei guai,
prima ancora delle meticolose indagini dei carabinieri di Rivarolo,
ci ha pensato la frequenza stessa dei furti che, alla fine, ha
insospettito i responsabili dell'azienda.
Tre persone, due uomini di 33 e 44 anni e una donna di 46, sono
stati denunciati per ricettazione in concorso dai militari
dell'Arma. Uno dei complici è un dipendente di una ditta di Feletto,
la Zeca, alla quale, secondo le indagini, era solito sottrarre dai
magazzini, turno dopo turno, materiali elettrici di vario tipo. In
particolare torce, lampade, avvolgi tubi e cavi. Tutti oggetti
facili da rivendere via internet per i quali c'è sempre una grande
richiesta. L'indagine lampo è nata a seguito della denuncia del
titolare dell'azienda che, insospettito dagli ammanchi consistenti
nel magazzino della propria ditta, ha deciso di rivolgersi ai
carabinieri di Rivarolo. Ed è allora che i militari hanno
individuato l'autore dei furti in un dipendente della ditta in
questione, scoprendo quasi subito dei rapporti piuttosto stretti fra
questo ed un altro operaio, ex dipendente della stessa azienda. Una
serie di controlli a spot, nel corso delle ultime settimane, hanno
permesso di acquisire la certezza del coinvolgimento dei due. Così
l'altro giorno è scattata una perquisizione a carico del dipendente
dell'azienda di Feletto, proprio al termine del turno di lavoro. I
sospetti si sono concretizzati quando gli investigatori, nascosto
nell'auto, hanno ritrovato del materiale appena sottratto dal
magazzino. A quel punto sono scattate ulteriori perquisizioni, nelle
abitazioni dei due uomini e della fidanzata di uno dei due.
I militari hanno così potuto recuperare un'ingente quantità di
materiale sottratto precedentemente allo stabilimento di Feletto,
per un valore complessivo di circa 50 mila euro. Alcuni pezzi,
trovati a casa della donna, erano già impacchettati e pronti per
essere spediti a seguito della vendita on-line. Tutta la refurtiva è
stata sequestrata in attesa della restituzione al legittimo
proprietario. I tre, invece, incensurati e residenti in Canavese,
sono stati denunciati a piede libero alla procura di Ivrea. Secondo
le indagini la loro attività era iniziata già nella primavera dello
scorso anno ed ora sono in corso ulteriori accertamenti per
ricostruire la filiera dei clienti che (probabilmente) in buona
fede, attraverso alcune piattaforme online, hanno acquistato i
materiali rubati. Tutte transazioni probabilmente tracciate che
serviranno a chiarire il giro d'affari messo in piedi dai tre. La
facile vendita online, seppur a prezzi scontati, ha evidentemente
convinto i componenti della banda a continuare con i furti, forse
aumentando anche la frequenza dei «prelievi» non autorizzati dal
magazzino. Un errore perché in questo modo l'imprenditore di Feletto
si è accorto degli ammanchi e i carabinieri di Rivarolo sono
riusciti ad incastrarli.
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03.10.24
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Liste d'attesa
la grande illusione
Paolo Russo
roma
«Decreto fuffa» lo aveva definito Elly Schlein, vista la pochezza di
risorse stanziate in piena campagna elettorale dal governo per
abbattere le liste di attesa. Ora a distanza di 4 mesi dal suo varo,
il DL venduto come toccasana per accorciare i tempi per visite e tac
è ancora fermo al palo, perché mancano tutti i provvedimenti
attuativi previsti per mettere le gambe al "piano Schillaci".
Tanto per cominciare non c'è traccia del provvedimento che dovrebbe
definire le modalità di applicazione della norma "salta code".
Nucleo centrale del decreto, nel quale si stabiliste il diritto
dell'assistito ad ottenere in automatico il rimborso delle
prestazioni ottenute dal privato quando il pubblico non rispetta i
tempi massimi stabiliti dal Piano nazionale liste di attesa. In
teoria un passo avanti rispetto a oggi, perché al momento prima si
anticipano i soldi e poi si chiede il rimborso con tanto di Pec e
prova documentale di non aver ottenuto la prestazione nei tempi
massimi stabiliti per legge. Un percorso arzigogolato che rende di
fatto inesigibile il diritto. Che tale resterà fino a quando non
verrà alla luce il decreto attuativo che spiega come saltare la fila
senza sborsare denaro. Anche perché nessuno a fino ad ora visto il
protocollo d'intesa Salute-Mef-Regioni che deve indicare come
impiegare le risorse non spese in passato per abbattere le liste di
attesa. Parte di 500 milioni, probabilmente insufficienti a
finanziare il "salta code", ma che così resteranno ancora chissà per
quanto inutilizzati. L'intesa era attesa entro 60 giorni dal varo
del decreto legge ma non ce n'è nemmeno traccia.
Missing è poi il decreto attuativo di un altro tassello
fondamentale, quello che fa scattare i poteri sostitutivi dello
Stato quando le Regioni sono inadempienti nell'applicare le misure
taglia liste. In un primo momento il provvedimento, fortemente
voluto da Schillaci, affidava al suo ministero poteri ispettivi e
sanzionatori, che arrivavano ad attribuire agli ispettori
ministeriali il compito di far scattare sanzioni e persino le
manette nei casi più gravi. Una stretta che aveva fatto insorgere i
governatori che erano riusciti ad ottenere da Giorgia Meloni il
depennamento della norma, mitigato però dai poteri sostitutivi dello
Stato, senza i quali anche il resto del castello rischia di
sgretolarsi, lasciando in ogni caso alle regioni il doppio ruolo di
controllori e controllati. La definizione dei poteri sostitutivi
doveva essere messa nero su bianco entro il 7 luglio ma ancora si è
in attesa di un testo. Così come manca il decreto, previsto entro 30
giorni, che dovrebbe provvedere alla «Classificazione e
Stratificazione della popolazione», ossia a programmare l'offerta
delle cure. Aspetto non trascurabile del piano taglia tempi di
attesa.
L'unico decreto attuativo messo per ora nero su bianco è quello che
contiene le linee guida per realizzare la piattaforma nazionale
sulle liste d'attesa, essenziale per monitorare i tempi di attesa
reali per visite specialistiche e accertamenti diagnostici, visto
che quelli riportati dai siti regionali risultano essere spesso poco
attendibili. Un tassello importante del piano, perché bisogna prima
sapere dove le cose non vanno per poter poi intervenire. Secondo il
decreto di giugno le linee guida dovevano essere adottate entro 60
giorni dal suo varo, ossia al massimo il 29 agosto. Da pochi giorni
abbiamo il testo che è però ben lungi dall'essere approvato dalla
Conferenza delle Regioni, che ne ha appena iniziato l'esame a
livello tecnico. Con il risultato che, secondo quanto ammesso dallo
stesso ministero della Salute, la piattaforma non sarà operativa
prima di gennaio, se non febbraio. Come dire che fino ad allora non
sarà possibile sapere chi rispetta i tempi e chi no e quindi nemmeno
mettere in atto le misure pensate per accorciare i tempi.
«Questo ritardo sul piano è inaccettabile, incomprensibile e
insostenibile per i cittadini che si misurano tutti i giorni con il
problema di attese troppo lunghe per curarsi. Se Regioni e governo
ritardano ancora bisogna pensare a un commissario straordinario per
le liste d'attesa», propone Tonino Aceti, presidente di Salutequità.
Tentando così di tirare fuori il decreto liste di attesa dalle
sabbie mobili in cui lo tiene impantanato la burocrazia.
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L'affaire
Scajola
mattia mangraviti
imperia
Una nuova grana, fonte di più di qualche imbarazzo, si abbatte su
Claudio Scajola. La causa sull'ineleggibilità a sindaco di Imperia
approda davanti alla Cassazione. È l'ultimo capitolo di una vicenda
nata dal ricorso presentato da tre consiglieri comunali di
opposizione, Ivan Bracco, Luciano Zarbano e Lucio Sardi, contro
l'elezione dell'ex ministro dell'Interno e che rischia di
complicarsi ulteriormente per una recente pronuncia della Corte dei
Conti sull'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, società
consortile incaricata della gestione del servizio idrico in
provincia di Imperia. Un doppio incarico che potrebbe rivelarsi
incompatibile, un caso di conflitto d'interessi piuttosto
imbarazzante, almeno a detta della magistratura contabile.
Al centro della vicenda c'è l'incarico di commissario ad acta
assegnato a Scajola dalla Regione Liguria con decreto firmato dal
presidente Giovanni Toti: una nomina che, a detta dei ricorrenti,
era incompatibile con il ruolo di primo cittadino. In primo grado il
Tribunale di Imperia ha respinto il ricorso in quanto «non
ravvisabile alcuna forma di controllo istituzionale da parte del
commissario sul Comune di Imperia», accogliendo di fatto la tesi
difensiva del legale dell'ex ministro, il vice sindaco di Genova
Pietro Piciocchi. La causa è poi approdata in Appello dove la Corte,
a sorpresa, non è entrata nel merito e ha annullato la sentenza di
primo grado per un problema di notificazione rimandando gli atti al
Tribunale di Imperia. In sostanza i ricorrenti, secondo i giudici di
secondo grado, avrebbero erroneamente chiamato in causa Scajola in
quanto sindaco di Imperia e non come persona fisica. Da qui la
nullità dell'intero procedimento.
Ma è la Corte dei Conti a rimettere tutto in discussione. Dando il
via libera all'ingresso del Comune di Imperia in Rivieracqua, scrive
che l'operazione «è stata avallata dal commissario». Scajola che
avalla Scajola, insomma. E, ancora, che «sulla base delle proiezioni
fornite dal commissario (sempre Scajola, ndr) in esito
all'operazione il Comune di Imperia (e dunque nuovamente l'ex
ministro, ndr) dovrebbe acquisire una partecipazione in Rivieracqua
spa pari al 28,63%». Ma non è tutto. Perché anche la delibera con la
quale il Consiglio comunale ha approvato l'ingresso del Comune in
Rivieracqua lascia qualche dubbio. L'aula, infatti, trasmette l'atto
al commissario ad acta «per quanto di competenza» e «dichiara la
deliberazione immediatamente eseguibile al fine di rispettare il
termine del 30 aprile 2024 stabilito dal commissario ad acta». Il
Consiglio comunale presieduto da Scajola, insomma, invia gli atti a
Scajola per rispettare i termini stabiliti da Scajola.
Considerazioni che per lo meno aprono qualche interrogativo sul
fatto che non sia ravvisabile «alcuna forma di controllo
istituzionale da parte del commissario sul Comune di Imperia». Una
pronuncia che rischia di mettere più di un dubbio al Tribunale
nuovamente chiamato a esprimersi sulla presunta ineleggibilità del
sindaco.
Scajola in un primo momento si era lasciato andare a toni
trionfalistici: «Altra sconfitta per Bracco e Zarbano, la verità
viene sempre fuori». Ora ha deciso di impugnare la sentenza di
Appello davanti alla Cassazione. A oggi, però, la situazione risulta
radicalmente cambiata rispetto al passato dato che la pronuncia
della Corte dei Conti rischia di mettere il sindaco in una posizione
piuttosto scomoda, almeno sulla carta.
Per Scajola si tratta dell'ennesima querelle giudiziaria nel corso
di una lunga carriera politica contraddistinta da grandi successi e
rovinose cadute. Dalle polemiche per il G8 (era ministro
dell'Interno quando morì Carlo Giuliani) alla casa al Colosseo
pagata in parte a sua insaputa da un imprenditore (fu assolto in
primo grado e poi prosciolto per prescrizione), dal caso Biagi,
ucciso dalle Nuove Br (di lui disse «era un rompicoglioni»)
all'arresto per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena
(condannato in primo grado a due anni di carcere, poi prosciolto per
prescrizione). Un percorso tortuoso che però non ha impedito all'ex
ministro di recitare a Imperia ancora un ruolo da grande
protagonista. Sindaco, presidente della Provincia e commissario
dell'autorità idrica, tira le fila della politica ponentina con
all'orizzonte un ritorno nei salotti che contano, tra i vertici
dell'amata Forza Italia dell'amico Tajani. —
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02.10.24
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L'incontro con Fink, ad del
fondo. Un comitato per gli investimenti su AI, energia e trasporti
Meloni chiede il soccorso della grande finanza
Cabina di regia a Chigi per i soldi di BlackRock
ilario lombardo
roma
«No alla grande finanza internazionale» urlava Giorgia Meloni dal
palco di Vox a Marbella, il 12 giugno 2022. Due anni dopo, il
governo guidato dalla leader di Fratelli d'Italia apre il portone di
Palazzo Chigi e il mercato italiano al più grande fondo finanziario
del mondo. Il bagno di realtà del governo – e dei soldi a
disposizione – vale più delle promesse elettorali dal facile suono
populista. I soldi del Pnrr finiranno nel giro di un paio di anni e
le casse dello Stato saranno ancora più strizzate dalle nuove regole
fiscali europee. Il privato, anche se è lo squalo globalista,
vecchio nemico di tanti comizi di Meloni, torna molto utile oggi. Un
comitato composto dai principali collaboratori della premier sarà
l'interlocutore formale e istituzionale di BlackRock. È il risultato
dei 35 minuti di colloquio tra Meloni e Larry Fink, il numero uno
del fondo con sede a New York che gestisce oltre 9 trilioni di
dollari di patrimonio globale, 102 miliardi per conto di clienti
italiani. I due si erano già visti a Borgo Egnazia, nel corso del
G7, durante la Partnership for Global Infrastructure and Investment,
copresieduta dalla presidente del Consiglio e dal presidente degli
Stati Uniti Joe Biden.
Secondo una nota di Palazzo Chigi, il gruppo di lavoro che verrà
costituito a breve sarà una sorta di cabina di regia e avrà il
compito di individuare e «coordinare i progetti che andranno
sviluppati in collaborazione» con BlackRock. Dovrebbero farne parte
quasi sicuramente il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio e il
capo di gabinetto Gaetano Caputi. Di fatto riguarderà società
partecipate e settori strategici, a partire ovviamente
dall'Intelligenza Artificiale, ambito a cui la premier italiana ha
dedicato importanti colloqui già durante la missione a New York, a
margine dell'Assemblea Onu, dove ha incontrato non solo il
supermiliardario Elon Musk, ma anche i vertici di Google, Open Ai,
Motorola. Meloni e Fink hanno analizzato i margini di investimento
nell'ambito di sviluppo di data center e delle correlate
infrastrutture energetiche di supporto. Si tratta di trovare enormi
bacini di alimentazione. Secondo fonti finanziarie vicine al fondo,
gran parte dell'incontro – al quale era presente anche il ministro
dell'Economia Giancarlo Giorgetti – si è focalizzato proprio su
questo, in particolare su come gestire i nuovi centri di
elaborazione sul territorio nazionale. È il cuore del business che
fa gola ai giganti digitali, compresa Microsoft che con BlackRock
sta già investendo su infrastrutture informatiche ed energetiche.
In tal senso, spiegano le stesse fonti vicine al dossier, «non si
può escludere una collaborazione con Enel, con il fine ultimo di
raccogliere la sfida energivora dell'AI». I dialoghi sono a un «buon
stadio d'avanzamento», ma l'intenzione di BlackRock è quella di
mantenere la massima prudenza. «Si tratta di un dossier molto
delicato, che ha richiesto una discussione dettagliata sui prossimi
passaggi».
Il colosso statunitense è già ampiamente presente, con i suoi
miliardi, in grandi aziende e banche italiane. E dal momento che è
il secondo azionista di Enel, dopo lo Stato italiano, circolano
indiscrezioni riguardo a un'ulteriore salita nel capitale della
società energetica guidata da Flavio Cattaneo. Oltre agli utilizzi
delle reti per pompare energia dentro i data center per l'AI, un
interesse particolare è quello delle colonnine di ricarica per i
veicoli a trazione elettrica. Un ambito che, salvo sorprese,
potrebbe essere discusso prima della fine dell'anno. Negli stessi
mesi in cui, dopo aver conquistato il 3 per cento di Leonardo,
dovrebbero finalizzarsi le trattative con Sace, gruppo
assicurativo-finanziario di sostegno alle imprese nazionali
controllato dal Ministero dell'Economia: in ballo c'è la gestione di
asset fino a 3 miliardi di euro. Ma gli obiettivi di Fink sono tanti
altri. Nel confronto con Meloni sono stati toccati possibili
partecipazioni pure nel settore idrico, nei trasporti (BlackRock è
già dentro Italo), in strutture portuali aeroportuali, e si è
discusso di un ruolo di primo piano all'interno del Piano Mattei.
Meloni cerca risorse per finanziare tutti i progetti di sviluppo che
faticano a essere avviati con i Paesi africani. E Fink ha già
un'idea su quali strumenti utilizzare. BlackRock sta lavorando a un
secondo fondo sulla finanza climatica, al quale vuole che partecipi
anche l'Italia. —
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la fed punta a due tagli del
costo del denaro entro l'anno
Draghi: verso una stagione di tassi alti
MARCO BRESOLIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
L'epoca dei tassi d'interesse negativi non tornerà. Anzi, «vivremo
in un periodo in cui avremo pressioni da deficit troppo alti e un
eccesso di domanda», quindi «potenzialmente con livelli d'inflazione
più alti e tassi più alti». È la previsione di Mario Draghi, l'uomo
che per 8 anni ha gestito la politica monetaria a capo della Bce in
una fase critica per l'economia europea. Pur rispondendo con un «no,
grazie» a chi ha provato a rimetterlo per un attimo nei panni del
banchiere centrale, Draghi è tornato brevemente sulla questione
durante una discussione organizzata dal think tank Bruegel e
dedicata al suo rapporto sulla competitività realizzato per conto
della Commissione. Poche ore dopo, intervenendo al Parlamento
europeo, Christine Lagarde ha mantenuto le carte coperte sulla
decisione che sarà presa a ottobre dalla Bce, mente oltre
oltreoceano Jerome Powell, presidente della Fed, prevede altri due
tagli dei tassi, per un totale di 50 punti entro l'anno, visto che
l'economia Usa «è solida».
Draghi ha molto insistito sulla necessità di aumentare gli
investimenti, ricordando che la cifra di 800 miliardi annui citata
nel report è frutto di «una stima prudente». Ha ribadito che una
quota significativa dovrà essere costituita da fondi pubblici, ma
che gli Stati non hanno i mezzi per poterla sostenere e che
bisognerà agire a livello europeo. Se necessario, anche con
l'emissione di debito comune.
Alla luce delle reazioni negative in alcune capitali, il tema resta
controverso, ma Draghi avrà la possibilità di confrontarsi con i 27
leader Ue al vertice informale che si terrà all'inizio di novembre a
Budapest . L'appuntamento cadrà a poche ore dall'elezione del nuovo
presidente Usa e Draghi ha messo in guardia l'Europa dai rischi del
protezionismo. Quella dell'Ue, ha sottolineato, «è un'economia
aperta e se facessimo come gli Usa ci danneggeremmo da soli».
Su una cosa, però, è tornato a martellare: «Tutti i nostri Paesi
sono troppo piccoli per essere all'altezza delle sfide attuali».
Serve «una sovranità europea» perché «la sovranità nazionale è
troppo debole come concetto». Ed è in questa chiave che dovrebbe
maturare lo scambio già alla base del Next Generation EU: cessione
di una parte della sovranità (riforme concordate a livello europeo)
in cambio di risorse comuni. Anche perché, secondo Draghi,
«l'attuazione delle riforme ridurrà l'ammontare degli investimenti
necessari».
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I nerazzurri intercettati
Marco Ferdico
"
La mafia d i San Siro
I rossoneri intercettati
Gherardo Zaccagni
Andrea Beretta
Luca Lucci
monica serra
andrea siravo
milano
Parcheggi, biglietti, trasferte, merchandising. Ricchi business
criminali che garantiscono una montagna di soldi dentro e fuori San
Siro, e che con la passione sportiva non hanno nulla a che vedere.
Del resto, come diceva intercettato il capo ultrà nerazzurro Andrea
Beretta: «Lo sai benissimo. .. io non faccio le cose per lo
striscione... a me non me ne frega un emerito c…! Nessuno lavora per
il popolo». Affari milionari ottenuti con le botte e le minacce
(«Non mi tradire sennò mi tocca ammazzarti») che le Curve di Inter e
Milan si spartivano in base a un «patto di non belligeranza» che ha
moltiplicato i «comuni profitti». E ha fatto diventare il Meazza
«terra di nessuno» piegando i club a una «situazione di sudditanza
rispetto agli ultrà», come sottolinea il gip Domenico Santoro nel
provvedimento che, all'alba di ieri, ha azzerato i direttivi delle
Curve.
Sono 19 in tutto le misure cautelari: 16 in carcere, 3 ai
domiciliari nell'indagine della Dda, diretta da Alessandra Dolci. A
cui si aggiungono una pioggia di Daspo del questore Bruno Megale.
Tra gli arrestati figurano i capi della Nord, Andrea Beretta – già
in carcere per l'omicidio di Antonio Bellocco, ucciso con venti
coltellate il 4 settembre a Cernusco sul Naviglio – e Marco Ferdico
con il padre Gianfranco. Ma anche i capi della Sud, il narcos Luca
Lucci e il fratello Francesco. Sono accusati a vario titolo di
associazione per delinquere – in alcuni casi aggravata dalla
agevolazione mafiosa – dedita a una sfilza di estorsioni per fare la
cresta su biglietti, abbonamenti, ingressi gratuiti e mettere le
mani su servizi di catering e di vendita di bevande nello Stadio. Ma
anche aggressioni e pestaggi contro steward, tifoserie rivali,
bagarini e magliettari per imporre il loro predominio.
Pesanti pressioni sono state esercitate sulle società di Inter e
Milan che, come ha specificato il procuratore Marcello Viola sono
considerate «parti lese» in queste indagini. Ma che hanno più volte
ceduto alle intimidazioni e ora rischiano il commissariamento con
l'apertura di un procedimento di prevenzione e la nomina di due
consulenti della procura che le aiuteranno a munirsi dei «necessari
anticorpi per evitare che col cambio dei volti sulla balaustra la
situazione si ripeta», specifica il pm Paolo Storari che ha
coordinato le indagini con la collega Sara Ombra. Nonostante i
divieti di legge, negli atti dell'inchiesta della Squadra mobile
sono certificati i contatti dei capi della Nord con il calciatore
slovacco Milan Skriniar che hanno provato a convincere di restare
all'Inter mentre «tremava dalla paura». Ma anche con l'allenatore
Simone Inzaghi e l'ex calciatore ancora vicino alla squadra Marco
Materazzi. Emblematico l'episodio della finale di Champions contro
il Manchester City. I capi della Nord pretendono dal club 1.500
biglietti da rivendere. Sotto la minaccia di «non andare a Istanbul
e non tifare», Marco Ferdico telefona anche a Inzaghi e gli chiede
di intervenire: «Te la faccio breve mister...ci hanno dato mille
biglietti...noi abbiamo bisogno 200 in più per esser tranquilli...ma
non per fare bagarinaggio mister... arriviamo a 1200 biglietti?». È
l'allenatore a rispondere: «Parlo con Ferri con Zanetti con Marotta…
poi ti faccio sapere qualcosa... gli dico che ho parlato con te e
che tanto avevi già parlato con Ferri e Zanetti… Marco io mi attivo
e ti dico cosa mi dicono». Il capo ultrà chiede poi l'intercessione
di Materazzi che si impegna: «Fammi... fammi provà… fammi provà». È
sempre lui a rivelargli il motivo del dietrofront del club: «I
biglietti da 80 li rivendono a 900… questo mi è stato detto, tienilo
per te». Alla fine, la società cede a pochi giorni dal match.
Al direttivo nerazzurro viene anche contestata l'aggravante
dell'agevolazione mafiosa per aver favorito la cosca dei Bellocco di
Rosarno dopo l'omicidio dell'ex leader della Curva Vittorio Boiocchi,
con la scalata dell'erede Antonio Bellocco, Toto u'Nanu, che ha
garantito i guadagni alla famiglia in Calabria anche per finanziare
i detenuti fino alla morte, per mano di Beretta. Come accertato
dalla polizia, era stato Ferdico a procurargli casa e lavoro
fittizio col compito di arginare gli appetiti degli altri gruppi
criminali. Ma il potere assunto da Bellocco, lo «spacchioso
calabrotto» era sempre più ingombrante. Diceva Beretta intercettato:
«A parte che tu di stadio non capisci un c… devi solo firmare e
lascia fare a noi...tu fai quello che devi fare, cioè mandare via i
tuoi paesani…».
Capitolo a parte è quello relativo alla gestione dei parcheggi su
cui ha indagato anche la Gdf e gestito soprattutto da Giuseppe
Caminiti, legato al boss di 'ndrangheta Giuseppe Calabrò, u'dutturicchio.
Insieme hanno permesso all'imprenditore Gherardo Zaccagni con la
«società Kiss and Fly» di accaparrarsi i parcheggi dello stadio in
cambio del pagamento di un obolo di 4 mila euro al mese ai capi
della Curva. Un affare per cui è indagato anche il consigliere
regionale di centrodestra Manfredi Palmeri, ex manager di «M.I.
Stadio srl» ed ex componente della commissione antimafia del Comune.
È lui l'uomo identificato da Zaccagni per intercedere con la
dirigenza rossonera e ottenere la gestione dei parcheggi in cambio
di un quadro da 10 mila euro che ieri è stato sequestrato a casa sua
nel corso della perquisizione. Contro di lui si ipotizza la
corruzione tra privati.
«Non è giusto dire che tutti gli ultrà sono criminali – è il
commento del procuratore della Dna Giovanni Melillo – ma che una
componente non secondaria del mondo ultrà pratichi attività
criminali è sotto gli occhi di tutti. Bisogna smettere di far finta
di niente». —
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Il cantante, non indagato,
fino a un paio di giorni fa si è fatto fotografare con due degli
arrestati
I legami di Fedez con narcos e picchiatori Il business dei concerti
in giro per l'Italia
monica serra
milano
Dai servizi di sicurezza all'intera organizzazione di eventi e
concerti in Italia e all'estero. Sono tante «le ambizioni
imprenditoriali» del narcos Luca Lucci, come emerge dall'indagine
dell'Antimafia che ha azzerato le Curve milanesi. «Il suo ruolo di
capo della Sud gli ha consentito di tessere, relazioni di carattere
lavorativo nel settore musicale con noti artisti italiani come Fedez,
Emis Killa, Lazza, Tony Effe, Cancun, Gue Pequeno» permettendogli di
moltiplicare «in maniera esponenziale e con pochissimi controlli i
guadagni» fino a gestire «i concerti di questi artisti, sia sul
territorio nazionale, sia internazionale». E ora il gip Domenico
Santoro chiede alla polizia di approfondire queste relazioni
pericolose.
Prima tra tutte, quella con Fedez, che in questa inchiesta non è
indagato ma che fino a due giorni fa si è fatto fotografare in un
hotel di Parigi in compagnia del suo bodyguard Christian Rosiello e
dell'amico picchiatore Islam Hagag, noto come Alex Cologno, dopo gli
scatti di quest'estate su un lussuoso yacht a Porto Cervo. Entrambi
sono finiti in carcere: frequentazioni compromettenti che anche l'ex
moglie, Chiara Ferragni, ha in più occasioni criticato.
Per il gip c'è un «rapporto consolidato» tra Federico Lucia e il
narcos Lucci (quello della stretta di mano con Salvini). A lui si
rivolge Fedez per avere un bodyguard, per introdurre a San Siro la
bibita Boem che promuove con Lazza. E sempre con lui progetta una
scalata (finita in nulla) per acquisire la discoteca Old Fashion,
tanto da assicurare al telefono: «Ho già chiamato Boeri», il
presidente della Triennale, proprietaria degli spazi del locale.
Fedez va a trovare Lucci anche due giorni dopo il pestaggio del
personal trainer dei vip, Cristiano Iovino, in via Traiano, dopo una
rissa al The Club, nata nell'ambito della disputa con Nicolò
Rapisarda, in arte Tony Effe, sfociata nel dissing delle ultime
settimane. Una spedizione punitiva a cui ha partecipato anche
Rosiello, tra botte e minacce di morte alla vittima: «Chiedi
scusa…devi chiedere scusa, noi torniamo e ti ficchiamo una
pallottola in testa…».
Il caso si è chiuso con una transazione stragiudiziale e Iovino -
che chiamano Jimmy palestra - non ha denunciato. È sempre Fedez a
spiegare la situazione a Lucci: «Son proprio stupidi, vabbè, quando
torna il Tony...niente dobbiamo e basta… – spiega Fedez intercettato
– è semplice la cosa frate! Tony ha un amico, tutti sanno che quello
è amico suo, l'amico di Tony si fa male e Tony siccome deve fare il
ragazzetto ghetto non può permettersi che si sappia che un suo amico
si è fatto male senza che lui poi l'abbia difeso! Perché, a casa
mia, lo difendi quando c'ha bisogno non dopo, però… adesso ha fatto
brutto a Lazza… far brutto a Lazza, vuol dire far brutto a mio
figlio, ti pare!?».
Ma c'è di più. E si è scoperto nelle pieghe dell'indagine. Facendo
leva sull'intraprendenza del suo fedelissimo Hagag e ai suoi
rapporti col mondo criminale calabrese, è stato Lucci a organizzare
una serie di concerti di Fedez ad agosto soprattutto nel Sud Italia.
Tanto che il nome del picchiatore Hagag «è comparso sul sito
ticketone.it in qualità di organizzatore del concerto di Fedez
previsto per il 6 agosto del 2024 al Calura di Roccella Jonica e di
tutti gli altri eventi previsti nel mese di agosto in quel locale e
in altri locali notturni calabresi, grazie alla mediazione della Why
Event di Lucci»
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Il vicepremier nel 2018 era
stato immortalato con il capo della tifoseria Luca Lucci arrestato
ieri
Le amicizie pericolose che sfiorano Salvini "La violenza deve
restare fuori dagli stadi"
FRANCESCO MOSCATELLI
ANDREA SIRAVO
MILANO
Per Matteo Salvini l'inchiesta sugli ultras milanesi non è un bel
modo per cominciare la settimana del raduno leghista previsto per
domenica prossima a Pontida. Una settimana che, nelle sue
intenzioni, dovrebbe essere di rilancio dell'azione politica sui
fronti dell'immigrazione (il 18 ottobre a Palermo è attesa l'arringa
del suo legale Giulia Bongiorno nel processo Open Arms) e del
sovranismo (domenica sul «sacro pratone» ci saranno il premier
ungherese Viktor Orban e l'olandese Geert Wilders).Perché se è bene
chiarire che né il segretario né altri esponenti del Carroccio sono
stati anche solo sfiorati dalle indagini, è inevitabile che il blitz
della Dda milanese riporti a galla il legame tra Salvini e la Curva
Sud del Milan, a cominciare dalla celebre foto del dicembre 2018 in
cui l'allora ministro dell'Interno stringeva la mano a Luca Lucci,
il leader indiscusso dal 2009 del tifo organizzato rossonero con già
due condanne definitive per droga dopo gli arresti nel 2018 e nel
2021.
«Io ho fotografie con circa 100 mila persone - ha detto ieri mattina
Salvini a margine di un convegno sulla gestione idrica che si
svolgeva a Milano -. Vado allo stadio da quando sono piccino e con
milanisti ho alcune migliaia di foto, sperando che siano tutte
persone per bene. Però mi fido assolutamente delle forze
dell'ordine, penso anche agli scontri prima del derby di Genova. Io
sono un tifoso appassionato però la violenza e la mafia devono stare
assolutamente fuori dagli stadi». Quindi ha aggiunto: «Io vado allo
stadio da quando ho cinque anni e se qualcuno usa lo stadio per
farsi gli interessi suoi, poi con puzza di mafia, camorra e
‘ndrangheta, va assolutamente isolato, beccato e allontanato». Una
presa di distanza molto netta che a qualcuno, però, potrà sembrare
tardiva. Un anno e mezzo fa, infatti, il segretario e vice-premier
era tornato a far parlare del suo rapporto con gli ultras rossoneri
per aver difeso pubblicamente la protesta (vietata dalla giustizia
sportiva) andata in scena dopo una clamorosa sconfitta della squadra
allenata allora da Stefano Pioli allo stadio Picco di La Spezia.
«Penso e spero che ci siano cose più importanti di cui occuparsi»,
disse Salvini.
Tra i tifosi che avevano costretto giocatori e mister a un'umiliante
tirata d'orecchie sotto la curva degli ospiti c'era Francesco Lucci,
fratello di Luca arrestato ieri sulla pista di Orio al Serio appena
sceso da un volo che lo riportava in Italia da Dubai. La violenza è
il dna dei fratelli Lucci. «C'ho una sete di sangue che solo Dio lo
sa!», si rammarica Luca, detto il «Toro» tornando a San Siro nel
novembre 2023. Non sulla balaustra del secondo anello Blu ma in
tribuna. Quella che lo ha fatto resistere a tentativi di
detronizzazione di Giancarlo Lombardi, detto Sandokan. L'ex
fedelissimo divenuto nemico. «Gli dico "non dividiamo la curva"… eh
allora lui mi dice "Allora mi dai sotto come avevamo detto prima".
Ho detto: "Non ti do neanche sotto" … Io gli dico no su tutto», si
sfoga Lucci con Loris Grancini, capo del gruppo ultras dei Viking
della Juventus. Tra le preoccupazioni c'era anche quella di essere
nuovamente arrestato quando a luglio 2023 scopre un'ambientale in
casa sua: «Sicuro sono indagato per associazione, capirai questi
fino a che non mi massacrano non son contenti», profetizza ai suoi
parenti il Toro. —
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Partite le audizioni
nell'inchiesta che ha condotto in carcere il dipendente della Filca,
Ceravolo I segretari nazionali della sigla (non indagati) saranno
sentiti come persone informate sui fatti
Mafia, tessere e sindacato i vertici della Cisl in procura
giuseppe legato
Nei prossimi giorni i vertici del sindacato Cisl (e Filca Cisl)
saranno sentiti in procura come persone informate sui fatti. La
cornice delle audizioni notificate a tre dei massimi rappresentanti
della sigla confederale è quella dell'inchiesta Factotum che ha
portato in carcere la scorsa settimana Domenico Ceravolo, dipendente
del sindacato edili a Torino e dallo scorso 13 febbraio componente
della segreteria provinciale. L'accusa per Ceravolo è quella di
associazione a delinquere di stampo mafioso. Di questo lo accusano i
pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni titolari del fascicolo.
A Torino, in procura, arriveranno Mauro De Lellis, segretario
provinciale della Filca (da 4 giorni promosso responsabile
regionale), Ottavio De Luca e il segretario nazionale della Cisl
Luigi Sbarra (non indagati). La notizia delle convocazioni è emersa
da ambienti sindacali.
Considerato uomo vicino a Franco D'Onofrio, anche lui finito in
manette con l'accusa "di dirigere la rete della ‘ndrangheta in
Piemonte", Ceravolo, assistito dal legale Christian Scaramozzino, si
professa innocente. Il tema delle audizioni però non sarà questo. E
basta leggere gli atti finora pubblici su questa inchiesta per
cogliere come il focus il comportamento del sindacato nei suoi
confronti. Per i pm «è dimostrata la consapevolezza da parte dei
vertici Filca Cisl dell'appartenenza/vicinanza di Ceravolo al
contesto 'ndranghetistico». Lo dimostrerebbero i benefit che gli
vengono riservati come ad esempio il pagamento del viaggio per
andare in Calabria a deporre come teste della difesa di un boss
nell'aula bunker di Lamezia Terme per testimoniare nel maxi-processo
Rinascita Scott. Le spese di viaggio vengono "coperte" dal
sindacato. Gli investigatori sottolineano nel decreto di fermo che
«tale esborso, che non può di certo ritenersi una spesa attinente le
attività istituzionali dell'ente». Di più: che di questo «non è
stato tenuto all'oscuro il vertice romano dell'organizzazione
sindacale stessa». Ancora: «Che i nominati responsabili della Filca
Cisl (non indagati, ripetiamo) fossero a conoscenza del motivo
inerente la trasferta calabrese di Domenico Ceravolo. Con le
prossime audizioni si chiarirà un altro punto emerso agli atti che
riguarda il trojan (un virus informatico) inoculato dal Nucleo di
polizia economica della Finanza nel telefonino di Ceravolo. Secondo
gli inquirenti ci sarebbe stato «un accertato diretto interessamento
dei vertici sindacali a favore di Ceravolo allorquando sono emersi
chiari segnali di una possibile attività investigativa svolta nei
confronti di quest'ultimo». Ovvero: «Dopo l'inoculamento del trojan
sul telefono aziendale del dipendente è uno dei vertici della Filca
Cisl a contattare il gestore Vodafone «per rappresentare alcune
anomali che stava riscontrando su quel telefono: «Senta, la chiamo
per un problema che ha il proprietario, l'intestatario di questo
numero. Non riusciamo a disinstallare o quantomeno a bloccare un ...
un'applicazione che è "Assistenza in linea" che continua a lavorare
in background, volevamo capire se era possibile disattivarla tramite
il servizio o c'è qualche anomalia». Per gli investigatori «è un
chiaro segnale di aver compreso che si trattasse di un trojan».
Pochi giorni dopo a Ceravolo arriverà un cellulare nuovo: «Questo
costa 1300/1400 euro». Chiosano i pm: «Tale dispositivo, avrebbe
reso impossibile un nuovo tentativo di inoculazione». —
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Il risanamento prevede la
decontaminazione del terreno dai veleni
Parte la maxi bonifica dell'ex area Thyssen Sei anni di cantiere
diego molino
Il futuro dell'ex Thyssenkrupp, una ferita ancora aperta sull'asse
di corso Regina Margherita, è tutto da scrivere. Un primo bagliore
di luce si intravvede adesso, visto che nei prossimi giorni
partiranno le opere di bonifica di tutta l'area. Un cambio di passo
annunciato dall'assessore all'Urbanistica Paolo Mazzoleni, nel corso
di una commissione che si è svolta ieri a Palazzo Civico, dopo una
serie di ritardi e rinvii sul cronoprogramma dei lavori. Non sarà un
processo breve: gli interventi di messa in sicurezza operativa
avranno una durata di sei anni e dovrebbero concludersi nel 2030,
mentre il costo complessivo sarà di 4,5 milioni di euro, a carico
degli attuali proprietari di Arvedi Ast.
Parte dunque l'iter per preparare il futuro di questa porzione di
città dove 17 anni fa, nella notte del 6 dicembre del 2007, scoppiò
un incendio all'interno della fabbrica che provocò la morte di sette
operai. La bonifica sarebbe dovuta partire già nello scorso luglio,
ma la proprietà aveva chiesto - e ottenuto – dal Comune una proroga
di tre mesi. Oggi invece Arvedi Ast ha comunicato alla Città di aver
individuato un operatore e un direttore dei lavori. Il piano di
risanamento del terreno prevede un mosaico di attività che sono
mirate alla riduzione della presenza di cromo esavalente e del
rischio che possa fuoriuscire dal perimetro dell'ex sito
industriale. Un'altra parte di opere serviranno al controllo delle
emissioni di acqua contaminata, all'eliminazione degli idrocarburi e
all'impermeabilizzazione di una parte scoperta del vecchio
stabilimento, per prevenire il rilascio di sostanze inquinanti
all'interno della falda.
Questo per ciò che riguarda le operazioni di bonifica dell'area. Al
contempo, però, si lavora anche per disegnarne la futura vocazione.
Nello scorso mese di marzo, il consiglio comunale decise di
approvare una delibera con cui si stabiliva una variante al piano
regolatore, prevedendo una successiva destinazione d'uso dei terreni
a parco urbano, che possa collegarsi alla vicina area del parco
della Pellerina. Un documento contro cui i proprietari di Arvedi
hanno presentato ricorso al Tar, come ha spiegato l'assessore
Mazzoleni in commissione: «In merito al ricorso la Città si è
costituita in giudizio, riteniamo che la delibera approvata sia
assolutamente solida e difendibile, anche se la variante non è
ancora stata approvata».
Nei mesi scorsi il progetto del "verde su soletta" aveva attirato
però anche diverse critiche di alcuni comitati di cittadini, che al
contrario chiedevano una bonifica in profondità dell'ex sito
industriale. Al momento non ci sono invece conferme sul fatto che
Arvedi abbia trovato un nuovo acquirente per l'area. —
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01.10.24
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FUOCO SOTTO IL VESTITO CINESE :
La BYD ha
avviato una procedura di richiamo per 97.000 auto elettriche
prodotte tra il novembre del 2022 e il dicembre del 2023: il
problema, che potrebbe portare a un rischio di incendio, riguarda un
difetto di fabbricazione relativo alla centralina del servosterzo
delle Dolphin e
delle Yuan Plus. Stando ai dati della China Association of
Automobile Manufacturers, l’associazione dei costruttori cinesi, nel
2023 i due modelli sono state le vetture più vendute dalla Casa,
forti di 750 mila unità.
Interventi già in corso. La Casa cinese sta richiamando nelle
proprie officine tutte le vetture coinvolte per risolvere il
problema con l’installazione di una nuovo componente. Al momento non
è ancora chiaro se il problema riguarda anche gli esemplari
esportati all’estero, ed eventualmente in quale percentuale. Per la
BYD si tratta del secondo richiamo nel giro di due anni: nel 2022
una piccola quantità di Tang plug-in aveva segnalato un difetto
nella batteria di trazione.
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NON COMPRERI MAI QUESTE AUTO :
SONO A BORDO QUINDI LI HAI GIÀ PAGATTI - La connessione a Internet
delle auto moderne (grazie a una scheda sim, come quella dei
telefonini) ha aumentato il numero di servizi disponibili, fornisce
informazioni in tempo reale (per esempio sul traffico) e permette di
aggiornare l’elettronica di bordo senza passare in officina. Bello?
Sì, ma non sempre: le case, infatti, possono “gestire” alcuni
accessori a distanza, attivandoli solo a pagamento. L’auto può avere
i fari a matrice di led (ad abbaglianti accesi riconoscono la
presenza di altri veicoli e creano un cono d’ombra per non
accecare), ma che lavorano come luci “normali” a meno di pagare un
abbonamento. Stesso discorso per le sospensioni a controllo
elettronico e per il cruise control adattativo: potresti avere già a
bordo tutti gli elementi (e quindi, in pratica, averli pagati), ma
col software bloccato dalla casa.
E IN CASO D'INCIDENTE TI COSTA DI PIÙ - Se poi fai un incidente,
potresti trovarti a pagare cifre altissime e ingiustificate: un faro
a matrice di led (anche se non attivato) è molto più caro di uno
“passivo”. E anche i sensori del cruise adattativo sono cari da
riparare… Le case offrono queste funzioni per un certo periodo o per
sempre. Qui trovate alcuni esempi, col prezzo indicativo. Infatti,
soltanto dopo aver inserito il numero di telaio della propria auto
(nell’app o nel negozio virtuale) si può sapere cosa si può avere e
cosa no, e quanto costa.
AUDI: POCHI, SOFISTICATI “OPTIONAL”
L’offerta si concentra su tecnologie raffinate e dall’hardware
costoso (come i fari “intelligenti” o il sistema di parcheggio
automatico).
Fa eccezione lo Smartphone Interface: Android Auto e Apple CarPlay
senza filo. Un mese, per la Q5, costa € 18; per sempre, € 470 (€ 20
e € 550 rispettivamente per le A6, A7 Sportback e Q7). In auto di
questo tipo, l’accessorio dovrebbe essere di serie.
L’assistente al parcheggio, che aiuta nella manovra azionando in
automatico lo sterzo, nel caso della eTron e Q8 eTron costa € 9,99
al mese e 500 per sempre.
I fari matrix led (che attivano la luce abbagliante senza accecare
chi si incrocia o si segue) per la suv Q8 e-tron costano € 70 per un
mese; sbloccarli per sempre, € 2.240.
BMW: NEL NEGOZIO ONLINE C’È DAVVERO DI TUTTO
Le funzioni sono solo per le vetture con connessione a internet
Connected Drive. Qui mostriamo i prezzi del negozio online, ma
bisogna verificare costi e disponibilità per la propria auto.
Active Cruise Control con funzione Stop&Go: regola in automatico la
velocità e la distanza dal veicolo che precede, costa € 899 (per
sempre).
Aggiornamento mappe: il rinnovo è annuale: € 89. Assistente
abbaglianti (attivazione automatica): un mese, € 9; un anno, € 99;
tre anni, € 149; per sempre, € 199.
BMW drive recorder: riconosce gli incidenti e salva automaticamente
le immagini precedenti al sinistro. Un mese, € 15; un anno, € 59;
tre anni, € 129; per sempre, € 299.
Driving assistant plus, la guida assistita di Livello 2 (mantiene in
automatico velocità, corsia e distanza dal veicolo che precede). Un
mese costa, € 49; un anno, € 429; tre anni, € 649; per sempre, €
929.
Real Time Traffic Information: informa in tempo reale sul traffico.
Un anno: € 69.
Traffic camera information: gli autovelox fissi e i rilevatori di
semaforo rosso vengono segnalati sul display centrale. Rinnovo
annuale a € 39.
Gli ammortizzatori a controllo elettronico potrebbero essere già in
auto, ma non è detto che funzionino. Per attivarli: € 29 per un
mese; € 209 per un anno; € 429 per sempre.
DS: L’APP PER ELETTRICHE? € 40 ALL’ANNO
Il Connect Plus è di serie per i primi tre anni e comprende, fra le
altre, tre funzioni per le elettriche e le plug-in che restano
sempre attive: programmazione della ricarica, controllo
dell’autonomia e attivazione del “clima” via app. Dopo i primi tre
anni, il resto diventa a pagamento.
L’Intelligenza artificiale ChatGPT costa € 1,5 al mese o € 15
all’anno;
Le informazioni in tempo reale su traffico, autovelox e parcheggi, €
9,9 al mese o € 109 all’anno;
L’app E-Routes per la pianificazione del viaggio con suggerimento
delle soste per la ricarica, € 4 al mese o € 40 all’anno.
FORD: NELLE ELETTRICHE È QUASI TUTTO COMPRESO
Disponibilità e prezzi per il proprio veicolo si ottengono solo dopo
aver inserito il numero di telaio nel negozio virtuale o nella app.
Connettività premium: musica online e comandi vocali Alexa. Per le
Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal 2022, 90 giorni di
prova gratuita e poi 4,99 €/mese.
Ford Secure: in caso di furto dell’auto, questo servizio la
localizza (per le Mustang Mach-E prodotte dal 2021 e le Focus dal
2022); un anno di prova gratuita, poi 5,99 €/mese.
Navigazione connessa: informazioni su traffico, prezzi e
disponibilità di colonnine, distributori e parcheggi. Dopo un anno
di prova gratuita, € 5,99 al mese; di serie per le elettriche.
MERCEDES: PACCHETTI SU MISURA
Per semplificare la scelta, la casa di Stoccarda propone il Connect
Package: costa € 14,90 al mese (ma i primi 30 giorni sono gratuiti),
oppure € 149,00 all’anno. Include, fra l’altro, Internet radio,
notifica di furto, rilevamento dei danni da parcheggio, previsioni
del tempo e giochi, nonché l’attivazione del “clima” e l’apertura di
finestrini e tetto in vetro dall’app.
Dalla primavera, le A, B, GLA ed EQA sono proposte anche in versione
Digital Edition: una serie speciale che costa 1.464 euro in più
rispetto all’auto “base”e che comprende 41 funzioni normalmente
attivabili online (a pagamento), comprese quelle del Connect Package
indicate qui sopra. A queste si aggiungono accessori di valore, come
il pacchetto di assistenza alla guida (cruise control adattativo,
monitoraggio dell’angolo cieco e altri aiuti elettronici); il
collegamento senza filo ad Android Auto o Apple CarPlay; il sistema
di parcheggio assistito con telecamere a 360° (l’auto sterza in
automatico e può entrare e uscire dal parcheggio senza guidatore a
bordo); il pacchetto Guard 360° (localizzazione della vettura e
supporto in caso di furto dell’auto). Nelle Digital Edition è di
serie anche la verniciatura metallizzata.
VOLKSWAGEN: UNA SOLA "CADUTA DI STILE"
Le possibilità di scelta sono limitate, perché quasi tutto è di
serie: è una scelta della Volkswagen Italia per semplificare la vita
dei clienti. In Germania, infatti, nel negozio virtuale ci sono
molti più accessori a pagamento.
Da noi si pagano solo il navigatore (685 euro per Polo, T-Cross,
T-Roc, Taigo e 679 euro per Passat e Tiguan) e i controlli vocali (€
275 per tutte, per sempre).
E comunque, dal momento che Android Auto e Apple CarPlay sono di
serie ed entrambi sono dotati di navigazione e comandi vocali
intelligenti, si può fare a meno di quelli della Volkswagen.
Il tasto per scaldare i sedili, € 97
La Passat e la Tiguan si possono avere con il Travel Assist
(aggancia la corsia e il veicolo davanti e può fare il sorpasso in
automatico, € 395 euro per sempre) e i sedili riscaldabili, € 96,9
per sempre. Nel caso dei sedili, non si paga nemmeno un software, ma
solo il tasto (virtuale) per attivarli
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DOPO ANNI HANNO CAPITO LA SPIA CINESE :
QUESTIONE DI SICUREZZA - Mentre la Cina chiede all’Italia di
adottare Huwaei come fornitore di servizi di telecomunicazioni in
cambio di un investimento per la fabbrica della Dongfeng (qui per
saperne di più), l’Europa potrebbe presto seguire l’esempio degli
Stati Uniti, che pochi giorni fa hanno annunciato l’intenzione di
mettere al bando i software cinesi e russi dalle auto destinate al
loro mercato (qui la news). Anche Bruxelles starebbe infatti
pensando a introdurre blocchi verso tecnologie provenienti da paesi
considerati “nemici”. Condividendo le preoccupazioni di Washington,
la danese Margrethe Vestager, che nella commissione europea è a capo
delle questioni legate alla digitalizzazione, ha annunciato che “è
legittimo esaminare se quel tipo di tecnologia possa essere o meno
utilizzata in modo improprio quando si tratta di questioni di
sicurezza”. Le auto connesse, ha detto Vestager, possono registrare
e comunicare dati sensibili: per questi alla UE “stanno esaminando
la questione, anche con i nostri esperti di sicurezza economica”.
NON TUTTI SONO D’ACCORDO - Nelle prossime settimane i funzionari
europei per la sicurezza informatica presenteranno una bozza con le
misure proposte sulla connettività dei veicoli, che potrebbe
trasformarsi in un documento non vincolante, cioè dipendente in
larga misura dalla volontà da parte dei singoli governi di
trasformarli in restrizioni effettive. Sulla questione c’è però
dibattito, perché le aziende europee hanno avvertito che le misure
adottate negli USA potrebbero avere effetti negativi al settore
automobilistico del Vecchio Continente, obbligando le case a trovare
nuovi fornitori. Inoltre i costruttori hanno paura di irritare
Pechino, in particolare i marchi tedeschi che sul mercato cinese
fondano una buona parte dei loro ricavi.
PROTEZIONE DEI DATI - Intanto un’altra norma europea sulla sicurezza
informativa ha già avuto un impatto in Europa: infatti a luglio è
entrata in vigore una normativa secondo la quale i produttori
europei devono implementare un sistema di gestione della sicurezza
informativa per proteggere i dati degli utenti. Secondo l’analista
automobilistico Matthias Schmidt, subito si sono viste le
conseguenze del provvedimento, che ha intaccato presto le vendite di
auto cinesi: per esempio, afferma Schmidt, la MG (di proprietà della
cinese SAIC) a luglio non ha immatricolato alcun veicolo. La stessa
norma ha avuto ripercussioni anche sui costruttori europei: il
ritiro dal mercato della Porsche Macan con il motore a combustione
sarebbe legato proprio all’impossibilità di soddisfare i nuovi
requisiti.
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Scuola
a pezzi
Elisa Forte
Sessantanove crolli in 12 mesi: nelle scuole italiane questo numero
non era stato mai raggiunto negli ultimi 7 anni. Il record di crolli
(quasi 6 al mese) è un dato dello scorso anno scolastico. Oltre ai
danni e all'interruzione delle lezioni, sono rimasti feriti (per
fortuna senza gravi conseguenze) 9 studenti, 3 docenti, 2
collaboratori scolastici, un'educatrice e 4 operai. A dare ascolto
al racconto dei numeri, nella scuola le cose da migliorare paiono
davvero essere molte di più rispetto a quelle che funzionano.
L'ultimo dettagliato Rapporto ImparareSicuri di Cittadinanzattiva
non ha solo messo a nudo le crepe dell'edilizia scolastica. Dati,
raffronti, grafici e schede compongono una mappa del cattivo stato
di salute degli istituti. La diagnostica degli edifici scolastici,
in Italia sono 40.133, restituisce un quadro sconcertante se si
analizzano l'agibilità (il 59,16% non ha il certificato),
l'antincendio (la prevenzione è carente nel 57,68% degli istituti) e
il collaudo statico (manca nel 41,5% dei casi). E sono ancora troppo
poche (solo l'11,4%) le scuole progettate secondo le norme
antisismiche.
Poi, «se c'è di mezzo l'edilizia di scorporo, la situazione
peggiora. Se gli edifici sono stati costruiti con materiali
scadenti, non solo la manutenzione diventa costosa, ma, a volte,
cercare le cause di alcuni problemi comporta tempi lunghi», spiega
il preside Giovanni Cogliandro. Basta vedere quel che è successo
all'Istituto che dirige, il Comprensivo Mozart di Roma, in Viale
Castelporziano, poco distante dalla tenuta del Presidente della
Repubblica. In alcune classi pioveva. «Per risalire alle origini
delle infiltrazioni – racconta Cogliandro – il Comune, finora sempre
pronto a intervenire, ha dovuto fare decine di interventi. Alla fine
è stato scoperto che la guaina dell'intera scuola era stata montata
al contrario». «Colpa dell'edilizia di scorporo – precisa –. Se i
controlli latitano si costruisce al risparmio e i guai sono nostri.
Così noi presidi per proteggerci da eventuali danni intasiamo le pec
delle istituzioni con continue segnalazioni. Siamo costretti a
comportarci come si fa nella medicina difensiva».
C'è ancora tanto da fare anche per abbattere le barriere
architettoniche. «In questo nuovo anno scolastico sono 331.124 gli
alunni con disabilità (4,68% dei 7.073.587 del totale studenti), in
aumento rispetto al precedente in cui erano 311.201. Solo il 40%
delle scuole risulta accessibile per chi ha disabilità motorie.
Situazione ancora più grave per gli alunni con disabilità
sensoriali: le segnalazioni visive ci sono nel 17% delle scuole
mentre i percorsi tattili sono presenti solo nell'1,2%», commenta
Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
I crolli record dell'ultimo anno sono stati 28 al Nord, 13 al Centro
e 28 al Sud. A La Spezia nella scuola media Fontana è rimasta ferita
una tredicenne per il crollo di intonaco nel bagno. Si stava lavando
le mani, quando un metro quadro di materiale si è staccato: ha
riportato escoriazioni alla fronte e al braccio. Un mese prima,
tragedia sfiorata a Chiavari: si è aperta una voragine di 12 metri
quadrati nel corridoio della scuola Della Torre. Fortunatamente
nessuno si è fatto male. Mancavano pochi giorni alla chiusura
dell'anno scolastico, era il 3 giugno scorso e a Venezia è crollato
il controsoffitto affrescato del '700 in un'aula del liceo Benedetto
Tommaseo. E un violento temporale ha fatto cedere il controsoffitto
alla Media di Cerro del Lambro in Lombardia.
A volte, fuori dalla scuola, se la manutenzione del verde non è una
priorità, si rischia di finire sotto un albero. A Rivalta, in
Piemonte, è venuto giù un cedro. Un grosso albero di pino si è
piegato davanti all'ingresso di una scuola ad Anzio. Mentre un altro
pino in Sardegna ha oltrepassato la recinzione della scuola e ha
abbattuto un palo dell'Enel. A Roma, il preside Cogliandro gioisce
perché «finalmente ha le facciate con l'intonaco nuovo» ma lotta
contro i parassiti degli eucalipti nel cortile. E nel Viale della
scuola stanno tramontando anche i pini marittimi, lascito dei
Savoia. «Sono altissimi e a volte cascano». La cura verde, dentro e
fuori la scuola, resta una chimera. «I bambini stanno perdendo ore
di studio, fanno dalle 8.30 alle 12.30, vanno a mensa e due ore dopo
escono. Da quasi un mese viene negato un diritto inalienabile».
Francesca Rizzi è la responsabile del comitato genitori della scuola
primaria Gino Capponi di Milano. Suo figlio frequenta la quinta
elementare in via Pestalozzi 13 e ancora non potrà fare lezione fino
alle 16.30.
La prima campanella è suonata da quasi quattro settimane ma il tempo
pieno stenta a partire in diverse scuole primarie milanesi, per il
ritardo con cui si stanno assegnando le cattedre. I genitori si sono
organizzati per pagare educatori che tengono i bambini a scuola fino
alle 16.30. Le 24 classi usciranno tutte alle 14.30 anche per questa
settimana» denuncia Francesca Rizzi. Le famiglie stanno pagando 50
euro a settimana per avere il servizio integrativo di WeMove, in
attesa del tempo pieno che non partirà almeno fino al 4 ottobre.
Alla Leonardo da Vinci fino a pochi giorni fa mancavano 5 cattedre.
«Per 13 giorni siamo dovuti ricorrere alla Cooperativa Bracco»
racconta Daniela Faggion, presidente dell'Associazione Amici della
Leonardo. Su 650 alunni, 300 famiglie hanno pagato 2,50 euro al
giorno. Non tutti hanno potuto aderire a causa della mancanza di
spazi. Sette aule sono inagibili per lavori che non riescono a
partire ma che hanno ridotto gli spazi.
«Abbiamo già iniziato le chiamate, due docenti arriveranno lunedì -
spiega il preside Antonio Re -. I tempi sono lunghi, quasi un mese,
tra il primo e il secondo turno di chiamata. In questo tempo non
abbiamo più potuto chiamare perché spettava all'Ufficio scolastico».
Alla base delle assegnazioni ci sono i bollettini pubblicati dagli
uffici scolastici regionali, il primo a fine agosto, il secondo a
fine settembre. «Con il secondo bollettino, i posti non coperti sono
stati restituiti alle scuole che ora devono fare la ricerca del
candidato - spiega Massimiliano Sambruna, segretario Cisl Scuola
Milano Lombardia -. Non è funzionale non lasciare l'autonomia alle
scuole di poter usare le proprie graduatorie di istituto dopo il
primo bollettino. La singola scuola così si prenderebbe in carico la
rinuncia e nominerebbe dalle proprie graduatorie di istituto». Il
secondo bollettino è stato pubblicato il 26 settembre e le nomine
dovrebbero arrivare questa settimana. A Milano, con 325 istituzioni
scolastiche, di cui 180 istituti comprensivi per il 95% a tempo
pieno, c'è anche un tasso di rinuncia della nomina del 40%.
«Basterebbe dire nell'ordinanza ministeriale che dopo il primo
bollettino spetta alle scuole e già si ridurrebbero i tempi»
conclude il segretario.
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Nel giacimento di Bayan Obo, vicino alla Mongolia, si sviluppano
oltre 15 materie prime critiche per superconduttori, laser, magneti
e fibre ottiche
Alla Cina lo scettro delle terre rare Ha la metà della produzione
mondiale
Lorenzo Lamperti
«Il Medio Oriente ha il petrolio, noi abbiamo le terre rare». È il
1987, Deng Xiaoping è in viaggio nella Mongolia interna, estremo
nord della Cina. Il piccolo timoniere visita Bayan Obo,
letteralmente «città del cervo». Già allora, quei terreni erano
dominio esclusivo di minerali critici oggi alla base dello sviluppo
di dispositivi tecnologici utili alla transizione energetica. Deng
intuisce che coltivare quelle terre rare, in un'era in cui la Cina
«nasconde la sua forza», può garantire un vantaggio strategico.
Oggi, Bayan Obo ospita il più grande giacimento di terre rare del
mondo ed è responsabile di circa il 50% della produzione globale.
Numeri mostruosi. Neodimio, lantanio, terbio e altri 14 elementi
diventati cruciali per la realizzazione di superconduttori, magneti,
laser, fibre ottiche. E soprattutto di veicoli elettrici, pilastro
delle «nuove forze produttive», il mantra dello sviluppo voluto da
Xi Jinping. D'altronde, attualmente Pechino produce circa il 60% dei
metalli delle terre rare del mondo e circa il 90% delle terre rare
raffinate presenti sul mercato. Un tempo non era così. Tra il 1965 e
il 1995, era la californiana Mountain Pass ad avere la leadership,
prima che la concorrenza dei fornitori cinesi coi loro prezzi al
ribasso la costringesse persino a chiudere per qualche anno.
La Cina non è l'unico Paese a possedere te | |