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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto
l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo
abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento sia andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a
dx.sx, che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
NON
DIMENTICARE CHE:
Le informazioni
contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore
deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun
caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
IL 07.12.23
SI TERRA ALLA LIBRERIA FELTRINELLI P.ZA CLN TORINO ALLE ORE 18 LA
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI ANTONIO PARISI GLI AGNELLI SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI :
IL
24.10.23 E' PASSATO AL SENATO CON LA SOLA OPPOSIZIONE DEL M5S L'ART.11
DEL dl
674/23 per consentire IL RAPPRESENTANTE UNICO IN ASSEMBLEA.
POTETE LEGGERE IL RESOCONTO STENOGRAFICO
Questa norma e' anticostituzionale perche'
viola gli art.3 e 47 della Costituzione e alla direttiva Shareholders
Right.
La figura che hanno fatto i politici la
potete leggere nel resoconto stenografico
GIUSTIFICA L'ANNULLAMENTO DEL VOTO A TUTTE LE PROSSIME ELEZIONI.
Di fatto questo provvedimento non scaturisce
quindi dai politici ma dalle società quotate, che quindi ne giustifica
l'uscita da parte dei soci delle società che introdurranno nello statuto
il rappresentante unico nelle assemblee con il voto di Trevisan & C. e
dai fondi che investono in tali società quotate.
Tanto c'e' BBVA che ci offre il 4% sicuro a
vista !
Capiro' i mandanti dei politici in funzione
da chi introdurrà nello statuto il divieto di partecipare alle assemblee
che grazie all'emendamento del Pd votera' solo Trevisan & C.
Leggere per credere !
Nella quasi totale assenza di voci critiche,
l'introduzione del voto maggiorato a Piazza Affari porterà a minore
democratizzazione, minore
contendibilità delle aziende e, in ultima analisi, minore competitività
delle nostre società
Con il ddl competitività appena approvato dal Senato si sta consumando
una vera e propria controrivoluzione nel sistema finanziario italiano.
Nella quasi totale assenza di voci critiche, si sta superando il
principio un’azione-un voto (one share-one vote): le società quotate in
Borsa
potranno stabilire che le azioni detenute stabilmente dagli azionisti
per ventiquattro mesi dispongano di due voti anziché uno (voto
maggiorato), la possibilità potrà essere estesa a una maggiorazione di
un ulteriore voto per ogni ulteriore anno di possesso continuativo fino
a
un massimo di dieci voti. Uno dei pochi emendamenti al DDL Capitali
accolti dalla Commissione Finanze riguarda l’estensione agli emittenti
MTF (art. 135-
undecies.1, TUF), previa modifica dello statuto, della facoltà di
disporre che l’intervento e l’esercizio del diritto di voto in assemblea
avvenga unicamente tramite rappresentante designato a cui potranno
essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ex art. 135-novies,
TUF.
Va segnalata anche la proroga delle disposizioni emergenziali di cui
all’articolo 106, comma 7, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
sino al 31 dicembre 2024 (assemblea con la partecipazione del solo
rappresentante designato ed esclusivamente in tele/video conferenza).
Potenziamento voto plurimo.
La riforma fiscale e' solo sulla carta io ho
chiesto l'applicazione dell'art.20 del dl.111/23 e non me lo hanno
consentito . Inoltre con l'approvazione dell'art.11 del dl.674/23 si
viola l'art.47 della Costituzione perche' non consente piu' a chi ha
investito nelle societa' di partecipare alle assemblee degli azionisti.
Solo M5S ha votato contro per cui lo voterò alle prossime elezioni.
05.12.23
INNESCO: Operaio spara in
aria e mette in fuga i ladri Denunciato, si difende: "Ho avuto
paura"
Un operaio trentacinquenne di Monasterolo di Cafasse, nel Torinese,
è stato denunciato dai carabinieri perché, la notte tra domenica e
lunedì, ha sparato quattro colpi di pistola in aria per mettere in
fuga i ladri. I malviventi stavano tentando di entrare nella sua
casa, dopo essersi arrampicati sul tetto dell'abitazione. L'uomo,
che è incensurato, agli investigatori lo ha ammesso: «Avevo paura
per la mia famiglia, ecco perché ho aperto il fuoco». Dopo
l'esplosione dei colpi, i ladri sono fuggiti. L'operaio invece, ieri
mattina, è andato in caserma per sporgere la denuncia di tentato
furto. All'uomo i militari hanno sequestrato l'arma e lo hanno
denunciato per esplosioni pericolose.
PARTE LA SLAVINA : Per dirla con le sue parole, la questione
è semplice: «Più che la condanna, mi pesa il fatto che la giustizia
non sia stata dalla mia parte. Diciassette anni mi hanno dato. E
certo che è una condanna pesante. Ma lo sa perché mi hanno dato 17
anni?».
Perché ha ammazzato due persone.
«Perché i giudici non hanno voluto ascoltare le mie ragioni fino in
fondo. Ed è questo ciò che più mi pesa. Complimenti ai magistrati».
Dopo la sentenza, si è sfogato: «È una follia, viva la delinquenza,
viva la criminalità».
Apre il cancello alle 17. E già nevischia sulle colline del barolo.
Lui, Mario Roggero, 69 anni, il gioielliere di Grinzane Cavour, "il
pistolero" come l'hanno chiamato subito dopo quella brutta rapina
finita nel sangue, due anni fa, è provato da tutto quel che è
accaduto, ma – dice – «Non sono vinto». Motivo? «Su queste colline
sono nato e cresciuto. Quel che ho me lo sono sudato lavorando,
sempre. E quel giorno quei delinquenti sono venuti da me, con
violenza e con le armi in mano, per portarmi via tutto un'altra
volta. Poi hanno detto che le armi erano finte. Ma si sono
dimenticati di dire che la loro violenza era vera. E io quel giorno
mi sono difeso».
E ha sparato, uccidendo. Per quello l'hanno condannata. Non crede?
«Guardi, io e i miei consulenti avevamo preparato una ricostruzione
che non hanno voluto mettere agli atti. Si vede nettamente tutto ciò
che è accaduto. Abbiamo fatto un lavorone. Ricostruito ogni istante.
Messo insieme gli elementi anche nei punti dove la telecamera non
riprendeva. Ma mi hanno detto che era troppo tardi per produrlo.
Questa non è giustizia».
Non mi dica che sperava in una assoluzione?
«Guardi mi aspettavo una riduzione a 7 o 8 anni. Ne ero convinto,
fino a stamattina quando hanno letto il dispositivo. Io so di aver
agito in stato di necessità. Per quello ero tranquillo. Non solo un
delinquente».
E anche sua moglie, aveva le sue stesse convinzioni granitiche?
«No, guardi, lei l'altra notte non ha nemmeno dormito. Non era
serena. Ma sa, dopo quella rapina tutto è cambiato. È stato trauma
su tutta la linea».
In che senso tutto è cambiato?
«Mia moglie non vuole più venire in negozio. Mia figlia Paola,
quella che era astata picchiata durante il colpo del 2015 ha aperto
un bed&breakfast da un'altra parte. L'altra mia figlia se può evita.
E io sono rimasto solo in gioielleria. E l'età avanza. Ho 69 anni,
non so fino quando proseguirò con la mia attività».
La gente del posto come la tratta?
«Stanno tutti dalla mia parte. Beh, qualcuno che non sta con me c'è.
Ma sono pochi».
E che cosa le dicono?
«Mi dicono che sono un fascista. Ma io non lo sono. Io voglio la
giustizia, il rigore, la certezza della pena. Chi delinque deve
essere punito in modo esemplare».
Quindi politicamente dove sta?
«Da come parlo credo che lo abbia capito che non sono di
Rifondazione comunista. Sto più in là, anzi più spostato ancora...».
Lo sa che Salvini e la Lega si sono schierati subito al suo fianco
dopo la sentenza di condanna pronunciata ad Asti?
«Me lo hanno detto».
E Salvini oggi lo ha sentito?
«Non ancora, ma spero di parlargli presto. Lui sostiene la legittima
difesa, e io quel giorno mi sono soltanto difeso da tre rapinatori
che volevano portarmi via tutte le mie cose».
È contento di questa solidarietà?
«Certo. Ma sono deluso da Meloni, che non ha detto nulla su questa
ingiustizia che ho subito. Ah, ma Salvini e gli altri invece voglio
proprio sentirli per chiedergli, ragazzi: adesso che cosa
facciamo?».
In che senso?
«Lo sa che io ho già pagato 300 mila euro alle famiglie di quei
delinquenti? E poi ho pagato anche l'avvocato. E non sono pochi
soldi. E poi, in aula, alla lettura della sentenza davanti ai
parenti dei rapinatori devo sentire quella gente applaudire? Io mi
sono girato e li ho guardati così, sorridendo. Lo sa che mi hanno
insolentito? Mi dicevano "Che cazzo ridi?"».
Lei proprio non si tiene, eh.
«E come potrei? C'era anche la mamma di uno di quelli, venuta ad
ascoltare il processo per il figlio morto sul lavoro. Ma dai…».
Dicono che un partito, dopo quel che accaduto nel 2021, le avesse
proposto una candidatura. È vero?
«Si mi avevano detto che c'era un posto per me. Chi? Non glielo dico
e non mi viene neanche in mente il nome: erano quelli che nel
simbolo avevano una tartaruga. E comunque il loro programma era
buono. Si parlava di sicurezza. Di tutti questi arrivi. Di
giustizia».
Se glielo chiedessero adesso?
«Non so se lo farei: ho altre cose in testa».
Torniamo a quella mattina della rapina. Si è pentito di aver
sparato?
«Quel che è accaduto è accaduto. In quei momenti lì le cose vanno
devono andare, io avevo la pistola puntata qui, in faccia. E loro
contavano: cinque, quattro tre… Credevo di morire».
Lei, però, ha sparato con una pistola vera..
«Ma io non sono un amante delle armi. La pistola la avevo perché era
di mio nonno».
E non l'aveva mai usata prima?
«Mai. Soltanto mio nonno aveva sparato con quell'arma. A chi? A un
ladro che era entrato in cortile per rubare la Bmw. Io mai, e da
quel giorno non ho più armi. Me le hanno prese tutte. Senza neanche
starmi ad ascoltare».
Ma lei crede nella giustizia?
«Una giustizia così fa schifo. È vomitevole».
Quindi non ha più fiducia?
«Guardi, tutto dipende sotto chi capiti. È sempre un terno al lotto.
Ah, ma io non mi fermo eh».
E che cosa vuole fare?
«Voglio dire che adesso intendo contattare Roberto Vannacci. Dice
cose su cui sono completamente d'accordo: qui c'è tutto che va
all'incontrario. E poi voglio chiamare il procuratore Nicola
Gratteri: è uno con le palle. Sta dalla parte della gente per bene».
Quante rapine ha subito?
«Due. Una nel 2015, che hanno massacrato mia figlia. Quella del
2021, e poi mi hanno fatto delle spaccate in casa. Sa, in questa
zona, sono tanti nelle miste stese condizioni. Così non si può
andare avanti».
Ha avuto paura dopo aver ammazzato i due rapinatori?
«Mi sono guardato molto attorno. Ma non mi hanno mai minacciato. Ho
soltanto ricevuto una lettera in cui c'era una specie di fattura con
frasi sconnesse contro di me. Poi più nulla».
Dove va adesso?
«In negozio. Mi aspetta una troupe per un'intervista».
Che cosa dirà?
«Che la giustizia dipende essenzialmente da chi incontri sulla tua
strada. Soltanto quello. Se non ti ascoltano quando spieghi le tue
ragioni, mi dica lei che giustizia è?».
04.12.23
GRAVE EMERGENZA :
Emergenza pompieri
gianni giacomino
Sono i protagonisti delle emergenze della vita di tutti i giorni.
Perché spengono incendi più o meno estesi, liberano persone
incastrate nelle lamiere delle auto dopo gli incidenti, si gettano
sulle tracce dei dispersi, cercano di salvare chi vuole farla
finita, scavano per liberare vite sepolte dal fango e dalle macerie
dopo un terremoto e un alluvione, tagliano alberi pericolanti e
fanno prevenzione. Solo quest'anno nel Torinese hanno faticato e
messo a disposizione la loro professionalità per il crollo
dell'antica stazione di Porta Susa, per liberare Bardonecchia dalla
colata di fango che l'ha investita e sono intervenuti nella tragedia
delle Frecce Tricolori e sulla strage di Brandizzo. Eppure in
Piemonte servirebbero 400 vigili del fuoco in più, 150 soltanto nel
Torinese dove oggi, tra funzionari ed effettivi ci sono circa 700.
«Siamo sotto organico da anni ormai, perché vengono indetti pochi
concorsi per chi vuole entrare a far parte del Corpo e così si è
bloccato il turn over, come in altri settori statali – riflette
Innocenzo Alongi, da 33 anni pompiere e oggi anche segretario
generale piemontese per la Federazione Nazionale Sicurezza dei
vigili del fuoco – Se uno di noi va in pensione, più o meno passa un
anno e mezzo prima che venga rimpiazzato. Onestamente è un tempo
troppo lungo». «E i prossimi due anni – avverte il sindacalista –
saranno davvero complicati perché se ne andranno molti vigili del
fuoco effettivi, lasciando gli organici in affanno in tutta la
regione che sopperiranno tutto con valanghe di straordinari, come
avviene da tempo. Comunque il soccorso è stato e sarà sempre
garantito in qualsiasi situazione». Anche se, come precisa ancora
Alongi, «ci servirebbe qualche mezzo nuovo in più visto che diversi
sono obsoleti. Poi la manutenzione è continua e su certi macchinari,
come un'autoscala, è anche lunga e costosa». «Tra l'altro – termina
– stiamo lavorando con la politica per cercare di trovare soluzioni
abitative ai colleghi che vengono trasferiti da fuori e non sanno
dove andare».
Ma la grande ricchezza dei vigili del fuoco torinesi è garantita
pure dai 1.500 volontari che sono sparsi nei 38 distaccamenti della
provincia dove di riferimento ci sono Chieri, Susa, Pinerolo e
Ivrea, l'aeroporto di Caselle con il nucleo elicotteri e Volpiano
con i cinofili. Mentre in città, insieme al comando di corso Regina
Margherita, operano Grugliasco, Lingotto e Stura.
Quest'anno, quando manca ancora poco meno di un mese alla fine di
dicembre i pompieri del Torinese hanno effettuato circa 22mila
interventi.
Di questi quasi 8mila sono stati incendi, dalle fiamme che divorano
ettari di verde ai roghi che inceneriscono case e aziende. Poi sono
dovuti correre su 1.679 incidenti stradali e 1.539 volte per
verificare dei dissesti statici di edifici. Il dato che, però, salta
all'occhio sono le 6.479 richieste di soccorso a persone, spesso
anziane e sole. Un numero che è lievitato soprattutto in città. Non
mancano 1.171 chiamate per danni provocati dall'acqua – allagamenti,
esondazioni, smottamenti e infiltrazioni – e altre 2.441 per fughe
di gas, ricerche di persone scomparse, taglio di alberi. Resta anche
700 interventi per salvare animali in difficoltà. E poi tutta
l'attività di formazione e prevenzione e di analisi, sempre più
necessaria per un Corpo che guarda al futuro.
caccia al piromane
Ipotesi dolosa dietro ai 3 incendi nella notte
Tre incendi a distanza di poche ore l'uno dall'altro hanno agitato
la notte tra sabato e domenica nella zona tra Almese e Caselette. Il
sospetto è che dietro ci sia la mano di qualcuno, sebbene i primi
risultati dei sopralluoghi non hanno consentito di raccogliere
tracce utili per confermare il dolo. I carabinieri però stanno
indagando in ogni direzione, perché gli incendi potrebbero essere
tra quelli che nell'ultimo anno e mezzo hanno colpito cascine e
terreni della zona ovest dopo l'azione di piromani. Difficile, in
sostanza, immaginare guasti o autocombustioni come causa di tutti e
tre i casi.
Il primo allarme è scattato a Caselette, intorno alle 22 quando ad
andare a fuoco sono state roulotte e casette di legno situate in un
campeggio di via Molino. Tutto è partito dall'interno di una
roulotte che ha preso fuoco mentre era disabitata. Le fiamme si sono
propagate ad altri due caravan e a una casetta mobile dove
all'interno c'erano due uomini che sono riusciti a scappare appena
in tempo. Due ore dopo i vigili del fuoco sono dovuti nuovamente
intervenire ad Almese, per domare le fiamme divampate in un vecchio
fienile in disuso e poi in frazione Rivera, tra Almese e Avigliana,
per spegnere rotoballe di fieno in fiamme. m. ram. —
03.12.23
DOPPIO SPID : Usiamo lo
Spid e ci siamo sottoposti a macchinose procedure di identificazione
che hanno portato via tempo - e spesso anche denaro - dietro la
promessa di avere un'identità digitale a prova di contraffazione? La
puntata di Report - in onda su Rai 3 stasera alle 20,55 - dimostra
che invece di sicuro non c'è proprio nulla e che creare un altro
Spid con i nostri dati è uno scherzo.
Tutto inizia con un'indagine sulle truffe ai danni dei diciottenni
che hanno diritto ai 500 euro del 18App. Il governo Meloni ha
individuato in questo bonus, voluto da Dario Franceschini quando era
ministro della Cultura, una delle prime crociate da combattere,
spiegando che si erano verificati troppi furti, un po' come per il
reddito di cittadinanza. Il problema, però, non è il 18App - come
dimostra Report - ma lo Spid.
«Dall'inchiesta della Procura di Trieste - spiega il giornalista
Sigfrido Ranucci durante la trasmissione - è emerso che a oltre 620
giovani, non solo in Friuli ma in tutta Italia, sono stati sottratti
circa 300 mila euro di bonus. Numeri che sono destinati a salire,
come ha ricordato il procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolo.
Anche per via di queste truffe il governo Meloni ha deciso di
togliere il bonus per tutti e istituire una carta del merito e una
carta cultura, ma in base all'Isee. Proprio indagando sul furto del
bonus in altre parti d'Italia, la nostra Lucina Paternesi ha
scoperto che dietro quello del bonus si nasconde un altro tipo di
furto, più inquietante».
Il meccanismo è semplice e quindi ancora più preoccupante. Lo spiega
la giornalista Lucina Paternesi che ha condotto l'inchiesta,
mostrando come ha ottenuto un secondo Spid a suo nome: «Ai
truffatori è bastato registrare una partita Iva in modo gratuito per
poi accreditarsi come librai sul sito del ministero 18App. Ma come è
stato possibile, invece, fingersi studenti e accedere per creare i
buoni senza violare gli account Spid delle vittime?». Si crea una
seconda identità digitale, che durante la puntata viene definito un
avatar di cui non abbiamo alcuna consapevolezza, che ritira i soldi
dei bonus, ha accesso alle nostre informazioni fiscali,
previdenziali e sanitarie, può aprire un conto corrente online,
inviare documenti e chiudere un contratto. Come se fossimo noi senza
esserlo.
La truffa si basa sui differenti provider che possono attivare il
servizio. Ormai oltre il 60% degli italiani possiede lo Spid, si
tratta di quasi 36 milioni e mezzo di persone. A ottobre di
quest'anno lo Spid è stato utilizzato 96.390.288 volte per accedere
a servizi in rete, quasi il doppio rispetto al 2019. Per ottenere l'avatar
dello Spid è sufficiente andare in una cartoleria dove accettano la
delega per il rilascio di una firma digitale a nome di qualcun
altro. A quel punto - spiega Lucina Paternesi - «basta andare sul
sito di uno dei 12 provider che offrono lo Spid e cliccare sul
riconoscimento digitale, saltando così il passaggio
dell'identificazione». Durante la puntata di Report si mostra poi
come si va avanti nella procedura, creando un avatar dello Spid
della giornalista inserendo come dati veri solo la residenza e il
numero identificativo della tessera sanitaria. «Abbiamo validato il
numero di telefono, abbiamo validato la casella di posta
elettronica. Ci chiede la residenza, qui mettiamo dati veri. La
procedura ha fatto la verifica solo e soltanto sul numero
identificativo della tessera sanitaria inserita, mentre su quello
della carta d'identità abbiamo inserito un numero inventato», spiega
Stefano Fratepietro, esperto di sicurezza informatica. Il provider
non effettua alcun controllo sui dati finti inseriti, si usa la
firma digitale fasulla per completare la procedura e l'avatar è
pronto.
Report ha segnalato la truffa ad Agid, l'agenzia che ha il dovere di
controllare l'attività dei provider. «Agid è stata di parola -
spiega Ranucci - e dopo la nostra segnalazione ha avviato le
ispezioni». Resta però una domanda a cui non esiste una risposta:
quanti doppi Spid ci sono? Quante truffe di cui non ci siamo ancora
resi conto?
02.12.23
INCOMPETENZA =STA CROLLANDO TUTTO :
Settembre negativo anche per le esportazioni. Come fa sapere l’Istat,
le vendite di made in Italy all’estero sono scese del 4,5% rispetto
allo stesso mese del 2022.
Tra le singole destinazioni i cali più forti riguardano Cina (-
13,7%), Stati Uniti (-11,9%), Regno unito (- 11,4%) e il nostro
primo partner commerciale, la Germania che segna un – 7,8%. Male
anche l’export verso Francia (5,4%) e Spagna (- 4,3%).
Gli unici paesi con il segno più sono Olanda (+ 1,7%), Giappone ( +
2,4%) ed India (+ 10,5%), tre paesi che però nel loro insieme
rappresentano appena il 3,8% delle nostre esportazioni complessive.
A livello settoriale tutto in negativo salvo poche eccezioni tra
cui, [...] meccanica (+ 5,4%) e [...] auto (+ 20%). Il tessile
abbigliamento accusa un calo dell’11,5%, la chimica del 13,4%, i
mobili del 9,8%, l’alimentare dell’1,2%.
Diminuisce anche il valore delle importazioni (- 3,1%), soprattutto
per il crollo del prezzo del gas rispetto ad un anno fa (- 74%). Ciò
fa si che il saldo commerciale (differenza tra valore delle
esportazioni e delle importazioni) sia positivo per 2,3 miliardi di
euro a fronte del passivo di 6,7 miliardi del settembre 2022. [...]
CLAMOROSO:
Meloni-Gramsci
cugini d'Italia
fabio martini
roma
Viene da chiedersi come mai non ci fossimo arrivati da soli. Come
non capire che la rivendicazione di una "nuova egemonia culturale"
da parte dei Fratelli d'Italia non era altro che il riflesso di un
segretissimo legame famigliare tra Giorgia Meloni ed Antonio Gramsci,
che quella teoria battezzò? Sì, perché l'ultima "scoperta" del
sistema mediatico è proprio questa: Meloni e Gramsci sono "parenti",
sia pure alla lontanissima. E come se non bastasse questo pindarico
legame, si scopre un altro ramo di questa allargatissima famiglia:
riguarda Enrico Letta e suo zio Gianni.
Una storia curiosissima, ma fino a prova contraria una storia vera.
La si potrebbe sintetizzare così: Giorgia Meloni, ma anche i due
Letta, sono lontanissimi "discendenti" di Antonio Gramsci, perché
nel secolo scorso le tre famiglie si sono intrecciate e lambite in
terra di Sardegna.
Una storia di casualità pura, perché al momento non risultano
intrecci consapevoli tra le diverse famiglie. Insomma, una storia
che proprio a volerla idealizzare, un giorno potrebbe diventare il
plot per una saga famigliare, anche se al momento il coronamento più
probabile potrebbe essere la rubrica "Strano ma vero" della
Settimana enigmistica.
L'intreccio lo ha scoperto Alessio Vernetti di You Trend,
appassionato di genealogia, che dopo aver completato la sua ricerca,
ha lanciato un thread su X (Twitter), assicurando che in base alle
sue ricostruzioni la nonna di Antonio Gramsci sposò in prime nozze
il fratello di una bisarcavola di Meloni, cioè la nonna di una sua
bisnonna. Sempre Vernetti racconta che sia Gramsci che Meloni, a
loro volta, sono imparentati alla lontanissima con l'ex segretario
del Partito democratico Enrico Letta e con suo zio Gianni. Un
intreccio, a suo modo, originalissimo, che unisce uno dei padri del
Pci, la prima presidente del Consiglio ex missina, il primo
presidente del Consiglio Pd nella storia italiana e il braccio
destro del Cavalier Berlusconi.
Vernetti ha raccontato che la sua ricerca era partita da Nino
Meloni, il nonno paterno della presidente del Consiglio, che era
nato a Ghilarza, il paese sardo di pastori e scalpellini alle falde
del massiccio del Monteferru dove crebbe il giovane Gramsci. Il
ricostruito albero genealogico delle tre famiglie sembrerebbe
dimostrare che i legami lontanissimi tra le famiglie sono comunque
tenui perché la parentela tra Meloni e Gramsci è acquisita, e non
deriva da un legame di sangue.
Certo, Vernetti ha fatto il suo lavoro, ma la storia – del tutto
casuale e senza nessi tra i protagonisti – è figlia di una stagione
nella quale il mercato della politica compra e digerisce anche
notizie senza una particolare valenza. E tuttavia la storia di
Meloni discendente di Gramsci evoca il rapporto di odio-amore che la
destra sociale intrattiene da decenni con la sinistra. Pino Rauti,
già leader di Ordine nuovo e poi segretario dell'Msi, esercitò un
grande fascino su tanti giovani missini, compresa Giorgia Meloni. E
proprio a Rauti non dispiaceva il soprannome di "Gramsci nero". Ma
anche la famosa svolta di Fiuggi, il congresso del 1995, che
trasformò il nostalgico Msi in Alleanza nazionale, nelle sue tesi
finali conteneva un passaggio dedicato a Gramsci, inserito tra i
pensatori di quella "cultura nazionale" della quale il nuovo partito
si sentiva erede.
Ma è nei prossimi giorni che Meloni potrebbe spiazzare tutti,
rivendicando un qualche legame con la sinistra: il 15 dicembre si
apre all'ex Mattatoio di Testaccio una mostra su Enrico Berlinguer,
l'ex segretario del Pci, sardo anche lui, in vista del quarantesimo
anniversario dalla scomparsa. Manifestazione finanziata dalla
Struttura di missione Anniversari della presidenza del Consiglio.
Ancora non sono partiti gli inviti ma da quel che trapela, oltre al
capo dello Stato, l'Associazione Berlinguer e il Comune inviteranno
anche la presidente del Consiglio. E Giorgia Meloni potrebbe
decidere di andare.
ALTRO DEBITO PUBBLICO: Mezzo miliardo di euro per aiutare i
Paesi vulnerabili colpiti dagli effetti estremi del cambiamento
climatico. Ecco il primo risultato concreto della Cop28 di Dubai: il
fondo Loss&Damage ("perdite e danni") non è un'utopia come sembrava
solo fino a pochi giorni fa, ma ora è realtà. E un quinto della
somma arriva dall'Italia, come ha annunciato a sorpresa la premier
Meloni a Dubai.
L'avvio del fondo è un grande successo per la Cop28, nonostante sia
iniziata tra contraddizioni e dubbi. Merito del "Sultano" Al Jaber,
il ministro-petrolierie emiratino a capo dei negoziati, che ha
tessuto le sue trame negli scorsi mesi. Mai in quasi trent'anni di
storia di Cop una decisione così grande era stata presa così
velocemente. Il fondo era stato ipotizzato già alla fine della
precedente Cop in Egitto, ma molti osservatori temevano che non si
sarebbe mai concretizzato. A differenza dei piani di finanza verde,
che prevedono prestiti e progetti di cooperazione (gli stessi
Emirati hanno annunciato, parallelamente, 30 miliardi di
investimenti), il fondo è di sostegno alla giustizia climatica: chi
ha maggiori responsabilità storiche in termini di emissioni di gas
serra deve aiutare chi oggi ha meno colpe ma più ferite causate
dagli eventi estremi e dalla siccità, come i Paesi africani o gli
Stati insulari. La gestione del fondo spetterà alla World Bank, la
Banca mondiale, che però dovrà adottare strumenti e strategie per
accontentare i Paesi con trasparenza.
Il vero costo della crisi
Per ora gli Stati che hanno promesso di contribuire al fondo sono
appena 10 (cresceranno nei prossimi giorni), più l'Unione europea,
anche se le cifre variano molto tra i partecipanti: gli Stati Uniti
investiranno appena 17 milioni di dollari, preferendo utilizzare
altri strumenti di finanza verde. Mezzo miliardo di euro può
sembrare una cifra enorme, ma secondo un recente studio
dell'Università di Wellington il cambiamento climatico ha causato
danni per 140 miliardi di dollari all'anno di media nel decennio
2010-2019. Nel 2022 addirittura si tocca quota 280 miliardi: il
calcolo divide in due terzi i costi per le perdite di vite umane e
un terzo per strutture artificiali e naturali distrutte. In media di
16 milioni di dollari... all'ora.
L'agenda "verde"
Per questo motivo la prima decisione della Cop28 non va festeggiata
con eccesso di entusiasmo. Il fondo "Loss&Damage" può essere letto
anche come strumento di relazioni diplomatiche e rapporti
privilegiati tra gli Emirati, il loro oro nero e i Paesi che vi
aderiscono. Il "club del Sultano".
Ecco perché il vero negoziato è ancora da avviare. Ieri a Dubai è
stata la giornata dedicata ai discorsi dei grandi leader. Hanno
parlato Carlo III («stiamo entrando in territori inesplorati»), il
presidente indiano Modi, che si pone come guida dei Paesi del Sud
globale («triplicheremo la produzione rinnovabile entro il 2030»),
il brasiliano Lula che chiede un accordo contro la deforestazione. È
stato anche il giorno del cibo e dei sistemi alimentari: per la
prima volta i Paesi (134, inclusa l'Italia) si sono impegnati a
inserire i temi dell'alimentazione e dell'agricoltura nei piani
climatici.
La strada che "invecchia"
Il tema cruciale di questa Cop però rimane il ruolo dei combustibili
fossili. Per gli scienziati non esiste futuro sicuro per il Pianeta
se continuiamo a estrarre petrolio e gas, per i Paesi più ricchi di
risorse invece sono un mezzo necessario per sviluppare nuove
tecnologie verdi. Il segretario Onu Guterres ha provato a coniare
una nuova espressione a effetto: «Ho un messaggio per i leader delle
compagnie petrolifere: la vostra strada sta invecchiando
rapidamente». «Your old road is rapidly aging», una citazione
raffinata da The times they are a-changin' di Bob Dylan. A oggi
sembra solo una pia illusione.
lo stop di Orban, L'UOMO DI PUTIN IN EU
L'apertura dei negoziati di adesione con l'Ucraina «non coincide con
gli interessi dell'Ungheria». Viktor Orban non era mai stato così
esplicito: le sue parole sembrano mettere una pietra tombale sulla
possibilità che il Consiglio europeo del 14-15 dicembre accolga la
proposta della Commissione di adottare una cornice negoziale con
Kiev. Anche perché la decisione va presa all'unanimità e senza il
via libera di Budapest non sarà possibile trovare un accordo. Non
solo: il premier ungherese ha ribadito la sua contrarietà a
finanziare il piano di aiuti per l'Ucraina con il bilancio europeo.
Piuttosto, ha suggerito, si crei uno strumento ad hoc fuori dal
budget Ue, alimentato da contributi «su base volontaria».
A meno di due settimane dal vertice di fine anno, sui due capitoli
del dossier Ucraina regna il caos a Bruxelles. I leader saranno
anche chiamati a decidere se avviare i negoziati di adesione con la
Moldavia, se assegnare lo status di Paese candidato alla Georgia e
se dare l'ok ai negoziati «condizionati» con la Bosnia-Erzegovina.
Se per questi tre Paesi non sembrano esserci troppi problemi, per
l'Ucraina c'è l'ostacolo Ungheria che a questo punto sembra
insormontabile. Nel corso di un'intervista con l'emittente Kossuth
Radio, Orban ha spiegato che Kiev non può far parte dell'Ue perché
«non sappiamo nemmeno quanto sia grande il suo territorio e quante
persone ci vivono». Ma soprattutto perché «non esistono informazioni
su quanti soldi riceverebbe l'Ucraina (se diventasse uno Stato
membro, ndr), da dove e da chi». Per questo ha suggerito di offrire,
in alternativa, «un partenariato strategico di 5-10 anni in modo da
avvicinarli, visto che ora il divario è troppo ampio».
Orban ha dunque chiesto a Charles Michel di non inserire nemmeno la
decisione nell'agenda del prossimo Consiglio europeo. Meglio evitare
perché c'è il rischio di «mandare in frantumi l'unità europea». Ma
Michel pare intenzionato a non gettare subito la spugna. «Per ora la
discussione resta sul tavolo – spiega un alto funzionario Ue - e
quando i leader saranno nella stanza vedremo che succederà». Alcune
delegazioni hanno suggerito di posticipare la decisione al vertice
di marzo, anche perché in ogni caso l'avvio formale dei negoziati
potrà partire solo quando l'Ucraina avrà completato le quattro
riforme mancanti. Ma vorrebbe dire rinviare il problema, non
risolverlo.
Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea con delega
Valori e alla Trasparenza, è da poco tornata da Kiev, dove lunedì ha
incontrato gli esponenti del governo per fare il punto sulle riforme
e «sostenere gli incredibili sforzi che l'Ucraina sta facendo per
mettere fine alla corruzione». Quattro le raccomandazioni di
Bruxelles sulle quali Kiev sta lavorando: una più efficiente lotta
alla corruzione, il processo di de-oligarchizzazione, la normativa
sulle lobby e quella per proteggere i diritti delle minoranze, che
riguarda anche quelle di nazionalità ungherese. «Quest'ultima legge
– spiegava la commissaria nei giorni scorsi – è stata ispirata da
quella rumena e c'è l'impressione che Orban sarà soddisfatto». Ma
evidentemente non basta.
BLUFF VACCINI DI DRAGHI E SPERANZA VOTATO PER IGNORANTE
SUPERFICIALITA' : Mentre il Covid miete più morti e oramai
quasi un ricoverato su dieci è positivo al virus, uno studio europeo
svela che il timer dei vaccini fa suonare l'allarme dopo soli tre
mesi, passati i quali crolla la copertura sia rispetto al rischio di
morte che di finire in ospedale. A rivelarlo è l'Ecdc, il Centro
europeo per la prevenzione delle malattie. Numeri allarmanti, che
non devono però spingere a ritrarre il braccio, ma al contrario a
convincere gli ultraottantenni a mantenere alta la copertura con
richiami ripetuti periodicamente.
Lo studio è stato condotto sulla popolazione over 50 di sei Paesi
europei. L'efficacia iniziale della terza dose rispetto al rischio
di ospedalizzazione è stata di circa il 50% ma l'effetto è
nettamente diminuito dopo 12 settimane per diventare quasi nullo
dopo 24, con stime di efficacia tra il 13 e il 17%. Percentuali di
protezione più o meno simili si sono rilevate anche per la
mortalità. Con la quarta dose la protezione subito dopo la
somministrazione sale tra il 76-79% contro il rischio di ricovero e
al 76-85% contro quello di morte. Ma dopo 12 settimane la copertura
già cala tra il 33 e il 49% contro il pericolo di ricoverarsi e tra
il 50 e il 63% contro il decesso. Percentuali che scendono ancora di
più per gli ultraottantenni.
L'efficacia della quinta dose è stata invece testata solo tra gli
over 80 in Portogallo e Belgio. Poco dopo la puntura l'efficacia
rispetto alla ospedalizzazione è risultata pari al 72%, per scendere
quasi a zero dopo circa tre mesi (12 settimane). La barriera
protettiva del vaccino rispetto al pericolo di morte arrivati alla
quinta dose è stata inizialmente del 64% ma tra le 12 e le 24
settimane è andata rapidamente calando fino a scendere ad un quasi
insignificante 3%.
«La durata della protezione limitata a 12-24 settimane – spiega
Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto di ricerca farmaceutica
Mario Negri - è dovuta al fatto che in questo arco di tempo l'Rna
sul quale si basano i vaccini si degrada inesorabilmente. In futuro
ci si augura che l'efficacia possa prolungarsi nel tempo ma non è
una cosa che si faccia dall'oggi al domani. Però nel valutare i dati
dell'ottimo lavoro dell'Ecdc - conclude - dobbiamo considerare che
si riferiscono alla sola protezione degli anticorpi, ma a offrirci
una ulteriore copertura contro gli esiti più gravi c'è anche la
memoria immunitaria delle cellule».
«L'ultimo vaccino della Pfizer - afferma a sua volta Silvio
Garattini, «padre» del Mario Negri - è in sostanza simile a quelli
che lo hanno preceduto e non è in armonia con le varianti ora
dominanti. Anche se - aggiunge - la stessa Pfizer si è fatta ben
remunerare questo aggiornamento condotto in poco tempo, portando il
prezzo della dose da 14 a 20 euro».
Se l'Ecdc conclude l'indagine invitando i grandi anziani a
vaccinarsi con più frequenza, in Italia sia loro sia i fragili in
genere si tengono sempre più alla larga dal nuovo antidoto. Al 30
novembre è stata finalmente superata la soglia del milione di
somministrazioni sulle 20 milioni che si sarebbero dovute fare, ma
nell'ultima settimana le vaccinazioni invece di accelerare sono
ancora calate da 191 mila a 167 mila.
Questo mentre il Covid, oltre che più contagi, inizia a fare anche
più morti e ricoveri. Il monitoraggio settimanale a cura dell'Iss
conta oltre 52 mila casi nell'ultima settimana con un aumento pari
al 16,1% rispetto alla precedente. Ma a preoccupare sono i decessi
(291, più 23,8%) e le ospedalizzazioni, con il tasso di occupazione
dei letti nei reparti ordinari passato in soli sette giorni dal 7,7
al 9,2%, mentre quello delle terapie intensive è salito dall'1,5
all'1,9%. Continuando di questo passo sotto Natale solo per il Covid
potremo finire per avere almeno il 15% dei letti nei reparti di
medicina occupati da pazienti che richiedono anche l'isolamento. E
se a questi si aggiungeranno, come avviene ogni anno, anche quelli
dell'influenza ancora poco in circolazione, ecco che diventerebbe
reale il rischio stress per gli ospedali paventato dall'ex direttore
della Prevenzione al ministero della Salute, Gianni Rezza.
«L'influenza non fa 300 morti a settimana e i casi di Covid sono in
aumento», ammonisce Garattini. Che invita fragili e anziani a
indossare di nuovo le mascherine alle quali sembrano allergici gli
esperti che strizzano l'occhio alla premier Meloni.
MAFIA MASSONERIA E .....A TORINO Operazione della Finanza:
nel mirino l'ex Maestro Venerabile della Loggia Grande Oriente
d'Italia Delli Paoli in affari col capomafia di Minotauro
Il boss, il massone e i ristori di Stato per Covid Cosi le 'ndrine
rubavano i fondi della pandemia
giuseppe legato
Massone. Per sua stessa ammissione, nelle intercettazioni disposte
dalla Direzione distrettuale antimafia, ex Maestro Venerabile della
Loggia Grande Oriente d'Italia. Solidi rapporti con direttori e
direttrici di filiali di banca, amicizie politiche, soprattutto
nell'Udc. In passato – e fino al 31 dicembre 2015 – è stato
funzionario della Città Metropolitana di Torino, dal giorno dopo – e
fino ad oggi – dipendente della Regione Piemonte.
Saverio Delli Paoli, 64 anni, residente a Rivoli, originario di
Biella, si vantava al telefono di essere immune da aggressioni da
parte delle cosche calabresi «perché io appartengo a una struttura
che si chiama massoneria, che non mi tocca nessuno, non mi vengono a
cercare a casa». Alcune ore fa, a casa sua, si sono presentati gli
uomini del Nucleo di polizie economico finanziaria della Guardia di
Finanza di Torino. Gli hanno notificato la misura cautelare
dell'obbligo di firma e tanti saluti a grembiuli e amicizie
pericolose. Lo ha disposto il gip Rosanna Croce nell'ambito
dell'operazione "Timone", ultima inchiesta del Gico coordinata dai
pm Paolo Toso e Francesco Pelosi.
Si legge agli atti che «è del tutto evidente che Delli Paoli abbia
messo a disposizione di un boss e del gruppo di riferimento di
quest'ultimo, i suoi "contatti" afferenti al mondo bancario e
finanziario nella consapevolezza di prestarsi per un esponente della
criminalità organizzata, oltre alle conoscenze e rete di rapporti
afferenti alla appartenenza massonica».
Una cerniera, un trait d'union che emerge chiaramente nelle 450
pagine di atti depositati in procura. Chiariamo subito che il boss è
di rilievo: Francesco Napoli da un annetto non c'è più. È morto dopo
aver contratto il Covid, ma per decenni è stato uno degli uomini più
influenti della ‘ndrangheta di Torino. Dote: Vangelo. Condannato in
Minotauro, è uscito dal carcere il 15 ottobre 2019: i rapporti
vengono presto riannodati. «I contatti telefonici – scrivono i
finanzieri – si fanno subito intensi per non dire quotidiani».
Napoli lo chiama "Dottor Saverio" e lui "Grande Franco". C'è
confidenza: «È da una vita che ti seguo» dirà il funzionario
regionale al boss in una delle centinaia di conversazioni
intercettate. Una vita.
È accusato di averlo aiutato a intercettare fondi stanziati dallo
Stato come ristori straordinari nel periodo pandemico: decine di
migliaia di euro da istituti di credito nei quali conta amicizie
rilevanti a Moncalieri e non solo. Peccato che quei fondi, Napoli,
non li possa ricevere perché pregiudicato per mafia. Le ditte
attraverso le quali cerca di conquistarli (e li conquista) -
essendone il dominus effettivo - sono intestate a prestanome, una
addirittura alla moglie. Delli Paoli (che risponde di concorso in
truffa) lo sa, ma garantisce, spiega, raccomanda con chi deve
istruire le pratiche. Operano dentro il Caat, il più grande mercato
ortofrutticolo del Piemonte a Grugliasco (estraneo all'indagine).
Con metodi mafiosi portano via a un cittadino extracomunitario il
suo stand. Gratis: «Tu sei marocchino e noi siamo calabresi, hai
capito?» gli dicono alcuni indagati. Tra i contatti che il "Maestro"
Delli Paoli cercherà di favorire ci sono altri personaggi dal
pedigree rilevante, mafiosamente parlando.
Come il sedicente commercialista Pasquale Bafunno già oggetto di
plurime attenzioni dell'Antimafia torinese. Per i suoi precedenti ha
difficoltà ad aprire un conto corrente. Delli Paoli contatta «un
Direttore d'area di banca importante» di un grosso istituto di
credito nazionale: «Ho parlato con la sede centrale, ma devi
lasciare qualcosa. Questo direttore sta andando in pensione e vuole
il 20/25%».
C'è anche il figlio del boss Napoli, Rocco. Consiglierà un altro
figlio, quello di Cosimo Iaconis (condannato nell'operazione Cerbero
contro le cosche di Platì e Natile) invitandolo a ingaggiare
avvocati più capaci («se hai bisogno, un nome serio io su Torino ce
l'ho»). E quando Napoli non ricorda il nome di un alto dirigente
dell'Udc di Torino che ha conosciuto, con cui il boss ha parlato (ma
non è mai stato identificato ndr) chiama il suo amico massone che in
quel partito ha trascorsi non trascurabili: nel 2011 si è candidato
alle amministrative di Torino appoggiando la corsa a sindaco di
Alberto Musy. Con questo manifesto d'intenti: «Ho deciso di
impegnarmi in prima persona in questa competizione elettorale spinto
dalla volontà di partecipare alla costruzione di una "nuova e sana
politica" , in modo tale che il cittadino diventi protagonista e il
vero artefice della politica per l'uomo».
Il boss, che conosce la lingua mafiosa declinata in politichese,
chiede favori su favori: «C'è un bravo ragazzo, mi aiuta, guida la
macchina, mi porta in giro ha problemi a prendere i ristori: 1000
euro. Se gli dai una mano lui e la sua famiglia saranno tuoi
elettori per tutta la vita. Chiaro no?». Sempre a sfondo politico
una conversazione del 7 giugno 2021 con Giuseppe Schilirò, cognato
del superboss Peppe Gioffrè di Settimo, ucciso in un agguato in
Calabria il 29 dicembre 2009 a cokpi di fucile mentre viaggiava
insieme al figlio: «Stiamo
finendo di realizzare un Rsa che abbiamo costruito per il tuo capo,
per Vietti». —
01.12.23
L'incontro con D'Alema "il comunista" Personaggio di statura globale, Henry Kissinger ha lasciato
anche qualche piccolo ricordo italiano, legato alla sua lunga
amicizia con Gianni Agnelli, con cui era solito parlare al telefono
tutti i giorni. Uno riguarda la nascita del governo D'Alema, dopo la
caduta del Prodi I. Si era pochi giorni prima della presentazione
del governo alla Camera, fissata per il 21 ottobre 1998, e
l'Avvocato, che aveva tra le sue curiosità quella di una conoscenza
diretta del mondo "comunista", come continuava a chiamarlo, malgrado
il cambio di nome, voleva incontrare il primo presidente del
consiglio incaricato proveniente da quell'esperienza. Tra l'altro D'Alema
era l'ultimo ad aver avuto una formazione classica, nella scuola di
partito, e una carriera altrettanto tradizionale, al centro e alla
periferia.
L'appuntamento fu fissato nella casa romana di Agnelli, di fronte al
Quirinale. E Kissinger fu invitato a partecipare, cosa che certo a
D'Alema non dispiacque, perché poteva considerarla come una
legittimazione. Dopo più di un'ora, un tempo insolitamente lungo per
il ritmo vitale dell'Avvocato, si salutarono. Agnelli, con una delle
sue battute, commentò con Kissinger: «Hai visto, non sembra quasi un
comunista, sulle maggiori questioni internazionali mi è sembrato
allineato. Se solo si tagliasse quei baffi…». E Kissinger: «Sarà, ma
coi baffi o senza baffi, per me resta uno di quelli!».
L'altro ricordo è quello di un'intervista all'ex-segretario di Stato
nel suo studio di New York, a cinque anni dalla scomparsa di
Agnelli, nel 2008. I tempi della conversazione erano stati
rigorosamente fissati in 40 minuti, poi tagliati a 25 per il
sopravvenire di imprevisti nell'agenda di quest'uomo già anziano -
aveva 85 anni - ma ancora carico di impegni. Kissinger sorrise
ricordando che lui e l'Avvocato, nei lunghi anni delle loro
conversazioni, ci avevano messo un po' a trovare un orario buono per
tutti e due per telefonarsi. Poi d'improvviso si rabbuiò rammentando
il giorno dell'ultima uscita pubblica di Agnelli, già malato, in cui
lo accompagnò alla Pinacoteca del Lingotto. Mentre parlava, senza
accorgersene, cominciò a piangere. Continuava a raccontare, e le
lacrime gli scendevano sul viso, a smentire la leggenda dell'uomo
considerato tra i più duri e cinici del mondo.
La mossa del Comando generale per rispondere alle accuse di
trascurare le segnalazioni
L'ordine dei carabinieri dopo le polemiche "Interventi tempestivi
anche senza denuncia"
Quando si sospetta una violenza di genere bisogna agire anche senza
attendere che sia ufficializzata la denuncia e, in caso di
necessità, si potrà fare ricorso ai militari reperibili come nel
caso delle calamità naturali. C'è grande disagio tra le forze
dell'ordine alle accuse di ritardi, silenzi, indifferenza giunte
dopo l'assassinio di Giulia Cecchettin.
Per rispondere alle critiche il comando generale dei carabinieri ha
inviato a tutti i comandi e alle stazioni presenti sul territorio
italiano una circolare con le istruzioni per assicurare interventi
tempestivi. In caso di segnalazioni di «episodi di maltrattamenti,
violenze e atti persecutori nei confronti di vittime vulnerabili»,
si legge nella nota del 29 novembre, firmata dal generale Arturo
Guarino, capo del secondo reparto del comando generale dell'Arma, è
fondamentale «un'accurata e tempestiva gestione degli interventi».
Ogni segnalazione deve essere «gestita, fin dal primo momento, con
la massima attenzione, con adeguata sensibilità e nella piena
osservanza delle procedure stabilite».
Ci sono state molte polemiche sulla segnalazione da parte di un
vicino di Giulia Cecchettin della lite avvenuta nel parcheggio nei
pressi della casa della ragazza a cui non era seguito l'arrivo di
alcuna pattuglia. Il comando dell'Arma aveva spiegato che, mentre
l'operatore della centrale riceveva la segnalazione, erano arrivate
due altre richieste di intervento.
Inoltre, il testimone – spiegò l'Arma – aveva detto di non essere in
grado di indicare il numero di targa dell'auto su cui si erano
allontanati i due giovani. Sarebbe stato difficile, quindi,
intervenire, ma nella circolare si chiede comunque un rafforzamento
dell'attenzione sul tema e si danno indicazioni di gestire ogni
segnalazione di violenza di genere «fin dal primo momento, con la
massima attenzione, con adeguata sensibilità e nella piena
osservanza delle procedure stabilite». Per non perdere tempo si
chiede ai comandi di agire «indipendentemente dalla formalizzazione
della denuncia». E viene inviata la richiesta di «istruire il
personale dipendente affinché ciascuna segnalazione» venga gestita
con la massima attenzione «fin dal primo momento» e fare in modo che
ci sia sempre «l'invio sul posto di una pattuglia per contattare il
segnalante (vittima, testimone, persona informata) e acquisire
elementi utili a delineare un primo quadro di situazione» da
riferire ai superiori e «l'attivazione dei reparti territorialmente
competenti», anche «ricorrendo ai militari'reperibili». Un punto che
trova la reazione critica del sindacato Usmia: «La reperibilità ad
oggi, pagata poco più di cinque euro, vale solo in caso di calamità
naturali». Se le carenze di personale dovute ai tagli non consentono
di «dare risposte efficaci alla richiesta di sicurezza dei
cittadini, tutto ciò non può ulteriormente gravare sui militari in
servizio, senza, quantomeno, retribuirlo adeguatamente».
LA SPESA DEL VOTATO SPERANZA, CHI LA PAGA ? I SUOI ELETTORI ?
Inviati in piena pandemia e mai utilizzati ora si valuta l'opzione
delle cliniche veterinarie
I ventilatori dimenticati nei magazzini delle Asl
alessandro mondo
Una certezza di cui, con il senno di poi, si sarebbe fatto
volentieri a meno. E una domanda, che aleggia da anni: che farne?
Più precisamente: che farne degli oltre 500 ventilatori polmonari
inviati tra 2020 e 2021 in Piemonte dall'allora struttura
commissariale centrale per l'emergenza, quando il Covid picchiava
duro e tutte le Regioni erano in forte difficoltà ad attrezzare le
terapie intensive per sostenere i pazienti in condizioni critiche?
Perché da allora la partita dei macchinari spedita nella nostra
regione, 85 acquisiti tramite procedura Consip e 445 forniti
dall'unico produttore italiano, è rimasta nei magazzini delle Asl
(una sessantina solo in quello dell'Asl Città di Torino):
impacchettati, periodicamente sottoposti a manutenzione,
inutilizzati. La coda, non certo l'epilogo, di una vicenda per molti
aspetti paradossale: innescata dal rifiuto dei medici rianimatori
piemontesi di impiegare apparecchi giudicati non affidabili,
accompagnata dalle proteste dell'allora struttura commissariale, che
ne certificava la regolarità, oggetto di una vivace diatriba con la
Regione, scandita da test, controtest, perizie e interventi
migliorativi che, alla fin fine, non hanno portato a nulla.
Alla fine la seconda edizione della struttura commissariale, ormai
guidata dal generale Figliuolo, finì, quasi per sfinimento, per
cedere definitivamente alla Regione, che nel frattempo si era
attrezzata comprando altri apparecchi di tasca propria, la proprietà
dei macchinari in questione: senza contropartite.
Resta il fatto che, confermano dall'Asl cittadina, oggi come ieri
non si sa se e quale uso farne. «Non sono abbastanza affidabili per
le terapie intensive, e anche a seguito delle modifiche apportate in
seguito, sono troppo complessi per le terapie domiciliari», spiegano
dal settore Ingegneria biomedicale. Una via di mezzo, insomma, che
non soddisfa nessuno dei possibili requisiti.
Il costo della manutenzione è il meno, trattandosi di una cifra
ridotta. Il punto è che, come tutte le cose inutilizzate, gli
apparecchi rischiano concretamente di finire in malora. E questo,
checché se ne pensi.
Il dottor Carlo Picco, direttore generale dell'azienda sanitaria,
conferma lo stallo. «Da parte di alcuni produttori privati sono
state avanzate manifestazioni di interesse per acquistare i
ventilatori, del tutto o in parte – spiega –. Un possibile approdo
potrebbe essere quello delle cliniche veterinarie. Si tratta di
capire se e in quali termini l'operazione è possibile: la vendita, o
magari una permuta. Vedremo».
Nel frattempo il Covid si è evoluto decine di volte, una variante
rincorre l'altra, per fortuna in forma sempre meno grave, ma i
ventilatori restano al loro posto: inamovibili. Una (paradossale)
certezza, appunto.
30.11.23
MEGLIO TARDI CHE MAI : Il
laboratorio dei bambini-farfalla è salvo Lo Stato interviene
nell'ultimo giorno utile
L'appello di Antonella Viola
filippo fiorini
A 24 ore dallo scadere, con alcune condizioni, ma anche con parole
che non lasciano dubbi: «Abbiamo raggiunto una soluzione». Così,
ieri, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha
annunciato il salvataggio di Holostem. Questo centro di ricerca
modenese ha brevettato per primo in Europa un farmaco per ridare la
vista a chi ha particolari lesioni agli occhi e sta sperimentando,
segnando un primato mondiale, una terapia per curare i giovani
malati delle molte varianti dell'epiderdomolisi bollosa, più spesso
definiti bambini-farfalla. Tutti pazienti che avrebbero perso
l'accesso ai farmaci o la speranza di averli in futuro.
L'associazione Le Ali di Camilla, che senza scopo di lucro promuove
la ricerca a Holostem, ringrazia di cuore e sintetizza: «Stavamo
facendo gli scatoloni per andarcene e ora stappiamo lo champagne».
Il laboratorio è un'azienda privata, sorto in seno all'Università di
Modena e Reggio Emilia. Nel dicembre 2022, Valline (Gruppo Chiesi)
aveva messo in liquidazione la quota di maggioranza (65%), senza
però trovare acquirenti. La famiglia farmaceutica più importante
d'Italia aveva spiegato che era necessaria «un'industrializzazione
delle terapie cellulari e della tecnologia produttiva», nonché «un
cambiamento organizzativo e della gestione», possibile solo con
«l'intervento di nuovi attori».
Mentre il personale passava da 80 a 43 dipendenti, i pazienti con
ustioni alla cornea, in lista d'attesa negli ospedali di tutta l'Ue,
avevano la prospettiva di restare ciechi. Così come i
bambini-farfalla e le loro famiglie, le cui speranze di un
miglioramento della qualità di vita e una drastica riduzione della
mortalità, dipendevano dalle terapie staminali sviluppate qui, non
sapevano più se e quando il farmaco in trial sarebbe stato
approvato. A schierarsi per la sopravvivenza di Holostem, sono stati
i sindacati come la Cgil e gli organi d'informazione, tra cui La
Stampa, che aveva lanciato un appello pochi giorni fa con un
editoriale della biologa Antonella Viola.
«Eravamo davanti alla Tv e non credevamo alle nostre orecchie,
quando abbiamo sentito il ministro», racconta Stefania Bettinelli,
portavoce di Le Ali di Camilla e del professor Michele De Luca, che
con la moglie Graziella Pellegrini, sono gli scienziati di
riferimento del centro. Le condizioni poste dal governo, per un
investimento che avverrà attraverso Enea Tech, sono l'ingresso di un
management qualificato, un piano industriale entro sei mesi,
l'impegno a cercare altri investitori privati e accettare il
supporto di Invitalia. Soddisfatta anche l'Associazione Coscioni,
che ha abbracciato la causa.
Appalti, tornano le gare sotto i 5 milioni Busia: Salvini costretto
al dietrofront
PAOLO BARONI
ROMA
Sul Codice degli appalti il ministro Salvini è stato costretto a
fare dietrofront. Su pressione di Bruxelles, non a caso
contestualmente con l'ok alla revisione del Pnrr, il ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti ha diramato una circolare per
definire meglio le procedure per l'affidamento delle gare appalto,
specificando che le disposizioni contenute nell'articolo 50 del
Codice degli appalti, una delle riforme inserite nel Piano nazionale
di ripresa e resilienza, vanno interpretate ed applicate nel solco
dei principi e delle regole della normativa di settore dell'Unione
europea, che in particolare richiama gli stati membri a prevedere la
possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di applicare
procedure «aperte o ristrette».
In pratica bisogna favorire la concorrenza anziché possibili scelte
unilaterali da parte dei committenti. Il risultato è che d'ora poi i
comuni non potranno più avere mano libera negli appalti sotto la
soglia europea dei 5,3 milioni di euro.
«La circolare con la quale il Mit interviene sulle procedure sotto
soglia è una evidente marcia indietro del governo, e mostra che le
nostre obiezioni erano fondate. Lo fanno con una circolare e non –
come sarebbe stato necessario - con legge, ma rappresenta comunque
un importante passo avanti» sostiene il presidente dell'Autorità
anticorruzione, Giuseppe Busia.
In particolare, come spiega, l'Associazione nazionale dei comuni sul
suo sito, le stazioni appaltanti potranno procedere all'affidamento
sotto-soglia, anche senza consultazione di operatori economici e
assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate
esperienze, solo per importi sotto i 150.000 euro e per
l'affidamento diretto dei servizi e forniture (compresi servizi di
ingegneria, architettura e attività di progettazione) sino a 140
mila euro. In alternativa le stazioni appaltanti potranno prevedere
procedure negoziate senza bando consultando almeno 5 operatori
individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di
operatori economici, sia per i lavori di importo compreso tra
150.000 ed 1 milione, sia per l'affidamento diretto dei servizi e
forniture sopra i 140 mila euro. Per importi sopra il milione
dovranno invece essere consultati almeno 10 operatori.
Secondo Busia «prevedere che sia obbligatorio l'affidamento diretto
per tutti i contratti sopra i 140 mila euro e che si arrivi ad
assegnare i lavori fino ad oltre 5 milioni senza pubblicare neanche
un avviso pubblico rappresentava una forzatura. Numericamente, si
tratta infatti della stragrande maggioranza dei contratti.
Significava che sarebbero stati sottratti alle più elementari forme
di pubblicità, a danno di imprese e casse pubbliche. È infatti
evidente che, se per spendere ben oltre centomila euro,
l'amministrazione non deve neanche chiedere due preventivi, si
rivolgerà alla prima impresa che capita, e questa non avrà alcun
interesse a contenere la propria offerta».
Busia da subito aveva segnalato la forzatura inserita nel Codice
degli appalti entrato in vigore a luglio. Ed oggi ricorda che «anche
fuori dai casi di piccola o grande corruzione, è chiaro che ad
essere premiato sarebbe stato il fornitore più "vicino" o quello già
conosciuto, e non quello più bravo. Col risultato di spendere di
più, avendo in cambio forniture e servizi di minore qualità o opere
destinate a durare meno».
La novità è accolta positivamente dalle imprese. Secondo la
presidente dell'Ance, Federica Brancaccio, la circolare del
ministero «chiarisce qualcosa che per noi era già molto chiara
perché avevamo fatto una battaglia quando il codice era venuto fuori
dal Consiglio di Stato: abbiamo fatto una battaglia politica e
l'abbiamo vinta. Noi volevamo anche abbassare la soglia per
l'evidenza pubblica, poi c'è stata una mediazione con Comuni e Mit
per dare la libertà di andare con procedura aperta o negoziata».
I pm indagano sull'inquadramento dei lavori: prima programmati e poi
derubricati a manutenzione La prassi abbatte costi e tempi ma si
rischia in sicurezza: al setaccio gli appalti dal 2021 al 2023
Giallo sulla strage di Brandizzo Il cantiere declassato all'ultimo
Sulla Stampa
andrea bucci
giuseppe legato
Nel lunghissimo elenco di documenti, atti, regolamenti, verbali e
convenzioni che la procura di Ivrea è andata ad acquisire l'altroieri
durante una perquisizione di polizia, guardia di Finanza e
carabinieri negli uffici Rfi a Torino e Roma, ce ne è uno che assume
un valore più centrale di altri. È un accordo quadro firmato nel
2021 che programmava un maxi appalto unico da frazionare in singoli
interventi per manutenere la rete ferroviaria. Riguardava anche la
zona che da Brandizzo/Chivasso, arriva fino ad Alessandria.
L'attenzione – diventata ragionamento investigativo – degli
inquirenti di Ivrea si è focalizzata su un cambio di inquadramento,
di categoria (se vogliamo) del cantiere diventato teatro di una
strage e costato la vita – la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi
– a cinque operai della ditta Sigifer travolti sui binari dentro i
quali lavoravano pur senza avere ancora l'interruzione di linea.
In procura si sono fatti l'idea che questo cambio repentino di
qualificazione dell'intervento possa – anche - essere nato da una
questione di costi e di tempi. Perché nel passaggio da una tipologia
di intervento ad altro cambiano le durate (diminuiscono), le spese
(idem come i tempi), il numero e la tipologia di personale
impiegato. Non è un caso che nell'eventualità di intervento
programmato (come gli investigatori avrebbero scoperto che era
quello di Brandizzo) i lavori sono preceduti da un briefing che non
c'è stato a cui partecipano anche le componenti sindacali. La
domanda è chiara: in quanti casi un intervento inizialmente
immaginato cosi è stato derubricato con tempi e costi minori? È per
questo che si è acquisito quell'accordo quadro e le informazioni su
tutti i frazionamenti di cantieri: centinaia di appalti sui quali il
faro dei magistrati è acceso. Si vuole capire in quanti di questi si
è passati – se è avvenuto – da programmazioni a manutenzioni per
così dire urgenti. In via prioritaria saranno analizzati quelli
dell'area di competenza della procura di Ivrea, ma non è detto che
le verifiche non si estendano ad altre porzioni geografiche sempre
del Piemonte.
L'inchiesta dei pm Valentina Bossi e Giulia Nicodemo, coordinate
dalla procuratrice Gabriella Viglione, è a un punto di svolta. Dall'altroieri
due manager sono iscritti nel registro degli indagati. Si chiamano
Gaetano Pitisci e Andrea Bregolato: in linea diretta, ma non
immediata, sono i superiori di Antonio Massa, caposcorta ai cantieri
di Rfi, principale indagato per questa tragedia. Massa è l'uomo che
– secondo i pm – diede il via libera agli operai a lavorare sui
binari senza l'autorizzazione. I neo-indagati rispondono di omicidio
colposo plurimo e disastro ferroviario colposo. Hanno profili
collegati ma differenti. Pitisci, ingegnere, ad esempio, è
considerato un direttore lavori. Responsabile di diversi cantieri
nell'area attorno a Brandizzo. È – per capirci – l'uomo che decide
il frazionamento degli appalti. Quanto devono durare i singoli
interventi, quanto è congruo spendere per pagare le ditte incaricate
dei lavori. E c'è ancora la cosiddetta deroga implicita, cioè una
contrazione di tempi per accelerare la manutenzione, che ha
chiaramente un effetto sulla sicurezza generale del cantiere.
Infine vi è da integrare l'esito della consulenza sulla motrice del
treno che ha investito gli operai depositato in procura nei giorni
scorsi. È agli atti la disperata frenata del macchinista (non
indagato): un gesto istintivo quanto inutile. Esaminando i dati
sulla scatola nera della motrice viene dimostrato come, quella
notte, il treno viaggiasse con il verde ad una velocità di 160 km/h.
Dalla relazione scritta dal luogotenente Andrea Pellegrini si
apprende anche che il macchinista si sia accorto della presenza
degli operai poco dopo una curva e solo a quel punto avrebbe
azionato il freno. Un gesto calcolato in appena 3 secondi. Troppo
poco tempo, dunque, per evitare l'impatto. —
29.11.23
PAGHIAMO NOI ACQUISTANDO GAS E PETROLIO INVECE CHE FARCI L'H2 A
COSTO 0: Mohammed bin
Salman, come i suoi avi, è un uomo del deserto. Ma è un deserto
fatto di enormi tende con aria condizionata, fuoristrada
giganteschi, computer e megaschermi, e notti passate tra sfide ai
videogiochi e film di fantascienza, fino alle prime luci dell'alba.
È così che ha migliorato il suo inglese, zoppicante quando è stato
proiettato nel potere mondiale, otto anni fa, con la salita al trono
del padre. Non aveva ancora trent'anni, nato e cresciuto a Riad,
dove ha anche frequentato l'università, con poche sortite
all'estero.
La sua apertura verso il mondo è fatta soprattutto di immaginazione:
un Metropolis con la spietatezza degli Hunger Games. Re Salman l'ha
scelto come successore per questo: radici ben piantate, ambizioni
senza limiti, neppure etici. Mbs ha pagato la mancanza di esperienza
internazionale nei primi anni ma adesso ha imparato e comincia a
raccogliere i frutti di un'intuizione quasi naturale per l'erede
trentenne di un potere detenuto da ottuagenari. Il soft power.
Ha 38 anni, è un principe ereditario, padrone di un Paese di 35
milioni di abitanti, seduto su un tesoro fatto di oro nero. Ha un
modello, l'uomo forte degli Emirati, Mohammed bin Zayed, detto Mbz,
prima suo mentore e poi rivale. Ha un nemico molto simile a lui,
Tamin bin Hamad Al-Thani, l'emiro del Qatar. Attorno a questi tre
uomini gira il potere del Golfo, il potere arabo del Ventunesimo
secolo. Soft power. Mbs l'ha visto con i suoi occhi a Dubai, l'ex
città di pescatori, poco petrolio, eppure al centro del mondo. Mbz
gli spiegava che era in corso una rivoluzione pari a quella seguita
alla scoperta dell'America da parte degli europei. Il baricentro del
mondo si spostava verso Est, dal centro dell'Atlantico era passato
al Mediterraneo orientale e stava per posizionarsi nel Golfo, a metà
strada tra la Cina e l'Europa.
Bastava "gettare la rete" e i pesci sarebbero entrati. Servivano i
capitali per costruire le infrastrutture ma dov'era il problema?
Riad ha le più grandi riserve di greggio al mondo, facili da
estrarre, ne produce 10 milioni di barili al giorno, pari a 300
miliardi di dollari all'anno. Un flusso senza fine, solo da
indirizzare nel verso giusto.
Mbs ha voglia di mettere in pratica la lezione. Troppa. Smania. Da
ministro della Difesa, nel 2015, scatena l'offensiva contro i
ribelli sciiti Houthi nello Yemen, un anno dopo quasi dichiara
guerra all'Iran, con l'esecuzione dell'imam Nimr al-Nimr. Nel 2017 è
principe ereditario, elimina il cugino Mohammed bin Nayef, sequestra
e picchia il premier libanese Saad Hariri, rinchiude cento principi
e uomini d'affari al Ritz-Carlton di Riad, per farsi dare 100
miliardi di dollari da investire nel suo sogno a occhi aperti, la
Vision 2030. Impone l'embargo economico e il blocco al Qatar,
colpevole di sostenere i Fratelli musulmani, suoi mortali nemici,
quanto se non più degli iraniani. È un turbine che si conclude con
l'uccisione dell'editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi,
il 2 ottobre del 2018. L'establishment Usa gli si scatena contro, al
G20 di Buenos Aires è isolato. Biden, appena arriva alla Casa
Bianca, lo dichiara un "paria".
La Vision 2030 però va avanti, la modernizzazione anche. Via l'abaya,
il soprabito nero imposto alle donne, che ora possono guidare e
andare in viaggio da sole. Via i visti per europei, americani,
ricchi asiatici, per lanciare il turismo, con il sito di Al-Ula che
diventa la «seconda Petra». E sport. Rally, Formula 1, tantissimo
calcio. L'America è più lontana. La Russia di Putin no, con lo Zar
stringe un patto per alzare il prezzo del petrolio, da 40 a 80
dollari, la soglia giusta, nasce l'Opec+. La Cina diventa il suo
primo cliente.
Mbs non ha più voglia di guerre. Non con Israele. Gli Emirati
firmano gli Accordi di Abramo. Lui è tentato, ma un altro suo spin
doctor, il ministro del petrolio Abdulaziz bin Salman Al Saud,
l'inventore dell'Opec+, gli suggerisce di alzare la posta, e
chiedere una soluzione per i palestinesi, in modo da mettersi alla
guida dell'opinione pubblica araba moderata. Scelta saggia. Lo
stesso Al-Saud lo spinge a far la pace anche con l'Iran, mediata dai
cinesi.
Mbs non vuole più guerre, ma due guerre lo aiutano a tornare al
centro dei giochi internazionali. Da protagonista, altro che paria.
L'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2021 scatena una crisi
energetica spaventosa e Biden è costretto a venire a Canossa, vale a
dire a Gedda, e stringere la sua mano «insanguinata». E poi arriva
il 7 ottobre, l'orrendo massacro di Hamas, la distruzione di Gaza
nella rappresaglia israeliana. Il segretario Antony Blinken chiama
tutti gli alleati arabi, fa la spola tra le capitali, è costretto a
fare anticamera a Riad. Il qatarino Al-Thani media per gli ostaggi
ma senza Riad non ci sarà la ricostruzione, l'Egitto non può reggere
la crisi, è il ministro degli Esteri saudita a guidare l'offensiva
diplomatica arabo-musulmana, e può parlare con tutti, cinesi, russi,
europei, americani. Il Qatar ha avuto il Mondiale 2022, Dubai l'Expo
2020, Mbs avrà quella 2030 e il Mondiale 2034. I petrodollari
comprano tutto. Forse anche la pace in Medio Oriente.
FALSI AMICI DELL'ITALIA CHE MELONI NON VUOLE VEDERE : Il
presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, è in Arabia
Saudita, nella sua prima tappa di un tour in Medio Oriente
organizzato - a margine della partecipazione alla Conferenza delle
Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Cop28) di Dubai - alla
ricerca di nuovi investitori per il piano di opere pubbliche
inserite nel Programma di accelerazione della crescita (Pac)
lanciato dal governo. «Presenteremo progetti di investimento in
Brasile e incrementeremo le relazioni commerciali e di partnership
nei settori energetico, agricolo e industriale», ha annunciato Lula.
Il capo dello Stato brasiliano incontrerà il principe ereditario,
Mohammed bin Salman, e parteciperà a incontri con imprenditori
locali organizzati dalla compagnia aeronautica brasiliana Embraer e
dall'Agenzia brasiliana per la promozione delle esportazioni e degli
investimenti. Il Brasile non ha mantenuto la promessa fatta
all'Italia da Lula di votare la candidatura di Roma, perché non ha
partecipato alle elezioni. Nemmeno l'Albania di Edi Rama ha votato
per il nostro Paese. La premier Meloni ci contava, almeno così
sembrava dagli scorsi mesi, dalle vacanze di agosto della premier
nel Paese delle aquile. Invece, Tirana ha dato la sua preferenza a
Riad, nonostante il tanto decantato accordo bilaterale sui migranti
e i rapporti amici tra i due leader.
SOLDI PER COPRIRE 90 MILIARDI DELLA TRUFFA SUPERBONUS : Tutte
le banche d'affari lo avevano scritto in tempi non sospetti: la
migliore ciambella di salvataggio per l'Italia nell'era dei tassi
alle stelle sarebbero state le erogazioni del Piano nazionale di
ripresa e resilienza. E così sta accadendo. Ieri la Commissione
europea ha dato il via libera al pagamento della quarta rata del
Recovery Plan. Vale 16, 5 miliardi e spinge il totale delle risorse
erogate a 102 miliardi, più della metà dei 194 complessivamente
previsti dagli accordi firmati tre anni fa dal governo Conte e
rivisti la scorsa settimana. Giorgia Meloni esulta, e in effetti le
premesse con le quali era iniziata la sua esperienza di governo non
promettevano bene. La centralizzazione dei poteri di gestione a
Palazzo Chigi è costata mesi di ritardi, ma ora la strategia sta
portando risultati. Il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto
e il suo staff sono l'unico interlocutore con gli uffici della
Commissione. Nel difficile lavoro di rinegoziazione del Piano
l'operazione ha funzionato.
L'aver ottenuto 102 miliardi non significa comunque il successo a
prescindere del Pnrr: una volta ottenuti, i fondi vanno spesi e
rendicontati, tenuto anche conto del fatto che meno di un terzo del
piano è concesso a fondo perduto – circa 69 miliardi – il resto è a
prestito. Il conto delle prime quattro rate dice che l'Italia ha già
ottenuto 41 miliardi "gratis" dall'Unione, altri 60, 9 miliardi sono
stati ottenuti a tassi vantaggiosi. «Dobbiamo attuare pienamente il
Pnrr per rendere l'Italia più competitiva», ha detto la premier in
un video diffuso sui social network pochi minuti dopo il sì di
Bruxelles. Secondo le ultime stime del Ragioniere generale dello
Stato Biagio Mazzotta, il sistema Italia fin qui è riuscito a
spendere solo 46 dei 102 miliardi ottenuti, 26 dei quali utilizzati
per i superbonus edilizi e gli investimenti in innovazione delle
imprese. A precisa domanda, Fitto ha detto che «dopo il
completamento della revisione potremo entrare nel merito delle
cifre» ed ha rinviato alla relazione semestrale al Parlamento sullo
stato di attuazione del Piano «a dicembre».
Uno dei problemi più grossi, su cui Fitto ha promesso una soluzione
in tempi rapidi, è la restituzione ai Comuni dei dieci miliardi di
opere minori definanziate con la revisione, e i cui cantieri sono in
molti casi già partiti. Secondo le stime del presidente
dell'Associazione dei Comuni e sindaco di Bari Antonio Decaro i
fondi spesi ammontano a tre miliardi. «Chiediamo certezze sui
finanziamenti», dice Decaro. La revisione del Piano e i tempi ormai
stretti per la rendicontazione dei cantieri (agosto 2026)
costringono a correre. Un caso di scuola è quello dei fondi per
l'agricoltura, che grazie alla revisione salgono da 3, 6 a 6, 5
miliardi. «Ora bisogna sostenere la capacità di investimento delle
aziende», spiega il direttore generale di Confagricoltura Annamaria
Barrile. La quarta rata appena ottenuta era quella in scadenza il 30
giugno di quest'anno. A luglio il governo aveva chiesto la modifica
di dieci dei ventisette obiettivi, poi saliti a undici. Fra le
richieste, la rimodulazione di una tranche di fondi per finanziare
quel che resta da pagare allo Stato del superbonus dell'edilizia,
l'ampliamento dei posti negli asili nido (l'obiettivo iniziale era
di 265mila posti, sono scesi di circa centomila), la riduzione del
numero complessivo delle colonnine di ricarica elettrica. Si era
invece aggiunto (perché stralciato dalla terza rata), l'obiettivo
intermedio per l'aumento dei nuovi alloggi per gli studenti
universitari.
L'UOMO CHE HA CAMBIATO SALVINI: La Corte di Cassazione ha
confermato ieri la condanna a 5 anni 6 mesi per l'ex senatore ed ex
banchiere Denis Verdini per bancarotta fraudolenta nel fallimento
della Società Toscana di Edizioni che pubblicava il Giornale della
Toscana.
Confermate anche le condanne degli altri imputati, 5 anni all'ex
deputato di Forza Italia Massimo Parisi, 3 anni ciascuno a Girolamo
Strozzi Majorca, Pierluigi Picerno e Gianluca Biagiotti in qualità
di amministratori della Ste. Il procuratore generale della
Cassazione aveva chiesto l'annullamento della sentenza della corte
di appello di Firenze nel maggio 2022 ma i giudici hanno dichiarato
inammissibili i ricorsi degli imputati. Per motivi di salute Denis
Verdini sta già scontando ai domiciliari, nella sua abitazione di
Firenze, una precedente condanna definitiva a 6 anni 6 mesi per il
crac del Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di cui è stato
presidente 20 anni.
FINALMENTE : Svolta nell'inchiesta sull'incidente costato la vita a
cinque operai travolti da un treno Anche l'azienda nel mirino della
procura: perquisizioni e sequestri a Torino e Roma
Brandizzo, faro su Rfi Indagati due dirigenti per la strage sui
binari
giuseppe legato
claudia luise
torino
Che l'inchiesta della procura di Ivrea sulla strage ferroviaria di
Brandizzo, in cui hanno perso la vita cinque operai della ditta
Sigifer travolti da un convoglio di 11 vagoni mentre lavoravano sui
binari - senza interruzione di linea - la notte tra il 30 e il 31
agosto scorsi, avrebbe prima o poi investito anche Rfi era qualcosa
di più di un ragionamento logico. «Sono i padroni di casa» era un
refrain ricorrente tra gli investigatori. «I binari li gestiscono
loro». L'assunto fa il paio con quanto accaduto ieri: due manager
dell'azienda sono indagati dai magistrati. Si chiamano Gaetano
Pitisci e Andrea Bregolato: in linea diretta, ma non immediata, sono
i superiori di Antonio Massa, caposcorta ai cantieri di Rfi,
principale indagato per questa tragedia. Massa è l'uomo che –
secondo i pm – diede il via libera agli operai a lavorare sui binari
senza avere l'autorizzazione della dirigente movimento di Chivasso.
I neo-indagati rispondono di omicidio colposo plurimo e disastro
ferroviario colposo. Hanno profili collegati ma differenti. Pitisci,
ingegnere, ad esempio, è considerato un direttore lavori.
Responsabile di diversi cantieri nell'area attorno a Brandizzo. È –
per capirci – l'uomo che decide il frazionamento degli appalti.
Quanto devono durare i singoli interventi, quanto è congruo spendere
per pagare le ditte incaricate dei lavori. Più di una volta –
secondo l'ipotesi di reato contestata – Pitisci avrebbe concesso la
cosiddetta deroga implicita, cioè una contrazione di tempi (e quindi
costi) per accelerare la manutenzione, che ha chiaramente un effetto
sulla sicurezza generale del cantiere. Questo istituto della deroga
– sempre secondo i pm - non sconfina nel reato fino a quando si
tratta di appalti non programmati (quindi urgenze). Ma quello di
Brandizzo era calendarizzato da mesi. Per la proprietà transitiva
gli inquirenti immaginano che il tempo stimato per quell'intervento
potrebbe essere stato troppo breve. Da qui la discesa sui binari
prima dell'inizio ufficiale e senza interruzione di circolazione. Il
secondo profilo, quello di Bregolato, è questo: ha mansioni di
gestione degli appalti ed è coordinatore della «sicurezza in
esecuzione», se ne deduce che la procura contesti – a che grado non
è noto – eventuali profili di omissione in tal senso. Sui controlli
negli appalti? Sul rispetto delle regole basilari di sicurezza? Si
vedrà.
Ieri mattina la polizia giudiziaria ha consegnato anche una
comunicazione giudiziaria a Gianpiero Strisciuglio, amministratore
delegato di Rfi. Che non è accusato di alcunché, ma che - come
responsabile legale dell'azienda - ha appreso che la stessa società
di cui è responsabile legale, è iscritta nel registro degli indagati
come persona giuridica. L'azienda Rfi – difesa dal legale Luigi
Chiappero - è chiamata in causa dalla procura di Ivrea in base al
principio, sancito dalla legge 231, secondo il quale è prevista la
responsabilità amministrativa dell'impresa nei casi di omicidio
colposo riconducibili a violazioni delle norme sulla sicurezza sul
lavoro. Nelle sedi dell'azienda, su indicazione dei pubblici
ministeri eporediesi, è stata prelevata la documentazione relativa
all'organizzazione interna dei servizi - deleghe, organismi di
garanzia, procedure - in materia di tutela dei lavoratori. E ancora:
accordi quadro in materia di prevenzione incidenti, protocolli che
regolano i controlli sui cantieri anche in regime di sub appalto: un
elenco infinito di richieste nonostante Rfi, nelle scorse settimane,
abbia consegnato alla procura copioso materiale richiesto prima
della formalizzazione delle accuse.
L'azienda, che da ieri mattina (e fino al tardo pomeriggio) ha
subito perquisizioni e sequestri negli uffici di Torino Porta Nuova,
Lingotto e Roma - ha diramato una nota in cui spiega di aver fornito
«la massima collaborazione in assoluta trasparenza alla polizia e
agli organi inquirenti che stanno indagando sulla causa
dell'incidente». Nel frattempo è stata depositata la consulenza
sulla scatola nera del treno che investì gli operai. Dalla relazione
vengono escluse responsabilità del macchinisti.
VACCINATI A RISCHIO Polmoniti in Cina
"Dati sottostimati, il Covid rialza la testa A Natale doppio picco
con l'influenza"
"
Gianni Rezza
Vaccinazioni flop
Ondata di influenza
Paolo Russo
ROMA
Gianni Rezza, ex direttore della Prevenzione al ministero della
Salute, ora professore straordinario di Igiene all'Università San
Raffaele di Milano, non vede pericoli nel boom di polmoniti in Cina,
ma lancia l'allarme per Natale quando si sommeranno il picco del
Covid con quello dell'influenza. Con i fragili non vaccinati per
errori nella logistica e cattiva organizzazione.
Rezza, in che misura dobbiamo preoccuparci di questa ondata di
polmoniti in Cina?
«Diciamo subito che dopo quanto accaduto con il Covid vorremmo avere
dalla Cina dati più dettagliati. Premesso ciò, in base alle
informazioni che abbiamo l'allarme non c'è perché parliamo di un
batterio, il Mycoplasma pneumoniae, che è sempre circolato anche da
noi e che genera quelle che noi chiamiamo "walking pneuomonia", la
polmonite che passeggia, perché raramente porta al ricovero. E poi
se ci fosse un batterio o un virus nuovo si ammalerebbero tutti,
invece vediamo che le polmoniti si stanno diffondendo soprattutto
tra i bambini».
Come mai?
«Perché la Cina è stata in lockdown fino solo a un anno fa e lì, nel
bene e nel male, la quarantena era una vera e propria reclusione.
Quindi è plausibile la spiegazione che loro danno, ossia che la
maggiore circolazione di questo batterio sia dovuta al fatto che i
più piccoli sono venuti su senza mai incontrarlo, diventando così
suscettibili a contrarre le infezioni».
Però anche in Francia si è avuto un aumento del 34% delle polmoniti
tra i bambini.
«Se è per questo anche in Olanda. Ma chi cerca trova e i sistemi di
sorveglianza, allertati dopo le notizie dalla Cina, stanno scoprendo
casi che sarebbero rimasti nascosti. Un aumento delle polmoniti,
così come di bronchioliti da virus sinciziale tra i più piccoli, è
possibile che si verifichi anche da noi. Anche se credo in misura
minore, perché in Italia le misure di isolamento sono finite prima
ed erano comunque meno rigide».
Come si cura questa forma di polmonite batterica?
«Con normali antibiotici della famiglia delle tetracicline, come la
doxicilina, o del gruppo dei macrolidi, come la claritromicina, l'eritromicina
o l'azitromicina».
Si dice però che il Mycoplasma pneumoniae sia resistente ad alcuni
tipi di antibiotici...
«Poiché le polmoniti che genera portano raramente
all'ospedalizzazione, non è tra i più studiati per le
antibiotico-resistenze. Può essere che abbia sviluppato qualche
forma di resistenza verso l'azitromicina, della quale i No Vax hanno
fatto uso improprio durante la pandemia, ma esistono comunque molte
alternative terapeutiche per tenere sotto controllo queste polmoniti
batteriche».
Come siamo messi invece con il Covid?
«Ne gira parecchio. Lo dicono i dati ufficiali, anche se ampiamente
sottostimati, e lo si percepisce solo guardandosi intorno. Sapevamo
che con il primo vero freddo avrebbe rialzato la testa, come fanno
tutti i virus respiratori. L'importante è che non faccia troppi
danni. Omicron ha una virulenza minore rispetto a Delta, però tra
persone debilitate, anziani soprattutto se più in là con gli anni e
immunodepressi può fare ancora danni seri quando si è persa la
protezione del vaccino. Per ora registriamo un lento aumento delle
ospedalizzazioni, ma la situazione potrebbe peggiorare se i contagi
continueranno ad aumentare e le vaccinazioni non decolleranno».
Perché finora la campagna vaccinale è stata un flop?
«Per tre ordini di motivi. Il primo è la stanchezza vaccinale,
subentrata per via del fatto che non essendo il Covid un virus
stagionale come l'influenza ha costretto a fare più somministrazioni
in corso d'anno. Poi ci sono stati problemi non risolti di logistica
che hanno fatto arrivare in ritardo le fiale in diverse regioni, che
a loro volta non hanno stipulato o lo hanno fatto in ritardo gli
accordi per le vaccinazioni in farmacia. Ed è chiaro che, se uno è
già indeciso e poi trova anche degli ostacoli, finisca per tirarsi
indietro. Terzo, ogni fiala contiene sei dosi e questo richiede ai
medici di famiglia di organizzare gruppi di pazienti per non
sprecare i vaccini. Si sarebbe dovuto passare alla chiamata attiva
dei più fragili ma non è andata così».
Il monitoraggio settimanale dell'Iss va ancora bene o si potrebbe
fare di meglio?
«Il registro di sorveglianza dei dati sottostima i contagi perché si
basa sui test che non fa quasi più nessuno. Bisognerebbe passare
anche per il Covid, come si fa per gli altri virus, al sistema di
rilevazione dei medici sentinella. Purché ci sia una buona adesione
da parte dei medici stessi. E per questo c'è ancora da lavorarci
su».
Anche di influenza ne gira molta?
«In realtà no perché tosse e mal di gola che osserviamo in giro
questi giorni sono provocati soprattutto da rinovirus e altri virus
parainfluenzali. L'ondata di influenza arriverà più tardi,
probabilmente dopo Natale. Il problema è che potrebbe sommarsi al
picco del Covid, con il rischio di ingolfare i pronto soccorso e i
reparti ospedalieri».
Cosa bisognerebbe fare per evitare che ciò avvenga?
«Ovviamente vaccinare la popolazione più a rischio. Poi a costo di
essere impopolare dico anche di consigliare ai più fragili l'uso
delle mascherine in situazioni di promiscuità. Non da ultimo
andrebbe chiesto ai medici di famiglia uno sforzo per tenere aperti
più a lungo i loro studi, mentre le ex guardie mediche dovrebbero
fare più visite a domicilio. So che i medici sul territorio sono
sotto organico ma in questo momento serve uno sforzo collettivo». —
NON C'E FUTURO : Domani inizia a Dubai il più importante
appuntamento di diplomazia climatica dell'anno, la Cop28 – dove Cop
significa "Conferenza delle parti", organizzata dalle Nazioni Unite,
e 28 è il numero dell'edizione, una all'anno dal 1995 (escluso il
2020). Come arriva il mondo all'evento? Come i bambini al
primo giorno di scuola: distratti dall'estate e senza aver fatto i
compiti per le vacanze. Fuori di metafora: il mondo ribolle, guerre
e crisi attirano le principali attenzioni, e gli Stati sono
lontanissimi da risultati concreti, nonostante anni di solenni
promesse. Oltre ai progressi mancati, ieri è arrivata un'altra
pessima notizia. Papa Francesco ha annunciato di non riuscire a
partecipare all'evento per motivi di salute. Sarebbe stato il primo
pontefice a partecipare a una Cop. Negli scorsi mesi aveva
pubblicato l'aggiornamento alla sua enciclica ambientale Laudato Si'
chiedendo progressi globali in materia di giustizia climatica. Non è
l'unico assente illustre: Biden e Xi hanno già dato forfait (mentre
rimane confermato re Carlo III). La Cop inizia ancora più in salita
del previsto.
La febbre del Pianeta
Inquadriamo il contesto. Il 2023 sarà l'anno più caldo di sempre
secondo le proiezioni dell'ente europeo Copernicus. La media delle
temperature globali ha già superato la soglia di +1,2°C (1,3°C
secondo stime più aggiornate) rispetto l'era pre-industriale. Da
quando bruciamo petrolio, gas e carbone la concentrazione di
anidride carbonica (la famigerata CO? che genera l'effetto serra)
nell'atmosfera ha raggiunto livelli mai visti nella storia della
civiltà umana: oltre 420 parti per milione (+40% rispetto i livelli
massimi raggiunti negli ultimi 800.000 anni). L'indicatore della CO?
è ancora più importante della temperatura. Per fare un altro
paragone, è come impostare la potenza del forno: la temperatura si
assesta più lentamente. Con gli Accordi di Parigi (Cop 21) gli Stati
avevano raggiunto l'accordo di limitare il surriscaldamento entro i
+2°C e possibilmente intorno a +1,5°C, l'unica soglia considerata
sicura dagli scienziati.
Il divario nelle emissioni
L'ente dell'Onu che organizza le Cop, l'Unfccc, ha quantificato il
divario tra promesse e realtà. L'Onu ha preso il riferimento delle
emissioni 2019: per rallentare il surriscaldamento globale e
dimezzare le possibilità di superare i +1,5°C, i Paesi dovrebbero
ridurre le emissioni globali del 43% entro il 2030. Ma per come ci
stiamo comportando finora siamo destinati a una riduzione di appena
il 2%. Una bocciatura completa. Nelle prossime due settimane di
negoziati, l'obiettivo è rimettersi in carreggiata. È questo uno dei
primi obiettivi di Dubai: accettare che il "Global stocktake", il
bilancio da fare ogni 5 anni sugli obiettivi raggiunti o
dimenticati, diventi uno strumento non solo di mero studio ma una
roadmap per correggere gli errori.
Fonti fossili e rinnovabili
Negli Emirati Arabi Uniti saranno presenti 70.000 delegati da tutto
il mondo. Nella prima settimana aspettiamo annunci da parte di
singoli Stati o gruppi di Paesi: nuovi progetti e promesse "verdi".
Nella seconda settimana invece si entrerà nel vivo dell'accordo
finale. A guidare i lunghissimi negoziati, in cerca di un documento
approvato all'unanimità, ci sarà il sultano Al-Jaber, ministro del
Paese e amministratore delegato dell'azienda petrolifera Abu Dhabi
National Oil Company. Nell'ultimo anno ha provato a convincere il
mondo della sua buona fede, ma proprio due giorni fa un'inchiesta
giornalistica ha rivelato i suoi piani sotterranei per siglare
durante l'evento nuovi accordi di estrazione.
Proprio sul tema dei combustibili fossili si gioca la partita più
importante. L'Agenzia internazionale per l'energia sostiene che non
si possano più avviare nuovi progetti di estrazione, ma i Paesi
ricchi di oro nero e idrocarburi sperano che i negoziati possano
permettere eccezioni. Sarà con tutta probabilità messo nero su
bianco l'impegno globale di triplicare la produzione di energia
rinnovabile entro il 2030, forse il risultato più importante sul
tavolo (ma i Paesi più "verdi", incluso il blocco Ue, non vogliono
che questo giustifichi gli Stati più inquinatori).
La finanza e gli aiuti
L'anno scorso la Cop27 si era chiusa con un risultato storico: era
stato riconosciuto il principio della giustizia climatica (chi ha
inquinato di più, cioè l'Occidente è responsabile e deve sostenere i
Paesi più vulnerabili). Era stato approvato il fondo Loss and Damage,
ma il dibattito si è arenato sul funzionamento e la gestione dei
flussi di denaro. Lo stesso si può dire della finanza verde, grande
mito e grande promessa delle Cop ma dai meccanismi operativi ancora
lenti.
Ecco perché le Cop sono come il primo giorno di scuola: arriviamo
impreparati, pieni di grandi speranze per il nuovo anno. Pronti con
le nostre promesse di studio, consapevoli che una parte sarà
disattesa. Speriamo non tutte.
STIAMO MORENDO MA NON VOGLIAMO ACCORGERCENE RIFIUTANDO L'H2:
«Diamo sempre per scontata la salute, nostra e del pianeta.
Nonostante i grandi progressi, ci sono ancora molte vulnerabilità:
il cambiamento climatico è tra queste». La virologa Ilaria Capua da
decenni si occupa di salute globale. Sarà collegata oggi per il
convegno organizzato da Amref a Torino dedicato a "One Health", una
concezione triplice della salute: salute umana, animale e
dell'ambiente vanno affrontate insieme.
Professoressa, a confronto dei rischi del cambiamento climatico, il
Covid era solo un "assaggio"?
«Sono due fenomeni diversi. Ma sono sintomi della stessa patologia,
ovvero la mancanza di rispetto per ciò che ci circonda. La pandemia
ci ha aperto gli occhi su questo rapporto, il cambiamento climatico
sta avendo lo stesso effetto. Dopo decine di anni in cui ne
parlavano solo gli scienziati, ora lo vediamo tutti. Per il caldo
record, gli eventi meteo estremi. Ci stiamo avvicinando a un punto
di rottura con un sistema che ci ospita, che è un sistema chiuso».
Cosa intende per sistema chiuso?
«Faccio un esempio: avete presente i terrarium, quelle teche o vasi
chiusi al cui interno vengono messe delle piante? Ecco il nostro
Pianeta è la stessa cosa: le sue risorse non sono infinite e i
nostri gesti nei suoi confronti non sono privi di conseguenze. Il
mare non è lo scarico dove buttare tutta la plastica del mondo,
alberi e oceani non possono assorbire tutte le emissioni in eccesso.
Le zoonosi, ovvero le malattie che si trasferiscono da animali a
uomo sono in crescita a causa dei disequilibri causati dall'essere
umano. Oggi lo sappiamo e non possiamo più voltare lo sguardo
dall'altra parte».
La rivista Lancet ha ricordato come l'aumento di temperature ha
aumentato dell'85% le morti globali nella popolazione anziana
rispetto 10 anni fa. Come si affronta il climate change dal punto di
vista della salute pubblica?
«Affrontandolo in maniera multidisciplinare, circolare e
sostenibile. Lo stesso concetto di "One health", molto dibattuto da
medici e veterinari, necessita di essere aggiornato. La pandemia, e
il nostro modo di reagire al virus, con la diffusione del
negazionismo, ha dimostrato che è necessario lavorare anche a
livello antropologico, sulla comunicazione e il mondo
dell'informazione. Ci sono molti fattori che influenzano la salute
pubblica, forze legate al nostro comportamento sociale che vanno
affrontate».
Può fare un esempio "pratico"?
«Uno dei fattori più dirompenti degli ultimi anni è l'inquinamento
da plastica, e in particolare le microplastiche. Hanno ripercussione
su tantissimi ambiti, dalla biodiversità alla salute umana, visto
che ne hanno trovato tracce persino nel cordone ombelicale dei
neonati. Secondo uno studio ingeriamo una quantità di plastica pari
a una carta di credito a settimana, sette grammi. La plastica ha un
forte potere legante, che attira a sé molecole tossiche, metalli
pesanti. Questo ruolo di veicolo di sostanze tossiche potrebbero
causare effetti sulla nostra salute».
C'è una bussola da tenere sempre a mente?
«Il principio guida ce lo insegnano i greci, che avevano capito
tutto senza poterlo dimostrare scientificamente. Acqua, terra, aria,
fuoco. La salute globale è governata dall'equilibrio di questi
elementi, e dell'equilibrio che c'è tra di loro. Abbiamo il compito
di non perturbare l'equilibrio, e lavorare agli obiettivi di
sostenibilità dettati dalle Nazioni unite: così si ottengono
benefici ad ampio spettro».
Eppure continuiamo a inquinare, e il negazionismo è pervasivo. Come
trova motivi di speranza?
«Il negazionismo della pandemia ha aggravato la situazione. Succede
la stessa cosa con il cambiamento climatico. Perciò io credo che
investire in consapevolezza possa avere un potere enorme. Sono le
persone a generare grandi cambiamenti, non i politici. Ho anche
fiducia nella ricerca e nell'educazione: se le risorse economiche
vanno nella direzione giusta possiamo ottenere grandi risultati»
LA PUBBLICITA' DEL VELENO CHE INGURGITIAMO: La 28° conferenza
sul clima delle Nazioni Unite (Cop28) che inizierà domani a Dubai
prende il via in un'atmosfera poco confortante. L'assenza di Biden e
di Xi Jinping è sintomo di un progressivo disinteresse? E il forfait
all'ultimo di Papa Francesco per malattia depotenzierà il summit?
Per il secondo anno di fila, proprio mentre la crisi climatica si
manifesta in maniera dirompente e diffusa, la Cop si terrà in un
Paese, gli Emirati Arabi, con uno spazio civico chiuso, dove il
dissenso e la difesa dei diritti umani possono portare
all'incarcerazione. Nei vertici multilaterali del genere la presenza
della società civile che si mobilita per chiedere maggiori impegni è
fondamentale. E lo è ancora di più quando è ormai certo che il 2023
sarà l'anno più caldo mai osservato: a novembre abbiamo superato per
la prima volta i 2°C di aumento della temperatura media globale su
base giornaliera. Non esagera dunque Guterres, Segretario Generale
dell'Onu, ad affermare che è finita l'era del riscaldamento globale
ed è arrivata quella dell'ebollizione. I toni sono meno drammatici,
ma la conclusione a cui giunge il sesto rapporto di valutazione del
IPCC, il report scientifico più autorevole sui cambiamenti
climatici, è la medesima: dobbiamo agire urgentemente. È ancora
nelle nostre possibilità limitare l'aumento della temperatura a
1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, così come siglato da 195
Paesi nell'Accordo di Parigi del 2015. Cito questo accordo perché
durante la Cop28 si analizzeranno i risultati di quell'incontro.
Sappiamo già che i progressi fatti sono insufficienti. La governance
globale presente al vertice saprà fornire soluzioni concrete e
ambiziose che consentano all'umanità di rimettersi in carreggiata
nella riduzione delle emissioni? Questo è il vero riscontro che
attendiamo.
In mezzo allo sconforto c'è una nota positiva: dopo che la Cop27 ha
ideato per la prima volta un padiglione al cibo, quest'anno la
trasformazione dei sistemi alimentari è tra le priorità dell'agenda
del vertice. Il 10 dicembre sarà dedicato ad alimentazione,
agricoltura e acqua con numerosi eventi tematici e un incontro
istituzionale di alto livello. Contestualmente gli Emirati Arabi
stanno predisponendo una dichiarazione su agricoltura sostenibile,
sistemi alimentari resilienti e azione climatica. D'altronde i
sistemi alimentari nel loro complesso - produzione, trasformazione,
trasporto e consumo - sono responsabili del 35% delle emissioni di
gas serra. Trascurarli o trattarli parzialmente è stata una grave
mancanza. Dico questo anche perché i sistemi alimentari hanno la
particolarità di essere una sorta di Giano Bifronte;
contemporaneamente carnefici e vittime del mutare del clima. A causa
del riscaldamento, del cambiamento nelle precipitazioni,
dell'aumento in frequenza e intensità di eventi estremi, la crisi
climatica sta infatti impattando negativamente sulla sicurezza
alimentare e idrica di migliaia di comunità nel mondo (specialmente
le più vulnerabili che storicamente hanno contribuito meno a
causarla). Le conseguenze sono legate a una minore disponibilità di
cibo, a una inferiore qualità della dieta e un aumento di malattie
legate alla nutrizione. La positività data dalla rilevanza che avrà
il cibo deve però essere accompagnata da cautela e da un attento
monitoraggio dei contenuti che entreranno o meno a far parte del
dibattito. Cito quello più scomodo: non si può pensare di
trasformare i sistemi alimentari senza affrontare le radici
dell'attuale insostenibilità. È giunto il tempo di dismettere il
modello agroindustriale che ha dominato negli ultimi cinquant'anni
causando perdita di biodiversità, deforestazione, degrado e
contaminazione di suolo e acqua. Un sistema che in nome della
produttività ha brevettato i semi e ha imposto agli agricoltori di
piantarli su ampie distese di monoculture privandoli così della loro
sovranità alimentare, che ha legittimato lo spreco alimentare come
una variabile fisiologica al sistema, e che ha creato un binomio
quasi indissolubile tra produzione di alimenti e consumo di fonti
fossili; ormai utilizzate in tutte le fasi della filiera: dalla
fabbricazione di fertilizzanti e pesticidi, passando per gli
imballaggi plastici, il trasporto, senza tralasciare la produzione
vera e propria del cibo. Si stima che i sistemi alimentari siano
responsabili di almeno il 15% dei combustibili fossili bruciati. In
questo senso la transizione energetica verso fonti rinnovabili è
condizione necessaria alla transizione dei sistemi alimentari. Il
fatto che il presidente della Cop28, il Sultano Ahmed al Jaber, sia
anche il capo dell'11° azienda per produzione globale di petrolio e
gas, non fa ben presagire. Così come non lo fa l'assenza dal
programma dell'agroecologia; pratica riconosciuta dalla FAO, dall'IPCC
e da molteplici movimenti per il contributo positivo che la sua
adozione ha sulla salute del pianeta e delle persone. Trovano invece
ampio spazio innovazioni tecnologiche quali l'agricoltura climate
smart, la carne sintetica, l'applicazione dell'intelligenza
artificiale al settore agroalimentare etc., che non mettono in
discussione il modello lineare, industriale ed estrattivista.
Senza cambio di paradigma, senza riconciliazione con la natura è
però difficile immaginare come poter raffreddare l'ebollizione
globale. Il tempo stringe ed è dovere dei presenti alla Cop28 usarlo
sapientemente.
ART.21 DELLA COSTITUZIONE ? Don Ruggero Marini, 72 anni, è un
parroco di solidarietà militante, di attenzione agli ultimi, di
tutela dei più fragili, di lotta per le minoranze. Nessun timore a
schierarsi, nemmeno quando la questione è politica. La sua omelia
del 3 gennaio 2021, però, è stata considerata dai giudici oltre i
limiti e il parroco di La Loggia è stato condannato per diffamazione
al pagamento di 400 euro.
Dal pulpito, don Marini aveva elogiato la scelta del sindaco
Domenico Romano di demansionare due fuzionari comunali. «Lo voglio
dire ad alta voce, ringrazio il sindaco per queste nuove scelte.
Rivisitando dei ruoli ha finalmente sbloccato questo paese». Il
parroco aveva poi redarguito i dipendenti pubblici per aver causato
la «perdita di Ikea» e di altre «aziende». E di «aver messo in croce
tanti privati. Perché certe miopie o la visione del proprio
interesse lede il bene comune». E ancora. «Non è un totem il bene
comune: è fatto di bambini, di poveri, di malati, di anziani». Il
filmato della messa era stato pubblicato su Youtube e sulla pagina
facebook della parrocchia. L'omelia era finita sotto il faro della
procura e don Marini a processo per diffamazione aggravata «per aver
offeso - è scritto nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal
pubblico ministero Gianfranco Colace - la reputazione dei due
funzionari accusandoli di aver giocato sporco».
In molti, in quei giorni, si erano andati a confidare con don
Marini. A raccontare preoccupazioni. E lui ora non nasconde
l'amarezza. È vero, «le sentenze non si commentano, ma si
accettano». Spera però «in un intervento illuminato del vescovo a
tutela di noi parroci chiamati ad ascoltare e sostenere chi è in
difficoltà». Senza fare sconti a nessuno. Questa sentenza, aggiunge
don Marini, «la ritengo un impedimento alla mia libertà critica e al
mio ruolo di parroco». In particolare quando, «come pastore e
testimone del bene comune, sono stato chiamato in causa da numerose
persone che in quel momento non si sono sentite né tutelate né
protette».
28.11.23
Il disappunto di John Schmidtlein, avvocato di Google, dice tutto.
Neanche uno squalo del foro come lui […] è riuscito a trattenere una
smorfia quando il testimone – un “suo” testimone – ha rivelato il
segreto industriale che nessuno doveva conoscere.
“Trentasei per cento”, si è fatto scappare Kevin Murphy, professore
di economia chiamato a supportare le ragioni di Google e che invece
potrebbe aver fornito all’accusa, il governo degli Stati Uniti,
un’arma formidabile. Trentasei per centro: cioè il prezzo
dell’accordo che Google ha stretto con Apple, comprando il
privilegio di essere il motore di ricerca predefinito sugli iPhone
della Mela e retrocedendole in cambio oltre un terzo dei relativi
ricavi pubblicitari.
Per l’Antitrust americano è la pistola fumante, la prova che Google
limita la concorrenza, assicurandosi a suon di miliardi una quantità
di traffico e dati impareggiabile. Costruendo una barriera che
nessun concorrente può superare.
Uno squarcio dentro il processo economico del secolo, in cui la
prima sfida tra pubblica accusa e privata difesa è stata proprio
sulla trasparenza, con Google che ha lottato per secretare il più
possibile. Arriva all’ultima settimana di dibattimento, quando
sembrava che le carte fossero già tutte sul tavolo.
E invece, in un rocambolesco autogol, va agli atti il valore
dell’accordo degli accordi, quello che conduce a Google chiunque
acquisti un iPhone. Nei giorni scorsi il New York Times aveva
rivelato che nel 2021 erano stati retrocessi verso la Mela ben 18
miliardi di dollari.
L’infortunio del professor Murphy aggiunge il valore relativo, pure
più rilevante: per comprarsi quel privilegio Google rinuncia a oltre
un terzo degli incassi.
[…] La questione da dirimere è intuitiva: Google domina le ricerche
online – le nostre vite – perché è il migliore motore di ricerca o
perché usa il suo potere per tagliare fuori gli altri?
[…] per provare la condotta illecita il governo americano deve
dimostrare vari assunti: che la ricerca e la pubblicità sono mercati
ben definiti, che Google li domina, che lo fa attraverso pratiche di
esclusione. Punti che la società contesta uno ad uno, per esempio
dicendo che lo status “di default” […] non impedisce agli utenti di
cambiare impostazioni e usare un motore alternativo. Argomento
spalleggiato dalla stessa Apple, rivale di Google in molti campi ma
qui interessatissima alleata.
Eppure, […]la decisione di Amit Mehta, il giudice chiamato a
dirimere e, in caso di colpevolezza, rifare i connotati a Google,
potrebbe essere influenzata anche dalle impressioni. E il valore del
patto d’acciaio con Apple una certa impressione la fa. […]
PUTIN DIAVOLO FRA DIAVOLI INTERNAZIONALI : Come fanno gli
oligarchi di Mosca a sfuggire alle sanzioni di guerra? Com'è
possibile che restino padroni di società anonime, attive in tutto il
mondo, che controllano aziende, fabbriche, impianti di energia,
ville, alberghi, yacht, opere d'arte, squadre di calcio? È vero che
ci sono politici e giornalisti europei al soldo di Putin? A questi
dubbi risponde Cyprus Confidential, un'inchiesta giornalistica
internazionale che porta alla luce il lato oscuro del sistema
finanziario della piccola nazione europea di lingua greca.
Cipro è descritta da almeno vent'anni a livello internazionale come
«il paradiso degli oligarchi». Prima della guerra in Ucraina, le
banche dell'isola erano arrivate a gestire ricchezze russe per oltre
200 miliardi di dollari. Dal 2022, dopo l'attacco di Mosca a Kiev,
le autorità cipriote si sono impegnate ad applicare le sanzioni
contro il regime di Putin […]
L'inchiesta Cyprus Confidential mette in dubbio l'efficacia delle
sanzioni. I giornalisti hanno potuto esaminare una massa di
documenti riservati di sei grandi studi professionali, con base
nell'isola, che gestiscono società anonime per ricchi clienti di
tutto il mondo: dalle carte sono emersi i nomi di ben 96 oligarchi
sanzionati. Almeno 25 di loro risultano sottoposti ai vincoli
internazionali fin dal 2014. Ma hanno potuto continuare a muovere
fiumi di denaro, segretamente, con la copertura dei fiduciari della
nazione europea.
Cyprus Confidential è il nome di un'inchiesta, coordinata dal
consorzio Icij, che ha unito oltre 250 giornalisti di 55 Paesi, tra
cui L'Espresso in esclusiva per L'Italia. I cronisti di decine di
testate diverse hanno lavorato insieme per più di sei mesi, come una
redazione collettiva, per esaminare una montagna di carte riservate,
provenienti dai sei studi legali e fiscali di Cipro.
Si tratta di oltre 3,6 milioni di documenti ottenuti dai reporter
tedeschi di Paper Trail Media, con il contributo di DdoSecrets (Distributed
Denial of Secrets) e Occrp, che li hanno condivisi con i giornalisti
di Icij. […]
Tra gli studi frequentati dagli oligarchi russi c'è anche quello
fondato dal più importante avvocato e politico di Cipro, Nicos
Anastasiades, che è stato Presidente della Repubblica dal 2013 fino
all'inizio di quest'anno. Quando è diventato capo dello Stato, ha
ceduto l'attività professionale alle due figlie, che la gestiscono
tuttora. Mentre era presidente, Anastasiades ha incontrato più volte
Vladimir Putin a Mosca e si è impegnato pubblicamente a promuovere i
rapporti economici tra Cipro e la Russia. Nello stesso periodo, come
mostrano le carte riservate, lo studio di famiglia acquisiva la
gestione fiduciaria di ricchissime società anonime che risultano
controllate da miliardari russi sanzionati per i legami con il
regime di Putin. Alle domande dei giornalisti di Cyprus Confidential,
lo studio ha risposto che «nessuno dei nostri professionisti è mai
stato accusato di alcun tipo di illecito». E ha sottolineato che nel
2019, dopo i primi articoli della stampa internazionale sui rapporti
con alcuni oligarchi, «l'Agenzia anti-riciclaggio di Cipro ha aperto
un'indagine molto approfondita, che ha escluso qualsiasi
coinvolgimento del nostro studio in condotte illegali o attività
sospette».
I documenti alla base dell'inchiesta giornalistica partono dal 1995
e arrivano fino all'aprile 2022. Le carte provengono da sei studi di
consulenze legali e fiscali (ConnectedSky, Cypcodirect, Djc
Accountants, Kallias & Associates, MeritKapital, MeritServus) e da
un sito, I-Cyprus, gestito da una ditta della Lettonia, che pubblica
a pagamento gli atti ufficiali di tutte le società registrate a
Cipro.
I risultati dell'inchiesta dimostrano con ampia evidenza
l'importanza degli oligarchi nel sistema finanziario dell'isola: tra
i 104 miliardari russi censiti da Forbes, almeno 67, cioè due terzi,
sono clienti degli studi di Cipro, spesso con tutta la loro
ricchissima famiglia. Per ciascun oligarca, oltre a gestire le
società cipriote, i fiduciari amministrano costellazioni di
offshore, con sedi tra British Virgin Islands, Jersey, Panama, Dubai
e altri paradisi fiscali.
Tra i clienti russi degli studi di Cipro, l'inchiesta ha
identificato 44 «persone esposte politicamente»: politici, pubblici
ufficiali, dirigenti di aziende pubbliche, che le norme finanziarie
internazionali impongono di schedare, con i loro familiari, per
prevenire rischi di corruzione e riciclaggio, cioè per evitare che
possano usare società estere per nascondere tangenti o altre
ruberie. I loro nomi però restano scritti solo nelle carte riservate
dei fiduciari e consulenti, finora inaccessibili.
Cyprus Confidential rivela inoltre che quasi 800 società anonime
internazionali (trust e offshore) fanno capo a oligarchi russi
sanzionati fin dal 2014. In molti altri casi, le misure sono
scattate dopo l'aprile 2022, quando si fermano i documenti
disponibili, per cui non è possibile stabilire con certezza se e
quali professionisti ciprioti abbiamo continuato a lavorare per quei
clienti russi anche dopo le ultime sanzioni. Oggi tutti gli studi
interpellati sostengono di non aver mai violato le sanzioni
collegate alla guerra in Ucraina da quando sono entrate in vigore,
dopo la primavera 2022.
A Cipro operano anche colossi mondiali delle consulenze come la Pwc,
che ha una filiale locale con più di mille dipendenti. I documenti
interni mostrano che la sede di Cipro ha aiutato un ricchissimo
oligarca, Alexey Mordashov, a trasferire un tesoro da un miliardo e
mezzo di euro a misteriose società anonime: un'operazione molto
sospetta, perché risulta eseguita lo stesso giorno in cui il patron
della Severstal - il gigante russo dell'acciaio, energia e miniere,
che fino a pochi anni fa controllava anche l'ex Lucchini di Piombino
– veniva colpito dalle sanzioni internazionali.
Una serie di pagamenti riservati portano anche a Hubert Seipel,
giornalista tedesco, scrittore e personaggio televisivo, che da
qualche anno è impegnato a difendere pubblicamente il governo di
Mosca e la figura di Vladimir Putin, a cui ha dedicato due libri.
Seipel è stato ricevuto personalmente dal presidente russo e ha
anche diffuso le immagini di una battuta di caccia insieme a Putin.
Il giornalista, che oggi ha 73 anni, ha sempre respinto con veemenza
(«No!») l'accusa di aver ottenuto vantaggi economici in cambio
dell'appoggio a Mosca.
Le società anonime con base a Cipro sono state utilizzate anche da
personalità di molte altre nazioni. Tra i politici di fama
internazionale c'è l'ex campione di pugilato Vitali Klitschko,
eletto per due volte sindaco di Kiev: in passato aveva appoggiato un
presidente filo-russo, ma negli ultimi anni si è staccato da Mosca e
con l'inizio della guerra è diventato uno dei personaggi simbolo
della resistenza ucraina. Con lui, nelle carte delle offshore di
Cipro, è registrato suo fratello Vladimir.
Tra gli altri politici che hanno fatto scalo nel paradiso fiscale
europeo c'è l'ex ministro delle finanze austriaco, Karl-Heinz
Grasser, e un esponente in carica del governo della Guinea
Equatoriale.
Cipro è stata usata come base per trattative economiche segrete
anche da regimi dittatoriali. La Syrian Petroleum Company (Spc), la
compagnia petrolifera statale controllata dal governo di Bashar
Assad, ha trattato diversi affari, dal 2014 al 2019, utilizzando
come tramite una compagnia di Cipro. La Siria è finita sotto embargo
internazionale dal 2011, dopo la feroce repressione delle rivolte
popolari contro il regime, per cui le compagnie statali non hanno
più potuto firmare contratti direttamente con aziende occidentali.
Le carte ora mostrano che, attraverso lo studio Demetriades di
Cipro, la Spc ha comunque potuto ordinare attrezzature petrolifere a
una società americana.
I documenti disponibili descrivono nei dettagli le merci trattate,
ma negli studi di Cipro non ci sono le ricevute di consegna, per cui
non è chiaro se la Siria abbia effettivamente ottenuto quei prodotti
americani, in plateale violazione dell'embargo. Un portavoce della
compagnia statunitense ha assicurato al consorzio Icij di «non avere
trovato evidenze» che quelle forniture siano state eseguite. Ma se
erano solo parole, come mai le trattative commerciali sono andate
avanti per cinque anni, per prodotti sempre diversi? Dalle società
interessate, su questo punto, nessuna risposta.
A partire dal prossimo numero, in edicola da venerdì 17 novembre,
L'Espresso pubblica in esclusiva per l'Italia le notizie
dell'inchiesta Cyprus Confidential che riguardano aziende, luoghi e
personalità del nostro Paese.Nel luglio del 2017 – mentre Roman
Abramovich metteva sotto contratto per il Chelsea uno degli
allenatori in quel momento più quotati del mondo, l’italiano Antonio
Conte, con un contratto da 12,5 milioni di dollari all’anno per due
anni – una società delle Isole Vergini Britanniche di proprietà di
Abramovich pagava circa 13 milioni di dollari a Federico Pastorello,
un agente di calcio italiano che dichiarò al quotidiano The
Telegraph di essere stato «molto coinvolto quando [Conte] era
manager del Chelsea».
Non c’è prova che quei soldi della seconda transazione – che avviene
nelle stesse settimane del contratto ufficiale dell’allenatore del
Chelsea – abbiano a che fare con Conte, e non è emersa prova di
reati da parte di Conte. Ma la transazione offshore di Abramovich
verso Pastorello, schermata da un network opaco di società offshore,
solleva diversi inquietanti interrogativi, che riguardano sia il
mondo del calcio sia le operazioni di interferenza dei soldi opachi
russi nelle democrazie europee.
La transazione fa parte di una dozzina circa di accordi che
riguardano il mondo del calcio e che sono stati visionati dal
Consorzio di giornalisti investigativi Occrp, tutti accordi che
riguardano pagamenti effettuati da società offshore di Abramovich.
I file provengono dai leaks di Cipro dell’azienda fornitrice di
servizi aziendali MeritServus, sono stati ottenuti dal gruppo di
whistleblower Distributed Denial of Secrets e inizialmente condivisi
con Occrp e altre organizzazioni giornalistiche europee, in una
collaborazione investigativa globale guidata dall’International
Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) e da Paper Trail
Media.
Esperti di finanza dello sport sostengono che Abramovich potrebbe
aver usato questi metodi offshore e questi pagamenti di terze parti
per aggirare le regole sul fair play finanziario introdotto nel 2011
dalla Uefa.
Naturalmente c’è poi l’aspetto politico della questione: come gli
oligarchi russi hanno usato il calcio come pura leva di influenza in
Europa. Altri accordi multimilionari che emergono dall’indagine
Cyprus Confidential per esempio collegano Abramovich a John Bico,
l’ex agente della stella del Chelsea Eden Hazard, e al miliardario
russo Suleiman Kerimov, che a quell’epoca era il proprietario di un
club russo (l’Anji Makhachkala) che vendette al Chelsea il bomber
Samuel Eto’o e Willian.
Kerimov, uno degli oligarchi considerati legati al tesoro personale
di Putin, aveva convinto Eto’o a lasciare Milano per vivere a
Makhachkala, una città segnata da drammatici problemi di
criminalità, guerre per bande etniche e violenze religiose (seguito
a breve dal brasiliano Roberto Carlos, all’epoca fece scalpore che
del pagamento di Kerimov facesse parte una Bugatti dal valore
esorbitante).
Abramovich, stando ai leaks emersi da Cipro, avrebbe anche prestato
decine di milioni di dollari, attraverso sue società, a una società
che in ultima analisi era di proprietà del figlio del presidente del
club russo Cska Mosca. Ulteriore piccolo problema: il Cska era in
competizione contro il Chelsea nella Champions League di quell’anno.
La storia della transazione da Abramovich a Pastorello viene così
ricostruita dal Consorzio investigativo internazionale: Abramovich
pagò Pastorello per acquisire una partecipazione di maggioranza in
una ignota società di sua proprietà nello stato americano del
Delaware, chiamata Excellence Investment Fund (Eif Llc).
L’azienda non svolgeva attività pubblica, non aveva prodotti e
attività di mercato, e non è chiaro quale fosse il profilo che
giustificasse questo pagamento. Che avvenne tramite una società di
Abramovich, Conibair Holdings Limited, del tutto slegata formalmente
dal Chelsea, e che aveva incorporato come holding uno dei jet
privati di Abramovich.
Di fronte alle domande di Occrp Pastorello ha rifiutato di
commentare, ha solo detto: «Conte non è un nostro cliente». Nel 2021
Pastorello dichiarò al Telegraph di non essere l’agente di Conte, ma
ammise di averlo aiutato nel 2017 per un possibile trasferimento di
un giocatore che non andò poi a buon fine. Conte non ha risposto
alle richieste di commento di Occrp.
IL SANGUE DI GESU' CHE RICADE SULLE GENERAZIONI : Fissiamo il
punto essenziale: tra israeliani e palestinesi una pace è possibile?
La pace, non una tregua, una "hudna", raccomandata negli astuti
manuali di guerra arabi, il cessate il fuoco che conviene ai calcoli
di ciascuna delle parti per rafforzarsi o perché la pressione degli
"amici" potenti e ricchi, Stati Uniti, Iran, petroemiri, è troppo
forte per dire no. Dopo il sette di ottobre può riuscire quello che
non è mai stato possibile nei precedenti settantaquattro anni, che
sono stati un seguito di tregue e di guerre? Oppure siamo di fronte
a un conflitto che non contempla soluzioni, come per chi, affetto da
una malattia cronica, non dispone di una cura ma solo di palliativi
e rimedi temporanei?
Diciamolo: il tempo trascorso spaventa. Quando palestinesi ed ebrei
hanno iniziato a uccidersi Truman era presidente degli Stati Uniti,
a Mosca vigilava il sorriso feroce di Koba il terribile, al Cairo re
Faruk in divisa di maresciallo con accanto una bellezza scovata in
un night club dirigeva le sgangherate operazioni sul fronte di Gaza
e Nasser appena nominato tenente scopriva l'umiliazione di non
riuscire a liberare Gerusalemme. Non esistevano l'Olp e i bluff di
Arafat. I palestinesi, sudditi del re della Transgiordania,
obbedivano alle predicazioni infuocate di Jamal Husseini che non si
toglieva mai il corpetto a prova di pugnale che gli aveva regalato
il suo grande alleato Hitler. A Tel Aviv c'era la generazione dei
fondatori che per la dura realtà stavano riponendo nel cassetto il
sogno di una redenzione degli ebrei attraverso il lavoro manuale,
uno Stato dove i contadini fossero più importanti dei filosofi.
Dopo settantaquattro anni il bilancio è desolante. Alcuni Stati
arabi hanno accettato Israele ma per coloro che dovrebbero vivere
nella stessa terra la sintesi è: terrorismo e contro terrorismo. Il
cappio della memoria delle colpe rispettive non si è allentato di un
millimetro. Mancano per la pace idee, ipotesi, programmi. Manca
tutto. Siamo nell'epoca del precariato diplomatico e militare, si
sopravvive di proroghe a tempo determinato. Nulla di ciò che viene
proposto ha la minima possibilità pratica di realizzarsi. La formula
miracolistica e già sgonfia "due popoli e due Stati" serve solo ai
furbi occidentali che fingono di credervi per fare bella figura alle
conferenze stampa. Per realizzarla occorrerebbe svuotare la
Cisgiordania di centinaia di migliaia di coloni ebrei messi proprio
per renderla impossibile. Non sono certo tutti dei bigotti paranoici
con intenti messianici, molti sono andati lì perché attratti dalle
facilitazioni sulle case e sgravi fiscali. Chi eliminerà lo "Stato
dei coloni" dalla carta geopolitica? Chi ordinerà agli ebrei di
sparare sugli ebrei?
E poi ci sono "le soluzioni pacifiche": inutili perdite di tempo.
Ovvero la smilitarizzazione di Gaza affidata con un mandato alla
Nato (Ancora? Anche qui?) o agli inutili caschi blu? Hamas dovrebbe
esser così gentile da annullarsi, consegnare le armi e metter nel
cassetto la sua idea costitutiva, ovvero piantare la bandiera di
Allah su ogni centimetro quadrato di Palestina. In ogni caso per
toglier la voglia ai pacificatori avrebbe pronti i martiri con
cintura esplosiva e pensione garantita alle famiglie. Ci sono poi i
soliti "Candide", intellettuali e politici che propongono di far
sorgere dal libro delle fiabe un solo Stato dove tutti, arabi ed
ebrei, avrebbero diritto di voto. Idea fascinosa, ecumenica per la
candidatura degli autori al prossimo Nobel della pace o della
letteratura. Perché gli ebrei dovrebbero accettare il rischio di
diventare minoranza e farsi cacciare con un democratico referendum?
Di rilanciare i derelitti fantasmi dell'autorità palestinese di
Ramallah non parla più nessuno: la loro corruzione è in uggia
soprattutto ai palestinesi.
Due soli stati d'animo, dunque: combattere e prepararsi a
combattere. Forse saranno le nuove generazioni a far giustizia del
passato, a esigere, esauste, nei due campi di vivere un tempo nuovo,
si sperava. Fino a oggi.
Ogni tempo ha le sue parole: dette, scritte, sfiorate, mandate alte,
divenute storie, immagine, esempio, sfida, fascino, pregiudizio,
tentazione al contrario. Ma parola che si ripete oggi purtroppo è:
odiare si può. Da un capo all'altro, da una guerra all'altra,
dall'Ucraina alla Palestina, dalla Siria all'Africa l'odio insiste.
Racconta di me, indossami, cammina in mio nome dove non sanno
neppure di attendermi, sorprendili, trova il modo. L'odio si
intreccia alla vita di popoli interi come fu negli anni Trenta del
Novecento e riluce come una Cattiva Novella perché l'immaginazione
ha trovato mille modi per ridirlo, magari con altre parole. Crescono
a nord e a sud, a est e a ovest le generazioni dell'odio. Pronte a
ripetere gli orribili errori dei padri e dei nonni.
Il centro di gravità dove bene e male si sovrappongono l'uno
all'altro come due liquidi di diversa densità è collocato molto in
basso. L'equilibrio del mondo può esser davvero minacciato dalla
crescita di bambini ucraini, russi, siriani, palestinesi,
israeliani, africani, afghani che non hanno avuto il tempo di
conoscere la felicità.
Il mondo, anche il nostro, è divorato dall'odio, ecco la parola.
L'odio dell'altro, quello che è al di là del Muro o del mare, e,
come israeliani e palestinesi, non mi sembra siamo in grado di porvi
rimedio. Un giorno saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un
simile cancro, si può vivere molto a lungo con questo in corpo.
Anzi: qualche volta è ciò che ti fa sopravvivere come in Palestina.
La cosa non si sente subito. E' una specie di polvere. Andate,
venite senza vederla, la respirate, la mangiate, la bevete: è così
sottile, così tenera che non scricchiola nemmeno sotto i denti.
Con l'odio abbiamo familiarità da molto tempo, è possibile che il
suo seme sia stato sparso dappertutto e che semplicemente germini
qua e là in tempi diversi dove il terreno è favorevole. Quello che
mi chiedo è se in tempi recenti abbiamo mai conosciuto la vastità di
questo contagio, questa lebbra: una disperazione abortita, una forma
turpe della disperazione, fermentazione di una storia decomposta.
UNA SITUAZIONE DA RISOLVERE:«Lasciatemi morire!»: è questo il
grido disperato dell'ennesimo ragazzo torturato dalla mafia libica,
nel video diffuso ieri pomeriggio. La vittima è un migrante
subsahariano: come molti altri ha lasciato la sua terra di origine a
causa dell'ingiustizia globale e, come molti altri, è finito nelle
mani della mafia libica, che lo ha chiuso nel lager. Lì la mafia
libica lo tortura per mandare il video alla famiglia al fine di
estorcere loro un riscatto. Il lager in cui si trova questo ragazzo
è a Bani Walid, la stessa città dove sono stati girati altri video
dell'orrore, diffusi nelle scorse settimane. Il movimento sociale di
cui sono protagonisti i migranti stessi, Refugees in Libya, continua
a rilanciare questi video per svegliare le coscienze dell'Europa, ma
da questa sponda del mare tutto tace.
La nostra responsabilità nelle torture che subiscono questo ragazzo
e tutti gli altri migranti in Libia è altissima, perché, come ha
ribadito la stessa Onu nel report uscito in parte su Avvenire grazie
a Nello Scavo, c'è un legame diretto tra la cattura dei migranti
operata dalla cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata
dall'Italia, e la loro deportazione nei lager. Di questo grave
crimine l'Italia è corresponsabile in particolare da quando, nel
2017, ha deciso di allestire e finanziare la cosiddetta Guardia
costiera libica, portando in Italia uno dei principali superboss
della mafia libica, Bija, per farlo sedere con i nostri servizi
segreti. Successivamente, l'Italia ha sempre rinnovato quegli
accordi. La politica non ha mai avuto il coraggio di cambiare e la
società civile non è mai stata capace di far sentire ai governanti
una pressione tale che li spingesse a smettere di allestire e
finanziare questa sistematica violenza disumana e questa complicità
di fatto con la mafia libica.
Dobbiamo chiederci: che Paese è quello che non è capace di reagire
davanti al grido di dolore di queste persone, torturate per colpa
delle nostre politiche?
La speranza di un riscatto di umanità non è ancora perduta, perché
proprio nel Mediterraneo, dove l'Europa collassa nella sua stessa
civiltà, c'è anche un'Europa che rinasce dal basso. È l'Europa che
prende carne nelle tantissime persone attiviste provenienti da tutti
i Paesi del nostro continente che hanno scelto di opporsi
concretamente a questa deriva agendo nella "civil fleet", l'insieme
delle organizzazioni della società civile che salvano i migranti dai
naufragi e dai respingimenti. In queste persone, e in quelle che
operano accanto a Refugees in Libya per la liberazione dei migranti
nei lager libici, rinasce dal basso l'Europa che era stata sognata
dalle generazioni che l'hanno fondata. In queste pratiche e in
queste relazioni, come in quelle costruite da tutti coloro che in
ogni città vivono l'accoglienza, prende carne il valore politico
della fraternità.
Il dramma di questa epoca è proprio che abbiamo dimenticato la
fraternità: siamo diventati prigionieri dell'individualismo che ci
rende sempre più spaventati, sempre più arrabbiati, sempre più in
competizione. C'è un legame tra le sofferenze dei migranti nei lager
libici e quelle di chi è oppresso in vario modo dai problemi sociali
in Italia, che siano gli studenti che soffrono sempre di più a
livello di salute mentale, gli universitari che non hanno accesso al
diritto alla casa, i lavoratori sfruttati, le persone che subiscono
discriminazione per la propria identità sessuale o di genere,
l'ambiente devastato dalla catastrofe ecologica e via dicendo: tutte
queste sofferenze sono la conseguenza di una società malata, che ha
dimenticato la fraternità.
Non ci sarà salvezza se non diventeremo capaci di costruire insieme
una nuova società, che assuma il valore politico della fraternità.
Per essere autentica, la fraternità si realizza solo se si parte
dagli ultimi. Finché il grido dei migranti che arriva dai lager
libici non sarà ascoltato, non ci sarà speranza. Allora che si
sveglino le coscienze di noi tutti e che diventiamo capaci di capire
che solo se abbiamo il coraggio dell'empatia, dell'amore viscerale,
possiamo salvarci.
27.11.23
IL CAPOGRUPPO DI FI PRESIEDE UNA SOCIETà DI CYBER SECURITY L'inchiesta di Report: Gasparri ha un conflitto di interessi
Il senatore si difende. L'opposizione attacca: lasci la Vigilanza
Rai
ROMA. Maurizio Gasparri, neo-capogruppo di Forza Italia al Senato,
dal 2021 è il presidente della società di sicurezza informatica
Cyberealm, ma non ha mai informato della sua attività gli uffici di
Palazzo Madama, dove fino a sei giorni fa ricopriva il ruolo di
vicepresidente. La vicenda è stata ricostruita da Report su Rai 3.
Ieri sera la trasmissione ha mandato in onda un'anticipazione
dell'inchiesta integrale che continuerà il 3 dicembre. Secondo
Report, per la Cyberealm Gasparri avrebbe «tessuto relazioni
istituzionali per l'assegnazione di commesse tenendo all'oscuro il
Senato», nello specifico «commesse che riguardano i suoi ruoli
istituzionali».
Il team di inchiesta riconduce all'azienda «manager e collaboratori,
sia ufficiali che occulti, con un passato imbarazzante e legati ai
servizi segreti di altri Paesi» fra cui soggetti oggi «impegnati nel
conflitto israelo-palestinese in attività sensibili».
Il senatore azzurro, intervistato dalla trasmissione, risponde di
non dover giustificare alcuna incompatibilità istituzionale: «La
legge prevede che siano da dichiarare le funzioni di sindaco o
amministratore e io non sono nell'uno nell'altro». Gasparri
sottolinea un ruolo non operativo nella società: «Il presidente dà
consigli su quelle che possono essere le scelte strategiche».
Secondo le indiscrezioni delle ultime settimane, il 21 novembre il
dirigente forzista si sarebbe affrettato a lasciare la
vicepresidenza del Senato proprio per l'inchiesta di Report.
Sulla pagina Facebook del programma si ricorda che Gasparri «si è
scagliato più volte contro Report, fino ad arrivare alla
convocazione in commissione di Vigilanza Rai del 7 novembre» mentre
«sapeva 22 giorni prima che Report aveva scoperto i suoi interessi
privati». Per Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra
italiana, il capogruppo azzurro deve lasciare la commissione Rai.
«La domanda sorge spontanea – scrive sui social la deputata M5s
Vittoria Baldino – quali sono gli interessi che persegue il senatore
e lobbista Gasparri, quelli del Paese, o quelli particolari, della
società che rappresenta?»
SANITA' AMMALATA DA SPERANZA: L'appello di Fedez a donare il
sangue, lanciato il mese scorso dal rapper appena avuta salva la
vita grazie alle trasfusioni, non è caduto nel vuoto tra i donatori,
ma deve aver trovato orecchie da mercante nel governo che con un
decreto rischia di far saltare la raccolta in almeno la metà dei
centri che si appoggiano per i prelievi ai giovani medici
specializzandi. Questo perché - secondo associazioni dei donatori e
addetti degli stessi centri di raccolta – il decreto a firma dei
ministeri di Economia, Salute e Università prevede che gli stessi
specializzandi d'ora in avanti lavorino «a titolo gratuito e
volontario».
Non più retribuiti, insomma come avvenuto fino ad oggi, il che
lascia immaginare siano in molti a fare un passo indietro da qui a
breve se i ministeri competenti non decideranno di tornare sui loro
passi.
«Oppure se non chiariranno che questa forma volontaria non
sostituisce le altre, che in base a convenzioni con Università,
centri di raccolta sangue e associazioni di volontariato si basano
invece sulla retribuzione per la funzione svolta», spiega con un
velo di preoccupazione il presidente dell'Avis Emilia-Romagna,
Maurizio Pirazzoli. Il quale si fa ancora più scettico quando
aggiunge che «per autorizzare un'attività di volontariato non ci
voleva di certo un decreto».
«In realtà nell'incontro con i ministeri firmatari del decreto del
30 ottobre scorso, ma pubblicato in Gazzetta da poco, sono stati gli
esponenti dell'Economia a chiarire che non si possono autorizzare le
retribuzioni per ragioni di copertura economica», aggiunge un
componente del Centro nazionale sangue che preferisce restaste
anonimo.
«In molte regioni e in particolare in Piemonte, Veneto ed
Emilia-Romagna, che si poggiano molto su queste convenzioni con i
medici specializzandi, se questi se ne vanno a casa salta la
raccolta sangue, creando gravi problemi soprattutto riguardo il
plasma», denuncia l'avvocato Giovanni Musso, presidente
dell'associazione donatori Fidas.
Se l'Italia, almeno fino all'approvazione di questo decreto
ministeriale, ha confermato la sua autosufficienza in materia di
sangue (inteso come globuli rossi), con 42 unità ogni 1.000
abitanti, superiore alla soglia di sicurezza fissata a 40 unità,
altrettanto non si può dire per il plasma, ossia la parte liquida
del sangue, necessaria per la produzione di plasmaderivati adoperati
in molte terapie salvavita. Nel 2022 si sono infatti raccolti circa
14,2 kg di plasma per ogni 1.000 abitanti, una quota inferiore a
quella che porterebbe all'autosufficienza, che si attesta almeno sui
18 kg.
Questo ha costretto e costringerà il nostro Paese a ricorrere al
mercato internazionale per acquisire medicinali plasmaderivati, non
di rado indisponibili. Inoltre secondo le stime elaborate dal Centro
nazionale sangue la spesa per l'acquisto all'estero si aggira sui
134 milioni per quel che riguarda le immunoglobuline e intorno ai 46
milioni per l'albumina, per una spesa totale di 180 milioni.
Probabilmente più di quelli che si intende risparmiare non pagando
più i medici specializzandi addetti alla raccolta, mettendola così a
rischio.
26.11.23
PERCHE' E' MANCATA LA VOLONTA' DI RICOLLOCARE I LAVORATORI DELLA
EMBRACO ? : Nella sala ristoro,
ormai in rovina, appeso sulla bacheca sindacale resiste un foglio
impolverato. È una vignetta, raffigura gli ex manager in stile banda
Bassotti. Hanno le mani piene di banconote e sono vicini ad una
cassaforte aperta sulla quale è scritto Embraco/Ventures.
La scena dei 220 lavoratori della Te Connectivity (Tec) che
protestano in piazza richiama alle mente situazioni già vissute. E
lo scorrere degli eventi sembra essersi fermato anche all'interno
dell'enorme capannone di Riva di Chieri della ex Embraco, gruppo
Whirpool, diventata Ventures per pochi mesi prima di chiudere
definitivamente i battenti lasciando a casa 400 persone. Una brutta
storia industriale che sembra ripetersi con la vertenza Tec. Anche
il settore di produzione, gli elettrodomestici, è lo stesso. C'è chi
teme che pure l'epilogo possa essere il medesimo.
Negli Anni '90 alla Embraco lavoravano in 2.400. Che fosse un luogo
pensato per ospitare tante persone lo si può intuire dagli spazi
sconfinati, oggi abbandonati, dell'impianto di Riva di Chieri. Al
suo interno tutto è stato lasciato così com'era prima della
dichiarazione di fallimento della Ventures srl, la società
italo-israelo-cinese che a fine 2018, con il sostegno del Mise,
allora guidato da Carlo Calenda, aveva rilevato la Embraco,
lavoratori inclusi, con la promessa di reindustrializzare il sito
producendo bici elettriche, robot pulitori di pannelli fotovoltaici
e distributori automatici. Con i soldi destinati al rilancio, prima
di darsi alla macchia, i manager si erano comprati auto premium
tedesche. Nella ex fabbrica tutto racconta di questa brutta vicenda.
Dentro gli spogliatoi maschili ci sono ancora i caschi, le tute da
lavoro con i loghi Embraco, scarpe anti infortunistica, badge
abbandonati. Mancano solo gli operai. Assieme agli oggetti che
richiamano al mondo Embraco sono affiancati quelli appartenenti alla
disavventura targata Ventures. È un mix confuso, fra pannelli solari
dimenticati e oggetti appartenenti all'industria del bianco. Il
fallimento della riconversione, da Embraco a Ventures, è racchiuso
in questo caos. Sulle pareti delle stanze destinate agli uffici
campeggia la scritta Ventures ma nei faldoni lasciati sulle
scrivanie i documenti sono ancora quelli delle commesse per la
Embraco. Nella gigantesca area destinata alla produzione, oggi
occupata solo da qualche piccione rimasto intrappolato, è sparso
qualche pannello fotovoltaico, qualche rulliera, ancora
incellofanata destinata alla Ventures. Nulla di più. A distanza di
qualche anno, osservando i piedistalli vuoti sui quali erano esposti
i prototipi di e-bike, si può intuire perché i lavoratori erano così
scettici rispetto al piano di rilancio promesso dai vertici Ventures.
Come avrebbe potuto un progetto così modesto rilevare un impianto
che occupava 400 dipendenti? Anche i cronoprogrammi della
produzione, scritti a pennarello su grosse lavagne cancellabili
nella zona amministrativa, fanno trasparire improvvisazione. Sono
disordinati, poco chiari, sembrano scritti solo per dare l'idea di
una pianificazione strutturata.
«La migliore preparazione per domani è fare il tuo meglio oggi».
Questa citazione dello scrittore statunitense H. Jackson Brown Jr,
scritta sul muro in sala mensa, avrebbe dovuto motivare i
lavoratori. Che fosse efficace o no, ormai non ha più importanza. La
conclusione definitiva della vicenda Embraco/Ventures è vicina. A
febbraio finirà anche la Naspi per gli operai che lavoravano in
questa grande fabbrica, oggi dimenticata, piena di ricordi dolorosi.
25.11.23
CI STIAMO SCIOGLIENDO:
deriva
L'iceberg
Si chiama semplicemente A-23a ed è attualmente il pezzo di ghiaccio
alla deriva più grande del mondo: forse raffredderà un po' le acque
dell'Oceano Antartico e magari porterà un incremento di nutrienti
per il fitoplancton, ma non è una buona notizia, anzi è l'ennesima
pessima novità da un pianeta che sta perdendo la sua assicurazione
contro l'accelerazione bestiale che ha preso la crisi climatica
quest'anno. Misura circa 4000 kmq (circa due volte l'estensione
urbana di Londra), più grosso di quello che a gennaio 2023 era già
grande dieci volte Milano e come quelli del 2021 (A-76, ora fuso,
che era più grande) e 2019, mentre il più grande di tutti misurava
11.000 kmq ed era stato identificato nel 2000 (B15). Questo non è un
dato isolato: il 21 novembre abbiamo registrato il primo giorno
sopra la media delle temperature atmosferiche del periodo
pre-industriale da quando i sapiens ne tengono nota (dati Copernicus,
modello ECMWF e rianalisi ERA-5). E ottobre 2023 è largamente sopra
qualsiasi media precedente, spingendo quest'anno a diventare il più
caldo da quando abbiamo misurazioni. Non è un cambiamento climatico,
è un collasso.
Si tratta, analizzando nel dettaglio, di una ripresa di un vecchio
movimento della massa di ghiaccio, dovuto probabilmente alla
riduzione delle dimensioni rispetto al primo parziale distacco
avvenuto già circa 40 anni fa (1986), che non aveva portato alla
deriva per via del fatto che si era incagliato nel Mare di Weddell,
nell'Antartide settentrionale. Le osservazioni satellitari, in buona
sostanza, ci rivelano che, siccome fa molto più caldo, i distacchi
di blocchi enormi vengono facilitati e favoriti: la metà della massa
di ghiaccio perduta dall'Antartide deriva da distacchi come questi,
che alterano temperatura, composizione e salinità delle acque
dell'oceano verso cui si dirigono alla deriva (in questo caso
risalirà l'Oceano Atlantico). Le quantità di acqua dolce e fredda
riversate nel mare sono potenzialmente in grado di alterare le
correnti oceaniche, soprattutto quelle calde, come quella del Golfo
che, vale la pena di ricordarlo, mantiene per ora un clima
eccezionalmente mite sulla Scandinavia e le Isole Britanniche. Un
grande freddo che nasce dal grande caldo, un'ipotesi vagliata anche
dagli specialisti del Pentagono (Randall 2003) per via delle
possibili catastrofiche conseguenze.
Quanto più si disgregano le masse di ghiaccio polari, tanto più
rapidamente si riscalderà la temperatura atmosferica e, in ultima
analisi, anche quella oceanica, come si può facilmente immaginare
comparando i tempi in cui fonde un solo cubetto di ghiaccio in un
bicchiere d'acqua rispetto alla stessa quantità ma con cinque
cubetti. Tanto più perdi ghiacci, tanto più riduci la superficie e
il volume delle calotte, tanto più facilmente ne perderai ancora più
rapidamente. Ma, ostinati come siamo nel chiudere gli occhi di
fronte al baratro, preferiamo baloccarci ancora con le Olimpiadi
invernali o con lo sci di alta quota, contribuendo al disastro anche
dei ghiacciai alpini, che avrà le medesime conseguenze. Il fatto è
che non abbiamo ancora escogitato un sistema per riparare la nostra
criosfera danneggiata e ridotta e, d'altro canto, nulla facciamo
nemmeno per agire sulle cause, benché quella siano ben note.
Azzerare le emissioni clima alteranti nel più breve tempo possibile,
unica soluzione che potrebbe consentire di non perdere solo tempo in
programmi di mitigazione visibilmente inefficaci.
La crisi climatica ha già coinvolto aspetti non reversibili e
minaccia da vicino i limiti biologici dei viventi, sapiens in prima
fila (VI Report IPCC, 2022), ma noi ci apprestiamo alla prossima
Conferenza delle Parti COP 28 (a dicembre a Dubai, forse uno dei
non-luoghi climatici più imbarazzanti del pianeta) sapendo già che
trascorreremo la prima settimana a descrivere quanto sia grave la
situazione e l'altra a rimandare ciò che si dovrebbe fare. Il limite
di 1,5°C di incremento delle temperature atmosferiche affermato con
grande enfasi a Parigi nel 2015 e ribadito nei consessi
internazionali più disparati (G20 romano del 2022 incluso) è nella
polvere, mentre, nascosti dietro il paravento che il sistema
economico mondiale ha regalato loro da decenni, i veri responsabili,
i colpevoli (diciamolo finalmente), continuano a fregarsi le mani
per profitti da capogiro che reinvestiranno quasi tutti sempre nel
loro medesimo sporco affare. I gaspetrocarbonieri tifano per il
nulla di fatto per continuare a cercare, estrarre e bruciare
combustibili fossili e sono disposti a tutto per continuare a fare
affari come al solito, mentre i megaiceberg vanno alla deriva. Anche
basta.
24.11.23
Nella legge di Bilancio spunta una norma sui terreni agricoli ceduti
alle società che realizzano impianti green
Arriva la mini patrimoniale sulle rinnovabili Fine degli affitti
esentasse, obiettivo 500 milioni Luca Monticelli
roma
Con buona pace della transizione ecologica, nel testo della manovra
c'è una sorta di patrimoniale sulle rinnovabili. Un intervento nato
per esigenze di cassa, visto che nel 2025 frutterà quasi mezzo
miliardo di euro.
All'articolo 23 il governo istituisce una nuova tassa sugli «atti
costitutivi o traslativi dei diritti reali di godimento». Come
spiega la relazione tecnica del provvedimento, l'imposta va a
colpire soprattutto «il trasferimento del diritto di superficie, che
rappresenta l'ipotesi più ricorrente». Fuori dal lessico giuridico,
la platea che dovrà pagare di più è quella dei proprietari agricoli
che «affittano» un terreno alle aziende che vogliono realizzare un
impianto di energia green per poi venderla.
Questo articolo della legge di Bilancio impatta su un tipo di
contratto, quello del «diritto di superficie», che le imprese del
settore delle rinnovabili utilizzano per i loro investimenti. Per
fare un esempio, di solito un'azienda che vuole costruire un
impianto di pannelli fotovoltaici stipula un contratto con diritto
di superficie con un proprietario agricolo, il quale concede «in
affitto» un terreno per venti o trent'anni. Il diritto di superficie
prevede, a fronte del pagamento di un canone, che la costruzione su
quel terreno sia di chi l'ha fatta e non del proprietario del
terreno.
Fino ad oggi questa «cessione» era equiparata alla compravendita di
un patrimonio, quindi esentasse, come avviene quando si vende una
casa, in cui il venditore incassa interamente il prezzo concordato.
Con la norma stabilita dalla manovra, il canone ottenuto dal diritto
di superficie non è più considerato un patrimonio ma un reddito,
perciò tassato. L'aliquota da applicare rischia di essere il 43% -
lo scaglione Irpef più alto che riguarda i redditi oltre i 50 mila
euro - visto che il canone medio annuale si aggira intorno ai 30
mila euro. Al proprietario del terreno, per non vedere dimezzata la
propria rendita, non rimane che scaricare il costo sull'impresa
green.
Dal 2024 tutti i contratti saranno soggetti al pagamento delle
tasse, anche quelli in corso. Le aziende saranno costrette a pagare
un affitto più salato e questo avrà un effetto più forte su chi non
può ancora produrre energia perché in attesa della fine del
procedimento di autorizzazione.
Si può discutere sull'opportunità di fissare un'imposta sul diritto
di superficie, resta però un principio controverso tassare chi
investe sulle rinnovabili anziché chi inquina, pensano il Movimento
5 Stelle e il Pd che hanno presentato alcuni emendamenti in
commissione Bilancio.
«È l'ennesima misura che danneggia gli operatori delle rinnovabili e
vanificherà anni di lavoro, il governo la elimini», commenta
l'Alleanza per il fotovoltaico in Italia che aggiunge: «Da un lato
continuiamo a celebrare la transizione energetica, dall'altra
creiamo incertezza e diffidenza, impedendo la messa a terra dei
progetti».
Secondo gli operatori «l'effetto di questa patrimoniale sarà quello
di allontanare l'Italia dagli obiettivi di transizione energetica
del Pnrr».
Cinque
Stelle contro Gasparri "Ha un incarico imbarazzante"
ANTONIO BRAVETTI
ROMA
Più che la staffetta, una fuga. Scoppia il caso Gasparri. Il
Movimento 5 stelle punta il dito contro l'ex ministro, che avrebbe
lasciato la vicepresidenza del Senato non per un cambio con Licia
Ronzulli, ma perché in arrivo un'inchiesta di Report che lo mette
sul banco degli imputati. Maurizio Gasparri, sostiene la
trasmissione di Rai 3, non avrebbe comunicato al Senato il suo
incarico ai vertici di una società che si occupa di cybersicurezza,
che nel frattempo si è aggiudicata una serie di commesse. «Uno
scenario inquietante - dicono dal partito di Giuseppe Conte -
Gasparri deve fare chiarezza».Da martedì l'ex ministro non è più
vicepresidente del Senato, ha lasciato l'incarico, al suo posto è
stata eletta Ronzulli e lui è diventato capogruppo dei senatori di
Forza Italia. Una staffetta, la motivazione ufficiale. C'è
dell'altro, secondo i Cinque stelle. Dell'inchiesta, sostiene Report,
Gasparri sa da tempo, «ben 22 giorni prima di chiedere la
convocazione» in Vigilanza Rai di Sigfrido Ranucci. Quell'audizione,
incalzano ora i Cinque stelle, è stato uno «show intimidatorio» nei
confronti del giornalista. Cognac e carote. Tutto perché il senatore
azzurro sapeva delle scoperte fatte dalla trasmissione. «Si tratta
di Cyberealm - rivela Report nell'inchiesta che dovrebbe andare in
onda tra un paio di settimane - una misteriosa società di sicurezza
informatica, di cui Gasparri è presidente. Ne fanno parte manager e
collaboratori, sia ufficiali che occulti, con un passato
imbarazzante e legati ai servizi segreti di altri Paesi. Alcuni di
loro in questo momento sono impegnati materialmente nel conflitto
israelo-palestinese in attività sensibili. Gasparri ha di fatto
tessuto per loro relazioni istituzionali per l'assegnazione di
commesse tenendo all'oscuro il Senato. Commesse che riguardano tutti
i suoi ruoli istituzionali». I Cinque stelle attaccano a testa
bassa: «Gasparri siede in commissione di Vigilanza, dove si è reso
protagonista di uno show penoso contro Report ben sapendo che stava
svolgendo un'inchiesta su di lui, e siede in commissione Esteri e
Difesa, che molto ha a che fare con le decisioni e le commesse in
materia di cybersicurezza. Pensa davvero Gasparri che essersi
dimesso da vicepresidente del Senato lo sollevi dal dovere di fare
chiarezza sulle proprie attività parallele?», domanda la
vicepresidente del gruppo Alessandra Maiorino. Di «scenario
inquietante» parla Dario Carotenuto, capogruppo in Vigilanza Rai.
«Sorge forte il dubbio - sostiene - che il suo show in Vigilanza,
con tanto di carota e cognac dopo aver imposto la convocazione di
Ranucci, fosse finalizzato a gettare discredito sulla trasmissione
per far credere che l'inchiesta sia una "vendetta" nei suoi
confronti per la convocazione, quando invece sarebbe esattamente il
contrario. La sua stessa presenza in commissione non sarebbe più
compatibile, perché saremmo di fronte a un inaccettabile uso
privatistico di una istituzione».
PERCHE' ANNIENTARE L'UOMO DA PARTE DI
CHI ? Rivelazione di Reuters: dietro alla cacciata dell'ad i dubbi
del board di OpenAI sul progetto Q*
Il piano segreto di Altman "Un'intelligenza artificiale
incontrollabile dall'uomo"
Arcangelo Rociola
Roma
Sam Altman sarebbe stato licenziato per paura dell'arrivo di
qualcosa che al momento nessuno ha visto. Un'ombra che per mesi
avrebbe attraversato i corridoi del quartier generale di OpenAi. Si
tratta del timore che da un progetto della società, nome in codice
Q*, sarebbe potuta emergere una grave minaccia per l'umanità. I
ricercatori che stavano lavorando a Q* (pronuncia "Q star", stella
in inglese) avrebbero notato enormi progressi in questa intelligenza
artificiale. Al punto che, allarmati, avrebbero inviato una lettera
al Consiglio di amministrazione (Cda) della società, accusando
Altman di non prestare abbastanza attenzione a quello che stava
accadendo.
È questo l'ultimo capitolo di una delle saghe societarie più
rocambolesche e ricche di colpi di scena di sempre. Lo hanno
raccontato a Reuters alcuni ricercatori vicini al progetto Q*,
preferendo però restare anonimi. La vecchia dirigenza avrebbe preso
talmente sul serio i loro timori da inserirli tra i motivi che
venerdì scorso hanno portato alla defenestrazione di Altman. Tra i
principi fondatori di OpenAI, non a caso, c'è lo sviluppo e la
commercializzazione di un'Ai sicura. E mettere sul mercato Q* senza
un'attenta valutazione dei rischi avrebbe snaturato la stessa OpenAI.
Altman quattro giorni dopo però è stato reintegrato alla guida della
società, con tanto di scuse, cambio di consiglio di amministrazione
e festa grande di tutti gli 800 dipendenti di OpenAi nella sede di
Mission District, San Francisco.
Al momento queste rivelazioni non hanno conferme. La lettera resta
inedita e OpenAi si rifiuta di confermarne l'esistenza. Ma quando si
parla di intelligenza artificiale oramai si è abituati a vivere di
ipotesi e suggestioni, senza troppo bisogno di fatti o conferme. I
timori millenaristici che per sua natura l'Ai solleva rendono la sua
narrazione autosufficiente. Timori alimentati dalle posizioni
estreme dei ricercatori e degli imprenditori che ne hanno il
controllo e ne determinano gli sviluppi. Divisi tra loro in
catastrofisti e tecno-ottimisti, guardinghi e accelerazionisti.
Ecco, lo scenario emerso in queste ore confermerebbe che gli ultimi
giorni folli di Altman e OpenAi sarebbero frutto dello scontro in
atto tra queste due fronde. Scontro mai sopito. Anzi, esacerbato da
un 2023 che ha visto esplodere sia questa tecnologia che gli
investimenti in essa. La fronda dei catastrofisti (presenti pare per
metà nella composizione del Cda stesso dell'azienda) avrebbe
individuato tra le pieghe dei ragionamenti di Q* l'emergere di una
super intelligenza artificiale. Il suo nome tecnico è AGI,
Intelligenza artificiale generale. Un salto quantico di questa
tecnologia capace di acquisire in un momento indefinito un super
potere: quello di superare gli umani in ogni ambito dello scìbile.
Un'Ia alla fine cosciente e consapevole della propria superiorità e
quindi in grado di decidere per conto proprio tutto. Anche la
sopravvivenza stessa della razza umana se dovesse considerarla
(ragioni sue) superflua.
Paura antica. Diventata reale a OpenAi per gli sviluppi di Q*. Che,
come l'omonimo Q del romanzo di Luther Blissett, presto avrebbe
potuto agire come una forza oscura, uscendo dall'ombra e diventando
capace di forgiare destini e avviare sconvolgimenti. Fin qui ragioni
ideologiche. Paure che ad alcuni potrebbero sembrare
fantascientifiche, ma con ogni evidenza capaci di decidere le sorti
di una delle aziende più importanti del settore. È innegabile che le
intelligenze artificiali miglioreranno. Migliorerà ChatGPT, così
come i suoi concorrenti. Ma al momento questi software hanno
problemi un po' più concreti da risolvere. Molti studi accademici
hanno dimostrato che la maggior parte dei sistemi linguistici di
grandi dimensioni almeno una volta ogni dieci tendono a mentire.
Meglio: si inventano le risposte. I ricercatori le chiamano
"allucinazioni".
Difficile da calcolare che impatto avranno sulle aziende che le
useranno e sulla società. Così come resta un'incognita il loro ruolo
sulla disinformazione, sulla privacy, sul mondo del lavoro, sui
lavoratori e i cittadini stessi quando nuovi software saranno in
grado di passare al setaccio le loro vite.
23.11.23
A Domodossola, il convoglio ha proseguito oltre 10 km senza
conducente
Guasto ai freni sul treno merci il macchinista si lancia in corsa
Luca Bilardo
Maria Grazia Varano
Domodossola Oltre dieci chilometri. Tanto è durata all'alba di ieri la
corsa «libera», senza nessuno in plancia di comando, di un treno
merci sulla linea del Sempione. Il macchinista giunto a Varzo,
quando stava per iniziare la discesa verso la piana dell'Ossola, si
è accorto che i freni non rispondevano come avrebbero dovuto. Ha
allertato la centrale, e fortunatamente c'è stato il tempo (una
decina di minuti appena) di liberare la stazione di Preglia di
Crevoladossola dove c'erano frontalieri sulla banchina ad aspettare
un altro convoglio, e passato quel punto, prima di una lunga
discesa, si è lanciato nel vuoto finendo nel bosco. Era l'unico
membro dell'equipaggio, così il treno è rimasto senza guida.
Quella che poteva essere una tragedia, alla fine si è conclusa con
alcune fratture per il ferroviere quarantenne residente in Ossola,
mezz'ora di panico per il personale lungo la linea e un'indagine
della Polfer che ora dovrà accertare quanto successo. Il magistrato
di turno ieri era il sostituto Fabrizio Argentieri, che
probabilmente aprirà un fascicolo per attentato colposo alla
sicurezza dei trasporti.
Passata la stazione di Preglia, dove è andato tutto bene, il
macchinista si è fatto prendere dal panico, così ha deciso di
lanciarsi in corsa, con il convoglio che viaggiava a sessanta
chilometri l'ora.
Dalla centrale Rfi hanno tentato di contattare la cabina: non avendo
ottenuto risposta è scattata l'allerta. Nel frattempo la velocità
era diminuita e all'arrivo allo scalo merci «Domo2» non c'è stato un
vero impatto.
Nessun ferito e soprattutto nessun incendio. Il macchinista è stato
recuperato alla stazione di Preglia e portato in ospedale di
Domodossola: per lui la frattura a un polso. —
Meloni gela lo Zar: "Ristabilire la sovranità dell'Ucraina, via da
tutti i territori occupati"
"Mosca può riportare la pace ritirandosi"
berlino
«La Russia potrebbe in ogni momento facilmente riportare la pace in
Ucraina ritirandosi dai territori illegalmente occupati e
ristabilendo la sovranità e la piena integrità territoriale
dell'Ucraina». A dirlo è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni
durante il suo intervento al G20. Nel mirino della premier,
intervenuta a fianco del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, il
conflitto condotto da Vladimir Putin «anche per le sue conseguenze
globali e i danni che ha provocato in questi due anni alle nazioni
più povere». Conflitto su cui poche ore prima proprio lo Zar si era
detto disposto a un cessate il fuoco: «Dobbiamo pensare a come
mettere fine a questa tragedia - aveva sottolineato
provocatoriamente -. Comunque la Russia non ha mai rifiutato
negoziati di pace con Kiev. Non è stata la Russia, ma l'Ucraina ad
annunciare che si ritirava dal processo negoziale».
La presidente del Consiglio si è poi fatta sentire anche sulla
guerra in Israele, per cui ha sottolineato tre concetti
fondamentali: «La ferma condanna di Hamas per l'ignobile e
sanguinario assalto terroristico contro Israele dello scorso 7
ottobre; il diritto all'autodifesa dello Stato ebraico e, infine, la
convinzione che in prospettiva la soluzione del conflitto
mediorientale non potrà che passare attraverso la creazione di due
Stati».
Intanto, ha aggiunto, «l'Italia si candida a diventare un ponte con
l'Europa per promuovere partenariati reciprocamente vantaggiosi,
sostenendo la sicurezza energetica delle Nazioni africane e
mediterranee e le esportazioni di energia verde verso il resto del
Vecchio Continente». Come reso noto da fonti di Palazzo Chigi, il
focus dell'intervento di Meloni al summit è stato incentrato su
clima, transizione energetica e Africa. La premier ha quindi toccato
alcuni tra i temi politici principali dell'attualità internazionale.
Nel filone madre è stato chiesto il giudizio immediato per Appendino,
Fassino e Chiamparino Adesso i pm hanno delegato Arpa ad acquisire
tutti gli sforamenti nel periodo Cirio-Lo Russo
Smog, si allarga l'inchiesta Indagini sugli ultimi 4 anni
Su La Stampa
giuseppe legato
Paolo Varetto
Si allarga l'inchiesta della procura di Torino sull'inquinamento
ambientale che ha attanagliato la città negli ultimi anni. Al primo
filone che vede indagati gli ex sindaci Piero Fassino, Chiara
Appendino e l'ex presidente della regione Sergio Chiamparino e gli
assessori delle rispettive giunte che hanno gestito la delega
all'Ambiente dal 2015 alla fine del 2019, se ne è aggiunto un altro.
Che è agli albori ma promette sviluppi se è vero come è vero che i
procuratori aggiunti Enrica Gabetta e Vincenzo Pacileo e il
sostituto Gianfranco Colace hanno incaricato i tecnici dell'Arpa
(Agenzia regionale per la protezione ambientale) di acquisire la
mappa degli sforamenti, centralina per centralina, da gennaio 2020 a
novembre 2023, cioè ad oggi. Si procede per inquinamento ambientale
e gli accertamenti sono stati disposti all'interno del fascicolo
stralcio che vede ancora iscritti il presidente della Regione
Alberto Cirio e il suo assessore Matteo Marnati ma non in relazione
al quadriennio ultimo su cui si indaga. I due erano stati
inizialmente iscritti insieme a Fassino, Chiamparino e Appendino, ma
non si è ritenuto di chiedere – come invece è stato fatto per gli
altri – il giudizio immediato banalmente perché il periodo di
reggenza del numero uno della Regione e del membro della sua giunta
(4 mesi rispetto all'arco temporale considerato dai magistrati) era
fin troppo risicato per sostenere un profilo di colpa a fronte di
una possibile inerzia nel contrasto al fenomeno. Pur figurando come
indagati, per il primo filone le posizioni di Cirio e Marnati, in
ottica giudiziaria, non hanno e non avranno seguito. Adesso è chiaro
che le cose cambiano, ma Cirio e Marnati non sono indagati per il
frame 2020-2023. E la procura al momento non ha chiesto alla polizia
giudiziaria di acquisire gli atti messi a regime dagli enti per
fermare il Pm10 killer. Lo farà dopo aver visionato i dati e
analizzerà le politiche anti-smog attuate dalla giunta regionale e
da quella comunale attuali. Solo allora si parlerà – se si parlerà –
di nuove contestazioni.
Un fascicolo gemmato dall'inchiesta aperta dopo l'esposto presentato
dal comitato "Torino respira" che – tramite il suo legale Marino
Careglio che assiste gli attivisti insieme al collega Giuseppe
Civale – aveva dichiarato in una nota: «La Regione Piemonte e il
Comune di Torino, titolari di una posizione di garanzia in materia
di tutela della qualità dell'aria, non hanno adottato negli anni
misure adeguate a raggiungere il rispetto dei valori limite di
concentrazione degli inquinanti nell'aria previsti dalla normativa
vigente, peraltro molto meno rigorosi di quelli suggeriti sin dal
2005 dall'Organizzazione mondiale della sanità».
Una vicenda che dal Palazzo di Giustizia aveva già fatto sentire la
propria eco anche nelle stanze dalla politica regionale. Perché
c'era anche l'azione dei pm tra le concause – compreso il rischio di
una sanzione multimilionaria da parte dell'Europa – che avevano
convinto proprio la giunta Cirio ad anticipare di due anni il blocco
dei veicoli diesel con motorizzazione Euro 5. Scelta poi
neutralizzata dall'intervento del governo che ha congelato lo stop
per almeno un anno, chiedendo però alle Regioni del bacino padano
una revisione dei loro piani per la qualità dell'aria.
22.11.23
ALTRI DANNI DA VACCINO ?
Vaccini anti-Covid, saltano i paletti: il Piemonte, analogamente ad
altre regioni, li proporrà a tutta la popolazione e non soltanto
alle categorie più fragili indicate nella circolare ministeriale
emanata all'avvio della campagna di immunizzazione. Per farlo, ha
già chiesto e ottenuto dal Ministero la possibilità di ottenere
altre 150 mila dosi con cui rinforzare le scorte delle Asl.
Per capire la svolta bisogna ricordare cosa si intende per categorie
fragili: persone di età pari o superiore a 60 anni; ospiti delle
strutture per lungodegenti; donne che si trovano in qualsiasi
trimestre della gravidanza o nel periodo "postpartum", comprese le
donne in allattamento;operatori sanitari e sociosanitari addetti
all'assistenza negli ospedali, nel territorio e nelle strutture di
lungodegenza; studenti di medicina, delle professioni sanitarie che
effettuano tirocini in strutture assistenziali e tutto il personale
sanitario e sociosanitario in formazione; persone dai 6 mesi ai 59
anni di età compresi, con elevata fragilità, in quanto affette da
patologie o con condizioni che aumentano il rischio di Covid grave.
Adesso si andrà oltre. Obiettivo, a fronte dell'aumento dei contagi
e dei ricoveri: aumentare nei limiti del possibile la copertura
vaccinale (nei limiti del possibile perchè, come è noto, i vaccini
non sono obbligatori). E questo, anche se l'allargamento
indiscriminato della platea imporrà uno sforzo organizzativo
notevole alle Asl più ancora che ai medici di famiglia (in pochi
hanno aderito alla campagna) e ai farmacisti.
Come si premetteva, il Piemonte si muove nel solco già tracciato da
altre regioni: la Lombardia offre gratuitamente a tutti sia il
vaccino anti-Covid che l'antinfluenzale, la Toscana ha aperto le
prenotazioni per l'anti-Covid anche per gli over 18 non fragili.
Nel nostro caso, per l'antinfluenzale non cambia nulla: il vaccino è
raccomandato e offerto gratuitamente alle categorie più vulnerabili,
a pagamento per chi non vi rientra. La novità è, per l'appunto,
l'offerta generalizzata e gratuita dell'anti-covid, finora previsto
soltanto per la parte più vulnerabile della popolazione.
I canali di somministrazione restano gli stessi: medici di base e
pediatri (quelli che aderiscono), farmacie (idem) e gli hub delle
Asl, in questo caso tramite la preadesione sul sito "ilPiemontetivaccina.it"
(entro 10 giorni dalla preadesione si riceverà un sms con la data
dell'appuntamento sulla base dei tempi di programmazione dei centri
vaccinali della propria Asl). Non appena arriveranno le dosi
supplementari richieste, si aprirà un nuovo capitolo della campagna
vaccinale.
21.11.23
Furti dei catalizzatori: un business colossale
catalizzatore
di Nicodemo Angì
Pubblicato 20 novembre 2023
Un’inchiesta del New York Times porta alla luce cifre e retroscena
di un’attività che frutta alla criminalità internazionale milioni di
dollari.
Furti dei catalizzatori: un business colossale
DA DOVE VENIVANO I CATALIZZATORI? - Il riciclo e l’economica
circolare sono sempre più importanti e l’automotive sta diventando
un settore molto attivo in questo senso. Vengono recuperati acciaio,
rame e alluminio ma l’attività a più alto valore aggiunto è quella
che riguarda i metalli preziosi, quali platino, palladio e rodio (il
cosiddetto “gruppo del platino”, PGM) contenuti nei catalizzatori
delle auto. Come riporta un’inchiesta del New Yor Times,
quest’ultima attività di riciclo è ora al centro di indagini e
polemiche negli Stati Uniti perché si è rilevato che molti
catalizzatori da riciclare sono risultati rubati. La vicenda
coinvolge un’azienda metallurgica nordamericana che per ricavare i
metalli PGM lavora sia minerali appena estratti sia i catalizzatori
destinati al trattamento dei gas di scarico. Anche i convertitori
catalitici non sfuggono alla regola che riciclare un pezzo usato - o
gli elementi in esso contenuti - costa meno che costruirne uno
ex-novo e questo è ancora più vero per i costosi catalizzatori. La
società ha però scoperto che una fetta non trascurabile dei
catalizzatori da riciclare, che ha acquistato per 170 milioni di
dollari, erano rubati.
LA RAZZIA DELLE MARMITTE CATALITICHE - L'accusa è nata a seguito di
un vera e proprio saccheggio, del valore di miliardi di dollari, di
convertitori catalitici asportati da auto in sosta e che accade
anche in Italia. Questo furto specializzato non si traduce solo in
un danno economico per i proprietari dei veicoli depredati - si
parla di almeno 1.000 dollari - ma ha anche comportato sparatorie,
omicidi, dirottamenti di camion e altre violenze. Secondo il New
York Times l’indagine, che ha vagliato documenti aziendali, post sui
social media e le dichiarazioni di decine di funzionari (sparsi in 3
continenti) che hanno rapporti con l’industria, ha evidenziato come
i catalizzatori rubati passassero attraverso intermediari, fonderie
e raffinerie sia negli Stati Uniti sia all’estero. Questa miriade di
passaggi rendeva “opaca” la loro origine e favoriva gli
organizzatori dei furti, dando loro alibi e scarse possibilità di
essere incriminati.
FINANZIAMENTI DISCUTIBILI - I metalli PGM di origine truffaldina
vengono lavorati miscelandoli con approvvigionamenti legittimi,
quali quelli provenienti da miniere e da rottamatori legali, per poi
essere venduti principalmente ai produttori di catalizzatori
automobilistici anche se altri sbocchi importanti sono le aziende
farmaceutiche (per chemioterapici e altri farmaci), la produzione di
armi e le banche, che li usano nella compravendita di metalli
preziosi. Una volta arrivati alla fine del ciclo sarà quasi
impossibile distinguere ciò che è legale da ciò che non lo è. Queste
operazioni sono finanziate a breve termine da diverse banche ma
secondo Mark Williams, ex ispettore della Federal Reserve Bank. Gli
istituti di credito soggetti a regolamenti meno stringenti, le
cosiddette “banche ombra”, intervengono quando le banche più
controllate non lo fanno.
BENTORNATO FAR WEST - Quantificare i furti è difficile ma si ritiene
che circa il 6% dei 12 milioni di catalizzatori riciclati ogni anno
siano di provenienza furtiva: la stima proviene dal National Salvage
Vehicle Reporting Program, un gruppo no-profit che lavora a stretto
contatto con le forze dell'ordine. Questa percentuale sembra bassa
ma si traduce in circa 600.000 auto private dei catalizzatori negli
USA nel 2022 e in altrettanti proprietari disperati, o quasi. Il
valore dei catalizzatori è tale che un vice sceriffo, che indagava
sui furti di convertitori catalitici nella contea di Harris, in
Texas, è rimasto ucciso in una sparatoria con tre uomini che
tentavano di rubare quello della sua Toyota. In altri Paesi non va
meglio: a febbraio, nel sud della Germania, i ladri hanno
sequestrato un camion con un carico di catalizzatori del valore di
1,5 milioni di dollari. Julian Kohle, responsabile degli affari
governativi presso la International Platinum Group Metals
Association, ha poi evidenziato come il Sudafrica abbia sperimentato
un’escalation di violenza. Kohle ha citato come esempio un episodio
nel quale bande di uomini armati avevano aperto il fuoco contro una
guardia rubando poi metalli preziosi per circa 2,5 milioni di
dollari da un camion a Port Elizabeth. Un gruppo imprenditoriale
sudafricano ha inoltre accusato le organizzazioni criminali
internazionali di usare jammer per bloccare i dispositivi di
sicurezza e di tracciamento GPS allo scopo di rubare catalizzatori e
metalli preziosi usati per costruirli. Una piaga globale, quindi,
che richiede azioni decise per contrastarla.
20.11.23
ASSURDO : Aggredito
da un collega alle spalle. "Al rientro mi hanno bloccato subito"
Accoltellato in fabbrica torna e lo licenziano "Non può più
lavorare"
Cosa è successo
ANTONIO GIAIMO
pinerolo (torino)
Vittima di un'aggressione in fabbrica da parte di uno schizofrenico,
quando torna al lavoro trova una lettera di licenziamento. La
spiegazione della direzione è sconcertante: «Le lesioni che ha
riportato hanno provocato l'impossibilità di eseguire le mansioni e
non ci sono altri compiti che lui potrà svolgere».
Era il 19 dicembre dello scorso anno, da poco passate le 7 di
mattina, la vittima era di spalle e stava montando un pezzo nella
Tama Aernova di Roletto, fabbrica appena fuori Pinerolo che produce
sistemi filtranti, quando un suo collega - senza dire una parola -
si è avventato su di lui colpendolo alla schiena con un coltello.
Alla base dell'aggressione non c'era una lite, non un vecchio
rancore, solo un fantasma di quelli che prendono forma nella mente
dei malati psichiatrici.
Per un attimo Sanjay Mensa, 44 anni, adottato da una famiglia di
Pinerolo che l'aveva conosciuto nell'orfanotrofio di Madre Teresa di
Calcutta, è rimasto in piedi incredulo, poi si è accasciato a terra
e quando ha ripreso i sensi si è ritrovato in ospedale. I medici gli
avevano salvato la vita, ma la convalescenza e la riabilitazione
sono durate mesi. Le ferite alla schiena gli hanno provocato
un'invalidità del 16% e il medico della fabbrica ha stabilito che
avrebbe potuto certamente tornare al lavoro ma con alcune
limitazioni: non sollevare carichi superiori ai 5 chili, fermarsi al
secondo scalino in caso di uso della scala e poi alternare momenti
di lavoro in piedi ad altri seduto.
«Ma quando ho varcato il cancello - spiega Sanjay - sono stato
bloccato, mi hanno detto che nella fabbrica non c'erano mansioni che
facessero al mio caso e che dovevo tornare a casa». E aggiunge: «Mi
è crollato il mondo addosso, come è possibile che un'azienda che ha
un fatturato di 33 milioni e dice di investire parte dei profitti
anche sul sociale, licenzi un padre di famiglia con 4 figli a
carico?». Mentre parla nella sua casa, alla periferia di Pinerolo,
sono i disegni dei suoi bambini, appesi alle pareti, a fare da
cornice a un momento di grande preoccupazione. «Ma per quale motivo
la mia ditta ha dato lavoro a una persona che aveva seri problemi
psichiatrici e per me, che oggi pago le conseguenze di un fatto
violento avvenuto in fabbrica, c'è la lettera di licenziamento?
Possibile che lì dentro non ci sia un lavoro diverso che io possa
fare?».
Un'interpretazione chiara arriva dagli uffici di Pinerolo della
Cgil, dove si è rivolto per essere assistito: «Tutto risponde a quel
principio che guarda solo al profitto e non alla risorsa umana –
spiega Simona Petriello dell'ufficio vertenze -. Oggi Sanjay non
serve più alla produzione e allora lo vogliono mettere fuori. Il
paradosso è che facevano lavorare una persona che, sebbene avesse
problemi psichiatrici, era utile nel processo produttivo». La
vicenda è seguita da un pool di avvocati: uno si occupa del
procedimento penale nei confronti dell'aggressore, un altro della
causa di risarcimento nei confronti dell'azienda e un terzo
dell'aspetto legato al licenziamento. Si limita a dire il legale
Alberto Negro: «Riteniamo inaccettabile il comportamento del datore
di lavoro, adotteremo quindi tutte le iniziative di legge
finalizzate a tutelare la posizione di Sanjay Mensa».
Michele Chini, l'ad della Tama Aernova, società che ha anche uno
stabilimento a Predaia in Trentino e conta oltre 100 dipendenti, per
il momento ha scelto la strada del silenzio. Per lui parlano sia la
lettera di licenziamento sia quella con la quale dispone che
l'operaio debba lasciare lo stabilimento in attesa dell'incontro che
ci sarà con i sindacati nell'ambito della procedura di
conciliazione, passaggio obbligatorio per legge. E nero su bianco,
in relazione all'incontro del 6 dicembre, l'azienda scrive al
dipendente: «Addivenire alla risoluzione del rapporto di lavoro per
giustificato motivo oggettivo a seguito della tua inidoneità alle
mansioni disponibili in azienda».
UNA STORIA DEFINITA : 'Ndrangheta
Lo Stato
giuseppe legato
I numeri non sono tutto, anche se raccontano un pezzo della storia
di questo maxiprocesso: 207 condanne (su 338 imputati), 2.120 anni
di carcere inflitti in primo grado dopo tre anni (e centinaia) di
udienze in un'aula bunker costruita apposta per portare alla sbarra
una mafia nuova con la sua rete di potere, relazioni, connivenze.
«Rinascita Scott», processo e indagine seconda (statisticamente, ma
per citare chi l'ha messa in piedi «le similitudini finiscono qui»)
solo a quella del «maxi» di Palermo. Eppure anche qui c'è una
traccia, una linea di narrazione giudiziaria che va oltre arresti e
condanne, disegna (e conferma) le traiettorie della «Cosa Nuova».
Più dei nomi e dei ruoli (di vertice) dei 13 locali (strutture di
base) della ‘ndrangheta nella provincia di Vibo, considerata fino a
ieri - con un errore di concetto e racconto - una mafia di serie B,
colpisce, ad esempio la condanna di Giancarlo Pittelli. Concorso
esterno in associazione mafiosa. Undici anni: ne erano stati chiesti
17. Farà appello. I suoi legali non ci stanno: «È una condanna
statuita ad ogni costo perché indispensabile a salvare la
credibilità della intera operazione investigativa».
Massone di rango, già avvocato stimato in processi di grido,
deputato e senatore di Forza Italia, Pittelli, una volta passato a
FdI nel 2017, incassò l'endorsement di Giorgia Meloni che -
ovviamente ignara delle condotte del nuovo acquisto - commentò:
«Sarà un valore aggiunto». Che per il gip che ne ordinò l'arresto
nello storico blitz del 21 dicembre 2019 si è tramutato in questo:
«Ha messo a disposizione della cosca Mancuso il proprio rilevante
patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di
primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo
imprenditoriale e delle professioni».
Lui si è sempre detto vittima di un complotto: «Lascio l'esultanza a
impostori sociali e sciacalli» ha commentato ieri. Ma, intercettato,
chiede a ufficiali dell'Arma informazioni segrete su svariati
fronti. Le ottiene con una confidenza inquietante. Uno di loro la
pagherà: è il colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli, condannato
ieri a 2 anni e 6 mesi per rivelazione di segreto d'ufficio. Non
sapeva di aiutare la ‘ndrangheta, ma si fece scappare qualcosa che
doveva restare segreto.
Parallelamente Pittelli è a contatto con i boss supremi che
raggiunge «praticando a piedi posti impervi, facendosi accompagnare
da auto staffetta». Modalità «non tipiche di un avvocato, che pure è
stato senatore della Repubblica». È lui in definitiva «l'affarista
dei boss accreditato nei circuiti della massoneria più potente, in
grado di far relazionare la 'ndrangheta con i circuiti bancari, con
le società straniere, con le università, con le Istituzioni tutte,
fungendo da passepartout del Mancuso».
E di questa mafia e della sua nuova rete colpiscono i saldi legami
con alcuni «atenei universitari», ospedali, enti pubblici, politica
(nazionale) e massoneria, nella quale – secondo il pentito Cosimo
Virgiglio, già «Venerabile nella Gran Loggia dei Garibaldini
d'Italia» a Vibo Valentia - vanterebbe una doppia affiliazione. Il
dato era rimasto incastrato nel tempo, ma inquietante perlomeno
nelle premesse dei pentiti e dei testimoni. Il 6 marzo del 2014 il
professor Giuliano Di Bernardo, già «Gran Maestro D'Oriente
d'Italia» e successivamente fondatore della Gran Loggia Regolare
d'Italia, riferiva «con riguardo ai rapporti tra ‘ndrangheta e
massoneria» di aver appreso già nel 1993 «che in Calabria su 32
logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta».
Il boss Luigi Mancuso, «Il Supremo», docet: «Una volta quelli della
‘ndrangheta erano dei benestanti, poi gliel'hanno lasciata ai
poveracci, agli zappatori. E hanno fatto la massoneria perché hanno
le stesse regole». Disse Nicola Gratteri, oggi capo dei pm di
Napoli, che ha condotto la requisitoria chiedendo più di 4 mila anni
di carcere insieme ai colleghi Vincenzo Capomolla, Antonio De
Bernardo e Anna Maria Frustaci: «Essere mafiosi e massoni insieme
non vuol dire decidere a chi va l'appalto, ma stabilire a monte se
l'opera si deve fare o meno». La chiave è qui. Ma servono rapporti
trasversali, necessita il contributo di infedeli. Come quello –
perlomeno fino a questa pronuncia – dell'ex finanziere in servizio
alla Dia e poi passato ai servizi segreti Michele Marinaro, accusato
di concorso esterno e rivelazione di segreto d'ufficio (10 anni e 6
mesi). La responsabilità di diversi politici locali è stata
ridimensionata, a volte cancellata come nel caso dell'ex presidente
dell'Anci Calabria Gianluca Callipo. Ci sono diverse assoluzioni, va
detto. Restano invece le condanne comminate all'ex comandante della
polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci, all'avvocato
Francesco Stilo (14 anni), legale a disposizione dei clan non solo
per le attività difensive. E a imprenditori. Il mosaico è ampio,
come la rete.
UN MODELLO CHE NON HO POTUTO PROPORRE AL VESCOVO DI TORINO : REPOLE
;«In famiglia mi prendevano per pazzo». Era un salto nel
vuoto: pagare per salvare il proprio posto di lavoro, diventare
padroni di se stessi. Poteva finire malissimo: senza occupazione e
con i risparmi polverizzati. E invece oggi Mauro Montà non ha dubbi:
«Lo rifarei mille volte. Abbiamo dato una speranza alle nostre vite
e a quelle di tanti ragazzi di queste vallate».
Roccavione è un Comune di 2.500 abitanti a venti minuti d'auto da
Cuneo, stretto all'imbocco di due Valli: Vermenagna e Gesso. Nel
1872 i fratelli Pirinoli aprirono una cartiera. Otto anni fa i
lavoratori hanno fondato una cooperativa per salvarla dal fallimento
dopo tre anni di agonia e una serie di gestioni sballate. Erano 70:
ciascuno ha rischiato di tasca propria. Oggi i soci sono 78, i
dipendenti 97 e l'azienda ha chiuso il 2022 con un fatturato di 70
milioni e utili per 8. «Lavoravo in amministrazione», racconta il
vice presidente Ferdinando Tavella. «Mai visto un bilancio in
attivo. Eppure i proprietari di soldi ne investivano. Ma c'erano
poco. Per noi invece questo stabilimento è casa».
Forse la differenza sta qui. A Roccavione si trasforma la
carta-spazzatura in cartoncino patinato per le confezioni dei
prodotti che compriamo sugli scaffali dei negozi e in cartone grigio
(tipo quello dei rotoli di carta igienica). Produce 90 mila
tonnellate l'anno e da quando è di proprietà di chi ci lavora non ha
chiuso un solo bilancio in perdita in un settore ormai dominato
dalle produzioni a basso costo.
Un'intera comunità ha creduto in questa sfida. Daniele Aime se lo
ricorda bene quel giorno del 2014: «Ciascuno di noi ha deciso di
investire i denari della propria famiglia, o almeno una parte. Pochi
anni prima avevo lasciato un altro impiego, non volevo cambiare di
nuovo. Ho fatto la scelta giusta». Laura Beltrano ha quarant'anni,
vive in paese, ha due figli piccoli. Aveva smesso di lavorare perché
la sua azienda era troppo lontana da casa. «Quattro anni fa qui
cercavano qualcuno per la portineria: mi sono fatta avanti». Voleva
un part-time, oggi gestisce anche ordini e operazioni di carico e
scarico ed è diventata socia della cooperativa, una delle ultime. «È
un investimento sul futuro, delle nostre vite ma anche di questi
territori un po' sperduti dai quali senza fabbriche come questa la
gente sarebbe quasi costretta ad andarsene».
Fu il commissario che doveva liquidare la cartiera Pirinoli a capire
che la soluzione era dentro il capannone. «Lavoravamo fianco a
fianco», ricorda Tavella. «Quand'era chiaro che non c'erano
speranze, mi disse: "perché non la prendete voi?". Aveva ragione.
Avevamo scritto il piano industriale, sapevamo come tenerla in
piedi».
Sono partiti in cinque: Silvano Carletto, che ancora oggi è il
presidente, Tavella, uno dei pochi a non vivere in zona (originario
di Gioia Tauro, da più di vent'anni fa il pendolare tra Torino e
Roccavione) e tre rappresentanti dei lavoratori. Uno era Federico
Galliano, assunto nel 1995. Oggi è un caso rarissimo di
padrone-sindacalista: socio della fabbrica e rappresentante dei
lavoratori al tempo stesso. «Carletto e Tavella erano dirigenti, noi
la cinghia di trasmissione con gli altri. Ci siamo guardati in
faccia e abbiamo deciso di farlo». Hanno coinvolto i 65 colleghi,
fondato la cooperativa. Hanno ristrutturato i cicli di produzione,
investito sui macchinari. E poi hanno agito come una famiglia: fatto
economie, sopportato rinunce negli anni difficili e respirato in
quelli migliori. Non sono mai andati a fondo.
Eppure le precedenti gestioni investivano milioni. «È vero: la
famiglia Eva, di Torino, ha guidato questa fabbrica per quasi un
secolo. E anche il gruppo Pkarton ha speso tanti soldi», dice
Tavella. «Però non erano di qui, venivano ogni tanto. La cartiera è
un oggetto delicato: un errore può costare anche 100 mila euro al
giorno». E se dal 2015 i conti non sono più in rosso la ragione
probabilmente sta nelle parole di Mauro Montà: «Qui dentro non c'è
l'occhio del padrone. Ce ne sono 142, quelli di noi soci».
Così la cartiera ha superato il Covid restando chiusa appena un
giorno. Ha arginato lo choc energetico con una scelta drastica: «A
settembre dell'anno scorso il prezzo del gas era oltre dieci volte
lo standard. Produrre significava perdere 6 milioni in un mese. Ci
siamo fermati. Solo quando i clienti hanno avuto chiaro che i
rincari erano inevitabili anche per loro, siamo ripartiti». A
luglio, per la terza volta dal 2015 i 78 soci hanno ricevuto una
parte degli utili: quattro mesi di stipendio in più. Gli altri 7
milioni di utile sono andati a capitalizzare la cooperativa e a
coprire parte dell'ultimo investimento: sostituire alcune parti
della linea di produzione per abbattere del 15% i consumi. Alla
fabbrica serve gas per 4 milioni l'anno. Ma per farla girare ci
vogliono anche quantità enormi di energia elettrica e vapore.
Qualche anno fa i soci-lavoratori hanno deciso di costruire una
centrale di co-generazione che produce energia elettrica e termica.
«È costata 7 milioni, in tre anni siamo rientrati della spesa e ora
siamo del tutto autosufficienti, anzi, vendiamo l'energia che
avanza», spiega Tavella. Nel 2015, appena rilevata l'azienda,
avevano eliminato due dei tre macchinari: la prassi sarebbe usare un
impianto per il cartoncino e uno per il cartone ma loro ne impiegano
uno per entrambe le lavorazioni. «È stata una delle chiavi del
successo. Conosciamo la fabbrica, sapevamo che si poteva fare».
Il miracolo della cartiera, in fondo, è quello di tutta una
comunità: «Io sono nata qui e a Roccavione ci sono due simboli: l'arbu,
il castagno, e la fabbrica che qui è sempre stata la cartiera»,
racconta la sindaca Germana Avena. Tra i soci della cooperativa, nel
2014, c'erano anche lei e il suo vice, «come privati cittadini: era
un modo per tutelare i lavoratori e mostrare che le istituzioni ci
credevano». Ma anche per dare garanzie a chi doveva finanziare
l'operazione: servivano soldi per rilevare i macchinari e avviare la
produzione. «Nessuno ci credeva. Mi avevano sconsigliata, mi davano
della pazza. Ci sono abituata. È stato un salvataggio di comunità. A
cose fatte, siamo usciti dalla cooperativa e sono entrati gli
operai. Oggi posso dire che dei miei cinquant'anni in municipio è la
cosa di cui vado più orgogliosa».
19.11.23
l1Che cos'è la carne coltivata (definita erroneamente anche "carne
sintetica")?
È prodotta dalle cellule staminali di un animale: le cellule vengono
coltivate in un ambiente privo di contaminanti e senza antibiotici.
l2Come si lavora la cellula?
In un fermentatore, le cellule alimentate con ossigeno, mangime e
calore crescono come farebbero nel corpo di un animale, sfruttando
la capacità delle staminali di replicarsi indefinitamente. Una volta
matura, la carne viene raccolta, ed eliminato il liquido di mangime
rimanente, si ottiene un prodotto simile al macinato con fibre
lunghe che viene compattato sottovuoto.
l3In quali Paesi si consuma?
Israele, Regno Unito, Singapore e Stati Uniti.
l4Gli scienziati italiani stanno facendo ricerca?
Sì, con la startup trentina Bruno Cell, Politecnico di Torino e
università.
l5Quali i vantaggi?
Secondo i produttori non produce scarti, riduce l'emissione di gas
serra del 98% rispetto agli allevamenti tradizionali, riduce del 99%
l'uso di acqua e sfrutta il 99% in meno dei terreni.
l6Quali gli svantaggi?
Scienziati e studiosi sono divisi: alcuni sollevano dubbi sui
meccanismi che nascono dalle staminali e bloccherebbero alcuni geni,
come il P53, che frenano lo sviluppo di cellule tumorali.
l7 Qual è la differenza tra sintetica e vegetale?
La carne vegetale usa principalmente legumi e le proteine presenti
come sostituti della carne: con aromi e altri ingredienti si cerca
di riprodurre consistenza e sapore del prodotto animale. —
18.11.23
TRAGICO: Quei bambini
traumatizzati che ora comunicano solo a versi
Tamar Verete-Zehavi
Nelle ultime settimane ho lavorato come volontaria in un asilo
d'infanzia dentro uno degli hotel di Gerusalemme che sono stati
trasformati in una specie di campo profughi di lusso.
Ci sono quaranta bambini, tutti evacuati dalle zone in cui si
combatte il conflitto tra Israele, Hamas ed Hezbollah. Alcuni di
questi bambini hanno trascorso moltissime ore dentro i rifugi,
ascoltando i rumori dei terroristi di Hamas che all'esterno
massacravano i loro parenti, gli amici e gli animali domestici.
Molti dei loro familiari sono stati rapiti e portati a Gaza. Ci sono
due fratelli che sono rimasti nascosti a lungo dentro un mobile in
cui la madre li aveva infilati, ordinandogli di rimanere in
silenzio, «altrimenti vi ammazzano!». A questi bambini non leggo
storie, a malapena riusciamo a parlare di quello che hanno vissuto.
Passo le giornate a dirgli che gli voglio bene, a farli giocare e
disegnare, due attività che aiutano la guarigione dell'anima.
Ruth, 6 anni, ha deciso di cominciare a parlare come una bambina
piccola. Ha detto: «Aaaaa bbbbb». Le ho risposto: «Fffff ddddd». E
così abbiamo cominciato a comunicare. E questa è l'unica lingua che
mi sembra possibile parlare in questi giorni; l'unica lingua che mi
permette di entrare in contatto con tutti i bambini che soffrono nel
mondo.
Capite bene quindi che non sono in grado di esporre il mio punto di
vista e le mie posizioni rispetto alla realtà della zona di guerra
in cui vivo. Non ho parole per descrivere l'orrore. Forse però posso
far comprendere la mia prospettiva sugli eventi tramite i libri per
bambini e ragazzi che ho scritto in passato.
Quando ero una giovane madre, non trovavo libri per bambini che
parlassero del conflitto israelo-palestinese, una situazione
politica che inevitabilmente influisce, oggi come allora, sulla vita
di tutti gli abitanti di questa parte del mondo. Così, quei libri li
ho scritti io, rivolgendomi ai lettori più giovani: è tuttora la mia
missione di attivista.
All'inizio erano lavori bilingue, li scrivevo insieme al mio amico
palestinese Abdelsalam Yunis: lui in arabo, io in ebraico. La
scrittura condivisa era già un atto politico e testimoniava che la
condivisione era possibile. Nessuno ha dovuto rinunciare alla
propria identità, né alla propria lingua. Ci siamo divisi la pagina,
c'era spazio per entrambi. E quando i bambini leggono nella loro
lingua madre, l'altra lingua è lì accanto, dove possono vederla.
Quando i miei figli sono cresciuti, ho cominciato a scrivere romanzi
per adolescenti in cui giovani ebrei e giovani palestinesi si
confrontavano coraggiosamente su questo sanguinoso conflitto,
tentavano di risalirne le origini, e chiedevano e rivendicavano per
se stessi la possibilità di amarsi.
Tutti i miei libri che parlano del conflitto tra Israele e Palestina
vengono da mie esperienze personali, vere: non ho inventato mai. Il
romanzo Sruta, per esempio, l'ho scritto all'epoca della Seconda
Intifada, un periodo caratterizzato da terribili attentati
terroristici in tutto il Paese e in particolare nella mia città,
Gerusalemme. L'odio degli arabi era tutto intorno a me, e aumentò
ulteriormente dopo l'attentato a un supermercato nel mio quartiere.
Allora mi dissi che avevo di fronte una grande sfida: dare un altro
senso a quell'attentato.
La canzone di Rosie (Gallucci) l'ho scritto invece dopo aver svolto
attività di volontariato insieme alla mia amica Naama a Hebron
(città palestinese nei territori occupati). Per un anno abbiamo
insegnato l'ebraico a un gruppo di donne palestinesi, che volevano
impararne i rudimenti per poter comunicare meglio con i soldati e
gli ufficiali del comando militare. Andammo lì convinte che il
dialogo potesse aiutare a contrastare la violenza.
Ho le lacrime agli occhi quando penso a Yaffa and Shounra, un libro
bilingue per bambini che ho scritto quest'anno con la mia amica
palestinese cristiana Tarez Saada Ladkani. È illustrato da Alla
Martini, rifugiata siriana musulmana, e racconta la storia di due
gatti, uno di Gaza e l'altro di un kibbutz poco oltre il confine. Il
primo è il gatto di Ahmed, il secondo il gatto di Noa. Tre donne -
una cristiana, una musulmana e un'ebrea - hanno tentato di creare
insieme un'immagine di pace e riconciliazione. Ma dov'è Noa adesso?
È stata uccisa il 7 ottobre, quando i terroristi di Hamas hanno
massacrato la gente del suo kibbutz? È stata rapita e ora è a Gaza?
E dov'è il piccolo Ahmed? È riuscito a sfuggire alle bombe o è
sepolto sotto le macerie? Non lo so. Aaaaa bbbbb. Non ho parole. —
*Scrittrice israeliana nata a Gerusalemme nel 1959, si è occupata
per anni di educazione alla convivenza tra ebrei e arabi,
L'EREDITA' SPERANZA PD : Senza
medico
Paolo Russo
roma
«Arrivano nei nostri studi verso sera, sono i pazienti orfani del
medico di famiglia e non sanno da chi farsi prescrivere farmaci e
certificati». Verona, Italia. Perché la desertificazione dei dottori
di medicina generale descritta da Alberto Vaona, segretario
provinciale veronese della Fimmg (il sindacato dei medici di base),
è in atto un po' in tutto il Paese. «Sento di colleghi che
trascorrono le notti a fare ricette e la situazione fino al 2025 con
i pensionamenti in arrivo andrà ad aggravarsi. Tanto che la Asl sta
definendo un accordo affinché le guardie mediche siano aperte anche
di giorno laddove ci sono almeno 500 cittadini rimasti senza medico
di riferimento», racconta sempre Vaona. E i numeri raccolti da Istat
e Agenas, l'Agenzia pubblica per i servizi sanitari regionali, gli
danno ragione. Negli ultimi 15 anni tra medici di base, pediatri e
guardie mediche si sono persi per strada 13.788 camici bianchi
schierati nel grande ammalato del nostro Ssn, il territorio. In
pratica è venuto a mancare un medico su cinque.
Nel 2012 di medici di famiglia se ne contavano oltre 46 mila. Poi
anno dopo anno l'erosione: 42.426 nel 2019, 41.707 nel 2020, 40.250
l'anno successivo per arrivare da qui al 2025 a contarne solo
36.628, qualcosa come diecimila in meno in 12 anni, durante i quali
la popolazione sarà pure leggermente diminuita ma è anche
invecchiata. E sono proprio gli anziani a fare più spesso visita
agli ambulatori dei camici bianchi del territorio. Il problema è che
già oggi la maggior parte di loro ha oltre 25 anni di servizio alle
spalle e il ricambio generazionale non è in vista. Anzi, secondo l'Enpam,
l'ente previdenziale dei dottori, i giovani formati da qui al 2031
copriranno solo la metà dei 20 mila medici di famiglia destinati ad
andare in pensione, visto che oltre la metà di loro ha già più di 60
anni.
Ma già oggi i medici che hanno a proprio carico più di 1.500
assistiti sono il 38% secondo l'ultima rilevazione Istat: essendo il
massimo previsto da contratto, sono costretti a rimandare al
mittente le nuove richieste di iscrizione da parte dei cittadini.
Che magari si ritrovano a dover scegliere un dottore più lontano o
che non conoscono affatto. Così come diventa un'impresa cambiare
medico. Un problema più sentito al Nord, dove in media ogni medico
ha 1.326 assistiti, mentre al Centro a ciascuno ne toccano 1.159 e
al Sud 1.102. Ma la situazione varia parecchio da Regione a Regione.
Così a star messo paggio è l'Alto Adige, con 5,47 medici ogni 10
mila abitanti, seguito da Lombardia (5,8), Calabria (5,86) e
Trentino (6,09). Sotto la soglia di guardia di 7 medici ogni 10 mila
abitanti sono anche Veneto, Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia,
Emilia Romagna, Campania, Piemonte, Liguria e Marche. Ma tra due
anni tutte le Regioni saranno a «rosso fisso», con il serbatoio di
medici quasi svuotato. «Il problema - spiega Anna Lisa Mandorino,
segretario nazionale di Cittadinanzattiva - è che spesso le carenze
di medici di famiglia sono concentrate nelle zone più periferiche
del Paese, a bassa intensità abitativa, che abbiamo definito per
questo deserti sanitari».
A invertire questa tendenza potrebbero essere le nuove leve, visto
che grazie anche ai soldi del Pnrr il governo ha messo a
disposizione dei neo laureati 900 borse di studio per specializzarsi
in medicina generale, portando così il totale dei posti a 2.779
l'anno da qui al 2025. Peccato però che all'appello si siano
presentati meno candidati delle borse a disposizione. Senza
calcolare che parte degli iscritti abbandona anzitempo i corsi.
Eppure, come spiega Silvestro Scotti, Segretario nazionale Fimmg,
«oggi intraprendere la specializzazione in medicina generale può
essere più conveniente rispetto a una specialità ospedaliera. Questo
perché agli 850 euro mensili della borsa di studio si possono
sommare allo stipendio di guardia medica o a quello di medico di
famiglia, visto che gli specializzandi, fino al 2026, possono sin
dal primo anno ricoprire entrambi i ruoli, pur sotto la supervisione
di un tutor». Peccato però che questa opportunità, introdotta per
legge lo scorso anno, sia sconosciuta ai più, come sostiene lo
stesso Scotti. Che sollecita a sua volta una norma di legge che
consenta alle Regioni a corto di medici di famiglia «di poter
attingere alle graduatorie di quelle confinanti». Opportunità da
sfruttare al più presto per ridare un medico di famiglia a quei due
milioni di italiani che sono rimasti senza e che diventeranno 5
milioni da qui a tre anni se non si farà qualcosa.
In Italia corsi di tre anni all'estero la specialità
«Nei prossimi cinque anni mancheranno 45 mila medici di base, è
vero. Ma chi va più da loro? Oggi nel mio paese vanno a farsi fare
la ricetta, ma chi ha meno di 50 anni va su internet a cercarsi lo
specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico di famiglia è
finito». Le parole pronunciate due anni fa da Giorgetti fecero
infuriare i medici di base. I quali però, se sono a volte
considerati di serie B rispetto ai colleghi ospedalieri, lo devono
al fatto che questi dopo la laurea si fanno 5 o 6 anni di
specializzazione universitaria, mentre loro se la cavano con corsi
regionali di soli tre anni, spesso gestiti da uomini del potente
sindacato di categoria, la Fimmg, o dalla loro società scientifica,
la Simg. Un'anomalia tutta italiana, visto che negli altri Paesi
europei la formazione in medicina generale è sempre universitaria e
dura dai 4 ai 5 anni. Ad esempio la Spagna prevede 5 anni di
università con tirocinio finale e interscambi didattici con altri
dipartimenti specialistici. In Olanda, Danimarca e Regno Unito si
fanno sempre 5 anni di specializzazione universitaria, che
Oltremanica è divisa in due anni comuni a tutte le specializzazioni
mediche e tre suddivisi tra attività medica di base e ospedaliera.
17.11.23
Se non lo consideriamo un problema, il debito non calerà
La prossima settimana arriverà la valutazione della Commissione
europea sulla nostra legge di Bilancio. Con ogni probabilità,
ci saranno parecchie indicazioni che conosciamo, e anche molto bene.
Del resto, cambiano i governi, si ricompongono le maggioranze,
talvolta anche in maniera creativa, ma i problemi del Paese sono
sempre gli stessi: crescita asfittica, produttività stagnante, tassi
di disoccupazione giovanile e femminile in cima alla classificazione
europea e, soprattutto, debito pubblico che non scende. Anzi, sale.
In base alla ultime previsioni pubblicate da Bruxelles qualche
giorno fa, il nostro stock di passivi in rapporto al Pil dovrebbe
passare dal 139,8% del Pil di quest'anno al 140,8 del 2025. Una
simile dinamica la registra solo la Francia, sebbene su livelli
assai più moderati, ossia dal 109,6 al 110 per cento. Questa
situazione non è certamente una novità degli ultimi anni. Il nostro
debito è mediamente sempre aumentato. Il motivo è semplice: non è
considerato un problema. E, invece, il debito costa. Ogni anno lo
Stato deve pagare gli interessi a chi lo detiene. Per il 2026
l'attuale governo prevede una cifra monstre di circa cento miliardi,
la più elevata in Europa. Con così tante risorse si potrebbe
intervenire proprio su quelle debolezze che affliggono la nostra
economia a cominciare dalla disoccupazione giovanile, quindi la
scuola. Il debito, poi, rende meno flessibili. Lo abbiamo visto
durante la crisi pandemica e anche durante quella energetica.
L'Italia poteva disporre di margini di manovra, ossia della
possibilità di prendere risorse a prestito per sostenere l'economia
senza creare tensioni sui mercati finanziari, ben più ridotti di
quelli a disposizione di competitor come la Germania.
Il debito, infine, rende più vulnerabili. In caso di choc, un Paese
ad alto debito può essere oggetto di attacchi speculativi. Si
diventa dunque fonte di instabilità anche per gli altri, ovvero
l'anelo del contagio finanziario. In altre parole, un'economia che
non riesce a mettere il proprio debito su una traiettoria
decrescente è un rischio per l'intera area.
Questi aspetti sembrano banali, eppure non sono mai davvero entrati
nel dibattito pubblico. Il debito è stato presentato come
un'opportunità, una fonte di finanziamento a cui ricorrere migliore
delle altre, ossia del taglio delle spese e dell'aumento delle
tasse, perché ci è stato spiegato che era persino buono. Abbiamo,
quindi, speso molto. Troppo. C'era davvero bisogno di prendere 120
miliardi di debito europeo per il Piano nazionale di ripresa e
resilienza? Certamente no. La scelta è stata miope. Oggi ci troviamo
in una situazione complessa. Incertezza crescente e tassi alti non
aiutano le economie ad alto debito.
C'è, poi, un aspetto tutto politico che riguarda la partita delle
regole. In questi giorni si discute la revisione del Patto di
Stabilità e Crescita. Il governo fa bene a essere perplesso su un
impianto per nulla trasparente. Prima di firmare una riforma che si
spera sia destinata ad essere vigore senza troppe cambiamenti per un
lungo periodo di tempo, bisogna essere certi di poterla rispettare.
In passato non siamo stati campioni. Va precisato, tuttavia, che in
diverse occasioni la Commissione è stata complice: ha chiuso un
occhio di troppo concedendo ampi margini di flessibilità che si sono
tradotti in maggiore debito per finanziare spesa corrente, a
cominciare dal bonus 80 euro di Renzi.
A guardar bene, però, il problema non riguarda solo le regole
europee ma anche quelle italiane che ci siamo dati noi stessi. In
base all'articolo 81 della Costituzione rivisto nel 2012 durante il
governo Monti, «il ricorso all'indebitamento è consentito solo al
fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al verificarsi
di eventi eccezionali». Tradotto: si aumenta il debito solo in caso
di emergenza. Noi, però, l'emergenza l'abbiamo trasformata in una
situazione permanente: si è ricorso ai cosiddetti "scostamenti",
quindi a maggiore debito, anche in fase espansiva del ciclo. Ovvero
proprio quando si dovrebbe risparmiare. Una violazione ripetuta
della nostra Costituzione di cui quasi nessuno si è scandalizzato.
IL SOLITO DOPPIO GIOCO DI SALVINI : l'emendamento del
leghista massimo garavaglia
Tassa da 3 euro sui viaggi in nave e aereo per finanziare il
risanamento dei Comuni
Una tassa d'imbarco per i passeggeri degli aerei, delle navi da
crociera e dei traghetti, fino a 3 euro a persona, per finanziare il
risanamento del debito dei Comuni italiani che sottoscrivono un
«patto virtuoso» con il governo. Una sorta di tassa di soggiorno
aggiuntiva, che i Comuni potranno decidere come fosse un'addizionale
e che potranno applicare a uno o a tutti i vettori. L'ex ministro
del turismo Massimo Garavaglia, insieme ai colleghi leghisti Testor
e Dreosto, ha depositato in Commissione Bilancio al Senato un
emendamento che sblocca l'operazione attraverso un prelievo diretto
all'emissione del biglietto da parte delle compagnie di navigazione
o aeree (o alle agenzie cui è affidato il servizio). Le imprese che
non eseguissero il prelievo sarebbero soggette a una sanzione fino
al 200% del diritto d'imbarco fissato dal Comune di competenza. La
misura, inizialmente prevista per i Comuni in dissesto o in rosso, è
stata estesa a tutti i capoluoghi di provincia con i bilanci in pari
ma con un indebitamento superiore ai mille euro pro-capite.
L'emendamento di Garavaglia fa riferimento al decreto legge 50 del
2022 firmato dal governo Draghi e fatto proprio dall'esecutivo
Meloni, che mancava soltanto dello strumento d'incasso. Molte città
metropolitane hanno già stipulato il patto con l'esecutivo. Genova,
che ha già azionato una delle leve innalzando l'aliquota addizionale
Irpef, ha già preparato le carte per applicare la tassa sui
biglietti d'imbarco: 3 euro a persona per i passeggeri dei traghetti
e delle navi da crociera (aerei esclusi, al momento). L'introito
previsto è poco inferiore ai dieci milioni. Venezia starebbe
pensando al prelievo sui soli passeggeri degli aerei, Napoli e
Palermo sarebbero orientati al prelievo su tutti e tre i vettori.
Black Amazon
andrea rossi
torino
Un dipendente dello stabilimento Amazon di Torrazza Piemonte,
provincia di Torino, ha accumulato 41 giorni di sospensione per
avere – in più occasioni – guardato il telefono durante l'orario di
lavoro. Non aveva comunicato, all'inizio del turno, che avrebbe
potuto ricevere una chiamata d'emergenza, dunque non era autorizzato
a usare il cellulare. Le emergenze si chiamano così perché accadono
inaspettate, eppure ad Amazon vanno anticipate, altrimenti chi
risponde a una telefonata si prende un provvedimento disciplinare.
Che l'ispettorato del lavoro ha annullato.
Un'addetta di Novara, invece, ha ricevuto una contestazione per
essersi rifiutata di mostrare agli addetti alla sorveglianza il
contenuto del portafogli. Il metal detector sotto il quale tutti
devono passare prima di godersi i 30 minuti di pausa aveva suonato.
Ma il portafoglio appartiene a quei beni che solo le forze
dell'ordine – e nemmeno sempre – possono esigere.
A un suo collega di Vercelli è bastato staccare la presa di corrente
che alimenta le casse che sparano musica a tutto volume nei reparti
– a quanto pare per imprimere maggiore ritmo all'attività – per
finire nei guai. Aveva mal di testa, aveva più volte chiesto ai
responsabili di abbassare il volume; quando non ha più retto ha
fatto da sé, «senza autorizzazione» e «di fatto manomettendo un
asset aziendale», scrive Amazon nella lettera con cui gli concede
dieci giorni per difendersi.
Nella settimana del Black Friday – la promozione che garantisce
centinaia di migliaia di prodotti a prezzi scontati – e all'inizio
della lunga corsa verso Natale, il periodo in cui il gigante
dell'e-commerce realizza una parte consistente dei profitti
dell'anno, i lavoratori dei cinque poli piemontesi (4 mila assunti
in totale) hanno deciso di ridurre il ritmo del tumultuoso
ingranaggio che consegna milioni di prodotti nelle case. Al picco di
lavoro da smaltire risponderanno attuando da domani «un moderato
calo dell'attività e un eventuale rifiuto alla richiesta di mansioni
non contemplate nel contratto», annuncia un documento della
Uiltrasporti, il sindacato più rappresentativo in Piemonte negli
stabilimenti Amazon. «Ogni pressione o atteggiamento "minaccioso" da
parte del management dovrà essere segnalato ai rappresentanti».
È una protesta che nasce da lontano, arriva al culmine di mesi in
cui nei capannoni Amazon in Piemonte è successo di tutto. «Non
comprendiamo come un'azienda di tali dimensioni possa riservare ai
dipendenti un trattamento lesivo della dignità e al limite della
tutela della salute», spiega Massimo Carli, funzionario della Uil.
«E siamo sconcertati dalle mancate risposte alle nostre richieste, a
cominciare da quella di un incontro con i vertici dell'azienda».
In Piemonte la multinazionale ha cinque stabilimenti: tre (Torrazza,
Vercelli, Novara) sono gestiti da Amazon logistic, lì vengono
stoccati i prodotti e preparati i pacchi. Gli altri due, Brandizzo e
Grugliasco, fanno capo ad Amazon Transport che gestisce il servizio
di consegna: qui non ci sono problemi, i sindacati parlano di
«rapporti di reciproca soddisfazione». Eppure anche a Brandizzo e
Grugliasco da domani l'attività è destinata a rallentare «per senso
di gruppo e solidarietà; la nostra azione va interpretata come un
"basta" a ogni sopruso».
Le ragioni della protesta sono racchiuse nelle cause che con
allarmante regolarità finiscono davanti agli ispettorati
territoriali del lavoro cui si rivolgono gli addetti sanzionati. E
quasi sempre si concludono con una conciliazione o una pronuncia a
favore del dipendente. Ci sono i controlli all'ingresso dei servizi
igienici: a chi arriva viene chiesto il motivo per cui sta andando
in bagno. Ci sono le ispezioni: un'addetta ha dovuto aprire il
borsello dove teneva gli assorbenti per mostrarne il contenuto.
Verifiche per scongiurare furti e appropriazioni, spiega Amazon,
esattamente come i metal detector da attraversare all'uscita per la
pausa o la fine del turno. «Controlli ossessivi, al limite
dell'umiliazione», ribattono i sindacati.
C'è un'opprimente attenzione agli orari: «Alle 14,55 lei era
previsto in reparto per poter presenziare al briefing di metà turno
ma si palesava solamente due minuti dopo la fine della pausa; tale
ritardo non era stato approvato dal supervisore di turno», contesta
Amazon a un addetto. «Al rientro dall'orario di fine pausa l'area
manager la incontrava in un'ala dello stabilimento alle 3,28
nonostante l'orario di fine pausa fosse previsto alle 3,25», si
legge in un altro verbale. E non è ammesso alcun calo del ritmo:
«Durante il consueto giro di verifica del reparto l'operation
manager la incontrava mentre, interrompendo l'attività lavorativa,
era intento a conversare con una collega assegnata la postazione
adiacente. Nello specifico veniva visto appoggiato con ambo le
braccia alla postazione della collega e la testa appoggiata sulle
mani».
Descrizioni minuziose che restituiscono il clima cui è sottoposto
chi lavora in quegli stabilimenti. Un mese fa a Vercelli un'addetta
si fa male a un braccio mentre armeggia con un pacco da 5 chili sul
nastro trasportatore. Nella concitazione del momento non aziona la
corda di sicurezza che ferma il rullo. Immediata l'azione
disciplinare: «La sua condotta viola le vigenti regole di sicurezza
con riferimento alle quali lei è stata debitamente informata e
formata». Colpevole di essersi infortunata. Qualche mese fa, una
sera, un lavoratore di Torrazza si sente male: ha forti dolori
all'addome. Sono le otto. Va in infermeria, chiede di chiamare
un'ambulanza. La responsabile glielo vieta. «Inutile», riferiscono i
delegati sindacali che accorrono sul posto, subito allontanati dato
che «il lavoratore non è iscritto». Solo dopo la mezzanotte, e dopo
aver chiamato il 118 di sua iniziativa, viene portato in pronto
soccorso.
«Siamo orgogliosi delle condizioni che offriamo ai nostri
dipendenti, stipendi e benefit competitivi; il loro benessere è la
nostra priorità», è la replica di Amazon. «L'azienda intrattiene
relazioni costruttive con tutte le sigle sindacali. L'ultimo
incontro risale al 31 ottobre e sono stati affrontati
collaborativamente diversi temi, pianificando contestualmente altri
incontri».
«L'obiettivo che stiamo perseguendo, sotto l'egida del segretario
generale Uil Trasporti Claudio Tarlazzi e del segretario nazionale
logistica Marco Odone, è la tutela della salute e della dignità dei
lavoratori», racconta Carli, che coordina tutte le rsa di Amazon in
Piemonte. «La nostra campagna contro le morti sul lavoro riguarda
anche le sofferenze "morali" e "psicologiche" che si verificano ogni
giorno a causa delle pressioni subite». Pressioni che sconfinano
anche nell'intromissione nella sfera privata. Un dipendente dello
stabilimento di Novara qualche settimana fa è stato licenziato per
aver minacciato un superiore. «Appena ti becco ti ammazzo», gli ha
scritto. Fatto grave, ma avvenuto sulla chat del calcetto di un
gruppo di lavoratori e fuori dall'orario di servizio. Eppure è
bastato per cacciarlo. Il sindacato ha impugnato il licenziamento
riservandosi di fare denuncia penale. È l'ennesima conferma di un
fatto: l'efficienza pressoché assoluta di Amazon è ottenuta a
condizioni che hanno un impatto pesantissimo sugli addetti, dentro e
fuori gli stabilimenti, prima, durante e dopo l'orario di lavoro. E
proprio quell'efficienza hanno deciso di minare i lavoratori del
Piemonte, nella settimana più calda dell'anno. «Il picco (dei
pacchi, delle consegne, degli affari, ndr) ve lo fate voi»
Si indossa come un orologio: un tasto avvisa i carabinieri
Un angelo chiamato smartwatch salva le donne dalla violenza
«Mobil angel», lo smartwatch contro la violenza di genere. Una sorta
di bodyguard tecnologico per le donne vittime di maltrattamenti che,
al primo segnale, attiva l'intera rete di soccorso. Carabinieri,
familiari, associazioni.
Quindici i dispositivi a disposizione del comando provinciale dei
carabinieri di Torino, cinque ad Ivrea. Quattro attivi, uno in fase
di restituzione perché il marito violento è finito in manette.
Il funzionamento è semplice: basta sfiorare l'icona per attivare
l'allarme acustico destinato alla centrale operativa che
geolocalizza la vittima e invia una pattuglia. Non solo. Un allarme
viene inviato anche al referente dei carabinieri che ha seguito il
caso e un familiare o amico segnalato come contatto d'emergenza.
«Il dispositivo consente di mettere la donna vittima di violenza al
centro di una rete istituzionale», spiega il comandante provinciale,
colonnello Roberto De Cinti.
L'iniziativa, sperimentata a Torino, Milano e Napoli e nata dalla
collaborazione tra l'Arma dei carabinieri, la Fondazione Vodafone
Italia e Soroptimist International, prende il via da una
considerazione. E la riassume bene il prefetto Donato Giovanni
Cafagna: «La tecnologia può essere uno strumento utile per
combattere la violenza di genere». Uno strumento non di controllo
sulla donna, ma di aiuto alla sua libertà.
E sempre più sono i casi di maltrattamenti che finiscono sul tavolo
dei magistrati torinesi. «Su 6000 procedimenti l'anno, oltre 700
sono relativi alla violenza di genere», spiega la procuratrice capo
di Ivrea Gabriella Viglione. «Sei pubblici ministeri su otto si
occupano di procedimenti di codice rosso. Che vengono trattati come
procedimenti d'urgenza». A Ivrea, come a Torino, il procura pone
un'attenzione particolare alle donne vittime di violenza. «La
legislazione è sufficiente- riflette la procuratrice reggente di
Torino Enrica Gabetta - È necessario però intervenire anche sulla
cultura maschile»
Pubblicati su Nature gli esiti dello studio condotto insieme da
Milano e Torino: "Innescato dalle cellule immunitarie"
Pancreas, la svolta nella ricerca "Trovata una causa del tumore"
alessandro mondo
Cellule immunitarie che possono determinare l'innesco del tumore e,
quando questo è in fase iniziale, favorirne lo sviluppo: un
paradosso, dall'esito sovente letale, di cui si è scoperta
l'esistenza e che apre nuove prospettive.
Il tumore è quello del pancrea, il più aggressivo della variegata
famiglia delle neoplasie, con cui ha dovuto combattere, tra molti
altri, Fedez. Le cellule si chiamano macrofagi, e non sono cellule
qualsiasi. La scoperta rimanda ad uno studio " made in Italy", che
ha permesso di scoprire, per l'appunto, uno dei fattori di innesco
del tumore del pancreas.
Protagonisti della ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica
internazionale Nature, i ricercatori dell'Istituto San Raffaele di
Milano Telethon per la Terapia Genica in collaborazione con il
Laboratorio di Immunologia dei Tumori dell'Ospedale Molinette e con
il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute
dell'Università di Torino, coordinato dai professori Francesco
Novelli e Paola Cappello, i cui lavori sono da anni supportati da
Fondazione Ricerca Molinette Ets. Un lavoro di squadra, insomma, tra
professionisti delle due città.
Lo studio si è focalizzato sul ruolo dei macrofagi, un tipo di
cellula immunitaria che svolge un ruolo fondamentale nella difesa
delle invasioni microbiche ma anche nell'innesco dell'infiammazione.
Premessa: anche la famiglia dei macrofagi è popolosa, e non del
tutto conosciuta. Non a caso, l'importanza del lavoro è stata quella
di individuare una nuova classe di macrofagi i quali, anziché
contrastare il tumore, ne promuovono la crescita.
Analizzando il tumore dei pazienti con carcinoma del pancreas, sono
stati individuati macrofagi associati al tumore: queste cellule,
interagendo con quelle pancreatiche, sono in grado di stimolare la
crescita della malattia attraverso la secrezione di molecole
infiammatorie.
In particolare, lo studio suggerisce che è proprio la vicinanza
fisica tra macrofagi e cellule tumorali a sostenere la progressione
della tumore.
Come sempre, in ambito scientifico, resta da capire cosa determini
questo "patto scellerato", diciamo così, tra cellule e cellule: ogni
scoperta non è un punto di arrivo ma di ripartenza, nel senso che
apre una nuova sfida. Anche così, gli esperimenti in laboratorio per
impedire questo legame ed interferire con questo circuito sono stati
molto incoraggianti, spiegano i ricercatori, con una riduzione
dell'infiammazione e un rallentamento della crescita del tumore del
pancreas.
I risultati dello studio saranno importanti non solo per la terapia
ma per una potenziale prevenzione. Lo sviluppo del tumore del
pancreas, infatti, è associato ad una forte componente
infiammatoria: pancreatiti ricorrenti, cioè infiammazioni
dell'organo, rappresentano uno dei fattori di rischio per
l'insorgenza della malattia. Bloccare le molecole infiammatorie
rilasciate dai macrofagi, che alterano le cellule pancreatiche nelle
persone predisposte al tumore, potrebbe rivelarsi un approccio utile
anche in chiave preventiva.
Significa migliorare l'aspettativa di vita dei pazienti di una forma
tumorale che ancora ai giorni nostri riscontra esiti infausti. Le
malattie pancreatiche, benigne e maligne, risultano in costante
crescita: quasi 15 mila, secondo i dati della Associazione Italiana
Oncologia Medica, le nuove diagnosi in Italia nel 2022. —
16.11.23
L'ultimo rapporto sul 2022: uno su dieci non conduce una vita
considerabile come dignitosa. E il fenomeno ormai è diventato
strutturale
Sei milioni di italiani in povertà assoluta La Caritas: "Una
sconfitta per la società"
Valeria D'Autilia
Una povertà ormai «strutturale» che diventa «sconfitta per l'intera
società». E non risparmia neppure i minori - anello debole di una
iniquità sociale che ne compromette il futuro - né chi un lavoro ce
l'ha. Nell'Italia dell'ultimo rapporto Caritas, i poveri assoluti
sono 5 milioni 674 mila: rappresentano il 9,7% della popolazione.
Molti sono stranieri. A conti fatti, un residente su dieci non ha un
livello di vita dignitoso. Senza l'aiuto dei volontari e dei sussidi
statali sarebbe il baratro. In parallelo, per oltre 14 milioni di
persone – che rappresentano il 24,4% del totale - si registra anche
un rischio di finire nelle maglie più deboli.
L'edizione 2023 dello studio che analizza povertà ed esclusione
sociale è lo specchio di un Paese che, in tre decenni, ha visto
mutare radicalmente il fenomeno. Sia nei numeri, in crescita, che
nei profili sociali. «Tutto da perdere», oltre a rappresentare il
titolo scelto per il rapporto di quest'anno (presentato in vista
della Giornata mondiale dei Poveri di domani), è la fotografia
impietosa di un'Italia che cambia. In peggio. Basti pensare che tra
le nuove forme di povertà s'incasellano anche quella energetica,
legata al costo delle bollette, separati e famiglie con figli a
carico.
Dal 2021 al 2022 i poveri assoluti sono aumentati di 357mila unità.
E in questa categoria rientrano anche i cosiddetti "working poor", i
lavoratori poveri. In nero, in grigio – con una regolarità solo
apparente – ma anche con part time forzati e salari inadeguati.
Deboli, penalizzati e privi di aspettative, sono 2,7 milioni:
cercano soltanto di «sopravvivere». Rappresentano quasi il 23%
dell'utenza della Caritas. E così accade che ci siano nuclei con il
capofamiglia occupato, ma nel 47% dei casi classificabili in povertà
assoluta. Un numero che, nelle famiglie di soli stranieri, s'impenna
e supera l'81%.
Accanto alle nuove povertà, ci sono ovviamente quelle croniche. Ma
ci si può ritrovare nella vulnerabilità sociale da un momento
all'altro, a causa di «eventi svolta». Persino il diventare genitori
può portare a uno stato di bisogno: i due terzi degli utenti Caritas
ha figli.
E poi ci sono, appunto, i più piccoli. «Tutti – commenta la Caritas
- possiamo dirci vinti di fronte a 1,2 milioni di minori indigenti,
costretti a rinunciare a opportunità di crescita, salute,
integrazione. Chi nasce povero, molto probabilmente, lo sarà anche
da adulto». E non è un caso che nel nostro Paese la trasmissione
inter-generazionale di condizioni di vita sfavorevoli è più intensa
rispetto al resto d'Europa. In queste situazioni di deprivazione, i
principi di uguaglianza - pilastro delle democrazie occidentali –
risultano disattesi. Oltre a colpire i diretti interessati, la
povertà ha risvolti più ampi per l'intera collettività con la
perdita di capitale umano, sociale e relazionale che impatta
sull'economia.
A far riflettere è anche il dato degli stranieri che, nonostante
rappresentino soltanto l'8,7% della popolazione, costituiscono il
30% dei poveri assoluti. E le diseguaglianze tra loro e gli
italiani, negli ultimi 12 mesi, si sono acuite.
Il report analizza anche il passaggio dal Reddito di cittadinanza
alle due nuove misure di sostegno che lascerebbero «scoperte» alcune
specifiche tipologie di poveri. «Uno scenario ancora confuso» nel
quale però, stando alle stime, circa 400mila famiglie che
beneficiavano del reddito non avranno diritto all'assegno di
inclusione. E poi «dubbi sulla possibilità di trovare un'occupazione
entro i 12 mesi di copertura economica per la formazione», mentre un
plauso va alla possibilità che circa 50mila nuclei di stranieri
potranno accedere per la prima volta alla misura.
Intanto, per i più bisognosi, mense o pacchi alimentari si rivelano
indispensabili. La Coldiretti, in base ai dati del Fondo per l'aiuto
europeo agli indigenti, stima che in Italia a beneficiarne siano
stati oltre 3,1 milioni. Un quinto del totale degli assistiti sono
bambini sotto i 15 anni di età. La platea della fame coinvolge anche
anziani, disabili, migranti e senza fissa dimora. —
"Famiglie e imprese sempre più indebitate Così che si finisce nelle
mani degli usurai" eleonora camilli
roma
Un fenomeno allarmante e in crescita, che spesso rimane sommerso
nonostante la sua pervasività nell'economia reale. L'usura preoccupa
gli imprenditori italiani: uno su quattro conosce casi nella propria
zona di attività; in molti, soprattutto al Sud, si sentono esposti
al rischio. Lo dice l'indagine di Confcommercio "Sotto Strozzo": «lo
riteniamo peggiore dell'estorsione, perché più subdolo» sottolinea
la vicepresidente della confederazione con delega alla legalità,
Patrizia Di Dio, «nell'estorsione c'è la minaccia, nell'usura l'idea
che qualcuno abbia risolto un problema. In realtà si entra in un
vortice ed è l'inizio della fine».
Di Dio, nel vostro rapporto denunciate una crescita dell'usura nella
percezione degli imprenditori italiani. A cosa è dovuto questo
incremento?
«L'usura si nutre delle fragilità dell'economia. La crisi economica
ha incentivato dunque il fenomeno, ma non ne è l'unica causa. Un
problema è per esempio anche il mancato accesso al credito legale.
Può succedere così che l'unica mano tesa sia quella dello strozzino,
che molto spesso viene considerato uno spregiudicato criminale
isolato, quando invece è un tassello della criminalità organizzata,
che attraverso l'usura tende a sottrarre le aziende. C'è, dunque, un
doppio risvolto negativo: non si fa solo un danno all'imprenditore
che perde la sua azienda ma a tutto il mondo economico perché
aumenta la pervasività della criminalità organizzata. È un fenomeno
allarmante che permette alla mafia di controllare i territori più
fragili. E, impossessandosi delle aziende, di creare un'economia
falsata riciclando denaro sporco».
Che tipo di imprenditore finisce più facilmente nelle mani
dell'usura?
«Solitamente si tratta di persone che hanno un sovraindebitamento
che riguarda non solo l'impresa ma anche la famiglia. Questo manda
la situazione fuori controllo, perché c'è una sovrapposizione tra la
situazione dell'impresa e quella familiare, le cose si intrecciano e
non si riesce a gestirle».
Cioè?
«L'esempio classico è quando inizia a mancare liquidità per pagare i
fornitori ma anche per pagare il mutuo della casa, per pagare le
bollette o le rate della macchina del figlio. In genere per le
nostre realtà, che sono imprese familiari, finisce per essere tutto
collegato. Così la persona perde il controllo. Il comune
denominatore è il senso di solitudine, l'isolamento e la vergogna.
Non ci si sente adeguati e si cerca spasmodicamente denaro. Ci si
rivolge all'amico o all'amico dell'amico, peccato che quello diventi
un tunnel senza via d'uscita. Nessuna attività imprenditoriale sana
e onesta può pagare i tassi degli usurai».
Esiste un sistema oggi per aiutare chi è finito nelle mani
dell'usura?
«Le vittime possono rivolgersi alle associazioni di categoria e alle
associazioni antiracket e antiusura, che ci sono ormai su tutti i
territori. Anche noi siamo attrezzati. Ma spesso si fa fatica a
chiedere aiuto, ci si continua a rivolgere alle stesse persone
alimentando il sistema senza fine. Noi stiamo cercando di fare
sistema per prevenire il fenomeno e organizzare una tutela, non solo
per portare le persone a denunciare, che è il punto di partenza, ma
anche per restituire stabilità economica all'impresa e alla
famiglia. Serve poi una sana cultura d'impresa che parta da una
alfabetizzazione finanziaria. Abbiamo fatto anche un appello
pubblico».
Avete trovato ascolto?
«Alla presentazione del nostro report c'era la presidente della
commissione antimafia, Chiara Colosimo, e il commissario
straordinario per le vittime di usura, non c'erano rappresentanti
istituzionali. Ma le nostre richieste le faremo in maniera più
strutturata al governo».
Esiste un'indiscutibile questione salariale in Italia, ma non solo.
Nella maggior parte dei Paesi Ocse la crescita dei salari ha
rallentato dopo la crisi del 2008 e l'inflazione ha eroso
significativamente il potere d'acquisto dei lavoratori. Ma da
nessuna parte come in Italia il problema è così profondo e radicato
nel tempo. Tra il 1990 e il 2020, i redditi da lavoro annuali in
parità di potere d'acquisto sono scesi del 1%, mentre, nello stesso
periodo, sono aumentati del 48% negli Usa del 33% in Francia, del
30% in Germania. Anche la Spagna che ha avuto una performance non
lusinghiera ha comunque registrato un +3%. Quello che differenzia
l'Italia da Usa, Francia e Germania sono salari stagnanti, ma
soprattutto la crescita del tempo parziale e dei contratti
temporanei (un elemento in comune con la Spagna).
Di chi è la colpa? Com'è noto dal Dopoguerra fino agli Anni ‘90
l'Italia è cresciuta rapidamente, registrando una rapida convergenza
verso le economie più ricche, una sorta di "Cina d'Europa". Dalla
metà dei Novanta, il processo di convergenza si è interrotto.
L'indiziato numero uno dietro questo stop abbastanza improvviso è un
blocco del carburante principale della crescita economica che è la
produttività, cioè quanto "bravi" siamo a produrre con le risorse
disponibili. Dopo decenni di crescita, la produttività oraria del
lavoro, cioè quanto si produce per ogni ora di lavoro, era arrivata
nel 1995 persino a superare quella degli Usa. Poi, come si vede nel
grafico in pagina, la crescita della produttività si è
sostanzialmente fermata. E non solo la produttività del lavoro. Tra
il 1995 e il 2021, la crescita media annua della produttività del
capitale, cioè la capacità del capitale di creare valore aggiunto, è
scesa dello 0,7 mentre la produttività totale dei fattori, che
riflette l'efficienza complessiva del processo produttivo, è rimasta
ferma a zero. Il problema è particolarmente marcato nel settore dei
servizi e nelle micro-imprese. Ma anche la manifattura, che resta
una riserva di lavoro di qualità e buoni salari, la produttività
cresce meno che negli altri Paesi.
Il rallentamento della crescita della produttività è un fenomeno che
tocca molti altri paesi e le cause non sono del tutto chiare.
Secondo alcuni, è dovuta a innovazione inferiore in quantità e
qualità rispetto a quella di 50 o anche solo 30 anni fa in una
situazione di invecchiamento della popolazione e minor domanda di
investimenti. Secondo altri, invece, è principalmente un problema di
misura: l'impatto delle nuove tecnologie (molte disponibili
gratuitamente online) non è ben catturato nel calcolo del Pil.
Infine, per altri, i "tecno-ottimisti", è solo questione di tempo:
le nuove tecnologie tipo l'intelligenza artificiale devono ancora
dispiegare tutto il proprio potenziale.
In Italia, a questi fenomeni globali si sommano problematiche tutte
nazionali che vanno dal funzionamento del settore pubblico, anche a
livello locale, a investimenti in tecnologia scarsi, fino alla
scarsa meritocrazia o a una contrattazione aziendale ancora poco
sviluppata. Una spiegazione che personalmente trovo convincente
(anche se sicuramente non è l'unica) è che l'Italia abbia mancato la
rivoluzione informatica degli Anni '90 per una serie di ragioni
legate alla struttura delle aziende e alla loro organizzazione
interna. Per sfruttare appieno i vantaggi delle tecnologie
informatiche, infatti, non basta attaccare un computer alla presa.
Si devono riorganizzare i luoghi di lavoro utilizzando un modello di
gestione meritocratico e orientato ai risultati. Negli Usa a partire
dagli Anni Novanta, questo è stato fatto e la produttività ha
accelerato. In Europa molto meno, anche Francia e Germania hanno
perso terreno ma l'Italia più di tutti gli altri.
Ancora oggi il Paese si trova in un equilibrio al ribasso con scarso
investimento in formazione e scarsa domanda di competenze da parte
delle imprese. Da una parte, più di 13 milioni di adulti hanno
competenze linguistiche e matematiche di basso livello e
l'investimento in capitale umano è modesto. Dall'altra parte, la
domanda di formazione, in particolare nelle piccole imprese, resta
limitata nonostante le risorse private, nazionali ed europee a
disposizione. E le competenze degli imprenditori, proprietari
d'azienda e manager stessi sono inferiori a quelle che si
riscontrano in altri Paesi. Bassa offerta e bassa domanda di
competenze fanno dell'Italia un'economia che in certi segmenti
sembra più in concorrenza con gli Emergenti che con i propri partner
europei e Ocse. Ma invece di essere un vantaggio per il sistema
economico, questo costituisce la condanna definitiva perché, in una
competizione basata sul salario più basso, ovviamente i Paesi in via
di sviluppo hanno un vantaggio evidente.
In conclusione, è chiaro che dietro alla questione salariale
italiana non c'è un solo problema e quindi non ci può essere una
sola soluzione. Una strategia complessiva deve attaccare il problema
da più lati: da una parte garantire minimi salariali adeguati (per
legge o via la contrattazione) e assicurare che poi questi vengano
rispettati modernizzando gli strumenti di controllo e ispezione a
partire da un uso più intelligente dei dati già a disposizione. In
parallelo, il sistema di welfare deve essere disegnato in modo tale
da incentivare al massimo l'occupazione e il lavoro a tempo pieno.
Infine, serve affrontare le debolezze macroeconomiche e di politica
industriale e gli investimenti in istruzione e formazione, con
l'obiettivo di aumentare quantità e qualità del lavoro nel nostro
Paese. Vasto programma certo (ma qualcuno pensa si possano
recuperare trent'anni di stasi con un colpo di penna?). Ma che
assomiglia molto a quello del Pnrr. Motivo in più per augurarsi che
funzioni.
15.11.23
Il punto
non sono tanto i tempi, comunque lunghi (i lavori potrebbero essere
avviati entro giugno 2024), e i costi, più che considerevoli (un
investimento di 10 milioni stanziati dalla Regione).
Il punto sono le modalità per permettere al più grande pronto soccorso
di Torino, con quello del Maria Vittoria, di ammodernarsi, garantendo
nel contempo i servizi o parte dei servizi. Dove nel caso delle
Molinette, l'ammodernamento del pronto, 65 mila accessi l'anno, fa rima
con rifacimento, indispensabile per adeguare un "polmone " essenziale -
datato a vari livelli (dai materiali alla concezione nell'uso degli
spazi) alle moderne esigenze della prima linea della Sanità torinese.
Non a caso, se ne parla già adesso, e nei prossimi mesi sarà un
crescendo. Non solo nella quarta commissione del Consiglio regionale,
dove l'assessore Luigi Icardi ha relazionato sullo stato dell'arte del
progetto in risposta ad una interrogazione di Daniele Valle, ma a vari
livelli. Cominciano dalla Città della Salute, naturalmente, dove
Giovanni La Valle e Lorenzo Angelone, rispettivamente direttore generale
e direttore sanitario, valutano con Azienda Sanitaria Zero le possibili
opzioni.
In sostanza, sono due. Gestire l'intervento in house, garantendo tutti i
servizi o parte di essi (i codici rossi, gialli e in parte verdi)
tramite il montaggio di una tensostruttura nel cortile principale delle
Molinettte o sul retro, lato via Santena, con funzione di triage e
smistamento dei pazienti lungo i percorsi esterni e interni.
Contestualmente, si potrebbe riconvertire temporaneamente ad uso ps il
primo piano dell'ospedale. La seconda soluzione sarebbe appoggiarsi -
almeno per i codici bianchi, che comunque rappresentano la parte
maggioritaria degli accessi - ai pronto soccorso di altri ospedali di
Torino e del Torinese, con la movimentazione dei pazienti e le
prevedibili difficoltà. Trattandosi di ipotesi, non sono escluse vie di
mezzo, all'attenzione di una task force dedicata.
Una corsa contro il tempo per soccorrere un pronto soccorso importante.
Il San Martino di Genova, per esempio, ha 80 mila passaggi l'anno: con
la differenza che serve anche l'Ostetricia, l'Ortopedia, la Pediatria ed
altre specialità, che nel caso della Città della Salute, di cui le
Molinette fanno parte, sono coperte da altri ospedali (Cto, sant'Anna,
Regina Margherita). Un pronto che, come il resto dell'ospedale, è il
risultato di una sedimentazione incoerente, e quindi poco funzionale:
per i pazienti, come me per chi ci lavora.
In questi giorni è in fase di individuazione il raggruppamento
temporaneo di professionisti che cureranno la progettazione degli
interventi di adeguamento del Dea, ha precisato Icardi: entro i primi
due mesi del 2024, sarà approvato il progetto esecutivo e bandita la
gara per l'esecuzione dei lavori, che presumibilmente, per l'appunto,
potrebbero essere avviati entro giugno 2024. Partita aperta. —
15.11.23
L'attualità di Casalegno una
lezione per i ragazzi"
Se un ventenne degli anni '70 racconta a un ventenne di oggi la
stagione terribile del terrorismo rosso, una cosa lo colpisce: il
ragazzo di oggi è quasi incredulo. Stenta a capire che in una città
come Torino, qualche decennio fa, potesse succedere che un avvocato,
un giornalista, un poliziotto venissero uccisi, a colpi di pistola,
uscendo di casa, rientrando in studio o (come accadde al maresciallo
Rosario Bernardi) mentre attendevano il tram su cui ogni mattina
salivano per andare in ufficio. Uomini colpiti, con spietatezza, in
solitudine, perché persone di valore, perché facevano bene il loro
mestiere. E la cosa che oggi pare incredibile è che ciò avveniva in
anni che furono di grandi battaglie civili, di riforme (lo Statuto
dei lavoratori è del 1970), di nobili passioni ideali.
Il 16 novembre di 46 anni fa toccò a Carlo Casalegno, vicedirettore
di questo giornale.
Laureato in Legge, appassionato di Cavour, aperto alla cultura
europea, nel 1942 (a 26 anni) partecipa alla costituzione del
Partito d'Azione a Torino. Collabora al quotidiano Italia libera e
poi a GL. Nel 1947 entra a La Stampa. Nel 1968 ne diventa
vicedirettore. Ai tempi della direzione di Alberto Ronchey, nel
1969, inizia una sua rubrica che titola «Il nostro Stato». C'è, in
quel titolo, l'essenza dell'uomo Casalegno: l'idea che lo Stato
democratico, conquistato dalla Resistenza, va costruito e migliorato
con il lavoro tenace e paziente di tutti i giorni.
Quando scoppia il '68, Casalegno è interessato a capire quello che
sta succedendo nelle Università. I suoi editoriali sono ispirati
all'idea di un attento dialogo ai cambiamenti della società. Ma in
nessun momento egli indulge in comodi cedimenti delle proprie
radicate convinzioni. Nel 1969, nel pieno delle lotte studentesche e
del fenomeno del «18 politico», scrive un impegnato editoriale che
tesse le lodi della meritocrazia: «Quest'ondata di proteste ci
appare inquietante per lo stato d'animo da cui nasce: il rifiuto del
principio stesso di prova. Si tende sempre di più a vedere
l'indulgenza come un obbligo, la promozione come un diritto; a
negare la validità dell'esame, a respingere i criteri di selezione».
Il suo rigore si accentua con l'insorgere del terrorismo. Nei suoi
editoriali è sempre inflessibile nell'indicare la necessità di
tagliare le complicità e le radici della lotta armata. E insiste
sulla necessità di cogliere la linea di distinzione tra espressione
di un'opinione, che per quanto estremista va comunque salvaguardata,
e la vera e propria apologia di reato, che invece va sempre
perseguita.
Nel settembre ‘77 chiede al direttore Arrigo Levi di essere inviato
a Bologna per seguire il convegno del Movimento e dei gruppi
dell'autonomia operaia. Vuole «avere le idee più chiare, per capire
e per dialogare, o per scontrarsi». Nei processi che anni dopo
saranno celebrati, i collaboratori e i dissociati racconteranno che
quel convegno fu un vivaio in cui i terroristi delle Brigate Rosse e
di Prima Linea attinsero per reclutare nuovi militanti. Casalegno lo
capisce prima di tutti e torna da Bologna ancor più convinto che la
battaglia contro il terrorismo vada condotta con processi più veloci
e non accettando mai «un'involuzione autoritaria o la pratica della
controviolenza». Perché la rinuncia alla democrazia, nel voler
difendere la democrazia, sarebbe la vera vittoria politica dei
terroristi. Bisogna piuttosto applicare le leggi che ci sono, senza
tirarsi indietro, per codarda comodità, di fronte alla violenza e
alla sopraffazione. Casalegno è, insomma, uno di quei democratici
che avrebbero voluto rendere più efficiente, più moderna e più
vicina ai cittadini, la nostra democrazia. Per i terroristi, è il
peggiore dei nemici. Al processo per il suo omicidio si saprà che
l'articolo che convinse i brigatisti a sparargli in testa anziché
alle gambe come avevano programmato, è un pezzo di taglio basso
titolato «Non occorrono leggi nuove, basta applicare quelle che ci
sono - Terrorismo e chiusura dei covi».
Gli sparano quattro colpi in faccia, alle 13,40 del 16 novembre
1977, nell'androne della sua casa di corso Re Umberto 54 (con la
stessa pistola con cui il 28 aprile era stato ucciso l'avvocato
Fulvio Croce). Morirà tredici giorni dopo.
La sera dell'agguato, il sindaco Diego Novelli e il direttore Arrigo
Levi parlano sul palco di piazza San Carlo. Levi conclude: «Questa è
ancora una città. Essere città è essere civiltà, è mantenere il
senso della propria identità... La città è gente. Dico ai giovani:
proteggete questa società democratica, perché al di fuori di questa
c'è solo il disastro».
È trascorso quasi mezzo secolo ma è bene ricordare. Perché quei
lutti ci dicono che qualunque fanatismo (politico o religioso)
genera mostri, perché trasforma le persone in simboli, spogliandoli
del loro valore umano. E che le parole di odio, che inneggiano alla
violenza, prima o poi si trasformano in pallottole. Questa lezione
vale anche oggi, ragazzi. —
"Dietro le cure all'estero c'è la criminalità Lavoriamo a un fondo
per l'assistenza"
Carlo Ghirlanda presidente dell'Andi, l'associazione dei dentisti
cala il suo asso nella manica con un nuovo fondo integrativo per
coprire i costi delle cure dentarie. Madenuncia: «Dietro il business
delle cure all'estero c'è la criminalità organizzata».
State studiando qualcosa per facilitare l'accesso alle cure
dentarie?
«Stiamo lavorando alla creazione di un fondo integrativo per
l'assistenza odontoiatrica. Come associazione stiamo mettendo da
parte le risorse necessarie a sostenere l'impatto economico dei
rimborsi. Partiremo con dei contratti collettivi, poi passeremo a
quelli individuali rivolti a singoli cittadini».
Ma come funzionerà?
«Chi aderisce al fondo avrà un voucher che potrà essere speso dal
dentista di fiducia. Il tutto con bassi costi di adesione. Tanto più
se si accede ai premi previsti per chi fa prevenzione e controlli
semestrali».
Quale il vantaggio rispetto a una polizza assicurativa?
«Che non ci sarà nessuna selezione in partenza perché tutti, malati
e non, potranno aderire al fondo. Che essendo integrativo beneficerà
di una deducibilità fiscale del 19%».
Intanto molti per curarsi i denti vanno all'estero. Con quali
rischi?
«In alcuni di questi Paesi dell'est non c'è sicurezza alcuna. In
Italia abbiamo dei regolamenti regionali che impongono regole
nell'utilizzo dei materiali e sulle dimensioni e l'igiene degli
studi che altrove se le sognano. E poi si praticano in un giorno
cure che necessiterebbero di settimane. A volte senza nemmeno
garantire la disinfezione. Poi parliamo di attività dove non di rado
si cela la criminalità organizzata».
Scusi?
«Ha capito bene. Ci sono colleghi in Puglia che hanno ricevuto
minacce per essersi interessati del fenomeno. E molti dei loro
pazienti che hanno subito danni non denunciano per paura di
ritorsioni».
Pericoli li corre anche chi si affida a odontotecnici e finti
dentisti però…
«Questa è un'altra piaga che come Andi stiamo combattendo insieme a
Federconsumatori puntando, tra le altre cose, a contrastare
l'abusivismo insieme alle autorità di controllo, a regolamentare
meglio la pubblicità in ambito sanitario, il tutto promuovendo
l'odontoiatria sociale, in modo da non gettare nelle mani degli
impostori quanti non possono permettersi cure che più di tanto non
possono essere economiche, se non a discapito della salute dei
pazienti».—
Lo rivela un'inchiesta del Guardian su 3,6 milioni di file ricevuti
da fonti confidenziali
Cipro è la nuova banca degli oligarchi russi
Gli oligarchi russi hanno trasferito beni per centinaia di milioni a
Cipro nonostante le sanzioni per la guerra in Ucraina. Lo rivela
un'inchiesta del Guardian basata su 3,6 milioni di file ribattezzati
Cyprus Confidential, fatti trapelare da una fonte anonima e di cui
sono entrati in possesso il Consorzio Internazionale dei giornalisti
investigativi (Icij) e la tedesca Paper Trail Media, che ha
condiviso l'accesso con il Guardian e altri partner giornalistici.
Il governo cipriota ha risposto all'inchiesta promettendo
«tolleranza zero» nei confronti di chi viola le sanzioni.
L'inchiesta Cyprus Confidential rivela il ruolo di Cipro come porta
d'ingresso per l'Europa per l'élite collegata al Cremlino. Tra i 104
miliardari russi identificati dalla rivista Forbes nel 2023, due
terzi appaiono con familiari come clienti di studi legali e società
di consulenza dell'isola, segnala il giornale britannico, che
partecipa al consorzio investigativo che associa circa 250
giornalisti di 55 Paesi.
Figurerebbero 71 clienti russi sanzionati dal febbraio 2022, dopo
l'invasione dell'Ucraina. I documenti riservati analizzati, che
partono dalla metà degli Anni 90 fino all'aprile 2022, riguardano
circa 800 società anonime internazionali, trust e società offshore -
delle quali 650 a Cipro - riconducibili a oligarchi e loro familiari
sanzionati dal 2014, anno dell'invasione russa della Crimea. PwC
Cyprus e altri consulenti avrebbero aiutato, ad esempio, uno degli
oligarchi più potenti della Russia, Alexei Mordashov, a tentare di
trasferire un miliardo di sterline in una società pubblica il giorno
stesso in cui è stato sottoposto alle sanzioni dell'Ue. Il
trasferimento è oggetto di un'indagine penale «in corso» a Cipro,
secondo quanto segnalato dalle autorità locali al quotidiano
britannico. Almeno 600 mila euro in bonifici non dichiarati da parte
di società collegate all'oligarca e a un influente giornalista
tedesco, Hubert Seipel, considerato fra i massimi esperti della
Russia, per la pubblicazione di due libri su Vladimir Putin. —
Il supporto tecnologico, applicato da Officina Ortopedica Maria
Adelaide, costa 130 mila: lo Stato, tramite l'Asl, ne rimborsa solo
15 mila
"Con questa sfida ho cambiato il mio destino" Ma il braccio bionico
è a carico dell'utente
alessandro mondo
Ormai è solo questione di pratica. E questo "ormai" racchiude la
sfida, nata da un dramma, di un uomo che ha deciso di non arrendersi
al destino.
Un incidente devastante, di quelli che segnano una intera esistenza.
Un apparecchio straordinario, che rappresenta uno spartiacque tra il
prima e il dopo. Non ultimo, anzi, la possibilità di permetterselo,
in termini di costi. La prima è la storia di un uomo di 68 anni, che
sta recuperando la funzionalità del braccio e della mano. La seconda
è la storia di un paradosso, meglio: di uno scandalo, tutto
italiano.
«Un incidente: un momento prima avevo il braccio, un momento dopo
non c'era più, strappato dalla macchina». Sergio Greco, 68 anni,
nato a Roccaverano (Asti) nel 1955 e residente a Settimo Torinese,
all'inizio del 2023 ha perso il braccio destro a livello
transomerale a causa di un incidente con il trattore. Un doppio
trauma: fisico e psicologico. Dopo un periodo di riabilitazione, e
dopo essersi informato presso l'Ospedale Cto, si è rivolto
all'Officina Ortopedica Maria Adelaide di Torino per l'applicazione
di una particolare protesi di braccio interamente meccanizzata,
realizzata con componenti prodotti all'estero, dall'Inghilterra alla
Germania, che fosse in grado di renderlo più autonomo e migliorare
la sua quotidianità.
Tutta la protesi è stata realizzata in fibra di carbonio per
limitare al minimo il peso. Due elettrodi posti sui muscoli del
braccio (bicipite e tricipite) captano la scossa elettrica,
sviluppata dai muscoli stessi durante la contrazione, e originano un
segnale che attiva dei servomotori: permettono la flesso-estensione
del gomito e l'apertura e chiusura della mano bionica COVVI,
attivando fino a 14 prese differenti, utili per effettuare i gesti
quotidiani più comuni.
La mano di questa particolare protesi, veloce e leggera, permette la
rotazione elettromeccanica del polso. La mano è stata progettata
sulla base di numerosi dati, misurati e raccolti per essere più
anatomicamente proporzionata e adattata per ogni singolo utente.
Inoltre, la motorizzazione della presa e della rotazione del pollice
viene utilizzata in modalità dinamica simultaneamente, permettendo
un controllo intuitivo del dito. «Non sarà mai come un arto naturale
ma comincio a farci l'abitudine, familiarizzare», spiega Sergio,
assistito dalla figlia, ancora incredulo delle potenzialità
tecnologiche.
Una tecnologia che, purtroppo, non è per tutti. Come spiega Roberto
Ariagno, direttore Officina Ortopedica Maria Adelaide, «questo
particolare supporto ha un costo di circa 130 mila euro, che non può
essere rimborsato totalmente dalle Asl di competenza, a causa del
nomenclatore tariffario delle protesi, rimasto fermo al 1999. Di
conseguenza, la Asl di Torino ha potuto contribuire solo con 15 mila
euro». Tutto detto. —
14.11.23
Ogni anno 5 milioni di italiani rinunciano ad andare dal dentista
mettendo così a rischio non solo il sorriso ma la propria salute.
Perché come documenta l'Oms le malattie orali quando non curate
fanno aumentare di cinque volte il rischio di ammalarsi di diabete,
malattie cardiovascolari e tumori, oppure di avere complicanze
quando si è malati già. Il problema è che se per tutte le altre cure
la sanità pubblica arretra, nella nostra bocca non ha mai fatto
nemmeno capolino. Basti vedere i dati di spesa: 8 miliardi l'anno
quella sostenuta di tasca propria dagli italiani, appena 85 milioni,
lo 0,07% del totale, quella coperta dal Servizio sanitario
nazionale. Che almeno sulla carta dovrebbe garantire, dietro
pagamento di un ticket, emergenze come ascessi, fratture dentali o
sospette neoplasie. Il resto, come impianti o una semplice
otturazione lo Stato le passa solo a pazienti «con particolari
vulnerabilità sanitarie che rendono indispensabili le cure dentarie
o in caso di vulnerabilità sociale». Questo sempre sulla carta,
perché nei pochi ospedali pubblici dove il dentista è di Stato i
tempi di attesa sono incompatibili con il dolore che spesso i denti
scatenano quando si ammalano.
E allora non resta che pagare. Tanto, se si sceglie di andare da un
vero dentista "made in Italy". Abbiamo chiesto un preventivo per tre
impianti e a Roma il conto che ci hanno presentato è di 6.100 euro.
Quasi la metà di quei 13 mila l'anno con cui in media tira avanti un
pensionato. E molti rinunciano. Magari facendo come Denis che
racconta: «Ho imparato a parlare senza mostrare i vuoti che ho nella
bocca, ma non mastico praticamente più. Avrei bisogno di vari
impianti perché una malattia mi ha fatto spaccare i denti, ma ci
vogliono 20 mila euro. Cifre che non posso permettermi».
Dal 2018 al 2021, dicono i dati elaborati per noi dall'Andi,
l'associazione dei dentisti, la fetta di italiani che si è recata
dal dentista in un anno è scesa dal 50,8 al 40,2%, come dire che 5
milioni hanno rinunciato alle cure dentarie. Non parliamo poi
rispetto all'Europa, dove la percentuale di chi va almeno una volta
l'anno dal dentista è del 56,5%, con punte dell'88% come in
Danimarca. E non è che ci si vada di più perché i denti oltralpe
siano più fragili, ma semplicemente perché sono di più coloro che
possono sostenere i costi. Da noi impossibili anche per quella
piccola fetta, tra il 12 e il 15% della popolazione, riferisce
sempre l'Andi, che ha una assicurazione o una mutua che copra le
spese odontoiatriche. Una statistica elaborata navigando su
Facile.it rileva che i costi di una polizza variano dai 190 ai mille
euro l'anno, ma con copertura totale solo delle spese per cure
canalari, carie e pulizia dentale. Mentre per tutto il resto
scattano le franchigie da 500 a 2.000 euro e con tempi di rimborso
che vanno dai 6 ai 18 mesi.
Ecco allora che in molti scelgono due alternative. Entrambe
pericolose. La prima è quella di affidarsi, coscientemente o no,
nelle mani di odontotecnici o comunque falsi dentisti che praticano
prezzi stracciati senza avere una laurea. Un sommerso di 15 mila
abusivi contro 60 mila "regolari".
La seconda alternativa è andare a curarsi all'estero. Lo fanno 50
mila italiani ogni anno, per un totale di 6 milioni da quando è
iniziato questo turismo delle cure dentarie a buon mercato. I Paesi
più gettonati sono Slovenia, Croazia, Serbia, Romania e Albania.
Basta sbarcare a Tirana per vedere pareti e fiancate dei taxi
tappezzati di pubblicità in italiano di studi odontoiatrici. Come
spiega Artdur Dema, direttore di una clinica dentale albanese, i
costi sono bassi «perché qui le tasse sono solo del 15% e
un'assistente di poltrona costa 500 euro, contro i 1.500 minimo
dell'Italia». Ma a volte, come documentano i pazienti di ritorno
dall'Est, ci sono anche materiali scadenti – «mi hanno messo denti
più bianchi dei confetti», racconta Marco - oppure si applica la
formula «la cura in un giorno», spesso incompatibile con la
sicurezza. «Il 30% dei miei pazienti ha fatto un'esperienza
all'estero sottoponendosi a cure veloci. Ma senza una buona
preparazione ante intervento e controlli successivi si rischia di
perdere l'impianto così come prima si sono persi i denti», spiega
Pietro Felice, direttore della Chirurgia orale all'Università di
Bologna. «Si costringono i pazienti a terapie mediche somministrate
in tempi che non sono quelli necessari da un punto di vista
biologico e così gli insuccessi dopo sono inevitabili», gli fa eco
la presidente dell'Ordine degli odontoiatri del Friuli Venezia
Giulia, Alessandro Serena. Ma per catturare clienti si reclamizzano
le cure in un giorno che scongiurerebbero spese di viaggio
altrimenti più alte del risparmio. Salvo poi finire per spendere di
più. Come è successo sempre a Marco in Albania. «Fatta tutta una
serie di impianti in un solo giorno dopo una settimana dal mio
ritorno in Italia continuavo ad avere dolori atroci. Telefonavo in
clinica ma nessuno mi rispondeva. Alla fine mi sono finto un nuovo
paziente e mi hanno fatto tornare per tre volte con le spese di
viaggio a mio totale carico», racconta. Esperienze infelici alle
quali si affiancano quelle di chi è tornato con il sorriso
smagliante. Fermo restando che bisognerà studiare qualche
alternativa a viaggi della speranza dai quali non sempre si torna
sorridenti.
13.11.23
La vendetta del Cervino la tempesta cancella le gare
Mario Tozzi. Se a qualcuno sembra normale, anzi salutare, come
sostenuto dai protagonisti dell'impresa, muoversi con le ruspe sui
ghiacciai di alta quota per spostare neve dentro crepacci e fratture
in modo da trasformare un circo o una lingua glaciale in una pista
da sci, allora vuol dire che non restano più tante speranze di
resipiscenza per una specie destinata al declino proprio mentre si
sente padrona del mondo.
Vedere le immagini delle ruspe sul ghiaccio del Cervino trasformare
l'antica icona della montagna per antonomasia nell'ennesimo
«oggetto» di consumo, però, non fa solo dubitare dell'intelligenza
dei sapiens, desta anche un sano risentimento contro chi si permette
di utilizzare i suoli demaniali, seppure legittimamente (e spero
scopriremo come sia potuto accadere), per un uso privato. Si
potrebbe anche dire che nel nostro tormentato Paese questa è una
pratica comune: gli stabilimenti balneari che si appropriano per
decenni, con strutture invasive e non removibili, delle coste
demaniali o perfino i ristoratori che hanno ormai occupato manu
militari molto più degli spazi esterni che erano stati loro concessi
in tempi di pandemia. Però forse questa è proprio l'occasione per
porre un limite, prima di ritenere che ogni cosa sia fattibile
purché sia possibile.
Qualsiasi intervento dei sapiens sui ghiacciai comporta una reazione
da parte dei ghiacciai stessi che, come si dovrebbe sapere, sono
elementi dinamici del territorio e del paesaggio, cioè sono in
continuo, perenne movimento. Fratture e crepacci sul «dorso» sono la
reazione fragile del movimento plastico di scorrimento sul fondo. I
ghiacciai creano e spostano sedimenti (le morene) e, un tempo,
crescevano e poi diminuivano, mentre oggi tristemente diminuiscono
soltanto, di superficie e di volume. Sono il nostro termometro
naturale: di fronte allo scettico che nega che oggi faccia più caldo
che in passato, puoi sempre mostrare il confronto tra le immagini di
venti o trent'anni fa e quelle di oggi di uno stesso ghiacciaio, e
vedrai che anche il più irriducibile si ricrederà. Ma sarebbero
anche la nostra più grande protezione rispetto alla crisi climatica:
come un cubetto di ghiaccio solitario in un bicchiere fonde quasi
subito, così un ghiacciaio isolato e ridotto di dimensioni cederà
più facilmente al riscaldamento globale. Per questo non si devono
assolutamente toccare i ghiacciai e, anzi, bisognerebbe lasciarli in
pace: nessun impianto di risalita, niente eliski (per carità),
nessuna infrastruttura, niente neve artificiale. Meno li tocchi,
meglio staranno.
Infine i ghiacciai sono la più grande riserva di acqua dolce a
disposizione dei sapiens e degli altri viventi: solo il 3% delle
acque del pianeta Terra è dolce, e circa il 70% è immobilizzata nei
ghiacciai. Non dovrebbe essere difficile perciò comprendere che i
ghiacciai sono di tutti, esattamente come il Colosseo non appartiene
soltanto ai romani, ma a tutto il mondo, e non sarebbe sopportabile
che venisse trasformato in un autosilo perché nella capitale non ci
sono parcheggi. Per tutte queste ragioni sono condivisibili le
spiegazioni addotte da Paolo Cognetti (Repubblica, 8 novembre) per
lottare contro lo scempio che si sta mettendo in atto sotto il
Cervino: resistere a queste forzature micidiali per l'ambiente e per
il paesaggio è un dovere morale e si deve tradurre un una pratica,
rispettosa, ma non negoziabile che costringa a rivedere la follia di
una logica di profitto che non ha alcun senso se non per chi lo
ricava.
Ma si può anche andare oltre. Il tempo degli sport invernali, sia
nella versione di massa che in quella elitaria dei ghiacciai, sta
per finire ed è inutile tentare di rianimare un malato agonizzante o
tentare sciagurate operazioni per soli ricchi come quella di
infrastrutturare le altissime quote delle Alpi per poter disporre
ancora di neve nelle stazioni invernali di lusso. Né tantomeno ha
senso proporre coppe del mondo e Olimpiadi su piste che saranno
tanti striminziti nastri biancastri in mezzo al mondo dei boschi
verdi (quando va bene) o in mezzo alle frane e ai torrenti di
fusione delle nevi perenni. L'innevamento artificiale è una iattura
ambientale che va evitata come il fumo negli occhi, comportando
problemi di struttura della neve, di consumo di acqua spesso esotica
e di energia. E inducendo un uso diseducativo della montagna,
secondo cui tutto ciò che sia possibile, solo per quella ragione, si
fa. Ripensare le montagne provando a visitarle comunque, in questo
momento di passaggio epocale, in maniera dolce, senza toccarle più,
cancellando finalmente centinaia di chilometri di impianti e
infrastrutture che già oggi non si utilizzano più, chiudendo al
traffico veicolare i passi più frequentati, che si intasano come
Milano al rientro domenicale, cancellando la stessa dizione di
industria della montagna, che già solo scritta fa accapponare la
pelle. Sostituire il verbo godere al verbo sfruttare già ci farebbe
fare un considerevole passo in avanti, che mai come questa volta
consiste soprattutto in un passo indietro. —
Cosa poteva accadere per rimettere in carreggiata quel manipolo di
sapiens ignoranti e avidi che pensavano di imporre al re delle
montagne alpine uno inconcepibile sfregio, per di più condiviso fra
Svizzera e Italia, sulla pista di sci transfrontaliera più alta che
c'è? Che la montagna e il tempo meteorologico si ribellassero più di
quanto non abbiamo fatto noi cittadini, seppure pavidi amanti delle
Alpi, che non ci eravamo ancora mossi in corteo per costringere al
ritiro le ruspe in alta quota con l'interposizione dei nostri petti
nudi. Il vento stavolta, ma in altri casi potrebbe essere la neve o
la sua assenza, cioè tutto quello che ancora oggi, vorrei dire,
almeno in questi casi, per fortuna, non ci riesce di controllare.
Ammettiamolo, 3. 700 metri di pista per 885 metri di dislivello (con
pendenze del 60%) sono già forse eccessivi, se li si tracciano fra
2. 800 e 3. 800 metri di quota suonano addirittura come una
provocazione.
Così la gara di sci si rinvia, speriamo sine die, e magari possiamo
approfittare della pausa per ripensare il significato degli sport
invernali in questo scorcio di secolo che sembra condurre alla loro
inevitabile fine. A meno di non accontentarci di panorami finti
innevati artificialmente, lontani mille chilometri dal godimento dei
silenzi immacolati di anni fa.
Grande è, invece, la delusione degli organizzatori e di chi era
pronto a lucrare sulla pelle dei ghiacciai almeno qualche spicciolo:
ci rimangono male per non aver potuto disporre della natura come
fanno di tutto il resto. Dovrebbero invece mettere energie e risorse
in una nuova visione della montagna in cui non saranno neppure
pensabili interventi come quelli di riempire i crepacci con la neve
per poterci sciare sopra. In cui innevare artificialmente sarà
considerata la follia ambientale che è, e violare le vette più alte
in elicottero per sciare a valle tornerà a essere un sacrilegio. Un
ghiacciaio "toccato" si deteriora prima e più a fondo di uno
lasciato in pace. E dei ghiacciai intatti ha bisogno tutta
l'umanità, anche quella che non li ha mai visti, perché regolano la
temperatura dell'atmosfera e mitigano il riscaldamento globale.
Ma se pure questa sciagura fosse allontanata, si susseguono i
progetti faraonici per far durare la stagione tutto l'anno e
collegare le 38 vette italo-svizzere più alte attraverso 580 km di
impianti, buttando 75 milioni di euro nel buco nero della crisi
climatica. E si propongono nuovi chilometri di impianti che a tutto
serviranno fuorché per sciare. Dimenticando che un futuro naturale
per questi sport è, al momento attuale, altamente improbabile. E
realizzando il pronostico del professore argentino (Gioele Dix) che
ricordava che "el chi" (lo sci) non è prerogativa dell'uomo.
Ma i sapiens sono fatti così, si credono superiori agli altri
viventi perché superano allegramente i limiti, come se questi
fossero costrizioni opinabili e non opportunità ineluttabili,
opportunità di vivere armonicamente nel contesto e non sentirsene
padroni. Invece c'è una sola differenza fra noi e il resto dei
viventi non umani, e non è certamente l'intelligenza, la
comunicazione o l'uso di strumenti. Non è che noi amiamo o abbiamo
paura e gli altri viventi no, come se le emozioni non derivassero
direttamente dall'evoluzione biologica e dunque non fossero terreno
comune. Quella differenza è l'accumulo, l'avidità, la
predisposizione a fare capitale economico del capitale naturale, per
definizione fisso e di tutti.
Nessun vivente accumula al di là di quanto occorre nell'immediato, e
rimarremo sorpresi nel vedere un leone catturare diverse gazzelle
per poi venderne una al mercato, conservarne un'altra sotto sale,
destinarne una ai nipoti e non condividere con nessuno l'ultima.
Invece, se lo fa un sapiens, ci sembra normale e lo onoriamo come un
grande uomo. Il tempo dell'infrastrutturazione selvaggia delle
montagne, delle piste dovunque e dello sci a ogni costo è finito:
l'aggressione ai ghiacciai dimostra solo la nostra ignoranza e la
inesauribile avidità di una specie che non comprende la differenza
tra un prezzo e un valore, onorando il primo e svilendo il secondo.
QUANDO IL BITCOIN CROLLERA' LA LEGA NORD LI RISARCIRA' CON FONDI
PUBBLICI ? Mille esercenti
coinvolti, la maggior parte nelle regioni del Nord, tra Piemonte,
Lombardia e Veneto. Banca d'Italia avverte: "Non è una valuta"
Il boom dei negozi che accettano Bitcoin "Piacciono ai giovani, è
una filosofia"
arcangelo rociola
Il mercato è ancora piccolo. Ma è in rapida ascesa. In Italia può
capitare con più frequenza rispetto al passato di trovare esercenti
che accettano pagamenti in criptovalute. La "B" di Bitcoin è
l'adesivo attaccato al registratore di cassa che indica la
possibilità di usare la criptovaluta per gli acquisti. E Bitcoin è
la cripto più usata, anche se cominciano a farsi strada anche altri
strumenti digitali. Nel 2023 sono saliti a mille i negozi che
accettano cripto: grandi catene di distribuzione, supermercati,
perfino notai e avvocati che accettano asset digitali come strumenti
di pagamento. Tutti finiti nell'elenco di Coinmap, che ha pubblicato
una mappa per individuarli, dal Nord al Sud della Penisola.
A livello globale è stato calcolato da Chaianalysis che, solo nel
2022, 170 miliardi di beni materiali e immateriali sono stati
venduti in Bitcoin. In aumento del 500% circa rispetto al 2021. La
regina delle criptovalute è di gran lunga la più usata con circa il
60% degli scambi registrati. In queste settimane anche Ferrari ha
deciso di aprire agli acquisti di auto in criptovalute,
aggiungendosi a Tesla, Microsoft e Starbucks, solo per citare alcune
delle aziende più capitalizzate al mondo ad averlo fatto. È il Nord
Italia a farla da padrone in questo mercato: Piemonte, Lombardia e
Veneto sono le regioni in assoluto più vivaci in questo settore. In
questi giorni il valore di Bitcoin ha raggiunto il suo massimo da
giugno 2022, schizzando in pochi giorni a 34.630 dollari, +120% da
gennaio 2023. La sua capitalizzazione è tornata a circa 700 miliardi
di dollari, mentre quello di tutto il comparto cripto si attesta a
1.300 miliardi.
«Perché lo accettiamo? Perché funziona. Solitamente da noi pagano
con frazioni di criptovalute soprattutto studenti del Politecnico,
comunque con una fascia d'età che va dai 25 ai 40 anni». Non
dobbiamo pensare solo ai grandi negozi del centro. Alessandro Boi
gestisce una pizzeria a Grugliasco, Torino.
Classica attività familiare, ma con una particolarità: la passione
del gestore per le criptovalute l'ha portata a diventare una delle
prime attività commerciali nel Nord Ovest ad accettare pagamenti in
Bitcoin. «La nostra attività è in piedi da tanti anni. Io sono
appassionato di tecnologia, quando ho scoperto i Bitcoin me ne sono
appassionato. È un sistema efficiente per i pagamenti. Al di là di
chi li possiede per specularne sui rialzi, è un sistema perfetto
anche per i pagamenti. Ne ho accettato la filosofia», racconta.
Nel Nord Ovest secondo uno studio di CoinMap ci sono circa 150
esercenti che accettano pagamenti in criptovalute. A sfogliare
l'elenco, si trova di tutto. Idraulici, affittacamere, bar,
ristoranti, legali. Così come a Milano, con un numero di avvocati
sensibilmente superiore, soprattutto in centro città. Solo nel Nord
Italia ci sono più della metà di negozi e studi che accettano cripto
nel Paese.
Nel Quadrilatero della moda accettava Bitcoin Lanieri, ex startup
e-commerce degli abiti su misura, oggi nome noto nella moda. Lo
ricordano al negozio di via Palermo: «Siamo stati la prima startup
ad aver lavorato con le criptovalute, ma col tempo ci siamo accorti
che sempre meno persone le usavano per gli acquisti, molti se li
tengono per provare a guadagnare coi rialzi di prezzo. E così
abbiamo deciso di chiudere i nostri portafogli in cripto». Altro
tema. Altro fenomeno. Perché in effetti se è vero che il numero di
esercenti che accettano bitcoin è aumentato e continua ad aumentare,
il numero delle transazioni non avviene con troppa regolarità.
Almeno non nei canali fisici, dove si preferisce pagare in contanti
o con carta. Bitcoin è un di più. Un'offerta al cliente. Che però
non sempre viene accettata.
A Verona WannaBeAPro è un'azienda/movimento sportivo che aiuta i
portieri a migliorare le proprie performance in campo. Accettava
Bitcoin, ora non lo fa più. Perché? «Semplice, nessuno ci ha mai
pagato in Bitcoin, non aveva senso». Stessa discorso nel mondo delle
bici per Hybrid Bikes di Roma: «Siamo stati tra i pionieri dei
pagamenti con criptovalute, ma oggi non lo fa più nessuno», spiega
il proprietario. Bitcoin è un bene molto volatile. Può oscillare di
migliaia di euro in poche ore. E questo lo rende difficile da usare
come strumento di pagamento. Bankitalia nei suoi documenti ricorda
spesso che le criptovalute non sono una valuta. Le chiama
criptoasset proprio per sottolinearne una natura diversa. Per non
confondere la moneta, come l'euro, con questi strumenti. Ma il
movimento cripto ha radici antiche. Profonde. E una capacità di
convinzione che va ben oltre lo strumento di pagamento. Il mondo
Bitcoin è una filosofia.
«Noi li accettiamo da un anno almeno. C'è una piccola frazione di
clienti che paga in Bitcoin, ma abbiamo creduto in questa tecnologia
e speriamo che possa portare bene, anche all'economia». Simone
Toffolo è titolare di BastianOsteria a Treviso. Conosce il mondo di
Bitcoin e del trading. E precisa: «Dal punto di vista fiscale tutto
si finalizza con un normale scontrino. È solo il pagamento che è
diverso. E altrettanto efficiente». Il Nord Italia sembra più
dinamico. Meno il Sud. Con qualche eccezione.
A Napoli ci sono diverse attività che accettano Bitcoin. Una
pasticceria specializzata in pastiere, un negozio di moda del
centro. E diversi legali. Meno a Bari e Palermo. Nessuno in Molise.
In Calabria ci sono bar sperduti nella campagna di Spezzano Albanese
(Cosenza), che accettano curiosamente Bitcoin. Ma al telefono non
risponde nessuno. Alcuni telefoni sembrano del tutto inesistenti.
Altri riattaccano subito, rendendo difficile capire se il dinamismo
del Nord sia presente in qualche modo al Sud.
Studio di Fondazione Finanza Etica sul credito
Dalle banche europee fondi per 88 miliardi ai signori delle armi
Milano
Il ritorno della guerra in Occidente, con l'aggressione della Russia
sull'Ucraina, già prima che un'altra grande crisi scoppiasse tra
Israele e Hamas, riaccende i riflettori sull'industria bellica e il
sostegno a quest'ultima da parte delle banche. A illuminare questo
aspetto è, in un suo capitolo, il sesto rapporto "Finanza Etica in
Europa" a cura di Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas
Éticas e Febea, che ricorda, citando l'Istituto internazionale di
ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), come da un lato le spese
militari globali siano aumentate in termini reali, nel 2022, del
3,7% a 2.240 miliardi di dollari, «la cifra più alta mai
monitorata».
Dall'altro, facendo riferimento uno studio della Ong olandese Pax,
segnala che tutte le 15 maggiori banche europee «offrono servizi
finanziari a produttori che forniscono armi a Stati in cui c'è un
alto rischio che esse vengano usate contro i civili». Tali prestiti
e sottoscrizioni a produttori (tra le altre cose) di armi
assommerebbero (dati di un anno fa) a 87,7 miliardi di euro. Le
banche più coinvolte, secondo la ricerca, sono Bnp Paribas, che
avrebbe fornito servizi finanziari per 16 miliardi di euro, quindi
Deutsche Bank, con 14,89 miliardi e Crédit Agricole con 9,18
miliardi di euro. La prima delle italiane è Unicredit, al settimo
posto con 5,73 miliardi, mentre Intesa Sanpaolo è al tredicesimo
posto, con 1,28 miliardi di euro.
Nel rapporto si cita anche lo studio "Don't bank on the bomb" e si
spiega come tra gennaio 2020 e luglio 2022 globalmente 306 tra
banche e finanziarie risultino legate a 24 società «fortemente
coinvolte» nella produzione di armi nucleari. Legame che si traduce
in un sostegno da 746 miliardi di dollari, 61,5 miliardi in più
rispetto a quanto si segnalava nel rapporto 2021. I primi dieci
grandi finanziatori sono banche Usa. C'è poi la questione delle
bombe a grappolo, proibite dalla convenzione delle Nazioni Unite.
Nonostante ciò nel 2018 c'erano ancora 88 banche che investivano 8,7
miliardi di dollari in 7 società produttrici.
12.11.23
Tre giorni al Cottolengo "Questo è il rifugio di tutti i veri mostri
sono fuori"
C'è un registro che annota quando tutto ha avuto inizio. «Giuseppe
Dana, calzolaio, malato di tisi, ricoverato il 17 gennaio 1828 e
dimesso il 9 aprile. Guarito». L'ultima persona ad aver bussato è
una donna: ieri sera ha chiamato il centralino presidiato da suor
Giuseppina. «Cercava un posto dove dormire. Telefonano in tanti e
per tante cose, a volte solo per una preghiera».
Il chilometro quadrato dei santi sociali di Torino si stende quasi
tutto dietro Porta Palazzo: lì hanno lasciato le proprie tracce
Giovanni Bosco, i marchesi Giulia e Tancredi Falletti di Barolo,
Giuseppe Cafasso. Poco distante c'è il Sermig. Nel mezzo la Piccola
casa della Divina Provvidenza fondata da Giuseppe Benedetto
Cottolengo. La spalla su cui Torino (e non solo) cerca conforto. Una
cittadella di 112 mila metri quadrati - quindici campi di calcio -
che somiglia a una fortezza: mura alte, cunicoli sotterranei,
camminamenti sopraelevati che in 190 anni hanno dato vita a leggende
e credenze. Il ricovero dei mostri, ad esempio. «Ma io, che sono qui
da quarant'anni, non ne ho mai visto uno. In compenso ne ho visti
fuori da qui», sorride don Carmine Arice, Padre generale della
Piccola casa, eletto nel 2017 per guidare un'istituzione che ha
ramificazioni in tutta Italia, 31 missioni e 43 comunità in quattro
continenti ma il cui cuore è incardinato a Torino, quartiere
Valdocco. La «valle degli uccisi»: nel 1800 era un luogo infestato
da corsi d'acqua malsani, violenza, perdizione. Ma i terreni
costavano poco, ed è lì che Giuseppe Cottolengo trasferì le due
stanze aperte in via Palazzo di Città. Aveva dato l'estrema unzione
una donna francese di 35 anni. Si chiamava Maria Gonnet, aveva tre
figli e un quarto in grembo: tutti gli ospedali l'avevano rifiutata.
Quella sera Cottolengo cambiò la sua vita e anche un pezzo della
storia di Torino.
«La sua casa accoglieva chi era stato respinto altrove, chi non
aveva rifugio. Le vittime della cultura dello scarto, come direbbe
papa Francesco», racconta padre Arice. «Lo facciamo ancora oggi»,
anche se ora lo scarto non è chi viene rifiutato dalla propria
famiglia ma chi lo Stato non può o non sa proteggere e chi - anche
il più coraggioso - da solo non riesce ad accudire: un anziano
colpito da devastanti malattie degenerative, una persona con una
grave disabilità, un bimbo fragile. Tutti trovano un posto in questo
grande villaggio della mescolanza in continuo movimento, dove
chiunque viene accolto in base alle proprie necessità, dove la suora
a riposo guarda i bambini a giocare a pallone, il migrante musulmano
dà una mano a chi non gli ha chiuso la porta in faccia, il laico
incontra il religioso, il bambino delle elementari fa la recita per
gli anziani della Rsa e il vecchio volontario trasmette ciò che ha e
che sa a un ragazzo disabile. Una città che solo in apparenza vive
di vita propria e agisce in nome di una parola che corre sulla bocca
di tutti: «Provvidenza».
La porta del Cottolengo è aperta per chi non ha un medico cui
rivolgersi oppure non ha soldi per il dentista. Anna Ferraro, dopo
quindici anni da assistente sociale nelle Rsa, guida il centro
d'ascolto. A lei fanno capo la mensa che serve 70 mila pasti l'anno,
il dormitorio, il punto che distribuisce vestiti e scarpe a 2.800
persone in un anno e quello che dona 2.500 pacchi viveri.
«All'inizio mi dicevo: sei una tappabuchi, dai un pasto, un vestito,
e poi? Poi ho capito che per queste persone siamo una famiglia, chi
si prende cura di loro, la porta aperta verso la strada». E la
strada, da qualche anno, è sempre più affollata. «La marginalità
cresce. Persone precipitate dalla propria realtà, senza più
certezze: lavoro, casa, famiglia».
Qui nessuno pensa di avere soluzioni definitive. Ma, instancabile,
agisce. Emerge un bisogno? Si cerca una risposta. Due anni fa è
stata aperta una specie di officina. L'hanno chiamata «Ci manca 1
rotella», perché tra l'altro questo è un villaggio che coltiva
l'ironia e rifugge la cupezza. Si stoccano carrozzine, deambulatori,
stampelle a disposizione di chi è in difficoltà o in attesa dell'Asl.
L'ospedale che Cottolengo aveva eretto per assistere gli ultimi è
diventato un polo da 450 mila prestazioni l'anno, con punte di
eccellenza: «Formiamo gli infermieri per conto dell'Università,
siamo la seconda struttura in Piemonte per la cura del tumore al
seno e l'unico privato accreditato con un reparto di lungodegenza»,
rivela padre Arice. «Ma soprattutto garantiamo le specialità poco
remunerative dal punto di vista economico. Almeno finché la
Provvidenza ce lo permette». È il faro che guida anche le residenze
per anziani, dove ciascuno contribuisce a seconda delle sue
possibilità. «Le rette sono stabilite quasi su misura, dopo
un'analisi della situazione economica dell'ospite», spiega il
direttore Giovanni Tarantino. «L'eventuale differenza è a carico
nostro».
Gli immensi dedali del Cottolengo sono un luogo di visionarie
invenzioni. Quasi tutto è nato come reazione a un'esigenza che
nessuno sapeva come soddisfare. «Avevo vent'anni, facevo la
fisioterapista», racconta suor Clara. «C'erano tante ospiti con la
sindrome di down, era difficile fare attività con loro, serviva un
posto accogliente e dover poter lavorare con pesi più leggeri. Noi
giovani suore abbiamo insistito per realizzare una piscina d'acqua
calda a uso terapeutico». La prima in Italia, oltre cinquant'anni
fa: lunga venti metri, larga cinque. «Di grandi così non se ne fanno
più: motivi igienici, mantenerla richiede uno sforzo immenso. Ma è
stata una svolta; qualche tempo dopo abbiamo cominciato a fare
terapia anche con i disabili. All'epoca non esisteva niente di
simile, i fisioterapisti venivano a imparare qui». Anni dopo si è
posto un nuovo problema: come aiutare i ragazzi autistici ad avere
una chance di futuro oltre la scuola. Don Andrea Bonsignori ha
immaginato di sfruttare una delle principali doti di chi soffre di
questo disturbo: la dedizione alla precisione. «Chi è il miglior
caricatore di un distributore automatico di bevande e snack se non
un ragazzo autistico?». Così è nata un'impresa sociale - che oggi
vive di vita propria fuori dal Cottolengo - partita da tre
apparecchi e arrivata a gestirne oltre mille. «Dovevamo dare non una
speranza, ma una risposta oltre queste mura. I ragazzi finivano la
scuola dopo 10-15 anni di integrazione e dopo? In questo paese chi
soffre di disturbi mentali e la sua famiglia sono persone sole». La
stessa filosofia, ma con una prospettiva opposta, ha portato ad
aprire un'officina meccanica: «L'idea venne con Sergio Marchionne:
far arrivare qui ragazzi con la passione per i motori e insegnare
loro la manutenzione di primo livello, il tagliando, perché poi
potessero trovare a lavoro nelle officine».
Nel 1997 don Andrea ha fondato la Giuco, oggi una delle sei
associazioni sportive in Italia dove i ragazzi normodotati e
disabili giocano insieme: calcio, basket, volley, rugby, arti
marziali, danza. «L'idea era declinare nello sport la nostra
filosofia, perché almeno fino a una certa età l'integrazione può
funzionare: non si crea un gap tra i ragazzi, anzi, si tirano fuori
risorse inattese». La dimostrazione è che tre atleti della Giuco
quest'anno hanno esordito nella nazionale under 20 di rugby.
La Giuco altro non è che un'appendice di ciò che avviene nelle
classi materne, elementari e medie delle undici scuole cottolenghine
in Italia. La più grande è dentro la cittadella di Valdocco: circa
400 ragazzi, il 13% ha una forma di disabilità. «Nelle scuole
pubbliche la percentuale scende al 3,5%, nelle paritarie all'1,5»,
spiega don Andrea. «Quasi la metà delle famiglie non paga nulla o
usufruisce di uno sgravio. E ciononostante tanti ci scelgono anche
se non hanno problemi economici perché diamo un'istruzione di
qualità». E non solo. «Un genitore mi ha detto che qui suo figlio è
riuscito a capire di non essere sfortunato ad avere solo sei paia di
scarpe ma fortunato perché ha due piedi in cui indossarle».
Hanno scelto uno slogan che è il rovesciamento della cultura
dominante: «La scuola che non fa la differenza». «Il Cottolengo
spesso è stato visto come un ricettacolo di sfigati», ragiona don
Andrea, «ma al contrario è un luogo in cui la convivenza civile e
l'accoglienza della diversità diventano qualcosa di reale. E dove
tra chi ha un disturbo e chi no a guadagnarci di più da questa
convivenza forse è quest'ultimo».
Quest'incessante opera - che include altri servizi, dall'housing ai
progetti di autonomia per donne con disabilità, dai 400 alloggi
affittati a prezzi calmierati ai centri di accoglienza per donne in
difficoltà - per padre Arice ha un nome: investimenti carismatici.
«Ciò che si fa per l'utilità collettiva, per chi ha poco o nulla da
dare in cambio». Come gli ospiti "storici", nati e vissuti qui, o i
religiosi che dopo essersi consumati per gli altri ora vengono
accuditi. «Continuiamo a seguire l'esempio del Cottolengo: costruire
ciò che manca, rispondere alla domanda che la città ci rivolge».
Oltre 190 anni fa il bisogno era accogliere gli invalidi, i ciechi,
gli orfani; oggi è l'includere i bambini autistici, curare la vita
fino al suo passo finale. Le ultime due strutture inaugurate sono un
hospice, a Chieri, e uno studentato con 180 posti, appena aperto e
già pieno. «In questo caso la necessità era offrire posti letto a
prezzi accessibili agli studenti», spiega Roberta, 30 anni, che dopo
otto anni di volontariato ha trovato lavoro proprio allo studentato.
«Dopo la laurea in Economia cercavo un progetto sociale per cui
spendermi. Averlo trovato qui, dove mi sento a casa, è la cosa
migliore che mi potesse capitare. Qui c'è una possibilità per tutti
e una cura per tutto».
Anche in questo intreccio di religiosi e laici c'è il segreto di un
immenso villaggio che guarda avanti tornando sempre alle origini.
Cottolengo aveva iniziato la sua opera circondandosi di laici:
medici, geometri, ricchi nobili che elargivano donazioni. Per dare
continuità ha poi fondato 12 famiglie religiose. «Ma ora che la
nostra presenza si è fatta più esigua è cresciuto nuovamente il peso
dei laici, come alle origini», rivela suor Maria Teresa, un'altra
colonna di questa istituzione che conta in totale circa 900 suore,
un centinaio di preti, quasi 2.500 collaboratori. E più di mille
volontari, meno di un tempo, eppure tenaci, come Carlo De Grandi,
che a 93 anni viene ancora tutti i giorni. «E non solo io: ci sono
mia moglie, mio figlio e mia nuora». Da quarant'anni Carlo, ex
bancario, dà una mano a chi tiene i conti di un'istituzione con un
bilancio di 150 milioni. «Perché continuo? Semplice: in questo luogo
respiro pace e serenità».
«Qui si dà un senso alla vita. O lo si recupera. Con l'aiuto della
Provvidenza», dice suor Maria Teresa. Già, la Provvidenza. È ciò cui
ci si aggrappa quando servirebbero le risorse o quando bisogna
spiegare quel che in apparenza spiegazione non ha. «Qualche sera fa
è arrivata una richiesta per un progetto; ci chiedevamo dove avremmo
preso i soldi quando è arrivata una sorella con un sacco pieno di
vestiti e una busta piena di banconote. Poco tempo fa in magazzino è
arrivato un paio di scarpe gigantesche, pensavamo non sarebbero mai
servite e invece il giorno dopo si presenta un migrante dai piedi
enormi; gli calzavano perfettamente. Vede cosa fa la Provvidenza?».
O forse sono i frutti dell'opera incessante di queste persone.
A Torino anni fa per etichettare una persona stupida non era raro
che venisse usata la parola «cutu». Era come dire, sei uno del
Cottolengo, retaggio di quella credenza secondo cui queste mura
tenevano il resto del mondo al riparo da ciò che non si doveva né
poteva vedere. È un'etichetta che per decenni ha accompagnato il
Cottolengo. «A volte c'è bisogno di figurarsi qualcosa di
straordinario per giustificare la normalità del bene», riflette suor
Maria Teresa. Padre Arice non si scompone: «In fondo vuol dire che i
torinesi a questo posto vogliono così bene e vi sono così legati da
averlo fatto entrare nel loro vocabolario». Perché è la spalla su
cui sanno di potersi appoggiare quando intorno non resta più niente.
—
SOLDI AI PARTITI : Dal 1°
gennaio 2022 al 28 settembre dello stesso anno, ultimo dato
disponibile, il Pd ha ricevuto donazioni per 2,7 milioni di euro. E
i soldi sono arrivati anche da aziende e imprenditori. Tra le prime
figurano con 10mila euro a testa le due farmaceutiche Farmaservizi e
Promofarma, entrambe legate all'associazione dei farmacisti,
Federfarma. Altri 20mila euro li ha donati Confagricoltura, ma il
massimo sforzo l'ha compiuto l'ex ministro dei Lavori pubblici
democristiano, Francesco Merloni, che ha versato 100mila euro. Una
somma rilevante, 60mila euro, li ha donati anche la Milano Krea
Design, specializzata in mobili e arredi per alberghi, ristoranti e
attività varie. La società è a maggioranza controllata
dall'imprenditore Gianfranco Librandi, candidato senza successo con
Più Europa di Emma Bonino.
Il Papa caccia il vescovo Usa ultra-conservatore
Il Papa «solleva» dal governo pastorale della diocesi di Tyler, in
Texas, il vescovo Joseph E. Strickland, monsignore tradizionalista
vicino all'ultra-destra americana. Francesco «caccia» dunque un
Presule critico verso il pontificato, e al suo posto nomina il
pastore di Austin, monsignor Joe Vasquez. Strickland, 65 anni, è un
vigoroso difensore delle posizioni dottrinali e dogmatiche della
Chiesa cattolica sul matrimonio, la vita umana e la libertà
religiosa. È un duro oppositore delle aperture della Chiesa al mondo
Lgbtq. Nel giugno scorso ha ricevuto una visita apostolica:
l'indagine è stata affidata dalla Santa Sede a due vescovi
americani, Gerald Kicanas e Dennis Sullivan; secondo alcuni
l'inchiesta era dovuta alla propaganda ultra-conservatrice del
vescovo, inconciliabile con il nuovo corso avviato da Bergoglio. Tra
le contestazioni di Strickland, anche quella contro il Sinodo sulla
sinodalità - assise su cui il Vescovo di Roma punta moltissimo per
il futuro della Chiesa - paventando innovazioni «inaccettabili» in
materia di matrimonio, eucarestia, sessualità. Ha scritto che «il
programma del Papa mina il Deposito della Fede». Attivissimo su X,
Strickland ha più volte attaccato anche i vaccini contro il Covid.
FINALMENTE UNA DONNA VERA : Francesca Bergesio, figlia del
senatore leghista Giorgio Maria Bergesio, è la nuova miss Italia. È
nata a Bra (Cuneo) e abita a Cervere, è alta 1, 80 ed è diplomata al
Liceo Classico Europeo. Frequenterà la facoltà di Medicina. Ha
vissuto 5 anni in un convitto dove ha scoperto la passione per la
recitazione. Si definisce «pacata, riservata, determinata». Dal
palco, tra le lacrime, ringrazia tutti: «Vorrei specializzarmi in
cardiochirurgia e affiancare al mio lavoro la moda o il cinema, al
quale non rinuncio».
11.11.23
IL BERLUSCONISMO E' FINITO : In
300 per La Russa e Santanchè il presidio di FdI fa peggio della Lega
I punti in comune
martina mazzeo
milano
Flop di Fratelli d'Italia in piazza a Milano che, con non più di 300
persone, fa peggio della Lega una settimana fa. Se il Carroccio non
era riuscito a riempire largo Cairoli, portando comunque 1.000
persone, ieri, in piazza Cordusio, a Fratelli d'Italia non è andata
meglio, nonostante la presenza dei big del partito, la coordinatrice
lombarda e ministra Daniela Santanchè e il presidente del Senato
Ignazio La Russa. All'appello del partito di Giorgia Meloni per
«celebrare la libertà» e la fine dell'ideologia comunista a 34 anni
dal crollo del Muro di Berlino non hanno dunque risposto in tanti.
«Noi la piazza non l'abbiamo mai abbandonata - risponde Santanchè -.
Poi dagli altri partiti ci sono i leader, è ovvio che quando hai
Giorgia Meloni lei fa la differenza». Urne piene piazza vuota. Non
sfugge a La Russa: «Come siete appiccicati, avete freddo?
Allargatevi, allargatevi», scherza appena salito sul palco. Una
presenza scarsa che non passa inosservata nemmeno a chi fa shopping
- «ma chi sono questi quattro gatti?» - a dispetto del grande palco.
Comunismo, terrorismo islamico, euroburocrazia, utero in affitto,
teoria gender, carne sintetica, follie green con il volto di Greta
Thunberg, gli obiettivi da abbattere scritti sul muro di cartone
fatto crollare. «Ora l'impegno è quello di abbattere ogni muro, come
quello della guerra, dell'odio, della conflittualità», le parole
della seconda carica dello Stato che non risparmia la stoccata a
quanti «brucia da pazzi che a presiedere il Senato ci sia uno della
nostra storia».
PARTITI GAMEOVER :
Fossero una società quotata in Borsa i partiti politici italiani
avrebbero già dovuto presentare i libri contabili in tribunale e
dichiarare fallimento. Perché i loro bilanci sono in profondo rosso
e come se non bastasse il loro patrimonio, immobili e quant'altro,
va sempre più assottigliandosi. Come dire che il fondo del barile è
già stato raschiato e che, d'ora in avanti, le perdite di gestioni
costose e sempre meno compensate dalle donazioni di simpatizzanti e
lobby non potranno essere più coperte vendendo qualche gioiello di
famiglia.
A essere messa peggio è Forza Italia, priva ora del suo grande
finanziatore e fondatore, Silvio Berlusconi. Ma anche sulla Lega
pesa il fardello dei debiti accumulati nei confronti dello Stato
quando era ancora "Nord", mentre Pd e Movimento 5 Stelle non sanno
come turare le falle nei conti aperti dai loro stessi parlamentari
morosi. Mal comune mezzo gaudio, si dirà. Ma non è così perché un
partito con il bilancio sano c'è ed è proprio quello di maggioranza
nel governo, Fratelli d'Italia, che può diventare così arbitro della
sorte dei concorrenti, impedendo loro di uscire dall'angolo con un
qualche provvedimento di legge che alzi l'asticella del
finanziamento, basato oggi su 2 per mille e donazioni. Tempo
addietro ci ha provato il Pd, proponendo un ritocco non da poco
della riforma Letta, portando da 20 a 45 milioni di euro il fondo
per il 2xmille, ma soprattutto con la ridistribuzione della quota di
quello stesso fondo, che ogni anno resta inutilizzata perché parte
dei cittadini non ne vuol sapere di finanziare i partiti. Anche
altre formazioni politiche propongono ricette analoghe, salvo il
M5S, che dopo essersi iscritto lo scorso anno nel registro dei
partiti riconosciuti ai sensi della legge n.13 del 2014 per accedere
al 2xmille, ora ha presentato una proposta per abbassare da 100mila
a 18mila euro annui il tetto delle donazioni liberali da parte di
persone fisiche e società. Ma a sbarrare la strada lo scorso anno
all'inserimento in manovra dell'innalzamento della quota di tasse
devoluta dai cittadini ai partiti è stato guarda caso il partito
della Meloni. Che così tiene per la collottola oppositori e alleati
di governo. Perché portare avanti senza soldi l'attività politica
ordinaria, per non parlare delle campagne elettorali, non è per
niente facile. Ed espone ad un altro rischio, quello di diventare
scalabili dalle lobby.
Ma la necessità di aumentare un finanziamento che è di fatto
pubblico è sentita oramai da quasi tutti i partiti. Anche se poi c'è
chi se la passa peggio di altri. Prima di tutti Forza Italia, che in
base agli ultimi dati disponibili, come quelli di Open Polis o
Pagella Politica, ha debiti per 99 milioni di euro, un disavanzo di
esercizio di oltre 340mila euro ma soprattutto un disavanzo
patrimoniale di 106 milioni. «La riduzione dei parlamentari eletti
nonché la discontinuità dei versamenti provenienti da essi e dai
consiglieri regionali rappresentano la causa primaria del risultato
negativo della gestione caratteristica», ha ammesso il
senatore-tesoriere degli Azzurri, Alfredo Messina, il giorno dopo la
morte di Silvio Berlusconi. Che anche all'ultimo ha lanciato una
ciambella di salvataggio alla sua creatura politica con la rinuncia
a un milione e 796mila euro di interessi sul credito vantato dall'ex
Presidente. Ma il problema è che FI del 2xmille raccoglie solo le
briciole, meno di un milione dei 20,4 milioni del fondo.
Ne fa invece incetta il Pd, che ne incassa quasi 7,4 milioni. I Dem
sono però anche secondi nella classifica dei debiti, con un fardello
di 5,5 milioni. Ma quel che è più grave è la scomparsa del loro
patrimonio netto, passato dai 20,3 milioni di euro del 2010 ad
appena 23mila euro. I conti starebbero peggio se non ci fosse stato
il tesseramento straordinario per il congresso che ha incoronato
Elly Schlein. Ma la performance difficilmente si ripeterà, mentre
gli eletti continuano a non autotassarsi e sul bilancio pesano
sempre 119 dipendenti, fra cui 18 giornalisti.
Sulla Lega grava invece il fardello dei 49 milioni che il partito di
Salvini deve versare nelle casse dello Stato in base a sentenze
della magistratura, ora ridottisi a 18 milioni e 148mila euro. Il
nuovo corso del Capitano non sta però dando i risultati sperati,
visto che l'ultima perdita è di 3,9 milioni di euro mentre c'è da
saldare una rata di un milione e mezzo di debiti. Scarso l'apporto
del 2xmille: appena 1,2 milioni devoluti dai cittadini, centomila
euro in meno di quelli andati ad Azione di Calenda.
I Cinque Stelle sono quasi in pareggio. Ma questo si deve al fatto
che, nonostante i morosi siano anche qui tanti, da parte della marea
di eletti nella passata legislatura sono affluiti nelle casse del
Movimento 7,4 milioni. Ora però i parlamentari sono molti meno e più
morosi, tant'è che verso di loro e i consiglieri regionali il
partito di Conte vanta un credito d 2 milioni e 552mila euro. Questo
mentre le spese sono lievitate a 6,8 milioni.
A festeggiare resta così solo Giorgia, che con un bilancio ancora
formato da partitino porta a casa un utile di 527mila euro e un
patrimonio netto con il segno più per 2,6 milioni. Ed è anche su
questi numeri che si gioca la battaglia per la leadership politica
del Paese
10.11.23
L'allarme dell'Oms: "Dilagano le infezioni colpiti soprattutto i
bambini sotto i 5 anni" L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha messo in
guardia sulla rapida diffusione delle malattie infettive a Gaza. Le
infezioni batteriche si stanno diffondendo per l'acqua contaminata e
per l'accumulo di rifiuti, soprattutto tra i bambini sotto i 5 anni.
La situazione è particolarmente preoccupante per i quasi 1,5 milioni
di sfollati presenti in tutta Gaza, in particolare per coloro che
vivono in rifugi sovraffollati
Sentenza contro Riccardo De Simone vicino al boss pentito Vittorio
Raso
Traffico di droga col narcos delle cosche condannato a 9 anni il
figlio del poliziotto
giuseppe legato Nove anni, 10 mesi e 20 giorni di carcere. L'accusa:
associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di
droga. Con interdizione perpetua dai pubblici uffici. La sentenza
(di primo grado) è di ieri mattina, è stata emessa dal giudice
Ludovico Morello in un processo celebrato con rito abbreviato (con
annesso sconto di un terzo sulla pena quindi) e riguarda un signore
che si chiama Riccardo De Simone. Avrebbe fatto parte – insieme ad
altri (tutti condannati a pene pesanti che vanno da 4 a 10 anni) che
sono poi la batteria – secondo gli investigatori – legata a Vittorio
Raso, super narcos della ‘ndrangheta che da mesi sta parlando con la
Dda di Torino avendo intrapreso un percorso di collaborazione. In
uno dei primi verbali resi all'esperto magistrato Valerio Longi ha
detto. «Riccardo lavorava con me». Sarebbero condanne come tante
nell'articolato mondo del mercato degli stupefacenti se non fosse
che De Simone non è un tipo qualunque. È il figlio di un commissario
di polizia, oggi in pensione: per anni stimato e poi finito (anche
lui) in una brutta inchiesta per aver gestito (ipotesi d'accusa)
alcune fonti investigative in maniera un po' troppo disinvolta.
Nell'elenco dei traffici a cui il giovane avrebbe collaborato
figurano diversi episodi di cessioni di droga peraltro tutti molto
ravvicinati che raccontano un iperattivismo sul punto: 19 maggio
2021, 25 maggio, 27 maggio, 29 maggio, 3 giugno, 4 giugno. Le
quantità sono in alcuni casi imprecisate in altri ammontano fino a
60 kg di hashish e marijuana. Ma la rete di Raso, al netto di De
Simone, era ampia e qualificata e la Mobile ci ha messo anni di
indagini a smantellarla facendo step by step terra bruciata attorno
al grande broker dei calabresi. Particolarmente interessante la
posizione di tale Lisiam Spagna, di Nichelino condannato a 7 anni,
imprenditore. Si sarebbe addirittura recato a trovare Raso in Spagna
durante il periodo di latitanza. Otto anni a Jacopo Riva, sei anni e
3 mesi ad Angelo Misiti, otto anni e otto mesi a Gennaro Delise,
quattro anni a Francesco e Marco Carnazza, cinque anni e otto mesi a
Salvatore Di Gioia. Ancora Luca Sanna (5 anni e 8 mesi), Marilena
Valanzano (4 anni e 5 mesi), Luca Scardina (3 anni), Teodoro Russo
(2 anni e 10 mesi).
09.11.23
L'Italia dello stragismo istituzionale Tobagi indaga su depistaggi e
segreti
Sifar, Ufficio Affari Riservati, Sid, Sismi, Sisde: quante volte
queste sigle sono risuonate nelle aule dei tribunali, scritte negli
atti giudiziari e sono state citate nella saggistica sulla storia
del terrorismo italiano.
Al complesso e spesso conflittuale rapporto tra l'intelligence, la
magistratura e il governo, la fresca vincitrice del Premio
Campiello, Benedetta Tobagi, ha dedicato un appassionato lavoro di
ricerca storica dal titolo Segreti e lacune, potendo consultare, tra
gli altri, gli archivi resi fruibili dalla cosiddetta "Direttiva
Renzi" del 2014 per la declassifica e per il versamento
straordinario di documenti all'Archivio centrale dello Stato.
È, infatti, negli archivi che risiede lo straordinario potere
detenuto dai servizi segreti in ogni parte del mondo. «Secondo
l'antico adagio che chi controlla il passato controlla il futuro, la
pura e semplice gestione dei documenti - scrive l'autrice - resta,
ancora oggi, un grandissimo strumento di potere. Gli archivi non
sono orpelli polverosi e irrilevanti delle pubbliche
amministrazioni, ma per molti versi rimangono veri e propri arsenali
del potere».
Anche per questo motivo, proprio i documenti d'archivio, la gestione
degli stessi con la sottesa autonomia di occultare e se necessario
distruggere le carte, sono stati l'oggetto di infinite contese tra i
magistrati impegnati nella ricerca della verità giudiziaria, con
relativi responsabili e mandanti delle stragi e i vertici dei nostri
servizi, con un ruolo, talvolta ambiguo, dello stesso governo di
turno.
Se alcune regole auree, come la tutela della segretezza delle fonti
e la gestione manipolatrice delle stesse, sono alle basi dell'agire
dei servizi di intelligence in tutto il mondo, la situazione nel
panorama italiano a partire dal secondo dopoguerra è stata resa
peculiare dalla posizione geopolitica dell'Italia nella Guerra
Fredda, Paese di frontiera e di importanza strategica per l'Alleanza
Atlantica.
In particolare, nel libro viene posta sotto la lente di
ingrandimento la dialettica tra i diversi poteri dello Stato in
relazione alle inchieste e ai processi per le stragi avvenute tra il
1969 (piazza Fontana, 12 dicembre) e il 1980 (stazione di Bologna, 2
agosto), passando per Gioia Tauro (22 luglio 1970), Peteano (31
maggio 1972), questura di Milano (17 maggio 1973), piazza della
Loggia a Brescia (28 maggio 1974), treno Italicus (4 agosto 1974).
Non c'è stato procedimento giudiziario su queste stragi che non
abbia visto almeno un'agenzia d'intelligence impegnata in attività
di protezione delle organizzazioni terroristiche di estrema destra,
fino al punto che lo «stragismo istituzionale» rappresenta, secondo
la Tobagi, una tragica specificità della storia dell'Italia
Repubblicana, direttamente collegata al ruolo centrale dell'Italia
nel sistema militare difensivo della Nato e al contrasto alla
diffusione del comunismo in Occidente.
Negli anni si è andato così diffondendosi, come scrisse per la prima
volta, nel 1989, lo storico Franco De Felice, un conflitto
permanente tra «lealtà al proprio Paese e lealtà ad uno
schieramento», che può essere letto, per la Tobagi, anche come
«conflitto tra due principi di legittimazione», l'antifascismo, che
è tra i fondamenti della Costituzione formale promulgata nel '48, e
l'anticomunismo, cardine della «costituzione materiale». In concreto
questo ha comportato, ad esempio, la necessità di possedere il
nullaosta di sicurezza Nato come precondizione per essere nominati
in posizioni apicali degli apparati di sicurezza italiani, servizi
segreti compresi. Il tutto avvenne (e forse avviene ancora) in via
informale e riservatissima, anche se è storicamente acclarato e ha
contribuito ad alimentare l'immagine dell'Italia come una nazione a
«sovranità limitata».
È contro il muro della «doppia lealtà» che si sarebbero scontrate le
richieste di leale collaborazione, formulate in più occasioni dalla
magistratura ai vertici della nostra intelligence. Negli anni della
cosiddetta strategia della tensione, infatti, era dominante negli
ambienti dell'oltranzismo atlantico la teoria del «destabilizzare
per stabilizzare». I responsabili delle stragi nere andavano quindi
protetti attraverso una serie di azioni di contrasto all'azione
investigativa degli inquirenti, a cominciare dai depistaggi e con
buona pace di leggi, circolari e della stessa Costituzione italiana.
Come testimonia il lavoro dell'autrice sui materiali d' archivio,
non tutti i vertici della nostra intelligence hanno avuto
comportamenti contrari alla legge. Nonostante le leggi di riforma a
partire da quella del 1977, però, la «doppia lealtà» è rimasta un
guida costante nel rapporto con gli altri settori dello Stato,
sempre correlata a un legame strutturale dei nostri apparati con
quelli degli Stati Uniti, che in alcune fasi hanno fatto uso, con
estrema disinvoltura, delle cosiddette operazioni coperte. Non a
caso, sul finire degli anni Settanta, il capo della Cia, William
Colby, definì l'Italia il loro «più grande laboratorio di
manipolazione politica clandestina», sebbene si sia dimostrato che
gli Stati Uniti fossero contrari alla prospettiva di un golpe
militare sul modello della Grecia dei colonnelli.
Ci furono, a più riprese, anche tentativi di inquinamento della vita
politica attraverso l'uso spregiudicato di dossier alimentato dai
servizi sulla vita privata di molti esponenti dei partiti di
maggioranza e di opposizione e, in alcuni casi, anche di magistrati
colpevoli di ricercare con eccessiva tenacia investigativa la verità
sulle stragi nere.
Nel libro, infine, viene correttamente ridimensionato il mito
dell'importanza del «segreto di Stato» da abolire e la funzione
salvifica della desecretazione dei documenti, perché è nella
gestione degli archivi che trae origine il potere di oscurare la
reale attività dei servizi segreti con buona pace della trasparenza
e del «diritto a sapere» (nel rispetto dei vincoli temporali di
segretezza) che dovrebbero, in teoria, differenziare le democrazie
contemporanee dagli Stati totalitari.—
08.11.23
Nei verbali dell'inchiesta Caccia, il racconto delll'ex gip
Salvadori che firmò gli arresti: "Si lamentavano della mia severità,
avvertì il pericolo"
Le minacce dei boss alla giudice di Minotauro "L'esplosivo per lui
era già pronto in Calabria"
giuseppe legato La firma sui 156 arresti che svegliarono Torino, il Piemonte
e il Nord Ovest all'alba di 12 anni e cinque mesi fa (8 giugno 2011)
con la maxi operazione Minotauro è la sua. E già all'epoca,
vedendola entrare e uscire dal lavoro con una tutela personale delle
forze di polizia si era capito che a certificare il rischio per la
vita dell'ex gip Silvia Salvadori fosse stata una seria minaccia
della ‘ndrangheta. Adesso se ne ha certezza. Nei verbali depositati
dalla procura generale di Milano nell'ambito dell'inchiesta
sull'assassinio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia (oggi si
decide se archiviare il procedimento a carico degli ultimi due
indagati), è la stessa giudice, oggi in forza alla Procura generale
di Cassazione a Roma, a raccontare le allerte sulla sua sicurezza
generate da quell'inchiesta storica che disarticolò 9 locali
(strutture di base della malavita organizzata calabrese) svelando
una mafia «silente, mimetica e unitaria», paradigma giudiziario
coniato dal pm di punta di quel pool Roberto Sparagna (oggi
responsabile della Dna nel quadrante del Nord Ovest italiano) e
diventata, di lì a seguire, giurisprudenza a tutti gli effetti per
le future misure e pronunce.
«Un episodio – racconta a verbale Salvadori al procuratore generale
di Milano Galileo Proietto - che in concreto delineava una
situazione di pericolo nei miei confronti fu la notizia pervenuta da
fonte confidenziale che nel carcere di Saluzzo era stata raccolta
un'informazione secondo cu stavano progettando un attentato nei miei
confronti. In Calabria erano pervenute notizie di sequestri di
esplosivi di cui io sarei stata la destinataria». Un fatto
tutt'altro che infondato in termini probabilistici se è vero come è
vero che nel 2012 «una telefonata pervenne alla mia cancelleria.
Parlava una persona con marcato accento calabrese. Disse: "Questa
volta alla dottoressa è andata bene". Ancora a febbraio 2012 «si
verificò un fatto che mi fece realmente sentire in pericolo».
Ovvero: «Ricordo che camminavo per strada a piedi in piazza
Vittorio, nelle cui vicinanze vivevo, con gli agenti di scorta. La
mia protezione notò che ci stava seguendo un personaggio che a un
certo punto si girò verso di me ed ebbe un atteggiamento aggressivo,
si voltò di scatto guadandomi fisso negli occhi e con un sorriso
provocatorio. C'era ancora un altro uomo che seguiva me e la scorta
e sembrava agisse in sintonia col primo. Mi creò molto allarme. In
quell'occasione fui letteralmente presa e spinta nella macchina
blindata dalla mia tutela».
E anche se in tal senso non sono mai tate sollevate contestazioni
penali alcune «ricordo che dopo l'emissione delle misure cautelari,
l'avvocato di Francesco D'Onofrio (considerato un elemento di
primissimo livello delle cosche a Torino) si recò direttamente dal
mio presidente dell'epoca Francesco Gianfrotta a lamentarsi per la
mia indisponibilità a una modifica (carcere versus domiciliari ndr)
della misura cautelare. Le lamentele riguardavano comunque in
generale la mia eccessiva severità nella conduzione del
procedimento». Dopo di allora nulla accadde e il livello di
protezione della giudice scese al terzo livello (il grado di
pericolosità è decrescente) fino alla sospensione della tutela. Che
gli è stata però riassegnata dopo aver firmato gli arresti di
‘ndrangheta nell'operazione "Geenna", babele di accuse alle ‘ndrine
che hanno colonizzato pezzi della Valle d'Aosta.
07.11.23
TIM: FIRMATO IL TRANSACTION AGREEMENT PER NETCO
Roma, 6 novembre 2023
TIM comunica che, in esecuzione delle deliberazioni assunte ieri dal
Consiglio di Amministrazione della Società, in data odierna è stato
sottoscritto con Optics BidCo (società controllata da Kohlberg
Kravis Roberts & Co. L.P. “KKR” e come ulteriore investitore Azure
Vista, società interamente controllata da Abu Dhabi Investment
Authority) il transaction agreement relativo a Netco che disciplina:
il conferimento da parte di TIM di un ramo d'azienda - costituito da
attività relative alla rete primaria, all’attività wholesale e
dall’intera partecipazione nella controllata Telenergia - in
FiberCop, società che già gestisce le attività relative alla rete
secondaria in fibra e rame, e
il contestuale acquisto da parte di Optics Bidco dell’intera
partecipazione detenuta da TIM in FiberCop medesima, all’esito del
predetto conferimento (FiberCop post conferimento “Netco”).
Il transaction agreement prevede che alla data del closing
dell’operazione si proceda alla sottoscrizione di un master services
agreement che regolerà i termini e le condizioni dei servizi che
saranno resi da NetCo a TIM e da TIM a NetCo a seguito del
completamento dell’operazione.
Il perfezionamento dell’operazione è atteso per l’estate del 2024,
una volta completate le attività prodromiche e soddisfatte le
condizioni sospensive (completamento del conferimento della rete
primaria, autorizzazione Antitrust, autorizzazione in materia di
sovvenzioni estere distorsive e Golden Power).10 miliardi di
capitali da banche di tutto il mondo per un progetto che rappresenta
uno dei più grandi deal infrastrutturali per Kkr. La partita Netco
vede in campo 11 colossi bancari. Si tratta di Unicredit,
Mediobanca, Bper, Paribas Jpm, Citi, Crédit Agricole, Morgan
Stanley, Bpm, Natixis e Bofa.
TRA 6 MESI LA MELONI FUORI DAL GOVERNO DEL PAESE ANCHE SE Il colosso
americano gestisce 500 miliardi di dollari. In Italia tra Tlc e
industria, il nodo Magneti Marelli
Da Fibercop alla scalata "fantasma" Per il fondo decisivo l'assist
del Tesoro
Tre lettere: Kkr. Sono le iniziali dei tre fondatori che danno il
nome al fondo destinato a essere il futuro padrone americano –
accanto al Tesoro e a F2i – della rete di Tim. Si tratta di tre ex
superbanchieri di Bear Stearns: i cugini Henry Kravis e George
Roberts, insieme con il loro mentore Jerome Kohlberg, mancato nel
2015.
Nel 1976 creano un colosso degli investimenti che oggi ha attività
in gestione per oltre 500 miliardi di dollari. Cominciano dal
mercato americano, dal 1996 con l'espansione in Europa, il salto
globale. Nato come un fondo di private equity per investire nel
capitale di rischio delle società non quotate in Borsa, Kkr si
ramifica nei gangli della finanza: immobiliare, credit, mercato dei
capitali, assicurazioni e dal 2009 anche nelle infrastrutture. Tra i
partner, perfino un generale, David Petraeus, proprio quello della
guerra in Iraq.
In Italia Kkr arriva a metà degli anni 2000. Spazia tra i
lubrificanti di Selenia e le tlc di Sirti, senza trascurare i
distributori automatici di Argenta. Oggi ha il packaging di Cmc e
occupa le cronache anche per un'altra, difficile vicenda, quella
della Magneti Marelli, acquisita nel 2019 tramite la controllata di
Kkr, Calsonic Kansei, quella che ora sta portando avanti il piano di
tagli che toglie il sonno ai sindacati, anche per questo sospettosi
nel vedere il fondo acquisire la rete di Telecom. Ma Kkr è già una
vecchia conoscenza per Corso d'Italia. Risale infatti al 31 agosto
del 2020 l'accordo con cui Kkr entra nel business della rete di Tim.
Il primo passo è infatti l'acquisto del 37,5% di FiberCop, società
dove è stato scorporato un primo pezzo di rete, quella secondaria
che va dall'armadietto stradale fino alle case e agli uffici.
È un'operazione dettata, come pure quella di oggi, dalla necessità
di fare cassa e abbattere il debito. È l'allora ad Luigi Gubitosi a
organizzare la gara che il fondo Usa vince. Il soccorso del 7°
Cavalleggeri ha però un prezzo. È il fondo a dettare le regole,
ottiene diritti di veto nella governance e rendimenti minimi
garantiti in ultima istanza proprio da Tim. Ma Kkr non si ferma lì.
Sul finire del 2021 il fondo torna alla carica e non pago di avere
una piccola fetta della rete, punta al colpo grosso. Kkr lancia la
"bomba" finanziaria: si propone per un'Opa sul 100% del capitale di
Tim a un prezzo che – guardando i valori di ieri sera, ossia 25,10
centesimi alla chiusura di Piazza Affari – pare astronomico: 50,5
centesimi.
La proposta però viene subordinata a una due diligence, un esame dei
conti che lo stesso cda, anche su spinta di Vivendi (ai tempi ancora
presente in consiglio), rifiuta di concedere. L'Opa insomma viene
derubricata a «operazione fantasma», sostanzialmente un ballon
d'essai. Tutto sembra finire lì. Ma Kkr, che punta a rivalutare la
rete Tim usando la cassa che questa genera per sostituire il vecchio
rame con la moderna fibra, non si arrende. E quando Tim si decide a
vendere l'infrastruttura, torna in pista e sbaraglia la concorrenza
di Cdp e Macquarie. La rete parlerà americano, in un'operazione in
cui l'avallo di Palazzo Chigi e il concreto sostegno del Tesoro, che
avrà il 20%, si rivelano le carte vincenti.
06.11.23
il report dell'ispra
Aumenta il consumo di suolo in Italia in testa Lombardia, Veneto e
Campania
Aumenta il consumo di suolo in Italia e l'Ispra nel suo rapporto
annuale ne ha da poco certificato la crescita del 10% nel 2022
rispetto all'anno precedente a livello nazionale. Osservate
speciali, sul "podio" delle regioni che registrano il consumo
percentuale maggiore rispetto alle superfici totali, sono la
Lombardia (12,16%), il Veneto (11,88%) e la Campania (10,52%),
seguite da Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e
Liguria, con valori sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e
il 9%. Anche l'Abruzzo lo scorso anno ha superato la soglia del 5%
del consumo di suolo, portando così il numero delle regioni in cui
questa soglia è superata a 15. La Valle d'Aosta rimane la regione
con la percentuale più bassa (2,15%) ma, ricorda l'Ispra, per
interpretare correttamente i dati va considerata anche la diversa
morfologia del territorio sia la sua evoluzione. La Toscana
flagellata in questi giorni dal maltempo è al 6,17% con un
incremento dello 0, 17% rispetto all'anno precedente, un valore
relativamente basso. Sul fronte dell'aumento percentuale della
superficie artificiale tra il 2021 e il 2022 il valore più elevato è
quello della Sardegna (+0,67%), seguono Molise e Puglia. Sopra la
media nazionale (+0,33%), ci sono anche Campania, Sicilia, Piemonte,
Lazio, Veneto e Marche. Nel rapporto si sottolinea come la tendenza
evidenziata da questi dati «sarà difficile da contenere in ottica
degli obiettivi di sviluppo sottoscritti dal nostro Paese in ambito
comunitario e internazionale».
UN DOCENTE DA BOCCIARE: Sentenza d'appello della Corte
dei Conti nei confronti del professore Giuseppe Nano nominato da
Schmidheiny Dall'ex Ilva alla fabbrica di Casale, ha incassato
parcelle senza avvertire l'ateneo milanese in cui lavora a tempo
pieno
Scandalo sulle consulenze nascoste al Poli "l'esperto di Eternit
restituisca 1,6 milioni"
giuseppe legato
Il professor Giuseppe Nano insegna Ingegneria Chimica al Politecnico
di Milano. Un corso di studi (sul sito risulta «non attivo») che ha
ottimi riscontri «con alta opinione degli studenti». Ma se
professionalmente nulla questio, non vale lo stesso per la Corte dei
Conti che nelle scorse settimane lo ha condannato a restituire
all'Ateneo 1,68 milioni di euro. La sentenza segue a omologa
pronuncia di primo grado di marzo 2022 di fronte alla quale il
ricorso imbastito dai legali del docente non ha avuto esito
favorevole.
Tutta colpa di un extramoenia lunga anni (dal 2012 al 2016) e decine
di consulenze prestate – e ben pagate – per multinazionali «pari al
quadruplo – scrivono i giudici – del suo stipendio universitario»).
Che lui però non avrebbe mai comunicato formalmente all' ente
universitario per il quale svolgeva un incarico a tempo pieno
realizzando «un illecito espletamento degli incarichi». Tutti lo
ricordano in un'interminabile udienza di una decina di anni fa a
Torino mentre difende l'ex patron mondiale di Eternit Stephan
Schmidheiny, 75 anni, imprenditore svizzero a capo dell'impero delle
fibre assassine che da anni, oltre a diventare uno degli uomini più
ricchi del pianeta (patrimonio 2,3 miliardi di dollari), si è
riciclato come guru della sostenibilità. Coi suoi indici di rischio
correlati a soggettive stime di esposizione alle fibre di amianto «aerodisperse»
nell'ambiente di lavoro i danni da eternit - a suo avviso -
avrebbero dovuto essere infinitesimali, da 0,1 o poco più.
Praticamente, in quei capannoni, non avrebbe potuto essersi ammalato
nessuno. Lo scorso 8 giugno Schmidheiny, che anche in questo più
recente procedimento penale si è avvalso della consulenza del
professor Nano, è stato condannato dalla Corte d'Assise di Novara a
12 anni di carcere per omicidio e disastro colposi a seguito di
un'inchiesta del pm torinese Gianfranco Colace. Ma nelle
contestazioni dei magistrati contabili della Lombardia Eternit è
solo una voce – costante, ma per nulla isolata – delle super
parcelle pagate al docente dagli imputati di diversi processi. I
numeri dei guadagni contestati: 298 mila euro complessivi nel 2012,
274 mila nel 2013, 389 mila nel 2014, 382 mila nel 2015 e via
discorrendo. Tra i clienti più facoltosi che hanno conferito
incarico a nano figurano Edison che ha chiesto aiuto all'ordinario
di Chimica a proposito dell'esposizione dei lavoratori ai tossici
industriali nei siti di Spinetta, Bussi, Crotone, Mantova e Pallanza.
Ma anche Ilva (e Ilva Taranto), Luxottica, Eternit appunto,
Marzotto, Pirelli, AnsaldoBreda, Iren Energia, Tamoil, Bridgestone.
Tutto è nato da una segnalazione della Guardia di Finanza datata 4
ottobre 2019.
Ne sarebbe generato un «danno erariale imputabile a titolo di dolo».
Lui si è difeso su più fronti: intanto la consulenza esercitata in
ambito giuridico non rientrerebbe secondo i suoi legali nei limiti
di «libera attività professionale» proprio per il contesto
(tribunale) in cui è stata svolta. Ma per i magistrati contabili una
cosa è una perizia disposta da un giudice terzo, altra storia è una
pur articolata consulenza di parte. Ancora: il portale
dell'università per questo tipo di comunicazione sarebbe stato fuori
uso, ma altro modo – sempre per i giudici – vi sarebbe stato di
comunicare all'Ateneo gli incarichi (a voce, per iscritto). Il fatto
che l'attività del docente sia stata effettivamente svolta «alla
luce del sole» non lo esime dalle leggi per i pubblici dipendenti
dello Stato a tempo pieno.
05.11.23
TIM: IL CDA APPROVA L’OFFERTA DI KKR PER NETCO
L’OFFERTA VALORIZZA LA RETE FISSA FINO A 22 MILIARDI DI EURO E
CONSENTE AL GRUPPO UNA RIDUZIONE DEL DEBITO DI CIRCA 14 MILIARDI DI
EURO
PERFEZIONAMENTO ATTESO ENTRO L’ESTATE DEL 2024
CONFERITO UN MANDATO ALL’AMMINISTRATORE DELEGATO PER RICEVERE
UN’OFFERTA MIGLIORATIVA PER SPARKLE
Milano, 5 novembre 2023
Il Consiglio di Amministrazione di TIM, riunitosi sotto la
presidenza di Salvatore Rossi nelle giornate del 3, 4 e 5 novembre,
ha esaminato l’offerta vincolante presentata lo scorso 16 ottobre da
Kohlberg Kravis Roberts & Co. L.P. (“KKR”) relativamente
all’acquisto di attività relative alla rete fissa di TIM (la cd.
NetCo), inclusa FiberCop, da parte di una società (Optics BidCo),
controllata da KKR, nonchè l’offerta non vincolante sull’intera
partecipazione detenuta da TIM in Sparkle.
Il Consiglio, all’esito di un ampio e approfondito esame, condotto
con l’assistenza di primari advisor finanziari (Goldman Sachs,
Mediobanca e Vitale & Co per la Società ed Equita e Lion Tree
individuati dagli Amministratori indipendenti) e legali (Gatti
Pavesi Bianchi Ludovici Studio legale associato per la Società e
Studio Carbonetti per gli Amministratori indipendenti), ha approvato
a maggioranza (con 11 voti favorevoli e 3 contrari) l’offerta
vincolante per NetCo presentata da KKR.
In particolare, a seguito dell’approvazione consiliare si procederà
alla sottoscrizione di un transaction agreement che disciplina:
Il conferimento da parte di TIM di un ramo d'azienda - costituito da
attività relative alla rete primaria, all’attività wholesale e
dall’intera partecipazione nella controllata Telenergia - in
FiberCop, società che già gestisce le attività relative alla rete
secondaria in fibra e rame;
Il contestuale acquisto da parte di Optics Bidco (come detto,
veicolo controllato da KKR) dell’intera partecipazione detenuta da
TIM in FiberCop medesima, all’esito del predetto conferimento (FiberCop
post conferimento “Netco”). Inoltre, il transaction agreement
prevede la sottoscrizione alla data del closing dell’operazione di
un master services agreement che regolerà i termini e le condizioni
dei servizi che saranno resi da NetCo a TIM e da TIM a NetCo a
seguito del completamento dell’operazione.
Il Consiglio ha altresì deliberato a maggioranza (con 11 voti
favorevoli e 3 contrari), sulla base dei pareri forniti dai
professori Piergaetano e Carlo Marchetti, Andrea Zoppini, Giuseppe
Portale, Antonio Cetra, Claudio Frigeni e dall’Avvocato Luca
Purpura, che la decisione sull’offerta è di competenza esclusiva
consiliare. Il Consiglio ha quindi dato mandato all’Amministratore
Delegato di finalizzare e sottoscrivere i contratti vincolanti
relativi all’offerta.
L’offerta vincolante valorizza NetCo (esclusa Sparkle) a un
Enterprise value di 18,8 miliardi di euro, senza considerare
eventuali incrementi del predetto valore derivanti dal potenziale
trasferimento di parte del debito a NetCo e da earn-out legati al
verificarsi di determinate condizioni che potrebbero aumentare il
valore sino a 22 miliardi di euro.
In particolare, l’offerta ipotizza che il closing avvenga entro
l’estate 2024 e prevede che il prezzo del ramo d’azienda oggetto di
conferimento in FiberCop sia soggetto ad aggiustamento (usuale per
questa tipologia di operazione) al closing in relazione a
determinati parametri e target predefiniti, quali, inter alia, la
cassa e il debito trasferiti, il livello del capitale circolante, il
costo registrato negli ultimi 12 mesi dei dipendenti trasferiti e il
rispetto di alcuni obbiettivi di investimento e di installazione
della rete in fibra ottica.
Il pagamento di eventuali earn-out a favore di TIM è, invece, legato
al verificarsi di eventi futuri quali, in particolare:
Il completamento, durante i 30 mesi successivi alla data del closing,
di alcune potenziali operazioni di consolidamento che riguardino
NetCo e all’eventuale introduzione di modifiche regolamentari idonee
a generare benefici a favore di NetCo, che potrebbero comportare il
pagamento a favore di TIM di un importo massimo di 2,5 miliardi di
euro;
All’introduzione ed entrata in vigore entro il 31 dicembre 2025, di
incentivi di settore che potrebbero comportare il pagamento a favore
di TIM di un importo massimo di 400 milioni di euro.
L’operazione dà attuazione al piano di cosiddetto delayering avviato
da TIM nel corso del 2022 – con l’obiettivo di perseguire il
superamento dell’integrazione verticale di TIM attraverso la
separazione degli asset infrastrutturali di rete fissa dai servizi
che TIM continuerà a fornire ai propri clienti retail - e consente a
TIM di ridurre il proprio indebitamento finanziario di circa 14
miliardi di euro al momento del closing (senza considerare l’impatto
degli aggiustamenti di prezzo di cui sopra e gli eventuali earn-out),
con un risultato migliorativo, nonostante il deterioramento delle
condizioni macro-economiche, rispetto alle previsioni presentate in
occasione del Capital Market Day del 7 luglio 2022. Grazie
all’operazione, TIM, oltre a ridurre l’indebitamento e a liberare
risorse, avrà l'opportunità di operare nel mercato domestico
beneficiando della riduzione di alcuni vincoli regolatori e potrà
contribuire al mantenimento della flessibilità strategica prevista
dal piano di delayering.
Al closing, TIM beneficerà di una struttura di capitale solida con
un rapporto fra debito netto ed Ebitda inferiore a 2 volte (after
lease).
Il perfezionamento dell’operazione è atteso per l’estate del 2024,
una volta completate le attività prodromiche e soddisfatte le
condizioni sospensive (completamento del conferimento della rete
primaria, autorizzazione Antitrust, autorizzazione in materia di
sovvenzioni estere distorsive e Golden Power).
Quanto all'offerta non vincolante su Sparkle, il Consiglio, avendola
ritenuta non soddisfacente, ha dato mandato al CEO di verificare la
possibilità di ricevere un'offerta vincolante a un valore più
elevato una volta completata la due diligence, il cui termine è
stato esteso fino al 5 dicembre.
Infine, il Consiglio ha preso atto della comunicazione inviata da
Merlyn Partners e RN Capital Partners, ritenendola non in linea con
il piano di delayering della Società, come presentato agli
investitori nel già citato Capital Market Day.
INEVITABILE : L'alluvione
in Toscana (e in Veneto) ci manda alcuni segnali molto diretti,
forse gli ultimi, su chi amministra il territorio, sulle previsioni
meteorologiche, sulla crisi climatica e sui costi. E ci suggerisce
una soluzione, probabilmente l'unica. Parto da quest'ultima, perché
sugli altri segnali sappiamo molto, mentre su come rimediare ci
siamo sempre mossi tardi e male, arrivando al punto di peggiorare le
cose.
È evidente che la prevenzione è la soluzione, non solo perché un
euro speso in prevenzione ne fa risparmiare nove in emergenza, ma
soprattutto perché l'attuale crisi climatica non lascia alcuna
alternativa: o ti dai da fare prima (vorrei dire subito) con
intelligenza o subisci vittime e danni. Il problema sta tutto
nell'intelligenza, oltre che nei tempi, e di questa ce ne abbiamo
messa poca, assoggettati come siamo al pensiero economico, non
ambientale, dominante che il dissesto idrogeologico sia una
questione di opere: magari fosse così, basterebbe investire denari e
impiegare forza lavoro.
Gli ultimi eventi ci dicono chiaramente che le opere servono in
alcuni casi cittadini e in particolari realtà, come il Bisagno a
Genova, il Seveso a Milano o l'Arno a Firenze e poche altre. In
tutti gli altri casi non solo non servono, ma sono dannose e
accrescono il rischio, non lo diminuiscono. In tutti gli altri casi
dobbiamo agire esattamente al contrario: sottrarre opere e cemento e
ridare spazio alla natura e ai fiumi. Più un fiume è libero di
esondare a monte delle città, meno danni provoca. Se, però,
occupiamo ogni metro quadrato di territorio nelle piane alluvionali
(indovina perché si chiamano così…), l'acqua arriverà sempre nelle
case, testimoniando che esse si trovano nel posto sbagliato.
E qui c'entrano gli amministratori sul territorio. Forse è ora di
smetterla con la litania dei sindaci lasciati soli in balìa delle
catastrofi naturali, perché le catastrofi non esistono, esistono gli
eventi naturali i cui effetti diventano catastrofici solo ed
esclusivamente per colpa nostra, che abbiamo costruito
all'inverosimile e consumato territorio come se non ci fosse un
domani. E chi ha consentito di costruire dovunque, non ha bloccato i
soliti abusi e non abbatte le costruzioni illegittime?
Chi non ha saputo dire di no al capannone nel greto del fiume, alla
casetta alle pendici della collina, all'infrastruttura dispendiosa
ma inutile? La risposta la conosciamo, però ancora si richiede lo
stato d'emergenza quando si sarebbe dovuti intervenire in tempo di
pace, preservando le aree di pertinenza fluviale contro ogni forma
di occupazione. Ma li avete sentiti voi questi dinieghi alla bulimia
costruttiva degli italiani? Io non li sento da decenni, in un Paese
di montagna che si illude di vivere in pianura. E hai voglia a
ripetere che le precipitazioni sono cambiate, che in un giorno può
cadere tutta la pioggia di un anno e che ciò può avvenire senza
tanto preavviso: sembra che nessuno ascolti.
Non ci si può più affidare al fatto che in un dato luogo il periodo
di ritorno di alluvioni disastrose sia secolare, si deve tirare una
linea e affermare chiaramente che da oggi la nuova regola è che non
si tratterà più di aspettare decenni, ma anni o addirittura meno. E
che prevedere con precisione questi fenomeni nella loro piena entità
è, al momento, complicato, ragione per cui siamo anche sguarniti
dell'arma della previsione. Per una ragione precisa: non siamo più
al tempo della grande piena del Po degli anni '50 o '90 del XX
secolo, quando aspettavi con trepidazione la piena a Pontelagoscuro.
Qui si tratta, invece, di aste fluviali corte, di torrenti
sconosciuti fino al giorno prima, di territori che non riescono più
ad assorbire acqua in profondità, come dovrebbero, non solo per via
del cemento e dell'asfalto con cui li abbiamo ricoperti, ma anche
per le prolungate siccità che li rendono impermeabili. Fenomeni in
parte nuovi, ma che devono entrare da subito nei nostri orizzonti di
rischio. E spingerci alla prevenzione vera, quella per cui dalle
zone pericolose si fa un passo deciso indietro. Quella per cui si
riqualificano i fiumi come si fa in tutta Europa: restituendo loro
natura e liberandoli dal cemento, in modo che facciano meno danni e
siano recuperati alla comunità.
Questa nuova visione è difficile da accettare, perché significa non
trattare più il fiume come un canale artificiale, abbattere gli
argini invece di innalzarli, eliminare briglie e ostacoli,
ripristinare la vegetazione riparea e assolutamente non dragare i
corsi d'acqua, cosa che peggiora i fenomeni alluvionali e priva dei
sedimenti le pianure e le spiagge. Più natura significa più
sicurezza, come suggeriscono ormai ingegneri, naturalisti e
idrogeologi moderni e coscienziosi. E significa spendere meno e
bene, evitando il prezzo salatissimo dell'inazione: non fronteggiare
la crisi ambientale ha un costo che sembra essere a carico di
nessuno e che invece insiste sulle spalle della comunità intera. Ma
in un Paese in cui ancora c'è chi si attarda a negare il ruolo dei
sapiens nel collasso climatico, contro il parere dell'intera
comunità scientifica, e preferisce prendersela ipocritamente con
Ultima Generazione, scambiando l'effetto con la causa, appare
difficile che si riesca ad uscire dal fango che inevitabilmente ci
sommerge e continuerà a farlo.
04.11.23
QUANTI MORTI PER LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA ?
“Rovinato”, Martino Benzi aveva
avuto la cartella del Fisco prima di uccidere moglie, figlio e
suocera
Prima di compiere una strage ad Alessandria, dove ha ucciso moglie,
figlio e suocera, il 66enne Martino Benzi aveva ricevuto delle
cartelle esattoriali per decine di migliaia di euro per Iva non
versata. Nel biglietto di addio aveva scritto: “Io rovinato, non c’è
scampo”.
"Sono rovinato, non c'è via scampo. La colpa è soltanto mia", così
aveva scritto in un biglietto il 66enne Martino Benzi prima di fare
una strage ad Alessandria dove ha ucciso moglie, figlio e suocera
nel settembre scorso prima di togliersi la vita. Un messaggio col
quale l’uomo, oltre al delitto, aveva confessato le sue
preoccupazioni per i problemi economici che lo attanagliavano,
Problemi economici che, secondo quanto accertato ora dagli
inquirenti, erano in gran parte dovuti a debiti col Fisco.
L’ingegnere di Alessandria infatti aveva da poco ricevuto delle
cartelle esattoriali per decine di migliaia di euro quando ha ucciso
a coltellate in casa la moglie Monica Berta di 55 anni e il figlio
Matteo di 17 anni, raggiungendo poi l'anziana suocera nell'istituto
in cui risiedeva, ammazzando anche lei. Secondo quanto riporta
Repubblica, Martino Benzi doveva al fisco oltre 50mila euro per una
cartella esattoriale di 30mila euro mai pagata e lievitata ancora di
più.
Un debito enorme che lo aveva convinto di non avere più nessuna
possibilità, aggravando il suo stato depressivo. Martino Benzi
infatti era un libero professionista, titolare di uno studio di
consulenza informatica e di progettazione e realizzazione di siti
web.
Cosa sappiamo dell'inchiesta sulle coop per migranti dopo l'arresto
di moglie e suocera di Soumahoro
In quel bigliettino, appoggiato sul tavolo della cucina prima di
compiere la strage e togliersi la vita, gli inquirenti avevano
capito che poteva esserci il movente della strage che ha distrutto
una intera famiglia e sconvolto una comunità. Le indagini su conti
correnti e società hanno confermato i sospetti.
Nonostante le difficoltà economiche, però, Martino Benzi pare non
avesse confessato a nessuno dei suoi timori o almeno non nei termini
in cui potessero fare sospettare quanto accaduto. Al fratello aveva
rivelato il precedente debito di 30mila euro con l’Agenzia delle
Entrate per Iva non versata ma aveva detto che era riuscito ad
ottenere una rateizzazione e stava pagando regolarmente.
"Diceva di non avere problemi economici, ad agosto mi aveva chiesto
un prestito di 2mila euro, parliamo di una cifra modesta e quando si
è liberi professionisti come lo era lui, è sufficiente che due
clienti ritardino il pagamento che ci si ritrova in difficoltà” ha
spiegato il fratello che, nonostante quella cartella esattoriale,
non riesce a spiegare coi problemi economici quanto accaduto il 27
settembre scorso.
DISUMANO : Volete una definizione, semplice, svelta, per
stringere in pugno subito tutto? Eccola: i popoli mendicanti sono
quelli che vivono ai margini. Sono quelli che fanno storia come i
malati fanno la malattia. Sì, sopravvivono davanti ai Muri, vecchi
trucchi costruiti alla fine di ogni guerra, in strisce di sabbia e
di roccia, luoghi forse un tempo ameni, dove c'erano alberi e acqua,
chissà, forse ma chi ne ha memoria? E oggi c'è polvere o fango a
seconda delle stagioni, o magari solo polvere e fango perché perfino
le stagioni con i loro labili segni sono fuggite via. I popoli
mendicanti sono quelli che sono stati ridotti nel confine più
drastico che esista, quello della assoluta inutilità. In terre
incognite ricavate a ridosso di frontiere che sfumano nel Nulla.
Non basta? volete qualcosa di ancor più forte, per capire che
parliamo di genti con cui fare della sociologia, usare concetti
astratti ha un gusto un po', come dire, feroce? I popoli mendicanti
sono composti da coloro a cui è immorale porre la domanda: che cosa
hai mangiato oggi? La domanda giusta è: hai mangiato oggi? Perché i
popoli mendicati vivono della carità internazionale, per trovarli
basta sfogliare i faldoni delle agenzie umanitarie delle Nazioni
unite o delle fondazioni caritative laiche o jihadiste. Loro però
sono fuori dallo spazio e dal tempo, non illudetevi di spendere
utilmente la vostra buona volontà, appartengono solo a sé stessi e
sono solo dentro di sé.
Attenzione: addentratevi con prudenza in queste righe. Questo
articolo non è che lo specchio di un fallimento. Sì, perché i popoli
mendicanti sono l'istantanea della nostra Storia-disastro, affollata
da milioni di uomini. Gli ultimi a irrompervi: i palestinesi
rannicchiati nell'angolo meridionale della Striscia di Gaza, tra due
Muri con diverse bandiere. Le loro baracche resteranno lì dove,
forse, sfumerà la risacca della guerra; o semplicemente, come
ipotizza qualcuno, scivoleranno dall'altra parte, nelle bibliche
sabbie del Sinai. Chissà. Una volta tanto non voglio fare il
ripasso: se nel 1948 avessero scritto meglio le risoluzioni per la
nascita di Israele..., se i trionfi dei famosi Sei giorni nel 1967
fossero stati meno arroganti... se Arafat non fosse stato una "padre
della patria" così discutibile e corrotto... se Hamas non fosse
Hamas se.. . Voglio raccontare solo i popoli mendicanti, quelli di
Gaza come sono ora, durante questa guerra, e come ahimé! temo
saranno.
Le città dei popoli mendicanti sono queste distese senza fine di
baracche, di tende, di capanne, legno, plastica, cartone, latta;
nascono in un attimo, sono abili con le mani i popoli mendicanti
uomini donne bambini a tirar su questi luoghi dove incredibilmente
gli uomini vivono e che hanno per me, anche se li incontro da anni,
sempre un che di astratto e di assurdo. E di tremendo. Piatte,
flessibili, di una materia un po' molle, l'occhio vi affonda,
crescono quando le guerre che restano infinite, inguaribili,
diventano per un po' guerre raffreddate da manuale di storia.
Elenchiamo, volete? Somali, Karen, saheliani di molte inutili
bandiere, i nigeriani del nord , sudanesi, siriani, Saharawi,
afghani, haitiani… chiedo venia, so che dimentico. Qualcuno ne è
uscito, pochi. Tanti vi entrano ed escono da decenni, come i
palestinesi.
La condanna dei popoli mendicanti è che non "producono". Come
farebbero confinati in questi luoghi eternamente provvisori? La
guerra anche quando non c'è più, quando non alzeranno continuamente
lo sguardo al cielo per paura di sentire il rumore degli aerei, sta
sempre intorno, è appiccicata addosso. E poi non ci sono energia
elettrica sicura, acqua strade… neppure il più spregiudicato dei
capitalisti di rapina avrebbe vantaggi a venir qui a delocalizzare
salari da fame per mettere insieme pezzi di plastica o cucire
scarpe. Per quello ci sono i popoli poveri, la miseria è un dato
certo. Dunque, si aspetta. Si aspetta che tutto anche qui diventi
permanente solido definitivo, e potrà raccattare i suoi "operai"
magari bambini.
Il momento chiave della vita dei popoli mendicanti è la
distribuzione: del cibo che altro! Il centro delle comunità umane è
la piazza, la chiesa o la moschea, un monumento che ricapitola la
storia del luogo e degli abitanti. Per i popoli mendicanti è lo
spiazzo dove si fermano i camion con i sacchi di farina o le scatole
con le razioni di cibo e di acqua potabile. Il cibo, come se fosse
nella sporcizia di quella vita l'unica cosa pura sulla terra.
I palestinesi di Gaza nei giorni scorsi, nell'infuriare dei
bombardamenti, hanno assaltato i depositi dove erano immagazzinate
le scorte alimentari dalle Nazioni unite. A poco a poco quando
saranno raccolti nella parte della Striscia che la guerra concederà
loro, questo non accadrà più. I popoli mendicanti imparano in fretta
ad essere disciplinati. Dipendono.
E questo obbliga ad essere miti. Ogni giorno, all'ora stabilita, si
metteranno in fila per ricevere la razione prevista. I funzionari
Onu o della mezzaluna rossa o delle sigle del Qatar e della Arabia
saudita, spunteranno via via dagli elenchi i nomi di chi ha ritirato
la sua parte giornaliera. Ai bambini resterà il compito, come a
Dadab, in Mozambico, sulle rive del lago Ciad, ad Aleppo di
raccogliere le briciole, sì le briciole, quello che è caduto a terra
dai sacchi o dimenticato nei rimorchi dei camion.
Giorno dopo giorno anno dopo anno quello sarà il momento chiave
della vita. il resto sono le donne sedute sugli usci delle capanne,
i bambini che fanno rotolare latte vuote o palloni bucati, nel fumo
di fuochi accesi all'aperto tra due pietre dove cuoce il cibo della
carità internazionale, mescolato alla polvere che il vento solleva
come una nebbia mossa e biancastra da terra.
A poco a poco, come sempre, la città dei mendicanti si organizzerà,
acquisterà un ordine, una sua struttura, già: una forma. Compaiono
nomi di strade e di incroci, qualcuno più ingegnoso monta piccoli
negozi e traffici; spuntano le antenne paraboliche, sulle pareti
delle baracche compaiono slogan minacce simboli bandiere. Arrivano
le notizie dal mondo, ronzano come mosche sul tavolo. E con loro
nuovi barlumi di rabbia rivoluzionaria.
Mentre in remote sale congressi, luminose e accoglienti, signori in
cravatta e segretarie in tailleur, i bottegai della luccicante
Misericordia senza frontiere, montano bilanci, fatturati e richieste
urgenti! Di fondi, i ribelli iniziano a rimpolpare i miti fondativi,
a ricordare e a raccontare cosa è accaduto. E quelle storie
diventeranno miti. Dapprima parleranno in tono sommesso nelle lunghe
ore in attesa dell'arrivo dei camion, poi i vecchi capi spariranno
con la loro rassegnazione e prudenza. Alla vita ideale, sognata,
lontana dalla angustia del presente con cui i popoli mendicanti
hanno riempito i primi tempi, si sostituiranno le sconfinate
possibilità della vendetta: «Siete pronti? Andiamo ad abbattere quel
muro…». —
03.11.23
Strage di Brandizzo, interrogato dalla Procura di Ivrea il
capocantiere Gibin: "Sono sopravvissuto ma è un destino atroce"
"Quella notte non siamo impazziti Massa ci ha dato l'autorizzazione" andrea bucci
giuseppe legato
Passando da un'entrata secondaria, accompagnato dal suo legale
Massimo Mussato, è entrato a Palazzo di Giustizia mentre a Ivrea
pioveva ed erano le 14. Berretto scuro da baseball in testa,
giubbotto blu e in mano un piccolo zainetto a tracolla, Andrea
Girardin Gibin si è sottoposto ad un lungo interrogatorio di cinque
ore (si è concluso in serata, alle 19,30) nell'ufficio del pubblico
ministero Valentina Bossi che coordina l'inchiesta sulla strage di
Brandizzo insieme alla collega Giulia Nicodemi e alla procuratrice
Gabriella Viglione. Affrontato con più di una pausa rotta da momenti
di commozione. «Non eravamo dei pazzi, quella sera Massa ci ha dato
l'autorizzazione a cominciare i lavori e a scendere sui binari.
Iniziare prima del disbrigo delle pratiche e dell'autorizzazione
formale era una prassi abituale, non era una condizione così
fiscale». Sul fatto che Massa (che nega ogni addebito ndr), parlando
con lui quella notte, si sia attribuito la responsabilità di quanto
successo, ha dato conferme ai magistrati.
Andrea Girardin Gibin, capo cantiere della Sigifer di borgo
Vercelli, è uno dei due sopravvissuti al disastro ferroviario di
Brandizzo avvenuto la notte tra il 30 e il 31 agosti scorsi costato
la vita a cinque operai. Il più giovane aveva 22 anni si chiamava
Kevin Laganà, gli altri erano Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo,
Saverio Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa. Travolti da un treno che
trasportava undici convogli vuoti. Annunciato, atteso e che è
transitato a 150 km/h con semaforo verde travolgendo gli operai che
erano già al lavoro sui binari senza che ci fosse l'autorizzazione
del dirigente movimento Rfi di Chivasso Vincenza Repaci. La stessa
(non indagata) ai pubblici magistrati di Ivrea ha confermato di
«aver negato per ben tre volte il nulla osta a Massa».
Sopravvissuto, ma anche indagato insieme al tecnico Rfi addetto alla
scorta del cantiere, Antonio Massa (oltre ai quattro vertici della
Sigifer) al quale ieri, nell'interrogatorio, ha ricondotto la
decisione di iniziare a lavorare sui binari liberando la
massicciata. Accusati entrambi di disastro ferroviario e omicidio
con dolo eventuale. Girardin, al pari di Massa, avrebbe – per i pm -
dovuto impedire alle cinque vittime di scendere sui binari prima del
rilascio (telefonico) dell'autorizzazione. Proprio loro due
avrebbero dovuto attendere e compilare un modulo che non esiste e
non è mai stato "riempito" fisicamente. Sul punto, Gibin, lucido e
preciso nel rendere dichiarazioni, ha spiegato come si trattasse «di
un protocollo sulla carta». Il modulo da compilare per esteso e per
iscritto «veniva riempito a lavori in corso o al termine». Più
precisamente: «Un optional».
Di lui si sa che per settimane intere non ha dormito, che si è
rivolto a uno psicologo per farsi aiutare a superare un disturbo
post traumatico da stress che da quella notte lo attanaglia: «Ero a
lavorare con loro ed ero rivolto verso il treno. Ho visto una luce e
quando sono saltato fuori dalla ferrovia e mi sono girato il treno
stava ancora passando. Un secondo in più e sarei morto. Sono un
sopravvissuto, ma è un destino atroce». Non legge i giornali, così
gli hanno chiesto i medici. Non guarda la televisione. Lo stato
emotivo difficile che sta attraversando è stato confermato
dall'andamento dell'interrogatorio.
EREDITA' DEGLI ELETTORI DI SPERANZA : l report del sindacato Anaao:
"Aumentano i costi, diminuisce la qualità " In crisi pronto
soccorso, pediatria, ginecologia, rianimazione e radiologia
i poliambulatori
"Medici a gettone In soli due anni spesa raddoppiata"
Casa della Salute cresce in Piemonte alessandro mondo
Stop ai gettonisti, si tratti di medici o infermieri, aveva
dichiarato poche settimane fa il ministro della Salute, Orazio
Schillaci, auspicando un patto tra le Regioni: «I medici ci sono, il
problema è la carenza in alcune specialità»: la cornice era, per
l'appunto, la Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome
ospitata a Torino.
Perplessità da parte dei governatori, Cirio in primis, pacato ma
chiaro nel ribadire che, oggi come oggi, l'esternalizzazione dei
servizi è una necessità: a meno di chiudere interi reparti. La
conferma arriva da un bel report del sindacato Anaao Assomed
Piemonte ( dati della Corte dei Conti) in cui si dà conto del
crescente ricorso alle agenzie di somministrazione lavoro, quindi ai
gettonisti, dal 2020 al 2022: una curva che promette di salire anche
nel 2023. L'Asl di Torino, stando al prospetto 2023, spenderà 200
mila euro per esternalizzare servizi infermieristici e
assistenziali, quasi 400 mila euro per i servizi medici, 626 mila
per i centri vaccinali.
Il che è un problema, rimarca Anaao: per il personale che con i
gettonisti lavora fianco a fianco, e per i pazienti. «Questa
modalità costa non solo in termini economici, ma di qualità del
lavoro - spiega Chiara Rivetti, segretaria regionale -. Perché il
senso di equipe e la possibilità di formare un gruppo affiatato
viene meno con le prestazioni occasionali di colleghi che oggi ci
sono e domani non più. Perché i medici a gettone non conoscono
l'organizzazione della struttura, il software di gestione delle
cartelle dei pazienti e l'azienda non ha interesse ad investire
nella loro formazione. Perché gli ospedali delegano la valutazione
delle competenze dei medici alle cooperative stesse».
Non ultmo: demotiva il personale dipendente, che lavora gomito a
gomito con colleghi che guadagno il doppio ed hanno molta più
autonomia e flessibilità di orari». Quanto alle ricadute per i
cittadini, è presto detto: il rapporto medico-paziente, e prima
ancora la conoscenza del quadro clinico più e meno pregresso, viene
inevitabilmente meno.
Ecco perchè il report rappresenta un nuovo, assordante campanello di
allarme. In Piemonte, negli anni considerati, solo quattro aziende
non hanno fatto ricorso ai medici a gettone : Asl TO3, Aso San
Luigi, Aso Città della Salute di Torino, Aso di Cuneo. I reparti con
maggiore necessità di appoggiarsi alle coop sono il pronto soccorso,
seguito da Pediatria, Ginecologia, Rianimazione e Radiologia. Se nel
2020 le specialità che dovevano esternalizzare erano 7 , nel 2022
salgono a 14.
In particolare, dal 2022 compare la spesa di oltre un milione per la
psichiatria, negli anni precedenti non c'era, e in un anno decuplica
la spesa per la neurologia (oltre 600 mila euro). Ma iniziano a
doversi appoggiare a medici a gettone anche l'oncologia, la
nefrologia, la medicina interna. La spesa per i reparti di medicina
quadruplica in 2 anni, idem l'ortopedia.
Più in generale, la spesa complessiva per le esternalizzazioni
aumenta dal 2021 a 2022 del 130%, ben più del doppio. Numeri che si
commentano da soli.
UNA AMMINISTRAZIONE CHE NON CONTROLLA I LAVORI CHE PAGA :
NIzza Millefotni, viaggio nel capolinea della metropolitana:
inaugurato nel 2021 è inaccessibile alle carrozzine
Ascensori rotti e scale mobili ferme Stazione Bengasi dimentica i
disabili
Pier Francesco Caracciolo
Non si entra né si esce. Non se si è su una sedia a rotelle. O se,
più in generale, si ha qualche difficoltà motoria, come capita a chi
cammina con l'ausilio di un deambulatore. La stazione della
metropolitana in piazza Bengasi, a Nizza Millefonti, la più moderna
delle 23 della linea 1, si presenta così: inaccessibile ai disabili.
Questo perché all'interno della stazione, capolinea Sud inaugurato
nel 2021, che ogni giorno attira migliaia di pendolari dalla prima
cintura, tutti gli impianti sono fuori uso. È out of order l'unico
ascensore che, dalla piazza, porta giù al piano interrato, ai
tornelli superati i quali si raggiungono i binari. E sono fuori
servizio le due scale mobili, ai due lati della stazione, che
dovrebbero agevolare la salita verso la piazza o la discesa verso i
binari. Tutto bloccato, con tanto di paletti e nastro bianco e rosso
per segnalare il disservizio. Risultato: «Molti utenti con
disabilità non possono utilizzare la metro a causa di questi guasti»
scrive Marco, un nostro lettore, su Specchio dei tempi.
E dire che una settimana fa i tecnici di Gtt erano scesi nella
stazione Bengasi per mettere mano alle apparecchiature. Nel caso
specifico, avevano alzato di 60 centimetri le barriere in vetro ai
tornelli di accesso ai binari. Da un metro e 20 centimetri a uno e
80, per fermare i furbetti del biglietto, coloro i quali cioè
scavalcavano le barriere stesse per accedere ai treni senza titolo
di viaggio. In quell'occasione, assicurano alcuni passeggeri, le due
scale mobili e l'ascensore erano già fuori uso.
L'ascensore, a quanto si racconta, è fermo da un mese. A essere in
panne, spiegano da Gtt, è il motore che regola il funzionamento
delle porte. Una delle due scale mobili è invece bloccata da luglio.
Anche questo un problema tecnico: ad essere difettose, in
particolare, le morsettiere. Non chiare le cause dello stop
dell'altra scala mobile. Per capire come questo guasti si traducano
in disagi basta fermarsi pochi minuti in stazione. Si incontrano
prima una mamma con passeggino, appena arrivata a Bengasi, costretta
a chiedere aiuto a un altro passeggero per uscire dalla stazione
utilizzando le scale in pietra. E poco dopo una coppia di anziani
che si lamentano con un (incolpevole) tecnico: «È una vergogna».
Va per altro detto che quelli al capolinea Sud non sono gli unici
impianti fermi lungo la linea 1. Ieri gli ascensori guasti erano
quattro: gli altri tre, alle stazioni Bernini, Porta Susa e Spezia.
Da Gtt spiegano di essere al lavoro per risolvere i problemi di
Bengasi. La riparazione a una delle scale mobili guaste, che rientra
negli interventi di manutenzione ordinaria, dovrebbe avvenire in
pochi giorni. Più lunghi i tempi la riattivazione dell'ascensore, di
cui si occupa una ditta esterna, che sta facendo i conti con la
mancanza di ricambi: la riparazione, spiegano da Gtt, sarà eseguita
entro sette settimane.
GIUSTO: Coro di proteste per il verbale da quasi 100 mila euro
consegnato al parroco di Carmagnola La sindaca: "Sarebbe bastato un
avviso per sospendere le trasmissioni ed evitare la sanzione"
Maxi multa alla parrocchia "Colpiscono chi fa del bene"
Massimiliano Rambaldi
«Multare una parrocchia per una cosa del genere è folle». «Ma non
potevano far spegnere la radio e basta? ». Il giorno dopo la notizia
della maxi multa affibbiata alla parrocchia Collegiata di
Carmagnola, in città non si parla d'altro. Nelle piazze, sui social
e (ovviamente) anche nelle istituzioni si commenta il blitz degli
ispettori del ministero delle Imprese e Made in Italy. Nel loro
legittimo lavoro di controllo delle frequenze e trasmissioni radio,
è il sentore comune, forse prima di far cadere sulla testa una multa
da circa 100 mila euro ci poteva essere una proroga per mettersi in
regola. Oppure dismettere subito il servizio, per ottemperare alle
norme, ma senza la mannaia della sanzione. Invece ora saranno gli
avvocati incaricati dal parroco don Dante Ginestrone a cercare di
cancellare, o quanto meno ridurre, un importo che rischia di mettere
in ginocchio le attività di una parrocchia di provincia.
Il controllo della radio parrocchiale carmagnolese era in un elenco
abbastanza fitto degli ispettori. Non è escluso che altre, in zona,
vengano presto controllate per capire se ci siano o meno
irregolarità. La sanzione, ricordiamo, nasce perché le frequenze
utilizzate dalla Collegiata per diffondere le celebrazioni religiose
e i momenti di preghiera sono entrate da qualche tempo in quelle
riservate al settore militare italiano. E quindi non possono più
essere usate. Difficile che in parrocchia lo sapessero. «Intanto
bisogna ricordare che nel periodo Covid quella radio è stata molto
preziosa per i fedeli che non potevano recarsi in chiesa – ricorda
il sindaco, Ivana Gaveglio – Credo però che si debba aggiungere
un'altra questione: i controlli in questione erano stati annunciati
oppure no? Ritengo ci potessero essere delle soluzioni diverse per
risolvere la situazione». Elemento che rimarca anche Pino Mandarano,
responsabile del centro ascolto Samaritano e stretto collaboratore
della Collegiata: «Se l'ente di controllo ha accertato una
violazione credo sarebbe stato più consono dare un primo
avvertimento. In questo modo la questione poteva venire
regolarizzata bonariamente. Parliamo di un servizio nato anni fa,
con il solo spirito di avvicinare i fedeli alla parrocchia. Nessuno
ha lucrato o guadagnato da quel progetto. Se la parrocchia dovrà
pagare saranno soldi in meno da mettere a disposizione per chi ha
bisogno. Noi ogni settimana forniamo 50 pacchi di alimenti ad
altrettante famiglie bisognose».
02.11.23
LA FORZA DELLA BICI:
Designer. Scrittore. Grafico. Divulgatore. Videomaker. Attivista.
Omar Di Felice nei suoi 42 anni è stato tutte queste cose. Le è
ancora, tutte insieme, ma se dovessimo dare un nome al suo mestiere
dal 2017 sarebbe questo: Superman sui pedali.
«Ciclista estremo», suggerisce lui, ma non può bastare per
raccontare gli ultimi sei anni in cui il grande amore per la
bicicletta «nato guardando Pantani alla tv» è diventato il suo
lavoro a tempo pieno. Ha pedalato da Parigi a Roma non-stop (1.600
chilometri). Ha raggiunto il campo base dell'Everest in inverno,
primo uomo nella storia a compiere questa impresa. Ha compiuto il
Giro dell'Artico nel 2022. Ha vinto la più lunga e iconica gara di
ultracycling in autonomia, la Trans America (7 mila chilometri)
appena lo scorso giugno. L'ultima grande avventura inizia domani
quando partirà con l'aereo per il Cile, la prima tappa di un viaggio
che lo porterà all'avventura «più estrema e difficile mai realizzata
su una bicicletta»: attraversare l'Antartide d'inverno, 1.550
chilometri di salite, venti catabatici e temperature che scendono
fino a meno 40 gradi. Tutto in solitaria, direzione Polo Sud.
La passione per le due ruote nasce all'età di 13 anni: «Ho dato ai
miei genitori un ultimatum: volevo fare ciclismo. Con un po' di
timore, alla fine l'ho spuntata...». Migliaia di ore e chilometri
dopo, nel 2007 approda nel professionismo: «Ma "correre" non faceva
per me: la mia vera passione era l'endurance, percorrere grandi
distanze. Lascia i pro e si laurea in Design, lavorando nel settore
per una decina di anni: «Ho sempre fatto ciò che amavo, anche quel
lavoro era pieno di soddisfazioni. Mi allenavo per il piacere di
farlo, forse anche per non darla vinta a chi, da piccolo, mi ha
detto che il mio corpo non fosse adatto per il ciclismo. Poi è
arrivata l'illuminazione». Nel 2012 prende cinque giorni di ferie e
pedala da Lourdes a Santiago di Compostela: «Ho fatto un piccolo
video dell'esperienza, Sky mi ha chiamato per mandarlo in onda. Ho
capito la mia strada».
Da quel giorno a oggi ci sono migliaia di chilometri in bicicletta
sono diventati storia da raccontare, ma anche un modo per
sensibilizzare «una causa, come quella del cambiamento climatico,
per cui è nato il progetto di divulgazione "Bike to 1.5°C"
(l'aumento massimo della temperatura globale a causa del cambiamento
climatico per contenerne gli effetti, ndr). Andiamo nelle scuole,
uniamo scienza e sport per lanciare un messaggio che io vivo tutti i
giorni». Un esempio? «Ogni anno vado in Islanda per un training camp:
ogni volta che salgo sul ghiacciaio, faccio più strada. Ma senza
andare lontano: vivo sotto il ghiacciaio dei Forni (il secondo per
estensione in Italia, ndr), di anno in anno si restringe a occhio
nudo...».
L'etichetta da influencer non gli piace: «Nulla contro, ma l'attuale
accezione non mi rappresenta». Per quella di attivista ha qualcosa
da dire: «Lo sono, ma non nella declinazione italiana. Qui definiamo
"attivisti" solo quelli che scendono in piazza: non è il mio modo di
sensibilizzare». Un riferimento a Ultima Generazione? «La loro forma
di protesta è discutibile, è vero, ma il contenuto è giusto.
Dovremmo giudicare in modo così spietato i politici, non i giovani
che si battono per una causa di vitale importanza...». Forse, per, è
un po' entrambe le cose: «Parto, pedalo, racconto ciò che vedo a chi
mi segue, propongo cause che secondo me meritano più attenzione».
Molte sue storie sembrano contenere una morale, come le favole, ma
rivolta alla società. «Sono rimasto bloccato nel deserto del Gobi
allo scoppio della prima pandemia - racconta - Molte famiglie lì
vivono in tenda e fanno fatica a mettere qualcosa in tavola a cena,
ma mi hanno subito offerto un letto e del cibo. Mentre qui scegliamo
chi e come accogliere, servirebbe imparare di più da chi ha
tantissimo di meno». Cartoline simili anche in India, Nepal,
Groenlandia. E i suoi viaggi si intrecciano con la storia dei Paesi
che attraversa, come nel febbraio del 2022: «Mentre pedalavo in
territorio russo inizia l'invasione dell'Ucraina. Sono scappato
fuori dai confini appena in tempo».
Il 12 novembre riproverà ad attraversare l'Antartide, a un anno dal
primo tentativo interrotto per motivi personali: «Quando sei lì, in
condizioni estreme, non devi avere pensieri negativi. Altrimenti è
finita». Le sue imprese hanno molto a che vedere coi muscoli, la
preparazione, ma ancora di più con la solitudine e la paura del
fallimento. Sulla solitudine Di Felice non ha segreti: «Oggi nessuno
passa più del tempo solo con se stesso: bombardati dal rumore delle
città e sempre connessi, si è persa l'abitudine a stare da solo. Ma
alla fine faccio ciò che l'uomo ha sempre fatto, quando non c'era la
tecnologia, e sto benissimo». E la paura di fallire? «C'è chi può
dire: "un anno fa ha interrotto il viaggio, ha perso la sua sfida".
Sono di quelli che pensa: "O vinco o imparo". Ai giovani, atleti e
non, bisognerebbe cancellare questo culto della vittoria e parlare
più del percorso emotivo di certe sfide. Se non riuscirò ad
attraversare l'Antartide neanche quest'anno avrò comunque imparato
qualcosa di nuovo». Non solo perché, dopo aver percorso chilometri a
meno trenta gradi e montato per un'ora la tenda sfidando il vento,
Omar Di Felice studia dal suo e-book per gli esami di Scienze
Ambientali: «È una crescita emotiva: quando rimani solo con un
telefono satellitare in mezzo al ghiaccio, e senti la voce di chi
ami dall'altra parte, impari molte lezioni. Sulla vita e su te
stesso»
ITALIA NELLE SABBIE MOBILI DELLA BUROCRAZIA MAFIOSA: Lost in
transition. Persi nella transizione ecologica. Distratti dalle
guerre, dalle crisi economiche e dai dibattiti politici, ci siamo
dimenticati che dobbiamo affrontare la crisi climatica prima che
sprigioni i suoi effetti peggiori. L'Italia è indietro e non solo:
alcuni indicatori mostrano addirittura delle involuzioni.
La lenta corsa
agli impianti rinnovabili
Per ridurre il cambiamento climatico la strada è ben chiara: ridurre
le emissioni di gas serra, quindi abbandonare i combustibili fossili
che le provocano e sfruttare quote sempre più grandi di energia
rinnovabile. L'Italia è un Paese relativamente poco energivoro e a
oggi i nostri consumi energetici rinnovabili si aggirano intorno al
30% del totale (incluso l'idroelettrico). Ma l'indicatore più utile
per capire i progressi in questo campo è quello delle installazioni
di capacità rinnovabile. Entro il 2030, per rimanere entro gli
obiettivi europei (riduzione del 55% delle emissioni nette di gas
serra), dovremmo installare circa 65 Gigawatt di impianti solari ed
eolici. Significa una media di 9 GW all'anno. Negli ultimi anni,
però, siamo rimasti ben al di sotto dei quattro, e addirittura tra
2013 e 2021 siamo rimasti stabilmente sotto quota 2 GW, mentre la
media europea cresceva del 10% all'anno. Secondo i dati di Terna,
società che gestisce la rete elettrica nazionale, il 2022 ha fatto
registrare 3,4 GW di nuovo installato, per un totale di 206.600
nuovi impianti. Il bilancio 2023 si prospetta più felice: nel primo
semestre l'incremento è stato di 2,5 GW, potremmo superare quindi i
5 GW entro la fine dell'anno.
Purtroppo, non tutto ciò che luccica è verde e bisogna fare i
paragoni con chi va più veloce di noi: la Germania l'anno scorso ha
installato 11 GW, la Spagna 6. Le rinnovabili italiane in Italia
vanno più piano per le nostre tipiche lentezze burocratiche,
politiche e tecniche che il decreto «semplificazioni» della scorsa
primavera ha provato a ridurre. Il Pnrr ha alimentato la transizione
ma quest'anno alcuni progetti sono stati esclusi dal governo,
ufficialmente per l'impossibilità di rimanere entro le scadenze di
realizzazione.
Il piano nazionale: qualità
aria, suolo e risorse idriche
La decarbonizzazione non è l'unico obiettivo verde del nostro Paese.
Prendiamo in analisi altri tre punti fondamentali del Piano di
transizione ecologica italiano. Primo, la qualità dell'aria:
l'Europa registra 300 mila vittime premature causate
dall'inquinamento atmosferico da particolato sottile (e vuole
azzerarle per il 2050): ben 53 mila sono in Italia (dato fornito
dall'Agenzia ambientale Ue). La Pianura Padana è sull'infausto podio
dei luoghi più inquinati d'Europa e non ci sono segni di vero
miglioramento. Secondo, il consumo di suolo: secondo i dati Ispra,
consumiamo 2,4 metri quadrati al secondo di territorio, ovvero
cementifichiamo zone naturali. Secondo gli ultimi dati disponibili,
il 2022 ha registrato i valori più alti dal 2011 e rispetto all'anno
precedente è cresciuto del 10%. Ormai il 7,1% del suolo nazionale è
consumato da opere di cementificazione: siamo quasi al doppio
rispetto alla media europea del 4,2% e il quinto peggior Paese
d'Europa. Ispra stima che la perdita dei servizi ecosistemici legati
al suolo costi all'Italia 9 miliardi ogni anno.
Terzo, le risorse idriche: il cambiamento climatico ci ha costretto
a periodi di siccità prolungata, che si sommano a una dispersione
delle infrastrutture (oltre il 40%) e a un consumo pro capite primo
in Europa.
Siamo ancora i maestri
dell'economia circolare
Ci sono però buone notizie. E arrivano dall'economia circolare:
siamo tra i Paesi più virtuosi per riutilizzo dei materiali e per
riciclo dei rifiuti (83,4% del totale). Lo certifica il rapporto
GreenItaly della Fondazione Symbola: quasi un quarto delle imprese
italiane hanno previsto investimenti verdi nello scorso biennio.
Le pagelle sugli obiettivi
di sviluppo dell'Onu
Per riassumere la nostra situazione, prendiamo le pagelle
dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, che ha giudicato
i progressi rispetto agli obiettivi di sviluppo sostenibili dettati
dalle Nazioni unite, i famosi 17 goal dell'Agenda 2030. Rispetto al
2010 peggioriamo in sei indicatori: la povertà (Goal 1), i sistemi
idrici e sociosanitari (6), la qualità degli ecosistemi terrestri e
marini (14 e 15), la governance (16) e la partnership (17). C'è una
sostanziale stabilità per cibo (2), disuguaglianze (10) e città
sostenibili (11). Mentre per gli altri otto obiettivi i
miglioramenti sono inferiori al 10% in 12 anni, eccetto che per la
salute (3) e appunto l'economia circolare (12), per i quali
l'aumento è leggermente superiore. Ci siamo persi nella transizione
sostenibile: ritrovare la strada è fondamentale per la salute del
Paese e del pianeta, ma anche per la nostra economia. —
IGNORANZA ENERGETICA CAUSATA DA ELETTORI IGNORANTI: Grecia e
Olanda da record Londra fa dietrofront Cop 28, il pianeta al bivio
Manca meno di un mese alla Cop 28 di Dubai, la grande conferenza
annuale degli Stati dedicata alla lotta al cambiamento climatico.
Una grande assemblea di condominio per salvare il pianeta. Arriviamo
dall'estate più calda di sempre. Il cambiamento climatico non è
un'incognita del futuro, ma è diventato un problema quotidiano.
Secondo uno studio pubblicato a fine settembre su Nature, le
conseguenze degli eventi meteo estremi causano oggi danni da 135
miliardi all'anno. E sono destinati a crescere. «Sul clima non
stiamo facendo nulla», per usare le parole di Papa Francesco, che
con tutta probabilità sarà a Dubai, il primo Pontefice a partecipare
a una conferenza dell'Onu sul climate change. Ma come ci arrivano i
Paesi a questo importante appuntamento?
Le diverse velocità
dell'Unione europea
Partiamo dall'Europa, che ha obiettivi comuni ma velocità e
strategie diverse. A partire dalle fonti energetiche da preferire.
Nella scelta, infatti, non incidono solo gli obiettivi climatici ma
anche le strategie geopolitiche a seguito del conflitto in Ucraina e
la perdita delle forniture di gas russo. La Germania quest'anno ha
chiuso le sue ultime centrali nucleari, preferendo il carbone (la
fonte che emette più CO?). Una scelta che sembrava temporanea, ma
proprio ieri il ministro delle finanze tedesco Christian Lindner ha
confermato la scelta: «Fino a quando non sarà chiaro che l'energia è
disponibile e accessibile economicamente, dovremmo smettere con i
sogni di un'eliminazione dell'energia elettrica a carbone entro il
2030». Eppure la Germania corre con le rinnovabili: secondo
l'agenzia EY è il secondo Paese al mondo per attrazione di
investimenti verdi dopo gli Stati Uniti.
Se l'Italia ha puntato a diventare «hub energetico» per il gas che
arriva dal Mediterraneo, un altro Paese mediterraneo, la Grecia,
vuole essere hub per l'energia rinnovabile. L'anno scorso è
diventato il primo Stato di medie-grandi dimensioni a coprire
l'intero fabbisogno con l'energia da eolico e solare. Il risultato è
durato solo quattro ore, ma gli investimenti vanno tutti in quelle
direzione: dal 2005 sono scese del 64% le emissioni di gas serra.
Un altro Stato europeo leader è l'Olanda. Nonostante le piccole
dimensioni dei Paesi Bassi e l'alta densità abitativa, la
concentrazione del fotovoltaico è da record: 48 milioni di pannelli
solari, più di due procapite (al 1° posto nel mondo). I Paesi Bassi,
insieme all'Italia e altri 8 Paesi Ue, lo scorso 23 ottobre hanno
inviato una lettera all'Ue per accelerare l'adozione delle
rinnovabili, riducendo i paletti e cooperando «senza frontiere».
La retromarcia
del Regno Unito
Uniti si vince. Disuniti si perde. Come nel caso della Gran
Bretagna, che ha fatto la sua Brexit anche rispetto alla
transizione. Fino a pochi anni fa era un modello internazionale:
sempre meno carbone e risultati invidiabili per l'eolico offshore,
ma quest'estate il premier Rishi Sunak ha iniziato il dietrofront
sulle politiche climatiche. L'obiettivo delle zero emissioni di
anidride carbonica «verrà rispettato ma in maniera graduale,
pragmatica e proporzionata» e meno «ideologica».
Il resto del mondo
tra realismo e speranza
L'ente Climate Tracker analizza i progressi climatici dei Paesi. In
un calcolo di fine 2021 aveva scoperto che di tutti i Paesi del G20
nessuno era in linea con gli Accordi di Parigi. Solo il Gambia, tra
i Paesi analizzati, era stato promosso. La Cina ha rimandato i suoi
obiettivi climatici al 2060, l'India al 2070. Gli Stati Uniti stanno
recuperando gli anni perduti con Trump, ma Joe Biden per farsi
approvare la riforma ambientale ha dovuto allargare le maglie degli
incentivi, aprendo a una manovra più generalizzata contro
l'inflazione. Per l'Agenzia internazionale dell'energia, però, c'è
ancora speranza per mantenere il surriscaldamento globale entro +1,5
°C rispetto all'era pre-industriale (oggi +1,2 °C). Per farlo
bisogna ridurre il consumo di fonti fossili globale dell'80% entro
il 2050. Una speranza provata dalla scienza, ma tutta da dimostrare
da parte dell'umanità.
I NODI VENGONO AL PETTINE :
Niente soldi all'Ucraina fino a quando non saranno stanziate le
risorse necessarie per far fronte alle sfide dei flussi migratori,
soprattutto dai Paesi africani. La posizione del governo italiano al
tavolo negoziale di Bruxelles è persino più oltranzista di quella
che la premier Giorgia Meloni ha espresso al suo interlocutore al
telefono, convinta di parlare con il presidente dell'Unione
Africana. Alla domanda se tutti i fondi Ue ora andranno all'Ucraina,
la presidente del Consiglio ha assicurato: «Sto lavorando per fare
in modo che vadano anche all'Africa».
Roma sta difendendo questa linea da circa due mesi, nonostante
l'allarme di chi teme che lo stallo nei negoziati tra gli Stati Ue
lascerà Kiev senza il necessario sostegno economico europeo a
partire dal 1 gennaio 2024. Proprio per questo alcuni governi, in
primis quello tedesco, hanno proposto di scorporare dalla trattativa
i 50 miliardi destinati a Kiev e di affrontare le altre questioni
senza l'urgenza del calendario. Ma l'Italia si è opposta, difendendo
la cosiddetta "logica di pacchetto", secondo la quale «finché non
c'è accordo su tutto, non c'è accordo su nulla». La motivazione
addotta dal governo italiano, secondo fonti diplomatiche europee, è
stata la seguente: «Come possiamo giustificare ai nostri cittadini
un aumento dei contributi all'Ucraina se in cambio non otteniamo un
sostegno economico per far fronte alle sfide legate ai flussi
migratori?».
Prima dell'estate, Ursula von der Leyen ha messo sul tavolo una
maxi-proposta di revisione del bilancio settennale dell'Unione
europea (2021-2027) per i restanti quattro anni. I fondi stanziati
ormai tre anni fa sono stati superati dagli eventi perché nel
frattempo sono emerse nuove criticità e nuove spese da sostenere. E
se non si vogliono tagliare i progetti già finanziati, bisogna
mettere mano al portafogli. Secondo la proposta della Commissione,
gli Stati dovrebbero aumentare i loro contributi per un totale di 66
miliardi di euro. Proposta che al momento sta incontrando fortissime
resistenze.
Il piano di aiuti per Kiev vale 50 miliardi di euro, ma solo 17 sono
sovvenzioni a fondo perduto, i restanti 33 sono prestiti secondo uno
schema simile a quello del Recovery Fund (soldi in cambio di riforme
e investimenti). Per l'immigrazione, invece, sul piatto ci sono 15
miliardi: fino a quando non ci sarà un'intesa su queste risorse e
sui 10 miliardi per l'industria, i fondi per Kiev dovranno
attendere.
L'EQUILIBRISTA SANTANCHE': Caso Santanchè, doppia mossa
anti-crac Pagati in extremis i dipendenti Ki Group
Da una parte sono stati pagati in extremis i dipendenti di Ki Group
srl. Dall'altra è stato sventato - per ora - il rischio fallimento
di Bioera, attraverso l'apertura della «composizione negoziata della
crisi», un piano di risanamento che non passa dal vaglio del
Tribunale.
Doppio colpo di scena guarda caso alla vigilia dell'inizio del
processo civile (si apre oggi), in cui la procura ha chiesto la
liquidazione giudiziale - il vecchio fallimento - di gruppo per Ki
Group srl, la holding e Bioera: il gioiellino del bio caduto in
disgrazia, per l'accusa, dopo la gestione di Daniela Santanchè
(uscita dalla governance nel 2022) e dell'ex Canio Mazzaro. Era
stata proprio la ministra a garantirlo in Parlamento: «I dipendenti
verranno integralmente soddisfatti riguardo a tutti i loro diritti
di credito», stipendi e Tfr inclusi. E la promessa è stata mantenuta
dopo 4 mesi «non si sa bene da chi», spiega l'avvocato Davide
Carbone che per cinque dipendenti e sei agenti di commercio aveva
chiesto la liquidazione giudiziale della srl. Con un unico bonifico
partito dallo studio del legale Salvatore Sanzo, che assiste
l'azienda, sono state versate le somme richieste dai primi, in tutto
140 mila euro, non dai secondi che vantano ulteriori 350 mila.
Nel frattempo, il 30 ottobre, sul sito, la quotata Bioera ha
comunicato «l'iscrizione nel registro delle imprese del nominativo
dell'esperto per la composizione negoziata», nonché, con l'avvocato
Fabio Cesare, «l'iscrizione delle misure protettive». Che - se il
piano di salvataggio dovesse proseguire regolarmente - preserveranno
la società dalla minaccia di fallimento per 120 giorni prorogabili:
8 mesi in tutto.
L'unico versante che al momento sembrerebbe scoperto nell'azione
intrapresa dai pm Marina Gravina e Luigi Luzi con l'aggiunta Laura
Pedio (che indagano sulla gestione della ministra e sulla crisi di
Ki Group con la Gdf) è la holding per cui è stato schierato lo
studio Bonelli Erede, a meno di ulteriori colpi di scena. Davanti al
Tribunale, le società annunciano battaglia, ritenendo una
«forzatura» la richiesta di fallimento di gruppo avanzata dai pm,
per via dei debiti milionari delle tre società, «in evidente stato
di insolvenza a danno dei creditori». Che sono numerosi, a partire
dal Fisco.
ESISTONO ANCHE MEDICI MENEFREGHISTI IRRESPONSABILI : La
cronistoria della propria esistenza che Sabrina Di Girolamo tiene
sui social è un racconto del prima e del dopo. Prima era una 36enne
capace di vincere un concorso di bellezza, parrucchiera a Terracina
(Latina), sposata, madre di due bambine. Dopo, c'è quello che lei
chiama «inferno» e che la scienza definisce invece «tetraplegia»,
ovvero, la paralisi di braccia, gambe e torso. In mezzo, un giorno:
il 22 agosto 2017.
Quel giorno Sabrina percorre 600 chilometri verso nord. Raggiunge
l'Azienda ospedaliera di Verona. Deve essere operata per un tumore
benigno alla testa. Le dicono che è una cosa facile e l'intervento
in sé riesce, ma il neurochirugo si assenta e affida la manovra di
posizionamento a uno specializzando, che sbaglia tutto. Eccolo, il
giorno in cui le stavano «rovinando la vita». Quello che ha dato
inizio alle peregrinazioni per i centri di riabilitazione, senza
speranze di poter recuperare la capacità di movimento. Quello che ha
dato inizio anche a due processi, ora finalmente risolti con un
patteggiamento che la sta portando a ottenere un risarcimento
importante: circa 1 milione e 600 mila euro.
Il momento lei lo riassume così: «Hanno fatto morire la Sabrina di
prima. Sempre sorridente, attiva. Facevo di tutto per le mie
bambine. Ora sono diventate ragazze senza che nemmeno me ne
accorgessi. In questi anni sono riuscita ad andare avanti per loro e
cercherò di farlo perché sono la mia vita. Per la mia famiglia, che
mi sopporta e supporta in ogni momento. Per le mie amiche, che ci
sono sempre». Oppure così: «Avevo solo 36 anni, due figlie da
crescere e tanti sogni. In questo maledetto giorno mi hanno tolto
tutto. Mai e poi mai riuscirò ad elaborare questa nuova realtà. Il
sorriso è per le persone che mi vogliono bene. Le lacrime le ho nel
cuore ogni momento di questa maledetta vita».
Il giudice Luigi Pagliuca, nel pronunciamento di condanna emesso in
sede civile scrive così: «La craniectomia retro mastoidea destra
prevedeva la collocazione, in anestesia totale della paziente, in
posizione semi seduta, con fissaggio della testa su una tastiera a
tre punte, leggermente flessa in avanti e ruotata verso destra. In
quella posizione avrebbe dovuto permanere per tutta la durata
dell'intervento. Gli accertamenti, però, evidenziavano
immediatamente la presenza di una sofferenza endomidollare acuta,
con importante edema, attribuibile alla manovra di posizionamento
scorrettamente eseguita. Questo, ha provocato il trauma che avrebbe
poi determinato l'attuale condizione di tetraplegia». Secondo quanto
riportato dalla stampa locale veronese, a occuparsi del
posizionamento sarebbe stato uno specializzando, lasciato in sala
dal neurochirurgo che se n'era andato. Quest'ultimo, in quanto
responsabile dell'intervento, unitamente all'Ausl e alle
assicurazioni, è il soggetto riconosciuto colpevole. In una nota l'Ausl
di Verona ha spiegato quello che viene confermato anche da Valentina
Tirotta, avvocata di Sabrina: «Il tribunale ha condannato l'Azienda
ospedaliera e i medici convenuti a risarcire, in solido tra loro, la
somma complessiva di 1 milione 636.910 euro, oltre alle spese
legali. In sede di mediazione, è stato raggiunto un accordo che ha
previsto la ripartizione tra le parti della somma indicata in
sentenza, a tacitazione definitiva delle ulteriori pretese della
signora e dei familiari». Di questi, 769mila euro sarebbero a carico
dell'Ausl, mentre il resto dovrebbe essere coperto dalle
assicurazioni. Nel frattempo, Sabrina passa da una clinica di
riabilitazione all'altra, aiutata soprattutto dal padre. Il Centro
traumatologico ortopedico dell'Azienda ospedaliero-universitaria di
Careggi, a Firenze. L'Ospedale di Riabilitazione di Montecatone a
Imola, Bologna. Per suo padre, Sabrina, ha scritto: «Ho il cuore a
pezzi, perché a un certo punto la tua vita è cambiata. Ti sei
privato, annullato e hai lasciato tutto per seguirmi, hai dovuto
imparare a vestirmi, a prendermi in braccio. Anche se tante volte
vedo la sofferenza per il mal di schiena che patisci, mi dici sempre
di no per non farmi preoccupare». Per sua madre, invece: «Mamma,
scusami se improvvisamente ti è venuta a mancare la tua
spensieratezza, la tua libertà. Ti sei vista crollare il mondo
addosso e trovata a prenderti cura di me e delle mie figlie. Vedo
ogni giorno nei tuoi occhi il dolore di una figlia che sta su una
sedia a rotelle».
Anche esercitare il diritto di voto, ad esempio, lo scorso 15 maggio
alle amministrative di Latina, per Sabrina è stato impossibile. Non
avendo una delega, non hanno permesso al padre di accompagnarla in
cabina. «Per il nervoso, ho buttato a terra la matita e la scheda»,
racconta. Per questo, dice anche: «Nessuna cifra mi risarcirà di
tutto il dolore che provo. I soldi mi servono solo per curarmi».
01.11.23
ESEMPLARE :
L'iniziativa del Comune di Ozegna per ridurre i costi del canile e
incentivare le adozioni di animali La custodia di ogni cane
catturato costa alle casse del Comune circa 800 euro l'anno
Niente tassa rifiuti per 5 anni a chi decide di adottare i
Si chiama Filippo, taglia media. Un meticcio multicolore con due
occhioni grandi così. E' in canile in attesa della sua casa per
sempre, così come altre centinaia di cani (e gatti) che sperano di
trovare casa.
Ma Filippo ha una «dotazione» particolare, riservata ai residenti di
Ozegna: chi lo adotta non pagherà la bolletta dei rifiuti per i
prossimi cinque anni. E' l'iniziativa del Comune varata
dall'amministrazione del sindaco Sergio Bartoli. Palazzo civico
risparmia sulle spese del canile, sgrava la struttura di un cucciolo
da accudire e, soprattutto, regala una famiglia ad un trovatello.
Del resto, pallottoliere alla mano, la custodia di ogni cane
catturato sul territorio di competenza costa alle casse del Comune
circa 800 euro annui. Fondi pubblici che, in questo modo, il
municipio punta a risparmiare. Il sistema è semplice: per i
residenti di Ozegna adottare un cane recuperato sul territorio
comunale da una struttura convenzionata dà diritto immediatamente
allo sconto del 100% della Tari. «Il Comune, riconoscendo la
funzione sociale e l'alto senso di civiltà derivanti
dall'affidamento di cani randagi da parte di soggetti privati,
esenta per cinque anni la famiglia dalla tassa rifiuti - conferma il
primo cittadino - la domanda di adozione deve essere presentata in
municipio. L'ente, dopo aver valutato il possesso dei requisiti del
richiedente, disporrà l'autorizzazione per l'adozione del cane,
previa ulteriore verifica di idoneità che verrà effettuata dalla
struttura che accudisce il trovatello». In questo caso il canile
rifugio «Oasi per un Amico» di Settimo Torinese. Filippo, va detto,
è al rifugio già da qualche tempo e per lui non è arrivata alcuna
richiesta di informazioni. Per questo è rientrato di diritto nel
progetto varato dall'amministrazione comunale.
Il regolamento prevede che i richiedenti, residenti a Ozegna, siano
maggiorenni, in regola con il pagamento delle tasse comunali, in
grado di garantire l'adeguato trattamento e il mantenimento
dell'animale in buone condizioni nella propria casa e in ambiente
idoneo ad ospitarlo. Chi pensa di poter sfruttare un cagnetto
abbandonato per risparmiare sulle tasse avrà a che fare con i
controlli a sorpresa che palazzo civico e la polizia locale
effettueranno a campione, proprio per verificare lo stato di salute
dei cani adottati. Chi smarrisce, abbandona o maltratta i cani
adottati non solo perderà lo sconto ma andrà incontro anche alle
relative conseguenze penali. E in un piccolo centro come Ozegna, non
c'è dubbio che ogni comportamento «fuori norma» non sfuggirà agli
enti preposti, oltre che agli stessi ozegnesi. —
LA MILANO DEL LUSSO ANNEGA:
Le strade trasformate in corsi d'acqua non sono una novità per gli
abitanti dei quartieri di Niguarda, Isola, Maggiolina e Bicocca, a
nord di Milano. La scena e i disagi si ripetono da cinquant'anni
dopo ogni acquazzone. Non a causa della pioggia, ma soprattutto
pervia dell'acqua che fuoriesce dai tombini.
Anche ieri mattina, così come nelle precedenti 117 volte dal 1975, è
stato il fiume Seveso ad allagare strade e sottopassi. Ingrossato
dal nubifragio notturno che ha scaricato dalle 4.30 del mattino 70
millimetri d'acqua all'ora. Una «bomba di notevoli dimensioni» per
usare le parole del sindaco Giuseppe Sala. Una quantità che pochi
minuti prima delle cinque ha fatto esondare il torrente «tombato»,
quando l'acqua piovana mescolata a quella del canale fognario non ha
trovato altro spazio per defluire se non la strada.
È della metà degli anni Cinquanta la decisione di sotterrare nel
cemento gli ultimi nove chilometri del fiume Seveso che nasce 41
chilometri a nord nella provincia di Como. Sono state poi
l'urbanizzazione lungo tutto il percorso e le colate di cemento a
ridurre la permeabilità del suolo a causare negli ultimi vent'anni
circa 2,5 piene all'anno. Un quadro in cui il cambiamento climatico
con le piogge sempre più violente e improvvise è diventato un
fattore non secondario.
Il problema del Seveso è noto da decenni e anche la soluzione è
stata individuata da tempo. Si tratta di quattro vasche di
contenimento che in altrettanti punti strategici a Nord (Lentate e
Varedo, nel Monzese, Senago e Bresso, nel Milanese) dovrebbero
risparmiare finalmente la metropoli. Il condizionale è d'obbligo
perché nessuna di loro è ancora in funzione. Lo dovevano essere da
quest'anno, ma i ritardi dovuti alla pandemia, alla fornitura di
materiali e ai contenziosi amministrativi hanno allungato i tempi.
L'obiettivo ora è il 2025. Solo la prima vasca è in dirittura
d'arrivo: quella nel Parco Nord capace di accogliere 250mila metri
cubi di acqua. Il cantiere di Bresso è partito nel luglio di tre
anni fa e i collaudi sono in programma a giorni.
«E qualcuno dice ancora che le vasche non servano. La vasca di
Milano è in collaudo, ma le altre, quelle di Regione Lombardia sono
indietro», ha accusato l'assessore comunale, Marco Granelli. Una
stoccata alla giunta regionale a cui è seguita l'immediata replica
del governatore Attilio Fontana: «Credo che Granelli si dovrebbe
occupare di gestire meglio la città perché non sono mai successe
tante situazioni come queste, che dimostrano un completo abbandono.
Noi il nostro lavoro lo stiamo facendo: le vasche di laminazione
saranno pronte, la prima verrà consegnata entro la fine di gennaio,
la seconda entro marzo, stiamo rispettando i tempi».
Secondo uno studio dell'Agenzia interregionale per il fiume Po, con
la sola vasca di Bresso, per tre su cinque esondazioni non si
sarebbe verificata la piena a Milano. Una previsione che non trova
d'accordo Legambiente. «Eventi come quello di ieri - ha spiegato il
vicepresidente lombardo Lorenzo Baio - si caratterizzano per portate
fino a 150 metri cubi al secondo: significa che se la vasca di
laminazione del Parco Nord a Bresso fosse già stata in funzione, si
sarebbe riempita in meno di un'ora».
Mentre montava la polemica politica, i cittadini milanesi hanno
dovuto fare i conti con allagamenti di negozi e cantine, blackout,
traffico in tilt e scuole chiuse. «Qui è peggio di Venezia», ha
ironizzato un abitante con i piedi in trenta centimetri d'acqua.
Solo a mezzogiorno l'esondazione è terminata mentre già due ore
prima il sole splendeva su Milano. Sono stati un centinaio gli
interventi dei Vigili del fuoco in città: per fortuna non si sono
registrati feriti, solo richieste di aiuto per rimuovere rami caduti
e fango dai locali. L'ondata di maltempo ha colpito anche la Brianza
e l'area del lago di Como, esondato ieri mattina con l'acqua che ha
invaso piazza Cavour.
NON STA IN PIEDI : Tutte le opinioni sono rispettabili ma
ritengo che associare il ponte sullo Stretto di Messina all'immane
tragedia del Vajont non trovi alcun fondamento se non quello di
insinuare timori ingiustificati.
A beneficio dei lettori, ricordo informazioni più volte presentate.
Il progetto definitivo dell'Opera è stato sottoposto a un complesso
iter di approvazione, verifica, controllo e validazione, mai
realizzato prima in Italia per le opere pubbliche. Iter che ha
coinvolto i massimi esperti mondiali, con controlli indipendenti.
Per gli aspetti ambientali è in corso l'aggiornamento dello Studio
di Impatto Ambientale, Studio di Incidenza Ambientale, Relazione
Paesaggistica, che saranno sottoposti all'iter approvativo previsto
dalle norme. L'aggiornamento dell'analisi costi-benefici si è
conclusa positivamente e diversi studi indipendenti mettono in luce
i benefici del ponte in termini socioeconomici, anche in riferimento
al costo dell'insularità per la Sicilia, stimato in circa 6,54
miliardi di euro pari al 7,4 per cento del Pil regionale (a valori
correnti dell'anno 2018).
I ponti sospesi come il ponte sullo Stretto sono strutture con una
caratteristica insensibilità ai terremoti grazie alla loro
sostanziale estraneità alle frequenze delle azioni sismiche.
L'azione sismica sul ponte, con particolare attenzione alle opere a
terra, è stata oggetto di grandissima attenzione sin dalle fasi
iniziali degli studi per la progettazione. Il potenziale
sismogenetico dell'area dello Stretto non è in grado di produrre
terremoti di magnitudo più elevata di quello di progetto considerato
per il ponte (7,1 scala Richter). Con un sisma di questa magnitudo,
il ponte rimane in campo elastico, ossia non subisce danni,
mantenendo quindi ulteriori margini di sicurezza oltre la soglia
prevista. Decenni di studi hanno determinato il consolidamento delle
conoscenze sul terremoto del 1908 (7,1 Richter) e della faglia
principale che lo ha generato classificandolo come un evento
estremamente raro con tempi di ritorno di oltre duemila anni.
Inoltre, in sede di aggiornamento del progetto definitivo, il quadro
sismo-tettonico dell'area dello Stretto è stato rivisto al 2023.
Il passaggio dei treni sul ponte Akashi è stato escluso per mutate
esigenze trasportistiche, senza che questo fosse in alcun modo
connesso a difficoltà tecniche realizzative. Per il ponte sullo
Stretto l'analisi di percorribilità ferroviaria è stata eseguita
simulando l'incrocio in velocità in qualsiasi posizione di due
convogli pesanti da 750 metri. L'analisi statica è stata calcolata
con la presenza di quattro treni di 750 metri, due treni su ciascun
binario.
Nel quadro trasportistico, il ponte sullo Stretto di Messina, aperto
a treni e auto 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, è la migliore
risposta alla domanda di un più efficiente e moderno sistema di
collegamento tra la Sicilia, la Calabria e il resto del Continente.
È una tessera del mosaico trasportistico nazionale ed europeo e
rende sostenibile il prolungamento del sistema di alta
velocità-capacità ferroviaria nazionale ed europeo in Calabria e in
Sicilia. Ad oggi l'opera si inserisce in un contesto di sviluppo
infrastrutturale più ampio che mira a potenziare la rete dei
trasporti. Gli investimenti del governo al 2030, in corso di
attuazione sulla rete stradale e ferroviaria in Sicilia e Calabria,
ammontano a circa 70 miliardi.
Sottolineo inoltre che il progetto del ponte comprende 40 km di
raccordi stradali e ferroviari di collegamento al territorio.
Verranno realizzate tre fermate ferroviarie in sotterraneo (Papardo,
Annunziata, Europa) che unite alle stazioni di Messina, Villa S.
Giovanni e Reggio daranno concretezza al sistema metropolitano
interregionale tra Messina e Reggio Calabria, al servizio degli
oltre 400.000 abitanti dell'area dello Stretto. Queste opere,
fondamentali per il territorio, sono tutte ricomprese nel costo
dell'intero progetto del ponte, stimato in 12 miliardi.
TUTTO GIUSTO: Ferdinando Principiano è il primo barolista ad
aver scelto la strada dell'ulivo. Produttore di grandi vini rossi
nella rinomata Monforte, di fronte a una natura che chiede i fare
conti con sempre maggiore insistenza, ha deciso di investire in
un'agricoltura più sostenibile, mettendo a dimora un migliaio di
piante in un terreno di tre ettari a Murazzano, in Alta Langa, dove
un tempo c'erano solo prati. Ma invece di pensare alle redditizie
barbatelle di nebbiolo, pinot noir e chardonnay, Principiano ha
optato per leccino, leccio del corno, maurino, frantoio e pendolino,
cultivar di olivo resistenti al freddo che promettono di adattarsi
ai climi non ancora del tutto mediterranei del Piemonte. Entreranno
in produzione tra tre anni, diventando il primo progetto
imprenditoriale di una certa consistenza sulle colline di Langa,
dove gli esperimenti per produrre l'extra vergine non mancano.
D'altra parte, l'olivicoltura è in forte ascesa in tutto il
Piemonte: dall'anno scorso, l'incremento è stato del 30% e ha
portato l'estensione a 350 ettari e 300mila piante, con una
produzione tra i 200 e i 300 ettolitri. E sulla spinta della
rinascita dell'olivicoltura (già nel ‘700, accanto alle vigne,
c'erano anche gli oliveti) è nato il Consorzio per la tutela
dell'olio extra vergine di oliva Piemonte, che oggi conta una decina
di soci e punta alla Dop.
Ma quella di Principiano non è solo una scelta imprenditoriale. «Il
periodo del Covid - racconta il produttore cinquantenne - ha spinto
me e la mia famiglia a un ripensamento più complessivo. Lavoriamo da
anni in regime biologico, ma nonostante ciò la conduzione del
vigneto è diventata troppo intensiva e impattante, sia a livello
ambientale, sia di qualità della vita. Mi sono dato l'obiettivo di
cambiare rotta, di cercare qualcosa più sostenibile anche nelle
relazioni e nella quotidianità. Siamo fortunati, dalle nostre vigne
abbiamo ricevuto tanto, ma credo sia arrivato il momento di
restituire qualcosa in termini di consapevolezza e di rispetto del
territorio. Occorre tirare il freno ora che la macchina è in corsa,
non quando rallenterà per cause esterne sempre più evidenti».
Ecco allora l'idea di puntare su colture meno tradizionali per le
colline albesi. «Credo che gli uliveti possano contribuire a rendere
unico il paesaggio a mosaico dell'Alta Langa. Rispetto ai vigneti,
non richiedono molti trattamenti e passaggi di macchinari, non hanno
bisogno di acqua e non temono la siccità. Dovremo avere un po' di
fortuna con le gelate primaverili, ma ormai il cambiamento climatico
è un dato di fatto e i presupposti per realizzare un olio di qualità
ci sono tutti, senza tanto stress». Ma non ci sono solo gli ulivi.
«A Murazzano possediamo 50 ettari di terreno - spiega Principiano -.
La metà è mantenuta a bosco, dove andiamo a raccogliere funghi e
castagne e al massimo recuperiamo i pali per i nostri vigneti, come
si faceva un tempo. Ho impiantato tre ettari di lavanda, altra
coltivazione che mi appassiona e che vorrei ampliare con altre erbe
officinali. I prati li ho messi a disposizione di un allevatore di
bovini di razza fassona che, invece di andare in alpeggio, è venuto
per la prima volta a fare il "langheggio". Sono tentato anche dalle
mandorle, ma vedremo».
E il vino? «Abbiamo 20 ettari tra Monforte, Serralunga e Serravalle,
produciamo circa 120mila bottiglie e non ci lamentiamo affatto,
anzi. Ma fare il vino oggi non è più come una volta, la monocoltura
intensiva e la commercializzazione in tutto il mondo creano
inevitabili distorsioni. Sono stati i miei figli Laura e Paolo, 30 e
20 anni, a farmi aprire gli occhi. A farmi capire che anche in
cantina non è sempre necessario crescere, che si può rallentare e
cercare nuove strade con più serenità».
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo
Le telecomunicazioni sono un
asset strategico per la crescita e lo sviluppo sostenibile del Paese. La
disponibilità di una infrastruttura di telecomunicazioni performante è
determinante ai fini della competitività. È dunque essenziale essere
informati su quello che sta accadendo nel settore anche per capire in
che direzione sta andando il Paese.
Ecco una lista delle fonti più affidabili.
Mimit: il ministero per le Imprese e Made in Italy è diviso in sezioni.
La sezione “Comunicazioni” è organizzata in due sotto-sezioni: una
dedicata alla banda ultralarga dove è possibile accedere al catasto
delle infrastrutture e al portale bandaultralarga.italia.it dove è
possibile monitorare lo stato dei lavori. L’altra sezione è dedicata a
Internet con tutte le info relative all’Internet governance, la
sicurezza informatica, le autorizzazioni ai provider e la normativa
sull’accessibilità. Nella sezione Media disponibili gli ultimi annunci e
azioni del ministero per accelerare sulla diffusione della connettività
in Italia.
Infratel: la società di Invitalia è impegnata in interventi di
infrastrutturazione del Paese, per il superamento del digital divide e
l’abilitazione alla diffusione di servizi di connettività avanzati. Si
può accedere alla Data Room, lo spazio online progettato per condividere
i dati che sono alla base degli interventi di infrastrutturazione
digitale su tutto il territorio nazionale. Inoltre è presente il link al
portale del piano nazionale banda ultralarga per monitorare lo stato dei
lavori e aanche quello del progetto “Wifi Italia”.
Corecom: i Comitati regionali per le comunicazioni sono gli organi
funzionali di Agcom sul territorio. Sui portali regionali attività,
stato dell’arte sulla diffusione delle reti e ricerche.
FONTI ISTITUZIONALI EUROPEE E INTERNAZIONALI
Dg Connect: è la direzione della Commissione europea per le Reti di
comunicazione dove è possibile trovare tutto il programma di lavoro
della Commissione, i piani strategici e di gestione e infine le
relazioni annuali delle attività con i risultati e risorse utilizzate
dalla direzione anno per anno.
Etsi: lo European Telecommunications Standards Institute è un organismo
internazionale, indipendente e senza fini di lucro, responsabile della
definizione e dell’emissione di standard nel campo delle Tlc in Europa.
Tutti gli standard sono disponibili online.
Itu: l’International Communication Union è l’agenzia Onu per le
telecomunicazioni. Il portale istituzionale elenca e approfondisce le
azioni strategiche che l’ente sta mettendo in campo per ridurre il
digital divide in tutto il mondo e una serie di interviste ad esperti e
membri dell’Agenzia stessa sulle strategie da adottare per un mondo più
connesso.
LE ASSOCIAZIONI ITALIANE
Asstel: l’associazione che raccoglie le grandi telco italiane a
disposizione notizie sulle attività, le legislazioni di riferimento del
settore e lo stato dell’arte sul mondo del lavoro e sulle relazioni
industriali.
Aiip: l’associazione italiana internet provider raccoglie le telco medie
e piccole. Sul portale è possibile accedere ai contenuti sulle attività
dell’organizzazione e degli associati e sul ruolo delle Pmi del settore
per uno sviluppo sostenibile del settore.
Assoprovider: l’associazione rappresenta gli internet service provider.
Online sul portale una serie di contenuti su attività, legislazione e
strategie.
Quadrato della Radio: raccoglie manager, esperti e ricercatori che
“studiano” l’evoluzione delle Tlc in Italia e nel mondo. Sul sito
disponibili tutte le attività e le ricerche.
LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI
Etno: l’European Telecommunications Network Operators’ Association
raccoglie le telco europee. Il sito fornisce aggiornamenti sulle ultime
notizie e comunicati stampa relativi alle attività di Etno e
all’industria delle telecomunicazioni in generale nonché una serie di
documenti, rapporti e pubblicazioni su argomenti chiave per l’industria
delle telecomunicazioni.
Ecta: la European Competitive Telecommunications Association raccoglie
gli operatori alternativi, compresi gli Mnvo. Su sito le informazioni
sull’associazione, comprese le posizioni e le advocacy rispetto ai temi
che riguardano gli operatori concorrenti in Europa. Disponibili anche
report, analisi e informazioni sulle tendenze del settore.
Ftth Council Europe: è un’organizzazione senza scopo di lucro che
rappresenta gli operatori di rete a banda larga in fibra ottica in
Europa. Sul portale sono disponibili informazioni sui vantaggi della
tecnologia Ftth, report e analisi sugli impatti economici e sociali
della fibra su economia e società e risorse tecniche e informative per
aiutare le telco nella pianificazione e nella realizzazione di reti Ftth.
Gsma: la Global System for Mobile Communications Association, è
un’organizzazione internazionale che rappresenta gli operatori di Tlc
mobili di tutto il mondo. Disponibili notizie e aggiornamenti sulle
ultime tendenze, innovazioni e sviluppi nel settore delle
telecomunicazioni mobili e anche analisi e studi di mercato. Online
anche risorse e best practice per gli operatori di telefonia mobile,
come linee guida operative, documenti tecnici, standard e regolamenti.
TESTATE E PORTALI ONLINE
CorCom: testata del Gruppo Digital360, è il più importante quotidiano
online italiano che si occupa di tematiche inerenti le Tlc. Sono
disponibili news, approfondimenti e interviste ai protagonisti del
settore che raccontano come sta evolvendo il mondo delle Tlc e l’impatto
su economia e società. Ogni giorno è inviata una newsletter con le
notizie più rilevanti.
Techflix360: è il nuovo centro di risorse del Gruppo Digital360. Un vero
e proprio “knowledge hub” sull’innovazione digitale e le
telecomunicazioni che consente di approfondire gli argomenti di
interesse attraverso white paper, webcast, eBook, infografiche, webinar.
Telecompaper: fornisce notizie, analisi, rapporti di settore e servizi
di consulenza per le industrie delle telecomunicazioni, dei media e
della tecnologia. Telecompaper monitora costantemente l’evoluzione del
settore, raccogliendo informazioni da diverse fonti e fornendo
aggiornamenti sulle tendenze, gli sviluppi e le innovazioni nel campo
delle telecomunicazioni.
Total Telecom: il sito offre notizie, approfondimenti e interviste a
protagonisti del settore delle Tlc europeo e internazionale. Disponibili
anche podcast e webinar.
Mobile World Live: è una piattaforma online che fornisce notizie,
analisi e informazioni sul settore delle telecomunicazioni e della
tecnologia mobile. È gestita dalla Gsma e offre una copertura
dettagliata degli eventi e delle novità dell’industria, tra cui le
ultime tendenze, gli sviluppi tecnologici, le partnership commerciali e
le iniziative di innovazione nel campo delle comunicazioni mobili.
Fierce Telecom: il sito online fornisce aggiornamenti sulle ultime
tendenze, sviluppi e innovazioni nell’industria delle telecomunicazioni.
Fierce Telecom copre una vasta gamma di argomenti, tra cui reti di
comunicazione, servizi di connettività, infrastrutture, tecnologie
emergenti, regolamentazione e molto altro.
l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il
suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di
H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la
trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo
definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale
elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per
viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua.
Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare
con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene
prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso
produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre
elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità,
prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve.
Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un
filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di
elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi
con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera
rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di
produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove
l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si
riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia
per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il
distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha
senso H2MED.
PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO
Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che
produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio
e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.
OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico
fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per
produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia
elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2,
in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco
perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da
fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.
A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non
sono disponibili.
PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per
autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare
pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello
europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare
a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA
PRIUS H2.
L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il
Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per
tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane
di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca.
Negro, tutt’altro che ostile ai
nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città
cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria,
che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando
ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.
Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione
nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi
non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata
e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però
molto diverse là dove la fame si fa sentire.
In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e
salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari.
I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro.
Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A
Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante
persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.
Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non
sembrano voler infierire con la violenza, ma
i fascisti della Repubblica
sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria
autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato
dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non
vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con
la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.
STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE
INTERNAZIONALE DA VACCINI
«Qual
è l’incidenza assoluta di ictus ischemico e attacco ischemico
transitorio dopo una vaccinazione bivalente COVID-19?».
A questa domanda hanno cercato di rispondere in uno studio pubblicato su
MedRxiv i ricercatori del Kaiser Permanente Katie Sharff, Thomas K
Tandy, Paul F Lewis ed Eric S Johnson che hanno rilevato ben 100mila
casi di ictus ischemico tra pazienti americani over 65 del Nord-Ovest
vaccinati con i sieri genici mRNA Pfizer o Moderna.
L’ischemia cerebrale è una condizione in cui il cervello non riceve
abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici. La
conseguente carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto
cerebrale, e di conseguenza all’ictus ischemico. E’ pertanto una
patologia che mette in correlazione due note reazioni avverse dei sieri
genici Covid mRNA o mDNA: le patologie cardiovascolari e quelle
neurocerebrali, vergognosamente occultate dalla Pfizer nei suoi trial
clinici.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su
pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18
anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del
vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I
pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al
KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21
giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido
Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata
“Rischio
di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19
in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke
after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health
System)”.
Lo
studio dei ricercatori americani di Kaiser Permanente – link a fondo
pagina
«Abbiamo aspettato 90 giorni dalla fine del follow-up (21 marzo 2023)
per l’accumulo completo dei dati non KP prima di analizzare i dati per
tenere conto del ritardo nell’elaborazione delle richieste di
risarcimento assicurativo al di fuori dell’ospedale – proseguono i
ricercatori di Kaiser Permanente – Due medici hanno giudicato possibili
casi rivedendo le note cliniche nella cartella clinica elettronica. Le
analisi sono state stratificate per età pari o superiore a 65 anni per
consentire confronti con i VSD che hanno riferito alla riunione
dell’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) l’incidenza di
ictus ischemico o TIA (incidenza riportata da VSD; 24,6 casi di ictus
ischemico o TIA per 100.000 pazienti vaccinato)».
I
risultati dello studio sono stati sconcertanti ed hanno confermato anche
la ricerca tedesca che per prima aveva segnalato la pericolosità dei
booster bivalenti che erano stati testati solo sui topi ma, nonostante
ciò, furono raccomandati dal Dipartimento della Salute USA e dal
Ministero della Salute italiano anche per i bambini.
«L’incidenza di ictus ischemico o TIA è stata di 34,3 per 100.000 (IC al
95%, da 17,7 a 59,9) nei pazienti di età pari o superiore a 65 anni che
hanno ricevuto il vaccino bivalente Pfizer, sulla base di un codice
diagnostico nella posizione primaria del pronto soccorso o dell’ospedale
scarico. L’incidenza è aumentata a 45,7 per 100.000 (IC 95% da 26,1 a
74,2) quando abbiamo ampliato la ricerca a una diagnosi in qualsiasi
posizione e non ci siamo pronunciati per la conferma. Tuttavia, la
maggior parte di queste diagnosi aggiuntive di ictus apparente o TIA
erano diagnosi di falsi positivi basate sul giudizio dei medici. La
stima dell’incidenza basata sulla posizione primaria concordava
strettamente con la stima dell’incidenza basata su qualsiasi posizione e
giudizio medico: 37,1 su 100.000 (IC 95% da 19,8 a 63,5). Il 79% dei
casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali non di
proprietà del sistema di consegna integrato».
«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus
ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni
vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati
dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in
ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e
un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento
assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile
della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. Il
giudizio medico di tutti i casi in questo studio ha consentito stime
accurate dell’incidenza assoluta dell’ictus per 100.000 destinatari del
vaccino ed è utile nel calcolo del beneficio netto per le
raccomandazioni politiche e il processo decisionale condiviso».
«Poiché i vaccini COVID-19 caricano il corpo con il codice genetico per
la proteina trombogenica e letale Wuhan Spike, coloro che prendono un
vaccino sono vulnerabili a una catastrofe se vengono infettati da
SARS-CoV-2 dopo aver recentemente preso uno dei vaccini» il famoso
cardiologo americano Peter McCullough ha commentato così lo studio del
professor Fadi Nahab dei Dipartimenti di Neurologia e Pediatria della
Emory University a cui avevamo dedicato ampio risalto.
«Nahab e colleghi di Emory hanno analizzato un database statale di
destinatari del vaccino COVID-19. Circa 5 milioni di georgiani adulti
hanno ricevuto almeno un vaccino COVID-19 tra dicembre 2020 e marzo
2022: il 54% ha ricevuto BNT162b2, il 41% ha ricevuto mRNA-1273 e il 5%
ha ricevuto Ad26.COV2.S. Quelli con concomitante infezione da COVID-19
entro 21 giorni dalla vaccinazione avevano un aumentato rischio di ictus
ischemico (OR = 8,00, 95% CI: 4,18, 15,31) ed emorragico (OR = 5,23, 95%
CI: 1,11, 24,64)» scrive McCullough nel suo Substack citando l’abstract
dello studio.
«Questa analisi mostra uno dei tanti grandi pericoli presenti nello
sviluppo e nel lancio rapidi di un vaccino senza una sicurezza e un
monitoraggio dei dati sufficienti. L’ictus è un risultato devastante e
sembra che un gran numero di casi debilitanti avrebbe potuto essere
evitato se i vaccini COVID-19 fossero stati ritirati dal mercato nel
gennaio 2021 per eccesso di mortalità. I pazienti in questo studio
sarebbero stati risparmiati da ictus e disabilità» aggiunge il
cardiologo americano rilevando l’importanza dello studio.
Verissimo! Ma quanti ictus avrebbero potuto essere evitati se lo studio
fosse stato revisionato e pubblicato mesi fa sia sulla prestigiosa
rivista che poi su PUBMED, la libreria scientifica dell’Istituto
Nazionale della Salute americano (NIH) che l’ha ripreso?
Il 13 novembre, mi sono unito alla deputata statunitense Marjorie Taylor
Greene e a sette suoi colleghi repubblicani della Camera, in
un'audizione intitolata Injuries Caused by COVID-19 Vaccines, che
ha esplorato i potenziali collegamenti tra la vaccinazione COVID-19 e
gli eventi avversi tra cui miocardite, pericardite e coaguli di sangue.
, danni neurologici, arresto cardiaco, aborti spontanei, problemi di
fertilità e altro ancora. Il gruppo ha ascoltato le testimonianze sugli
eventi avversi dei vaccini da parte degli esperti medici Dr. Robert
Malone e Dr. Kimberly Biss e ha anche ascoltato l'avvocato Thomas Renz
che rappresentava gli informatori del Dipartimento della Difesa (DOD)
che hanno rivelato aumenti di diagnosi mediche tra i membri del servizio
registrati in un DOD Banca dati. Scopri di più in questo comunicato
stampa .
Il British Medical Journal ha accusato la
Food and Drug Administration, l’ente americano regolatore dei farmaci,
di aver occultato il risultato di un grande studio di farmacovigilanza
attiva, quindi non basato solo su segnalazioni individuali e gratuite a
database (EudraVigilance gestita da EMA nell’Unione Europea e VAERS da
CDC negli Stati Uniti), si è invece concentrato anche sul follow-up di
alcuni vaccinati.
La ricerca statistica denominata “Sorveglianza della sicurezza del
vaccino COVID-19 tra le persone anziane di età pari o superiore a 65
anni” è stata finalmente rilasciata dalla FDA e pubblicata il 1°
dicembre 2022 dalla rivista specializzata Journal of Vaccine and
Elsevier di Science Direct.
Il primo firmatario è Hui-Lee Wong,
Direttrice associata per l’innovazione e lo sviluppo dell’Ufficio di
biostatistica ed epidemiologia, Centro per la valutazione biologica
della Food and Drug Administration statunitense, Silver Spring, MD, USA.
Lo studio si concentra sui dati relativi a 30.712.101 persone anziane.
DOPO
I VACCINI 15 INCIDENTI DI BUS PER MALORI DEI CONDUCENTI
Piazzola sul Brenta (PD), Marzo 2022, “Malore dopo l’incidente a
Piazzola sul Brenta, grave un autista di bus. Il conducente 44enne ha
tamponato un autocarro. Dopo la telefonata a BusItalia si è accasciato
sul volante perdendo i sensi”;
Cesena, Dicembre 2022, “Cesena, malore mentre guida l’autobus: 9 auto
danneggiate”;
Trento, Aprile 2023, “Paura a Trento, l’autista ha un malore e il bus
esce di strada: il mezzo resta in bilico sul muretto del giardino di una
casa”;
La Spezia, Maggio 2022, “Malore improvviso per l’autista dello
scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri”, Catania, Ottobre 2022,
“Catania: autista si sente male, bus si schianta”;
Limone Piemonte, Marzo 2023, “maestra interviene per malore autista”;
Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR), “Verona, l’autista ha un malore:
il bus degli studenti esce di strada e finisce in un vigneto”
(conducente di soli 26 anni);
Alessandria, Aprile 2022, “Autista di pullman muore alla guida per un
malore”;
Settingiano (CZ), Luglio 2023, “Accosta ai primi sintomi: autista salva
passeggeri bus prima di morire di infarto”;
Venezia, Ottobre 2022, “Malore improvviso prima di prelevare una
scolaresca: Oscar Bonazza muore a 63 anni;
Roma, Dicembre 2022, “Roma, bus con 41 bimbi a bordo finisce fuori
strada per malore autista”;
Cittadella (PD), Gennaio 2023, “Autista di scuolabus muore alla guida
per un malore e centra un pullman a Cittadella. Il conducente aveva
appena lasciato gli alunni a scuola”;
Genova, Luglio 2023, “Autobus sbanda e colpisce le auto in sosta per un
malore dell’autista. L’autista è stato accompagnato al Pronto soccorso
un condizioni di media gravità”;
Cagliari, Maggio 2023, “Malore improvviso, l’autista perde il controllo
del bus, esce di strada e abbatte due semafori: strage sfiorata”;
Piacenza, Aprile 2023, “Autobus di linea contro un albero dopo il malore
dell’autista”… Il più curioso, guardacaso, è poi questo;
L’Aquila, Luglio 2023, “Troppo caldo a bordo del bus, autista
dell’Azienda mobilità aquilana (Ama) viene colpito da un malore”.
21.10.23
Giovedì Health Canada ha confermato la
presenza di contaminazione del DNA nei vaccini Pfizer COVID-19 e ha
anche confermato che Pfizer non ha rivelato la contaminazione
all’autorità sanitaria pubblica. La contaminazione del DNA include il
promotore e potenziatore Simian Virus 40 (SV40) che Pfizer non aveva
precedentemente rivelato e che secondo alcuni esperti rappresenta un
rischio di cancro a causa della potenziale integrazione con il genoma
umano.
Health Canada, l’autorità sanitaria pubblica del paese, ha dichiarato a
The Epoch Times che mentre Pfizer ha fornito le sequenze complete di DNA
del plasmide nel suo vaccino al momento della presentazione iniziale, il
produttore del vaccino “non ha identificato specificamente la sequenza
SV40”.
“Health Canada si aspetta che gli sponsor identifichino qualsiasi
sequenza di DNA biologicamente funzionale all’interno di un plasmide
(come un potenziatore SV40) al momento della presentazione”, ha
affermato.
L’ammissione di Health Canada è arrivata dopo che due scienziati, Kevin
McKernan e Phillip J. Buckhaults, Ph.D., hanno scoperto la presenza di
DNA plasmidico batterico nei vaccini mRNA COVID-19 a livelli
potenzialmente 18-70 volte superiori ai limiti stabiliti dagli Stati
Uniti. Food and Drug Administration (FDA) e Agenzia europea per i
medicinali. L’immunologo virale Dr. Byram Bridle dell’Università di
Guelph in Canada, commentando l’ammissione di Health Canada ha scritto
sul suo Substack: “Questa è un’ammissione di proporzioni epiche”.
Bridle ha anche scritto:
“Bisogna chiedersi perché la Pfizer non abbia voluto rivelare la
presenza di una sequenza di DNA biologicamente funzionale a un ente
regolatore sanitario. Alla Pfizer è stato richiesto di rivelare alle
agenzie di regolamentazione sanitaria tutte le sequenze bioattive nel
DNA plasmidico batterico utilizzato per produrre le loro
iniezioni.Bridle ha osservato che sono trascorsi “818 giorni in totale”
da quando l’Università di Guelph gli ha vietato di accedere al suo
ufficio e al suo laboratorio per aver tentato di condurre ricerche
simili, mentre altri ricercatori “sono stati al centro di attacchi da
parte di molti cosiddetti ‘esperti di disinformazione’, ” anche se
nessuno “è stato in grado di confutare le proprie scoperte”.
L’immunologa, biologa e biochimica Jessica Rose, Ph.D., ha dichiarato a
The Defender: “DNA residuo è stato trovato nei prodotti Pfizer e Moderna
– e soprattutto Pfizer -, in fiale più vecchie e più nuove, incluso il
monovalente per adulti XBB.1.5 [ vaccino].”
Rose ha affermato che ciò indica che tale contaminazione “è un problema
continuo”.
In osservazioni separate fatte mercoledì al programma “Good Morning CHD”
di CHD.TV, Rose ha detto che McKernan “ha anche esaminato il vaccino
Janssen [Johnson & Johnson] e ha scoperto DNA residuo a livelli molto
alti”. “Il DNA plasmidico viene utilizzato nella produzione di
vaccini mRNA e dovrebbe essere rimosso a un livello inferiore a una
soglia stabilita dalle agenzie di regolamentazione sanitaria prima che
il prodotto finale venga rilasciato per la distribuzione”, ha riferito
The Epoch Times.
La scoperta di McKernan ha reso “possibile per Health Canada confermare
la presenza del potenziatore sulla base della sequenza di DNA plasmidico
presentata da Pfizer rispetto alla sequenza del potenziatore SV40
pubblicata”, ha affermato Health Canada.
L’SV40 è spesso utilizzato nella terapia
genica per la sua capacità unica di trasportare geni alle cellule
bersaglio.
Nel processo di produzione del vaccino, l’SV40 “viene utilizzato come
potenziatore per guidare la trascrizione genetica”, ha scritto The Epoch
Times. McKernan il mese scorso “ha avvertito che la presenza di plasmidi
di DNA nei vaccini significa che potrebbero potenzialmente integrarsi
nel genoma umano”.
Descrivendo la ricerca di McKernan come “ineccepibile”, Kirsch ha
scritto sul suo Substack: “Il DNA dura per sempre e, se si integra nel
tuo genoma, produrrai il suo prodotto per sempre”.
“Ciò può far sì che la cellula appena
programmata si riproduca e produca mRNA con le risultanti proteine
spike per un tempo sconosciuto, potenzialmente per sempre e persino
per la generazione successiva”.
23.09.23
L'Asl
To5 l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la
retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi Il tribunale dà ragione alla dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid,
perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento
dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni
previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in
quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo
vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata,
del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno
infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando
«l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento
pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl
To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo
richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle
spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva
sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo
stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi
compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda
sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza:
«in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla
direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in
giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i
giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a
contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però,
che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non
voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica
accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no
vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse
stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso
di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione
non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la
vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe
continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza
quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però
deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere
regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito
il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il
giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e
la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere
condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente
con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla
luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello
di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere
in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.
—
22.09.23
Testimonianza coraggiosa del dottor Phillip Buckhaults dell'Università
della Carolina del Sud.
I “vaccini” Covid non sono stati adeguatamente testati e i loro danni
non sono stati adeguatamente indagati. La FDA e il CDC devono ammettere
i propri fallimenti normativi ed essere onesti con il pubblico.
La Ricerca delle Università Australiane
basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità
clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina,
Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid
Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health
Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca
microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food
Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil,
Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas
J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del
Queensland, Brisbane.
E’ un colossale lavoro di letteratura
scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più
significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la
innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti
menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie
Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of
Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough
(fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di
tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli
dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei
plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica
americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità
dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva
mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele
Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di
Pfizer-Biontech (fonte 61).
“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19
è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio
completo a fondo pagina)
La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e
profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed
efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo,
tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i
benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei
danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed
è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei
danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla
produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta
evidenza di patogenicità.
Questo primo articolo esplora i dati
sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura
ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle
proteine spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus
SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un
“virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia
molecolare e fisiopatologia.
La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal
sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di
vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi.
Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per
trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la
funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e
DNA e le proteine spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la
produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti
dannosi.
Questo articolo esamina gli effetti
autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le
prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie
terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria
e tempestiva.
Discussione
Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente
regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore
australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule
umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che
la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove
significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte
del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei
ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I
meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad
essere chiariti.
Abbiamo stabilito che la proteina spike
provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il
recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina
spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR
nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo
così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre
l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il
collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso
la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che
formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle
proteine cerebrali.
La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente
(infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema
immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto
particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina
Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il
messaggio degli estrogeni.
La proteina Spike è citotossica all’interno
delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro
e causando danni mitocondriali. Le proteine spike espresse sulla
superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.
La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e
sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare
fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare
aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno,
inducendo la formazione di coaguli di sangue.
Esiste anche un’omologia problematica tra la
proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo
che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la
proteina spike.
I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come
accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle
molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il
deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era
noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei
vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la
replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui
geni agiscono come virus sintetici.
Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG
associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla
degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle
lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG
mediante anafilassi in individui sensibili.
Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA
stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce
proteine spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla
retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che
tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente
durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.
Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina
spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e
altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel
COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA
COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore
francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti
patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2,
suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.
La piccopatia esercita i suoi effetti, come
riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione
piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame
dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine transmembrana CD147 che
interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti;
legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi
all’ER alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e
dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1
e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici
attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la
fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la
funzione delle cellule endoteliali.
Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo
squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di
α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte
cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale
parasimpatico.
Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si
sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma
sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione
prolungata della proteina spike.
La miopericardite è riconosciuta ma spesso è
stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una
miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente
comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un
ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma
[116,117 ]. Le proteine spike hanno anche meccanismi per aumentare la
trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del
sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2
sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando
la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione
elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].
Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19
potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia
virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane
[5,138].
Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i
disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di
farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di
spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono:
permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione
dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da
TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione
delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che
causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e
demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180];
aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia
neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC
associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule
neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina
α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando
elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è
amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale
diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di
α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44],
anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.
Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio
C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob
(CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e
associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello,
e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.
La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel
cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi
neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori
ricerche.
Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato
dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo
esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine
spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.
Il vaccino doveva proteggere le persone di
età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19
[10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022)
[250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è
solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di
età superiore a 80 anni.
Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel
sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere
efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus
stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno
efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta
capacità di combattere nuove infezioni [251].
La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi
ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi
anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252].
Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie
gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto
associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche
maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.
Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia
attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le
connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie
e morte.
Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina
spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è
anche evidente che le proteine spike ampiamente biodistribuite,
prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale,
inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e
biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.
I trasportatori di nanoparticelle lipidiche
per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie
patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono
antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi
autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è
altamente localizzata.
Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi
della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili
presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta
che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.
Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e
delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini
basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più
sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben
testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono
molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine
BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from
Both Virus and Vaccine mRNA
14.09.23
Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è
riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e
piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8
stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia,
Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.
«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute
totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di
Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici
possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la
promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione
delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega
l’organizzazione medica.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte
retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari
o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione
Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e
il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se
fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il
periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di
analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di
ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in
un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19
Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo
identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per
100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il
vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79%
dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non
sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo
nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne
all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza
nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».
18.08.23
Il procuratore generale del Texas Ken Paxton
ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli
esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei
virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli
USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma
è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche)
che ha bloccato la sua inchiesta.
Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una
formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira
il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente
della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill
& Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale
Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022)
per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS
chimerici nel centro virologico cinese.
l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre
mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio
2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto
misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.
Nel giugno 1998 durante il vertice
sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione
sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,
Nell’aprile 2004 la Commissione Europea
presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario
Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al
Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di
Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi
esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo,
creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS
con plasmidi infettati dal virus HIV.
16.08.23
l’instabilità del sistema colloidale di
nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico)
della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla
presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali,
appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti
principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da
Pfizer-BioNTech».
Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche
della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.
«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa
BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US
10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per
immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al
riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes”
caricati positivamente».
«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in
nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel
Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella
descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle
cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati
rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti
anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo
fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle
contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente
trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per
modificarne le caratteristiche funzionali:
Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione
scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente,
però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati
positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un
problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti
farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».
«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente
bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA
sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata
“Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes”
[Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di
polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del
suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45
(31- 33)».
In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo
assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a
causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate
positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)
«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e
riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già
descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle
lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale
di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come
il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione,
flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze
di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come
ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione,
agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte
le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua
instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del
distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato
brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o
ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori,
sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello
della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato
Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali
«criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti
raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato
brevetto US 10,485,884 B2»
14.08.23
«Per i suesposti motivi, questo giudicante
ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali
dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo
vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di
giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la
“particolarità” della materia trattata».
L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di
Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid
e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate
per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di
euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi
inferiori a 1.100 euro.
Non è il primo e non sarà l’ultimo
pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri
genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della
giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato
anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla
Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della
Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento
disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche
del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
«Ebbene, al di là delle pronunce del
Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica
della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di
decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono
decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a
prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun
rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati
provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento
di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma
si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)
«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la
decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che
l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la
salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza
nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1,
D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto
straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del
dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle
modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono
tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della
necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti,
tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2,
36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»
«Sebbene la legge possa prevedere
l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed
ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la
possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il
caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i
trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative
rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi
è obbligato”…»
«E ciò a conferma della consapevolezza del
legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur
sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art.
32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia
sanitaria».
In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il
provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso
di addebito di 100 euro al suo assistito.
08.08.23
Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso
che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York
sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli
distribuiti al pubblico.
Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che,
a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di
Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla
natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei
trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.
L’ammissione è arrivata durante una rigorosa
sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico
nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle
scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al
“Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del
Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge
Gateway Pundit
23.07.23
I vaccini Covid contengono proporzioni
considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente
nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe
anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle
campagne di vaccinazione.
L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e'
l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente
della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante
volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi
del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre
la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima
iniezione Pfizer/BioNTech.
Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio
oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i
risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di
effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA
iniettato fabbricato da PfizerBiontech.
L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio
federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento.
Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non
poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che
l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove
tecnologie vaccinali.
La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e
altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14
giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione
contro il Covid.
Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una
doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito
solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità
leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione
di una proteina.
Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di
filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di
altrettante proteine spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che
raggiungono. Queste proteine spike attiveranno una risposta del
sistema immunitario.
a proteina avanzata è stata anche presentata
come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota
per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte
delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e
allergiche.
Per comunicare, i batteri si scambiano
importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad
esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua
resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi,
che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.
Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid
richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei
batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente
introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di
SARS-CoV-2.
Il plasmide viene propagato nei batteri e
utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che
sarà in grado di innescare la produzione di proteine spike nelle
cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero
viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di
portare l’mRNA nelle nostre cellule
Nell’ambito dell’autorizzazione
all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i
medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati
forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il
fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente
per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri
residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una
presentazione
Pfizer ha risposto di aver rinunciato
volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo
ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri
produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte
della loro garanzia di qualità.
Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da
Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una
soluzione in base alla loro dimensione.
Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA,
l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un
alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati
del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non
corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero
essere presenti in una soluzione purificata.
Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi
a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono
ancora stati consegnati.
Un gruppo di ricercatori, preoccupato in
particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha
deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere
in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero
approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo
supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista
in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato
all’analisi.
Le loro scoperte sono di natura inquietante:
Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi
contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli
per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i
limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose
contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per
produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati.
Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi
prodotti alle normative vigenti.
Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il
DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due
antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni
di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili,
consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel
microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della
resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano
già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto
antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la
presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante
poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000
nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per
dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori
poiché sono imprevedibili.
Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali
possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è
considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA
contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico
della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre
autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni
probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi
e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo
proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA
importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione
avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione
genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.
Questo è grave perché oggi la scienza non
offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il
DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che
gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non
si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è
comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa
sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.
l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta
un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a
DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV.
Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua
produzione di proteine spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma
Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che
abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).
Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le
cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri
permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a
diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono
cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e
contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule
umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.
Marc Wathelet conferma che se “il rischio di
contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di
infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle
cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più
preoccupanti”.
L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”.
Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA,
mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle
nanoparticelle o una combinazione di questi fattori
21.07.23
Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non
sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche
scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni,
sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi
mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I
risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di
aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8
“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli
acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti
Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore…
Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i
requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della
FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…
Come riportato in una recensione del libro di
Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing
Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans
Exposed”:13
“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni
delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione
spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH
di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua
scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica
degli Stati Uniti…”.
Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu
imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini
e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e
Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi
chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.
“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie
verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il
vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici
limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro
nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.
“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National
Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i
tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore
della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente
dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori
nell’uomo.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
Torniamo alle scoperte di McKernan, che
oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel
Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di
plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza
di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare
lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il
potenziale di causare il cancro).
Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma
utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo
utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente
superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti,
afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA
riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.
Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si
viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2
utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la
contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò
significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.
Ciò significa che la contaminazione è un
milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere
per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme
differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”,
afferma McKernan.
Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi
sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa
equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.
“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale
nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da
Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una
longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti
contaminanti di dsDNA”, scrive.
Se si sequenzia il DNA, si scopre che
corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato
per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA,
come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima
cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli
(Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
Mentre i deceduti non vaccinati sono stati
soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda
dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello
che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.
La
tabella del Bollettino Covid-19 pubblicato il 24 giugno scorso
dall’Istituto Superiore della Sanità di Roma – link a fondo pagina
«Numerosi studi riportano l’insorgenza di
reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19
(Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et
al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021;
Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021;
Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima
et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal,
2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla &
Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova
indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una
distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina
spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in
tessuti terminali differenziati».
Furono proprio gli esami patologici del
medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano
della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla
virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di
RNA.
«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le
cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono
essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e
cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della
proteina spike».
Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e
Bellavite poi conclude:
«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato,
questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico
attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non
self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di
cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente
fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di
distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici
contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno
eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e
genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in
circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».
L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne
l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto
Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha
inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata
inchiesta.
di Peter McCullough – pubblicato in origine
sul suo Substack
Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il
vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono
danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide
o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei
lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste
osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di
mRNA.
In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici
di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle
fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza
precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.
È possibile che le nanoparticelle lipidiche
si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere
più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono
variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di
produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli
più grandi.
Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono
essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria
iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.
Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha
restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul
fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano
sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero
detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui
veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della
campagna vaccinale.
Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul
vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli
eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto
rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi
(lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e
moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto,
più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il
numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior
parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha
ricevuta.
Si tratta di risultati di importanza
cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è
effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla
suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze.
Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza.
Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di
contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e,
in alcuni casi, letali.
IN
ITALIA
Il trait d’union tra questa nuova ricerca
sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la
Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science
accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico
e farmaceutico.
TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del
Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale
Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano
Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro
per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la
fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale
Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.
Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente
analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo
di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila
l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma,
soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.
Dal canto suo la Fondazione Toscana Life
Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo
favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica
Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede
legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la
partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di
“nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro
sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori
il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute,
il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo
Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”
Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a
Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice
convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un
vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre
agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività
produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di
Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca,
Abiogen, e di Gsk Vaccines.
Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno
l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di
Rappuoli.
La Fondazione Toscana Life Sciences è il
soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto
Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i
soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie,
del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della
cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.
E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata
dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia
Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un
ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14
Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena);
le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di
Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono
affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical
devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per
oltre 6 miliardi di fatturato.
Tra queste spicca il nome della
bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD
Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò
l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello
industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma
americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma
del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma
di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la
sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e
assegnata a quello di Pisa.
NO
AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO NON SI SPECULA
IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO
CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO PER GIUSTIFICARE IL
NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR
PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO
SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E
GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN
ITALIA ?
LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE
QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO
NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.
IL FUTURO H2 CHE
NON SI VUOLE VEDERE
E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE
RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI,
COME DIMOSTRA IL :
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131
IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA
RICETTA LIEVITO MADRE
RICAMBIO POLITICO BLOCCATO
L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016
(sottotitoli italiano)
"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra
della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino,
Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito
russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non
sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese
Cosa c’entra il climate
change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?
Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza
da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i
fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di
alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia
Il ghiacciaio
della Marmolada si sta ritirando di 6 metri l’anno
(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9
feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente che
ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di
Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada.
Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate,
scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio,
pietre e acqua fusa.
La dinamica dell’incidente
Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la vetta
più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000
metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e
ha investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia
precipitando a 300 km/h.
Il punto di distacco del seracco è ben visibile in alto
a destra. Crediti:
Local Team.
Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi
di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il
movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il
ghiacciaio incontra delle variazioni nella pendenza della montagna.
Queste deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di
crepacci, che a loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio,
i seracchi. Queste formazioni, seppur normali, sono per
loro natura instabili. Tendono a cadere a valle,
ricompattandosi con il resto del corpo glaciale, ed è difficile
prevedere quando esattamente un evento del genere si può verificare.
Il climate change sul ghiacciaio della
Marmolada
Il distacco del seracco dal ghiacciaio
della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e reso più
rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni,
anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti il termometro è
salito regolarmente a 10°C. Ma è da maggio che si
registrano
anomalie termiche molto pronunciate.
Anomalie che investono tutto l’arco
alpino. Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100
km più a nord-est, uno degli osservatori con le serie storiche più
lunghe e affidabili della regione alpina ieri segnalava il quasi
completo scioglimento del manto nevoso. Un dato che illustra molto
bene quanto l’estate del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era
mai sciolta prima del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo
2003).
Che legame c’è tra il crollo del seracco e le
temperature elevate? Secondo la società meteorologica
alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla
base a causa della grande disponibilità di acqua di fusione
dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla
media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del
ghiacciaio: “la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli
interstrati) e l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono
probabilmente le cause principali di questo evento catastrofico”.
Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di
fusione – penetra fra gli strati di ghiaccio o direttamente sul fondo
del ghiacciaio, incuneandosi tra massa glaciale e rocce sottostanti, per
sgorgare poi al fondo della lingua glaciale. Questo processo “lubrifica”
il ghiacciaio, accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle
“sacche” piene d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del
ghiacciaio.
Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche
il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa del
riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal
Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha
segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la
perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.
Il cambiamento climatico corre più veloce
sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle
terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della
temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle
montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C).
Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi
2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi,
l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare,
rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.
«Il
22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla
ricerca del Dc9 Itavia. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma
particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer scandisce in francese la
parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di
missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni
dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi
dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi,
capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma» si legge ancora
nell’articolo.
«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda
operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la
Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre
anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i
nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di
identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese”
e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra
è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare
di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e
può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi
infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è
“lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa
93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione
ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15,
F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».
Lannes ha aggiunto particolari agghiaccianti.
«Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della Repubblica di Roma da
due poliziotti della scorta della Polizia di Stato – ho riferito, o
meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone quanto avevo
scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica. Ed ho indicato
loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati dall’autorità
giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina Militare) ha
dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente esercitazione
aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su cui era
imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso, pur
essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette
l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già
appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di
essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo
in atto dall’Arma Azzurra».
IL
VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON
LO STATO.
QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA
TRATTATIVA STATO MAFIA CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A
TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.
LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA
MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.
I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO
Dichiarazione di Giuliano AMATO
«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» -
INTERVISTA
(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi -
inserita il 02 luglio 2010 da 31
«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce
Giuliano Amato, presidente del
Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque
testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella
relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia
Giuseppe Pisanu.
Perché, presidente?
«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti
esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si
confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un
presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare
responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali
gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che
bisogna fare?».
Secondo lei?
«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può
aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono
sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo
di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è
accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».
Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne
capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di
Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una
trattativa», come dice Pisanu?
«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta
quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza
economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di
lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci
colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine
da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere
duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal
presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad
horas del provvedimento».
Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco
mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?
«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di
qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei
contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che
era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che
considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni
della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».
Perché?
«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a
decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava
comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella
presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».
L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del
'93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò
qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?
«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi
degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi
particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi
o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di
Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi
un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era
riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta
insoluto è la vera matrice di quelle stragi».
Che intende dire?
«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via
D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di
carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo,
Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale
come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai
riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza.
Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in
pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come
lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano
ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre
occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una
devastante dimostrazione di potere».
Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che
per la mafia furono controproducenti?
«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo
trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si
sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il
prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti
israeliani per punire la politica estera italiana sul versante
palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la
tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e
soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per
quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose
sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma
l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa
nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».
Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?
«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile
con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io
condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono
esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma
pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima
dei magistrati».
Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini
di Henry Kissinger, se ne interessarono con Delle Chiaie che
rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia
di Rejna , secondo Lo Cicero.
PERCHE' IL PRESIDENTE BIDEN NON
GRAZIA ASSANGE dimostrando di essere migliore dei suoi
predecessori ?
FATTI
NO BLA BLA BLA
DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO
PRIMA DI AGIRE
LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI
DOCUMENTATE DA REPORT
QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI
FALCONE E BORSELLINO ?
Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone
guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava
dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.
Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe
Costanza che quel giorno sedeva dietro.
Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano
anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli
agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma
azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare
Cervello e Angelo Corbo.
Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale,
viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto
il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.
La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene
sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata.
Muoiono tutti sul colpo.
L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una
pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il
parabrezza della macchina.
In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto
gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.
L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è
ancora oggi vivo.
Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così
clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento
di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità
di Cosa Nostra.
Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale.
Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare
impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o
piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare
qualcosa del genere.
Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni
precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo
sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.
È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi
pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare
l’ordigno.
Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare
che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree
circostanti.
Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in
cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte
dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del
magistrato.
Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare
del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli
presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni
necessarie per eseguire la strage.
Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti
dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.
E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario
guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di
vita.
Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo
comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.
La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione
edulcorata e distorta della strage di Capaci.
Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è
stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio
Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver
trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali
Peter Gomez e Marco Travaglio.
Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni
Falcone prima di morire.
L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI
All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali,
incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia,
Claudio Martelli.
Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di
aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.
Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che
erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito
comunista italiano.
Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono
transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione
Sovietica, a quelle del PCI.
La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività
dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque
l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si
dichiarava custode di quella ideologia.
Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro
intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi
e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con
Falcone prima di essere ucciso.
Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si
rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei
quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i
fondi.
I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri
suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate
da Stepankov.
Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito
comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava
tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da
Ronald Reagan.
Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità
di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte
d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un
costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia
dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.
Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la
probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra
Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora
come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.
Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata
e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse
troppo a Mosca.
Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione
civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse,
infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni
clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto
stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di
intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo
dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella
sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi
non allineati né con un blocco né con l’altro.
Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta
minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e
l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come
pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente
perché si era deciso di demolirla dall’interno.
La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex
segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che
preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.
Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del
globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e
sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e
ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.
Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua
derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica
senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa
struttura paragovernativa internazionale.
Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò
calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale,
soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa
società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita
a portare avanti indisturbata i suoi piani.
Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha
nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.
Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue
“riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del
raggiungimento di questo obbiettivo.
I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto
essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un
potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva
passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione
Sovietica.
Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società
post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un
numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella
storia politica recente di nessun Paese.
Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti
notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare
le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.
A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello
che era il patrimonio pubblico dello Stato.
L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare
in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per
gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e
comprati da corporation angloamericane.
Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di
soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse
finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.
Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga
girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli
affari penali, Giovanni Falcone.
Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il
procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal
secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.
Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito.
Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione
indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse
accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca
per finire in Italia.
I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per
poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di
un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso
avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.
I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media
mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta
di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa
indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno
mafioso.
L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani
Pulite
Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non
fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la
sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.
Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a
Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.
Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe
potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello
del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina
inaugurata da Achille Occhetto.
Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico
liberal progressista molto simile a quella del partito democratico
americano.
Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a
Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che
divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli
Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.
A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva
essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone
infernale della globalizzazione.
Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe
giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli
del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe
politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse
occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la
sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche
con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler
rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere
transnazionali.
Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un
cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e
tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di
garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una
condanna anticipata.
Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero
colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.
Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative
rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista
italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e
poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni
mafiose.
Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni
Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo
Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni
dopo a via d’Amelio.
Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era
nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due
stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.
Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta
la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per
essere portata in dote alla finanza anglosionista.
Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse
essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia
italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.
E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il
PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della
sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della
moneta unica, arma della finanza internazionale.
E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei
magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere
così forte che fa impallidire la mafia.
I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva
essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello
costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.
Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza
di un potere senza volto molto più potente.
È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno
quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di
retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la
verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che
eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso
anno.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate
non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e
determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire
pagare con la propria vita.
Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più
forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e
destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di
banche e corporation che erano i veri registi della mafia.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi
italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva
deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la
loro vita.
Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con
quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una
nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria
possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è
avuta dal 1945 in poi.
Autovelox mobili: la multa non è
valida se non sono segnalati
multe autovelox
La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle
pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente
segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è
certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di
dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però
delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e
quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla
Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere
nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia
opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox
mobili montati sulle auto della polizia.
UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista
di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di
velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in
cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente
sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a
sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e
aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia
stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere
fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.
LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo
di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di
installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi
luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento
della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici
possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle
caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi
alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle
caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione
di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva
segnalazione".
per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot
europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel
nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni
paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse
disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le
difficolta'.
Inventarsi un lavoro invece che fare
l'elemosina.
Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a
Gesu' ?
1)
esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati
2)
lavori socialmente utili
3)
pulizia e cucina autonoma
3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei
martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e
far germogliare il seme del Vangelo. Scrive suor Lucia: “Dopo le
due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra
Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano
sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero
incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore
che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo
indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza,
Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa
di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano
davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento
che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una
grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la
corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande
città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di
dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel
suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi
della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli
spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo
morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e
posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con
un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il
sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a
Dio”.interpretazione del
Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in
una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice: «La
terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se
no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori
per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è
una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del
Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il
Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia
si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il
mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello
del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso
il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione
completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati
a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato,
di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona
umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che
così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si
preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon
cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono
responsabili».
Le storie
degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle
loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:
1) Mi
trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato
parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di
colore.
2) Mi
trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei
soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi,
arriva un nero in bici e me li chiede
3) Ero su un
bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi
posti e si e' messo lui
4) Ero in un
team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della
stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti
e poi fare le proposte: molto innovativo !
5) FINO A
QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO
SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI
PORTA INDIETRO.
6) perche'
lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare
clienti .
7) Immigrazione ed economia sono
interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.
8) Gli
extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo
desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.
09.01.19
Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che
ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?
04.02.17l
L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di
attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da
terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY
l'11.09.11.
Riforma sostenuta da una maggioranza
trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La
Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le
assegnazioni penalizzano gli italiani .
Screening pagato dalla Regione e affidato alle
Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo”
Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono
state curate un migliaio di persone.
Il Piemonte è la quarta regione italiana per
numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare.
L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in
strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono
14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese
del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in
confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve
un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione
Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni
sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a
strutturale».
La Regione punta su formazione e compensazioni
mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200
nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di
accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle
commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la
tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40%
dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di
accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati
aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila
migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar -
gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo
troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture.
Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La
trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese
con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il
termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone
un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di
compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e
certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica
Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per
l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della
Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto:
«Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in
termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista
degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che
andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che
attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un
salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i
progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei
servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi),
“Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione
civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di
formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni).
Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire
lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte
ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva,
aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di
Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato,
protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i
convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I
tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni,
considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e
della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone,
in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo
sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione,
Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.
INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di
risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva
fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le
speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del
consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco
che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci
sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la
crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire
una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi
fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di
corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata
la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la
progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente
dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza
specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando
si partirà.
20 gen 2011 -L'immigrazione"circolare"
è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro
all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...
Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I
60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli
volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare
il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio
in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel
cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un
tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni
viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è
tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i
protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle
banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della
polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna
era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi
aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle
quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a
bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare
la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata
in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è
stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la
giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno
scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio.
«Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste
dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si
limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi
casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a
garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo
accompagnato dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto
avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni
al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del
traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi
12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza
della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti
di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo -
commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che
con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi
giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che
vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un
lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia.
Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione
definitiva alla questione delle espulsioni?» In ostaggio per ore
Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno
trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri
21.02.17
Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne
la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese:
a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte
finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli
immigrati non viceversa.
Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina
crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei
rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in
anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte
da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400
calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto
Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano
prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina.
Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto,
topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli
occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata
operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit».
Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni.
D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna
i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?».
In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la
forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono
case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che
morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la
biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti:
«Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono
diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai,
emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una
baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo
l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle
case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di
questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel
documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani,
prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky
Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono
non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne,
uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze
avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine
con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la
civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a
cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un
secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui
l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San
Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente
ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi,
invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia
rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che
vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un
trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata
nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle
casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è
diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due
ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui.
Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio
sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora
Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea
Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15
su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic
Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così
ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti
delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso.
Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti
comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei
malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di
scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la
rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante
raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono
individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque».
Baraccopolid’Italia
01.03.17
GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI
EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.
SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10
n33
La Commissione
europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche
europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di
milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo
della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo
per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di
euro di rimborsi da chiedere alle banche.
La storia parte
con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un
cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo
l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso
dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un
mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra
questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore
complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato
giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche
europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento
per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato
all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli
operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi
banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i
valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria
convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha
potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano
preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi
valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie
posizioni commerciali ed esposizioni»
Il risultato
ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta
Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di
Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha
subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della
sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé,
Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di
euro.
La Ue ha sempre
rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine
l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte
«censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle
direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai
mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora
potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e
inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti:
«Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno
pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza
europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo
quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo,
leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1
settembre 2005 al 31 marzo 2009».
27.01.17
Come creare un meeting su
Zoom? In un
periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale,
la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante
per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un
processo estremamente semplice, che non richiede neppure la
registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che
desiderano creare un meeting su Zoom.
Ecco dunque una semplice guida per semplificare
la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla
piattaforma senza confondersi le idee.
Come si crea un meeting su Zoom
Dopo aver
scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione,
si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In
(è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o
Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo
modo:
Fare tap su New Meeting
(pulsante arancione)
Scegliere se avviare il meeting con la
fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
Premere Start a Meeting
A questo punto è stata creata la
videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i
partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:
Fare tap su Participants
(nella parte in basso dello schermo)
Premere su Invite
Scegliere il mezzo attraverso cui
inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o
messaggio, per esempio)
Una volta invitati gli utenti, chi ha creato
il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per
utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare,
piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.
Facendo tap sul pulsante Chats
(in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare
messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una
volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap
sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà
in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting),
permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare
tutti (End Meeting).
Windows File Recovery
recupera i file cancellati per sbaglio
È la prima app di questo tipo
realizzata direttamente da Microsoft.
A tutti - beh, a quanti non hanno un
backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file,
non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per
sempre.
Recuperare i
file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la
zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per
software specializzati.
Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi
Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha
rilasciato una piccola
utility che si occupa proprio del recupero dei file.
Si tratta di un programma privo di
interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la
diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di
Windows.
L'utility ha tre modalità base di funzionamento.
Default, suggerita per i drive
Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i
segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece
sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome,
la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si
basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni,
cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per
le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).
Windows File Recovery è in grado di tentare il
recupero da diversi filesystem - quali Ntfs,
exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a
disposizione una
pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.
Qui sotto, alcune schermate di Windows File
Recovery.
Non si può dire che Windows 10 sia un
sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé,
insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che
per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non
fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.
Rimuoverle a mano una a una è un compito
tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera
operazione:
Bloatbox.
Nata come estensione per
Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con
Microsoft da
Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che
coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.
Il motivo è un po' la medesima
ragione di vita di Bloatbox: non rendere
Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni
che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere
un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.
Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di
archivio.zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa
operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file
Bloatbox.exe per avviare l'app.
La
finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è
presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche
quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo,
Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del
computer.
Ciò che occorre fare è selezionare quelle app
che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il
pulsante, che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si
trovano tutte le app condannate alla cancellazione.
A questo punto si può premere il pulsante
Uninstall, posto nella parte inferiore della
colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.
L'ultima versione al momento in cui scriviamo
mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare
una "pulizia
generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato
dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....
Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di
eliminazione tutte le app preinstallate e considerate
bloatware. Chiaramente l'elenco
può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si
intende tenere tramite il pulsante Remove selected.
Il sito che installa tutte le
app essenziali per Windows 10
Bastano pochi clic per ottenere
un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo
software.
Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un
incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra
quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente
configurato e utilizzabile.
A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di
installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono
i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di
un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter
automatizzare.
Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che
permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e
installarle in autonomia.
Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti
(Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e,
dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di
fornire un'interfaccia grafica.
Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione
delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.
Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da
visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da
installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è
molto simile al già citato Ninite.
Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer
dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve
essere preventivamente installato sul Pc.
Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo
sviluppatore ha battezzato Featured Pack.
Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità
comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si
possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare
il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.
In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa
di invocare Winget per portare a termine il compito.
I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a
creare il proprio e a condividerlo.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News -
https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369
Cos’è e a cosa serve la pasta madre
La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo
pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la
pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad
esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane
da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice
impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si
arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che
consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.
Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di
lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane,
pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili,
conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.
La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di
altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre
diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla
composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad
assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.
I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri
buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e
migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane
preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore
rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che
quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di
glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno,
evitando picchi glicemici.
Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali
migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi,
si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito
naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari
tipi di farine, anche senza glutine.
La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per
chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri
cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può
migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi
vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.
ATTENZIONE MOLTO
IMPORTANTE PER LA TUA SALUTE :
La tecnologia di riferimento
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