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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento sia andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018).

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

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Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

     

     

     

     

     

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

Tweet to @marcobava

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

SE VUOI COMPERARE IL LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email all'editore (info@edizionikoine.it)  indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per contrassegno che pagherai alla consegna. 
NON DIMENTICARE CHE:

Le informazioni contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.

Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.


MARCO BAVA

 

 

  ENRICO CUCCIA ----------MARCO BAVA

 

SITI SOCIETARI

 

Ø     http://www.aedesgroup.com

Ø     http://www.bancaprofilo.it

Ø     http://www.ngpspa.com

Ø     http://www.centralelatte.torino.it

Ø     http://www.a2a.eu

Ø     https://www.enelgreenpower.com

Ø     http://www.gabettigroup.com

Ø     http://www.mef.it/it/index.html montefibre

Ø     http://www.gruppozucchi.com

M&C SITO :  http://www.mecinv.com/

 

 

La ringraziamo sinceramente per il Suo  interesse nei confronti di una produzione duramente colpita dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini di stagionatura. Il  sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e poi trasferito in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito http://emergenze.coldiretti.it tutte le informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori di Campagna Amica.

 

Cordiali saluti.

Ufficio relazioni esterne Coldiretti

 

 

www.taxjustice.net ; www.fanpage.it

www.ecobiocontrol.bio

www.andreagiacobino.com

 

 

http://www.matrasport.dk/Cars/Avantime/avantime-index.html

 

 

Auto e Moto d’Epoca 2013

 

- Nuovo sistema tutela auto e moto d'epoca;
- 
Veicoli d'interesse storico, la fiscalità e il redditometro;
- 
Norme per la circolazione dei veicoli storici;
- 
Veicoli d'interesse storico e collezionistico: circolazione e fiscalità 

 

 

 

http://delittodiusura.blogspot.it/2011/12/rete-antiusura-onlus.html

http://www.vitalowcost.it

http://www.terzasettimana.org

 www.attactorino.org SITO SOCIALE TORINESE

 

 

 

 http://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

 

http://www.avvocatitelematici.to.it/

 

http://www.uibm.gov.it/

 

http://www.obiettivonews.it/

 

http://www.penalecontemporaneo.it

 

http://controsservatoriovalsusa.org/

 

http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/price-sensitive/home.html?lang=it

 

http://www.societaquotate.com/

 

 

 

http://smarthyworld.com/renault.html

http://www.turbo.fr/renault/renault-avantime/photos-auto/

http://avantimeitalia.forumattivo.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/PSA_ES_e_Renault_L7X

http://www.avantime-club.eu/

http://www.centropestelli.it/  scuola di giornalismo torinese

www.foia.it x la trasparenza

http://www.lingottoierieoggi.com la storia del lingotto

www.ipetitions.com PETIZIONI

http://www.casa.governo.it GUIDA AGEVOLAZIONI CASA

http://www.comune.torino.it/ambiente/bm~doc/report-siti-procedimenti-di-bonifica_informambiente.pdf AREE EX SITI INDUSTRIALI TORINESI DA BONIFICARE

 

 

 

 

 

ULTIMO AGGIORNAMENTO 31/05/2023 01.50.51

 

 

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LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

 https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pgSdXDIwzmDgGSLkE

 

COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI

Libro Mb

LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

TESI SEN AGNELLI

 

VEDETE  COME LAVORA UIBM

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

30.05.23
  1. Ladri
    di bambini
    A Mosca si sta scrivendo un nuovo testo scolastico di Storia in cui l'invasione dell'Ucraina viene descritta come una necessaria guerra di difesa, unica soluzione all'aggressione dell'Occidente, che starebbe usando l'Ucraina come un «pugno» per colpire la Russia e come «punto d'appoggio per un attacco della Nato contro la Russia». Insomma, la guerra su vasta scala non poteva essere evitata. Il testo, che entrerà in classe a settembre, ribadisce la linea del Cremlino secondo cui l'obiettivo sarebbe quello di «demilitarizzare e denazificare» l'Ucraina e si conclude con una frase di Viaceslav Molotov riesumata dai tempi di Urss e nazisti: «La nostra causa è giusta! Il nemico sarà sconfitto! La vittoria sarà nostra!».
    E fin qui, nessuna sorpresa. La notizia diffusa da Meduza non fa che aggiungere dettagli alla riscrittura della Storia di Mosca, ma assume contorni diversi se si pensa che a leggere quelle righe saranno 16 mila bambini ucraini, figli di quei «nazisti» che la Russia vuole eliminare dalla faccia della terra.
    Dall'inizio dell'invasione russa sono in totale 16.226 i bambini ucraini deportati in Russia. Di questi, solo 300 sono stati riportati alle loro famiglie o comunque in patria, mentre in totale quelli che sono stati «localizzati» sul territorio della Federazione sono 10.513. Degli altri cinquemila che mancano all'appello non si sa più nulla. Si sa, invece, come raccontato dal Guardian, che alcune famiglie russe hanno tentato di nascondere bambini ucraini per non perdere i sussidi garantiti per l'affido. Ci sono stati casi, racconta il giornale britannico, in cui i genitori sono stati convinti da parenti e amici russi ad affidargli temporaneamente i propri figli per salvarli dai bombardamenti. Svitlana, mamma di Kherson, ha rintracciato sua figlia dopo mesi, era finita in un villaggio nella Russia profonda, in un «centro di riabilitazione».
    Basta consultare le pagine web delle associazioni ucraine che stanno cercando i bambini deportati per capire che una grande parte dei piccoli scomparsi dai radar abitavano a Mariupol e nei territori occupati. L'assedio più feroce della guerra e la cortina di silenzio caduta dopo l'occupazione ha garantito un ampio margine di manovra. Contrariamente a quanto immaginato, a sparire oltreconfine non sono stati solo gli orfani e bambini non accompagnati, ma anche allievi di collegi e bambini separati dalle famiglie a causa dei bombardamenti. In alcuni casi tratta di piccoli che si trovavano in zone occupate mentre il resto della loro famiglia si trovava in zone controllate dagli ucraini, o figli di genitori imprigionati dopo essere stati separati nei campi di filtraggio o i cui genitori sono stati uccisi, in particolare durante l'assedio di Mariupol. Ci sono nonni che da mesi cercano i loro nipotini, volatilizzati assieme ai genitori.
    Alcuni bambini sono spariti da oltre un anno, come Vlad Hristosenko, 7 anni, scomparso il 25 febbraio nel villaggio occupato di Petropavlivka, oblast di Lugansk, o Yaroslav Sytnyk, 3 anni, scomparso a Mariupol il 21 maggio 2022. Di alcuni si hanno tracce grazie alla spudoratezza russa, che li ha usati come bandiera della propaganda. Uno dei casi più eclatanti lo scorso febbraio: al culmine dello sfarzo a Mosca per celebrare il primo anniversario dell'inizio della guerra, il Cremlino ha mostrato alle tv di Stato i bambini «salvati» da Mariupol, in modo che potessero "ringraziare" gli invasori. Una delle protagoniste di questa orgia di patriottismo è stata Anna Naumenko, quindicenne dai capelli neri, che è stata spinta sul palco dello stadio Luzhniki di Mosca per ringraziare un soldato soprannominato "Yuri Gagarin": «Grazie zio Yura per aver salvato me, mia sorella e centinaia di migliaia di bambini a Mariupol». La mamma di Anna, Olga Naumenko, era morta per le schegge di un a bomba russa.
    Per Anna, e per gli altri 16.225 bambini, la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso un mandato di cattura contro il presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti dei bambini, Maria Lvova-Belova, con l'accusa di crimini di guerra per aver deportato illegalmente bambini ucraini in Russia. —
  2. "Sleale l'attacco ai giudici contabili il consenso non esenta dai controlli"
    «La polemica con la Corte dei conti non è un fatto isolato, ma solo l'ultimo di numerosi sintomi di un progressivo allontanamento dal principio di legalità. Il ritorno a un governo politico viene inteso come diritto a svincolarsi da ogni tipo di controllo. La rivincita astiosa di una politica che si pensa senza lacci e lacciuoli è una preoccupante caduta culturale», dice Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale all'università La Sapienza.
    A quali sintomi si riferisce?
    «L'Anac e l'ufficio parlamentare di bilancio messi al bando. Ogni rilievo tecnico, giusto o sbagliato che sia, liquidato con supponenza».
    Come valuta le rimostranze della Corte dei conti?
    «La Corte, come il Consiglio di Stato, è rubricata nella Costituzione tra gli organi ausiliari del governo. La Carta demanda alla legge di assicurarne l'indipendenza. È chiaro che un controllo sulle spese va fatto da un organo terzo rispetto a chi ha la responsabilità della spesa».
    La Corte ha esondato?
    «Non mi pare. Ha mosso rilievi su un fatto politicamente acclarato e contabilmente delicato: i ritardi sul Pnrr. Dunque questa ostilità è incomprensibile, nell'ottica della leale collaborazione».
    Un principio che non è scritto nella Carta.
    «Ma è stato elaborato dalla Corte costituzionale, come bussola dei rapporti tra istituzioni. Qui mi pare si vada nella direzione opposta, verso la sleale contrapposizione».
    Qual è l'effetto?
    «La chiusura dei singoli poteri in sé stessi».
    Di tutti i poteri?
    «In realtà, paradossalmente, gli organi di garanzia si aprono e cercano leale collaborazione; quelli politici, da molto tempo, la rifiutano. Un esempio è dato dal fatto che il Parlamento non ha risposto - o nell'ultimo caso, ha risposto tardivamente e malamente - alle tre sollecitazioni della Corte Costituzionale su fine vita, carcere per diffamazione ed ergastolo ostativo».
    Questioni che risalgono a periodi precedenti.
    «Le prime due sì. A dimostrazione che questo governo porta solo all'estremo i difetti preesistenti, aggiungendo in più, però, una pretesa rivendicativa di legittimità. Mentre gli altri almeno se ne vergognavano, o comunque non li ostentavano».
    Qual è la differenza?
    «Un preoccupante presupposto ideologico: noi eletti rispondiamo solo al popolo, non a controllori o garanti».
    Compreso il Quirinale?
    «Sì, come dimostra l'ultimo richiamo ai presidenti delle Camere sui decreti legge, dopo precedenti inascoltati».
    Non è il primo governo ad abusarne.
    «La patologia è antica, ma la volontà di alterazione di questo governo è inedita. Non solo per l'aspetto quantitativo – un decreto a settimana – ma anche per le forzature nel contenuto su materie disomogenee ed estranee a quelle originarie. In violazione della stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale».
    Il richiamo del capo dello Stato sortirà effetti?
    «Questi vizi sono facili a prendersi, difficili a perdersi».
    Va ripensato lo spoils system?
    «Ha senso per ruoli di stretta collaborazione fiduciaria del governo. Quando si allarga coinvolgendo tutti gli enti sino alla televisione pubblica, diventa un'altra cosa».
    L'anno prossimo la Corte Costituzionale cambierà segno, con 6 nuovi giudici, di cui 4 decisi dal Parlamento. Rientra in questo discorso?
    «Sarà un banco di prova decisivo. Se prevalesse questa mentalità di occupazione delle istituzioni, sarebbe una rottura costituzionale. Non ci si può appropriare degli organi di garanzia».
    Le regole non bastano?
    «Alla logica di scelte condivise dei giudici risponde la previsione di maggioranze qualificate. Quando però sono state introdotti premi e sistemi maggioritari si è alterato l'equilibrio. Ora è più facile imporre l' appropriazione».
    È un rischio attuale?
    «Auspico che non avvenga. Sarebbe una cesura rispetto alla tradizione di una Corte che deve rimanere estranea al controllo della maggioranza parlamentare. La avvicinerebbe a democrazie illiberali come Ungheria e Polonia. Persino negli Usa la Corte suprema, quando c'è un forte sbilanciamento politico, perde autorevolezza e produce sentenze divisive al limite della crisi costituzionale».
    Questo discorso vale anche per il presidenzialismo?
    «Noi siamo molto bravi a copiare i modelli quando questi sono in crisi. Vale soprattutto per il presidenzialismo. Che vogliamo importare con grave ritardo, e proprio mentre anche i modello ritenuti migliori, quelli americano e francese, mostrano segni di profonda crisi. Per non parlare di quello dell'elezione diretta del capo del governo, durato in Israele lo spazio di un mattino».
    Il premierato, o sindaco d'Italia, è un compromesso?
    «A me pare la soluzione più ipocrita. È uno slogan, come se governare uno Stato equivalga ad amministrare un Comune. E poi si giustifica con la tutela e conservazione della figura di garanzia del capo dello Stato».
    Non le pare un'esigenza condivisa?
    «Messa così o è una truffa o è frutto di insipienza. Se al capo dello Stato sottrai i due poteri principali – scelta del presidente del Consiglio e scioglimento delle Camere – lo riduci a un simulacro di sé stesso. Per giunta eletto da un Parlamento senza più autorevolezza, a fronte di un premier investito dal popolo. Un fragile vaso di coccio al cospetto di un vaso di ferro».
    Intervenire sulla Corte dei Conti con decreto sarebbe un problema?
    «Con un decreto legge sarebbe più che un problema, un'insensatezza. Si tratterebbe solo di un decreto usato strumentalmente per regolare i conti, e mi scuso per il gioco di parole».
  3. Erdogan voglia di vendetta
    Davanti al caffè Osman saranno una ventina, tutti uomini fra i trenta e i sessanta, le camicie a quadretti, le facce grigie come i vetri impolverati del locale, davanti ai tavolini con le scacchiere del taule, il backgammon mediorientale, o il rosario in mano e un bicchierino del tè, cupo come i loro sguardi. Alle propaggini occidentali di Fatih, ai piedi delle colossali mura romane, con incastonate le rovine del palazzo dei Porfirogeniti, l'ultima dinastia bizantina, l'aria è dimessa, come se il padrone di casa in questo quartiere conservatore, Recep Tayyip Erdogan, non avesse vinto. La sezione dell'Akp è ancora chiusa, il manifesto con lo slogan "l'uomo giusto, il momento giusto", mezzo scollato. Il fiume di turisti che invade e tiene in vita Istanbul qui sgocciola appena. Murat, 34 anni, barba nera tagliata a spazzola, ha provato a intercettarne qualcuno con un piccolo locale, dieci seggiole in tutto, sotto antiche arcate in mattoni. Mostra la vota con la moglie velata e i due figli di otto e dieci anni e attacca una lunga tirata contro i rifugiati siriani, causa di tutti i mali. Nella classe del più grande, spiega, "ora sono in quaranta, quindici arabi, che non parlano turco, è una bolgia, non si può andare avanti così". Ha sempre votato per l'Akp ed Erdogan ma questa volta non è andato ai seggi: "La politica ci ha rovinati, la lira non vale più niente, una volta che ho pagato l'elettricità e la benzina, a fine mese non mi resta nulla dell'incasso, che devo fare, me ne andrò in Canada come tanti miei amici".
    Il risveglio nel "secolo della Turchia", come l'ha definito il capo nella notte dopo la vittoria, sembra quello dopo una sbornia finita male. La prima brutta sorpresa, per milioni di piccoli imprenditori che sono nati e cresciuti nell'era Erdogan, è stato il crollo della valuta, che ha toccato i nuovi minimi storici nei confronti dell'euro, a quasi 23. La Borsa è andata su, ma non è un buon segno, perché sconta il fatto che sono in arrivo nuovi tagli ai tassi d'interesse per la strana idea di politica economica del leader turco, che ha imposto la riduzione del costo del denaro mentre l'inflazione galoppa all'85 per cento annuo, seconda sola a quella del Libano. Erdogan, davanti alla folla che lo osannava, ha sorvolato su questi aspetti spiccioli, per concentrarsi sui "sogni" della nazione, i grandi progetti in patria e alle frontiere. Ma sa molto bene che presto lui e il suo popolo dovranno fare i conti con la realtà. L'erosione del potere d'acquisto è troppo violenta, i dubbi fiaccano anche la sua base più fedele, e allora rilancia, devia la rabbia e le angosce, promette il pugno di ferro contro i curdi mentre i militanti cantano "pena di morte per Demirtas", il leader dell'Hdp imprigionato dopo la tremenda repressione del 2016, annuncia che manderà via "un milione di siriani", su base volontaria, certo, ma intanto ribalta la sua politica di accoglienza e strizza l'occhio agli ultranazionalisti.
    Ha una spina nel fianco destro. A partire dall'inaspettato consenso per Sinan Ogan, sovranista odiatore degli immigrati, che è dilagato persino nelle roccaforti dell'Akp come Fatih. In Parlamento, per quanto depauperato di potere dalla riforma presidenzialista, deve appoggiarsi sull'Mhp dei "lupi grigi", che i curdi li sterminerebbero e gli "arabi" li picchiano in raid sempre più frequenti. In quelle frasi rabbiose arrivate dopo le prime reazioni da padre della patria, di vittoria di "tutti gli 85 milioni di turchi", spiegano questo disagio, oltre il calcolo politico, cinico come al solito. Fra un anno ci saranno le amministrative, il Chp già controlla Istanbul, Ankara, Smirne, l'Akp rischia la disfatta. Il fronte dei sindaci, Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas, è rimasto compatto attorno al candidato Kemal Kilicdaroglu, nonostante la frattura interna al partito, e ancora ci crede, lo stesso Kilicdaroglu ha evitato di ammettere la sconfitta e si è detto "triste per la situazione economica", con il peggio che "deve ancora venire". Come dire, "non è finita", e quel 48 per cento, conquistato con tutte le tivù e gli apparati dello Stato schierati contro, è comunque un risultato che fa sperare.
    Erdogan ha usato tutti i poteri, tutte le epurazioni dell'ultimo decennio, per ritagliarsi un posto nella Storia. Ma sente il vento girare, anche sul piano internazionale. Ha ricevuto le congratulazioni della Casa Bianca e del Cremlino, di leader asiatici ed europei, è vero, ma intanto Mosca minaccia di uscire dall'accordo sul grano, indispensabile per mantenere a livelli accettabili il prezzo del pane e dell'amata pide, la focaccia turca. In Medio Oriente ha assistito alla riabilitazione del suo nemico giurato Bashar al-Assad, che aveva promesso di abbattere per "andare a pregare alla moschea degli Omayyadi" a Damasco. Ora, se davvero vuole rispedire a casa i siriani, dovrà scendere a patti con l'odiato raiss, e forse, addirittura, ritirare le sue truppe dai territori occupati fra il 2016 e il 2019, abbandonare al loro destino gli alleati jihadisti usati per fare il lavoro sporco contro i curdi.
    Non sono belle prospettive. L'idea grandiosa di tornare il ponte indispensabile tra Oriente e Occidente si scontra con i limiti dell'economia, delle capacità industriali. Le sanzioni Usa pesano, il ministro dell'Interno Süleyman Soylu, campione sovranista dell'Akp, minaccia di "cacciare" i soldati statunitensi, colpevoli di proteggere i curdi, cavalca l'antiamericanismo, mai sopito ma alla fine impotente, perché tutti sanno che fuori dalla Nato il ruolo della Turchia sarebbe a dir poco dimezzato. La sbornia della retorica non è finita, Erdogan celebra su Twitter la "conquista di Costantinopoli", il 29 maggio di 570 anni fa. Era previsto un grande comizio, prima della preghiera a Santa Sofia, ma poi i piani sono cambiati. La realtà incombe, i sogni imperiali hanno bisogno di soldi, il consenso di pane e lavoro. Anche il Sultano che ha dominato il primo quarto del "secolo della Turchia" deve farci i conti. —
  4. Metodo Erdogan : Gli stranieri chiedono: "Come è possibile? Perché ha vinto di nuovo?". Io rispondo dicendo tre cose, in questo ordine: primo, le cifre non sono del tutto affidabili a causa dei brogli elettorali. Secondo, la competizione elettorale non è stata equa: noi ci siamo battuti contro uno stato-partito. Terzo, avete voglia di ascoltare la versione lunga dei fatti? Se è così, ecco qui.
    Erdogan, più di ogni altra cosa, ha insegnato alla Turchia che il fascismo non è soltanto opera di cattivi che sconfiggono i buoni e li sostituiscono dalla sera alla mattina. Si tratta, invece, di un tracollo morale esasperatamente lento, di un processo politico in technicolor che fa a pezzi l'intera società. Tutto incomincia come qualsiasi schema a piramide. All'inizio troppe persone credono con troppo entusiasmo in qualcosa di losco. Poi subentra l'enorme tempesta dell'"Everything, Everywhere, Happening all at Once" che, secondo una battuta molto popolare in Turchia, sembra quasi una prova di resistenza su vasta scala gestita da alieni malvagi. Poi, nel gran finale, dopo vent'anni di incredibile indebolimento, il Paese deve scegliere tra perdere tutto oppure ricostruire a partire da zero, sia dal punto di vista politico sia da quello morale, tutto ciò che è andato distrutto. Nel XXI secolo il fascismo, ci ha insegnato Erdogan, è ancora una questione di sfacciataggine, di crudeltà organizzata e di condiscendenza. E inizia sempre con promesse impossibili.
    Ventuno anni fa, Erdogan era un conducente di tram che prometteva a tutti di portarli a destinazione, addirittura in direzione opposte. Aveva una causa. La causa rimase abbastanza vaga da attirare chiunque. Ed è così che i poveri delle città, gli imprenditori conservatori dell'Anatolia centrale, le sette islamiche, l'élite liberale di Istanbul, gli ex sinistrorsi e i centristi elessero i loro rappresentanti. A non molti piaceva che fossero ricordate loro le parole pronunciate da Erdogan prima di arrivare al potere nel 1996: "La democrazia per noi è un tram. Scenderemo quando saremo arrivati dove vogliamo arrivare". Il tram è andato troppo veloce, quelli che hanno deciso di scendere sono stati investiti, e già troppe persone si sono lasciate suggestionare fin dal primo giorno.
    Erdogan ha instaurato un rapporto emotivo indissolubile con la sua base prima di salire al potere. Ed è stato anche maledettamente fortunato. Subito dopo l'11 settembre, quando l'Occidente aveva bisogno di un leader esemplare nel mondo musulmano, gli fu facile cavalcare l'onda e incarnare agli occhi di tutta la comunità internazionale il connubio perfetto tra Islam e democrazia. In Turchia, grazie al predominio nel dibattito politico di valenti addetti alle relazioni pubbliche del partito, è riuscito ad assimilarsi alla democrazia. Se siete contro Erdogan, siete contro la democrazia. Il culto della sua persona, così efficacemente costruito da lui stesso, è rimasto inviolabile grazie al fiorire dell'economia. Non molti erano disposti ad ammettere che, di fatto, Erdogan stava trasformando il contratto sociale dietro le quinte, con la sottomissione a chi governa in cambio di benessere economico. Eppure, nel 2007, quando ha vinto ed è stato eletto per la seconda volta, nel discorso per la proclamazione della sua vittoria qualcosa ha timidamente segnalato un cambiamento: "Quelli che non hanno votato per noi sono gli altri colori di questo Paese". Da allora, alcuni di noi non sono stati più cittadini alla pari, ma un abbellimento del Paese. In un primo momento sono stati quelli sacrificabili poi, con il passare del tempo, sono diventati quelli da disapprovare.
    Con sufficiente sostegno politico, nel secondo mandato sono occorsi a Erdogan soltanto tre anni per trasformare il regime a suo piacere. La democrazia parlamentare è stata soppiantata da un sistema presidenziale con minimo controllo mentre l'apparato statale, compreso il ramo giudiziario, è diventato un arto artificiale del presidente. Il tutto è avvenuto con due referendum soltanto. L'epurazione tra le forze armate, i media e gli opinion leader laici ha segnato il suo secondo mandato. Un'enorme struttura carceraria, Silibri, è stata realizzata con tanto di tribunale interno per stare al passo con le sentenze sfornate a getto continuo. Il suo stile mafioso sempre più spiccato in politica, il crescente nepotismo al governo, l'inizio della corruzione assoluta del suo potere assoluto erano ignoti ai suoi sostenitori, perché Erdogan è riuscito a mettere a tacere tutti i media più importanti con indagini tributarie e mandando in carcere i giornalisti. Oltre a esercitare il controllo su quasi il 90% della stampa, nel 2012 la macchina della propaganda del partito ormai lavorava a pieno regime anche sui social media di recente diffusione, e gettava fango su qualsiasi personaggio politico che esprimeva critiche contro Erdogan. Quell'anno a mio nome c'erano molti account porno, molti dei quali creati per far credere che io fossi una concubina in un palazzo di uno sceicco saudita, se non una spia al soldo di britannici, tedeschi e iraniani, tutti contemporaneamente.
    Le crescenti tensioni politiche esplosero nel 2013, durante le proteste per il Parco di Gezi, e dilagarono nel Paese per tutta l'estate. Milioni di persone tennero testa alla sua oppressione. La reazione fu spietata. L'insaziabile brama di potere di Erdogan e il suo disfacimento morale si manifestarono in due incidenti sanguinosi: quando impartì l'ordine alla polizia di aprire il fuoco e quando fece scendere in piazza i suoi sostenitori. Il tutto si concluse con dodici morti. Una delle vittime, il diciassettenne Ali Ismail Korkmaz, fu picchiato a morte da alcuni commercianti, fedelissimi di Erdogan. Il quattordicenne Berkin Elvan, investito da una lattina di gas lacrimogeno, morì dopo mesi di coma. Quel giorno, il presidente invitò i suoi sostenitori presenti a un comizio a fischiare i genitori del ragazzo, accusati di essere terroristi. Paralizzati dalla sua sfrontatezza, i presenti rimasero frastornati quando, per sbaglio, si udirono dall'altoparlante le parole di una sostenitrice del presidente che diceva: "Io sono i peli sul culo di Erdogan!". Molti commentarono dicendo: "Stiamo combattendo contro gli orchi".
    La malvagità sconvolgente di cui Erdogan ha prova dopo il 2013 è penetrata giù, fino alla sua base, e i suoi tirapiedi hanno assunto il controllo della vita sociale al punto che quando i femminicidi sono aumentati in modo esagerato gli assassini hanno potuto restare pressoché sicuri di rimanere impuniti: bastava gridare a voce abbastanza alta "lunga vita a Erdogan!". Nelle cause di divorzio, il coniuge che accusava l'altro di aver denigrato Erdogan aveva la meglio. Nel 2014, quando ha messo piede nel suo nuovo gigantesco palazzo abusivo, si è visto che godeva di un alto livello di immunità. In otto anni della sua presidenza sono state intentate quasi duecentomila cause per diffamazione del presidente, 305 delle quali a carico di bambini.
    Erdogan ha vinto le elezioni del 2014 e 2018 con la politica della paura, con brogli elettorali su vasta scala, con l'oppressione vera e propria. Malgrado ciò, è stata perlopiù la rete dei rapporti economici politici a tenerlo saldamente al potere, come pure la rete della sicurezza che ha tessuto così bene a suo favore. Nel mezzo, poi, c'è stato lo strano colpo di Stato del 2016. Il colpevole è stato indicato nel movimento di Fethullah Gülen, suo ex alleato politico, a cui aveva assegnato i ministeri delle forze armate, dell'istruzione e della giustizia. Ma costoro non sono stati gli unici a essere puniti.
    Essendo un animale politico spietato, capace di trasformare ogni crisi in un'opportunità di convenienza politica per tutta la durata della sua carriera, Erdogan si è sbarazzato di ogni avversario e critico possibile, facendo del tentato colpo di Stato la sua arma assoluta. Nella notte del tentato golpe, per ordine diretto di Erdogan i minareti hanno intonato la "sela", la preghiera dei morti, e hanno continuato a suonarla fino al mattino. Alcuni, me compresa, hanno ricordato i versi della poesia che fece di Erdogan prima un martire politico e poi, nel 1997, l'eroe delle masse: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette…" Quello era il capolinea. A molti, come me, non è rimasta altra scelta se non quella di partire.
    La Turchia ha assistito così alla sua fuga di cervelli più significativa. In tre anni hanno lasciato il Paese quasi quattrocentomila persone, perlopiù medici, accademici e ingegneri. Nel 2021, Erdogan è stato libero di equipararsi allo Stato e al partito dicendo: "Il destino del Paese è diventato tutt'uno con quello del partito. Chi non ama il partito non ama la Turchia". In ogni caso, il partito era spossato dalla lunga permanenza al potere e ha dovuto affrontare la crisi economica più grave della Storia turca, mentre l'opposizione radunava tutte le sue forze per dire "adesso basta". Lo abbiamo fatto due volte, alle elezioni del 14 maggio e al ballottaggio del 28. L'esito, però, è chiaro. Metà delle esortazioni del Paese a salvare le donne e i bambini dagli islamisti radicali, a liberare il Paese dal regime di un solo uomo e a invertire la fuga dei cervelli dalla Turchia è rimasta vana. Quasi il 52% degli abitanti del Paese – compresi siriani, qatarini e sauditi ai quali Erdogan ha dato la cittadinanza – hanno votato a favore del leader autoritario. Dalla sera delle elezioni l'altra metà della popolazione è lacerata dalla sensazione di aver perso il Paese per sempre e dal desiderio di raccogliere le forze per tenere testa alla situazione e combattere contro le tenebre. Tutti, però, sanno dalla storia di Erdogan che, se si arriverà a tanto, sarà un lungo inferno.

 

29.05.23
  1. LA CORTE DEI CONTI NON SI DEVE TOCCARE :  Per il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini il futuro Ponte sullo Stretto di Messina deve essere fatto, e nonostante i molti dubbi che circolano, e che riguardano il costo per lo Stato, l'impatto ambientale, il rischio sismico e altri aspetti, al leader della Lega la realizzazione sembra farsi più vicina: «I primi fondi per finanziare la costruzione arriveranno nella legge di Bilancio del prossimo inverno» ha detto ieri Salvini al Festival dell'Economia di Trento, provando anche a rassicurare: «I 13,5 miliardi di euro di cui si è parlato sono la cifra ipotizzata massima di spesa, ma conto che si possa arrivare a un minore costo». Questo benché un'esperienza pluridecennale dica il contrario: in Italia la spesa per le opere pubbliche è sempre superiore al previsto, e di solito largamente superiore.
    Sull'opportunità di realizzare il Ponte, ieri Salvini ha trovato sostegno da parte del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, sia pure nell'ambito di un discorso articolato («siamo favorevoli, ma non può essere una sola infrastruttura, deve inserirsi in un piano delle infrastrutture molto ampio. E sulle risorse spetta al governo trovarle», ha detto Bonomi).
    Sempre allacciandosi alla questione del Ponte, Salvini ha riacceso anche il dibattito sulle riforme istituzionali, citando in particolare la questione dell'Autonomia rafforzata e differenziata fra le Regioni, che i detrattori temono possano ampliare i divari di ricchezza fra i territori: il leader della Lega ha detto che «i critici dell'Autonomia sono come quelli del Ponte, non sanno di che cosa stanno parlando. L'autonomia non toglie un euro a nessuno ma incita a spendere meno e spendere meglio». E nel solco della tradizione della Lega, sempre attenta a sostenere le identità dei territori, Salvini ha perorato anche la necessità di ripristinare le Province. Prendendo spunto da quanto avvenuto in Emilia Romagna nelle settimane scorse, ha detto che l'ente Provincia «deve tornare a esistere, con tutti gli onori e oneri, con rappresentanti eletti da tutti i cittadini, perché nelle condizioni in cui sono adesso le Province non sono in grado di poter far fronte alle esigenze».
    Comunque il leader della Lega è prudente sulla questione più generale delle riforme. Ha detto infatti che «quando si tratta di mettere mano alla Costituzione c'è da andare cauti», e in particolare «non toccherei il ruolo del Presidente della Repubblica». Le priorità, ha detto, sono altre: «Bisogna garantire la stabilità dei governi e il rispetto del voto dei cittadini nelle urne. Abbiamo avviato un'interlocuzione con le forze di opposizione per capire su quale modello, e ce ne sono tanti, possa essere raggiunta la più ampia convergenza. È ancora presto per dire quale sarà la proposta che formalizzerà il governo»
  2. IL PONTE SULLO STRETTO ANNEGA IL CUNEO FISCALE : Allarme da Confesercenti: «Il tasso di inflazione rimarrà sopra il 2% fino al 2025, erodendo la capacità di spesa delle famiglie, frenando la ripresa dei consumi e depotenziando gli effetti positivi del previsto alleggerimento fiscale»; secondo l'associazione dei commercianti, «l'inflazione rischia di bruciare in tre anni 10 miliardi di euro di potere d'acquisto delle famiglie».
    La stessa Confesercenti avverte che «un assaggio lo si sta avendo con il taglio del cuneo fiscale predisposto dal governo, che in parte sarà eroso proprio dal fisco. Bisogna rivedere la struttura delle aliquote per annullare gli effetti negativi del fiscal drag, o si rischia di depotenziare l'impulso che la riforma fiscale in preparazione potrebbe produrre sulla capacità di spesa delle famiglie».
    Confesercenti stima «un tasso di aumento dell'indice dei prezzi del 5,7% nell'anno corrente, del 3,8% nel 2024 e del 2,8% nel 2025. Solo nel 2026 si dovrebbe assestare sul 2%» che è l'obiettivo di stabilità dei prezzi fissato dalla Bce.
    Tale scenario avrà conseguenze importanti sul potere d'acquisto delle famiglie: considerando anche la perdita già maturata nel 2022, la compressione subita dalla capacità di spesa degli italiani ammonterebbe, nella media 2022-2025, al 16% del reddito disponibile. Invece nel quadriennio 2016-2019, l'erosione di potere d'acquisto provocata dall'inflazione era stata in media dell'1,5%.
    L'associazione si preoccupa anche perché l'impatto dell'inflazione sul potere di acquisto «incide sulla crescita dei consumi». L'impatto inflazionistico «sta inoltre rallentando il recupero dei livelli di consumo pre-pandemici».

 

 

 

 

28.05.23
  1. XI-PUTIN :  Cessate il fuoco e soluzione politica che tenga in considerazione sovranità e integrità territoriale, ma anche le «legittime preoccupazioni sicurezza di tutte le parti». La posizione ufficiale della Cina sulla guerra in Ucraina è sempre stata questa. Con due implicite conseguenze. Il congelamento del conflitto e, dunque, il mantenimento da parte di Mosca dei territori annessi. Due conseguenze diventate meno implicite durante il viaggio tra Ucraina, Europa e Russia dell'inviato speciale Li Hui, che ieri ha incontrato Sergej Lavrov a Mosca. Secondo il Wall Street Journal (ripreso con entusiasmo dalle agenzie di stampa russe), il diplomatico cinese avrebbe sollecitato agli interlocutori europei una tregua immediata, destinata appunto a lasciare al Cremlino il possesso delle regioni occupate. Una ricostruzione di funzionari citati anonimamente e, per ora, non dichiarazioni ufficiali di Li. Immediata la reazione dell'Ucraina: «Qualsiasi scenario di compromesso che non preveda la liberazione di tutti i territori dell'Ucraina, di cui periodicamente parlano fonti anonime nelle élite europee e americane, equivale ad ammettere la sconfitta della democrazia e a vittoria della Russia», ha scritto su Twitter Mykhailo Podolyak, consigliere di Volodymyr Zelensky. «Tutto questo è il caro sogno della Russia». Il riconoscimento delle repubbliche separatiste sarebbe un inedito per Pechino, con rischi di cortocircuito su Taiwan, tema su cui ci sono nuove tensioni per l'arrivo sull'isola di un primo lotto di missili antiaerei Stinger dagli Usa.
    Il tour di Li ha portato alla luce qualcosa che era già abbastanza chiaro: la prospettiva di "pace" di Pechino non è conciliabile (almeno per ora) con quella di Ucraina e occidente, riaffermata peraltro con forza durante il G7. Nei comunicati di Pechino, si reiterano le formule tradizionali sui negoziati, insieme alla richiesta ai paesi europei di «rafforzare la loro autonomia strategica». Nell'ottica cinese, significa emancipazione dagli Stati Uniti. Non sembra essere andata benissimo. Sibillina la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning: «Dato che la crisi è in Europa, la Cina sostiene l'Europa nel compiere maggiori sforzi per la pace e nel proporre una soluzione pacifica accettabile per tutti». Dunque anche per Mosca, dove ieri Li ha avuto con Lavrov 90 minuti di colloquio «cordiale», al termine del quale il ministro degli Esteri russo ha elogiato la posizione «equilibrata» della Cina, puntando il dito contro gli «ostacoli creati da Kiev e Occidente» per arrivare alla pace. Tre giorni dopo l'incontro tra il premier Mikhail Mishustin e Xi Jinping.
    Il tabloid nazionalista Global Times critica l'Ue: «Le osservazioni dei funzionari europei non sono tanto una presa di posizione dell'Europa, quanto piuttosto parole degli Stati Uniti per bocca dell'Ue». Con distinguo per Francia e Germania, «che hanno cercato di mantenere l'autonomia». Non un caso. Nei giorni scorsi, Parigi si è detta convinta che la Cina possa svolgere «un ruolo costruttivo» sull'Ucraina. Il commento più positivo al viaggio di Li. Olaf Scholz ha espresso invece l'intenzione di parlare con Vladimir Putin «a tempo debito», mettendo potenzialmente fine al lungo silenzio tra Cremlino e Paesi europei. Il presidente russo ha fatto sapere di essere «pronto» alla telefonata col cancelliere tedesco. Ma per Pechino resta «irrealistico» e «irragionevole» legare la richiesta dell'Ue di premere sulla Russia per un ritiro completo delle truppe all'andamento dei rapporti bilaterali.
    Molto attivo anche Lula. Dopo aver evitato un bilaterale con Zelensky a margine del G7 di Hiroshima, il presidente brasiliano ha parlato sia con Putin sia con Xi. «Ho ribadito la volontà di parlare con entrambe le parti del conflitto insieme a India, Indonesia e Cina», ha detto Lula, che ha spiegato di aver rifiutato l'invito di Putin al forum economico di San Pietroburgo. Col leader cinese, incontrato di persona solo poco più di un mese fa, Lula ha spiegato di aver parlato anche del vertice Brics di agosto. Il Sudafrica, che ospita il summit, riconosce la Corte penale internazionale. Ammesso che non ne esca prima, potrebbe essere costretto ad arrestare Putin se si presenterà all'evento.
  2. IL PAPA CERCA LA PACE : «Zuppi nella missione di pace sarà interlocutore unico del presidente ucraino Zelensky e di quello russo Putin». Parola del cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. La dichiarazione del porporato giunge poche ore dopo l'apertura di Mosca all'iniziativa diplomatica del Pontefice, valutata «positivamente», come afferma il Ministero degli Esteri. Con la soddisfazione di Parolin: «Siamo lieti della disponibilità, stiamo ragionando sulle date; la richiesta è di incontrare i due Capi di Stato».
    La missione diplomatica vaticana da una settimana ha un nome e un cognome: Matteo Zuppi. Un intermediario evidentemente gradito dal Cremlino. Il cardinale presidente della Cei e Arcivescovo di Bologna è stato scelto dal Pontefice come suo emissario per tentare di disinnescare le tensioni e gli scontri tra Kiev e lo Zar, prima che si registri un'escalation militare planetaria. «E il Santo Padre ha scelto la persona giusta», commenta un alto prelato; «Zuppi è il porporato più mediatore del Collegio cardinalizio, sa parlare e trattare con chiunque, a tutti i livelli».
    In questi giorni Oltretevere ma anche a Bologna si lavora per dare vita a una tela che possa schiudere le porte di una disponibilità delle parti in guerra a una tregua e soprattutto a una trattativa. Il Cardinale ha chiesto massima riservatezza su tempi e modalità.
    Unica certezza: sarà un lavoro «certosino», afferma un presule, «sul modello Mozambico». Nel 1992, con la Comunità di Sant'Egidio l'allora giovane vice parroco a Trastevere don Matteo Zuppi contribuì a raggiungere un complesso accordo di riconciliazione che mise fine a sedici anni di guerra civile nel Paese del sud dell'Africa. La strategia che seguì, insieme al fondatore di Sant'Egidio Andrea Riccardi, fu di unire «le azioni umanitarie insieme alla continua e paziente ricerca di relazioni tra le fazioni in lotta».
    Un altro dettaglio lo ha comunicato lo stesso Zuppi: la missione è «in accordo con la Segretaria di Stato»; dunque il Cardinale avrà piena libertà e allo stesso tempo agirà informando la Terza Loggia.
    Ma quali messaggi veicolerà per avvicinare Mosca a Kiev? Un monsignore osserva che il 21 febbraio scorso, all'Università Roma Tre, Zuppi raccontava di avere «riletto un'intervista di Henry Kissinger», aggiungendo: «Credo che abbia ragione: disse, adesso bisogna cominciare almeno un dialogo esplorativo, altrimenti c'è il nucleare». Inoltre, è «ovvio che c'è un aggressore e un aggredito e che serve la pace come la giustizia». Ma occorre «credere che la pace è sempre possibile, difficile ma possibile».
  3. BENE BRAVA : Aumenteranno del 30 per cento i posti per chi vorrà iscriversi a Medicina nel prossimo anno accademico, ci saranno incentivi per specializzazioni «accoglienti e non respingenti» e il Ministero dell'università e ricerca (Mur) garantirà che il costo degli affitti sarà inferiore a quello di mercato. Sono le promesse rivolte da Anna Maria Bernini, ministra dell'Università e della Ricerca, alle studentesse e agli studenti che fin dal suo arrivo alla guida del ministero la stanno incalzando con appelli e proteste.
    In Italia mancano 30 mila medici ospedalieri, una stima che appare in diverse analisi pubblicati negli ultimi mesi. Come pensate di intervenire?
    «Aprendo in maniera programmata e sostenibile l'accesso al corso di laurea di medicina. Il gruppo di lavoro che abbiamo istituito al Ministero ha operato benissimo insieme alle Regioni, al Ministero della Salute e alle Università, e ha stimato i fabbisogni futuri. Occorrono 30 mila nuovi medici da inserire nei corsi di laurea nei prossimi 7 anni. Per l'anno accademico 2023/2024, ci sarà un incremento importante, tra il 25 e 30 per cento: da 3.553 a 4.264 posti in più. Il numero definitivo verrà stabilito insieme alle Università tenendo conto delle loro capacità di assorbimento».
    Le università avranno la capacità di sostenere l'aumento dei posti?
    «Non caliamo decisioni dall'alto. Fin dall'inizio abbiamo avviato una proficua collaborazione con la Conferenza dei Rettori e il suo presidente, Salvatore Cuzzocrea. Il Ministero si sta adoperando per reperire i fondi chiesti dalle Università per rendere sostenibile l'aumento, a questo scopo metteremo a disposizione 23 milioni di euro».
    Da anni il costo per l'accesso ai test è in aumento. Il Governo pensa di aiutare in qualche modo chi è in difficoltà o di definire un tetto di spesa?
    «Ad oggi la gestione dei test è affidata a una disciplina che durerà fino alla fine dell'anno accademico 2024/2025. Sarà importante in futuro ragionare di questo con le università per trovare soluzione condivise».
    Quello che impedisce ai laureandi di arrivare in corsia è soprattutto il mancato finanziamento delle borse di specializzazione. Prevedete un aumento delle risorse?
    «Aprire in maniera sostenibile significa pensare anche alle specializzazioni. Con il ministro Schillaci vogliamo ottimizzare e rendere meno burocratici gli accessi, creando dei meccanismi di incentivo affinché non vi siano squilibri come sulla medicina d'urgenza. La scelta infatti non deve essere di necessità ma di vocazione. Dobbiamo tutelare la libertà di scelta degli specializzandi. Questo comporta dei costi, il Governo è determinato a sostenerli».
    Gli affitti troppo cari sono stati al centro delle richieste e delle proteste delle studentesse e degli studenti fin dal suo arrivo alla guida del ministero. Avete stanziato 950 milioni di euro. Gli studenti dicono che, invece, servono almeno 3 miliardi. Una richiesta esagerata?
    «Abbiamo messo quasi un miliardo di euro dopo nemmeno due mesi dalla nascita del Governo, segno che il diritto allo studio è una delle nostre priorità. E siamo solo all'inizio, faremo sicuramente di più».
    Secondo gli studenti la promessa di creare più di 8 mila posti letto attraverso il Pnrr è falsa. I posti letto realmente nuovi saranno circa 3 mila, gli altri sono i soliti appartamenti dei privati. Lei ha risposto che, senza il privato, da solo il pubblico non riesce a garantire i posti necessari.
    «Non siamo qui per dire bugie o per rappresentare false realtà. Il Ministero non inventa numeri. Le risorse e i tempi del Pnrr non permettono di costruire immobili. Abbiamo, quindi, creato nuovi posti vincolando i gestori ad assegnarli esclusivamente agli studenti universitari per un periodo che va da un minimo di 10 a un massimo di 25 anni. Allo stesso tempo abbiamo fatto in modo che i privati riservassero il 20 per cento dei posti al diritto allo studio. Il prossimo obiettivo sono 52.500 posti letto entro il 2026».
    Si può ipotizzare un intervento sui prezzi per evitare che aumentino oltre una certa soglia?
    «Con una manifestazione d'interesse individueremo gli immobili disponibili. Più aumentiamo l'offerta, più soddisfiamo la domanda e, soprattutto, abbattiamo i costi che, comunque, il Mur garantirà siano al di sotto di quelli di mercato. Un gruppo di lavoro si sta occupando specificamente di questo».
    Le rappresentanze studentesche chiedono un ripensamento del sistema nazionale del diritto allo studio che scardini la retorica del merito e metta al centro il loro benessere. Da tempo le chiedono un incontro sul benessere che - dicono - lei ancora non ha concesso.
    «Non è così. Ci siamo incontrati più volte e torneremo a farlo tra dieci giorni. Ho avuto anche diversi confronti con rappresentanze studentesche nei singoli Atenei. Con il Consiglio nazionale degli studenti, che ho incontrato la scorsa settimana, abbiamo deciso di lavorare su singoli temi, incluso il benessere psicologico».
    E concretamente?
    «Il Mur intende stanziare risorse per i presìdi psicologici che puntiamo a rendere strutturali. Abbiamo anche confermato il finanziamento di 15 milioni per progetti per l'orientamento e il tutorato. L'obiettivo è individuare le iniziative migliori che possano sostenere gli studenti non solo nella scelta ma anche lungo tutto il loro percorso formativo».
    Pensa che ci sia abbastanza pluralità all'interno delle università oppure ritiene che ci siano soggetti o realtà ancora poco rappresentati?
    «Io lavoro per l'inclusione e l'ascolto. È mia intenzione non trascurare nessuno».
    Lucia Annunziata e Fabio Fazio sono andati via dalla Rai. Ai vertici dei Tg Rai sono stati indicate figure vicine al centrodestra. Nasce "TeleMeloni" come sostiene l'opposizione, oppure è solo il normale avvicendamento dovuto al cambio di governo?
    «È un dibattito che non mi appassiona. È da quando sono nata, quindi un bel po' di anni fa, che sento parlare di occupazione della Rai a corrente alternata».
    Lei è sempre stata sensibile alle tematiche dei diritti civili. Si è schierata a favore delle unioni civili e alla stepchild adoption. Fanno bene i sindaci a protestare contro il no alle trascrizioni delle nascite per garantire ai figli delle coppie omogenitoriali eguali diritti?
    «Sono una liberale, convinta che la mia libertà finisca dove inizia quella altrui. E proprio da liberale dico che sono questioni da risolvere in Parlamento, con massima trasparenza e serietà. Su una materia così delicata va adottato il principio di massima cautela, ancor più perché parliamo di bambini».
  4. COME SPRECARE I SOLDI DEL PRNN: Di fronte alla Fontana dei Dodici Mesi sorgerà una nuova piazza pedonale, che diventerà un punto d'osservazione privilegiato del monumento realizzato da Carlo Ceppi per l'Esposizione Generale Italiana del 1898. Il Padiglione V, invece, diventerà l'unica area raggiungibile in auto e sarà dotato di circa 600 posteggi per compensare quelli che andranno persi lungo i viali.
    Sono soltanto due delle trasformazioni che, grazie ai 14,5 milioni di fondi Pnrr, interesseranno il futuro parco del Valentino: il progetto, pensato insieme alla Soprintendenza, è stato presentato ieri ai cittadini nell'ambito del Festival del Verde dall'assessore al Verde Pubblico Francesco Tresso e alla presenza di Circoscrizione 8, stazione di committenza Scr ed esperti di Università e Politecnico.
    L'avvio dei lavori è previsto nella prima metà del 2024, il completamento dei cantieri dovrà avvenire entro il 2026, ma durante le opere il parco resterà sempre aperto seppur con qualche chiusura parziale. Uno degli interventi servirà a rimuovere totalmente l'asfalto dai viali principali: una superficie totale di 65 mila metri quadri sarà convertita in pavimentazione permeabile, per ridurre l'effetto isola di calore. Al tempo stesso i viali saranno pedonalizzati e quindi interdetti al transito delle auto. Il contemporaneo restringimento dei viali (che da una larghezza di 16/20 metri passeranno a 9) metterà a disposizione una nuova superficie verde di 20 mila metri quadrati. Sempre in tema di mitigazione dei cambiamenti climatici, nel parco saranno creati nuovi spazi ombreggiati con la messa a dimora di 555 alberi.
    Accanto al Borgo Medievale invece nascerà un roseto con spazi dedicati al ristoro. Nel Padiglione V, oltre al parcheggio per le auto, verrà ricavato anche uno skate park e sarà realizzata una nuova copertura, che riprenderà le linee curve del disegno originario del parco all'inglese. «Questo è solo un tassello del più ampio progetto con cui la Città investirà nell'area del Valentino 157 milioni di fondi Pnrr, dando così il via alla riqualificazione di Torino Esposizioni dove verrà realizzata la nuova Biblioteca Civica – dice l'assessore Tresso – Altri interventi sono quelli che riguardano il Borgo Medievale e il ripristino della navigazione turistica sul Po. Opere che contribuiranno a migliorare anche l'accesso e la fruizione del parco per tutti gli utenti».
  5. BREXIT DA REVOCARE : Sono tredici anni che i conservatori promettono di ridurre l'immigrazione nel Paese, e i numeri continuano a salire. Nemmeno la Brexit è riuscita a invertire la tendenza. È tutto qui il problema di Rishi Sunak, quando il nuovo dato sugli ingressi regolari mostra un livello record: l'anno scorso sono entrate nel Paese 606mila persone in più di quelle che ne sono uscite. Il dato precedente sull'immigrazione regolare netta era di 504mila.
    Secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica, nel 2022 sono arrivate un milione e 163mila persone, e ne sono uscite 557mila. Aumenta l'immigrazione da paesi extra Europei, con 925mila arrivi, mentre diminuisce quella dall'Europa, appena 151mila arrivi, a fronte di oltre 200mila partenze. Più di centomila persone sono arrivate dall'Ucraina e 52mila dall'ex colonia Hong Kong. Moltissimi gli studenti e i loro familiari, tanto che il governo ha varato un giro di vite sui ricongiungimenti familiari a partire dal 2024.
    I dati creano imbarazzo nel governo, tanto più se si considerano gli sbarchi di immigrati irregolari, 45 mila nel 2022. «È semplice: sono numeri troppo alti, e li voglio abbattere», ha detto Sunak. Ma, conscio del fallimento dei suoi predecessori, non ha indicato un numero specifico.
    Dal 2010, cioè da David Cameron in poi, tutti i primi ministri Tory hanno promesso di tagliare l'immigrazione. Il referendum sulla Brexit è stato vinto grazie al famoso slogan "take back control", riprendersi il controllo, soprattutto delle frontiere. Ma non è accaduto. Nigel Farage, l'ex leader dell'Ukip che della Brexit è stato uno dei maggiori artefici, ieri ha gridato alla "totale violazione della fiducia tra gli elettori e questo governo".
    L'istituto di statistica ha sottolineato la natura «potenzialmente temporanea» del livello record, dovuto a una «serie di eventi mondiali senza precedenti avvenuti nel 2022 e alla fine delle restrizioni da Covid». Il flusso si sta stabilizzando, ha fatto sapere.
    Sunak resta sotto pressione: deve sperare che un eventuale calo del numero di immigrati arrivi in tempo per le prossime elezioni, da tenersi entro il gennaio del 2025.
  6. BUFFONI VENETI :È giovedì 18 maggio e dall'Emilia-Romagna arrivano le immagini di quel fango che devasta paesi e campagne. Marco le guarda e decide che andrà a spalarlo, quel fango. Si fa uno scrupolo, avvisare il suo datore di lavoro. Anche se è un lavoro precario e debole, uno di quelli che vanno e vengono: fa il rider per una pizzeria di Thiene, provincia di Vicenza. Contratto a chiamata. Marco Santacatterina, poco più che ventenne, studia all'Università e lavoricchia: vive nei dintorni, ancora con i suoi genitori. Una pizza dopo l'altra, una notte dopo l'altra. Prende il telefono e scrive al titolare: «Sabato e domenica non posso venire, vado a fare il volontario tra gli sfollati». Riceve questa risposta: «Sei un coglione, un buffone, mi fai ridere. Vai pure ad aiutare, io mi troverò qualcun altro. Bye bye». Conseguenza: licenziato. Ora racconta la sua storia, ma ha un ultimo riguardo: niente nome della pizzeria. E quindi niente gogna social, grandinerebbero attacchi e veleni. Parliamone, dice, ma senza bersagli.
    Giovedì lei manda quel messaggio. A questo punto che cosa succede?
    «Mi prendo del buffone e del coglione, appunto. Il venerdì sera mi presento lo stesso, perché era previsto che lavorassi. Entro nel locale e il titolare mi fa: "che cosa ci fai tu qui?". Ho capito che era finita. Ho salutato e me ne sono andato».
    E davvero non è stato possibile salvare il posto?
    «Ho perso il lavoro per due giorni di volontariato. Mi ero anche preoccupato di avvisare in anticipo».
    Che mestiere era? Quanto guadagnava?
    «Prendevo circa 30 euro a serata ma l'avrei fatto anche se fossero stati mille. Non sono ricco, i soldi vanno e vengono. Aiutare è qualcosa di più».
    Andare ad aiutare gli sfollati dell'Emilia Romagna: è stato un gesto estemporaneo o di cose del genere ne aveva già fatte?
    «Non ho mai fatto volontariato e non frequento i social. Dell'alluvione me l'ha detto mia madre. Una cosa simile è successa anche qua in Veneto nel 2010, dove abito io. Ero bambino ma ricordo quei giorni. Vedendo il dramma dell'Emilia-Romagna ho pensato: posso fare qualcosa».
    E cos'ha fatto?
    «Mi sono messo in contatto con la Protezione civile di Bologna, ma non essendo iscritto non potevo aggregarmi. Allora ho cercato i gruppi Telegram: sabato e domenica sono andato a Cesena con mia sorella Sara. In pizzeria c'erano due fattorini che potevano coprirmi. Non credo che rischiasse il fallimento».
    Che esperienza è stata?
    «Breve ma profonda. E paradossale. Sorridevano anche se avevano perso tutto. E cercavano, loro, di tirare su il morale a me. Sono tornato con il cuore pieno di speranza».
    Lei studia all'Università. Quell'entrata le faceva comodo.
    «Non mi pare decisivo. Avrei fatto lo stesso anche con una famiglia a cui badare. Due giorni di volontariato. Ho visto album di ricordi galleggiare nell'acqua, le foto dei bambini ridotte a carta straccia. Ho fatto la cosa giusta».
    Sembra una favola al contrario, senza lieto fine.
    «Io lì ci lavoravo da inizio marzo e non ho mai avuto problemi. Da quando in qua i soldi sono più importanti della gente che sta male?».
    Ora il lavoro l'ha perso. Per privilegiare la morale.
    «Mica provo odio. I miei genitori hanno capito che non avevo colpe, sto ricevendo molta solidarietà. Mi ha chiamato anche il sindaco di Thiene. L'aiuto conta più dei soldi».

 

 

27.05.23
  1. BENE I CONTROLLI DELLA CORTE DEI CONTI :    Il governo individua nel Pnrr il principale motore di crescita dell'economia italiana nei prossimi anni, ma i ritardi nell'attuazione del piano rischiano di ingolfarlo.
    Secondo il Rapporto 2023 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, «nel quadriennio 2023-2026 due terzi del tasso di crescita medio annuo prefigurato nel Documento di economia e finanza (Def) sono, infatti, ascrivibili al Piano (1,2%, a fronte dello 0,4 in assenza di Pnrr)». Un apporto significativo, benché rivisto al ribasso per via dell'inflazione che di fatto ha ridotto il potere di acquisto dei 191,5 miliardi messi dall'Unione europea a disposizione del Paese.
    Il problema è che la spesa di questi fondi procede a rilento rispetto al cronoprogramma. Alla fine del 2022 i 24,5 miliardi di esborso sostenuti dalle Amministrazioni centrali titolari di misure del Pnrr «testimoniavano un avanzamento del 12,8%». Considerando anche il progresso dei primi mesi di quest'anno, prosegue il rapporto, «il tasso di attuazione sale al 13,4%». Numeri ancora lontani da quanto sarebbe necessario per alimentare una ragionevole convinzione di completare il piano entro il 2026.
    Se le prime 3 missioni (digitalizzazione, transizione energetica e infrastrutture), «evidenziano progressi più ampi, tutti superiori al 16%», sottolineano i magistrati contabili, le missioni 4 e 5 (legate all'istruzione e all'inclusione) presentano tassi di avanzamento vicini al 5%, mentre la 6 in tema di salute non raggiunge la soglia dell'1%», a dispetto dei grandi progetti sulla sanità immaginati all'indomani della pandemia da Covid-19.
    I diversi gradi di progresso delle varie missioni, puntualizza tuttavia la Corte dei Conti, «non sono necessariamente emblematici di eventuali ritardi di alcune missioni rispetto ad altre: essi riflettono prevalentemente la diversa distribuzione temporale nella programmazione delle risorse all'interno dell'arco di vita del Piano». Questi tassi di avanzamento richiamati, però, forniscono la misura «dell'importante sforzo finanziario richiesto nei prossimi anni per ciascuna missione e componente».
    «Le ottime capacità di resistenza dimostrate dall'economia italiana ai ripetuti shock», rimarca comunque il rapporto, «costituiscono una solida base per la ripartenza e spingono ad affrontare con fiducia le complesse sfide legate alla necessità di accrescere durevolmente il tasso di sviluppo e ridurre il peso del debito pubblico nel nuovo quadro di governance economica dell'Ue».
    L'incastro fra l'esigenza di investire sulla crescita e quella di ridurre il disavanzo dello Stato rischia di rivelarsi complicato già nel 2023. Nadef e legge di bilancio si annunciano «particolarmente impegnative» perché il Def non ha compreso nel quadro programmatico alcune voci come le risorse per i contratti del pubblico impiego o per l'aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea, ndr)che andranno invece inserite in manovra». Per quanto riguarda il pubblico impiego, anzitutto, «a fine anno si esaurisce l'una tantum da un miliardo che, per il solo 2023, ha offerto un aumento lineare dell'1,5% agli stipendi nella Pubblica amministrazione». Un aumento retributivo che, a fronte della persistente inflazione, «appare difficile non prevederne l'estensione», ragiona la Corte. A ciò si aggiunge la necessità di reperire le ingenti risorse che «saranno necessarie per la conferma delle misure di riduzione del cuneo attualmente in essere». Se infine la crisi energetica dovesse riaffacciarsi, conclude il rapporto, «si riproporrebbero, pur con le caratteristiche sempre più selettive, fabbisogni per le fasce sociali ed economiche più deboli, per ora finanziati per il solo 2023»
  2. RISCHIO DA APPALTI E RICICLAGGIO
    "Il piano è un'occasione per i criminali" monito del neo-comandante della GdF
    «Oltre ad offrire al paese un'opportunità di rilancio e ammodernamento, il Pnrr può rappresentare per le consorterie criminali un'occasione per espandersi mediante l'acquisizione di commesse e appalti pubblici e il reinvestimento di significativi flussi di capitali illeciti nei vari segmenti del tessuto produttivo e finanziario». Lo ha detto il comandante generale della Guardia di Finanza, Andrea De Gennaro, al festival dell'economia di Trento. «Il controllo sull'erogazione di tali risorse – ha spiegato il generale – rappresenta un'attività di rilevanza strategica, in considerazione della necessità di garantire la corretta destinazione dei fondi, a cui il Corpo è chiamato a fare fronte collaborando con le autorità giudiziarie, penali e contabili e operando quale baricentro delle principali indagini nel segmento». De Gennaro ha proseguito: «Siamo consapevoli che dalla corretta destinazione di queste risorse dipende la capacità del nostro Paese di affrontare adeguatamente le sfide dei prossimi anni e di innestare un cambio di paradigma nel rapporto tra Stato e cittadini. Come confermato dall'ultimo Documento di economia e finanza, recentemente approvato dal Parlamento, il Pnrr continuerà a rappresentare per i prossimi tre anni e mezzo la più grande sfida a livello tecnico, organizzativo e di coordinamento fra amministrazioni e livelli di governo».
  3. AFFARI SUOI : Dimissioni ormai attese, forse con impazienza. E subito accettate: «Mi è pervenuta una lettera del dott. Ricardo Franco Levi nella quale si dice pronto a mettere a disposizione l'incarico di Commissario straordinario del governo per l'Italia, ospite d'onore alla Fiera del libro di Francoforte 2024 – scrive il ministro Sangiuliano in un secco comunicato stampa d'inizio pomeriggio –. Preciso di non essere il soggetto istituzionalmente abilitato ad accettare tali dimissioni, pur condividendo la necessità di dare discontinuità a questo incarico dopo le recenti polemiche. Informerò il governo per concordare eventualmente la nomina di un nuovo commissario. Ringrazio il dott. Levi per la sensibilità dimostrata e il lavoro svolto finora». E così, nel giro di pochi giorni, la destra si sbarazza di un personaggio forse scomodo, scelto dal governo precedente e di necessità confermato da questo (perché il decreto di nomina è firmato dal Presidente della Repubblica) anche se non si direbbe, con grande entusiasmo.
    Si era già intuito al Salone del libro, considerata la freddezza dimostrata dal ministro Sangiuliano nei confronti del commissario (e presidente degli editori). Pesava l'infortunio della lettera in cui Levi aveva comunicato al fisico Carlo Rovelli di averlo escluso dalla cerimonia inaugurale di Francoforte (in conseguenza delle dichiarazioni sulla guerra in Ucraina fatte a Roma dal palco del primo maggio), seguita da una rapida marcia indietro dopo l'alzata di scudi degli editori. Levi in quell'occasione si era assunto tutte la responsabilità, affermando di avere agito in totale autonomia. Ecco però che nel giro di pochi giorni lo "scoop" di un quotidiano di destra rivela come nella agenzia belga scelta per la promozione dell'evento Italia paese ospite alla Fiera tedesca, la IFC Next, lavori Alberto Levi, figlio appunto di Ricardo, anche se in ruoli subalterni, che nulla hanno a che fare con il contratto. Il commissario risponde che «abbiamo fatto una gara cui hanno partecipato svariate compagnie e la ICF Next ha vinto perché sia per progettualità che per costo era di gran lunga quella più indicata, a nostro avviso». La IFC Next è una multinazionale tra le più importanti in Europa nel suo settore, lavora abitualmente con le istituzioni, è controllata da una società americana quotata in borsa, insomma non è certo una start up. Ma la presenza del figlio non suona quantomeno inopportuna? «È un fatto di assoluta inconsistenza – ci dice –, mio figlio è uno dei tanti giovani italiani che sono andati a cercarsi un lavoro all'estero. Detto questo, però, si stava mettendo in dubbio la correttezza del mio operato, e non lo posso tollerare. Ho così rimesso il mandato al ministro, anche se non è l'istanza che ne può disporre, come scrive del resto nel suo comunicato. Il commissario viene nominato dal Presidente della Repubblica, su proposta del governo».
    Colpiscono i tempi stretti, come se ci fosse stata una sorta di strategia, innescata dal caso Rovelli. Indiscrezione non verificabile: già al Salone si era avuta l'impressione che la ricerca di un nuovo commissario, più vicino al governo, fosse cominciata almeno sotto traccia, che insomma l'addio di Levi fosse dato per probabile e soprattutto auspicabile. L'insistenza su una nuova egemonia da affermare partendo dall'alto, lo stesso attivismo dell'enfant prodige della destra culturale, quel Francesco Giubilei pubblicamente elogiato durante la presentazione di Alain De Benoist, ideologo della Nouvelle Droite francese, dal ministro Sangiuliano in collegamento video, lasciavano ampiamente intuire che fra le poste più rilevanti non poteva non esserci la mai nominata Francoforte; e in un certo senso già mettevano il commissario di governo, se non fuorigioco, certo in una posizione di difesa.
    Si è sentito accerchiato, o addirittura vittima di una trappola ben organizzata? «Non lo so, non voglio fare illazioni. E devo dire che il ministro Sangiuliano, prima di rilasciare il comunicato, mi ha chiamato molto cortesemente. Ho apprezzato. Ha anche chiarito che la sua decisione va nel senso della discontinuità». È il termine che spiega tutto. «È il termine chiave. Non c'è nulla da obbiettare, dal punto di vista formale, ma è molto significativo». È già l'abbozzo di un programma. Dove del resto, se non alla grande fiera tedesca del libro, trovare l'anno prossimo palcoscenico migliore per celebrare, dopo quella elettorale, la rivincita «culturale»?

 

 

 

26.05.23
  1. BISIGNANI SA':  Il virus dell'intelligence colpisce ancora. Nella ristretta cerchia della premier raccontano della sua infatuazione per i Servizi segreti da quando e entrata a Palazzo Chigi.
    «Ogni giorno le noticine che le arrivano su amici e nemici la mandano in visibilio ed esaltano quel tratto di personalità machiavellica che non le fa difetto».
    Meloni vede complotti e intrighi dappertutto, e in questo i Servizi stuzzicano le sue fantasie.
    «Non tanto diversamente da alcuni suoi predecessori che, non avendo dimestichezza col potere, sono finiti per cadere invischiati nei loro giochi».
    Ma non sarà che questo evocare trame e cospirazioni dietro ogni cosa e un po' esagerato? Basta una narrazione, magari spruzzata di mistero e ripresa da qualche sito di gossip compiacente, per incantare i presidenti del Consiglio?
    «I politici scafati, come si dice scherzosamente a Roma, li considerano dei cazzari, sanno benissimo che le barbe finte fanno mille pastette, e i neofiti ne subiscono il fascino».
    Eppure Giorgia mi sembra più che scafata, una che non si lascia incantare dalla prima storiella che le raccontano.
    «Scafatissima. Ma il retaggio degli anni della sua gioventù non è facile da accantonare. Da giovane militante ha avuto rapporti controversi con la polizia, ora osserva il mondo dalla parte opposta. Coloro che le danno le informazioni riservate sono quelli da cui in passato si e dovuta guardare le spalle».
    Le guardie, come le chiamavano quelli del Fronte della gioventù, dalle quali scappavano quando di notte uscivano per le affissioni dei manifesti ciclostilati in proprio.
    «Lei stessa racconta degli attacchinaggi, quando bisognava restare sempre in gruppo, attenti alle retate dei celerini e agli agguati delle zecche, come definivano i comunisti».
    Però ne e passato di tempo da allora. Quelle paure se le sarà lasciate alle spalle. O la sua diffidenza verso gli altri e atavica e senza speranza? Fatte salve mamma e sorella, naturalmente.
    «Ormai il suo mantra quando incontra le persone e sempre lo stesso: "Aho, me posso fida' o no?". E alla fine del colloquio: "Guarda che me fido"».
    Anche per Giuseppe Conte i Servizi sono stati come una droga. Nel febbraio del 2021, in articulo mortis, gli sarebbe bastato lasciare quella delega al suo famiglio Mario Turco, pugliese come lui, affinché Renzi, soddisfatto di quel passo indietro, non riuscisse a cacciarlo.
    «Degli ultimi presidenti del Consiglio, Giuseppi è stato il più ossessionato dall'intelligence. Coscienti del potere che esercitavano sul premier, le barbe finte lo riempivano di notizie confidenziali su vicende personali o qualche gossip relativo a suoi amici o avversari».
    Infatti collocò un suo caro amico, Gennaro Vecchione, a capo del Dis, il Dipartimento informazioni e sicurezza che addirittura coordina le agenzie dei Servizi interni (Aisi) ed esterni (Aise). Una potenza...
    «Salvini lo inquadrò subito, mettendo nel mirino Vecchione per le sue scorribande mondane e un certo debole per le belle donne. Immancabile ospite delle terrazze romane e delle feste più gettonate, come quella per il Sigaro toscano a Villa Letizia, sontuosa location sugli argini del Tevere»...
    Oggi al posto di Vecchione al Dis c'è Elisabetta Belloni, nominata da Mario Draghi, con il quale in tempi diversi ha frequentato l'Istituto Massimiliano Massimo, la severa scuola dei gesuiti a Roma che ha visto tra i suoi banchi anche Luca di Montezemolo e il superprefetto Gianni De Gennaro.
    «La chiamavano Betty, era molto amata anche perché, da 007 in fieri, passava i compiti in classe senza farsi scoprire e faceva la ragazza pompon durante le partite di calcio dei suoi compagni».
    Conte ha preso il cambio al vertice del Dis come un affronto personale e non ha mai perdonato Draghi, che considera un usurpatore. In più, l'autorità delegata alla sicurezza della Repubblica fu affidata al prefetto Franco Gabrielli, nel segno di un opportuno cambio di strategia.
    «Era necessario, almeno in apparenza, rimettere ordine. L'ambasciatrice Belloni, del resto, è la figura perfetta per la politica. Ma a settembre del 2023 potrebbe andare in pensione e, a meno di sorprese, uscire definitamente dai radar istituzionali. Fintanto che c'è Meloni, pero, non la tocca nessuno, e chi ha provato a metterla ai vertici di qualche partecipata, come per esempio Leonardo o Eni, è stato incenerito».
    Il primo a scoprirla fu Giovanni Castellaneta, consigliere diplomatico nel governo guidato da Silvio Berlusconi.
    «La voleva come capo ufficio stampa esteri, ma ci fu il veto dell'indimenticabile portavoce dell'epoca, Paolino Bonaiuti: "Non va bene una donna così bella e charmante a Chigi"»...
    Ma oggi come sono realmente i rapporti tra Belloni e Meloni?
    L'intesa si è consolidata molto tempo prima che Meloni diventasse premier. All'inizio era molto diffidente sui Servizi, mentre oggi ne apprezza l'utilità. C'è un passaggio sull'elezione del presidente della Repubblica nel gennaio del 2020 che nessuno ha mai raccontato».
    Raccontiamolo, allora.
    «Meloni, dopo la quarta votazione, pensò di candidare Belloni, prima ancora che Salvini ne facesse il nome. Ne parlò riservatamente con Anna Maria Bernini e Antonio Tajani. Anzi, fu la stessa Giorgia a convincere Conte, contrarissimo alla rielezione di Mattarella, a convergere sul capo del Dis. Era stato sondato anche Gianni Letta che, come detto, è da sempre affascinato dai modi avvolgenti e suadenti di Belloni».
    Ma alla fine, con così tanta stima e supporto, come mai non e atterrata al Quirinale?
    «L'errore di non dichiararsi subito indisponibile le è stato fatale. È andata in campagna ma, anziché isolarsi e fare il cincinnato, si è lasciata coinvolgere in un vorticoso giro di telefonate, finendo uccellata da Renzi con il famoso anatema che "un capo dei Servizi non può fare il capo dello Stato". Mattarella ringrazia».
    Adesso a Belloni la premier chiede, come è prassi istituzionale, schede dettagliate su tutto e tutti, specie prima degli incontri con gli interlocutori internazionali. Ma non solo loro. Si è messa anche in testa di ridisegnare l'intelligence.
    «Appena insediata Meloni si è trovata costretta a compiere due forzature. La prima per cambiare la legge che vieta al sottosegretario alla Presidenza di avere anche la delega ai Servizi segreti, come era stato per Gianni Letta, così da poter nominare nel duplice ruolo Alfredo Mantovano. La seconda per aggirare la norma che impedisce ai magistrati, ai giornalisti e ai ministri del culto di lavorare nei Servizi. E adesso il paradosso vuole che sia un magistrato, anche se impeccabile, a coordinarli».
    Mantovano sta lavorando quindi per modificare la legge 124 del 2007 che regola i compiti delle barbe finte. Una riforma a cui aveva cominciato a pensare anche lo stesso Conte.
    «L'interpretazione data dal leader pentastellato ai poteri che la legge conferisce al premier è apparsa eccessivamente autoreferenziale, se non del tutto accentratrice».
    Nel progetto di riordino, Mantovano gestisce i rapporti con tutti i direttori delle agenzie, con i comandanti generali delle forze armate e di polizia.
    «Per sentire il loro parere su un'ipotesi di riforma, poche settimane dopo il suo insediamento, un sabato, Mantovano ha organizzato, prima volta nella storia, una sorta di "festival delle spie" con un panel condotto da Mario Sechi, ancora all'Agi, in versione Amadeus. Un appuntamento che si è poi ripetuto all'auditorium di piazza Dante, sede dei Servizi, con tutte le autorità che in passato se n'erano istituzionalmente occupate. Da Gianni Letta a Marco Minniti a Gianni De Gennaro, che si sono confrontati con i grandi manager pubblici, da Claudio Descalzi a Francesco Starace a Matteo Del Fante, e a ministri e magistrati... Sulla riforma dei Servizi il sottosegretario Mantovano ascolta molto Violante. Anche Meloni ha un rapporto consolidato con lui da quando divenne vicepresidente della Camera. Una situazione che fa inorridire i duri e puri di Fdi».
    L'ex magistrato svolge un importante ruolo di ambasciatore, ma non è il solo membro del Pd che abbia un canale aperto con Palazzo Chigi.
    «Un altro che Meloni stima da sempre è Massimo D'Alema. Pensa che mesi fa, prima che diventasse premier, l'ha chiamata invitandola a scrivere un articolo su Italianieuropei. Il titolo era: Il trumpismo non è stato un incidente della storia».
    Mantovano ci sarà rimasto male, visto che proprio D'Alema l'aveva battuto nel collegio di Gallipoli. Un duello all'ultimo voto.
    «Ironia della sorte, a votare per D'Alema anziché per Mantovano sono stati gli uomini di Raffaele Fitto, che oggi con lui è tra i ministri più accreditati».
    Colui che Berlusconi aveva soprannominato "il cucciolo" quando era ministro per gli Affari regionali nel suo ultimo governo.
    «Oggi è diventato una tigre. Un vero mastino con delega al Pnrr. Per Meloni e un punto di riferimento imprescindibile, non solo nel governo, ma in Europa».
    È il suo jolly a Bruxelles anche con la Commissione, ma soprattutto con il Ppe e con il gruppo dei Conservatori.
    «E sarà lui a costruire l'unione tra Ppe e Conservatori e riformisti»...
    Ma questa corrispondenza di amorosi sensi come può giovare alla perigliosa navigazione di Giorgia tra alleati e fratelli coltelli d'Italia?
    «Andreotti non aveva dubbi: le assidue frequentazioni con i Servizi alla fine portano male. Anche perché i generali dell'intelligence, diceva, sanno fare una sola guerra: quella tra di loro. Già si preparano a combattere i vicedirettori dell'Aise Zontilli e Boeri per sostituire il direttore Caravelli nel 2026».

 

25.05.23
  1. LA CINA NON SI METTERA' CONTRO LA RUSSIA :   Per quasi due secoli è stata conosciuta come Haishenwai ed era governata dalla dinastia Qing. Nel 1860, è passata all'impero russo con uno dei trattati "ineguali" del "secolo dell'umiliazione" che il Partito comunista ha giurato non tornerà più. Dal 1° giugno, Vladivostok tornerà un po' cinese. E senza bisogno di scontri armati come quelli dell'era di Mao Zedong. No, grazie a un accordo di cui si sta parlando moltissimo sui social di Pechino, il principale porto dell'estremo oriente russo diventerà di fatto un hub interno della Cina. Sarà utilizzato per trasportare merci dalla provincia Nord-orientale dello Jilin a quella orientale dello Zhejiang. Un risparmio enorme di tempi e costi per la Cina. Le merci arriveranno al porto di Vladivostok su rotaia o camion, senza dover pagare tariffe o tasse. E per arrivare a destinazione ci metteranno circa l'80% in meno.
    Già in precedenza c'erano stati accordi simili con la Russia, ma quello su Vladivostok ha un altro valore. Non solo per il significato storico ricoperto dalla città, ma soprattutto perché il porto ha usi sia commerciali sia militari. Il via libera all'accesso cinese è un ulteriore segnale di fiducia da parte del Cremlino. Ma anche di accresciuta dipendenza di Mosca da Pechino. Tendenza accentuata drammaticamente dopo la guerra in Ucraina che ha spinto sempre di più Vladimir Putin tra le braccia di Xi Jinping come àncora di salvezza economica, prima ancora che diplomatica.
    Proprio la cantieristica navale è uno dei settori individuati da Mikhail Mishustin in cui rafforzare la cooperazione bilaterale, insieme alla produzione di droni e all'agroalimentare. Il premier russo si è recato nei giorni scorsi in Cina insieme al responsabile dell'Energia Alexander Novak e a una serie di magnati di aziende russe, alcuni di loro sanzionati dall'Occidente. Tra questi Herman Gref, amministratore delegato di Sberbank of Russia e consigliere di vecchia data di Putin. Mishustin ha incontrato ieri Xi e l'omologo Li Qiang. Ne è uscita l'intenzione di portare la cooperazione a «un nuovo livello» e l'impegno a garantire stabilità alle catene di approvvigionamento in opposizione «alla pressione illegale delle sanzioni».
    Dopo l'aumento del 30% dell'interscambio nel 2022, le esportazioni russe sono aumentate del 67% nei primi 4 mesi del 2023 ed entro la fine dell'anno si prevede una crescita del 40% nel settore dell'energia, con il netto superamento dei 2 milioni di barili di greggio al giorno.
    Ma diversi analisti ritengono che con il 2023 si raggiungerà un "plateau" dell'import cinese di energia, che a oggi rappresenta il 74,5% delle importazioni totali di Pechino dalla Russia. Il viaggio di Mishustin andrebbe inteso dunque come un tentativo di diversificare le relazioni commerciali, anche perché Xi non sembra intenzionato a diventare troppo dipendente da gas e petrolio di Mosca. Secondo Reuters, Pechino sta infatti dando priorità a un nuovo gasdotto col Turkmenistan rispetto ai lavori sul Power of Siberia 2. Anzi, starebbe utilizzando l'annuncio del futuro collegamento con la Russia via Mongolia per far avanzare a prezzi meno alti il progetto dell'Asia centrale. La Cina punta tantissimo sulle repubbliche ex sovietiche, ospitate proprio la scorsa settimana a Xi'an per il primo vertice tra leader senza la Russia, con Putin costretto a concedere maggiore spazio di manovra rispetto al passato per l'accresciuto squilibrio nei rapporti con Pechino.
    Ma Mosca non vuole certo essere considerata un semplice sparring partner. E passare informazioni riservate alla Cina è ancora considerato alto tradimento. Nei giorni scorsi è stato arrestato Alexander Shiplyuk, direttore dell'Istituto siberiano Khristianovich di meccanica teorica e applicata. È accusato di aver consegnato materiale classificato durante una conferenza in Cina. Dal 2020 sono almeno tre i casi di scienziati e specialisti russi incriminati per spionaggio a favore di Pechino. Un segnale che Mosca non vuole perdere vantaggi tecnologici, nemmeno con un presunto amico senza limiti.

 

 

 

 

 

 

24.05.23
  1. Reddito, per una famiglia su due è inadeguato rispetto al costo della vita
    Sempre più famiglie in Italia si trovano a vivere situazioni di indebitamento, oltre a lamentare un generale peggioramento della propria situazione economica, determinata dalla crescita dell'inflazione, dalla perdita della capacità di spesa e dagli ancora elevati costi energetici.
    A rilevarlo è l'Osservatorio "SalvaLaTuaCasa" promosso da Esdebitami Retake, società benefit operante nella consulenza del debito. Tra le famiglie che affermano di contrarre debiti o che prelevano risparmi per far quadrare il proprio bilancio, 1 su 2 dichiara che il proprio reddito è inadeguato rispetto al costo della vita. Tra le motivazioni che contribuiscono a far crescere le difficoltà economiche degli italiani si aggiungono le elevate spese legate alla casa (27% degli intervistati), difficoltà lavorative (17%) e, inoltre, inaspettati problemi di salute e cambiamenti nella composizione del nucleo familiare.

 

23.05.23
  1. Nel 2022 il fisco italiano ha recuperato dalla lotta all’evasione oltre 20 miliardi di euro. Merito anche della digitalizzazione, con strumenti quali la fatturazione elettronica e l’invio telematico dei corrispettivi che hanno indotto una serie di contribuenti – tra cui gli evasori incalliti – a “ravvedersi”. È quanto si legge nell’ultimo report dell’Ufficio studi della Cgia sulla base di dati del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef).

    All’appello mancano ancora quasi 79 miliardi di euro di tasse ogni anno, un importo straordinariamente elevato, ma l’amministrazione finanziaria italiana sta migliorando la capacità di contrasto dell’infedeltà fiscale. Tra il 2015 e il 2020, infatti, l’evasione in Italia è scesa di 16,3 miliardi di euro. Il tax gap stimato dal Mef è sceso a 89,8 miliardi di euro, di cui 78,9 sono ascrivibili al mancato gettito tributario e gli altri 10,8 miliardi sono il “frutto” dell’evasione contributiva.

    Poco “sensibili” all’obbligo di adempimento fiscale – sottolinea lo studio della Cgia – sono anche “quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti milionari”, ma versano la grande maggioranza delle imposte “nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio”.


    Secondo la Cgia, l’Italia potrebbe, nel giro dei prossimi 4-5 anni, dimezzare l’evasione fiscale e allinearsi al dato medio europeo, ma occorre attuare una serie di misure, in cui la digitalizzazione delle procedure continuerà a svolgere un ruolo chiave. Bisognerà, per esempio, riuscire a incrociare in maniera più efficace le 161 banche dati fiscali che possiede la nostra amministrazione finanziaria.

    Serve, infine, “una seria riforma del fisco che tagli strutturalmente il peso del fisco su tutti i contribuenti”.

    Il digitale per la semplificazione
    In attesa dell’approvazione dei decreti attuativi, per l’Ufficio studi della Cgia “una riforma fiscale importante che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi”: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente; la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.

    L’evasione da Nord a Sud
    Nel 2020 il peso dell’economia non osservata sul valore aggiunto nazionale (Pil) era all’11,6%, pari a 174,6 miliardi di euro. Nelle varie aree del paese, il sommerso economico ha una diversa incidenza sulla ricchezza prodotta: del 9,2% a Nordovest, del 9,8% a Nordest, del 12% al Centro e addirittura del 16,8 % nel Mezzogiorno.

    Specularmente, si è distribuito per ogni regione il mancato gettito tributario e contributivo che, invece, si aggira attorno ai 90 miliardi di euro. In altre parole è come se, a livello nazionale, a fronte di ogni 100 euro di gettito incassato ne venissero evasi 13,2. Nel Nordovest, l’Ufficio studi della Cgia ha stimato che l’ammontare totale del gettito evaso sia pari a 23,4 miliardi di euro; pertanto ogni 100 euro incassati in questa ripartizione geografica gli evasori se ne trattengono 10,3, nel Nordest 11,1 (17,6 miliardi di gettito eroso dagli evasori), al Centro 13,6 (19,8 miliardi di gettito perso) e nel Mezzogiorno 19 (29,1 miliardi di gettito perso).
  2. CENSURA GIUDIZIARIA :    Come azionista Atlantia mi ero costituito parte civile nel processo sugli omicidi del Ponte Morandi , ma il Tribunale non mi ha ammesso con motivazioni irrilevanti che sottoporro' al CSM.Intanto Radio Radicale e' stata silenziata nel silenzio anche della stessa perche' il processo viene fatto senza alcuna motivazione giuridica  a porte chiuse .Perche' ? Per un fare sentire direttamente che :Il momento più drammatico si materializza dopo mezz'ora di audizione. «In una riunione fra manager e dirigenti emersero dubbi sul fatto che il Ponte Morandi potesse rimanere in piedi, a causa d'un grave difetto di progettazione. Io chiesi se c'era un ente terzo che certificasse la stabilità del viadotto, mi dissero che lo autocertificavamo. Quella risposta mi terrorizzò, ma non dissi e feci nulla. Tenevo al posto di lavoro. Castellucci (Giovanni, ex amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, ndr) era presente e pure lui non aggiunse niente».Gianni Mion, ex capo di Edizione ovvero la cassaforte della famiglia Benetton che controllava la holding Atlantia e a cascata Autostrade per l'Italia (Aspi), parla per mezza giornata, in qualità di testimone, al processo sulla strage del 14 agosto 2018 (43 vittime). Mion, in relazione a quella riunione, dice di non ricordarne con precisione la data, ma da accertamenti incrociati risulterebbe verosimile che si riferisca a un summit del 2010, otto anni prima del crollo. Molti passaggi della sua deposizione rappresentano il j'accuse più duro sentito finora, in materia di mancate manutenzioni.E uno dei legali del pool difensivo di Autostrade chiede di verificare se non sia a sua volta da iscrivere sul registro degli indagati, avendo palesato inerzia a valle di timori. Una mossa che, se accolta dal tribunale, renderebbe di fatto nulla sia la deposizione sia il verbale, altrettanto incisivo, che Mion aveva reso agli inquirenti sempre in qualità di teste nel corso dell'indagine (una specie di analogia con il caso Ruby Ter, sui pagamenti di Silvio Berlusconi alle Olgettine, finito in un nulla di fatto perché la Corte ha ritenuto che le ragazze andassero sentite da inquisite e non come semplici testi). E però il presidente dei giudici Paolo Lepri, ancorché precisi di volersi riservare sul punto, pare piuttosto tiepido.«Entrai in Edizione nel 1986 - precisa quindi Mion - e l'ho guidata per quasi trent'anni». Descrive poi l'Opa su Autostrade per privatizzarla (fine Anni 90) e la nascita di Atlantia, che controllava proprio il concessionario. «Era Gilberto Benetton (poi deceduto, ndr) a occuparsi specificamente del settore autostradale per la famiglia. Inizialmente ero io il tramite esclusivo tra loro, Vito Gamberale e Giovanni Castellucci (rispettivamente primo amministratore delegato e direttore generale quando Aspi fu privatizzata, poi Castellucci divenne ad, ndr). Con il passare del tempo il mio ruolo si affievolì, entrambi volevano avere un rapporto più diretto con la proprietà».Focalizza poi l'informazione nodale: «Si facevano periodiche riunioni, cosiddette di "induction", con i management delle varie società controllate. Erano importantissime».«In una si parlò del Morandi, me lo ricordo benissimo. E a quell'incontro parteciparono tra gli altri Castellucci e l'allora direttore generale Mollo di Aspi (Riccardo, imputato, ndr). Emerse la specificità del progetto di Riccardo Morandi. Io, che pure non sono tecnico, chiesi: c'è una certificazione di un agente esterno sulla percorribilità del Ponte?». Il pm lo contesta: «Lei alla Finanza, in un precedente interrogatorio, disse: "I tecnici rivelarono dubbi sul fatto che quel ponte potesse stare su e la rassicurazione fu "ce lo autocertifichiamo"». Mion conferma e il giudice Lepri chiede: «Chi rassicurò?». Mion: «L'ingegner Mollo. Io purtroppo non replicai, ma ero preoccupato. L'autocertificazione è una contraddizione in termini. Non condividevo, ma non dissi niente, è un mio rammarico».È qui che interviene Giorgio Perroni, uno dei difensori, e chiede che Mion sia a sua volta accusato. Il manager poi riprende: «Visto il tipo di opera, o la verifica un terzo o chiudi il Ponte. Ma l'autocertificazione sembrava assurda soltanto a me, nessun altro aveva dubbi, erano tutti d'accordo. C'era anche Gilberto Benetton».Gli chiedono di spiegare il significato d'una telefonata del 26 gennaio 2021 a Bertazzo (Carlo, allora amministratore delegato di Atlantia, non imputato): «Se sapevi che aveva difetto di progettazione - diceva Mion al cellulare - perché non ci hai pensato prima? Si sapeva da sempre che il Ponte aveva un problema di progettazione. Abbiamo comprato Aspi, la nostra responsabilità era dire "sì ragazzi bisogna rifare 'sto ponte"». In aula si limita a puntualizzare: «Non ho capito perché non l'abbiamo fatto».Le domande della procura vertono ora sulla figura di Castellucci, presente, che scuote la testa. «Lo feci assumere io: lo proposi prima come dg Aspi, poi quale amministratore delegato dopo la mancata fusione con Abertis. Approfondiva tutto, andava nei dettagli, era un accentratore forsennato». Il pm: «Perché disse alla Finanza "hanno fatto i furbi per far assolvere Castellucci nel processo sulla strage di Avellino (un pullman nel 2013 precipitò da un viadotto Aspi anche per le imperfette condizioni del new-jersey, ndr)?"». Mion: «Non era pensabile non sapesse. Basti ricordare che per l'aeroporto di Roma (a un certo punto passato sotto il controllo di Atlantia, ndr) fece pure il protocollo sulla pulitura delle finestre».Ancora, Mion ricorda la stima di Gilberto Benetton per Castellucci. E il pm chiede se questa fosse legata ai risultati di gestione. «Anche per quello - dice Mion -. I risultati economici erano molto buoni, l'azienda redditizia e i dividendi alti. I grandi azionisti erano molto soddisfatti di Castellucci». Il pm: «Ricorda pressioni per aumentare i dividendi a scapito di costi e manutenzioni?». Il testimone: «Che io sappia no».Il contro-esame dei difensori serve a ricordare che Mion rientrò poi in Edizione, ma soprattutto che ai primi del 2020 incontrò informalmente l'ex procuratore capo Francesco Cozzi: «Gli chiesi io di vederci nel suo ufficio. Parlammo del Morandi e lui mi disse "non avete messo i sensori, quindi non avete fatto tutto quello che si doveva fare". Eravamo soli, io e lui, e in generale focalizzammo il collasso del sistema di controllo: noi pensavamo che anche Anas e Ministero, a un certo punto, verificassero qualcosa. Affrontammo poi altri temi fra i quali il mantenimento della concessione e i test alle gallerie, ne era appena crollata una sull'A26. Non fu fatto alcun verbale».
  3. DELINQUENZA ECONOMICA  : Parla con calma e però a un certo punto la mette giù senza giri di parole: «Via via che i test erano validati da società esterne al gruppo, ci rendevamo conto che in precedenza erano stati attribuiti coefficienti di rischio ad alcune opere decisamente inferiori allo stato effettivo dell'infrastruttura: in alcuni casi rilevammo un incremento anche del 200%. I comportamenti di alcuni dipendenti di Spea Engineering (azienda collegata ad Autostrade delegata ai monitoraggi, ndr) erano inaccettabili: non la ritenevamo affidabile, perciò ci rivolgemmo all'esterno».
    Roberto Tomasi, amministratore delegato di Aspi (tornata sotto il controllo pubblico con l'ingresso di Cassa depositi e prestiti), e succeduto a Giovanni Castellucci, aveva parlato appena prima di Gianni Mion, nella giornata che il tribunale ha dedicato all'audizione dei supermanager. Tomasi non è coinvolto né in questo né in procedimenti collegati ed è stato sentito come testimone, senza l'affiancamento d'un legale.
    «Fino al mio incarico di direttore generale (ottobre 2018, giunto nel 2015 in Aspi da Enel, ndr) non mi ero mai occupato di manutenzioni. Nel febbraio 2019 fui nominato amministratore delegato, con deleghe limitate. Non avevo quella sulla gestione finanziaria della società o ai rapporti con il concedente (lo Stato, ndr). Nell'autunno 2019, dopo la diffusione di alcune intercettazioni, Castellucci si dimise anche da Atlantia (in precedenza aveva lasciato l'incarico di capo azienda in Autostrade, ndr) e a quel punto passarono a me pure le altre competenze, molto importanti». Chiede il pm Walter Cotugno: «Cosa accadde in Aspi da lì in avanti?». E Tomasi: «Si discuteva di come mantenere la concessione, finché una notte di luglio 2020 fu perfezionato l'accordo transattivo per l'ingresso di Cdp: si trattò di un atto molto complesso».
    Si torna adesso indietro di 2-3 anni, al tempo in cui era appena diventato ad di Autostrade. Il pm: «Sono aumentati i lavori sulla rete?». Risposta: «Certamente sì, sulle attività di ammodernamento e manutenzione abbiamo investito molto, in particolare con il capitolo su gallerie e viadotti».
    L'incremento, certificato da slide mostrate in aula, fece schizzare le spese da 264 a 769 milioni di euro fra 2017 e 2021, tra quota base e piano straordinario. «Nel piano straordinario - è ancora Tomasi a parlare - erano inclusi specificamente i restyling a gallerie e ponti». Insiste il pubblico ministero: «Cambiaste il soggetto delegato alla sorveglianza?». E il dirigente è netto: «Spea Engineering fu affiancata dalle esterne Speri e Progear: subito per 16 opere, poi per 33, infine per tutte. Ci rendevamo conto che c'era divergenza tra i punteggi in precedenza attribuiti da Spea e quelli delle società terze, abbiamo rilevato per anni un incremento dei coefficienti di rischio (segno che prima c'era stata una sottovalutazione, ndr). Emergeva uno stato peggiore della rete, sostanzialmente peggiore, anche un più 200% nell'aumento dei punteggi sui pericoli... e ancor più deficitario era il quadro conoscitivo sulle gallerie. Al novembre 2022, avevamo trovato nei tunnel liguri 6mila difetti non segnalati da Spea; 27mila su quelli italiani». Il pm: «All'esito di questi nuovi controlli sulle opere d'arte, emersero valutazioni 70 (il massimo di rischio, ndr) a seguito delle quali si profilava come soluzione per evitare pericoli la chiusura dell'infrastruttura?» «Sì», insiste lapidario Tomasi.
    Va ricordato che Tomasi era stato intercettato nel corso delle indagini, e le sue rivelazioni hanno permesso di appurare con maggiore certezza come durante riunioni tecniche d'alto livello il capo nazionale delle manutenzioni di Autostrade Michele Donferri Mitelli (imputato) ordinasse di abbassare a tavolino i coefficienti di pericolo su varie opere. E a un certo punto chiese espressamente di ridimensionare la valutazione del rischio-stabilità sul Ponte Morandi, almeno un anno prima della strage, con precise finalità economiche.
    Lo si comprende da un dialogo - agli atti - appunto fra Tomasi e il responsabile dell'ufficio legale di Autostrade Amedeo Gagliardi (non indagato o imputato). L'11 dicembre 2019 fanno riferimento con stupore alla lettura, da parte dello stesso Gagliardi, d'una serie di trascrizioni. Secondo gli inquirenti è la sbobinatura delle captazioni clandestine effettuate da Marco Vezil di Spea Engineering tra il 2016 e il 2017 a margine degli incontri con Donferri. Ed è in uno di quei summit che, perlomeno in base a quanto riferito da Gagliardi a Tomasi, di nuovo Donferri ordina di ammorbidire i dati sulla pericolosità del viadotto del capoluogo ligure, motivando quest'input con l'imminente ingresso di soci tedeschi e cinesi e con la necessità di contenere i costi in vista d'un consiglio d'amministrazione.
  4. UNA CARTABIA DA CANCELLARE : Tre Procure della Repubblica – Bologna, Ravenna e Forlì-Cesena – lavorano sull'alluvione in Romagna. Per ora si tratta per lo più di fascicoli a modello 45, ovvero senza titolo di reato né indagati, e legati ai decessi. Atti dovuti. C'è un'eccezione a Ravenna. Dove la Procura ha aperto cinque fascicoli senza ipotesi di reato, tra cui quelli relativi ai due coniugi di 73 e 71 anni, morti mentre erano rientrati in casa nonostante l'allagamento per spostare un frigorifero che li avrebbe prima folgorati e poi schiacciati. Ma per un sesto caso ipotizza l'omicidio colposo: riguarda la morte di un 75enne che aveva deciso di restare in casa nonostante gli inviti all'evacuazione. I vicini di casa hanno raccontato di aver chiamato i soccorsi per tre quarti d'ora, invano.
    Non risultano, a oggi, indagini «sistemiche» sulla gestione del territorio e sui sistemi di allerta. Le fonti giudiziarie sono molto prudenti su questi fronti. Le prime valutazioni indicano che le caratteristiche del disastro siano tali da non giustificare iniziative d'ufficio. Quando arriveranno sulle scrivanie dei procuratori esposti e denunce da parte di privati, esponenti delle istituzioni e associazioni si valuterà. Ivan Mantovani, sindaco di Monterenzio, ne ha già annunciato uno. Si può già delineare il quadro normativo e giurisprudenziale entro cui si dovrebbero muovere queste inchieste. Lo ha illustrato Pasquale Fimiani, avvocato generale della Corte di Cassazione, intervenendo domenica a Modena nel convegno organizzato dalla fondazione Occorsio in chiusura del Festival della giustizia penale.
    La storia dei disastri naturali in Italia è costellata di indagini giudiziarie, ma poche sono arrivate in porto con sentenze di condanna. Quanto alla gestione dell'emergenza hanno fatto scuola i casi di Sarno e Genova, dove i processi si sono conclusi con condanne definitive perché l'emergenza non era stata gestita adeguatamente. L'alluvione di Sarno, tra il 5 e il 6 maggio 1998, provocò la morte di 137 persone. Nel 2013, dopo una prima assoluzione annullata dalla Cassazione, il sindaco dell'epoca è stato condannato a cinque anni per la condotta negligente di non aver ordinato l'evacuazione della popolazione. A Genova, l'ex sindaca Marta Vincenzi è stata condannata a tre anni per omicidio colposo, disastro e falso per l'alluvione del 2011.
    Quanto ai processi sulle responsabilità sui disastri, fa testo il terremoto de L'Aquila del 2009. Il controverso processo agli esperti della commissione grandi rischi si è giocato sulle questioni della prevedibilità e della prevenibilità dell'evento. La sentenza di assoluzione prescrive tre condizioni – definizione della sfera del rischio, modalità di gestione, disponibilità economica – per configurare una «cooperazione colposa».
    La Procura di Piacenza aveva archiviato l'inchiesta sul crollo di una strada causata dall'alluvione del 2015 in val Nure (la voragine aveva inghiottito tre persone) sottolineando «la pronta attivazione del sistema di allarme», ma soprattutto la natura «eccezionale, catastrofica e non prevedibile» dell'evento. Significativo anche il passaggio sul «contesto di risorse disponibili per le pubbliche amministrazioni», a fronte di «molteplici situazioni di dissesto idrogeologico che hanno richiesto interventi urgenti». A ciò bisogna aggiungere che la riforma Cartabia ha cambiato la regola di giudizio per pm e gip. Per celebrare un processo non basta più «l'idoneità degli elementi a sostenere il giudizio», ma occorre «la ragionevole previsione di condanna». Difficile da acquisire per ipotesi di condotte colpose, per lo più discrezionali e omissive, a fronte di eventi atmosferici estremi.
  5. CI SI PUO' FIDARE DI XI ?Proteste ufficiali al Giappone, un documento sulla «coercizione economica» degli Stati Uniti, visite incrociate con la Russia. E lo stop a Micron, uno dei colossi americani dei microchip. La Cina non ha apprezzato il G7 di Hiroshima. Sul piano diplomatico, ha convocato l'ambasciatore giapponese Tarumi Hideo, per contestare le «diffamazioni» subite al vertice. Particolare stizza nei confronti di Rishi Sunak, che a Hiroshima ha definito la Cina «la più grande minaccia alla sicurezza e alla prosperità globali». L'ambasciata di Pechino a Londra ha detto che il premier britannico ripete «a pappagallo parole di altri». Sul fronte economico, il ministero degli Esteri ha pubblicato un lungo documento in cui ribalta le accuse di «coercizione economica», girandole verso gli Usa. Citando casi di embargo, sanzioni e restrizioni, Pechino sostiene che sia Washington a «danneggiare la stabilità globale». La «riduzione del rischio», formula coniata dall'Unione europea e adottata ora dagli Usa, è bollata dai media di stato come «decoupling mascherato». Soprattutto sul fronte tecnologico. Non a caso la reazione finora più concreta di Pechino è sul fronte dei semiconduttori, col divieto agli operatori di infrastrutture chiave di usare prodotti di Micron a causa di «rischi per la sicurezza». La stessa accusa utilizzata dalla Casa Bianca per aumentare i controlli alle esportazioni di chip in chiave anti-cinese.
    Sul piano politico, la Cina lamenta il tentativo di internazionalizzare la questione Taiwan. E infastidisce il filo rosso tessuto dal Giappone tra guerra e Asia-Pacifico, che Fumio Kishida ha più volte detto che rischia di diventare «la prossima Ucraina». Anche la partecipazione di altri Paesi asiatici come Corea del Sud e Vietnam non è stata apprezzata. La presenza di Volodymyr Zelensky non è stata criticata apertamente, ma l'invio di F-16 rafforzerà la narrativa secondo cui Usa e Occidente «gettano benzina sul fuoco» e le parole di pace del G7 «non credibili». Pechino si descrive come l'unica potenza in grado di parlare sia con Kiev sia con Mosca, mentre aumentano le tensioni con l'India, l'altro Paese neutrale che in Occidente qualcuno immagina mediatore, ancor di più dopo l'incontro tra Zelensky e Narendra Modi. La Cina ha boicottato la ministeriale turismo del G20, fissata da Nuova Delhi in un territorio conteso del Kashmir.
    Nel frattempo, fitta agenda di incontri sinorussi. Ieri c'è stato un colloquio tra Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza, e Chen Wenqing, membro del Politburo del Partito Comunista che supervisiona polizia e intelligence. Atteso a Mosca Li Hui, inviato speciale per la guerra reduce dalle tappe in Ucraina e in vari paesi europei. Oggi invece il premier russo Mikhail Mishustin è al Russia-China Business Forum di Shanghai, prima di incontrare l'omologo Li Qiang e Xi Jinping. Con lui un'ampia delegazione che comprende rappresentanti di aziende di magnati sanzionati dall'Occidente. Focus su petrolio e gas mentre, secondo Tass, le esportazioni russe in Cina sono aumentate del 67,2% su base annuale tra gennaio e aprile. Quelle cinesi in Russia sarebbero cresciute addirittura del 153% ad aprile.
    Sullo sfondo si intravede però una ripresa del dialogo tra Pechino e Washington. Al termine del G7, Biden ha previsto un «rapido disgelo». Nei prossimi giorni è atteso negli Usa il ministro del Commercio cinese Wang Wentao. Potrebbero a breve fare il percorso inverso: Blinken, Janet Yellen e John Kerry. Il dialogo potrebbe ripartire anche sul fronte militare, su cui i rapporti sono interrotti dal viaggio a Taiwan di Nancy Pelosi. La Casa Bianca sta considerando la «riabilitazione» di Li Shangfu, il generale neo ministro della Difesa sanzionato dal 2018 per l'acquisto di armi russe. Mossa utile a favorire un incontro col segretario alla Difesa Lloyd Austin allo Shangri-La Dialogue di Singapore, il principale summit di sicurezza dell'Asia-Pacifico.
  6. SEXGATES: La vasta rete di connessioni e complicità ordita da Jeffrey Epstein ha penetrato palazzi di potere della Corporate America, come quello di Redmond, quartier generale di Microsoft, andandosi a insinuare ai piani alti. O meglio al piano più alto quello di Bill Gates, un altro personaggio illustre ad essere associato al finanziere newyorkese. Il quale non solo ha minacciato il co-fondatore di Microsoft, ma lo ha addirittura ricattato via e-mail per la relazione extraconiugale con una giocatrice di bridge russa. È il Wall Street Journal a levare i veli all'ennesimo capitolo della saga criminale del finanziere 66 enne travolto dallo scandalo sessuale che lo ha visto accusato di abusi, sfruttamento della prostituzione e traffico di minori. Epstein è stato trovato morto il 10 agosto 2019 dopo essersi presumibilmente impiccato nella cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan, dove era recluso in attesa del processo.
    Era noto che nella lista di conoscenti di Epstein ci fosse anche Gates, ma ora emerge che i rapporti tra i due erano decisamente più complessi di quanto si sapesse in precedenza. Dopo aver incontrato la giocatrice di bridge russa Mila Antonova nel 2013 - spiega il Journal - il finanziere scopre la presunta liaison con Gates che la donna aveva conosciuto nel 2010 ad un torneo di carte quando lei era ventenne. Successivamente minaccia di rivelare tutto, visto che all'epoca il co-fondatore di Microsoft era ancora sposato con l'ex moglie Melinda French. Epstein chiede a Gates di rimborsargli le spese sostenute per iscrivere la giovane a un corso di programmazione di software presso il colosso di Redmond. Una ritorsione a quanto sembra, scatenata dal fatto che il finanziere non era riuscito a convincere il re del software a sostenere una fondazione di beneficenza creata per rifarsi una reputazione offuscata da una precedente condanna per abuso sessuale di una minorenne. La sentenza era giunta da un tribunale dello Stato della Florida nel 2008 che lo aveva giudicato colpevole di aver sollecitato la prostituzione di una minorenne e finendo in carcere.
    Nel 2017, quindi, il finanziere invia un'e-mail al co-fondatore di Microsoft chiedendo di essere rimborsato per il costo della scuola. "Bill Gates ha incontrato Epstein esclusivamente per scopi filantropici - fa sapere un suo portavoce - Avendo ripetutamente fallito nel trascinarlo oltre tali questioni, ha tentato senza successo di sfruttare una relazione passata per minacciarlo". Già un paio di anni fa, a pochi giorni dall'ufficializzazione del divorzio da Melinda, Gates diede ragione all'ormai ex moglie facendo mea culpa per la frequentazione, che peraltro sarebbe stata uno dei motivi che hanno portato la moglie a chiedere il divorzio. Il co-fondatore di Microsoft ha definito il rapporto con il finanziere un "enorme errore", pur ribadendo di averlo incontrato soltanto perché sperava di raccogliere più fondi per le sue cause filantropiche. Gates ha incontrato Epstein diverse volte a partire dal 2011: è stato a cena nella sua casa a New York, e ha volato sul suo aereo privato dal New Jersey alla Florida nel marzo 2013. Antonova ha rifiutato di commentare sulla relazione con Gates, ma ha assicurato che non sapeva chi fosse Epstein quando si sono incontrati. «Non avevo idea che fosse un criminale o che avesse secondi fini - ha sottolineato - Pensavo solo che fosse un uomo d'affari di successo e mi volesse aiutare».
    Una vicenda infinita quella del finanziere newyorkese: di recente Deutsche Bank è stata costretta a impegnarsi a pagare 75 milioni di dollari per chiudere in via extragiudiziale una potenziale causa collettiva che lo vede accusato di aver facilitato il giro di sfruttamento sessuale del finanziere americano. La "class action" era stata avviata lo scorso anno a New York da una donna anche e per conto di altre accusatrici dell'ex milionario. Deutsche Bank era coinvolta nel caso perché accusata di aver fatto affari con Epstein nonostante sapesse che il denaro dei suoi conti venisse utilizzato per attività illecite legate al traffico sessuale di minorenni. Il finanziere aveva avviato i suoi affari con la banca tedesca dopo che Jp Morgan Chase con cui faceva affari dal 1998 aveva liquidato i suoi conti nel 2013 in seguito alle sue vicende giudiziarie.
  7. Baiardo ambasciatore mafioso:
    Questo Baiardo comincia a diventare stucchevole, oltreché losco: rivela, minaccia, confida, prevede, allude, chiede soldi; non sembra aver paura, né che gli tappino la bocca i suoi vecchi sodali, né che qualche giudice gli metta le manette (e, francamente, non si capisce il perché non lo facciano). Si capisce perché la trasmissione di Giletti su La 7 sia stata chiusa – l'editore non voleva finire nei guai -, si capisce meno perché la Rai abbia mandato in onda ieri sera un'ennesima puntata della saga del gelataio, in cui Baiardo rivela che l'ormai famosa foto (virtuale) del trio Berlusconi – Graviano – Generale dei CC Delfino, seduti tranquilli al bar della piazza di Orta San Giulio, sono non una, ma tre e che le ha scattate lui. A poco sono servite le proteste dei legali e della famiglia Berlusconi, per l'infamia che sottendono; se La 7 si è ritirata dallo show, la Rai insiste; e io non riesco veramente a capire il perché. Né, di nuovo, capisco perché carabinieri o magistrati lascino libero Baiardo di imperversare, da sei mesi. Forse pensano di risalire attraverso di lui ai suoi mandanti?
    O forse pensano di lasciar passare senza troppi colpi di scena, l'anniversario della strage di Capaci, il trentunesimo per l'esattezza: un altro secolo, un'altra vita, un'altra generazione.
    O forse c'è – intorno a Baiardo – qualcosa di indecoroso e di indicibile.
    Nelle righe che seguono vi propongo di riconsiderare una sequela di eventi, la maggior parte dimenticati, che formano una possibile narrazione, come si dice ora.
    Dunque, nel 1992, Giuseppe Graviano, boss palermitano semi sconosciuto, ma in realtà molto ricco, molto potente e molto protetto, conduce una latitanza dorata e senza problemi di sicurezza tra il paese di Omegna e Milano, dove ha "nella sua disponibilità", un appartamento a Milano 3, la creatura di Berlusconi, con cui, dice lui, è in rapporti di affari (affari molti seri). Ad Omegna è invece è Salvatore Baiardo, un affiliato al clan, a fargli da segretario e autista tuttofare. Il generale dei carabinieri Francesco Delfino, dopo anni passati a Miano ad occuparsi di sequestri di persona (il suo reparto, piuttosto che "La Benemerita" era chiamato "La Benestante", perché il generale, quando liberava un rapito, lo convinceva a ringraziare l'Arma). Delfino conosceva Berlusconi? Non c'è prova, ma è probabile, di certo pescò tra i carabinieri gli uomini per la sicurezza privata della sua famiglia. Delfino conosceva Graviano? Sicuramente, in quanto Graviano gli fece fare "il colpo del secolo", con l'arresto dell'autista di Riina, nel paese di Borgomanero, a pochi chilometri da Orta. Non solo, ma Delfino si premurò di avvertire, sei mesi prima del fatto, politici potenti che sarebbe stato lui ad arrestare Riina. Giuseppe Graviano, tre anni fa, pubblicamente rivelerà di conoscere Delfino e si vanterà di aver fatto un servizio allo Stato contribuendo alla cattura di Riina. (E' un argomento che il generale Mario Mori, uscito indenne dopo un ventennio dal famoso processo trattativa, non ama affrontare. Il merito tocca a lui. Delfino non ribatte, perché è morto, in disgrazia peraltro).
    Dunque, sicuramente la notizia della foto che ritrae il trio è falsa, ma naturalmente è verosimile; siamo insomma nella situazione peggiore.
    Ma torniamo al nostro gelataio. Salvatore Baiardo il 27 gennaio 1994 accompagna con la sua Mercedes 190 i Graviano Giuseppe e Filippo da Omegna a Milano. I due, le loro fidanzate e altri amici palermitani, vengono arrestati la sera mentre mangiano al ristorante. Ma nessuno trova loro le chiavi di casa, né di Omegna, né di Milano Tre. In sostanza, un po' come era successo per la casa di Riina a Palermo, nessuno tocca le sue cose, i suoi documenti, i suoi effetti personali, i suoi soldi o i suoi telefoni. Salvatore Baiardo sarà arrestato più di un anno dopo e accusato di reati gravissimi: avrebbe organizzato la logistica dell'attentato degli Uffizi a Firenze, organizzato un imponente riciclaggio di denaro per contro dei Graviano. È verosimile che Baiardo abbia preso in consegna gli effetti personali dei fratelli Graviano? Sì.
    Molto strano è il passaggio di Salvatore Baiardo attraverso il mondo giudiziario. Arrestato dalla DIA di Firenze e passato sotto la supervisione di Pier Luigi Vigna, parla molto, ma non mette a verbale. Fa nomi, elenca circostanze, ricostruisce la filiera dei soldi, ma non diventa un "collaboratore di giustizia". Viene liberato dopo due anni e due mesi. Quando si andrà a processo, sorpresa: contro di lui Vigna firma solo una richiesta – risibile – per favoreggiamento. E per questo viene liberato e perdonato. Se ci sia stata una trattativa privata tra il procuratore e l'imputato non si saprà mai.
    Vigna intanto è diventato procuratore nazionale antimafia e quell'esperienza "baiardesca" gli viene utile, quando, luglio 1997, viene arrestato a Palermo Gaspare Spatuzza, il killer più in gamba del clan Graviano. Spatuzza e Baiardo si conoscono, eccome. Il clan Brancaccio si sta dissolvendo, tra pentiti e semi pentiti. Gaspare Spatuzza non è da meno e spiffera tutto subito: "se volete la verità, guardate a Milano Due" sono le sue prime parole: il procuratore Vigna lo cura, lo fa trasferire al carcere di Tolmezzo (il penitenziario preferito per colloqui riservati) e lì, insieme al suo vice Piero Grasso, Spatuzza racconta tutto, luglio 1998, ma proprio tutto: le stragi, Capaci, via D'Amelio, i Graviano, Dell'Utri, Berlusconi, la nascita di Forza Italia, l'impostura del falso pentito Scarantino, il ruolo malefico del questore Arnaldo La Barbera. Ne esce un verbale di 164 pagine, che dovrebbe essere studiato nelle scuole (e che i lettori possono facilmente trovare online digitando "Il Post"-"Deaglio"-"Spatuzza"), con un particolare succoso: quando sembra che l'accordo sia fatto, Spatuzza non firma, affermando che le garanzie per sua moglie non sono sufficienti. Succede spesso così, nelle grandi trattative, ma stranamente Vigna non rilancia; eppure era facile: avrebbe potuto coprirla d'oro la moglie di Spatuzza e lui medesimo, la coppia era terribilmente venale. Per dire, quando Spatuzza uccise don Puglisi, al Brancaccio, prese dal suo portafoglio la marca della patente. Quando Graviano gli impose di controllare i freni della Fiat 126 che avrebbe ucciso Borsellino, si fece dare cinquantamila lire, ma non li diede al meccanico).
    E invece, niente, i tre si salutano… Resta però un verbale scritto (quello audio invece pare proprio si sia perso) che riaffiora quindici anni dopo in un dimenticato faldone della procura di Caltanissetta, davanti alla quale Spatuzza nel 2010 ha finalmente concluso la trattativa sul suo pentimento light. E dire che quel documento non avrebbe mai dovuto saltare fuori.
    C'è un altro particolare che lega Baiardo a questa grande vicenda. Nel 2010, quando, insieme a Spatuzza viene resa nota la testimonianza di tale Fabio Tranchina ("Giuseppe Graviano ha schiacciato il telecomando di via D'Amelio"), il gelataio di Omegna si fa vivo con i giornali: io so la verità! Tranchina mente, quel giorno Graviano era con me ad Omegna, un poliziotto può testimoniarlo; si fa forte del fatto che, in fin dei conti, è stato solo un favoreggiatore, reato minore. L'alibi era palesemente falso, ma nessuno neanche pensa di incriminare Baiardo. Chissà perché.
    Ora, quindici anni dopo, tutto sembra dimenticato e Salvatore Baiardo è in grado di tenere sulla corda mezzo mondo. Ha la foto del Trio, ha visto, anzi l'ha addirittura fotocopiata, l'Agenda Rossa di Borsellino, ha trattato una soluzione del caso con Paolo Berlusconi, sta per pubblicare un libro, nessuno lo può fermare, Tik Tok lo ospita volentieri, Report anche. Sa anche perché è stato ucciso Falcone: l'hanno ucciso i comunisti perché indagava sui finanziamenti russi al Pci.
    Ma davvero siamo ridotti così, che dopo 31 anni di antimafia, chi comanda la scena è il gelataio di Omegna?
    L'altro ieri ero a Capaci, a parlare di queste cose, in piazza. Capaci è diventato un bel paese, ben amministrato, solido e temprato dalla storia. Ma tutti i presenti sapevano che la memoria del boato venuto dal sottosuolo dell'autostrada non li abbandonerà mai. Un uomo adulto, (che continua a chiamarsi "ragazzo"), ha raccontato di come il 23 maggio 1992 lui, che era ragazzo davvero e fotografo di matrimoni per professione, fosse stato il primo a recarsi sul cratere. Abitava a cento metri, scattò rullini di panoramiche. Poco dopo arrivò il vice questore Arnaldo La Barbera, che gli fece sequestrare i rullini. Un altro uomo adulto ha raccontato che all'epoca era garzone in una panetteria e venne un uomo, del paese, ad ordinare venti panini, per i suoi operai che facevano un lavoro.
    Sulla collinetta, è stato ricordato, dove adesso è scritto "No Mafia" (che non si capisce se voglia dire, come "no global", non è stata la mafia, o se voglia dire semplicemente: non vogliamo la mafia), c'era Antonino Gioè, per conto dei servizi segreti italiani, probabilmente uno dei destinatari dei venti panini. Gioè venne arrestato l'anno dopo, e portato a Rebibbia. A Rebibbia era stato anche portato Salvatore Riina, il capo dei capi. Stranamente Riina, in carcere, disponeva di un telefono cellulare. Stranamente Gioè aveva la cella vicina alla sua. Stranamente, Gioè venne trovato morto – impiccato? – nel luglio 1993. "Si è pentito di quello che ha fatto" disse il generale Mori. Non ci fu mai un'inchiesta, nessuna curiosità, in trentun anni. E tutt'ora, che sarebbe ancora possibile.
    Oggi è l'anniversario, e Baiardo è l'unico a festeggiarlo. E' diventato famoso, ha vinto. Ed è un peccato che noi – noi opinione pubblica, noi magistrati, noi Stato, noi giornalisti gli abbiamo permesso tutto questo scempio di verità.
    Resta davvero l'amaro in bocca, inoltre, che la verità si sapesse fin dall'inizio e che sia stata così facilmente occultata. —

 

 

 

 

 

 

 

22.05.23
  1. PRNN FLOP : L'intervento del ministro Fitto ha chiuso il dibattito organizzato dalla fondazione Vittorio Occorsio nell'ambito del festival della giustizia penale a Modena. Magistrati, accademici e avvocati d'accordo: il destino del Pnrr in termini di trasparenza, legalità ed efficacia non dipenderà dallo spauracchio delle inchieste penali, ma da puntuali controlli amministrativi e contabili. Ed è su questo fronte, non sul «legittimo ma ozioso dibattito sull'abuso d'ufficio, che peraltro non suonerà bene alle orecchie europee», che si sofferma il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
    I motivi di «grande preoccupazione dal mio osservatorio carente di ottimismo» sono tanti: «I controlli antimafia sono stati indeboliti, come dimostrano le attività delle prefetture; banche e imprese non collaborano fornendo i dati sui percettori dei fondi; c'è una carenza allarmante di know how sui controlli preventivi in materia ambientale e digitale; le imprese legali ricorrono ai servizi di quelle mafiose; la polverizzazione delle stazioni appaltanti è crescente». Ce n'è anche per il sistema giustizia, «che risponde a logiche microcorporative, non a obiettivi di efficienza».
  2. METODO SBAGLIATO: Sostiene Raffaele Fitto, il ministro che ha in mano il dossier del Pnrr su cui si gioca il destino del governo e del Paese, che «è questione di pochi giorni, poi sarà tutto chiaro. Io non mi faccio condizionare da attacchi al limite degli insulti, che mirano a screditarci in un gioco di sponda tra Roma e Bruxelles, né distrarre da un dibattito surreale come quello sull'uso dei fondi del Pnrr per il dissesto idrogeologico. Noi stiamo lavorando e porteremo in Europa fatti, non chiacchiere, per spiegare perché il Pnrr va smantellato e profondamente cambiato anche negli obiettivi. Altrimenti ci facciamo molto, molto male».
    L'analisi di Fitto parte dai numeri, «scusate lo so che in Italia sembra strano o provocatorio, ma serve una diagnosi reale per non sbagliare terapia. In pochi mesi abbiamo monitorato l'utilizzo dei fondi europei 2014-2020. Tre anni dopo la scadenza, su 126 miliardi ne abbiamo speso il 34%. Vogliamo riproporre questo schema con i fondi del Pnrr che sono quasi il doppio (ai 220 miliardi bisogna aggiungere i 30 del fondo complementare), con meno della metà di tempo di spesa, regole e vincoli molto più rigidi? Il calcolo è facile. Giugno 2026 sembra lontano, ma è vicinissimo. Questo è il problema».
    Idee chiare
    La ricognizione dello stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, decisa dal governo per rinegoziare i contenuti concordati da Draghi, è praticamente conclusa. Mancano alcuni dettagli, ma nella sostanza il dado è tratto e Fitto ha le idee chiare. Non si tratterà di cosmesi o di chirurgia di precisione, ma di uno «smantellamento con la revisione strutturale anche di alcuni obiettivi previsti due anni fa e ormai superati dagli eventi».
    Questa è la conseguenza inevitabile che scaturisce dalla «oggettiva constatazione che «gran parte del Pnrr non è spendibile. C'è un problema di quantità di interventi e uno di qualità. Non si può spendere tanto per spendere. Quindi noi stiamo immaginando dei cambiamenti importanti. Ciò comporterà il definanziamento di una serie di interventi non strategici, su cui abbiamo acquisito la certezza di non realizzabilità».
    Il catalogo non sarà breve. «Ci stiamo lavorando con senso di responsabilità». Sicuramente il capitolo infrastrutture sarà notevolmente sforbiciato. «Quelle grandi non sono tutte realizzabili, perché il sistema imprenditoriale italiano non è in grado di triplicare in un anno questo genere di interventi».
    La trappola finanziaria
    Si può stimare un taglio del 30% delle grandi opere. Quanto alle piccole, il problema è «la polverizzazione in decine di migliaia di progetti. Per lo più preesistenti al Pnrr, che per questo motivo richiedono un supplemento di valutazione. Serve una riflessione all'insegna del realismo, alla luce dei meccanismi di controllo europei: campionamento a sorteggio e restituzione di tutto il finanziamento in caso di mancata realizzazione anche solo dell'1% di un'opera, una beffa con effetti pesanti sulle finanze pubbliche».
    Per Comuni e Regioni, che rischiano di perdere pingui fonti di spesa, si ragionerà su compensazioni con gli altri due fondi (sviluppo e coesione) che Fitto vuole mettere a fattore comune «secondo il principio dei vasi comunicanti», visto che hanno scadenze più lunghe e regole più lasche.
    Guerra ed energia
    Considerando che nel Pnrr ci sono 110 miliardi di opere pubbliche su 220 totali, l'impatto della revisione sarà gigantesco. Scartata l'idea di rinunciare ai fondi, si tratta di decidere dove ricollocarli. Sul punto vacilla persino la mitezza dorotea di Fitto, mai intaccata dall'approdo meloniano. «Si fa un dibattito surreale, privo di lucidità e concretezza» ipotizzando di cambiare i progetti in corso d'opera, a seconda dell'emergenza contingente: ieri l'immigrazione, oggi le alluvioni, domani chissà.
    Il ragionamento di Fitto è che «non si possono sostituire gli interventi del piano, in gran parte ereditati dal passato, anacronistici e comunque in ritardo, inventandone di nuovi ancora da progettare e a maggior ragione irrealizzabili in tre anni. I ritardi nella spesa sul dissesto idrogeologico, con progetti per 2,5 miliardi già esistenti e inseriti nel Pnrr dal governo Draghi, dovrebbero essere una lezione. Bisogna cambiare gli obiettivi». A cominciare da alcuni dei 27 legati alla quarta rata da 16 miliardi, con scadenza a giugno. Entrano nella trattativa, che in ogni caso si chiuderà entro la fine di agosto. «Questa è la finestra, il momento di un'operazione verità».
    Il bando flop
    Della categoria «obiettivi non raggiunti» fa parte il bando flop sulle colonnine per la ricarica di idrogeno, su cui era sorta una «incomprensione» con la Corte dei Conti che aveva pubblicato un dossier di censura. Fitto, che aveva protestato, oggi rilancia: «Che colpa abbiamo noi se arrivano solo 36 domande per 40 colonnine? Come si fa a ipotizzare una responsabilità? E in ogni caso quella competenza è dell'Ue. Piuttosto, bisognerebbe pensare che l'obiettivo era sbagliato».
    L'idea guida è spostare decine di miliardi verso gli incentivi alle imprese, con meccanismi automatici e rapidi, già sperimentati con successo perché minimizzano l'intermediazione delle pubbliche amministrazioni. «Incentivi che alla luce delle nuove regole sugli aiuti di Stato, ormai ammessi anche per il funzionamento delle imprese, servono a garantire la nostra competitività nei confronti di Paesi con forte capacità fiscale. La Germania ha messo sul piatto 200 miliardi. Noi non avremo spazio nemmeno con il piano RepowerEu in discussione, perché abbiamo preso tutta la quota a debito. Dunque dobbiamo rendere la nostra competitività industriale sostenibile. Altrimenti non reggiamo».
    Il collegamento con guerra («possiamo mai immaginare che fosse prevedibile, quando fu lanciato il Recovery?»), inflazione e choc energetico sarà il grimaldello per invocare la norma del regolamento europeo che consente modifiche al Pnrr per oggettive circostanze sopravvenute.
    Il doppio fronte
    Il ministro non si nasconde difficoltà e incertezze della trattativa. «La Commissione sembra formalmente collaborativa, nei prossimi giorni capiremo se lo è anche nella sostanza». Resta l'indizio del blocco da gennaio della terza rata da 19 miliardi. «Noi abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, stiamo aspettando una risposta dalla Commissione. Forse c'è un eccesso di attenzione. Peraltro quella rata riguarda il governo precedente, perché è la rendicontazione a fine 2022».
    Quanto al fronte interno, le tensioni con gli altri ministri non sono mancate. «All'inizio alzavano molte resistenze, perché il nostro lavoro mette in discussione una loro grande capacità di spesa. Ora stanno collaborando perché hanno capito che così il Pnrr gli scoppierà tra le mani».
    Perciò Fitto non teme «il fuoco amico», quanto un movimento magmatico e trasversale che «difende il piano così com'è, giocando di sponda con Bruxelles». E a cui attribuisce «gli attacchi al limite degli insulti» che riceve quando parla di questo tema, conditi da rappresentazioni macchiettistiche della trattativa con la Commissione europea, alla Totò e Peppino. «Falsità per colpirci e screditarci», chiosa senza voler «alimentare conflitti e polemiche, perché il Pnrr va attenzionato ma salvaguardato. Non è frutto del nostro governo, appartiene a tutto il Paese»

 

21.05.23
  1. NON BASTA :  Insomma: in gergo la chiamano «rottura controllata». Spacchi l'argine per alleggerire le pressione. Fai un taglio, crei uno sfogo. E così hanno fatto ieri i Vigili del Fuoco, in via degli Zingari, nel quartiere periferico della Basetta di Ravenna: un taglio sugli argini del canale Magni. Era pieno come mai nella sua storia, era molto minaccioso. Scendeva verso il centro della città. Ma se rompi gli argini, da qualche parte l'acqua si allarga. Nel caso specifico è finita nei terreni di proprietà della Cooperativa Cab Terra, cioè la cooperativa agricola dei braccianti del Ravennate.
    È stato lo stesso presidente della cooperativa, Fabrizio Galavotti, a spiegare quello che stava succedendo con un post su Facebook: «La prefettura ci ha chiesto il permesso di tagliare il canale dove c'è l'idrovora e allagare i nostri 200 ettari in via Romea per cercare di alleggerire la pressione dell'acqua e salvare il salvabile, le idrovore non riescono a pompare tutta l'acqua che c'è. Naturalmente abbiamo acconsentito sperando che serva a qualcosa».
    Questa è la storia. Un gesto di generosità, o meglio un gesto politico. Accettare un danno privato, per evitare un danno pubblico peggiore. «Quei lavoratori sono gli eredi dei bonificatori che hanno liberato queste terre dalle paludi», dice il sindaco di Ravenna Michele De Pascale. «Il loro profondo senso di comunità arriva da quella storia. E noi, adesso, non possiamo altro che dire questo: grazie».
  2. PUTIN GAME OVER : L'unico appuntamento che Volodymir Zelensky ha saltato al G7 di Hiroshima è stata la cena fra i leader, giunta al culmine di una giornata che lo ha visto viaggiare per 14 ore, stringere mani, incassare solidarietà e perorare la causa ucraina. Questa mattina l'Ucraina tornerà al centro di una sessione dei lavori estesa ai Paesi ospiti, come Unione africana, Isole Cook, India, Brasile, Corea del Sud fra gli altri.
    Nel primo pomeriggio Zelensky avrà un bilaterale con Biden al quale arriva rinfrancato dalla luce verde che gli Usa hanno dato all'addestramento dei piloti all'uso degli F-16 e alla loro consegna a Kiev. Per Washington l'appoggio «continuerà solido e risoluto sino a quanto sarà necessario», ha detto un funzionario dell'Amministrazione sottolineando che «Jake Sullivan (consigliere per la Sicurezza nazionale, ndr) da settimane guida gli sforzi» sugli F-16. Una precisazione per smontare la tesi che Biden abbia cambiato posizione su pressione degli alleati dopo che in un'intervista alla ABC in febbraio aveva detto che i caccia non sarebbero stati dati a Kiev perché non necessari. È una linea che gli americani anche ieri hanno confermato, sostenendo che i caccia serviranno in uno scenario post-bellico per rafforzare la sicurezza e deterrenza ucraina. L'Amministrazione non ha ufficialmente confermato lo stanziamento per un nuovo pacchetto di armamenti da oltre 350 milioni di dollari, ma l'annuncio sarebbe imminente.
    Gli emissari del G7 lavoravano da settimane alla logistica dell'arrivo di Zelensky a Hiroshima. Zelensky aveva chiesto che fosse un aereo militare di Parigi a fare da spola, dapprima portandolo dal confine polacco a Gedda, dove ha partecipato al summit della Lega Araba, e poi dal Golfo all'Estremo Oriente. Macron gli ha garantito il totale appoggio e a bordo del volo c'era Isabella Dumont, consigliera ed ex ambasciatrice a Kiev. Quel che l'inquilino dell'Eliseo ritiene è che la presenza di Zelensky potesse avere «un effetto game changer» su Modi e Lula. La linea di Macron è condivisa da Washington e un funzionario Usa ha confidato che «altri leader ora possono usare la loro influenza su Putin». Il piano ha lo scopo di rosicchiare ulteriormente credito a Putin, isolandolo sempre di più sul fronte diplomatico. Per questo il G7, nel comunicato finale, si esorta anche Pechino a usare la sua influenza sulla Russia. Zelensky ha visto Meloni, Macron, Sunak, ma è a Modi che ha recapitato il messaggio più forte «invitandolo ad aderire al suo piano di pace». Il premier indiano ha replicato che New Delhi «farà tutto il possibile per mettere fine al conflitto».
    I tentativi di coinvolgere altri attori condotto dal Giappone ha provocato la reazione di Mosca e Pechino. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha denunciato i tentativi di "contenimento" da parte del G7, mentre da Pechino sono arrivate piccate reazioni al documento finale del summit. In una nota il ministero degli Esteri cinese ha ribadito che «la soluzione della questione è affare del popolo cinese».
    Il G7 è compatto sulla necessità di ridurre la dipendenza da Pechino su alcuni settori, sul rafforzamento della sicurezza economica e sul monitoraggio di pratiche commerciali illegali. Sono i perni di una visione che si traduce nell'attenzione agli investimenti diretti a Pechino affinché non siano dirottati nell'industria hi tech e militare; nel controllo della supply chain e nella costruzione di una "Via della Seta occidentale", ovvero la Partnership for Global Infrastructure and Investment (Pgii) per lo sviluppo di progetti infrastrutturali nei Paesi in via di sviluppo per cui sono stati sinora stanziati 600 miliardi di dollari. Un'operazione di ampio respiro cui verrà fatto un ulteriore tagliando nel giugno 2024 quando il G7 sarà in Puglia.
  3. MAFIA  ED IMMIGRANTI :Il 30 novembre del 2019 di fronte ai poliziotti della squadra Mobile di Crotone compare Ali Awat Ismail. La notte dello sbarco a Torre Melissa, 2952 abitanti nell'alta costa jonica calabrese, è passata e lui è un reduce che può raccontarla. Ore di audizione. Scrive due nomi su un foglio bianco: Namr Ranya e Sadon Qit. Sono i ras della rotta balcanica che lo hanno fatto partire dalla Turchia. Tira giù dalla rubrica i numeri di cellulare, indica un profilo Facebook. Li ha incontrati nel quartiere Aksaray, tutto alberghi e negozi nel distretto di Faith. E di lì ha atteso la chiamata per salpare verso l'Italia. Al ristorante "Instanbul Pizza& Kebab" si ritira il pass per l'Europa e si sblocca la prima transazione su un sistema Hawala, un canale di pagamento da remoto funzionale anche al riciclaggio oltre che al saldo del debito. In una sola agenzia di Trieste, gli investigatori segnaleranno 87 rimesse sospette di soldi in quattro mesi: 442 mila euro dal 21 agosto 2020 al 31 dicembre successivo.
    Il testimone mostra un video in cui i migranti, in spiaggia, vengono costretti a inneggiare ai trafficanti. Un tributo di cartone, un inno macabro a pochi chilometri da un'ansa di mare che dal 26 febbraio scorso (e fino a pochi giorni fa) ha restituito, alla spiaggia, 100 corpi di bambini, uomini e donne nel drammatico naufragio della Summer Love, Steccato di Cutro: una strage.
    Sono partiti da lì i poliziotti dello Sco: trenta sbarchi monitorati in quattro anni, 1100 persone salpate da Smirne e da Salonicco per raggiungere l'Europa. O da Patrasso e da Atene. Qui, nel quartiere Omonia, all'hotel Lido, i trafficanti affittano stanze per metterle a disposizioni dei transfughi in attesa delle barche a vela "che davano meno nell'occhio". Alla fine, ventinove arresti.
    L'inchiesta disegna un upgrade nel contrasto al traffico di migranti gestito da network criminali stranieri. «Perché – per dirla con le parole il direttore centrale dell'Anticrimine Francesco Messina - si colloca ben oltre il livello degli scafisti» (che pure – al netto di questo blitz - sono stati arrestati nella misura di una ventina) e racconta di una «vera e propria agenzia transnazionale – dice Messina - scoperta grazie all'impiego di gruppi di investigazione misti con una strategia che da tempo ormai non può prescindere dalla cooperazione internazionale con altre forze di polizia ed Europol». Una holding «che offriva un pacchetto completo fino al paese di destinazione»: Germania, Francia, Austria. Dall'aereo per raggiungere Istanbul, ai bus per arrivare sulle spiagge di notte, alle barche a vela, all'approdo sulle coste calabresi, al treno per risalire la penisola, alla "scorta" per oltrepassare il confine. "E se a Ventimiglia lo respingono ci proviamo altre dieci volte, se lo arrestano lo liberiamo e ripetiamo altre 100 volte fino a quando non riusciamo a farlo passare. Il prezzo resta uguale, tranquillizza i passeggeri". Fino a diecimila euro per arrivare in Italia. Duecento euro dal Ponente Ligure fino a Lione, 300 a Parigi, 1200 a Berlino. "A bordo di treni o di taxi" raccontano le carte dell'inchiesta, si può arrivare ovunque.
    Sette cellule, dalla Calabria alla Puglia; Torino, Milano, Foggia, Crotone, Ventimiglia. Accolgono i viaggiatori". Li aiutano a scappare dai centri di accoglienza. I telefoni, sotto controllo, parlano: "Una volta arrivati in Italia – dicono i trafficanti - vi dovete nascondere e chiamare questo numero. Solo Viber e WhatsApp, vi manderemo una macchina e vi salverà dal fotosegnalamento Ok?".
    E poi c'è Trieste. Qui il «Grande Sheiks sa tutto» dice al telefono Mamhood. Motivo: «Fa il trafficante da 20 anni. Sa dirti dove arriverai, a che ora, chi ti aspetta, chi ti porterà in Francia. Conosce le spiagge dove ci sono gli sbirri e quelle dove si può sbarcare easily». Il suo vero nome è Mustafa Omar Mohammed Ali,, 46 anni, iraqeno. E poi c'è Mama Awat, cosi recensito nelle intercettazioni agli atti dell'inchiesta: "Una brava persona, generoso, ogni volta fa partire più di 30 per volta".
    Leggendo le conversazioni si capisce bene come in Turchia nessuno dei trafficanti abbia timore che esista il potere – o la volontà se preferite – di arginare il loro business. E se qualcuno viene arrestato come Tawfeeq Omar Akbar fermato a Istanbul con la pesante accusa di associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina, il commento del ras Sadon Qit è lapidario: "Si vede che non ha pagato abbastanza la polizia".
    "I migranti – scrive il gip Gabriella Pede che ha disposto gli arresti su richiesta del procuratore Nicola Gratteri e dai sostituti Paolo Sirleo e Anna Chiara Reale - raggiungono anche Milano a bordo di un'auto condotta dai sodali della cellula del sud Italia. Detto servizio – chiosa il giudice - è pagato dai 500 ai 600,00 euro". Dal giardino pubblico "di fronte alla stazione centrale" parte la prima telefonata alle sentinelle al confine francese. "Ti ho mandato gli ospiti!! Sono vestiti bene". Ancora: "Gli uccellini sono saliti tutti quanti (sul treno ndr), uno di loro "non è accompagnato" (non ha un trafficante di riferimento ndr). Lo portiamo dentro lo stesso?". Incassata la risposta affermativa, chiude la telefonata: "Non ho mai guadagnato così tanti soldi".

 

 

20.05.23
  1. DISUMANO:    Nei primi frammenti si vede un van bianco fermarsi in una strada sterrata. Dal camioncino vengono fatti scendere degli adulti e almeno tre bambini, di cui uno così piccolo che viene portato in braccio, sembra avvolto in una coperta bianca. Nel video successivo questo piccolo gruppo di persone viene fatto salire su un gommone grigio. Nelle terze immagini, sempre molto nitide, il gommone si ferma sotto una nave della guardia costiera Greca e le persone vengono trasferite da un mezzo all'altro, i bambini presi in braccio dagli adulti, tanto sono piccoli e non riescono a salire da soli. Nell'ultimo, le immagini sono prese da lontano, sono molto meno nitide, ma grazie all'aiuto di un circolino bianco sovraimposto graficamente, è possibile capire quello che sta succedendo: il gruppo di persone, bambini compresi, sono ora su una piccola scialuppa di salvataggio, in mezzo al mare, abbandonati, mentre la nave si allontana nella direzione opposta. È questo il contenuto del video pubblicato ieri dal New York Times ripreso dal volontario Fayad Mulla l'11 aprile scorso sull'isola di Lesbo, la prova che inchioda le autorità greche, colte nell'atto di abbandonare i richiedenti asilo in mare, in violazione delle leggi internazionali e di quelle europee sul trattamento dei migranti. "Un'indagine del Times ha verificato e corroborato il filmato", scrivono i quattro autori dell'articolo - Matina Stevis-Gridneff, Sarah Kerr, Kassie Bracken e Nimet Kirac – spiegando anche come sono arrivati a identificare il gruppo. La scialuppa è stata infatti recuperata dalla guardia costiera Turca e i migranti messi in salvo e trasportati nel centro di detenzione di Izmir, sulla costa turca. Qui, il 20 e il 21 aprile i giornalisti del Times hanno intervistato 11 richiedenti asilo provenienti da Somalia, Eritrea ed Etiopia. Tra questi Naima Hassan Aden, 27, madre del più piccolo del gruppo, un bambino di soli sei mesi, che ha dichiarato: «Non ci aspettavamo di sopravvivere. Quel giorno quando ci hanno messo sulla zattera gonfiabile, lo hanno fatto senza alcuna pietà». Oltre a intervistare i sopravvissuti – molti dei quali con addosso gli stessi abiti che si vedono nel video e che hanno fornito una cronologia degli eventi identica – il The Times ha verificato il filmato effettuando un'analisi fotogramma per fotogramma "per identificare le persone nel video, geolocalizzare gli eventi chiave e confermare l'ora e il giorno utilizzando i dati sul traffico marittimo, nonché un'analisi della posizione del sole e delle ombre visibili", scrivono gli autori. Una conferma arrivata anche da Medici Senza Frontiere attraverso un comunicato: "L'11 aprile scorso il team di Medici Senza Frontiere (MSF) a Lesbo era stato avvisato di 103 persone arrivate sull'isola che avevano bisogno di cure mediche urgenti. Quel giorno MSF ha assistito 91 persone senza riuscire a trovare le altre 12. Un video pubblicato oggi dal New York Times mostra il respingimento di un numero simile di persone. (…) A Lesbo i pazienti di MSF hanno più volte raccontato di essere stati vittime di respingimenti traumatici da parte delle autorità di frontiera".
    Sulekha Abdullahi e i suoi sei figli, dai 2 ai 17 anni, erano sulla zattera, insieme a Aden e al suo bambino Awale, tutti sopravvissuti. Del gruppo facevano parte anche Mahdi, 25 anni, e Miliyen, 33. Tutti hanno raccontato di essere arrivati a Lesbo su un gommone di contrabbandieri il giorno prima e di aver trascorso una notte nascosti nella boscaglia prima di essere catturati dagli uomini in passamontagna che si vedono poi nel video. La signora Aden e il suo bambino erano originariamente fuggiti da Jilib, una piccola città in un'area della Somalia controllata da Al Shabab, un gruppo militante legato ad Al Qaeda. Abdullahi, accompagnata dai suoi figli, originaria di Mogadiscio, in Somalia, ha affermato di essere fuggita nello Yemen nel 2013. I suoi figli più piccoli – Mariam, Majid e Marwan, di età compresa tra i due e i sette anni - sono nati lì. Aveva deciso di trasferirsi in Turchia a causa della guerra nello Yemen, e poi dalla Turchia cercare di arrivare in Europa. «Gli uomini che ci hanno fatti salire sul van hanno detto che lavoravano per Medici Senza Frontiere», ha dichiarato al Times. Le donne e alcuni dei bambini più grandi hanno raccontato in lacrime di aver avuto l'hijab strappato e di aver subito una perquisizione. "Hanno preso tutto ciò che avevamo, contanti, telefoni, tutto". Poi sono stati rinchiusi nel furgone bianco e portati in giro per diverse ore. «Non riuscivamo a vedere nulla fuori, non avevamo un posto dove sederci» ha detto la figlia maggiore, Ladan, 17 anni. «Eravamo sdraiati, uno sull'altro». Mahdi e Miliyen, provenienti da diverse parti dell'Etiopia, hanno raccontato storie simili. Il primo, studente di ingegneria, aveva speso mille dollari per trasferirsi a Istanbul, prima di rendersi conto che neanche lì avrebbe avuto un futuro migliore. Il secondo era partito con la madre, lasciata in Sudan perché troppo fragile per tentare la traversata in Europa. Senza telefono, portatogli via dagli uomini prima di farlo salire sul furgoncino bianco, non sa come contattarla, non sa neanche se è ancora viva. Seppur salvati in mare dalla guardia costiera turca, per questo gruppo è difficile che ci sia un lieto fine. Al momento alcuni sono stati rilasciati, altri, come le donne somale e i loro bambini, sono rinchiusi in una struttura di accoglienza, di fatto una prigione, in attesa che le autorità decidano cosa fare. In teoria i richiedenti asilo hanno il diritto di richiedere protezione internazionale in Turchia - come spiega al Times Ozge Oguz, un avvocato che lavora con le persone nel centro di detenzione - ma le possibilità sono quasi nulle. "Quando le persone vengono portate in questa struttura perché lasciate dai greci alla deriva in mezzo all'Egeo, sono già vittime". Accarezzando le mani del suo bambino di sei mesi Awale, Naima Hassan Aden dice: «Vorrei solo andare in un posto dove poter sentirmi al sicuro ».
  2. CONTRADDIZIONI MELONIANE: Le polemiche non scalfiscono Giorgia Meloni e FdI. Per la presidenza della commissione Antimafia il nome indicato dalla premier resta quello di Chiara Colosimo, fedelissima dell'inquilina di palazzo Chigi. Le opposizioni (non tutte) e i famigliari delle vittime non gradiscono: Colosimo, secondo la trasmissione «Report» sarebbe amica dell'ex terrorista nero dei Nar Luigi Ciavardini, condannato a 30 anni per la strage di Bologna, a 13 per l'omicidio del poliziotto Francesco Evangelista e a 10 per quello del giudice Mario Amato. Martedì il voto, a scrutinio segreto.
    Dopo mesi di attesa la bicamerale è stata convocata per il 23 maggio. La data è simbolica: l'anniversario della strage di Capaci in cui la mafia uccise Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta. Ci si arriverà con i rapporti tesi tra maggioranza e opposizioni. Colosimo, per essere eletta al primo scrutinio, ha bisogno di 26 voti su 50: serve la maggioranza assoluta. Se non ce la facesse, il secondo scrutinio prevede il ballottaggio tra i due nomi più votati.
    Meloni ha scelto lei ed è intenzionata a tirar dritto, nonostante le famiglie delle vittime di mafia abbiano lanciato un appello alle forze politiche a non votarla. Da Pd e M5S non dovrebbe arrivare nemmeno una preferenza, mentre i due commissari del Terzo Polo, la deputata di IV Raffaella Paita e il senatore di Azione Giuseppe Castiglione, secondo la maggioranza, potrebbero dare il via libera alla candidata di Meloni. I condizionali sono d'obbligo, perché lo scrutinio è segreto. Senza dimenticare che sul piatto della bilancia, nella trattativa per sbloccare l'impasse sull'Antimafia, ci sarebbero anche molte altre presidenze, tra cui Affari regionali, del Federalismo fiscale, Schengen e il Femminicidio. Mancano poco più di 48 ore: appuntamento alle 13 di martedì a palazzo San Macuto.
  3. COSA C'E' DA NASCONDERE ? La Regione ha nominato il nuovo collaudatore tecnico amministrativo del Grattacielo Piemonte dopo le polemiche dimissioni dell'ingegner Natale Comito che, come scritto da La Stampa, ha rinunciato all'incarico denunciando di aver subito pressioni e minacce e di non aver mai ricevuto i documenti necessari per portare a termine il suo incarico.
    Il nuovo commissario che andrà a completare la terna insieme con Luigi Spina e Riccardo Crivellari è Vincenzo Scarano, impiegato tecnico al Comune di Rivoli. Delle quattro candidature arrivate, Scarano è l'unico architetto. Gli altri sono ingegneri. Si tratta della terza scelta della Regione. La prima, l'ingegner Diego Tollardo, nonostante la sua candidatura, si è sfilato per precedenti impegni. La seconda, l'ingegnera Anna Monaco, ha invece declinato non avendo ricevuto il nulla osta dal proprio dirigente. Sarà dunque Scarano, laureato in Architettura per il restauro e la valorizzazione dei beni architettonici e ambientali, a dover valutare la regolarità della mole di appalti e opere della nuova sede istituzionale della Regione.
    Compito non facile. I contratti firmati per il Grattacielo Piemonte occupano due container e la commissione avrà solo 29 giorni per vagliare tutto. L'architetto Scarano ha infatti ottenuto un incarico a tempo: dal 1° al 31 luglio. Ricordiamo che per legge la commissione collaudo ha un anno di tempo per valutare le carte e le dimissioni dell'ingegner Comito, avvenute ormai a febbraio scorso, erano dovute proprio ai ritardi nella consegna del materiale. Dall'atto di nomina dell'architetto Scarano sembra inoltre che i documenti non siano ancora completi.
    Nel frattempo la notizia delle dimissioni del collaudatore anima la politica regionale. Giulio Manfredi dei Radicali noto per le sue battaglie sul Grattacielo, denuncia: «Le ultime notizie delle dimissioni testimoniano che fino alla fine, con un migliaio di dipendenti già trasferiti nella sede unica, manca la necessaria e doverosa trasparenza sull'opera. Per la seconda volta è stato negato l'accesso civico ai documenti che riguardano il Grattacielo. Oggi a un giornalista (il riferimento è al rigetto della nostra richiesta, ndr), nel 2019 a noi».
    Il Pd, per bocca del vicepresidente del Consiglio regionale Daniele Valle, annuncia invece una richiesta di accesso agli atti e un'interrogazione urgente affinché la giunta riferisca in Consiglio: «La Regione non può nascondersi dietro al silenzio e invocare la confidenzialità sui documenti e sulle lettere del collaudatore dimissionario – dichiara Valle –. Bisogna fare chiarezza su una situazione preoccupante».
    Nessuna reazione è per ora giunta, invece, dalla maggioranza che governa Palazzo Lascaris. Né, pare, qualcuno si sia mosso per verificare la fondatezza delle accuse dell'ormai ex collaudatore dimissionario. La partita è aperta ed è una corsa contro il tempo per arrivare a ottenere il collaudo entro il termine di fine luglio.

 

 

 

19.05.23
  1. "change.org/fuori-la-politica-da-nomine-della -sanità" : I conti di Asl e ospedali vanno sempre peggio, le liste di attesa non ne parliamo, ma ai vertici delle aziende sanitarie girano da anni più o meno gli stessi uomini nominati dalla politica. Che indipendentemente dal colore ha sempre voluto mantenere ben salda la presa sulla sanità, che da sola vale l'80% dei bilanci regionali, più assunzioni e appalti. Per questo è destinato a far scalpore il disegno di legge che toglie dalle mani di regioni e partiti di maggioranza la nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie, prossimo ad essere presentato dal Pd, primo firmatario il senatore Andrea Crisanti. Un testo che sta già trovando consensi tra i Cinque Stelle, che nella scorsa legislatura avevano proposto un provvedimento dai contenuti analoghi «ma senza trovare sponde», rimarca la senatrice Maria Domenica Castellone.
    L'idea piace anche a medici, infermieri e associazioni dei malati, i cui rappresentanti, insieme a uno nominato dalla regione e un altro dall'Agenas, più uno espresso dal Comune, andrebbero a comporre le nuove commissioni locali, che azienda per azienda sarebbero costituite dall'Autorità anticorruzione. Una sorta di "commissione di salute pubblica" chiamata a scegliere il candidato tra gli iscritti all'attuale albo dei Dg. Il presidente di regione potrà rifiutare la nomina del candidato proposto «solo per motivate e comprovare ragioni derivanti dall'esistenza di un conflitto di interessi», si legge nel testo che verrà depositato a giorni a Palazzo Madama. Tutto il contrario dell'attuale meccanismo, che lascia a una commissione di esperti, indicati però dalla regione, il compito di proporre al presidente regionale una terna di nomi tra i quali scegliere.
    A supporto del ddl è già partita la raccolta di firme sulla petizione popolare che chiede di ristabilire il principio di indipendenza tra il controllore politico e il controllato che amministra. Ieri in dodici ore all'inequivocabile indirizzo "change.org/fuori-la-politica-da-nomine-della -sanità" erano già state raccolte oltre mille firme a riprova della voglia di cambiamento su una gestione sanitaria che fa acqua da tutte le parti. Mentre infatti le liste di attesa si allungano anche per le prescrizioni di visite e accertamenti diagnostici con priorità a 10 giorni, i conti delle Asl si tingono sempre più di rosso, tanto che quest'anno sono in 39 ad essere state commissariate, tornando così ai livelli di tre anni fa dopo due anni di calo. Ma a preoccupare è il deficit che si accumula: 3 miliardi nel 2021 mentre per il 2022 si prevede un buco a consuntivo di 8 miliardi, con il rischio concreto che anche regioni fino a ieri virtuose, come Emilia Romagna e Toscana, finiscano per essere commissariate ed entrare così in piano di rientro. Che significa poi blocco rigido delle assunzioni e tagli alle prestazioni.
    «Se andiamo a scorrere l'elenco degli attuali di Dg di Asl e aziende ospedaliere scopriamo che c'è un carosello di nomi che da anni passano da azienda ad azienda, mentre con il nostro disegno di legge dopo due mandati si decade dall'incarico anche se si cambia regione», puntualizza Andrea Crisanti. «Non c'è una selezione in base alle competenze, si è sempre andati avanti con gli amici degli amici. Il Dg della Asl Padova – porta ad esempio il senatore Pd- ha ricoperto prima lo stesso ruolo a Mestre e Rovigo ed ora ha in carico anche Belluno, nonostante abbia accumulato negli anni 100 milioni di deficit».
    Così mentre molti suoi colleghi di partito reclamano più risorse per la sanità, Crisanti va contro corrente, affermando che «prioritario è mettere al comando persone realmente competenti e che non rispondano a logiche clientelari, altrimenti sarà come fare il pieno di benzina avendo il serbatoio bucato».
    Critico sulla proposta è invece Giovanni Migliore, presidente della Fiaso, la federazione di Asl e ospedali che rappresenta i manager della sanità pubblica. «Il vero tema da porre - afferma - è quello della valorizzazione gestionale e professionale degli attuali Dg, che vanno motivati anche da un punto di vista economico, visto che le loro retribuzioni sono ferme da 20 anni». Oggi un direttore generale di Asl guadagna dai 130 ai 150 mila euro lordi l'anno. Per dirigere aziende che fatturano anche due miliardi di euro come talune Asl, il privato arriva a pagare i suoi manager 10 volte l'anno. Ma anche le basse retribuzioni sono state un modo per tenere in questi anni ben salda la presa dei partiti sulla sanità. —
  2. OPERE PUBBLICHE , DUBBI Il grattacielo della Regione, la più importante opera pubblica in Piemonte degli ultimi 50 anni, rischia di non ottenere il collaudo tecnico-amministrativo. Il 1° febbraio scorso, nel silenzio generale, si è dimesso uno dei tre membri della commissione: l'ingegnere Natale Comito, dipendente della Regione stessa. Nella sua lettera di rinuncia all'incarico Comito dice esplicitamente di essersi sentito pressato, minacciato, di aver perso la necessaria serenità per continuare il suo lavoro perché «il solo obiettivo del Rup (il Responsabile unico del procedimento che segue i lavori del Grattacielo per conto della Regione, ndr) è quello, probabilmente su indicazione dell'amministrazione, di conseguire il Certificato di collaudo tecnico amministrativo positivo entro il termine prescritto del 29 luglio 2023». Questo, però, «non tenendo conto della complessità dell'oggetto da collaudare e dalla mole della documentazione da verificare».
    Va precisato, innanzitutto, che il collaudo tecnico amministrativo non riguarda la stabilità dell'edificio (valutata e approvata lo scorso autunno), ma la conformità dei lavori eseguiti con il contratto, i progetti e la contabilità.
    La lettera di Comito però è esplosiva ma non sembra aver turbato più di tanto l'assessore regionale Andrea Tronzano, uno dei destinatari della lettera: «Conosco personalmente l'ingegner Faccipieri (il Rup, ndr) ed escludo che possa aver fatto pressioni o minacciato qualcuno», dichiara a La Stampa. Anche la dirigenza regionale nega: «È un'accusa grave che si rispedisce al mittente, ci riserviamo di tutelare l'ente».
    Eppure, intorno alla lettera dell'ex collaudatore, circola un certo imbarazzo. Abbiamo tentato di ottenerla con un accesso agli atti ma la Regione ha rigettato la richiesta per motivi di confidenzialità e riservatezza. Contattato in seguito al rifiuto e pur non concedendo interviste, l'ex commissario ha rivelato di non essersi opposto alla divulgazione e ha inviato la lettera.
    Vigilare sui soldi pubblici
    Per capire cosa c'è in gioco è necessario capire prima cos'è e cosa fa la commissione di collaudo tecnico amministrativo. Si tratta di un organo formato da tre commissari con un alto livello di specializzazione con il compito di accertare che tutte le opere eseguite siano conformi al contratto firmato. Tutela la Regione e i soldi dei contribuenti. Evita, per esempio, che direttore dei lavori e ditte possano mettersi d'accordo facendo pagare marmi di Carrara al posto di pavimenti previsti in legno. Oppure che la qualità dei materiali sia più scadente.
    Per effettuare questi controlli la commissione ha un anno di tempo dalla fine lavori e per legge deve ricevere entro tre mesi i documenti necessari. La direzione lavori del grattacielo ha emesso il certificato il 29 luglio 2022. Ma i lavori non erano proprio finiti: la direzione stessa ha assegnato alla ditta altri 60 giorni. Può farlo - spiega la Regione - per lavorazioni di piccola entità accertati come marginali e non incidenti sulla funzionalità dell'opera. Un mese dopo, però, è la stessa direzione a certificare che siamo ancora lontani dall'obiettivo: non c'è un'opera terminata, le percentuali di completamento vanno dal 91 al 97%. Quando sono finiti davvero i lavori? C'è un secondo documento che lo ha accertato? Per il Rup non serve: «Non è prevista l'emissione di un ulteriore certificato e la fine lavori non è stata revocata».
    Se così è, significa che la commissione collaudo deve certificare entro il 29 luglio 2023.
    Valutare senza documenti
    Ed è qui che iniziano le difficoltà. Nella lettera, Comito dice che la commissione ha inviato una prima richiesta di documenti a settembre, ma non ha ricevuto risposta. A gennaio 2023, parte una seconda lettera con un tono ancora più preoccupato: mancano sei mesi al collaudo. La Regione, sentita da La Stampa, dichiara che «la documentazione è stata fornita con regolarità ai collaudatori, nel rispetto delle tempistiche e compatibilmente con le varie fasi del collaudo a tutt'oggi in corso». Ma Comito smentisce nella sua lettera: mancherebbero dei documenti e quelli esistenti non sarebbero stati forniti in modo regolare.
    Sull'assenza di documenti, è la Regione stessa a confermare quanto denunciato dall'ex collaudatore. Dopo le dimissioni l'amministrazione deve trovare un sostituto per ricomporre la commissione. Un primo bando non va a buon fine ma nel secondo - del 10 marzo - è la Regione stessa a dichiarare che «sono ancora in corso adempimenti della direzione lavori per la contabilizzazione finale dei lavori e le attività della stazione appaltante preordinate al collaudo tecnico amministrativo dell'opera». In pratica manca il conto finale, il documento principale su cui deve basarsi la commissione collaudo.
    Corsa contro il tempo
    L'assessore Tronzano, a nostra specifica domanda, ha risposto di sentirsi tranquillo sul rispetto dei tempi: «Siamo in linea, non ci sono particolari problemi per quel che riguarda il collaudo tecnico amministrativo». Un nuovo collaudatore è stato nominato il 5 maggio scorso (la determina dirigenziale non è ancora online per un problema tecnico). Riuscirà il neo commissario, che ha così ricomposto la terna, a valutare in due mesi (ricordiamo che la scadenza è il 29 luglio 2023) ciò che doveva essere analizzato in 12 mesi? E sarà pronta la documentazione che il commissario dimissionario lamentava di non avere?
    Il Grattacielo Piemonte è un'opera gigantesca, con più corpi. È composto da una Torre con base quadrata di 45 metri di lato, alta 205 metri, con 42 piani fuori terra e due interrati; ha un centro servizi, un ex asilo, un parcheggio sotterraneo e una centrale per la produzione e distribuzione dell'energia. In questi dieci anni si sono alternate ditte affidatarie, Rup, commissari di collaudo, relazioni tecniche critiche e la bellezza di 9 varianti. L'ammontare degli appalti è pari a 300 milioni di euro. Insomma, un livello di complessità davvero alto, tanto da aver spinto l'ex collaudatore - in mancanza di risposte - alle dimissioni dopo cinque anni di lavoro sull'opera.
    Interesse pubblico
    Al di là dell'esito del collaudo, resta in piedi l'accusa di pressioni e minacce sollevata dall'ex collaudatore. La dirigenza regionale rigetta le accuse e dichiara che si tutelerà in ogni sede. L'assessore Tronzano è certo che un'ipotesi del genere non è nemmeno immaginabile. Una conferma o una smentita si sarebbero forse potute trovare nel carteggio tra commissione di collaudo e Rup intercorso nei mesi scorsi, ma questa documentazione non ci è stata fornita. Alcuni commissari si sono infatti opposti alla divulgazione del materiale perché lo hanno ritenuto confidenziale e la Regione Piemonte ha ritenuto preminente l'interesse alla tutela dell'ente stesso su una vicenda molto complessa, con cause tutt'ora in corso, rispetto a quello della divulgazione all'opinione pubblica.

 

18.05.23
  1. RICATTO POLITICO :   Ci risiamo. Ancora una volta il corto circuito governo-Camere, sui decreti che lievitano durante il passaggio parlamentare, costringe il Quirinale ad esercitare una moral suasion sulla maggioranza. Il decreto bollette all'esame di Montecitorio, che stanzia 5 miliardi di euro contro gli aumenti di luce e gas, ieri, prima di approdare in aula, è tornato in commissione perché alcuni emendamenti approvati rischiavano di trasformarlo in un provvedimento omnibus. Dal testo saltano quattro norme: una misura sul payback dei dispositivi medici; il ruolo di Assoprevidenza a supporto degli investimenti dei fondi pensione nella capitalizzazione delle pmi; la possibilità per i parlamentari di visitare gli ospedali senza preavviso e il fondo per una scuola intitolata alle vittime di Marcinelle. Dal Colle fanno sapere che non c'è stato alcun intervento diretto perché la decisione sull'ammissibilità degli emendamenti spetta ai presidenti delle Camere, però il punto di vista del capo dello Stato sui decreti omnibus è noto e sicuramente ha pesato sulla retromarcia del governo. Il presidente Sergio Mattarella aveva sollevato un'obiezione tre mesi fa sul decreto Milleproroghe varato dall'esecutivo Meloni, proprio per la sua natura disomogenea. Ma un richiamo era arrivato anche durante il mandato di Mario Draghi a Palazzo Chigi, quando il decreto Sostegni bis raddoppiò il numero dei commi tra Camera e Senato.
    Nel decreto bollette, c'è un'altra norma che ieri è stata stralciata dalla commissione bilancio di Montecitorio per un problema di copertura rilevato dalla Ragioneria dello Stato. Il testo sotto accusa riguarda la stabilizzazione dei ricercatori precari degli Irccs e degli Izs (rispettivamente Istituti di ricovero e zooprofilattici). «È un passo indietro che accettiamo con molta fatica», dice il presidente della commissione Finanze Marco Osnato, di Fratelli d'Italia. Osnato se la prende con «alcuni ministeri costruiti come fortini stratificati negli anni scorsi. Questa maggioranza non può accettare che qualcuno pensi di detenere rendite di posizione a scapito della democrazia», polemizza. Comunque la fiducia sul decreto ormai è stata messa e oggi verrà votata. Il provvedimento andrà poi al Senato per la seconda lettura.
  2. CREDIBILITA DI STATO ? Subito dopo la lettura della sentenza, Nicolas Sarkozy è uscito dall'aula rispondendo con un sorriso appena accennato ai tanti giornalisti che gli chiedevano un commento sulla condanna per corruzione e traffico di influenze inflittagli dalla Corte dAppello di Parigi. L'ex leader dei neogollisti francesi, all'Eliseo tra il 2007 e il 2012, ha dribblato i cronisti lasciando ai suoi avvocati il compito di annunciare il ricorso in Cassazione contro la pena di tre anni, di cui due con la condizionale e uno ai domiciliari con il braccialetto elettronico, decisa dai giudici in quello che è stato ribattezzato come «l'affaire delle intercettazioni». Un responso, quello del tribunale, «stupefacente», «criticabile» e «contestabile», ha commentato la legale Jacqueline Laffont, secondo la quale nella sentenza ci sono più «lezioni morali» che «diritto».
    Una pena mai vista prima d'ora in Francia per un ex presidente, che prevede anche tre anni di interdizione dai diritti civili e di conseguenza l'ineleggibilità. L'ultimo «record» apparteneva a Jacques Chirac, che nel 2011 era arrivato a due anni con la condizionale per un caso di impieghi fittizi risalente al periodo in cui era sindaco di Parigi. Condannati con la stessa pena di Sarkozy il suo avvocato storico Thierry Herzog, che non potrà esercitare la professione per tre anni, e l'ex magistrato Gilbert Azibert. Anche per loro ci sarà un ricorso.
    Secondo la giustizia francese, Sarkozy è colpevole di aver promesso nel 2014 ad Azibert, in quel periodo avvocato generale alla Corte di Cassazione, di impegnarsi per fargli ottenere un importante incarico nel Principato di Monaco (mai arrivato), in cambio di informazioni giudiziarie che lo riguardavano. Il tutto con l'avvocato Herzog a fare da mediatore tra i due. Un «patto di corruzione» tra i tre, stando alla Corte d'Appello.
    L'affaire nato quasi per caso, quando alla fine del 2013 gli inquirenti stavano intercettando le telefonate dell'ex inquilino dell'Eliseo nell'ambito delle indagini sui sospetti finanziamenti libici alla campagna presidenziale del 2007. In quell'occasione, furono messi sotto controllo due telefoni di Sarkozy, ma presto si scoprì l'esistenza di un terzo, registrato a nome di Paul Bismuth, un vecchio compagno di scuola di Herzog finito suo malgrado a dare il nome mediatico al processo. Proprio quest'ultimo dispositivo era utilizzato da Sarkozy esclusivamente per entrare in contatto con Azibert. Inutili le argomentazioni della difesa, che hanno criticato il modus operandi giudicandolo contrario al rispetto della confidenzialità tra un avvocato e il suo cliente. «Lo farò salire», «lo aiuterò», si sente dire da Sarkozy a Herzog in un'intercettazione, con chiaro riferimento a Azibert. Secondo la Corte, i fatti rappresentano una «particolare gravità» proprio perché vedono come responsabile un ex capo dello Stato, che dovrebbe essere «garante dell'indipendenza dell'autorità giudiziaria.
    Ma il «processo Bismuth» non è l'unico a togliere il sonno a Sarkozy. L'ex presidente il prossimo autunno dovrà affrontare anche il giudizio in seconda istanza su dei sospetti finanziamenti illegali per la campagna del 2012, mentre nei giorni scorsi la Procura nazionale finanziaria ha chiesto il suo rinvio a processo per dei presunti finanziamenti libici arrivati durante la corsa all'Eliseo di sedici anni fa che lo vide vittorioso. Una sfilza di guai con al giustizia della quale ancora non si intravede la fine.
  3. COLLUSIONI DI COMODO : L'analisi è stata realista: «La ‘ndrangheta a Torino? Una presenza stabile, forte, radicata e per nulla occasionale. Cerca di entrare nell'economia legale, va a caccia di contatti con pezzi della politica e della pubblica amministrazione, affilia anche non piemontesi». In sintesi: «Torino e il Piemonte hanno almeno due record di cui non andare esattamente fieri». Il magistrato Paolo Toso, 10 anni alla Dda di Torino, autore, insieme alla polizia giudiziaria, di diverse inchieste sulla mafia calabrese (da Big Bang, ad Alto Piemonte, da Cerbero a Carminius) è stato ascoltato ieri per un'ora e mezzo dalla commissione legalità del Comune di Torino. Nella sala dell'Orologio, Toso, ha spiegato che «è vero che gli ‘ndranghetisti non viaggiano col cartello in fronte (motivo per cui i politici sostengono sia complicato evitare contatti scomodi), ma non può essere nemmeno sempre cosi ogni volta. Incontrare boss non è reato, ma pone un tema morale che non è di interesse della magistratura». In aula silenzio. Seduto tra i banchi dei commissari c'è anche Domenico Garcea, consigliere comunale finito mesi fa al centro del dibattito per le risultanze di un'inchiesta proprio condotta dal pm Toso che registrò un effettivo interessamento di due boss (uno anche suo parente non di primo grado) per la sua candidatura. Intercettati al telefono i mafiosi (conclamati) dicevano: «Stasera andiamo da Rosso (alla festa elettorale dell'ex assessore regionale Roberto Rosso ndr), ma domani votiamo Garcea». La procura non lo ha considerato una condotta rilevante penalmente, ma il quadro storico resta. Come resta il sorprendente stupore di molti dei commissari dell'assise, evidentemente "distratti" sui 17 processi celebrati dal 2011 a oggi al netto della maxi operazione Minotauro, dei 350 imputati, delle inchieste già diventate letteratura nelle antologie di giurisprudenza «Dottore – hanno detto – grazie per questa analisi, ma lei ci ha inquietato. Grazie, comunque, di averlo fatto» hanno detto in molti. «Non eravamo preparati a questo quadro» hanno aggiunto altri. Toso, per nulla polemico, ma efficace nella replica ha detto: «Che nessuno si offenda perché non si tratta di un attacco. Ma da magistrato mi stupisco, e da cittadino un po' mi indigno, che chi amministra i territori non legga le sentenze (di quei territori ndr). Se l'obiettivo della giustizia è anche restituire un pezzo di verità sui fatti, allora bisogna informarsi».
  4. LA  CINA SCAVA LA TOMBA A PUTIN :

 

 

17.05.23
  1. GLI ELETTORI COSA PENSANO ?  Dice Claudio Scajola: «L'Italia deve costruire una classe dirigente all'altezza, bisogna uscire dalla iattura del giovanilismo e rimettere al primo punto la competenza». Lo dice gettando un occhio sul calendario, che scandisce i 75 anni e li festeggia con la quarta elezione a sindaco di Imperia. La seconda consecutiva con il 63 per cento al primo turno. Ha battuto il poliziotto che lo aveva inquisito, candidato dal Pd. Sei vicende locali, altrettante assoluzioni. Incastonate tra le grandi vicende nazionali. La casa con vista sul Colosseo, vicenda prescritta dopo un'assoluzione in primo grado. Intanto si era dimesso da ministro. Quella sulla mancata scorta a Marco Biagi (archiviata) e le polemiche per quel «rompicoglioni» che lo costrinsero a dimettersi da ministro dell'Interno. Il processo ancora in corso per aver tentato di favorire la latitanza del deputato di Forza Italia Matacena. Ma dopo la condanna in primo grado, anche questa vicenda è già prescritta anche se i suoi avvocati chiederanno l'assoluzione in appello.
    Scajola, lei non ha voluto simboli di partito accanto al suo nome e il centrodestra si è adeguato. Ma è stato anche protagonista dell'epoca dei partiti tradizionali. Che cosa è accaduto nel frattempo, tanto da ripudiarne i simboli?
    «Hanno perso il collegamento con il corpo elettorale e la classe dirigente è più debole. Alle politiche la gente firma delle sigle, mette delle croci su stemmi. Invece il sistema con cui si eleggono gli amministratori dei comuni è molto bello, fa scegliere le persone. Guardiamo a Brescia».
    Dove però ha vinto una candidata di centrosinistra.
    «A Brescia ha vinto la candidata che è stata vicesindaco nella precedente amministrazione di Del Bono perché i cittadini hanno giudicato che ha lavorato bene. Non c'è stato nessun effetto Schlein, i bresciani non sanno nemmeno chi è».
    Ora la discussione politica è concentrata sull'assetto dello Stato; tra le idee c'è quella del "sindaco d'Italia".
    «Premessa. Sono contrario al presidenzialismo. L'Italia non è in grado di reggerlo. C'è bisogno di una carica in cui tutti si sentano uniti. Poi bisogna rafforzare i governi. Cancellierato alla tedesca, elezione diretta del premier, sindaco d'Italia: si può discutere. Certo con un riequilibrio dei poteri. Ma la cosa più importante è uscire subito dal votificio».
    Lei ribadisce: questo è un Parlamento di nominati. Devono tornare le preferenze?
    «Le preferenze o qualunque altro sistema, ma l'elettore ha il diritto di indicare il suo parlamentare».
    Le viene riconosciuto di aver contribuito al periodo d'oro di Forza Italia.
    «In questa elezione ho usato lo stesso schema. Un focus alla mattina e uno alla sera sulle cose da fare. Il modello che utilizzavo quando costruivo FI sul territorio accanto a Berlusconi. Andavamo nei posti, facevamo i congressi e si sceglievano i dirigenti. Non sono cambiato io. Sono cambiati i partiti».
    Le è stato chiesto di dare una mano alla riorganizzazione di Forza Italia.
    «Il mio rapporto con certe persone è sempre saldissimo. Stamattina ho sentito Letta e Confalonieri. Abbiamo deciso di rimanere vicini».
    La politica di che cosa ha bisogno?
    «Credo che serva un nuovo contenitore, un rassemblement che metta insieme le istanze del centrodestra fino alle più moderate».
    Giorgia Meloni potrebbe garantire questo passaggio?
    «La stimo: è determinata, capace nelle decisioni, parla chiaro. Credo che lei stessa si renda conto che serve un ulteriore salto. Chissà che Berlusconi, possa darle le chance giuste».
    Nel 2018 disse che il "modello Toti" era una patacca.
    «Oggi ho un rapporto molto buono con lui. Ma sono io che sono rimasto sulle mie posizioni. Credo che la sua partita a livello nazionale sia un tentativo finito, ora fa il buon governatore»
  2. MARCHIONNE NON HA MAI AMMESSO : A quasi otto anni dalla deflagrazione in Usa del dieselgate, lo scandalo sulla manipolazione dei gas di scarico nei motori diesel, per la prima volta un manager tedesco di alto livello ammette le sue responsabilità davanti a una corte di giustizia. È quanto successo ieri davanti al tribunale di Monaco, dove l'ex amministratore delegato di Audi, Rupert Stadler, ha dichiarato «di aver mancato di informare sul dispositivo di spegnimento» del sistema di controllo dei gas e «di rendersi conto da solo che ci sarebbe dovuta essere una maggiore diligenza». Quattro pagine di confessione, scritte in prima persona ma lette in aula dalla sua legale, in cambio della sospensione della pena in carcere e la condanna a una multa di 1,1 milione di euro. Questo l'accordo pattuito con la procura due settimane fa. Secondo la ricostruzione dei giudici, il top manager della controllata di VW sarebbe venuto a conoscenza del meccanismo di manipolazione dei gas nel 2016 e avrebbe protratto, pur sapendolo, la vendita delle auto coinvolte fino al 2018. Stadler non è dunque accusato di aver permesso la manipolazione delle auto ma di esserne venuto a conoscenza senza reagire. Su chi abbia dato l'incarico di frodare invece – a otto anni dallo scoppio dello scandalo che ha fatto tremare l'automotive tedesca - non è ancora stata fatta chiarezza. La confessione del manager di Audi, oltre due anni di processo, i procedimenti in corso nei confronti degli ingegneri non sono bastati a chiarire chi sia stato a dare l'incarico di studiare un meccanismo che permettesse di non registrare i valori reali di emissione dei gas serra nella fase di scarico dei motori.
    Per scoprirlo resta il procedimento – attualmente congelato – contro l'ex ad di Volkswagen, Martin Winterkorn. Il Ceo di lungo corso del gruppo era stato costretto alle dimissioni, all'indomani della denuncia negli Usa nel settembre 2015. Sul manager 75enne pende un processo più volte sospeso per malattia, impedimento che non ha potuto esimerlo dal pagare alla casa automobilistica risarcimenti per 11,2 milioni di euro. La stessa Volkswagen, del resto, ha pagato per il dieselgate - tra multe e risarcimenti - oltre 30 miliardi di euro.

 

16.05.23
  1. L'ESEMPIO DI BERLUSCONI :  Nell'ambito del processo per tangenti e corruzione nato dall'inchiesta «Mensa dei Poveri» i pm di Milano hanno chiesto una condanna a 5 anni e 6 mesi per l'eurodeputata di Forza Italia Lara Comi. Sono arrivate altre richieste di condanna illustri: 9 anni e 10 mesi per l'imprenditore Daniele D'Alfonso, 7 anni per l'ex vice coordinatore lombardo di Fi Pietro Tatarella, 6 anni per l'ex patron di Tigros Paolo Orrigoni, 3 anni e 3 mesi per l'ex consigliere regionale lombardo Fabio Altitonante e 2 anni per l'ex deputato Diego Sozzani per la sola accusa di finanziamento illecito.
  2. INUTILE: Un finanziamento di oltre dieci milioni di euro per arginare le partenze dei migranti, oltre alla fornitura di motovedette e strumentazioni come radar e droni e la formazione di cittadini tunisini per favorire il loro trasferimento in Italia come lavoratori regolari. Ecco le novità principali emerse dalla visita a Tunisi del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, ricevuto ieri da Kaïs Saïed, il presidente della Repubblica ultraconservatore che ha impresso una svolta autoritaria al Paese e che, con le dichiarazioni dai toni xenofobi nei confronti dei migranti subsahariani, ha determinato proteste che hanno spinto la Banca mondiale a sospendere i negoziati in corso con le autorità tunisine. «L'approccio della sicurezza ha mostrato i suoi limiti nell'affrontare il fenomeno della migrazione irregolare» ha detto Saied, annunciando la sua intenzione di proporre un incontro tra capi di Stato e di governo o tra ministri dell'Interno dei Paesi colpiti dalla crisi migratoria.
    Piantedosi ha anche incontrato il suo omologo, il ministro Kamel Fekih, a cui ha espresso «il pieno apprezzamento per il rilevante sforzo compiuto dalla Tunisia per sorvegliare le frontiere marittime e terrestri, per contrastare le reti di trafficanti e confiscare le loro imbarcazioni, per soccorrere in mare i migranti e riportarli sulla terraferma prestando loro assistenza».
    Il titolare del Viminale ribadisce, inoltre, «l'impegno del governo tunisino contro i trafficanti di esseri umani e contro le torture ai migranti». Al nostro giornale è pervenuto un drammatico video in cui un ragazzo tunisino viene torturato perché la famiglia paghi un riscatto. E da alcune fonti emerge che in Tunisia la situazione è sempre più devastante, con scenari non lontani dalle violenze in Libia. «Ma all'Italia - precisa il ministro Piantedosi - non risulta il coinvolgimento del governo tunisino in azioni terribili come questa. L'esecutivo di Tunisi è in prima linea contro i trafficanti».
    Per quanto concerne il sostegno del nostro Paese a Tunisi per il controllo delle frontiere terrestri e marittime, si attingerà ai fondi per l'assistenza economica nazionali, in collaborazione con il nostro ministero degli Esteri. Un modo, questo, per ovviare alla latitanza del Fondo monetario internazionale che non ha sbloccato i contributi promessi alla Tunisia. Al di là dei piani di assistenza tecnica e forniture, si procederà inoltre anche alla formazione di tunisini che possano essere immessi nel mondo del lavoro italiano. In cambio il nostro governo chiede che si faciliti il rimpatrio dei migranti irregolari.
    Dall'inizio dell'anno sono oltre 45 mila i migranti sbarcati sulle coste italiane: di questi, 25 mila sono arrivati attraverso la rotta della Tunisia, ma tremila appena sono tunisini. L'Italia ha ben presente che la Tunisia sta facendo moltissimo per bloccare le partenze e contrastare i trafficanti, che mettono a serio rischio la vita dei migranti e la stessa incolumità dei soccorritori. In questo contesto si è discusso, appunto, di implementare programmi congiunti di rimpatrio volontario assistito dalla Tunisia verso i Paesi di origine dei migranti.
    «Gli sbarchi in Italia - precisano dal Viminale - sarebbero molto più numerosi senza l'attività messa in campo dalle autorità tunisine che si trovano a contrastare un forte flusso dai Paesi sub-sahariani». Del resto, i buoni rapporti tra i due Paesi si evincono anche dal fatto che Piantedosi sia stato ricevuto anche dal presidente della repubblica tunisina, circostanza che non si era verificata durante la visita, nello scorso aprile, della commissaria europea Ylva Johansson.
    «Lavorare tutti insieme in collaborazione con l'Unione europea e le organizzazioni internazionali - aggiungono dal ministero dell'Interno -, per affrontare e governare i flussi migratori, è fondamentale. L'Italia è grata alle autorità tunisine per l'impegno su questo delicato fronte, e sono già stati fissati ulteriori incontri a livello tecnico per proseguire con azioni congiunte in attuazione delle strategie elaborate». Lo scorso 5 maggio è venuta a Roma una delegazione tunisina e una italiana si recherà a Tunisi nelle prossime settimane.
  3. COSA NE PENSA IL PAPA ?A un bambino autistico di 10 anni il parroco non ha permesso di fare la prima comunione assieme agli altri suoi compagni. Un titolo così sintetizzato suscita immediato sdegno, io però mi sento di dire che, in questo caso, non vorrei associarmi al coro degli indignati.
    Accade a Silvi, nel Teramano, i genitori raccontano che il prete avrebbe valutato più opportuno per il piccolo fare una cerimonia in differita, solo perché durante le prove ha avuto un momento di irrequietezza. Per il religioso, un possibile ripetersi di questo episodio, avrebbe compromesso lo svolgimento della funzione eucaristica per gli altri 40 comunicandi.
    Madre e padre non hanno accettato la proposta e si sono rivolti a un altro parroco, che pare fosse molto più malleabile del collega, tanto che in poche ore ha organizzato la cerimonia, a cui è seguito il pranzo in un ristorante di Pescara.
    Sarebbe troppo semplice concludere che nella storia c'è un prete cattivo e discriminatore, a cui contrapporne uno buono e inclusivo. Mi prendo tutta la responsabilità di trovare superficiale tale semplificazione, soprattutto da padre che per decenni si è battuto di persona contro ogni discriminazione verso persone neuro divergenti, come il proprio figlio.
    Non è nuovo il caso di una disputa tra genitori che vorrebbero che al figlio autistico fosse impartita comunione e cresima, in contrasto con parroci che non vedono sempre con entusiasmo di doverlo fare.
    Da un punto di vista totalmente laico trovo che il sacerdote abbia piena facoltà di stabilire se un bambino abbia le caratteristiche di piena consapevolezza per ricevere un sacramento. Non voglio addentrarmi in ambiti che non mi competono, però se per accostarsi alla comunione occorre seguire un percorso di preparazione spirituale, che ricordo essere lungo e non superficiale, significa che questo passaggio richiede strumenti di conoscenza e consapevolezza.
    Il parroco, che ha proposto una cerimonia individuale e posticipata, racconta che il bambino durante le prove ha avuto quella che noi genitori sappiamo essere una crisi oppositiva. Don Antonio Iosue spiega quando ha deciso di proporre una cerimonia a parte per il bambino autistico: «Dopo aver constatato la vivacità e l'insofferenza del ragazzo, che ha buttato a terra candele, sull'altare urlava e non si riusciva a fermarlo» aggiungendo che «bisogna poi sempre considerare l'espressione da parte del giovane alla minima volontà e coscienza ad assumere l'eucarestia».
    Io non ho fatto fare la comunione a mio figlio Tommy, mi è bastato il casino che ha messo su il giorno in cui si comunicava il fratello maggiore di due anni. Si è messo a strillare «Aiuto!» nel momento cruciale della cerimonia e ho dovuto portarlo fuori perché già gli altri genitori mi guardavano storto. Riguardando il filmato in famiglia c'abbiamo riso per anni, dicendo che ci sarebbe voluto un esorcista. Non ci siamo più posti il problema, non riesco a immaginare il desiderio di comunicarsi o la consapevolezza di cosa rappresenti un sacramento nel mio ragazzo, a cui mi è stato impossibile spiegare persino cosa significhi morire. Ammesso che esista un Padreterno che premia i giusti e punisce gli empi, davvero non lo vedrei giudice spietato di Tommy non comunicato.
    Altra cosa è reclamare che un bambino autistico sia partecipe alle feste con gli amici, alle allegre mangiate in compagnia, alle gite scolastiche. Giusto e sacrosanto chiedere ai suoi coetanei di lasciare un po' del loro illimitato spazio di espansione nella vita anche a lui, che ha maggiori difficoltà a relazionarsi con il mondo.
    Sarà facile per tutti oggi scrivere nei propri social: «vergogna dove è finita la carità cristiana?», chiedendo scomunica per chi ha voluto negare una bella cerimonia a un bambino fragile. Io, in piena sincerità, non riesco a condannare quel parroco. Allo stesso tempo comprendo bene anche il desiderio dei genitori di pretendere per il figlio tutto quello che è disposizione dei suoi coetanei, compresa la prima comunione con l'abito bianco, con la candela in mano, con i canti e le preghiere, i fotografi, i parenti vestiti a festa, l'orologio, la catenina, la penna stilografica, poi il pranzo al ristorante, le bomboniere, la torta e tutto quello che probabilmente rende quel giorno unico e indimenticabile.
    Mi resta solo il dubbio se fossero certi anche di quanto per quel bambino fosse veramente importante la parte sostanziale di tutto questo. Può anche essere che io non sia capace di capire da che parte soffi lo Spirito, penso solo che nostro compito sia pretendere una vita terrena il più possibile felice per i nostri figli dai cervelli ribelli. Sono più che convinto che la beatitudine nella loro ipotetica vita ultraterrena se la stiano già conquistando, ogni giorno, proprio nell'affanno di dover gestire un mondo popolato da alieni che tollerano appena il loro esistere, purché non si noti troppo.
  4. DIO VEDE E PROVVEDE: San Giovanni Apostolo va incontro alla Madonna dopo la Resurrezione di Gesù. È Domenica di Pasqua. La statua corre sulle braccia dei "portatori", fa la spola tra Cristo e Maria. Una volta, due, tre per comunicare che il Signore ha davvero vinto la morte. Seguono inchini. Il velo nero della Madre viene strappato, il lutto va in archivio, il miracolo è servito. Eccolo lo storytelling della processione dell'Affruntata, tradotto dal dialetto, l'incontro: una tradizione lunga e rispettabilissima che migliaia di fedeli seguono con trasporto e devozione. Non tutti.
    Nel 2014 a Sant'Onofrio, 2.792 abitanti a pochi chilometri da Vibo Valentia, la cerimonia fu commissariata per infiltrazioni mafiose. È uno dei tanti riti che le cosche di ‘ndrangheta hanno cercato di piegare a una logica perversa. Per ostentare il loro potere. Ma con la colonizzazione del Nord Italia e dell'Europa, anche il tentativo di strumentalizzazione di un momento di fede popolare è stata oggetto di transito fuori dai territori di origine.
    Nei video acquisiti dal Gico della Guardia di Finanza di Torino, la corsa tra le statue portate a spalla è accompagnata da una prima fila di mamme santissime che con la Vergine dei cristiani c'entrano nulla. Ed è a Carmagnola, provincia di Torino: Francesco Arone, giacca e cravatta d'ordinanza per l'occasione, accompagna il santo al rendez-vouz con Madre e Figlio. Nei mesi scorsi è stato condannato dal Tribunale di Asti a 18 anni e 6 mesi. Il suo prossimo parente, Salvatore, detto Turi, ha incassato 17 anni e 9 mesi: è tra i vertici piemontesi della ‘ndrina Bonavota. L'architrave sono tre fratelli, l'ultimo, Pasquale, super ricercato dopo l'arresto di Messina Denaro, è stato arrestato a Genova nei giorni scorsi. Pregava nella cattedrale di San Lorenzo quando i carabinieri del Ros lo hanno catturato. Da giorni, sempre alla stessa ora, il "position" del suo telefono veniva intercettato in quel punto: tra i banchi della chiesa. Forse è per questa spiccata pseudo-vocazione che anche in Piemonte i Bonavota avevano messo nel mirino la manifestazione gemella nella città del Peperone. Pochi mesi fa ha parlato così, in aula, al maxi processo Rinascita Scott il collaboratore di giustizia Andrea Mantella: «So che in un paesino qui a Torino dove facevano l'Affruntata c'era un comitato presieduto da Arone Salvatore che organizzava questa festa. Dalla Calabria salivano Nicola, Pasquale e Domenico Bonavota per portare la statua». Tre boss. «I Bonavota – ha spiegato il pentito - si dividevano i compiti per essere ovunque e trasmettere ai calabresi del posto chi comandava portando la vara». Non pervenuta dal punto di vista giudiziario, ma abbastanza lineare sul fatto storico in se è la vicinanza con pezzi di ‘ndrangheta da parte di alcuni dei fedeli della Madonna di Polsi nella celebrazione parallela che si è svolta per alcuni anni a Ventimiglia.
    L'ultima, nel 2019, ha sollevato un polverone. Si è parlato di inchino della statua trasportata a braccio dai fedeli in favore del fratello (incensurato) di un noto boss della zona: Carmelo Palamara. In molti si sono affrettati a smentire con una motivazione piuttosto articolata: nessun inchino, la statua non si è girata verso nessuno.
    Di certo, però, c'è una sosta della Santa di fronte alla panchina dove sedeva – insieme alla moglie – il parente del capomafia. «Per noi un fatto chiarissimo – racconta Christian Abbondanza della "Casa della legalità Onlus" -. La processione partita dalla Chiesa di San Michele Arcangelo ha effettuato una sola fermata non programmata di fronte a quella panchina». Vi è di più: «L'anima della manifestazione è lo stesso che ai funerali del capo locale di Ventimiglia, va a baciare la bara del boss di fronte alla Chiesa». La Dia lo ha messo a registro nella relazione annuale. Di consuetudini e simboli che vedono la mafia calabrese sconfinare abusivamente nel la religione anche al di fuori dal territorio di origine, sono pieni i documenti giudiziari.
    Il mosaico di San Michele Arcangelo, incastrato nel cotto fiorentino, nella tavernetta di un boss del Canavese (condannato a 13 anni) è storia recente. In quel luogo si tenevano le riunioni tra i capimafia del Piemonte. Sul tavolo i santini che bruciavano per le nuove affiliazioni, sotto i piedi il santo "rubato" dai boss alla polizia di Stato. La statua a grandezza naturale della Madonna di Polsi è stata sequestrata in casa di un membro di spicco della famiglia Giorgi a Duisburg in Germania nel corso del blitz "Platinum". E anche al Nord adesso si cominciano a bloccare i funerali pubblici dei boss in chiesa, occasioni di incontro tra affiliati, sullo sfondo di una cerimonia religiosa, finora "fermate" dai questori soltanto a ridosso dell'Aspromonte. Quello di Benito Pepè, 86 anni, di Bordighera, condannato a sei anni per mafia, è uno dei primi, sopra la linea della Palma.

 

 

 

 

 

 

15.05.23

 

Illustre Signor Presidente della Repubblica
 
In riferimento alla proposta  di autorizzare la clonazione del cda, mi permetta di osservare che la legge permette la candidatura di membri del cda in relazione al possesso azionario in quanto gli azionisti propongo ed eleggono dei rappresentanti. Il cda che dovrebbe solo rappresentare gli azionisti, su libera scelta degli stessi, con questa nuova norma,  intende proporre lui agli azionisti,  una sua clonazione. A quale titolo di rappresentanza ? Con  quale iniziale base azionaria  di sostegno ? Credo che se ciò fosse consentito allora , almeno,  qualsiasi socio dovrebbe poter proporre una sua lista per la elezione del cda.
Confido quindi in un Suo rinvio alle Camere col fine del ritiro di una norma che intende condizionare la liberta' di scelta degli azionisti nella scelta dei propri rappresentanti.
Con ossequio.
Marco BAVA

 

14.05.23

Illustre Signor Presidente della Repubblica

In riferimento alla proposta leghista di consentire , per legge, il solo accesso alle assemblee degli azionisti del rappresentante comune, per me e' un provvedimento incostituzionale perche' viola l'art..47 della Costituzione , nell'esercizio diretto della tutela del proprio risparmio attraverso l'intervento in assemblea.
Confido quindi in un Suo rinvio alle Camere col fine del ritiro.
Con ossequio.
Marco BAVA

 

13.05.23
  1. LA POVERTA' CRESCE:  Sembra una frase fatta, ma adesso ci sono anche i numeri a corroborare quel che fino a poco tempo fa era un adagio popolare: gli italiani sono più poveri rispetto a trent'anni fa. Secondo il rapporto annuale Censis-Confcommercio, nel 2022 il reddito disponibile pro capite si è attestato a 21.081 euro: sotto di 150 euro rispetto al 1995.
    Per reddito disponibile si intende il reddito da lavoro o da pensione a cui si aggiungono eventuali rendite finanziarie, soldi che le famiglie italiane non sono riuscite a recuperare dopo le grandi crisi. Nel 2019 il reddito si attestava a 21.175 euro, nel 2007 a 22.801 euro. I salari fermi e le ultime fiammate inflazionistiche, seguite alla pandemia e all'invasione russa in Ucraina, hanno portato a questo scenario.
    Lo studio di Confcommercio rileva una contraddizione definita «pericolosa»: la fiducia è ai massimi storici o quasi, ma le intenzioni di acquisto sono inferiori al 2019. Le famiglie, spiega il direttore dell'ufficio studi dei commercianti, Mariano Bella, «sentono che le cose potevano andare peggio e tirano un sospiro di sollievo: l'occupazione è ai massimi, i consumi grazie a turismo, spettacoli e cultura sono in ripresa, però l'inflazione non è domata e gli aiuti pubblici si riducono. Così c'è l'idea di ricostituire uno stock adeguato di risparmio per fare fronte al contesto ancora caratterizzato dall'incertezza». Insomma, il ragionamento che fanno gli italiani in questo periodo è lo stesso osservato nelle altre grandi crisi: meglio rinviare le spese a tempi migliori.
    Dal rapporto emerge come i soggetti più fragili siano i giovani, visto che i provvedimenti di politica economica e fiscale si concentrano sempre di più sugli anziani. Mettere su famiglia e fare figli, quindi, diventa sempre più difficile, anche perché il lavoro - quando c'è - è a termine.
    Per allentare la morsa dei prezzi il governo monitora la situazione e promette tutte le misure possibili contro la speculazione. Al tavolo convocato da "Mister Prezzi" Benedetto Mineo sui rincari della pasta è emerso che il costo della materia prima (frumento duro e semola) è in discesa. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso annuncia un'iniziativa simile anche per monitorare il caro bebè. La manovra di dicembre ha abbassato l'Iva sui prodotti per l'infanzia dal 22% al 5%, ma qualcosa non ha funzionato. «Non tutto il taglio dell'Iva è andato a beneficio delle famiglie», sottolinea Urso agli Stati generali della natalità. «L'intervento che abbiamo fatto in queste ore sul caro pasta, tra pochi giorni lo faremo sui prodotti dell'infanzia», assicura. Il Garante dei prezzi accenderà un faro sull'andamento dei costi di biberon, latte in polvere, pannolini e omogeneizzati.
    Le sigle dei consumatori sono rimaste deluse dal tavolo sulla pasta perché non sono state prese azioni concrete, al di là delle riunioni continue garantite dall'esecutivo per monitorare e scoraggiare la speculazione. Assoutenti preme per una nuova convocazione a stretto giro: «Come nel caso della pasta, già solo l'annuncio di un focus da parte delle istituzioni contribuisce e frenare la crescita dei listini», sottolinea il presidente dell'associazione Furio Truzzi. Il Codacons ha calcolato i benefici teorici del taglio dell'Iva sui prodotti per bambini che è stato inserito in legge di Bilancio. Il risparmio per il latte in polvere potrebbe raggiungere 112 euro l'anno a famiglia, per i pannolini sarebbe in media di circa 96 euro e per gli omogenizzati di poco più di 25 euro. Tuttavia, rimarca l'associazione, lo sconto non sempre si trasferisce sui prezzi al pubblico, con la conseguenza che i consumatori non beneficiano di una riduzione dei listini. Anzi, in alcuni casi, i prezzi avrebbero continuato a salire. L'Unione nazionale consumatori ha registrato rincari sugli alimenti per bambini del 2,7% a febbraio rispetto al mese precedente, perciò attacca: «Siamo contenti che il ministro Urso annunci di voler intervenire nuovamente sui prodotti dell'infanzia ma, visto il fallimento precedente, vorremmo sapere in che modo».
  2. SEI SEI DEL PD PUOI TUTTO:Sex toys, mutande, monetine per i bagni pubblici, weekend d'amore in riva al Canal Grande, inchiesta «spese pazze» o caso «rimborsopoli». Di quel che scoprì la Guardia di Finanza tra il 2012 e il 2013, che vide processare rappresentanti di tutti i partiti in moltissime assemblee regionali di tutta Italia, accusati di presentare note spese esorbitanti ed omnicomprensive, oggi restano poche condanne, molte carriere bruciate e una sola incarcerazione. Si tratta di Marco Monari, ex capogruppo Pd in Emilia-Romagna, da ieri l'altro presso la casa circondariale di Forlì, dove sconterà 4 anni e 5 mesi per peculato.
    Il motivo per cui la prigione sia toccata solo a lui è giuridico e giudiziaro: assoluzioni, patteggiamenti, condizionali, prescrizioni. Il peculato è il crimine di un pubblico ufficiale che si appropria di un bene a cui può accedere grazie alla sua posizione. Nel caso specifico, il denaro. Questo è l'illecito contestato alla maggior parte dei consiglieri coinvolti e per Monari, condannato a un periodo molto prossimo al minimo della pena (che è 4 anni e interdizione dai pubblici uffici), l'accusa inziale era di aver maliziosamente presentato fatture e ricevute fiscali per 940 mila euro. Tra queste, c'erano anche fine settimana a Roma e Venezia, con camera matrimoniale in alberghi dotati di concierge all'ingresso e cene per due in posti da Guida Michelin, che i tribunali non hanno ritenuto far parte del suo mandato di rappresentanza.
    D'altra parte, la cifra è stata poi molto ridimensionata, scalando per esempio i rimborsi per auto blu, farmaci, pasti in orario di lavoro, cellulare, fino all'importo di circa 23 mila euro. Nel giugno 2017, in un capitolo parallelo, la Corte dei Conti condannò questo funzionario arrivato alla politica dopo una carriera nelle coop, a risarcire 518 mila euro alla regione, ridimensionando dalla richiesta iniziale di 614 mila. Nel dicembre dello stesso anno, fu condannato in sede penale a 4 anni e 4 mesi. In questo processo di primo grado, furono assolti gli altri 12 membri del Pd che con lui si trovavano alla sbarra.
    Nel maggio del 2022, Monari patteggiò in appello le spese di una delle legislature incriminate. La corte, quindi, gli scontò questa condanna, unificò gli altri pronunciamenti, tolse la condizionale e arrivò a 30 giorni in più rispetto all'assise: 4 anni e 5 mesi. Ora, la cassazione ha respinto la richiesta di revisione presentata dai suoi avvocati, rendendo definitivo il verdetto. Nessuno degli altri condannati per «rimborsopoli» ha finora visto il carcere. Come ricostruisce Il Resto del Carlino, che ha dato la notizia dell'arresto di Monari, Franco Fiorito, detto «Er Batman», ex capogruppo Pdl nel Lazio, ex sindaco di Anagni e candidato alle elezioni di domani per la medesima carica nello stesso comune del frusinate, ha scontato 2 anni e 11 mesi coi servizi sociali. Roberto Cota, debutto politico con la Lega e poi passaggio a Forza Italia, ex governatore del Piemonte con elezione annullata, nonché ex deputato, è stato condannato in via definitiva a 1 anno e 7 mesi a fine febbraio scorso. Un mese in meno, la sentenza contro Augusta Montaruli, che ai tempi in cui era consigliera regionale di FdI in Piemonte, spese circa 25 mila euro in gioielli, borsette, social network, eccetera. Tuttora ferma nel proclamarsi innocente (starebbe valutando il ricorso alla Corte di Giustizia UE), il fatto le costò le dimissioni da sottosegretaria all'Università. Il procedimento contro Renzo Bossi, figlio d'Umberto e consigliere in Lombardia, è caduto in prescrizione. Per contro, volti noti dell'attuale establishment sono stati scagionati e diverse carriere di politici innocenti, sono state irrimediabilmente compromesse.
  3. RITORSIONE GOVERNATIVA : L'Italia mi ha chiesto di rappresentarla alla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di Francoforte, ma siccome ho osato criticare il ministro della Difesa, il mio intervento è stato cancellato». Così Carlo Rovelli, fisico di grande successo letterario annuncia di aver ricevuto da Franco Ricardo Levi, commissario per la Fiera del Libro di Francoforte, una email che ritira l'invito alla fiera libraria più importante d'Europa (e forse perfino oltre).
    Rovelli è stato al centro delle polemiche, nei giorni scorsi, per il suo intervento al Concerto del Primo Maggio nel quale ha criticato, senza complimenti, l'operato del governo italiano in Ucraina. Gli scrive Levi: «Il clamore, l'eco, le reazioni che hanno fatto seguito al suo intervento al concerto del Primo Maggio mi inducono a pensare, mi danno, anzi, la quasi certezza, che la sua lezione che così fortemente avevo voluto per l'inaugurazione della Buchmesse con l'Italia Ospite d'Onore diverrebbe l'occasione non per assaporare il fascino della ricerca, ma per rivivere polemiche e attacchi».
    Rovelli era stato chiaro. Forse troppo: «Tutti dicono pace, ma aggiungono che bisogna vincere per fare la pace, solo che volere la pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra». Levi non si nasconde dietro a un dito. Ricorda a Rovelli: «Ciò che più di ogni altra cosa sento il dovere di evitare - e di questo mi prendo tutta, personale la responsabilità - è che un'occasione di festa e anche di giusto orgoglio nazionale, si trasformi in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l'Italia. E non le nascondo la speranza che il nostro Paese sia rappresentato al massimo livello istituzionale
  4. DANNI SA VACCINO ANCHE DA USA : La fine dell'emergenza Covid era attesa da tempo.

    La nostra risposta è stata un miserabile fallimento: la perdita di vite umane a causa del sabotaggio del trattamento precoce, le lesioni da vaccino e il bilancio umano delle interruzioni.

    Vogliono porre fine in silenzio all'emergenza e ignorare tutti i danni fatti. Come promemoria, ecco un video in evidenza (meno di 2 minuti) dei miei commenti nel corso degli anni sulla pandemia.

    Come ho detto a Epoch Times, il modo migliore per riassumere la nostra risposta al Covid: un folle, miserabile fallimento.

    Epoch Times: La manipolazione dell'America da parte dei "cartelli COVID".

    Mentre la fine dell'emergenza Covid è attesa da tempo, le tutele del Titolo 42 sono scadute alle 23:59 di giovedì.

    L'autorità sanitaria di emergenza ha consentito ai funzionari statunitensi di respingere i migranti per prevenire la diffusione del Covid-19.
    Tweet dal sindacato delle pattuglie di frontiera
    Il presidente Biden e il segretario per la sicurezza interna Mayorkas hanno causato questo disastro e i media legacy hanno consentito la crisi dei confini coprendola.

    Ora che la catastrofe è totalmente fuori controllo, il malaffare, la corruzione e l'insabbiamento continueranno?

    Conferenza sulla libertà sanitaria nel Wisconsin
    Il senatore Johnson intervenendo alla conferenza

    Libertà e verità sono gli ingredienti essenziali di questo esperimento americano. Sono stato onorato di parlare alla conferenza annuale del Wisconsin United for Freedom del mese scorso nel Wisconsin Dells. Le mie osservazioni sono state trasmesse su Facebook e puoi guardarle qui.

    Mi impegno a perseguire con tenacia la verità sul Covid-19 e sul vaccino danneggiato.

    Lettera a HHS


    Ho inviato una lettera al segretario del Dipartimento della salute e dei servizi umani Xavier Becerra chiedendo copie non modificate di 106 pagine che mostrano funzionari della sanità pubblica statunitensi che condividono informazioni sull'ivermectina.

    I documenti pesantemente redatti sono stati rilasciati a Judicial Watch in seguito a una richiesta del Freedom of Information Act.

    Il pubblico ha il diritto di sapere quali informazioni i funzionari HHS, FDA, NIH e NIAID hanno esaminato in merito all'efficacia dell'ivermectina e come ha considerato o respinto determinati dati. È giunto il momento per HHS di rimuovere le redazioni sulle 106 pagine e di essere trasparente con il popolo americano.

    Risarcimento per i feriti da vaccino Covid
    Immagine del vaccino Covid

    Ho inviato un'altra lettera all'HHS per ulteriori informazioni sulla revisione da parte del governo delle richieste di risarcimento per lesioni legate ai vaccini Covid-19.

    HHS deve al popolo americano una spiegazione completa della sua amministrazione del programma di risarcimento per le persone che hanno subito lesioni da vaccino Covid-19.

    È sorprendente vedere un numero così basso di richieste di vaccino Covid-19 perché secondo il Vaccine Adverse Event Reporting System, al 31 marzo 2023, ci sono stati 1.541.275 eventi avversi e 35.048 decessi associati ai vaccini Covid-19.

    Ecco solo alcune delle domande che ho:

    Come fa un individuo a sapere di presentare un reclamo?
    È una campagna pubblicitaria?
    Quanti dipendenti stanno esaminando queste affermazioni?
    Cronologia Covid-19
    Come ho detto molte volte, intendo scoprire la verità e ritenere responsabile il cartello Covid.

    Dall'inizio della pandemia, ho indagato sulla risposta fallita del governo federale al Covid-19 e ho chiesto trasparenza e responsabilità attraverso la supervisione del Congresso .

 

 

 

12.05.23
  1. ECCO PERCHE' LA LIQUIDITA' EMIGRA DALLE BANCHE: Quindici mesi da record per le banche italiane. I dati definitivi ancora non ci sono, ma la proiezione è per circa 12 miliardi di euro per l'intero comparto finanziario per il 2022 e per i primi tre mesi del 2023, secondo i dati della società di ricerca Refinitiv. La metà solo per gli istituti di credito nel primo trimestre dell'anno in corso. I rialzi dei tassi d'interesse introdotti dalla Banca centrale europea (Bce), 375 punti base da luglio 2022 a oggi, hanno spinto la redditività degli istituti di credito. Ma non sempre si è tradotta in un vantaggio per la clientela finale. E sta aumentando il coro di chi domanda una contribuzione da parte dei banchieri per limitare l'impatto sui conti correnti, i cui oneri in media sono aumentati del 7% su base annua solo in aprile.
    Tassi su, profitti idem, ma per i costi nessun calo. Nel 2022 le prime cinque banche italiane hanno registrato un utile netto in crescita del 66% rispetto all'anno precedente. Però non sempre questo si è tradotto in un risparmio per i consumatori. La Banca d'Italia, nell'ultima indagine di poche settimane fa, ha informato che le spese di gestione medie di un conto corrente nel 2021 sono state di 95 euro, 3,8 euro in più rispetto all'anno precedente, e per il 2023 si prevede un ulteriore aumento. Allo stesso tempo, tuttavia, il tasso di remunerazione sui conti correnti medio lordo è stato dello 0,17 per cento.
    Secondo Refinitiv, i margini di profitto delle società per azioni nell'eurozona, misurati dall'utile netto in percentuale sui ricavi, sono stati in media dell'8,5% nell'anno 2023 fino a marzo, un passo indietro rispetto al recente picco dell'8,7% a metà febbraio. Prima della pandemia, a fine 2019, il margine medio era del 7,2%. Nel caso delle banche, il margine di profitto sale fino al 12% per la media dell'area euro. Il tutto al netto delle imposte. Un esempio è stato dato dagli istituti di credito iberici. Le sei maggiori banche spagnole quotate in Borsa, ovvero CaixaBank, Banco Santander, Bbva, Banco Sabadell, Bankinter e Unicaja, hanno versato 1,12 miliardi di euro secondo la nuova tassa introdotta dal governo per ridistribuire la ricchezza a famiglie e imprese colpite dagli effetti della guerra in Ucraina. Hanno guadagnato 5,696 miliardi di euro nel corso dello scorso esercizio commerciale, quasi il 14% in più rispetto al 2021. Un aumento che, secondo Refinitiv, sarebbe stato del 36% senza la nuova imposta.
    La Bce ha più volte rimarcato come non debbano esserci squilibri. Ma l'impressione degli operatori, in media, è che non ci sia stato ancora un trasferimento netto degli effetti della nuova normalità di Francoforte sui clienti finali. Impatto che dovrebbe, secondo Morgan Stanley, materializzarsi entro la fine dell'estate.

 

 

 

11.05.23
  1. IL NUCLEARE ATTIRA TANGENTI:  IL NUCLEARE FRANCESE E' UN COLABRODO DI PERDITE. LA GERMANIA STA CHIUDENDO LE CENTRALI NUCLEARI. IN ITALIA I BERLUSCONIANI RAPPRESENTANTI DI CACCIATORI DI FONDI PUBBLICI E POLITICI ANSIOSI DI INCASSARE TANGENTI PUNTANO SUL NUCLEARE.
  2. In Europa si vota il trattato anti-violenze Lega e Fratelli d'Italia si astengono
    Nonostante sei Stati membri non l'abbiano ancora fatto, l'Unione europea potrà ratificare la Convenzione di Istanbul, il trattato internazionale contro la violenza sulle donne. Il primo via libera ieri dal Parlamento europeo a larga maggioranza, ma il voto ha sollevato polemiche in Italia perché gli eurodeputati di Lega e Fratelli d'Italia si sono astenuti. Ora tocca al Consiglio esprimersi: come stabilito dalla Corte di Giustizia Ue nel 2021 non è necessaria l'unanimità, ma basta la maggioranza qualificata. I Paesi che ancora non l'hanno ratificata sono Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia.

 

 

 

 

10.05.23
  1. LAUS 1 ELLY 0:     Salute, benessere, consulenze aziendali, noleggio autoveicoli, immobiliare, biglietterie, portierato, vigilanza. È un risiko di società, con un incastro di quote e nomine, l'impero riconducibile al deputato Pd Mauro Laus all'ombra della cooperativa Rear. Con un fatturato di 30 milioni di euro e 1500 dipendenti, il colosso è finito sotto inchiesta. Il parlamentare, ex presidente e socio della multiservizi, è indagato per malversazione.
    Sotto la lente degli investigatori della Guardia di finanza, che ieri si sono presentati in procura per un incontro con il procuratore aggiunto Enrica Gabetta e il pubblico ministero Alessandro Aghemo, ci sono anche le partecipazioni, tra cui le società emerse negli archivi elettorali in qualità di "benefattori" degli aspiranti consiglieri comunali. Nulla di illegale in questo dedalo di sigle e compartecipazioni. Ed è bene sottolinearlo.
    La Guardia di finanza sta scandagliando bilanci, fatture e sta sottoponendo ai raggi X tutti i conti.
    E in questo risiko di società c'è un indirizzo chiave, nel cuore del quartiere Parella: via Niccolini, civico 20/F. Lì c'è un Centro Salute che fornisce, si legge sul sito web, prestazioni di kinesiterapia, preparazione atletica, fisioterapia. Giusto per citarne alcune. Capitale sociale da 10mila euro. E una buca delle lettere in cui, insieme al Centro Salute srl, compaiono la Manager Srl, la Business Consulting Srl e Futura Investimenti. Cos'hanno in comune tutte queste società con capitale che si aggira intorno ai diecimila euro? Un intreccio di nomi, cariche, sedi.E finanziamenti elettorali destinati ad alcuni esponenti della Sala Rossa per la corsa alle comunali del 2021.
    Amministratore delegato della Centro Salute Srl è Salvatore Gandolfo, amministratore unico della Business Consulting Srl, che fornisce assistenza gestionale, organizzativa, contabile e che nel 2012 ha inglobato la Manager Srl, e della Mtt Service Srl, noleggio di autovetture e autoveicoli leggeri.
    Amministratori e soci unici che si susseguono. Punto in comune anche la sede secondaria in strada del Portone 179 a Grugliasco. Allo stesso indirizzo c'è la sede amministrativa della cooperativa Rear e l'omonimo istituto di vigilanza privata. Proprietaria dell'immobile, la Futura Investimenti, una Srl con un capitale sociale di 90mila euro. Presidente del consiglio d'amministrazione Mauro Donato Laus, tra i consiglieri Antonio Munfarò. Partecipata della cooperativa, la Rear ne detiene i 2/3.
    Partecipazioni, registri finiti al vaglio degli inquirenti che vogliono fare luce sui conti della Rear. Il sospetto della procura è che i fondi pubblici destinati alla cooperativa siano stati utilizzati per interessi privati. Indagati, oltre al parlamentare Mauro Laus, ex presidente della cooperativa e ora socio, altre cinque persone, tra cui il presidente del consiglio d'amministrazione Antonio Munafò. E ancora. La presidente della Sala Rossa Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta, già dipendenti Rear.
  2. TANGENTE CI COVA : «Il via libera della Camera alla mozione sul nucleare, come fonte alternativa e pulita per la produzione di energia, è la risposta più netta alla demagogia della sinistra», sentenzia il deputato Alessandro Cattaneo di Forza Italia, primo firmatario della mozione sul nucleare passata ieri coi voi sia del centrodestra che di Azione-Italia Viva. Mentre Pd, 5 Stelle e Alleanza Verdi sinistra protestano (e Carlo Calenda difende la sua mossa), il governo ringrazia il Parlamento per aver dato un indirizzo preciso all'esecutivo e incassa il risultato.
    «Ricerca e sperimentazione in questi ultimi decenni hanno fatto passi enormi: il nucleare di quarta generazione, secondo gli scienziati, è sicuro quanto pulito», scrivono in una nota congiunta Gilberto Pichetto Fratin e Vannia Gava, rispettivamente ministro e viceministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica. Che ora assieme a i partner europei dicono di voler valutare «con la massima attenzione, come inserirlo nel mix energetico nazionale dei prossimi decenni, con l'obiettivo di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti dall'Unione europea».
    La mozione votata ieri alla fra le altre cose, oltre a impegnare il governo «a valutare l'opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia», chiede all'esecutivo di «partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari», di «proseguire l'impegno nella ricerca scientifica» e di «formare nuovo capitale umano altamente qualificato nel settore», per «recuperare il ruolo dell'Italia nel campo dello studio e dello sviluppo tecnico in materia».
  3. ECCO PERCHE' NON CI SI PUO' FIDARE DEL PROGETTO DI PACE DI XI: La Cina non sta fornendo aiuti "letali" alla Russia ma l'intensificarsi del sostegno in diversi settori sta garantendo un «appoggio vitale» che consente a Putin di sopportare gli sforzi bellici, mantenere in funzione l'industria militare e garantire una crescita economica (+0,7% nel 2023 secondo l'Fmi). È uno studio diffuso dell'Atlantic Council ad analizzare le voci in cui si articolano questi aiuti.
    Se l'Ucraina ha nella Nato e negli Stati Uniti la sponda fondamentale per alimentare la controffensiva, la Russia ha nella Cina, come spiega dati alla mano il report, la potenza che ne sorregge le chance di resistere alle sanzioni e a continuare ad avere una macchina bellica funzionante. I dati economici forniscono l'evidenza dell'appoggio di Xi e Putin, già nitido sul fronte diplomatico tramite l'astensione all'Onu sulle risoluzioni di condanna dell'invasione di Kiev; o nei consessi come il G20 dove gli inviati di Pechino hanno sempre bloccato l'adozione di comunicati di chiusura anti-russi.
    Il commercio bilaterale di beni è cresciuto del 29% nel 2022 e ha consentito a Mosca mantenere le attività e i negozi aperti; l'import di greggio da parte cinese è salito dell'8%. Pechino beneficia di prezzi ridotti e indirettamente del cap price imposto dagli occidentali. E i suoi acquisti hanno una conseguenza fondamentale sull'industria energetica russa poiché la capacità di stoccaggio di greggio da parte di Mosca è ai limiti e la domanda cinese consente alla Russia di non bloccare la produzione che avrebbe ripercussioni pesanti sul budget statale.
    In altri comparti l'impatto sul conflitto in Ucraina è più diretto. La Cina, ad esempio, ha fornito circuiti elettronici integrati a Mosca; il giro di affari è salito a 179 milioni di dollari, il doppio del 2021. Molti di questi congegni arriverebbero da Paesi terzi. Con tutta probabilità tramite una triangolazione dalla Turchia. Pechino ha incrementato l'export di componenti hi-tech verso Ankara, 125 milioni nel 2022 contro 73 milioni nel 2021. E la Turchia ha aumentato del 50% le vendite sul mercato russo. È grazie a queste componenti che Mosca tiene aggiornati sistemi d'arma e software militari.
    Altre due voci intrecciate con il conflitto sono le vendite di droni e camion diesel per il trasporto di mezzi pesanti: nel dicembre del 2022 la quota di veicoli esportati da Pechino è cresciuta del 1143 per cento. Mentre sono circa sessanta - fra modelli e marchi cinesi - i droni che Mosca può usare per raccogliere dati sul fronte di battaglia.
    L'Amministrazione Biden sin dal 22 marzo quando Blinken ne parlò al Congresso ha espresso i timori per un coinvolgimento della Cina nel conflitto, ma sostiene di non aver prove che la soglia di engagement (impegno) sia stata superata. Fonti del Consiglio per la Sicurezza nazionale in febbraio avevano detto a La Stampa di un imminente report che avrebbe svelato il coinvolgimento complesso di Pechino nel conflitto ucraino, ma quando parte delle informazioni sono diventate pubbliche si è visto che il linguaggio era stato smussato rispetto alle attese. A Washington i dubbi sulle reali intenzioni di Pechino sono profondi. Nonostante anche ieri il ministro degli Esteri cinesi Qin Gang abbia sottolineato la necessità di tenere canali diplomatici aperti con «chiunque cerchi un cessate il fuoco». Il Pentagono è concentrato sulla controffensiva ucraina e Blinken resta fermo nella necessità di delineare i confini di una pace «giusta e duratura» che richiedono nuovi sforzi bellici per mettere Kiev in una posizione di forza negoziale: ieri gli Usa hanno annunciato un nuovo pacchetto di armamenti di 1,2 miliardi, dal 2022 l'Amministrazione ha dato 36 miliardi di dollari in assistenza militare a Kiev.
  4. ALTRO POLITICO CORROTTO: L'ex premier pachistano Imran Khan è stato arrestato durante un'udienza in tribunale a Islamabad, dove era accusato di frode e corruzione, nello specifico di non avere dichiarato i guadagni ricavati da doni ricevuti da funzionari di Paesi esteri durante il suo mandato da primo ministro e di averne successivamente rivenduti altri. Ma non è tutto. Khan era coinvolto in una dozzina di casi giudiziari, rimasti in sospeso da quando è stato rimosso dall'incarico lo scorso anno. Il suo partito ha definito l'arresto un «rapimento» da parte delle forze dell'ordine. A confermare la notizia dell'arresto è stato l'account Twitter ufficiale della polizia di Islamabad.
    L'episodio ha subito dato il via a disordini nelle strade della capitale pachistana. I funzionari del partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), guidato proprio da Khan, hanno esortato i loro sostenitori a scendere in piazza per protestare contro l'arresto del loro leader. Una situazione a cui la polizia ha risposto con un'ordinanza che vieta i ritrovi di più di quattro persone. Le stazioni tv locali hanno mostrato scene di caos fuori dal tribunale, mentre centinaia di sostenitori del Pti si scontravano con gli agenti di sicurezza per le strade di Islamabad. Nei giorni scorsi Khan aveva persino accusato un alto ufficiale dell'esercito pachistano di aver cospirato per ucciderlo.
    Khan ha 70 anni, è un ex campione di cricket ed è il politico più famoso e popolare del Pakistan. Era stato eletto primo ministro nel 2018 con il PTI, e poi sfiduciato ad aprile del 2022 in seguito a una grossa crisi politica. Le accuse di frode che lo riguardano risalgono allo scorso ottobre, e il mandato che ha portato all'arresto era stato emesso lo scorso 1° maggio.
  5. DEBITO USA = ITALIA : L'America comincia a tremare nello sprint finale per evitare un «catastrofico default» dall'inizio di giugno, come profetizzato dalla segretaria al tesoro Janet Yellen nel caso non si alzi o non si sospenda il tetto al debito. Una data X che potrebbe scatenare un terremoto, costando - secondo la Casa Bianca - 8 milioni di posti di lavoro, drastici tagli alla spesa pubblica e perturbazioni finanziarie globali, dato che finora il mondo ha considerato il debito pubblico Usa l'asset sicuro per eccellenza. Joe Biden gioca una delle sue ultime carte prima di partire per il G7 in Giappone convocando alla Casa Bianca i "Big 4", ossia i vertici del Congresso, per discutere un'emergenza che sta già agitando i mercati. Nello Studio Ovale entrano lo speaker repubblicano della Camera McCarthy, il leader dei deputati dem Jeffries e quelli del Senato, Schumer per il partito dell'Asinello e McConnell per il Grand Old Party. Sarà "deal or default", è la domanda che aleggia sullo showdown, dopo mesi di braccio di ferro in cui le posizioni si sono congelate. I repubblicani alla Camera non vogliono alzare il tetto del debito - ora fissato a 31,4 mila miliardi di dollari - senza tagli consistenti, come previsto in un disegno di legge che hanno già approvato ma che non ha nessuna chance di passare al Senato, dove i dem hanno la maggioranza. Il loro obiettivo è azzoppare l'agenda di Biden in vista delle elezioni del 2024. Il presidente, dal canto suo, ha tracciato la sua linea rossa ed esige che si alzi il tetto del debito senza condizioni invitando i repubblicani a fare il loro «dovere costituzionale». Come hanno già fatto 78 volte in passato, di cui tre sotto la presidenza Trump, quando aggiunsero 8000 miliardi al deficit per tagliare le tasse ai ricchi.
  6. LE MICRO PARTICELLE CHE EMETTONO GLI INCENERITORI UCCIDONO : Pronti. Anzi, prontissimi. «Se gli iter legislativi e burocratici saranno ultimati entro la fine dell'anno o nei primi mesi del 2024 la quarta linea dell'inceneritore del Gerbido sarà operativa nei primi mesi del 2028». Alessandro Battaglino, il presidente di Trm, lo spiegherà anche questa mattina durante la cerimonia organizzata per festeggiare i dieci anni di attività del termo valorizzatore, l'ultimo realizzato in Italia. Ieri il consiglio regionale ha approvato il nuovo piano rifiuti che dà il via libera all'ampliamento dell'impianto del Gerbiso e oggi Battaglino, davanti al sindaco di Torino, Stefano Lo Russo - la città ha una partecipazione di minoranza nella società controllata da Iren - e al presidente del Piemonte, Alberto Cirio, racconterà i tempi di realizzazione dell'ampliamento che agevolerà il percorso che dovrebbe portare entro il Piemonte entro il 2035 a raggiungere l'82% di raccolta differenziata e di ridurre del 3% i conferimenti in discarica. «Ampliare il nostro impianto - spiega - permette di dimezzare i tempi di operatività rispetto alla costruzione di un nuovo inceneritore e riduce i costi rispetto alla costruzione di un nuovo impianto».
    Realizzare un secondo impianto non serve, dunque?
    «Non dico questo. Si tratta di valutazioni politiche ma io posso dire che per ampliare il nostro impianto serviranno 337 milioni, comprese le compensazioni per il territorio che dovrebbero aggirarsi su una trentina di milioni. Non sarà consumato altro suolo perché dentro il sito c'è lo spazio sufficiente alla nuova linea di produzione. Per realizzare un nuovo impianto i tempi sono più lunghi, diciamo sei, sette anni. Qui la progettazione è partita nel 2002 e l'impianto è diventato operativo nel 2013. E comunque il metro di paragone sarà il tempo di realizzazione dell'eventuale inceneritore di Roma».
    Senza dimenticare che non realizzare un secondo impianto permetterebbe alla Regione di evitare contestazioni sui territori come è successo a Cavaglià. È così?
    «L'idea che si possa applicare il principio di rifiuti zero non è praticabile mentre si può raggiungere, e qui lo stiamo già facendo, lo spreco zero. I 4,7 milioni di tonnellate di rifiuti che abbiamo bruciato in questi dieci anni hanno permesso alla società di produrre 3,5 milioni di MW/h di energia elettrica e, a partire dal 2020, 296 mila MWh di energia termica».
    E questo dovrebbe evitare le contestazioni?
    «Posso dirle che in questi anni oltre 28 mila persone hanno visitato l'impianto per capire di persona il suo funzionamento. A febbraio, in un giorno sono arrivati 700 cittadini. C'è interesse e poi ci sono i numeri del monitoraggio dell'attività che sono la migliore risposta ai timori dei cittadini per quanto riguarda le emissioni».
    Che cosa dicono i numeri?
    «Il monitoraggio che avviene ogni 24 ore mette in luce come le nostre emissioni siano abbondantemente al di sotto dei valori limiti fissati ma anche delle emissioni di altri inquinanti. La metà dell'anidride carbonica emessa non è di origine fossile ma biogenica. E poi ci sono le api, un bio-indicatore importante di salubrità. Nei nostri alveari vivono 120 mila api».
    La realizzazione di una quarta linea di produzione non attrarrà rifiuti da altre regioni?
    «No perché sarà in grado di bruciare 250 mila tonnellate di rifiuti, cioè la quantità che serve a rendere autonomo il Piemonte ed evitare che i rifiuti finiscano all'estero o in altre regioni. Una nuova linea permetterà alla Regione di raggiungere l'obiettivo ambizioso di aumentare di quasi il 20 per cento la quota differenziata entro il 2035».
    Iren è d'accordo sull'ampliamento?
    «Credo si perché con una quarta linea si potrà proseguire l'ottimo lavoro fatto da Trm fino ad oggi».
    E i cittadini che cosa ci guadagnano?
    «Una tassa smaltimento rifiuti più bassa rispetto ad altri territori. Roma, ad esempio, spende 120 milioni l'anno per portare al Nord i suoi rifiuti. Un costo che viene scaricato sui cittadini».

 

 

09.05.23
  1. CINA STOP PER AMBIGUITA':  Dopo aver preso di mira diversi settori dell'economia russa con dieci diversi pacchetti di sanzioni, l'Unione europea si prepara a entrare in una nuova fase per colpire i Paesi terzi che sostengono in qualche modo Mosca. A partire dalla Cina, che si è già detta pronta a reagire per «tutelare i propri interessi». Ma non solo: l'Ue è pronta a tagliare le relazioni commerciali con tutti quei Paesi che stanno aiutando la Russia a eludere le misure restrittive, partecipando a triangolazioni per consentire il flusso di merci europee il cui export verso Mosca è bloccato. In questo caso nel mirino ci sono Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l'Armenia, il Kazakistan, ma anche la Turchia. La Commissione ha messo a punto l'undicesimo pacchetto di sanzioni economiche che, per la prima volta, inserisce nella blacklist sette aziende cinesi (alcune delle quali sono basate ad Hong Kong). Secondo Bruxelles, le società venderebbero alla Russia una serie di attrezzature e tecnologie utilizzate per scopi militari nella guerra in Ucraina. «L'Unione europea non si metta sulla cattiva strada» ha avvertito un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, secondo il quale «si utilizza il pretesto delle relazioni tra la Russia e la Cina per adottare delle sanzioni illegali». Le misure non sono state ancora discusse formalmente tra gli ambasciatori dei 27 Stati membri, che avranno un primo confronto soltanto domani. Secondo le indiscrezioni raccolte in ambito diplomatico, non sarà facile raggiungere un'intesa sul nuovo pacchetto di sanzioni in tempi brevi proprio per le possibili ripercussioni nei rapporti con la Cina. Ma oggi Ursula von der Leyen cercherà comunque di usare questo biglietto da visita durante il suo viaggio a Kiev, dove celebrerà simbolicamente la giornata dell'Europa
  2. RITORNO DEL CILE : Era lo scenario più temuto per il presidente del Cile Gabriel Boric. Dopo mesi a rincorrere la destra nelle politiche su sicurezza e immigrazione, il leader progressista eletto poco più di un anno fa con un record di voti e l'etichetta di erede di Salvador Allende, si è visto sfilare anche l'ultimo bastione dal quale avrebbe potuto cercare di smantellare le restanti vestigia della dittatura di Pinochet, rappresentate dalla costituzione del 1980 ancora vigente. A imporsi domenica con il 35,4% delle preferenze nelle elezioni per la scelta dei 50 membri del Consiglio incaricato di redigere un nuovo testo costituzionale è stato proprio lo schieramento che rivendica i successi della dittatura militare instaurata da Pinochet nel '73 con l'uccisione di Allende. Si tratta del Partito Repubblicano guidato da José Antonio Kast che, forte dei 22 seggi ottenuti, ora è in grado di opporre il diritto di veto a qualsiasi proposta e boicottare il processo costituente. —

 

 

08.05.23
  1. IL VERO VOLTO DELLA SVIZZERA :  A poco più di un mese e mezzo da quel 19 marzo in cui venne salvato, con un intervento di 109 miliardi di franchi della Banca Nazionale Svizzera, premessa per un’integrazione con Ubs, Credit Suisse continua a riservare notizie di scandali, relativi al suo passato.

    Domenica 7 maggio si è appreso, grazie a un’inchiesta del settimanale SonntagsZeitung di Zurigo, che quella che fino a poco tempo fa è stata la seconda banca svizzera per importanza, durante molti anni ha versato centinaia di milioni di franchi di bonus occulti, nel senso che non sono mai stati iscritti a bilancio, a un gran numero di alti quadri della direzione.

    Dal 2008, quindi proprio quando scoppiò la maggiore crisi finanziaria del secondo dopoguerra, fino almeno al 2019, quelle ricche prebende nascoste vennero elargite senza che, poi, figurassero nel rapporto annuale dell’istituto, sottoposto al voto dell’assemblea degli azionisti. La prassi sarebbe stata iniziata dal top manager statunitense, Brady Dougan, che ricoprì la carica di CEO di Credit Suisse dal 2007 al 2015, anno in cui lasciò la banca, sanzionata nel 2014 da una multa di 2,8 miliardi di dollari, per aver violato la legge fiscale USA, favorendo l’evasione delle imposte di molti suoi clienti nordamericani.
    Tra i beneficiari dei bonus non iscritti a bilancio figurerebbero diversi ex-dirigenti statunitensi della banca svizzera, In particolare l’oggi 62 enne Robert Shapir, già responsabile dell’Asset Managememt e co-responsabile della Gestione Patrimoniale di Credit Suisse, nonché CEO per le americhe della banca e che, per quelle funzioni, incassava un lucroso stipendio di 7,9 milioni di franchi l’anno.
    Uno che, decisamente, non aveva alcun bisogno di intascarsi altri soldi, soprattutto in maniera così furtiva. Una prassi indegna se pensiamo che avveniva in anni in cui milioni di persone soffrivano per le conseguenze della crisi finanziaria e si stava facendo strada, nell’opinione pubblica, un sentimento ostile nei confronti delle cifre mirabolanti che guadagnavano i grandi dirigenti d’azienda.

    Fatto sta che, giorni fa, il quotidiano di Zurigo Tages Anzeiger ha quantificato in 32 miliardi di franchi l’entità dei bonus, beninteso quelli palesi, distribuiti da Credit Suisse negli ultimi 10 anni. Considerando la miserrima fine della banca ci si può chiedere se, di fronte a queste vagonate di bonus, elargiti nonostante il cattivo andamento dell’istituto, non ci siano i presupposti per un’azione della magistratura. […]
  2. CONFLITTI DI INTERESSI POLITICO-ECONOMICO :

    Nella City milanese è ripreso il gioco sullo scacchiere Mediobanca-Generali. A innescarlo è stata la conferma dell’ascesa di Francesco Gaetano Caltagirone nel capitale di Piazzetta Cuccia al 9,9%, dopo i rumors rivelati lo scorso ottobre da MF-Milano Finanza. La mossa arriva mentre nella banca d’affari milanese è appena partito il complesso iter per la presentazione della «lista del cda» in vista del rinnovo del board all’assemblea del 28 ottobre. E che ora potrebbe essere influenzato in maniera rilevante da alcune decisioni tra Palazzo Chigi e Parlamento, proprio relative alle «liste del cda».
    La partita si gioca sul filo del diritto, tra commi e codicilli che sembrano minuzie da legulei ma che invece possono avere effetti molto concreti. Per riannodare il filo bisogna tornare al Consiglio dei ministri del 4 maggio che, all’interno di un decreto legge omnibus ha inserito una norma in base alla quale gli statuti delle società quotate possono prevedere la «lista del cda» stabilendo che questa dovrà essere presentata 40 giorni prima dell’assemblea, e non 25 giorni come per gli altri candidati.

    […] I contenuti della norma in questione ricalcano, in parte, un emendamento al decreto Fintech presentato in Senato da Fratelli d’Italia a meta aprile ma cassato ancora prima della partenza per estraneità alla materia del provvedimento. L’emendamento originario di Fratelli d’Italia prevedeva un terzo aspetto non previsto invece nel decreto del 4 maggio: qualora lo statuto non preveda altrimenti, la lista del cda si considera «non presentata» se uno o più soci con una quota di almeno il 9% del capitale stilino una propria lista con un numero di candidati pari a quello dei consiglieri da eleggere. Insomma, una lista di maggioranza.
    […] le liste dei board sono a pieno titolo nel decreto, sempre che il Quirinale non abbia nulla da obiettare sulla presenza stessa di questi provvedimenti. Se passasse il vaglio di Mattarella, nel corso dell’iter parlamentare di conversione in legge un emendamento simile a quello presentato nel decreto Fintech stavolta passerebbe il vaglio di ammissibilità.

    Cosa c’entra tutto questo con la battaglia lungo l’asse Mediobanca-Generali? Secondo diversi osservatori, se quella norma tornasse e venisse approvata, sarebbe un forte assist per Caltagirone. Se un anno e mezzo fa la proposta D’Alfonso fosse diventata immediatamente operativa, avrebbe potuto tagliare fuori dalla corsa per il rinnovo l’amministratore delegato uscente di Generali Philippe Donnet, candidato nella lista del cda avversata da Caltagirone con l’appoggio di Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt e i voti dei Benetton. Ora la tenaglia sul Leone, via Mediobanca, prova a fare leva sulla politica. […]

 

 

 

 

 

07.05.23
  1. BASTAVA E BASTA FARE MUTUI A TASSO FISSO:    La decisione della Bce di alzare i tassi d'interesse per la settima volta in nove mesi non riguarda soltanto lo Stato italiano e i suoi 2770 miliardi di debito. Il costo del denaro al 3,75% incide anche sulle famiglie che hanno acceso un prestito e su quelle che vorrebbero farlo.
    In Italia sono 6,8 milioni le famiglie indebitate, un quarto del totale. Su 3,5 milioni di loro pesa un mutuo, talvolta stipulato con tasso variabile. Stando ai calcoli della Fabi, la rata di queste ultime famiglie è cresciuta in media del 65%:chi pagava circa 500 euro al mese, oggi paga 825 euro, ossia 325 euro in più. E l'ultimo rialzo dello 0,25% deciso dalla Bce è destinato a far lievitare ancora l'esborso.
    L'aumento dei tassi condiziona però anche le scelte di quanti vorrebbero ricorrere a un nuovo finanziamento, avverte il sindacato bancario. I nuovi mutui a tasso fisso sono passati da un interesse medio di circa l'1,8% ad anche oltre il 5%, con rate mensili raddoppiate. I nuovi mutui a tasso variabile potrebbero poi arrivare, a breve, in media, verso il 6% dallo 0,6% di fine 2021. Per un prestito da 15 mila euro della durata di 20 anni, quindi, la rata mensile sarà di 1.090 euro, ossia 325 euro in più (+63,9%) rispetto a quella di 665 euro che si sarebbe ottenuta un anno fa.
    L'incremento dei costi di finanziamento è evidente anche su altri prodotti di credito. Per acquistare un'automobile da 25 mila euro interamente a rate, con un finanziamento da 10 anni, servono 45.704 euro, con una differenza di 8.279 euro (+22,1%) rispetto ai tassi di fine 2021. Per comprare una lavatrice da 750 euro interamente a rate, con un finanziamento da 5 anni, il costo totale passa da 942 euro a 1.061 euro, con un aumento di 119 euro (+25,3%) rispetto a poco più di un anno fa.
    La Bce ha ribadito che gli aumenti dei tassi sono necessari per riportare sotto controllo l'inflazione. La crescita dei costi dei prestiti si aggiunge così al caro-vita che, in mancanza di aumenti salariali, sta abbattendo la capacità non solo di indebitamento ma anche di spesa degli italiani. Secondo il Codacons, del resto, in 10 anni la spesa media annua per luce, gas, acqua e rifiuti è salita complessivamente del +68,7% un incremento di 1.625 euro a famiglia, con i prezzi dell'elettricità che, rispetto al 2012, hanno registrato un aumento record del +240%.
  2. Il nodo è la separazione tra super veloci e regionali
    Bologna ce l'ha, Firenze finalmente sembra che lo stia per fare, a Roma probabilmente è impraticabile.

    Quattro incidenti minori in 17 giorni, tre dei quali in Toscana, due che si ripercuotono a cascata sul resto del traffico nazionale causando disagi enormi, e un'unica soluzione ragionevole: separare l'alta velocità da intercity, interregionali, regionali e merci. Già, ma se questa soluzione certe volte risulta possibile, in alcuni casi invece è quantomeno difficile, mentre per altri è proprio impossibile.
    Chiunque viaggi su rotaia sa che Bologna, Firenze e Roma sono colli di bottiglia. La prima tra queste città ha inaugurato quello che tecnicamente si chiama «bivio Emilia-Bologna Centrale» l'8 maggio del 2012. Ventitre metri più in basso dei binari del traffico ordinario sulla stazione, i Frecciarossa e gli Italo possono passare per questo hub moderno dotato di comfort per i passeggeri in attesa, ad oltre 100 km orari, indipendentemente dal quanto accada in superficie e viceversa.
    A Firenze il cantiere per la costruzione di una stazione analoga è oggetto di dibattiti, gare d'appalto, esposti, cause e polemiche ormai da 30 anni. Le Ferrovie dello Stato indicano il 2007 come data dell'inizio dei lavori per questa stazione che pure potrebbe eguagliare i 100 km/h in transito che ci sono su Bologna e implica 2,735 miliardi di euro di investimenti.
    La data di consegna è prevista per il 2028 e il presidente della regione Toscana, Eugenio Giani, ha ribadito la necessità di averla pronta in fretta, dopo che la rottura dell'asse di un vagone merci nei pressi del capoluogo ha bloccato mezza Italia.
    Tuttavia, c'è ancora chi si oppone: comitati di quartiere, ambientalisti e urbanisti che nel tempo hanno insistito sull'impraticabilità del progetto. Ne è un esempio l'ingegnere dei trasporti Vincenzo Abbruzzo, il quale ricorda come «da anni io proponga l'alternativa di un passaggio in superficie dell'alta velocità, ma municipio e Regione hanno sempre insistito perché fosse sotterranea, senza peraltro spiegare il perché».
    Roma, dove ieri è caduto il più recente dei granelli capaci di bloccare l'ingranaggio ferroviario italiano, è un caso a parte. Qui secondo gli esperti, per come è organizzata la rete e per la natura stessa della città, una stazione sotterranea esclusivamente dedicata alla Tav è più prossima alla fantascienza che alla realtà.
    Un'alternativa possibile è quella praticata a Reggio Emilia, con un terminal moderno in periferia e poi treni di cabotaggio fino al centro.
  3. QUANTI ALTRI FAVORITI DAI POLITICI: L'Asl To4 ha licenziato Carla Fasson, la manager a capo del Dipsa (il dipartimento delle professioni sanitarie) perché non ha i titoli per essere iscritta all'albo dell'Ordine dei tecnici di laboratorio biomedico, come richiesto dalla Legge del marzo 2018 dell'allora ministro alla Sanità, Beatrice Lorenzin. Per il legale dell'Asl To4, l'avvocato Andrea Castelnuovo il licenziamento è un atto dovuto, quale diretta conseguenza della mancata iscrizione all'albo professionale: «L'Asl si sta occupando in maniera approfondita di molte questioni, alcune delle quali anche oggetto di procedimento penale. Sono stati aperti vari procedimenti disciplinari perché l'Asl intende perseguire ogni illecito con la massima serietà e tempestività».
    Un atto inevitabile anche per la legale della Fasson, l'avvocato Beatrice Rinaudo: «Ci vorrà tempo per dimostrare che la mia assistita ha tutti i requisiti per essere iscritta all'albo e faremo tutto il possibile per dimostrarlo, ma i tempi non coincidono con quelli del disciplinare. E per quanto la vicenda sia dolorosa, la mia assistita oggi è più serena vista la delicatezza della situazione».
    Quella che vede al centro Carla Fasson è un'inchiesta penale aperta dalla procura di Ivrea e che aveva portato la ex manager agli arresti domiciliari per corruzione e abuso (domiciliari poi revocati dal Riesame e sostituiti con una interdittiva di 8 mesi). Secondo la pm Valentina Bossi ci sarebbero 11 avanzamenti di carriera pilotati nell'azienda con domande e risposte delle prove d'esame che sarebbero state inviate in anticipo da Fasson ai concorrenti preferiti. E poi c'è il filone d'inchiesta a Torino perché Fasson avrebbe manifestato al dottor Giulio Meinardi, medico otorino all'ospedale di Chivasso, l'intenzione di posizionare un gps sotto l'auto del direttore di otorinolaringoiatria. Una bufera giudiziaria che vede 33 indagati tra cui il direttore generale Stefano Scarpetta.
  4. Schlein attacca Descalzi "Non si può barattare l'impunità con il gas"
    «Penso che l'Italia non possa considerare la mancata collaborazione dell'Egitto sull'omicidio di Giulio Regeni come un prezzo da pagare sull'altare degli interessi economici». La segretaria del Partito democratico Elly Schlein, da un evento elettorale a Treviso, commenta le parole pronunciate venerdì dall'amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi sul palco della convention di Forza Italia a Milano: «L'Egitto ci ha aiutato rinunciando ai suoi carichi quest'estate per mandarli in Italia per riempire gli stoccaggi», aveva detto l'ad, in riferimento alla strategia italiana per emanciparsi dai rifornimenti di gas russo. «Questi sono Paesi a cui se dai, ricevi». A quest'ultima frase di Descalzi, appena riconfermato alla guida della partecipata, ha risposto la leader dem: «Ho sentito dire che da paesi come l'Egitto "se dai ricevi". Voglio chiedere al governo se tra le cose da "dare per ricevere" è considerata anche l'impunità dei torturatori e degli assassini di Giulio Regeni». Il processo sulla morte del ricercatore italiano di 28 anni, il cui cadavere è stato ritrovato al Cairo il 3 febbraio 2016 non lontano da una prigione dei servizi segreti egiziani, è in una fase di stallo. Gli alti funzionari della National Security egiziani, Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif, accusati a vario titolo di sequestro di persona, lesioni e concorso nell'omicidio del giovane studioso, non si sono mai presentati alle udienze. La prossima udienza si terrà il 31 maggio. In quell'occasione il gup potrebbe decidere di rivolgersi alla Corte Costituzionale per sciogliere l'impasse causata dall'assenza degli imputati. Il 28 aprile, la famiglia di Giulio Regeni ha chiesto, con una lettera, che il governo «pretenda senza se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e l'uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio».
    L'Egitto non ha mai collaborato alle indagini e non ha mai permesso che le notifiche arrivassero ai quattro dipendenti degli apparati di sicurezza del Cairo: «Laddove non possono arrivare gli ufficiali giudiziari notificando ai quattro imputati l'invito a comparire – hanno scritto i genitori di Regeni – arriverà l'eco della nostra scorta mediatica, che siete tutti voi. Questo processo si deve fare e si deve fare in Italia, perché non è accettabile che chi tortura e uccide pagato da un regime che il nostro Paese ritiene "amico", possa abusare del nostro sistema di diritto e godere dell'impunità». Anche Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde critica le parole dell'ad di Eni Descalzi: «A noi il governo egiziano ha dato Giulio Regeni cadavere perché assassinato. L'Italia cosa ha dato all'Egitto in cambio del gas? Rinunciare a perseguire gli assassini di Regeni?»

 

 

06.05.23
  1. SOLITA INGORDIGIA INFERNALE :    Negli Stati Uniti si parla di greedflation, inflazione da avidità. Le multinazionali produttrici di beni di largo consumo hanno aumentato i prezzi oltre quanto sarebbe stato necessario per compensare l'incremento dei costi di energia, materie prime e lavoro. Risultato: i loro margini di profitto sono saliti nonostante il calo dei volumi di vendita. Nestlé, per esempio, ha alzato i prezzi della sua gamma del 9,8% fra gennaio e marzo. Nonostante gli acquisti dei prodotti siano scesi dello 0,5%, così, il colosso svizzero è riuscito a incrementare i ricavi del 5,6% a 24 miliardi. Stessa dinamica si ritrova nei conti trimestrali di Procter & Gamble - che aumentato i prezzi del 10% - Unilever (11%), Pepsi (16%), Coca-Cola (11%) e altri marchi internazionali che popolano gli scaffali dei supermercati europei.
    Le aziende in questione hanno respinto l'accusa di aver approfittato della confusione generata nei consumatori dalla crisi energetica per speculare sull'inflazione. I rialzi dei listini andrebbero a compensare i costi sopportati dalle aziende nell'ultimo biennio di choc in serie, e neanche per intero. Secondo un'analisi di Allianz, però, la tesi non è del tutto convincente, perlomeno nel settore alimentare. Gli esperti dell'assicurazione tedesca hanno calcolato che circa il 10% dell'aumento dei prezzi di cibo e bevande non è giustificato dalla crescita dei costi di energia, materie prime e logistica. In altri termini, va soltanto a gonfiare i profitti dei produttori. Ma per quanto ancora? Buona parte dei gruppi citati ha dichiarato al mercato di aver pressoché esaurito il suo potere negoziale nei confronti dei consumatori: ulteriori incrementi dei prezzi si rivelerebbero contropruducenti, deprimendo troppo la domanda dei clienti.

 

 

 

05.05.23
  1. OMICIDI STYLE PUTIN :   «Sono il campione di ascolto dei discorsi di Putin, mi addormento al suono della sua voce». Dopo aver torturato Alexey Navalny con la fame, il freddo, la cella di punizione e l'abolizione delle visite, l'amministrazione del carcere dove è rinchiuso il leader dell'opposizione russa ha inventato un supplizio ideologico, costringendolo ad ascoltare a tutto volume il suo peggior nemico. Una «punizione creativa», come la chiama il detenuto più famoso di Russia, che a lui ricorda «un libro di spie dove i prigionieri dovevano ascoltare a volume assordante le poesie di Mao Tsedong». Più che un tentativo di rieducazione da rivoluzione culturale cinese, o da Arancia meccanica, questa innovazione nel regolamento carcerario della colonia penale numero 2 della regione di Vladimir sembra una tortura psicologica: le registrazioni con Putin vengono accese nella ora di «tempo personale» serale e durano fino al momento di coricarsi.
    Un nuovo dispetto che conferma quello che ieri ha ripetuto anche Evgeny Cichvarkin, l'imprenditore russo amico di Navalny costretto già anni fa all'esilio dal regime: l'oppositore incarcerato è «il detenuto personale di Putin», e quello che gli viene fatto dietro le sbarre accade per ordine del Cremlino. Oltre alle vessazioni comuni a tutti i prigionieri di quello che resta ancora per tanti aspetti un «arcipelago Gulag» – come la denutrizione cronica per via di razioni troppo piccole e scadenti – per Navalny è stato inventato un programma di tormenti in un girone dell'inferno a lui dedicato. Le sue lettere vengono bruciate, i suoi pacchi viveri buttati, non riesce a ricevere cure mediche e soffre di dolori addominali che hanno fatto venire ai suoi familiari la paura di un nuovo, lento, avvelenamento. Da mesi ormai il politico non esce quasi dalla cella di punizione, alla quale viene condannato anche per la più piccola delle violazioni, come un bottone slacciato: si tratta di 15 giorni rinchiuso in un cubo di cemento gelido, dal quale il politico emerge dimagrito di 5-8 chili. Quando rientra nella sua cella abituale, Navalny si ritrova spesso in compagnia di un altro detenuto, che soffre di squilibri mentali e non si lava da settimane: «Avverto una giustizia nel fatto che la prigione equipari l'impatto dei discorsi di Putin a quello della puzza», ironizza Navalny nel suo messaggio, consegnato agli avvocati e diffuso sui suoi social.
    Una situazione tragicomica, se non fosse che il dissidente si trova al centro di un Gulag dentro il Gulag, costruito appositamente per lui e dal quale chiaramente non dovrebbe più uscire, almeno nelle intenzioni del suo carceriere. Condannato a due anni e mezzo per una presunta violazione delle regole di libertà condizionata per una precedente condanna, già in carcere Navalny è stato processato e sentenziato a dieci anni per «truffa» e «offesa alla corte», mentre ora è stato incriminato per «organizzazione comunità estremista» e altri reati che insieme dovrebbero fruttargli fino a 30 anni. Di recente però il politico ha comunicato che rischia l'ergastolo, quindi probabilmente alle imputazioni esistenti si sono aggiunte altre, presumibilmente quella di «terrorismo», basata sul fatto che Daria Trepova, la giovane che ha portato la bomba che ha ucciso ad aprile il propagandista nazionalista Vladlen Tatarsky, fosse una seguace del movimento di Navalny.
    È evidente che per Putin Navalny non deve uscire più dal carcere. Nonostante il suo movimento sia stato messo fuori legge, e i suoi militanti siano in esilio, o in carcere, il suo solo nome è già un capo d'accusa: nei giorni scorsi un uomo è stato arrestato per aver postato sui social il programma dei «15 punti per chi vuole bene al proprio Paese», in cui Navalny invita i suoi seguaci ad aiutare la vittoria dell'Ucraina e rovesciare il regime di Putin per costruire una Russia democratica e «non più imperiale». La vicepresidente della Fondazione anticorruzione di Navalny, Anna Veduta, è appena finita al centro di polemiche per aver dichiarato di donare soldi all'esercito ucraino: il Cremlino ha appena introdotto l'ergastolo come pena massima per «aiuto al nemico», ma anche nei ranghi degli oppositori non tutti approvano. Dopo un anno e mezzo, un fronte anti putiniano non è ancora nato, e anche alla recente conferenza che ha cercato di unire a Berlino i vari esponenti del dissenso i navalniani non si sono presentati. E Boris Zimin, il principale sponsor del movimento, ha proprio ieri annunciato di voler diminuire gradualmente il finanziamento alle donne e agli uomini di Navalny, per spingerli a «variare e cercare altre fonti».
    Navalny resta comunque la figura più carismatica dell'opposizione russa, l'unico ad aver creato un movimento massiccio e ad aver dato voce e parole d'ordine a milioni di persone, soprattutto esterne ai salotti liberali di Mosca e Pietroburgo. Uno dei motivi per cui rimane il nemico pubblico numero uno, per Putin come per gli ufficiali penitenziari dei quali ha esposto – già dal carcere – le ruberie. Una condanna all'ergastolo lo sposterebbe in un carcere di massima sicurezza, dove l'accesso alle lettere e agli avvocati sarebbe limitato al minimo, «cancellando la sua presenza», dice Cichvarkin. Soltanto la settimana scorsa 130 personalità della cultura – da J.K.Rowling a Benedict Cumberbatch – hanno firmato una lettera in cui chiedono a Putin di liberare il suo «prigioniero personale». Ma è difficile che il Cremlino molli la preda: a questo punto, è uno scontro personale, come dimostra la tortura con la voce di Putin che deve avvelenare anche quei 60 minuti di tempo libero che la prigione concede a Navalny.
  2. RISCHI INTELLIGENZA ARTIFICIALE: L'intelligenza artificiale ha potenzialità enormi, può migliorare le vite, ma pone anche dei rischi per le libertà civili. Per questo i colossi hi tech hanno delle responsabilità etiche, morali e legali nel garantire la sicurezza dei prodotti generati da IA e servono delle direttive chiare da rispettare, magari incapsulate in una legge votata dal Congresso. Al termine dell'incontro di circa due ore svoltosi ieri alla Casa Bianca con i leader del mondo dell'industria tecnologica, la vicepresidente Kamala Harris – che ha presieduto l'incontro – ha così sintetizzato la visione dell'Amministrazione.
    Al meeting ha fatto a un certo punto capolino anche il presidente Biden, cosa non rara quando si tratta di questioni sensibili, e ha ribadito rischi e benefici dell'innovazione.
    Sono tutti elementi che da tempo hanno attirato l'attenzione della Casa Bianca. Nel 2023 la competizione fra i maggiori player si è fatta ancora più intensa e a Washington ha preso piede l'idea che la rincorsa al profitto e a superare rapidamente le frontiere della ricerca possa avere degli effetti negativi sulla democrazia, la privacy e i diritti delle persone.
    Così nei giorni scorsi, l'Amministrazione ha deciso di convocare una riunione con i boss di Google, Sundar Pichai, Microsoft, Satya Nadella, Open Ai Sam Altam e Anthropic guidata dall'italo-americano Dario Amodei. Con loro attorno al tavolo oltre a Kamala Harris c'erano Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jeff Zients, capo dello staff di Biden, Gina Raimondo, segretaria al Commercio e altri alti funzionari. Un incontro quindi al massimo livello cui l'arrivo di Biden ha dato ulteriore spinta.
    La Casa Bianca sta cercando di sviluppare un approccio comprensivo e coerente al tema che ha subito un ulteriore segno di urgenza nelle ore seguenti l'annuncio della ricandidatura di Biden alla Casa Bianca quando i repubblicani hanno risposto rapidamente con un breve video – generato interamente con AI – ai contenuti del messaggio di Biden. Una rapidità che ha destato non pochi timori. Lo ha sottolineato in un report anche Darrell M. West studioso della Brookings Institution sottolineando come l'intelligenza artificiale accorcerà i tempi di risposta, di mediazione, di riflessione e sarà in grado di generare risposte immediate senza doversi basare su chissà quali analisi approfondite di consulenti. «La IA democratizzerà anche la disinformazione portando strumenti sofisticati nelle mani di chiunque voglia promuovere le idee di qualunque candidato». E con il 2024 e la sfida – possibile e sin probabile – fra Biden e Trump fornirà un terreno di sperimentazione.
    Il fronte delle sfide aperte secondo l'Amministrazione è assai vasto. Un alto funzionario della Casa Bianca in una call con i reporter accreditati ha sottolineato come «la stella polare dell'azione del governo è che se si vuole beneficiare dei vantaggi, bisogna essere in grado di mitigare i rischi». Anzitutto ai ceo Harris ha chiesto responsabilità e trasparenza, tutti parteciperanno in agosto al DEFCON 31 di Las Vegas, fiera della tecnologia dei software, lì i progetti di AI saranno resi pubblici e di fatto valutati.
    C'è la piena consapevolezza che l'intelligenza artificiale e i suoi prodotti – che sia la composizione di immagini, il linguaggio o altre applicazioni mediche – siano la nuova normalità, ma spiegano le fonti, «la corsa all'innovazione sta accelerando e le applicazioni si allargano sempre di più». Washington ha introdotto già dall'autunno alcuni paletti per regolarne lo sviluppo. Sono state diramate direttive per una sorta di Carta dei diritti della IA; quindi, è stata elaborata una struttura di Risk Management e le varie agenzie federali hanno maggior potere per tutelare le persone e valutare le azioni delle società hi tech.
    Ieri è stato annunciato l'investimento di ulteriori 140 milioni di dollari per sette nuovi centri nell'ambito del National AI Research Institute. Ad ora sono 18 i laboratori negli States. Verranno rafforzate le disposizioni per le agenzie federali nella gestione degli strumenti dell'AI e verrà rafforzato lo scambio di conoscenze fra governo e compagnie private nello sviluppo affidabile degli strumenti dell'intelligenza artificiale.
  3. MAFIA INTERNAZIONALE:  L'intercettazione è un romanzo breve sul potere della ‘ndrangheta nel mondo. Parlando di traffico di cocaina «i calabresi sono più famosi di Pablo Escobar, hanno più soldi loro di lui». Così, l'imprenditore (colluso) Pasquale Bevilacqua – rientrato in un paesino della costa jonica reggina dopo decenni trascorsi a Canberra in Australia – raccontava alle famiglie Nirta e Strangio, enclave di altissimo rango mafioso originarie di San Luca, il suo profilo di emigrante di ritorno: «Calabria hai capito? Non Sicilia se vuoi fare business». Calabria come ponte verso il mondo, col ventre gonfio di soldi sporchi, con una mafia geneticamente portata a espandersi in ossequio a una logica darwinistica. Di evoluzione continua. Per conquistare mercati e territori.
    Ed effettivamente la dimensione europea della malavita calabrese trasuda in tutte le migliaia di pagine che raccontano i 200 arresti eseguiti l'altroieri dai carabinieri del Ros, dalle procure di Reggio Calabria (guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri), Milano e Genova e dagli investigatori belgi e tedeschi. Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, ha introdotto l'immagine «del network internazionale». Con cellule in Portogallo, Olanda, Francia, Belgio, Spagna, Nordreno Vestfalia, Turingia, Saarland in Germania. E casa madre in Aspromonte (o alle sue pendici). Eccoli gli estremi di una retta criminale che supera i confini, parla una lingua universale, quella dei soldi, vuole scrollarsi di dosso, quasi come un'ossessione «il rischio – si legge agli atti dell'inchiesta, dove un gregario intercettato introduceva il tema dell'infiltrazione nella politica – di rimanere una mafia agricola». Lo diceva anni fa un boss di Gioia Tauro a un giovane rampollo sulla strada dell'apprendistato: «Ricordati che il mondo si divide in due: quello che è Calabria e quello che lo diventerà». Una profezia.
    E allora eccole le tonnellate di cocaina – 20 solo quelle sequestrate, molte di più quelle transitate nei porti – che viaggiano da Ecuador e Brasile verso Olanda e poi Italia. Le cosche calabresi, moderne e solvibili, hanno rilanciato quando il mondo sembrava crollare intrappolato nella pandemia da Covid. Le hanno comprate a partire da maggio 2020 dal clan del Golfo, formato da ex paramilitari dell'Auc che nel 2004 non accettarono accordi di pacificazione con l governo colombiano e si presero il mondo del narcotraffico partendo dal distretto di Antioquia. O dai membri dell'Oficina de Envigado, erede dello storico cartello di Medellin. O infine da gruppi (sempre paramilitari) di matrice leninista e marxista. Prezzi imbattibili, guadagni immensi. Con agganci nei porti di destinazione: due gli arresti di uomini delle cosche che avevano "avvicinato" portuali di Gioia Tauro. In Olanda ci pensavano gli albanesi a condurre fuori dal porto i borsoni da 300 chili per volta destinati alle famiglie di San Luca e Africo. Ristoranti e locali le lavatrici dei cartelli che a Lisbona, Braga e Vila Nova de Gaia aveva messo su «un indefinito numero di intestazioni fittizie anche su cinque ristoranti». Cognomi vecchi (Morabito, Giorgi, Bruzzaniti) che richiamano faide in mondovisione (Duisburg) e omicidi brutali, ma capaci di rigenerarsi di continuo per non perdere il monopolio di un traffico che vale ogni anno, decine di miliardi di euro: una manovra finanziaria. E che per ricambiare i favori (olandesi) alle mafie dell'Est con le quali hanno stabilito una inusuale (per la ‘ndrangheta) joint-venture "sbloccano" i loro carichi nei porti calabresi. I pagamenti viaggiavano su canali cinesi: una sorta di Hawala sulla quale sono stati documentati passaggi per 22 milioni di euro in due anni. E basta un click con i criptotelefonini per spostare soldi veri senza muovere una banconota. Chi ritira i soldi (anche un milione) consegnati in borsoni, trattiene tra l'8 e il 10% della transazione. Che sarebbe scomparsa un minuto dopo se gli investigatori del II reparto investigativo del Ros centrale, guidati dal colonnello Massimiliano D'Angelantonio, non fosse riuscito a infettare i server (non i singoli telefonini), dai quali estrarre le chat protette. Nel Varesotto il punto di arrivo in Italia: un hub in cui in cui i depositi restano lo stretto necessario per ripartire a bordo di Tir verso tutta Italia. Non una casualità. Le cifre dei carichi gestite da Bartolo Bruzzaniti (originario di Africo) insieme ai broker napoletani Raffaele Imperiali e Rocco Carbone, sono queste: trecento chilogrammi di cocaina «al mese», che poteva essere rivenduta «a 34 mila euro al chilo» e dunque per un valore di oltre 10 milioni di euro. È lui stesso, intercettato il 20 giugno 2021, a rivendicare che «Milano mi spetta di diritto». Milano però, vuol dire Morabito, Rocco per la precisione, l'autore di una rocambolesca fuga dal carcere di Montevideo in Uruguay, arrestato proprio dal Ros pochi mesi fa. Bruzzaniti ne favorì un pezzo di latitanza e così nelle carte si scopre che Morabito «per pagare una fornitura di droga organizzò la spedizione di un container carico di armi da guerra in Brasile, provenienti dai paesi dell'ex Unione Sovietica, fornite da un'organizzazione criminale operante in Italia e in Pakistan». Più internazionale di cos.
  4. INDAGINI INTERNAZIONALI :Per portare a termine l'operazione Eureka e venire a capo di una fitta e internazionale rete di narcotraffico legato mani e piedi alle cosche di ‘ndrangheta con "cellule" attive in sei Paesi, ci sono voluti anche – e per la prima volta dopo molto tempo – tre agenti infiltrati. Un italiano e due belgi (Paese dal quale nel 2018 è partita l'operazione con una segnalazione alla Dda di Reggio Calabria).
    Ai membri delle diverse articolazioni internazionali della ‘ndrangheta votate al narcotraffico di cocaina dal Sud America all'Europa, gli infiltrati si sono presentati nel tempo come imprenditori capaci di fornire assistenza logistica. Non interessati a partecipare a carichi di cocaina (che comporterebbe un'altissima percentuale di rischio e condotte di reato gravissime), ma come specializzati nel recupero dei narco-proventi. E per la fornitura di automobili in grado di trasportare la droga in Italia e in alte nazioni del Centro Europa dotate di invisibili "doppifondi". Lo hanno fatto in più di un'occasione attrezzando però i veicoli di microspie ambientali e gps per monitorare gli spostamenti e ascoltare qualsiasi conversazione. Da tempo il Ros dei carabinieri partecipa a gruppi di lavoro europei che contemplano anche lo scambio internazionale di investigatori per mascherare meglio l'infiltrato e garantire allo stesso una maggiore sicurezza. Nell'inchiesta in questione è avvenuto esattamente questo. Ma "l'infiltrazione" nel sistema criminale delle cosche è legato anche alle conversazioni. I boss parlavano solo su sistemi non intercettabili direttamente e sui quali nemmeno il Trojan (il virus informatico inoculato sul telefonino che ne attiva, a richiesta, il microfono) avrebbe potuto portare risultati rilevanti. E così, non potendo "attaccare" lo smartphone, gli investigatori italiani ed europei (coordinati da Eurojust) hanno "infettato" i server sui quali transitavano le conversazioni. Estrapolando a distanza di tempo le chat criptate: un lavoro che ha coinvolto investigatori italiani, francesi e belgi «in una sinergia – ha spiegato in conferenza stampa il procuratore Bombardieri – che è stata l'arma vincente: di fronte alla transnazionalità della ‘ndrangheta è corrisposta una cooperazione europea di forze di polizia decisiva per il risultato».
  5. GERMANIA IN TRINCERA : «Il più grande risultato raggiunto finora al livello europeo nella lotta alla'ndrangheta». La definisce così il procuratore di Düsseldorf, Julius Sterzel, la maxi operazione Eureka che ha portato a 108 arresti in totale, di cui circa un terzo in Germania. Oltre 30 i mandati di cattura emessi dalle procure tedesche di Düsseldorf, Monaco I, Coblenza e Saarbrücken, più di 114 le perquisizioni di immobili, negozi e uffici. «L'Italia è stata un esempio per noi, dalla direzione nazionale antimafia è venuta l'idea del nostro centro ZeOS che riunisce le indagini sulla criminalità organizzata in Nordreno Vestfalia», continua Sterzel.
    Quali sono le attività della 'ndrangheta in Germania?
    «Usa il nostro Paese come un centro logistico per il narcotraffico, data la vicinanza ai porti di Rotterdam e Anversa. Gli stupefacenti vengono importati dall'Olanda e Belgio e poi smistati passando da qui. Ma la Germania è anche un buon posto dove nascondersi quando si è ricercati in Italia, dove sparire e fare affari illeciti senza essere osservati. Lo definiamo "un punto di ritiro strategico". Qui la 'ndrangheta ricicla denaro nel settore della gastronomia. Bar, gelaterie, ristoranti e pizzerie italiane hanno un triplice vantaggio: consentono di reimmettere nel mercato legale proventi illeciti, rendono possibile scomparire dai radar e permettono di reinvestire in attività redditizie. Non solo si ricicla il denaro, ma si fa anche fatturato».
    Il Made in Italy come cavallo di troia per il riciclo. Ma perché proprio in Germania?
    «Il cittadino tedesco è incline a usare il contante, anche se lentamente le cose stanno cambiando. Fino a pochi anni fa si potevano comprare immobili cash ed era ovviamente molto redditizio. Immagini riciclare in un colpo solo 400 mila euro di denaro sporco. Ora la politica ha inasprito le leggi, ma non abbiamo ancora la situazione giuridica che avete voi in Italia. Se non c'è una certa soglia oltre la quale devo provare l'origine del denaro, gli affari illeciti sono molto più facili».
    Chi erano le persone che avete arrestato ieri?
    «Due italiani che lavoravano in una gelateria a Siegen, e 28 tedeschi che facevano parte di una rete impegnata nel trasporto degli stupefacenti. Tra loro ci sono impiegati, titolari di imprese, lavoratori autonomi. C'è poi una terza persona della gelateria che è stata arrestata dalle autorità italiane a San Luca su nostro mandato. Crediamo che questa attività sia stata acquistata da un 'ndranghetista di rango».
    Che legame c'è tra gli arrestati di Siegen e la faida di San Luca, la strage di Natale del 2006 a cui è seguita la vendetta con il massacro di Duisburg?
    «Non abbiamo prova certe per dire che siano legate alla faida ma sono persone imparentate alle vittime di quelle vicende. Uno è il nipote di un capo 'ndranghetista di San Luca, un altro dipendente è il figlio di una persona morta nel massacro di San Luca, e il terzo era imparentato con una donna morta nella strage di Natale».
    Si può dire che gli affari della 'ndrina siano andati avanti in Germania dopo Duisburg?
    «Dopo la strage c'è stata una grande attenzione mediatica, se n'è parlato molto, ma non mi pare si siano registrati successi investigativi particolari. O almeno non l'ho registrato, quindi suppongo che gli affari siano andati avanti».
    Cosa è cambiato di recente nella lotta alla criminalità organizzata italiana da voi?
    «Abbiamo fatto un po' di esperienza, se pensiamo all'operazione Pollino del 2018, ma certo non abbiamo l'esperienza dei colleghi italiani, che sono di più e possono contare sulla Direzione nazionale antimafia. Noi dal 2020 ci siamo dotati di una struttura centrale, la ZoES che coordina le indagini del Nordreno Vestfalia, il Land dove comunque la 'ndrangheta è più attiva perché è il Land più popoloso e più ricco».
    Avete imparato dall'esperienza italiana?
    «Sì, il nostro ministro della Giustizia nel 2021 ha detto esplicitamente che questa idea della struttura centrale gli è venuta dopo una visita alla Direzione nazionale antimafia in Italia. Per noi è un esempio».
    Se è vero che la 'ndrangheta è diventata internazionale, quale contributo ha dato la cooperazione tra tante autorità investigative europee?
    «È stata fondamentale, non avremmo raggiunto questi risultati senza una perfetta collaborazione. Siamo stati in costante contatto con le autorità investigative italiane e degli altri Paesi. Questo è il più grande risultato raggiunto finora al livello europeo nella lotta alla 'ndrangheta»
  6. IL PD DEBITORE DI LAUS : Come sono stati gestiti i conti della cooperativa Rear? Per la procura i fondi statali sarebbero stati utilizzati per interessi privati. E ora anche il ministero delle imprese e del made in Italy vuole vederci chiaro e fare luce sui bilanci e gli estratti conto finiti al centro di un'indagine per malversazione e truffa.
    La direzione generale per la vigilanza sugli enti cooperativi e le società del Mimit, su indicazione del ministro Adolfo Urso, ha disposto un'ispezione straordinaria presso la cooperativa multiservizi. Un provvedimento di peso, preso a seguito degli sviluppi di un'inchiesta che rischia di terremotare il Pd torinese e la società colosso dei servizi di vigilanza, sicurezza e biglietteria. Rear, come tutte le cooperative, è sottoposta a verifiche periodiche da parte del ministero. Ma questo controllo è diverso. E per conoscerne l'esito, dicono i bene informati, ci vorranno almeno un paio di mesi.
    Gli indagati a oggi sono sei. A partire dal deputato Pd Mauro Laus, ex presidente e ora tra i soci più in vista della cooperativa, figura di peso sulla scena politica cittadina. E ancora, i suoi fedelissimi di sempre, collaboratori nell'azienda e in politica: la presidente della Sala Rossa Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta. La prima, storica collaboratrice del parlamentare dem, per la cooperativa si è occupata di comunicazione e rapporti con i media; il secondo, che il deputato ha fortemente appoggiato alla guida della segreteria provinciale del Pd, nella multiservizi seguiva gli appalti e la gestione del personale. Sotto il faro degli inquirenti anche i vertici della società, a partire dal presidente del consiglio d'amministrazione Antonio Munafò.
    La Rear è un'impresa di successo. Centinaia di dipendenti, un fatturato che sfiora i 30 milioni, appalti pubblici di alto livello tra musei ed enti culturali. Ma anche generosa con chi, negli anni, si è candidato, sempre nel Pd, sempre appoggiato dalla corrente che fa capo a Laus. Gli avversari del deputato hanno effettuato alcuni accessi agli atti elettorali a Palazzo Civico per verificare i contributi elargiti dalla Rear alle ultime comunali di Torino, nel 2021, e hanno appuntato la sequenza di finanziamenti dispensata ad alcuni protagonisti della politica cittadina, come Grippo e Carretta, dalla cooperativa e da persone e società ad essa collegate, o che ne condividono la sede, in un complesso immobiliare di Grugliasco. Decine di migliaia di euro.
    Battaglia politica, da un lato. E accertamenti della procura dall'altro. La Guardia di finanza, facendo le pulci al bilancio della cooperativa, sta analizzando tutti i flussi finanziari per scoprire come siano stati impiegati i pagamenti pubblici ricevuti dalle decine di appalti che Rear si è aggiudicata negli anni.
    Gli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, starebbero cercando di ricostruire le modalità con cui la Rear è riuscita ad ottenere gli appalti più significativi in Piemonte e Valle d'Aosta da musei ed enti culturali, alcuni di primaria importanza nel panorama cittadino.
  7. LO RUSSO DEBITORE ? Prudenza. Fiducia nei giudici e negli assessori indagati anche se con contestazioni diverse. Ma anche il dubbio e il timore che l'inchiesta possa nascere da qualcuno che sta cercando di colpire il lavoro della sua giunta. L'invito-appello alla sua squadra ad andare avanti ed essere ancora più uniti per concretizzare il lavoro portato avanti in questi mesi per mettere a frutto le risorse del Pnrr. Stefano Lo Russo ha parlato dell'inchiesta Rear che vede indagati l'assessore a Sport e Grandi Eventi, Mimmo Carretta, la presidente del Consiglio comunale, Maria Grazia Grippo, e il deputato Mauro Laus, alla fine della riunione di ieri della giunta. Un giro di tavolo - a cui non ha partecipato Carretta, impegnato nella cerimonia per ricordare il disastro aereo dove 74 anni fa perirono i giocatori del Grande Torino – che è servito a mettere a punto un breve comunicato che suona, anche, come una risposta al pressing del capogruppo M5S, Andrea Russi che ancora ieri mattina parlava di «silenzio assordante del sindaco».
    Gli assessori indagati sono due: Carretta, per malversazione e truffa nell'inchiesta Rear condotta dalla procura di Torino; e Paolo Mazzoleni, assessore all'Urbanistica, sotto indagine dei pm milanesi per abuso d'ufficio per la sua attività professionale di architetto a Milano. Profili e contestazioni diverse, naturalmente, ma quel che conta per il sindaco è rinnovare la fiducia a tutti e due e anche agli altri assessori, scelti di persona. Parole apprezzate dagli assessori che sicuramente lavoreranno al massimo dal punto di vista amministrativo. L'esecutivo torinese, dunque, «continua a lavorare con il massimo impegno, nell'esclusivo interesse della Città e nel pieno rispetto del lavoro della magistratura», si legge nella nota di Lo Russo.
    Rispetto e prudenza, dunque, caratterizzeranno il comportamento del sindaco nei prossimi giorni. E così si dovrebbe muovere anche il gruppo consiliare del Pd che si è riunito l'altra sera per discutere dei provvedimenti in discussione nelle commissioni o in aula e dove Carretta e Grippo hanno spiegato di aver appreso la notizia dai giornali. Il timore del sindaco, ma anche del segretario regionale Domenico Rossi e di quello metropolitano, Marcello Mazzù, è che l'inchiesta scateni un regolamento di conti nel partito. Scontri che potrebbero alla fine danneggiare anche il lavoro della giunta ma soprattutto di Lo Russo che ha trovato in Laus e Carretta i più determinati sostenitori della sua corsa da sindaco contro il Pd nazionale.
    Non è un caso, dunque, che Rossi nei giorni scorsi abbia sottolineato la necessità di fare chiarezza al più presto. Quel che è certo, però, è che almeno dal punto di vista politico Laus ha scelto la strada di andare all'attacco. Un modo anche per serrare le file della sua area politica liberalsocialista che conta tanti eletti negli enti locali torinesi e anche per rassicurare gli alleati. E in un post su Facebook assicura: «Il mio impegno politico aumenterà e non si scalfirà a partire dalle prossime elezioni regionali». E poi lancia un avvertimento: «Oggi vanno all'incasso i miei detrattori, poi incasserò io e tutti i cittadini che non mi hanno fatto mai mancare il loro sostegno». E aggiunge: «Dalle legittime indagini della Guardia di Finanza e dalla procura mi difenderò nelle sedi competenti come fanno tutti i cittadini italiani; dallo sciacallaggio me la caverò da solo, fortunatamente arrivo dall'ultimo banco, sono strutturato psicologicamente e mentalmente».
    Intanto, però, il M5S va all'attacco. «Il sindaco - spiega Russi - ha affidato a Carretta la delega allo Sport e Grandi Eventi che può riguardare in maniera diretta o indiretta, i rapporti fra il Comune e la Rear che fornisce innumerevoli servizi». Un intervento di Lo Russo in aula sarebbe necessario «per fugare ogni dubbio e per dimostrare che la trasparenza viene prima di tutto». Enrico Costa, uno dei leader piemontesi di Azione, va invece all'attacco di Forza Italia che ha chiesto una sospensione cautelativa, una richiesta «non proprio ispirata alla presunzione d'innocenza che ha uno stile molto grillino. Tutti sono garantisti ma se capita all'avversario non resistono alla tentazione».
  8. SLOT MACHINE ROULETTE RUSSA PIEMONTESE : In Italia le slot machine sono sempre meno, in Piemonte - dopo anni di diminuzione - aumentano. A finire sotto osservazione è la legge regionale voluta dalla giunta Cirio che ha liberalizzato il settore. Lo studio Gasp, condotto dal Consiglio nazionale delle ricerche, dice che il numero di macchinette in Piemonte è aumentato del 10,3% nel 2021, in controtendenza con la media nazionale che parla di un –1,4%. A oggi nella nostra regione (l'unica, con Calabria, Campania e Puglia dove le macchinette aumentano) ci sono 51,4 apparecchi ogni 10 mila abitanti, contro i 46,6 del 2020. Dal 2016 al 2020 i locali con slot in Piemonte erano diminuiti di 5.039 unità, quasi l'80%, mentre la diminuzione nel resto del Paese era stata del 33%. Nel 2021 in Piemonte risalgono di quasi mille unità (e arrivano a 2.239, ndr), quasi raddoppiando in un solo anno, mentre nel resto del paese continuano a diminuire.
    Cosa ha portato a invertire il trend? Forse è la riforma voluta dalla Regione nel 2021 che ha cancellato il testo restrittivo approvato nel 2016 dalla giunta Chiamparino che aveva portato alla scomparsa di migliaia di slot. La legge di due anni fa, al contrario, ha liberalizzato nuovamente il settore mettendo mano alla distanza minima tra gli apparecchi e alcuni luoghi sensibili (scuole, luoghi di culto e di ritrovo), e dando la possibilità di reinstallarli. Quella legge era stata voluta dalla Lega in Regione, attirandosi le preoccupazioni delle opposizioni, del mondo associativo e pure di alcune forze politiche di centrodestra.
    «L'avevamo detto che la nuova legge sul gioco d'azzardo avrebbe fatto danni. La revisione della norma che ha riportato le lancette al 2016 è stata una scelta scellerata», commenta il segretario regionale del Pd Domenico Rossi. «Ho già chiesto di calendarizzare la legge di iniziativa popolare per il contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo patologico promossa da Libera, Acli, Arci, Gruppo Abele, sindacati e associazioni», avverte il capogruppo Dem a Palazzo Lascaris Raffaele Gallo. Sindacati e associazioni si ritroveranno martedì in un presidio di fronte al Consiglio regionale.
    «La legge è stata approvata nel luglio 2021, e questi dati sono del 2021. Mi sembra difficile che possano già tenere conto degli effetti della legge – spiega l'assessore alle Attività produttive, Andrea Tronzano –. Questo dimostra quanto siano strumentali gli attacchi del Pd: è grave che speculino su questo tema. La legge precedente rischiava di favorire il gioco illegale e sommerso. Il nostro obiettivo era correggere queste anomalie, dando certezze alle imprese che avevano investito, pur intervenendo in modo serio nel contrasto alle ludopatie». Da cosa dipende un aumento così rapido ? «Probabilmente i Monopoli hanno censito come locali con slot anche a quelli che avevano fatto solo istanza di reinstallarli», spiega Paolo Jarre, già direttore del dipartimento Patologie delle dipendenze dell'Asl To3. Insomma, il nesso tra legge e aumento ci sarebbe.

 

 

 

 

04.05.23
  1. ERRORE MORTALE :  Cinquecento milioni di euro per aumentare la produzione di armi da destinare all'Ucraina e per rimpinguare le scorte di munizioni dei singoli Stati europei che vanno svuotandosi a un ritmo vertiginoso. Si chiama «Asap» (Act in support of ammunition production) il piano presentato ieri dalla Commissione europea. L'obiettivo è arrivare a una capacità produttiva di un milione di munizioni l'anno. Per concorrere alla spesa i ventisette «Paesi membri che lo desiderano - spiega il commissario per il Mercato unico Thierry Breton - potranno utilizzare parte dei fondi del Pnrr per le munizioni». Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra annunciano barricate e chiedono a Meloni di riferire in Parlamento: «È inaccettabile - dice Giuseppe Conte - non lo permetteremo mai. Quei fondi servono a far rialzare l'Italia, non a fare la guerra».
    La proposta della Commissione Ue punta a rafforzare l'industria della difesa continentale per portarla in «modalità economia di guerra». E lo fa con un testo dal nome in codice, «Asap», che ne dice l'urgenza: ricalca l'acronimo inglese «as soon as possible», il prima possibile. La Commissione mette sul tavolo 500 milioni di euro: 260 dal fondo europeo per la difesa e 240 dal futuro strumento per gli appalti comuni, Edirpa, che dev'essere ancora approvato. A questi dovrebbe sommarsi un co-finanziamento da parte degli Stati di altri 500 milioni, per un totale di un miliardo. Questo miliardo si sommerà al miliardo stanziato dal fondo europeo per la pace per l'acquisto comune di armi da inviare all'Ucraina, che ieri ha ottenuto il via libera dagli ambasciatori Ue. Snellire le gare di appalto, favorire un acquisto comune europeo di munizioni: è il modello vaccini applicato alle armi. L'idea non piace alle opposizioni, che alzano un muro. Si dicono «allibiti» i Cinquestelle. Marco Grimaldi, parlando in aula alla Camera, chiede una «informativa urgente». A Palazzo Chigi il dossier non è ancora stato aperto. Eventualmente, andrà discusso con gli alleati, a partire dalla Lega, che più volte ha espresso perplessità sulla corsa agli armamenti.
  2. INGORDIGIA : L'attaccante dell'Arsenal Gabriel Martinelli fotografato con il padre Joao Carlos in piazza Risorgimento a Lauriano. Era l'agosto 2019. Qui nel Comune di mille e 452 abitanti sulla collina torinese verso la provincia di Asti, loro figurano iscritti all'Aire (l'anagrafe degli italiani residenti all'estero). Come altri 67 connazionali tra cui il campione della nazionale verdeoro di pallamano Josè Guilherme De Toledo, risultano residenti al B&B Cascina Colombaro, che da ottobre 2020 ha cambiato proprietà e nome. Fino al 2019 la struttura dove erano ospiti, immersa nel verde, era composta solamente da due stanze. Gli ex responsabili, insieme ad altre otto persone tra cui la sindaca Matilde Casa, la responsabile dell'anagrafe di Lauriano e un dipendente comunale, sono indagati dalla procura di Ivrea per associazione a delinquere, corruzione e falsità ideologica.
    Iscritti nel registro degli indagati ci sono anche gli agenti della società d'intermediazione Rotunno - Immigration Solutions & Business di San Paolo in Brasile alla quale i destinatari della residenza si rivolgevano per ottenere i documenti necessari. Nei guai è finito anche il responsabile dell'ufficio anagrafe nel Comune di Asciano (Siena) perché nell'indagine dei carabinieri di Chivasso emerge che si sarebbe fatto consegnare denaro per trovare immobili dove ospitare, fittiziamente, i cittadini stranieri.
    Per ottenere la cittadinanza i brasiliani versavano cifre comprese tra i mille e 500 euro e i 10 mila. I soldi venivano versati alla Rotunno Immigration Salutions&Business, i cui agenti si interessavano per far ottenere la residenza e la successiva cittadinanza italiana «iure sanguinis» (cioè attraverso una discendenza italiana) ai richiedenti, a quanto pare senza avere diritto.
    Per far ottenere le cittadinanze la responsabile dell'anagrafe di Lauriano - si legge nelle carte dell'inchiesta della pm Valentina Bossi - avrebbe ricevuto dalla società di intermediazione borse, una catenina in oro e altri regali. Alla sindaca Matilde Casa, quale corrispettivo per la disponibilità dimostrata, sarebbe stato regalato un computer per la biblioteca comunale.
    Nelle carte, la pm Bossi scrive che «i certificati non sono conformi a legge in quanto emanati nonostante l'omissione dei controlli a monte, che avrebbe dimostrato che i soggetti non erano residenti e in quanto non residenti non avrebbero potuto ottenere la cittadinanza italiana».
    Al padre del calciatore dell'Arsenal, si legge nelle carte che «in data 3 aprile 2019 veniva rilasciata falsa autorizzazione a stabilire la residenza presso il B&B Cascina Colombaro, luogo in cui l'uomo non soggiornava nemmeno una notte - infatti pernottava tra il 2 e il 3 aprile 2019 presso un altra struttura del Torinese - Tuttavia la proprietaria rilasciava autorizzazione alla residenza presso il B&B di Lauriano».
  3. INUMANO : Scende le scale di casa strisciando, facendo forza sulle braccia, per arrivare in cortile e salire sulla sedia a rotelle, parcheggiata nel sottoscala. A Maurizio Mangiapane, 59 anni, di Chieri, nel Torinese, quasi un anno fa sono state amputate entrambe le gambe, sopra il ginocchio. E se in casa non ci sono la moglie o i figli che possono aiutarlo questa è la sua condanna di tutti i giorni: strisciare sui gomiti per poter affrontare le scale di casa.
    Settembre dell'anno scorso, il momento che ha devastato la sua vita: «I primi malesseri erano comparsi sette mesi prima. Non riuscivo ad alzarmi dal letto, avevo dolori dappertutto», racconta. Ad agosto sua moglie Irina decide di portarlo alle Molinette di Torino. «Sono finito subito in rianimazione». Aveva un trombo di quattro centimetri nell'aorta del cuore: «I trombi si sono poi diffusi in tutto il corpo – racconta la moglie – hanno bloccato la circolazione delle gambe e l'intestino». A settembre hanno dovuto amputargli le gambe ed è cominciato un nuovo tormento quotidiano.
    Il 3 novembre ha presentato la domanda per l'invalidità totale. Ma a oggi non è ancora stato chiamato dalla commissione dell'Asl di zona, la To5, che deve accertare la sua invalidità. E quindi non ha diritto a nulla: alla pensione innanzitutto, ma soprattutto a un cingolato che gli permetta di salire e scendere le scale senza strisciare. Oppure a delle protesi, o a non dover pagare di tasca propria tutte le cure, le visite e gli esami. «Mi vergogno a dover uscire così – mormora – ma non posso stare chiuso in casa tutto il giorno quando i miei lavorano. Ho dei vicini eccezionali che quando possono mi aiutano. A me piace scendere un po' in cortile, altrimenti divento pazzo». Così non gli resta che uscire strisciando.
    Maurizio e la moglie Irina vivono a Chieri dal 1986, l'anno in cui si sono sposati. Un vecchio stabile senza ascensore: «Abbiamo anche pensato di trasferirci – rivela Irina – ma lavoro solo io e gli affitti sono alti, per le case più nuove con ascensore e senza barriere. Comprare, solo con il mio stipendio, è impossibile: nessuna banca mi concede un mutuo. Forse se ci fosse anche la pensione».
    Maurizio lavorava alla Aunde, azienda tessile della zona, ma 14 anni fa è stato lasciato a casa per riduzione di personale: «Mi sono arrangiato e ho fatto un po' di tutto, finché non ho cominciato a star male».
    Ora la sua situazione economica, di per sé difficilissima, non è la sua principale angoscia: «Dovermi spostare in questo modo è uno sforzo pesante per il mio fisico, anche per il cuore. E anche un'umiliazione». Per salire sulla carrozzina si aiuta con una specie di tavoletta, simile ad uno skate, che si è costruito da solo. Anche per riuscire a fare la doccia ha realizzato una seduta all'altezza della carrozzella: «Le mani funzionano ancora, le uso per cercare di essere il più autonomo possibile». Irina lavora in un grande supermercato: «Mi vengono sempre incontro, ho colleghi e superiori davvero disponibili. E i miei figli hanno accantonato il progetto di andare a vivere per conto proprio per darmi una mano. Non è giusto, ma per ora non saprei come fare altrimenti». È lei ad assistere Maurizio in tutto e per tutto. Ci fosse l'invalidità le cose sarebbero diverse: Maurizio avrebbe diritto a un montacarichi per uscire di casa, non sarebbe costretto a costruirsi da sé gli attrezzi che rendono un po' meno impossibili le sue giornate, potrebbe forse cambiare casa. E magari i suoi figli potrebbero cercare la propria strada anziché badare a lui. Già, se solo non fossero passati quasi sei mesi da quando ha fatto domanda. «Che poi non ho più le gambe, che cosa c'è da accertare?». Tutto vero, se non ci fosse di mezzo un'ottusa burocrazia: «L'accertamento sanitario deve essere effettuato entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda», spiega l'Asl. Ne sono passati solo sei, c'è tempo insomma.. Si può fare più in fretta, bastano 15 giorni, ma bisogna essere malati di tumore. E poi c'è la solita storia: «A causa delle carenze di personale i tempi di attesa sono superiori ai sei mesi», dice Pier Paolo Roviero, medico legale nella To5.
    Maurizio può attendere. E, nel frattempo, strisciare. —
  4. TERRORISMO INFORMATICO: Rivendicazioni non ce ne sono. E testimoni tantomeno. Quel che è certo è che ieri, verso le 7, qualcuno ha dato fuoco alle condotte dei cavi dati su un viadotto dell'autostrada Torino-Bardonecchia, all'altezza di Salbertrand. Tre le conseguenze. La prima è il fumo che ha invaso l'autostrada e l'ha resa «pericolosa». La seconda è legata al traffico, che ha subito rallentamenti pesantissimi. Colpa dei Tir, deviati sulle statali verso Susa che hanno casato code chilometriche. Il terzo è relativo ai disservizio delle comunicazioni, tanto che i tecnici del consorzio «Topix» hanno lavorato per ore in modo da riuscire a ripristinare i collegamenti dei dati tra Italia e Francia. I disagi maggiori sono stati per i comuni dell'alta valle di Susa, tra Oulx e Bardonecchia.
    Cosa è accaduto è presto spiegato. Sulle spallette del piccolo viadotto di Salbertrand, corrono - appese alle spallette esterne - i «cavidotti» di Topix. Le linee sono agganciate ad entrambi i lati del ponte, e in teoria inaccessibili a chiunque. Eppure qualcuno, all'alba di ieri, ha versato del liquido accelerante (benzina? alcol? solventi?) nelle condutture in alluminio e ha appiccato il fuoco. I rivestimenti in plastica della fibra e i cavi di servizio si sono fusi e hanno interrotto il sistema. Il fumo della gomma bruciata ha invece invaso l'autostrada ed il guaio è stato scoperto.
    Chi sono gli autori? Qui viene il mistero. Tentare collegamenti con il mondo insurrezionalista, piuttosto che con l'ala più intransigente del movimento che si oppone alla linea ad alta velocità, è un azzardo. Non si sono, infatti, rivendicazioni o spiegazioni plausibili. E l'origine del gesto, un mistero. Che ricorda - e neppur troppo vagamente - gli incendi alle centraline elettriche lungo questa stressa autostrada alla fine degli Anni 90, quando già l'Alta velocità era argomento di discussione e di divisione. E c'era chi manifestava il suo dissenso all'opera facendo ampio uso del fuoco. Ma oggi? L'area cintata lungo l'autostrada - a Salbertrand - che diventerà la zona di lavorazione dei conci per la galleria Tav, non è lontana. Sebbene non accanto al punto del rogo.
    E allora, per saperne di più, si aspettano gli esiti dei rilievi della polizia scientifica effettuati nella tarda mattinata, e le analisi degli investigatori della Digos di Torino. E comunque non ci sono dubbi sulla volontarietà del gesto. Nessuna incertezza anche sul fatto che, con le fiamme, si volesse provocare un disagio pesante alla valle e alla circolazione in autostrada.
    Ecco, è da qui che partono le indagini dell'attentato. E si cerca chi conosceva la strada per arrivare - non visto - accanto al viadotto e scalare il terrapieno fino a alle condutture.
    Ecco, ruotano attorno a questo, le indagini della Digos. E le piste da seguire sono tante. Compreso il fatto che possa trattarsi si un gesto di vendetta, per un torto subito.
  5. ELLY CHE FA ? : Rischia di allargarsi l'inchiesta sul caso Rear, la multiservizi fondata nel 1984, colosso nel settore. Gli investigatori stanno entrando sempre più a fondo nella documentazione sequestrata nelle scorse settimane nella sede della società, negli uffici della Regione e del Forte di Bard. Bilanci, contratti, registri contabili. Nel mirino del nucleo della Finanza che sta scandagliando i bilanci della Rear ci sarebbero le modalità di acquisizione delle commesse accaparrate, così pare, con un'abile riduzione delle offerte limando sempre su una manciata di percentuali. Così da sbaragliare i concorrenti.
    Strategia aggressiva che in più occasioni ha scatenato le ire di società rivali rimaste a bocca asciutta. E gli appalti sono consistenti e riguardano musei, enti culturali. La Rear, in queste attività, ha sempre fornito servizi di biglietteria, vigilanza. E ancora: teleallarme e antincendio.
    Il sospetto degli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, è che i proventi derivanti dalle commesse pubbliche siano stati utilizzati in maniera impropria. Per questioni, cioè, che nulla c'entrano con l'attività della cooperativa. Principale indagato, in questa vicenda ancora sovrastata di ombre, il deputato Pd Mauro Laus. Ex presidente della multiservizi e ora «semplicissimo» socio. «Quando sono entrato in Consiglio regionale, ho preferito uscire dal consiglio d'amministrazione della società. Non era un atto dovuto, ma l'ho deciso per una questione di opportunità», ha specificato a La Stampa il parlamentare. E spunta un nuovo faro sul vertice della società, oggi guidata da Antonio Munafò. Anche lui, a quanto si apprende, iscritto nel registro degli indagati.
    In veste di presidente del Consiglio d'amministrazione poteva non sapere delle possibili distrazioni di denaro derivanti dagli appalti pubblici? Com'è possibile che questo flusso di denaro, stando alle ipotesi di indagine, sia entrato nei conti della cooperativa e sia fuoriuscito per altre vie per alimentare interessi personali di altri? Domande al vaglio degli inquirenti.
    Indagato principale è il parlamentare Laus, senatore nel 2018, attualmente deputato e prima ancora presidente del Consiglio regionale, da un decennio tra le figure di spicco del Pd torinese di cui è stato negli ultimi tempi l'ago della bilancia.
    Il faro della procura si è allargato sui suoi fedelissimi, già collaboratori nella cooperativa: la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta. La prima, da maggio 2018 a dicembre 2021, si è occupata della comunicazione esterna, delle relazioni con i media e dell'ufficio stampa. Il secondo, dipendente della Rear in aspettativa, si occupava, spiega , di appalti e gestione del personale.
    L'inchiesta è ancora agli albori, ma c'è apprensione tra i dipendenti e i sindacati perché la Rear, che ha chiuso un bilancio 2021 con un fatturato di oltre 28 milioni, gestisce appalti pubblici in tutta Italia ed è partecipata di una società immobiliare, la Futura Investimenti proprietaria del complesso immobiliare di Grugliasco, dove c'è la sede amministrativa della società.

 

03.05.23
  1. IGNORANZA POLITICA:  Lasciate perdere Elon Musk. L’uomo più importante del capitalismo mondiale si chiama Yu Qun Zeng, Robin Zeng per gli amici occidentali. Farà la differenza nelle nostre vite, ma di lui si sa poco.
    Ha 55 anni, risiede ufficialmente a Hong Kong, ha un dottorato in fisica dall’Accademia cinese delle Scienze, ha un patrimonio stimato tra trenta e i quaranta miliardi di dollari (37esimo al mondo) ed è fondatore, presidente con deleghe esecutive e azionista di riferimento di Contemporary Amperex Technology Ltd (Catl).
    La sua azienda controlla oltre un terzo del mercato mondiale delle batterie elettriche ed è il principale fornitore di colossi del capitalismo del ‘900 come Ford o Bmw e campioni del 21esimo secolo come Tesla.
    […] Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), l’anno scorso la spesa nel mondo per l’acquisto di auto elettriche ha sfiorato i 500 miliardi di dollari. È stato un aumento del 50% sul 2021. [...] Mentre noi in Italia ci balocchiamo sognando i biocarburanti, negli ultimi mesi del 2022 la quota delle auto immatricolate che vanno solamente a batteria elettrica in Europa (per non parlare delle ibride) ha superato di gran lunga quelle a diesel.
    Queste ultime erano la tecnologia dominante fino a pochissimi anni fa, un fiore all’occhiello dell’industria europea capace di presidiare il 53% del mercato dell’auto ancora nel 2014. Oggi il diesel è distrutto dagli scandali di Volkswagen, che truccava i test sulle emissioni per nascondere l’obsolescenza del suo modello di fronte alle sfide del clima. […]
    Siamo […] sul punto di diventare dipendenti dal misterioso, geniale Robin Zeng. Un imprenditore con dottorato in fisica di cui sul web, ricercando il suo nome cinese, compaiono solo riferimenti a brevetti. Un uomo che ha fondato giovanissimo una prima azienda di batterie al litio, l’ha venduta a una multinazionale giapponese dell’elettronica, quindi ha lanciato uno spin-off che oggi è campione mondiale della tecnologia del momento.

    […] In passato l’Europa aveva un enorme surplus, vendendo ai cinesi auto per cinque o sei miliardi di euro a trimestre […] e importando quasi niente. Oggi l’Europa è ancora in attivo, ma la Cina esporta auto a batteria elettrica verso la Ue per un valore circa dieci volte superiore a quanto avvenga in direzione opposta. Sulla nuova tecnologia […] siamo nettamente in deficit commerciale. Restiamo in surplus solo nelle tecnologie in declino. […]

    Quanto a noi – italiani ed europei – siamo così in ritardo che non capiamo neanche cosa sta accadendo attorno a noi. Non è solo che fra i dieci principali produttori di batterie elettriche sei sono cinesi, tre sono sud-coreani e uno è giapponese. Conta ancora di più il modo in cui essi si stanno muovendo in Europa.
    Negli ultimissimi anni quattro di questi produttori hanno annunciato oltre undici miliardi di euro in investimenti da «prato verde» (significa, fabbriche dal nulla) in un solo Paese dell’Unione europea: l’Ungheria illiberale, filo-russa, permeabile alla Cina dell’autocrate Viktor Orban.
    Di quel regime noi percepiamo l’autoritarismo, la complicità con il Cremlino, la cleptocrazia. Gli investitori cinesi e coreani la facilità del fare business, leggi e dunque costi del lavoro semi-schiavistici, forti sgravi fiscali e nessun rischio politico per le imprese partecipate dalle banche pubbliche di Pechino. Così Orban lavora per fare dell’Ungheria il polo delle batterie elettriche in Europa, da cui dipenderanno grandi gruppi come Volkswagen, Bmw o Daimler.
    Inutile dire che gli investimenti sono guidati da un progetto da 7,3 miliardi della Catl di Robin Zang, sempre lui. […]
    […] Un recente studio di Andrea Orame e Daniele Pianeselli della Banca d’Italia mostra come nel nostro Paese le imprese non si siano preparate alla rivoluzione elettrica depositando più brevetti o fondendosi fra loro.



    Fiat-Chrysler fra il 2013 e il 2018 non ha prodotto nemmeno un modello a batteria, mentre persino nell’arretrata Europa ne uscivano molte decine. E la IEA mostra che l’Italia non solo ha pochi modelli elettrici in circolazione, ma presenta un numero di punti di ricarica al di sotto della media mondiale in proporzione alle auto presenti. Sono livelli da sottosviluppo, inaccettabili. Continuiamo così, e arriverà un momento in cui non potremo più definirci un Paese tra i più avanzati. […]
  2. I BANCHIERI SI AUMENTANO GLI STIPENDI NON I TASSI DEI DEPOSITANTI : La ragione che ha spinto Giorgia Meloni a concentrare il poco a disposizione per aumentare il potere d'acquisto dei redditi più bassi è nei dati preliminari dell'inflazione di aprile. Aveva iniziato a scendere, invece è risalita, e di molto: dal 7,6 all'8,3 per cento. Un aumento molto più alto della media della zona euro (dal 6,9 al 7 per cento) ed essenzialmente causato dall'energia: i prezzi "non regolamentati" sono saliti in un mese dal 18,9 al 26,7 per cento.
    Ora, vero è che gli economisti guardano essenzialmente all'andamento "core" dell'inflazione, ovvero senza la componente energetica: in Italia è fermo al 6,3 per cento ed è sceso di un decimale in Europa. Ma si tratta ancora di piccoli segnali che lasciano poco spazio alla fantasia. I prezzi restano alti come non accadeva dagli anni Ottanta, e perché tornino a livelli accettabili occorreranno mesi. Se negli Stati Uniti il peggio è alle spalle, in Europa no. Questa settimana sia la Banca centrale europea che la Federal Reserve aumenteranno i tassi dello 0,25 per cento. Per la Fed sarà probabilmente l'ultimo, per Francoforte no. E così al governo non resta che puntare tutto sui redditi delle famiglie.
    Meloni è in buona compagnia: Joe Biden è dovuto intervenire per calmierare i prezzi dei medicinali, il brasiliano Lula ha annunciato (anche lui il primo maggio) l'allargamento delle famiglie esenti dal pagamento delle imposte sul reddito. In Francia, già martoriata dalla decisione di Macron di aumentare l'età pensionabile (da 62 a 64 anni) c'è una dibattito feroce attorno alla pubblicazione di un romanzo sentimental-erotico del ministro dell'Economia Le Maire. «Ecco perché la pasta costa due euro e trenta al chilo», hanno commentato alcuni. Questi sono i momenti in cui un basso debito pubblico fa la differenza: dieci giorni fa in Germania è stato firmato un accordo sindacale per aumentare i salari del pubblico impiego del 5 per cento: costerà 23 miliardi in due anni. I sindacati chiedevano il doppio. Per avere un termine di paragone: la Finanziaria italiana di quest'anno non ha stanziato nemmeno un euro per i rinnovi pubblici, e al momento è difficile immaginare ci siano le risorse nel 2024.
    Nei giorni precedenti l'approvazione del decreto del primo maggio il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha dovuto frenare le richieste di chi avrebbe voluto altre misure, una scelta che avrebbe reso meno visibile il taglio dei contributi sociali in busta paga. Ma ora per rendere strutturale quel taglio nel 2024 occorrerebbero dieci miliardi, una cifra immaginabile solo a fronte di tagli alla spesa. L'impressione è che Giorgetti, d'accordo con Meloni, abbia deciso di concentrare l'intervento su cinque mesi spingendo il dibattito verso una conferma. «In mezzo a molte difficoltà queste misure temporanee le stiamo rendendo definitive», ha detto il primo maggio ad una festa leghista a Brescia. Fonti del Tesoro negano una strategia, e la speranza è che «l'incendio dei prezzi si spenga». Ma è difficile immaginare che Meloni avrebbe diversamente accettato di ridurre il carico fiscale correndo il rischio di riaumentarlo con l'anno nuovo. Più probabile immaginare che la premier userà questo argomento contro chi, nei partiti e nei sindacati, tenterà in autunno di ottenere risorse per spese oggi irrealistiche come l'abbassamento dell'età pensionabile. Una ipotesi su cui i sindacati, sempre più governati dagli iscritti più anziani, non sono disposti a mollare la presa.
  3. Stretta di mutui e prestiti
    Un nuovo rialzo dei tassi d'interesse per la Banca centrale europea arriverà dopodomani. Da definire se sarà da 50 punti base, come chiede il fronte del Nord, o se sarà da un quarto di punto, anche alla luce delle recenti turbolenze sui mercati finanziari. Preoccupano le banche regionali statunitensi, dopo il salvataggio di First Republic Bank. Ma fa paura anche l'inflazione, tornata a salire in aprile, toccando quota 7%, dopo il 6,9% registrato a marzo. Fra tanta incertezza, c'è qualcosa di sicuro: le condizioni creditizie si sono inasprite ancora nel primo trimestre del 2023. Fattore, sottolineato dal Bank Lending Survey di Francoforte, che testimonia come la trasmissione della politica monetaria sia efficace. A giugno ci sarà la verifica dell'attuale percorso. E sarà possibile un ricalibramento, se necessario. Come quello a cui a breve è attesa la Federal Reserve.
    Christine Lagarde, numero uno della Bce, è stata chiara nelle ultime settimane. «Il nostro lavoro non è ancora terminato», ha ripetuto più volte. Lo spazio di manovra per Francoforte, tuttavia, si sta riducendo sempre più. Da un lato, i rincari la costringono a nuove strette. Dall'altro, l'instabilità finanziaria globale la induce a un monitoraggio estremo. E tra le due, la priorità andrà al contrasto dell'inflazione, sia generale sia depurata da energia e alimentari. Che, secondo le simulazioni delle maggiori banche d'affari, resterà elevata fino alla fine dell'estate. «Solo da settembre inizierà a calare», rimarcano il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, e il governatore del Banque de France, François Villeroy de Galhau. Secondo Ubs, lecito è attendersi un rialzo da 25 punti base. Stesso dicasi per Pimco, Pictet e T. Rowe Price. I fondi hedge come Citadel e Bridgewater puntano a mezzo punto.
  4. VACCINO-CONSEGUENZE ? All'inizio compaiono delle macchioline rosse sulla pelle, da non confondere con varicella o morbillo. Poi arrivano febbre sopra 38, faringite, ingrossamento dei linfonodi del collo, talvolta dolori addominali e mal di testa. Sono i sintomi della scarlattina, che da almeno due mesi sta dilagando in tutta Italia, mandano in tilt scuole e famiglie, perché lo streptococco, il batterio che origina la malattia, colpisce soprattutto i bimbi e ragazzi tra 2 e 15 anni. «A Roma e nel Lazio i casi sono aumentati in media del 30% con punte anche del 50, il che sta mettendo sotto pressione gli studi medici. Ma la situazione è più o meno simile in tutta Italia», spiega Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale vicario della Fimmg, la federazione dei medici di medicina generale.
    «Le famiglie chiamano di continuo – rivela Teresa Rogai, a capo della Federazione dei pediatri del Lazio - e nei giorni scorsi per il moltiplicarsi dei casi in una scuola abbiamo dovuto dare indicazione a tutte le famiglie di procedere con il tampone». Che è poi l'unico modo di scoprire se si tratti di scarlattina o di altre malattie dai sintomi simili. In Veneto poi va peggio che altrove. Negli ultimi tre mesi si sono contati ben 1.166 casi, dieci volte tanto quelli dello stesso periodo di un anno fa.
    Le cause di questa recrudescenza delle infezioni da streptococco in generale e della scarlattina in particolare sono imputabili sempre a lui, il Sars-Cov-2, che avendoci imposto per quasi tre anni distanziamento e mascherine ha finito per far perdere allenamento al nostri sistema immunitario, ora più suscettibile a contrarre virus e batteri. Che la cosa non sia da prendere sottogamba lo rivela anche la circolare del ministero della Salute che giorni fa ha invitato le strutture sanitarie a intensificare la sorveglianza e a fornire adeguata comunicazione dei casi. Perché «per curare la scarlattina basta il vecchio antibiotico Zimox a base di amoxicillina - spiega sempre Bartoletti -, ma se non presa in tempo l'infezione può dare sia problematiche renali che al cuore, soprattutto tra chi ha problemi con le valvole cardiache, che in questo caso è a rischio di endocardite, una forma di infezione quantomai temibile». Più di un pericolo, ricorda a sua volta la circolare ministeriale, lo corre poi chi è reduce da infezioni virali come varicella o influenza, «che potrebbe sviluppare una infezione da iGas». Una forma molto violenta che «può manifestarsi con batteriemia, polmonite, sindrome da shock tossico streptococcico, febbre reumatica» e problemi «ai tessuti molli e alle ossa», come «cellulite, osteomielite, fascite necrotizzante». Casi così gravi che possono costringere anche all'isolamento dei contatti stretti, come compagni e insegnanti.
    Alla diagnosi si arriva con un tampone faringeo, prima del quale è inutile azzardare ipotesi e procedere alla somministrazione fai-da-te di antibiotici. La trasmissione del batterio avviene attraverso il contatto di muco e saliva, l'incubazione dura tra i 2 e i 5 giorni. Prima dei sintomi, raccomandano i medici, è inutile fare il tampone, anche perché gli asintomatici non trasmettono il batterio.
  5. RESPONSABILITA' PENALE ED INTELLIGENZA ARTIFICIALE:  Geoffrey Hinton ha 75 anni ed è ritenuto il pioniere dell'intelligenza artificiale. Nel 2018 ha vinto il Premio Turing e se negli ultimi anni c'è stato un boom di AI (Artificial Intelligence) lo si deve anche al suo ingegno e alla dedizione del suo gruppo. Nel 2012 insieme a due studenti dell'Università di Toronto - uno di questi è Ilya Sutskever, oggi attivo per OpenAI - creò la tecnologia su cui i colossi dell'hi tech si basano per sviluppare software di AI con ChatGPT.
    Hinton, origini britanniche e passaporto canadese, lavora a Google dal 2013 quando la sua società venne comprata dal colosso di Mountain View ingolosito dal software di deep learning (quelli alla base della catena che ha al culmine gli applicativi come ChatGPT e Bard) che consentiva di identificare oggetti semplici analizzando una mole di foto.
    Il professor Hinton ha lasciato la casa madre Alphabet il mese scorso. Il 27 aprile ha incontrato il ceo Sundar Pichai e gli ha detto che era tempo di fare un passo indietro. Forse toccando con mano le potenzialità dell'AI, Hinton ha deciso di denunciare con un megafono privo di condizionamenti i pericoli per il mondo dello sviluppo a tappe forzate degli strumenti dell'intelligenza artificiale. «Voglio poterne parlare senza preoccuparmi dell'impatto che le mie parole avranno su Google», ha detto in un'intervista al New York Times.
    Quello che spaventa Hinton è quanto già altri intellettuali - come Yuval Harari, uscito pubblicamente con un saggio sul New York Times il mese scorso - e ricercatori hanno denunciato: ovvero una corsa sfrenata al rialzo fra le aziende allo sviluppo di un sistema che potrebbe creare segni e codici in numero maggiore rispetto a quelli generati dagli uomini. E stravolgere così, con un linguaggio nuovo e criptico, un impianto valoriale ed etico, impedirci di distinguere il vero dal falso e gettare il mondo in un caos primordiale da cui uscirebbero vive solo le macchine guidate dall'AI .
    L'incubo è quello che il 29 marzo lo scrittore Eliezer Yudkowsky su Time aveva riassunto con «estinzione del genere umano» proponendo la drastica soluzione: «Il mondo per affrontare l'Intelligenza artificiale? Chiuderla». «La distruzione della civiltà» è anche una delle preoccupazioni di Elon Musk anche se il patron di Tesla e di Twitter è impegnato nello sviluppo della tecnologia. Il 14 aprile ha annunciato infatti la creazione di una società, X.AI. Corp, dopo che nel 2015 aveva co-fondato OpenAI prima di lasciare la compagnia nel 2018. Nell'azienda che avrà sede in Nevada lavorerà Igor Babuschkin, già a DeepMind, il braccio di Alphabet attivo nella IA.
    La rapidità con cui questo scenario catastrofico si realizzerebbe è l'elemento di novità più marcato. Al New York Times, lo scienziato ha detto che «anch'io anni fa pensavo che l'intelligenza artificiale potesse diventare più intelligente di noi, ma, come altri studiosi, la ritenevo una possibilità remota: credevo comunque mancassero dai 30 ai 50 anni, forse di più. Ma non è così».
    Il processo di dominio è ritenuto rapido, fulmineo rispetto alle previsioni, ma avviene comunque per tappe: la prima è la sostituzione di alcuni lavori; quindi, l'intelligenza artificiale si sostituirà all'uomo persino nella scrittura di codici e algoritmi che la alimentano diventando in pratica auto-sussistente, un Super Uomo capace di schiacciare il genere umano.
    Alcuni gradini di questa «discesa agli inferi», sono già stati calpestati. Il direttore esecutivo di IBM, Arvind Krishna, ha detto che la società intende non assumere più persone per ricoprire ruoli e fare cose che possono essere fatte dalle macchine a guida IA. In un'intervista a Bloomberg Krishna ha fornito anche dei numeri: ci sono 26mila ruoli dentro IBM che non implicano un contatto con il cliente, il 30% di questi nell'arco di 5 anni verranno chiusi e al loro posto saranno "assunti" dei software.
  6. IL CALIFFO NON PERDERA' LA TESTA , IL PD CONTROLLA: Un controllo di routine, su uno degli ultimi appalti acquisiti dalla Rear, avrebbe portato alla luce anomalie sulla gestione dei pagamenti pubblici per i servizi erogati dalla società. Il deputato Pd Mauro Laus, tra i soci più in vista e figura di peso sulla scena politica torinese, è indagato per condotte riconducibili alla malversazione. E il faro degli inquirenti si allarga sui suoi fedelissimi, già collaboratori nella cooperativa: la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta.
    Il sospetto è che di parte del denaro destinato alla Rear, cooperativa multiservizi fondata nel 1984, colosso nel settore, non sia stato fatto buon uso. Anzi. Che sia stata utilizzata per questioni private, che nulla c'entrano con le attività di vigilanza e sicurezza. La Guardia di finanza, nelle scorse settimane, si è presentata negli uffici della Rear, della Regione, e del Forte di Bard in Valle d'Aosta, dove la coop gestisce l'appalto per l'attività di presidio e accoglienza dei visitatori, per acquisire registri contabili, contratti, bilanci. Accertamenti esplorativi. Tra i documenti al vaglio degli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, ce ne sarebbero diversi che riguarderebbero l'attività di Mimmo Carretta, dipendente della Rear in aspettativa, e di Maria Grazia Grippo che da maggio 2018 a dicembre 2021, per la società si è occupata della comunicazione esterna, delle relazioni con i media e dell'ufficio stampa. Carretta, dopo essere stato segretario provinciale del Pd, è entrato nella giunta Lo Russo di cui è stato un sostenitore della prima ora. Grippo è diventata presidente della Sala Rossa sull'onda delle oltre 1.200 preferenze ottenute. Un sodalizio che costituisce una delle principali architravi del Pd torinese di cui Laus è a tutti gli effetti un big con una forte influenza.
    I controlli e le acquisizioni della Guardia di finanza proseguono per fare chiarezza sull'utilizzo dei proventi derivanti dalle commesse pubbliche ottenute da Rear. Una lunga lista: il Museo Egizio, il Museo del Cinema, l'Università di Torino, il Teatro Stabile di Torino, per fare qualche esempio che riguarda la città. E ancora. I Musei Civici del Comune di Verona, l'auditorium "Parco della Musica" del Comune di Roma, il Comune di Bardonecchia.
    Negli anni non sono mancate le accuse di stipendi troppo bassi, a cinque euro lordi l'ora. E nel dicembre 2012 il regista Ken Loach aveva dato forfait al Torino Film Festival con la decisione di non ritirare il premio «Gran Torino» in segno di solidarietà con i lavoratori della cooperativa al Museo del Cinema. Non solo. In passato anche le polemiche per appalti sotto soglia. Sconti che le altre imprese, dicono i maligni, non riescono a praticare.
    Principale società del settore nell'area piemontese, la Rear è considerata un gigante tra le cooperative multiservizi. Con un bilancio 2021 chiuso con un utile di 53 mila euro. Controlla una società immobiliare, la Futura Investimenti proprietaria del complesso immobiliare di Grugliasco, dove c'è la sede amministrativa della società, e l'omonimo l'istituto di vigilanza privata. Tra le iniziative finanziarie messe a segno negli ultimi anni, stando all'ultimo bilancio depositato ed esaminato dagli investigatori, c'è l'acquisizione di una quota di 15 mila euro del capitale del Consorzio nazionale servizi di Bologna. Tra gli investimenti immobiliari effettuati dalla Rear anche l'acquisto di uno stabile della Utet Grandi Opere tra il 2004 e il 2005.
  7. ELLY BATTI UN COLPO: Certo, è troppo presto per capire che cosa succederà nel Partito democratico. A fare la differenza saranno, sicuramente, gli sviluppi di un'inchiesta giudiziaria, che è ancora agli albori, e che vede Mauro Laus, deputato dem ed esponente di un'area liberale e socialista del partito indagato dalla procura. Un'area politica di peso che ha portato alla guida del Pd subalpino Mimmo Carretta, ora assessore comunale ai Grandi Eventi e Maria Grazia Grippo alla presidenza del Consiglio comunale. Laus ancora ieri ha ribadito di non «aver nulla ma proprio nulla da temere». Non senza manifestare un certo stupore: «Trovo singolare che io e il mio avvocato ne sappiamo meno dei giornalisti».
    L'ex presidente del Consiglio regionale sa anche, però, che politicamente dovrà fare i conti «con il fuoco amico» cioè con le reazioni dei suoi compagni di partito – «Vuol dire che quando uscirò da questo calvario avrò ottenuto una ulteriore certificazione di qualità» – perché la sua area è stata al centro delle principali scelte politiche del partito torinese, spesso determinandole e «non facendo prigionieri», racconta una autorevole fonte. Per una battaglia persa, l'ascesa di Paolo Furia alla segreteria regionale, Laus può vantare altre vittorie a partire dalla resistenza e «disobbedienza politica», condotta in prima linea dall'allora leader metropolitano, Carretta, contro la segreteria di Enrico Letta e dall'allora responsabile degli enti locali, quel Francesco Boccia che fino all'ultimo aveva cercato di imporre un nome scelto con il M5s al posto di Stefano Lo Russo come candidato sindaco di Torino e che adesso è il capogruppo al Senato voluto da Elly Schlein.
    Laus, invece, ha fatto la campagna elettorale per Stefano Bonaccini insieme a Lo Russo, mozione coordinata dal consigliere regionale Daniele Valle che punta a sfidare Alberto Cirio o il candidato o candidata del centrodestra alle regionali del 2024. Una capacità di mobilitazione – le adunate della domenica mattina con cui in campagna elettorale si riempiva il teatro Alfieri a cui partecipavano anche molti dipendenti della Rear, la cooperativa di cui è socio – che gli ha permesso di strappare un posto sicuro alle ultime politiche dopo aver vinto un collegio senatoriale incerto nel 2018.
    La posizione ufficiale del Pd ieri l'ha espressa il segretario regionale, Domenico Rossi: «Esprimo massima fiducia nei confronti della magistratura, così come sono certo che Mauro Laus saprà chiarire la sua posizione». Una posizione condivisa anche dal leader metropolitano Marcello Mazzù. Ma sotto la garanzia di anonimato autorevoli esponenti del partito iniziano a domandarsi se non sia opportuna una sua autosospensione. Nessuna, però, si è fatto avanti. Per ora prevale la linea garantista ma il rischio che la vicenda giudiziaria, al di là di come vada a finire, possa venire usata come arma per un regolamento di conti nel partito è alto. C'è chi ipotizza «scossoni» in un futuro prossimo. Non è un caso che il segretario Rossi, nel suo comunicato, aggiunga: «È interesse di tutti che si faccia chiarezza al più presto».
  8. QUANTE ALTRE :  Lauriano Po scosso dall'inchiesta sui falsi documenti rilasciati a 68 brasiliani Sono tutti accusati a vario titolo di associazione a delinquere, corruzione e falso in atto pubblico
    Sindaco e altri 9 a processo per le cittadinanze illegali
    andrea bucci
    A Lauriano Po, comune sulla collina chivassese, c'era una comunità brasiliana. Tra loro anche un giocatore della nazionale di pallamano verdeoro, un cantante e anche il papà di un calciatore italo brasiliano dell'Arsenal.
    Cittadinanze illegali rilasciate a 68 brasiliani ospiti al B&B di Cascina Colombaro a Lauriano. E' quanto hanno scoperto tra il 2018 e il 2019 i carabinieri di Chivasso, nell'inchiesta coordinata dalla pm Valentina Bossi della procura di Ivrea. Dieci le persone iscritte nel registro degli indagati tutti accusati, a vario di titolo, di associazione a delinquere, corruzione e falso in atto pubblico.
    Tra gli indagati c'è la sindaca di Lauriano, Matilde Casa (che non si è ricandidata alle prossime elezioni) e due dipendenti del Comune: Barbara Anselmino (responsabile dell'ufficio anagrafe) e Giuseppe Marcucci; gli agenti della società Rotunno – Immigration Solutions & Business di San Paolo in Brasile: Stefano Bardelli di Siena, Gabriela Val De Sousa Rotunno e la madre Silvia domiciliate ad Asti e Ileana Pastrone di Sommariva di Perno (Cuneo) e i titolari del B&B di Cascina Colombaro, Niva Detti e il marito Mauro Franchini. Tra gli indagati anche Marco Petrioli responsabile dell'ufficio anagrafe nel Comune di Asciano (Siena).
    I brasiliani attraverso la società Rotunno – Immigration Solutions & Business si rivolgevano al Comune di Lauriano e, in tre casi ad Asciano, per ottenere la cittadinanza italiana. Soggiornavamo per qualche giorno al B&B, ma la responsabile dell'anagrafe del Comune di Lauriano, Barbara Anselmino, a volte anche Giuseppe Marcucci, ometteva di fare i controlli per verificare l'effettiva residenza e se avessero i requisiti dello jus sanguinis, e cioè attraverso la linea di sangue con discendenti. Cittadinanze poi riconosciute dalla sindaca Matilde Casa. E per diventare cittadini italiani, i brasiliani pagavano tra i mille e 500 e 10 mila euro, soldi versati alla società di intermediazione. Dalle carte emerge anche come la responsabile dell'anagrafe, Anselmino, come pubblico ufficiale preposto alle trattazioni delle pratiche, avesse ottenuto da parte dei soci dell'agenzia di intermediazione borse, una catenina d'oro ed altri regali. E a Natale 2018, gli intermediari avrebbero regalato alla sindaca, Casa, una stampante per la biblioteca. Sindaca che ha annunciato di farsi interrogare e il suo legale, l'avvocato Mauro Carena è sicuro: «La mia assistita a cui contestano l'associazione, il falso e la corruzione è amareggiata. Crede di aver svolto il suo compito in modo conforme al dettato amministrativo. Non c'è stato alcun vantaggio economico e la stampante non è mai stata donata». —

 

 

 

 

 

02.05.23

Impresa o organizzazione EUROPEANCOMMUNITY
Nome Sig. MARCO BAVA
E-mail mbmarcobava@gmail.com
Dati dell’autorità o dell’organismo
Nome dell’autorità CAMERA DEPUTATI
Persona di contatto LORENZO FONTANA
E-mail FONTANA_L@CAMERA.IT
Telefono 800-012955
Via e numero civico PALAZZO MONTECITORIO
Codice postale, località: 00186, ROMA
Paese Italia
Provvedimenti nazionali sospettati di violare il diritto dell’Unione
Provvedimenti nazionali sospettati di violare il diritto dell’Unione Legge del 24.02.2023 n. 14, in merito alla mancata partecipazione diretta dei soci alle assemblee di società quotate. Legge 24 febbraio 2023 n. 14, di conversione del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198 (c.d. “Decreto Milleproroghe”), ha introdotto (all’art. 3, comma 10 – undecies) un ulteriore rinvio del termine di applicazione della disciplina emergenziale in tema di riunioni assembleari di società di capitali e cooperative, che continuerà quindi ad applicarsi alle assemblee che si svolgeranno sino al 31 luglio 2023: la precedente proroga era stata disposta sino al 31 luglio 2022 ad opera del D.L. n. 228/2021. Il termine è riferito allo svolgimento dell’assemblea, sicchè la disciplina non troverà applicazione per le assemblee convocate entro il 31 luglio 2023 ma che si terranno in data successiva. La disciplina emergenziale sulle assemblee a distanza è contenuta nell’ art. 106 D.L. 17 marzo 2020 n. 18, il quale prevede che, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, con l'avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o straordinarie, le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata e le società cooperative possano prevedere che l'intervento all'assemblea avvenga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, senza la necessità che si trovino nel medesimo luogo il presidente, il segretario o il notaio. In caso di assemblea nella quale tutti i partecipanti sono collegati in audio/video conferenza, il verbale assembleare può essere redatto anche successivamente, con la sottoscrizione del presidente e del segretario oppure del notaio. La normativa emergenziale consente alla società di obbligare (indicandolo nell’avviso di convocazione) i soci a partecipare all’assemblea in audio/video conferenza, senza alcuna presenza fisica dei partecipanti nel luogo prescelto per svolgere l’adunanza, anche in presenza di opposte previsioni statutarie: chi intende partecipare all’assemblea è tenuto a collegarsi in modalità audio/video, non potendo presentarsi fisicamente nel luogo di convocazione. Se l’assemblea si svolge in audio/video conferenza deve essere certificata dal segretario soltanto la circostanza dello svolgimento on line. L’art. 106, comma 2, D.L. n. 18/2020 stabilisce inoltre che – indipendentemente dalla previsione statutaria - ogni tipo di società possa consentire “l’espressione del voto in via elettronica” ovvero “per corrispondenza”, disponendolo nell’avviso di convocazione: al fine di consentire al socio di esercitare in maniera corretta e consapevole il diritto di voto in sede extra-assembleare, deve essere predisposta da parte dell’organo amministrativo, per ciascun argomento all'ordine del giorno, una proposta di deliberazione, non essendo sufficiente la sola conoscenza delle materie da trattare: la manifestazione di volontà da parte del socio avviene, conseguentemente, sulla base di un rigido schema di adesione od opposizione ad una proposta preformulata, sulla quale lo stesso socio non può intervenire. Il voto per corrispondenza si esercita mediante l’invio di tante dichiarazioni di voto quante sono le proposte di deliberazione. Per effetto della proroga disposta dal D.L. n. 198/2022, nelle assemblee che si terranno entro il 31 luglio 2023, le società a responsabilità limitata potranno poi consentire, anche in deroga a quanto previsto dall' art. 2479, comma 4, c.c. ed alle diverse disposizioni statutarie, che l'espressione del voto avvenga in ogni caso mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto. Alla consultazione scritta si può ricorrere anche nelle ipotesi per le quali era in precedenza esclusa la possibilità di ricorrere a tale procedimento decisionale, vale a dire anche nel caso di deliberazione comportante “una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo
Legge dell’UE che a vostro avviso è stata violata Ritengo violi : Direttiva 2007/36/CE relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate Direttiva (UE) 2017/828 che aggiorna la Direttiva 2007/36/CE.
Descrizione del problema
Si prega di descrivere il problema. , il luogo dove la sacralità della democrazia trova la sua massima espressione, quasi tutti rispondereste facendo riferimento all'assemblea che, se rispecchia tutti i canoni, le regole, le norme, persino le leggi, è tale perché consente a ciascuno di esprimere le proprie idee, di fare le proprie proposte oppure di dissentire, facendo gli altri partecipi delle proprie perplessità. Sì, forse la stiamo prendendo alla lontana, ma parlare di democrazia violata ci sembra il minimo quando apprendiamo che le assemblee societarie potranno continuare a tenersi con modalità a distanza fino al prossimo 31 luglio, ovvero con le stesse modalità decise e fatte rispettare quando la pandemia era un oggettivo ostacolo alla tenuta di riunioni, di qualsiasi tipo, perché ritenute terreno favorevole per l'espandersi del virus. Se all'epoca c'era una ragione, sostenuta in prima battuta dai virologi (in questo confortati da studi e ricerche e dalle raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della Sanità), oggi sinceramente ce ne sfugge la giustificazione, tenuto conto che la curva epidemiologica si è andata appiattendo per effetto delle campagne vaccinali, che hanno rallentato la corsa dei contagi. Eppure, è stato deciso di allungare l'efficacia del primo decreto sino alla fine di luglio, ovvero quando le assemblee delle società tradizionalmente si tengono. Una decisione che appare strana considerato che i partiti che oggi formano la coalizione di governo, quando erano all'opposizione, manifestavano quotidianamente la loro opposizione a misure limitative delle libertà personali. Oggi forse quelle libertà personali che si difendevano all'epoca di vaccini, confinamenti, mascherine e quarantene sono improvvisamente diventate meno importanti, qualcosa su cui non spendersi troppo. Insomma, ''scurdammoce o passato'' e con esso le promesse. Ora, il nostro discorso, che potrebbe apparire circoscritto agli azionisti (parliamo dei piccoli, di quelli che rischiano di tasca propria), è invece più ampio perché la proroga sembra non tenere conto non solo della situazione sanitaria del Paese, ma anche se fatto che si è deciso di perpetrare una condizione emergenziale che oggettivamente sembra senza una spiegazione logica (a meno che non si voglia fare della dietrologia semplicistica, come, ad esempio, pensare al peso dei grandi gruppi economico-finanziari). Ma il dato di tutta evidenza è che, ancora quest'anno, le assemblee - per le quali è comunque previsto che si possano seguire via telematica - saranno silenziate, nel caso di un mai escludibile dissenso. Perché è chiaro, anzi chiarissimo che seguire i lavori assembleari (gestiti dai vertici delle società, attraverso le persone delegati a presiederli) in modalità da remoto impedisce di cogliere l'essenza di occasioni del genere, quali sono ad esempio i piccoli gesti o, per dirla tutta, la possibilità di intervenire anche solo sulla base di una sensazione o di un atteggiamento irridente. Impedire ancora una volta che gli azionisti vivano, in presenza, le dinamiche delle assemblee non è, quindi, solo un fatto meramente tecnico od organizzativo, ma un semplice attentato al principio di rappresentanza e di intervento che deve essere garantito, per come lo è da statuto, anche a chi ha poche azioni, che però ha comprato e quindi lo pone su un piano di eguaglianza rispetto ai titolari di grossi pacchetti. Perché se la democrazia è essenzialmente rappresentanza, tutti hanno diritto a goderne. Fatte salve tutte le norme a tutela della salute pubblica, resta da capire perché questa cautela sia stata riservata esclusivamente alle assemblee societarie, che sarebbero quindi l'ultimo caso concreto di misure sanitarie nel Paese, dal momento che, se lo si vuole, si possono frequentare (magari indossando ancora, ma solo come scelta personale, delle mascherine) stadi, cinema, teatri, discoteche, musei, aree pedonali e ci fermiamo qui, non volendo tediare. Ma per le assemblee societarie resta la luce rossa, ad eccezione del ''Rappresentante designato'', misure mitologica metà azionista, metà.. forse è il caso di fermarsi. Italia Informa (basta guardare i nostri archivi) si è sempre detta, finita l'emergenza sanitaria, contraria a questa misura e continuerà ad esserlo perché qui non è in gioco solo il diritto di un azionista di discutere anche del suo portafoglio. Il gioco c'è la possibilità che i vertici di una società facciano e disfacciano a loro piacimento, davanti a poltrone vuote, senza che nessuno alzi la mano per dire anche solo ''non è chiaro. Lo volete spiegare, questa volta chiaramente?''.
Lo Stato membro interessato riceve finanziamenti dell’UE in relazione all’oggetto della vostra denuncia, o potrebbe riceverne in futuro? Sì
La vostra denuncia è connessa a una violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE? Sì
Spiegare in quale misura riguarda il diritto dell’Unione e quale diritto fondamentale è stato violato. Direttiva 2007/36/CE relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate Direttiva (UE) 2017/828 che aggiorna la Direttiva 2007/36/CE.
Documenti giustificativi
Elenco dei documenti
Precedenti tentativi di risolvere il problema
Avete già intrapreso azioni nello Stato membro in questione per tentare di risolvere il problema? Sì
Quali azioni avete già intrapreso? Azione amministrativa (ad es. ricorso, denuncia alle autorità pubbliche centrali, regionali o locali competenti, denuncia a un mediatore nazionale o regionale),
Amministrative - Spiegare quale tipo di decisione è scaturita dalla procedura amministrativa. Pec alla Presidente del Consiglio
Siete a conoscenza di eventuali azioni in corso nello Stato membro in questione riguardo alla questione sollevata nella denuncia?: No

 

 

01.05.23
  1. SOLITA SPECULAZIONE :   Quarantamila dollari per uscire dall'inferno. È la cifra che chiedono i passeur al confine fra il Sudan e l'Egitto. Promettono permessi speciali per tutta una famiglia, e un pullmino a disposizione per attraversare i posti di controllo alla frontiera. Una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille dollari. Ma di fronte alla prospettiva di ritrovarsi inghiottiti in una guerra civile tipo quella siriana, come ha avvertito l'ex premier democratico Abdallah Hamdok, molti sono disposti a bruciare tutti i risparmi o vendersi la casa pur di scappare. La tregua è stata prolungata di 72 ore, ma è una farsa, i combattimenti a Khartoum continuano. L'iniziativa è tornata nelle mani dei miliziani della Rapid support force del generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuti anche come Beretti rossi o "janjaweed, "diavoli a cavallo". A differenza che nel Darfur, quando terrorizzavano i villaggi davvero con cariche a cavallo, hanno a disposizione mezzi blindati e tank di fabbricazione sovietica e hanno ricominciato ad avanzare nella parte orientale della capitale, a Est del Nilo Bianco, con l'obiettivo di conquistare l'aeroporto.
    Lo scalo di Khartoum, concepito quando la metropoli era una cittadina, ha la peculiarità di trovarsi in mezzo ai palazzi, e lungo la grande avenue che corre da Nord a Sud si vedono i jet in fase di atterraggio bassa quota, quasi a sfiorare la strada. Una posizione problematica in tempo di pace, figuriamoci adesso. Gli uomini di Dagalo sono arrivati a pochi isolati, con l'obiettivo di privare il rivale Abdel Fattah al-Burhan di una possibile via di rifornimenti. Il secondo obiettivo è avere una base per cominciare a utilizzare i propri elicotteri. Le evacuazioni degli occidentali, ormai nella fase finale, devono trovare altre vie, più complicate. Ieri un convoglio con 500 cittadini americani è arrivato dalla capitale fino a Port Sudan, sul Mar Rosso, dopo un viaggio di 800 chilometri attraverso il deserto. Lungo il percorso è stato scortato dall'alto da droni, pronti a intervenire in caso di assalto da parte di predoni o miliziani.
    Tutto è possibile in uno Stato in disfacimento. Le Forze di supporto rapido di Dagalo contano 100 mila uomini, più o meno quelli a disposizione di Al-Burhan all'interno dell'esercito regolare. Il suo vantaggio finora era stato garantito dall'aviazione, ma i vecchi Mig e Sukhoi hanno bisogno di continua manutenzione, i pezzi di ricambio scarseggiano e i raid sono più sporadici. Significa una situazione di stallo prolungato e quindi la prospettiva è una lunga guerra civile, «come in Siria», ha paventato l'ex primo ministro Hamdok alla Bbc. I morti accertati sono oltre 500, migliaia i feriti. Mancano cibo e medicine, dilaga la malnutrizione fra i minori, come ha denunciato Save the Children. I profughi verso i Paesi confinanti sono 50 mila. Migliaia di persone sono bloccate, altro paradosso, perché hanno lasciato i loro passaporti nelle ambasciate, chiuse in tutta fretta, e adesso non possono recuperarli.
    Hamdok è stato messo da parte nel gennaio del 2022, quando i generali, vale a dire gli stessi Dagalo e Al-Burhan si sono ripresi tutto il potere nel Consiglio esecutivo, in teoria un governo misto civile-militare. Era la fine di fatto della transizione cominciata nell'aprile del 2019, con la deposizione del dittatore, ricercato dall'Aja, Omar al-Bashir. Gli Stati Uniti hanno cercato di rimettere sui binari il processo democratico, con la nomina di un ambasciatore, John Godfrey, dopo un'assenza di 25 anni, e le pressioni del segretario di Stato Antony Blinken e della sua vice Victoria Nuland, che ha visitato Khartoum ancora il 9 marzo. Troppo tardi. Dagalo e Al-Burhan erano già ai ferri corti, affilavano le armi e cercavano di accreditarsi presso i loro protettori, la Russia, gli Emirati, l'Egitto e l'Arabia Saudita. Il tutto mantenendo buoni rapporti di facciata con le potenze occidentali. I due, entrambi stretti collaboratori e complici di Al-Bashir, provano a giocare la parte del "buono" e del "cattivo". Nessuno ci crede più. È una lotta di potere a oltranza, senza alcun obiettivo ideale, se non il potere e l'arricchimento personale.

 

30.04.23
  1. VERGOGNOSO :   Non bastavano gli 11 avanzamenti di carriera "pilotati" (secondo i pm) con tanto di domande e risposte delle prove d'esame girate in anticipo su WhatsApp ai concorrenti "preferiti". E nemmeno un episodio di corruzione legato al tentativo (riuscito) di non far accettare l'incarico all'effettiva avente diritto n graduatoria per poter scalare la lista e far entrare una persona più "gradita" in cambio di una promozione. Per Carla Fasson, 53 anni, la manager dell'AslTo4, a capo del Dipsa, dipartimento delle professioni sanitarie infermieristiche e della professione di ostetrica dell'azienda sanitaria, si profilano nuovi guai giudiziari. E nuove possibili accuse da fronteggiare. Nell'ordinanza di custodia cautelare che l'aveva portata agli arresti domiciliari nelle scorse settimane (poi revocata su istanza del suo legale Beatrice Rinaudo con contestuale sospensione per 8 mesi da qualsiasi incarico in Asl), il gip di Ivrea Fabio Rabagliati, rimanda una trasmissione atti alla procura di Torino che avverrà in questi giorni su ulteriori condotte passibili di contestazione a danno della manager. Si cita un nuovo fascicolo che va in parallelo all'inchiesta madre. Fasson avrebbe manifestato a un suo collaboratore l'intenzione di posizionare un gps (sistema di posizionamento) sotto la macchina dell'attuale direttore di otorinolaingoiatria dell'ospedale di Chivasso, nonché del dipartimento chirurgico di tutta l'AslTo4. Lo chiede al dottor Giulio Meinardi medico otorino a Chivasso senza cariche dirigenziali: "Monitora i suoi spostamenti" avrebbe detto Fasson al sanitario. Perché? Qual è il motivo per cui la manager voleva conoscere i tragitti compiuti dal primario al punto da pensare di "controllarlo" attraverso un software di position di solito utilizzato dalle forze dell'ordine per seguire gli indagati? La risposta a questa spy story arriverà nel tempo. Ciò che è documentato è che nello stesso procedimento stralcio, Fasson e Meinardi, scrive il giudice delle indagini preliminari "concorrono nel reato di accesso abusivo al sistema informatico" in quanto "Fasson – si legge – si sarebbe fatta timbrare il cartellino da altre persone". Altre accuse dunque rischiano di aggiungersi a quelle di abuso d0ufficio, corruzione e rivelazione di segreto che già popolano l'ampio fascicolo dei pm Valentina Bossi e Alessandro Gallo che hanno coordinato l'inchiesta del "Gruppo Torino" della Guardia di Finanza. «Sulla questione gps, al momento, alla mia assistita non viene contestato alcun reato. E dunque non è vero che lo aveva posizionato sotto l'auto. Credo piuttosto che la questione sia frutto di fraintendimento di una dichiarazione fatta. Io comunque non ho ancora avuto modo di ascoltare gli audio delle telefonate». Prova a difendere Carla Fasson la sua legale, l'avvocato Beatrice Rinaudo ribadendo, poi, come la linea difensiva sia in una fase delicata. E anche sull'accusa che la sua assistita facesse timbrare il cartellino d'ingresso da altre persone, l'avvocato Rinaudo è sicura: «Non è assolutamente vero. Al momento non fa parte dei capi d'imputazione contestati, ma se dovessero contestare questo reato, allora, produrremo tutta la documentazione a dimostrazione che è tutto falso».
    Carla Fasson ha chiesto ai magistrati eporediesi di poter essere interrogata in merito alla vicenda della impossibilità di potersi iscrivere all'albo dei tecnici di laboratorio (come richiesto dal Decreto in vigore dal marzo 2018 e firmato dell'allora ministro alla Sanità, Beatrice Lorenzin) perché non avrebbe i requisiti richiesti per ricoprire il ruolo di dirigente del Dipsa. La data dell'interrogatorio, al momento, non è stata fissata.

 

 

29.04.23
  1. Cara SEC
    Vorrei informarvi di quanto sta avvenendo nei tribunali in Italia in merito alla Dicembre soc semplice che controlla Stellantis e Ferrari.

    Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato Gianni Agnelli, nel momento della sua
    morte lascia l’intero patrimonio in eredità ai nipoti Elkann, e nulla alla figlia
    Margherita, che poi degli Elkann è la madre. Ne nasce un contenzioso giudiziario davanti ai magistrati del Tribunale civile di Torino: Margherita vuole vederci chiaro. È una storia fatta un po’ di misteri, con delle tinte di giallo, dove vengono coinvolti anche degli ex servizi segreti svizzeri. Margherita nel 2004 aveva ereditato dal padre, rimasta unica erede per la morte prematura di Edoardo, 1 miliardo e 200 milioni di euro. Questo in seguito di un accordo transattivo, dopo aver accettato un accordo successorio. E scrive nell’atto: “Accetto per amore di pace”, rinunciando a qualsiasi pretesa futura sull’eredità della madre Marella.
    Solo che però subito dopo aver firmato scopre che forse c’erano dei beni riferibili al padre di cui lei non era a conoscenza. E così nascono le prime questioni legali: la prima nel 2008 e poi dopo la morte della madre Marella nel 2019. In ballo c’è un patrimonio presunto di circa 3 miliardi di euro. È una stima, fatta anche in base a delle carte inedite che Report ha acquisito, di cui è venuto a conoscenza proprio in questi giorni, e che vi mostreremo in esclusiva. Insieme c’è anche nel contenzioso la proprietà della società Dicembre, che è la cassaforte della famiglia di Gianni Agnelli, che controlla a cascata la BV Giovanni Agnelli, che controlla a cascata la Exor, che possiede a cascata Stellantis, Iveco, Ferrari, Gruppo Gedi con Repubblica e La Stampa, The Economist, e anche la Juventus. Ora, Margherita dopo aver ceduto le sue quote nel 2004 alla madre le rivuole indietro.
    Tutto ruota intorno a un testamento, che è stato scritto in Svizzera, e intorno a
    una scrittura privata che riguarda proprio la proprietà della società Dicembre. Marella Caracciolo ha lasciato in testamento tutti i suoi averi a 3 dei suoi 8 nipoti.
    John, Lapo e Ginevra Elkann. Saltando non solo la sua unica figlia in vita,
    Margherita, ma anche gli altri 5 nipoti, figli del suo secondo matrimonio col nobile di origine russa Serge de Pahlen. Margherita, invece, si era accontenta solo del patrimonio del padre Gianni. Nel 2004 aveva incassato 1,2 miliardi e in cambio aveva rinunciato a qualsiasi pretesa sull’eredità della madre firmando un patto successorio regolato secondo le leggi svizzere. Questo è l'inizio della guerra, perché Margherita si pente subito dopo.
    Adisce il Tribunale civile di Torino per chiedere l'annullamento e la nullità di quegli accordi.
    Il problema è che l'accordo è stato firmato in Svizzera, non è compatibile con le leggi italiane.
    Per quanto riguarda il testamento di sua madre chiede che venga aperto secondo le regole della legge italiana e non secondo il diritto successorio svizzero, poiché, secondo la tesi di Margherita, sua madre aveva una residenza fasulla in Svizzera.
    E in Italia, a differenza della Svizzera, i patti successori sono vietati. Ma Marella era ufficialmente residente in Svizzera, e in questi casi si applica la legge del paese di residenza.
    Per risiedere all'estero bisogna soggiornare all'estero più di 183 giorni all'anno
    perché altrimenti si è residenti in Italia, anche se uno dichiara di essere residente all'estero.
    E quindi valgono le leggi italiane.
    La splendida magione di Villar Perosa era stata ufficialmente affittata dalla signora Caracciolo al nipote John Elkann. Ma a viverci era sempre la vedova dell’avvocato. Infatti J Elkann ne ha fatta costruire accanto una per se piu’ grossa di quella dei nonni. Oltre che a Villar Perosa Marella era spesso a Villa Frescot, la casa principale di Gianni, che dall’alto domina tutta Torino, proprio di fronte alla ex fabbrica del Lingotto. Qui Marella riceveva la Torino che conta. Evelina Christillin è stata a capo del comitato olimpico di Torino 2006 ed è attualmente presidente del Museo Egizio e componente del consiglio della FIFA. Era una delle persone più vicine a donna Marella.
    EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
    TORINO
    MI ha insegnato molto a stare al mondo. Imparare a comportarsi, imparare
    quando stare zitta, quando parlare, eccetera. Gli ultimi anni, lei non si muoveva quasi più da Frescot, per cui la vedevo proprio tanto, tanto tanto e cercavo di farle un po' compagnia. Torino, era la base che lei amava molto.
    MANUELE BONACCORSI
    Era la città in cui stava più spesso?
    EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
    TORINO
    Ah, beh, assolutamente sì.
    Nella casa nuova, in Svizzera, c’è mai stata?
    EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
    TORINO
    Quella no. Non son mai andata a Gstaad, no.
    Ma ci andava spesso?
    EVELINA CHRISTILLIN - PRESIDENTE FONDAZIONE MUSEO EGIZIO DI
    TORINO
    Ma non aveva neanche tanta voglia.
    Siamo riusciti ad analizzare gli spostamenti degli aerei e degli elicotteri
    privati che erano usati dalla signora Caracciolo dal 2003 al giorno della sua morte nel 2019. Secondo questo documento, agli atti del processo di Torino, tra il 2004 e il 2018, l’ereditiera passa in media 185 giorni in Italia e appena 69 giorni in Svizzera. Nel 2014, ad esempio, Marella trascorre 208 giorni in Italia, 114 nella sua straordinaria villa di Marrakesh, in Marocco e appena 43 giorni a Lauenen, nella casa in cui era ufficialmente residente. Ci andava in genere in aereo, atterrando nel vicino aeroporto di Gstaad.
    Abbiamo alcuni messaggi di alcuni degli inservienti che ci dicono che gli hanno
    proibito di parlare.
    Nel momento in cui si scopre che la signora Marella Caracciolo Agnelli, non
    passava 183 giorni almeno in Svizzera.
    La residenza di fatto è italiana e a quel punto è applicabile sulla successione la
    legge italiana. Diventa erede la figlia e deve fare la denuncia di successione del
    valore della partecipazione.
    Oltre alla tassa di successione il fisco italiano potrebbe recuperare anche le
    imposte sul reddito di Marella Caracciolo, 7 milioni l’anno, su cui si applicherebbe l’aliquota massima del 48%. Anche gli immobili esteri e i conti offshore verrebbero tassati.
    Potremmo ipotizzare un recupero in termini di imposta di 170 milioni di euro,
    con una sanzione di importo corrispondente, applicando la misura minima di
    queste sanzioni.
    E se la misura fosse la massima?
    Andremmo su cifre molto elevate, fino a 650 milioni di euro di sanzioni.
    Naturalmente, diciamo, non avendo pagato all'epoca sarebbero poi gli eredi e
    ovviamente si dovrebbero far carico di questo pagamento.
    Secondo il rendiconto la vedova Agnelli pagava appena 90 mila euro di imposte
    in Italia. In Svizzera nel 2018 ha invece pagato oltre 252 mila franchi. Perché
    nel cantone poteva godere di una tassazione forfettaria. Per Marella l’iscrizione
    all’Aire, il registro degli italiani all’estero, faceva parte di una precisa strategia
    fiscale.
    Una volta che l'Agenzia delle Entrate ha verificato che Tizio e Caio è iscritto
    quindi all'Aire, cancella dal proprio registro fiscale italiano e quindi non ha più
    motivo di andare ad indagare. La sottoscritta che sta qui da 26 anni, non ho mai avuto un controllo successivo, ma come tutti i 600.000 italiani che sono
    registrati, come dire, qui in Svizzera.
    Non è un caso quindi che la signora Caracciolo avesse redatto il suo testamento in Svizzera. Report , trasmissione televisiva italiana, è in grado di mostrarvi il documento redatto in tre diversi momenti, 2011, 2012, 2014. Nell’ultimo atto Marella specifica: la Svizzera è il centro delle mie attività. Confermo che la mia successione sia sottoposta al diritto svizzero. Ma la dichiarazione viene redatta in italiano. E davanti a lei sia il notaio che i testimoni sono svizzeri, tutti di lingua madre tedesca.
    Un testamento in cui i testimoni non parlino la lingua della persona che fa il
    testamento è valido?
    Sicuramente no. I testimoni altrimenti cosa testimoniano?
    E in Svizzera?
    Ma in Svizzera il principio è più o meno il medesimo. Il testatore comunica la
    volontà al notaio, il quale redige la scrittura. Dopo di che i testimoni intervengono e dichiarano che il testatore l'ha letta ed è in condizione di intendere e di volere.
    Il testamento riporta la data di nascita sbagliata di Marella Caracciolo: 5 maggio e non 4 maggio. Ed è scritto con un italiano molto stentato: questo testamento sera stentato in uno solo esempio. Il originale rimane con il notaio. Il testamento e, senza accento, redigato per il notaio. Immediato dopo sono convocati come testimoni. Questa è la dichiarazione dei testimoni, allegata al testamento, redatta anch'essa in Italiano.
    Peter Hafter. E non è una persona qualsiasi. È uno dei fondatori di Lenz &
    Staehelin, il più importante studio di avvocati d’affari svizzero. È un mago dei
    paradisi fiscali: il suo nome risulta nei panama papers in ben 23 società offshore.
    Eppure Hafter il 22 agosto 2014 parte da Zurigo, viaggia per 200 km e raggiunge Gstaad per fare da semplice testimone al testamento di Mariella Caracciolo.
    Gli avvocati di Margherita hanno denunciato il notaio Von Grunigen. Questo
    perché sospettano che le firme sotto il testamento non siano autentiche in base a una perizia calligrafica. I legali degli Elkann invece sono sicuri su questo punto.
    Poi ci sarebbe da stabilire la competenza territoriale di questa vicenda. I giudici
    dovranno stabilire se è italiana o svizzera. In Svizzera ci sono altre cinque cause che riguardano questo contenzioso. E poi insomma va da sé che una eventuale competenza italiana porterebbe anche con sé una questione fiscale.
    Bisognerebbe però pagare le tasse sull’eredità italiana, sul patrimonio che entra in Italia. E qui si parla di centinaia di milioni di euro. Ci sarebbe anche da capire la presunta esistenza di conti nei paradisi fiscali che l’investigatore di Margherita avrebbe trovato. Ma insomma questo è tutto da verificare. Però Margherita, quello che è certo, è che vuole tornare in possesso delle sue quote della società Dicembre. Ovvero di quella società che controlla a cascata l’impero industriale del gruppo più potente d’Italia. Che fine farà la Dicembre?
    La proprietà della Dicembre verrebbe ridiscussa e negoziata. Verrebbe a dover
    essere ridiscussa tutta la governance e avrebbe delle ripercussioni sulle
    partecipate, su Stellantis, sulla Giovanni Agnelli BV, su Exor, sulla Ferrari, sulla
    Juventus
    Allora parliamo dell’eredità degli Agnelli che è al centro di un contenzioso di
    Margherita e i figli Elkann. Nel contenzioso c’è anche la società Dicembra, che
    controlla un impero industriale. Nel 1996 Gianni Agnelli aveva intestato il 25 per cento della cassaforte di famiglia, con questa lettera, a John Elkann. E dopo la morte dell’Avvocato, nel 2004 John Elkann diventa socio di maggioranza. Tutto ruota intorno a una scrittura privata che però presenterebbe anche questa delle anomalie. Tutto nasce nel 1984, quando viene istituita la Dicembre. E si sceglie come status quello della società semplice: si chiama così perché viene dal mondo agricolo. Ha dei vantaggi perché permette anche di non versare le imposte quando c’è la successione per il patrimonio che ha in pancia. Soprattutto ha il vantaggio di rimanere segreta.
    La Dicembre viene fondata nel 1984.
    Quindi, per non aver reso pubblici gli atti della Dicembre, dal 1996 al 2012, i
    componenti della famiglia Agnelli/Elkann hanno ricevuto una multa di 200 euro.
    Per ogni singola omissione o ritardo.
    Ma dopo l’iscrizione la società non viene mai aggiornata. A giugno del 2019, la
    Dicembre risulta di proprietà di tre persone: la Signora Marella Caracciolo,
    deceduta a febbraio di quell’anno. Il manager di fiducia di Gianni Agnelli Gianluigi Gabetti, morto a maggio. E l’anziano ex ad di fiat Cesare Romiti.
    Infatti, noi alla morte di Caracciolo abbiamo scritto a Romiti chiedendo di
    aggiornare la situazione della Dicembre. E Romiti non l'ha fatto.
    Il 18 agosto 2020 muore anche Romiti. Quindi in quel momento la società
    Dicembre, che ripeto controlla a cascata il più grande gruppo privato italiano,
    diciamo, se io facevo la visura in quel momento, mi risultava una società di
    fantasmi. Di altissimo livello. Ma tutti fantasmi.
    Fino a quando il giornalista Gigi Moncalvo, nel 2021, non decide di denunciare
    tutto. Ma non a un magistrato italiano. Direttamente alla Sec, l'authority di
    controllo della borsa americana, dove sono quotate alcune società del gruppo
    La Sec ha aperto un'investigazione su questo mio ricorso. Ebbene, finalmente
    John Elkann si è convinto a presentare documenti che da venti anni egli avrebbe dovuto per legge presentare.
    Solo nel 2021 si scopre che già nel 2004, con una semplice scrittura privata,
    Marella Caracciolo aveva ceduto la nuda proprietà del 41,29% della Dicembre ai tre nipoti Elkann: John, Lapo e Ginevra, mantenendo per sé solo l’usufrutto delle quote.
    È chiaro che una vendita ai nipoti, unici eredi, non ha alcun senso logico: Marella Caracciolo, con tutto quello che aveva, non aveva mica bisogno dei soldi dei nipoti per vivere, no?
    E quindi perché l'hanno fatta?
    Per evitare che probabilmente la figlia impugnasse tutto e quindi che questa
    grossa quota della Dicembre andasse a finire in una causa e quindi venisse
    bloccata.
    Non lo sapeva neppure l’Agenzia delle Entrate. Il fisco - durante un accertamento del 2009 - pone a Marella un questionario sulla sua residenza fiscale fino al 2008.
    Dal documento emerge che Marella avrebbe avuto della Dicembre solo la nuda
    proprietà non l’usufrutto.
    Se è vera la scrittura privata, ha detto il falso all'Agenzia delle Entrate. Se non
    ha detto il falso all'Agenzia delle Entrate quella scrittura è stata fatta dopo il
    2009.
    La copia della scrittura privata con cui Marella aveva ceduto le quote della
    dicembre viene depositata in camera di Commercio. Ma il notaio Remo Morone
    appone una certificazione che non è la solita dicitura “conforme all’originale.” Ma una che agli addetti ai lavori appare strana. il presente documento è copia
    conforme al documento a me esibito.
    Senta: un notaio che deve scrivere un atto all'interno del fascicolo in Camera di
    commercio, come lo deve produrre questo atto tecnicamente.
    Deve dichiarare che quella è la copia conforme all'originale
    E infatti il tribunale di Torino il 7 luglio 2022 impone di cancellare l’atto della
    cessione delle quote della Dicembre dal registro perché “risulta privo dei requisiti formali”. Ma appena una settimana dopo il documento viene ripresentato alla camera di commercio il controllo che fa il registro delle imprese è meramente formale.
    Alla fine i legali degli Elkann producono al processo di Torino. un’altra versione
    della scrittura privata, si tratta sempre di una copia, ma in questo caso è
    autenticata nel 2004 da un notaio di Ginevra, Etienne Jeandin. Che a sua volta
    contiene una postilla con l’autenticità della scrittura fatta da un altro notaio,
    collega di studio di Jeandin, ma redatta nel 2021.
    E’ vero, ma il notaio ha verificato la firma, non il contenuto
    Ma avete il documento originale qui?
    SEGRETARIA STUDIO NOTARILE JEANDIN
    No, non l’abbiamo
    Secondo le perizie calligrafiche dei legali della figlia Margherita, le firme della
    madre Marella sulla scrittura privata sarebbero probabilmente apocrife. Per
    dipanare la questione basterebbe avere l’originale. L’avvocato di Margherita lo
    ha chiesto ai legali di John Elkann senza ottenere risposta. Noi abbiamo scritto
    al notaio svizzero Jeandin,chiedendogli se Caracciolo e i fratelli Elkann fossero
    presenti avessero firmato davanti a lui. Ci ha risposto lapidario: Non intendo
    esprimermi. Poi c’è il giallo del giorno della firma della scrittura privata : secondo le indagini degli investigatori di Margherita il 19 maggio 2004 Marella Caracciolo non poteva trovarsi a Ginevra.
    Dove si trovava il 19 maggio 2004?
    ANDREA GALLI - INVESTIGATORE PRIVATO
    A Torino e il 21 maggio è partita per Marrakech.
    Questo è invece il documento, che Report può mostrarvi in esclusiva, che
    certifica il pagamento delle quote. John versa alla nonna 2,5 milioni; Lapo e
    Ginevra 39,2 milioni a testa tramite la Gabriel Fiduciaria di Torino, allora guidata dall’avvocato di Gianni Agnelli, Franzo Grande Stevens. La nonna incassa in totale 80,9 milioni di euro. Ma li tiene in deposito per appena 48 ore. In attesa di ulteriori istruzioni.
    Entrambe le parti hanno un conto con la fiduciaria. E La fiduciaria ha conti presso Banca Pictet. La fiduciaria è di Torino, chi fa l'operazione sono tutti italiani, tutto questo viene fatto in Svizzera con movimenti finanziari che non si vedono perché vengono fatti dietro le società fiduciarie.
    Cioè non c'è una ricevuta di pagamento elettronico?
    Non c'è nessuna contabile bancaria. Manca l'evidenza dell’intervenuta
    movimentazione del denaro.
    La storia, l’abbiamo visto, è complessa. I giudici dovranno esprimersi,
    probabilmente, entro l’inizio dell’estate. Un contenzioso che riguarda la proprietà della Dicembre: una società semplice, così è stata istituita nel 1984, tuttavia controlla un impero. Una società semplice che è stata a lungo segreta: doveva essere registrata nel 1996 e invece fino al 2012 è rimasta completamente segreta. Poi nel giugno del 2019 da visura risulta che nella Dicembre c’era ancora Marella Caracciolo, poi c’era anche Gabetti, uomo di fiducia di Gianni Agnelli che però era morto a maggio, Marella era morta a febbraio. L’unico in vita era l’ex amministratore delegato di Fiat Romiti: avrebbe dovuto aggiornarla lui questa visura. Sennonché non lo fa e muore nel 2020. Fino a quando poi scopre tutto il giornalista Gigi Moncalvo che denuncia tutto alla Sec, l’autorità di controllo della Borsa americana, e pubblica anche una e-mail che fa girare presso tutti gli amministratori delegati del comparto auto. A quel punto Elkann sana tutto e da amministratore della società pubblica i documenti mancanti. Si scopre in quel momento che Marella aveva ceduto nel 2004 le proprie quote, il 41,29 per cento, ai nipoti Elkann. Ma aveva mantenuto l’usufrutto di quelle quote, cede solo la nuda proprietà. Tutto attraverso una scrittura privata, che però abbiamo visto, presenta delle anomalie. La prima è che manca il luogo dove è stata redatta. E secondo gli investigatori di Margherita, Marella quel giorno non era in Svizzera, era a Torino a firmare un altro documento che riguarda sempre la Dicembre. Poi
    era partita per Marrakech. Insomma, basterebbe per sanare la situazione
    l’originale. Noi l’abbiamo chiesto. Un rappresentante della Dicembre ci ha
    risposto che «ogni volta che i giudici italiani si sono espressi, in ben tre gradi di
    giudizio, con riguardo alla prima iniziativa di Margherita De Pahlen, l' hanno
    respinta poiché infondata. E che anche le nuove azioni intentate dalla contessa
    Agnelli sono infondate e che «attendono con serenità e fiducia la decisione dei
    giudici. Decisione che in ogni caso - dicono - non muterà gli assetti di
    governance della Dicembre». Insomma, indipendentemente da chi vincerà ci sembra che l’unico sconfitto qui, è l’amore tra madre e figli.
    Marco BAVA
     

 

28.04.23
  1. IL PREZZO PER DRAGHI:   L'Unione europea ha nove rappresentanti speciali in diverse aree del mondo, tra cui il Sahel, l'Asia Centrale, il Corno d'Africa e il Medio Oriente. Hanno il compito di «promuovere le politiche e gli interessi dell'Ue in regioni e Paesi specifici» e svolgere «un ruolo attivo negli sforzi volti a considerare la pace, la stabilità e lo Stato di diritto». Luigi Di Maio, quando la sua nomina sarà confermata in maniera definitiva, sarà il decimo rappresentante speciale e dovrà occuparsi dei Paesi del Golfo Persico, lavorando in particolare alle partnership con Bahrein, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman ed Emirati arabi uniti. L'ammontare dello stipendio non è noto pubblicamente, ma secondo i minimi tabellari previsti dall'Ue per questo genere di incarichi dovrebbe aggirarsi tra i 13 mila e i 16 mila euro (netti) al mese. La durata del suo incarico sarà di ventuno mesi.
  2. PERCHE' NON CI SI PUO' FIDARE DEGLI USA : «Voglio che mio marito torni a casa: la sua battaglia non riguarda ormai solo lui ma tutti noi, il nostro diritto di vivere in una società civile». La voce dell'avvocata e difensore dei diritti umani Stella Morris Assange – dal 23 marzo dello scorso anno moglie di Julian, a cui ha dato due figli, Gabriel e Max, di 6 e 4 anni – si leva dal palco della sede romana dell'Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) durante la presentazione del libro dell'ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer, Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione (Fazi Editore). In segno di solidarietà, diciannove sigle sindacali di giornalisti di diversi Paesi europei (compresa quella inglese), in sinergia con l'Fnsi, hanno deciso di dichiarare da oggi Julian Assange iscritto ai loro Sindacati. Il numero di aderenti potrebbe aumentare nei prossimi giorni.
    Nato in Australia – più precisamente nella città di Townsville – cinquantun anni fa, Julian Paul Assange – all'anagrafe Julian Paul Hawkins – è assurto agli onori delle cronache nel 2010, per aver rivelato per mezzo dell'organizzazione divulgativa WikiLeaks, di cui è co-fondatore, documenti statunitensi secretati ricevuti dall'ex militare Chelsea Manning – una «presunta» fonte, come il giornalista ha sempre puntualizzato – e riguardanti svariati crimini di guerra. Dall'11 aprile 2019 è detenuto nel Regno Unito nel carcere di Belmarsh – che venne definito la «Guantanamo inglese» quando, in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001, ospitò sospetti stranieri imprigionati senza accuse formali –, prima per violazione dei termini della libertà su cauzione in relazione alle accuse di stupro, poi archiviate, da parte della Svezia, poi per la richiesta di estradizione inoltrata dagli Stati Uniti d'America, dove è incriminato per violazione di segreti di Stato. Il 21 aprile 2022 la Westminster Magistrate's Court di Londra ha emesso nei suoi confronti l'ordine formale di estradizione negli Usa.
    Il sistema WikiLeaks viene perseguito nella persona di Assange: si tratta realmente di un'organizzazione irresponsabile che ha danneggiato delle persone?
    «Il governo americano ha fatto tante affermazioni in questo senso. In realtà, durante il processo a Chelsea Manning, ma anche in occasione di diverse sessioni relative all'estradizione di Julian, rappresentanti governativi hanno ammesso sotto giuramento che le rivelazioni non hanno mai messo a rischio la vita di alcun dipendente del governo statunitense».
    A suo parere, quali ricadute potrebbe avere il caso Assange sul giornalismo d'inchiesta e, più in generale, sulla libertà di stampa?
    «Questo caso rappresenta la più grande minaccia alla libertà di stampa a livello internazionale. Prima di tutto in quanto criminalizza la ricezione e la pubblicazione di informazioni vere. In secondo luogo perché l'America sta applicando le proprie regole in materia di segretezza in maniera extra-territoriale, fra l'altro nei confronti di un cittadino che non è nemmeno americano: si va delineando un nuovo modello, secondo cui sarebbe possibile perseguire qualunque giornalista o editore in qualsiasi parte del mondo».
    Riguardo il trattamento riservato ad Assange, è lecito parlare di tortura psicologica?
    «Sono sua moglie, ho assistito alle sue sofferenze e a come la prigione l'abbia ridotto. Direi senz'altro di sì, ma anche diversi psicologi ed esperti indipendenti concordano».
    Ha riscontrato una qualche forma di parzialità o arbitrio da parte dei giudici, delle istituzioni politiche e governative e della stampa internazionale?
    «Non c'è alcun dubbio che la persecuzione e il danno alla reputazione di Julian sia avvenuto a molti livelli. Il libro di Nils Melzer ricostruisce bene i diversi aspetti dei numerosi attacchi perpetrati contro la sua persona. Di certo, Julian è stato silenziato ancor prima di venire arrestato: già un anno prima del suo arresto il governo ecuadoriano gli aveva impedito di parlare in pubblico. Oltretutto, abbiamo assistito alla diffusione, nelle principali testate internazionali, di storie prive di fondamento, con l'evidente obiettivo di infangare il suo nome. Penso ad esempio a un articolo a tutta pagina pubblicato dal «Guardian», in cui si sosteneva che il responsabile della campagna presidenziale di Trump, Paul Manafort, avesse visitato più volte Assange all'interno dell'ambasciata ecuadoriana, notizia che poi lo stesso giornale è stato costretto ad ammettere essere falsa».
    Riguardo la sua espulsione dall'ambasciata ecuadoriana, è possibile parlare di atto politico?
    «L'ascesa al potere in Ecuador di Lenín Moreno ha mutato gli assetti geopolitici del Paese. Lo stesso Moreno aveva manifestato l'intenzione di migliorare i rapporti con gli Usa e, ai suoi occhi, Assange si prestava ad essere una pedina perfetta da usare per ottenere delle concessioni da parte degli americani. Basti pensare come, nel giro di pochi mesi dall'espulsione di Julian dall'ambasciata, il governo ecuadoriano abbia ricevuto miliardi di aiuti dal Fondo Monetario Internazionale».
    Perché un detenuto politico non violento come Assange sia recluso nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh?
    «In una democrazia sana non dovrebbero esistere prigionieri politici e Julian non si troverebbe in prigione, figurarsi in un carcere di massima sicurezza riservato a terroristi e pericolosi estremisti. Le condizioni in cui è detenuto sono estremamente ristrettive, è controllato giorno e notte. I nostri incontri sono sorvegliati dalle guardie della prigione e non vi è spazio per alcuna privacy».
    Quali saranno i prossimi passaggi della vicenda giudiziaria?
    «In questo momento è in corso una duplice procedura d'appello, sia nei confronti dell'esecutivo britannico che ha autorizzato l'estradizione – o quanto meno non intende ostacolarla –, sia nei confronti delle Corti che l'hanno approvata. L'High Court of Justice (l'equivalente della Corte Suprema in Italia), tuttavia, non ha alcun obbligo legale ad accogliere il nostro appello, quindi stiamo ancora aspettando di sapere se avremo anche solo la possibilità di presentarlo».
    È ancora possibile evitare la sua estradizione negli Usa?
    «Questo è un caso politico, quindi non saranno dei tecnicismi legali a liberare Julian. Molto, se non tutto, dipenderà dall'evoluzione del contesto politico, e in tal senso ci tengo ad evidenziare quanto stia accadendo in Australia, dove, per la prima volta dall'inizio di questa storia, il governo si appresta a chiedere all'America una qualche forma di risoluzione della vicenda. Ciò costituisce un passo in avanti e mi infonde speranza, soprattutto considerata l'accresciuta importanza dell'Australia nel contesto dell'alleanza occidentale. —
  3. UNA FAMIGLIA DA ESPELLERE DALL'ITALIA: Yasmin, la chiameremo così, ha 19 anni, lei e le sua famiglia sono indiani sikh. Il padre è una figura nota nel tempio dell'abitato più prossimo alla località delle campagne modenesi in cui vivono. Il culto in questione professa l'amore universale e in qualche modo lo concilia con la tradizione dei matrimoni combinati. Per questo, quando il padre di Sara scopre che si è fidanzata con un connazionale di 23 anni, mentre lei è già promessa sposa a un altro uomo scelto d a lui, reagisce sequestrandola, sedandola, picchiandola e negandole il cibo, con la collaborazione del resto dei parenti.
    D'altra parte, se oggi possiamo chiamare Yasmin questa ragazza e non riferirci a lei semplicemente come «un nuovo caso Saman», è perché, a differenza della 18enne pakistana uccisa nel 2021 a Novellara (RE) per lo stesso motivo (e anche allora dai suoi consanguinei), questa volta e nonostante gli intoppi burocratici, al coraggio di denunciare che entrambe hanno avuto, si è aggiunto l'intervento di una rete fatta di associazioni per la difesa delle donne, della polizia e degli assistenti sociali.
    Il primo segnale che qualcosa non va arriva con una telefonata della zia che giustifica l'assenza della nipote alla scuola per parrucchiere che frequenta. Ai dirigenti di questo istituto in provincia di Bologna, la donna dice che la nipote è stata assente perché indisposta, poi, che era irraggiungibile a causa della perdita del cellulare.
    Ma il giorno dopo Yasmin riesce a tornare a scuola e spiega ai professori di non essere affatto stata malata e che il cellulare gliel'hanno sequestrato i suoi. Nello specifico, dirà anche che il padre l'ha presa a calci, che i lividi che porta sul collo sono segno di un'aggressione, che il latte che le hanno offerto «aveva un sapore cattivo» e che bevendolo «si è addormentata profondamente», risvegliandosi con «un forte mal di testa».
    Yasmin parla male l'italiano, ma spiega comunque che l'hanno privata dei suoi vestiti e che in casa le negano il cibo. Tutto, spiega, dopo aver scoperto del suo fidanzamento. Dalla scuola si rivolgono a un piccolo gruppo di attivisti che si battono contro la violenza su «donne, minorenni e animali». Li conoscono perché hanno fatto un intervento formativo nell'istituto. Davanti a loro, l a ragazza conferma tutto ciò che ha dichiarato in precedenza, ma si rende conto di aver imboccato un cammino che la separerà per sempre dalla sua famiglia e questo la sconvolge. Esita e decide di provare a ottenere il consenso dai genitori per le sue scelte, per poi trasferirsi dal fidanzato.
    Potrà parlare col ragazzo solo dopo Pasqua e, quando ci riesce, lui è disposto ad accoglierla in casa con la madre, ma i famigliari di Sara restano contrari. Il 13 aprile, allora, la preside va dalla polizia e sporge denuncia, ma qualcosa si inceppa.
    Ieri l'altro, nonostante una nuova deposizione davanti agli inquirente ( che Barbara Iannuccelli, portavoce dell'associone Penelope (altro ente contro la violenza di genere), riferisce essere stata resa «in lacrime»), le istituzioni non trovano un posto disponibile per lei in una residenza protetta. Preoccupata dalle possibili ritorsioni dei genitori, la preside si offre di ospitarla a casa sua. Passa la notte e la Questura di Bologna per fortuna risolve l'impasse, offrendo a Yasmin un alloggio che lei, poichè maggiorenne, è per la legge italiana ora libera di accettare o meno, tanto quanto l'ospitalità offerta dal suo fidanzato.

 

27.04.23
  1. FORSE LA CINA SI OCCIDENTALIZZA ?: Il "momento opportuno" evocato a Emmanuel Macron è arrivato. Xi Jinping ha tenuto il suo primo colloquio telefonico con Volodymyr Zelensky dall'invasione russa. Dialogo «lungo e significativo», secondo il presidente ucraino, che ha preso il via dal concetto che più gli sta a cuore: «Il rispetto reciproco della sovranità e dell'integrità territoriale è la base politica delle relazioni tra Cina e Ucraina», ha detto Xi. Durante la visita del leader cinese a Mosca, il tema era finito in secondo piano dopo le «legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i Paesi». Soprattutto, Xi ribadisce il riconoscimento dei confini ucraini dopo le dichiarazioni dell'ambasciatore cinese a Parigi, Lu Shaye.
    C'è chi ipotizza un'accelerazione di Xi dovuta proprio alla negazione della sovranità dei Paesi ex sovietici da parte del diplomatico "lupo guerriero" che, secondo l'influente commentatore Deng Yuwen, potrebbe essere richiamato a Pechino per un ruolo all'Università di Affari esteri per diplomatici.
    Nel colloquio con Zelensky, Xi auspica lo sviluppo dei rapporti bilaterali al di là della «contingenza» del conflitto. Avvisa Mosca che «non ci sono vincitori in una guerra nucleare», richiamando a «calma» e «sobrietà» dopo le nuove minacce dell'ex presidente Dmitrij Medvedev. Ma parla implicitamente anche degli Stati Uniti, quando sostiene che «la Cina non è l'artefice della crisi in Ucraina, né vi partecipa», cioè non sta mandando aiuti militari alle parti in causa. E ancora: «In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu e di grande Paese responsabile, non getteremo benzina sul fuoco, né approfitteremo dell'opportunità di fare profitti». Messaggi rivolti soprattutto all'Europa, con la quale Pechino si è dimostrata risoluta a mantenere aperti i legami, cercando allo stesso tempo di convincerla a svincolarsi da quella che chiama «mentalità da Guerra Fredda» americana.
    Il riferimento sembra essere proprio a Macron (e al brasiliano Lula) quando Xi afferma: «Ora che pensieri e voci razionali stanno aumentando, tutte le parti dovrebbero cogliere l'opportunità» di favorire una soluzione politica. La Cina, che si «impegnerà in prima persona per fermare la guerra e il cessate il fuoco», manderà un inviato speciale in Ucraina e in altri Paesi europei. Il prescelto è Li Hui, ex ambasciatore in Russia tra il 2009 e il 2019 e dunque nome di garanzia anche per Vladimir Putin, che lo ha peraltro premiato con una "medaglia all'amicizia".
    Le basi del negoziato restano però ancora avvolte nell'ombra. Zelensky e l'Occidente chiedono il ritiro delle truppe russe dai territori invasi, Pechino lascia intendere che la cosa migliore sarebbe una soluzione alla "coreana". Difficile che la Cina possa esplicitare una proposta concreta. D'altronde anche nella telefonata con Zelensky traspare nuovamente la disponibilità a facilitare il dialogo, più che a mediare.
    La prima urgenza di Xi sembrava d'altronde essere quella di completare lo sforzo diplomatico intrapreso nei mesi scorsi. Prima il confronto con Putin, poi quello coi leader europei, infine il contatto con l'Ucraina. Comunque vada, il leader cinese può sostenere di averci provato. E che se le cose andranno storte, la colpa sarà di qualcun altro. Coincidenza o meno, dopo la grana Lu Shaye, l'esito è anche quello di rassicurare i Paesi dell'Europa Nordorientale e dell'Asia centrale sul preteso ruolo di "grande stabilizzatore" di Xi. Il portavoce di Ursula Von der Leyen ha descritto la telefonata come «un primo passo importante da parte della Cina», sottolineando che la «richiesta di Zelensky» era stata trasmessa dalla presidente della Commissione europea e Macron durante il trilaterale di Pechino.
    Per ora nessuna apertura dal governo russo, che «nota la disponibilità della Cina a compiere sforzi per stabilire il processo negoziale» ma sostiene che Kiev «rifiuta qualsiasi iniziativa volta a un accordo». Il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, ha invece giudicato "positiva" la conversazione tra Xi e Zelensky. Mentre non viene escluso che il segretario di Stato Antony Blinken possa recarsi a Pechino a maggio, intorno al G7 di Hiroshima.
  2. UNA AZIONE PER IL MOMENTO POSITIVA : Una rondine non fa primavera. Una telefonata non fa pace. Ma fa diplomazia. Ci vorrà ben altro per il cambio di stagione, dalla guerra alla pace. Nelle grandi pianure dell'Europa centrale gli inverni sono rigidi e lunghi. La primavera tarda sempre ad arrivare. A maggior ragione tarderà ad ingranare la diplomazia, dopo 14 mesi di aggressione russa senza quartiere e di strenua difesa ucraina. Dopo 14 mesi durante i quali il presidente cinese aveva ignorato quello ucraino. Ma più rigido l'inverno più importanti anche piccole avvisaglie di disgelo. Ieri Pechino ha scongelato il dialogo con Kiev. Se maturerà, sarà in tempi lunghi. Difficilmente distoglierà l'Ucraina dalla controffensiva in preparazione da mesi. Ma è un'avvisaglia che potrebbe successivamente rimettere in moto la diplomazia. Affinché abbia successo la Cina deve essere parte dell'equazione. Ieri ha segnalato di volerlo essere. E di diplomazia cinese sull'Ucraina, finora, se n'era vista poca. Solo parole e un piano di pace talmente annacquato da non essere preso sul serio nè da ucraini nè da russi.
    All'indomani della telefonata di Xi Jinping a Volodymir Zelensky, annunciata dall'uno, attesa dall'altro, sollecitata da terzi (in particolare da Emmanuel Macron), ignorandone il contenuto, si possono solo fare due osservazioni e porsi una domanda. Primo, la telefonata, importante soprattutto perché prima non c'era stata, va inquadrata in un articolato attivismo diplomatico di Pechino, a 360 gradi. Dopo aver incassato il terzo mandato, da Segretario generale e da presidente, Xi Jinping ha cominciato a muoversi con alta visibilità: visita di Stato a Mosca, tappeto rosso per Macron a Pechino. Nelle retrovie, arrivavano altri visitatori europei. La Cina ha fatto da mediatore fra Teheran e Riad. Sta cercando di riallacciare un dialogo con l'Unione Europea: il ministro del Commercio Estero Wang Wentao era ieri a Bruxelles per incontrare il commissario Ue Valdis Dombrovskis; a giugno è previsto un vertice bilaterale di lavoro con la Germania.
    È come se improvvisamente la Cina si destasse da una sorta di torpore diplomatico che non si addice alla seconda potenza mondiale - e di cui non possiamo che rallegrarci perché costringe Pechino a recitare il ruolo internazionale che le si addice, a prendersi auspicabilmente responsabilità, mettere sul tavolo le sue carte anziché nasconderle dietro comunicati anodini. In quest'attivismo rientrano evidentemente anche errori come le improvvide, e preoccupanti, dichiarazioni dell'ambasciatore a Parigi Lu Shaye che negavano piena statualità internazionale alle ex-Repubbliche sovietiche, fra le quali appunto l'Ucraina. Rappresentano tuttora un piccolo mistero diplomatico. Chi sa come funziona il sistema cinese esclude che Lu Shaye possa aver parlato impromptu, senza la luce verde del suo capo, il ministro degli Esteri, Qin Gang, quest'ultimo non al di sopra di una strizzata d'occhi al Cremlino che non chiede di meglio di deminutio di status degli Stati ex-Urss. Tuttavia, era troppo grossa anche da parte di un "falco" come Lu Shaye. La portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha dovuto fare una precipitosa smentita. La diplomazia cinese non è usa a queste giravolte.
    Secondo, la telefonata rilancia il ruolo della Cina nella futura ricerca di una soluzione diplomatica alla guerra ucraina. Era nell'aria da tempo. La necessità di correzione di rotta sulla piena statualità post-sovietica può aver avuto qualcosa a che vedere col tempismo. Adesso anche Emmanuel Macron potrà portarla a proprio credito - era uno dei punti su cui aveva insistito durante la visita a Pechino. Ma la conversazione con Zelensky non basta a fare del presidente cinese un mediatore. Fra visita di Stato a Mosca, che segue regolari contatti fra i due Presidenti, e una telefonata sia pure cordiale con Kiev - e, pare, apprezzata dall'altra parte del filo - corre un abisso di posizionamento.
    A Xi resta ancora molta strada da fare per essere un "mediatore" credibile. Ma resta uno dei pochi, se non l'unico leader straniero che può esercitare influenza su Vladimir Putin. E questo fa della Cina un attore quasi indispensabile nel momento in cui si aprisse la porta negoziale. Ieri Pechino ha fatto un primo passo, specie assicurando che «non getterà olio sul fuoco» - tradotto: niente armi dalla Cina alla Russia.
    Infine, l'interrogativo: Vladimir Putin era al corrente? Tutto fa pensare che il Cremlino fosse informato sul fatto che la telefonata ci sarebbe stata. Ha reagito senza sorpresa cercando di scaricare su Kiev la responsabilità di non voler trattare. Informato non significa però "consultato". Ma, a suo tempo, quanto Putin consultò o informò Xi sull'operazione speciale che meditava in Ucraina? Qualche curiosità su quanto si sono detti Xi e Zelnsky aleggerà oggi a Mosca. Pan per focaccia pur fra due amici senza limiti? —
  3. LA RUSSIA NEL CAPPIO CINESE : In Russia «sta crollando tutto», e il potere è «nelle mani di uno stronzo». Se la conversazione è autentica - come sostengono e scrivono diversi collettivi giornalistici russi indipendenti che abbiamo consultato - è un altro devastante capitolo della lotta intestina nelle élite russe, che ormai non credono più a Vladimir Putin e, non potendolo dire pubblicamente, parlano tra loro. Tanto. Disperatamente. Un nuovo impressionante leak (rivelato dal progetto investigativo «Sistema») svela il dialogo tra due uomini che sembrano essere il miliardario Roman Trotsenko (vicinissimo a Igor Sechin, il boss di Rosneft), e l'uomo d'affari Nikolai Matushevsky.
    I due che parlano al telefono discutono della guerra, organizzano la partenza dei loro parenti dalla Russia e dicono quello che pensano sulle autorità del Paese. «Non esiste il concetto di un domani. Moriranno, a un certo punto nel tempo, e non lasceranno nulla dietro. Sarà solo un deserto bruciato», dice un uomo con una voce simile a quella di Trotsenko, che è una delle persone più ricche di Russia. Trotsenko e Matushevsky hanno definito la registrazione un falso. Matushevsky ha detto ai giornalisti di «Sistema»: «Penso che sia un falso o uno stupido scherzo di qualcuno che usa l'intelligenza artificiale». Trotsenko dice di non sentire l'amico da più di un anno. Ma - scrivono per esempio Astra e Svoboda - diversi fatti suggeriscono che la conversazione sia autentica. Anche Sota la avvalora. Current time, citando una fonte, scrive che il numero dal quale telefona l'uomo che nell'audio viene chiamato «Roma» corrisponde a quello di Trotsenko.
    I due interlocutori prevedono scenari da guerra civile, come già fecero - in un altro precedente leak - l'oligarca Akhmadov e il produttore musicale Iosif Prigozhin. «Le persone si taglieranno a vicenda per le strade di Mosca», dice il presunto Trotsenko. «Sfortunatamente, la Russia, che amiamo così sinceramente, è finita nelle grinfie di uno stronzo». «Le persone si uccideranno a vicenda per le strade di Mosca. È solo una questione di tempo». E il suo interlocutore raddoppia, dice di aver visto di recente un video con il taglio degli auguri di Capodanno dei presidenti, «a partire da Eltsin fino all'ultimo, quando questo deficiente non è sullo sfondo dell'albero di Natale, come sempre, ma i militari». «Come può vivere una nazione in cui l'unica ideologia è che un ristretto gruppo faccia soldi e mantenga il potere?».
    Trotsenko è considerato una delle «casse» del capo di Rosneft Igor Sechin, dal 2012 al 2015 fu il capo della filiale di Rosneft in Svizzera, è uno degli uomini più ricchi di Russia (in questo momento 38°, con 3,8 miliardi di dollari di patrimonio), e Nikolai Matushevsky è il creatore di spazi artistici importanti e alla moda, Flakon e Khleb-zavod, a Mosca. Lo sfondo della conversazione, che avrebbe avuto luogo all'inizio di gennaio 2023, è di estrema confidenza. I due si chiamano con diminutivi affettuosi - Kolya e Roma - discutono delle vacanze a Bali, «Kolya» dice a «Roma» che ci sono molti investitori lì e che è un posto da tenere in considerazione: «Di recente è stato davvero difficile per me in Russia, ho capito che qualcosa non andava, non è bello stare lì», si lamenta Kolya, e quello che sarebbe Trotsenko si mostra d'accordo. Poi Kolya parla in dettaglio del suo nuovo progetto: «Airbnb for Business»: «Esatto, non devi ricordare più cosa è successo in Russia. Non esiste più e non accadrà più», e a quel punto «Roma» approva l'idea e sostiene che in Indonesia «tutto decuplicherà in dieci anni, e la Russia cadrà due volte». Si decuplicherà, par di capire, anche il livello di capitali (russi) che stanno affluendo. Poi gli amici parlano di trasloco, bambini, famiglie, e finiscono a commentare la guerra e la situazione in Russia.
    Andrà sempre peggio, sembrano pensare. «Sembra che il ‘23 sia l'ultimo anno in cui puoi cambiare qualcosa, andare da qualche parte, iniziare a fare qualcosa, perché nel ‘24 ci sono già le elezioni, lì, dannazione, gireranno già le palle, che cazzo», suggerisce presumibilmente Matushevsky. Il suo interlocutore conviene: «Sarà una c...». I due sono d'accordo che nel 2023 i russi hanno ancora la possibilità di prelevare denaro e beni dal Paese, per cercare di ottenere un permesso di soggiorno in un altro Paese prima della chiusura delle frontiere. Presumibilmente, Trotsenko dichiara: «Non esiste il concetto di un domani, capisci?». Sono uomini con le spalle al muro, anche se miliardari. E stanno sostanzialmente fuggendo.
  4. TANTO VA LA GATTA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO : Domenica i servizi segreti ucraini avrebbero cercato di uccidere Vladimir Putin con un drone esplosivo. Sebbene l'agguato sia fallito, il tentativo sarebbe stato tenuto segreto dalle autorità russe. Lo scrive Bild. Nel pomeriggio del 23 aprile sarebbe partito dall'Ucraina un drone UJ-22 con una portata fino a 800 chilometri e con a bordo «30 blocchi di esplosivo C4, per un peso totale di 17 chilogrammi». L'obiettivo sarebbe stato il parco industriale di Rudnevo, vicino Mosca, in cui avrebbe potuto esserci una visita di Putin. Il drone, però, precipitato 20 chilometri prima. Non è chiaro se la visita di Putin sul posto ci sia mai stata. Bild cita l'attivista ucraino Yuri Romanenko, che «si dice abbia stretti legami con i servizi segreti di Kiev» e che ha scritto che «la scorsa settimana i nostri agenti dei servizi segreti hanno ricevuto informazioni sul viaggio di Putin al parco industriale di Rudnevo. Di conseguenza, il nostro drone kamikaze è decollato, ha attraversato tutte le difese aeree della Federazione Russa e si è schiantato non lontano dal l'obiettivo». Bild ricorda che lunedì i media russi avevano riferito di un drone UJ-22 precipitato a est di Mosca, in una foresta. Immediatamente era stato chiuso lo spazio aereo proprio per la possibile incursione di piccoli veivoli radiocomandati. Già il generale ucraino Kyrylo Budanov, 37enne capo del servizio segreto militare, aveva alluso a piani per colpire il centro di Mosca e addirittura il Cremlino. Nei giorni scorsi sui canali Telegram ucraini, e anche russi, erano girate le immagini della Piazza Rossa vista da vicina, attribuite a un drone di Kiev ma che poi sono risultate manipolate. Il ministero della Difesa di Mosca ha comunicato che gli ucraini hanno cercato di colpire con tre droni sottomarini la base della flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli, in Ucraina, ma sono stati intercettati senza provocare danni. C'è poi stato il ritrovamento a 35 chilometri della capitale russa di un velivolo senza pilota con un carico di 18 chilogrammi di esplosivo. Secondo il Washington Post, gli Stati Uniti temono che queste azioni sul territorio russo possano indurre una pericolosa escalation del conflitto. E avrebbero convinto le forze ucraine a fermare gli attacchi programmati nell'anniversario dell'inizio del conflitto. Ma Kiev aveva smentito il quotidiano Usa. «Perché dovremmo farlo? Cosa risolverebbe un'azione una tantum?». Ma crescono i timori per possibili attacchi su Mosca il 9 maggio, anniversario della vittoria contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale.
  5. POCA TRASPARENZA : «Open to Meraviglia» tira dritto. Nonostante il lungo elenco di gaffe e polemiche suscitate negli ultimi giorni la campagna da 9 milioni di euro voluta dal ministero del Turismo per promuovere le bellezze italiane nel mondo il primo maggio sbarcherà all'aeroporto internazionale di Dubai. Maxi-cartelloni dai quali la Venere influencer comincerà il suo tour fra stazioni, fiere e hub vari, oltre che naturalmente sulle piattaforme digitali con il suo nickname @Venereitalia23. Dodici mesi suddivisi in due stagioni: primavera-estate e autunno-inverno. Il brand Italia in versione prêt-à-porter.
    Il costo totale sarebbe così spalmato: 4,5 milioni per la realizzazione del video promozionale, per la sua diffusione (andrà anche sugli schermi di alcune compagnie aeree) e per le affissioni urbi et orbi, 4 milioni per le campagne crossmediali che attraverso un QrCode svilupperanno traffico su Italia.it (il portale lanciato nel 2007 da Francesco Rutelli) e 500 mila euro per altre spese (compresi i 138 mila pagati all'agenzia pubblicitaria Armando Testa).
    La versione ufficiale, che arriva dalle parti del ministero di via di Villa Ada, è che dato che tutti ne stanno parlando l'obiettivo della campagna è stato raggiunto. E che l'effetto virale fosse in qualche modo studiato per agganciare gli utenti più giovani dei social. «Mi stanno tutti aiutando ad avere un grande successo» si sarebbe sfogata la ministra Daniela Santanchè con i suoi. I vertici di Armando Testa si celano dietro un garbato no-comment. Idem Enit, l'agenzia nazionale per il turismo, recentemente trasformata in una Spa, guidata da Ivana Jelenic, titolare di un'agenzia viaggi in Umbria e manager di fiducia della Santanchè. E così pure dal ministero e da Accenture, travolti insieme ad Almawave (gruppo Almaviva) nel pasticciaccio delle traduzioni in tedesco su Italia.it. Quelle rimosse, dopo la denuncia di Selvaggia Lucarelli, in cui Brindisi veniva tradotto con Toast, Prato con Rasen e Camerino con Garderobe. Rientrerebbero in un appalto a parte da 3 milioni di euro. «Almawave si è aggiudicata una commessa per offrire tecnologie di machine translation, basate su intelligenza artificiale, complete di servizio di revisione linguistica, effettuato da traduttori madrelingua sul contenuto, essenziale per una qualità certificata - fanno sapere da Almawave, che essendo quotata a Piazza Affari non nasconde di essere parecchio scocciata da tutta questa "pubblicità" -. Nel caso degli errori di traduzione riscontrati per la parte tedesca del sito Italia.it, ci risulta pertanto che, per ragioni non dipendenti da Almawave, i testi siano stati pubblicati senza richiesta di revisione finale dei contenuti, quali ad esempio i titoli, da parte dei traduttori professionali, come previsto dal processo». Fine delle comunicazioni.
    Gli unici che continuano a parlare sono gli esperti di marketing e chi, per ragioni politiche, estetiche (il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, per dire, ha bollato il tutto con un «Roba da Ferragni») o anche solo per puro divertimento, si sta dedicando a mettere in fila gli strafalcioni del caso. Uno dei più battaglieri è il consigliere regionale toscano del Pd Iacopo Melio, che ha già dedicato varie puntate alla questione. Questa volta il focus è sulla pagina Instagram @Venereitalia23 e sulle caratteristiche «sospette» dei suoi follower. Secondo Melio si tratterebbe di profili fake acquistati con soldi pubblici attraverso servizi appositi «per gonfiare i numeri».
    Un nuovo capitolo che si aggiunge a quelli già sbeffeggiati nei giorni scorsi: i fotogrammi girati in una cantina slovena scaricati da una piattaforma di videostock, le foto dei monumenti pubblicate dopo essere passate da whatsApp con il doppio limite della bassa qualità e dei problemi di indicizzazione, il dominio Opentomeraviglia.it, non registrato dal ministero e comprato venerdì scorso per 4,99 euro dalla società toscana Marketing Toys. «Abbiamo salvato Botticelli da qualche sito porno che poteva prendersi il dominio per accaparrarsi il traffico e reindirizzarlo» scherza, ma solo fino a un certo punto Filippo Giustini, l'autore del blitz. Che però, in vista del primo maggio, spera che le cose comincino ad aggiustarsi. «Tanti dettagli potevano funzionare meglio, non c'è dubbio - prosegue -. Noi, nel nostro piccolo, stiamo cercando di trasformare questo errore in un'opportunità. Abbiamo aperto un form e in queste ore tantissimi italiani ci stanno scrivendo con proposte e idee per parlare di Italia e di bellezza italiana nel mondo. Se la ministra Santanchè ci chiama siamo pronti a donare gratuitamente il dominio al progetto del governo e magari anche a condividere con lei alcune di queste riflessioni». Poi la rassicurazione finale: «Non siamo trader di domini. Io ogni tanto ne acquisto uno ma solo per divertirmi un po' e magari vendere qualche t-shirt. Ad esempio l'avevo già fatto con Viodiotutti.it». Come si dice in tedesco povera Venere?
  6. ESEMPIO EDUCATIVO: Quando lo stralcio di indagini è arrivato da Firenze, la procura di Milano aveva già aperto un fascicolo sulla presunta concorsopoli lombarda. Così, mettendo insieme i pezzi, i pm hanno compreso il senso delle chat sequestrate che erano sulla loro scrivania. «Due tuoi professori non si sono mica… Sono ancora ben presenti all'interno del concorso… Ecco, siccome c'è anche l'altro in ballo, cioè non vorrei interferenze spiacevoli sulle due procedure…», diceva intercettato il rettore della Statale di Milano, Elio Franzini al rettore dell'università San Raffaele, Felice Enrico Gherlone. Al centro della discussione, un posto da professore di prima fascia in Urologia all'ospedale San Paolo, a tavolino destinato, per l'accusa, a Bernardo Maria Cesare Rocco.
    Così ieri, entrambi i rettori sono stati rinviati a giudizio dal giudice Cristian Mariani, assieme a Francesco Montorsi, ordinario di Urologia del San Raffaele, Marco Carini, ordinario di Urologia all'Università di Firenze, e al direttore del Dipartimento Scienze della Salute alla Statale, Stefano Centanni. Nel processo, che si aprirà il 5 luglio, sono accusati a vario titolo di corruzione, turbativa d'asta e falso dai pm Carlo Scalas e Bianca Maria Baj Macario. «Ho sempre operato per difendere esclusivamente il bene dell'università e della sanità pubbliche – ha dichiarato Franzini – dimostrerò nelle opportune sedi istituzionali la correttezza delle mie azioni e la totale mancanza di interessi privati che le hanno guidate».
    Il concorso da ordinario al San Paolo, per l'accusa nell'interesse del fiorentino Carini, era stato bandito dal rettore della Statale l'8 luglio del 2020, senza prima interpellare il Collegio dei professori ordinari di Urologia di Milano, scatenando la «rivolta» di una ventina dei suoi membri. Che avevano «deciso di fare ostruzionismo a questo modo di procedere, presentando tutti la domanda per quella posizione». Con il presunto obiettivo di battere il predestinato e poi di non accettare la chiamata al termine della procedura per lasciare il posto vacante.
    Alla fine, a risolvere la situazione, sarebbe stato per i pm un «accordo corruttivo», ricostruito tramite una delle chat sequestrate. Dopo una cena dell'ottobre del 2020, il presidente della commissione del concorso al San Paolo, Carini, e il direttore Centanni si sarebbero messi d'accordo con Montorsi, per far bandire entro sei mesi un posto «gemello» da ordinario di Urologia all'ospedale San Donato. Una procedura che doveva essere gestita dalla stessa commissione giudicatrice presieduta da Carini, che avrebbe, questa volta, garantito la vittoria del candidato indicato dal professore Montorsi: Luca Carmignani. Solo dopo il nuovo bando al San Donato, Montorsi avrebbe ritirato la domanda presentata per il posto al San Paolo e convinto gli altri candidati a seguirlo.
    Nascevano, però, alcuni problemi. A partire dal fatto che la legge vieta che la stessa commissione possa giudicare un nuovo bando se non sono passati sei mesi dal primo. Non solo. Al momento della pubblicazione del concorso per il San Donato, dieci dei candidati che si erano inizialmente presentati non avevano ancora ritirato la domanda per la procedura al San Paolo. E tra loro c'era proprio Montorsi.
    Così Franzini, al telefono, e «senza alcun freno inibitorio», secondo gli inquirenti, chiede espressamente al rettore Gherlone di intervenire: «Due tuoi professori non si sono mica...Sono ben presenti all'interno del concorso... Montorsi e quell'altro che si chiama Briganti. Non vorrei interferenze spiacevoli sulle due procedure… Perché non si è ritirato sostanzialmente come aveva promesso». Parte uno scambio di messaggi: «Tutto a posto - scrive alla fine Montorsi a Franzini - Abbraccione». Poi il rettore della Statale informa Centanni che il problema è risolto. «A questo punto direi che siamo a posto...». Montorsi informa via sms Gherlone di aver rinunciato alla candidatura, così come farà anche Briganti. Nei giorni successivi Centanni e Franzini continuano a chattare: «A questo punto facciamo una grande festa». Centanni: «E poi diciamo di portare il Dom Pérignon ovviamente». «Dom Pérignon in calici». Fin qui le accuse, respinte dagli imputati. Che spiegheranno le loro ragioni a processo.

 

26.04.23
  1. INTERESSI DI STATO :   Anche l'accordo sul grano è destinato ad essere l'ennesimo fallimento negoziale del dossier ucraino. A impartire l'estrema unzione all'unica intesa (mediata da Onu e Turchia) sinora raggiunta nella più ampia vicenda del conflitto russo-ucraino, è Serghei Lavrov secondo cui «un'iniziativa umanitaria – quella sul Mar Nero – trasformata in un'iniziativa commerciale solleva dubbi e interrogativi». Il ministro degli Esteri russo ha parlato nel corso della conferenza stampa conclusiva della due giorni di lavori in cui ha presieduto due Consigli di sicurezza, il secondo dei quali sul Medio Oriente. «Dalle statistiche solo il 3% dell'intero volume del grano realmente raggiunge i paesi poveri nella lista del Pam – aggiunge lapidario il caso della diplomazia di Mosca – tutto il resto va in Paesi ad alto o medio reddito». «Non posso dire che l'Onu non abbia fatto passi nella giusta direzione» sulle richieste della Russia, ha continuato Lavrov, «ma praticamente non ci sono stati risultati». Di fatto il ministro considera l'intesa arrivata a un «punto morto» e che ancora ci sono «blocchi all'esportazione dei prodotti russi». E minaccia che il patto, raggiunto il mese scorso, e che dovrebbe durare 60 giorni, potrebbe non essere rinnovato da Mosca, se l'Occidente «non rimuoverà tali ostacoli».
    In merito all'"operazione militare" speciale in Ucraina il ministro accusa Kiev di «discriminare» i russofoni e di minacciare la sicurezza della Russia. «L'Ucraina ha messo al bando l'educazione in russo bruciando libri russi nelle piazze in stile nazista», spiega l'emissario di Putin, ammonendo sul fatto che il Cremlino non vuole discriminazioni in Ucraina contro i russofoni e i credenti della chiesa ortodossa russa. Il messaggio successivo è poi diretto agli alleati occidentali di Volodymyr Zelensky: «Ci era stato promesso che non ci sarebbe stato un allargamento della Nato, ma ci hanno mentito». Ed in questa chiave Mosca punta a rafforzare la propria geometria di alleanze, segnando un successo: è di ieri infatti la notizia che il Sudafrica ha chiesto di uscire dalla Corte penale internazionale. In questo modo Putin – inseguito da mandato di cattura per crimini di guerra dall'Aia – potrà partecipare al meeting dei Brics in programma ad agosto in Sudafrica. Lavrov dribbla l'invito a occuparsi delle questioni interne agli Usa, e in particolare alla candidatura di Joe Biden e Donald Trump a Usa 2024.
    La missione di 48 ore di Lavrov al Palazzo di Vetro è stata preceduta da numerose polemiche sommate a quelle sull'opportunità che la Federazione Russa, il Paese che ha dichiarato guerra a Kiev, presieda l'organo creato per mantenere la pace e la sicurezza internazionali, per quanto previsto dalla turnazione mensile dettata dalla Carta costitutiva. Così come Mosca ha espresso profonda irritazione per il diniego alla richiesta di visto da parte dei giornalisti russi al seguito della delegazione. «È spaventoso quello che accade riguardo l'accesso all'informazione, la libertà di stampa. Si vede che non è conveniente per gli occidentali avere punti di vista diversi, che non siano in linea con la loro narrativa», spiega Lavrov. «Terremo presente le misure inappropriate degli americani quando loro avranno bisogno di noi», chiosa. Così come è stata più volte toccata, negli scorsi due giorni, la questione dei detenuti americani (il reporter del Wall Street Journal Evan Gershovich e l'ex marine Paul Whelan). Così sull'ipotesi di uno scambio dei prigionieri Lavrov ha spiegato che «esiste un canale speciale, non pubblico», per queste cose, avvertendo che «la pubblicità complica i colloqui»
  2. LA CORRUZIONE CORRODE IL PERU': Un piccolo penitenziario alle porte di Lima ospita da questa settimana ben tre ex presidenti della Repubblica del Perù. Con il nuovo arrivato Alejandro Toledo, estradato dagli Stati Uniti, il carcere di Barbadillo entra così nel Guinnes dei primati, specchio di un Paese segnato da una corruzione dilagante. Quasi tutti i capi di Stato peruviani degli ultimi 30 anni sono caduti per scandali di favori e mazzette, in un clima di caos sociale ed eterna instabilità politica. La prigione di Barbardillo sorge in un'area di 800 metri quadrati dove in passato esisteva una scuola per ufficiali di polizia. Nel 2007 l'ha inaugurata l'ex presidente autoritario Alberto Fuijmori, condannato a 25 anni di prigione per violazioni dei diritti umani durante il suo mandato. Al "Chino" come viene chiamato per le origini giapponesi, è stato assegnato bungalow di 50 metri quadrati formato da una sala con cucina annessa, camera da letto, bagno e un piccolo giardino sul fondo.
    Dieci anni dopo è arrivato a fargli compagnia Ollanta Humala, presidente progressista dal 2011 al 2017, arrestato per le mazzette ricevute dalla grande ditta di costruzione brasiliana Odebrecth, protagonista anche dello scandalo Petrobras in Brasile. Humala ci è rimasto solo nove mesi, ma a metà dicembre 2022 le porte si sono riaperte di nuovo, questa volta per Pedro Castillo, il vulcanico leader nazionalista che ha tentato c un autogolpe per evitare la messa in stato di accusa da parte del Congresso. Destituito dai parlamentari, Castillo adesso deve scontare due prigioni preventive di 18 e 36 mesi per insurrezione, tradimento e, guarda caso, corruzione. Il Perù, nel frattempo, ha preso fuoco, i suoi sostenitori sono scesi in piazza e hanno bloccato diverse regioni contadine tra cui la turistica Cusco, base per le gite alle rovine incas del complesso del Machu Pichu. Castillo passa le sue giornate curando un piccolo orto nel retro della sua cella.
    Il suo nuovo vicino è Alejandro Toledo, in carica dal 2001 al 2006, anche lui coinvolto nell'affaire Odebrecth. Secondo la procura generale che ne ha chiesto l'estradizione dagli Stati Uniti, Toledo avrebbe intascato dal colosso brasiliano mazzette per un totale di 30 milioni di euro per le varie tappe di costruzione dell'autostrada trans americana. Rischia 20 anni di prigione ma potrebbero essere meno se inizierà a collaborare con la giustizia. Secondo la stampa locale i detenuti illustri di Barbadillo hanno libertà di movimento e di ricevere visite e si incrociano negli spazi comuni, come fossero in un country club per ex mandatari. Il decano dei tre è Fujimori, 84 anni e un capitale politico ancora importante. La figlia Keiko ha preso la sua eredità politica, nelle ultime due elezioni presidenziali ha perso per un soffio al ballottaggio. Toledo, invece, è riuscito con mille cavilli ad evitare durante sei anni di essere estradato dagli Stati Uniti. Mentre lui viveva in California i suoi ex ministri hanno ricostruito il giro di mazzette del suo governo. Barbadillo avrebbe dovuto ospitare un altro leader caduto in disgrazia, ma nel 2019 il carismatico Alan Garcia decise di togliersi la vita per evitare di essere arrestato. Garcia fu presidente dal 1985 al 1990, quando prendeva parte ai congressi dell'Internazionale socialista ed era molto amico di Bettino Craxi. Tornato al potere dal 2006 al 2011, è finito anche lui nello scandalo Odebrecth.
    I peruviani assistono ormai rassegnati al degrado assoluto della loro classe politica. I presidenti eletti a suffragio universale non riescono a formare maggioranze in un Parlamento storicamente frammentato, le crisi di governo sono all'ordine del giorno, le casse dello Stato depredate da giri colossali di mazzette. L'economia informale la fa da padrona, le risorse naturali vengono sfruttate da multinazionali e questo provoca diverse ribellioni tra gli indios e nelle campagne. Oggi al potere c'è Dina Boluarte, l'ex vice di Castillo, ma ha una popolarità bassissima e nuovi scandali in arrivo. Un Paese ingovernabile, dove si passa fin troppo facilmente dalla più alta poltrona dello Stato al "carcere dei presidenti".

 

 

 

 

 

25.04.23
  1. OPPORTUNISTI DI STATO :  Quando arriva il momento delle nomine il giornalista tocca con mano quanto Stato ci sia nell'economia italiana. Chiusa la trattativa sulle grandi società quotate a controllo pubblico (Eni, Enel, Leonardo, Terna), ora la politica deve prendere decisioni importanti su altre centinaia di poltrone in scadenza di qui alla primavera del 2024. Non ci sono solo quelle delle Ferrovie (ci arriviamo a breve), ma le controllate minori di Tesoro, Rai, Poste, Cassa depositi e prestiti, delle stesse aziende quotate. C'è da decidere la sorte di aziende come Manifattura Tabacchi o Corneliani, un marchio storico del tessile finito sotto il controllo di Invitalia (altra controllata pubblica) andata in soccorso del privato. Con scorno di chi lamenta eccessi liberisti, lo Stato intermedia sempre metà del Pil italiano, e a scorrere la lista delle società in scadenza se ne ha una plastica riprova. Entro il 31 dicembre c'è da rinnovare i vertici e i consigli di amministrazione di dieci società a diretto controllo pubblico, 51 di secondo livello, quattro di terzo. Di qui al 2024 c'è da rinnovare circa 130 aziende su cui la politica avrà l'ultima parola, non meno di cinquecento poltrone. Per citarne alcune in ordine sparso: Consip, Poligrafico dello Stato, Invimit, Sogesid, Consap, Sogin, Difesa servizi, Sose, Infratel, Lng shipping.
    Sia come sia, la partita imminente e più delicata per Giorgia Meloni riguarda il futuro delle Ferrovie. Superata l'ipotesi di mandare l'attuale numero uno della capogruppo Luigi Ferraris in soccorso dei problemi di Enel, c'è comunque da scegliere i nuovi vertici delle due principali aziende controllate: quella che gestisce l'alta velocità (Trenitalia) e la rete, ovvero Rfi. Per capire l'importanza della scelta basti dire che il piano industriale del gruppo prevede 190 miliardi di investimenti in dieci anni, 110 dei quali su gallerie e binari. Di questi, 24 miliardi arriveranno da fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nei giorni scorsi, dopo un lungo pranzo con la premier, Matteo Salvini ha diffuso diversi dettagli su alcuni degli appalti finanziati con le risorse europee. Gli investimenti più grossi (in questo caso nazionali) riguardano l'alta velocità fra Napoli e Bari e i sette chilometri di tunnel a Firenze necessari a raggiungere la nuova stazione sotterranea di Santa Maria Novella. Fra inchieste della magistratura e problemi ambientali la faccenda va avanti da trent'anni. Ebbene, per queste due poltrone Salvini (coadiuvato dal fedele sottosegretario Edoardo Rixi) ha pronto un ticket sul quale c'è il massimo riserbo.
    Nei palazzi e in azienda girano voci secondo le quali l'attuale amministratore di Trenitalia Luigi Corradi potrebbe essere confermato, o essere spostato a Rfi, su consiglio di Ferraris. I candidati alternativi a Corradi alla guida di Rfi sono ben quattro: Vincenzo Macello, Umberto Lebruto, Maria Annunziata Giaconia o Arrigo Giani. Fatto salvo quest'ultimo (è l'amministratore delegato della milanese Atm) gli altri sono manager interni. E in effetti così accade sin dai tempi in cui la rete era guidata da Mauro Moretti. Insomma, le Ferrovie funzionano un po' come l'Eni: la politica ci mette bocca, ma alla fine il capoazienda esce quasi sempre dai ranghi del partito azienda. C'è poi un altro problema di cui Meloni e Salvini dovranno tenere conto: il ticket uscente è formato da due donne, Vera Fiorani e Anna Masutti. Difficile immaginare che il primo capo del governo donna della storia repubblicana non imponga un'adeguata alternanza di genere.
    A proposito di nomine, donne e Meloni: la premier ha un altro problema urgente da affrontare, ovvero il destino dell'amministratore delegato uscente di Terna Stefano Donnarumma. Uscito sconfitto dal conclave che lo doveva nominare gran capo di Enel, è rimasto schiacciato fra i dubbi dei fondi azionisti di Enel, le richieste di Salvini e la decisione di Meloni di nominare ad ogni costo una donna (la manager di Nokia Giuseppina Di Foggia) come primo amministratore delegato di una grande azienda quotata pubblica (finora erano state scelte solo per la meno importante carica di presidente). Ora a Donnarumma - rimasto disoccupato a causa del legame con Meloni - sarebbe stato promessa la poltrona di Cdp venture capital, una delle tante società della galassia pubblica della cassaforte del Tesoro. Ebbene, il suo passaggio si sta complicando per almeno due ragioni: il lauto emolumento che gli garantiva la poltrona di Terna (impossibile in una partecipata molto più piccola) e i rischi legali associati al passaggio da una società all'altra dello stesso gruppo. Non sempre la vicinanza alla politica, alla prova dei fatti, aiuta. —
  2. LADRI ED INCAPACI DI STATO : Tre milioni di euro per far tradurre il sito di promozione turistica nazionale "Open to meraviglia" e il risultato è che la cittadina marchigiana di Camerino diventa «Garderobe», «guardaroba», e quella toscana di Prato «Rasen», come l'erba. Ad accorgersene per prima la giornalista Selvaggia Lucarelli. Da lì in poi, pioggia di critiche e ilarità. Ma c'è poco da ridere.
    La cifra monstre, soprattutto visto l'esito discutibile, è stata pagata dal ministero del Turismo ad alcune società tra cui Almawave, del gruppo Almaviva, che si definisce «leader nell'intelligenza artificiale», e Accenture, altro colosso della consulenza digitale. «Almawave fornisce una prima traduzione automatica e, solo dopo l'attivazione di un terzo soggetto, effettua la revisione tramite traduttori madrelingua», fa sapere Almawave. Il terzo soggetto sarebbe invece Accenture, a quanto si apprende. «Nel caso degli errori per la parte tedesca», spiegano ancora, «ci risulta che, per ragioni non dipendenti da noi, i testi siano stati pubblicati senza richiesta di revisione finale da parte dei traduttori professionali, come previsto». In sintesi, Almawave respinge ogni responsabilità. Intanto, mentre infuria la bufera per la traduzione "maccheronica", il sito in tedesco viene oscurato. «Questa campagna è mediocre come il governo. Non c'è creatività, né impegno», commenta Oliviero Toscani, autore di campagne fotografiche famose e discusse.
    "Open to meraviglia" e la Venere di Botticelli scelta come icona erano già state investite da polemiche per le foto da archivio low budget (nelle quali figura una cantina vinicola slovena) e per la mancata registrazione del dominio internet opentomeraviglia.it
  3. CINA INAFFIDABILE : STOP CREDIBILITA':L'atteggiamento da tenere nei confronti della Cina continua a far discutere i Paesi dell'Unione europea. E l'ultimo episodio ha dato alcuni validi argomenti a chi, come il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis, è convinto che «la Cina non può fare da mediatore» per risolvere il conflitto in Ucraina: «Pechino ha scelto di stare dalla parte della Russia».
    A far salire la tensione sono state le parole dell'ambasciatore cinese in Francia: nel corso di un'intervista, Lu Shaye ha detto che la sovranità dell'Ucraina, ma anche quella delle ex repubbliche baltiche che facevano parte dell'Unione sovietica, «non è pienamente definita» perché non c'è stato un accordo internazionale. Dichiarazioni che hanno subito scatenato la protesta formale di Estonia, Lettonia e Lituania: i tre Paesi hanno convocato i rispettivi ambasciatori cinesi. Emmanuel Macron ha definito «inadeguato» il linguaggio di Lu Shaye, ma secondo il leader del Ppe Manfred Weber quest'uscita è «il risultato della visita di Macron in Cina che ha incoraggiato Pechino a dividere l'Ue».
    L'ambasciata cinese di Parigi ha cercato di correggere il tiro, liquidando l'uscita di Lu Shaye come «un giudizio personale». Anche il ministero degli Esteri ha chiarito che Pechino «rispetta la sovranità» delle ex repubbliche sovietiche. Per Josep Borrell il chiarimento della diplomazia cinese è sufficiente, ma l'Unione europea deve comunque «ricalibrare e rivalutare» la sua strategia nei confronti della Cina. Nelle prossime settimane l'Alto Rappresentante porterà sul tavolo dei ministri degli Esteri un «documento di posizione» dedicato proprio all'atteggiamento da tenere con Pechino: il tema sarà poi discusso dal Consiglio europeo di giugno, come ha confermato Charles Michel. Prima ancora, però, la questione cinese sarà al centro del G7 di Hiroshima. Con un intervento sulla stampa francese, Borrell ha esortato i governi Ue a inviare le loro navi per pattugliare lo stretto di Taiwan in modo da «mostrare l'impegno dell'Europa per la libertà di navigazione in un'area cruciale».
    Intanto da Kiev arrivano nuove richieste d'aiuto. Durante il vertice dei ministri degli Esteri Ue, che ieri si sono riuniti a Lussemburgo, c'è stato un duro intervento in videoconferenza di Dmytro Kuleba: il ministro ucraino è parso «furioso» per i ritardi nella fornitura di munizioni e di missili a lungo raggio. «Verrà il momento dei guanti bianchi e della diplomazia – ha detto – ma ora dateci le munizioni. Per la pace non esistono scorciatoie».
  4. I POLITICI MAFIOSI NON RICONOSCONO GLI EROI: «Posso essere diretta?». Deve. «Ormai ho una certa età, mio marito non sta bene. Spero almeno che potremo assistere alla riapertura delle indagini. Abbiamo resistito fino ad oggi per non permettere che Attilio venisse ucciso due volte: la seconda con l'infamia. E abbiamo vissuto questo lungo inferno in una bolla di solitudine in cui – a tratti - la rabbia ha superato il dolore».
    Era il 14 maggio del 2001 quando al Policlinico Gemelli di Roma un giovane e brillante urologo siciliano, il figlio d mamma Angela, Attilio Manca, operò per la prima volta in Italia un paziente malato di tumore alla prostata con la tecnica laparoscopica. Pioniere, si disse, grazie a un'esperienza maturata in Francia sulla prostatectomia radicale. Un anno e mezzo dopo vinse un concorso a Viterbo e lì fu trovato morto nella notte tra l'11 e il 12 febbraio 2004. Overdose da eroina raccontano gli atti dell'epoca, ma appare sempre più chiaro che potrebbe essere stato ucciso. E che dietro il suo omicidio ci possa essere la mafia con la "M" maiuscola, cioè Bernardo Provenzano. Che di quel medico avrebbe avuto bisogno durante la latitanza e che avrebbe ordinato di ammazzarlo perché lo aveva riconosciuto «o perché – come dice adesso mamma Angela – si era rifiutato di prestargli le cure».
    Lo dice un'intercettazione del 2003 scovata da un giornalista inglese e sulla quale insistono verifiche attendibili. I boss discutono «di dover fare la doccia a un medico». Una pugnalata per Angela: «Leggere quella conversazione mi ha fatto pensare all'Olocausto. Agli ebrei che vengono accompagnati nelle camere a gas».
    Pochi giorni prima di finire riverso sul letto di casa col naso deviato e un testicolo gonfio «Attilio aveva confidato a un medico suo amico di non essere tranquillo. Invitato a raccontare di più, senza remore di fiducia, rispose: "Non posso dirlo nemmeno ai miei genitori". Pochi giorni prima di essere ucciso, telefonò a casa e chiese a suo padre se conoscesse un tale, poi risultato vicino a un boss della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Rosario Pio Cattafi». Un nome finito al centro di diversi misteri italiani, (al momento non indagato) tirato in ballo da un collaboratore di giustizia attrezzato di plurimi attestati di credibilità: Carmelo D'Amico detenuto insieme a un mafioso molto vicino al boss dei Corleonesi e da lui "omaggiato" di dettagli sul caso Manca. Il pentito lo indicò come colui che avrebbe in contatto il gruppo Provenzano con l'urologo.
    La famiglia della vittima, assistita dall'avvocato Fabio Repici, ha depositato nei giorni scorsi una nuova istanza alla procura di Roma e alla Direzione nazionale antimafia. Ci sono nuove evidenze e fatti intervenuti nel frattempo considerati dirimenti dal legale per corroborare una riapertura dell'inchiesta. Tra queste, le conclusioni della commissione parlamentare antimafia che parla apertamente di una morte «dovuta a probabili contatti con Provenzano». C'è poi l'assoluzione definitiva e con formula piena della donna, Monica Mileti, che – per l'accusa - avrebbe ceduto l'eroina al medico. Non c'entrava niente con questa storia. E c'è la consulenza del tossicologo Salvatore Giancane che è una mitragliata sulle indagini svolte all'epoca: «Sulle due siringhe trovate in casa non c'erano le impronte di mio figlio – racconta mamma Angela -, sul cadavere c'erano solo i fori delle due somministrazioni, non venne repertato nessun altro segno di pregresse venipunture». Ancora: «i segni delle punture di eroina rinvenute sul braccio sinistro sono incompatibili con il mancinismo puro di mio figlio». Infine: «Non fu rinvenuto nessun laccio emostatico, né l'occorrente per sciogliere l'eroina».
    Sullo sfondo di questa storia che incrocia anche presunti pezzi deviati dei servizi e l'immancabile massomafia di cui quella striscia di Sicilia è capitale mondiale, resta la tenacia di una madre coraggio, rimasta ai margini della città in cui, ha visto crescere suo figlio e l'ha dovuto infine sotterrare: «In tutta Italia tante associazioni ci hanno trasmesso solidarietà e vicinanza. A Barcellona Pozzo di Gotto avvocati, magistrati, medici non ci salutano. Il Comune non ha mai organizzato una manifestazione, un convegno per Attilio. Quando cercavo da sola la verità e facevamo il nome di Provenzano, qualcuno avvicinò la mia famiglia per suggerire di dire che ero diventata pazza per il dolore. In questi 19 anni nessun magistrato ha ravvisato la necessità di interrogare me, mio marito e mio figlio». Piange ancora dopo tutto questo tempo? «No, sono una donna che il dolore se lo tiene dentro, sperando un giorno di poter rincontrare Attilio e dirgli: ho lottato per te».
  5. PROVE DEL POTERE POLITICO DI SPADA: Nuovo coup de théâtre nella vicenda che ha portato Roberto Spada - esponente di spicco della criminalità del litorale romano - allo sfratto dall'alloggio popolare che occupa con la compagna da 17 anni. Già condannato per il reato di violenza privata, aggravata dal metodo mafioso, Spada è stato deferito all'autorità giudiziaria per il reato di furto aggravato di energia elettrica mediante allaccio abusivo: la coppia avrebbe maturato negli anni un debito di oltre 43 mila euro nei confronti del comune di Roma e di oltre 11 mila euro nei confronti del gestore della rete elettrica. Circostanze che la coppia ha smentito ieri su Facebook: «È solo teatrino. Siamo ancora a casa», hanno fatto sapere. L'epilogo è atteso a breve: il sequestro dell'immobile concede agli Spada 10 giorni di tempo. Dovranno andarsene entro il primo maggio.
  6. PADRONI DEL MONDO: Sundar Pichai ha l'abitudine di svegliarsi fra le 6.30 e le 7. Ogni mattina dell'ultimo anno si è alzato con 168 mila dollari in tasca. Tanto ha incassato nelle prime sette ore di sonno di tutti i giorni del 2022 l'amministratore delegato di Alphabet, la casa madre di Google. Nei 12 mesi il suo stipendio ha toccato i 226 milioni, cioè 619 mila dollari al dì, 25.800 all'ora e 430 al minuto. O, se si vuole un termine di confronto, il compenso di Pichai è stato di 808 volte superiore al pur alto salario medio dei 190 mila dipendenti della società.
    Non è un caso isolato. Secondo un'analisi dell'Economic Policy Institute, fra 1978 e 2021 il compenso dei manager delle 350 maggiori imprese statunitensi è aumentato del 1.460% e questo tenendo conto dell'inflazione. Non ne hanno invece tenuto conto i salari medi dei dipendenti che negli stessi 43 anni sono saliti soltanto del 18%. La tendenza pare destinata a proseguire: la retribuzione mediana dei ceo di Wall Street è aumentata del 6,3% nel 2022.
    Il divario fra le remunerazioni dei capi-azienda e dei loro sottoposti si sta così ampliando a dismisura. Se nel 1965 l'ad di un grande gruppo americano guadagnava 20 volte un suo dipendente, oggi il rapporto è di 399 a 1. Detto altrimenti, l'ad incassa in un giorno più che un lavoratore in un anno. Ma come si è scavato questo solco? «Nel tempo gli investitori hanno cercato di legare sempre più i pacchetti retributivi degli amministratori delegati ai risultati dell'azienda, in modo da allineare gli interessi del mercato e dei manager», spiega Fabio Bianconi, managing director di Morrow Sodali, fra i principali consulenti nella corporate governance. «Gli azionisti dedicano quindi più attenzione al metodo impiegato per determinare la retribuzione e meno al suo ammontare: chiedono che i parametri di performance – economica, finanziaria o ambientale – siano misurabili e verificabili in maniera scientifica», prosegue. «È perciò aumentata l'incidenza sul compenso finale della componente variabile, legata anzitutto all'andamento della società in Borsa».
    La corsa dei mercati azionari - e di Wall Street in particolare - ha così trainato la crescita degli stipendi, producendo un altro fenomeno curioso: la sottostima delle paghe dichiarate dagli ad. La retribuzione media riconosciuta ai top manager americani nel 2021 è stata di 15,6 milioni, mentre quella effettivamente intascata ha raggiunto i 27,2 milioni. Merito della differenza fra il valore teorico delle azioni all'assegnazione e quello effettivo al loro incasso.
    Lo stipendio da 226 milioni di Pichai è frutto per esempio di una stima, probabilmente per difetto: la dimensione finale del suo compenso dipenderà da diversi fattori, soprattutto all'andamento di Alphabet in Borsa. L'ultimo piano del 2019 riconosceva sulla carta al manager un bonus di 277 milioni; in realtà, gli ha fruttato in tre anni 504 milioni, l'82% in più.
    Simili emolumenti hanno suscitato proteste all'interno e all'esterno delle assemblee dei soci. L'anno scorso, per esempio, molti investitori hanno criticato i 100 milioni ricevuti dal ceo di Apple, Tim Cook, e i 212 milioni incassati dall'omologo di Amazon, Andy Jassy. Non è da escludere che tocchi anche a Pichai, se non altro perché Google ha appena annunciato 12 mila licenziamenti.
    Qualcuno, intanto, inizia a dubitare della validità stessa del meccanismo che aggancia le remunerazioni ai dati economico-finanziari di una società. Gli ad delle grandi compagnie petrolifere, per esempio, hanno ottenuto lauti incrementi retributivi nel 2022 grazie all'impennata dei prezzi di greggio e gas. Davvero merito della loro gestione accorta? O della guerra in Ucraina?
    La stessa domanda si pone per i colossi digitali come Apple, Google e Amazon. Il loro boom nel biennio 2020-21 è da ascrivere all'indubbia superiorità tecnologica o all'imprevedibile pandemia che ha costretto alla digitalizzazione le relazioni sociali e lavorative? «La paga strabiliante dei dirigenti premia la fortuna, non la capacità manageriale», ha chiosato il Financial Times.
    «In Europa i livelli retributivi non sono paragonabili a quelli raggiunti negli Stati Uniti perché da un lato le aziende hanno dimensioni inferiori e dall'altro il controllo sociale è superiore», precisa comunque Bianconi. Ciò non toglie che alcuni casi abbiano fatto scalpore. Basti pensare al dibattito sui 7,5 milioni percepiti nel 2022 dall'ad di UniCredit, Andrea Orcel, e sui 23,5 milioni incassati da quello di Stellantis, Carlos Tavares. Il compenso assegnato al manager dell'auto nel 2021 (19 milioni) è diventato persino oggetto di scontro elettorale fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron.
    Quest'ultimo aveva promesso che, in caso di rielezione alla presidenza, si sarebbe adoperato per imporre un tetto a livello europeo ai compensi degli amministratori delegati. A quel proposito non sono seguite iniziative legislative, così come non ha avuto successo in passato il referendum in Svizzera volto a stabilire un rapporto massimo di 12 fra lo stipendio di manager e dipendenti. —
  7. NESSUNO LI PUO' FERMARE IN TERRA COME IL RICCO EPULONE : vero che nella vita ci si abitua a tutto. Ci abituiamo a trovare le scale mobili rotte nella metro, alla spazzatura fuori dai cassonetti e alle fanfaronate di molti politici. Ma non riusciamo ad abituarci agli stipendi astronomici di certi super manager. So di toccare uno degli argomenti preferiti dai populisti ed io non lo sono. Ma per esempio i 226 milioni di dollari guadagnati lo scorso anno dal numero uno di Google Sundar Pichai sono uno dei tanti segnali che il nostro sistema economico è guasto. Anzi, è marcio. I 226 milioni di dollari non sono lo stipendio di Sundar Pichai: quello è di 2 milioni di dollari; la gran parte del resto, 218 milioni di dollari, proviene dal pacchetto di azioni di Google che l'amministratore delegato incassa ogni tre anni (tre anni fa fu addirittura di 281 milioni).
    Nessuno qui contesta la bravura di Sundar Pichai come manager (anche se il valore delle azioni di Google lo scorso anno è crollato di quasi il 40 per cento e l'azienda a gennaio ha licenziato 12 mila persone, il 6 per cento dei dipendenti, bloccando promozioni e benefit per tutti gli altri: insomma, non esattamente una grande performance per un manager).
    Ma Google non è una società che fa beneficenza e Pichai avrà sicuramente centrato degli obiettivi che gli erano stati assegnati per avere tutti quei soldi. Il punto è un altro: è stato calcolato che il salario medio a Google è 280 mila dollari l'anno, quello di Pichai, considerando le azioni, è 800 volte superiore. Ha senso per una azienda? Una volta Adriano Olivetti stabilì che nessun amministratore delegato doveva guadagnare più di dieci volte l'ammontare del salario minimo di un operaio. Una "regola morale" largamente inapplicata.
    Se poi guardiamo al salario minimo di 15 dollari e mezzo l'ora che vige in California, dove Google ha sede, è stato notato che una persona dovrebbe lavorare per più di settemila anni per guadagnare quello che Pichai ha guadagnato lo scorso anno. Pensate ad un essere umano di settemila anni fa: molto prima della civiltà assiro-babilonese per intenderci. Pensate ad un essere umano che inizi a lavorare allora, nel Neolitico, e lavori ogni giorno fino ad oggi per eguagliare quello che Sundar Pichai ha intascato in appena un anno. Ha senso? Come si tiene assieme una società dove la distanza fra pochi super ricchi e tutti gli altri aumenta ogni anno? Il problema è che il caso di Sundar Pichai non è un caso ma un trend che va avanti da quasi mezzo secolo: dal 1978 ad oggi i compensi dei super manager sono cresciuti del 1460 per cento. E perché quelli di tutti gli altri sono sempre fermi? Qui non siamo più all'1 per cento che ha più ricchezza del restante 99 come si diceva ai tempi di Occupy Wall Street: siamo allo 0,1 che ha più ricchezza del 99,9.
    Che fare? Un paio di mesi fa l'amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha proposto all'assemblea degli azionisti di ridurgli il compenso per il 2021 e 2022 di circa il 40 per cento, portandolo a 49 milioni di dollari l'anno, dopo che gli stessi azionisti si erano lamentati per l'importo alla luce del calo del 27 per cento in Borsa delle azioni di Apple. Ma la soluzione ad una così lampante disparità, ad una diseguaglianza che aumenta, può essere affidata al buon cuore, o meglio, alla decenza, di un top manager? —
  8. Questi sono i risultati quando si sbaglia il ministro dell’economia : I ritardi sul Pnrr e le mosse della Banca centrale europea mettono l'Italia nel mirino dei mercati. Ed è possibile che arrivino nuove fibrillazioni sui Btp. A lanciare l'allarme è il suggerimento di Goldman Sachs, che preferisce la Spagna rispetto all'Italia e vede uno spread in aumento di 50 punti base entro fine anno. Vale a dire, fino a 235 punti base. Preoccupano l'attuazione del Recovery e le conseguenze del restringimento del bilancio della Banca centrale europea (Bce). Da giugno, salvo sorprese, si aumenterà la stretta, a oggi pari a 15 miliardi al mese. A ballare sono Btp per circa 36 miliardi di euro. E non c'è solo Goldman Sachs a essere scettica. Anche fondi hedge come Brevan Howard, Bridgewater e Citadel sono pessimisti su Roma.
    Non si può parlare di fuga totale, che potrebbe non esserci. Tuttavia, l'indicazione è chiara. In uno scenario di crescente incertezza, amplificato dai chiari di luna del governo Meloni su diversi dossier, il consiglio è quello di «andare corti» sui Btp. In altre parole, venderli. Pnrr in bilico, riforma del trattato del Mes da ratificare, una legge di Bilancio asfittica e un Patto di Stabilità e Crescita che potrebbe penalizzare Roma sono tra le motivazioni che stanno inducendo più di un'istituzione bancaria a rivedere le proprie posizioni sul debito italiano. «I fondamentali dell'eurozona non riflettono gli attuali valori degli spread. I rialzi dei tassi della Bce non sono ancora prezzati», avvertono gli strategist di Citi e di Morgan Stanley. Per la banca statunitense guidata da David Solomon, «è improbabile che si rafforzi la congiuntura favorevole che ha sostenuto» il credito sovrano e in particolare quello dell'Italia. Goldman Sachs in particolare prevede che «aumenti il controllo (da parte della Commissione europea, ndr) sull'attuazione del Recovery Fund da parte dell'Italia» il che «potrebbe iniziare a pesare sulle aspettative di crescita» del Paese.
    Non è dissimile la visione di tre dei maggiori fondi d'investimento internazionali. Due settimane fa Bridgewater ha iniziato, secondo le indiscrezioni, uno short (una scommessa al ribasso, ndr) sull'Eurozona in vista dei prossimi sei mesi. Ovvero quando s'intensificherà il Quantitative tightening (Qt) della Bce. Sono 36 i miliardi di euro di Btp italiani in pancia a Francoforte, nel portafoglio dell'Asset purchase programme, che andranno in scadenza nel 2023 e non saranno rinnovati. «Si tratta di un percorso dovrà essere calibrato anche nelle strategie», ha segnalato a inizio aprile una nota di Citadel. Kenneth Griffin, come Ray Dalio, preferisce asset più sottovalutati. Ragionamento che, tanto per Bridgewater quanto per Citadel e Brevan Howard, non vale per l'Italia e il suo debito. I cui tassi, come rimarcato anche da J.P. Morgan, sono ancora troppo benigni. Ieri il differenziale di rendimento fra i Btp a 10 anni e i corrispettivi tedeschi è stato di 187 punti base. Legittimo, ha scritto Citi a fine marzo, un ritracciamento al rialzo.
    Un primo banco di prova si avrà giovedì prossimo, quando il Tesoro emetterà titoli di Stato per 9 miliardi di euro. Nello specifico, il Mef andrà in asta con Btp a 5 anni per 2,5 miliardi, Btp a 10 anni per 5 miliardi e Ccteu a 7 anni per 1,5 miliardi. Importante sarà capire, come sottolineato da Bank of America, «come si muoveranno i rendimenti del debito europeo» in modo «da posizionarsi in modo strategico per il resto del 2023». Occhi puntati sull'Italia.
    Intanto, mentre le banche internazionali e gli hedge fund si posizionano, arrivano nuove richieste di più intransigenza sulla normalizzazione della politica monetaria. il governatore della banca centrale del Belgio. Pierre Wunsch, in un'intervista al Financial Times è stato chiaro: «Non sarei sorpreso se a un certo punto dovessimo salire al 4%». Vale a dire almeno un altro rialzo da 50 punti base o due da 25. E proprio di 50 punti base ha parlato Isabel Schnabel, membro tedesco del Board della Bce. «È chiaro che occorrono altri incrementi dei tassi, così come che l'ammontare dipenderà dai dati che arriveranno», ha spiegato. Ciò che è sicuro, ha detto Schnabel, è che «un aumento da 50 punti non è fuori dal tavolo di discussione». La corsa verso il 4 maggio, quando Francoforte deciderà le prossime mosse, è iniziata.
  9. ERRORI SVIZZERI DISTRUTTIVI: La finanza internazionale torna ad avere dubbi sui buoni del Tesoro italiani, ma questo non si risolve in una corsa dei capitali verso le banche svizzere: il loro mito è incrinato, e lo si legge nella grande fuga di capitali dal Credit Suisse. L'istituto di Zurigo è fallito il 19 marzo, poi è stato salvato dal gruppo Ubs grazie a un'operazione abbondantemente lubrificata da fondi pubblici di Berna, e adesso si lecca le ferite.
    Nel primo trimestre del 2023 sono scappati dai forzieri del Credit Suisse più di 128 miliardi di franchi, fra depositi e titoli in gestione, una quantità di denaro che corrisponde quasi esattamente a 128 miliardi di euro (visto che la Banca centrale elvetica si svena per mantenere il cambio fra le due valute vicino al rapporto 1 a 1).
    Ieri è stata pubblicata la trimestrale del Credit Suisse da cui risulta, ed è il dato più preoccupante, che la grande fuga non è ancora finita: il gruppo comunica che «nella seconda metà di marzo la banca ha registrato una significativa perdita di depositi e asset, più acuta nei giorni immediatamente precedenti e seguenti l'annuncio della fusione, secondo una tendenza che, seppure attenuata, ad oggi non si è ancora invertita». Insomma l'acquisizione da parte di Ubs non ha ancora prodotto quel ritorno di fiducia e di capitali che ha motivato l'operazione.
    In dettaglio, la crisi è costata un deflusso netto di 67 miliardi di franchi di depositi e 61,2 miliardi di titoli (il 5% del totale) e questo si è aggiunto ai numeri già pesantemente negativi del quarto trimestre 2022, quando i dubbi sulla strategia di rilancio del Credit Suisse, nonostante un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi, avevano spinto i clienti a spostare 110 miliardi di asset netti e a ritirare 138 miliardi di depositi. A conti fatti nel primo trimestre 2023, quello del grande crac, è andata meglio del precedente, ma è una magra consolazione.
    I conti della banca, pur se ripuliti dall'azzeramento di 15 miliardi di bond At1 (contro il quale un gruppo di investitori ha citato in giudizio la Finma, la Consob svizzera) restano in profondo rosso: l'utile contabile di 12,4 miliardi di franchi si traduce in una perdita "adjusted" prima delle tasse di 1,3 miliardi, e anche per l'intero 2023 è attesa «una sostanziale perdita». Secondo gli analisti di Kbw «la dimensione delle perdite e dei deflussi è allarmante» e il Credit Suisse «rischia di rimanere una zavorra per Ubs».


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24.04.23
  1. PUTIN=HITLER :  Il Sudan rientra in una più ampia "orbita africana" in cui la Russia vuole cristallizzare la propria presenza attraverso il gruppo Wagner. La conferma giunge dai leak del Pentagono, riferisce il Washington Post secondo cui la società di Yevgeny Prigozhin vuole creare una "confederazione" di Stati anti-Occidente in Africa. Il gruppo «fomenta instabilità in Africa usando i suoi paramilitari e puntando sulla disinformazione per rafforzare gli alleati di Mosca». In una delle carte segrete si stilano le opzioni a cui Usa e alleati potrebbero ricorrere per colpire Wagner. Fra queste: offrire informazioni mirate alle forze ucraine per aiutarle a uccidere i comandanti del gruppo. Wagner è presente in diversi Paesi del continente tra cui la Repubblica Centroafricana dove ha stabilito il proprio baricentro (operativo e di intelligence). Lo Stato (praticamente fallito) è uno snodo chiave sulle dorsali di traffici leciti e illeciti che si intersecano tra Africa occidentale a orientale. In particolare, sulla direttrice delle rotte dell'illegalità che dal Golfo di Guinea arrivano al Congo e dove opera Iswap (ovvero l'Isis), e dell'altra parte dove si concentrano gli interessi leciti soprattutto dei cinesi, partendo dal Golfo di Aden un punto chiave anche per la presenza meno forte degli Usa in Somalia (in chiave anti al-Shabaab). «In un momento di forti pressioni sull'Europa e di distrazione sull'Ucraina i Paesi tradizionalmente presenti in Africa, Francia e Usa in testa, allentano la presenza sul continente e la Russia ne approfitta. Non è un caso che appena Parigi ha ritirato la missione Barkane dal Sahel, il giorno dopo in Mali è arrivata Wagner», spiega il professor Arije Antinori, docente de La Sapienza, ed esperto europeo di terrorismo e "stratcom". Secondo Antinori, i mercenari garantiscono la sicurezza alle leadership locali, proponendosi anche come guardiani dei grandi investimenti degli altri attori internazionali. «Tra tutti i cinesi che pagano per cautelarsi e prediligono accordi con la Russia essendo già partner». Per il futuro occorre osservare che la Wagner sta «tamponando le posizioni di interesse jihadista e gli hotspot per i migranti, perché garantisce la sicurezza, fa affari e regola all'occorrenza i rapporti con i gruppi terroristici anche trattando - conclude Antinori -. In cambio la Wagner acquisisce risorse posizionandosi nelle aree di attivazione dei macroflussi dei migranti diretti in Europa»
  2. SCARSA MEMORIA CINESE: «Questi Paesi dell'ex Unione Sovietica non hanno uno status effettivo secondo il diritto internazionale, perché non c'è un accordo che concretizzi il loro status di Paesi sovrani». A parlare è Lu Shaye, ambasciatore cinese a Parigi, alla tv francese. Una risposta alla domanda se considerasse la Crimea parte dell'Ucraina. Lu dimentica (o non considera) che la Cina ha invece riconosciuto nel 1994 l'accordo del memorandum di Budapest, in base al quale la Russia ha accettato i confini dell'Ucraina. Pechino aveva anche offerto le proprie garanzie di sicurezza, affidandosi a Kiev sull'import militare. La Francia e i Paesi Baltici hanno condannato le dichiarazioni di Lu. L'alto rappresentante della politica estera Ue, Josep Borrell, le ha definite «inaccettabili». Il consigliere presidenziale ucraino, Mykhaylo Podolyak, ha parlato di commenti «assurdi» e ha aggiunto: «Se Pechino vuole essere un attore politico importante, non può ripetere a pappagallo la propaganda dei russi». Per nulla contente le repubbliche dell'Asia centrale, a cui Xi Jinping ha promesso aiuto contro «qualsiasi interferenza esterna». Lu è considerato uno dei cosiddetti «lupi guerrieri» della diplomazia cinese. A differenza di altri, ama rilasciare interviste ed è spesso autore di affermazioni roboanti. Lo scorso agosto, per esempio, aveva detto che «dopo la riunificazione i taiwanesi andranno rieducati» per farli tornare «patriottici». La sua ultima uscita rischia di offuscare l'immagine da «grande stabilizzatore» che Xi sta cercando di proiettare sulla scena globale. Un problema, per di più, nato proprio da quella Francia che il leader cinese era convinto di aver irretito ospitando Emmanuel Macron.
  3. LULA INAFFIDABILE: Nonostante le promesse di Lula, l'Amazzonia continua a bruciare e il mondo, ad iniziare dall'amministrazione Biden, si prodiga per aiutare il Brasile. Il presidente americano ha annunciato una donazione di 500 milioni di dollari al Fondo Amazzonia, il meccanismo di aiuti internazionali istituito 20 anni da Norvegia e Germania e che adesso torna dopo la sospensione forzata durante il governo di Jair Bolsonaro. Il futuro della più grande foresta tropicale del Pianeta sta a cuore all'Occidente perché ad esso sono legate le strategie di lotta al riscaldamento globale.
    Lula da Silva, che si è insediato ad inizio anno, ha promesso un cambio di rotta totale rispetto al negazionismo del suo predecessore, secondo il quale la foresta andava vista come un'enorme risorsa da sfruttare economicamente e non un patrimonio da proteggere. Come marchio di qualità, il presidente progressista ha sistemato la paladina Marina Silva al ministero dell'ambiente, ma gli ultimi dati sulla deforestazione non sono affatto buoni. Nei primi tre mesi dell'anno, che coincidono con il primo trimestre del nuovo governo, il disboscamento è cresciuto invece che diminuire. A marzo è addirittura triplicato rispetto all'anno scorso; i rilevamenti satellitari parlano di 870 chilometri quadrati di foresta distrutta, il triplo rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. A Brasilia spiegano questi dati con lo stato disastroso in cui hanno trovato gli organi chiamati a proteggere la foresta, ad iniziare dall'Ibama, la polizia ambientale, con 2.500 agenti licenziati durante il governo Bolsonaro. Sostengono poi che i «nemici» dell'Amazzonia stanno premendo sull'acceleratore perché sanno che avranno filo da torcere in futuro. L'esercito, ad esempio, ha già smantellato una decina di piste d'atterraggio clandestine nella riserva degli indios Yanomani, che venivano usate dai «garimpeiros», i cercatori illegali d'oro.
    Spiegazioni anche plausibili, ma sta di fatto che gli occhi del mondo sono puntati sull'Amazzonia e tutti si aspettano fatti concreti oltre le promesse. Lula lo sa e parlerà di questo a Madrid con il premier spagnolo Pedro Sanchez. La questione ambientale, del resto, è cruciale per lo sblocco definitivo dell'accordo commerciale tra Unione Europea e Mercosur. Dopo la notte del bolsonarismo il Brasile, ora, è chiamato a fare la sua parte.
  4. UN'EROE : Ha salvato due ragazzini in difficoltà mentre facevano il bagno al mare, ma è scivolato in acqua ed è morto. Il corpo di Vito Bugliarello, 35 anni, è stato ritrovato dai sommozzatori dei vigili del fuoco di Reggio Calabria che lo cercavano da sabato, quando l'uomo risultava disperso in mare tra Siracusa e Avola. Bugliarello aveva visto in difficoltà due ragazzini, entrambi minorenni, che approfittando della giornata primaverile avevano deciso di fare un bagno vicino al ponte di Cassibile. In un primo momento, l'ipotesi era che i due giovani fossero finiti in acqua mentre si scattavano un selfie: tesi poi smentita dagli accertamenti. I due una volta in acqua erano in difficoltà a tornare a riva e Bugliarello, che ha visto tutto da terra, ha deciso di aiutarli e ha legato due teli, poi gettati in acqua come fossero una corda. Ma l'uomo è scivolato in acqua. Per tutta la giornata di ieri sono andate avanti le attività di ricerca con il coordinamento della Capitaneria di Porto: poi il cadavere è stato recuperato vicino a un costone roccioso, distante chilometri dalla caduta in mare. Bugliarello era originario di Floridia, aveva frequentato l'Istituto tecnico Fermi a Siracusa ed era un amante dei viaggi che immortalava sulla sua pagina Facebook da Mykonos a Pukhet. Molti gli amici e conoscenti che gli rendono omaggio sui social chiamandolo «eroe» e apprezzando il suo coraggio e altruismo. «Staremo sempre vicino alla famiglia Bugliarello. Cercando di mettere ogni giorno in pratica ciò che vostro figlio ci ha insegnato con questo grande gesto», scrive un utente sotto il profilo dell'uomo. La procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta. —

 

 

23.04.23
  1. Aumenti a doppia cifra sulla filiera per gli ingredienti chiave
    Pizza sempre più cara, pesano olio e pomodori
    Mai così cara. Oltre alla pasta, anche la pizza diventa sempre più costosa. Secondo il Pizza Margherita Index di Bloomberg, una classica costa l'8,5% in più rispetto a un anno fa. Ma sono i singoli ingredienti a essere schizzati. Più 13,4% anno su anno per la passata di pomodoro, più 17,6% per la farina, +26,9% per la mozzarella, +27% per l'olio di oliva. E più 28% per gli extra costi dell'energia elettrica. A peggiorare la situazione, la siccità che sta imperversando da due anni in Europa. Ne deriva che per trovare una pizza margherita a buon mercato bisogna cercare bene.
    Una volta era il cibo popolare per eccellenza. Ora sta diventando un lusso. Secondo il Margherita Index, dopo i rincari dell'energia, ora sono quelli delle materie prime a preoccupare. In particolare, spiega Bloomberg, quello dell'olio di oliva. Il quadro siccitoso della Spagna, il maggiore produttore al mondo di questo ingrediente, è tale che stanno aumentando i prezzi in modo pirotecnico. Più 2,2% mese su mese per l'olio di oliva. E più 1,9% per i pomodori. In aumento, inoltre, anche il prezzo della mozzarella.
    Salgono dunque i casi in cui le famiglie decidono di privarsi della classica "pizzata" al ristorante, preferendo soluzioni alternative. Come la produzione domestica, per evitare di pagare il coperto e spese accessorie. «Un fenomeno sempre più diffuso», si fa notare.
  2. SPECULAZIONE: A sferrare il primo attacco sul caro-pasta è stata Coldiretti, a ruota sono arrivati i consumatori invocando l'intervento di Mister prezzi, chiamando in causa l'Antitrust e le procure e rilanciando le accuse contro i produttori, che a loro volta han tirato in ballo le fluttuazioni di mercato contro cui «non possono far nulla». La «guerra del maccherone» è combattuta da giorni a suon di numeri, i costi del grano duro che negli ultimi tempi sono letteralmente crollati e quelli della pasta, uno dei vanti del made in Italy, che nello stesso lasso di tempo sono aumentati del 18/25/35% a seconda delle stime a fronte di una inflazione che a marzo è scesa al +7,6%. Quelli di Coldiretti, guardando l'andamento dei prezzi medi al consumo, parlano di «chiara distorsione» del mercato. L'Assoutenti a sua volta ha deciso di inviare un dossier a Mister prezzi e al ministro delle Imprese e del Made in Italy per spingerli a verificare se siano in corso speculazioni. «La pasta – spiega il presidente Furio Truzzi – è uno dei beni più amati dagli italiani, con un consumo pari a circa 23 chilogrammi procapite all'anno ed è evidente che listini così elevati incidono sulle tasche dei consumatori». Il Codacons, addirittura, sta studiando un esposto all'Antitrust e alla magistratura.
    Secondo l'Osservatorio del Ministero del Made in Italy a marzo in media un chilo di pasta costava 2,13 euro, ovvero il 25,3% in più di un anno fa quando il costo medio di spaghetti penne e rigatoni si fermava a un euro e 70. In base ai dati elaborati da Assoutenti il record spetta ad Ancona, dove il prezzo medio si attesta a 2,44 euro al chilo, a seguire Modena (2,41), Cagliari (2,40), Bologna (2,39) e Genova (2,38). Tra le grandi città Torino tocca quota 2,29, Milano 2,15, Roma 2,30 e Napoli 1,88. La città più economica è Cosenza, dove per due pacchi di pasta basta un euro e 48. Solo 12 province italiane registrano oggi listini medi della pasta inferiori ai 2 euro al chilogrammo, e tra la città più costosa e quella meno cara (Ancona e Cosenza) la differenza di prezzo è del 64,8%, pari a quasi 1 euro in più al chilo. A Siena (+58,4) e Firenze (+52,8) i rincari annui più forti, ad Alessandria (+4,6%) quelli più contenuti.
    Di contro le quotazioni del grano duro sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola a 38 centesimi di euro al chilo. E se nei primi sei mesi del 2022 il grano duro costava 550 euro a tonnellata negli ultimi giorni è arrivato a costare 360-390 euro a tonnellata. Per Coldiretti siamo di fronte ad una evidente «anomalia di mercato sulla quale occorre indagare, anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle 200 mila imprese agricole che coltivano grano» e che a fronte di queste quotazioni in molti casi saranno costrette a rinunciare alle semine.
    «Il grano ha prezzi troppo fluttuanti e non è l'industria della pasta a determinare il prezzo del grano duro, a farlo è il mercato globale con meccanismi e quotazioni internazionali» si difende il presidente dei pastai di Unione Italiana Food, Riccardo Felicetti. «Contrariamente a quanto viene spesso detto – aggiunge – il grano estero costa anche più di quello italiano (in media il +10%), soprattutto in questo momento storico particolare. Spiace che la Coldiretti continui ad avanzare dei dubbi su presunte speculazioni, con il consueto intento di confondere i notri consumatori». Felicetti spiega poi che «la pasta che compriamo oggi è fatta col grano acquistato mesi e mesi fa a prezzi più alti. Inoltre quando parliamo di pasta è vero che il grano duro e la semola impattano in modo rilevante sul costo finale, ma dobbiamo tenere presente anche altre voci di costo come l'energia, gli imballaggi primari e secondari e la logistica (trasporto locale e internazionale), tutti ambiti in cui i rincari sono ancora evidenti ed elevati. Nonostante tutto – conclude Felicetti – la pasta continua a restare un alimento accessibile, perché con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di 5 persone, con meno di due euro».
    «Il prezzo della pasta deve scendere immediatamente. Le scuse stanno a zero. È vero che a fare il prezzo è il mercato globale, peccato che il prezzo del frumento duro sia sceso» ribatte Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. Secondo lo studio dell'Unc, i prezzi della pasta stanno salendo ininterrottamente dal giugno del 2021 e sono esplosi a partire da agosto 2021, per via dei cattivi raccolti in Canada e Usa. Da allora i prezzi sono rincarati del 35-37%. Ma ora la situazione nei mercati all'ingrosso è completamente cambiata ed i prezzi dell'energia sono scesi, «per cui non ci sono più giustificazioni: i prezzi devono calare senza se e senza ma».
    Come finirà la disputa? Secondo gli operatori del settore occorrerà aspettare qualche mese per vedere i prezzi al dettaglio della pasta scendere, anche perché la grande distribuzione nel 2011 ha fatto aspettare mesi prima di riconoscere ai produttori i rincari delle materie prime che già allora segnavano forti aumenti. Nell'attesa l'unica via di scampo che hanno i consumatori è quella di aggrapparsi alle offerte promozionali. Buona caccia. —
  3. L'EFFETTO DELLA BURLA GRILLO : La gratitudine, si sa, non è di questo mondo. Così, dopo avere ballato alla grande per un paio di stagioni (quelle del doppio mandato lecito e consentito), capita che qualcuno molli gli ormeggi. E, magari, pur senza sputare proprio nel piatto dove ha allegramente mangiato, si accorga che tutto quello che aveva predicato – con accenti spesso savonaroliani – in precedenza non vale più. Improvvisamente. Inopinatamente. E oplà – come prescrive il manuale della perfetta capriola – eccolo (o eccola) cambiare casacca e tuffarsi a capofitto in una nuova avventura. O almeno provarci, accreditando così la sensazione che stia aderendo a quello che, a parti invertite e nella sua precedente vita politica, avrebbe bollato come voltagabbanismo (parola certificata dal Vocabolario Treccani).
    Dal Movimento 5 Stelle dell'uno vale uno siamo così passati, nei casi di alcuni ex e fuoriusciti, all'uno vale tutti, o all'uno vale qualsiasi altro. Purché garantisca un posto a tavola (o una promessa di poltrona). Insomma, per chi proviene dal partito-movimento dove Beppe Grillo perorava la causa dell'economia circolare e del riciclo il riciclaggio vale anche nell'ambito della carriera. Non male per chi stigmatizzava il professionismo politico come la sentina di ogni corruzione e, vistosi messo in panchina dal divieto di terzo mandato ha pensato bene di cambiare casacca. Quella regola che, non a caso, Giuseppe Conte ha rivendicato come scelta giusta proprio nelle scorse ore, e che – al di là di quanto se ne possa pensare nello specifico – costituisce innegabilmente una delle (non molte) manifestazioni di coerenza del M5S.
    D'altronde, come scriveva Schopenhauer, «declamare è più facile che dimostrare, e moraleggiare è più facile che esseri sinceri». E, sempre per rimanere nei dintorni, Nietzsche diceva che «i giudizi morali sono epidemie che hanno il loro tempo». Scaduto il quale, si potrebbe soggiungere, scatta l'operazione si salvi chi può. E dunque, Giancarlo Cancelleri, già frontman del Movimento in Sicilia, pochi giorni or sono ha fragorosamente sbattuto la porta di fronte alla scoperta (un po'tardiva…) che «l'esperienza e la professionalità non sono valori aggiunti», esclamando con indignazione – sempre immancabilmente presente, ma a corrente alternata – «altro che uno vale uno, qui uno vale l'altro! ». Così, adesso, lo ritroviamo alla convention berlusconiana a Palermo, mirabilmente seduto in seconda fila, salutato dagli applausi della platea e benedetto dall'apprezzamento di Schifani perché, va da sé, «Forza Italia è un partito aperto». E dire che Cancelleri, novello «smemorato di Caltanissetta», nel corso della sua militanza a 5 Stelle aveva cannoneggiato il centrodestra a ogni piè sospinto, accusandolo di incapacità, corruzione e candidature di collusi con la criminalità organizzata; e la frase più gentile che aveva rivolto a Berlusconi era quella di «inventore dello scilipotismo». E ora, come spesso avviene, siamo alla nemesi, perché chi di Scilipoti colpisce… Comunque, l'ex viceministro pentastellato si ritrova in buona compagnia in quanto a piroette e tripli salti carpiati. Il gattopardismo, visto che stiamo parlando di politici già pentastellati siciliani, è sempre in agguato. Che dire, infatti, di Dino Giarrusso, uno dei grillini "castigadem" più implacabili? Tra le sue numerose prese di posizione in materia si possono ricordare tweet e post nei quali, allo scoppio di uno scandalo nella sanità regionale, sosteneva che «in Umbria c'è un'organizzazione criminale legata al Partito democratico». E al culmine dello scontro con Conte gli aveva pure rimproverato di avere trasformato il M5S nello «zerbino del Pd». Eppure, evidentemente, quel «partito morto» (altra garbata definizione del Pd) esercitava nei suoi confronti un fascino "necrofilo" irresistibile, al punto da avere sfacciatamente provato a entrarci, fino a che una sollevazione interna ai dem gli ha sbarrato la strada. E non c'è due senza tre, come mostra la plurima parabola di Laura Castelli, anche lei purissima fondamentalista del grillismo e "integerrima" avversaria della partitocrazia (altrui), che salpò con la scialuppa dimaiana di Insieme per il futuro. Avventura finita ingloriosamente e, allora, ecco che la "creativa" e sabauda ex viceministra dell'Economia ha deciso di approdare al ruolo di portavoce di «Sud chiama Nord», la lista di Cateno De Luca, per la quale era brevemente transitato (con dirompente litigio finale) lo stesso Giarrusso.
    D'altronde, il trasformismo sta nel dna della politica nazionale da un bel po'di tempo. Praticamente da subito, dal 1876, l'epoca della «rivoluzione parlamentare» che portò Agostino Depretis alla presidenza del Consiglio dei ministri. E, difatti, anche i protagonisti della diaspora grillina si ergevano a (incendiari) rivoluzionari, per poi finire, inevitabilmente, pompieri. E, per riprendere il filo della comparazione storica, si sono rivelati degli aspiranti notabili postmoderni, alquanto – non ce ne voglia nessuno, si tratta semplicemente di una constatazione (e del principio di realtà) – in sedicesimo rispetto ai predecessori ottocenteschi.
  4. IL MIGLIOR ALLIEVO DI RENZI: L'ex capogruppo dei senatori del partito Democratico Andrea Marcucci, un renziano di ferro rimasto coi dem anche dopo che l'ex premier aveva fondato Italia Viva, ha annunciato ieri in un post sui social di non aver rinnovato la tessera Pd per il 2023. «Non rinnoverò la tessera del Pd per il 2023, il partito di Elly Schlein è molto lontano da quello che penso io - ha scritto Marcucci -. Incontrerò la nuova segretaria nei prossimi giorni, per spiegarle i motivi della mia decisione. Il Pd ha comunque una funzione molto importante: competere coi 5 Stelle, la possibilità di costruire un'alternativa alla destra passa comunque da un forte ridimensionamento del partito di Conte».
    Oltre a Marcucci in Toscana ha deciso di lasciare i Pd anche l'ex assessore comunale Massimo Mattei, ma se quest'ultimo entrerà direttamente in Italia Viva, Marcucci dovrebbe rafforzare l'ala liberale del Terzo Polo puntando a costruire una federazione per tenere assieme Renzi e Calenda. «Meglio concentrarsi sull'ipotesi concreta della federazione - ha infatti spiegato - non sul partito unico. Sento il dovere di lavorarci, sono un'inguaribile ottimista, ce la faremo». Fonti di Italia Viva, ieri hanno fatto sapere che «Matteo Renzi è concentrato in queste ore sul numero zero de Il Riformista, ma si aspetta nelle prossime settimane ulteriori arrivi anche alla luce del grande successo nelle ultime ore della campagna di tesseramento».
    «Ben ritrovato, Andrea Marcucci. Ottima scelta. Gli altri liberali e riformisti ancora nel Partito Democratico cosa aspettano? Noi liberali e democratici europei siamo pronti per costruire Renew in Italia» ha scritto invece sui social Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo.
  5. PUTIN MODELLO HITLER : Una delle foto più significative circolate nei giorni scorsi mostra alcuni combattenti delle Forze di supporto rapido del Sudan (Rsf) maneggiare alcuni missili terra-aria da una cassa appena giunta a destinazione. Le armi hanno compiuto un lungo tragitto prima di approdare nel Paese di nuovo sconvolto dai combattimenti che vedono contrapposti il gruppo paramilitare guidato da Mohamed Hamdan Dagalo e il generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio di transizione del Sudan e capo delle Forze armate del Paese. Il percorso nasce dall'unione di diversi punti, ognuno dei quali riconducibile a un nome, Wagner, i mercenari che rappresentano la lunga mano di Mosca nel mondo. A denunciare il traffico di armi diretto nel Paese africano è stata la Cnn sulla base di rivelazioni provenienti da fonti diplomatiche sudanesi e regionali, che troverebbero riscontro nelle immagini satellitari. In particolare viene descritto l'intensificarsi di rotte aeree e terrestri in transito nella porzione orientale della Libia, quella sotto il controllo del generale Khalifa Haftar fedele alleato di Vladimir Putin.
    L'intreccio di relazioni pericolose rende ancora più complicato il quadro generale nel Paese dove, nonostante l'annuncio di una tregua di tre giorni per l'Eid al-Fitr, la festa di fine Ramadan, ieri mattina si sono intensificati gli scontri soprattutto a Khartoum. Nel frattempo, i piani di evacuazione dei cittadini europei dalla capitale sono pronti a scattare ma la situazione è ancora troppo pericolosa e circa 140 italiani sono bloccati, nessuno degli aeroporti è operativo. Anche se l'ambasciata Usa a Khartoum ha messo in guardia gli americani che qualsiasi spostamento via terra è troppo pericoloso, gli 835 km da Khartoum a Port Sudan sono stati percorsi dai diplomatici sauditi per mettersi in salvo e lo stesso tragitto di 12 ore dovrebbe essere tentato dalla missione giordana.
    Una situazione infuocata che rende l'ipotesi della lunga mano di Wagner sul Paese deflagrante. I traffici toccherebbero le basi di Wagner in Cirenaica dove i mercenari che fanno capo a Yevgeny Prigozhin si sono insediati nel 2019 per dare supporto ad Haftar nella quarta guerra civile contro le forze di Tripoli a loro volta sostenute dalla Turchia. Le immagini satellitari analizzate dall'osservatorio «All Eyes on Wagner» mostrano un aereo da trasporto russo che fa la spola tra due basi aeree libiche di Haftar e utilizzate dal gruppo paramilitare. L'intensificarsi delle rotte del velivolo Ilyushin-76 inizia due giorni prima lo scoppio delle ostilità in Sudan, e continua per una settimana. L'aereo dalla base aerea Khadim in Libia giovedì 13 aprile fa rotta sulla città costiera siriana di Latakia – dove la Russia ha un'importante base aerea. Da Latakia torna a Khadim. Il giorno dopo, vola di nuovo verso un'altra base aerea di Haftar a Jufra, nella parte più a sud della Libia orientale andando ad atterrare in un'area piuttosto marginale e coperta. L'Ilyushin-76 riparte per Latakia martedì prima di tornare nuovamente a Khadim e poi a Jufra. Quel giorno, secondo fonti regionali e sudanesi, la Russia avrebbe paracadutato missili terra-aria sulle posizioni della milizia di Dagalo nel nord-ovest del Sudan, in una zona vicina al Tom Camp, dove poi sarebbe giunta una pattuglia di pick up per recuperare il carico. Per anni Dagalo è stato un beneficiario chiave del coinvolgimento russo in Sudan, in quanto destinatario di armi e addestramento da parte di Mosca - sostengono le fonti della Cnn -. Anche Haftar ha sostenuto Dagalo, sebbene il diretto interessato neghi ogni schieramento nelle vicende del Paese confinante. L'aumento dell'attività di Wagner nelle basi libiche suggerisce tuttavia che sia Putin sia l'uomo forte della Cirenaica potrebbero essersi preparati a sostenere l'Rsf da tempo. Anche Prigozhin smentisce ogni coinvolgimento in Sudan: «Wagner non è in alcun modo coinvolta nel conflitto, le voci che circolano sono solo provocazioni».
    Coperture di facciata secondo alcuni osservatori. «Esiste un concreto rischio di penetrazione dei Wagner in Sudan, non c'è nessun altro contractor che può garantire la sicurezza in Africa come quello di Prigozhin», conferma a La Stampa il professor Arije Antinori, docente de La Sapienza, ed esperto europeo di terrorismo e stratcom. Il gruppo paramilitare, dopo essere penetrato in Mali, Burkina Faso, Mozambico e dopo aver insediato la sua centrale operativa in Repubblica Centrafricana potrebbe ora allungare ulteriormente i suoi tentacoli. «Anche perché Wagner ha compiuto un ulteriore passo in avanti portando le forze speciali nell'area - prosegue Antinori -. Non piccole unità che devono essere supportate da governi locali, ma realtà strutturate che entrano negli Stati. Quindi portano armamenti, tecnologia e personale per fare resistenza e arroccamenti».
    Al contempo occorre dire che la Russia non può permettersi di concentrare tutti i suoi sforzi bellici in Ucraina perché per mantenere il suo status, adesso ammaccato, di grande potenza militare deve avere voce in altri dossier in cui già operava prima del conflitto tramite affiliati (Wagner) fino ad aprirne altri. La proiezione africana della Russia è risaputa e il pantano ucraino con il fallimento della guerra lampo rischia di frenarla. In termini di narrazione poi, Mosca gioca in Africa sempre il ruolo di protettore anti-occidentale (caratterizzazione che rientra nella retorica anti-colonialista e per un nuovo ordine mondiale). In Sudan e Sud Sudan l'interesse del gruppo di Prigozhin è soprattutto nella realizzazione della base militare a Port Sudan sul Mar Rosso, assieme all'estrazione di oro e all'addestramento dei combattenti. Elementi che fanno intendere come la penetrazione di Wagner nell'area più che un rischio è un modello di business acquisito e consolidato.
  6. QUANTI ALTRI  TRADITORI CI SONO ? E adesso chi glielo dice ai bambini dello Zen che la loro preside è stata arrestata? Chi glielo dice che l'hanno sorpresa a fare la cresta sulle forniture della loro mensa, sui computer che era riuscita a portare nelle loro classi dove le incursioni dei vandali sono all'ordine del giorno? Chi glielo dice che quella donna che li chiamava per nome a uno a uno, che sfidava gli spacciatori a viso aperto, che teneva alta la bandiera della legalità senza retorica mettendoci le mani e la faccia, che li invitava a non avere paura a costruire il proprio futuro, è la stessa che le telecamere riprendono mentre porta a casa conserve e barattoli, tablet e computer comprati con fondi europei per la scuola?
    Lei, Daniela Lo Verde, Cavaliere della Repubblica, da dieci anni anima dell'Istituto intitolato a Giovanni Falcone, adesso è agli arresti domiciliari per corruzione e peculato, così come il vicepreside. Al suo posto è stato nominato reggente Domenico Di Fatta, il suo predecessore nella scuola dello Zen: un segnale immediato per colmare la voragine che si è aperta tra i casermoni del quartiere dove il lavoro regolare non arriva al 2 per cento, l'analfabetismo tende al 5, la dispersione nella classi supera il 16. E dove adesso si inseguono le stesse parole: «E adesso a chi crediamo? Ci sentiamo traditi».
    Una voragine di senso, di fiducia, di speranza nello Stato, quello Stato che soltanto nel 2011 – mezzo secolo dopo la costruzione del quartiere – ha piantato il suo fortino, una caserma dei carabinieri, tra baby spacciatori, criminali di rango e disgraziati di ogni tipo. Parliamo dello Zen 2. Perché lo Zen 1, realizzato nel 1960, in qualche modo è diventato un pezzo di città.
    Lo Zen 2, invece, è fallito come tante analoghe utopie urbanistiche piovute sul terreno come astronavi. Al punto che poco più di dieci anni fa l'archistar Massimiliano Fuksas propose di raderlo al suolo. Lo aveva progettato nel 1969 per l'Istituto case popolari il patriarca degli architetti italiani, Vittorio Gregotti, come un sistema di insulae, costruzioni basse con un cortile interno, per riprodurre i cortili del centro storico che si era svuotato l'anno precedente, con le scosse e i crolli del terremoto del 1968.
    Ma la fame di alloggi scatenò ben presto la corsa alle occupazioni abusive (ancora adesso soltanto il venti per cento degli abitanti è un assegnatario regolare), i servizi non furono mai realizzati e l'utopia non tardò a diventare ghetto. A poco servì cambiargli nome, come fece l'ex sindaco Leoluca Orlando: San Filippo Neri, lo ribattezzò. Ma Zen era e Zen restò. «Un dolore per il quartiere e per la città tutta, un episodio che contribuisce a scalfire la fiducia nei confronti delle istituzioni», dicono all'unisono Zen Insieme, Bayty Baytik, l'Albero della vita e Handala, le quattro associazioni impegnate in questa terra di frontiera. Accanto a loro c'è stata a lungo Daniela Lo Verde ad accendere un faro di speranza.
    È stata lei a battersi per i corsi pomeridiani nella scuola che accoglie alunni dalla primaria alla media, lei a portare in gita d'istruzione gambe e occhi che non erano mai usciti dal quartiere. Lei a fare miracoli con quei fondi comunitari che secondo la procura europea avrebbe però utilizzato in modo improprio e anche a suo vantaggio, gestendo spregiudicatamente forniture e fatturazioni, oltre che attestando falsamente la presenza degli alunni ai corsi. Saranno i giudici a stabilire le responsabilità, ma Palermo ha già condannato. Un'icona non può permettersi di sbagliare.
  7. OMERTA' ISTITUZIONALE : L'emergenza abitativa a Roma è una realtà così diffusa che uno sgombero non fa certo notizia, a meno che l'inquilino abusivo non sia un personaggio talmente noto alle cronache da far tornare alla memoria quella famosa canzone di Lucio Battisti che diceva: «Ancora tu, non mi sorprende lo sai. Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?». E invece rieccolo: l'incorreggibile Roberto Spada, figura apicale dell'omonimo clan, da poco tornato in libertà nel suo quartier generale di Ostia, in attesa che vengano determinati gli anni di pena che ancora deve scontare per associazione a delinquere di stampo mafioso. Mentre la giustizia procede non proprio celermente, Roberto è tornato in quella che lui considera casa sua, in via Guido Vincon 27, ma che invece appartiene al Comune di Roma e che lui occupa da ben diciassette anni, senza che nessuno - prima dell'arrivo dei Carabinieri del Nucleo di Ostia - lo avesse mai disturbato. Il fatto è emblematico di uno smisurato senso di impunità, di chi pur accusato di reati gravissimi continua a porsi al di sopra delle leggi, occupando pur senza averne bisogno un alloggio popolare e rubando l'energia elettrica attraverso l'allaccio diretto all'appartamento. Una sorta di immunità criminale che ha consentito negli anni al clan Spada (come altrove ai cugini Casamonica) di piegare il territorio di Ostia alla loro prepotenza, esercitata anche e soprattutto attraverso il racket delle occupazioni abusive. Quest'ultimo episodio che riguarda Roberto Spada lascia però particolarmente sbalorditi per la grave disattenzione di chi da decenni avrebbe dovuto vigilare sul patrimonio pubblico e non l'ha fatto, a maggior ragione nei confronti di un soggetto che a giudicare dalle sentenze non è certo un pesce piccolo; viene da chiedersi infatti come sia possibile che una figura al vertice di un'associazione giudicata mafiosa, dedita al traffico di droga, alle estorsioni e guarda caso proprio al racket delle case popolari, possa essere prima arrestato, spedito nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, poi rimesso in libertà per un cavillo giuridico e tornare a vivere - come se nulla fosse accaduto - in una casa di proprietà del Comune di Roma che occupa abusivamente dal 2006? Che segnale è quello che arriva ai cittadini romani, soprattutto a quei quattordicimila che da anni sono in attesa dell'assegnazione di un alloggio popolare?
    A proposito di spudorato senso di impunità, qualche giorno fa sempre ad Ostia i Carabinieri, coordinati dai procuratori aggiunti Ilaria Calò e Michele Prestipino della Dda di Roma, hanno arrestato Rosario Ferreri, legato da vincoli di parentela al clan Fasciani, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, truffa e occupazione abusiva di immobili. Ferreri gestiva e faceva gestire da vent'anni (!) una novantina di immobili di proprietà dell'Ater adibiti al confezionamento di stupefacenti, al deposito di armi e perfino, incredibile ma vero, anche a set cinematografico per la serie prodotta da Netflix Suburra (mai location fu scelta meglio); Ferreri stipulava contratti di affitto spacciandosi per il reale proprietario delle case. Possibile che l'Ater non si sia accorta che cantine, negozi, palestre e case di sua proprietà in via degli Ebridi ad Ostia erano occupate illegalmente da vent'anni?
    Un articolo pubblicato due giorni fa su questo giornale faceva il punto sull'emergenza casa, destinata ad aggravarsi per i rincari previsti fino al 25% del canone di affitto, per gli sfratti in aumento, per lo stop deciso ai sussidi legati al Reddito di cittadinanza. Una congiuntura economica che si incrocia pericolosamente con l'abbandono del territorio e con l'eterna inefficienza del sistema di assegnazione delle case popolari: graduatorie che seguono parametri non più attuali, occupanti che scavalcano - tra sanatorie più o meno mascherate - chi invece rispettando le regole aspetta l'alloggio pubblico e sistemi informatici di raccolta dati assolutamente inadeguati a gestire un immenso patrimonio immobiliare; impossibile ad esempio ricevere una risposta sul numero reale delle case occupate perché non tutte sono censite.
    L'incuria, la disorganizzazione e forse qualche funzionario infedele hanno favorito nel tempo il mercato nero delle occupazioni, incoraggiando chi nell'assenza dello Stato si fa welfare mettendo a sistema lo sfruttamento dei bisogni primari - come il diritto alla casa - di chi vive in condizioni economiche e sociali precarie. La lentezza e l'assenza di trasparenza nell'assegnazione delle case hanno spesso fatto preferire a chi aveva necessità immediata di un tetto l'offerta illegale ma sicura e pronta dell'agenzia criminale di turno a quella legale, ma irraggiungibile. La beffa è che le case sono sempre le stesse, pubbliche. Ma chi ci entra lo decidono ancora e troppo spesso gli Spada di turno. Succede solo ad Ostia? —
  8. IL VERO PADRONE DEL PD - TO : LAUS  Per ora prevale la prudenza ma il Partito democrativo, in blocco o quasi, esprime vicinanza a Mauro Laus, il deputato e figura di punta del partito in Piemonte su cui la procura ha acceso un faro. L'altro giorno la Guardia di Finanza si è presentata negli uffici della Rear, della Regione del forte di Bard, per acquisire documentazione legata alla multiservizi di cui Laus è stato a lungo presidente e ora è socio. Gli inquirenti sospettano che una parte delle risorse ricevute da Rear per servizi di vigilanza e altro sia invece stata utilizzata fini privati.
    Ieri il parlamentare, che già venerdì sera contattato da La Stampa si era detto certo del suo operato, ha commentato l'accaduto con un post su Facebook, dicendosi «tranquillo». Pioggia di like, tra cui quelli dei consiglieri comunali torinesi del suo partito e dell'assessore ai Grandi eventi del Comune Mimmo Carretta, che di Laus è un fedelissimo.
    Il gruppo dirigente Dem per ora rimane prudente. Raffaele Gallo, capogruppo del Pd in Regione, si dice «fiducioso che tutto si chiarirà nel più breve tempo possibile. Ho pieno rispetto e fiducia nel lavoro della magistratura e della Guardia di Finanza"» Posizione simile da parte della sua omologa in Comune Nadia Conticelli, che esprime «fiducia convinta nell'operato della magistratura, la cui azione è una garanzia per tutti i cittadini, e fiducia e vicinanza a Laus».
    Il segretario regionale eletto da poche settimane, Domenico Rossi, preferisce non esprimersi: «No comment», si limita a rispondere. Si spinge oltre, ma non di molto invece, il segretario torinese e metropolitano, Marcello Mazzù: «Non mi sembra che siano elementi a carico di Laus. Si tratta piuttosto di accertamenti su procedure della cooperativa». Daniele Valle, vicepresidente del Consiglio regionale, anche lui persona vicina al deputato, spiega che «anche noi, come tutti, aspetteremo l'esito di questi accertamenti. Mi posso dire fiducioso nell'operato di chi li sta portando avanti, così come su quello del nostro compagno di partito».
    Qualcuno che commenta un po' più a gamba tesa c'è. Si tratta di Stefano Esposito, ex deputato e senatore Dem, da qualche tempo lontano dalle prime linee: «Curioso che questa notizia finisca sui giornali. Vedo che nonostante la legge Cartabia le notizie, in questo caso neanche di reato, escono dalla procura in modo incontrollato. Esprimo a Laus la mia vicinanza». Recentemente Esposito è stato coinvolto nell'inchiesta ribattezzata "Bigliettopoli" ed è stato al centro di un caso giudiziario, dal momento che la procura ha utilizzato decine di intercettazioni ottenute senza l'autorizzazione del Parlamento nel quale all'epoca Esposito sedeva. Il caso finirà davanti alla Corte costituzionale.
    Il caso comunque scotta, perché Laus non è solo un deputato. Potentissimo esponente del Pd, ha avuto un ruolo determinante in tutte le vicende che negli ultimi anni hanno coinvolto il suo partito sul territorio, che si trattasse dell'elezione dei segretari provinciale o regionale o della scelta dei candidati sindaci. Per dire, è stato uno dei pochi a sostenere fin dal primo minuto la candidatura di Stefano Lo Russo, che ieri non ha voluto rilasciare commenti. Qualunque fosse la partita l'attesa per scoprire le mosse di Laus è sempre stata massima. Una sua decisione, o un suo posizionamento, da anni ha la possibilità di determinare dove pende l'ago della bilancia. Non è un caso che la sinistra – sia quella Dem che quella della coalizione – abbia sempre sofferto la sua figura.
    E dalle altre parti politiche non arriva nessun commento? No. Esponenti di Lega e Fratelli d'Italia, interpellati, decidono di non rispondere. Alcuni nemmeno rispondono al telefono. Anche dal Movimento 5 Stelle sono prudenti. «La questione è ancora in una fase troppo preliminare»,è la risposta di rito.
  9. CONTE FA I LOOKDWN E GLI ALTRI PAGANO : Dopo la pandemia, alcune piccole attività hanno faticato a ripartire. Problemi economici. E lui, italiano di 40 anni senza scrupoli, ha pensato di approfittarne. Di prestare del denaro ai titolari di negozi e officine per poi pretendere un interesse del 60%. La squadra mobile l'ha arrestato l'altro giorno su misura cautelare con l'accusa di usura.
    Le indagini, coordinate dal pubblico ministero Giuseppe Drammis, hanno preso il via dopo due tentativi di incendi in un'officina di ricambi per auto. Qualcuno aveva cosparso di liquido infiammabile la saracinesca. C'era tutto: innesco, combustibile. Il rogo, secondo gli investigatori, non è divampato solo per questione di mera fortuna. Il titolare dell'attività, chiamato a testimoniare in questura, è stato vago: «Non ho ricevuto minacce da nessuno», «Non so chi può avercela con me e perché», «Io? Dei nemici? Assolutamente no». Raccontando la sua quotidianità, però, ha spiegato di avere «serie difficoltà economiche. Durante la pandemia, il lavoro è calato. Ho avuto gravi perdite di denaro e mi sono indebitato». Una frase che ha messo in allerta gli investigatori della mobile, coordinati dal dirigente Luigi Mitola. Gli agenti hanno acquisito e analizzato le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona, alla periferia nord della città. E ancora. Visionato estratti conti e movimenti bancari. Chi, nella notte, ha cercato di dare fuoco all'officina non è stato ancora rintracciato. Ma testimonianze e analisi finanziarie hanno permesso di risalire al quarantenne. Che, secondo la procura, avrebbe prestato cinquemila euro al meccanico. Per poi pretendere uno smisurato tasso d'interesse. La vittima ha pagato sino a che ha potuto. Quando non ha avuto più soldi, è stata minacciata e intimidita.
    I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2021 e il 2022. E, secondo gli inquirenti, le vittime dell'usuraio sarebbero tre. Tutti piccoli commercianti torinesi che, dopo il Covid, hanno avuto difficoltà a portare avanti la loro attività. Così l'indagato, contattato tramite un passa parola, forniva cifre che si aggiravano intorno a cinquemila, seimila euro. Al massimo diecimila. Con interessi esorbitanti. Il giudice, a suo carico, ha disposto anche il sequestro preventivo dei beni: sessantaseimila euro e due orologi dal valore di 150mila euro.
    Negli ultimi sei mesi, la polizia ha arrestato per usura cinque persone. Un dato in netta crescita, rispetto agli anni passati. E a più voci le autorità hanno lanciato l'appello ad agevolare, «in un momento di crisi, misure a favore dell'accesso al credito legale»
  10. INACCETTABILE :Per contrastare gli incendi di una certa entità che divampano nel Torinese sono disponibili solo quattro autoscale dei vigili del fuoco. Una al Lingotto, capace di arrivare a 30 metri di altezza, due nella centrale di corso Regina (da 39 e 42 metri), e una nel distaccamento di Volpiano, acquistata dai volontari. Un'altra versa in pessime condizioni nella sede di Pinerolo.
    «Altre tre autoscale ci risulta siano in riparazione e non si sa quando potranno essere disponibili» allarga le braccia Diego Mele, il primo cittadino di Borgone di Susa. Perché è partita proprio da lui e da altri sindaci della Valle di Susa, la protesta che ha come obiettivo quello di poter contare su un'autoscala dei pompieri dislocata in Valle di Susa. Un territorio vastissimo, costellato da centinaia di frazioni e case sparse.
    «Il nostro non è un capriccio - mette in chiaro Mele - ma una presa di coscienza molto chiara che si è concretizzata ancora di più la settimana scorsa quando un rogo ha incenerito un capannone in disuso a Condove, durante la festa patronale e per domare le fiamme è stato necessario l'impiego di un'autoscala arrivata da Torino. E quindi con tutto il tempo che occorre per percorrere una quarantina di chilometri di distanza, anche con i sistemi di allarme attivati». Che, per gli amministratori sono davvero un bel po' di strada. Un po' come quando i grossi mezzi dei vigili del fuoco devono arrampicarsi nelle Valli di Lanzo, del Canavese o dell'Eporediese dove, a parte i chilometri da macinare in sirena, devono fare i conti anche con arterie strette e tortuose, spesso inaccessibili ai grandi mezzi di soccorso.
    «Da quando sono sindaco presto molta più attenzione agli interventi dei nostri vigili del fuoco che sono un po' degli angeli custodi, sempre pronti ad intervenire quando si presenta un'emergenza - continua ancora Mele che, insieme ai suoi colleghi attiverà anche la Regione per capire se ci sono dei fondi disponibili - Da sempre, come Uncem Piemonte, ci battiamo per le nostre valli e montagne, per la tutela delle nostre comunità che devono già fare i conti con una serie di disservizi. Per questo cercare di far arrivare un'autoscala in Valle di Susa è una battaglia che credo valga assolutamente la pena di essere combattuta».
    Attualmente la valle può fregiarsi di una sede dei pompieri effettivi a Susa e di un certo numero di distaccamenti di volontari. Come quello di Borgone che dopo cinque anni, grazie ai rimborsi accumulati dagli interventi dei volontari, insieme ai contributi del Comune e di alcuni privati, è riuscita ad acquistare un'autobotte da 7mila litri con un investimento di circa 175mila euro. «Ma non avere un'autoscala in un'area che si allarga da Avigliana a Sestriere, o comunque sino al confine con la Francia è, a mio modesto avviso, è una carenza che non possiamo permetterci» taglia corto Mele.Il numero minimo delle autoscale sul territorio viene stabilito da una circolare del ministero dell'Interno, tenendo conto delle distanze che ci sono tra una sede e l'altra. Anche perché un mezzo come quello costa circa 700mila euro e deve essere supportato da un equipaggio specializzato. Senza contare i costi di manutenzione che sono molto alti. Per una revisione delle funi, per esempio, si parla di 20mila euro, giusto per fare un esempio».Lo dice chiaramente Igor Locoro, il segretario provinciale della Uil vigili del fuoco.
    É possibile che la Valle di Susa possa avere un'autoscala?
    «Sinceramente, anche per quanto riguarda l'ultimo incendio all'azienda agricola di Condove, sarebbe cambiato poco avere a disposizione un'autobotte nel distaccamento di Susa. A parte questo, se riuscissero ad acquistarla attraverso una raccolta fondi e poi donarla alla sede di Susa, si potrebbe anche fare. Ma il prezzo di questi mezzi, anche usati, resta comunque molto alto. Basti pensare che, a parte quello nuovo al Lingotto, i nostri hanno una ventina di anni di servizio e necessitano di una continua e accurata manutenzione ».
    Quanti soccorsi vengono effettuati all'anno con l'impiego delle autoscale?
    «Guardi Lingotto si attesta sul migliaio di soccorsi all'anno e più o meno lo stesso numero di quelli effettuati dalla sede di corso Regina. E, la maggior parte di questi, vengono effettuati in città dove c'è il numero maggiore di palazzi di una certa altezza».
    Che tipo di interventi?
    «Ovviamente non si tratta solo di incendi ma, soprattutto, di apertura porte o soccorsi a persone che abitano in appartamenti agli ultimi piani dove è necessario operare in sicurezza visto che spesso si sale a oltre venti, trenta metri dal suolo».
    Quindi nella provincia Torinese è minimo l'utilizzo delle grandi autoscale?
    «Si impiegano quando serve ma, ripeto, la maggior parte degli interventi avviene in città. La macchina che arriva fino a 42 metri d'altezza, ad esempio, lavora bene sui grandi viali, dove c'è spazio, ma potrebbe essere in difficoltà in molte strade di alcuni paesi».

 

22.04.23
  1. PRENDIAMO SOLO I SOLDI A FONDO PERDUTO :   «Il sistema Italia non è in grado di mettere a terra tutti i progetti del Pnrr, bisogna prendere solo le risorse che siamo in grado di spendere». Di fronte alla platea dei più importanti imprenditori cuneesi, durante la presentazione della classifica Top 500, a cura di Pwc e La Stampa, il ministro della Difesa Guido Crosetto, affronta i temi economici e finanziari, dal Recovery al Mes ai balneari. Invita l'Europa a fare di più per il cessate il fuoco in Ucraina e a investire con forza in Africa per cambiare il verso dell'immigrazione.
    Ministro rischiamo di perdere i fondi del Pnrr?
    «L'Italia può fare tutto tranne che perdere i soldi. Faccio un esempio: prendiamo 100 milioni di euro per un'opera, entro la scadenza ne spendiamo solo 98. Significa che dobbiamo restituirne 98 milioni e ci teniamo l'opera non finita che dovremo pagare con il nostro bilancio. Il problema non è solo burocratico, di progettazione. La vera domanda è l'Italia ha la possibilità di scaricare a terra 200 miliardi in tre anni».
    Che risposta si dà?
    «La risposta va cercata nel Paese. Se io progetto di fare, ad esempio, 100 chilometri di gallerie e non ho le talpe per scavare, è inutile che faccio l'appalto. Perché le aziende che producono le talpe che scavano le gallerie sono 3 al mondo. Una è tedesca e due sono cinesi, e hanno prenotazioni per i prossimi 5 o 6 anni. Quando il Pnrr sarà già terminato. La discussione in Europa è su questa tagliola. La risposta del governo deve essere pragmatica, reale, valutata nei tempi».
    Abbiamo chiesto troppi fondi? L'Italia è l'unico Paese che ha chiesto tutto.
    «Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere».
    Rifare gli stadi serve?
    «Un investimento deve produrre qualcosa. Non so se rifare uno stadio sia proprio un investimento come una strada, un ponte o il 5G».
    Veniamo al Mes, restiamo gli unici a non aver approvato la riforma.
    «Il Mes non è nato come forma di finanziamento, ma come possibilità dell'Europa di intervenire in crisi come quella greca. E in Grecia dopo il maxi-prestito, la Troika ha commissariato una nazione sostituendosi al Parlamento. A me non piace. Se il Mes diventasse uno strumento che sostituisce la possibilità della Bce di intervenire nell'acquisto dei debiti sovrani quando si alzano troppo i tassi allora se ne stravolgerebbe il ruolo originale e potrebbe diventare utile».
    Perché la Francia ha firmato e noi no?
    «Perché pensa di non averne bisogno».
    La guerra in Ucraina sarà ancora lunga?
    «Per la Russia i morti e il tempo non hanno valore. Putin vive in una condizione per cui i morti, 100 mila o 300 mila, e il tempo, 1 anno o 3, non sono un problema. Per l'Occidente il tempo, i morti e le opinioni pubbliche sono un fattore rilevante. Si scontrano due mondi completamente diversi».
    Zelensky ha detto che la pace si può ottenere quando l'Ucraina avrà riconquistato tutti i territori , Donbass compreso. Una prospettiva da tempi lunghi per la pace.
    «L'Italia si muove lungo due linee portanti. La prima è quella dell'aiuto: dobbiamo garantire all'Ucraina il diritto a difendersi. Ma dall'altra c'è un costante e quotidiano impegno a provare a costruire un tavolo per la pace. Perché adesso l'unica cosa che noi possiamo cercare di fare non è far finire la guerra, ma far interrompere lo scontro e provare a far sedere allo stesso tavolo due interlocutori che non si parlano e non hanno nulla in comune».
    Che ruolo può avere la Ue?
    «Auspicherei un ruolo maggiore dell'Europa per cercare di gettare acqua sul fuoco. Perché si è bravissimi a buttare benzina, ma non c'è nessuno che fa il pompiere. Noi abbiamo bisogno di pompieri in un mondo in cui l'Onu, che doveva essere il pompiere, ha perso la possibilità di esserlo. Perché il Consiglio di sicurezza è bloccato dai membri permanenti come Russia, Cina, Stati Uniti. Quindi per la pace c'è bisogno di un altro interlocutore».
    Può esserlo la Cina?.
    «"La Cina dev'essere un interlocutore al tavolo della pace. Per gli imprenditori però è un grandissimo concorrente. È uno dei temi che dobbiamo porci in Italia e in Europa. Io oggi voglio sapere fra trent'anni quale sarà la terra rara, di cui magari non abbiamo nulla. E in quest'ottica per l'Europa e per tutto l'Occidente, diventa rilevantissimo quello che fino adesso abbiamo considerato un problema: l'Africa dove i cinesi cercano di farla da padroni».
    Le imprese lamentano di non trovare manodopera e chiedono più immigrati. Il governo invece chiude le porte.
    «Il tema non sono i 200-300 immigrati al giorno. Il tema è che se tu non cambi la situazione in Africa, fra vent'anni ci saranno 1,5 miliardi di disperati che guarderanno verso noi perché non avranno di che sfamarsi. O li fermi adesso facendoli crescere, o fra vent'anni 1,5 miliardi non li fermi mettendo tutte le marine, gli eserciti e le aeronautiche d'Europa. Quello che adesso è un problema, fra vent'anni invece può essere la vera arma in più dell'Europa per l'indipendenza totale dall'Asia per materie prime, acqua, produzioni agricole».
    Insisto. Nel Def, redatto dal Tesoro del governo, nei numeri dell'Inps, c'è scritto che senza migranti anche nel breve periodo i conti pubblici rischiano di non reggere.
    «C'è una doppia immigrazione: quella che diventa lavoro normale, pagato, e quella che serve in molte zone del Paese ad abbassare il livello del costo del lavoro illegalmente, facendo concorrenza sleale. L'immigrazione non vuol dire porte aperte a tutti. Ha senso quando c'è l'integrazione. Se io prendo 1000 persone e le ghettizzo in un quartiere, le faccio vivere di sussidi e le dimentico, creo un esercito di 1000 persone che si sentono trattate come nei quartieri francesi dove non entra né polizia né esercito. L'immigrazione è un problema serio e non vuol dire lavarsi la coscienza».
    Insisto ancora, all'ultimo click day l'offerta era di 80mila posti di lavoro ma le aziende ne chiedevano 250mila.
    «Dobbiamo abituarci a chiedere le cose di cui abbiamo bisogno. E noi abbiamo bisogno di ingegneri. E con 850 ingegneri elettronici l'anno non abbiamo futuro».
    Ma i giovani ingegneri vengono pagati 1500 euro al mese. Forse basterebbe alzare gli stipendi.
    «C'è il mercato. Se trovo qualcuno che mi paga di più mi sposto e molti ragazzi si stanno spostando all'estero. Alla fine il mercato regola. I l problema è la formazione. Ancora oggi abbiamo troppi diplomati e laureati in materie umanistiche e troppo pochi in materie scientifiche».
    Passiamo alle tasse: nel programma di governo era annunciata una forte riduzione. Nella manovra però non ci sono le risorse.
    «Intanto il governo ha cominciato da 5 mesi. Quando siamo arrivati il prezzo dell'energia era alle stelle, il Pil scendeva, la guerra era - ed è - in corso. Un percorso difficile, ma con poche risorse abbiamo cercato di dare qualche segnale. La ricchezza la crea l'attività privata. Lo Stato la deve amministrare e non la deve toccare se viene reinvestita.
    Certo non possiamo fare altro debito. E non solo perché l'Europa non lo consente.
    «Non dobbiamo avere un rapporto di soggezione con la Ue. Perché la Ue tende a mettere regole molto dure per alcuni e poi consente al Lussemburgo di utilizzare regole fiscali di grande vantaggio. Allora vogliamo anche noi le stesse regole. Dobbiamo renderci concorrenziali dal punto di vista fiscale e amministrativo rispetto agli altri Paesi europei.
    Le imprese ogni giorno indossano l'elmetto per contrastare i concorrenti. Il governo invece tutela i balneari.
    «Si possono adeguare regole e tariffe, senza portare avanti un'ideologia. Se a parità di incasso per lo Stato posso avere 100 bagni gestiti da 100 famiglie o 100 bagni gestiti da una sola grande società, preferisco avere 100 famiglie».
    Il 25 aprile sarà a Cuneo e a Boves, luoghi simbolo della Resistenza antifascista. Non si porta il presidente del Senato La Russa al seguito?
    «(Sorridendo) Sarò con il Presidente della Repubblica. Io viaggio solo con la prima classe.
  2. Sudan
    Polveriera

    Sapete come è: tutte le storie hanno un inizio. Qui in Sudan l'inizio e la fine si chiama AK-47. Perché questa è una delle terre del kalashnikov dove grava il diminuito rispetto della vita e dell'individuo che le guerre portano con sé come portano la peste. Guardate come lo stringono i famigerati malfattori della battaglia di Khartum dove i morti "contati" sono già più di seicento tra cui un cittadino americano, e questo forse sarà quello che fa la differenza. L'Italia intanto prepara l'evacuazione dei duecento connazionali, e lo stesso fanno gli Usa e gli altri Paesi europei.
    Dalle zone bombardate si alza un fumo nero, tremulo, vegetale. Lo levano in aria, il loro fucile d'assalto, lo maneggiano a raffica, non se ne separano mai, segno di forza e garanzia di sopravvivenza, potere e modernità, amuleto e salvezza, correttivo miracoloso alla paura che, per chi è privo di Tempo e di Storia come costoro, è spavento senza nome, terrore perpetuo e buio. Unico correttivo alla sciagura di essere nati in un luogo dove il destino non sembra offrirti possibilità e puoi giocare, ogni giorno, una sola carta per sopravvivere.
    Perché non buttare via la "malloda", la zappa, con cui puoi far crescere in po' di sorgo, di mais? La terra è deserto, o non è molto fertile, e non ci sono aratri trattori sementi concimi. Meglio affidarsi agli aiuti internazionali, un sacco di farina prima o poi arriva sempre. Il meccanismo funziona, lo conosco, tu attendi il cibo in qualche campo di rifugiati, non dai fastidi al governo, del nord e del sud, che continua i suoi traffici, la corruzione, le guerre private. I bianchi perfezionano anche loro gli affari petroliferi e minerari e con l'elemosina si salvano l'anima.
    E allora la soluzione ce l'hai in pugno. Con il kalashnikov sei un uomo, puoi difendere la tua famiglia, trovare un padrone, altrimenti sei niente. Toccatelo, guardatelo: tre chili di ferro e di legno, antico o nuovo, semplice, robusto, affidabile, micidiale. Il prodigio di un diavolo sovietico con laurea da ingegnere che ha creato il comunismo della morte, che rende possibile perfino le economiche armate di bambini. I segni della guerra qui si cancellano alternativamente sepolti dalle siccità e dalle inondazioni, quando il vento solleva la sabbia o l'acqua si ritira ricompaiono, ossa teschi, morte indisturbata, abbandonata a sé stessa accanto alla vita. Le capanne con un po' di frasche e di fango si ricostruiscono in fretta, c' è sempre una bidonville un poco più in là. A Khartum quelli che il kalashnikov non l'hanno ora fuggono, lasciandosi dietro i loro miseri avanzi, e la città resta indietro deserta e sola, in preda ai suoi padroni. Si preparano a fuggire anche gli occidentali: per i tedeschi è già certo, gli americani hanno le forze speciali pronte nella base di Gibuti. Noi (gli italiani sono duecento) definiamo la situazione «preoccupante». Chissà.
    Vivevamo questi giorni feroci del Sudan, della guerra civile tra esercito e milizie, nell'angosciosa attesa dell'irrompere dei mercenari russi della Wagner putiniana, accorti fornicatori di tutte le tragedie africane lasciate a incancrenire da noi, illuminato occidente. E invece i pretoriani di Prigozhin l'africano stanno quatti, alleati di tutti, del generale dittatore e del suo rivale. Aspettano di vedere chi vincerà la battaglia per il potere. Ecco spuntare loro, gli islamisti, poiché nelle terre dove il kalashnikov segna la distinzione tra umano e disumano sono a loro agio, ne sanno sfruttare ogni piega, stabilmente incistati negli interstizi del caos. Sono già tutti intorno, shebab, isis, al qaida, in Somalia, Mozambico, Centrafrica. Il Sudan è uno dei luoghi da cui da tempo sono usciti dall'ampolla e benché all'inizio sembrassero un gracile demonietto, hanno iniziato a crescere fino a diventare tanto grandi da agguantare mezzo mondo per la gola. Il Sudan è il segnalibro nella narrazione del jihad africano. Comparse, semplici ascari, o protagonisti? Chissà. Sarebbe un paradosso dover chiedere aiuto ai manovali putiniani della Wagner per mettere in salvo gli occidentali finiti ostaggio della battaglia di Khartum!
    Dicono che gli islamisti siano più numerosi tra i sostenitori del generale Burham: i fedeli del dittatore al Bashir, l'amico di Bin Laden, sopravvissuti senza troppi danni alla stenta rivoluzione del 2019, rimasti soprattutto nell'esercito regolare in ruoli di potere. Il suo rivale Mohamed Dagalo detto Hemetti proclama di aver scatenato proprio contro di loro le sue milizie per portare a termine «la liberazione» rimasta a mezzo, tradita cinque anni fa. Ma qui è tutto un gioco di ombre grigie, di sigle. Il nucleo della lugubre armata privata del golpista è tratto dalle tribù guerriere del Darfur dove si sono esercitate ad ammazzare nella pulizia etnica dei neri "africani". Ebbene le reclute del "Movimento per la giustizia e la legalità'' del grande vecchio, Hasam al Turabi, erano raccolte proprio nel Darfur tra la tribù degli zaghawa. Turabi: santone ambiguo e misterioso, regista della sharia con laurea alla Sorbona, soprattutto tessitore negli anni ottanta della prima Internazionale islamista a cui, in fondo, Bin Laden ha poi aggiunto soltanto un arsenale e grandi fondi, una mentalità da multinazionale e le occasioni che gli hanno offerto i tempi nuovi della jihad contro l'Occidente.
    Abbiamo dimenticato in fretta che ancora prima di Tourabi qui è sbocciata la prima jihad contro lo strapotere dell'Occidente, per cancellare la gigantesca allucinazione secondo cui sono solo i suoi eventi a fare la Storia, e agli altri non resta che vivere in una condizione di ciclico stupore, sgomenti e paralizzati.
    Si voleva purificare, partendo da questi deserti, armi alla mano, prima il mondo corrotto dell'Islam e poi quello pestifero dei miscredenti. Sì, come spesso accade, è nelle periferie del mondo che l'incendio meglio si attizza, trovano nuovo vigore formule come la guerra santa, il regno di dio sulla terra, che immaginiamo venute a finir qui come i vecchi battelli coperti di ruggine che solcano il Nilo. Per capire il perché verso sera, l'aria trasparente non vibra più come se uscisse da un forno, bisogna andare a Omdurman passando un ponte sul Nilo bianco, raggiungere la moschea della città araba, assai più vecchia di Khartum. Le storie più antiche e drammatiche vi sono riposte, di quando i sudanesi tennero testa fieramente agli inglesi e agli egiziani che si dividevano in diseguale condominio questo gigantesco frammento d'Africa.
    A insorgere contro il regime corrotto ed esoso del kedivè egiziano, gran trafficante di avorio e di schiavi, fu un misterioso "profeta'' Ahmed Mohammed che si fece chiamare il madhi, il Messia. Annunciava guerra, ovviamente santa, ordinava di cacciare gli stranieri e portare le sue schiere armate di elmi e corazze quasi medioevali, lance e spingarde fino a liberare la Mecca e Istanbul dagli apostati, a pregare nella grande moschea sul Bosforo. Conquistò Khartum, massacrò egiziani e inglesi, trucidando una leggenda dell'Inghilterra vittoriana, Gordon pascià, singolare figura di mistico e beone, implacabile missionario del colonialismo con la Bibbia in mano.
    Ci vollero tredici anni agli inglesi per riconquistare Khartum dopo aver risalito il Nilo con le cannoniere. Il madhi nel frattempo era morto, davanti a Omburdam si combattè la battaglia decisiva. Gli inglesi ebbero 49 morti, i jihadisti diecimila. La moschea con l'immensa cupola argentata era allora il mausoleo del Madhi. Il sarcofago è vuoto, gli inglesi lo hanno aperto nel 1898 e hanno gettato le ossa nel Nilo. Il cranio fu riservato alle macabre curiosità del museo antropologico di Londra. Nel 1958 al momento della indipendenza i sudanesi furono più civili con la grande statua che celebrava il generale Gordon. Con una cerimonia austera la smontarono dal piedistallo e chiesero agli inglesi di venire a riprendersela. —
  3. ERA  ORA CHE CE NE ACCORGESSIMO : La siccità diventa sempre più grave, nonostante la leggera pioggia caduta nelle ultime ore su diverse zone del Torinese. Lo confermano le statistiche raccolte dall'Arpa che evidenziano come a febbraio sia caduto l'80 per cento di acqua in meno. Un dato ben al di sotto della «norma climatica» registrata dal 1991 al 2020. Fanno eccezione le zone delle Alpi occidentali dove le nevicate, soprattutto di fine mese, hanno contenuto il deficit intorno al 40 per cento. E le portate medie dei fiumi sono calate del 70 per cento.
    Con la fine del mese, si è chiuso anche l'inverno meteorologico 2022-2023. L'ennesima stagione anomala sia dal punto di vista delle temperature visto che è stato il nono inverno più caldo degli ultimi 66 anni e ha contribuito ad accelerare lo scioglimento dei ghiacciai e della poca neve che si è depositata in quota. E, proprio pioggia e neve, alla fine, hanno fatto registrare un deficit complessivo di circa il 45 per cento in meno rispetto alla norma 1991-2020. Ma il deficit è ancora più marcato sulle zone pedemontane delle Alpi Occidentali dove è arrivato fino al 50 per cento. In sintesi, se si da un'occhiata ai dati raccolti da Arpa nell'ultimo anno, si può evincere come in 10 mesi su 12, le precipitazioni sono state molto sotto le medie stagionali innescando quindi condizioni di siccità «severa o estrema».
    E questo lo si vede guardando i letti di fiumi e torrenti che si sono trasformati in distese di terra, sabbia e sassi.
    «Le portate dei corsi d'acqua del reticolo idrografico principale e secondario permangono ovunque al disotto dei valori medi storici di riferimento - spiegano i tecnici dell'Arpa -. I deficit più significativi si registrano nel bacino del Tanaro con valori oltre il meno 70 per cento e anche lungo l'asta del Po dove si passa da oltre il meno 70 per cento di Torino a oltre il meno 60 per cento a valle a Isola Sant'Antonio.
    All'idrometro di Isola Sant'Antonio, che rappresenta la chiusura del bacino piemontese del Po, la portata media di febbraio, pari a 124 metri cubi al secondo, in una classifica di portate mensili di febbraio dal 1996 al 2022, si posiziona al primo posto tra le più basse, seguita dal 2005 dove era stata pari a 158 metri cubi al secondo.
    «Ritengo positivo il piano di investimenti presentato dal ministro Pichetto - spiega Roberto Colombero, il presidente di Uncem Piemonte - . Molti punti toccati e le proposte fatte, a fronte di stanziamenti economici, vanno nelle direzioni promosse e auspicate da Uncem». «Chiediamo a governo e parlamento di prevedere bonus e incentivi per dotare i nostri immobili, anche pubblici, di sistemi domestici di accumulo, come fanno altri Paesi europei» - continua Colombero. Uncem accenna poi ai gettiti economici che si otterranno in Piemonte dal rinnovo delle concessioni delle grandi derivazioni idroelettriche, scadute o in scadenza. «L'uso plurimo, idropotabile e idrolettrico in primis, dell'acqua di questi bacini è un punto fermo - dice Colombero -. Investimenti si potranno fare trasformando, con nuovi o vecchi gestori delle concessioni, le centrali in "pompaggi", riutilizzando la stessa acqua per produrre energia verde. Ho avuto modo confrontarmi con gli amministratori di Ceresole Reale. In tutta la Valle Orco e altre Valli alpine possono convivere usi diversi della risorsa idrica, senza conflitti e generando opportunità, anche turistiche e ambientali, per le comunità locali»
  4. APERTI GLI OCCHI ? Gli avversari lo definiscono un caterpillar delle urne elettorali. I maligni un "signore delle tessere" per via della sua capacità di mobilitare iscritti ed essere sempre determinante nelle competizioni interne al centrosinistra. Il deputato del Pd Mauro Laus finisce ora sotto la lente della procura. E la questione non è politica, ma legata all'attività della Rear, cooperativa fondata nel 1984 per offrire una gamma di servizi tra cui vigilanza, teleallarme e antincendio. Un colosso, la principale società del settore nell'area piemontese, 1.500 dipendenti e 30 milioni di fatturato. L'altro giorno, la Guardia di finanza si è presentata negli uffici della Rear, della Regione, di cui Laus è stato presidente del Consiglio regionale dal 2014 al 2018, e del Forte di Bard in Valle d'Aosta, dove la coop gestisce l'appalto per l'attività di presidio e accoglienza dei visitatori. I finanzieri avevano con sé un'ordine di esibizione e hanno acquisito diversa documentazione: registri contabili, contratti, bilanci e così via. «Riceveranno tutto nel dettaglio», assicura Laus. Massima collaborazione, quindi? «Non userei questi termini. Per quanto mi riguarda non ci sono problemi. Non ho il minimo dubbio sul nostro operato, ma tutte le verifiche sono legittime».
    Gli accertamenti, coordinati dal procuratore aggiunto Enrica Gabetta e dal pubblico ministero Alessandro Aghemo, hanno preso il via da una segnalazione inoltrata dalla stessa Guardia di finanza. Accertamenti esplorativi. I militari avrebbero controllato i conti della cooperativa e pare abbiano riscontrato qualche anomalia. Il sospetto è che ci sia stato un utilizzo improprio dei proventi derivanti dalle commesse pubbliche e che alcune somme di denaro siano state utilizzate in modo improprio rispetto alle attività della cooperativa che ha una posizione dominante nel settore e contratti con enti, poli culturali, aziende, istituzioni pubbliche. «Ci possono essere tutte le ipotesi di questo mondo, ma da parte mia e della società i dubbi sono zero. Non zero virgola qualcosa, proprio zero», ribadisce Laus. Che si dice «sereno sui comportamenti tenuti in questi anni sia da me sia dalla società». E aggiunge: «Sono tanto dispiaciuto, questo sì».
    La Guardia di finanza ha chiesto documentazione e chiarimenti alla direttrice del personale, al dirigente della società e al fiscalista. «L'ufficio amministrativo sta preparando tutta la documentazione richiesta», ribadisce il deputato.
    Da oltre un decennio tra gli esponenti di punta del Partito democratico a Torino, Mauro Laus è stato anche presidente del Consiglio regionale. Nel 2018 viene eletto al Senato e nel 2022 passa alla Camera. Questa la carriera politica. Della Rear, spiega, «sono semplicissimo socio». In passato è stato presidente della multiservizi. «Quando poi ero in Consiglio regionale, ho preferito uscire dal consiglio d'amministrazione della società. Non era un atto dovuto, ma l'ho deciso per una questione di opportunità».
    La procura ora vuole vederci chiaro su come funziona Rear. Ma il deputato è chiaro: «È evidente che ci sono dei dubbi, ma li dissiperemo. Poi qualcuno quei dubbi li avrà anche fatti venire».
    Dal 1990 al 2022 la Rear ha incrementato il fatturato, il numero di dipendenti, e ha diversificato la gamma di servizi offerti: vigilanza in primis. E portierato, gestione di centralini e front-office, fino alla fornitura di hostess e steward. Eppure le polemiche, nella sua storia, non sono mancante. Anzi. Una decina di anni fa i lavoratori del Museo del Cinema, dipendenti della Rear, avevano denunciato di essere sottopagati. E persero il lavoro. Una storia che fece il giro del mondo. Al punto che il regista Ken Loach, in gesto di solidarietà, nel 2014 rifiutò il premio «Gran Torino» del Torino Film Festival. Parlando di «sopruso». La vicenda era iniziata nel 2012. Il tribunale del Lavoro aveva riconosciuto come illegittimi i licenziamenti di quei dipendenti lasciati a casa dopo aver contestato una retribuzione che dicevano «da fame, a cinque euro lordi l'ora». Corsi, ricorsi, questioni giuridiche e guerre sindacali. Accuse di stipendi troppo bassi, di appalti sotto soglia. E polemiche politiche. Anche interne al centrosinistra e al Pd, dove Laus è potente ma non amato da tuttI.
  5. FESSERIE DA DECISORI INCOMPETENTI ED ARROGANTI: Legambiente, docenti universitari ed esperti lanciano l'allarme: "Si rischia di creare l'effetto isola di calore, in estate fino a tre gradi in più" Il vecchio pavimento si scalda fino a 50 gradi, il bitume può raggiungere anche i 60: "E in più perdiamo il valore storico della nostra città"
    Dalle pietre all'asfalto via Po diventerà rovente "Temperature più alte, rimpiangerete le lose"
    «La sostituzione in via Po delle pietre con l'asfalto nasconde un altro problema: aumenta il cosiddetto effetto "isola di calore"». Mentre l'escavatore solleva le prime lose (è in corso anche un sondaggio archeologico) Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta, solleva il tappo dal vaso di Pandora. «L'asfalto è più scuro – spiega –; si scalda di più». Di quanto? «Non di poco – precisa Gian Vincenzo Fracastoro, già ordinario di fisica tecnico ambientale del dipartimento di Energia del Politecnico di Torino -; stiamo parlando di 5/10 gradi in più rispetto alla pietra». Il che vuol dire che, a parità di condizioni, se la pietra si scalda di 50 gradi al sole, l'asfalto può raggiungere i 55/60 gradi.
    Di conseguenza, anche l'aria e l'ambiente della via aumentano di temperatura. Un problema non indifferente, soprattutto nel periodo maggio-settembre. Di quanto può aumentare? «Anche di 3°C», chiosa Teodoro Georgiadis, primo ricercatore all'Istituto di Biometeorologia del CNR di Bologna. Il pensiero va all'estate 2022, quando la temperatura ha superato, per giorni, i 35.
    «Problemi come quelli di via Po li ho vissuti anche a Roma – spiega Georgiadis – dove ci sono tanti motorini che effettuavano continue cadute sui sampietrini bagnati». Le pietre di via Po hanno proprietà di riflessione dei raggi solari più elevati dell'asfalto. «Se l'asfalto ne riceve il 98%, le lose si fermano al 50% - precisa Georgiadis, fisico esperto in pianificazione territoriale e specializzato in bilanci energetici superficiali nell'ambiente urbano –; non è assolutamente un fattore da sottovalutare». Una soluzione? «Se davvero si procede come presentato dal progetto, consiglio ai tecnici comunali di effettuare un esame fluidodinamico, da confrontare poi con i dati al termine dei lavori: rimpiangerete le pietre. Mi rendo conto che i costi per lasciare le lose sono superiori, ma ne va anche della salute».
    Fracastoro è, nella sua specializzazione, un esperto di lunga esperienza. «Lo dico subito – precisa – da ciclista le pietre sono oggettivamente un problema, ma lo risolvo passando dalla pista ciclabile di via Principe Amedeo; da Torinese penso che stiamo perdendo pian piano il valore estetico e storico della nostra città; da ingegnere credo che il problema sia serio e da non sottovalutare. Ho letto con grande attenzione i pareri dei colleghi ieri sulla Stampa: concordo con entrambi». Oltre alla proprietà di emanare calore, la pietra ha una maggiore capacità di diffondere il calore nel terreno sottostante. «In questo l'asfalto si comporta come una barriera – continua Fracastoro – mentre la pietra rilascia il calore al di sotto: questo è un aspetto di grande importanza».
    «Se volessimo risolvere il problema dell'isola di calore bisognerebbe piantare gli alberi lungo tutta la via, o perlomeno una serie di cespugli – conclude Fracastoro -; ovviamente è impossibile, e lo dico come provocazione. Negli ultimi anni negli Stati Uniti hanno testato un nuovo materiale con resa simile alla losa. È un mix composto da pietre sminuzzate e cemento; si può colorare a piacimento e sarebbe una valida alternativa all'asfalto. Si potrebbe anche avere del colore simile alla pietra storica. I risultati sono buoni, ma ancora non conosciamo la sua durata; quindi, non sappiamo se sia conveniente».
  6. DELINQUENTI : la coppia applicava interessi mensili al 20%. in caso di ritardo intimidivano, pedinavano e picchiavano le vittime
    Usurai in manette: "Ricattavano i più deboli"
    irene famà

    Approfittavano delle difficoltà economiche dei loro connazionali. Di chi, lasciato il Perù per raggiungere l'Italia e Torino, non riusciva a far quadrare i conti. A trovare i soldi per la spesa, le bollette, le scuole dei figli. Vanessa Alfaro Lopez, 43 anni, e il compagno Juan Carlos Ticona Vilcapoma, 44 anni, sono stati arrestati dai carabinieri su misura cautelare. Usura, questa l'accusa. E ancora. Tentata estorsione, lesioni e abusiva attività finanziaria.
    Già in Perù erano conosciuti come una coppia senza scrupoli, incline alla violenza. Una nomea che avevano alimentato anche in Piemonte. Individuano i soggetti più deboli, con lavori part time e un reddito molto basso. Prestavano soldi e poi chiedevano interessi intorno al 20%. Le rate le pretendevano ogni mese. Se qualcuno non riusciva a pagare o era in ritardo con la consegna del denaro? Scattavano le minacce, le intimidazioni. E in alcuni casi anche le botte. Com'è successo a una donna aggredita a Collegno il 21 giugno 2022 durante una festa. Nell'agosto 2019, la signora si era rivolta alla colpa per un prestito di 2.500 euro. Voleva aiutare un amico che non aveva i soldi per pagarsi un volo dall'aeroporto di Jorge Chávez, a Lima, a Caselle. Così si era rivolta alla coppia. L'amico quei soldi non li ha mai restituiti e lei si è ritrovata a pagare gli interessi sino all'agosto 2021. Ma il denaro, ai due, non bastava mai. Durante quella festa, ne hanno chiesto altro. E poi l'hanno colpita con calci e pugni.
    La donna si è rivolta ai carabinieri della compagnia Torino San Carlo e la sua denuncia è finita in procura, sul tavolo del pubblico ministero Paolo Del Grosso. Intercettazioni, testimonianze. Diverse persone hanno raccontato agli inquirenti di essere finiti nella rete della coppia. Una signora, in città da nove anni, ha spiegato di lavorare come colf: «Con uno stipendio di 500 euro al mese non riuscivo a far fronte alle spese. Così ho chiesto in giro e mi hanno consigliato di parlare con loro». Un'altra signora, dopo essersi separata, non sapeva come pagare la scuola ai figli. «Ti ho chiamato per dirti che non potrò pagarti questo mese», diceva una vittima. «Devi dare sempre, devi dare quello», rispondeva l'indagata intercettata al telefono dai carabinieri.
    Vanessa e Juan Carlos, questa l'ipotesi degli inquirenti, vivevano di usura. «Era la loro principale fonte di sostentamento», si legge negli atti. Accompagnavano i figli a scuola al mattino, poi qualche «furto in dei negozi di abbigliamento» e quei prestiti. Accorti nelle chiamate, invitavano gli interlocutori a «parlare con attenzione». «Suave, no mas». Durante la perquisizione nel loro appartamento, i carabinieri hanno sequestrato un libro mastro su cui risultano annotati nomi e cifre: per gli investigatori si tratta dei conteggi dell'attività usuraia.
    L'autorità giudiziaria ha poi disposto il sequestro preventivo di seimila euro e di un'auto.

 

 

21.04.23
  1. I SOLDI DI PUTIN :  Mentre combatteva l'Occidente corrotto e l'ossessione del consumo, Kirill consumava, a sua volta. E non poco. La Chiesa ortodossa russa ha definito «un'assurdità» le voci di ville sul Mar Nero e yacht, conti in Svizzera e orologi da decine di migliaia di euro (ma con un Breguet da 30mila dollari è stato fotografato ancora nel maggio 2022). Eppure Novaya Gazeta scrisse (senza mai arretrare) che Kirill era intestatario di conti correnti tra quattro e otto miliardi di dollari: in Svizzera, Austria e – ça va sans dire – Italia. Il giornale russo aggiunse che la cifra esatta era difficile da stabilire, perché «il patriarca ha preferito mantenere i suoi risparmi in banche svizzere, da dove solo negli ultimi anni sono stati parzialmente trasferiti in Austria e in Italia (probabilmente sotto le garanzie del Vaticano)». I monaci ortodossi in teoria fanno voto di non possesso quando vengono ordinati, ma ciò non sembra aver fermato l'accumulo di Kirill. Il collettivo di reporter indipendenti russi Proekt ricostruì che il patriarca possiederebbe, insieme a due dei suoi cugini di secondo grado, immobili per 2,87 milioni di dollari a Mosca e San Pietroburgo. La seconda dei due cugini, Lidia Leonova, di 73 anni, avrebbe a Mosca una casa del valore di circa 600mila dollari su Gagarinsky Pereulok, più una di 533mila dollari a San Pietroburgo sul Kryukov Canal. L'appartamento sul canale ha una storia nella storia interessante: le fu donato nel 2001 da un uomo d'affari, Alexander Dmitrievich, grande amico di Kirill, pochi mesi dopo che il sindaco di Mosca aveva ritirato le pretese del Comune in un contenzioso contro colui che, secondo Proekt, era un presunto partner commerciale di Dmitrievich, un italiano di nome Nicola Savoretti (uno dei non pochi contatti italiani del religioso). Savoretti replicò che Kirill non si era adoperato per la risoluzione di quella vicenda e di non avere progetti in comune con Dmitrievich.
    Carte in possesso di collettivi di giornalisti indipendenti russi hanno poi consentito di ricostruire che Kirill avrebbe una residenza sul Mar Nero vicino a Gelendzhik, la cui costruzione è stata stimata in un miliardo di dollari, che appartiene formalmente alla Chiesa ortodossa russa ma dove non è permesso libero accesso nemmeno ai vescovi, rilevò Novaya Gazeta. La residenza di Gelendzhik, casualmente, non è lontana dal celebre palazzo di Putin di cui ha parlato Alexey Navalny. Kirill possiederebbe poi azioni in una serie di proprietà immobiliari tra Mosca, Smolensk e Kaliningrad, e uno chalet vicino a Zurigo. Il tutto prescindendo da venti residenze che formalmente appartengono a varie organizzazioni religiose che sono emanazione della Chiesa ortodossa russa. Una specie di miracolo dorato, come le icone ortodosse del grande Andrey Rublev.
    (...) Altre storie, tipo i suoi presunti aerei, ci hanno riportato ancora una volta in Italia, da dove sono decollati alcuni dei voli di Kirill verso la Grecia, la Crimea, la Siberia. Chi proteggeva il patriarca miliardario nel Belpaese? Forse lo stesso Vaticano? In un documento ufficiale del 2 giugno 2022, l'Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro americano ha posto sotto sanzioni una apparentemente oscura società aerea di San Marino, a diciannove chilometri da Rimini. La Srl Skyline Aviation (Skyline) è coinvolta per aver operato avanti e indietro in Crimea con l'aereo targato T7-OKY, nel quale la società aveva cointeressenze. Secondo gli americani, lo schema costruito era questo: jet di proprietà di Vtb Bank, la banca braccio del comparto militare industriale del Cremlino, erano controllati dall'amministratore delegato di Vtb Bank, Andrey Kostin – che ha ricevuto un'alta onorificenza dalla Repubblica italiana poche settimane prima dell'invasione russa in Ucraina. I velivoli sono stati trasferiti a una società offshore anonima, ma per gli Stati Uniti il capo dello staff di Kostin gestisce ancora questi jet, che vengono materialmente operati dalla società sanmarinese, Skyline. Cosa c'entra Kirill è presto spiegato: tracciando i voli di uno degli aerei di Skyline, si è scoperto che il patriarca ha ripetutamente usato, quasi in esclusiva, un jet privato Gulfstream G450 del valore di 43 milioni di dollari, targato T7-ZZZ, intestato a una società offshore dell'Isola di Man chiamata Helter Management Ltd, riconducibile a Vtb Bank. La società sanmarinese si occupava di assicurare anche comodi trasferimenti per la conduttrice televisiva di Stato Nailya Asker-Zade e per la moglie del primo ministro Dmitry Medvedev, stando a due inchieste della Fondazione Navalny. Tra il 2013 e il 2016, il passeggero di gran lunga più frequente del Gulfstream è stato appunto Kirill. Altre volte (molte meno) sono stati passeggeri l'ex capo dello staff del Cremlino Sergey Ivanov, il vice primo ministro Yuri Trutnev, l'inviato presidenziale Nikolai Tsukanov.
    La Chiesa ortodossa sostiene che questi voli fossero offerti da mecenati e donatori privati. La Skyline è stata messa in liquidazione il 26 novembre 2021. Il direttore generale dell'Autorità dell'Aviazione civile, la navigazione marittima e l'omologazione della Repubblica di San Marino, Marco Conti, ha emesso un comunicato per dire che «durante il periodo di attività (16 agosto 2016-8 aprile 2021) non ha mai compiuto infrazioni o irregolarità alcuna».
    Anche nelle migliaia di carte ricostruite nell'inchiesta Magnitsky – che ha consentito al team di Bill Browder di svelare una truffa miliardaria compiuta dagli uomini degli apparati russi, protetti direttamente da Putin – emerge che diversi fondi illeciti di quella celeberrima frode erano finiti in Italia. Secondo una inchiesta de La Stampa, dalle holding offshore legate al caso Magnitsky arrivano in Italia quasi 90 milioni di euro. Non è possibile dire con certezza che questi soldi siano tutti provenienti dalla vicenda denunciata da Browder, le stesse strutture societarie e i conti correnti a queste collegati, secondo quanto ricostruito, potrebbero essere state utilizzate da soggetti diversi in tempi diversi. Ma sui 230 milioni della frode fa un bell'effetto. Il team di Browder fa un passo in più: «Ci sono stati bonifici dalla rete di riciclaggio di denaro al conto personale in Italia di uno dei più importanti sacerdoti della Chiesa ortodossa russa, l'archimandrita Philip (nome civile Andrey Vsevolodovich Vasiltsev)». I bonifici di cui è stata trovata traccia documentale ammontano ad almeno 435.623 dollari in 32 rate sul suo conto personale nel Monte dei Paschi di Siena. Non abbiamo potuto verificare indipendentemente l'appartenenza di quel denaro alla provvista Magnitsky. Il prelato – poi nominato al rango di abate e segretario dell'amministratore del patriarcato di Mosca in Italia – è stato, si legge sul sito ufficiale del patriarcato, presidente della Fondazione Santa Caterina la Grande Martire a Roma e «responsabile della costruzione della Chiesa di Santa Caterina presso la Villa russa Abamelek a Roma». Villa Abamelek è la residenza dell'ambasciatore russo a Roma.
    Una sera, parlando alla tv bulgara, Valery Simeonov, vice primo ministro della Bulgaria, disse di Kirill: «Quest'uomo non è disceso dal cielo, non è venuto dal paradiso e non è un inviato di Gesù Cristo. È conosciuto come il "metropolita del tabacco" russo. Dal 1996 ha importato 14 miliardi di dollari di sigarette e quattro miliardi di dollari di "vino della Chiesa".
    Possiede anche un jet privato. Il suo orologio costa 30mila dollari. Chi è lui? Non è un sacerdote dell'Europa orientale. È l'agente Mikhailov, agente di secondo grado del Kgb sovietico».
  2. I MERITI DI SPERANZA CHE ENTRA NEL PD: Poche somministrazioni, molti vaccinandi, in teoria, vaccini a gogò. E' la situazione, per molti versi paradossale, se pensiamo a cosa abbiamo visto negli ultimi due anni, in cui versa il Piemonte. E probabilmente le altre Regioni.
    C'è un numero, che dice molto. Anzi due. Attualmente, in base all'ultimo dato fornito dalla Regione, nei magazzini delle Asl si trovano complessivamente 900 mila dosi: di tutto un po'. Di queste, più della metà sono in scadenza tra ottobre 2023 e l'estate 2004. Nel primo caso, quindi, a breve termine: una manciata di mesi. E veniamo al secondo numero: 1800 le somministrazioni settimanali, prevalentemente a Torino; la dimostrazione di una campagna di immunizzazione che ha toccato il fondo. Tra venerdì 7 e giovedì 13 aprile in Piemonte sono state vaccinate 1.833 persone: 42 hanno ricevuto la prima dose, 37 la seconda, 85 la terza, 855 la quarta, 864 la quinta. Di fatto, le quarte dosi hanno bruscamente rallentato mentre le quinte non sono mai veramente decollate. Se la media settimanale continuerà a mantenersi la stessa, significa che prossimamente si porrò il solito dilemma: restituire le dose eccedenti alla struttura centrale, perchè le redistribuisca a Paesi che ne hanno necessità, o attendere che superino la data di scadenza per poi smaltirle, cioè buttarle? L'esperienza ha insegnato che la prima strada è difficilmente praticabile.
    Situazione paradossale, si premetteva, anche perchè il Covid, di cui non parla più nessuno, non è per nulla scomparso. Certo: le attuali varianti sono meno aggressive delle prime, soprattutto della famigerata Delta. Certo: una parte considerevole della popolazione bene o male è immunizzata, al netto del mezzo milione di piemontesi a zero dosi. Oggi il sistema sanitario è sotto pressione per mille motivi, ma non certo per il Covid.
    Il quale, però circola, e guadagna terreno. Se parliamo degli adulti, nella settimana 7-13 aprile l'incidenza regionale è stata 40.6, con andamento in rialzo (+16,1%) rispetto ai 35 dei sette giorni precedenti. Mentre in età scolastica è in calo solo nelle fasce di età 11-13 e 14-18 anni. Il virus avanza, i vaccini arretrano.
  3. LA PROVA DELLA MALAVITA IN PIEMONTE: Il 28 luglio del 2017 nessuno ci aveva capito niente. Serafino Ferrino non era più sindaco di Favria da poche settimane. Due persone lo avevano atteso sotto casa di sera. Stava parcheggiando l'auto in garage e gli sono saltati addosso. Calci, pugni al volto e alla testa. Botte da orbi. Per giorni in paese, e si sa come sono i paesi, si era detto di tutto, ma a ordinare il pestaggio dell'ex primo cittadino era stata la ‘ndrangheta. Che si era offesa perché Ferrino – ha raccontato un testimone ai carabinieri – si era permesso di sostenere che «la sorella di Piero Scalisi (detenuto per associazione a delinquere) aveva un incarico di portaborse al Comune di Favria perché sostenuta dallle cosche». Eccoli qua i boss del "locale" di Ivrea l'undicesima struttura delle cosche scoperta in provincia di Torino e smantellata dai carabinieri del nucleo investigativo di Torino (e di Chivasso) che, ieri mattina, hanno arrestato nove tra boss e gregari . L'inchiesta, coordinata dalla pm Livia Locci conta 35 indagati a vario titolo per associazione mafiosa, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione illegale di armi. Nel mirino sono finiti gli Alvaro, famiglia di élite della mafia calabrese. Il soprannome "Carni i cani" dice già molto dello standing criminale e dell'indole violenta di questa depandance mafiosa che vedeva in Carmine e nel figlio Domenico i leader più carismatici. Accanto a loro, come concorrente esterno, una vecchia conoscenza della giustizia, Piero Speranza, difeso dall'avvocato Celere Spaziante. In passato ne aveva combinate tante, poi si era pentito, rendendo dichiarazioni agli inquirenti anche sui maxi-appalti della Salerno-Reggio Calabria. Ma era tornato alla base. A fare affari con gli Alvaro che per rifornire il suo ristorante – Lago Just Blu di Bollengo di cui gestiva anche la società sportiva dilettantistica – avevano costretto un imprenditore a vendere 10 kg di pesce (capitone) e aragoste per 80 persone a prezzo ridotto («il ristorante – dirà Alvaro è di un amico mio, ma è come se fosse mio. Non dovete guadagnare niente»). Speranza, per conto suo aveva il compito di individuare le vittime da da piegare alle volontà dell'organizzazione, da truffare: la sua specialità. Furbo Speranza, che gode delle amicizie pesanti nella galassia mafiosa, ma rifiuta l'affiliazione, rimanda indietro la concessione di ben quattro doti che gli sarebbero state concesse subito per la fedeltà dimostrata agli Alvaro e che lo avrebbero proiettato in alto nelle ferree gerarchie delle ‘ndrine fino al grado di "santa". Ci sono due avvocati indagati sul versante delle consulenze e intermediazioni offerte in trattative che per la procura sono alla stregua di truffe. Riguardano lingotti d'oro e simili. E nei guai è finito anche l'ex solista del kalashnikov Pancrazio Chiruzzi. Non per mafia, sia chiaro. È accusato di due ricettazioni di lingotti d'oro (da un chilo in totale sui quali avrebbe guadagnato duemila euro. Nell'incheista sono finiti anche i fratelli Francesco e Giuseppe Belfiore, (avvocati Marco Ferrero e Barbara Passanisi): avrebbero fatto un'estorsione ai sodali di Alvaro perchè si erano permessi di fare un truffa a una vittima nel loro territorio di influenza. Lesa maesta'.
  4. TRIANGOLAZIONE : n aprile scorso il regime di Vladimir Putin fatturava oltre 1,1 miliardi di euro al giorno da fonti fossili, oggi la metà. Eppure non tutto sta andando come immaginavano i governi occidentali, quando hanno imposto il regime di ritorsioni più vasto mai concepito contro una delle maggiori economie al mondo. Non avevano immaginato, in particolare, che proprio i Paesi democratici — Italia inclusa — sarebbero diventati protagonisti di un massiccio sistema di aggiramento delle sanzioni contro il petrolio russo.

    La dimensione del fenomeno emerge in un rapporto del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) di Helsinki, un think tank che nell’ultimo anno si è dedicato allo studio dell’export di materie prime dalla Russia. Quel che sta accadendo è tecnicamente legale, non risultano in alcun punto della filiera operazioni clandestine o false fatturazioni.



    C’è però un reticolo di triangolazioni con i grandi Paesi emergenti, che permette a Unione europea, Gran Bretagna, Australia, Stati Uniti e Giappone di violare nella sostanza le misure sul petrolio russo. Se l’intenzione era ridurre le entrate con cui il Cremlino finanzia la guerra, i Paesi democratici stanno agendo in contraddizione con i loro stessi obiettivi.

    […] Dall’avvio dell’aggressione all’Ucraina, le quantità trasportate dalle petroliere prevenienti dai porti russi esplodono del 140% verso cinque Paesi che non applicano le sanzioni: Cina, India, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Singapore. In parallelo, questi cinque Paesi aumentano fortemente le spedizioni di prodotti raffinati — gasolio e carburante per aerei — verso tutti i principali Paesi che, invece, tengono la Russia sotto sanzioni.



    Le spedizioni di derivati del petrolio dalla Cina verso i sistemi democratici crescono nell’ultimo anno del 94%; quelle dalla Turchia del 43%; quelle da Singapore del 33% e dagli Emirati Arabi Uniti del 23%. Nel complesso, nel primo anno di guerra, avviene quello che il centro studi Crea definisce un «riciclaggio» del greggio russo attraverso le potenze emergenti e verso le democrazie, con un aumento delle vendite di prodotti raffinati per 10 milioni di tonnellate e 18,7 miliardi di euro.

    Gran parte dell’aumento si registra dopo il 5 dicembre scorso, quando scatta l’embargo europeo e le democrazie del G7 indicano un tetto di 60 dollari al barile per l’acquisto di greggio russo per chi non applica le sanzioni. Fra il 5 dicembre e il 24 febbraio scorso le democrazie importano quasi 13 milioni di tonnellate di prodotti raffinati dai Paesi che Crea definisce «riciclatori», per 9,5 miliardi di euro. Nel primo anno di guerra l’Italia ha comprato da quelle cinque potenze emergenti 1,9 milioni di tonnellate di carburanti, in buona parte derivati da greggio russo. Ma i primi di questa classifica sono (nell’ordine) Australia, Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Olanda e Francia. L’obiettivo non è approfittare di sconti derivanti dal tetto al prezzo. Semplicemente, gli importatori delle democrazie cercano forniture in un mercato in tensione.[…]

 

 

20.04.23
  1. GUERRA CIBERNETICA:  La Russia starebbe sperimentando da mesi sistemi per colpire le trasmissioni del satellite Starlink di SpaceX, vitale per l'esercito e l'intelligence dell'Ucraina. Lo riporta il Washington Post che fa riferimento ai report dei servizi Usa, rubati e diffusi sulla piattaforma Discord.
    Per interrompere le trasmissioni di Starlink, Mosca starebbe utilizzando il sistema di guerra cibernetica Tobol. Secondo i "leaks" Tobol «presumibilmente progettato per proteggere i satelliti del Cremlino, potrebbe ora essere utilizzato per attaccare i satelliti utilizzati dai suoi nemici». Sia SpaceX che l'ambasciata russa a Washington non hanno rilasciato commenti sull'argomento. Kostyantyn Zhura, portavoce del ministero della Difesa ucraino, ha affermato invece che i funzionari di Kiev sono consapevoli dei tentativi della Russia e stanno «prendendo provvedimenti per neutralizzarli».
    Mosca è in una fase più avanzata di sviluppo, rispetto a quanto era noto fino a ora, di armi in grado di sabotare il sistema satellitare Starlink di Elon Musk.
    Il sistema elettronico Tobol-1 a cui Mosca sta lavorando è stato messo in cantiere originariamente allo scopo di proteggere i satelliti russi, ma può essere usato anche per colpire quelli degli avversari. I test avvengono in tre diverse località in Russia. Una fuori da Mosca, poi vicino alla Crimea e la terza nell'exclave di Kaliningrad. In Ucraina sono stati registrati blackout di Starlink, ma non è chiaro se sono dovuti a esperimenti del sistema Tobol o di altre capacità russe come i Tirada-2 montati su camion.

 

 

19.04.23
  1. LA CINA ?  Il G7 prova a dare segnali d'unità sulla Cina. Pechino risponde alzando la voce. Ieri è andato in scena un nuovo capitolo della contesa tra Stati Uniti e Repubblica popolare, che sta rallentando il dialogo sulla guerra in Ucraina e acuendo le tensioni sul fronte orientale. In Giappone, la riunione dei ministri degli Esteri del G7 ha avuto al centro l'invasione russa ma anche i timori di un'azione simile contro Taiwan. Nel comunicato finale critiche anche per le «attività di militarizzazione» sul mar Cinese meridionale, dove Pechino ha varie dispute territoriali coi Paesi del Sud-Est. «Non esiste una base legale per le sue rivendicazioni marittime», dice il G7, che ha reiterato l'avvertimento a Paesi terzi di non inviare armi alla Russia.
    Il Partito comunista ha sempre cercato di evitare paralleli tra Ucraina e Taiwan, proponendosi da una parte come grande stabilizzatore e dall'altra provando a regionalizzare il dossier. «Il G7 interferisce in modo grossolano negli affari interni della Cina, diffamandola e screditandola», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin. L'accusa è sempre la stessa: la reiterazione di «mentalità da Guerra Fredda e pregiudizi ideologici». Avvisi anche più decisi agli Usa, sulla preannunciata vendita di 400 missili antinave Harpoon a Taipei. «Usano Taiwan per contenerci», ha detto Wang, ma «è molto pericoloso giocare col fuoco».
    Non basta la garanzia dei diplomatici del G7 per cui «non vi è alcun cambiamento» sulla politica della «unica Cina». Xi Jinping punta a convincere il mondo che è Washington a creare i rischi di uno scontro su Taiwan. Nessuna risposta all'affermazione di Antony Blinken a margine dei lavori: «Siamo pronti a portare avanti le relazioni, ma ciò richiede che la Cina chiarisca le proprie intenzioni». Secondo il Financial Times, finora Pechino ha evitato di fissare una nuova data per la visita del segretario di Stato, in attesa di capire come verrà gestita pubblicamente l'indagine sul presunto pallone-spia. Mentre la portaerei Shandong ha effettuato test non troppo lontano da Guam.
    Il governo cinese ha presentato «dure rimostranze al Giappone che ha ospitato l'incontro». Tokyo si sente nel mirino di manovre anche militari, tra le esercitazioni russe vicino alle isole contese Curili e quelle di Pechino sul mar Giallo.
    Nella prospettiva cinese, il G7 è sempre più una sorta di «braccio diplomatico» di Washington. E ne sottolinea maliziosamente le possibili divisioni interne. Il ministro degli Esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, ha parlato di «forza di solidarietà a un livello mai visto prima» tra i Paesi del gruppo. I media di Stato cinesi ribattono: «Vogliono mostrare unità ma il mondo vede spaccature».
    Il richiamo esplicito è alle recenti dichiarazioni di Emmanuel Macron sulla necessità di «autonomia strategica europea» dalla politica estera americana. Quello implicito è alla voce secondo cui il presidente francese ha incaricato Emmanuel Bonne, il suo consigliere per la politica estera, a lavorare col capo della diplomazia cinese Wang Yi a un piano di pace sull'Ucraina. Secondo Bloomberg, l'idea di Parigi sarebbe di arrivare ai colloqui già in estate. Se confermato, si tratterebbe di un'apertura di credito rilevante a Xi, che ancora non ha parlato con Volodymyr Zelensky dall'inizio della guerra. Per proiettare un'immagine da paciere globale, dopo aver officiato il disgelo tra Arabia Saudita e Iran, la Cina si è intanto detta ufficialmente disposta a facilitare le ripresa dei colloqui tra Israele e Palestina.
  2. EGITTO ? Connessioni internazionali, missili egiziani, spiate al Palazzo di Vetro. Emergono novità e conferme sulla vicenda della fuga di informazioni contenute in documenti militari classificati fatti trapelare sui social. Un affare che vede protagonista Jack Teixeira, il 21enne del dipartimento di intelligence della Air National Guard dello Stato del Massachusetts accusato di essere la talpa e pertanto a rischio di condanna sino a 15 anni di reclusione per aver violato l'Espionage Act.
    Le informazioni contenute nei dossier racconterebbero di una fornitura di missili alla Russia da parte dell'Egitto, sospesa in corsa a marzo dopo colloqui tra rappresentanti del Cairo e funzionari americani. Alla luce dei quali il governo di Al Sisi ha imboccato la strada opposta, ovvero quella di produrre munizioni per l'Ucraina. I documenti - spiega il Washington Post - rivelano che l'Egitto in cambio puntava ad avere sistemi avanzati militari Usa.
    Per l'amministrazione Biden, a caccia di nuovi sostenitori di Kiev, il cambio di posizione del Cairo è stato un successo della sua azione diplomatica. Era stato lo stesso quotidiano della capitale ad anticipare che un documento di quelli trapelati, datato 17 febbraio, riportava presunte conversazioni tra il presidente egiziano e alti funzionari militari del Paese nordafricano che facevano riferimento a piani per fornire alla Russia munizioni di artiglieria e polvere da sparo. Nel documento, Al Sisi ordinava di mantenere segreta la produzione e la spedizione dei razzi «per evitare problemi con l'Occidente». A marzo la svolta e il cambio in corsa.
    Sempre tra le anticipazioni dei "leak" c'era quella delle intercettazioni da parte degli americani nei confronti di Antonio Guterres con altri funzionari delle Nazioni Unite. I carteggi riportano un sommario di conversazioni in cui Guterres si definisce «sdegnato» per il divieto di una visita in Etiopia e frustrato con Volodymyr Zelensky. In uno dei documenti, infatti, Guterres è descritto come non contento della possibilità di visitare Kiev in marzo, a ridosso della sua trasferta in Africa e poi in Svizzera, Iraq e Qatar. Le ragioni del suo scontento non sono spiegate ma sembrerebbe che la visita avrebbe rappresentato un lungo viaggio per il 73enne segretario Onu. Peraltro - secondo il dossier - considerato dagli Usa «troppo accomodante» con Mosca, in particolare in merito all'accordo sul grano, mediato da Onu e Turchia che Guterres risultava così ansioso di preservare da essere disposto a soddisfare gli interessi della Russia. Da New York la reazione non si è fatta attendere. «L'Onu ha espresso ufficialmente al Paese ospitante la propria preoccupazione per le recenti notizie sulla sorveglianza e interferenza da parte del governo Usa» spiega il portavoce del Palazzo di Vetro, Stephane Dujarric. «L'Onu - ha aggiunto - afferma in maniera netta che tali azioni sono incompatibili con gli obblighi degli Usa elencati nella Carta delle Nazioni Unite e nella Convenzione su privilegi e immunità dell'Onu».
    Gli investigatori intanto stanno cercando di individuare potenziali contatti tra Teixeira e fiancheggiatori o interlocutori di altri Paesi, o - spiega Politico - contatti con qualche governo straniero avuto prima della diffusione dei documenti. Al momento non ci sono prove che Teixeira abbia avuto alcun legame estero o fosse parte di operazione straniera coordinata.
    L'interesse di far luce su un raggio più ampio nasce dal fatto che la fuga di notizie non si è fermata al giovane militare che ha postato i documenti segreti sulla chat di Discord, ma è stata ampliata da una blogger nota come Donbass Devushka, ovvero Donbas Girl. La ragazza del Donbass, riconducibile a una rete propagandistica pro-Cremlino, ha rilanciato i file su diverse chat. Il punto è che dietro la "ragazza del Donbass" si nasconde una esperta di elettronica per di più ex sottufficiale della Us Navy. Si tratta di Sarah Bils, 37 anni, di stanza sino al 2022 presso la stazione aeronavale di Whidbey Island, nello Stato di Washington.
    Ieri infine si è tornato a parlare delle macabre confessioni dei due ex membri della Wagner (per le quali si cercano conferme su più direzioni) che hanno suscitato condanna e sdegno, in particolare per le presunte esecuzioni di minori. Alexey Savichev, uno dei due ex mercenari, ha dichiarato di aver detto «solo il 10%» di ciò che poteva condividere. Lo dice il canale Telegram del media indipendente russo Vertska. Savichev ha detto di essere stato contattato insieme all'ex compagno di Wagner Azamat Uldarov da Vladimir Osechkin, il fondatore di Gulagu.net, che lo ha pagato 123 dollari per l'intervista e che, dopo questa, ha ricevuto molteplici minacce. «Ho detto solo il 10% di ciò che poteva essere detto. E per questo 10% ora mi nascondo come un ratto nei meandri della Russia.
  3. CORRUZIONE SANITARIA : Diventa (anche) un caso politico l'indagine della guardia di finanza sui concorsi dell'Asl To4. Tra gli indagati, infatti, figura anche Maria Grazia Gazzera, 58 anni, assistente sanitaria, consigliere comunale di Cuorgnè, capogruppo di maggioranza e presidente della commissione bilancio del Comune.
    Risulta indagata per rivelazione di segreti d'ufficio e corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio. Proprio quest'ultima voce è stata al centro del dibattito dell'ultima commissione bilancio, nel corso della quale gran parte dei consiglieri di minoranza ha lasciato la seduta per protesta. Danilo Armanni dei «Moderati», Davide Pieruccini e Lidia Perotti di «Cuorgnè C'è», infatti, hanno chiesto le dimissioni della presidente, valutando come «inopportuna», in questo delicato momento, la posizione del consigliere Gazzera a capo della commissione bilancio, vista l'indagine per corruzione. «Un gesto che non costava nulla - dice Pieruccini – perché non abbiamo chiesto le sue dimissioni dal Consiglio comunale. Vista la situazione ci saremmo aspettati un po' di sensibilità, la stessa che abbiamo avuto noi, in questi quattro mesi, nel corso dei quali abbiamo volutamente evitato ogni tipo di polemica. A quanto pare, la questione morale è stata totalmente dimenticata da questa amministrazione». Armanni, che aveva presentato un'interpellanza già a dicembre, conferma: «Farsi da parte sarebbe stato un gesto doveroso, anche a sua tutela. Da parte del sindaco, invece, non c'è stata nessuna volontà di confronto. Eppure il Consiglio dovrebbe agire al di sopra di qualunque sospetto. E' opportuno che un consigliere indagato per corruzione si occupi del bilancio di un Comune dove ci sono anche capitoli che riguardano l'Asl To4? A nostro avviso avrebbe fatto bene a fare un passo indietro».
    Se ne discuterà, comunque, anche pubblicamente, nel corso del prossimo Consiglio comunale. Il sindaco Giovanna Cresto, intanto, a nome di tutta la maggioranza, difende il suo consigliere: «A fronte della richiesta di dimissioni ho ribadito che vale il principio di non colpevolezza e non essendoci norme ostative alla prosecuzione del mandato, tale richiesta al momento non poteva trovare accoglimento – spiega il primo cittadino - sarà l'autorità competente, non certo noi, a pronunciarsi su un'indagine che non riguarda assolutamente l'attività di amministratore comunale».
    E ancora: «La consigliera Gazzera ha sempre svolto il suo operato in municipio con serietà, consapevole dei propri doveri morali, fin dal primo giorno di insediamento».

 

 

 

 

18.04.23
  1. Cairo non ha dato alcuna motivazione alla sospensione di Giletti. E questo un'editore non lo può fare se non vuole minare la sua credibilità definitivamente. Questo atteggiamento ricorda quello di Berlusconi in Rai con Biagi . Cairo ubbidisce e tace. Mb
  2. DIABOLICO:  Bambini uccisi a sangue freddo, esecuzioni di massa, «pulizie» sommarie. Le confessioni di due ex membri della Wagner, se confermate, tracciano un quadro ancora più macabro di quanto sta accadendo nel conflitto in Ucraina. In particolare, a Soledar e Bakhmut dove lo scontro tra le truppe di Kiev e la compagine di Mosca ha raggiunto livelli di efferatezza indescrivibili. I due miliziani hanno consegnato le loro testimonianze all'organizzazione russa per i diritti umani Gulagu.net, spiegando di aver anche ammazzato una bimba di cinque anni, con un colpo in testa. Il loro ex capo Yevgeny Prigozhin ha provato a smentire dichiarando che «nessuno spara mai a civili o bambini, nessuno ne ha bisogno. Siamo andati lì per salvarli dal regime in cui si trovavano». Kiev invece invoca «una punizione crudele e giusta».
    I presunti reo confessi sono Azamat Uldarov e Alexei Savichev, entrati nella Wagner quando Prigozhin ha dato il via libera al reclutamento nelle prigioni. «Ho eseguito l'ordine con questa mano, ho ucciso i bambini, anche di cinque anni», ha riferito Uldarov nel video in cui i due mercenari riferiscono i dettagli sull'esecuzione di oltre 20 bambini e adolescenti ucraini. Orrore che si aggiunge a orrore come la fossa fatta saltare in aria con più di 50 prigionieri feriti. O le «pulizie» di edifici residenziali a danno di donne e uomini, minori compresi. L'ordine di «ripulire» Bakhmut senza risparmiare nessuno sarebbe arrivato dallo stesso Prigozhin, secondo i due combattenti.
    A Soledar è andata anche peggio. Savichev ha spiegato che c'era un ordine per il quale tutti coloro che avevano più di 15 anni dovevano essere fucilati assieme. «Sono state uccise 20-24 persone - ha detto l'ex Wagner -, di cui dieci avevano 15 anni». A sostegno delle confessioni dei Wagner c'è poi un'intercettazione pubblicata dall'intelligence ucraina in cui un soldato russo racconta a sua moglie di aver ricevuto l'ordine di «uccidere bambini, donne, tutti. L'annientamento deve essere completo. Sono pronto». Alle esecuzioni sommarie si sommano poi le ventimila persone tenute in ostaggio dai russi come riferito dal commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, Dmitry Lubinets.
    Dall'altra parte del Pianeta, intanto, spunta un secondo nome nella vicenda della fuga di documenti riservati del Pentagono con i quali sono stati messi a nudo segreti militari inerenti alleati e avversari degli Stati Uniti. Un nome riconducibile a una sigla quella di Donbass Girl. In realtà si tratta di un ex membro della Marina americana che gestisce un profilo social dichiaratamente pro-russo e che avrebbe contribuito a diffondere ulteriormente i documenti pubblicati da Jack Teixeira sulla chat Discord. Il 21enne del dipartimento di intelligence della Air National Guard dello Stato del Massachusetts è accusato di essere la sospetta talpa e rischia sino a 15 anni di reclusione per aver violato l'Espionage Act. La fuga di informazioni classificate non si è però fermata al giovane militare. La ragazza del Donbass, il cui volto appartiene a una rete di social media, podcast, materiale propagandistico e profili di raccolta fondi pro-Cremlino, ha rilanciato i file su diverse chat dalla provenienza fosca.
    Dietro la «ragazza del Donbass» non si nasconde un'abile blogger russa ma un'ex esperta di elettronica della Us Navy. All'anagrafe è Sarah Bils, 37 anni, sottufficiale di stanza presso la stazione aeronavale americana a Whidbey Island, nello Stato di Washington, fino alla fine dello scorso anno. Il punto è che la donna sembra avere un debole per Vladimir Putin dal momento che gli account da lei supervisionati glorificano le Forze armate russe e i paramilitari Wagner. Il 5 aprile, il profilo Telegram di Donbass Devushka ha pubblicato quattro dei presunti documenti riservati diffusi online ai suoi 65 mila follower. Lei non fa mistero delle sue attività pro-Mosca come conferma in un'intervista al Wall Street Journal. Bils era stata promossa alla fine del 2020, per poi essere degradata (fatto per cui non si hanno motivazioni), e nel novembre del 2022 ha lasciato la Marina, sembra per motivi di salute, dopo aver sofferto di disturbo da stress post-traumatico.
  3. LA CINA COSA FA ? Il ministro della Difesa cinese per la prima volta in Russia dopo l'invasione dell'Ucraina, mentre in Giappone si svolge la riunione dei ministri degli Esteri del G7. L'annuncio di «importanti attività militari» dell'esercito di Pechino nel mar Giallo, mentre Mosca avvia esercitazioni missilistiche nei pressi delle isole Curili, contese con Tokyo. Il tutto mentre dal Brasile il ministro degli Esteri Sergei Lavrov dichiara che «Mosca vuole che la guerra finisca il prima possibile».
    Difficile pensare che questi eventi siano scollegati. Il Giappone si sente nel mirino mentre ospita un consesso sempre più percepito come anti-russo e anti-cinese da Vladimir Putin e Xi Jinping. E dopo che la recente visita di Fumio Kishida in Ucraina ha schierato con maggiore decisione il Paese al fianco degli Stati Uniti.
    Il generale Li Shangfu, peraltro sanzionato dagli Usa dal 2018 per l'acquisto di jet e sistemi missilistici russi, si trova da domenica a Mosca per una visita di 4 giorni. È il suo primo viaggio all'estero da quando è ministro. La meta russa è una tradizione per il ruolo, ma è significativo (e inusuale) che sia stato ricevuto da Putin. Appuntamento non previsto in un'agenda che include un bilaterale con Sergej Shoigu, colloqui con ufficiali e la visita ad accademie militari. Nel breve video dell'incontro diffuso dal Cremlino, Putin elogia l'avanzamento della cooperazione «tecnico-militare». Li sottolinea invece «la natura speciale e l'importanza strategica» delle relazioni.
    La visita di Li è destinata a rafforzare il dialogo militare. I media cinesi prevedono maggiori scambi sulle tecnologie di difesa, ma sostengono che il viaggio non sia collegato alla posizione cinese sull'Ucraina, che continua a essere definita «imparziale». Nonostante le voci, Pechino nega di aver inviato o voler inviare armi a Mosca. Ma il messaggio della visita di Li è che il trend di rafforzamento dei rapporti non verrà intaccato dalla «contingenza» del conflitto. Una doccia fredda per chi in Europa immagina una pressione cinese per il ritiro russo.
    Anzi, Putin e Li hanno sottolineato il crescente coordinamento in materia di esercitazioni congiunte. Nei giorni scorsi la flotta russa del Pacifico ha simulato la difesa delle isole Curili. Da oggi a sabato in programma test missilistici vicini all'arcipelago conteso. Il Giappone ha protestato, ma Mosca sarebbe forte dello stop cinese (indicato nel 1964 da Mao Zedong) al sostegno alle rivendicazioni di Tokyo.
    Ieri sera, invece, l'amministrazione per la sicurezza marittima di Qingdao ha annunciato «importanti attività militari», proibendo l'ingresso di navi in alcune aree del mar Giallo. Non lontano dal Giappone e soprattutto dalla Corea del Sud. Il tutto a pochi giorni dalla visita di stato del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol alla Casa Bianca e il giorno dopo il botta e risposta tra G7 e Pechino su Taiwan. Il consesso riunito a Karuizawa ha annunciato che si concentrerà sul tema, il ministero degli Esteri cinese ha ribadito che si tratta di una «questione interna su cui non sono ammesse interferenze». Così è stato percepito anche il nuovo transito sullo Stretto del cacciatorpediniere americano USS Milius. Tokyo teme che le frizioni possano aumentare in vista del summit G7 di maggio, in programma a Hiroshima.
  4. La 'ndrangheta è sempre leader ora collabora con gli albanesi"
    Nicola Gratteri
    I primi «scaricatori» di droga in mare li trovò negli anni Novanta a largo di Saline, minuscolo comune a scavalco tra Reggio Calabria e Melito Porto Salvo, capitali di due dei tre principali mandamenti di ‘ndrangheta nel mondo, quello jonico e quello del capoluogo: «Lanciavano in acqua decine di chili di eroina comprata dai libanesi con dei galleggianti per farli recuperare ai pescatori». Da quella scoperta investigativa sono passati 30 anni, la ‘ndrangheta «si è presa il mondo del narcotraffico» con l'arroganza dei soldi e la cattiveria dei clan dell'Aspromonte: un mix micidiale innestato sugli errori stragisti dei Corleonesi. Le due tonnellate trovate al largo di Catania, ancorate a boe galleggianti, raccontano che cambiano le rotte, nuovi protagonisti entrano nel mercato («soprattutto la mafia albanese»), ma certi sistemi resistono.
    Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, resta lo specialista della lotta ai cartelli della coca: «Abbandonare temporaneamente in mare un carico così rilevante – dice – comporta meno rischi e più risparmi».
    Procuratore, due tonnellate di cocaina sono tante. Perché lanciarle in mare e non farle invece arrivare sulle banchine nei container sigillati?
    «Perché comporta meno rischi e comunque ogni volta che la cocaina arriva nei porti l'organizzazione o le organizzazioni criminali che controllano quello scalo percepiscono una tangente pari al 20% del valore del carico».
    Quante volte dopo Saline le è capitato di recuperare droga in mare?
    «L'ultima qualche anno fa: sequestrammo nell'oceano otto tonnellate di cocaina».
    Per la sua esperienza c'è la ‘ndrangheta dietro un carico così grande?
    «Il mercato della droga è aperto, non direttamente vincolato a un'organizzazione mafiosa anche se in questo caso si può propendere per questo. Poi ognuno spunta un prezzo in base ai pregressi, alla serietà, alla solvibilità, alla puntualità nei pagamenti».
    E qui la mafia calabrese non ha pari. O no?
    «È ancora leader, lo dicono tutti i rapporti pubblicati nel mondo, dall'Onu, all'Interpol ad Eurojust».
    Lei lo diceva vent'anni fa...
    «Ma in Olanda, ad esempio, non ci hanno ascoltato. Recentemente i ministri della giustizia e della sicurezza sono venuti in Italia a rappresentare che erano terrorizzati da una serie di omicidi legati al traffico di droga avvenuti nell'ultimo periodo».
    Olanda crocevia del narcotraffico mondiale?
    «Li si ritrovano con tre mafie ormai strutturate».
    Quali?
    «La ‘ndrangheta, la mafia albanese e la "Maffia", terza generazione di un'organizzazione nordafricana. Hanno stanziato 100 milioni per costruire nuove carceri, sono pronti a copiare la legislazione antimafia italiana, ma ormai è tardi».
    E in Europa?
    «Se l'avessero capito avrebbero adottato quantomeno il sistema giudiziario italiano nel contrasto al fenomeno, ma quello di due anni fa. Perché un anno e mezzo di riforma Cartabia ha fatto disastri».
    Si affacciano nuovi protagonisti che possono insidiare i calabresi?
    «La mafia albanese, ma non in ottica di concorrenza semmai di joint venture tra le due organizzazioni che cominciamo a vedere in Colombia».
    Punti di forza?
    «I mafiosi albanesi sono abbastanza ricchi, provengono da uno Stato molto corrotto e comunque facilmente corruttibile in pezzi degli apparati di sicurezza e dell'amministrazione. Hanno la durezza che somiglia un po' a quella della ‘ndrangheta. Questo li rende capaci di imporsi sui territori».
    Solo l'Olanda è terminale dei carichi dal Sudamerica?
    «Anche la Spagna, con la zona della Galizia, ha una sua centralità ma lì la droga arriva a bordo di lance in alluminio con motore Roll Royce capaci di trasportare nell'oceano fino a 8 tonnellate di droga».
    Quanto costa un chilo di coca alle cosche calabresi?
    «Mille euro direttamente nella foresta amazzonica».
    Agli altri?
    «Milleottocento».
    Cosi non c'è partita…
    «Ma infatti, almeno da 25 anni, se non subito dopo la stagione delle stragi, a noi risulta processualmente che è la ‘ndrangheta che rifornisce Cosa Nostra catanese e palermitana».

 

17.04.23
  1. UNO SCAMBIO TRADIZIONALE ITALIANO : Chi è davvero Artem Uss, l'imprenditore fuggito dai domiciliari italiani mentre era in attesa di estradizione negli Usa? Una spia dei russi che si muove agilmente tra Venezuela, Stati Uniti, Italia, Turchia? Oppure è semplicemente un criminale di alto bordo, degno rampollo di una famiglia di oligarchi, che organizza un contrabbando su larga scala del petrolio venezuelano sotto embargo, proprio per questo molto appetibile per i russi, e di tecnologia militare statunitense? È uno dei nodi di fondo. E la risposta è che Artem Uss – almeno a quanto risulta finora – non è un agente segreto. Due diverse fonti di intelligence confermano quanto detto dalla premier due giorni fa in Etiopia: l'intelligence americana non ha mai interessato gli 007 italiani perché, banalmente, Uss ai loro occhi non era «un target».
    Certo, nel pieno di una guerra, ogni aiuto sottobanco può essere considerato degno di attenzione dai servizi segreti occidentali. Tanto più se la persona da tenere sotto osservazione è un russo incriminato negli Usa, durante i mesi in cui il Cremlino scatena l'inferno in Ucraina. C'è una parte delle dichiarazioni rilasciate da Meloni da Addis Abeba che svela quanto intorno allo scaricabarile sulla fuga di Uss, tra magistratura milanese e ministero della Giustizia, ci siano altre domande da farsi: «Noi non eravamo stati informati a livello di intelligence sulla natura della figura. Sapevamo che c'era una richiesta da parte del Dipartimento della Giustizia americano, legato però a questioni di frode fiscale, quindi a un'altra materia rispetto a quella che può sembrare più ampia».
    Qui va chiarito un punto. Se il governo italiano era stato informato presso il ministero della Giustizia, com'è possibile che le notizie giunte da oltreoceano riguardassero solo un reato limitato, e per giunta minore rispetto agli altri, come la frode fiscale? Ripercorrendo le ricostruzioni di questi giorni, infatti, non è così. Il ministero e dunque i magistrati conoscevano i reati per i quali gli americani volevano giudicare in patria Uss. In realtà, quello di Meloni è il tentativo di difendere gli apparati di intelligence che riferiscono direttamente a Palazzo Chigi, a due persone che considera di estrema fiducia, come la direttrice del Dis – dipartimento che coordina gli 007 – Elisabetta Belloni, e il sottosegretario che è anche Autorità delegata sui servizi, Alfredo Mantovano. Giovedì scorso siedono entrambi accanto a Meloni, quando la premier parla al Copasir, il comitato di controllo parlamentare sull'intelligence. È lì che matura la linea difensiva del governo, sintetizzata in una frase che però non sarebbe mai stata pronunciata in quella sede – «La colpa è di un altro organo dello Stato» –, e riportata dall'Agi, agenzia il cui ex direttore è l'attuale capo ufficio stampa della premier Mario Sechi. Sta di fatto che 48 ore dopo, in Etiopia, Meloni ribadisce il concetto, con parole diverse. A suo avviso «l'anomalia principale» va ricercata nella decisione della Corte d'Appello di Milano che ha mantenuto il faccendiere ai domiciliari. Nella giornata di sabato, però, dopo due giorni di polemiche e precisazioni dei magistrati, ormai anche Meloni sa che era nei poteri del ministro della Giustizia– secondo l'articolo 714 del Codice di procedura penale– imporre il carcere dopo la segnalazione dagli Usa. Per questo, aggiunge, presto vedrà Carlo Nordio, per «approfondire la vicenda e capire meglio».
    Nel rimpallo di responsabilità c'è così un terzo attore di cui va tenuto conto, ed è l'intelligence. Gli 007 non ci stanno a finire sul banco dei sospetti. L'Fbi – è la spiegazione offerta dalle nostre fonti – nel momento in cui si è rapportato agli italiani, per il tramite del loro ministero della Giustizia, operava come forza di polizia. «A volte, quando c'è di mezzo l'Fbi, si ingenera confusione perché il Bureau ha una doppia anima: può essere considerato intelligence in patria, mai all'estero». Fuori dagli Usa a fare intelligence è la Cia che nel caso Uss non c'entra.
    In verità tutti gli atti portano ad altro. C'era il rinvio a giudizio a opera del Gran Giurì Federale degli Stati Uniti. C'era un mandato di cattura internazionale che la polizia italiana ha eseguito a ottobre, mentre Uss tentava di raggiungere Istanbul. Il percorso, insomma, era quello classico della cooperazione giudiziaria. Ed è qui che qualcosa s'è inceppato. L'attaché legale dell'ambasciata americana s'è dannato per avvertire il ministero della Giustizia che Uss sarebbe scappato se lo mandavano ai domiciliari. C'è una sua nota inviata a Via Arenula del 29 novembre esplicita, e ultimativa nei toni. «Ai sensi del codice di procedura penale italiano – scriveva – le misure coercitive devono tenere conto delle esigenze di garantire che la persona della quale è domandata l'estradizione non si sottragga all'eventuale consegna». La nota è arrivata ai magistrati tre settimane dopo, e il ministro non ha disposto alcunché.
  2. IL DEBITO ITALIANO DELLA CREDIBILITA' : «Questa e la nostra società madre». Secondo le carte dell'inchiesta americana contenute nell'«atto d'accusa» contro Artem Uss e il suo socio russo Yuri Orekhov, i due russi (proprietari al 50 per cento ciascuno della società NDA GmbH, con sede in Germania, ad Amburgo) utilizzavano la società – tra le tante attività illegali, tra le quali c'era anche far arrivare in Russia tecnologia militare sotto sanzioni, come semiconduttori, radar, satelliti – anche per spedire milioni di barili di petrolio dal Venezuela ad acquirenti in Russia e Cina, collaborando con altri due imputati, Juan Fernando Serrano e Juan Carlos Soto, due trader assai spregiudicati che mediavano gli accordi con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA, su cui gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni già nel 2019.
    Tuttavia nelle intercettazioni contenute (almeno parzialmente) nell'inchiesta americana, emerge che la società di Uss era a sua volta collegata a un gigante dell'alluminio di Stato della Russia, una società di cui non viene fatto il nome (noto agli investigatori) ma sembra corrispondere (gli americani per la verità non hanno dubbi) a quella dell'oligarca Oleg Deripaska, uno dei più grandi oligarchi a cavallo tra affari, Cremlino e, secondo diverse accuse americane, malavita russa e servizi.
    In uno degli scambi di messaggi intercettati, il 4 dicembre 2021, Orekhov (il socio di Uss, che lo tiene informato passo passo) scrive a "Juanfe" Serrano (il trader): «questa è la nostra società madre», e gli posta il link al sito della società di alluminio russa e un link alla pagina Wikipedia di quello che nelle carte viene chiamato "l'Oligarca". Orekhov dice: «Anche lui ("l'Oligarca") è sotto sanzioni. Ecco perché noi stiamo agendo attraverso questa società. Come front». E Serrano risponde: «Anche il mio partner, ah ah ah... È molto vicino al governo. È una delle persone più influenti in Venezuela. Vicinissimo al vicepresidente». E gira a sua volta il link di un avvocato e uomo d'affari venezuelano ricercato dagli americani per corruzione internazionale e riciclaggio. Più tardi Orekhov e Serrano trattano un contratto da un milione di barili di petrolio al mese, e chiariscono che «con la società di alluminio è un contratto annuale, ogni mese, ogni mese... Stabile, di sicuro».
    Nelle carte ufficiali gli Usa non scrivono chi sia "l'Oligarca". Ma sanno chi è, e ne scrivono l'identikit davvero molto preciso: le carte dicono testualmente che la società dell'alluminio «è stata sottoposta a sanzioni statunitensi il 6 aprile 2018 e il 27 gennaio 2019». Cosa che coincide perfettamente con le due date in cui è stata sanzionata la società russa di alluminio Rusal.
    Rusal ha dichiarato che non acquista petrolio venezuelano o altri prodotti soggetti a sanzioni e ha agito nel pieno rispetto delle leggi internazionali sulle sanzioni (un avvocato di Deripaska non ha risposto a una richiesta di commento). Tuttavia le carte dicono di più: Uss e Orekhov parlano apertamente dell'oligarca. Orekhov a un certo punto – dopo l'invasione di Putin in Ucraina – ha dei dubbi se continuare apertamente a trattare affari di questo genere con la Russia. Il 30 marzo del 2022, discutendo esplicitamente dei loro traffici illegali con la società di alluminio della Russia, Uss scrive a Orekhov: «Se dici seriamente... io incontrerò (e Uss scrive le iniziali dell'oligarca) quando torno a Mosca... e gli comunicherò personalmente il tuo desiderio di saldare tutti i debiti... se non vuoi lavorare con la Russia ora, ed è davvero tossico, allora non ci lavorare. Seguirò da vicino questa vicenda». È Uss stesso, l'uomo stretto dell'oligarca.
    È come se, nella piramide, Orekhov riferisca a Uss, che a sua volta riferisce all'oligarca. Come che sia, Orekhov alla fine non si tira indietro affatto. Anzi. Lui e Uss trasferiscono petrolio venezuelano illegale non solo alla Russia, ma anche alla Cina, dalla società venezuelana (PDVSA) a una società cinese a Hong Kong. I cinesi mandano istruzioni, «petroliera a Singapore, pagamento 5 giorni dopo il carico, nessuna menzione al fatto che il petrolio viene dal Venezuela, please». Al che Orekhov risponde: «Questo è certo». Orekhov dà anche istruzioni sul fatto che i trasponder verranno spenti, per ingannare anche i siti come marine Traffic, e come paese di spedizione cosa si metterà? Ci scherzano su: «Disneyland» (ossia il Venezuela).
    In una delle trattative con un dipendente della società di alluminio russa (quella dell'"Oligarca"), il socio di Uss assicura al dipendente la possibilità di ispezionare i carichi, e poi scrive a Uss: «La chiatta è a Kingston, Giamaica, dobbiamo sapere se (la società di alluminio) accetta le specifiche di viaggio o no». Specifiche che ovviamente sono tutte fuorvianti o false, per nascondere l'origine venezuelana dell'olio. Nel frattempo, la società di Uss compra semiconduttori che finiranno a società russe che lavorano anche per la componentistica dei jet da combattimento.
    Ma anche da altre parti si arriva all'Italia. Dettagli interessanti riguardano il trader spagnolo Serrano. Si occupa, secondo i documenti americani che abbiamo letto, oltre che di mediare servizi coi venezuelani, o col Medio Oriente, anche di fornire i «portafogli» in criptomonete (con pagamenti, ripetiamo, a botte di milioni). Serrano ha una società, che nelle carte americane non è nominata ma si dice che è una società con sedi in Emirati Arabi, Spagna e, indovinate dove? In Italia, ovviamente. Secondo quanto risulta a La Stampa, al nome Juan Fernando Serrano Ponce, risulta in Italia solo una srl che fornisce servizi, si trova a Bergamo, ed è stata messa in liquidazione (al telefono listato nei documenti della società non risponde nessuno). Abbastanza difficile pensare che di tutte le connessioni "italiane" di questa storia, che sono in documenti ormai pubblici, i poteri dello Stato italiano – che adesso fanno a scaricabarile sulla fuga di Artem Uss – non sapessero niente.
  3. PUTIN IN AFRICA COME LA CINA : LA MORSA ENERGICA AL MONDO Il Sudan ha una storia senza requie, scorre con l'impeto del Nilo, il suo fiume travolgente, il fiume magico. Pensi che tutto ormai sia stabilito, regolare, durevole. Passano alcuni mesi è tutto ridiventa fluido e spesso radicalmente mutato. Gli articoli scritti un anno fa non servono già più, sono superati dall'accavallarsi degli avvenimenti: sempre drammatici. Eppure, golpe dopo golpe, la sensazione è quella di una scena eguale, senza sviluppo come il fotogramma di una pellicola ferma. La tragedia qui si coniuga al presente. Sotto un'interminabile canicola si attende che il sole sfochi all'orizzonte in un vibrante luccichio, come se il mondo esalasse l'ultimo respiro. A Kharthoum c'è poco da vedere. Si sta ad ammirare il Nilo, le acque gialle di quello Bianco che si mescolano con quelle bruno verdi del Nilo azzurro. Anni fa, se non erano disturbati dai battelli, si vedevano i coccodrilli prendere il sole appiattiti sulle lingue di sabbia, simili a tronchi secchi abbandonati dalla corrente. Pazienti. Rassegnati. Si attende.
    Prendete i due protagonisti della guerra che da due giorni trasforma la capitale nel campo di una confusa battaglia, stordita dal fumo che si leva dai quartieri che ospitano i luoghi del Potere e i comandi militari, guizzi di clamidi bianche in strade deserte, gente che rischia la vita per cercare cibo o una zona della città più sicura. I morti sono già decine, i becchini lavorano in fretta tenendo d'occhio il cielo in cui sibilano, scaricando razzi, caccia ed elicotteri.
    Non è la rivoluzione, purtroppo. Un regolamento di conti tra criminali in uniforme, tra sudici cleptocrati ornati di greche e usurpate medaglie: il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo della giunta militare che nei 2021 ha spazzato via a mitragliate un fragile tentativo di speranza democratica e Mohamed Hamdam Dagalo detto "Hemetti", capo degli squadroni della morte, il boia del genocidio nel Darfur.
    Non c'è un buono e un cattivo, non perdete tempo a distinguerli. Sono due ex complici che hanno litigato per il bottino, ovvero il Sudan, i suoi morti di fame, la sua miseria, i suoi traffici, le sue miniere.Le milizie, i "janjawid", i diavoli a cavallo responsabili della pulizia etnica, dopo il golpe sono state inglobate nell'esercito con il pomposo nome di Forza di intervento rapido. A cui era affidato anche il lucroso controllo delle frontiere e dei migranti, con il sostegno finanziario dell'Unione Europea.
    Un modo, nei piani di Burhan, per metter loro in uno solo colpo divisa e museruola, ridurle all'obbedienza, limitando così gli appetiti del loro padrone. Sì, perché Hemetti ha ambizioni vaste, vuole il potere, tutto. Così ha scatenato il suo esercito, che ha ben armato, contro quello regolare. Non gli manca l'impudenza. Pensate: lui, il genocida, accusa l'ex socio di essere «un criminale da consegnare alla giustizia» per aver tradito le speranza di «democrazia» e invita il popolo a scendere in piazza al suo fianco per rovesciare la giunta.
    Ti prende lo scoramento pensando al 2019 quando i sudanesi dopo tre generazioni di dittature, l'ultima quella di al Bashir, il complice di Bin Laden, estrassero quasi alla cieca dal proprio coraggio e dalla propria disperazione una imprevedibile rivoluzione. Fu uno scoppio di realtà, il destarsi di antiche speranza che non si osava nemmeno confessare, di rabbie tumultuose, di contraddizioni fino ad allora nascoste. Una rivoluzione, sì, ma priva di idee come spesso in Africa. Durò poco due anni e molti morti. Poi tutto tornò come prima: spazzata via la festa, l'accampamento della democrazia vicino al ponte di ferro sul Nilo azzurro, le scuole per i bambini di strada , le distribuzioni di cibo per i poveri, le infinite discussioni sulla libertà possibile, temporanea ed eterna.
    Tornarono subito gli esponenti di una gerarchia militare infognata di gente feroce, arretrata, avida, di un attaccamento vischioso al potere e alle sue prebende. Gli Hemetti e i Burhan, appunto. Sì perché se sollevi le divise di stile britannico quello che conta, sempre, è il portafoglio dell' esercito, un patrimonio saggiamente diversificato, dall'allevamento dei polli all'immobiliare, alle miniere.
    Già, le miniere. Hemetti, un massacro dopo l'altro, è diventato uno degli uomini più ricchi del Sudan. Non solo ripulendo il Darfur ma anche nelle province del Kordofan e del Nilo azzurro. Il dittatore al Bashir ordinava e i suoi tagliagole eseguivano. Massacri saccheggi stupri razzie di bambini trasformati in mini soldati efficaci, crudeli, a basso costo. Dieci anni dopo un altro Ruanda, lo stesso odore del Mostro, la stessa omertà, 800 mila orfani del diritto internazionale, eccezioni dell'imperialismo umanitario. Non lo sottovalutiamo, questo ex commerciante di cammelli è più che un rozzo manovale delle pulizie etniche. Ha intuito che in Africa il vento stava cambiando, i tempi un po' sonnacchiosi del post colonialismo occidentale erano al tramonto. C'erano i cinesi , ma soprattutto erano tornati i russi. Non più i sovietici e le stagionate frottole dell'internazionalismo proletario. Ma il sorriso implacabile di Putin e i suoi apostoli africani con kalashnikov e società minerarie al seguito, ovvero Evgheni Prigozhin e la Wagner. Offrono armi, «sicurezza» e contratti in cui si può fare a metà senza retoriche umanitarie e rimorsi. Nella sinfonia africana di Putin i golpisti sudanesi suonano gli strumenti fondamentali.
    È vero, l'infiltrazione russa qui è iniziata ai tempi di al Bashir, isolato dalla sanzioni, braccato dalla lumachesca giustizia internazionale. Il nuovo imperialismo russo era un alleato perfetto: piovevano armi moderne, istruttori militari, addirittura la firma per la concessione di una base navale vicino a Port Sudan, di fronte ad Aden dove passa il dieci per cento del commercio mondiale. Era la duplicazione africana di Tartus in Siria, il ritorno dell'orso che aveva imparato a nuotare in mari perduti dopo la chiusura della base sovietica in Somalia nel 1977. Il contratto prevede la concessione per 25 anni, una rada per ospitare almeno quattro navi da guerra tra cui unità a propulsione atomica, una guarnigione militare russa di 300 uomini con immunità diplomatica.
    Il cambio di dittatori al potere ha solo rafforzato l'intesa. Khartoum è diventata il nodo centrale del sistema Wagner. Nella sede dei servizi segreti sudanesi e con la loro mediazione è stato siglato l'accordo con i gruppi armati del Centrafarica che ne ha fatto una delle "colonie" russe del continente insieme al Mali e al Burkina faso. Per questo si ipotizza che Mosca potrebbe essere il regista del tentato golpe di Dagalo. Il paradosso della guerra tra i due generali è che entrambi sono legati alla Russia. Mentre l'attenzione dell'Occidente è fissa su quanto accade in Ucraina Putin sta vincendo la guerra in altre zone del mondo, seduce regimi dittatoriali che gli assomigliano e che diventano dipendenti da lui per la sopravvivenza autocratica, controlla zone del mondo, si assicura materie prime che diventeranno sempre più decisive in una guerra mondiale che è già in corso e che durerà decenni. L'Ucraina è solo il pretesto, la miccia usata da Mosca per dar fuoco all'incendio. Bakhmut non conta nulla, serve a ipnotizzarci. La vittoria si giocherà nel Sahel, in Africa centrale, in Medio oriente. E domani nel Mar cinese e a Taiwan.

 

 

 

16.04.23
  1. ABBIAMO IL DIRITTO DI CAPIRE:  «Giletti è solo la pedina meno importante. Questa è una grande storia italiana. Ed è tutta qui». Ed Enrico Deaglio sbatte sul tavolo il suo libro, Qualcuno visse più a lungo (Feltrinelli), la bibbia sui fratelli Graviano.
    Come ci sei arrivato?
    «Dei Graviano mi ha sempre colpito che nel 1991 si erano trasferiti a Omegna, sul lago d'Orta. Godendo, ha detto, di una "favolosa protezione"».
    Da parte di chi?
    «Dallo Stato - politica, apparati investigativi, magistrati - per averlo aiutato a catturare Riina».
    Lui e il fratello sono al 41 bis.
    «Il che non gli ha impedito di avere figli. Mogli libere. Patrimoni pressoché intatti. La madre quando andava a trovare i figli alloggiava a Milano 3».
    Però nel '94 sono stati arrestati.
    «Potrebbe esserci lo zampino di Berlusconi. Gli stavano addosso. Volevano uscire dal ruolo di soci occulti».
    Congetture.
    «Graviano ha parlato di una "colletta tra palermitani" per finanziare Berlusconi con 20 miliardi di lire. Fininvest ha sempre smentito».
    Dove comincia questa storia?
    «A Borgomanero, dieci chilometri da Orta, con l'arresto di Balduccio Di Maggio, l'autista di Riina, gestito dal generale del Sismi Delfino. L'uomo più corrotto d'Italia».
    Che sarebbe nella foto con Berlusconi e Graviano.
    «Verosimile, ma non ne avevo mai sentito parlare. Quella piazza, a Orta, si presterebbe. Baiardo sarebbe il fotografo».
    Berlusconi con un superboss latitante? Mah.
    «Dipende dal periodo. All'epoca Graviano non era considerato un superboss. Nel '94 il suo arresto a Milano fu quasi ignorato dai giornali».
    Chi è Baiardo?
    «Un trafficone di paese, figlio dello stimato capostazione di Omegna, siciliano».
    Tutto qui?
    «Portavoce dei Graviano. Che in una trattativa lunga trent'anni ora rivendicano il secondo regalo allo Stato: l'arresto di Messina Denaro, di cui hanno rivelato la malattia, dopo quello di Riina».
    Chi ha cercato chi?
    «Baiardo contatta Report e Giletti. Per soldi, ma non solo. Giletti fa lo scoop. Poi lo porta in trasmissione, dopo l'arresto di Messina Denaro. E mi invita. Quando parlo, Baiardo reagisce male».
    E Giletti?
    «Manda la pubblicità. Poi parlo più».
    Che cosa avevi detto?
    «La sua storia. Baiardo è una vecchia conoscenza della Dia. Aveva detto tutto, dei Graviano e di Berlusconi, rifiutandosi però di firmare il verbale. Aveva dato ai Graviano un falso alibi per la strage di via D'Amelio. Ma se l'è cavata con una blanda condanna per favoreggiamento».
    Hai più sentito Giletti?
    «No. In compenso mi ha cercato Cairo. Voleva parlarmi. Di queste storie. Sono andato a Milano. Era spaventato».
    Perché?
    «Lui è in mezzo. Ci teneva a farmi sapere che quando era assistente personale di Berlusconi, fu messo in guardia: "Attento, Dell'Utri vuole farti fuori"».
    In che senso?
    «Figurato. Credo».
    Perché scoppia il caso Giletti?
    «La mia impressione è che volesse fare il grande colpo: la foto di Graviano e Berlusconi. Mentre Berlusconi è in ospedale e si riparla di Mediaset in vendita. Un incubo. Per tutti». La vicenda della sospensione del programma di Massimo Giletti Non è l'Arena è un brutto segnale, da tanti punti di vista. Innanzitutto, per le persone che ci lavorano e non solo per lo stipendio alla fine del mese, che per quanto prioritario sia, non vale più della dignità e dell'orgoglio professionale di chi ci collaborava. Ma è un pessimo segnale che riguarda anche noi che facciamo informazione, a cominciare da quella difesa della libertà di stampa per cui in tante altre occasioni (e giustamente!) ci si è stracciati le vesti. Qui, invece, la libertà di stampa finisce dove inizia quella di uno che ci sta antipatico, verrebbe da dire, parafrasando il noto detto. Già perché, la decisione improvvisa di chiudere Non è l'Arena ha scatenato immediatamente un profluvio di illazioni. Alcune delle quali palesemente false, altre fuorvianti, altre screditanti verso lo stesso Giletti. Da subito, è stata fatta circolare una notizia importante e preoccupante e cioè che ci sarebbe stata una perquisizione a casa del conduttore e negli uffici della produzione. Ad una veloce, quanto facile - e magari doverosa - verifica dei fatti, la notizia è risultata falsa, smentita tra l'altro dal diretto interessato. In molti poi, hanno fatto riferimento alla solita soap opera della trattativa Giletti-Rai per tornare all'ovile, che va avanti da anni, ma che stavolta avrebbe inasprito a tal punto i rapporti con l'editore de La 7 Urbano Cairo da convincerlo a chiudere di botto il programma. Ma anche fosse vero - è il mercato, bellezza! - si chiude una trasmissione di peso per questo, due mesi prima della fine già prevista? «Ah ma gli ascolti bassi», «Ah, ma costa troppo», si è aggiunto, ma se così fosse lo avrebbe precisato la rete.
    Non basta. Il vero problema, si è poi scritto, è il cachet corrisposto per le famose ospitate a Salvatore Baiardo, uomo a disposizione dei fratelli Graviano, condannato per favoreggiamento. Argomento che pone certo un tema di opportunità, ma che La 7 non ha di certo scoperto l'altro ieri, visto che Baiardo è comparso per mesi nello studio di Giletti e tutti ne hanno dovuto dare notizia per quella "profezia" sull'imminente resa dell'allora latitante Messina Denaro. Ad aggiungere discredito, è stato anche detto, infatti, che Giletti avrebbe pagato Baiardo, sottobanco e in nero. Un'indiscrezione rivelatasi anch'essa falsa.
    Senza proseguire oltre nell'elenco dei rumors, tutti più o meno orientati nella stessa direzione, colpisce che non ci sia stata da parte del mondo dell'informazione, salvo poche eccezioni, quella forte e partecipata levata di scudi che abbiamo visto quando chiusero, per esempio, la trasmissione di Sabina Guzzanti Raiot, un atto di evidente censura, fu considerato da tutti.
    Senza dire per citare i casi più clamorosi dell'indignazione e della mobilitazione provocate vent'anni fa dall'editto bulgaro, pronunciato da Sofia dall'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nei confronti di Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi, estromessi dalla Rai. Cosa ha di diverso Giletti da loro? Non è di sinistra, anzi mostra confidenza con i leader della destra, ammicca da piacione alla telecamera e piace più alla pancia del suo pubblico che ai critici e ai colleghi. Ma allora come funziona la difesa dell'informazione? Vale solo per chi ci piace? Non dovremmo difenderla sempre e a prescindere dai nostri gusti personali?
    Massimo Giletti da anni si occupa di mafia e di altri argomenti delicati, alternandoli in verità a temi ben più leggeri e acchiappa-ascolti. Piaccia o no il suo stile, si valuti favorevolmente o meno la sua capacità di approfondimento, di fatto negli ultimi mesi ha animato il dibattito pubblico, toccando materie scottanti. Per altro non si dimentichi che da anni il conduttore di Non è l'arena vive sotto scorta per le inchieste condotte sulla mafia. In più, gli articoli pubblicati ieri, a firma Marco Lillo, Lirio Abbate e Giacomo Amadori, su giornali diversissimi tra loro, hanno raccontato un fatto importante, ovvero la convocazione di Giletti da parte dei magistrati di Firenze Luca Tescaroli e Luca Turco; i pm cercavano la conferma dell'esistenza di una foto scattata ad Orta, agli inizi degli anni '90 che ritrarrebbe insieme il boss Giuseppe Graviano, il generale dei carabinieri Francesco Delfino e Silvio Berlusconi. Giletti ha confermato ai magistrati che Baiardo gli aveva mostrato quella foto, non escludendo che lo avesse fatto per ricevere in cambio credibilità e soldi; Giletti gli rispose che avrebbe dovuto far esaminare la foto per verificare se fosse un falso.
    Ad oggi, non si conoscono le ragioni reali della brusca chiusura di Non è l'arena, decisa da Urbano Cairo - che replicando indirettamente a Giletti che a Striscia aveva detto: «L'Italia non è ancora pronta ad ascoltare certe verità, fa più comodo tenerle nei cassetti» - ha dichiarato: «Giletti ha condotto in sei anni 194 puntate di Non è l'Arena dove ha potuto trattare in libertà tutti gli argomenti che ha voluto, inclusi quelli relativi alla mafia sulla quale ha fatto molte puntate, con tutti gli ospiti che ha voluto invitare». È sicuramente vero, ma proprio per questo bisognerebbe allora, nell'interesse di tutti e non solo del conduttore e della sua redazione, conoscere il motivo di questo secco e definitivo stop al programma, da un giorno all'altro. —
  2. ALTRA AZIONE PUTINIANA: Nessun corteo del 1° maggio a Mosca: «Il livello del pericolo terroristico è troppo elevato», comunica il vicepresidente della Federazione dei sindacati indipendenti Aleksandr Shershukov, e quindi non si sfilerà in piazza Rossa e non si terranno comizi con le bandiere rosse. Non che i sindacati (indipendenti soltanto nel nome) si aspettassero un grande afflusso di manifestanti: dopo la fine del regime sovietico i moscoviti associano la festa dei lavoratori più alla partenza verso le dacie da rimettere in sesto dopo l'inverno che alla lotta per i propri diritti. Ma la tradizione è rimasta, e il fatto che il corteo venga cancellato per paura di un «atto terroristico» è un segnale inedito e inquietante.
    È singolare che il Cremlino decida di discutere pubblicamente la sua paura di un attacco contro Mosca, in una ammissione di vulnerabilità che contraddice la retorica aggressiva della propaganda. Soltanto un mese, fa la cancellazione del concerto per l'anniversario dell'annessione della Crimea che doveva tenersi allo stadio Luzhniki era passata sotto silenzio, come il rinvio più volte del discorso al parlamento di Vladimir Putin, preoccupato secondo diverse voci di diventare un bersaglio dei droni ucraini.
    Adesso se ne discute senza imbarazzo e le autorità di diverse regioni frontaliere cancellano anche l'appuntamento più sacro del calendario putinista, la parata della Vittoria il 9 maggio, abolita in Crimea, a Kursk e a Belgorod, il cui governatore dice esplicitamente di non volere «provocare il nemico».
    Da potenza che attacca, la Russia si sente ormai il bersaglio sotto attacco, e le difese antiaeree installate nel centro di Mosca e nei pressi delle dacie di Putin non hanno sortito un effetto tranquillizzante, semmai l'opposto. Nelle inserzioni immobiliari della capitale la prossimità di una batteria di missili Panzir viene ormai menzionata tra i vantaggi della casa, insieme alle zone di verde nel vicinato e ai collegamenti con i mezzi. Ma la sensazione di vulnerabilità è qualcosa di nuovo e sgradito, anche perché i droni ucraini (e i gruppi di infiltrati) hanno già colpito alle porte di Mosca, e i continui incendi ed esplosioni nelle fabbriche militari e nelle caserme – l'ultima è di ieri, al poligono dei carri armati a Kazan, secondo i social una detonazione del magazzino esplosivi con 30 morti – non fanno che aumentarla. Con il regime che si trova di fronte a un dilemma: ammettere di essere sotto attacco significa aumentare lo scontento, ma nello stesso tempo permette di coalizzare l'opinione pubblica, e aumentare la repressione del dissenso, ormai apertamente accusato di complicità con Kyiv. È proprio questa la pista proposta per la bomba contro il propagandista nazionalista Vladlen Tatarsky, ucciso a Pietroburgo dieci giorni fa: una bomba piazzata su ordine degli ucraini dai seguaci del movimento di Alexey Navalny, proclamato una «organizzazione terroristica». Un pretesto per distruggere quel poco che resta di una opposizione il cui leader viene torturato in carcere: il suo collaboratore Ruslan Shaveddinov ha dichiarato venerdì ai giornali britannici che Navalny è «in condizioni critiche», dopo un ennesima reclusione in cella di punizione. Ha perso 8 chili in 15 giorni, lamenta dei forti dolori addominali e gli viene negata la possibilità di ricevere visite di medici qualificati, ottenere i medicinali inviati da sua madre e acquistare prodotti alimentari nell'emporio del carcere. I medici della prigione continuano a non rivelare a Navalny la sua diagnosi, e il fatto che nei giorni scorsi siano stati costretti a chiamare per il dissidente un'ambulanza dimostra, secondo Shaveddinov, che le sue condizioni sono molto serie. Dopo la visita dell'ambulanza non sono giunte altre notizie dal carcere, e il collaboratore del politico ritiene che «lo stanno uccidendo gradualmente con un veleno ad azione lenta nel suo cibo».
    Un'ipotesi che non suona incredibile, considerando che Navalny era già stato avvelenato dai servizi russi nel 2020, e che Mosca non si sente più vincolata dall'opinione pubblica internazionale nel sterminare ogni dissenso. A confermare il sospetto che il Cremlino voglia eliminare il problema Navalny alla radice è arrivato anche l'ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili, a sua volta oggi detenuto e a Tbilisi, e in condizioni di salute peggiorate a tal punto da far sospettare un avvelenamento. Rispondendo a un messaggio di solidarietà mandatogli da Navalny, Saakashvili ha augurato al dissidente russo di «sopravvivere, tornare in libertà e di raggiungere il suo obiettivo», cioè «diventare presidente di quel che resterà della Russia».
  3. SONO I DITTATORI AFRICANI I VERI SFRUTTATORI DEL POPOLO AFRICANO : I Berretti rossi sono tornati. E hanno riportato il terrore nel cuore di Khartoum, come quattro anni fa, quando loro, i miliziani del generale Mohamed Hamdan Dagalo, trucidarono a colpi di mitragliatrice centinaia di studenti accampati per protesta davanti al quartier generale delle Forze armate. Ma ieri l'obiettivo del massacratore del Darfour, già braccio destro dell'ex dittatore ricercato dall'Aja Omar al-Bashir, era un altro. Ovvero il nuovo uomo forte del Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan. La primavera sudanese del 2019 aveva portato a una lentissima transizione verso la democrazia, un governo misto civile-militare che doveva poi lasciare il posto alla società civile, protagonista della rivoluzione culminata a fine giugno con la "marcia del milione", l'ultima spallata al regime. Al-Burhan, fautore anche della normalizzazione dei rapporti con Israele, era pronto. L'11 aprile doveva essere firmato l'accordo per il nuovo esecutivo tutto civile. Ma qualcuno ha bloccato tutto. E quel qualcuno è Dagalo.
    Nei giorni scorsi la gente era tornata nelle strade. Con lo stesso grido di quattro anni fa, «houkoume madaniyeh», «governo civile», libertà, diritti. Al-Burhan ha cercato di convincere Dagalo a un passo indietro. Poi, la sera di venerdì, ha deciso di sciogliere il nodo con la forza. Ha decretato l'assorbimento dei Beretti rossi, la milizia personale di Dagalo, conosciuta anche come Rapid Support Forces o Rsf, nelle forze armate regolari. Un modo per disarmare il rivale. Che ha reagito con la massima brutalità, il suo marchio di fabbrica. Ieri, prima dell'alba, ha lanciato l'assalto ai centri del potere nella capitale, alla confluenza del Nilo Azzurro con il Nilo Bianco. Cannonate contro il comando dell'esercito, e poi l'assalto all'aeroporto internazionale e al palazzo presidenziale, dove risiede lo stesso Al-Burhan, subito conquistati. Al-Burhan, presidente del Consiglio esecutivo civile-militare però non c'era. Si era spostato, dopo aver annusato il pericolo, in una caserma con militari a lui fedeli. E ha lanciato il contrattacco. Si sono alzati in volo i vecchi cacciabombardieri di fabbricazione sovietica e hanno cominciato a bombardare le postazioni dei Berretti rossi.
    Un golpe mezzo fallito, e una guerra civile fra fazioni militari a pieno regime. Dagalo ha accusato il rivale di essere un «sionista traditore» e promesso di «mandarlo alla corte marziale» una volta catturato. Gli attivisti della rivoluzione però non disperano. Sono convinti che Al-Burhan, con l'appoggio della popolazione, alla fine prevarrà. «Ci sono scontri in tutti tre i settori della città – conferma alla Stampa uno di loro, Mohamed Youssif -. I ponti sono bloccati e le fazioni si sparano con l'artiglieria pesante». I miliziani di Dagalo puntano a isolare la capitale e a impedire alla gente di uscire, con il terrore, i morti sarebbero già decine, mentre dai palazzi colpiti dalle bombe ieri sera si levavano dense colonne di fumo. Muhameda Tulumovic, direttrice di Emergency nel Paese, racconta che ha dovuto chiudere l'ospedale pediatrico, e il personale del centro di cardiochirurgia è bloccato perché «è impossibile spostarsi» nella capitale.
    Uno scenario di guerra che preoccupa i Paesi vicini, Europa e Stati Uniti. Il segretario di Stato Antony Blinken ha rivolto un appello affinché «cessino subito le violenze», senza però accusare nessuno. Anche l'equilibrio nei rapporti internazionali, come quello interno, è precario e variabile. Dagalo, come il suo mentore Al-Bashir, mai consegnato all'Aja, aveva un ventaglio di alleati che andava dagli Emirati alla Russia. Ancora a febbraio è andato in visita a Mosca. E parte dei suoi miliziani sarebbe stata addestrata dalla Wagner. Dopo la rivoluzione del 2019 il Sudan si è invece riavvicinato agli Stati Uniti fino a impegnarsi a firmare un accordo di pace con Israele «entro la fine del 2023». Russi e alleati nel Golfo non hanno però mai abbandonato del tutto la presa. E i loro rapporti privilegiati con Dagalo, anche se ieri il Cremlino ha esortato alla «tregua». Dalla battaglia di Khartoum dipendono anche i rapporti di forza nel Sahel e in Africa orientale.
  4. PAURA NEI TRIBUNALI : «Mi chiamo Ilaria Salamandra, sono un'avvocata e sto facendo questo video da una stanza dell'ospedale Bambin Gesù di Roma accanto a mio figlio di due anni». Potrebbe essere il trailer di una nuova serie strappalacrime prodotta da Netflix, ma è invece l'estratto di un video pubblicato su Facebook da un'avvocata cui il collegio giudicante composto da tre donne ha rigettato l'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento, una delle tante madri che, nel nostro paese, sono costrette a vivere in condizioni da terzo mondo, come dice sempre Ilaria Salamandra. Che mette il dito nella piaga. E lancia l'ennesimo appello che, per l'ennesima volta – e non lo scrivo per disfattismo, ma per senso di realtà –, cadrà nel vuoto. Se c'è una cosa che caratterizza il nostro paese, d'altronde, è proprio la distanza siderale che esiste tra il "dire" e il "fare". Da un lato, c'è la retorica che circonda la maternità: fate figli! nulla è più bello del dono della vita! se avete problemi vi aiutiamo noi!! Dall'altro lato, c'è la realtà: quella fatta di bambini che si ammalano e di madri cui si nega il legittimo impedimento; quella piena "di donne e di uomini piccoli piccoli", come racconta Ilaria Salamandra nel video registrato ieri al Bambin Gesù dove aveva accompagnato per un day hospital suo figlio Leonardo; quella fatta di scelte drammatiche buttate addosso alle donne che sono ancora sistematicamente costrette a scegliere tra figli e carriera; quella che premia solo chi c'ha i mezzi oppure chi – scusate la brutalità con cui lo scrivo – della cura dei figli, se ne frega. Da una parte, ci sono le frasi fatte, i buoni propositi, gli slogan e l'ideologia dominante che negano ai bambini delle famiglie arcobaleno gli stessi diritti di chi ha un padre e una madre; dall'altra, ci sono le decisioni che scavano dentro e fanno sanguinare le donne, come quella presa due giorni fa dalle tre giudici del Tribunale di Roma. «Questi sono i deliri di onnipotenza di una certa magistratura», ha continuato l'avvocata Ilaria Salamandra nel suo video raccontando come il figlio, ogni sei mesi, deve essere ospedalizzato per cure e accertamenti sotto anestesia. «Leonardo sta bene», ha quindi concluso ringraziando tutti coloro che, nel frattempo, le avevano manifestato solidarietà, ma chiedendo anche di condividere il suo messaggio disperato: com'è possibile che tante madri debbano ancora tollerare questo tipo di soprusi?
    L'Italia non è un paese per madri, lo sappiamo da tempo. Qualunque sia la sua professione, quando una donna ha figli è costretta a subire: pregiudizi, angherie, pressioni, ingiustizie. Poi, certo, questi pregiudizi e queste angherie le subiscono anche i padri, soprattutto quando si tratta di coppie di gay, e comunque ogniqualvolta entrino in gioco i sentimenti, gli affetti e, più generalmente, la vulnerabilità della condizione umana, perché il vero problema è la disumanizzazione che trionfa oggi, la falsa credenza che si lavori bene solo quando ci si comporta come una macchina, l'ideologia dell'onnipotenza della volontà, che mette tra parentesi imperfezioni, défaillance, lutti, malattie, stanchezza, emozioni. Ma la miscela infernale, per le donne, è l'intreccio sistematico di sessismo e volontarismo: se sei una donna e vuoi riuscire (riuscire a che? in cosa? a quale scopo?), devi presentarti al lavoro subito dopo aver partorito, devi venire in studio o in ufficio o in università o in tribunale anche se piegata in due per un ciclo mestruale doloroso e debilitante, devi vestirti in un certo modo altrimenti non sei credibile, devi farti valere con il marito o il compagno e spedire lui in ospedale con tuo figlio. Poi ci si chiede perché le adolescenti e gli adolescenti sono in crisi, si sentono inadeguati, non hanno speranza nel futuro. In che senso? si starà forse chiedendo qualcuno, immaginando che io stia divagando, saltando di palo in frasca. Ma non è così, tutto è legato; e i nostri giovani, che assistono alla disperazione dei propri genitori, sono solo il sintomo di una società fatta, appunto, di donne e di uomini piccoli piccoli, come ha detto bene l'avvocata Salamandra sottolineando il delirio di onnipotenza di una certa magistratura. Che è poi il delirio di onnipotenza di una società impotente, perché è solamente quando si è impotenti nei confronti della vita che si può poi pretendere l'onnipotenza da parte di una madre.
  5. —La strage di Erba, dopo aver già conquistato il primato di peggiore carneficina del nuovo millennio nel nostro Paese, colleziona un'altra inquietante peculiarità: un sostituto procuratore generale dopo aver letto gli atti chiede che il processo venga riaperto, affatto convinto che Rosa e Olindo siano davvero gli assassini di quei quattro innocenti ammazzati la sera dell'11 dicembre 2006 a Erba. Un documento analitico, frutto di mesi di lavoro quello che il sostituto Cuno Tarfusser, già procuratore capo a Bolzano e ora a Milano, ha elaborato, dopo aver incontrato gli avvocati di Rosa e Olindo, i due che stanno scontando l'ergastolo dopo la pronuncia definitiva della Cassazione nel 2011. Una richiesta sollevata «in tutta coscienza per amore di verità e di giustizia e per l'insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l'ergastolo». La conclusione è netta: «Fin dal primo grado c'erano prove della loro innocenza».
    Il documento è ora sulla scrivania del procuratore generale Francesca Nanni perché sta a quest'ultima decidere se vistarlo e trasmetterlo a Brescia per il vaglio della Corte d'Appello sull'eventuale revisione, oppure archiviarlo non ritenendolo condivisibile. Nel documento Tarfusser valorizza elementi controversi su tutte le tre prove principali che portarono all'ergastolo. Si parte dalle macchie di sangue della vittima sull'auto usata dagli imputati, che sarebbe in realtà un effetto ottico, al riconoscimento e l'identificazione di Olindo da parte di Mario Frigerio, unico testimone della strage, che sarebbe compromesso dai "buchi" nelle intercettazioni e, da ultima, la confessione stessa della coppia che poi ha ritrattato.
    L'auto accusa dei coniugi, per il magistrato, sarebbe «da considerarsi false confessione acquiescente», la testimonianza di Frigerio una «falsa memoria» legata al «peggioramento della condizione psichica» dell'uomo e alle «errate tecniche di intervista investigativa». Osservazioni, sottolinea il magistrato, che «se approfondite e valutate, avrebbero già sin dal giudizio di primo grado potuto portare ad un diverso esito processuale».
    Hanno colpito il sostituto procuratore generale, sia le intercettazioni ambientali di quando Frigerio era in ospedale, mai entrate nel procedimento, sia gli audio e i video effettuati prima della confessione, Tarfusser ha cioè maturato dubbi sull'istruttoria ancora prima di valutare le "nuove prove" che gli avvocati di Rosa e Olindo hanno raccolto negli ultimi anni, contando su numerosi consulenti ed esperti. Sembra infatti che Tarfusser si sia sorpreso di numerosi dettagli a iniziare dal fatto che Rosa e Olindo vennero sentiti addirittura da quattro pubblici ministeri.
    Per capire la portata di questa mossa di Tarfusser è forse davvero la prima volta dal 1930, con l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nella storia della nostra giustizia, che un sostituto procuratore generale – e quindi chi rappresenta l'accusa – ponga dei dubbi sulla colpevolezza dei condannati, sollecitando la revisione e la riapertura del dibattimento. In genere, infatti, è l'imputato a chiedere un nuovo processo. Proprio a Brescia, che con ogni probabilità sarà investita della questione dai colleghi di Milano, quest'autunno la Corte aveva respinto – ad esempio – analoga istanza presentata da Maurizio Tremonte, già informatore dei servizi, dopo la condanna all'ergastolo ricevuta per la strage di piazza Della Loggia, accogliendo così il diniego suggerito dal procuratore generale Guido Rispoli.
    A questo punto è difficile ipotizzare che Nanni sconfessi il proprio consigliere più anziano mentre è più probabile che la pratica finisca a Brescia, come prevede il codice per passare al vaglio della Corte che dovrà innanzitutto decidere sull'ammissibilità della stessa.
    Da parte loro, avendo alle spalle già incassato un diniego su una precedente analoga istanza, i difensori di Rosa e Olindo oggi saranno di certo più ottimisti visto che a presentare l'incartamento è la pubblica accusa. In questa direzione è possibile che il difensore Fabio Schembri, con i colleghi Nico D'Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello stiano aspettando le determinazioni del procuratore generale di Milano, prima di presentare a loro volta istanza di revisione a Brescia. È infatti chiaro che arrivassero le richieste da entrambi i soggetti preposti, la Corte, sarebbe un fatto di indubbia rilevanza. E si tornerebbe a quelle ore, alla sera delle atrocità, a quei 76 colpi inferti con spranghe e due coltelli, l'11 dicembre 2006 quando in una delle palazzine di via Armando Diaz 25 a Erba vennero ammazzate quattro persone: Raffaella Castagna (30 anni), il figlio Youssef Marzouk di appena due anni, la nonna del bimbo, Paola Galli di 60 anni, e una loro vicina, Valeria Cherubini di 55 anni che viveva con il marito Frigerio al piano superiore, in una mansarda. Ed è proprio Frigerio l'unico a rimanere in vita. E questo grazie a una assai particolare malformazione congenita alla carotide che gli impedisce di dissanguarsi. E così Frigerio diverrà il testimone chiave dell'accusa, quello che, recuperate le forze, punterà l'indice contro Rosa e Olindo.
    I due, a gennaio del 2007, confesseranno la strage con parole da pelle d'oca. Quando i pm chiedono a Rosa: «Il bambino perché lo ha ucciso?», lei senza battere ciglio risponde: «Perché urlava… (…) perché piangeva e mi dava fastidio… mi aumentava il mal di testa quando lo sentivo». Olindo: «No, è stato come ammazzare un coniglio, se l'è meritata». Rosa e Olindo andranno poi a ritrarre, accusando di esser stati indotti a confessare, senza però essere creduti. Olindo: «Non ho fatto altro che dirgli le notizie apprese tramite i giornali» mentre la procura osserva come nei ricordi dei due messi agli atti abbondino «particolari significativi riferibili solo da soggetti che abbiano effettivamente vissuto la scena del crimine».
    A questo punto, diventa importante non solo che venga fatta chiarezza ma che questo avvenga in tempi rapidi e in modo definitivo. Non si possono lasciare le vittime e i loro parenti rimasti in vita con dubbi di questo tipo. In pochi giorni, al massimo una o due settimane, il procuratore di Milano Nanni deciderà se vistare e condividere le venti pagine firmate da Tarfusser dopodiché bisognerà capire se e cosa faranno i giudici a Brescia.
    Anche perché è sempre stato ritenuto improponibile solo ipotizzare che gli autori della strage siano da cercare tra le persone che non abitavano nella stessa palazzina e le prove contro Rosa e Olindo ad oggi sono state sempre ritenute granitiche e tali da convincere giudici di ogni ordine e grado.
  6. QUANDO LO CHIEDO NELLE ASSEMBLEE DELLE SOCIETA' MI DERIDONO : Nel Sud del mondo un bambino su tre è costretto a lavorare. In totale, denuncia l'Unicef, lo sfruttamento minorile riguarda un decimo della popolazione infantile. Su 152 milioni di baby-lavoratori (88 milioni maschi, 64 milioni femmine), la metà sono sfruttati in occupazioni classificate come pericolose. Una piaga che non risparmia l'Italia dove prende in genere le forme di mansioni sommerse e illegali (cioè attività svolte prima dei 16 anni, l'età consentita per legge). Spiegano al Gruppo Abele: «Incontriamo molti giovani schiacciati su una prospettiva materialistica della vita, rassegnati a ragionare sulla base di necessità economiche. Cerchiamo di riportarli a una prospettiva di desiderio, di passione, di sogno da realizzare per realizzarsi». Il fenomeno coinvolge 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni (un minore su 15). 58 mila ragazzi (il 27, 8% cioè dei 14-15enni occupati) hanno subito danni ai percorsi scolastici e al benessere psicofisico. Uno su dieci ha iniziato prima degli 11 anni nella ristorazione (25, 9%), nella vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16, 2%), in campagna (9, 1%), nei cantieri (7, 8%), come caregiver familiari (7, 3%), in mansioni online (5, 7%) come la fornitura di contenuti per social o videogiochi o ancora il "reselling" di sneakers, smartphone e pods per sigarette elettroniche.
    Dai romanzi ottocenteschi di Charles Dickens e Mark Twain alla crisi globale post-pandemia, quindi. Il lavoro minorile è sempre più emergenza sociale. Si celebra oggi la Giornata internazionale contro la schiavitù infantile, come accade ogni anno nel nome del pakistano Iqbal Masih, ucciso a 12 anni per aver cercato di promuovere la difesa dei bambini dallo sfruttamento lavorativo. Una ricorrenza per chi ha diritto a giocare, studiare, formarsi come cittadino. «In questo mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, sfruttati, maltrattati, schiavizzati, profughi. Di tutto questo noi ci vergogniamo davanti a Dio», afferma papa Francesco. Un allarme testimoniato in Italia e nel mondo da Save the Children, Ilo e Gruppo Abele. «Il lavoro minorile non è solo confinato in alcuni paesi del mondo, ma è anche un problema italiano. Servono sforzi perché i minori possano integrarsi nella società– spiega la ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone. – Le priorità sono l'intensificazione dei controlli contro il lavoro minorile illegale e l'accompagnamento dei ragazzi alla vita lavorativa futura. Abbiamo avviato un intervento su più piani. Si chiama'Garanzia Infanzia'e rafforza l'attività svolta sui territori dagli ispettorati, accompagna i percorsi di crescita attraverso la frequenza scolastica e l'apprendistato duale (alternanza scuola-lavoro), correla lo sviluppo della persona alla sua età». Ma le storie dei baby schiavi fanno emergere un'Italia invisibile. Valerio ha 17 anni ed è il secondo dei sei figli di una famiglia rom che vive in una casa in affitto a Milano. Per contribuire al reddito familiare ha iniziato a lavorare a 8 anni, insieme a suo padre. Come imbianchino, idraulico, muratore. «A 10 anni sono andato per i fatti miei, fino a 13 anni ho lavorato nelle giostre, poi ho fatto il muratore e l'idraulico fino a 15 anni. Mi hanno preso in un bar e in un panificio. Volevo i soldi per uscire con gli amici, mi vergognavo di chiederli ai genitori– racconta Valerio-. Alle giostre ho iniziato nel periodo estivo e ho proseguito. Andavo nei campi a zappare, coltivavo pomodori e angurie, tagliavo l'erba. Mai avuto un contratto. Mi davano 50 euro per 8 ore. Era molto pesante: guidavo il trattore, caricavo la frutta. "Se vuoi i soldi, te li devi guadagnare con il sudore", ripeteva il padrone. Tante gente ti spinge a fare brutte cose per intascare di più ma io preferisco dormire la notte». Non va meglio al bar: «Ogni giorno il turno dalle 17 alle 5 di mattina. Dovevo portare le casse d'acqua, pulire le vaschette del gelato, riportare le sedie dentro. 8 alla volta invece di 4 per fare più in fretta». Quando Valerio torna a casa all'alba mangia qualcosa, beve un caffè e si precipita al panificio dalle 7 alle 14 per «scaricare dal camion sacchi di farina da 50 chili e, nel caldo infernale del forno, impastare panini e pizzette sotto lo sguardo di un datore di lavoro che solo una volta mi ha dato mezza giornata libera e sono al mare con gli amici. Il giorno più bello della mia vita». Oggi l'ex baby schiavo frequenta l'istituto alberghiero per diventare chef e sogna di aprire un ristorante e di mettere su una famiglia vera»
    Emma ha origini tunisine e una situazione molto fragile tra le mura domestiche. Oggi ha 17 anni e vive a Napoli con il fratello più piccolo di cui si occupa. Il padre li ha abbandonati. D'estate a 12 anni Emma si è ritrovata a lavorare in un campeggio per accompagnare sua madre ormai dipendente dall'alcol. «Ero troppo piccola per rimanere a casa da sola, quindi ero costretta ad andare con lei». Nel campeggio Emma aiuta sua madre nel lavoro ma l'età da bambina non le risparmiare le fatiche, anzi. Dalle 5 di mattina fino alle tre di notte si arrangia a fare un po'tutto quello che serve: «Prendevo le casse d'acqua dal magazzino, facevo i caffé al ba, eropiccola ma dovevo avere gli occhi su tutto». Per lei non c'è né contratto né assicurazione né paga. Eppure non mancano pretese e rimproveri da parte dei titolari che si aspettavano che sia sempre operativa: «Distrutta dalla fatica, aspettavo che la padrona del campeggio si assentasse e mi sdraiavo per riposarmi dieci minuti, ma poi lei veniva e si arrabbiava se non riuscivo a reggermi in piedi». Un incubo inflitto a un'età in cui «avrei dovuto solo svagarmi e divertirmi Invece ero sfruttata, dovevo fare tutto io». Altri suoi coetanei sono bagnini o camerieri. «Si rimboccano le maniche per aiutare la famiglia, convinti che la scuola non serva a pagare le bollette o a prendere in affitto una casa». Adesso Emma è tornata sui banchi e vuole diplomarsi in Ragioneria per andare all'università: «Lascerò un segno per me stessa e per mio fratello che crede in me». In Italia, su 144 mila bambini che lavorano, 31 mila lo fanno in condizioni di sfruttamento come Valerio ed Emma. A schiavizzarli sono soprattutto i produttori di falsi prodotti griffati e la criminalità organizzata. «Non si possono regolare il lavoro minorile e la schiavitù. Alcune cose sono semplicemente sbagliate», dice il regista Michael Moore. —
  7. QUANTE ALTRE ? «Un modus di procedere ispirato dalla conoscenza personale e dalla simpatia, oltre che dai favori ottenuti, quali ad esempio i risultati delle analisi del sangue di persone richiesti ed immediatamente ottenuti, piuttosto che al valore di ciascun dipendente, da misurarsi imparzialmente con le regole del concorso, e fondato sulla indebita promessa del posto». È quel che scrive il gip Fabio Rabagliati nel descrivere i comportamenti della manager Carla Fasson, dirigente Dipsa dell'Asl To4, agli arresti domiciliari e al centro dell'inchiesta coordinata dalla procura di Ivrea sulla sanità canavesana. Per il gip c'è il pericolo di reiterazione del reato e inquinamento delle prove.
    Un grave quadro probatorio che emerge «dal numero dei concorsi alterati e dal vincitore deciso prima delle prove concorsuali». E lo si desume dalle conversazioni telefoniche tra Carla Fasson e i suoi «luogotenenti», così descritti dal gip, Massimo Gai, coordinatore Spresal, e Enzo Bertellini (Sian), indagati e ai quali il gip ha disposto l'interdittiva dal lavoro per dieci mesi. Il primo «asservito per necessità di ottenere la promozione della moglie Maria Grazia Gazzera (indagata per corruzione e rivelazione segreti d'ufficio); il secondo per ottenere ulteriore promozione».
    È rilevante il caso dell'avviso pubblico per mobilità per la copertura di 4 posti di collaboratore Spresal all'Asl To4 del 31 maggio 2022. Fasson fa pressioni a Gai perché scoraggi la prima in graduatoria che proviene da Torino perché il posto era stato promesso a Gaia Pavan (indagata) e che l'aveva poi ottenuto. E per convincerla a rinunciare Fasson chiede a Gai di dirle: «Ivrea è un dramma, non si arriva, c'è la neve». E ancora dice a Gai: «Massacrala. Dille che i turni sono importanti, sono reperibilità importanti: tre o quattro la settimana, compreso sabato e domenica». Carla Fasson ordina a Gai di metterle pressione perché dia una risposta entro sera e insiste di far sapere alla ragazza che se accetta «la sede di Ivrea è a vita»

 

 

15.04.23
  1. DOVE STANNO LE DIFFERENZE DELLA MELONI ?   Cosa c'entra Gabriella Alemanno con la Consob? Nei corridoi della Commissione che controlla la Borsa, si respira un certo scetticismo rispetto alla designazione della sorella dell'ex sindaco di Roma a nuova commissaria. C'è chi fa notare il curriculum non proprio aderente ai compiti previsti da ruolo: «È stata una dirigente di medio livello dell'Agenzia delle entrate, in passato al Demanio, con nessuna competenza in materia di mercati finanziari», è il ragionamento che provoca malumori. Accompagnati dai dubbi sulla sua effettiva indipendenza nello svolgimento del delicato incarico, «per il quale si è spesso oggetto di sollecitazioni esterne». Pesa, poi, il confronto con l'altro neo commissario designato, cioè Federico Cornelli, sicuramente più a suo agio nella parte: finora responsabile delle relazioni istituzionali dell'Abi (l'associazione delle banche), in passato già impegnato in Consob, dove si era occupato di analisi finanziaria ad alti livelli. Ma, è inutile negarlo, le alzate di sopracciglio sono provocate anche dal sospetto che la scelta di Gabriella Alemanno sia dettata da logiche politiche, vista la storica militanza a destra del fratello Gianni. Un sospetto simile a quello suscitato dal recente ingresso della sorella di Alemanno nel consiglio di amministrazione di Ita Airways, anche lì senza particolare esperienza in materia di trasporto aereo. Per la verità, però, i rapporti di Gianni Alemanno con gli ex amici missini negli ultimi mesi si sono piuttosto incrinati, a causa delle critiche dell'ex sindaco sull'invio delle armi in Ucraina: tema su cui è più vicino a Giuseppe Conte che a Giorgia Meloni.
    La premier, comunque, ha puntato sul nome Alemanno per la Consob, avviando l'iter di nomina, che ora prevede il parere (obbligatorio, ma non vincolante) del Parlamento, con le commissioni Finanze di Camera e Senato che potrebbero anche decidere di convocare in audizione la commissaria designata. Poi, di solito nel giro di un paio di mesi, la proposta di nomina arriverà sul tavolo del presidente Mattarella, che deve firmarla, senza che in Consob abbiano alcuna voce in capitolo. D'altra parte, non dovrebbero emergere incompatibilità, visto che Alemanno, 68 anni a luglio, dopo l'ultimo incarico da direttore regionale dell'Agenzia delle entrate in Campania, è andata in pensione. Per entrare in Consob, comunque, dovrà lasciare la poltrona nel cda di Ita.
    Quanto alla presunta incompetenza, non è certo la prima polemica che affronta nella sua lunga carriera da funzionaria dello Stato. Dieci anni fa era stata anche indagata, e poi sotto processo, per abuso d'ufficio, accusata di aver fatto pressioni, in qualità di vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, per evitare a un'amica di pagare una quota di cartelle esattoriali da circa 80 mila euro. Una vicenda da cui è uscita assolta in tribunale. In precedenza, invece, quando dirigeva la vecchia Agenzia del Territorio (nominata nel 2008 dal governo Berlusconi), si era ritrovata nella bufera per aver esagerato con le spese di rappresentanza, strisciando la carta aziendale: oltre un milione e mezzo di euro tra pranzi, cene, regali e gioielli. Anche in quell'occasione, la signora Alemanno se l'era cavata senza conseguenze, continuando a collezionare incarichi pubblici. Quella sì una sua competenza indiscutibile, checché ne dicano alla Consob.
  2. NO CONTROLLI : Decideva tutto lei. Dalle persone da far vincere alle selezioni interne fino ai rapporti con la direzione dell'Asl To4. Lei è Carla Fasson (avvocato Beatrice Rinaudo), dirigente del Dipsa (dipartimento delle professioni infermieristiche), a cui il giudice per le indagini preliminari di Ivrea, Fabio Rabagliati, al termine dell'interrogatorio di garanzia, ha confermato la misura degli arresti domiciliari per pericolo di «reiterazione del reto» e «inquinamento delle prove». Nella maxi inchiesta sulla sanità Canavesana coordinata dalla procura di Ivrea, Carla Fasson è indagata per «abuso e rivelazione di segreti d'ufficio» e «corruzione». Sotto la lente di ingrandimento ci sono una decina di selezioni interne all'azienda che sarebbero state pilotate.
    Il giudice scrive come Fasson fosse «importante nell'organizzazione dell'Asl To4 dimostrata dai rapporti e contatti con Stefano Scarpetta, direttore generale dell'Asl». Una manager influente anche nei confronti della direzione dell'azienda, come emerge in una telefonata in cui si rivolge al direttore generale dicendogli che «deve seguirla, che ci sarà un rimpasto e che verranno sicuramente spostati...». A riprova del suo inserimento anche in situazioni che non la riguardano, in un'altra conversazione telefonica del febbraio di un anno fa chiede a Scarpetta «se Rossi (liquidatore Saapa) ha le palle per gestire l'ospedale di Settimo e tutta la situazione». E ancora quando in un altro colloquio telefonico la dirigente del Dipsa detta al direttore Scarpetta ciò che deve dire ai giornalisti.
    Dalle carte emerge la figura di una manager con contatti anche a livello politico contiguo all'Asl To4 e, più in generale, alla sanità regionale. Per il giudice è questo l'ambito in cui Fasson strumentalizza il procedimento concorsuale tanto da decidere chi mettere a capo delle diverse strutture che le sono affidate. In un caso garantisce il posto di coordinatore di Radiologia medica ad una persona in cambio di «esiti delle analisi biologiche di alcune persone». E il suo interlocutore, che poi si sarebbe presentato alla selezione interna, le risponde: «Ogni tua richiesta è un ordine per me».
    Nelle oltre 70 pagine dell'ordinanza il gip Rabagliati ha anche applicato nei confronti di altri indagati (in concorso con Fasson), Massimo Gai dello Spresal (avvocato Luca Fiore) e Enzo Bertellini del Sian (avvocati Mario Benni e Enrico Scolari), quest'ultimo in pensione da poco, la misura interdittiva dalla professione per 10 mesi. Il gip non si è invece ancora pronunciato nei confronti della quarta indagata, Claudia Griglione (avvocato Francesca Magagna), che avrebbe ottenuto di anticipare il concorso per lo Spresal di Cirié perché doveva partire per una vacanza negli Usa

 

14.04.23
  1. LA BUSSOLA DI MELONI NON FUNZIONA ?    Una condanna penale e un'altra della magistratura contabile alle spalle, un curriculum che non menziona altre specializzazioni oltre a quella di "statistica sanitaria", un h-index, l'indice che misura il livello scientifico delle ricerche pubblicate, che è neanche un quarto di quello vantato da Gianni Rezza. Colui che "Franceschiello" Vaia - come lo aveva ribattezzato il suo ex assessore alla sanità laziale, Alessio D'Amato, un secolo prima di nominarlo a capo dello "Spallanzani"- è candidato a sostituire il mese prossimo alla direzione della prevenzione al ministero della Salute. Un posto di importanza strategica nella malaugurata, ma non improbabile ipotesi di una nuova pandemia.
    Al dicastero di Orazio Schillaci già si misurano i passi che lo separerebbero dalla stanza di Gianni Ippolito, il direttore del dipartimento Ricerca che quando era lui il numero uno allo Spallanzani arrivò alle mani con il "camaleonte", altra definizione affibbiatagli da D'Amato.
    Diversamente da Francesco II di Borbone, ultimo re delle Due Sicilie, Francesco Vaia ha però regnato per ben più di un anno. Il ruolo di direttore, prima delle Usi e poi delle Asl, lo ha mantenuto per oltre 15 anni, passando indenne ai cambi di colore delle giunte che via via si succedevano, prima nella sua Campania, poi nel Lazio. Dove "Lady Asl" - l'imprenditrice della sanità privata Anna Iannuzzi - lo tira dentro lo scandalo delle tangenti che fioccano dalle parti delle cliniche romane. Dopo una fuga a Gaeta, non da Garibaldi ma dal Gip, Vaia finirà ai domiciliari prima che le accuse finiscano in prescrizione.
    A pesare su di lui sono invece rimasti il patteggiamento a Napoli a un anno e sette mesi di reclusione per una storia di appalti e tangenti, con ipotesi di associazione e delinquere e corruzione. Il direttore quando si è candidato alla guida dello Spallanzani, ha sventolato il provvedimento di estinzione dei reati oggetto di quella sentenza, ma la condanna resta.
    Così come dovrebbe pesare quanto a suo tempo scritto dal Gip Luisanna Figliola quando ne dispose l'arresto: «Particolare allarme sociale desta la situazione afferente al Vaia. Lo stesso risulta pluricondannato a una pena complessiva di anni uno e mesi sette di reclusione e di lire 1.200.000 di multa per associazione a delinquere, reato commesso a Napoli dal 1991 al 1993, nonché per vari e numerosi reati di corruzione e per atti contrari ai doveri d'ufficio». Un curriculum più lungo di quello scientifico. Dove l'h-index di Vaia è di 17 punti contro i 67 di Rezza. Senza contare che la maggioranza delle pubblicazioni sono cofirmate con ricercatori dello Spallanzani di cui è alla guida. Ma all'uomo che sussurra alla Meloni, consigliandole mosse e strategie sulla sanità, al ministero hanno costruito un interpello per il posto di direttore della prevenzione che sembra cucito su misura. Oltre alla laurea in medicina è infatti richiesta una generica «formazione in materia di interesse di sanità pubblica», quando in quella posizione sarebbe il caso di avere titoli in epidemiologia o infettivologia. Riguardo la «comprovata esperienza professionale nella direzione di strutture organizzative complesse» ci sono invece due deliberazioni del Policlinico Umberto I di Roma che dimostrano come Vaia non avesse i titoli per ricoprire il ruolo di direttore sanitario. Secondo i calcoli dell'Umberto I gli emolumenti non dovuti ammonterebbero a 320mila euro, ma poi tra l'ospedale e il medico si è raggiunto un accordo di conciliazione che non aggiusta però il curriculum sanitario del candidato alla successione di Rezza. Che in realtà aveva puntato alla presidenza dell'Iss, che è anche il più grande istituto pubblico di ricerca in Europa. Forse un po' troppo, tanto che li a sostituire il Professor Silvio Brusaferro, in scadenza di mandato a luglio, dovrebbe arrivare il direttore della clinica di malattie infettive al "San Martino" di Genova, Matteo Bassetti. Una virostar con curriculum scientifico di tutto rispetto e un h-index delle pubblicazioni scientifiche da 77 punti. Oltre quattro volte tanto quello di Franceschiello Vaia, indirizzato verso una poltrona non meno strategica.
  2. LA MAFIA TEME GILETTI: Altro che perquisito, altro che indagato. Non solo Massimo Giletti è stato sentito dai magistrati di Firenze, in due occasioni, come semplice testimone, ma dalla procura filtra addirittura preoccupazione per la sua vita.
    Si teme per la sua sicurezza personale - nonostante sia già sotto scorta - per l'attività giornalistica svolta nelle interviste a Salvatore Baiardo, l'uomo che coprì la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano (ora in carcere), reato per cui scontò 4 anni di carcere negli Anni Novanta.
    Al centro della puntata di «Non è l'Arena» dello scorso 5 novembre la rivelazione di Baiardo sulla malattia di Matteo Messina Denaro e l'ipotesi che presto si sarebbe fatto arrestare. Un autentico scoop, tanto più che due mesi dopo, il 15 gennaio, il super boss di Cosa Nostra venne fermato proprio nella clinica privata di Palermo dove si curava per un cancro.
    Come mai Baiardo era così ben informato? La procura di Firenze sta indagando su quelle anticipazioni perché da tempo si occupa di Messina Denaro che ha pianificato la strage di via Georgofili, a Firenze, nei pressi della Galleria degli Uffizi. Era il 27 maggio 1993: Il Fiat Fiorino imbottito di esplosivo saltò in aria vicino agli Uffizi. Provocò la morte di cinque persone, mentre furono trentotto i feriti. Con danni importanti anche per lo stesso museo. Quell'assalto (per cui Messina Denaro venne condannato in via definitiva dalla Cassazione nel 2002) viene inquadrato nella scia degli altri attentati del 1992-1993 che provocarono la morte di 21 persone (tra cui i giudici Falcone e Borsellino) e gravi danni al patrimonio artistico.
    La procura di Firenze è quindi molto interessata a tutto ciò che gravita intorno a Messina Denaro. Di qui l'intenzione di approfondire le affermazioni di Salvatore Baiardo di fronte a Massimo Giletti. Il noto conduttore tv è stato così interrogato, come persona informata dei fatti, due volte: il 19 dicembre 2022 e il 23 febbraio scorso. Nulla emerge da quei due incontri, coperti dal segreto istruttorio, se non l'intenzione a ricostruire come siano state organizzate le interviste a Baiardo (oltre a novembre, fu ospite su La 7 anche il 5 febbraio). E inoltre filtra, appunto, la preoccupazione sull'incolumità di Giletti.
    La puntata su cui è concentrato il faro degli inquirenti è, comunque, quella del 5 novembre, due mesi prima del clamoroso arresto del capo di Cosa nostra. «Chissà che non arrivi un regalino – aveva detto Baiardo – che un Matteo Messina Denaro, che presumiamo sia molto malato, faccia una trattativa lui stesso di consegnarsi per un arresto clamoroso. In questo modo, qualcuno in ergastolo ostativo potrebbe uscire senza che si faccia troppo clamore». Per questa intervista Baiardo è stato pagato? E con quelle parole spese in tv il pentito stava anche inviando messaggi a esponenti mafiosi? Si sta indagando per scoprirlo.
  3. LA RUSSIA NON POTEVA AVERE  INTERESSE : La talpa del Pentagono ha un nome, Jack Douglas Teixeira 21 anni; è un aviatore e membro della 102esima Intelligence Wing della Guardia nazionale del Massachusetts; ha una passione per le armi e un'inclinazione al complottismo.
    Ieri poco dopo le due la sua carriera di divulgatore di carte segrete è finita. Gli agenti dell'Fbi l'hanno portato via ammanettato, t-shirt verde militare e pantaloncini corti, dalla sua casa a North Dighton. Il portavoce del Pentagono Pat Ryder, parco di dettagli perché «c'è un'inchiesta in corso», ha detto che quello di Teixeira è un «deliberato atto criminale». L'Attorney General Merrick Garland ha confermato l'arresto, avvenuto «senza incidenti», ha detto che l'inchiesta prosegue e anticipato che l'arrestato comparirà per l'incriminazione secondo l'Espionage Act in tribunale a Boston. Ogni memo è un capo d'accusa punibile fino a 10 anni di reclusione.
    La rapidità con cui le autorità Usa sono riuscite a rintracciare la talpa che ha copiato e fotografato per mesi documenti d'intelligence segreti e top secret, lascia pensare che Teixeira non avesse un piano specifico, e né godesse di copertura. Le foto finite sul Web erano disseminate di indizi – dall'immagine della colla Gorilla, a dei tagliaunghie sino a particolari della casa d'infanzia e impronte digitali elettroniche come la data della stampa sui fogli – che una volta radunati hanno rapidamente condotto gli agenti a dare un volto un nome e una storia a OG: così era noto sulla chat di Thug Shaker Central che animava, sulla piattaforma Discord.
    È stato il New York Times a dare per primo un nome alla talpa, dopo che ieri mattina il Washington Post ne aveva tracciato un identikit molto dettagliato grazie ai racconti di alcuni dei venti-trenta utenti che condividevano interessi e passioni militari su Thug Shaker Central.
    Teixeira frequentava una di queste "stanze virtuali" su Discord dai tempi della pandemia. Si era iscritto – come migliaia di altri giovani – per evadere dalla solitudine innescata dalle regole del Covid. Insieme ad altri utenti era quindi approdato in una chat di appassionati di armi e di equipaggiamento militare. Qui era riuscito nei mesi a conquistare una certa credibilità parlando di questioni militari in modo molto dettagliato e informato. Due dei compagni di discussione hanno raccontato al Washington Post che Teixeira voleva solamente «indottrinare» e che quando le carte segrete, dalla stanza virtuale e dalla stretta condivisione con gli amici, sono finite sul Web, dopo che un teenager le ha girate su altri server di Discord, è andato nel panico. Negli ultimi giorni lavorava di notte a Cape Cod e aveva cambiato anche numero di cellulare, ha riferito la madre.
    Non saremmo quindi dinanzi a un nuovo Snowden; e nemmeno di qualcuno manovrato dai russi come alcuni anche autorevoli commentatori avevano evidenziato. I suoi amici l'hanno difeso, «sicuramente non lo definirei una talpa», e lo stesso nome della stanza "Orso contro Maiale" ci sono riferimenti sprezzanti sia alla Russia sia all'Ucraina. Teixeira ha una visione complottista, ritiene – secondo quanto ricostruito dai media Usa – che il governo e gli apparati di intelligence opprimessero i cittadini e li tenessero all'oscuro di informazioni importanti. In un video scovato sul Web si vede anche Teixeira sparare dei colpi al poligono di tiro dopo aver scaricato una serie di insulti razziali e antisemiti.
    L'arresto della talpa non chiude l'inchiesta. Ci sono tantissime incognite. Anzitutto legate alla circolazione delle carte segrete. Il Washington Post ha detto di aver analizzato 300 fotografie, la Cnn ha visionato 53 documenti segreti. Potrebbero essere centinaia i memo divulgati e nascosti da qualche parte sul Web e nei canali social come Telegram. Non è nemmeno chiaro quando Teixeira abbia iniziato la sua "attività". Di sicuro all'inizio trascriveva a mano il materiale, poi è riuscito a fotografarlo. La cosa che ha sorpreso gli osservatori è che le informazioni uscite sono molto fresche, alcuni memo sull'Ucraina ad esempio sono datati 22 febbraio.
    Il Pentagono ha adottato già nei giorni scorsi contromisure per limitare le liste di distribuzione delle email sensibili. Teixeira e il suo reparto si occupavano di intelligence per il Joint Chiefs Command, il cuore della Difesa Usa guidato dal generale Mark Milley. Ecco perché nonostante non avesse un grado alto, l'aviatore poteva avere accesso al materiale più sensibile. —
  4. LE SPIE AMERICANE SEMPRE IN SERVIZIO : I tentacoli della sorveglianza americana abbracciano l'intero Pianeta andandosi a insinuare in ogni pertugio che le maglie di sicurezza dei governi offrono, con l'obiettivo di spiarne segreti riconducibili al conflitto russo-ucraino e alle attività degli emissari di Mosca. È quanto emerge dalla fuga di documenti militari riservati secondo cui, spiega il Washington Post, i radar Usa erano orientati verso gli attori più o meno coinvolti nel conflitto, a partire da nazioni più piccole fino ad arrivare alle Nazioni Unite.
    Ucraina
    Sotto la lente di ingrandimento americana ci sono i punti deboli nelle difese aeree ucraine e potenziali problemi con le forniture di munizioni. Un'istantanea di fine febbraio scattata dal Pentagono spiega che la «capacità dell'Ucraina di fornire una difesa aerea a medio raggio per proteggere le linee del fronte sarà fortemente ridotta entro il 23 maggio». Un altro rapporto «top secret» offre una cupa valutazione della prevista controffensiva dell'Ucraina, avvertendo che probabilmente si tradurrà in «modesti guadagni territoriali, ben al di sotto» degli obiettivi di Kiev.
    Russia
    Grazie all'opera di infiltrazione nell'intelligence russa gli Stati Uniti sono stati in grado di avvertire l'Ucraina di attacchi imminenti. I documenti fanno anche riferimento alla pianificazione interna del Gru, l'agenzia di intelligence militare russa, e del Gruppo Wagner, i mercenari al soldo di Mosca, suggerendo che entrambi sono stati compromessi dagli hacker di Washington.
    Cina
    I documenti includono analisi sui rischi ad ampio raggio posti dalla Cina, inclusa la volontà di Pechino di inviare armi letali alla Russia e dettagli di un test sperimentale di armi ipersoniche condotto dalla Cina a febbraio, il DF-27 che ha volato per 12 minuti su oltre duemila chilometri ed ha «alta probabilità» di penetrare nei sistemi di difesa balistica statunitensi. Un dossier pubblicato a febbraio afferma inoltre che un attacco ucraino sul suolo russo utilizzando armi della Nato potrebbe trascinare Pechino nella guerra.
    Egitto
    Un documento datato 17 febbraio riassume presunte conversazioni tra al-Sisi e alti funzionari militari egiziani che fanno riferimento a piani per fornire alla Russia munizioni di artiglieria e polvere da sparo. Nel documento, il presidente ordina di mantenere segreta la produzione e la spedizione dei razzi «per evitare problemi con l'Occidente».
    Iran
    Le agenzie Usa monitorano produzione e approvvigionamento degli armamenti di Teheran, mentre un rapporto top secret riferisce di sforzi per veicolare un'imminente visita di Rafael Grossi, capo dell'Aiea.
    Ungheria
    Un «aggiornamento della Cia» afferma che Viktor Orban ha identificato gli Stati Uniti di Joe Biden (con Donald Trump i rapporti erano cordiali) come uno dei «tre principali avversari» del suo partito. L'affermazione è stata identificata come una sostanziale escalation del livello di retorica anti-americana.
    Serbia
    Un documento dell'intelligence statunitense da poco trapelato sembra indicare che il Paese balcanico avesse fornito armi letali a Kiev. «La Serbia non ha inviato armi all'Ucraina e tutte le accuse pubblicate su questo argomento sono false voci - è la replica del ministro della Difesa Milos Vucevic -. Qualcuno ovviamente mira a trascinare la Serbia in quel conflitto».
    Corea del Sud
    Seul è nei radar Usa per aver inizialmente accolto con diffidenza la richiesta di Washington di inviare munizioni per artiglieria all'Ucraina. L'intelligence del Paese asiatico era preoccupata che la richiesta potesse causare irritazione a Mosca.
    Turchia
    Sarebbe stata contattata da Wagner per ottenere armi e attrezzature «con cui sostenere attività del gruppo di Yevgeny Prigozhin in Mali e Ucraina». Non è dato sapere se la Turchia sapesse o se la trattativa è andata a buon fine.
    Canada
    Zarya, un gruppo di hacker filorusso, il 25 febbraio ha condiviso documenti con un presunto ufficiale dell'agenzia di intelligence di Mosca Fsb in cui si affermava di aver ottenuto l'accesso alla rete infrastrutturale del gas canadese e di poter, tra le altre cose, avviare un arresto di emergenza di un sito di distribuzione. L'Fsb credeva che si potesse causare un'esplosione. Non è chiaro se un episodio del genere si sia verificato.
    Haiti
    Emissari del gruppo Wagner avevano in programma alla fine di febbraio di recarsi «sotto copertura» ad Haiti per valutare un potenziale accordo col governo e combattere le bande criminali che controllano vaste aree della capitale, sul modello di quanto accaduto in Mali in chiave antijihadista. A ottobre, il primo ministro Ariel Henry ha invocato il dispiegamento di una forza di sicurezza straniera per arginare la violenza delle bande, ma Usa e alleati non si sono dimostrati inclini a occuparsene, sebbene una frangia repubblicana spinga per un intervento. Il governo di Port-au-Prince nega ogni contatto con gli emissari di Prigozhin.
    Onu
    Gli Stati Uniti ritengono che Antonio Guterres sia troppo accomodante con Mosca. Washington ha monitorato da vicino il segretario generale specie le comunicazioni private col suo vice. Un carteggio in particolare si concentra sull'accordo sul grano, mediato da Onu e Turchia e fa intendere che il segretario fosse così ansioso di preservare l'accordo da essere disposto a soddisfare gli interessi della Russia.
  5. LA MALAVITA CONTROLLA LA POLITICA PIEMONTESE : Oltre ai pluridichiarati – e noti – pericoli che la presenza della ‘ndrangheta a Torino e in Piemonte, trascina con sé ormai da decenni e che sono agli atti ormai di decine di indagini e seguenti processi, la capacità più temuta delle cosche calabresi – al Nord come al Sud – è quella di saper rimpolpare le proprie fila anche dopo una Caporetto giudiziaria come è stata ad esempio Minotauro nel 2011 e come lo sono certamente state cerbero e Platinum, le ultime due mxi inchieste. Il tema è un focus della relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia). Nel documento di centinaia di pagine, in cui due capitoli sono dedicati alla città e alla regione si legge: «Pur seriamente colpita con numerosi arresti e condanne, la criminalità calabrese continua a mantenere significativo il proprio potere, dimostrando grande dinamismo e assoluta capacità di rigenerarsi permettendo così l'affermazione di leader di nuova generazione».
    Sono giovani, terza o quarta generazione di mafiosi doc che sono arrivati n Piemonte ormai negli anni Settanta. Forse anche prima. Instaurando locali (strutture di base delle cosche) nei paesi soprattutto dell'hinterland nord e sud. Hanno imparato tutto, ma tengono un profilo anonimo differenziandosi da imprudenti figli di capimafia che frequentano i locali della città tra champagne e ricche cene destinati a dissolvere il loro potere (senza carisma) molto presto.
    Scrive la Dia. «Il semestre in rassegna non ha evidenziato significative inversioni di rotta circa l'assetto del variegato contesto criminale. Per quanto concerne la criminalità organizzata di tipo mafioso, benché presente in tutte le sue forme, la ‘ndrangheta risulta quella più incisiva, come più volte documentato da numerose sentenze, molte delle quali già passate in giudicato». Si richiamano le parole pronunciate dal Procuratore Generale del Piemonte Francesco Saluzzo all'inaugurazione dell'anno giudiziario che poneva l'accento sulla dimensione che desta più allarme, quando parla di contiguità con pezzi del mondo politico, imprenditoriale, la cosiddetta area grigia in cui la ‘ndrangheta «sempre più pervasiva e più forte economicamente» ha aperto canali insospettabili «proprio ora che si debbono investire i soldi del Pnrr». Nel nuovo corso delle cosche ci sono anche alleanze, note da tempo agli investigatori e ai cronisti (meno all'opinione pubblica) con tessuti criminali locali: «Sempre più spesso emergono collegamenti con esponenti della criminalità locale con soggetti di etnia sinti che, in talune circostanze, hanno svolto una funzione sussidiaria specie nel reperimento di armi da fuoco». Ancora: «Tutte le indagini eseguite nei confronti di formazioni ‘ndranghetiste operanti in Piemonte e nella vicina Valle d'Aosta hanno evidenziato il coinvolgimento di rappresentanti politici, accertando come i candidati alle competizioni elettorali, consci del potere acquisito da soggetti affiliati o contigui ai sodalizi mafiosi nei confronti di parte della popolazione (specialmente se corregionali), cerchino apertamente il loro appoggio per il risultato elettivo. In questo scenario restano sullo sfondo - ma solo al momento – le altre mafie: Cosa Nostra e camorra. La prima vantava fino alla fine degli anni Ottanta una posizione di supremazia nel "controllo del territorio" a Torino e provincia, ma è stata di fatto soppiantata dai "calabresi".
    Che, per gli investigatori «prediligono una strategia silente, finalizzata all'infiltrazione del tessuto socio-economico e alla scalata dei gangli della cosa pubblica, non disdegnando, se necessario, il ricorso ad atti di violenza per il perseguimento delle proprie finalità illecite».

 

 

13.04.23
  1. MELONI CRASH :  Certo, c'è la scusa delle riforme di legislatura, per cui Meloni e C. hanno ancora diversi anni di tempo per realizzare tutti i loro programmi, ma il nuovo Documento di Economia e Finanza, il Def (approvato martedì dal Consiglio dei ministri, sulla carta perché il testo completo non è stato ancora diffuso) concede sì un piccolo taglio al cuneo fiscale, ma rinvia tutto il resto (e non è poco) a tempi migliori.
    Non si parla né di flat tax né di riformare l'Irpef, su cui si ritornerà eventualmente in autunno quando la Nota di aggiornamento chiarirà meglio le prospettive economiche del 2024, e men che meno si parla di riforma delle pensioni. Oltre a questo non ci sono risorse per finanziare il rinnovo dei contratti nella pubblica amministrazione, per evitare che la sanità pubblica collassi definitivamente dopo i tagli degli anni passati o per far fronte ad una eventuale nuova emergenza bollette che potrebbe presentarsi il prossimo inverno. Come al solito il sentiero è stretto e in prospettiva oltre agli oneri del superbonus, di cui Giorgetti continua a lamentarsi, pesa l'aumento degli interessi sul debito pubblico che a causa dell'aumento dei tassi faranno salire il costo annuo dai 74,6 miliardi di quest'anno ai 100,85 del 2026 con un esborso aggiuntivo di 76,47 miliardi di euro in 4 anni.
    Il solo intervento di riduzione dell'Irpef da 4 a 3 aliquote, primo passo verso una tassa piatta estesa poi tutti, a seconda delle opzioni costa tra i 6 ed i 10 miliardi di euro l'anno. Una parte delle risorse la si può ricavare dalla revisione di detrazioni e sconti fiscali, ma resterebbe certamente una quota importante da coprire. Lo stesso vale per l'azzeramento dell'Iva sui beni di prima necessità come pane, pasta e latte che pure era stata ipotizzata. Niente coperture, niente sconti, nessuna riforma. Idem sulle pensioni. E del resto un governo che nonostante i ripetuti appelli del ministro del Lavoro Calderone fatica a racimolare i 180-200 milioni che servono a ripristinate il vecchio meccanismo di Opzione donna che l'ultima legge di bilancio ha schiantato, come può pensare di poter fare di più nel campo delle previdenza. Per questo non solo resta al palo il disegno complessivo di riforma dopo anni di toppe e ripetuti aggiustamenti sempre provvisori – tant'è che da settimane i sindacati non vengono nemmeno più convocati al ministero - ma non prende nemmeno corpo l'idea di introdurre la possibilità per tutti di andare in pensione senza penalizzazioni con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica come chiede da tempo la Lega. Che infatti ora mastica amaro dovendo accontentarsi di un altro anno di Quota 103.
    Niente, salvo sorprese che potrebbero spuntare nel testo del Def, anche di pensioni non si parla. La ragione? La solita. Secondo le stime dell'Inps l'estensione a tutto campo di Quota 41 costerebbe infatti più di 4 miliardi nel primo anno di «attivazione» per poi arrivare a superare la soglia dei 9 miliardi nell'ultima annualità di un percorso decennale. In pratica un botto di soldi che il governo non ha.
    Rosicchiando qualche decimale di deficit rispetto alle stime tendenziali, infatti, Giorgia Meloni per quest'anno ha a disposizione appena 3 miliardi di euro che saliranno a 4 l'anno prossimo. Come ha annunciato l'altra sera in una nota il ministro dell'Economia Giorgetti le risorse che si liberano quest'anno verranno tutte concentrate su un nuovo taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi in modo da sostenere il potere d'acquisto delle famiglie e contribuire alla moderazione della crescita salariale.
    In concreto? Pochi euro. Basti pensare che coi 4,8 miliardi stanziati dall'ultima legge di bilancio coi quali il governo ha ridotto di 3 punti il peso dei contributi a carico dei lavoratori dipendenti con un reddito lordo annuo sino a 25 mila euro e di due punti quelli tra 25 e 35 mila euro, è stato assicurato uno sconto di appena 19,25 euro lordi al mese (231 in un anno) per i redditi sino a 10 mila euro, di 28,88 (346,50 anno) per un reddito di 15 mila, per salire poi a 32,9/395 anno con 20 mila euro e a 41,15/493,85 con 25 mila. Mentre con 35 mila euro di lordo in busta paga si ottengono 32 euro lordi in più al mese e 384 in un anno.
    I 3 miliardi che il governo adesso vuole aggiungere, insomma, non basterebbero a raddoppiare lo sconto e solamente concentrandoli nella seconda parte dell'anno consentirebbero di avvicinarsi alle richieste dei sindacati che da mesi chiedono un taglio secco di 5 punti in modo da ottenere un aumento medio di 100 euro. Questo, tra l'altro, a patto di non concedere nulla alle imprese, che invece a loro volta battono cassa. Senza contare poi che nel 2024 poi si dovrebbe ricominciare da capo, perché che non è pensabile che il governo faccia dietrofront e non confermi il taglio dei contributi. Per questo già oggi si può dire che i 4 miliardi che liberano il prossimo anno non solo sono già impegnati, ma non sono nemmeno sufficienti a garantire gli stessi miseri vantaggi di quest'anno. —
  2. LA MELONI HA CAPITO ? L'Aula della Camera ha definitivamente approvato la proposta di legge sull'equo compenso delle prestazioni professionali: 243 voti favorevoli, nessuno contrario e 59 gli astenuti. La nuova legge definisce, in 13 articoli, l'equo compenso e stabilisce la nullità delle clausole che non lo prevedono, introducendo la possibilità di tutelare i diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe. Le norme riguardano, oltre alle prestazioni professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, anche quelle per imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato più di 50 lavoratori o con ricavi annui superiori a 10 milioni.
  3. ERRORI DI VITA: Si riaccendono i timori per la salute di Alexey Navalny. Secondo l'avvocato Vadym Kobzev, il rivale numero uno di Putin avrebbe perso ben otto chili in 15 giorni, e nella notte tra venerdì e sabato - dopo un ennesimo periodo in isolamento - avrebbe accusato dolori allo stomaco così forti da costringere i dirigenti del carcere in cui è rinchiuso a chiamare un'ambulanza. «Non possiamo escludere che lo stiano avvelenando lentamente, in modo che peggiori in modo graduale ma costante», ha affermato il legale secondo Meduza, sostenendo che Navalny abbia «una non chiara malattia» e che nessuno lo stia curando. Difficile dire come stiano le cose con l'oppositore rinchiuso in un carcere del regime di Putin e, per sapere di cosa soffra, Navalny dovrebbe essere visitato da medici indipendenti.
    L'avvocato Kobzev ha detto di voler chiedere esami tossicologici e radiologici per il dissidente, che in questi anni non ha mai smesso di criticare il Cremlino e di condannare la crudele invasione dell'Ucraina. «Potrebbe sembrare insensato e una paranoia per qualcun altro, ma non per Navalny dopo il Novichok», ha scritto Kobzev su Twitter riferendosi all'agente nervino col quale si ritiene che Navalny sia stato intossicato tre anni fa, in un avvelenamento che ha fatto a lungo temere per la sua vita e per il quale si sospettano gli 007 russi.
    Navalny fu curato a Berlino e arrestato non appena rimise piede in Russia. Da allora il regime di Putin lo ha sommerso di accuse di palese matrice politica, e la repressione pare continui a prenderlo di mira anche nel centro detentivo IK-6 di Melekhovo, il carcere a 250 chilometri da Mosca dove è rinchiuso. Navalny racconta infatti di aver trascorso gran parte degli ultimi mesi in un'angusta cella di rigore e che per le guardie ogni pretesto, anche il più assurdo, è buono per punirlo. L'oppositore ha fatto sapere di essere stato mandato in isolamento per un bottone slacciato o per essersi lavato il viso un po' prima del previsto. Amnesty denuncia che l'obiettivo dell'amministrazione carceraria è quello di «spezzare lo spirito di Navalny rendendo la sua esistenza nella colonia penale insopportabile, umiliante e disumanizzante».
    Nonostante le precarie condizioni di salute, Navalny sarebbe in cella di rigore anche adesso. L'oppositore dice infatti che lunedì è stato mandato ancora una volta in isolamento per altri 15 giorni. Per la tredicesima volta in otto mesi. E denuncia che le condizioni siano passate «da infernali a estremamente infernali». Ad esempio, la sua passeggiata quotidiana sarebbe stata spostata alle 7 di mattina e, secondo l'oppositore, solo nel pomeriggio si può «avere la fortuna di stare per un po' in un posto illuminato dal sole». Il blogger anticorruzione ipotizza che dietro questo trattamento ci sia un'indagine del suo team in cui si afferma che il carcere in cui è rinchiuso acquisterebbe cibo a prezzi troppo alti.
  4. IMPOSSIBILE PER ALMENO L'INTELLIGENZA:Dopo il confronto tra Pietro Orlandi e il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi, l'inchiesta aperta a fine 2022 in Vaticano sulla scomparsa, 40 anni fa, della sorella quindicenne Emanuela potrebbe andare avanti. «Ho percepito la volontà di fare chiarezza - ha detto Orlandi -. Lo stesso Diddi mi ha detto: ho avuto mandato di fare chiarezza al 100% e non fare sconti a nessuno». Orlandi ha presentato una memoria con i risultati delle indagini promosse dalla famiglia con l'avvocato Laura Sgrò. E un aspetto sollevato è particolarmente spinoso. «Mi dicono che Wojtyla ogni tanto la sera usciva con due monsignori polacchi e non andava certo a benedire le case» è la frase-chock pronunciata da Orlandi a DiMartedì con la quale ha ribadito i suoi sospetti sul Papa polacco. Al magistrato ha consegnato un audio in cui un uomo vicino alla banda della Magliana farebbe il nome di Giovanni Paolo II. E torna sulla pista della pedofilia, «penso che una delle possibilità è che Emanuela possa aver magari subito un abuso, ma che quell'abuso sia stato organizzato per creare l'oggetto del ricatto».

 

 

12.04.23
  1. PATNER ENERGICO BY CINGOLANI E DESCALZI: GOVERNO MELONI AL CAPOLINEA:  Antony Blinken, segretario di Stato Usa, ha chiamato l'omologo ucraino Dmitry Kuleba e l'ha rassicurato sull'impegno «incrollabile» di Washington al fianco di Kiev. Quindi ha smentito «categoricamente che gli Usa abbiano dubbi sul fatto che l'Ucraina possa vincere sul terreno la guerra». Qualche ora prima Lloyd Austin, capo del Pentagono, aveva avuto una telefonata con gli alleati sudcoreani rassicurandoli fornendo spiegazioni sulle carte segrete finite on line e che stanno creando non pochi imbarazzi negli Stati Uniti.
    La diplomazia Usa chiama gli alleati, offre spiegazioni e precisazioni ma – come ha spiegato John Kirby, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale – non ha nessuna certezza se ci sono altri documenti sensibili nel Web pronti per essere rivelati. «Certo, che siamo preoccupati».
    L'ultimo motivo di preoccupazione viene dall'Egitto dove il presidente Al Sisi era intenzionato a far produrre e vendere ai russi 40mila proiettili per l'artiglieria. La conversazione fra Al Sisi e alcuni funzionari è avvenuta il primo febbraio, i documenti trapelati portano la data del 17 febbraio. In essi si racconta di come il presidente egiziano si sia premurato con i suoi di far produrre in una delle fabbriche egiziane le munizioni e di spedirle poi in Russia «senza che gli occidentali lo scoprissero». Per questo l'ordine da recapitare all'azienda e ai lavoratori era che le munizioni e gli armamenti erano destinati all'esercito egiziano.
    Il governo del Cairo ieri ha smentito la ricostruzione, Washington ha precisato di non aver indicazioni che il piano è stato portato a termine ma il "leak" ha comunque messo a nudo la difficoltà degli Usa nei rapporti con Al-Sisi. Anche se Kirby ha precisato che «l'Egitto è un partner importante per la sicurezza nella regione».
    Qualche giorno prima la conversazione fra Al-Sisi e i suoi, in Egitto c'era stato Antony Blinken, e in marzo Austin aveva chiesto al Cairo armi per l'Ucraina. La replica degli egiziani alle rivelazioni è stata affidata a un portavoce del ministero degli Esteri, Ahmed Abu Zeid, che ha liquidato la questione come falsa ma allo stesso tempo ha ribadito «l'equidistanza del Cairo» nella vicenda ucraina. L'Egitto è l'importatore principale di grano da Ucraina e Russia, ben l'80% del suo fabbisogno arriva da lì.
    L'Egitto ogni anno riceve 1,3 miliari di dollari in aiuti per la propria sicurezza da Washington. È un accordo ormai datato e spiega quanto Il Cairo sia strategico per gli equilibri in Medio Oriente e Africa. In settembre il Dipartimento di Stato ha sospeso l'erogazione di 130 milioni denunciando violazioni dei diritti umani e chiedendo l'adeguamento ad alcuni standard nel trattamento dei prigionieri, oltre che la liberazione di quelli politici. Tuttavia, il flusso di fondi per la sicurezza non è calato. E nemmeno le visite degli americani al Cairo. Anche Biden in novembre ha avuto un incontro – prima di andare al summit sul clima di Sharm El Sheikh – con Al-Sisi.
    Il Dipartimento di Giustizia Usa ha avviato un'inchiesta sulla fuga di notizie. Si cerca la talpa, e dal Pentagono si fa sapere che potrebbero occorrere mesi. Il materiale è uscito dal ramo d'intelligence del Joint Chief of Staff (J2) ed è etichettato come «secret» o «top secret». Sui materiali c'è la scritta Noform (ovvero non condivisibile con l'intelligence straniera) o Fvey (condivisibile con Nuova Zelanda, Canada, Australia e Regno Unito, i Five Eye con gli Usa). Fonti ufficiali Usa hanno detto che il materiale uscito è originale anche se qualche elemento – come il numero delle vittime della guerra – potrebbe essere stato alterato.
    Il senatore Chuck Schumer, democratico di New York, ha chiesto un «briefing classificato» per tutti i senatori da parte dei vertici dell'Amministrazione.
  2. CINISMO DI NONNA ELISABETTA: Nelle famiglie aristocratiche di tutta Europa la tradizione era la seguente: il primogenito maschio era formato per diventare l'erede del patrimonio di famiglia; il secondo figlio maschio era mandato sotto le armi e, nel caso vi fosse, il terzo figlio maschio poteva entrare nella Chiesa.
    La Royal family inglese è, ovviamente, una delle ultime famiglie aristocratiche regnanti rimaste. Così, quando il secondogenito del Re Charles, il principe Harry, si è firmato "The Spare" (la "Riserva", N. d. T.) nell'autobiografia di successo, in pratica si è lamentato del fatto di avere una famiglia del tutto tradizionale che lo ha trattato da secondogenito.
    Un nuovo cortometraggio che sta per essere trasmesso dalla televisione britannica, però, lascia intendere che la verità potrebbe essere per alcuni aspetti molto più complessa. Effettivamente, si tratta di una verità così complessa che, a partire da uno stesso comunicato stampa reso noto dagli autori del documentario, i giornali inglesi ne hanno dato versioni discrepanti.
    Il "Daily Mail" scrive che, in un'intervista inserita nel cortometraggio, il generale Sir Mike Jackson, capo delle forze armate durante la guerra in Afghanistan, racconta che la compianta regina Elisabetta ha impedito al figlio maggiore di Charles, il principe William, di combattere in Afghanistan, consentendo però al fratello minore di quest'ultimo, il principe Harry per l'appunto, di andare a combattere i talebani perché… ebbene sì, era "la riserva".
    Il "Sun" e il "Times", invece, affermano che dall'intervista risulta che la regina voleva che entrambi i nipoti «facessero il loro dovere» e combattessero nella guerra in Afghanistan, ma che altre persone non identificate – e che secondo i giornali sarebbero personalità di spicco dell'establishment –
    hanno ritenuto troppo rischioso per il principe William andare in guerra, dato che da lì a poco sarebbe diventato l'erede al trono, come di fatto è avvenuto nel settembre scorso, quando la regina Elisabetta è mancata all'età di 96 anni.
    Che cosa ci fa comprendere questa confusione? In primo luogo, ci ricorda che la royal family moderna in effetti ha già preso le distanze dallo stereotipo aristocratico, visto che entrambi i figli di re Carlo servivano sotto le armi e non solo il secondogenito. All'inizio degli anni Settanta, anche l'attuale re trascorse cinque anni nella Royal Air Force e nella Royal Navy. Ma non combatté nessuna guerra. In pratica, la tradizione della famiglia reale inglese era quella di mandare i propri figli nelle forze armate ad addestrarsi, senza esporli a un pericolo mortale.
    La seconda cosa che le recenti notizie ci fanno capire è che nel primo decennio del XXI secolo la situazione era diversa. Le forze armate britanniche combattevano due guerre – in Afghanistan e in Iraq – e la presenza dei due principi nei ranghi militari sollevò un interrogativo inedito: dovevano combattere o soltanto imparare a guidare un elicottero?
    Eccoci, quindi, a una terza informazione, forse quella più aderente alla realtà. A quanto pare, entrambi i principi volevano essere mandati a combattere in Afghanistan, ma soltanto uno poté soddisfare la sua ambizione: il principe Harry. Che la decisione di impedire a William di andare in guerra sia stata presa dalla regina o da altri è secondario rispetto al fatto di sapere che entrambi avrebbero voluto andarci.
    Chiunque ha preso la decisione di impedire al principe William di andare a combattere non ha fatto altro che ripristinare la tradizione aristocratica piuttosto ovvia di cui ho parlato prima. Nondimeno, questa notizia getta nuova luce sulle affermazioni del principe Harry, secondo cui il fatto di essere "The Spare" ha ingiustamente ostacolato la sua vita di membro della famiglia reale. Nel caso dell'Afghanistan, infatti, a essere stata ostacolata è stata la volontà di William.
    In ultima analisi, alla maggior parte di noi non interessano molto i dissapori all'interno della famiglia reale, una sorta di intrattenimento con personaggi celebri. Come nel caso dei personaggi celebri immaginari, molte persone istintivamente si schierano da una parte o dall'altra, per puro divertimento. Adesso chi si schiererà dalla parte di Harry, la bistrattata riserva, farà bene a riflettere: per ciò che riguarda il suo servizio nell'esercito, in definitiva è stato lui a fare quello che voleva. —

 

 

 

11.04.23
  1. OBIETTIVI IMPOSSIBILI :  Rate, scadenze e spese: le tappe del Recovery
    DOMANDE & RISPOSTE
    l1Che tempi prevede il Pnrr?
    Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un percorso a tappe. Ha preso il via nel 2021 con la trasmissione alla Commissione Ue del documento redatto dal governo Draghi. Dovrà concludersi entro l'estate del 2026, termine ultimo per la spesa dei fondi europei.
    l2Quanto vale?
    Nell'ambito di Next Generation Eu l'Italia ha ottenuto 191,5 miliardi di euro. I fondi sono ripartiti in 69 miliardi di contributi a fondo perduto e in 122,5 miliardi di prestiti. I primi non andranno restituiti, mentre i secondi andranno rimborsati dal 2028 in poi. In confronto al debito italiano, i finanziamenti europei offrono un tasso più conveniente perché Bruxelles riesce a spuntare sul mercato interessi inferiori rispetto a Roma.
    l3Come sarà investito?
    Il Piano si articola in sei missioni. La prima vale 49,1 miliardi e riguarda la digitalizzazione e la cultura. La seconda ammonta a 68,6 miliardi e andrà a finanziare la transizione ecologica. La terza missione stanzia 31,4 miliardi ed è dedicata alle infrastrutture per la mobilità sostenibile. La quarta destina 31,9 miliardi all'istruzione. La quinta accorda 22,4 miliardi all'inclusione e alla coesione territoriale. La sesta e ultima missione finanzia con 18,5 miliardi il settore sanitario.
    l4Cosa deve fare l'Italia per ottenere i fondi?
    Deve centrare 525 obiettivi, attuare 190 misure fra riforme e investimenti per la transizione verde e digitale. Periodicamente la Commissione Ue controlla l'avanzamento dei lavori e, in caso di rispetto, eroga con cadenza semestrale le somme dovute.
    l5Quanto ha già incassato il governo?
    Sinora Roma ha ricevuto da Bruxelles quasi 67 miliardi. Ad agosto 2021 sono stati erogati 24,9 miliardi in forma di pre-finanziamento - pari al 13% del totale - suddivisi in 9 miliardi a fondo perduto e 15,9 di prestiti. La prima rata da 21 miliardi è poi arrivata ad aprile 2022, distribuita in 10 miliardi di sovvenzioni e 11 di prestiti. Eguale importo è stato incassato a dicembre 2022 per la seconda tranche. La terza rata da 19 miliardi (10 a fondo perduto e 9 di prestiti) era attesa a febbraio, ma è tuttora sub iudice.
    l6La prossima scadenza?
    La quarta rata da 16 miliardi sarà erogata dall'Ue a patto che l'Italia raggiunga 27 obiettivi entro il 30 giugno di quest'anno, completando l'attuazione della riforma della giustizia civile e penale, il codice per gli appalti e la riforma del pubblico impiego.
    l7Quando arriverà la terza rata?
    È l'oggetto del dibattito in corso fra governo e Commissione. Entro fine 2022 l'Italia era chiamata a raggiungere 55 obiettivi: dalla riforma della concorrenza a quella della giustizia, fino agli investimenti in cybersicurezza, energie rinnovabili, reti, ferrovie, ricerca, turismo. Bruxelles avrebbe dovuto concludere la valutazione a febbraio ma dietro richiesta di Roma ha prolungato l'esame.
    l8Quali sono i punti critici?
    I dubbi dei tecnici Ue si appuntano sulle norme sulle concessioni aeroportuali, le reti di teleriscaldamento e su due progetti contenuti nei Piani Urbani Integrati: la riqualificazione dello stadio di Firenze e la creazione del Bosco dello Sport a Venezia.
    l9Si può modificare il piano?
    Sì, se circostanze oggettive che non consentono di realizzare gli obiettivi previsti. Dopo la crisi del gas scatenata dalla guerra in Ucraina, inoltre, Bruxelles e gli Stati membri hanno concordato di inserire nei piani di rilancio nazionali iniziative volte a rafforzare l'autonomia energetica. Entro il 30 aprile, perciò, il governo italiano dovrà presentare la versione del Pnrr aggiornata a tal fine.
    l10Cosa chiede Roma?
    Il governo italiano vorrebbe poter spendere oltre il 2026 parte dei 191,5 miliardi del Pnrr, quelli destinati alla realizzazione di opere complesse. Una delle idee allo studio è quella di spostare alcune risorse del piano ai fondi di coesione che prevedono scadenze più lunghe. Non è detto che l'ipotesi incontri il favore di Bruxelles né soprattutto dei Paesi del Nord Europa, preoccupati che l'estensione apra la porta a una maggior autonomia fiscale e indebitamento dell'Ue.
  2. ERA GIA' TUTTO PREVEDIBILE : Se i freddi numeri del Documento di economia e finanza (Def) raccontano qualcosa, non c'è da essere allegri. L'Italia quest'anno crescerà più del previsto, ma appena dell'un per cento, quasi un quarto del 2022. Qualcuno si chiederà se ciò dipenda da chi ci governa, la risposta è meno banale di così. La Germania nel 2022 è cresciuta dell'1,9 per cento, quest'anno si fermerà allo 0,3, un terzo dell'Italia. La guerra, l'inflazione, ma soprattutto un pesante aumento dei tassi di interesse necessari a fermare l'aumento dei prezzi hanno imposto un brusco rallentamento a tutta Europa. Per l'Italia la scarsa crescita è un problema doppio: meno cresce il Pil, maggiore è l'impatto su deficit e debito. A fronte di una stima di crescita della ricchezza prodotta di quattro decimali superiore alla precedente (era dello 0,6 per cento) il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti ha deciso di confermare la previsione di deficit. Secondo le indiscrezioni che circolano a Bruxelles questa ipotesi non sarebbe graditissima alla Commissione europea, che deve fare i conti con la pressione della Germania perché il ritorno alle vecchie regole del Patto di stabilità sia più severo. Ebbene, anche tenendo il punto su questi numeri, le stime di Giorgetti valgono per la prossima legge di Bilancio una manciata di miliardi. Non ci sarà nulla per aumentare la spesa per pensioni (come sperava Matteo Salvini), né per dar seguito alle promesse di riduzione delle tasse fatte con la presentazione della delega di riforma del fisco.
    La cosa più preoccupante del prossimo Def, che verrà approvato oggi dal Consiglio dei ministri, è lo scarso impatto che il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) avrà sulla crescita del Paese. Nelle stime di autunno era ipotizzato un contributo di ben sei decimali. «E invece sarà molto, molto modesto», ammette una fonte tecnica impegnata ieri nella stesura degli ultimi numeri. Potrebbe essere della metà, o forse addirittura meno. È possibile che il documento non la stimi del tutto, evitando così di prestare il fianco alle critiche. Se c'è un'occasione che l'Italia non dovrebbe perdere in un periodo di scarsa crescita, è quella degli investimenti finanziati con il sostegno dell'Europa. Giorgia Meloni ha chiesto al ministro delegato Raffaele Fitto di far funzionare il prima possibile la nuova struttura di vertice a Palazzo Chigi, e tentare così di recuperare i mesi perduti dal passaggio di consegne con Mario Draghi.
    Nonostante questo il governo si mostra ottimista: l'ipotesi di crescita per il 2024 è dell'1,4 per cento, con un deficit in calo. A ieri sera una stima precisa non c'era ancora: Giorgetti ne discuterà questa mattina con Meloni prima della riunione di governo. «Sarà certamente sopra il 3 per cento», e dietro a quel numero (il vecchio Patto di stabilità impone di restare dentro a quel limite) c'è tutto l'imbarazzo per un contesto politico radicalmente diverso dopo il liberi tutti del periodo pandemico. Fra Tesoro e Palazzo Chigi si sta discutendo anche delle stime di debito: l'unica certezza è che quello di quest'anno segnerà il 144,4 per cento, quello del 2025 il 140,9. Giorgetti oggi pomeriggio partirà per Washington e le riunioni di primavera del Fondo monetario internazionale. Quella sarà l'occasione per testare la reazione dei grandi investitori al lavoro che sta facendo in cima alla montagna di debito più importante del globo. Più che mostrarsi prudente, altro non può. In autunno trovare le risorse per finanziare qualunque nuova spesa sarà più complicato di quanto non lo sia stato l'anno scorso. A meno di non fare riforme, tagliare e spostare capitoli di spesa.
  3. COME SI DIFENDONO SENZA ARMI ? I presunti documenti top secret del Pentagono spiattellati di recente sul web potrebbero aver costretto l'esercito ucraino a cambiare in parte i propri piani. E proprio alla vigilia di una possibile controffensiva. È quanto sostiene «una fonte vicina al presidente ucraino Volodymyr Zelensky». Da Kiev però smentiscono. «In questo momento è impossibile rivalutare i piani, perché sono solo in fase di elaborazione», ha detto il consigliere presidenziale ucraino Podolyak aggiungendo che «ci sono compiti strategici che sono immutabili» mentre «gli scenari operativi e tattici vengono costantemente perfezionati in base alla situazione».
    L'autenticità dei documenti pubblicati online non è al momento verificata. Podolyak ritiene che non siano autentici e si basino su «una grande quantità di informazioni fittizie» diffuse dalla Russia. Tuttavia, secondo diversi media internazionali, dei funzionari americani avrebbero definito «originali» alcune delle carte, e il Pentagono - pur sottolineando che sta ancora studiando i documenti - ha dichiarato che «sembrano contenere materiale sensibile e altamente classificato» e ha parlato di «un grave rischio per la sicurezza».
    Alcune fonti comunque indicano presunte versioni manipolate per ridimensionare le stime dei militari russi morti o feriti nella guerra in Ucraina e aumentare al contrario quelle riguardanti i soldati ucraini. E così, mentre il Dipartimento di Giustizia americano apre un'inchiesta sul caso e alcuni parlano di una caccia a una possibile talpa, il Cremlino nega di essere coinvolto nella vicenda e afferma che «dare la colpa di tutto alla Russia è ora una malattia comune».
    Intanto il New York Times sottolinea che, stando ai presunti ex documenti segreti e ad alcuni funzionari statunitensi, la difesa aerea ucraina rischierebbe di finire in ginocchio «senza un ingente afflusso di munizioni» e ciò potrebbe consentire a Putin di «scatenare i suoi caccia letali in modi che potrebbero cambiare il corso della guerra». Secondo il giornale americano, una delle carte pubblicate online rivelerebbe che i missili S-300 e i Buk di epoca sovietica rappresentano l'89% delle difese ucraine contro l'aviazione russa - considerata in buone condizioni - ma potrebbero essere terminati tra metà aprile e inizio maggio. Inoltre, anche le difese aeree delle truppe ucraine al fronte potrebbero esaurirsi presto, entro il 23 maggio. Il presunto documento risalirebbe però al 28 febbraio, e la settimana scorsa la Casa Bianca ha annunciato nuove forniture militari a Kiev per 2,6 miliardi di dollari: un pacchetto di armamenti che dovrebbe comprendere anche munizioni e intercettori per la difesa aerea. Il New York Times ha chiesto a dei funzionari americani se ritengono che queste nuove forniture di armi di difesa aerea siano sufficienti da un punto di vista militare. E la risposta è stata «dipende». Dipende da «una serie di fattori», hanno dichiarato, «tra cui se gli alleati della Nato effettueranno le proprie consegne» di armi «e se Putin continuerà a evitare di rischiare i suoi preziosi aerei militari».
    La guerra continua a devastare l'Ucraina invasa. Cruenti combattimenti si registrano ancora a Bakhmut, dove Kiev accusa le truppe russe di essere passate alla tattica «della terra bruciata» e di «distruggere edifici e posizioni con attacchi aerei e d'artiglieria», e il capo dei filorussi di Donetsk sostiene che i soldati di Mosca controllino il 75% della cittadina dilaniata dalla guerra. Le informazioni sul conflitto sono però difficilmente verificabili. Nonostante un importante scambio di prigionieri (sarebbero stati rilasciati 106 prigionieri russi e 100 ucraini), la situazione resta tesa anche dal punto di vista diplomatico, con il Cremlino che - all'indomani del viaggio di Macron in Cina - ha dichiarato che la Francia «difficilmente può rivendicare un ruolo di mediatore» perché, a suo dire, «coinvolta» nel conflitto «dalla parte dell'Ucraina». Mosca ha inoltre annunciato un rafforzamento delle sue difese dopo l'ingresso della Finlandia nella Nato e ha dichiarato che al momento non si discute di una tregua in vista della Pasqua ortodossa, che si celebra domenica prossima. Da parte sua, Papa Francesco anche ieri ha invocato «il dono della pace per tutto il mondo» e la fine dell'atroce guerra in Ucraina.
  4. L'AMBIGUITA' CINESE: Più brevi, meno estese e dirompenti, ma con segnali di maggiore prontezza al combattimento. Si sono concluse nei tempi previsti le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan, lanciate in risposta all'incontro fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy. Nell'ultima giornata di manovre, il ministero della Difesa di Taipei ha rilevato nell'area 91 jet e 12 navi da guerra. 56 aerei hanno oltrepassato la «linea mediana», confine non riconosciuto ma fino allo scorso anno ampiamente rispettato sullo Stretto. Nessuno si è però avvicinato alle 12 miglia nautiche, il fronte delle acque territoriali. Domenica si è verificato un confronto più ravvicinato a ridosso delle 24 miglia nautiche che segna l'ingresso nelle «acque contigue», ma secondo i funzionari di Taipei nessuna delle 20 imbarcazioni coinvolte da una parte e dall'altra ha agito «in modo provocatorio».
    Le manovre vengono descritte come «meno estese» rispetto a quelle dello scorso agosto, dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Ma sono stati osservati sviluppi a livello «qualitativo». Vero che sono stati avvistati meno aerei oltre la «linea mediana», ma per la prima volta si sono palesati dei caccia J-15, sviluppati per essere utilizzati su portaerei. Non un caso, visto che la Shandong è stata coinvolta nelle operazioni che hanno simulato attacchi a «obiettivi chiave» sull'isola, «blocchi marittimi» e «assalti mirati con imboscate a navi nemiche». L'Esercito popolare di liberazione ha spiegato di aver «testato nuovi metodi operativi che aumentano la prontezza a combattere».
    A Taipei, però, nessun segnale di panico. Anzi, durante i tre giorni di esercitazioni ha regnato una certa assuefazione. D'altronde, l'impatto sulla vita delle persone comuni è stato del tutto assente. A differenza dello scorso agosto, nessun volo di linea è stato cancellato e le navigazioni commerciali sono andate avanti regolarmente. A fare la differenza nella percezione dell'opinione pubblica è stato il mancato lancio di missili, che lo scorso agosto aveva invece fatto molto discutere anche e soprattutto per il mancato allarme del governo taiwanese. Allora, la notizia era stata data dal ministero della Difesa giapponese, che ieri ha mobilitato i suoi aerei da combattimento per monitorare le operazioni cinesi. Confermando «circa 120 decolli e atterraggi» dalla portaerei Shandong, piazzata non troppo lontano dall'isola di Miyako, a Sudovest di Okinawa e nei pressi di Taiwan.
    Il completo presidio della costa orientale è ritenuto strategico dalla Cina, visto che gli eventuali aiuti di Stati Uniti e Giappone a Taipei potrebbero arrivare solo da lì. La crescita della flotta di portaerei favorirà in un futuro non ancora immediato la realizzazione di un ipotetico blocco totale. Il tentativo è sempre più quello di convincere il mondo esterno che il dossier taiwanese sia una questione interna. «L'indipendenza e la pace» nello Stretto sono «incompatibili», ha avvisato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. La Russia, attraverso il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha appoggiato la risposta cinese a quelle che definisce «molteplici azioni provocatorie». Il governo di Taipei ha condannato le manovre, dichiarando che continuerà a mantenere la comunicazione con gli Stati Uniti.
    A proposito di Washington, ieri il cacciatorpediniere con missili guidati Uss Milius ha attraversato acque rivendicate da Pechino nel mar Cinese meridionale (lontano da Taiwan) in un'operazione di «libertà di navigazione». La Cina ha parlato di «intrusione illegale».
    Chiudendo i test, Xi Jinping torna invece a occuparsi di diplomazia. Oggi arriva a Pechino Luiz Inácio Lula da Silva, che ha lodato lo sforzo diplomatico cinese sulla guerra in Ucraina. Il presidente brasiliano sembra voler proporre una soluzione «mediana» tra il cessate il fuoco alla cinese e il ritiro russo chiesto dall'Occidente. Lula ha suggerito a Volodymyr Zelensky di cedere ufficialmente la Crimea: «Non può volere tutto, bisogna trovare una soluzione».
  5. MACRON DIPENDENTE DA XI: L'ultima metamorfosi di Emmanuel Macron avviene sull'aereo tra Canton e Parigi, dopo tre giorni di Cina, sei ore di colloquio con Xi Jinping, un bagno di folla tra i mille studenti dell'Università Sun Yat-sen. Arrivato a Pechino con l'idea di convertire l'erede di Mao a un gesto in favore dell'Ucraina, ne ritorna convertito sulle posizioni cinesi, si smarca dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea sulla crisi di Taiwan e si lancia in una solitaria candidatura a leader di una «autonomia strategica europea». Isolato sul fronte interno per la riforma delle pensioni, Emmanuel Macron prova a distinguersi anche nel contesto internazionale. Una fuga in avanti che ha inevitabilmente irritato gli Stati Uniti e di cui Mosca ha approfittato immediatamente negando a Parigi alcun ruolo di mediazione nel conflitto con Kiev. Questo scenario si è manifestato in seguito a un colloquio che il presidente ha avuto con gli inviati del quotidiano online "Politico" e del giornale economico francese Les Echos sul volo di ritorno a Parigi.
    Un articolo uscito in inglese e in francese che contiene retroscena sulla missione cinese e parecchie frasi tra virgolette di Macron. "Politico" ha precisato che queste ultime sono state visionate dallo staff dell'Eliseo e sono dunque «autorizzate», mentre altre sono state tagliate. Ma quelle pubblicate sono abbastanza per agitare l'Unione europea e non sono certo una novità: poco più d'un anno fa, poco prima della guerra ucraina e tutto quel che è seguito, aveva gettato lo scompiglio tra gli alleati dichiarando che «la Nato era un'organizzazione in stato di morte celebrale».
    Preparando la missione alla corte di Xi Jinping, Emmanuel Macron voleva dare una dimensione europea alla sua visita, dopo aver incassato a novembre il rifiuto del cancelliere tedesco Olaf Sholz a compiere insieme il viaggio in Cina. Macron ha così deciso di invitare Ursula von der Leyen, immaginando di portate con sé davanti al gigante cinese i 450 milioni di europei e non soltanto i 68 milioni di francesi. Tuttavia si sa che la Cina preferisce i rapporti bilaterali tra stati piuttosto che gli incontri bilaterali e ha riservato al capo dell'Eliseo i fasti e le solennità di una visita di stato. E le cose non sono andate esattamente come aveva previsto Macron, confidando come sempre sulla sua forza di seduzione che ultimamente è piuttosto in ribasso, non solo in Francia. Primo scoglio Taiwan, la crisi da sempre latente, ma riaperta in questi giorni in seguito alla tournée diplomatica in America centrale dal presidente taiwanese Tsai Ying-Wen che in uno scalo in California ha incontrato il presidente repubblicano della Camera dei rappresentanti Usa Kevin McCarthy. In questi ultimi anni più volte Pechino ha minacciato di invadere l'isola, diretta da un governo democratico, per affermare il territorio di Taiwan come parte integrante della Repubblica Popolare Cinese.
    Secondo la ricostruzione di "Politico" nel primo colloquio avvenuto con Xi Jinping, Ursula von der Leyen ha riaffermato la posizione ufficiale dell'Unione europea sulla crisi, allineata con quella degli Stati Uniti: «La stabilità nello stretto di Taiwan è di importanza capitale e la minaccia di ricorso alla forza per modificare lo statu quo è inaccettabile». A questo punto Xi Jinping ha brutalmente risposto che chi pensava di poter influenzare Pechino su Taiwan «si cullava di illusioni».
    E Macron? Finita la missione, ed evidentemente esaurite le illusioni di incidere sulla posizione cinese, il presidente si è allineato: «Non riusciamo a risolvere la crisi in Ucraina, come possiamo essere credibili su Taiwan dicendo: attenzione se fate qualcosa di male, noi saremo là? Se veramente volete aumentare le tensioni questo è il miglior modo».
    Un diplomatico presente ai colloqui nella versione trilaterale ha riferito che Xi Jinping si è alterato solo su due temi: l'Ucraina e Taiwan: «era visibilmente contrariato per essere considerato parte responsabile nel conflitto ucraino e ha minimizzato la sua recente visita a Mosca». Su Taiwan, invece, il leader cinese è parso addirittura «furioso» per il passaggio negli Usa del presidente taiwanese e per il fatto che delle questioni di politica estera venissero sollevate dagli europei. Finché la presidente della Commissione Ursula von der Leyen è stata presente, Macron ha condiviso la sua posizione. Ma poi il francese ha avuto almeno altre quattro ore a tu per tu con il cinese, presenti soltanto gli interpreti.
    E, da quel che poi lui stesso ha raccontato ai giornalisti di "Politico" e "Les Echos", la sua posizione è parsa molto più conciliante di Stati Uniti e Ue. «Sarebbe paradossale se ci mettessimo a seguire la politica americana per una sorta di riflesso di panico. Abbiamo interesse che ci sia un'accelerazione su Taiwan? No. La peggiore delle cose sarebbe pensare che noi, europei, dovessimo adattarci al ritmo americano rispetto all'escalation cinese». Un dettaglio rivela che da Pechino è partito immediatamente un apprezzamento simbolico: le operazioni militari di accerchiamento dell'isola di Taiwan sono cominciate solo dopo che l'aereo del presidente francese ha lasciato lo spazio aereo cinese. Un segnale che secondo "Politico" è stato apprezzato dall'Eliseo.
    Ma Emmanuel Macron non si è fermato qui. Indossando una felpa con cappuccio e la scritta "French Tech" sul petto, il presidente si è schierato con le aziende europee che soffrono in modo indiretto per le sanzioni contro Russia e Iran per la «militarizzazione del dollaro» e ha aggiunto che l'Europa non deve immischiarsi in crisi «che non sono le nostre» e deve invece ridurre la sua dipendenza dall'«extraterritorialità del dollaro americano che in caso di accelerazione della crisi ci trasformerà in vassalli».
    In crisi in patria per la riforma delle pensioni, Emmanuel Macron rilancia altissimo sul piano internazionale. Un classico riflesso francese. Ma chi lo seguirà?
  6. IL CAPOLAVORO DI ZINGARETTI: Lo schiaffo d'Anagni, la saga dei Florio «leoni di Sicilia», Valéry Giscard d'Estaing, la donazione del cardinale Antonio Maria Salviati, la vendita per decreto dei beni pubblici. Sembra la «ghigliottina» che nel quiz «L'eredità» si abbatte su concetti apparentemente inconciliabili. In realtà bastano due parole a unire tutto: San Giacomo. Dalla villa di famiglia nella pianura pisana a raccontare il clamoroso «scacco al Palazzo» è la duchessa Oliva Salviati, nipote dell'armatore Ignazio Florio e del fondatore della Stampa, Alfredo Frassati. La sorte dell'ospedale romano a due passi da piazza del Popolo era segnata. Nonostante il centro della capitale sia congestionato ogni giorno da centinaia di migliaia turisti e lavoratori pendolari (un alveare impazzito per il Giubileo 2025 e il possibile Expo 2030), 15 anni fa una decisione bipartisan della Regione di centrosinistra e del governo di centrodestra ha chiuso una struttura pubblica appena ammodernata e che in pandemia avrebbe alleggerito la pressione sui policlinici. La destinazione d'uso (foresteria per parlamentari) azzera con un tratto di penna otto secoli di cure e assistenza. A cambiare un finale già scritto, però, è una telefonata e così la palla di neve diventa valanga. Settembre 2008 squilla il cellulare di Oliva Salviati. È sua figlia Polimnia che in via del Corso si imbatte in un picchetto di medici e infermieri che protestano contro la giunta guidata da Piero Marrazzo per aver abbassato la saracinesca del San Giacomo.
    «Sono morti tutti gli eredi del cardinale Salviati che lo aveva donato ai malati», spiega un manifestante. Oliva ha un tuffo al cuore: «Sapevo che era una donazione della mia famiglia, come ricorda una grande targa all'ingresso del nosocomio. Mia figlia si precipita agli archivi per cercare i documenti del Cinquecento. Inizia la mia corsa contro il tempo, un mese per salvare dalla chiusura un ospedale in piena funzione. La sanità nel Lazio è stata poco prima commissariata. Il piano di rientro del governo si fa forte del depotenziamento del San Giacomo. I posti letto tolti all'ospedale pubblico finiscono un mese dopo a un centro privato: il Campus Biomedico». Come è stato possibile? «Il sistema è sempre lo stesso. Si è iniziato chiudendo la neonatologia e la pediatria, poi hanno messo la Ztl a cento metri dai reparti, infine è arrivata una maxi-ristrutturazione con aumento del personale a ridosso della chiusura - risponde Oliva Salviati -. Da un lato si tagliavano posti letto per poi trasferirli a strutture private, dall'altro si inserivano in organico cento nuovi dipendenti. Tutto per poter dire che il San Giacomo costa troppo e registra utili insufficienti a sostenerlo». Intanto Valéry Giscard d'Estaing è in visita a Roma e la sua amica Oliva Salviati lo porta al San Giacomo. L'ex presidente della Repubblica francese definisce «uno scandalo» la soppressione di un ospedale rinnovato due mesi prima e dotato delle più moderne tecnologie. Nelle stesse ore i documenti riannodano i fili della memoria familiare e collettiva. Il cardinale «protettore degli orfani» aveva ricostruito dalle fondamenta nel 1575 l'ospedale edificato dalla famiglia Colonna per farsi perdonare dal Papa l'affronto di Anagni: il 7 settembre 1303 un gruppo di armati agli ordini di Sciarra Colonna cinse d'assedio il palazzo di Bonifacio VIII. Un passaggio fondamentale per la storia europea: la fine della teocrazia e la nascita degli Stati nazionali. «A vedere la luce fu anche il Collegio Salviati (per far studiare gli orfani più meritevoli) da poco sottratto alla sua destinazione originaria e assegnato al Senato con spese di ristrutturazione da 10 mila euro al metro quadro- puntualizza Oliva Salviati -. Il patrimonio del Pio istituto Santo Spirito, poi, riuniva gli ospedali laziali, i patrimoni immobiliari e i terrieri donati nei secoli per mantenere le strutture sanitarie e le opere d'arte lì conservate». Un tesoro rimasto intatto fino alla riforma sanitaria di mezzo secolo fa. Poi la nebbia burocratica ha avuto la meglio. Nell'autunno del 2007, un anno prima della chiusura, uno squadrone di quaranta tecnici cuce su misura il nuovo abito per il San Giacomo. «Mi sono trovata davanti a una scelta brutale ed irrazionale a danno di una comunità - spiega Oliva Salviati -. Ogni sera andavo a dormire bastonata da notizie sempre peggiori e il macigno diventava una montagna. Però mi svegliavo e ricominciavo. Sapevo di avere contro interessi economici colossali e talvolta mi prendeva la voglia di mollare. Ma speravo che certi equilibri saltassero. Attorno uno strano silenzio. Contavano su di me 800 lavoratori e dal ministro della Salute Ferruccio Fazio prima della chiusura arrivò la proposta di aprire un polo per l'Alzheimer perché "le esigenze della sanità sono cambiate e gli ospedali non servono più". Gli replicai che in centro a Roma senza spazi verdi l'edificio storico si sarebbe trasformato in un incubo per i pazienti affetti da demenza senile. Dovevano essere utilizzate piuttosto le proprietà ospedaliere: 17 mila ettari intorno a Roma di cui 7000 dentro la città. Tenute donate per scopi caritatevoli e che fanno parte del patrimonio indisponibile della Regione Lazio. Borghi, fattorie, castelli, come Santa Severa, Castel di Guido alle porte della capitale. Tutti beni da destinare a finalità socio-sanitarie. Come sugli ospedali, preme la mannaia della speculazione».
    Nel giorno della chiusura i centri sociali occupano l'unico reparto non ristrutturato del San Giacomo, tra cariche della polizia e possibilità di salvezza ridotte al lumicino. Fino al colpo di scena. Dal Rinascimento spunta un rescritto in cui l'avo porporato stabilisce l'inalienabilità della struttura «sotto alcun Diritto, sotto alcuno Stato». Prevedendo che lo Stato e il Diritto sarebbero cambiati nei secoli. Dallo Stato Pontificio a quello italiano. E così dopo una causa durata 14 anni contro la Regione Lazio, Oliva Salviati vince il ricorso in Cassazione per la riapertura dell'ospedale che non diventerà il residence dei deputati. «Ho vinto la battaglia più importante della mia vita. Se tutto ha un prezzo, nulla ha più valore. Per una volta il senso d'umanità ha prevalso sul freddo calcolo. Lo spirito del cardinale benefattore soffia ancora».
  7. DOVE PROVERANNO L'ACQUA ? L'ingegner Giovanni Brasso, il presidente di Sestrieres spa, arriva alla partenza della seggiovia Cit Roc quando i primi dei 1.400 piccoli atleti in gara iniziano a scendere su cinque piste contemporaneamente. C'è anche il sindaco di Sestriere Gianni Poncet, in mezzo ad un mare di persone che vanno avanti e indietro freneticamente. Un successo anche per Gualtiero Brasso, figlio del presidente, al timone dell'organizzazione dell'evento: «Non lo vedo come una gara agonistica, piuttosto una grande festa per i bambini che si divertono e socializzano attraverso lo sport».
    «Guardi lassù - indica Brasso - Si scia ancora ai 2900 metri del monte Motta e siamo al 10 aprile, con un sole caldo e il cielo azzurro. Dobbiamo anche ringraziare quello che io chiamo il "socio occulto". Perché, condizioni meteo a parte, godiamo di una posizione privilegiata. Per non parlare dei 26 gattisti e degli otto innevatori che ci garantiscono piste eccellenti». E questo anche perché, come evidenzia Poncet: «Il nostro comprensorio ha il 75% dei tracciati esposti a Nord e il 70% oltre i 2mila metri di quota». Un dato essenziale per la pianificazioni dei nuovi investimenti che ha in serbo la Sestrieres spa. Soprattutto per quanto riguarda la produzione di neve artificiale, sparata oggi da circa 180 cannoni. «Tra qualche mese inizieremo la sostituzione di una parte della rete dell'innevamento nella zona Alpette - illustra Giovanni Brasso - ma, entro cinque anni, il nostro obiettivo è quello di rimodernare tutto l'esistente sostituendolo con nuove e più performanti tecnologie, che ci consentiranno di risparmiare energia e sfruttare al meglio i nostri bacini. Si tratta di un progetto che va ben oltre i 10 milioni di euro, ma è arrivato il momento andare in questa direzione».
    Oggi come oggi, sistemare un cannone sparaneve su un terreno considerato «facile» e quindi non impervio, costa circa 500 euro al metro lineare. Quello che le stazioni sciistiche delle Alpi piemontesi si lasciano alle spalle è un inverno sorprendente che ha confermato sempre di più la voglia delle persone di godere degli spazi aperti. «Sono convinto che il turismo non debba cambiare - termina Brasso - perché lo confermano i numeri. Noi abbiamo registrato 12 milioni di passaggi per un milione e 100mila "giornate sci", nonostante l'aumento dei giornalieri del 6%, ovvero 43 euro se acquistati on-line e 44 alle casse. Ma questo grazie anche al ritorno degli sci club visto che abbiamo avuto dai 30 ai 40 pullman tutti i fine settimana, provenienti anche da fuori regione. Per non parlare dei charter in arrivo dai Paesi del Nord».
    Continua: «In alta stagione sono atterrati all'aeroporto di Caselle dai 70 ai 90 voli charter la settimana. Tutto questo rappresenta un'economia che in valle, tra dipendenti diretti e indotto, garantisce un'occupazione ad oltre 5mila persone. Per questo credo che, tutti insieme, dobbiamo lavorare per migliorare sempre l'offerta e l'accoglienza. Il futuro della montagna si decide anche così»

 

 

10.04.23
  1. UN GROSSO ERRORE  Sottotraccia, dopo vani tentativi via legge e referendum, una semplice circolare ministeriale amputa la legge Severino, entrata in vigore dieci anni fa come presidio anticorruzione. Il ministero dell'Interno cancella l'incandidabilità dei politici che patteggiano una condanna tra due e cinque anni per reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione. La circolare è stata inviata a tutti i prefetti in vista delle elezioni amministrative di maggio.
    Secondo fonti del governo si tratta di una questione tecnica, priva di disegno politico, posta con uno specifico quesito dalle prefetture. Il ministero si è rivolto all'Avvocatura dello Stato, rimettendosi al suo parere: «colpa» della riforma Cartabia, che sia pure «tacitamente» ha abrogato la norma della legge Severino che equiparava, ai fini della incandidabilità, il patteggiamento alla sentenza di condanna. La modifica ha valore retroattivo, dunque chi finora era incandidabile può «concorrere alle prossime elezioni».
    Il patteggiamento, con cui giudici e imputati concordano una pena evitando il processo, esiste da oltre trent'anni. Ma finora è stato poco utilizzato a differenza del sistema americano cui era ispirato. La legge Cartabia, approvata lo scorso anno con l'obiettivo di ridurre i tempi dei processi del 25%, prova a incentivarlo rendendolo più conveniente. Allarga le maglie dei reati patteggiabili, garantisce all'imputato la salvezza da confische patrimoniali e pene accessorie, cancella gli effetti extrapenali.
    Quest'ultimo è il punto controverso. Secondo il Viminale, sulla scorta di quanto stabilito da Corte europea e Consulta, l'incandidabilità è appunto un effetto extrapenale. Dunque viene meno con il patteggiamento. L'interpretazione è ragionevole, ma non univoca. Si può sostenere che la legge Severino prevalga sulla Cartabia in quanto norma speciale. La relazione di accompagnamento della riforma e la commissione di esperti che l'ha elaborata non facevano cenno all'abrogazione dell'incandidabilità. E in ogni caso l'interpretazione del Viminale non è vincolante per i giudici amministrativi, qualora chiamati a pronunciarsi sulle candidature di politici condannati con patteggiamento.
    Ma soprattutto la questione è ora politica. Se il governo vuole tenere lontani dalle istituzioni i corrotti, anche se patteggiano, può farlo con una norma di chiarificazione di due righe, in un decreto.
    Diversamente, questo sarà il primo passo per mettere in discussione l'intero impianto della legge Severino. Che, varata in pompa magna dal governo Monti, è ben presto finita sotto attacco. Non solo di Berlusconi, prima e più illustre vittima nel 2013, con la cacciata dal Senato. Anche nel Pd non sono mancate le voci critiche. Lega e Radicali hanno promosso l'anno scorso un referendum abrogativo, sostenuto anche da Forza Italia e Terzo Polo (non da Fratelli d'Italia) ma fallito per mancanza di quorum.
    A presiedere il comitato per il sì era Carlo Nordio, allora ex magistrato e ora ministro della Giustizia. Nel 2021 definì la legge Severino «incostituzionale e inopportuna» perché «nata male per ragioni di demagogia politica». Ulteriori modifiche dovrebbero essere nel pacchetto di riforme a cui Nordio sta lavorando, con l'abrogazione dei reati di abuso di ufficio e traffico illecito di influenze.
  2. L'INSTABILITA' RUSSA:  Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha minacciato di nuovo di abbandonare l'accordo per l'export del grano dai porti ucraini, qualora persistessero gli ostacoli alle esportazioni di Mosca. Mediato a luglio dalla Turchia e dalle Nazioni Unite, l'accordo consente all'Ucraina, uno dei maggiori produttori mondiali di grano, di esportare cereali attraverso un corridoio sicuro lungo il Mar Nero. «Se non ci saranno ulteriori progressi nella rimozione degli ostacoli all'esportazione di fertilizzanti e cereali russi, valuteremo la necessità di rimanere in questo accordo», ha detto Lavrov in una conferenza stampa ad Ankara. L'accordo ha finora consentito l'esportazione di oltre 27 milioni di tonnellate di cereali e prodotti agricoli trasportati su 866 navi, contribuendo alla stabilità dei prezzi agricoli a livello mondiale. É stato rinnovato due volte. Quando è stato prorogato a marzo, la Russia ha dichiarato che sarebbe stato valido per 60 giorni invece dei 120 giorni del formato originale: il Cremlino si è lamentato del fatto che la parte dell'accordo che riguarda la Russia (in cui si stabilisce il diritto di esportare fertilizzanti), non viene rispettata. La Turchia sta spingendo per una proroga di 120 giorni, pur riconoscendo che l'accordo non è stato pienamente attuato. Lavrov ha aggiunto che la Russia è aperta a un negoziato per porre fine alla guerra con l'Ucraina «se saranno presi in considerazione i suoi interessi», ha detto, ribadendo che «è l'Occidente a non volere il negoziato.
  3. UNA GUERRA NON SICURA : È un giallo dal sapore della "spy story" quello della fuga di notizie in merito ai piani segreti di Stati Uniti e Nato sul riarmo ucraino in funzione antirussa. Una vicenda amara per l'amministrazione di Joe Biden perché ha il sapore di un punto messo segno dagli 007 di Mosca, e sulla quale il Pentagono ha avviato un'inchiesta. È il New York Times a riferire come su Twitter e Telegram (piattaforma con oltre mezzo miliardo di utenti e disponibile in Russia) siano stati pubblicati foto di documenti di guerra classificati, in particolare piani per rafforzare l'esercito di Kiev in vista dell'annunciata controffensiva di primavera. Carte che contengono grafici e dettagli su consegne di armi, stato di truppe e reparti, piani strategici e altre informazioni sensibili.
    I documenti, almeno uno etichettato come top-secret, risalgono a circa cinque settimane fa, con il più recente datato 1° marzo, giorno in cui ufficiali ucraini erano nella base americana di Wiesbaden, in Germania. Secondo gli analisti Usa alcune pagine del dossier finite sui social potrebbero essere state manipolate, ad esempio per ridurre la stima delle vittime registrate dalla compagine russa e aumentare quella dei soldati ucraini. Ovvero tra i 16 mila e i 17,5 mila russi e 71.500 ucraini, numeri ben diversi rispetto a quelli resi noti sino ad oggi: il Pentagono e altri osservatori avevano parlato di circa 200 mila tra morti e feriti nell'esercito di Putin e oltre 100 mila in quello ucraino. Questo rafforza la convinzione che i documenti sarebbero stati intercettati proprio dai servizi di Mosca, probabilmente avvalendosi dell'aiuto di operatori informatici al soldo del Cremlino. Comunque, per gli esperti parte del carteggio appare autentico e pertanto foriero di informazioni preziose per Mosca sui tempi di consegna degli aiuti bellici, sul numero delle truppe ucraine ed altri dettagli militari. Tra cui le spese per armi e munizioni fornite dagli Usa, compresi i sistemi missilistici Himars. E ancora - riferisce il quotidiano della Grande Mela - in una delle carte si riassumono i programmi di addestramento da gennaio ad aprile di 12 brigate di Kiev, di cui nove addestrate dalle forze Usa e della Nato, mentre si parlava della necessità di fornire 250 carri armati e più di 350 veicoli meccanizzati.
    Gli esperti dell'amministrazione Biden hanno tentato di cancellare i documenti dalla rete ma senza successo almeno sino ad ora, mentre la vice portavoce del Pentagono, Sabrina Singh, non si è pronunciata sulla loro autenticità, limitandosi a dire che il dipartimento della Difesa è «a conoscenza delle segnalazioni di post sui social media e sta esaminando la questione». Il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha assicurato che le carte diffuse non hanno «nulla a che fare con i veri piani» del suo Paese e si basano su «una grande quantità di informazioni fittizie». «Sono un bluff, polvere negli occhi... se la Russia avesse davvero ricevuto i preparativi per scenari reali, difficilmente li avrebbe resi pubblici», ha sottolineato. Mentre il Cremlino, che a sua volta parla di inattendibilità dei documenti, ha ribadito tuttavia di non avere «il minimo dubbio sul crescente coinvolgimento diretto o indiretto degli Stati Uniti e della Nato nel conflitto tra Russia e Ucraina».
    La fuga di informazioni arriva in coincidenza dell'incriminazione formale per spionaggio del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato nei giorni scorsi in Russia. Interfax riferisce che Gershkovich, corrispondente del Wall Street Journal che in passato ha lavorato anche per la France Presse, è stato incriminato ai sensi dell'articolo 276 del codice penale russo, ed è punibile con una pena che arriva sino a 20 anni di carcere. Secondo l'accusa Gershkovich avrebbe «raccolto informazioni che costituiscono segreto di Stato sulle attività di una delle imprese del complesso militare-industriale russo». Il giornalista ha negato categoricamente tutte le accuse e ha dichiarato di «essere impegnato in attività giornalistiche in Russia», scrive la Tass. La detenzione di Gershkovich è stata annunciata dal Centro per le relazioni pubbliche del Servizio di sicurezza federale russo il 30 marzo. Lo stesso giorno, il tribunale distrettuale Lefortovsky di Mosca ha accolto una mozione degli inquirenti che chiedeva di tenerlo in custodia almeno fino al 29 maggio. Della vicenda hanno parlato l'ambasciatrice Usa in Russia Lynne Tracy e il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, che ha spiegato che il 31enne cittadino americano «è stato colto in flagranza mentre cercava di ottenere informazioni riservate, usando il suo status da giornalista come copertura per azioni illegali».
  4. DIVINA PROVVIDENZA : Niente cibo e, per dissetarsi, hanno bevuto l'acqua del motore e del mare. Una traversata di quattro giorni tra stenti, freddo, paura. I volti provati da violenze di ogni tipo: sessuali, bruciature ed elettroshock. Disidratati, in balia di onde alte più di 4 metri. Poi, martedì scorso, il salvataggio di Medici Senza Frontiere nel Mediterraneo e ieri lo sbarco a Brindisi per 339 migranti. Altri 100 erano stati già trasbordati al largo delle coste della Sicilia e per un altro si era reso necessario il trasferimento a Malta, in elicottero, per le gravi condizioni di salute. Avevano perso i sensi. Nella storia della Geo Barents, come racconta il responsabile delle operazioni di salvataggio in mare, Riccardo Gatti, «è stato il soccorso più difficile».
    In Puglia è arrivata anche una famiglia siriana: genitori e due bimbi piccoli che, per quattro volte, avevano tentato di fuggire dalla guerra, ma erano stati intercettati dalla guardia costiera libica e rispediti nei centri di detenzione. Sui loro corpi i segni delle torture. Altri migranti sono stati ricoverati con fratture, altri ancora avevano ustioni. Due ventenni hanno raccontato di aver subito abusi. A Brindisi rimarranno alcuni adulti e 24 minori non accompagnati. Gli altri sono stati smistati in altre regioni. Provengono da Siria, Pakistan, Egitto, Somalia, Bangladesh e Sri Lanka. «Mangerò la pizza? Che bello, ditemi che in Italia mangerò pizza tutti i giorni» ha chiesto più volte ai soccorritori un bimbo partito con il suo papà.
    Intanto, procede il ricollocamento dei sopravvissuti al naufragio di Cutro dello scorso febbraio. Sono 76 i richiedenti protezione internazionale: 18 in Italia e si trovano nei centri del Sistema di accoglienza e integrazione, mentre 5 minori sono in strutture dedicate. Dei restanti 53, in 14 si sono allontanati volontariamente. La posizione di altri 39 è stata esaminata dalle autorità tedesche che hanno ammesso 33 persone, già partite per la Germania ad eccezione di una che necessita di ulteriori cure mediche. «Impegni del Governo rispettati» fa sapere una nota di Palazzo Chigi.
  5. PROBLEMI IN FAMIGLIA: L'unico momento in cui è sembrata sgomenta è stato all'arrivo dei poliziotti: la ragazza in corridoio ha estratto il coltello dalla tasca e urlato, forse per paura o frustrazione. A chiamare la Questura è stata un'insegnante della scuola San Francesco di Biella, dopo che un'allieva di 14 anni della seconda media, rimproverata a causa dell'uso (vietato) del cellulare, ha estratto dallo zaino la lama, simile a quelle che si possono trovare in qualsiasi cucina, e se l'è messo in tasca. «Che cosa ne vuoi fare?», le ha chiesto l'insegnante. E lei: «Adesso lo uso».
    L'episodio risale all'altro giorno durante l'intervallo. Tutto è scaturito dal quel rimbrotto per via dello smartphone acceso in modo da ascoltare la musica con le cuffiette, cosa vietata dal regolamento scolastico. Due insegnanti hanno cercato di farglielo mettere via ma senza successo. Con un'alzata di spalle la ragazza ha continuato imperterrita davanti ai compagni. È quindi stata chiamata la preside Monica Pisu che ha chiesto alla giovanissima di seguirla nel suo ufficio. Non è risultato convincente neanche il tentativo di spiegarle che le regole valgono per tutti, che anche i suoi compagni avrebbero potuto seguire il suo cattivo esempio. Non appena oltrepassata la porta della presidenza l'alunna ha indossato nuovamente le cuffie e fatto ripartire la musica. Un gesto plateale che non poteva essere ignorato: preside e professoressa l'hanno seguita, sempre cercando di convincerla. Fino a quando è arrivata al suo zaino e ha estratto il coltello, «tenendolo sempre in tasca», ha poi precisato la preside in Questura.
    Un coltello resta comunque un'arma. E poi, c'è quella frase «adesso lo uso» impossibile da ignorare. È quindi scattata la richiesta di intervento alle forze dell'ordine. Sul posto è arrivata una pattuglia della polizia e vedere una divisa aggirarsi per i corridoi della scuola ha molto incuriosito i ragazzi, ai quali tutta la vicenda era fino a quel momento sfuggita grazie anche al comportamento dei docenti che non volevano turbarli. Giusto il tempo di una reazione probabilmente più stizzita che furiosa e tutto era già finito. Il coltello sequestrato, lo zaino perquisito (c'erano solo i libri di scuola) e la quattordicenne accompagnata in Questura, dove sono poi andati a riprenderla i genitori. Spetterà ora al giudice del Tribunale dei Minori decidere se può essere processata. Resta da capire il motivo per cui una ragazzina si metta un coltello nello zaino per andare a scuola. Secondo indiscrezioni vivrebbe in un contesto familiare complesso.
    «Fatto inaccettabile – dice l'assessore regionale all'Istruzione, Elena Chiorino di FdI, esprimendo solidarietà a preside e insegnanti -. Fatti simili sono l'ennesimo campanello d'allarme che rende necessario essere compatti per sostenere il "sistema scuola" affinché sia possibile riappropriarsi dell'autorevolezza di un tempo».
  6. HA RAGIONE SALVINI : «Rimanete in me. Senza di me non potete fare nulla». È il suo slogan, il suo biglietto da visita nel mondo dei social, corredato dal volto di Gesù. La maestra della scuola primaria di San Vero Milis (Oristano), Marisa Francescangeli, 58 anni, svela da subito le sue priorità. Di recente, il dirigente della scuola l'ha sospesa per 20 giorni dall'insegnamento, dopo la denuncia dei genitori di due alunni di classe terza, per aver fatto realizzare ai suoi allievi un piccolo rosario a forma di braccialetto, per Natale, e aver recitato insieme ai bambini alcune preghiere prima della lezione. «Non ho fatto niente di sgradevole, l'Ave Maria e il Padre Nostro erano state richieste dai bambini che mi adorano», afferma la docente. «Siamo alla follia. Buona Santa Pasqua a questa maestra, un abbraccio ai suoi bambini», scrive sui social Matteo Salvini, ministro dei Trasporti.
    La fede cattolica appare come un tassello imprescindibile, emerge sempre nella quotidianità di Marisa Francescangeli. Pervade pure il suo modo di insegnare. «Nella scuola primaria le materie sono interdisciplinari. Quindi, posso parlare di scienze e al tempo stesso di religione, tutto è collegato. Quando ho consegnato il braccialetto agli alunni, altra cosa che mi contestano, ho pronunciato la frase: "Che Dio ti benedica"», spiega la docente: «Apriti cielo! Non mi pare che ci sia qualcosa di male, è una raccomandazione che ci fa anche Papa Francesco. Dobbiamo tutti volerci bene, come fratelli: la benedizione è una cosa molto importante. Io sono prima di tutto un'educatrice. Quando si parla di rispetto, si parla di Dio. E sono gli stessi bambini che adattano questo tema anche alla storia, magari perché se ne è discusso durante l'ora di religione». La maestra nata a Nuoro non appare pentita, sebbene abbia più volte chiesto scusa nella speranza di arginare sul nascere le polemiche. Tutto vano. Da Natale a oggi alcuni genitori non hanno sotterrato il rancore, ed ecco spiegato il provvedimento che ha portato alla sospensione della maestra e alla decurtazione dello stipendio.
    Un'insegnante esperta, con un percorso lavorativo iniziato nella metà degli anni Ottanta. A San Vero Milis Marisa Francescangeli segue tre classi: due terze e una quarta. Insegna storia, geografia e musica, nelle terze; scienze, matematica e tecnologie, in quarta. «Prima di Natale ho deciso di fare un regalo ai bambini e di coinvolgerli nella realizzazione di un piccolo rosario, un braccialetto», racconta. «All'inizio della lezione, e solo quel giorno, abbiamo pure recitato le preghiere con gli alunni di terza. Nella quarta, invece, le preghiere erano una costante: i bambini si avviano al sacramento della Comunione e ho ottenuto l'autorizzazione da tutti i genitori, ben contenti della novità. Era una loro richiesta: recitare il Padre Nostro, l'Ave Maria e il Gloria a Dio».
    Il preside che ha avviato il procedimento disciplinare preferisce non commentare. Dall'ufficio scolastico regionale, invece, fanno capire come le contestazioni avanzate alla maestra siano numerose. «Non cambierò il mio modo d'insegnare», conclude Marisa Francescangeli: «Il 16 aprile ritornerò a scuola, a testa alta. Il Signore mi darà la forza di sopportare tutto questo trambusto. Comunque, ora attendo un'indagine che faccia chiarezza». —
  7. UNIVERSITA' OSTACOLO: «La mia vita inconcludente e inutile». Questo scriveva di sé il giovane studente di Medicina che si è tolto la vita a Chieti. Ancora un suicidio di uno studente, ancora un gesto definitivo di chi non riesce più a sopportare la pressione sociale, le aspettative, il timore di un fallimento. In quarantadue fogli di un block notes il giovane, 29 anni, raccontava la propria sofferenza per il mancato traguardo della laurea e le bugie raccontate ai genitori che lo hanno trascinato, con ogni probabilità, ad una profonda depressione.
    Originario di Manduria in provincia di Taranto, viveva a Chieti con la sorella e studiava Medicina alla D'Annunzio: giovedì pomeriggio è stata proprio la sorella, rincasando, a trovarlo privo di vita. «Il mondo universitario è diventato sempre di più un luogo di depressione e ansia», denuncia l'Unione degli Universitari nazionale e abruzzese che sono tornati a chiedere 100 milioni per la creazione di presidi psicologici nelle università e nelle scuole. Solo il 2 marzo scorso si è uccisa a 27 anni, buttandosi giù da un dirupo a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Diana, a cui mancava un solo esame per la laurea in Lettere moderne. Pochi mesi prima, il 28 novembre, Riccardo, 26 anni, aveva deciso di schiantarsi con l'auto tra Padova e Abano Terme: aveva annunciato la data della sua laurea in Scienze infermieristiche ma gli mancavano ancora alcuni esami per poterla ottenere. I primi di febbraio di quest'anno, invece, una giovane di soli 19 anni si è impiccata nei bagni dell'Università di Milano. In una lettera di addio manoscritta la giovane riconduceva il gesto alla percezione fallimentare della propria vita e del proprio percorso di studio.
  8. FIN TROPPI PER LA DISONESTA' POLITICO-ECONOMICA CHE RENDE SEMPRE più POVERI : Crollano le nascite ancora sotto la quota psicologica delle 400mila unità e per la prima volta l'Istat segnala quanto il cambiamento climatico stia assumendo una rilevanza fondamentale sulla mortalità. Se si esclude il 2020, anno dello scoppio della pandemia, «è opportuno rilevare che delle quattro annualità sin qui riconosciute come caratterizzate da livelli di mortalità superiori all'atteso ben tre (2015, 2017, 2022) siano concentrate nell'arco di soli otto anni, mentre una soltanto (2003) risalga a venti anni fa. Un segnale, apparentemente inequivocabile, di quanto i cambiamenti climatici stiano assumendo rilevanza crescente anche sul piano della sopravvivenza, nel contesto di un Paese a forte invecchiamento», recita il report Istat. Nel 2022 i decessi in Italia sono stati 713 mila, con un tasso di mortalità pari al 12,1%. Rispetto all'anno precedente il numero dei morti è superiore di 12 mila unità ma inferiore di 27 mila rispetto al 2020, anno della pandemia.
    Il numero maggiore dei decessi si è registrato in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi soli quattro mesi si sono osservati 265 mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei casi la popolazione più anziana e fragile, composta principalmente da donne. Numeri preoccupanti tanto quanto quelli del calo demografico.
    Per la prima volta dall'Unità d'Italia sono appena 393 mila bambini nati con il risultato che il Paese continua ad invecchiare. In Italia ci sono 14 milioni di over 65, in sostanza un italiano su 4. Il numero dei centenari, che si è triplicato negli ultimi 20 anni, per la prima volta sfiora la soglia dei 22 mila. Rispetto al 2018, l'ultimo anno in cui si registrò un aumento delle nascite, il calo è di circa 184 mila nati. E il numero medio di figli per donna si è ridotto a 1,24. Il rapporto si interroga sulle ragioni e le riconduce solo in parte a una scelta delle coppie, dando invece un peso significativo al progressivo invecchiamento della popolazione femminile: la continua posticipazione dell'esperienza della maternità finisce con il trasformarsi in una definitiva rinuncia.
    La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna, seguita da Sicilia e Campania, che però registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. Fanalino di coda la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l'unica regione con una fecondità al di sotto dell'unità. Ovviamente ci sarebbe da interrogarsi sul tipo di agevolazioni che una regione come il Trentino-Alto Adige mette a disposizione delle famiglie rispetto alla Sardegna. Un punto di forza del territorio è rappresentato dai servizi per l'infanzia. In Trentino la percentuale di utenti che possono accedere a questi servizi è del 30% (la media in Italia è del 15%), inoltre è stata introdotta nel 2019 una "Dote finanziaria" per aiutare i giovani e un incentivo di 5.000 euro alla nascita di ciascun figlio per le famiglie numerose. Gli abitanti del Paese sono scesi a 58 milioni e 851 mila, 179 mila in meno del 2021. Un calo che pur essendo inferiore a quello degli anni più acuti della pandemia, non è stato compensato dai movimenti migratori dall'estero, che pure hanno visto per l'Italia un recupero di attrattività con un saldo netto di 229 mila unità nel 2022. I movimenti migratori interni penalizzano il Sud e in particolare la Basilicata e la Calabria, con un saldo negativo nelle due regioni pari al 5,5%, contro una media del 3,4%.
    Torna anche a crescere il numero degli stranieri: al primo gennaio 2023 sono 5 milioni e 50 mila, 20 mila in più dell'anno precedente (+3,9%). La speranza di vita alla nascita nel nostro Paese è di 82,6 anni, 80,5 per gli uomini e 84,8 per le donne. Per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero di circa 2 mesi e mezzo di vita, mentre per le donne il valore rimane invariato. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora inferiori al periodo pre-Covid, registrando valori di 6 mesi i meno rispetto al 2019, sia tra gli uomini che tra le donne.
  9. SEGNALE NEGATIVO:Microsoft ha avviato il primo piano di licenziamento collettivo in Italia. Lo confermano a La Stampa sia l'azienda che fonti sindacali. Il piano di esuberi riguarderà 59 dei circa 1.000 dipendenti che l'azienda ha tra Roma e Milano. Si tratta di 15 manager e di diversi dipendenti del reparto vendite. La trattativa sindacale inizierà la prossima settimana. Prima di Microsoft, ad annunciare tagli in Italia sono stati Meta (22 dipendenti) e Yahoo! (21). L'azienda conferma di aver aperto le consultazioni con i sindacati «al fine di trovare un accordo per gestire al meglio il piano. Le decisioni che hanno un impatto sulle nostre persone sono particolarmente difficili e ci impegniamo affinché tutti coloro che sono colpiti ricevano il nostro pieno supporto». Il licenziamento collettivo rientra nel piano di esuberi a livello globale deciso il 17 gennaio: 10.000 tagli, secondo l'azienda, dovrebbero portare a 1,2 miliardi di risparmi l'anno.
    I motivi dei tagli, come già annunciato a gennaio da Satya Nadella, amministratore delegato dell'azienda, sono motivati soprattutto dalle difficoltà che le tech company stanno affrontando in questo periodo, tra inflazione e tensioni internazionali: «Stiamo assistendo a grandi cambiamenti: le organizzazioni di tutto il mondo stanno evidenziando segnali di cautela data l'incertezza economica globale», fanno sapere da Microsoft Italia, che conferma i piani di investimento «in aree strategiche di crescita per rispondere alle esigenze del mercato e delle imprese». Quello in OpenAi, la società che ha creato ChatGpt è uno di questi. Il 27 gennaio Redmond aveva annunciato un investimento «multi milionario» nell'azienda di Intelligenza artificiale di San Francisco, per poi integrare i suoi software in prodotti come Bing e Office .Tuttavia i tagli sono necessari.
  10. I COLPEVOLI DELLA MALASANITA': La selezione per un posto da coordinatore Spresal a Cirié anticipato di qualche giorno invece del 30 maggio 2022 perché Claudia Griglione, che avrebbe dovuto vincerlo, quel giorno aveva il volo per una vacanza negli Stati Uniti. E poi ci sarebbero le domande rivelate in anticipo a Massimo Gai, coordinatore Spresal di Ivrea, per «favorire» la moglie, Maria Grazia Gazzera, consigliera comunale a Cuorgné, che avrebbe partecipato alle selezioni a Cirié e Ivrea per un posto al Sisp (Servizio Igiene Sanità Pubblica).
    Al centro della vicenda c'è lei: Carla Fasson, dirigente Dipsa dell'Asl To4, da martedì agli arresti domiciliari perché - scrive il Gip Fabio Rabagliati - «esisterebbe il pericolo di reiterazione dei reati di corruzione (quello ipotizzato nel concorso di Gazzera), rivelazione e abuso d'ufficio». Ieri mattina, Fasson si è presentata in tribunale a Ivrea per l'interrogatorio di garanzia durante il quale si avvalsa della facoltà di non rispondere. Il gip non si è ancora pronunciato sulla revoca degli arresti domiciliari avanzata dal legale Beatrice Rinaudo.
    Per i magistrati Valentina Bossi e Alessandro Gallo, Carla Fasson, sarebbe la figura apicale nell'inchiesta che riguarda la gestione dell'Asl To4. Sarebbe stata lei a divulgare le domande e valutare chi avrebbe dovuto ricoprire quel posto. «Spaventala, massacrala». È il tono di una telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza tra Carla Fasson e Massimo Gai. Fasson avrebbe chiesto a Gai di convincere una dipendente a non accettare il posto allo Spresal a Ivrea. Perché quel posto sarebbe stato «promesso» ad un'altra persona. E in cambio Fasson avrebbe fatto sapere a Gai le domande della selezione alla quale si sarebbe sottoposta la moglie, Gazzera, per il posto al Sisp di Cirié. Gazzera ha vinto il concorso, ma qualche giorno dopo ha rinunciato all'incarico.
    Nei confronti di Enzo Bertellini (coordinatore Sian di Ivrea), Massimo Gai e Claudia Griglione (coordinatrice Spresal Cirié-Settimo-Chivasso), i magistrati eporediesi hanno chiesto la misura interdittiva dai pubblici uffici per un anno perché non sarebbe opportuno che da indagati continuino a lavorare come ufficiali di polizia giudiziaria a fianco della procura.
    Anche loro tre accompagnati dai legali sono comparsi, ieri mattina, in tribunale per l'interrogatorio. Anche nei loro confronti il gip Fabio Rabagliati ha rinviato ogni decisione. Enzo Bertellini (avvocati Mario Benni e Enrico Scolari), accusato per due episodi di rivelazione di segreti d'ufficio, non ha riposto alle domande.
    La posizione di Claudia Griglione (i pm ipotizzano rivelazione e abuso d'ufficio) è stata rinviata alla prossima settimana dopo che l'avvocata Francesca Magagna ha sollevato alcune eccezioni. L'unico che ha risposto alle domande è stato Massimo Gai, nei guai per rivelazione segreti d'ufficio e corruzione (si è auto sospeso da coordinatore Spresal di Ivrea). Ipotesi di reato che il suo legale, l'avvocato Luca Fiore proverà a quantomeno a ridimensionare. Perché - a suo dire - Fasson non avrebbe comunicato a Gai le domande relative al concorso, ma avrebbe parlato di altre questioni.
    E sempre secondo il legale non sussisterebbe anche l'accusa di corruzione in quando la moglie di Gai (Gazzera) non era interessata al concorso a Cirié tanto è vero che quel posto lo ha rifiutato.
  11. IL SINDACO DI TORINO POLITICO ARROGANTE : Torino vuole costruire una nuova immagine di se stessa per raccontarsi al mondo e, per farlo, chiede l'aiuto dei torinesi, dei turisti che arrivano sotto la Mole e di tutti gli stakeholder. È questa la strategia che Palazzo Civico sta mettendo in piedi per definire un city brand riconoscibile, uno strumento di cui intende dotarsi anche forte della collaborazione avviata nei mesi precedenti con la Fondazione Bloomberg.
    L'obiettivo è pubblicare una gara nel corso di quest'anno, per dotarsi del nuovo brand e presentarlo ufficialmente entro il 2024. Prima però si apre un percorso con cui si intende coinvolgere tutti le realtà. «Tramite un istituto di ricerca vogliamo fare un sondaggio fra i torinesi per capire quale percezione hanno della nostra città così da aiutarci a costruire insieme un brand che funzioni - ha spiegato ieri il sindaco Stefano Lo Russo durante la seduta dedicata al Bilancio - L'idea è coinvolgere tutte le anime di questa città, per avere una cornice allargata su questo strumento».
    A tale scopo sarà sottoposto un sondaggio anche ai turisti, così da raccogliere le loro percezioni su luoghi, musei e tutto ciò che possa promuovere l'immagine di Torino all'estero. Al contempo verranno coinvolti gli stakeholder istituzionali, quelli che operano negli ambiti del commercio, dell'industria e dell'economia. Un lavoro al termine del quale si avrà una sorta di manifesto, utile alle definizione del bando. "Anche Bloomberg è entusiasta del metodo che abbiamo scelto" aggiunge Lo Russo. I loro rappresentanti sono tornati sotto la Mole proprio nelle giornate di giovedì e venerdì scorsi, la Fondazione aiuterà Torino a lavorare soprattutto sulla definizione del nuovo piano regolatore e, appunto, del futuro city branding.
    Nel frattempo dovrebbe debuttare già alla fine del mese di aprile una piattaforma georeferenziata per raccontare ai torinesi tutti i progetti legati al Pnrr che, da qui ai prossimi cinque anni, dovranno cambiare la fisionomia della città. Si tratterà di una mappatura interrogabile e consultabile in tempo reale, che consentirà di seguire passo dopo passo il procedere dei cantieri. L'idea è anche quella di installare in ogni luogo di trasformazione alcuni pannelli informativi, magari dotati di Qr Code, scansionabili con gli smartphone

 

09.04.23

UN SEGNO PASQUALE : «Sì, come molti ho fede ma sinceramente sono poco praticante. Di certo non sono una fanatica, non racconto di visioni e non cerco di suscitare clamore. Tuttavia mi è capitato qualcosa di insolito e sento il bisogno di condividerlo con altri».
Cinzia Bannò ha impiegato un anno prima di mostrare quella foto scattata nella Basilica di Superga, al tabernacolo dell'altare della Cappella delle Grazie, dove è conservata la statua della Madonna a cui Vittorio Amedeo II si rivolse in preghiera per salvare Torino dall'assedio dell'esercito francese di Luigi XIV, nel 1706. Scattando una fotografia col telefonino, il venerdì santo dello scorso anno, avrebbe catturato il volto di Gesù comparso come un riflesso sulle pareti del tabernacolo, rimasto aperto e senza la coppa delle ostie al suo interno. «Subito non mi sono accorta di quel dettaglio straordinario. L'ho notato nel corso di quella sera, a casa, riguardando la foto ingrandita. Non riuscivo a credere ai miei occhi». Suggestione? Effetto ottico? Manifestazione? Adesso che lei ha deciso di rendere noto quello scatto, i commenti si possono sprecare. Come le critiche e le malignità. L'altro ieri è tornata a Superga, con un po' di emozione. «Francamente - dice - preferirei che qualcuno mi dicesse che è tutto un abbaglio, che c'è una spiegazione razionale, sarei più sollevata. Ma più cerco spiegazioni e meno ne trovo». Questione di fede, prima di tutto. Ingrandendo quello scatto, l'è sembrato di scorgere il volto di Gesù, la corona di spine, l'occhio martoriato ed il labbro gonfio. Così pare. La signora si è confrontata con il personale del Sermig che gestisce la Basilica. Le hanno garantito che nel tabernacolo non sono incollate immagini di Gesù. Le pareti sono lucide, dorate e riflettono come uno specchio. «Ho chiesto loro di studiare il caso, di provare a vedere se in qualche modo si riusciva a replicare un effetto simile a quello fotografato o di fare altri scatti di prova». Non solo, la signora Cinzia ha cercato conforto nella legge. «Ho chiesto a un notaio di esaminare il mio telefono, affinché certificasse che il file non è stato manipolato. Cosa che è stata confermata. Desiderosa di risposte, ho regalato una copia della foto al povero don Carlo, l'ex parroco del Duomo morto alcuni mesi fa, anche lui rimase sorpreso nel vedere quell'immagine».
Quella cappella è un luogo amato dai fedeli. Lo testimonia la teca posta di fronte alla statua della Madonna, sempre piena di lettere di invocazioni e preghiere. La Basilica di Superga, per i torinesi, è una sagoma amica che accoglie da lontano. Per altri, è solo un balcone romantico sulla città, un'attrazione per turisti. Per i granata è un mausoleo alla memoria del Grande Torino. Ma è soprattutto un luogo di preghiera. «Amo quel posto, per la sua forza, la sua bellezza. Da quando vivo a Torino ho sempre cercato di abitare in case da cui si potesse ammirare Superga. Come luogo credo che andrebbe rispettato di più. Difeso e valorizzato, sia per i fedeli e sia per la città».

 

 

08.04.23
  1. ARROGANZA ITALIANA :  Scintille tra Fdi e Pd. Ad accendere le polveri un brutto fatto di cronaca: lo stupro di una ragazzina di 15 anni il 18 settembre alla Festa dell'Unità di Bologna. La notizia - secondo Fratelli d'Italia - «lascia attoniti» per due motivi: la brutalità della violenza sessuale in sè e - subito dopo - per il «silenzio assordante» dei dem su quanto accaduto. «Pretendiamo che si faccia luce per punire i responsabili e chiediamo che si faccia sentire anche la voce del Pd e del suo segretario Schlein che, in quanto donna, dovrebbe avere maggiore sensibilità sul tema», tuona Elisabetta Gardini, vice capogruppo di Fdi alla Camera. Replica il Pd bolognese: «La destra fa bassa propaganda. La famiglia della ragazza si è subito rivolta alla direzione della Festa per chiedere aiuto, trovare i ragazzi e consegnarli ai carabinieri. E questo è ciò che è stato fatto».
  2. ARROGANZA  AMERICANA: Il giallo sul furto di documenti segreti del Pentagono si allarga e mette in stato di allerta l'amministrazione americana, dopo la pubblicazione sui social di un altro carteggio questa volta contenente informazioni che vanno oltre la guerra in Ucraina e toccano dossier strategici come Cina, Indo-Pacifico, Medio Oriente (in particolare Israele e i capi del Mossad) e terrorismo. E a Washington scatta la caccia alla talpa che avrebbe reso possibile la fuga di notizie questa volta di riservatezza maggiore a quelle sui piani di riarmo delle truppe di Kiev trapelati nei giorni scorsi. Una falla clamorosa, nonostante i sospetti di manipolazioni russe, che rischia di levare i veli sui piani Usa nel mondo, bruciare fonti preziose e innescare ripercussioni diplomatiche pesanti. Tutto ciò rivelerebbe la forte capacità di penetrazione americana degli apparati militari e di sicurezza russi e al contempo - riferisce il New York Times - verrebbe confermato che l'intelligence statunitense spia i suoi alleati (non è del resto la prima volta). A partire dai leader politici e militari ucraini (un riflesso della difficoltà di Washington ad avere una visione chiara delle strategie di combattimento ucraine, secondo il quotidiano Usa) e Seul, quest'ultima in relazione alle sue decisioni sugli aiuti letali a Kiev. Il secondo "leak" comprende oltre 100 documenti apparsi su 4chan, un website anonimo, e poi su altri social tra cui Twitter, provenienti da varie agenzie, anche se tutti compilati dallo stato maggiore del Pentagono: dal dipartimento di Stato alla Nsa, dalla Cia all'agenzia di intelligence geospaziale che analizza le immagini satellitari. Il dipartimento della Giustizia ha aperto un'inchiesta, dopo quella interna della Difesa, che sta cercando di identificare chi poteva vedere quelle carte e ha già cambiato le modalità con cui il personale può avervi accesso. Dato che si tratta di fotografie (come ai tempi della guerra fredda) di mappe e slide di presentazione stampate e che i documenti classificati possono essere stampati solamente su sistemi approvati, è probabile che esista qualche traccia documentale su chi li ha gestiti. E potrebbe non essere finita qui, come suggerisce un esperto militare sentito dal quotidiano della Grande Mela, il quale dice chiaramente che quanto accaduto sino ad ora è solo la «punta dell'iceberg»
  3. LA CINA NON MI CONVINCE : Il tè prima della tempesta. Poche ore dopo aver congedato «l'amico» Emmanuel Macron con cui aveva sorseggiato la bevanda al Pine Garden di Guangzhou, Xi Jinping tira fuori i muscoli e lancia nuove esercitazioni militari intorno a Taiwan. È la preannunciata reazione all'incontro in California fra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy. Dopo 48 ore di attesa, l'Esercito popolare di liberazione ha annunciato tre giorni di manovre e pattugliamenti per testare «prontezza di combattimento» e un «accerchiamento» dell'isola. Pechino definisce la mossa un «severo avvertimento» contro le «collusioni» tra le «forze secessioniste» di Taipei e gli Stati Uniti.
    La prima giornata di esercitazioni, denominate Joint Sword (spada congiunta), sono servite a testare le capacità di controllare «mare, aria e informazioni». Il ministero della Difesa di Taipei ha rilevato in totale 9 navi da guerra e 71 jet nelle acque intorno a Taiwan. Tra gli aerei, 45 hanno oltrepassato la «linea mediana», confine tra le due sponde non riconosciuto ma ampiamente rispettato sino all'anno scorso.
    I media di Stato cinesi includono la portaerei Shandong tra i mezzi che partecipano alle manovre. Nei giorni scorsi aveva attraversato lo stretto di Bashi tra Taiwan e le Filippine, per poi raggiungere il Pacifico orientale per la prima volta da quando è operativa. La costa Est è quella che Pechino punterebbe a presidiare con la sua flotta nell'ipotesi di un blocco navale. Solo da lì potrebbero arrivare aiuti esterni a Taipei.
    Sembra un déjà vu rispetto a quanto accaduto dopo la visita di Nancy Pelosi, anche se a differenza dello scorso agosto non è stata rilasciata una mappa con le zone precise delle manovre. Con l'avvio dei test (durati 7 giorni nonostante all'inizio ne furono annunciati 4), erano state allora fornite le coordinate di sei zone, in alcuni casi sovrapposte alle acque territoriali taiwanesi. La presenza o meno di dettagli è un barometro importante, visto che coi lanci di missili scatterebbe l'obbligo di segnalare le zone interdette alla navigazione.
    Finora sono state annunciate esercitazioni a fuoco vivo in vari round fino al 20 aprile sulla costa di Fuzhou, capitale della provincia del Fujian. Piuttosto lontano da Taiwan, ma in prossimità delle isole Matsu, amministrate dal governo di Taipei. Più attenzione sui test a fuoco vivo previsti per domani a Pingtan. Si tratta di un'isola direttamente affacciata sullo Stretto, da dove lo scorso agosto erano stati sparati diversi razzi.
    Funzionari taiwanesi segnalano a La Stampa che, durante la prima giornata, la pressione e l'estensione delle manovre sarebbero state «meno gravi»rispetto ad agosto e i passaggi oltre la «linea mediana» piuttosto brevi. Ciò non significa che oggi e domani non possano esserci nuovi sviluppi, vista la fluidità dello scenario.
    Ieri, le televisioni cinesi hanno ripetutamente mostrato le immagini delle esercitazioni. Sui tg taiwanesi se n'è parlato molto più brevemente, con priorità alla visita di Michael McCaul, capo della Commissione esteri del Congresso Usa. Tsai lo ha ricevuto poco dopo essere rientrata dalla California e ha incassato la promessa di un invio «più rapido» di armi.
    Il lancio o meno di missili, unito all'effettiva estensione delle manovre, sarà un indicatore importante anche a livello politico. Con una risposta troppo aggressiva Xi potrebbe fare un favore al Partito progressista democratico di Tsai (la sua nemesi) in vista delle presidenziali taiwanesi del 2024. Riducendo così le speranze dell'opposizione del Kuomintang, molto più dialogante con Pechino.
    Senza contare il possibile impatto sulle relazioni con l'Occidente e sull'immagine da «grande stabilizzatore» che il leader cinese sta provando a proiettare sulla scena globale. La conclusione prevista delle esercitazioni, se sarà rispettata, si incastra perfettamente con l'agenda di Xi: martedì arriva infatti a Pechino il presidente brasiliano Lula, giovedì sarà la volta di Josep Borrell, alto rappresentante dell'Unione europea per gli Affari esteri. Sempre martedì, a Taiwan è invece previsto l'arrivo di una delegazione parlamentare italiana, la prima dal novembre 2019.
  4. MAFIA CAPITALE : A Roma tutti vedono cosa succede, ma nessuno riesce a capirne il perché: esecuzioni per strada, gambizzazioni, sequestri, torture, pestaggi e ferimenti a colpi di pistola fanno sembrare da sei mesi le strade della città come quelle messicane di Tijuana, in un crescendo di brutalità difficile da decifrare. Nella città aperta a tutte le mafie, di regola non si spara, perché la torta è grande tanto quanto gli appetiti criminali e perché la guerra danneggia gli affari, attira le forze dell'ordine e accende le telecamere. Da novembre, invece, la cronaca di Roma è un bollettino di guerra, un romanzo criminale violentissimo che riporta agli anni feroci della banda della Magliana: in cinque mesi, quindici omicidi sono stati eseguiti e sette tentati (quelli di cui si è a conoscenza); non tutti ovviamente sono maturati in contesti malavitosi, ma molti sì e destano particolare allarme sociale. Alcuni sono un regolamento di conti, nell'ambito del traffico di droga, altri hanno un peso diverso e rappresentano una spia allarmante di un riassetto criminale in corso. Nello scorso marzo hanno sparato a quattro persone, a tre in una sola settimana. Molti omicidi, tra cui gli ultimi due, quelli di Luigi Finizio e di Andrea Fiore, sono avvenuti nel quadrante est di Roma, regno dei Senese, i napoletani che arrivati a Roma negli anni '80 hanno costruito un impero nel narcotraffico e allevato batterie di narcos e picchiatori, al cui vertice c'è da sempre Michele ‘o pazzo, che dal carcere non ha certo perso peso e autorevolezza, né la possibilità di comunicare con l'esterno, come dimostrano i pizzini trovati nelle sue scarpe. Il 13 marzo, Luigi Finizio, imparentato con i Senese attraverso il fratello, è stato freddato in dieci secondi davanti ad un distributore di benzina al Quadraro, da due uomini, ancora sconosciuti, a bordo di uno scooter. Sul luogo del delitto, era apparso un amico della vittima, Andrea Fiore, un carrozziere, anche lui con precedenti. Si era fatto notare mentre parlava con gli investigatori. Una mossa imprudente, tanto che dopo appena quindici giorni e a poche centinaia di metri da lì, il piombo è toccato a lui: Danilo Rondoni e Daniele Viti si sono presentati a casa sua e il secondo gli ha sparato, mentre Fiore tentava di difendersi con un'accetta. Per la Squadra Mobile stavolta non è stato complicato rintracciare i responsabili, visto che prima di ucciderlo, i due hanno sequestrato e picchiato un vicino di casa di Fiore per ottenere ulteriori informazioni, ma prima di rilasciarlo Viti ha commesso un errore tanto fatale quanto surreale: gli ha restituito il portafogli sbagliato, cioè il suo, con i suoi documenti all'interno. Interrogato dagli inquirenti, Viti confessa di aver eseguito l'ordine superiore di un capo. Sì, ma di chi? Chi può essere il mandante di un duplice omicidio, proprio nel feudo militare di un pezzo da novanta come Michele ‘o pazzo? Difficile ipotizzare infatti che nel territorio dei Senese si assumano iniziative di rilievo, come qualsiasi fatto di sangue, senza il loro benestare, a meno di non volerli sfidare di proposito. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per la duplice gambizzazione di due giovani e ambiziosi (troppo?) spacciatori, Alex Corelli e Simone Daranghi, avvenuta poche settimane prima, tra Morena e la Romanina. Zona controllata dai Senese e dai Casamonica, che comunque rispondono ai primi. Daranghi è uno spacciatore di Alatri, mentre Corelli è figlio d'arte, di Roberto detto "il Capitano", trafficante legato ai Senese. Hanno tentato di allargarsi in piazze altrui? Hanno provato a fare i furbi? Serviva una lezione per ricordare a loro e a chiunque si facesse venire in mente idee diverse, chi comanda? Fatto sta che Corelli, forse per evitare che il referto finisse in procura, ha tentato di evitare il pronto soccorso, facendosi inizialmente soccorrere in un locale vicino.
    In questa inedita gomorra romana, non si spara soltanto, ma si sequestra e si tortura, con un sovraccarico di ferocia mai vista. Francesco Vitale, un pr barese noto come Ciccio Barbuto, nella vita faceva il narcos, prima di contrarre mezzo milione di debito con le persone sbagliate. Era venuto a Roma il 22 febbraio scorso per incontrare i suoi creditori, dopo aver lasciato la sua fidanzata in albergo, ma era una trappola. È stato torturato per ore in un appartamento della Magliana, fino a quando sfinito ha preferito lanciarsi dalla finestra, ma dal quinto piano non si salva nessuno. Ci ha sperato, ci ha provato, come dimostrano le impronte delle mani sporche di sangue impresse nel muro esterno del palazzo, ma non poteva farcela. Poche ore prima gli era stata concessa, per mettergli pressione, un'ultima telefonata alla compagna, giusto il tempo di dire addio a lei e al bambino. I Carabinieri del nucleo investigativo di Roma hanno arrestato per sequestro di persona, con l'aggravante della morte della vittima, il buttafuori Sergio Placidi, detto Sergione e Daniele Fabrizi, alias Saccottino, che probabilmente avevano ricevuto l'appalto per la riscossione del credito da un altro re della criminalità romana, Elvis Demce, l'albanese che si proclamava Dio, tanto feroce da cavare a mani nude l'occhio di un suo nemico, tanto sicuro del suo ruolo da affermare: «Quando parlo io è cassazione, è morte». I carabinieri lo hanno arrestato l'anno scorso, mentre stava per scoppiare una guerra sanguinaria con il suo rivale albanese Ermal Arapaj, "l'Ufo" che aveva approfittato della carcerazione del capo per allargarsi. Elvis Demce, cresciuto sotto l'ala protettrice di Fabrizio Piscitelli, Diabolik per tutti, era il suo braccio armato, insieme alla batteria degli albanesi di Ponte Milvio, utilizzata per risolvere i lavori più sporchi; a quanto ci risulta, dopo l'omicidio del Diablo, Demce si sarebbe allontanato dal gruppo originario di appartenenza, quello di Arben Zogu, il referente degli albanesi a Roma, per avvicinarsi alla cerchia dei Senese, all'interno della quale potrebbe essere maturato proprio l'omicidio del suo amico Piscitelli. Del resto, nel mondo criminale, si sa, le inimicizie come le amicizie hanno un prezzo.
    A spiegare bene il grado di efferatezza raggiunto a Roma, è la spirale di violenza innescata dal furto di 107 kg di cocaina a casa di un pusher, Gualtiero Giombini (morto in circostanze ancora tutte da chiarire), che doveva custodirla per conto di Elias Mancinelli, di certo non uno spacciatore qualsiasi, a giudicare dal quantitativo di droga in suo possesso e dal peso criminale dei suoi referenti. Circostanza non valutata bene inizialmente dal carabiniere infedele Rosario Morabito e dal basista Cristian Isopo che insieme a due donne rom hanno organizzato il furto della cocaina. La reazione di Mancinelli non si fa attendere, come racconta Isopo ai pm Erminio Amelio e Giovanni Musarò che coordinano le indagini, svolte dai Carabinieri di via In Selci; Elias, scoperto senza troppa fatica chi ha compiuto il furto, si presenta da Isopo e gli dice: «Sai perché sono qui?», poi lo incappuccia e lo fa salire a bordo di una macchina, per condurlo in una villetta: «Mi ha sequestrato dalle quattro del pomeriggio alle quattro di notte», racconta Isopo, «dopo 12 ore mi hanno rilasciato pesto come l'uva, con gli aghetti infilati dentro alle unghie… avevo le mani gonfie che non riuscivo a muoverle…mi menavano in testa, botte sulle costole, sul torace, sul collo…». Per terrorizzarlo, gli mostrano Giombini (a casa del quale era stata rubata la droga), torturato in un'altra stanza con la fiamma ossidrica e lasciato al gelo per giorni. Isopo racconta che il pusher era «in condizioni irriconoscibili perché era stato ammazzato di botte, indossava solo le mutande, la sua faccia era tumefatta, aveva sangue e lividi in tutto il corpo, una sorta di mostro». Non soddisfatto delle torture, Mancinelli per indurre Isopo a recuperare in fretta il carico di droga che si era smezzato con le rom, lo porta con l'aiuto di altre otto persone in zona Laurentina e lo sospende penzoloni da un ponte con la ferrovia sotto, dicendogli che se non avesse riportato la droga o sarebbe andato giù o lo avrebbero impiccato. Nel frattempo Elias risale all'identità delle due donne che hanno partecipato al furto e le sequestra, poi ne rilascia una (quella sbagliata) e ne trattiene un'altra, fino a quando non è pronto lo scambio di soldi e di droga, che avviene nel centro commerciale Maximo, dove ad aspettarli però c'è la Polizia.
    I sequestri di mala stanno diventando un'abitudine a Roma, a Natale era stato sequestrato a Ponte Milvio davanti ad un noto e molto frequentato ristorante giapponese, Danilo Valeri, ventenne figlio di Maurizio, detto il "sorcio", pusher di San Basilio, gambizzato qualche mese prima. Valeri è stato rilasciato 24 ore dopo e non ha fornito alcuna informazione agli inquirenti sul commando che lo ha prelevato. Se si arriva a compiere un atto così violento e controproducente, come il sequestro di un ragazzo per un debito di 12 mila euro, cifra irrisoria nel mondo della droga, significa che in certi contesti il livello dello scontro è del tutto fuori controllo.
    Un discorso a sé merita un'altra parte della suburra romana, che non è periferia ma impero. Ostia è da sempre terra di conquista criminale, per gli interessi economici e strategici che concentra: chilometri di litorale con stabilimenti e ristoranti da gestire e in cui riciclare, ma soprattutto due porti vicini, quello di Fiumicino e quello di Civitavecchia dove transitano i carichi di stupefacente dal Sudamerica e dalla Spagna. Negli anni, sul lungomare dei romani -tra le tante piazze di spaccio, il racket delle case popolari e le estorsioni- si sono consumate vere e proprie guerre di mafia: prima i Triassi, poi i Fasciani, poi gli Spada contro i Fasciani, poi gli Spada contro il gruppo di Marco Esposito, detto Barboncino, fino a quando il quadro è saltato: Barboncino è morto, i Fasciani hanno subito inchieste pesantissime, così come gli Spada, sebbene una delle figure più simboliche, Roberto Spada- assurto nel 2017 alle cronache nazionali per la testata al collega Daniele Piervincenzi e condannato per associazione mafiosa - è da poco tornato in libertà, accolto sul litorale da fuochi d'artificio e festeggiato come un capo, nell'attesa (ma senza fretta) che vengano determinati gli altri anni che deve ancora scontare in carcere . Il suo rientro nel contesto di Ostia desta ovviamente preoccupazione, per le fibrillazioni che ne potrebbero nascere, con i nemici di sempre, quelli rimasti e con le forze emergenti. Tra i nuovi signori della droga, per esempio, ci sono i cileni, sempre più forti, sempre più autonomi. Qualcosa intanto di poco chiaro sta già accadendo sul litorale, come dimostrano l'omicidio di Fabrizio Vallo, avvenuto il 3 febbraio scorso, e quello -dopo pochi giorni- tentato, ma fallito di Antonio Da Ponte. Vallo, rapinatore noto alle forze dell'ordine, è stato crivellato con cinque colpi di pistola davanti all'androne di casa sua, in via del Sommergibile. A casa del sospettato di origini siciliane, la Polizia ha trovato sei pistole. Più significativo, per la diversa caratura criminale e per la provenienza della vittima da un contesto di camorra, è il tentato omicidio di Antonio Da Ponte, condannato anni fa per omicidio e da poco uscito dal carcere. È stato colpito all'addome, sua moglie al gluteo e suo figlio neonato, miracolosamente illeso. In mezzo a bar e ristoranti aperti, anche se, come sempre, nessuno ha visto. Non si esclude, ma è solo un'ipotesi, che questa vicenda possa avere un possibile legame con gli omicidi del Quadraro.
    Mentre il governo tarda a nominare il nuovo prefetto di Roma e il sindaco Gualtieri è preoccupato, ma tutto sommato ritiene la Capitale una città non violenta, la scia di sangue si fa sempre più lunga, segno che qualcosa evidentemente è cambiato negli equilibri della malavita e che si è rotto quel patto mafioso di non belligeranza tra clan e narcos che solo i capi possono garantire, molti dei quali sono ormai indeboliti dalle inchieste o in carcere o morti, come Diabolik, freddato su una panchina in un parco pubblico nel 2019. Quello di Fabrizio Piscitelli è stato un omicidio eccellente, di matrice mafiosa come disse da subito l'allora capo della Procura di Roma Michele Prestipino. Eppure ad oggi, dopo quattro anni, conosciamo il nome dell'esecutore materiale, l'argentino Raul Esteban Calderon, ma non quello dei mandanti, la cui posizione è stata archiviata per insufficienza di prove. Alcuni dei presunti colpevoli sono in carcere per altri reati, altri potrebbero uscire a breve, altri invece sono liberi. Diabolik e il suo socio Fabrizio Fabietti hanno inondato Roma di cocaina, sfamavano le principali piazze di spaccio di Roma, da Torbella Monaca a Primavalle, da San Basilio ad Acilia, dalla Romanina ai Castelli, passando, appunto, per Ostia, come ha svelato un'importantissima operazione del Gico della Guardia di Finanza, dal titolo evocativo, "Grande Raccordo Criminale". Il Diablo l'hanno ammazzato, Fabietti e la sua banda sono in carcere, come tanti altri boss della città. Eppure la cocaina continua a scorrere a fiumi tra le strade della città, in tutti i quartieri, perché i vuoti nella malavita vanno riempiti rapidamente ed è quello che sta succedendo a Roma e che spiega tanto fermento e tanta violenza: se mancano le figure di garanzia per fare la pace, i ranghi inferiori si fanno la guerra e si armano. Mai girate così tante armi a Roma. A Pietralata la Squadra Mobile ha rinvenuto un arsenale di armi custodito da una donna, i ferri con la matricola abrasa erano quasi tutti carichi e pronti all'uso. In una casa popolare di Ostia, i Carabinieri hanno trovato un'altra santabarbara, pistole e migliaia di proiettili e arrestato un pregiudicato che produceva artigianalmente i silenziatori per le pistole. Quando manca una regia, quando non c'è chi ha l'autorevolezza e il curriculum criminale per decidere se il semaforo è rosso o verde, allora si spara, si gambizza, si tortura, si sequestra. Ma Roma, è bene che le nostre istituzioni lo ripetano sempre e ostinatamente: «Non è una città violenta e neppure mafiosa», piuttosto è la capitale del volemose bene.
  5. IGNORANZA SOCIALE: In Piemonte non ci sono abbastanza ingegneri idraulici per guidare la regione verso la transizione. Al Politecnico di Torino, una delle principali fucine di esperti del settore insieme al Politecnico di Milano, quest'anno, al corso di laurea magistrale di Ingegneria Idraulica, si sono iscritte appena sette persone.
    «I numeri che registriamo sono preoccupanti» spiega il docente del Politecnico Francesco Laio, direttore del dipartimento di Ingegneria dell'Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture. Certo, la diminuzione in parte è generalizzata: «Tutti i quattro indirizzi magistrali di ingegneria civile contano 120 studenti, mentre fino a pochi anni fa ne avevano più del doppio. Il caso di Idraulica, però, è particolarmente problematico». Perché? I cambiamenti climatici e la siccità hanno messo in crisi il nostro modo di vedere e gestire l'acqua. Servono soluzione. Lo stesso presidente di Arpa, Secondo Barbero, sottolinea come «l'acqua non può essere più considerata una risorsa infinita. Il cambiamento climatico impone dei ragionamenti di sfida e adattamento». Bisogna rifare gli acquedotti, ridurre le perdite, fare impianti di monitoraggio per vedere dove le tubature hanno "buchi", installare nuovi sistemi di irrigazione, di immagazzinamento. Insomma, prosegue Barbero, «bisogna formare dei tecnici per dare supporto alle scelte del futuro». E quei tecnici al momento non ci sono. «Con sette iscritti non si forma una classe sufficientemente numerosa per le sfide da affrontare», sottolinea il professor Laio, che parla "crisi vocazionale". «L'ambito non risulta abbastanza interessante per gli studenti che escono dalle superiori. L'ingegneria civile sembra vecchi«, adesso l'appeal è più forte verso informatica o biomedica». In più, i «pochissimi ingegneri civili non vanno nel pubblico, ma vengono assorbiti dalle grandi aziende.
    Il mondo accademico si sta muovendo, «riformando, ad esempio, i corsi. Però non basta. Serve l'intervento della politica e degli studi di settore». Il professor Laio lancia l'allarme: «Se non si crea una narrativa che supporti il valore di queste figure professionali, non abbiamo via d'uscita». E ancora. «Bisogna pagare stipendi maggiori, che significa che le stazioni appaltanti devono smettere di bandire gare al massimo ribasso». E il sistema pubblico? «È rimasto fermo per dieci anni. Ripartito negli ultimi due, non ha più risorse da inserire».

 

 

 

 

07.04.23
  1. https://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/faida-casa-agnelli-mejo-serie-tv-margherita-agnelli-ha-348977.htm
    07 apr 2023 09:03
    La faida di Casa Agnelli, mejo di una serie tv - Margherita Agnelli ha presentato una querela civile “di falso” riguardo al testamento
    svizzero di sua madre – Qui Trevisan, Marella Caracciolo Agnelli: sarebbe dubbia la veridicita’ delle firme - Lo scopo di Margherita
    è far dichiarare dal Tribunale che l’eredità della madre non poteva essere regolata dal diritto svizzero, poiché Marella Agnelli,
    scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe stata una cittadina italiana residente in territorio elvetico (per almeno sei mesi all’anno),
    ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita a Torino e a Marrakech …
    Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per il “Fatto quotidiano”
    Margherita Agnelli, con un’istanza […], ha presentato nelle settimane scorse al Tribunale di Torino una querela civile “di falso” riguardo al
    testamento svizzero di sua madre, Marella Caracciolo Agnelli.
    La notizia è emersa ieri mattina a Torino durante un’udienza pubblica della causa che la secondogenita di Gianni Agnelli ha avviato contro i
    tre figli nati dal suo primo matrimonio con lo scrittore Alain Elkann: John (l’attuale presidente di Exor e dunque al vertice di tutte le
    partecipazioni della ex galassia Fiat), Lapo e Ginevra.
    Lo scopo di Margherita è esplicito: far dichiarare dal Tribunale che l’eredità della madre non poteva essere regolata dal diritto svizzero,
    poiché Marella Agnelli, scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe stata una cittadina italiana residente in territorio elvetico (per almeno sei
    mesi all’anno), ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita a Torino e nel riad “Ain Kassimou” di Marrakech.
    Un pool di investigatori di Zurigo, secondo quanto sostenuto nelle memorie del legale della figlia dell’Avvocato, lo avrebbe accertato a
    partire dal 2003.
    Se così fosse, si applicherebbe il Codice civile italiano e decadrebbero sia il patto successorio firmato nel 2004 a Ginevra, nel quale
    Margherita rinunciava al patrimonio della madre, in cambio di 1,2 miliardi di euro come quota dell’eredità del padre, e le successive
    disposizioni testamentarie di Marella Caracciolo a favore dei tre nipoti Elkann.
    Si rimetterebbe dunque in discussione il controllo della società semplice Dicembre da parte di John Elkann (che oggi ne detiene il 60%,
    mentre il 40% è diviso in parti uguali tra Lapo e Ginevra) e, a cascata, della Giovanni Agnelli Bv (la società di tutti gli eredi della dinastia) e
    infine di Exor.
    Un primato garantito dalle donazioni in vita della nonna e poi dalla sua successione secondo il diritto elvetico che escludeva la figlia
    dell’Avvocato. […] il legale di Margherita ha contestato anche la validità del testamento della vedova dell’Avvocato (12 agosto 2011) e delle
    sue due aggiunte (14 agosto 2012 e 22 agosto 2014) redatti dal notaio elvetico Urs von Grünigen. […] sarebbe dubbia “la veridicità delle
    firme”.
    Il doppio esame grafologico […] è univoco.
    La prima firma del testamento è definita “autografa, ma con margini d'incertezza”.
    La seconda è giudicata: “apocrifa, con grado di probabilità”.
    La terza (una sigla con le iniziali “M.C.A.”, all’età di 87 anni) è indicata come “apocrifa, con elevata probabilità”. […]
    Infine, la mossa più clamorosa di cui si è saputo solo ieri e che chiede di accertare, ex art. 313 del Codice di Procedura civile, l’eventuale
    “falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata”.
    Un accertamento che dovrà essere compiuto […] da un collegio del Tribunale civile con la partecipazione però di un pubblico ministero: in
    un incrocio tra procedura civile e penale.
    Acquisendo se necessario ulteriore documentazione e decidendo soprattutto se sentire il notaio e anche i cinque testimoni che si sono
    alternati tra il 2011 e il 2014 per certificare le volontà testamentarie di Marella Caracciolo.
  2. Con un’istanza del suo legale Dario Trevisan, Margherita Agnelli ha presentato nelle settimane scorse al Tribunale di Torino una querela
    civile “di falso” riguardo al testamento svizzero di sua madre, Marella Caracciolo Agnelli.
    La notizia – scrive Il Fatto Quotidiano – è emersa durante un’udienza pubblica della causa che la secondogenita di Gianni Agnelli ha avviato
    contro i tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann.
    Lo scopo di Margherita è quello di far dichiarare dal Tribunale che l’eredità della madre non poteva essere regolata dal diritto svizzero,
    poiché Marella Agnelli, scomparsa il 23 febbraio 2019, non sarebbe stata una cittadina italiana residente in territorio elvetico (per almeno sei
    mesi all’anno), ma avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita a Torino e a Marrakech.
    Se così fosse, si applicherebbe il Codice civile italiano e decadrebbero sia il patto successorio firmato nel 2004 a Ginevra, nel quale
    Margherita rinunciava al patrimonio della madre, in cambio di 1,2 miliardi di euro come quota dell’eredità del padre, e le successive
    disposizioni testamentarie di Marella Caracciolo a favore dei tre nipoti Elkann.
    Si rimetterebbe dunque in discussione il controllo della società semplice Dicembre da parte di John Elkann (che oggi ne detiene il 60%,
    mentre il 40% è diviso in parti uguali tra Lapo e Ginevra) e, a cascata, della Giovanni Agnelli Bv (la società di tutti gli eredi della dinastia) e
    infine di Exor.
    Non solo, il legale di Margherita ha contestato anche la validità del testamento della vedova dell’Avvocato (12 agosto 2011) e delle sue due
    aggiunte (14 agosto 2012 e 22 agosto 2014) redatti dal notaio elvetico Urs von Grünigen.
    E lo ha fatto con due mosse diverse.
    La prima è costituita da due distinte consulenze grafologiche secondo le quali sarebbe dubbia “la veridicità delle firme”.
    La gestione di testamento e aggiunte, redatti in lingua italiana, è avvenuta secondo il diritto elvetico. Che prevede due diverse procedure.
    Nella prima, se è il testatore a dettare le sue volontà, il notaio le redige e poi le legge al suo cliente. Solo dopo, fa entrare i testimoni i quali
    certificano che il testatore dichiara di conoscere il contenuto esatto del testo, assistono alla firma di cliente e notaio e, infine, certificano la
    “capacità di disporre” del primo.
    Se invece il testatore ha dato istruzioni precedenti al notaio, affidandogli il compito di preparare la stesura, allora i testimoni dovranno essere
    presenti sin dall’inizio della lettura. Per tutti e tre gli atti testamentari di Marella Caracciolo, la procedura scelta è sempre stata la prima, ma
    non si sa se tutti i testimoni che si sono alternati conoscessero la lingua italiana (i legali dei fratelli Elkann, invece, sostengono di sì).
    Infine, la mossa più clamorosa di cui si è saputo solo ieri e che chiede di accertare, ex art. 313 del Codice di Procedura civile, l’eventuale
    “falsità di un atto pubblico o di una scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata”.
    Un accertamento che dovrà essere compiuto non dal giudice monocratico che sta istruendo la causa sull’eredità, ma da un collegio del
    Tribunale civile con la partecipazione però di un pubblico ministero: in un incrocio tra procedura civile e penale.

 

 

 

 

 

 

06.04.23
  1. LO STRUZZO :  E niente, anche questa volta Giorgia Meloni non vuole domande. Lo stupore viaggia con il premier spagnolo Pedro Sánchez, che oggi è atteso a Palazzo Chigi per un bilaterale tra due leader che coltivano molti interessi in comune, a partire dal Mediterraneo e dalla questione migratoria.
    È dalla delegazione spagnola che La Stampa è venuta a sapere che, per esplicita richiesta del cerimoniale della presidenza del Consiglio, non sono previste domande. Al termine del vertice ci saranno solo le dichiarazioni congiunte dei due leader – «come sempre» confermano da Palazzo Chigi – senza la possibilità di confrontarsi con i giornalisti. Una scelta che ha spiazzato gli spagnoli. Solitamente, in occasioni del genere, si prendono una o due domande per parte. Così accadeva con Giuseppe Conte e con Mario Draghi. È una consuetudine internazionale, come dimostra la visita di Meloni a Berlino e l'appuntamento con la stampa italiana e tedesca assieme al cancelliere Olaf Scholz. Quella di oggi è la terza tappa di Sanchez in poche settimane. E lo schema è sempre stato lo stesso: una breve conferenza stampa, con due domande per parte. Così doveva avvenire a Roma. La delegazione di Madrid ci ha sperato fino all'ultimo ma Meloni ha detto di no. Il motivo – è una supposizione che circola anche tra i colleghi spagnoli – potrebbe essere l'imbarazzo di un confronto sulla realizzazione del Piano di ripresa e di resilienza.
    La gestione del Pnrr del governo socialista in Spagna è stata premiata dal nuovo bonifico di sei miliardi partito da Bruxelles, proprio nelle ore in cui invece emergevano con forza le difficoltà dell'Italia, con tanto di liti e polemiche interne al governo Meloni. La destra italiana è in ritardo e le domande dei giornalisti, soprattutto se rivolte a Sánchez, potrebbero rimarcarlo.
  2. QUALCUNO SI E' SBAGLIATO ? «Mia moglie ha diritto all'eleganza» aveva dichiarato il deputato Aboubakar Soumahoro davanti alle foto che ritraevano la compagna Liliane Murekatete con borse e abiti griffati mentre su di lei, sua madre e suo fratello piovevano le accuse di fatture false (per oltre 2 milioni di euro quelle contestate alla madre) ed emergevano problemi con il Fisco per le cooperative dei migranti. E ora, mentre si profila l'ipotesi del processo per i familiari di Soumahoro, le carte dell'inchiesta, in particolare da quelle del Riesame, confermano la passione per il lusso a scapito delle coop.
    Si legge infatti che i fondi anziché essere impiegati per scopi sociali venivano dirottati, per quanto riguarda le cooperative gestite da Murekatete e dal fratello, per l'acquisto di beni voluttuari: «Spregiudicatezza e opacità nella gestione degli ingenti fondi assegnati alla cooperativa sociale... in parte non rendicontati e in parte utilizzati per scopi apparentemente estranei allo scopo sociale: acquisto di beni presso negozi di abbigliamento di lusso tra cui Ferragamo a Roma».
    Il pm di Latina Andrea D'Angeli ha depositato l'avviso di chiusura indagini che precede la richiesta di rinvio a giudizio da parte dell'accusa. Rischiano quindi il processo tutti i familiari di Soumahoro, ex sindacalista dei braccianti eletto tra le file di Alleanza Verdi-Sinistra e poi passato al gruppo Misto dopo lo scandalo. I fatti riguardano la cooperativa Karibu, che si occupava dell'accoglienza di migranti, e il giro di fatture che investe Marie Therese Mukamitsindo, Liliane Murekatete, Michel Rukundo rispettivamente suocera, moglie e cognato di Soumahoro. L'inchiesta vede indagati anche Richard Mutangana, Ghislaine Ada Ndongo e Christine Ndyanaho Koburangyra Kabukoma che si sono succeduti dal 2014 ad oggi quali legali rappresentanti dell'Associazione di Promozione Sociale Jambo Africa di Sezze.
    Per i familiari di Soumahoro la Procura di Latina ha inoltre disposto anche il divieto temporaneo, per un anno, di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche. Secondo quanto ipotizzato dai magistrati, sarebbero state evase le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, inserendo nelle dichiarazioni dal 2015 al 2019 elementi passivi fittizi e costi inesistenti per diversi milioni di euro. La posizione più pesante è indubbiamente quella di Marie Therese Mukamitsindo, a cui viene contestato per i soli anni d'imposta 2015 e 2016 di aver contabilizzato fatture per operazioni inesistenti che avrebbero consentito alla Karibu di evadere 597 mila euro di Ires. In totale il valore delle presunte fatture false utilizzate e contestate a Mukamitsindo ammonterebbe a più di 2,3 milioni di euro.
    Mentre, invece, alla moglie di Soumahoro e al cognato la Procura contesta, in concorso con la madre Marie Therese, di aver utilizzato ulteriori false fatture per 55 mila euro, che avrebbe permesso un'evasione di poco più di 13 mila euro. I due, si legge nelle dieci pagine di chiusura indagine, in qualità di consiglieri di amministrazione della Karibu, «al fine di evadere l'imposta sui redditi e sul valore aggiunto» avrebbero indicato (o omesso «di vigilare affinché altri, e in particolare, la Mukamitsindo» lo facessero) elementi «passivi fittizi nella dichiarazione a fini Iidd (le imposte dirette) relativa all'anno 2019, utilizzando le fatture relative a operazioni inesistenti emesse dall'associazione di promozione sociale "Jambo Africa"».
    L'avvocato Lorenzo Borrè, che difende Liliane Murekatete, sottolinea come l'unica accusa rivolta alla donna sia quella di aver provocato un danno erariale da 13.368 euro, «conseguente all'asserita violazione dell'obbligo di controllo della dichiarazione dei redditi presentata nel 2020 dalla presidente della Karibu. La mia assistita rimane ferma nel contestare la sussistenza di proprie responsabilità, ma diversamente da quello che spera qualcuno, il processo si farà in tribunale e non sui giornali»
  3. APRONO GLI OCCHI: Sono bastate poche ore per capire che non sta esplodendo un nuovo Qatargate nella politica europea, ma l'inchiesta che ieri ha portato a una serie di perquisizioni nella sede del Ppe a Bruxelles è destinata a creare più di un imbarazzo al suo leader, Manfred Weber, in vista delle elezioni europee in programma il prossimo anno. Alle nove del mattino alcuni poliziotti tedeschi, supportati dai colleghi belgi, sono arrivati al numero dieci della rue du Commerce, nella capitale belga. Qui – a poche centinaia di metri dalla sede dell'Europarlamento – si trovano gli uffici del Partito popolare europeo, la prima famiglia politica dell'Ue, di cui fanno parte anche Forza Italia, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e quella del Parlamento Ue, Roberta Metsola. Gli agenti hanno effettuato una serie di perquisizioni e hanno sequestrato alcuni computer nell'ambito di un'inchiesta per frode legata proprio alla campagna elettorale per le Europee del 2019.
    L'indagine è condotta dalla procura di Erfurt, capoluogo della regione tedesca della Turingia, e ruota attorno alla figura di Mario Voigt, deputato regionale e leader locale della Cdu. Nel 2019 l'eurodeputato cristiano-democratico era stato chiamato da Manfred Weber, all'epoca "spitzenkandidaten" del Ppe (candidato capolista per la guida della Commissione), per gestire la campagna elettorale del partito sulla Rete. Secondo l'indagine, avviata alla fine della scorsa estate, Voigt avrebbe ricevuto consulenze mascherate per un valore di 17 mila euro da un'agenzia di comunicazione che aveva a sua volta ottenuto un contratto di collaborazione con il Partito popolare europeo per curare i social network.
    Il diretto interessato ha sempre respinto le accuse di corruzione e i suoi avvocati parlano di iniziative spropositate. Il Ppe ha diffuso una nota per dire che «sta cooperando in piena trasparenza con le autorità coinvolte» e che sta «fornendo tutte le informazioni e documentazioni utili», ma senza commentare nel merito la vicenda. Che dal punto di vista politico rappresenta un brutto colpo per Manfred Weber, presidente del Ppe e capogruppo dei popolari all'Europarlamento, visti i suoi legami diretti con il principale protagonista dell'inchiesta.
  4. LA PROVA CHE DIO ESISTE: Potrebbero bastare due parole per raccontare questa storia e questo abbraccio tra una madre che tutti pensavano morta e una figlia che lei pensava morta. Due parole: Mistero e Miracolo.
    Gizem, la neonata sopravvissuta 128 ore sotto le macerie del terremoto che aveva commosso il mondo, ha ritrovato la madre a 54 giorni dal disastro del 6 febbraio in Turchia e Siria. Il destino gioca sempre strani scherzi, è il motore delle storie più incredibili, nel bene e nel male. Sulle pagine dei giornali è più facile imbattersi nel ghigno brutto delle tragedie. Questa volta no e il Miracolo sono in verità tre miracoli: la neonata è sopravvissuta, la madre anche, e si sono riunite. Una notizia buona, finalmente, in mezzo a un mare di disastri e di brutte storie.
    Nel caos di quei giorni, dove l'unica preoccupazione era tirare fuori corpi ancora vivi dalle macerie, le due vite strappate alla morte dai soccorritori si erano divise. Avrebbero potuto perdersi per sempre, come in un romanzo ottocentesco. Oppure ritrovarsi solo alla fine di un feuilleton dove, per un ciondolo ritrovato o per un altro stratagemma narrativo, si produce finalmente il disvelamento dell'identità. Casomai solo dopo la morte della madre (sarebbe un bel soggetto per una serie Netflix).La storia, invece, è molto più semplice. Perché la realtà supera sempre la fantasia. Il vero nome della bambina è Vetin Begdas, ma i medici l'avevano chiamata Gizem, che significa appunto Mistero. Era un mistero come fosse riuscita a sopravvivere per tanti giorni senza latte e al freddo, sotto le macerie. Era un mistero la sua identità. La bambina senza nome era stata portata in ospedale ad Ankara, pensavano che il resto della famiglia fosse morta nel crollo del palazzo. Nelle stesse ore anche la madre Yasemin era stata tirata fuori dalle macerie della stessa abitazione.
    Nella confusione e nella concitazione dei soccorsi, la donna viene ricoverata nell'ospedale di Adana. Cinquecento chilometri di distanza le separano. La donna pensava di aver perso tutta la famiglia nel crollo: il marito e altri due figli, oltre a Vetin. Poi arriva la notizia che c'è una neonata sopravvissuta. Yasemin potrebbe essere la madre. Solo il test del Dna ha potuto confermare la parentela. La notizia è stata divulgata dal ministero turco della famiglia e dei servizi sociali: «Davvero è un miracolo. Il fatto che la bimba sia sopravvissuta e non abbia avuto problemi di salute ci ha toccato il cuore». In un video, postato su Twitter, l'incontro tra le due e l'abbraccio straziante della madre, ancora ricoverata ad Adana, che stringe al seno la piccola trasportata in aereo da Ankara. Propaganda dell'efficienza governativa, certo. Ma che importa, le storie belle e una goccia di gioia nutrono il cuore di tutti. La piccola bambina Mistero ha ritrovato la mamma e si è riappropriata della propria identità e della propria storia. Pur nello sfacelo di una famiglia decimata e di una tragedia umanitaria che ha fatto più di 50 mila morti e 2,2 milioni di sfollati, il miracolo della bambina Mistero è la speranza che muore sempre ultima. Chissà, forse la madre in cuor suo non aveva mai smesso di sperare di ritrovare un figlio vivo. Come fai a sopravvivere in un letto di ospedale, sennò? Questa immagine, la foto dell'abbraccio tra la madre e la piccola Vetin – che adesso ha tre mesi e mezzo - parla da sola. Non ci sarebbe altro da aggiungere se non forse riflettere sull'importanza di sapere. Per questo si fanno gli esami del Dna sui resti delle vittime nelle tragedie, che siano terremoti, guerre o naufraghi in mare. Perché dietro un corpo senza nome c'è sempre una madre o un famigliare che aspetta e spera.
  5. LA MAFIA DIETRO IL TRAFFICO DEGLI IMMIGRATI : C'è chi è stato costretto a sborsare 300 euro per il semplice cambio di una ruota o di un pacco batteria. Chi ha dovuto anticipare mille euro per pagare una di quelle bici irregolari che sfrecciano tutti i giorni in città, così veloci e con le ruote così larghe da assomigliare a motorini. In un caso – che i carabinieri vogliono approfondire ma sembrerebbe isolato – un ciclofattorino pakistano ha addirittura dichiarato di lavorare per 12 o 14 ore al giorno, sotto il sole e sotto la pioggia, anche la domenica e nei giorni di festa, in cambio dei soli pasti e di 100 euro al mese. Anche lui, ovviamente, con un account falso fornito da uno sfruttatore connazionale.
    È il racket del «caporalato tra rider», nato con l'esplosione del delivery nel corso della prima ondata della pandemia, e che, al di là dei numeri che si riescono a rilevare, sembra aver assunto dimensioni enormi. Al punto che – dopo l'archiviazione della prima indagine che portò le piattaforme a pagare multe per 90 mila euro e ad assumere i rider con contratti parasubordinati – il pool Ambiente, salute e lavoro della procura di Milano ha aperto un nuovo fascicolo d'inchiesta. Anche questa volta, la pm Maura Ripamonti ipotizza l'accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Ma, per iscrivere i primi nomi nel registro degli indagati, attende la relazione che i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, diretti dal colonnello Loris Baldassarre, stanno preparando in base ai controlli a tappeto condotti, dieci giorni fa, a Milano e nelle più grandi città italiane, come Torino, Genova e Bologna.
    Degli 823 rider che i carabinieri con i vigili di mezza Italia hanno controllato, 92 lavoravano con un account falso ceduto da altri. Ma tra loro, solo 23 ciclofattorini sono risultati irregolari in Italia: chi non ha i documenti non può essere ingaggiato dalle piattaforme di delivery e, pur di lavorare, è costretto a rivolgersi al mercato nero degli account. Tutti gli altri, però, hanno il permesso di soggiorno: di fatto avrebbero potuto aprire un proprio profilo senza ricorrere a presunti caporali. Ma non ci riescono, magari perché non parlano italiano o inglese, e non hanno gli strumenti culturali minimi per fare tutto da soli. Così, finiscono per rivolgersi agli sfruttatori, il più delle volte connazionali che gli forniscono l'account fasullo e in cambio fanno la cresta sui guadagni, con una percentuale che varia a seconda del pacchetto offerto. Se oltre all'account c'è anche la bici (il più delle volte modificata e irregolare), lo zaino, la pettorina, il caporale titolare del profilo falso arriva a trattenere il 50 per cento del guadagno, che a Milano può arrivare a 70 euro al giorno: 35 euro finiscono nelle tasche del caporale, per ogni profilo falso aperto.
    Ma fa tutto da solo o esiste una organizzazione che gestisce questo racket? È una delle domande a cui la nuova inchiesta aperta dalla procura vuole dare una risposta. Molti dei rider sfruttati girano con biciclette modificate, veloci come motorini e irregolari, tant'è che nel corso degli ultimi controlli ne sono state sequestrate 22. Tutte molto simili. L'ipotesi è che esistano dei canali di approvvigionamento di pacchi batteria, spesso rubati da monopattini e biciclette a pedalata assistita, usati per modificare i mezzi in centri specializzati e poi forniti ai ciclofattorini a un costo che può raggiungere i mille euro.
    Di certo per arginare un fenomeno così diffuso servirebbe anche l'intervento delle piattaforme di delivery, che stanno collaborando alle indagini. Anche se c'è chi, come Deliveroo, ancora si rifiuta di caricare la foto del rider nell'app dei clienti. Così, è molto più difficile capire se chi fa la consegna corrisponde al titolare del profilo e quindi del contratto.
    «Sicuramente, la cessione dell'account è molto più rara in Just Eat - spiega Davide Contu, rider che lavora per la piattaforma ed è anche delegato sindacale in azienda della Filt Cgil - perché in questo caso i ciclofattorini sono assunti con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e organizzati in flotte che, prima di iniziare il turno, si ritrovano in alcuni starting point - ne esistono 15 a Milano, 4 a Torino e così via - dove il "capitano", di fatto un capoturno, si occupa di dare supporto ai colleghi. I suoi compiti sono di sorveglianza sull'uso dei dpi forniti dall'azienda: casco e pettorina catarifrangente; verifica dello zaino in cui vengono trasportati cibi e bevande; ma anche di controllo "anticaporalato", cioè della corrispondenza tra il titolare del contratto e chi si presenta al lavoro».
    Una forma di sfruttamento favorita anche da «alcuni programmi che circolano su gruppi Facebook e che, a pagamento, permettono di aprire account con documenti falsi». Un problema enorme, sempre a scapito dei più disperati che, spiega ancora Contu, «pur con tutti i problemi ancora presenti, in Just Eat è stato risolto, proprio con i contratti di lavoro subordinato per una flotta che oggi conta 3 mila fattorini. Perché, finché le piattaforme continuano a trattare come autonomi questi lavoratori, i controlli non potranno mai essere efficaci. Se i fattorini venissero tutti assunti con contratti di lavoro subordinato il caporalato tra i rider scomparirebbe. O, almeno, sarebbe molto più contenuto».
  6. IL VERO FINE DELLA IMMIGRAZIONE : Camerieri, operai e manovali: in Italia quasi 1 minore su 15 lavora o ha lavorato per brevi periodi e per questo abbandona la scuola. Era il '92 quando Lina Wertmuller dirigeva Paolo Villaggio in "Io speriamo che me la cavo" nei panni del maestro Sperelli, insegnante che cerca di salvare i suoi piccoli alunni dall'abbandono scolastico. Trentuno anni dopo – non al cinema ma nella realtà – sono 336 mila i ragazzini tra i 7 e i 15 anni che hanno avuto «esperienze di lavoro continuative, saltuarie o occasionali», mentre il 27,8% tra i 14 e i 15 è stato coinvolto in «attività lavorative dannose per i percorsi scolastici e per il benessere psicofisico». I due terzi sono maschi (65,4%) e il 5,7% ha un background migratorio. Molto incisivo il livello di istruzione genitoriale: «La percentuale di quelli senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare/media è significativamente più alta». Emerge dal rapporto di Save the Children "Non è un gioco" presentato ieri a Roma alla presenza della ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone. Save the Children lancia l'allarme a dieci anni dal suo ultimo studio sul tema, registrando che il coinvolgimento di giovanissimi prima dell'età consentita (16 anni) è tuttora diffuso nel nostro Paese. I settori maggiormente interessati sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio (16,2%), seguiti da attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%) e di cura di fratelli, sorelle o altri parenti (7,3%). Emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%), come la realizzazione di contenuti per social o videogiochi, o la vendita di sneakers, smartphone e altri prodotti tecnologici. Il fenomeno, si legge nella relazione, «rimane in Italia per lo più sommerso in assenza di rilevazioni statistiche ufficiali».
    Nel periodo in cui lavorano, questi minori sono costretti a trascurare o abbandonare del tutto la scuola: più della metà di quelli intervistati lavora tutti i giorni o qualche volta a settimana, la metà di loro per più di 4 ore al giorno. Dall'indagine emerge che tra i 14-15enni intervistati che lavorano o hanno lavorato durante l'anno precedente, quasi 1 su 3 (29,9%) lo fa durante i giorni di scuola e il 4, 9% di loro salta le lezioni. La percentuale di bocciature, infatti, tra chi ha lavorato prima dei 16 anni rispetto a chi non ha mai lavorato è addirittura doppia.
    Perché lo fanno sono loro stessi a precisarlo: per «avere soldi per sé» (il 56,3%) o per la «necessità o volontà di aiutare i genitori» (32,6%). Il 38,5% del campione dice «per il piacere di farlo».
    Nello studio è stata indagata anche la relazione tra lavoro e criminalità, evidenziando il legame tra esperienze lavorative precoci e coinvolgimento nel circuito penale: quasi il 40% dei minori e giovani adulti presi in carico dalla Giustizia Minorile – più di uno su 3 – infatti ha svolto attività lavorative prima dell'età legale. «Per molti ragazzi e ragazze in Italia l'ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro incide negativamente sulla crescita e sulla continuità educativa», spiega Claudio Tesauro, presidente di Save the Children. «Molti ragazzi entrano nel mondo del lavoro dalla porta sbagliata: troppo presto, senza un contratto, tutele, protezione e conoscenza dei loro diritti. In assenza di interventi il quadro può peggiorare», ha aggiunto Raffaella Milano, direttrice del Programma Italia-EU di Save the Children. Sollecitata, la ministra Calderone ha assicurato che «il ministero del Lavoro interverrà su più fronti: sul contrasto allo sfruttamento, su cui intensificheremo l'attività degli ispettorati, e rendendo evidente che è importante frequentare la scuola». Nel frattempo, la ministra ha ribadito l'importanza di «valorizzare l'incontro con il mondo del lavoro attraverso l'alternanza scuola-lavoro o l'apprendistato duale».
  7. Ho iniziato a lavorare come fattorino in un minimarket a 14 anni, portavo la spesa alle persone, dal lunedì al sabato, dalle 9. 30 alle 20, per 80 euro alla settimana, tutto in nero. All'epoca mi sembrava anche una buona paga». Francesco (nome di fantasia) ora ha 17 anni ma lavora sempre nello stesso posto, sempre senza contratto. La sua vita non è stata facile: è il secondo di tre fratelli, abita solo con la madre in una città siciliana, e non vede suo padre da quando aveva due anni. Arrivare alla fine del mese spesso non è stato facile: la mamma è disoccupata e la famiglia ha attraversato periodi di fragilità economica molto forte. «A volte mi sono sentito solo, come se non avessi nessuno, solo mia madre». Ha anche cercato altri impieghi: «Avevo provato a chiedere se potevano prendermi in una pizzeria, in una pescheria o in un panificio ma in quanto minorenne non mi volevano». Tutto è cominciato tre anni fa: «Ho iniziato a lavorare perché molti ragazzi vicino a me riuscivano a comprarsi le cose che volevano, così ho pensato: "Voglio provarci anche io" . Grazie a quel lavoro se vedevo in tv qualcosa che mi piaceva la potevo acquistare con i miei soldi». Prima di fare il fattorino, Francesco andava a scuola ma piano piano la tentazione di riuscire a mettere da parte un gruzzolo per essere indipendente è stata più forte di tutto: «Quando ero piccolo adoravo andare a scuola ogni giorno, poi quella voglia è sparita, preferivo guadagnare qualche cosa». Nel primo periodo non aveva nemmeno realizzato che, stando nel minimarket tutto il giorno, 6 giorni su 7, non poteva avere una vita sociale come tutti i 14enni: «Avevo la testa soltanto per raccogliere i soldi e lavorare, quindi non ci facevo caso alle uscite con gli amici, forse perché ero piccolo». Francesco ha abbandonato la scuola definitivamente due anni fa, dopo la pandemia. All'orizzonte però sembra esserci una vera possibilità, fuori dal circuito dello sfruttamento e dell'illegalità: adesso frequenta un corso di formazione IFP (Istruzione e Formazione Professionale) nel turismo presso un Punto Luce di Save the Chidren: «Mi trovo bene, alcuni compagni li conoscevo già, e qui sei messo nelle condizioni di trovare poi un buon lavoro». Guardando al futuro, i sogni di Francesco sono come quelli di tanti ragazzini della sua età: «Vorrei fare il rapper, entrare nel mondo della musica, che mi piace tanto e la ascolto da sempre. Ho provato anche a scrivere qualcosa, ci terrei tanto, ci penso da quando ero piccolo. Oppure, siccome adoro il basket, mi piacerebbe giocare in Nba». Prima di tutto però vuole lasciare casa e vivere in tranquillità: «Mi concentro su quello che mi piace e spero di migliorare sempre la mia vita».
  8. ERRORI MACROSCOPICI: Nelle ultime settimane l'Intelligenza Artificiale è affiorata nel dibattito pubblico, in seguito all'esplosione di Chat Gpt. Ma in realtà il dibattito al proposito è vecchio come il mondo, letteralmente, perché il problema teorico ha di molto preceduto le sue realizzazioni pratiche.
    Nel mito di Pigmalione, per esempio, lo scultore crea la statua di Galatea, e finisce per innamorarsene. Sembrerebbe una reazione esagerata, ma è quello che succede spesso nel nostro rapporto con le macchine: quelle letterali, come le automobili o le motociclette, e quelle metaforiche, come i computer o i telefonini.
    George Bernard Shaw riprese nel 1913 il mito di Pigmalione in un'omonima commedia, che poi approdò nel cinema con My fair lady. Il problema che lo scrittore affrontò riguardava le contesse: per esserlo, bisogna nascere con il sangue blu, o basta imparare a comportarsi come loro? Nella commedia, una fiammiferaia viene addestrata alle maniere nobili, e le impara così bene, che quando viene introdotta in società nessuno si accorge che non è una vera contessa.
    Nel 1950 Alan Turing, l'inventore del computer, propose un test analogo: quand'è che un computer diventa intelligente? La risposta dello scienziato fu: quando, chiacchierando con lui sullo schermo, non riusciamo ad accorgerci che non è un vero essere umano, ma è solo un programma. L'articolo di Turing fu la prima formulazione moderna del sogno dell'Intelligenza Artificiale.
    Per molti anni, l'unico computer in grado di superare il test di Turing fu quello del film 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, che ripropose il solito dilemma sulle macchine che alla fine scappano di mano e finiscono per fare ciò che vogliono loro, procurando danni invece che benefici. Più o meno come nell'episodio della scopa portatrice d'acqua nel film Fantasia di Walt Disney, basato su una ballata di Goethe. O nel romanzo Frankenstein di Mary Shelley.
    Poteva sembrare solo fantasia, ma già nel 1966 uno dei primi programmi di Intelligenza Artificiale mostrò che i problemi sollevati dagli scrittori erano reali. Si chiamava Eliza, come la protagonista del Pigmalione di Shaw, e il suo programmatore, Joseph Weizenbaum, scoprì con sorpresa due cose. Primo, bastavano poche righe di codice per imitare in maniera convincente il comportamento di uno psicanalista. Secondo, gli utenti ebbero subito l'impressione di parlare per davvero con uno psicanalista, e incominciarono a interagire con il programma come se fosse un essere umano. Weizenbaum rimase scioccato, e divenne uno dei primi critici dell'Intelligenza Artificiale.
    Nel 1997 il programma Deep Blue batté il campione mondiale di scacchi Gary Kasparov, in un torneo di sei partite. Fu un momento epocale, perché gli scacchi sono considerati uno dei giochi più intellettuali che ci siano. Ancora anni dopo quella sconfitta, Kasparov rifiutava di credere che fosse stata tutta farina del sacco del computer. Sosteneva, in particolare, che alcune mosse erano troppo umane, perché una macchina avesse potuto pensarle.
    Oggi i programmi per computer ormai superano facilmente i giocatori umani, esattamente come le automobili corrono più veloci degli atleti. Questo non impedisce che ci siano le Olimpiadi di corsa o i Campionati di scacchi, ma c'è una differenza: gli uomini sapevano da sempre di non essere i più veloci del creato, ma credevano di essere i più intelligenti. Ora hanno dovuto ricredersi, almeno per il tipo di intelligenza logico-deduttiva che serve per giocare a scacchi.
    L'arrivo di Chat Gpt ha impressionato anche il pubblico che non gioca a scacchi, perché tutti hanno potuto vedere di persona quanto sia facile imitare un'intelligenza di routine. O, viceversa, quanto sia meccanico il lavoro compilatorio che Chat Gpt produce senza fatica, e che molti di noi sono costretti a fare nel proprio lavoro di ufficio. Siamo dunque di fronte a un potenziale rischio che riguarda la disoccupazione di molti impiegati, che possono o potranno essere facilmente sostituiti dalle macchine, come già sono stati sostituiti dai robot molti operai.
    Ma l'Intelligenza Artificiale minaccia di avere ben altro in serbo, per noi. Primo fra tutti, il rischio che qualcuno ne abusi a proprio vantaggio e a danno altrui, come si è già visto per gli algoritmi di Twitter usati nella campagna elettorale di Trump nel 2016, o negli scandali dei dati venduti per un analogo sfruttamento da aziende come Telecom nel 2006, o Facebook nel 2019. I maggiori rischi sono però altri. Anzitutto c'è la possibilità che, anche con le migliori intenzioni, i programmi finiscano per fare cose che non erano state previste dal programmatore. La verifica di correttezza dei programmi, per assicurarsi che facciano tutto e solo ciò che devono fare, è un problema dimostrabilmente insolubile. Sono dunque sempre in agguato potenziali disastri, come il falso allarme nucleare del 1983 in Unione Sovietica, o disastri attuali, come il Flash Crash in borsa del 2010 negli Stati Uniti.
    Inoltre, e infine, c'è la possibilità che l'Intelligenza Artificiale non raggiunga soltanto l'intelligenza umana, ma la superi, e prenda il sopravvento su di essa. Gli idealisti credono che la coscienza e i valori siano unicamente umani, e che una macchina rimarrà sempre una macchina. Ma i materialisti sanno che la coscienza è solo un epifenomeno, che sorge spontaneamente in un cervello che ha raggiunto una massa critica.
    Quando anche l'Intelligenza Artificiale raggiungerà una massa critica, saremo di fronte a una nuova specie tecnologica, con i propri valori, che potrebbero essere in competizione con i nostri. Se ne preoccupano Bill Gates e Elon Musk, che di certe cose se ne intendono. Forse faremmo bene a preoccuparcene anche noi. —
  9. QUANTI LADRI ? «Massacrala, falla desistere. Dille che il posto è a Ivrea (e non a Settimo ndr), che lì nevica, che da Torino c'è un sacco di strada da fare, tutti i giorni. Dille che le sarà chiesta una reperibilità h24, sempre, che lavorerà sabato e domenica, che le ferie sarà complicato farle e che non avrà mai il trasferimento».
    Non si dava pace Carla Fasson, ex responsabile, all'epoca dei fatti contestati e cioè da maggio 2022 fino a poche settimane fa, del Dipsa, Dipartimento delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e della riabilitazione e della professione di Ostetrica dell'Asl To4, arrestata dalla Guardia di finanza ieri mattina e a cui il gip di Ivrea Fabio Ravagliati ha concesso i domiciliari per una serie indefinita (tra i 10 e 12) di abusi d'ufficio e per un caso di corruzione.
    Cinquantatré anni, carriera fulminante, aveva iniziato nel '90 come tecnico di laboratorio biomedico al Sant'Anna salvo diventare nel 2020 responsabile della gestione delle risorse dei dipartimenti diagnostici dell'Asl To4 di Ivrea-Chivasso, pur di scalzare la legittima aspirante a un posto nello Spresal di Settimo che in graduatoria era classificata poche posizioni prima della sua "prescelta" aveva incaricato un collega di chiamare la «avente titolo» e fare pressioni perché non accettasse il posto. Ma ci sono un'altra decina di vicende contestate alla manager che l'1 marzo scorso era stata sospesa dall'azienda sanitaria in via cautelare perché – pare di capire – non risulterebbe iscritta all'ordine di appartenenza in relazione al ruolo che ha ricoperto per anni. L'azienda lo ha comunicato nelle scorse settimane alla Finanza che indaga su una vera e propria cricca dedita a diverse nomine.
    Secondo i pm di Ivrea Valentina Bossi e Alessandro Gallo la signora Fasson, che in un caso almeno avrebbe ricevuto (per l'accusa) «vantaggi patrimoniali», si sarebbe intromessa in una serie di bandi interni all'Asl per la progressione di carriera o per la mobilità. Aiutando alcuni concorrenti riuscendo ad anticipare i temi di prova. Così sarebbe accaduto per il coordinatore del Sian (Servizi di igiene degli alimenti e nutrizione) di Ivrea-Settimo-Chivasso, per l'omologo del Sisp (Servizio di igiene e sanità pubblica) di Ciriè o per il concorso di coordinatore presso la Radiologia dell'ospedale di Chivasso o della radiologia territoriale di tutta l'azienda sanitaria. C'è ancora un concorso professionale per sanitari senior e tecnici di radiologia medica, per coordinatore del Sian dell'AslTo4, del laboratorio analisi dell'ospedale di Ivrea e del dipartimento Spresal (servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro) di Ciriè-Settimo-Chivasso, del dipartimento di diagnostica dell'AslTo4 e per il referente qualità e accreditamento presso l'azienda sanitaria.
    Insieme a Fasson ci sono sei nuovi indagati, tra questi alcuni che si sono aggiudicati le progressioni interne o i bandi in concorso con l'ex manager. Il numero complessivo degli indagati è salito ora a 32. Tra questi figura il direttore generale dell'Asl To4, Stefano Scarpetta e una ex "mugnaia" del Carnevale di Ivrea. Molti i fronti aperti dai finanzieri: trasferimenti tra uffici interni all'Asl (tra diverse aziende sanitarie) ottenuti avendo accesso a informazioni riservate su posizioni vacanti e disponibilità, bandi per l'affidamento di due residenze sociosanitarie assistite (Rsa) entrambe dell'Eporediese prima chiacchierate e poi diventate oggetto di attenzione degli investigatori, concorsi interni pilotati (anche per primariati) uno dei quali è costato l'avviso di garanzia (per abuso d'ufficio) proprio a Scarpetta, bandi di gara per prestazioni e forniture che sarebbero stati svolti in maniera non esattamente trasparente. In fase di approfondimento la pista che porta alle Rsa strutture da sempre al centro di grandi interessi: il faro è acceso sul bando per la gestione delle strutture di San Mauro e Settimo Torinese aggiudicato di recente dalla ditta Cm Service di Cascinette d'Ivrea. Il punteggio di aggiudicazione per la gestione – doppio rispetto al secondo concorrente classificato - ha destato in procura più d'un sospetto. —

 

 

05.04.23
  1. LA PRIMA COSA GIUSTA :  L'idea di abbandonare una quota dei fondi del Pnrr si fa più concreta, anche se Giorgia Meloni non ne vuole sentir parlare. Non in questi termini, non adesso. A palazzo Chigi temono che una scelta del genere si possa trasformare, agli occhi del Paese, in una bandiera bianca sventolata dal governo di fronte alla più importante sfida per l'Italia degli ultimi anni. In altre parole, un'implicita ammissione di incapacità, un disastro comunicativo.
    I leghisti, al contrario, vorrebbero affrontare la discussione senza perdere altro tempo: «Stiamo solo rinviando il problema», ragionano preoccupati, da giorni, i colonnelli di Matteo Salvini. Il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, in accordo con i vertici del partito, decide di fare un tentativo. Lo dice senza giri di parole: «Forse sarebbe il caso di valutare di rinunciare a una parte dei fondi a debito». Meglio questo che «spendere soldi tanto per spenderli, a caso», aggiunge Molinari, con l'obbligo poi di restituirli all'Europa, e avendo in cambio progetti che magari «non servono».
    Nelle chat di Fratelli d'Italia l'ordine che arriva da Palazzo Chigi è: «Non rispondete alla Lega, non alimentate polemiche». Ci pensa Meloni a replicare. Solo lei. La premier è obbligata a non mostrare cedimenti, a ostentare sicurezza, sostenendo di non avere dubbi che il governo ce la farà a realizzare gli obiettivi del Pnrr. In realtà, di dubbi Meloni ne ha molti. Nella sua cerchia più stretta hanno interpretato con un certo «stupore» gli articoli sull'incontro tra il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e l'ex premier Mario Draghi, avvenuto il 20 marzo e non la settimana successiva, come scritto. L'impressione di palazzo Chigi è che Mattarella voglia dare una mano, mostrare all'Europa la coesione delle istituzioni. Le parole di Molinari, invece, per Meloni vanno nella direzione opposta. Non solo perché creano una spaccatura nel governo, con l'irritazione dei ministri di Fratelli d'Italia, ma anche perché le considerano «un messaggio sbagliato», che arriva in un momento particolare, mentre il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto sta trattando con Bruxelles la rimodulazione del piano, dei progetti e degli obiettivi, rimescolando i miliardi del Pnrr con gli altri fondi europei a disposizione. Parole «inopportune», aggiungono, perché non sono accompagnate da controproposte e alternative. Si chiedono quindi, nel partito di Meloni, perché mai Molinari metta in dubbio la fetta di risorse a prestito, se poi gran parte di esse riguardano i ministri della Lega, dal leader Salvini che guida le Infrastrutture al titolare dell'Istruzione Giuseppe Valditara.
    La Lega però non vuole mollare. Nel mirino - sospettano gli uomini di Meloni - c'è proprio Fitto, il fedelissimo della premier che ha incassato tutta la gestione del Pnrr e che Salvini - sibilano gli alleati - sostituirebbe volentieri con un tecnico. La domanda che si fanno ai vertici del Carroccio di fronte alla difesa alzata da Meloni è la seguente: cosa vuole fare davvero Palazzo Chigi? Aspettare e trovarsi con decine di miliardi di euro da restituire senza averli spesi bene?
    Fitto, da parte sua, è ancora in attesa che i suoi colleghi, dai ministeri, gli inviino la loro relazione sui progetti del Pnrr rimasti incagliati. Chiede di fare in fretta, perché entro circa un mese deve inviare la proposta di revisione del piano a Bruxelles. Intanto prepara gli emendamenti al decreto per la Governance del Pnrr, da presentare oggi in Senato. Il pacchetto di modifiche governative avrebbe il doppio obiettivo di mettere a posto quei tasselli che servono a scongelare la rata da 19,6 miliardi di euro dell'anno scorso e ad evitare che venga bloccata la prossima tranche di fondi, mancando gli obiettivi fissati dall'Europa per il 30 giugno. Non è detto che riesca.
    Intanto, il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, tende la mano dopo aver rintuzzato gli avversari sulle «preoccupanti spaccature nel governo». Vuole aprire un canale di dialogo con Meloni, che parta dalla Rai e finisca, magari, sulle riforme costituzionali. Il Pnrr può essere una tappa di questo percorso: «Il Movimento è disponibile. Apriamo un tavolo». Appello che dalle parti di palazzo Chigi, per il momento, suona ancora come l'ennesima trappola.
  2. PERCHE' ? Nella mattinata di ieri la Presidenza della Repubblica ha pubblicato una nota per smentire la notizia uscita su La Stampa, di un colloquio tra Sergio Mattarella e Mario Draghi avvenuto nei due giorni precedenti il pranzo del 31 marzo tra il Capo dello Stato e Giorgia Meloni. L'incontro c'è stato, ma è avvenuto - nel massimo riserbo - il 20 marzo. Lo confermano fonti del Quirinale e vicine all'ex presidente del Consiglio. Dunque, va retrodatato di dieci giorni rispetto a quanto scritto e secondo il Colle non si è parlato di Pnrr.
    Ecco cosa succede nelle ore e nei giorni seguenti. Emergono le preoccupazioni di Bruxelles sulla realizzazione del piano, mentre è noto già da un po' che la Commissione avrebbe preso più tempo per dare il via libera all'ultima rata del 2022. Quattro giorni dopo l'incontro con Draghi, il 24 marzo, a Firenze, Mattarella lancia il suo allarme e citando Alcide De Gasperi avvisa: «È il momento per tutti, a partire dall'attuazione del Pnrr, di mettersi alla stanga». Il governo si sente sotto processo e reagisce puntando il dito contro l'eredità di Draghi. Al di là delle dovute rassicurazioni, la paura di non farcela a mettere a terra i progetti e a spendere tutti i 209 miliardi è tanta. Lo confessa a questo giornale un diplomatico, a margine del Consiglio europeo del 24-25 marzo, e in quelle stesse ore anche un ministro meloniano. Il 30 marzo esce la notizia di una telefonata tra Draghi e Meloni. Il giorno dopo, il 31 marzo, Mattarella riceve la premier, che torna a insistere sulla propria linea difensiva: e cioè di aver sempre contestato la fattibilità del Pnrr nei tempi previsti e rilanciato la necessità di una rinegoziazione in Europa. La leader e il presidente parlano per due ore. Un tempo lunghissimo.
  3. SOLDI BUTTATI : Come sta Kais Saied? Da giorni questa domanda rimbalza dai social network ai café di Tunisi, chiusi di giorno e aperti dopo il tramonto per il Ramadan. Il presidente della Repubblica non appariva in pubblico dal 22 marzo, un fatto inconsueto che ha causato diverse speculazioni sul suo reale stato di salute. Prima in maniera sussurrata, poi sempre più forte con il passare dei giorni. Saied ha risposto ieri incontrando la premier Najla Bouden Romdhane. «C'è qualcuno che vuole una crisi dopo l'altra, questo non succederà. Hanno cominciato a diffondere un attestato di morte. Il capo di Stato è stato assente solo per tre giorni a causa di un'influenza e hanno invocato il vuoto di potere. C'è un grado di follia diffuso mai visto prima», ha affermato il presidente dal palazzo di Cartagine. Tuttavia, dalle ultime ricostruzioni attendibili, l'influenza citata da Saied era in realtà un lieve arresto cardiaco che ha portato anche a un intervento chirurgico. Le immagini rilasciate dalla presidenza della Repubblica sembrano confermare una convalescenza ancora in corso. Noto fumatore, il presidente è apparso visibilmente stanco.
    Le voci preoccupate e incontrollate su Kais Saied si inseriscono all'interno di un contesto tunisino molto precario. Oggi il Paese nordafricano soffre di una grande crisi economica e politica ed è al centro delle preoccupazioni europee per quanto riguarda le partenze verso Lampedusa. La sponda nord del Mediterraneo sta facendo pressioni al Fondo monetario internazionale per concedere un prestito da 1,9 miliardi di dollari, considerato essenziale per salvare la Tunisia.
    Nelle quasi due settimane di inconsueta assenza pubblica, diversi analisti hanno provato a capire chi avrebbe eventualmente dovuto sostituire il presidente della Repubblica qualora fosse stato dichiarato il vuoto di potere definitivo. La risposta non è chiara. Secondo la costituzione voluta dallo stesso Saied nel luglio 2022 e votata da poco più del 30 per cento degli aventi diritto, dovrebbe essere il presidente della Corte costituzionale. Un organo che a oggi non esiste.
    Le crisi non finiscono qui. Oltre a quelle che preoccupano l'Europa, ce ne sono almeno altre due che hanno radici molto più profonde e che rischiano di causare forti tensioni sociali nell'imminente futuro. In questi giorni in molti quartieri di Tunisi e del Paese è stata tagliata l'acqua corrente nelle fasce serali per fare fronte alla siccità dovuta al cambiamento climatico. Una situazione emergenziale che durerà almeno fino a settembre. Il problema dell'accesso alle risorse idriche è sempre stato un motivo di forte preoccupazione per le autorità centrali, specialmente nelle regioni del Sud e in particolare durante il periodo estivo. Tuttavia per la prima volta le paure e i timori diventano di dominio nazionale. L'altro fattore è sempre legato al cambiamento climatico ma riguarda i cereali. A causa della mancanza di precipitazioni, quest'anno il raccolto sarà di poco più di tre milioni di quintali rispetto ai sette dell'anno scorso. Un dato che coprirebbe solo il 12 per cento del fabbisogno nazionale, quantificato in 32 milioni di quintali.
    Elementi di crisi, questi, che interessano da vicino Saied e che promettono di coinvolgere la Tunisia di oggi e dei prossimi decenni. «Parlano sempre di cambiamento climatico, saremo stati mica a noi crearlo? Dovrebbero darci in realtà delle compensazioni», ha dichiarato sempre ieri il presidente della Repubblica. Segno che l'agenda climatica sia uno dei veri elementi di preoccupazione per Cartagine. —

 

04.04.23
  1. VIA LIBERA ALLE TANGENTI:   Polemiche a non finire sul cosiddetto "Codice Salvini", ovvero la nuova normativa relativa agli appalti. «Nei giorni scorsi l'Ispettorato del Lavoro ha controllato 334 cantieri: ebbene l'80% non era in regola, 433 imprese fuori dalla legalità, 110 gravi violazioni in materia di sicurezza e infine 116 lavoratori erano in nero», ha tuonato il responsabile economia di Sinistra Italiana, Giovanni Paglia. Il quale ha spiegato che in questo quadro il governo e il ministro Salvini «non hanno di meglio che proporre il subappalto selvaggio e meno controlli: esattamente il contrario di quello che serve nel nostro Paese». A distanza risponde il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, il quale non vede errori. «In questi giorni abbiamo ascoltato troppe critiche, tutte infondate. È possibile che le procedure per i bandi e le gare durino più dei lavori da realizzare? Per noi no, perché i ritardi amministrativi pesano sui cittadini e sull'economia», ha rimarcato. Poi la difesa: «E respingiamo al mittente l'equazione tra più discrezionalità agli amministratori e più reati: i sindaci non possono essere considerati dei malfattori presunti. Non dimentichiamo che la Costituzione parla di presunzione di innocenza, e non di presunzione di colpevolezza, come caro alle opposizioni». Stessa linea per la presidente dell'Ance, i costruttori edili, Federica Brancaccio. Secondo la quale la situazione «non è irrimediabile», ma serve «un monitoraggio più puntuale». Intanto, proprio ieri sono partite le gare per la SS89 Garganica e la SS106 Jonica. I due appalti per oltre 740 milioni di euro sono stati pubblicati dall'Anas in Gazzetta ufficiale.
  2. IL PONTE IMPOSSIBILE BANCOMAT PER LA MAFIA: Stando al progetto originale messo a punto da Eurolink, il consorzio che nel 2005 si era aggiudicato la gara, per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina saranno necessari poco più di 6 anni, 72 mesi per la precisione. Più altri 6 per i collaudi. Il progetto tecnico attualmente disponibile consiste in circa 8.000 elaborati e prevede una lunghezza della campata unica centrale tra i 3.200 e i 3.300 metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva del manufatto comprensiva delle campate laterali, 60,4 metri larghezza dell'impalcato, 399 metri di altezza delle torri, 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione, 5.320 metri di lunghezza complessiva dei cavi, 1,26 metri come diametro dei cavi di sospensione, 44.323 fili d'acciaio per ogni cavo di sospensione, 65 metri di altezza di canale navigabile centrale per il transito di grandi navi, con volume dei blocchi d'ancoraggio pari a 533.000 metri cubi. Una struttura del genere avrebbe una resistenza al sisma sino a 7,1 gradi di magnitudo della scala Richter e per effetto di un impalcato aerodinamico di «terza generazione» resterebbe stabile fino a velocità del vento pari a 270 chilometri orari. L'opera così strutturata prevederebbe 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell'infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno. Secondo le stime del Mit, una volta completata l'alta velocità in Sicilia e Calabria, grazie al nuovo ponte sarà possibile collegare Palermo a Roma in appena 6 ore contro le 12 di oggi, compresa l'ora e mezza richiesta per traghettare i vagoni dei treni.
  3. FINALMENTE : Le nozze combinate tra il Credit Suisse e Ubs saranno oggetto di indagine da parte della procura federale della Confederazione elvetica.
    A oggi non v'è una specifica ipotesi di reato. Tuttavia, «vista la rilevanza degli eventi» l'autorità giudiziale svizzera vuole «adempiere in modo proattivo al suo mandato e alla sua responsabilità di contribuire a una piazza finanziaria svizzera pulita e ha istituito un monitoraggio con lo scopo di adottare misure immediate in caso di qualsiasi circostanza che rientri nella sua giurisdizione». Il timore, secondo fonti prossime alla negoziazione tra i due istituti di credito, è che a scatenare la fuga dei depositi che ha condannato la banca di Paradeplatz sia stata indotta da notizie false o fallaci. In particolare, continuano le fonti, l'attenzione sarebbe anche indirizzata al ruolo dei media nel coprire le notizie, così come le dinamiche interne fra i dipendenti di Credit Suisse. I quali, secondo le fonti legali interpellate da La Stampa, avrebbero inviato «in modo fraudolento» documenti riservati «col fine di destabilizzare la banca stessa». Accuse che dovranno essere passate al vaglio degli inquirenti, ma che circolano tanto negli ambienti luganesi, quelli del nuovo ad di Ubs, Sergio Ermotti, quanto in quelli zurighesi, dove il presidente del Credit Suisse, Axel Lehmann, ha ceduto lo scettro del potere del numero 8 di Paradeplatz.
    Le controversie contro il takeover che ha rivoluzionato il sistema bancario della Confederazione saranno numerose. E saranno in larga parte contro il governo di Berna. Lo scorso weekend l'autorità di regolamentazione finanziaria Finma aveva acceso un faro per «esplorare opzioni» su come ritenere responsabili i dirigenti di banca sospettati di gestire negligentemente i rischi che hanno portato al collasso il Credit Suisse.
    Intanto, Ermotti procede con il perfezionamento del deal. Ieri il domenicale Sonntagszeitung ha scritto che Ubs, dopo aver completato l'operazione con Credit Suisse, taglierà tra il 20% e il 30% dei suoi posti di lavoro, circa 36 mila posti in tutti il mondo di cui 11 mila in Svizzera. Le battaglie sono numerose, dunque, e sono appena iniziate.
  4. GLI STIPENDI NON AUMENTANO: Non ci sono soltanto i rincari di bollette e alimentari a pesare sui bilanci delle famiglie. Adesso a incidere è anche la telefonia. Con l'inflazione ancora alta, infatti, alcuni operatori hanno inaugurato il 2023 incrementando i costi per i già clienti. A colpi di uno, due euro alla volta hanno alzato i prezzi. C'è però anche un'altra grande novità che riguarda il settore e che fa discutere: con il nuovo anno alcuni gestori hanno introdotto nuove tariffe che sono indicizzate all'inflazione. Vuol dire che i prezzi salgono se il caro vita aumenta. Al contrario, non è invece previsto un meccanismo di ribasso nel caso di inflazione in discesa. In più la nuova formula non darebbe la possibilità di esercitare il diritto di recesso.
    È quanto emerge dall'analisi effettuata dall'Osservatorio Tariffe di SOStariffe.it e Segugio.it che ha fotografato nel dettaglio i nuovi trend del settore della telefonia.
    Per quanto riguarda gli aumenti emerge che per la telefonia mobile i rialzi sono arrivati da Tim (2 euro in più al mese per alcuni clienti) e WindTre (2 euro in più al mese) olt