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GRAZIE ! Mb
Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto
l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo
abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento sia andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018).
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo dell'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a
dx.sx, che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21
Le
ragioni per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti
umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella
delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
NON
DIMENTICARE CHE:
Le informazioni
contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore
deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun
caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
La
ringraziamo sinceramente per il
Suo interesse nei confronti di una produzione duramente colpita
dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini
di stagionatura. Il sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana
Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme
crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve
la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di
conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che
va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e
poi trasferito
in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo
perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito
http://emergenze.coldiretti.it tutte le
informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse
regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori
di Campagna Amica.
PREOCCUPANTE :
«Libero. È uscita la verità. Avevo fiducia nella giustizia,
altrimenti… In cella tante volte ho pensato al suicidio e nello
sconforto mi dicevo che mi condannino o mi assolvano io non ci
sarò». Marco Sorbara, ex consigliere regionale valdostano,
condannato in primo grado a dieci anni per concorso esterno alla
‘ndrangheta, poi assolto in Appello ha avuto l'assoluzione anche in
Cassazione. Era stato arrestato il 23 gennaio 2019 insieme con altre
quindici persone. Inchiesta "Geenna" che ha sconvolto la Valle
d'Aosta. Nome biblico che richiama una piccola valle in cui furono
commessi stragi d'infanti. Arrestati anche altri politici e scoperta
una locale della ‘ndrangheta, sempre ipotizzata, mai scovata fino a
quel momento. Ottocento pagine di un'indagine coordinata dalla
direzione distrettuale antimafia torinese, eseguita dal gruppo
carabinieri di Aosta, che mettono in luce le infiltrazioni anche
nelle istituzioni dell'organizzazione mafiosa. Il Comune di
Saint-Pierre, poco oltre Aosta, fu commissariato, mentre
l'amministrazione della città uscì indenne dai controlli della
commissione ministeriale. Condanne pesanti e una sola assoluzione,
quella di Sorbara che ha passato 909 giorni tra carcere e arresti
domiciliari. La Cassazione due giorni fa ha respinto il ricorso
contro la sua assoluzione e la condanna di altri quattro imputati è
stata annullata: processo da ricominciare in Appello a Torino. In
aprile la Corte suprema giudicherà anche le altre condanne per rito
abbreviato.
Sorbara, da 10 anni di carcere all'assoluzione…
«Basta ombre, dubbi. Riprendo la mia vita. Sono passati 1.466 giorni
dal mio arresto. Mi hanno negato per cinque volte la libertà perché
ero pericoloso, sono stato in carcere a Biella otto mesi, 45 giorni
di isolamento. Ho perso 25 chili e a volte la testa».
Si è domandato com'è finito accusato di mafia?
«Quando sei innocente la sola domanda ti spaventa. E questo ti
devasta. In primo grado i giudici della mia città mi hanno
condannato a dieci anni e 500 mila euro di risarcimento e non so
perché. Ho letto e riletto la sentenza del 16 settembre 2020. Mi
chiedevo e mi chiedo colpevole di che? E poi ho letto 70 mila pagine
in 42 fascicoli e mi sono detto ma che ci faccio in cella?».
Che cosa secondo lei ha pesato, una sua frase, come quella
conversazione con un condannato su un lavoro da fare quando lei era
assessore al comune di Aosta? Lei gli parlò di un lavoretto da fare.
«Incredibile, io lo incontrai per la strada, poi ci telefonammo, lui
mi chiese se c'erano lavori da fare e io lo indirizzai al dirigente.
Tutto finì lì. Quel lavoro non fu mai fatto. Guardi io ho chiesto ai
giudici più volte durante gli interrogatori di spiegarmi, non ho
ricevuto spiegazioni».
Ha letto gli atti, che cosa non rifarebbe o direbbe di quanto c'è su
di lei?
«Nulla. Ridirei frase per frase. Basta rileggere senza pregiudizi e
con la conoscenza del contesto. Io ho fatto politica girando per la
mia città, incontrando e ascoltando tante persone. E andavo in
Calabria».
Dove ha portato mobili che erano stati dismessi dal Comune.
«Certo e anche quello è stato frainteso, così come quando ho
raccontato che mio padre lasciò la Calabria con la valigia di
cartone. E io ai giudici ho raccontato ciò che facevo, chi
incontravo. E domandavo loro, ma cosa c'è di sbagliato?».
E adesso che fara?
"È finito un incubo. Quei mesi in carcere… Sa 33 giorni senza
incontrare la mia famiglia, se non mio fratello Sandro, che per
fortuna era mio avvocato».
Chiederà il risarcimento allo Stato?
«Lo faranno gli avvocati. Ho perso tutto, così come i miei fratelli
per poter difendermi. E ho perso la serenità così come mia madre,
devastata. Le banche hanno congelato i conti appena arrestato, sia a
me sia a mia madre. "Cliente indesiderato"».
È sciocco chiederle se ha avuto qualcosa da questa esperienza?
«No. Ho imparato a essere forte dopo essere stato aggredito dalla
paura di chi subisce da innocente senza capire il perché. È
terrificante, le assicuro. Ma poi sono stato sorpreso dalla
solidarietà della gente. Mi hanno aiutato la mia famiglia e la fede.
E due sacerdoti, don Albino di Aosta e don Attanasio di Torino. Ho
cominciato a leggere, scrivere».
Ha scritto un diario?
«Sì. Fino a ieri non riuscivo più ad aprirlo. Appena leggevo qualche
riga dovevo smettere. Adesso lo riscriverò con il computer».
Il 19 luglio 2021 lei ha riacquistato la libertà. Che ha fatto?
«La mia riabilitazione è stata la montagna. Ho consumato scarponi e
scarpe, ho fatto i cammini come quello di Santiago, sono stato a
Lourdes. Quasi sempre da solo per riavere le piccole emozioni,
sentire la pioggia, il vento o il profumo della resina dei larici».
Tornerà alla politica? Ieri il suo ex partito, l'Union valdotaine,
le ha tributato solidarietà.
«Mi ha deluso. Solidarietà dice. Sa che lo stesso giorno che sono
stato arrestato il presidente del movimento Erik Lavevaz mi ha
radiato?».
IL SALVINISMO OPPORTUNISTICO: Il centrodestra abbassa la
soglia di sbarramento al 3% per l'ingresso in consiglio regionale ma
resta inflessibile sull'istituzione di quattro sottosegretari e di
otto consiglieri supplenti. Una posizione che non viene scalfita
nemmeno di fronte ad un aumento dei costi determinati dalla
moltiplicazione delle poltrone che se approvata, peserà sui fondi
pubblici per oltre 7 milioni di euro in più in cinque anni. Costi
aggiuntivi che varranno anche per ogni successiva legislatura. Ma
per Alberto Preioni, capogruppo della Lega, si tratta di una spesa
necessaria «per garantire più efficienza all'azione di governo,
facilitare l'attività legislativa del Consiglio regionale
assicurando una maggiore rappresentanza a tutti i territori come per
altro già avviene in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana».
Raffaela Gallo, capogruppo del Pd, la mette giù così: «La proposta
di legge Mosca non risolve i problemi di funzionalità, punta a
distruggere il centrosinistra ed aumenta i costi. Così non va».
In sede di trattative, però, il Pd è pronto a fare le barricate per
difendere l'attuale legge elettorale, e con lei i partiti più
piccoli della coalizione, ma non sui consiglieri supplenti, la
surroga è già operativa nel consiglio comunale di Torino anche se è
definitiva e non a tempo come invece vorrebbe il centrodestra
regionale. Contrarietà dem, ma non ostruzionismo, invece
sull'istituzione dei sottosegretari. Al massimo i dem potrebbero
accettarne uno come in Emilia Romagna e Toscana mentre Paolo
Bongioanni, il capogruppo di Fdi che ha proposto l'istituzione dei
sottosegretari potrebbe anche accettare di nominarne tre e non
quattro. All'interno delle minoranze, invece, c'è anche chi è contro
la moltiplicazione delle poltrone. In prima fila c'è il M5S come
spiega la capogruppo Sarah Di Sabato: «In questa legislatura il
centrodestra ha già dimostrato che l'aumento delle poltrone non
comporta un miglioramento della qualità dell'azione politica,
dall'azienda Azienda Zero all'Orecol. Con sottosegretari e
consiglieri supplenti siamo di fronte a un esborso inutile che
graverà sulle tasche dei contribuenti». Nel corso della discussione
informale che si è svolta ieri, però il M5S ha chiesto l'ingresso
automatico nell'assemblea legislativa di palazzo Lascaris, anche del
candidato alla presidenze della regione che si classificherà al
terzo posto. Una proposta che ha gelato il Pd perché potrebbe
prefigurare la volontà di una corsa solitaria. Contro la creazione
delle figure dei sottosegretari e dei consiglieri supplenti ci sono
anche i consiglieri Giorgio Bertola (Verdi) e Francesca Frediani
(Unione popolare) che però hanno chiesto la deroga dalla raccolta
firme per le loro formazioni. Stop anche da Silvana Accossato,
capogruppo di Lev.
Nel centrodestra, però, il meccanismo di assegnazione dei seggi con
i resti proposto dalla Lega, il cosidetto flipper, penalizzerebbe
Torino rispetto alle altre province e si scontra con la contrarietà
di Fratelli d'Italia e Forza Italia. L'intesa sulla riforma
elettorale è lontana. L'unico articolo che raccoglie il consenso di
tutti i partiti è la parità di genere.
Vodafone condannata dopo 12 anni di ricorsi pagherà 300mila euro
Per dodici anni si è visto negare il passaggio ad un'altra compagnia
telefonica. Perché? Aveva pagato una bolletta con un giorno di
ritardo. E nemmeno per colpa sua, ma a causa di un disguido tecnico.
Questa l'odissea vissuta da un uomo che abita in provincia di
Brindisi e che oggi ha vinto la sua battaglia legale contro Vodafone
Italia Spa condannata a risarcirlo di circa 300mila euro. Lo ha
stabilito il tribunale di Ivrea, competente visto che Vodafone ha la
sede in città. «Si tratta del più alto risarcimento mai riconosciuto
in Italia a favore di un consumatore. Il nostro assistito è stato
privato ingiustamente di un diritto da parte del suo operatore
telefonico che per anni si è rifiutato di eseguire l'ordine del
giudice di riattivargli la linea telefonica interrotta in maniera
illegittima» dice l'avvocato Filomeno Montesardi, del foro di
Brindisi, che rappresenta l'utente.
Per raccontare questa storia bisogna tornare al febbraio 2009,
quando l'uomo sottoscrive un contratto di abbonamento comprensivo di
linea telefonica e Adsl. Il 15 settembre, però, la compagnia, che
all'epoca si chiamava Vodafone Omnitel, gli comunica che è in
ritardo con il pagamento. E che avrebbe dovuto affrettarsi a versare
74 euro o l'abbonamento sarebbe stato sospeso. Arriva un sollecito.
L'utente paga. «Con un giorno di ritardo», sottolinea l'avvocato. Ma
Vodafone rescinde ugualmente il contratto. E non gli fornisce il
codice di migrazione, ovvero quella sequestra alfanumerica che
permette di semplificare la gestione del cambio di operatore. E
attivare un'altra linea. Adesso questo codice è presente sulla
bolletta, all'epoca no.
Il signore, nel 2009, presenta ricorso davanti al tribunale di
Mesagne. Che ordina a Vodafone di fornirgli il codice. «Non è stato
comunicato nulla», spiega l'avvocato. «La società ha pagato solo le
spese legali». L'anno dopo il tribunale di Mesagne condanna Vodafone
al pagamento di una sanzione: 20 euro per ogni giorno di ritardo
nella comunicazione del codice alfanumerico, che diventano 50 euro
giornalieri dopo il trentunesimo giorno di inadempienza. I giudici,
inoltre, dispongono la riattivazione della linea presso un altro
operatore. Anche in questo caso Vodafone Italia liquida solo le
spese legali. I ricorsi si susseguono. Sino ad oggi: il tribunale di
Ivrea gli ha riconosciuto un maxi-risarcimento.
La vicenda però non si è ancora chiusa. «Pende ancora un giudizio
davanti al tribunale di Brindisi che ha disposto una consulenza
tecnica d'ufficio all'esito della quale l'azienda telefonica confida
di poter chiarire definitivamente la vicenda», dicono da Vodafone.
Il codice di migrazione non è ancora stato fornito. Nel frattempo
l'uomo ha cambiato gestore telefonico. Costretto a cambiare numero.
—
26.01.23
CORRUZIONE-RUSSIA-UCRAINA=EU: In
un colpo solo, e con una certa fretta, Volodymyr Zelensky ha
cacciato oltre dieci alti funzionari del suo esecutivo, tra cui
diversi viceministri e i governatori delle regioni che si affacciano
sulla prima linea del fronte, in una mossa che segna il più grande
stravolgimento politico dall'inizio dell'invasione russa. Sono
accusati, a vario titolo, di corruzione, appropriazione indebita,
violazione del divieto di espatrio e altri reati.
Finora a lasciare sarebbero stati cinque governatori regionali,
quattro viceministri, due capi di agenzie governative, il vicecapo
dell'Ufficio presidenziale, il vice procuratore generale, ma sembra
che altre "dimissioni" sarebbero all'orizzonte.
L'ondata di licenziamenti è arrivata proprio mentre i Paesi
occidentali discutevano - e tentennavano - sull'invio di nuovi
armamenti all'Ucraina, e non è una coincidenza. Zelensky ha voluto
giocare d'anticipo, dare una spinta all'assistenza e rassicurare gli
alleati - che stanno già inviando miliardi di dollari in aiuti
militari e finanziari - che il suo governo applica tolleranza zero
nei confronti della corruzione, mentre Kiev si sta preparando a
resistere a una nuova e terribile offensiva di Mosca e, mai come
prima d'ora, ha bisogno di quegli armamenti.
Già prima dell'aggressione russa l'Ucraina aveva una storia di
corruzione e di governance traballante, ed è ora ancor più sotto la
pressione internazionale per dimostrare che può essere un
amministratore affidabile dei miliardi di dollari in aiuti
occidentali. I timori sono che la messe di armi e denaro che ha
inondato il Paese finisca nelle mani sbagliate.
La Corte di Conti Europea nel 2021 scriveva che l'Ucraina è afflitta
dalla corruzione, in particolare dalla grande corruzione, ovvero
l'abuso di potere ad alto livello a beneficio di pochi. Per questo
la mossa di Zelensky assume un peso specifico ancora più
significativo.
Tra i silurati ci sono nomi illustri, primo tra tutti il vice capo
dell'ufficio presidenziale ucraino Kyrylo Tymoshenko, in questi mesi
"voce" dell'esecutivo nel conflitto. Insieme a lui, quattro
viceministri hanno perso il loro incarico. I cambi al vertice fanno
parte del rimpasto voluto da Zelensky e preannunciato domenica nel
consueto videomessaggio serale. In quell'occasione il presidente
ucraino aveva anticipato «decisioni appropriate» per inasprire la
lotta alla corruzione nel Paese.
Il fantasma di accordi illeciti si era insediato tra i vertici del
governo ucraino dopo la destituzione domenica di Vasyl Lozynskyi
dall'incarico di viceministro per lo Sviluppo comunitario, i
Territori e le Infrastrutture. Lozynskyi era stato arrestato il 21
gennaio dall'Ufficio nazionale anticorruzione con l'accusa di aver
sottratto 400.000 dollari «per facilitare la conclusione di
contratti per l'acquisto di generatori a prezzi gonfiati». È stato
il suo arresto, pare, ad aprire l'inchiesta ad ampio raggio.
Sono poi cinque i governatori dimessi, alcuni di oblast chiave come
quelle di Kherson e di Zaporizhzhia. «Zelensky risponde direttamente
a una richiesta pubblica fondamentale: la giustizia per tutti», è
stato il secco commento del consigliere Mykhailo Podolyak. E mentre
l'Ue esprime «soddisfazione», sottolineando che «l'Ucraina deve
rafforzare la lotta alla corruzione» come parte del processo di
adesione all'Unione, lo scandalo non passa inosservato a Mosca: in
Ucraina è cominciata «una nuova spartizione della torta», ha detto
la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Di
questa torta, ha aggiunto, è rimasto solo un pezzo, ma «questi
vampiri insaziabili continuano a spartirselo».
La raffica di dimissioni e destituzioni è giunta all'indomani
dell'annuncio di Zelensky di «decisioni sul personale» riguardanti
«dirigenti di vario livello», compreso il divieto ai funzionari di
viaggiare all'estero tranne che per affari ufficiali. Poche ore dopo
sono arrivate le dimissioni di Tymoshenko, accusato di aver
utilizzato un veicolo fuoristrada che era stato donato all'Ucraina
per scopi umanitari. A lasciare la sua poltrona poi il viceministro
della Difesa Vyacheslav Shapovalov, coinvolto nello scandalo secondo
cui il suo ministero ha firmato un contratto a un prezzo gonfiato
per i prodotti alimentari destinati ai soldati. Insieme a lui, hanno
lasciato i viceministri per lo Sviluppo comunitario e territoriale
Ivan Lukeryu e Vyacheslav Negoda, e il viceministro delle Politiche
Sociali Vitaly Muzychenka.
Anche i governatori delle regioni di Dnipropetrovsk, Zaporizhzhia,
Sumy e Kherson, sono finiti sotto inchiesta. Il governatore di
Zaporizhzhia è stato accusato da diversi media di aver assegnato
contratti per la riparazione di strade per un valore di decine di
milioni di euro a un gruppo co-fondato dalla sua fidanzata,
un'istruttrice di fitness. La bufera ha poi coinvolto altri
funzionari, tra cui il vice capo del partito di Zelensky Pavlo
Halimon e il sostituto procuratore generale Oleksiy Simonenko,
accusato di essersi recato in vacanza in Spagna, infrangendo il
divieto di partire per gli uomini in età da combattimento.
RISCHIOSO MA INEVITABILE :«Da noi ormai il primo brindisi è
alla salute dell'antiaerea»: Vyacheslav Gladkov, il governatore
della regione di Belgorod, al confine con l'Ucraina, porta la guerra
sulla scrivania di Vladimir Putin, e nelle case dei russi. Sono
almeno 25, secondo il governatore, i morti negli attacchi che
arrivano dall'altra parte della frontiera, e 96 i feriti, ma a
colpire è soprattutto la decisione del Cremlino di dare parecchio
risalto mediatico a una notizia che finora la televisione di Stato
aveva cercato di nascondere nell'ombra: la Russia è in guerra, e
questa guerra riguarda tutti. Mentre per Mosca continuano a
circolare insistenti voci su una nuova ondata di mobilitazione che
dovrebbe portare a 500 mila il numero dei riservisti chiamati sul
fronte ucraino, Gladkov ottiene una udienza insolitamente lunga e
insolitamente pubblicizzata presso il capo dello Stato, che ne
approfitta per tranquillizzare i russi: «Il nostro sistema di difesa
antiaerea è uno dei migliori al mondo», ricorda Putin. Una
osservazione che forse si era resa necessaria dopo che il suo
portavoce Dmitry Peskov si era astenuto dal commentare l'apparizione
sui tetti di Mosca delle batterie di difesa antiaerea Pantsyr S1,
indirizzando i curiosi verso un ministero della Difesa che è stato
altrettanto reticente a commentare quelli che sembrano i preparativi
a un attacco imminente dei droni ucraini.
A Mosca si inizia a respirare aria di guerra, e ogni giorno in Rete
appaiono nuove immagini delle batterie antiaeree che vengono
installate nella capitale russa e nei suoi dintorni, di solito nelle
immediate vicinanze di una delle numerose dacie di Putin. La
sensazione dell'avvicinamento di una svolta decisiva è presente su
entrambi i lati del fronte, e mentre gli esperti militari si
esercitano in speculazioni sulla direzione dell'offensiva russa e
della controffensiva ucraina, che appaiono entrambe imminenti, i
propagandisti televisivi da qualche giorno hanno ricominciato a
minacciare attacchi nucleari. Igor Krokhmal, il capitano della
fregata della marina russa Admiral Gorhskov, che si è inoltrata a
sorpresa nell'Atlantico, armata di missili ipersonici con testata
nucleare Zirkon, si vanta che gli americani non riusciranno a
intercettarli: «Li vedranno soltanto quando colpiranno il bersaglio,
sull'acqua o sulla costa». L'ex presidente Dmitry Medvedev aveva già
parlato dei «missili sul Potomac» come «regalo di Capodanno», e ieri
alla notizia che la Germania avrebbe forse finalmente sbloccato
l'invio dei carri armati Leopard il deputato della Duma Mikhail
Sheremet ha subito promesso di reagire a questa «iniziativa
militarista» con il ricorso ad «armi molto più potenti».
Un'escalation verbale che però viene smorzata all'improvviso da
Dmitry Polyansky, viceambasciatore della Russia all'Onu, che
reagisce alle promesse di nuovi aiuti militari occidentali a Kyiv
con una frase criptica su «alcune linee rosse che sono già state
superate dai Paesi della Nato, anche se forse le linee più rosse non
lo sono ancora state». Anche Peskov si limita a minacciare «un
notevole peggioramento» nei rapporti tra Mosca e Berlino, ammettendo
subito dopo che questi rapporti si trovano già «nel punto più
basso».
L'impressione è quasi di una partita a poker, dove ogni carta viene
scoperta lentamente, in attesa della mossa falsa dell'avversario. Ma
le carte di Putin non sono tantissime: l'indiscrezione di qualche
giorno fa, sull'invio al fronte dei carri armati T-14 Armata, molto
pubblicizzati qualche anno fa come nuovo gioiello dell'arsenale
russo, ma prodotti in pochi esemplari (e con una qualità che suscita
diverse perplessità negli esperti militari) non si è concretizzata.
Ieri sia Putin che Medvedev hanno assicurato di avere «missili più
che a sufficienza», ma diversi spionaggi occidentali segnalano
invece una scarsità di armi e munizioni: secondo lo Stato maggiore
finlandese, nonostante la prospettiva imminente dell'ingresso di
Helsinki nella Nato il contingente russo al confine si è ridotto di
quattro volte. E la presidente della fondazione per i diritti umani
"La Russia in galera" Olga Romanova sostiene che dei circa 50 mila
detenuti reclutati dal gruppo Wagner per l'avanzata di Bakhmut
quattro quinti sono già rimasti uccisi, feriti, catturati o
dispersi.
Numeri difficili da verificare, ma anche fonti internazionali come
la BBC parlano di un incremento delle perdite russe del 18%
nell'ultimo mese. Peskov ha ieri smentito l'esistenza di piani per
la mobilitazione di altri 200 mila uomini russi, considerata da
molti commentatori necessaria per fermare l'Ucraina. Il portavoce
del Cremlino ha anche negato il progetto di proibire l'espatrio ai
maschi russi soggetti potenzialmente alla mobilitazione, ma
l'apparizione (e la successiva sparizione) sul sito della Duma del
progetto di legge sulla necessità di fare richiesta con qualche
giorno di anticipo per poter attraversare la frontiera in auto ha
preoccupato molti. Le destinazioni che si possono raggiungere dalla
Russia in aereo sono poche e costose, e l'autunno scorso la maggior
parte degli uomini in fuga dalle trincee erano scappati proprio via
terra. Il numero preciso di questi esuli rimane sconosciuto, ma ieri
il Moscow Times ha rivelato che nel 2022 il numero delle auto usate
vendute online a Mosca è quasi raddoppiato, raggiungendo le 100 mila
vetture (numeri simili si sono registrati anche in altre grandi
città russe), attribuendo questo fenomeno essenzialmente a chi
decideva di emigrare dalla Russia. Motivo per il quale, secondo
molti, il Cremlino non chiuderà i confini, preferendo lasciar
fuggire gli scontenti invece di mandarli al fronte, e mandando
avanti una "mobilitazione strisciante" in sordina.
L'UOMO PIU' PERICOLOSO DEL MONDO:Henry Kissinger, cento anni
a maggio, ricorda con emozione il suo amico Gianni Agnelli a
vent'anni dalla scomparsa.
Il più influente teorico e pratico della politica estera americana,
tuttora attivo sulla scena pubblica internazionale con opinioni
spesso controcorrente, ha fama di uomo freddo. Non le è.
Certo non quando parla del presidente della Fiat, con il quale ha
condiviso una lunga e profonda amicizia: «Gianni Agnelli era un uomo
di visione, di grande umanità e apertura mentale. Aveva uno charme
leggendario, a cui anche io – sulle prime – ho cercato di resistere.
Ma non è stato lo charme a creare l'amicizia. È stata l'ampiezza dei
suoi interessi. E così siamo diventati amici».
Quando?
«Ci siamo conosciuti nel 1969, quando accompagnai il presidente
Nixon durante una visita a Roma. Ci fu una meravigliosa cerimonia al
Quirinale, con molti politici e uomini d'affari italiani. La nostra
amicizia si è cementata nei due anni successivi. Ogni volta che
veniva in America mi chiamava. Ci siamo sempre tenuti in contatto,
ma non mi ha mai chiesto nemmeno un favore. Non mi ha mai chiesto
aiuto per la Fiat. Mi chiedeva di come andasse il mondo in generale.
Parlavamo delle nostre vite, di quello che ci succedeva».
Lei ha definito l'Avvocato «un uomo del Rinascimento».
«Ho usato quell'espressione perché Gianni era un uomo curioso di
tutto. Era appassionato di arte, di sport, non solo di politica.
Ovviamente, era anche molto interessato all'industria italiana e,
aggiungerei, europea. Gianni era capace di appassionarsi a tutto.
Per questo i suoi interessi erano così ampi e intensi».
Agnelli era pro-americano nel senso più ampio del termine, un
atlantista convinto. Come vedeva il rapporto fra Italia e Stati
Uniti?
«Gianni pensava che il mondo stesse andando incontro a una profonda
trasformazione. Era convinto che le nazioni atlantiche dovessero
affrontare insieme quel cambiamento. Ma era anche convinto che fosse
necessario cooperare con tutti i paesi. Gianni era molto orgoglioso
delle sue origini italiane. Credeva che l'Italia fosse qualcosa di
speciale. Allo stesso tempo, pensava che l'Europa dovesse essere
unita e fortemente legata all'America».
Non tutti i leader italiani del tempo, specialmente se politici,
erano così atlantici. Non le sembra che l'Italia della guerra fredda
tendesse verso il neutralismo?
«No. Secondo me l'Italia era un paese completamente atlantico, sia
in termini industriali che politici. Anche perché l'evoluzione della
storia europea ha dato all'Italia un indirizzo particolare. Gianni
si interessava di politica ed era in contatto con i massimi politici
italiani. Ma non si interessava tanto dei problemi immediati. Gli
interessava di più capire come i problemi potessero svilupparsi e
impattare sulla società nel lungo termine. È per questo che si è
impegnato a formare giovani leader, alcuni dei quali sono diventati
molto importanti. Gianni è sempre stato aperto a discutere con
qualsiasi leader politico. Certo, aveva le sue idee. All'epoca
l'Europa era divisa in due. Lui era a favore della Nato, ma credeva
che bisognasse sforzarsi di tenere insieme paesi e società diverse.
Ed era sicuro che con la Russia – allora Urss - si potesse
collaborare».
Viviamo un'epoca totalmente diversa. Come pensa che l'Avvocato
avrebbe giudicato questo mondo in guerra?
«Gianni pensava ieri e penserebbe oggi che ogni nazione ha un
impatto sulle altre. È molto importante non troncare mai il dialogo
per far sì che ciascun paese, anche se coinvolto in un conflitto,
abbia la certezza di poter tornare ad essere considerato buono».
Varrebbe anche per la Cina? «Credo di sì. Alla fine
della sua vita Gianni stava esplorando la possibilità di entrare in
Cina. Vi aveva anche aperto qualche stabilimento. Ma non mi ha mai
chiesto aiuto, nonostante io abbia ottime relazioni da quelle
parti».
Forse è per questo che i cinesi alla fine degli anni Novanta hanno
deciso di guidare Volkswagen (Kissinger ride e non commenta). Lei ha
detto che Agnelli è stato «un leader che ha sempre tenuto conto
delle relazioni internazionali». Un'eccezione nel mondo
dell'industria?
«Gianni si è dedicato molto alla causa atlantica e a quella europea,
ma credeva davvero nell'industria e nella nazione italiana. Una
volta stavamo parlando delle grandi istituzioni internazionali.
Eravamo d'accordo sul fatto che fossero utili, ma lui mi disse: "Io
sono un'istituzione nazionale". Voleva che la sua impresa
industriale avesse anzitutto un impatto nazionale. Italiano».
Oggi noi occidentali in Europa siamo in guerra con la Russia.
«Al tempo della nostra amicizia, l'Europa era ancora divisa in
occidentale e orientale. E c'era meno contatto fra quelle due parti.
Gianni aveva degli interessi in Russia sovietica e pensava che la
Russia fosse a tutti gli effetti parte dell'Europa. Siamo stati
anche qualche giorno insieme in Russia. Sfortunatamente oggi c'è la
guerra in Ucraina a mettere insieme Europa orientale e occidentale.
Io spero che questa cooperazione continuerà dopo la guerra».
Per lei la Russia è o non è parte dell'Europa?
«Il problema delle relazioni tra Russia ed Europa è dato dal fatto
che la Russia ha sempre ammirato l'Europa, suo modello culturale, ma
allo stesso tempo è sempre stata spaventata dall'Europa e
dall'Occidente in generale, perché ne è stata invasa più volte. La
Russia non è riuscita a decidere una volta per tutte se vuole vivere
nella speranza o nella paura. Io credo che, comunque finisca in
Ucraina, la Russia debba essere senza dubbio inclusa nel quadro
europeo. So che in questo momento non sembra molto probabile, ma
penso che il futuro sarà questo. E credo che Gianni avrebbe detto la
stessa cosa».
Lei crede che oggi, nel mondo di Internet e dell'intelligenza
artificiale abitato da oltre otto miliardi di umani, sia possibile
costruire un nuovo ordine europeo e mondiale? Non è utopia?
«L'intelligenza artificiale cambierà il mondo. Siamo solo agli
inizi. L'impatto sarà enorme. È come se fossimo nell'età
dell'illuminismo: sta emergendo un nuovo concetto di realtà. Il
problema, e la differenza con il XVIII secolo, è che l'intelligenza
artificiale è totalmente distruttiva. Non ci sono più limiti alla
capacità umana di distruggere. Ma ciò significa che, in un modo o
nell'altro, l'umanità dovrà rendersi conto che la pace è necessaria.
Duecentocinquanta anni fa, Kant disse che la pace sarebbe stata
raggiunta o grazie alla coscienza umana della sua inevitabilità o a
causa di catastrofi tali da non lasciare ulteriori opzioni. Lo penso
anch'io. Gianni sarebbe stato meno filosofico e più pratico. Io ero
più filosofico, ma penso che i nostri approcci fossero paralleli.
Avremmo avuto lo stesso obiettivo».
Parlando della sua amicizia con Gianni Agnelli, è inevitabile
ricordare la vostra comune passione per il calcio. Lei ha scritto
che ogni Nazionale gioca seguendo il carattere della sua nazione. Ne
resta convinto?
«La pensavo così, ma ormai il calcio ha trasceso la dimensione
nazionale. Ci sono squadre di diversi Paesi che comprano i giocatori
migliori, sicché la dimensione puramente nazionale del gioco è più
labile. Nel 1970 ero presente alla finale del Mondiale tra Italia e
Brasile, giocata all'Azteca di Città del Messico. Il Brasile fu
incredibile, ma l'Italia aveva un'organizzazione difensiva
magnifica. Difensiva nel senso buono: il modo di giocare dell'Italia
era puro Machiavelli! E penso che sia grazie a quel gioco che
l'Italia ha vinto il Mondiale del 1982. Ero a Madrid quel giorno, e
il presidente italiano voleva che io tornassi in Italia con lui per
i festeggiamenti. Purtroppo non potevo. Ma fu un gran giorno. Però,
guardi l'ultimo mondiale: i giocatori vanno da un paese europeo
all'altro, sicché la tecnica di gioco è ormai universale. Tutte le
grandi Nazionali giocano allo stesso modo. Non vincono per il loro
carattere nazionale. È solo questione tecnica.
Perché agli americani il calcio interessa poco?
«Ospiteremo la prossima Coppa del Mondo, quindi spero che gli
americani si appassionino al calcio. In generale, se guardi gli
sport americani, ti accorgi di come ogni giocata, ogni azione, possa
essere analizzata nel dettaglio. Puoi disporre di ogni tipo di
statistica. Gli americani amano questa cosa. Il calcio europeo è più
fluido. La bellezza del calcio europeo sta proprio nella sua
fluidità e nell'impossibilità di fare qualsiasi tipo di previsione.
Io e Gianni siamo andati a vedere molte partite insieme. In
qualunque posto ci trovassimo, controllavamo le partite che vi si
giocavano e andavamo a vederle».
Dottor Kissinger, lei è juventino?
«Certamente. Io tifo Juventus. Sono andato due volte a vederla
giocare la finale di Coppa dei Campioni. La Juve era parte della
vita di Gianni. Io ancora oggi ne parlo con John Elkann, suo nipote,
mio caro amico e, ovviamente, grande juventino».
IL SOLITO ASSALTO ALLA DILIGENZA DEI POLITICI: La discussione
sulla riforma della legge elettorale del Piemonte è fatta, certo, di
soglie di sbarramento, ripartizione dei seggi e parità di genere,
che deve essere introdotta per rispettare le disposizioni nazionali.
Qui si sta giocando lo scontro politico tra maggioranza e
opposizione. Restano però sottotraccia, le conseguenze, anche
economiche, di un'eventuale intesa politica che porti alla nuova
legge. Tra le norme proposta dalla riforma Mosca, dal nome del
consigliere della Lega che l'ha messa a punto, c'è infatti anche la
surroga temporanea che porta alla moltiplicazione delle poltrone del
parlamento subalpino. Anche la modifica dell'articolo 50 dello
Statuto regionale, proposta dal capogruppo di Fratelli d'Italia
Paolo Bongioanni, che prevede la possibilità di nominare quattro
sottosegretari, sul modello della Lombardia, va in quella direzione.
Il costo? Oltre un milione di euro in più all'anno di soldi pubblici
se ai mini-assessori venisse riconosciuta un'indennità piena da
consigliere senza incarichi che equivale a circa settemila euro al
mese netti. Una cifra che scende a 840 mila euro in caso di
indennità dimezzata.
Il tema dei maggiori costi della politica, comunque, non è finora
entrato nel confronto tra le forze politiche a palazzo Lascaris. Il
meccanismo della surroga alla francese proposto dal centrodestra non
sembra dispiacere al partito democratico. Anzi. Il motivo? Permette
a chi governa di aumentare i posti a disposizione: il consigliere
regionale che diventa assessore, infatti, viene sostituito per tutta
la durata del suo mandato da uno dei candidati non eletti del suo
partito. In base allo Statuto gli assessori interni sono otto e
verrebbero surrogati, senza però dimettersi dalla carica di
consigliere, da altri otto candidati. Anche sull'introduzione dei
sottosegretari il Pd non sembra intenzionato a fare le barricate.
Chi è impegnato nelle trattative racconta della disponibilità dei
dem alla nomina di un sottosegretario. La trattativa, insomma sembra
aperta.
Ma i consiglieri democratici, e con loro gli esponenti delle
formazioni minori del centrosinistra come la lista civica Monviso e
i Moderati (che alle prossime regionali potrebbero anche correre a
fianco del governatore Alberto Cirio in caso di ricandidatura, sono
pronti all'ostruzionismo sulle norme che fissano al 4 per cento la
soglia di sbarramento del singolo partito per entrare in consiglio
regionale e sul meccanismo di ripartizione dei seggi. «Ci sono molte
cose che non ci convincono», spiega il capogruppo Raffaele Gallo.
Chi segue il dossier racconta della disponibilità del centrodestra
di fissare al tre per cento la soglia di sbarramento. Contestato
anche il meccanismo indicato per la ripartizione dei posti a Palazzo
Lascaris: «C'è il rischio di creare un flipper come quello già visto
a livello nazionale, cioè verrebbero premiati territori rispetto ad
altri», spiega ancora Gallo. Parole che sembrano aver trovato più di
una sponda nel centrodestra.
Si vedrà. Quel che è certo è che il boccino in questa trattativa è
in mano alla minoranza. La riforma, infatti, per diventare legge, ha
bisogno di una doppia lettura in Consiglio regionale e, in caso di
approvazione potrebbe anche essere sottoposta a referendum su
richiesta di almeno dieci consiglieri regionali. Le nuove regole per
essere applicata alle elezioni regionali del 2024 deve essere
approvata in via definitiva entro giugno. In caso contrario si
voterà con la vecchia legge elettorale corretta, però, per garantire
la parità di genere. Il Piemonte, infatti, è l'unica regione a non
aver applicato la normativa nazionale. In assenza di accordo in
Consiglio regionale la modifica potrebbe essere introdotta per
decreto del presidente della giunta regionale. Se così non fosse
arriverà il commissariamento dello Stato come è già successo in
Puglia. —
25.01.23
IL VESCOVO CHE DICE :
Pinerolo, don Paolo Bianciotto nel mirino della Finanza per diversi
cospicui passaggi di denaro si indaga anche su un testamento. Le
accuse: circonvenzione e appropriazione indebita
Movimenti per 500 mila euro e il prete finisce nei guai
Se accertate, sono gravi le ipotesi accusatorie che hanno portato
all'iscrizione nel registro degli indagati un conosciutissimo
sacerdote di Pinerolo: circonvenzione e appropriazione indebita.
Don Paolo Bianciotto, il parroco ottuagenario che da 50 anni guida
la parrocchia di Madonna di Fatima, stando alle indagini della
Guardia di Finanza, ha gestito ingenti somme che sono transitate sul
suo conto personale.
Un tesoretto accumulato giorno dopo giorno con denaro che è arrivato
in parte dai suoi parrocchiani e in parte da una cospicua eredità
che era stata lasciata alla Nuova scuola Mauriziana di Torre Pellice
dove don Bianciotto era presidente.
«Si dovranno ricostruire i movimenti su un flusso di denaro di 500
mila euro, che il sacerdote afferma di aver dato sia in beneficenza
e sia prestato ad altri sacerdoti per far fronte ad importanti
interventi di riparazione nelle chiese, come ad esempio rifare il
tetto», ad affermalo è l'avvocato Simone Chiappori, che difende il
prete.
E se per una parte dell'inchiesta lo studio legale con il sacerdote
aveva ricostruito i movimenti di contanti, ora si è aggiunto un
capitolo nuovo e corposo che riguarda proprio i conti della
parrocchia dove ci sarebbero stati movimenti che sfiorano i 300 mila
euro. Da qui l'accusa di appropriazione indebita.
«Nomineremo un commercialista per tracciare i movimenti - dice
l'avvocato- ma sin da adesso posso escludere, come qualcuno aveva
detto, che i soldi siano finiti per far fronte alle spese di Villa
Plinia, un albergo che don Bianciotto aveva fatto costruire anni fa
a Pragelato».
L'inchiesta è partita dai controlli sull'antiriciclaggio che le
banche mettono in atto quando ci sono movimenti di denaro in
contanti per i quali è necessario tracciare la provenienza.
I conti del sacerdote e della parrocchia sono stati sequestrati
dalle Fiamme gialle, c'erano in tutto mille euro. In attesa della
chiusura dell'indagine, ciò che emerge per ora è un grande disordine
contabile: se per il lascito testamentario ci sono verbali e
bonifici, per tutto il resto servirà molto lavoro.
Increduli i parrocchiani che sono sicuri che non abbia intascato
nulla. C'è chi ricorda che in 50 anni questo prete ha fatto molto
per gli anziani e la comunità, costruendo anche un teatro. —
24.01.23
IL PREZZO MEDIO DOCUMENTA SE I DISTRIBUTORI SONO O NO SPECULATORI:
«Via le sanzioni» e
il tavolo col governo si riapre, dice Giuseppe Sperduto, presidente
di Faib Confesercenti. Che si appella a Giorgia Meloni: «Le ho
chiesto un incontro, nessuna risposta. Se questa è davvero la
"destra sociale" non può non capire che i benzinai sono con due
piedi nella fossa».
Cosa rispondete all'appello del ministro Urso?
«Le nostre richieste sono chiarissime, non fumose: eliminazione
delle sanzioni, non ci facciamo problemi del cartello.
Susseguentemente il tavolo emergenziale sui problemi che ci portiamo
dietro da anni. Lo sapevamo tutti che era impossibile continuare con
il taglio delle accise, perché così si ferma la macchina dello
Stato».
Quante possibilità ci sono di un accordo all'ultimo minuto?
«Io spero molte, ma non dipende da noi».
Da chi?
«Da Urso, Giorgetti, Mantovano. L'interesse della categoria non è
certo quello di fare scioperi selvaggi o creare disservizi per i
cittadini. Lo dimostrano i fatti. Noi di Faib festeggiamo 60 anni
quest'anno, non siamo una di quelle associazioni sorte dal nulla che
evoca il ministro Urso. Tante volte si scivola un attimo nel dialogo
perché non si rammenta qualcosa. Non mi permetto di dire che il
ministro ignori, ma molte volte si usano dei termini sbagliati, che
poi sono stati smorzati, ma hanno pesato».
Non avevate fatto pace?
«Passare per "speculatori" nell'applicare un prezzo alla pompa che
non lo decide il gestore? La categoria si risente, ma è abituata,
prende insulti in modo epocale. I benzinai, però, non hanno la coda
di paglia, non sono presuntuosi. Ma come dice il marchese del
Grillo, posso essere ancora un po' arrabbiato per l'ennesima
adempienza che non mi porta nulla?».
Parla del cartello con il prezzo medio?
«Basterebbe un Qr code. Il ministro Urso non può domandarsi come fa
la vecchietta di 80 anni, perché tanto a lei tra poco le tolgono la
patente».
Non le piace questo governo, giusto?
«Mi continuano a dire che sono contro questo governo, ne ho piene le
scatole, perché questo discorso lo facevamo anche con Draghi. Meloni
cita Garibaldi e dice "o si fa l'Italia o muore"? Bè, la categoria
dei benzinai è quasi morta e con tutti e due i piedi praticamente
nella fossa».
Lei ha chiesto un incontro a Meloni, ha avuto risposta?
«Magari ci fosse la possibilità, ma non mi ha chiamato nessuno».
Cosa le direbbe?
«Siamo una categoria seria ed essenziale, come i farmacisti o gli
alimentari. Sotto il Covid abbiamo preso le mazzate, qualche
benzinaio ci ha rimesso la pelle. Se questa è davvero la "destra
sociale", non può non capire cosa sto dicendo. Non parlo di
marziani, ma di cose concrete».
E' UNA ABITUDINE? Joe Biden ci è cascato di nuovo. Altri sei
documenti classificati sono stati trovati da un team del
dipartimento di Giustizia americano, dopo una perquisizione di 13
ore nella sua residenza privata in Delaware. Una scoperta che come
le altre al momento non ha alcuna rilevanza penale e resta assai
diversa dalla vicenda di Donald Trump ma che tuttavia continua a
imbarazzare Biden . È stato l'avvocato personale del presidente, Bob
Bauer, a comunicare ai media della perquisizione nella casa di
Wilmington attraverso un comunicato molto dettagliato. La ricerca
degli agenti dell'Fbi è iniziata venerdì mattina alle 9.45 e si è
conclusa attorno alle 22.30. «Il dipartimento di Giustizia ha
portato via il materiale che riteneva rilevante per la sua indagine,
inclusi sei documenti contrassegnati come classificati», ha spiegato
il legale, precisando che alcune delle carte portate via dai
federali risalgono al tempo in cui Biden era senatore, dal 1973 al
2009, altre al periodo in cui era il vice di Barack Obama. A questi
anni sono riconducibili anche alcuni appunti scritti a mano
sequestrati assieme ai documenti governativi. Al di là dell'esigua
quantità di nuove carte trovate, questa è la quarta scoperta di file
governativi impropriamente conservati dal presidente in soli tre
mesi. La prima lo scorso 2 novembre, quando furono trovati in un
ufficio utilizzato dall'allora vicepresidente presso un think-tank
di Washington. Quindi il 20 dicembre altri ritrovamenti nella casa a
Wilmington, e sempre qui il 12 gennaio è spuntato un altro
documento. All'ultima perquisizione erano presenti gli avvocati di
Biden, che si trova con la First Lady Jill poco lontano, nella loro
casa a Rehoboth Beach. Un atteggiamento di disponibilità e
trasparenza che, per i sostenitori, differenzia l'inquilino della
Casa Bianca dalla ritrosia e le bugie raccontate da Trump. —
UN PADRE CHE DIFENDE L'INDIFENDIBILE : «È stato
bellissimo, dovremmo rifarlo». Nei ricordi sbiaditi dall'alcol della
studentessa ventiduenne americana ci sono anche queste parole.
Mattia Lucarelli, il calciatore 23enne del Livorno, ora ai
domiciliari per violenza sessuale di gruppo con il compagno di
squadra Federico Apolloni, le ha usate per salutare la ragazza la
mattina del 27 marzo scorso. Oggi suonano come un insulto, l'ultimo,
quando dopo gli abusi e le umiliazioni della notte, si è deciso a
riaccompagnarla a casa.
La vittima lo chiedeva da ore, da quando si era infilata in quella
stessa auto, completamente ubriaca, dopo una serata con un'amica al
Gattopardo di Milano. Quando è stata agganciata dai ragazzi
all'uscita, già non si reggeva in piedi. Racconterà il responsabile
della sicurezza della discoteca: «Alle 4. 20 l'ho notata sdraiata
sulla carreggiata che rideva circondata da alcune persone che
l'hanno aiutata a rialzarsi». Cercava un taxi, un passaggio e ha
trovato Lucarelli e i suoi quattro amici.
Di quella notte, quando il 4 aprile formalizzerà la denuncia negli
uffici della Squadra mobile di Milano, la vittima ricorderà solo
flash «forse a causa di qualcosa che mi hanno fatto bere, ma
ovviamente non ricordo». Tutte le volgarità e le risate che i
ragazzi si sono scambiati in auto prima di arrivare nella casa di
Lucarelli, dove si sono consumate le violenze, «incitandosi a
vicenda» e «trattandola come un oggetto» scriverà il gip Sara
Cipolla nell'ordine di cattura, sono nei video sequestrati dagli
investigatori: «Se puta caso entri in casa è la fine… Io spero
succeda qualcosa prima che tu entri in casa» e altre parole
irripetibili e oscene che descrivono puntualmente la violenza di
gruppo che gli indagati stavano per compiere. E che la vittima
neanche capiva, perché non conosce l'italiano.
Poi, con la telecamera del cellulare accesa, sono arrivati gli
abusi: «Non volevo assolutamente avere rapporti sessuali quella sera
con nessuno di loro, tantomeno avere un rapporto sessuale di gruppo.
Gli ho detto che ho un ragazzo, ho detto di no, che questo non
poteva succedere», come la vittima ripeterà in sede di incidente
probatorio. «Muovevo la testa, continuavo a dire di no che avevo un
ragazzo. E loro mi hanno detto: "Se ti ama comunque dov'è lui? " ».
Ci sono voluti giorni perché la ventiduenne si decidesse a chiedere
aiuto, a denunciare. Un amico che le è stato accanto racconta di
come piangeva ed era molto dispiaciuta perché aveva perso il
controllo del proprio corpo: «Lei non voleva essere in quel luogo ma
lo era perché quelle persone glielo avevano imposto». E ancora,
mette a verbale un'amica della ragazza: «Ha continuato a piangere
per molto tempo. Per lo choc era in stato confusionale. Mi ripeteva
che era come se il suo corpo non le appartenesse più, qualcun altro
se ne era impossessato senza il suo consenso».
A MILANO TANTE PAROLE MA I POVERI MUOIONO: «In strada si
muore per colpa dell'incapacità di gestire le emergenze. Il freddo
arriva dopo». Luigi Agarossi, coordinatore dei City Angels di
Milano, fotografa la situazione dei senzatetto dopo la morte del
clochard nel sottopassaggio della stazione Centrale, due giorni fa.
Cosa succede a Milano?
«Che esistono diverse lacune nella gestione di queste emergenze, i
dormitori non sono sufficienti e noi come City Angels facciamo quel
che possiamo. Non voglio accusare nessuno: con il Comune c'è grande
collaborazione come da molti anni a questa parte, ma ci sono cose da
migliorare».
Per esempio?
«Snellire la burocrazia sarebbe un primo, importante passo. Dare la
possibilità a noi che operiamo in strada fino a mezzanotte di
trovare un ufficio municipale aperto per consentire a chi ne ha
bisogno di registrarsi e accedere ai dormitori comunali o a quelli
delle associazioni».
Quanto influisce il freddo sulla situazione dei senzatetto?
«Sicuramente è una difficoltà in più. Le coperte e i sacchi a pelo
non sono mai abbastanza, come i luoghi in cui rifugiarsi. Il
mezzanino della stazione è pieno, come altre strutture
d'accoglienza. Molti non hanno altro posto dove stare se non
all'addiaccio. E quando le temperature scendono, basta essere più
fragili dal punto di vista clinico per patire il freddo anche fino a
morirne».
L'umanità che c'è in strada è cambiata rispetto a qualche anno fa?
«Assolutamente sì. Rispetto a dieci anni fa troviamo persone
divorziate che hanno perso la casa, giovani rider che con quello che
guadagnano consegnando panini non possono permettersi un affitto.
Gente che al mattino ripiega la propria coperta e si guadagna la
giornata».
Cosa fanno per tutti loro i City Angels?
«Portiamo coperte, sempre e a tutti. Distribuiamo vestiti e intimo -
rigorosamente nuovo perché le persone hanno una dignità, anche se
non hanno un tetto - e cibo. Non diciamo mai di no a nessuno ma
certe volte quello che facciamo non basta»
23.01.23
PAURA DI GIUSTIZIA : In
riferimento all'intervista pubblicata su La Stampa di ieri, non ho
mai detto che «le mie indagini furono totalmente ostacolate. Pensai
non lo volessero prendere». Ho condotto per otto anni insieme ai
miei colleghi indagini che sono sfociate in numerosi e importanti
provvedimenti cautelari. «Ogni volta che si alzava il tiro, per
esempio sulla massoneria, in molti cominciavano a non crederci più»
. Questo tipo di indagini è stato condotto da me una sola volta, sul
finire della mia esperienza di aggiunto. Ciò in quanto il
Procuratore ed i miei colleghi, al contrario di me sul capitolo
massoneria, non ritenevano più credibile il collaboratore da cui le
relative indagini erano scaturite. Le modalità della riunione in cui
tale discussione fu affrontata mi offesero molto. Uno stop alle
indagini fu dato solo quando dal Procuratore e dal gruppo di
colleghi agrigentini venne arrestato Leo Sutera , personaggio
indispensabile alle mie indagini con il Ros, circostanze di cui il
giornalista parla correttamente. Non è vero che andai via dalla
Procura di Palermo perché, visto l'atteggiamento tenuto nei miei
confronti in quella riunione, «non ritenevo ci fossero più le
condizioni per rimanere»; in realtà erano scaduti gli otto anni in
cui avevo svolto la funzione di Aggiunto. Vero è che da quel momento
al momento in cui mi venne conferito altro incarico alla Procura
Nazionale non mi recai più in Ufficio.
22.01.23
MAFIA-MAGISTRATURA: "Le mie
indagini furono ostacolate pensai non lo volessero prendere"
Teresa Principato
La denuncia
Le priorità
La massoneria
dall'inviato a palermo
Il ricordo è sofferto, ma autentico. E oggi come allora è una
bordata. Testuale: «Le indagini sulle ricerche di Matteo Messina
denaro furono totalmente ostacolate. Ogni volta che si alzava il
livello, ad esempio sulla massoneria, in molti, e fu per me una
grossa delusione, non dico che avessero paura ma cominciavano a non
crederci più (per esempio sui collaboratori che stavamo sentendo)
nonostante in otto anni di lavoro alla Dda di prove sulla mia
professionalità ne avessi seminate. E gli ostacoli furono frapposti
nonostante gli scenari della cattura fossero molto promettenti. Sia
io sia altri colleghi cercammo di convincere il procuratore a
fermare i colleghi del gruppo agrigentino che volevano procedere
all'arresto di un boss che secondo noi ci avrebbe portato dal
ricercato. Avrebbero vanificato tutto. Anche i carabinieri del Ros
ci parlarono. Invano».
Eccola qui Teresa Principato, magistrato in pensione dal gennaio
2022. È la donna che più di tanti altri in passato ha dato la caccia
a Messina Denaro divenendo – ob torto collo – la biografa
(investigativa) della sua latitanza. Nove anni di lavoro su piste
estere e italiane cadute sul più bello, al miglio decisivo, sul più
grande fantasma degli ultimi 20 anni. L'addio alla procura di
Palermo nel 2018 e il passaggio alla direzione nazionale antimafia
per quattro anni, sono l'appendice di una vita in magistratura.
Dottoressa, lasciò volontariamente la procura di Palermo?
«Considerato l'atteggiamento tenuto nei miei confronti da alcuni
colleghi e responsabili dell'ufficio giudiziario dell'epoca me ne
andai via, insalutata ospite. Non ritenevo ci fossero più le
condizioni per rimanere».
Con quale stato d'animo se ne andò da Palermo?
«Mi costò molto. Ero arrabbiata, delusa. Tanto da pensare che non ci
fosse la reale volontà di catturare il latitante. Lo credevano anche
altri miei colleghi e diversi investigatori».
Ma di che storia sta parlando?
«Della storia di un'indagine stoppata della quale ho cercato anche
di dimenticare alcuni particolari».
Ce li racconti e – se ritiene – ometta il meno possibile.
«Seguivamo un capomafia, Leo Sutera. Appena uscito dal carcere
incontrò Messina Denaro. Aveva anche il compito di farlo incontrare
con due mafiosi palermitani. Fotografammo Sutera in un casolare
mentre da sotto una pietra estraeva un pizzino del latitante. Lo
lesse e lo rimise al suo posto».
Sutera si accorse di qualcosa?
«No, quell'indagine fu molto costosa e fu la prima volta che
utilizzammo i droni in Italia in un'indagine antimafia. Eravamo
tutti certi che ci avrebbe potuto portare da Messina Denaro».
E invece?
«Invece i colleghi che investigavano sul territorio agrigentino
volevano arrestarlo in un'altra operazione, ma cosi ci avrebbero
bruciato».
Logica vorrebbe...
«Che l'esecuzione di quelle misure cautelari venissero ritardate. Ne
parlai col procuratore capo di allora
(Francesco Messineo, ndr). Cosa le disse il vertice dell'ufficio? «Mi chiese se fossi certa,
del contenuto delle intercettazioni consegnatemi dal Ros. Confermai,
ma non si convinse e successe un'altra cosa strana».
Quale?
«Seppi che poco dopo, in quei giorni, si recò in aula bunker dove
venivano effettuate le intercettazioni sulle ricerche del boss.
Chiese a un ufficiale di sapere se ve ne fossero di interesse».
Insolito?
«Abbastanza».
Parlò coi colleghi della vicenda?
«Lo dissi direttamente al procuratore capo cercando di dimostrare
che più stringente della cattura degli agrigentini era il fermo del
latitante».
Cosa le risposero?
«Mi disse: ce la fai a prendere Messina Denaro in una settimana?
Sennò li arrestiamo tutti perché la popolazione non può continuare a
subire questo gruppo mafioso e senza Sutera non ha senso,
l'operazione perde efficacia».
Un grado di urgenza giustificato secondo lei?
«Ma si figuri. Il mio giudizio non poteva che essere diverso, per me
era preminente la cattura del latitante. Tolto Sutera, peraltro,
erano personaggi di relativa importanza. Tra parentesi poi il gip
non convalidò nemmeno alcuni di quegli arresti».
Lei portò la vicenda al Csm...
«E fui sentita dal Consiglio».
Cosa disse?
«Tutto quello che era successo, ma non ricordo se la pratica aperta
abbia sortito alcun risultato».
Le arrestano l'unico uomo che poteva portarla a Messina Denaro...
«Non solo».
Cos'altro?
«Poco tempo dopo arrestarono anche i due mafiosi palermitani che
dovevano essere condotti dal latitante».
Cosa pensò? Ce lo dica con franchezza.
«Pensai che l'indagine fosse stata totalmente ostacolata, che la
cattura non fosse ritenuta prevalente e che sarebbe stato
impossibile ricominciare daccapo».
«Ripartimmo con enorme fatica dalla massoneria».
Dove la portò la pista dei notabili?
«Ovunque, e poi tenga conto che Trapani ha il record di logge
coperte e non...».
Esito finale?
«L'inchiesta condusse ad evidenze di logge cui erano iscritti
questori, medici poliziotti. Indagammo col Gico ma non fu facile
nemmeno stavolta».
Cosa complicò il lavoro?
«Si sollevavano dei dubbi sul collaboratore che ci stava portando
dentro quelle storie, che ritenni fondate in generale, ma non sulla
pista massonica di cui lui faceva parte. Mi ritrovai in una riunione
senza nemmeno il consenso dei colleghi. Completamente sola e,
inascoltata ospite, decisi di andare via in anticipo».
Nei giorni scorsi Leo Sutera, l'uomo che le hanno arrestato a un
passo da Messina Denaro, è stato condannato in Cassazione...
«Una magra consolazione direi».
E Messina Denaro è stato preso...
«Non credo si sia consegnato. Certo – senza nulla togliere al lavoro
di alcuni – era stanco, aveva abbassato le difese. Lei se lo vede
uno che per prudenza non incontra mai la figlia per 20 anni mettersi
in coda per fare un tampone?».
Se la mette così non direi...
«E poi aveva forti rapporti politici. Pensi alla storia di D'Alì (ex
sottosegretario agli interni forzista, condannato per concorso
esterno in associazione mafiosa anche per aver favorito la famiglia
del latitante, ndr)».
Ebbene?
«Il padre di Messina Denaro era il campiere della famiglia del
politico. D'Alì ha fatto assumere in una delle sue banche il
fratello dell'ex latitante e un Prefetto che voleva togliere dalle
grinfie della mafia un'azienda fu fatto trasferire sempre da lui,
cosi come il capo della squadra Mobile Giuseppe Linares».
E questo cosa le fece capire?
«Mi fece riflettere sulla possibilità della mancata realizzazione di
altre indagini sulla cattura che in quegli anni andarono a monte»
SIMBOLO DI ARROGANZA ED INGORDIGIA: Depositate le motivazioni
della condanna in appello dell'ex presidente della sezione misure di
prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto. In tutto 1.214
pagine in cui i giudici si soffermano su «un accordo corruttivo» tra
Saguto e il re degli amministratori giudiziari, Gaetano Cappellano
Seminara. Il processo sul cosiddetto «sistema Saguto» si è concluso
nel luglio 2022. Condannata a 8 anni e 10 mesi, Saguto avrebbe
gestito in modo clientelare, in cambio di denaro e favori, le nomine
degli amministratori giudiziari dei patrimoni sequestrati e
confiscati alla mafia. Nel corso del processo, Saguto era stata
radiata dalla magistratura dal Csm. La nomina di Cappellano Seminara,
si legge nelle motivazioni della sentenza, «prescindeva da ogni
valutazione circa la convenienza e l'opportunità per la
realizzazione dei fini propri della procedura e si inseriva, invece,
nell'ambito del rapporto di scambio di utilità intercorso tra il
magistrato e il professionista». E lo dimostrerebbe il fatto che «la
principale fonte di reddito di Lorenzo Caramma, coniuge del
magistrato, negli anni dal 2006 al 2015, siano stati proprio i
compensi corrispostigli da Cappellano Seminara, quale sia libero
professionista che amministratore giudiziario». Saguto, scrivono i
giudici, era mossa da uno «spasmodico desiderio di assicurare alla
propria famiglia un tenore di vita molto più elevato delle proprie
possibilità».
IL VERO PRODOTTO DI CALENDA : «L'ennesimo schiaffo ai
lavoratori». Parola dei sindacati. L'intenzione di patteggiare a tre
anni di reclusione anticipata dai manager di Ventures Srl durante
l'udienza preliminare sul caso Embraco è «inaccettabile». E non
solo. Il patteggiamento non è subordinato al risarcimento. «Ci
saremmo aspettati almeno una proposta simbolica, che non c'è stata»,
commenta l'avvocato Andrea De Carlo. Rappresenta la Uilm, che con la
Fiom e una trentina di lavoratori ha chiesto di costituirsi parte
civile.
La vicenda ruota intorno alla bancarotta fraudolenta della Ventures
Srl. Nel 2018, la società si era offerta di rilanciare il polo
industriale di Riva presso Chieri, nel torinese, che la
Whirpool-Embraco aveva intenzione di chiudere. Progetto fallito. E
per il pm Marco Gianoglio, che ha coordinato le indagini, i manager
avrebbero «distratto, occultato, dissimulato e dissipato» milioni di
euro. Insomma, parte dei soldi destinati alla reindustrializzazione
del sito sarebbero finiti su «conti correnti e impieghi personali
degli indagati», dispersi «in rivoli che nulla hanno a che vedere
con la continuità aziendale e la salvaguardia dei livelli
occupazionali».
A processo, difesi dall'avvocato Ivan Colciago del foro di Milano,
finiscono Gaetano Di Bari, presidente del Cda di Ventures dal 12
febbraio 2019 al 23 luglio 2020, la figlia Alessandra,
amministratrice unica dal marzo 2018 al febbraio 2019, il figlio
Luigi, procuratore speciale, e Carlo Noseda, consulente. Vogliono
patteggiare, con parere positivo della procura. In alternativa,
opteranno per il rito abbreviato. «Un'offesa. Al danno economico, si
aggiunge il danno alla dignità. L'ennesimo schiaffo per queste
persone che hanno sofferto per cinque anni e continuano a soffrire»,
sbotta Ugo Bolognesi della Fiom Torino. Il patteggiamento? Vito
Benevento della Uilm Torino non utilizza mezzi termini: «Una beffa
per i lavoratori. La proposta, poi, non è subordinata a un
indennizzo».
Un risarcimento è alquanto improbabile. «Di fondi non ce ne sono».
Questo il tenore della discussione, ieri, a Palazzo di Giustizia di
Torino. Ed è vero. Già i sequestri della guardia di finanza durante
le indagini, tra cui tre Audi e due Bmw dal valore di cinquantamila
euro ciascuna, avevano mostrato una situazione economica disastrosa.
L'amarezza, però, resta. E i 13 ex dipendenti, rappresentati
dall'avvocata Sara Franchino, non la nascondono. « Devono
consentirci di affermare i nostri diritti, altrimenti ci privano
anche della dignità». E ancora: «Siamo cittadini che hanno
ingiustamente perso il posto di lavoro. Chiediamo solo che lo Stato
ci riconosca il diritto di poter fare una vita decente. Invece siamo
finiti nel dimenticatoio».
HA CREDUTO A CALENDA :Gianluca Ugliola è
uno di quelli che non ha mai mollato, sempre in prima fila alle
proteste. E anche ieri mattina era lì in Tribunale a Torino per la
prima udienza contro i manager della Ventures: «A prendermi
l'ennesimo schiaffo» dice mentre si stringe nel vecchio giaccone e
calca il berrettino di lana sulla testa ché il vento stamattina tira
più freddo del solito. Lui è tra i trenta operai ex Embraco che si
sono costituiti parte civile e che ora rischia di non avere alcun
risarcimento: «Eppure quale danno più grande potevano farci? Ci
hanno tolto trent'anni di lavoro e sacrifici. Di giorni e notti alla
catena di montaggio. Essere scippati così è inaccettabile».
Gianluca Ugliola è molto amareggiato: «Vuole sapere cosa penso
davvero? Tanti sono a conoscenza di questa pentola di fango, ma
nessuno si prende la responsabilità di scoperchiarla». Ugliola ha
sempre creduto nel lavoro: «Ho lavorato per 27 anni in Embraco,
prima ho fatto il cassiere in un boowling. Mai un giorno di mutua.
Mai. E a cosa mi è servito? Niente, non riuscirò nemmeno ad avere la
pensione, se continuo a non lavorare». Ugliola non si arrende:
«Mando 4-5 curriculum al giorno, ne ho mandati centinaia». E poi fa
corsi, «tutto quello che posso pur di trovare un lavoro». L'ultimo
corso che ha fatto è stato a dicembre: «Era un corso delle politiche
attive del lavoro per gestione magazzino e rilascio patentino per il
muletto. Di gestione magazzino mi occupavo già in Embraco, ma non
avevo mai preso la patente. Così ho ottenuto una cosa in più. Ho
fatto anche il certificato di sicurezza lavoro. E ora continuo a
cercare. Mi sono scritto a otto agenzie interinali. Non chiedo
chissà che stipendio, il giusto. Ma voglio lavorare».
L'ostacolo è soprattutto l'età: «Spesso mi dicono che ho un ottimo
profilo ma che 55 anni sono troppi. E cosa posso farci io? Non ho
più diritto ad avere un lavoro?». Non va meglio agli altri suoi
colleghi: «So che la maggior parte prende incarichi per un mese,
due, tre mesi. Poi di nuovo a casa. Qualcuno ha anche provato a
mettersi in proprio, ma in questo periodo è complicato».
Ugliola sta perdendo la salute: «L'ansia mi distrugge, mi sveglio di
notte e penso a cosa farò tra pochi mesi quando la Naspi finirà e
non avrò più niente. Non riesco a dormire più di tre o quattro ore
al massimo ogni notte». Con quello che riceve al mese sopravvive:
«Vivere è un'altra cosa, riesco a mangiare, pago le bollette, anche
se spesso tengo il riscaldamento spento». Ma vivere appunto è
un'altra cosa: «Da anni non so cosa sia una vacanza, una cena fuori,
anzi nemmeno una pizza». Ha dovuto rinunciare anche al cinema, la
sua grande passione: «Non posso più andarci, il biglietto è troppo
caro. Gli extra sono banditi dalla mia vita».
Ai corsi Ugliola e altri ex Embraco si trovano fianco a fianco con
ragazzi neo diplomati, che potrebbero essere i loro figli: «Così ti
chiedi dove sei finito, che alla tua età dovresti seguire solo i
corsi di aggiornamento in azienda. Io voglio giustizia, questa gente
ci ha scippato il lavoro e con esso la dignità di uomini. Cosa c'è
di più grave?». Gli si velano gli occhi quando ricorda gli anni di
lavoro in Embraco: «Stavo bene, il lavoro mi piaceva, mai un
dissidio o una parola di troppo con i colleghi o i superiori. Chi
avrebbe immaginato che sarebbe finita così? Ora mi sveglio al
mattino, mi guardo allo specchio e dico: adesso cosa faccio? Poi
vado di là, accendo il computer e mando le solite 4 o 5 mail con il
curriculum. Dopo esco, passo dalle persone che conosco e chiedo,
chiedo sempre se sanno di qualcuno che offre lavoro. Questa è la mia
giornata, ma si può vivere così? Mi occupo anche dei miei genitori,
che sono anziani. Li accompagno alle visite, faccio le commissioni.
Per fortuna si fanno bastare la pensione, dovessi aiutarli non
saprei come fare. E me ne vergogno». Poi chiude gli occhi: «Non
dormo più, non riposo più. Lo sa quante volte ho pensato di farla
finita?»
UN ERRORE GRAVIDO DI CONSEGUENZE: Giorgia Meloni ha una nuova
mina innescata con Bruxelles: le concessioni balneari. Come nel
giorno della marmotta, nonostante una sentenza inappellabile del
Consiglio di Stato, una della Corte di giustizia europea, una
procedura di infrazione aperta sin dal 2009 e canoni risibili a
fronte di profitti spesso enormi, tutti i partiti della maggioranza
sono compatti nel chiedere di fermare la scadenza che imporrebbe
l'obbligo di messa a gara delle concessioni dal primo gennaio 2024.
Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia, pressati dalla lobby del
settore, hanno presentato tre emendamenti al decreto "Milleproroghe"
in discussione al Senato. E lo hanno fatto a poche ore da un
incontro (giovedì) del ministro degli Affari comunitari Raffaele
Fitto con il commissario europeo Thierry Breton. Fitto, che deve nel
frattempo sta trattando con la Commissione le modifiche al Piano
nazionale delle riforme (Pnrr), è stato costretto a discutere con il
francese anche di questo. In queste ore fra Roma e Bruxelles è in
atto un tentativo di mediazione per evitare una rottura.
L'approvazione di un qualunque emendamento di stop alla riforma
farebbe decadere la legge delega voluta dal governo Draghi in
scadenza il 27 febbraio.
Meloni è fra l'incudine e il martello. Da una parte ha la
maggioranza compatta nel difendere le ragioni dei balneari,
dall'altra l'Unione, con la quale ci sono aperti molti dossier, dal
Pnrr alla riforma del Patto di stabilità. L'introduzione delle gare
nelle concessioni balneari non è fra gli impegni del Pnrr, ma ha
un'enorme rilevanza politica: il sì ad uno solo degli emendamenti
sarebbe vissuto a Bruxelles come un atto di provocazione. Prova ne è
l'atteggiamento che aveva avuto sul tema Mario Draghi, che a governo
dimissionario spinse per fare procedere la mappatura delle
concessioni e nonostante la minaccia di dimissioni dell'allora
ministro leghista del Turismo Massimo Garavaglia. Ora nella poltrona
di Garavaglia siede Daniela Santanché, fino a poche settimane fa
titolare di una quota del Twiga di Forte dei Marmi. La ministra ha
deciso di cedere le competenze al collega Nello Musumeci, ma è
indicata dalle opposizioni come la regista delle operazioni.
Le cronache che arrivavano ieri dal Senato (il testo è in dicussione
in Commissione) raccontano bene il clima all'interno della
maggioranza. Per dare forza agli emendamenti Lega e Forza Italia li
hanno sottoscritti reciprocamente. Promettono «massima attenzione al
settore» il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo e il
forzista Maurizio Gasparri. La comunicazione di Fratelli d'Italia è
invece più cauta: «Sappiamo che c'è un'interlocuzione con l'Europa
per trovare una soluzione», dice Lavinia Menunni. L'appiglio legale
per fermare le gare lo spiega il presidente dell'associazione di
categoria di Confesercenti, Maurizio Rustignoli: «Occorre verificare
con la mappatura delle concessioni se c'è o meno scarsità delle
risorse, ovvero delle aree demaniali già censite come insediamento
turistico ma non ancora assegnate, perché la direttiva Bolkestein va
applicata se c'è scarsità». Detta in sintesi, per i balneari la
soluzione sarebbe ridurre ulteriormente il numero delle spiagge
libere. Nella delega voluta dal governo Draghi l'assegnazione
tramite gara dovrebbe essere preceduta da una mappatura delle
concessioni attraverso un sistema informatico istituito al Tesoro
solo pochi giorni fa.
21.01.23
L'ELEMOSINA DEL RE : Nel
Regno Unito prosegue il braccio di ferro tra lavoratori e governo su
aumenti salariali e pensioni. Ieri per il secondo giorno migliaia di
infermieri e paramedici hanno incrociato le braccia. A scioperare
per 12 ore un quarto del personale sanitario degli ospedali e delle
cliniche inglesi. Il sindacato degli infermieri ha chiesto un
aumento salariale del 5% rispetto all'inflazione. Intanto il
sindacato Gmb ha annunciato che 10mila operatori di ambulanze e
altro personale sanitario il 6 e 20 febbraio e il 6 e 20 marzo. Pat
Cullen, capo del sindacato Royal College of Nursing, ha esortato i
funzionari della sanità a «riunirsi intorno a un tavolo e fermare
gli scioperi per non dover continuare a febbraio». Ma le proteste
nel Regno Unito non si fermano qui. Da dicembre molte categorie sono
in agitazione: il personale delle università ha scioperato per i
tagli agli organici e la revisione al ribasso delle pensioni. Anche
i dipendenti governativi, compresi - ironia della sorte - quelle del
ministero del Lavoro hanno scioperato, così come gli impiegati delle
Poste e i doganieri negli aeroporti durante il periodo natalizio. Il
premier Rishi Sunak mantiene la linea dura: no agli aumenti
salariali perché renderebbero cronica l'inflazione. E prepara una
stretta al diritto di sciopero per preservare i servizi essenziali.
Preoccupato per l'escalation delle tensioni, ieri il re è sceso in
campo. Carlo III pensa di offrire donazioni ai sudditi più
bisognosi, tagliando una parte cospicua dei profitti del patrimonio
di casa Windsor.
LA MAFIA E' UN PRODOTTO DEL TERRITORIO: Tolti i giornalisti,
i poliziotti e i bambini al seguito, ci sono 24 persone.
Ventiquattro adulti sotto casa della famiglia Messina Denaro a
Castelvetrano per sventolare un foglio bianco come simbolo di un
nuovo inizio. «Non è andata bene, mi aspettavo tutt'altra
partecipazione».
Giuseppe Cimarosa è il nipote del boss. Da dieci anni rischia la
vita per essere un uomo libero. «Ho rinunciato al programma di
protezione perché avrei dovuto cambiare nome e andare via da qui. Ma
sono i mafiosi quelli che se ne devono andare». È stata sua l'idea
di questa manifestazione, con riferimento preciso a quello che
definisce «il suo idolo»: «Peppino Impastato andava a gridare sotto
casa dei mafiosi, noi ci accontenteremo di andare a dire che sta
iniziando una nuova era. Oggi festeggiamo la cattura di Matteo
Messina Denaro».
Ha scritto su Facebook invitando i suoi concittadini. Ha telefonato
al sindaco chiedendo aiuto, si trattava di fare passare l'invito
anche in modo istituzionale. Appuntamento alle quattro di pomeriggio
in piazza Ruggero Settimo, parte vecchia della città, nel quartiere
«Badia», quello che ha dato i natali a Matteo Messina Denaro. In via
Alberto Mario c'è la casa d'infanzia, in via Luigi Cadorna quella
dove ancora vive la madre con altri parenti. Ma la piazza è vuota.
Qualcosa non ha funzionato. Il sindaco tarda a arrivare, nemmeno ha
fatto chiudere la strada al passaggio delle auto come si fa per le
manifestazioni importanti.
Ci sono quattro consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle e gli
amici della vita di Giuseppe Cimarosa. Fa il regista di un teatro
equestre, ha un maneggio nelle campagne: le 24 persone sono quasi
tutte legate a queste attività. Probabilmente l'unica cittadina
arrivata per motivi indipendenti dagli affetti personali si chiama
Maria Trinceri, operatrice del patronato dell'Acli in sostegno ai
disoccupati. «Sono triste. Siamo in pochi. Forse le persone sono
stanche e sfiduciate, forse non credono più nella legalità. Non lo
so. Ma so che questa città è morta: non c'è lavoro, i ragazzi vanno
via e restano i vecchi».
Citofonare a casa Denaro è un puro esercizio di stile. Le telecamere
riprendono la strada. Non risponde mai nessuno. Da giorni, da anni.
Cimarosa è contornato dai microfoni. Una inviata del quotidiano «La
Vanguardia» di Barcellona gli domanda di spiegare meglio: «La
parentela con Messina Denaro mi ha guastato tutta la vita. Ho sempre
dovuto giustificarmi e lottare per togliermi di dosso questo
marchio. Non si possono scegliere i parenti. Io sono figlio di un ex
mafioso che ha commesso degli errori gravi, ma ai quali ha rimediato
collaborando. La sua decisione è arrivata anche grazie alle mie
pressioni».
Il nipote del boss è cresciuto qui. In questo stesso quartiere. È il
figlio di Rosa Filardo, cugina di primo grado, e di Lorenzo Cimarosa,
detto anche «il bancomat» di Matteo Messina Denaro. «Sì, mio padre
aveva vinto un appalto per le pale eoliche. Gonfiava le fatture per
fornire soldi. Ha sbagliato gravemente, ma prima di morire ha
cambiato vita. Anche mia madre ha lottato per convincerlo a
collaborare con la giustizia».
Sono quasi le quattro e mezza. La piazza non si riempie. C'è Nicola
Morra, già senatore dei 5 Stelle: «Giuseppe combatte una battaglia
difficile. Tutti dobbiamo stare al suo fianco. Abbiamo chiamato il
sindaco e ci ha assicurato la sua presenza. Speriamo…». Eccolo,
arriva il sindaco Enzo Alfano: «Non è stato possibile organizzare
meglio la manifestazione di oggi, perché avevamo già organizzato la
manifestazione di ieri con gli studenti delle scuole. E adesso
basta: non vogliamo più essere associati a un latitante. Questa
città ha ripudiato la mafia da tantissimi anni». Scusi? Quando si fa
notare al sindaco che ogni giorno vengono fuori nuovi nomi di
fiancheggiatori e covi usati per la latitanza, tutti in questa zona,
allora cambia faccia: «Il potere si esercita in presenza. Non sono
stupito dalle notizie che stanno emergendo. Probabilmente Matteo
Messina Denaro è sempre stato qui in questi trent'anni».
Davanti a casa del boss, oggi, ci sono 24 cittadini di Castelvetrano
a cui si aggiunge Luisa Impastato, la nipote di Peppino. Don Rino
Randazzo fa suonare a festa le campane della chiesa. La psicologa
Simona Puleo si guarda intorno: «Speravamo di essere in tanti. Forse
c'è troppo trionfalismo. Quando si tratta di venire qui, in un
preciso posto simbolico, i cittadini di Castelvetrano si defilano».
Quelli che ci sono vanno dentro uno squarcio di sole. Sventolano
fogli bianchi. Qualcuno piange di commozione. Scandiscono queste
parole: «Castelvetrano è nostra, non di Cosa nostra». Le auto
sfilano e tirano dritto. Nessuno si aggiunge in ritardo. «È andata
male, ma torneremo. Faremo altre manifestazioni», dice Giuseppe
Cimarosa. «Mi sono stancato di questa retorica sui giovani, sulle
nuove generazioni, sul futuro. Se qui non cambiano gli adulti, nulla
cambierà.
LE ACCUSE SULL'ITALIA NON SONO UNICHE: «Il Belgio non ha mai
ratificato il protocollo della Convenzione Onu contro la tortura che
impone di dotarsi di un meccanismo di controllo per i luoghi di
privazione della libertà, come le celle della polizia. La scorsa
settimana una donna è morta all'interno di un commissariato a
Bruxelles ed è la terza in due anni». Manuel Lambert è il
consigliere giuridico della "Ligue des Droits Humains", esperto
della situazione delle carceri in Belgio, Paese in cui «ci sono
enormi problemi, come stabilito anche dal comitato anti-tortura del
Consiglio d'Europa che a novembre ha pubblicato un rapporto critico
sullo stato delle prigioni».
Quali sono i problemi principali?
«Innanzitutto va detto che abbiamo un parco carcerario vetusto,
molti istituti risalgono al diciannovesimo secolo. È il caso della
prigione di Saint-Gilles (in cui si trovano Antonio Panzeri,
Francesco Giorgi e Niccolò-Figà Talamanca, ndr), che presenta anche
enormi problemi di sovraffollamento. Ci sono 900 persone a fronte di
una capienza di 600-650 posti. A questo si aggiunge una carenza di
personale».
È un problema comune a tutte le carceri?
«È in corso il trasferimento di molti agenti penitenziari in
servizio a Saint-Gilles o Forest verso il nuovo carcere di Haren
(quello in cui si trova Eva Kaili, ndr) che è una struttura nuova,
con condizioni strutturali e di detenzione considerate buone. Però
di recente ci sono stati molti scioperi: meno personale significa
meno diritti per i detenuti. Meno agenti che aprono le porte, dunque
meno visite dei parenti, meno corsi di formazione, meno uscite in
cortile per l'ora d'aria... Questo crea enormi problemi».
I legali della moglie e della figlia di Panzeri hanno cercato di
opporsi all'estradizione proprio a causa delle condizioni
carcerarie: è una ragione valida?
«È già successo nel recente passato. I giudici nei Paesi Bassi non
hanno concesso l'estradizione a una delle persone accusate di aver
architettato il piano per rapire il ministro della Giustizia proprio
in ragione delle condizioni delle carceri in Belgio».
C'è un abuso della detenzione preventiva?
«In Belgio la detenzione preventiva viene spesso utilizzata per
provocare uno choc psicologico nelle persone accusate di reati
finanziari. È una tecnica. Perché per i cosiddetti colletti bianchi,
abituati a vivere in determinate condizioni, è un duro colpo toccare
con mano la realtà delle carceri. Il livello della detenzione
preventiva sfiora il 40%, è uno dei più alti tra i Paesi del
Consiglio d'Europa».
Eva Kaili ha denunciato di aver subito pressioni qualificandole come
tortura: è una pratica ricorrente?
«Non conosco il suo caso, ma i fatti da lei denunciati sarebbero
avvenuti all'interno di una cella della polizia e non all'interno
del carcere. Purtroppo su questo fronte c'è un problema perché molti
di questi locali non sono idonei, a partire da quelli all'interno
dello stesso Palazzo di Giustizia di Bruxelles. Le condizioni non
sono per nulla buone. La scorsa settimana una donna è morta
all'interno di un commissariato a Bruxelles ed è la terza in due
anni. Non avendo ancora ratificato il protocollo aggiuntivo della
Convenzione Onu contro la tortura, il Belgio non si è mai dotato del
meccanismo di controllo per le celle della polizia che prevederebbe
un'attività di vigilanza da parte di un organismo terzo».
HA RAGIONE LEI : Greta Thunberg irrompe nel World economic
forum. O meglio, a cento passi dal centro congressi dove il gotha
mondiale si incontra ogni anno. E l'impatto è efficace. «I big
dell'energia sapevano tutto, ci hanno ingannato. Qui si distrugge il
pianeta», ha tuonato, insieme alle altre attiviste Vanessa Nakate,
Helena Gualinga e Luisa Neubauer, che dalla miniera di Lützerath
sono arrivate a Davos in mattinata. Hanno incontrato Fatih Birol,
numero uno dell'Agenzia internazionale dell'energia, per tuonare
contro l'uso dei combustibili fossili. Successo da un punto di vista
mediatico, mentre sul piano della concretezza restano molti dubbi.
Dopo essere stata evocata per tutta la giornata di mercoledì, con
voci che si rincorrevano in modo vorticoso, Greta si è
materializzata al Filecoin Sanctuary della cittadina svizzera, dove
ha sede il quartier generale di Cnbc. Appena fuori dall'ultimo
checkpoint del Wef dove i potenti della terra discutevano delle
sfide economiche, sociali e geopolitiche. Thunberg è stata accolta
da un folto gruppo di giornalisti che, nonostante i dodici gradi
sottozero, l'hanno aspettata per mezz'ora. L'attivista ha spiegato
di aver presentato una lettera di "Cease and desist" agli
amministratori delegati del Wef chiedendo lo stop alle nuove
estrazioni di petrolio, gas e carbone. «Finché potranno farla franca
continueranno a investire in combustibili fossili e continueranno a
gettare le persone sotto l'autobus», ha tuonato. E poi è iniziato il
comizio vero e proprio, mentre il capannello di curiosi si accalcava
fra due ali di forze dell'ordine e mentre il ronzio delle auto
elettriche che portano i top manager in giro per Davos si faceva più
insistente.
Thunberg ha accusato il Forum di Davos di riunire «le persone che
più alimentano la distruzione del pianeta», aggiungendo che questo è
«assurdo». Non solo: «Sembra che ascoltiamo loro piuttosto che le
persone che sono effettivamente colpite dalla crisi climatica, e
questo ci dice quanto sia assurda la situazione». Fra le colpe della
platea del Wef c'è quella di mettere «l'avidità» e il «profitto
economico a breve termine al di sopra delle persone e al di sopra
del pianeta». Secondo Greta i presenti "hanno dimostrato più e più
volte che non stanno dando la priorità a questo: «Stanno dando la
priorità all'avidità personale, all'avidità aziendale e ai profitti
economici a breve termine rispetto alle persone e al pianeta». E
queste persone, spiega, «continueranno a investire in combustibili
fossili, continueranno a sacrificare le persone per il proprio
guadagno».
Agli attacchi delle quattro attiviste ha risposto Birol. «La mia
presenza qui è un segnale molto importante che voglio dare al
mondo», ha osservato. E ha riconosciuto che«il cambiamento climatico
richiede maggiore attenzione» e sarebbero necessari molti più
investimenti nell'energia pulita. La prova dell'attenzione calante
arriva dall'ex vicepresidente Usa, John Kerry, oggi inviato speciale
del presidente per il clima. Pur essendo a conoscenza della presenza
di Thunberg, come spiegano fonti, ha deciso di tirare dritto andando
verso il Wef. Sarà per la prossima.
LA LINEA BERLUSCONIANA NON PASSERA': Un elicottero in
leasing, diverse auto di lusso, tra cui una Ferrari e una Rolls
Royce, poi viaggi a 5 stelle tra le Bahamas, Miami e Dubai. Oltre
alla gestione di alcuni centri benessere e della squadra di calcio
della Ternana. Beni e attività certo non legati alla formazione
universitaria e che, soprattutto, sarebbero stati finanziati con i
soldi con cui, invece, dovevano essere pagate le tasse. Indagati i
vertici dell'università telematica «Niccolò Cusano», ai quali la
Guardia di Finanza di Roma contesta un'evasione fiscale da oltre 20
milioni di euro. È stato già notificato un decreto di sequestro
preventivo nei confronti di Stefano Bandecchi, presidente e
fondatore dell'ateneo, Giovanni Puoti (prorettore) e Stefano Ranucci
(vicepresidente), che dal 2016 lo hanno sostituito come legale
rappresentante dell'istituto. Sotto esame, da parte degli
investigatori, il mancato pagamento dei tributi dal 2016 al 2020.
L'università, pur essendo iscritta alla Camera di commercio come
«ente pubblico non economico e senza scopo di lucro», esercitava
«prevalentemente attività commerciale». In particolare, aveva
investito nel corso degli anni «ingenti risorse finanziarie per
l'acquisizione di diverse società tutte rientranti nel cosiddetto
Gruppo Bandecchi». Ma gestite con «personale dipendente
dell'ateneo». Come quella attiva nel commercio all'ingrosso di
profumi e cosmetici o un'altra dedicata alla mediazione immobiliare.
A partire dal 2011, si legge nelle carte dell'inchiesta,
l'università avrebbe subìto «ripetute emorragie di denaro per le più
svariate causali estranee all'oggetto sociale». Tali operazioni
erano sempre «autorizzate di fatto dall'amministratore dell'ateneo
Bandecchi», che avrebbe pagato con i soldi dell'università vari
viaggi di piacere per familiari e amici. E noleggiato aerotaxi per
seguire le trasferte della Ternana, di cui è presidente.
«Complessivamente – annotano i finanzieri – le spese sostenute dall'Unicusano
per necessità personali di Bandecchi ammontano a un milione e
898mila euro».
Bandecchi è un nome noto negli ambienti politici romani. Un passato
da militante nel Msi, poi con Forza Italia, sempre accarezzando il
sogno di arrivare in Parlamento. Ci ha provato anche alle ultime
elezioni, cercando una candidatura con il Terzo polo, poi stoppata
da Carlo Calenda, che «mi ritiene un fascista», spiegò lo stesso
Bandecchi. Il quale è anche coordinatore nazionale di Alternativa
Popolare, il partito fondato nel 2017 da Angelino Alfano (ex Ncd).
In questa veste, un paio di mesi fa, Bandecchi si è candidato a
sindaco di Terni, in vista delle elezioni comunali previste in
primavera. Il 10 gennaio si è presentato in conferenza stampa con
Francesco Rocca, per annunciare il suo sostegno al candidato del
centrodestra per la presidenza della Regione Lazio. «Con Bandecchi
ci accomuna la concretezza e la voglia di fare – ha spiegato Rocca
in quell'occasione –. È un imprenditore serio, sono sicuro che
faremo un bel cammino».
20.01.23
LA NUOvA GREGANTI ?: Quando
martedì sera la Guardia di finanza è tornata a bussare alla porta
del suo studio a Opera, Monica Rossana Bellini era ancora al lavoro.
Su mandato europeo appena spiccato da Bruxelles, la ragioniera
cinquantacinquenne con un curriculum eccellente è stata arrestata
per organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio.
«Sembra aver giocato un importante ruolo nel rimpatrio dei soldi dal
Qatar», si legge nel provvedimento firmato dal giudice Michel Claise.
Che l'accusa di aver creato, insieme a Silvia Panzeri, la figlia
dell'ex eurodeputato socialista al centro del Qatargate «una
struttura societaria che doveva dare al flusso di denaro una veste
legale».
Il primo a tirare in ballo nel sistema la consulente, che per
trent'anni ha collezionato incarichi importanti nei collegi
sindacali delle municipalizzate milanesi, e non solo, come
Milanosport, Afol e Sogemi, è stato l'ex assistente parlamentare di
Panzeri, Francesco Giorgi. Ma dopo la prima perquisizione nel suo
studio nell'hinterland milanese, e tutti gli accertamenti che sono
seguiti sulle società in cui compare, anche come socia del preside
Luciano Giorgi, il padre di Fracesco, in mano ai magistrati milanesi
c'è molto di più. Tanto che oramai l'apertura di un fascicolo
autonomo per riciclaggio sembra imminente.
«A inizio 2019, Panzeri ha pensato che invece di continuare a
prendere soldi cash, sarebbe stato preferibile creare una struttura
giuridica in cui avremmo potuto partecipare – soprattutto lui,
perché io avevo un lavoro – e quindi gestire il flusso di denaro in
una maniera legale». Almeno all'apparenza. Come ha ricostruito
Francesco Giorgi davanti alla polizia federale belga, fu questo il
motivo per cui «Panzeri decise di coinvolgere la sua consulente,
Monica Bellini». Che arrivò anche ad accompagnare a Doha, in
occasione dei Mondiali, l'ex eurodeputato che ora, «in stato di
choc», si è «pentito» per patteggiare una condanna a 5 anni, di cui
uno solo in prigione.
Così, con l'aiuto di Bellini, finita ai domiciliari dopo la
convalida dell'arresto e una notte nel carcere di San Vittore, «una
società di consulenza, Equality, fu creata in Italia». E qui Giorgi
racconta come, attraverso una società inglese, i soldi del Qatar
venissero triangolati per essere ripuliti facendo il nome di un, non
meglio precisato, Hakan. Equality, spiega Giorgi, «forniva servizi
per una compagnia con sede in Inghilterra. È stato il palestinese
che suggerì di rivolgerci ad Hakan e alla sua compagnia in
Inghilterra, di cui non ricordo il nome». Forse intende lo stesso
«palestinese» con cui lo aveva messo in contatto «l'algerino»
Boudjellal, che lavora per il governo del Qatar, e attraverso il
quale arrivavano, prima, i soldi cash.
«Dal momento che era coinvolta una società inglese – prosegue
l'assistente parlamentare – i documenti dovevano essere preparati in
inglese. Il mio ruolo era quello di mettere Panzeri, la figlia e la
contabile – nessuno di loro parla inglese – in contatto con Hakan».
Nella gestione della società ognuno aveva il suo ruolo: «Silvia, che
è avvocato, preparò le carte mentre io contribuì alla creazione di
Equality con le mie conoscenze linguistiche. Per giustificare l'uso
di una compagnia italiana a una inglese, i servizi dovevano essere
forniti in lingua inglese. Per questo – conclude Giorgi – chiesi a
conoscenti della mia famiglia, che parlano l'inglese, di fornire
servizi concreti, senza fargli sapere cosa stesse succedendo».
GLI STATI NORD AFRICANI NON
MOLLERANNO MAI : Imbarazzo e stupore. Tra gli
eurodeputati il nuovo tentativo del Marocco di fare pressioni su di
loro al fine di ammorbidire una risoluzione sullo stato dei diritti
umani ha dell'incredibile. Eppure gli emissari di Rabat non si sono
fermati nemmeno di fronte ai riflettori che si sono accesi sull'Eurocamera
in seguito allo scandalo svelato dall'inchiesta della procura di
Bruxelles. Come rivelato ieri da "La Stampa", una delegazione di
parlamentari marocchini è arrivata a Strasburgo e ha chiesto un
incontro a diversi eurodeputati per fare lobbying sul testo che sarà
messo ai voti oggi.
Trovare qualcuno che ammetta di aver accettato è impresa
impossibile: tutti gli interpellati negano di essersi seduti al
tavolo con i quattro deputati giunti dal Marocco. L'invito è
arrivato, tra gli altri, anche alla delegazione del Movimento 5
Stelle. «È grave che esponenti politici e funzionari di un Paese
terzo provino a condizionare le risoluzioni e l'attività politica
del Parlamento», denunciano Fabio Massimo Castaldo e Sabrina
Pignedoli. L'episodio ha creato tensioni nel gruppo Renew Europe,
visto che qualcuno ha inviato in anticipo a Rabat la bozza di
risoluzione, che è stata poi rispedita con una serie di correzioni.
Oggi sarà votata una risoluzione unitaria (Ppe e Identità e
Democrazia non l'hanno sottoscritta). Condannerà la condizione dei
giornalisti in Marocco, ma anche le attività di spionaggio con il
software Pegasus e conterrà un riferimento allo scandalo corruzione.
Gli emendamenti dei Verdi e Sinistra chiedono di prendere anche per
il Marocco i provvedimenti decisi contro il Qatar, come la
sospensione dei badge d'accesso. Difficile che possa ottenere il via
libera. La mossa di portare in Aula questa risoluzione nasce su
spinta dei liberali e della Sinistra, che hanno colto l'occasione
dello scandalo per mettere nero su bianco le accuse al Marocco.
Perché in questa fase è più difficile opporsi. Una simile operazione
era stata sin qui sempre osteggiata, specialmente dal gruppo dei
socialisti-democratici.
I motivi sono al centro dell'inchiesta, che si concentra sul ruolo
di Antonio Panzeri, del suo ex assistente Francesco Giorgi e del suo
successore Andrea Cozzolino, membro della commissione d'inchiesta su
Pegasus e presidente della delegazione per i rapporti con i Paesi
del Maghreb. «Dall'indagine – scrive il procuratore federale
Fréderic Van Leeuw nella richiesta di revoca dell'immunità – emerge
infatti che Cozzolino potrebbe essere coinvolto in atti di
corruzione derivanti dall'ingerenza di uno o più Stati stranieri al
fine di influenzare le discussioni e le decisioni adottate in seno
al Parlamento europeo».
L'italiano ieri ha accolto la richiesta di auto-sospendersi dal
gruppo dei socialisti-democratici e ha accettato l'invito della
commissione giuridica: con ogni probabilità sarà ascoltato mercoledì
«per ribadire la sua totale estraneità ai fatti dell'indagine», come
hanno fatto sapere i suoi avvocati. Panzeri ha puntato il dito
contro Cozzolino, che avrebbe portato avanti il lavoro pro-Marocco
da lui iniziato con l'ambasciatore Atmun Abderrahim. «Non ho prove,
ma dovreste controllarlo», ha detto Panzeri. Mentre Giorgi, che di
Cozzolino era assistente, ha parlato di un suo coinvolgimento
«indiretto». Marc Tarabella, invece, è accusato da Panzeri di aver
ricevuto circa 120-140 mila euro per difendere posizioni pro-Qatar.
Ieri è stato espulso dal gruppo S&D. Oggi Eva Kaili si presenterà
davanti ai giudici della Camera di Consiglio perché chiedere
nuovamente di essere scarcerata.
COME MAI NON CI DITE AGENZIE STAMPA COME RISPONDONO I GIUDICI ?Il
giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Brescia ha
rinviato a giudizio il procuratore aggiunto di Milano Fabio De
Pasquale e il pubblico ministero Sergio Spadaro con l'accusa di
rifiuto d'atti d'ufficio, in relazione al processo sul caso della
presunta tangente pagata da Eni alla Nigeria. La procura di Brescia,
competente per i magistrati di Milano, aveva iscritto i due
magistrati nel registro degli indagati nel marzo del 2021.
UN'ALTRO SABOTAGGIO MA NON VEDO IPOTESI : Gli ucraini
stavano ancora piangendo le vittime dell'attacco missilistico su
Dnipro, quando un'altra tragedia si è abbattuta sul Paese. Ieri
mattina un elicottero Super Puma del Servizio di emergenza statale
ucraino è caduto su un'area residenziale di Brovary, nei pressi di
Kyiv.
Sul velivolo si trovava tutta la leadership del Ministero degli
affari interni del Paese: il ministro degli Interni, Denys
Monastyrskyi, il vice-ministro Yevghen Yenin, quattro funzionari e
tre membri dell'equipaggio. L'elicottero è precipitato tra un asilo
e di un edificio residenziale, causando un'esplosione, un enorme
incendio e numerose vittime.
Sul luogo dell'incidente i soccorritori hanno trovato 14 corpi, tra
cui una bambina e tutte e nove le persone che erano a bordo
dell'elicottero. Era l'ora in cui persone stavano andando al lavoro,
dopo aver portato i figli all'asilo e a scuola,e perciò le strade
erano affollate.
«Al momento della tragedia all'interno dell'asilo c'erano i bambini
e il personale», ha scritto su Telegram Oleksiy Kuleba, capo
dell'amministrazione militare regionale di Kyiv, aggiungendo che
tutti erano stati evacuati. Stando alle fonti officiali, dopo
l'accaduto tutti i bambini dell'asilo sono stati portati in un altro
istituto scolastico, dove hanno ricevuto il sostegno necessario,
incluso quello psicologico e medico.
Maryna, 40 anni, residente a Brovary, si è precipitata a prendere la
sua bambina in un altro asilo, anche se lontano dal luogo
dell'incidente. «Mi rendo conto che è stata più una reazione
emotiva, ma so che tanti genitori hanno fatto lo stesso - racconta
-. Dopo così tante tragedie, difendo la mia bambina in ogni modo».
Alla fine il numero di feriti è salito a 25, inclusi 11 bambini, che
sono stati ricoverati d'urgenza in ospedale. Il sindaco di Brovary,
Ihor Sapozhko, ha scritto sui social che solo nel reparto ustioni
sono state trasportate 8 persone, tra cui 4 bambini. Tra i feriti
anche una donna incinta. Al lutto di tre giorni proclamato dal
sindaco si sono aggiunte subito le manifestazioni di solidarietà
della comunità internazionale: «La tragedia colpisce il cuore
dell'Ucraina devastata dalla guerra. Esprimo le mie più sentite
condoglianze alle famiglie delle vittime, ala presidente Zelensky e
a tutto il Paese. Siamo in lutto con voi», ha scritto su Twitter la
presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen
In un colpo l'Ucraina perde il suo Ministro degli Interni, Denys
Monastyrskyi, il suo primo vice Yevhen Yenin, il segretario del
ministro Yuriy Lubkovych, i loro assistenti. L'elicottero era
diretto nella regione di Kharkiv, come ha scritto sui social
Volodymyr Tymoshko, capo della polizia nazionale nella regione che
li avrebbe dovuti incontrare di lì a poco.
Con la morte del 42enne Monastyrsky scompare una figura che è stata
fino ad ora centrale nel governo di Volodymyr Zelensky, oltre che
uno dei più stretti e fidati collaboratori del presidente. Un legame
di lungo corso tra i due, visto che Monastyrsky - giovane e
brillante avvocato in politica dal 2014 - nel 2019 era stato tra i
primi sostenitori della candidatura di Zelensky.
«Penso che questo non sia un incidente, questa è la guerra», ha
detto il presidente Zelensky in videocollegamento con il World
Economic Forum di Davos. «Tutto questo, ogni persona e ogni morte, è
il risultato della guerra», ha precisato Zelensky, «la guerra non è
solo sul campo di battaglia. La guerra ha diverse direzioni».
I servizi di sicurezza ucraini hanno avviato subito un'indagine
sulle cause dell'incidente, comunicando tramite un post su Telegram
che «sono state prese in considerazione diverse ipotesi», a partire
dal sabotaggio da parte dei russi (ma come sospetto inevitabile,
dato che nessuna prova è ancora emersa), fino all'incidente, forse
dovuto alla nebbia, al volo a bassa quota per evitare i missili e
alla scarsa illuminazione a causa delle restrizioni energetiche.
Infine, è al vaglio anche l'ipotesi di un malfunzionamento
dell'elicottero.
Il capo della polizia nazionale ucraina, Ihor Klymenko, è stato
nominato viceministro degli Interni e servirà come ministro degli
Interni ad interim.
I leader di vari Paesi hanno espresso le loro condoglianze ai
parenti delle vittime. Tra di loro anche il cancelliere tedesco Olaf
Scholz, che ha twittato: «L'incidente in elicottero a Brovary mostra
ancora una volta l'enorme prezzo che l'Ucraina deve pagare in questa
guerra. In questo triste giorno, i nostri pensieri vanno alle
famiglie delle vittime e a Zelensky, che oggi ha perso il suo
ministro dell'Interno».
In serata anche il presidente Usa ha mandato il suo messaggio di
cordoglio: «Jill e io inviamo le nostre più sentite condoglianze
alle famiglie di tutte le persone uccise e ferite nel tragico
incidente. Gli Stati Uniti stanno dalla parte del popolo ucraino di
fronte a questa tragedia, e per tutto il tempo necessario».
COME NELLE ASSEMBLE DEGLI AZIONISTI IN ITALIA: Ventiseimila
giorni è il tempo concesso a un uomo dalla vita media per rivelarsi,
giustificare la sua esistenza, darle un senso o almeno provarci,
amare, lottare, riprodursi o, se proprio non riesce in altro,
sprecarsi. Quindici minuti è quello concesso in extremis a un
imputato che rischia la condanna a morte davanti a una corte di
cosiddetta giustizia in Iran. Lo racconta la Bbc ricostruendo le
fasi finali del procedimento contro Mehdi Karami, 22 anni, campione
di karate, impiccato il 7 gennaio scorso.
Quindici minuti. È il lasso in cui, secondo una frase comunemente
attribuita a Andy Warhol, a ciascuno sarà consentito di essere
famoso nel mondo. E Karami lo è diventato, per le ragioni sbagliate.
Quindici minuti. È la durata del tempo supplementare di una partita
di calcio. In questo caso non il primo, il secondo, dopo che nel
precedente quarto d'ora si sono subiti tre gol e il risultato è
segnato, ma si gioca lo stesso. È facile immaginare i giudici
annoiati, l'avvocato d'ufficio che pensa al pranzo o alla cena, la
pubblica accusa che segna una tacca sulla propria agenda, a inizio
2023; altre seguiranno.
Quindici minuti è la dimensione spazio-temporale di una città
ritenuta ideale, racchiusa in un diagramma circolare, in cui ogni
cosa essenziale possa essere raggiunta entro quel limite massimo. La
distanza tra un'aula di tribunale e la casa a cui tornare libero o
il carcere nel cui piazzale essere giustiziato. A Teheran la freccia
indica una sola possibile direzione.
Quindici minuti. Il tempo di un Ted Talk per esporre un'affascinante
teoria innovativa. Di un colloquio di lavoro, in cui convincere un
responsabile delle risorse umane che si è quella che stava cercando.
Di vicinanza a un affetto da Covid che provoca il contagio secondo i
criteri dell'obsoleta applicazione Immuni.
Può essere anche il tempo necessario per esporre la propria
innocenza, convincere una giuria, diffondere concetti come libertà e
giustizia? Non certo in Iran, non adesso. Non nei tribunali dei
regimi in cui i giudici entrano avendo in tasca una sentenza già
scritta e nessuna sentenza già scritta può essere giusta, nemmeno
contenesse la verità dei fatti. Quei minuti non servono per
rivolgersi alla corte e neppure al pubblico (il più delle volte
composto da guardiani dell'autorità). Diventano un testamento, un
atto che si spera trovi qualche notaio disposto a divulgarlo perché
arrivi. Non dovesse, resta la funzione principale: affermazioni per
la propria coscienza, un soliloquio finale prima che la luce si
spenga, quello in cui un uomo non può mentire a se stesso e pesa la
sua esistenza oltre i 21 grammi dell'anima che se ne va. In
definitiva, un mezzo di autorappresentazione: nudi all'estremo
specchio.
In Russia è quasi un genere. L'ultima dichiarazione è concessa a
tutti gli imputati prima che possano inevitabilmente passare alla
condizione di condannati. In un libro dal titolo «Proteggi le mie
parole» (citazione dal poeta Mandelstam) sono raccolte le frasi
pronunciate in 25 circostanze del genere dal 2017. Non c'è alcuna
autodifesa: «Non sono un santo, ma da bambino ho imparato a non dire
bugie e qui ho ascoltato calunnie senza pudore», Ilja Sakurskij.
Semmai fierezza: «Non ho paura di criticare lo Stato, la sola paura
è non farlo, è se nessuno lo fa», Svetlana Prokopeva. Sfida: «Che
ognuno faccia la sua scelta, restare nel lager e seguirne le regole
o lasciarseli alle spalle, lager e regole», Maria Alechina, delle
Pussy Riot. Certezza: «La guerra è figlia della tirannia, chi vuole
combattere la guerra deve solamente combattere i tiranni», Aleksei
Nanalny, citando Tolstoj, sovrastato invano dalla voce dei giudici.
E un biglietto per il futuro imminente: «A questa corte auguro la
saggezza. A tutti coloro su cui si abbatterà la nuova ondata di
repressioni auguro di resistere», Aleksei Gorinov.
Probabilmente non sapremo mai che cosa abbiano detto Karami e i suoi
«fratelli». Se le torture li abbiano fiaccati al punto da rinunciare
e tacere, se addirittura si siano sottomessi alla farsa o se abbiano
trovato la forza di usare qui 15 minuti non per difendersi, ma per
accusare. A tutti soccorra una delle più famose ultime dichiarazioni
della storia (anche di quella del cinema). La rese il 9 aprile del
1927, prima di essere condannato a morte da un tribunale americano,
Bartolomeo Vanzetti: «Non augurerei a un cane o a un serpente, alla
più miserevole e sfortunata creatura della Terra, ciò che ho dovuto
soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è
un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso,
per le mie idee…ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se
voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io
potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho
fatto finora»
IN IRAN SI E' REALIZZATO IL DESIDERIO DI MOLTI CONTRO DI ME :
Destano sconcerto i pesi e le misure applicati nei tribunali
iraniani. Le denunce degli attivisti per i diritti umani fioccano
quotidiane su processi definiti «iniqui» e «farsa» a carico dei
manifestanti arrestati nell'ondata di proteste anti regime in corso
nella Repubblica islamica. D'altro canto le Ong segnalano
l'insufficienza di severità per chi si macchia di «delitti d'onore».
Bbc Persian ha divulgato ulteriori dettagli sul caso Karami, la
vittima dell'esecuzione giudiziaria del 7 gennaio, impiccato appena
65 giorni dopo il suo arresto a Karaj in relazione all'omicidio di
un membro delle forze paramilitari Basij il 3 novembre del 2022.
Accusato del reato capitale di «corruzione sulla Terra», a Mohammad
Mehdi Karami è stata negata la scelta di un avvocato. E quello
nominato d'ufficio dalla magistratura non ha mai risposto ai
tentativi di contatto da parte della famiglia, secondo quanto
dichiarato dal padre del ragazzo al quotidiano riformista Etemad.
Processi a porte chiuse, da cui tutt'al più trapelano verbali e
video di dubbia veridicità. In una testimonianza, Karami appare
angosciato mentre «confessa» di aver colpito il membro Basij sulla
testa con un sasso. Dopo che l'avvocato, invece di difenderlo,
chiede perdono al giudice, il ragazzo prende coraggio e afferma di
essere stato «ingannato». Era il 5 dicembre quando il manifestante
22enne è stato giudicato colpevole e condannato a morte. Nessun
legale ha presentato appello alla Corte Suprema per impugnare la
sentenza di una pena capitale sfruttata dalle autorità come
strumento di deterrenza.
Tutto l'opposto del trattamento riservato a Sajjad Heidarnava,
condannato a 8 anni e mezzo di reclusione con l'attenuante del
«delitto d'onore» nonostante un anno fa abbia decapitato la moglie
17enne, mostrandone fieramente in pubblico la testa, per le strade
della città di Avhaz. L'agenzia di stampa Irna, che opera sotto il
controllo del ministero della cultura e dell'orientamento islamico,
ha reso noto che l'omicida è stato perdonato dai genitori della
giovane vittima. La ragazza aveva 12 anni quando è stata maritata a
Heidarnava. All'epoca dell'omicidio, aveva un figlio di 3 anni.
IL GRANDE EQUIVOCO COMMERCIALE: La stretta annunciata
da Schillaci sull'universo mondo delle sigarette elettroniche
riaccende la querelle su chi faccia più o meno male tra classiche
bionde da una parte, svaporizzatori, Iqos, Glo, Ploom e gli altri
prodotti a tabacco riscaldato dall'altra. Nella stretta anti-fumo
annunciata in Parlamento dal ministro della Salute la novità più
importante riguarda proprio lo stop alle sigarette «alternative», al
chiuso e all'aperto quando si è in presenza di minori o di donne in
stato di gravidanza. La svolta prende di mira i prodotti a tabacco
riscaldato che in Italia hanno triplicato il numero di fumatori in
soli tre anni, passando dall'1,1 al 3,3% della popolazione, che
fanno quasi due milioni di adepti. Un pubblico conquistato anche dal
potente marketing pubblicitario, che ha sempre promosso questa
categoria di prodotti come funzionali a una politica di limitazione
del danno, considerando che solo in Italia il fumo fa in media 96
mila morti l'anno.
Ma vediamo i pro e i contro del «fumo riscaldato» alla luce dei
documenti prodotti dal nostro Iss e dall'americana Fda, la Food and
Drug Administration che regolamenta farmaci, alimenti e prodotti da
fumo.
I pro
L'Fda ha autorizzato la popolarissima Iqos, regina di prodotti a
tabacco riscaldato, come «prodotto a rischio modificato». Dopo
attento esame l'ente regolatorio americano nel 2019 ha sentenziato
che «l'aereosol prodotto dal sistema Iqos di riscaldamento del
tabacco contiene meno sostanze tossiche rispetto al fumo di
sigaretta». Tanto da definire il dispositivo della Philip Morris
«uno strumento adeguato per la protezione della salute pubblica» in
quanto i livelli di sostanze tossiche sono più bassi rispetto alla
combustione delle sigarette tradizionali. Sempre secondo l'Fda
«l'esposizione al monossido di carbonio di Iqos è paragonabile
all'esposizione ambientale, e i livelli di acroleina e formaldeide
sono inferiori rispettivamente tra l'89% e il 95 % e tra il 66 % e
il 91 % rispetto alle sigarette combuste». Vicini a quelli delle
tradizionali bionde sarebbero invece i livelli di nicotina, che
genera la dipendenza, con tutto quel che ne consegue in termini di
esposizione al rischio di malattie cardiovascolari e dell'apparato
respiratorio. Insomma, le tanto di moda Iqos &C., pur esponendo
cuore e polmoni agli stessi pericoli dei fumatori tradizionali,
ridurrebbero (senza escluderlo), il rischio di cancro. La pensa così
l'Istituto Mario Negri, per il quale «è probabile che siano meno
dannose delle sigarette tradizionali». Diverso il discorso per le
e-cig a vapore utilizzate da 1,2milioni di italiani. In base a una
rassegna di studi scientifici l'Airc, l'Associazione italiana per la
ricerca contro il cancro, ha sentenziato che sono «meno pericolose,
ma non innocue».
I contro
Sempre per l'Airc, la minore dannosità dei prodotti da svapo
svanisce con un uso massiccio, perché formaldeide e acetaldeide «a
dosi più elevate di quelle assunte con una singola e-cig sono
considerati cancerogeni certi».
Un pool di esperti coordinati dall'Iss nel 2018 ha invece
sentenziato che i prodotti a tabacco riscaldato «non costituiscono
un'alternativa valida e sicura al consumo tradizionale di tabacco,
stante la presenza, oltre alla nicotina, di agenti cancerogeni e
sostanze tossiche e nocive, nonché il verificarsi di eventi letali
per patologie polmonari».
«Allo stato attuale e sulla base della documentazione - affermano
gli esperti riferendosi a quella fornita dalla Philip Morris - non
consente di riconoscere la riduzione delle sostanze tossiche, né di
stabilire il potenziale di riduzione del rischio rispetto ai
prodotti da combustione, a parità di condizioni di utilizzo».
Nessun dubbio invece sul fatto che Iqos & C. «non possono essere
adottate quale strategia di salute pubblica, che mira invece alla
disassuefazione dal fumo e dall'utilizzo di prodotti del tabacco o
contenenti nicotina». Questo sia perché generano ugualmente una
dipendenza da questa, sia per l'uso duale che se ne fa. «L'87% di
chi usa prodotti a fumo riscaldato fa contemporaneamente uso di
sigarette tradizionali. Magari fumando Iqos e simili nei luoghi al
chiuso dove il fumo tradizionale è invece vietato», spiega la
professoressa Roberta Pacifici, direttrice dell'Osservatorio fumo
alcol e droga dell'Iss.
FINALMENTE : Nunzia De Girolamo indaga il mondo maschile
proprio perché sente fortissimo il disagio del mondo femminile. E
affronta il problema a viso aperto.
Si parla molto di #MeToo e di abusi nel mondo dello spettacolo. Lei
che cosa ne pensa?
«È fondamentale non abbassare la guardia, i dati sono in crescita,
parlarne aiuta anche chi teme di denunciare. Combattere il
pregiudizio nei confronti del mondo femminile che si afferma
professionalmente. Una bella carriera deve significare per forza
un'andata a letto con un uomo. Mentalità che porta violenza».
Lei ha mai ricevuto avances sgradite?
«Nel mondo artistico mai, in quello politico, sì. Attenzioni da
parte di chi proprio non potevo immaginare. Ho reagito, una volta
spingendo contro il muro l'uomo che mi aggrediva e dall'alto del mio
1,80 non è stato difficile, altre volte ho fatto finta di non
capire, tentando poi di non rivedere quelle persone».
Lei ha una figlia piccola, ancora presto per certi discorsi?
«Gea ha 10 anni e io le parlo di tutto, in modo sereno e facile. La
violenza sessuale è un mio incubo. Essendo piccola, non temo i
coetanei ma i pedofili. Con molta delicatezza le ho inculcato dei
principi cardine, suggerendole di rivolgersi sempre a noi genitori
per qualsiasi dubbio. Sono molto attenta ai suoi umori, le ho
parlato di omosessualità, di temi sensibili, lei sa che cosa è il #MeToo,
tratto tutto ma con leggerezza. Mio marito ha due figli dal primo
matrimonio, la ragazza ha 19 anni e si confida con me».
Da dove viene tanta paura degli abusi?
«Dallo sfogo improvviso della ragazza con la quale dividevo
l'appartamento Roma durante l'università. Mi raccontò che da bambina
era stata violentata dallo zio, ripetutamente, nell'indifferenza
della madre. A colpirmi, fu proprio quell'indifferenza materna. Un
tarlo nella testa. Parlandone, denunciando, si può aiutare anche
quelle persone che non hanno una famiglia attrezzata culturalmente,
socialmente, affettivamente».
Lei ci tiene a precisare che il suo «Ciao Maschio», che poi dà il
titolo al fortunato programma arrivato alla terza stagione, al via
sabato in seconda serata su Rai1, non va inteso come un «ciaone»
irrisorio. Allora come?
«Come un benvenuto. Una porta aperta per scoprire, incrociando
diverse età e provenienze, l'evoluzione generazionale dell'essere
maschile».
Si è assunta un compito enorme!
«La comprensione sociologica dei fenomeni che influenzano la sfera
relazionale mi ha sempre interessato. L'uomo contemporaneo non é più
angosciato dall'idea di incarnare a forza il maschio alfa. I giovani
hanno avuto madri diverse, hanno sposato donne diverse che domani
saranno madri diverse».
Perché non Ciao Donna?
«Perché di programmi al femminile ce ne sono tanti. Io ho preso
spunto da Harem, il talk condotto su Rai3 da Catherine Spaak, e l'ho
voltato al maschile. Le donne parlano molto di loro stesse, si
raccontano facilmente, gli uomini no, tendono a nascondersi dietro
al personaggio».
Come pensa di smascherarli?
«Ho sempre avuto un gran rapporto con il mondo maschile, fin da
piccola, ho un atteggiamento complice, sono un maschiaccio, non
punto sulla seduzione. Lo stesso comportamento in Parlamento».
Che cosa le manca dell'essere in politica?
«Gli strumenti legislativi per portare a termine una battaglia sulle
questioni di bene comune. Continuo ad amare molto la politica, la
frequento da opinionista, prima da Giletti, ora da Formigli».
La politica le ha portato l'amore vero?
«Francesco (Boccia, deputato Pd) l'ho conosciuto in un convegno a
Napoli. Tutti e due deputati e non ci eravamo mai incontrati in
Parlamento. È stato un colpo di fulmine».
La politica le ha portato anche tanto dolore vero?
«Accusata, da innocente, d'abuso d'ufficio, concussione e altri
mille capi. Assolta perché "Il fatto non sussiste", sia in primo
grado, sia in appello. Nove anni ci sono voluti per uscire
dall'incubo. L'esperienza più brutta della mia vita. Se sei un
delinquente metti in conto il rischio d'impresa, se sei perbene
vieni investita da un tir. Mi sono dovuta dissociare da me per
andare avanti. Ancora oggi ho problemi di sonno».
Che cosa l'ha delusa del mondo dello spettacolo?
«Il pregiudizio. Il mio mondo dell'appartenenza mi ha creato
problemi».
Magari perché veniva dal centro-destra...
«Certo, fossi stata di sinistra...».
Ora che i suoi sono al Governo, lei non c'è. Conosce Giorgia Meloni?
«Conosco bene Giorgia, siamo entrate in Parlamento che eravamo due
ragazzette. Lei poi è diventata ministro del Governo Berlusconi di
cui facevo parte. È presto per giudicarla, sono contenta che abbia
bucato il soffitto di cristallo, la prima donna Presidente del
Consiglio è una bella conquista. E visto che noi sogniamo ciò che
vediamo, per tante sarà un obiettivo da raggiungere».
Che cosa apprezza di Meloni?
«La capacità di sacrificio, la determinazione, il coraggio e la
coerenza».
Difetti?
«La diffidenza, che in politica può anche essere un pregio».
Il suo sogno professionale?
«La conduzione di un programma vicino al sociale, all'attualità».
I televisivi più amati?
«Fiorello e Maria De Filippi, che vedo soprattutto come abile
imprenditrice».
19.01.23
UN CSM COSI TUTELA IL POTERE POLITICO :
Dopo una giornata convulsa, il Parlamento in seduta comune ha eletto
nove dei dieci membri laici del Csm. Pasticci a ripetizione, manca
il quorum un candidato di Fratelli d'Italia subentrato a un altro
ritirato in corsa.
La giornata era cominciata con lieti auspici: quattro posti a
Fratelli d'Italia, due alla Lega, uno ciascuno a Forza Italia, Pd,
M5S e Terzo Polo. Ma la festa appena cominciata era già finita pochi
minuti dopo le 16, con la scoperta che Giuseppe Valentino, ex
parlamentare e sottosegretario alla giustizia, oggi presidente della
fondazione Alleanza Nazionale, principale candidato di Fratelli
d'Italia al Csm, è indagato a Reggio Calabria per reati di
'ndrangheta. Nel mirino, sulla base di intercettazioni telefoniche e
dichiarazioni di pentiti, i suoi rapporti con Paolo Romeo, che
faceva parte della «struttura riservata» della 'ndrangheta ed è
stato condannato in primo grado a 25 anni di carcere. Lo stesso
Valentino ne era stato messo al corrente quando, chiamato a
testimoniare nel maxiprocesso Gotha, si era avvalso della facoltà di
non rispondere «in quanto indagato per reato connesso».
A votazione in corso, il Parlamento va in tilt. Conciliaboli tra
Conte e Orlando. Pd e M5S «chiedono chiarimenti» non si capisce bene
a chi (a Valentino? Alla Procura? Alla 'ndrangheta?). Provenzano
butta il sasso: «Io non lo voto». Sui telefoni dei parlamentari di
Fratelli d'Italia arriva l'ordine di disertare la prima chiama, per
tattica.
Dopo venti minuti contrordine: votate pure, «dubbi M5S chiariti».
Manco per niente: il M5S non vota. Sono le 18. Anche il Pd non ci
sta. Due minuti dopo Valentino annuncia il ritiro della candidatura
denunciando «vergognose palate di fango».
Meno uno, a votazione in corso. Salta tutto. Qui si fa l'Italia o si
muore. In due minuti Fratelli d'Italia perfeziona il cambio volante:
subentra Felice Giuffrè, docente e avvocato amministrativista
catanese, una militanza nel Fronte della gioventù prima della
carriera tra Sicilia e Parioli.
L'accordo rivive a urne aperte, ma nel caos: alcuni parlamentari non
possono più votare. Giuffrè manca l'elezione: problema tecnico, ma
non mancano i sospetti su franchi tiratori.
La lista va letta in controluce. Per la Lega due penalisti: Fabio
Pinelli (padovano, già difensore di Morisi, ideatore della "bestia"
social di Salvini) e Claudia Eccher (trentina, consigliera di
amministrazione di Italferr, avvocato di Salvini). Per Forza Italia
Enrico Aimi: avvocato modenese, ex An, poi senatore berlusconiano,
ricandidato nel 2022 non rieletto. Per il M5S Michele Papa: docente
di diritto penale a Firenze, amico personale di Conte che già
l'aveva collocato nel consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa. Per il Terzo Polo Ernesto Carbone: prodiano legato a
Paolo De Castro (Nomisma, ministero dell'agricoltura, Ismea), poi
turborenziano, non rieletto in Parlamento nel 2018 ma ricollocato
nel consiglio di amministrazione della società pubblica Terna. Si
scrive Terzo Polo ma si legge Renzi: Calenda si era speso invano con
Andrea Mascherin, già presidente del Consiglio nazionale forense.
Il Pd, dopo aver fatto ballare anche il docente torinese Grosso e
quello genovese Ferrante, vira su Roberto Romboli: costituzionalista
pisano, allievo di Pizzorusso che fu membro del Csm, studioso di
ordinamento giudiziario, membro del consiglio giudiziario,
consigliere comunale per il Pds post tangentopoli da indipendente.
Indicazione del duo Letta-Rossomando.
Fratelli d'Italia schiera Isabella Bertolini (avvocato modenese, ex
parlamentare di Forza Italia poi transitata anche dalla Lega,
paladina «delle radici cristiane»), Daniela Bianchini (avvocato
civilista di Roma, con il sottosegretario Mantovano nel centro studi
Livatino di ispirazione conservatrice), Rosanna Natoli (avvocato
siciliano di Paternò, paese natale di La Russa, già assessore e
candidata per Fratelli d'Italia).
Bisognerà rivotare tra una settimana per il decimo posto.
Come vicepresidente in pole Pinelli (benché di indicazione leghista
ha profilo indipendente, prova ne sia la stima di Violante che l'ha
chiamato nella fondazione Leonardo) o Romboli (miglior curriculum
anche se indicato dal Pd). Decideranno i togati, che hanno la
maggioranza. E soprattutto le correnti moderate Unicost e
Magistratura Indipendente.
COSI SI CHIUDE TUTTO : «Consegnavamo il denaro a distanza di
due o tre mesi», con rate «di circa 20 mila euro» in contanti. «Il
denaro si trovava in sacchetti di carta». E ora Antonio Panzeri
vuota il sacco. L'ex parlamentare europeo ha spiegato davanti agli
inquirenti il sistema che avrebbe utilizzato per tenere a libro paga
l'eurodeputato Marc Tarabella in cambio delle sue posizioni in
favore del Qatar. Il socialista belga, per il quale è stata chiesta
la revoca dell'immunità, «è stato ricompensato più volte per un
importo totale, a memoria, tra i 120 e i 140 mila euro». Ma le
rivelazioni su Tarabella potrebbero non essere le ultime: Panzeri,
l'uomo al centro dell'inchiesta sul Qatargate, adesso è pronto a
raccontare per filo e per segno tutti i dettagli del "sistema",
compresi i suoi protagonisti.
Ieri ha firmato un accordo con la procura federale belga per
ottenere lo status di "pentito", che gli consentirà di cavarsela con
una condanna a cinque anni - di cui solo uno in carcere -, una multa
di 80 mila euro e il sequestro del patrimonio derivante
dall'attività illecita, stimato in circa un milione di euro. In
cambio dovrà offrire la massima collaborazione e descrivere: il
modus operandi dell'organizzazione da lui gestita, gli accordi con i
Paesi terzi coinvolti, le «strutture finanziarie create» e
ovviamente «il coinvolgimento delle persone note o non ancora note
nel dossier». La decisione è arrivata ieri dopo l'udienza davanti ai
giudici della Camera di Consiglio, durante la quale ha rinunciato ha
chiedere la scarcerazione, e all'indomani del via libera
all'estradizione in Belgio della figlia.
Si tratta di uno sviluppo seguito con la massima attenzione nei
corridoi del Parlamento europeo, che da lunedì è riunito in sessione
plenaria a Strasburgo. Il timore è che possano emergere nuovi nomi,
anche se l'atmosfera ieri era relativamente tranquilla
nell'emiciclo. Si registra però un po' di agitazione nel gruppo dei
socialisti-democratici per i possibili sviluppi dell'inchiesta che
potrebbe vedere coinvolti altri eurodeputati. L'avvocato di Panzeri
ha però fatto sapere che il suo assistito intende difendere Maria
Arena, «alla quale era molto vicino», dicendo che lei «non ha nulla
a che vedere» con questa storia. Il 10 dicembre scorso Panzeri aveva
spiegato che quella da lui condotta era «un'iniziativa di lobbying e
ovviamente cercavamo dei parlamentari che fossero disponibili ad
appoggiare certe posizioni in favore del Qatar». Molti le hanno
appoggiate, «ma per semplice convinzione». Senza dunque bisogno di
corromperli.
Lunedì la commissione giuridica si riunirà per esaminare la
richiesta di revoca dell'immunità per il belga e per Andrea
Cozzolino. La procura ha trasmesso gli atti al Parlamento, tra i
quali figurano alcuni stralci degli interrogatori di Panzeri e del
suo ex assistente Giorgi, che fino al 9 dicembre lavorava con
Cozzolino. Se per Tarabella c'è la rivelazione - ancora da
dimostrare - dei pagamenti in denaro per corromperlo, l'accusa a
Cozzolino è molto più sfumata. «I deputati corrotti sono Tarabella e
indirettamente Cozzolino» ha detto Giorgi durante l'interrogatorio
dello scorso 13 dicembre, accusando l'italiano di essere «coinvolto
con il Marocco» dopo aver preso il posto di Panzeri alla guida della
delegazione per il Maghreb. «Prendeva delle cravatte o degli abiti»
ha fatto mettere a verbale l'assistente parlamentare, rivelando però
che questo era il linguaggio in codice utilizzato quando si parlava
di andare a prendere il denaro.
Ieri l'Europarlamento ha dedicato un dibattito ad hoc sul più grande
scandalo che ha travolto l'istituzione, ma l'Aula era praticamente
vuota, con non più di 30 eurodeputati presenti (su 705). In compenso
a Strasburgo è arrivata una delegazione di parlamentari marocchini
per fare lobbying sugli eurodeputati e ammorbidire una risoluzione
di condanna sulla situazione dei giornalisti nel Paese. Il testo
sarà messo ai voti domani.
Secondo quanto risulta a "La Stampa", Mounir El Jaffali, consigliere
diplomatico del parlamento marocchino, ha scritto ad alcuni
eurodeputati annunciando la visita di una delegazione composta da
Zaina Chahim, Manna Hicham, Majid Fassi Fihri e Fatima Zahra
Bentaleb, tutti membri della commissione parlamentare Ue-Marocco,
per chiedere un incontro. Il capogruppo socialista al parlamento di
Rabat ha invece spedito una lettera agli eurodeputati socialisti
chiedendo esplicitamente di votare contro la risoluzione. Non solo:
i parlamentari marocchini hanno avuto accesso alla bozza di
risoluzione del gruppo Renew Europe (che non era pubblica) e l'hanno
rispedita con una serie di commenti per smontare le accuse nei
confronti del loro Paese. «Trovo assolutamente inusuale e
inappropriato che i rappresentanti di un Paese oggetto di una
risoluzione sui diritti umani vengano a fare lobbying qui al
parlamento, tanto più vista la situazione» denuncia Miguel Urban
Crespo, europarlamentare spagnolo della Sinistra.
M5s: la festa di Lo Russo alle Ogr 50 mila euro pagati dai torinesi
L'evento del sindaco Stefano Lo Russo per il primo anno di mandato,
che si era tenuto alle Ogr lo scorso novembre con tutti gli
assessori, finisce al centro della polemica. A sollevarla è il
Movimento 5 Stelle. Tutto ruota intorno a una parte delle spese per
organizzare l'iniziativa, che sono state sostenute dalle casse
comunali. A essere nel mirino, spiega il capogruppo pentastellato a
Palazzo civico, Andrea Russi, ci sono cifre per un totale di 52 mila
euro. Di questi, circa 47 mila sono stati utilizzati per servizi di
comunicazione. Altri 4.000 per dei servizi di realizzazione video
proiettati nella serata. Gli ultimi 1.200 per l'organizzazione e
l'accoglienza durante l'evento stesso. E per l'affitto delle
Officine grandi riparazioni? Niente. Quelle sono state date in
regime di concessione gratuita, come affermano i documenti per la
stipula interni al Comune, chiesti da Russi per vie ufficiali. Negli
spazi delle Ogr, quella sera, si erano recate decine e decine di
persone, in rappresentanza di tutte le realtà di peso della città:
le categorie, i sindacati, gli atenei, il mondo della politica,
dalle Circoscrizioni alla Regione. Lo stesso governatore Cirio aveva
fatto un "cameo" in un video proiettato. «L'evento, organizzato per
dire cosa hanno fatto nel primo anno di governo e cosa pensano di
fare nei prossimi, è costato la bellezza di 52 mila euro, a spese
dei contribuenti torinesi. Gli stessi contribuenti che si sono visti
innalzare Tari e Irpef», attacca il capogruppo. Il punto, insomma, è
chiaro: il sindaco non avrebbe dovuto usare le casse del Comune per
finanziare quell'evento, che già era stato criticato dalle
opposizioni. «Mi chiedo se in un periodo come questo, dove le tasse
sono al massimo, i servizi spesso carenti e le bollette alle stelle,
abbia senso spendere soldi pubblici in questo modo. Dopo le poltrone
del sindaco ora abbiamo anche gli eventi organizzati dal gabinetto
del sindaco per l'autopromozione del sindaco e della giunta. Non
potevano metterle di tasca propria quelle risorse, anche considerato
l'aumento di stipendio di cui hanno potuto beneficiare?», conclude
Russi.
18.01.23
UNA SOFFIATA PERCHE' ? Il
generale di divisione Pasquale Angelosanto è il comandante del Ros,
Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, nato come
prosecuzione delle Sezioni anticrimine create dal generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa durante gli Anni di piombo.
Quanto è importante la cattura di Matteo Messina Denaro?
«È fondamentale perché elimina dal territorio il capo della mafia
trapanese che rimane destabilizzata. È un colpo duro alla mafia, non
sappiamo al momento come evolverà».
Come sarà la nuova mafia ora che il super latitante è stato
sconfitto?
«Non è semplice rispondere, ma certamente sarà una Cosa nostra
diversa. L'arresto dell'ultimo dei Corleonesi rompe definitivamente
con il passato, proprio perché l'ultimo degli stragisti era lui. E
ora che la parentesi corleonese si è chiusa definitivamente, gli
assetti sono destinati a cambiare. Ci sarà una nuova mimetizzazione
sul territorio, senza più quella contrapposizione allo Stato tipica
dello stragismo. Ci dovremo aspettare più corruzione, più affari,
più business e meno stragi. Le mafie evolvono e cercano spazi nuovi,
nuove strutture di holding criminale su tutto ciò che produce
reddito. Dai grandi appalti con i fondi del Pnrr alla Green Economy».
Come siete arrivati a scoprire l'identità di Messina Denaro?
«I carabinieri del Ros ci lavorano da 20 anni e negli ultimi mesi
c'è stata un'accelerazione grazie alla malattia del boss. Da varie
intercettazioni di persone a lui vicine avevamo appreso del suo
tumore al colon e così abbiamo incrociato i dati di tutti i pazienti
con la sua età. Abbiamo individuato un malato a Campobello di Mazara,
nel Trapanese, e abbiamo intuito che fosse lui. Ma solo stamattina
(ieri per chi legge, ndr) abbiamo avuto la certezza che fosse lui.
L'ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri uomini lo
hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli
elementi che ogni giorno si arricchivano e venivano comunicati. La
Procura era aperta anche all'antivigilia, è stato uno sforzo
corale».
In che modo avete fatto convergere le indagini sul boss?
«Già in passato avevamo indicazioni che avesse problemi di salute e
su queste notizie abbiamo lavorato in modo da individuare le persone
che avevano accesso alla struttura sanitaria e che avevano una
particolare patologia. Nell'ultimo periodo c'è stata
un'accelerazione perché via via che si scremava la lista di persone,
ci siamo concentrati su pochi soggetti fino ad individuare il nome
di Andrea Bonafede. Da qui l'ipotesi che proprio lui potesse essere
il latitante. A quel punto è scattata l'organizzazione del blitz. E
fatte le ultime verifiche la certezza che fosse lui è arrivata
appunto solo questa mattina (ieri per chi legge, ndr)».
Per trovarlo è stato prezioso l'aiuto di informatori o collaboratori
di giustizia?
«No, abbiamo proceduto esclusivamente grazie alle indagini e alle
intercettazioni. Negli ultimi dieci anni, grazie alla nostra
attività tecnica e investigativa, abbiamo contribuito molto a
ridurre il potere di vari mandamenti. Alcuni nostri interventi hanno
indebolito molto Cosa nostra se si pensa che in dieci anni abbiamo
arrestato oltre 100 associati e abbiamo provveduto a sequestrare
beni per 150 milioni di euro. A questi numeri bisogna aggiungere i
dati di Polizia e Finanza. Questo lavoro ha compromesso il
funzionamento della struttura mafiosa. Decisiva, comunque, è stata
la collaborazione concreta e attiva con le altre forze di polizia».
Lo scorso novembre Salvatore Baiardo, che aveva gestito la latitanza
dei fratelli Graviano, parlò pubblicamente della grave malattia di
Messina Denaro. Questa cosa vi ha aiutato?
«No, perché noi già lo sapevamo e ci stavamo lavorando».
Ma com'è possibile che sia rimasto latitante per 30 anni? Chi lo ha
aiutato?
«È stato protetto dalla sua rete di favoreggiatori e organizzazioni
mafiose, oltre a coloro che hanno stretto affari con lui».
Messina Denaro è stato favorito anche dalla classe politica?
«Sono tanti i casi di collusione tra Cosa nostra e il mondo
politico. Purtroppo i buoni rapporti tra mafia e politica non sono
una rarità».
Negli anni passati, in precedenti operazioni investigative,
l'arresto è saltato all'ultimo minuto. Ci sono state talpe che lo
hanno informato, come ipotizzato anche dall'ex procuratore aggiunto
di Palermo Teresa Principato?
«Le talpe ci sono state e sono anche state arrestate per
favoreggiamento con l'aggravante mafiosa. Purtroppo si tratta di
appartenenti infedeli alle forze di polizia».
Secondo lei il boss parlerà? Collaborerà con lo Stato?
«Ce lo auguriamo, perché è un capo che conosce molte cose».
Nonostante l'importante arresto rimangono tuttavia in piedi ancora
molti misteri.
«Non li chiamerei misteri, quanto piuttosto aspetti investigativi
ancora da chiarire. Certo la lunga latitanza ha contribuito a creare
molte zone d'ombra, ma il nostro sforzo è quello di indagare per
scoprire tutto ciò che è rilevante».
Chi è l'erede di Messina Denaro?
«È difficile dirlo al momento».
Quando 30 anni fa venne arrestato Totò Riina, si commise l'errore di
non perquisire il suo covo. E ora? Sapete dove abitava Messina
Denaro?
«Non conosciamo la sua casa, perché noi lo abbiamo trovato in
clinica. Ma non lasceremo nulla d'intentato».
Si curava a Palermo, quindi abitava lì?
«Non credo. È più verosimile che la sua casa sia nel Trapanese».
La clinica conosceva la vera identità del latitante?
«Al momento non lo sappiamo. Ci stiamo lavorando».
LO HA CONSEGNATO IL SUO SUCCESSORE MICHELE GRECO JR CON LA
SCUSA CHE E' TROPPO INGORDO SUI FONDI DEL PRNN E DEL PONTE DI
MESSINA : Solo due mesi fa, novembre 2022, Massimo Giletti
manda in onda su La7 un'intervista a Salvatore Baiardo. Un gelataio
piemontese, in altri tempi uomo di fiducia dei fratelli Graviano,
capimafia di Brancaccio, al punto da gestirne la latitanza. Una
chiacchierata in cui l'uomo, pentito dagli anni '90, lascia
intendere di essere ancora ben collegato a certi ambienti e
profetizza l'imminente arresto di Messina Denaro: «Un bel regalino,
un fiore all'occhiello» per il governo appena insediato. «Presumiamo
che Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per
consegnarsi lui stesso, per fare un arresto clamoroso – è l'ipotesi
formulata da Baiardo –. E così, arrestando lui, magari esce qualcuno
che ha l'ergastolo ostativo, senza che ci sia troppo clamore». Un
accordo, quindi, perché la trattativa Stato-mafia «non è mai
finita».
Parole che, riascoltate oggi, suonano inquietanti. Ma, secondo il
procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido, è solo «una
coincidenza», perché «le voci sulle condizioni di salute di Messina
Denaro sono vecchie di 20 anni» e quella condotta «è stata
un'indagine pura, fatta con le intercettazioni». Dal Pd, però, il
deputato Roberto Morassut chiede che «il ministro dell'Interno
riferisca al Parlamento, anche per fugare ogni dubbio sull'ipotesi
di una trattativa». La premier Giorgia Meloni, interpellata sulla
questione, dice di «non capire, qualcuno dovrebbe spiegarmi su cosa
si sarebbe fatta questa eventuale trattativa». E ricorda che «il
primo provvedimento in assoluto assunto da questo governo è la
difesa del carcere ostativo, del carcere duro. Matteo Messina Denaro
– sottolinea – andrà al carcere duro perché quell'istituto esiste
ancora grazie a questo governo»
SAPEVA DELLA SOFFIATA IL MINISTRO DELL'INTERNO ? Era
stato un auspicio, oggi suona come una profezia. O forse come la
fondata speranza di chi, dopo anni di caccia serrata alla Primula
rossa di Cosa Nostra, aveva sentito circolare un certo ottimismo.
«Mi auguro di essere il ministro dell'Interno con il quale si
giungerà all'arresto di Matteo Messina Denaro – aveva detto il 9
gennaio, il titolare del Viminale Matteo Piantedosi –. Da ministro
auspico giustizia nei confronti delle vittime e quindi che Matteo
Messina Denaro venga preso. Confido nelle forze di polizia e
magistratura e nel lavoro che è stato svolto da chi mi ha
preceduto». Ieri, a una settimana esatta dal momento in cui, in
visita ad Agrigento, aveva pronunciato quelle parole, Piantedosi si
è ritrovato al centro di quella che ha definito «una giornata
storica», dedicata alle vittime della mafia e ai loro familiari, ai
tanti che non hanno perso la fiducia nello Stato nonostante la
grandi sofferenze personali. «Vivo l'emozione di essere il ministro
che ha visto compiersi l'ultimo grande arresto di un grande boss di
mafia – ha detto a Palermo, durante la visita alla caserma del Ros –
e penso a più di 30 anni fa, allorquando muovevo i primi passi
nell'amministrazione dell'Interno, nei giorni in cui si verificavano
gli episodi peggiori della guerra di mafia. Penso alla fortuna di
oggi, vivere da ministro dell'Interno questa giornata, che mi ripaga
dell'indignazione di quei giorni». Appena quattro mesi fa, a
settembre, nel Trapanese, l'esecuzione di 70 misure cautelari nei
confronti di presunti favoreggiatori del latitante. Quel giorno era
stata Luciana Lamorgese a sottolineare «l'incessante sforzo
operativo in atto per assicurare alla giustizia Messina Denaro». Ma
a festeggiare, ieri, è stato il suo successore. —
VENDETTA O COLLABORAZIONE DA PARTE DI MATTEO MD ?
«Oggi è una giornata importante per la
lotta alla mafia ma sarebbe letale pensare che lo Stato abbia
sconfitto Cosa Nostra». Il magistrato Nino Di Matteo, noto per
l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ha combattuto per una vita
la criminalità organizzata siciliana è certo: «È un madornale errore
pensare che con l'arresto del boss Matteo Messina Denaro, la mafia
sia finita». Anzi, «la mafia ha ancora la forza per tornare ad
attaccare il cuore del nostro Paese».
Quale è il valore di questo arresto?
«Viene posta la parola fine alla latitanza di un uomo che è stato
condannato definitivamente per le stragi del '92 e '93 e di altri
delitti gravissimi. Un boss crudele».
La politica e il governo sono euforici. Ma si può parlare di una
vittoria dopo una latitanza durata 30 anni?
«Lo Stato avrà davvero vinto quando avrà approfondito e fatto
chiarezza sul come e sul perché sia stata possibile una latitanza
così lunga nonostante l'impegno di migliaia di agenti delle forze
dell'ordine e di decine di magistrati. Avevamo identikit molto
fedeli, Messina Denaro ha vissuto a Palermo, è stato arrestato in
una delle cliniche più frequentate della città».
Ha fatto un selfie con il suo medico curante. Che risposta si dà?
«È assai probabile che la sua latitanza non sia dovuta solo
all'abilità del fuggiasco ma anche alle protezioni di cui ha goduto.
Proprio ieri in una sentenza della Corte di Assise di Palermo, a
proposito della trattativa Stato-mafia che ha condannato i boss e
assolto gli apparati dello Stato, è scritto che per un certo periodo
gli alti funzionari del Vecchio Ros avevano coperto Provenzano per
interesse nazionale in modo che potesse consolidare la leadership
moderata rispetto all'ala stragista. Insomma ci sono sempre state
coperture istituzionali. E fino a quando non si chiariranno le
coperture e le complicità, allora come ora, non potremo di avere
vinto».
Chi è stato Messina Denaro?
«Ha avuto un ruolo centrale. Non solo operativo ma strategico negli
attentati a Falcone e Borsellino. Per fare un esempio: indicò i
monumenti da colpire. Era frutto solo delle sue conoscenze o aveva
dei suggeritori?».
Un altro pentito, Salvatore Baiardo, pochi mesi fa ha detto in tv
che Messina Denaro era malato e che avrebbe potuto farsi arrestare
magari, ha lasciato intendere, se in cambio si discutesse davvero
dell'abolizione dell'ergastolo ostativo.
«Avevo già notato allora la precisione del suo racconto. Ora si deve
fare il possibile per capire come abbia potuto prevedere tutto
questo. E soprattutto come e attraverso chi aveva saputo delle
condizioni di salute di Messina Denaro».
Quale è stata la forza di Messina Denaro?
«È stato un capo particolare. Ha incarnato lo spirito corleonese. È
cresciuto con l'esempio del padre Ciccio Messina Denaro ed è stato
il preferito, fin da ragazzo, di Riina, ma ha saputo traghettare
Cosa Nostra nel nuovo millennio. Ha una storia diversa rispetto ai
boss storici. Ha frequentato ambienti nuovi, ha avuto relazioni con
donne straniere. Non era il capomafia che ha sempre vissuto nei
casolari dell'entroterra siciliano. Ha utilizzato la tecnologia per
comunicare, non solo pizzini. Ha aperto le frontiere nuove per
investire fuori dalla Sicilia».
È il custode di tanti segreti. Anche dell'agenda rossa di Borsellino
e dell'archivio di Riina?
«Non sono congetture, ma considerazioni fatte in un certo periodo
dai boss e riferite dal pentito Nino Giuffrè, che è stato al vertice
di Cosa Nostra. Giuffrè ha sostenuto che Messina Denaro avrebbe
utilizzato l'agenda rossa e l'archivio di Riina come arma di
pressione e ricatto all'interno e all'esterno di Cosa Nostra».
Si può pentire?
«Non lo so. Auspico che, se decidesse di parlare, lo faccia
pienamente. Ma anche lo Stato deve fare la sua parte senza avere
paura di fare domande e di ascoltare risposte come avvenuto in
passato. Messina Denaro non deve aggiungere qualche tassello sulla
stragi ma farci capire chi ha voluto gettare nel panico un Paese,
con finalità terroristiche».
L'ergastolo ostativo va abolito?
«L'abolizione dell'ergastolo ostativo è uno degli obiettivi primari
di Cosa Nostra. Il fine pena mai è stato uno dei motivi delle stragi
e dei ricatti. Il decreto di questo governo ha evitato che, dopo le
sentenze europee e della nostra Consulta, l'abrogazione possa
accadere facilmente ma non lo ha escluso in via definitiva».
Questo è un governo che si impegnerà a fondo nella lotta alla mafia?
«Me lo auguro. Lo vedremo dai fatti. Non posso però non ricordare
che di questo governo fa parte un partito, Forza Italia, fondato
anche da Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per mafia
e che, lo dice la stessa sentenza definitiva, il suo leader (Silvio
Berlusconi, ndr) ha avuto per anni rapporti economici con uomini di
Cosa Nostra protagonisti del periodo stragista».
Chi comanda ora Cosa Nostra ?
«Messina Denaro era il vero successore di Riina. Adesso non penso
che sia facile capire cosa succederà. L'arresto darà uno scossone
che creerà un assestamento attorno a nuovo equilibri, non solo nella
mafia siciliana».
NON E' TOTO REJNA : «Faceva la chemio con me ogni lunedì.
Stavamo nella stessa stanza, era una persona molto gentile». Così
una donna, in un video di Tv2000, racconta di aver condiviso le
sedute con Matteo Messina Denaro all'interno della clinica La
Maddalena di Palermo. La paziente ha poi raccontato: «Ci sono anche
mie amiche che hanno il suo numero di telefono. Lui mandava messaggi
a tutti. Ha scambiato messaggi con una mia amica fino a questa
mattina, lei è ora sotto choc a casa».
MIOPIA TOTALE : Ci sono voluti trent'anni e un giorno da
quando fu preso Totò Riina. Trent'anni e un giorno per scoprire che
Matteo Messina Denaro, massacratore di magistrati, stragista e
assassino di bambini, non si è mai mosso dalla Sicilia. Che andava a
farsi curare come un poverocristo qualunque in una clinica di
Palermo. Una vittoria dello Stato si dice a denti stretti in giorni
così. «Certamente un successo per l'Italia e un grande lavoro dei
carabinieri. Più difficile pensare che il merito sia del governo
Meloni, il meno antimafioso della nostra storia», dice invece
Roberto Saviano a La Stampa, mentre le televisioni di tutto il mondo
rimandano le immagini di un anziano signore col volto pieno di doppi
fondi, sfuggente e ridicolmente mortificato, che viene portato via
dalle forze dell'ordine.
Roberto Saviano, Matteo Messina Denaro è stato arrestato a Palermo.
Probabilmente non si è mai mosso da lì.
«Probabilmente no. Come tutti i capi, Matteo Messina Denaro non ha
mai lasciato il suo territorio. Da nessuna altra parte del mondo
sarebbe stato protetto allo stesso modo».
Protetto da chi?
«Intanto dai suoi. Se qualcuno arriva nei tuoi feudi vengono ad
avvertirti in tempo reale. E chi tradisce sa che pagherà. Se ti
trasferisci, anche solo temporaneamente, in Montenegro, in Romania,
in Kosovo o in Germania (non sono nomi fatti a caso), non sai come
si comporteranno i tuoi vicini di casa o chi ci sia davvero di
fianco a te».
Impossibile comandare da lontano?
«Più difficile. Devi nominare un viceré. E si sa che i viceré prima
o poi vogliono diventare re».
Messina Denaro era in cura a "La Maddalena" da almeno un anno.
Evidentemente si sentiva al sicuro.
«Il sistema sanitario siciliano, ma più in generale il sistema
sanitario italiano, è da sempre infiltrato dalle organizzazioni
criminali. Basti pensare alla storia di Michele Aiello, manager al
soldo di Provenzano che gestiva una delle cliniche migliori del
Mediterraneo. Dunque, sì: evidentemente si sentiva al sicuro».
È sufficiente farsi chiamare Andrea Bonafede per ingannare il
sistema?
«Il nome falso non serviva tanto per ingannare il sistema, quanto
per avere maggiore libertà con medici e infermieri. Meno problemi
per Messina Denaro, meno problemi per chi lo curava».
Cappellino di lana, volto scavato, cappotto di montone, occhiali
scuri. Nelle immagini dell'arresto, l'uomo più ricercato d'Italia
sembra un anziano apparentemente innocuo. La banalità del male.
«Trent'anni di latitanza ti consumano e oggi l'aspetto di Messina
Denaro è quello di un manager qualunque. Gli uomini d'onore spesso
sono così. Affaristi nascosti nel buio».
Torno alle protezioni. La politica?
«Vecchia storia. Difficile dimenticare che il referente di Matteo
Messina Denaro è stato Tonino D'Alì, ex senatore di Forza Italia e
sottosegretario all'Interno, a cui i giudici hanno contestato la
vicinanza a Cosa Nostra. E in particolare a Riina e ai Messina
Denaro padre e figlio. Questo è il livello di stratificazione delle
relazioni».
Nella Sicilia governata dall'ex presidente del Senato Renato
Schifani, cosa è rimasto del rapporto tra i Palazzi e le cosche?
«Non so esattamente che cosa sia rimasto. Quando si parla di Sicilia
bisogna sempre fare attenzione. Ci sono stati dei cambiamenti
profondi. Ma noto anche che Dell'Utri e Cuffaro continuano ad avere
consenso e uomini sul territorio».
E dunque?
«E dunque fatico a convincermi che ci sia stata una rottura
definitiva tra potere politico e mafia in Sicilia. I rapporti del
passato tra Forza Italia e Cosa Nostra sono ampiamente documentati.
Storicamente e giudiziariamente».
Messina Denaro è stato arrestato perché non contava più nulla?
«Non si può dire che non contasse più nulla. Stiamo comunque
parlando del Re di Cosa Nostra. Certamente un'organizzazione molto
diversa da quella di Michele Greco ereditata da Riina e Provenzano.
Cosa Nostra oggi è la quarta delle mafie, dopo 'ndrangheta, camorra
e Società pugliese. Ma sarebbe stupido sottovalutarla».
Falcone diceva che la mafia è un fenomeno umano. Così è nata, così è
destinata a morire.
«Per una volta la penso diversamente da lui. La mafia è nata con
l'uomo e temo che finirà solo quando l'uomo non ci sarà più».
Giorgia Meloni ha rivendicato il successo dello Stato.
«Che per lo Stato sia un successo è certo. Che il merito sia di
questo governo non direi. Anzi, direi che questo è uno degli
esecutivi meno antimafiosi che il Paese abbia avuto».
Sembra un pregiudizio più che un giudizio.
«È solo una constatazione. La mafia ama fare affari con chi sta al
potere, indipendentemente dai colori. Lo ha fatto con la destra e
con la sinistra. Ma la predilezione per la destra è testimoniata da
una infinità di atti e documenti».
Anche Salvini ha twittato esultante.
«Non mi occupo della propaganda. Salvini non ha alcuna competenza in
questo campo. Di criminalità organizzata non sa nulla».
Piantedosi però sì. La scorsa settimana ha detto: mi piacerebbe
essere ricordato come il ministro dell'Interno della cattura di
Messina Denaro. Profetico.
«Le voci su un possibile arresto giravano da molto tempo e quello di
Piantedosi sembrava lo spot di uno che sapeva. Uno spot pericoloso,
perché rischiava di far saltare l'operazione. Ma evidentemente il
ministro era certo di fare cassa mediatica con un arresto di cui non
ha alcun merito. I carabinieri hanno lavorato su Messina Denaro per
anni».
C'era un accordo?
«Di sicuro i tempi erano maturi».
C'è chi sostiene che Messina Denaro avrebbe la famosa agenda rossa
di Borsellino.
«Io non lo so. Di sicuro Matteo Messina Denaro è al corrente di
molte cose. Per esempio immagino che sappia cosa successe nel covo
di Riina quando fu inutilmente ispezionato».
Perché Graviano vuole portarla in tribunale e chiede che il suo
libro su Falcone, "Solo è il coraggio", sia ritirato dalle librerie?
«Molti in questa fase mi vogliono portare in tribunale. E Graviano,
mente operativa dell'assassinio di Falcone e Borsellino, è tra loro.
Sostiene che io abbia mentito quando scrivo che Riina lo mandò a
Roma per costruire una Super-Cosa da contrapporre alla
Superprocura».
A cosa sarebbe servita, la Super-Cosa?
«A seminare il terrore. A uccidere Falcone, Costanzo, Martelli. Ma
anche personalità pubbliche come Renzo Arbore, Pippo Baudo o Enzo
Biagi».
Violenza gratuita e senza scrupoli.
«I corleonosi, e ovviamente Messina Denaro con loro, erano
ossessionati dalla violenza e dalle operazioni mediatiche. Erano
convinti che più si è violenti, più si dimostra la propria potenza,
più si spaventa il nemico più è facile negoziare».
Oggi non è più così.
«Oggi è il contrario. L'omicidio è l'extrema ratio. La mafia
preferisce camuffarsi, magari fingendosi antimafia».
Perché Messina Denaro non è stato portato via in manette?
«Le manette si mettono solo se c'è il rischio reale di fuga. Oppure
per mandare segnali: vedete? C'è il capo ai ceppi. In questo caso
non vedo alcun significato simbolico. Penso a una scelta fatta sul
momento».
Lei è favorevole all'ergastolo ostativo?
«È oggettivamente una misura che contraddice la natura stessa della
pena, che serve a reinserire e non ad escludere. Quindi nessuno può
essere chiuso a chiave senza appello. Mi rendo conto che si deve
valutare caso per caso, ma l'ergastolo ostativo contraddice la
vocazione stessa della Costituzione».
Saviano, chi sarà l'erede di Matteo Messina Denaro?
«Matteo Messina Denaro. Perché in Cosa Nostra, se non parli, anche
dietro le sbarre resti il Re. Fuori ci proverà Giovanni Motisi, in
nome del suo feroce passato. Non ha il profilo
politico-imprenditoriale di Messina Denaro e neanche quello
strategico di Riina o diplomatico di Provenzano, ma 'U Pacchiuni, il
ciccione, si farà avanti di sicuro». —
17.01.23
MATTEO MESSINA DENARO = BUSCETTA 2 con nomi e fatti giusti sulla
connessione mafia-massoneria-servizi segreti-politica-magistratura .
La clinica la MADDALENA quando e' stata costruita, da chi chi la ha
finanziata? NON SAREBBE STATO MEGLIO PEDINARLO PER TROVARE I COVI ?
Il "non compleanno" di Giulio Regeni
Una torta di "non compleanno", con la scritta «Giulio 35» e
«Giustizia e Verità». È il disegno che la mamma di Giulio Regeni,
Paola Deffendi, ha postato per ricordare che ieri il figlio avrebbe
compiuto 35 anni, se non fosse stato torturato e ucciso in Egitto 7
anni fa.
I LADRI DELLE PRIVATIZZAZIONI: La
Croce Rossa chiede soccorso. Non quella nazionale, che scaricata la
sua valanga di debiti a una bad company, la «Esacri» istituita nel
2016, ora va avanti senza fardelli, grazie anche al surplus di
appalti e commissioni piovuti dal cielo per via dell'emergenza
pandemica, come rimarca nella sua ultima relazione del 2022 la Corte
dei Conti. Il problema sono le miriadi di sedi locali, che con la
privatizzazione sono diventate autonome anche dal punto di vista del
bilancio e dove i commissariamenti fioccano. Un processo in atto da
qualche anno, che va a cozzare proprio con lo spirito della
privatizzazione, la quale - in ottemperanza allo statuto di Ginevra
- si prefiggeva di garantire la piena autonomia rispetto alla
politica. Che ha spesso esercitato il suo controllo sulla Cri
proprio attraverso i numerosi commissariamenti succedutisi negli
anni. E che ora si ripropongono a livello locale, per beghe interne,
lotte intestine di un ente da sempre troppo attiguo ai partiti. Ma
più spesso per mala gestio. Il che maschera il rischio di nascondere
la polvere sotto i vari tappetini dei bilanci regionali.
Il comitato Croce Rossa di Crotone, ad esempio, è stato
commissariato per la terza volta nell'arco di otto anni a causa di
«una preoccupante situazione sia associativa che
amminstrativo-gestionale». Leggasi assunzioni familiaristiche,
stipula di un sub comodato con la locale Asp non consentito dalla
legge, assenza di attività di volontariato. Perché mentre si
assumevano parenti stretti dei vertici del comitato, l'attività «è
stata svolta per la quasi totalità sempre dalle poche decine di
volontari, di cui buona parte risulta sistematicamente assunta a
rotazione come dipendente a tempo determinato», riporta la relazione
che ha portato al provvedimento. Esempio emblematico di quel che fu
l'«assumificio» del vecchio carrozzone della Cri pre-privatizzazione,
che con un 90% di spese per il personale era arrivata ad accumulare
oltre 335 milioni di debiti, nonostante 160 milioni di finanziamento
statale.
La cattiva gestione è ugualmente all'origine del commissariamento
della Cri di Como. Rimborsi non dovuti, buoni pasto dei dipendenti
usati per spese personali, veicoli di pronto soccorso pagati più del
dovuto in cambio di sconti per le auto private, mezzi dotati ai
vigili del fuoco e poi rivenduti compongono il lungo elenco delle
irregolarità riscontrate. Sarebbero quasi 135 mila gli euro
sottratti indebitamente dall'ex presidente del comitato di Como,
mentre spese illecite con la carta di credito Cri per 17 mila euro
sono state contestate a un dipendente. A entrambi le Fiamme gialle
hanno sequestrato denaro e beni per oltre 150 mila euro dopo aver
analizzato i flussi finanziari della Cri comasca.
A Vercelli la locale Croce Rossa è commissariata da quasi sei mesi
ed è alle prese con una difficile situazione economica, con lo
spettro di esuberi tra il personale dipendente. Il presidente
regionale della Cri, Vittorio Ferrero, ascrive alle minori donazioni
ricevute le difficoltà economiche. Ma intanto l'ultimo deficit
accertato per il 2021 è di 130 mila euro.
A Frosinone i magistrati amministrativi del Tar hanno invece
stoppato il commissariamento. Ma dietro la decisione, contrariamente
a quel che si potrebbe pensare, c'è proprio la riprova della
gestione allegra del Comitato locale della Cri. Quella a suo tempo
denunciata dall'allora presidente Antonio Rocca, imprenditore di
Cassino che nulla ha a che vedere con l'ex presidente nazionale
della Cri, quel Francesco Rocca oggi candidato dalla destra alle
regionali nel Lazio. Sempre a proposito dell'aderenza allo Statuto
della Cri, che tra i principi fondamentali mette in cima alla lista
proprio quelli dell'«imparzialità, neutralità e indipendenza».
L'«altro» Rocca aveva comunque denunciato spese sospette per 300
mila euro da parte di chi lo aveva preceduto. Accuse che hanno
spinto il Rocca nazionale a chiedere il commissariamento della Cri
ciociara, imputandole, tra l'altro, di «aver attirato l'attenzione
degli organi di stampa a seguito della consegna alla Guardia di
Finanza del bilancio di esercizio del 2019». Quasi un avvertimento
rispetto a chi magari la polvere sotto il tappeto non vuole
nasconderla. Fatto sta che i giudici hanno dato ragione all'ex
presidente ciociaro, considerando il commissariamento frutto «di una
ricostruzione manifestatamente distorsiva» dei fatti.
Difficoltà economiche sono alla base anche del commissariamento
della Cri del Sud pontino, mentre la Cri di Pavia fatica a pagare
gli stipendi, visto che a libro paga ne ha ancora ben 70. Sempre il
debito sarebbe all'origine del commissariamento della Cri di
Follonica (Grosseto). Anche se nel verbale con il quale la regione
Toscana ne fa richiesta si legge che la mancata approvazione del
bilancio sarebbe «da attribuire a un chiaro clima di tensioni
interne, generate da fazioni opposte». Lotte intestine che
ritroviamo anche dietro i commissariamenti delle Cri di Limone
Piemonte (Cuneo), Guastalla (Reggio Emilia), Castelfranco (Arezzo),
Fontanellato (Parma) e Sampeyre, sempre in provincia di Cuneo.
L'elenco potrebbe allungarsi ma ci fermiamo qui. Per cercare di
capire come stanno andando invece le cose al livello nazionale, dove
al posto di Francesco Rocca alla guida della Cri è arrivato Rosario
Velastro, che già ricopriva la carica di vice presidente: dopo la
privatizzazione che ha portato nel 2016 ad accollare tutti i debiti
alla bad company Esacri, la Cri, senza più fardelli alle spalle, nel
2020 ha visto crescere il suo attivo del 13,9% rispetto all'anno
precedente, certifica l'ultima relazione della Corte dei Conti del
settembre scorso. Dove però si rimarca anche che questo è avvenuto
grazie a un forte aumento della produzione, pari al 68,2%, frutto
anche delle convenzioni sottoscritte con le amministrazioni
pubbliche e delle donazioni ricevute per fronteggiare l'emergenza
Covid. Come andrà in tempi di pace si vedrà.
ATROCE : Ieri alle 3 in Nigeria un gruppo di banditi ha
attaccato prima dell'alba la residenza parrocchiale della chiesa
cattolica di San Pietro e Paolo a Kafin-Koro, nella regione di
Paikoro e diocesi di Minna, uccidendo il parroco padre Isaac Achi e
ferendo alle spalle il suo collaboratore padre Collins, ora
ricoverato in ospedale. All'arrivo delle forze dell'ordine, gli
aggressori hanno lasciato l'abitazione dandola alle fiamme e
provocando così la morte di padre Achi. Lo riporta Vatican News,
aggiungendo che sono state avviate le indagini per arrestare gli
aggressori. Il responsabile delle relazioni pubbliche della polizia
nello Stato, Wasiu Abiodun, ha dichiarato che «i banditi hanno
tentato di entrare nella residenza, ma non ci sono riusciti, e hanno
dato fuoco alla casa. Il reverendo padre è morto carbonizzato»,
riporta ancora Vatican News.
IL PAPA E' STANCO E MALATO, STA PER DIMETTERSI, APPENA SARA'
INDICATO IL SUO SUCCESSORE AI CARDINALI CHE HA ELETTO : MARENGO
; Affacciato alla finestra più celebre del pianeta, rivolta
su piazza San Pietro e al mondo, dieci giorni dopo avere presieduto
i funerali del Papa che rinunciò al soglio pontificio, Francesco
scandisce: chi ricopre incarichi educativi e di guida deve «imparare
a servire gratuitamente e poi a farsi da parte, per dare spazio agli
altri. A congedarsi nel momento opportuno». Mai «attaccarsi a ruoli
e posizioni». Vale per i «genitori, l'amicizia, la vita di coppia,
la vita comunitaria». E soprattutto «per un sacerdote». A maggior
ragione per il capo universale dei preti, il Papa, è la suggestione
immediata di prelati, fedeli e osservatori, dentro e fuori il
recinto cattolico, pro o contro il pontificato. Una riflessione che,
di fronte a espressioni come quella di ieri all'Angelus, sorge
rapida e spontanea, soprattutto dopo la morte del Papa emerito e con
la certezza che il Pontefice ha già consegnato le «dimissioni» in
bianco in caso di impedimenti gravi e permanenti legati alla salute.
Bergoglio ha preso spunto dalla testimonianza di san Giovanni
Battista, che «apre la porta» a Cristo «e se ne va»: a un certo
punto bisogna lasciare «posto al Signore. Non prendere qualcosa come
un contraccambio». Con questo suo «spirito di servizio, Giovanni il
Battista ci insegna la libertà dagli attaccamenti». È facile
«attaccarsi a ruoli e posizioni - osserva - al bisogno di essere
stimati, riconosciuti e premiati. E questo, pur essendo naturale,
non è una cosa buona, perché il servizio comporta la gratuità, il
prendersi cura degli altri senza vantaggi per sé, senza secondi
fini, senza aspettare il contraccambio». E secondo il Papa «farà
bene anche a noi coltivare la virtù di farci da parte al momento
opportuno, testimoniando che il punto di riferimento della vita è
Gesù». E lo ribadisce, come da suo stile quando tiene
particolarmente a un concetto: «Farsi da parte, imparare a
congedarsi: ho fatto questa missione, mi faccio da parte e lascio
posto al Signore».
Le voci di una possibile uscita di scena anticipata di Papa
Bergoglio aleggeranno per tutto il resto del «regno argentino», sarà
un tormentone ricorrente - con tanto di toto-nomi per il successore
- «spesso strumentalizzato dai suoi oppositori, con speculazioni
sulle complicazioni motorie del Vescovo di Roma, la carrozzina, il
bastone, e ovviamente l'età che avanza (86)», analizza un porporato.
Anche se la sensazione diffusa nelle Sacre Stanze è che «il Santo
Padre non abbia in programma di lasciare. Almeno non in tempi
brevi». Francesco appare complessivamente in buona salute, a parte
il noto problema causato dal dolore alla gamba. E più volte ha
ribadito che «si governa con la testa, non con il ginocchio».
Nei giorni del lutto per Benedetto XVI, padre Antonio Spadaro,
direttore della rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica, ha
suggerito a La Stampa che «se nella sua preghiera e nel suo
discernimento dovesse percepire di dover lasciare, lo farebbe senza
battere ciglio, come ha sempre affermato. Ma mi sembra che siamo
fuori dall'orizzonte della rinuncia al papato, tenendo conto che sta
lavorando ad appuntamenti futuri». Tra i quali, uno nuovo Francesco
l'ha annunciato ieri: «Il 30 settembre avrà luogo una Veglia
ecumenica» per «il Sinodo». Assise sulla sinodalità che è in corso e
che lo stesso Papa ha prolungato fino all'ottobre 2024. Poi, il
Pontefice tra 15 giorni volerà in Repubblica Democratica del Congo e
in Sud Sudan, un viaggio non agevole. È in agenda la sua presenza in
Portogallo ad agosto per la Giornata mondiale della Gioventù. In
più, sono in ballo le ipotesi di Marsiglia e dell'Ungheria; e in
fase di studio le mète Mongolia, India e Libano.
Pochissimi nei Sacri Palazzi prevedono che il Papa possa ritirarsi
prossimamente, ma ovviamente nessuno può esserne certo. Neanche lo
stesso Francesco, che ha già comunicato come si comporterebbe: si
farebbe chiamare «vescovo di Roma emerito»; non indosserebbe la
talare bianca; non abiterebbe in Vaticano; né tornerebbe in
Argentina: resterebbe a Roma, e cercherebbe una chiesa dove
confessare la gente e consolare i malati.
Tra l'altro, le parole del Pontefice risuonano nei Sacri Palazzi
anche come un messaggio a chi, tra i suoi oppositori che non hanno
più mandati di governo, continua a «esporsi contro il Papa o a
diffondere veleni anti-Bergoglio». Molti prelati hanno pensato agli
sfoghi di monsignor Georg Gaenswein, segretario di Joseph Ratzinger,
mentre è in gioco il suo futuro: dovrebbe abbandonare il Monastero
Mater Ecclesiae entro l'1 febbraio per trasferirsi in un
appartamento in Roma, ma non si conosce ancora il suo destino
ecclesiastico. Si parlava di una nunziatura. O anche di una docenza
in un ateneo cattolico. Più difficile un ritorno nella sua Germania.
Resta valida anche l'ipotesi che continui per un tempo indefinito a
essere prefetto della Casa pontificia, ma sempre in congedo.
DEMOCRAZIA TEDESCA CONTRO GRETA : La marcia per salvare
Lützerath dalle ruspe del colosso energetico Rwe è conclusa, i
riflettori si spengono, i dimostranti tornano a casa ma Greta
Thunberg è ancora lì, mentre continua il lavoro di demolizione di
quel che resta del villaggio della Renania. Insieme agli attivisti
che presidiano la zona da settimane, Greta viene sorpresa a ballare
e cantare in prossimità dello scavo a cielo aperto della miniera di
lignite Garzweiler II, di proprietà di Rwe. Invitata ad allontanarsi
dalle forze dell'ordine, l'attivista svedese sceglie di rimanere e
viene allontanata dalla polizia, che la prende sotto braccio e
l'accompagna fuori dalla zona protetta. È stata vista seduta sul
ciglio dello miniera - dirà un portavoce della polizia a Dpa - una
scelta incauta e pericolosa dopo giorni di pioggia incessante. Se è
stata portata via, era solo per garantire la sua stessa incolumità,
viene precisato dal portavoce.
Greta torna verso Keyenebrg a piede libero, il villaggio a circa 3
chilometri di distanza, che nelle ultime settimane è diventato il
nuovo campo base. È li che si sono spostati i giovani attivisti ma
mano che venivano sgomberati da Lützerath, ed è lì che dormono in
tenda, nel campo autogestito, dove durante i pasti si condividono le
provviste raccolte e donate da ciascuno durante il giorno. Un
cartone davanti al portone della chiesa a mattoncini rossi di
Keyenberg riporta in stampatello la scritta «spenden» (donazioni).
Dentro ci sono prodotti di ogni tipo: muesli, una zucca, barrette di
cioccolato. Il campo era pieno nel fine settimana, ora sono rimasti
in pochi. Sara e suo fratello, di 24 e 28 anni, erano arrivati da
Düsseldorf con la speranza di riuscire a bloccare l'espansione della
miniera di Garzweiler II, che dovrebbe inghiottire Lützerath e
risparmiare Keyenberg. «Siamo riusciti a salvare la foresta di
Hambacher tre anni fa, magari può succedere di nuovo. Bisogna
restare ottimisti», ci dicono. Nel 2020 era stato ingaggiato un
analogo braccio di ferro tra ambientalisti e il colosso dell'energia
Rwe per salvare la foresta millenaria tra Aquisgrana e Colonia. E in
quel caso, grazie alla mediazione del governo, gli attivisti avevano
avuto la meglio. Stavolta però il film non sembra lo stesso.
Dentro il villaggio fantasma di Lützerath, ormai quasi del tutto
raso al suolo, di attivisti non ce ne sono più, tutti sgomberati, ci
racconta al telefono Stefan, collaboratore della giovane deputata
verde Kathrin Henneberger, che ha ancora il permesso di restare
dentro il villaggio. Ieri due dimostranti erano riusciti a sfondare
il cordone della polizia tentando di raggiungere Lützerath,
completamente blindata. Ma è durato un attimo, sono stati
riacciuffati subito e riportati indietro. «Qui sono rimasti solo
poliziotti, collaboratori di Rwe e qualche giornalista - dice Stefan
-, di attivisti sono rimasti solo le due persone nel tunnel» scavato
nella terra, ci spiega. «Ma di più non posso dire». Le operazioni
condotte da rappresentanti di Rwe per tirare fuori i due ragazzi,
che si sono incuneati nelle cavità della terra per resistere allo
sgombero, sono delicate. I due, che si fanno chiamare con i nomi di
fantasia "Brain" e "Pinky", sono decisi a non uscire. Ma il pericolo
di crolli in cunicoli scavati a mano, su un terreno argilloso, è
oggettivo e il nervosismo palpabile.
All'esterno le operazioni di sbancamento procedono incessanti. Ieri
è stato tagliato l'albero simbolo della protesta, un vecchio tiglio
centenario conosciuto dagli attivisti come l'albero della pace. È
stato tra gli ultimi a cadere, con casetta annessa. Tra le sue
fronde avevano ricevuto ospitalità migliaia di attivisti dal 2021 ad
oggi.
Il buio
donne afghane
Noura ha cominciato a giocare a pallone a nove anni. Trascorreva i
pomeriggi tirando calci a una palla coi ragazzini che vivevano
vicino a lei e alla sua famiglia in un quartiere a Nord di Kabul. È
andata avanti così finché non l'ha notata un allenatore che le ha
chiesto di provare a far parte di una squadra di calcio femminile.
Sua madre, timorosa del giudizio della gente, ha tentato di fare
resistenza. Nella società conservatrice afghana, anche dopo il 2001
e la caduta del primo emirato islamico, la passione sportiva in una
donna era considerata una violazione della modestia, un mancato
rispetto del ruolo imposto alle donne nella società. Per questo sua
madre l'ha punita e picchiata, ha provato a convincerla ad
abbandonare lo sport, gli allenamenti, ma la passione di Noura era
talmente viva e tenace che alla fine la famiglia ha ceduto e a
tredici anni la ragazza è stata nominata migliore giovane
calciatrice della sua età, e celebrata in televisione e sui
giornali.
Da allora sono passati otto anni, Noura è diventata una donna e il
Paese in cui a una bambina era permesso, sebbene con fatica, di
sognare una forma di libertà come tirare un calcio al pallone, non
esiste più, perché in meno di due anni l'Afghanistan è tornato
indietro di secoli.
Dal 2021 del Paese dei programmi che incoraggiavano lo sport, delle
scuole per le bambine e per le donne, del percorso di emancipazione
femminile non resta niente. Un percorso raso al suolo da una guerra
di vent'anni conclusa con la sconfitta di Stati Uniti e dei loro
alleati, da una fuga caotica e frettolosa dei contingenti
occidentali e dalla conseguente presa del potere dei talebani.
Ad agosto 2021, quando è stato chiaro come sarebbero finite le cose,
il suo allenatore ha avvertito la famiglia di farla fuggire. Noura
dice che sua madre non l'ha avvertita e, spinta dalla disperazione,
la ragazza ha tentato di togliersi la vita. Si è ripresa, ma la sua
vita è diventata un buio vicolo cieco.
La sua è solo una delle tante storie raccolte da Ebrahim Noroozi,
fotografo dell'Associated Press, che ha speso giorni a Kabul
ritraendo i corpi delle sportive afghane costretti sotto il punitivo
burqa.
Nella foto che ritrae Noura, la donna tiene un pallone nella mano
destra, alle sue spalle ci sono altre dieci donne, anche loro con un
pallone in mano. È una squadra, undici donne cui il regime talebano
sta impedendo di vivere il presente e pensare il futuro, undici
donne unite dalla determinazione di riavere indietro quello che è
stato loro sottratto.
I dilemma degli aiuti
Il divieto di praticare sport fa parte della crescente campagna di
restrizioni dei talebani che ha interrotto la vita di milioni di
donne. Dopo aver preso il potere sedici mesi fa, i talebani hanno
dichiarato che avrebbero riorganizzato l'istruzione femminile
rispettando il diritto delle giovani di frequentare le scuole.
Garanzia disattesa. Non solo le giovani non sono mai tornate a
scuola, ma è stato loro imposto un guardiano per uscire di casa, non
possono entrare nei parchi, nelle palestre, le loro possibilità di
lavorare fuori casa sono state progressivamente compromesse fino al
divieto, il mese scorso, di essere assunte nelle ong che ancora, con
fatica, operano nel Paese, un passo che sta paralizzando l'accesso
agli aiuti umanitari da cui il Paese dipende.
Molte organizzazioni, infatti, dopo l'ennesima restrizione dei
talebani che le riguardava, hanno deciso di interrompere le
attività. Medici senza Frontiere ha espresso grande preoccupazione
sulla capacità di riuscire ancora a curare le donne. «La
partecipazione delle donne che lavorano nelle ong alla fornitura di
servizi sanitari è assolutamente essenziale - hanno scritto -. Le
donne costituiscono oltre il 50% del personale medico di Msf in
Afghanistan».
Parliamo di quasi mille tra personale medico e infermieristico,
cruciale non solo perché garantisce alle donne di ricevere cure, ma
anche perché è sul loro lavoro e sul loro stipendio che da anni si
sostengono interi nuclei familiari. La salute di una donna è,
insomma, la salute di una intera comunità e la domanda, ora, è cosa
ne sarà di donne malate se sarà preclusa loro la possibilità di
essere curate da medici uomini, come faranno le donne a partorire se
le cliniche delle organizzazioni umanitarie dovessero tutte
interrompere le loro attività, quanto aumenterà la mortalità
materna, quella infantile, e ancora, cosa ne sarà di tutte le
giovani e giovanissime che non possono studiare, né lavorare e
vivono in una delle milioni di famiglie sull'orlo della fame.
Uno degli effetti già visibili dopo un anno e mezzo è l'aumento
delle dei matrimoni precoci, bambine di fatto vendute, costrette a
sposarsi per garantire un'entrata economica al nucleo familiare. La
scorsa settimana il segretario generale dell'organizzazione Nrc, il
Consiglio norvegese per i rifugiati, è volato a Kabul per incontrare
i vertici talebani, l'ha fatto spinto dal precipizio dei numeri che
raccontano la crisi del Paese ma anche da un principio per molti non
negoziabile: se i diritti delle donne non vengono rispettati, non
possiamo continuare: «Non stiamo dando aiuti alle centinaia di
migliaia di persone che serviamo qui in Afghanistan - ha detto
Egeland in un video diffuso da Kabul -. Sta piovendo, sta nevicando,
la vita qui è miserabile, e non dare loro aiuto è estremamente
doloroso per noi, ma riprenderemo a lavorare solo se ci saranno
anche le donne, secondo tutti i valori tradizionali afghani». Poi ha
descritto gli scenari futuri se questo non dovesse avvenire: senza
organizzazioni umanitarie nel Paese 6 milioni di persone saranno a
un passo dalla carestia, 13 milioni di persone rischiano di vivere
senza acqua e 600 mila bambini resteranno senza istruzione
Offende Khamenei 17enne iraniano trovato impiccato
Fabiana Magrì
Ci prova, la lunga mano della repressione delle proteste in Iran, a
nascondere le vittime come polvere sotto al tappeto. Ma le storie di
una generazione, che sfida suo malgrado le forze militari,
riemergono anche a distanza di settimane per fare il giro del mondo
via social media, attraverso la rete capillare della diaspora
iraniana e degli attivisti per i diritti umani.
Alireza Fili aveva 17 anni quando, alla fine di ottobre del 2022, i
pasdaran hanno fatto irruzione nella sua scuola ad Andisheh, una
cittadina a 30 km da Teheran, durante una protesta studentesca.
L'adolescente, che nel racconto su Twitter di una giornalista
iraniana amava tenersi in forma e praticava body building, era stato
prelevato dagli agenti della Repubblica islamica per aver scandito
slogan anti regime e aver strappato la foto della Guida Suprema
Khamenei. Alcuni giorni dopo il padre ha trovato il corpo del figlio
impiccato nel suo negozio, con i bottoni della camicia e le tasche
dei pantaloni strappati. Un apparente suicidio messo in scena dal
regime, secondo le accuse della famiglia.
Una studentessa di architettura dell'Università di Ahvaz, la 22enne
Donya Farhadi, era scomparsa il 7 dicembre, durante la Giornata
degli studenti in Iran, dopo aver partecipato alle proteste e aver
ingaggiato un conflitto verbale con i Basij nell'ateneo. Per una
settimana i genitori l'hanno cercata invano, fino a quando hanno
rintracciato il suo telefono nei pressi del fiume Karoon e hanno
notato tracce di sangue sul terreno. Per quattro giorni i funzionari
della sicurezza si sono rifiutati di autorizzare le ricerche dei
sommozzatori. Sono stati i pescatori a trovare il corpo senza vita
della ragazza. Le guardie rivoluzionarie hanno classificato la morte
di Donya come un suicidio per annegamento ma il sindacato
studentesco, contestando la tesi ufficiale, ha reso noto che sul
corpo della giovane sono stati trovati fori di proiettili,
sostenendo che deve essere stata uccisa a colpi d'arma da fuoco
prima di essere gettata nel fiume.
Da parte degli attivisti, crescono anche le preoccupazioni per la
possibile imminente esecuzione di altri manifestanti detenuti, Majid
Kazemi e Saeed Yaqoubi arrestati a Esfahan, dopo che sono giunte
notizie del loro trasferimento in celle di isolamento, un passaggio
che solitamente precede l'impiccagione.
In un crescendo di tensione diplomatica tra Occidente e Iran dopo
l'esecuzione del cittadino iraniano-britannico Alireza Akbari,
l'Unione Europea ha ribadito ancora una volta la sua «ferma
opposizione all'applicazione della pena capitale in qualsiasi
circostanza». Il ministro degli esteri europeo Josep Borrell ha
invitato pertanto l'Iran «ad astenersi da qualsiasi futura
esecuzione» e ha espresso «piena solidarietà al Regno Unito».
Secondo i media, Gran Bretagna e Ue dovrebbero coordinare le mosse
per etichettare il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche (Irgc)
come un'organizzazione terroristica, unendosi a Stati Uniti,
Francia, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Già il 12 gennaio il
ministro britannico Leo Docherty aveva dichiarato alla Camera dei
Comuni che la questione era stata presa in considerazione, senza
indicare una data per la decisione formale che - sottolinea il
quotidiano inglese The Guardian - «è destinata a provocare
ritorsioni iraniane».
Intanto, la testata anti regime con sede a Londra, Iran
International, ha reso noto che la diaspora iraniana si sta
preparando per una manifestazione di solidarietà a Strasburgo, in
programma oggi, per sollecitare la proscrizione dei pasdaran.
Migliaia di iraniani provenienti da tutta Europa si sono impegnati a
partecipare per farsi sentire con forza dal Parlamento europeo, che
martedì terrà una sessione plenaria.
IL RISTORATORE INGORDO E RESPONSABILE : Questa è la storia di
un femminicidio in cui l'unica cosa certa è, purtroppo, la morte di
un'avvocata di 35 anni, Martina Scialdone che, ironia della sorte,
per lavoro si occupava di diritto di famiglia e donne maltrattate.
Ma il delitto è ancora pieno di punti oscuri. Di buchi nella
ricostruzione di quello che è accaduto venerdì sera, dentro e fuori
il ristorante Bardo, durante la lite tra la vittima e il suo
assassino, l'ex fidanzato Costantino Bonaiuti, 61 anni, di origine
etiope, ingegnere e sindacalista dell'Enav. Con una domanda che
aleggia su tutto: Martina poteva essere salvata? Il dubbio è
inevitabile e si porta dietro una serie di domande. Innanzitutto,
vista l'aggressività di Costantino durante il litigio furioso,
gestori e clienti del ristorante non potevano intervenire per
evitare il drammatico epilogo? Martina ha perso la vita
nell'indifferenza generale?
Quella che doveva essere una cena per chiudere definitivamente il
rapporto si è trasformata in un'occasione di morte. Lei lo aveva
lasciato, forse per l'eccessiva differenza d'età, forse per un altro
amore, e lui non accettava il rifiuto. Si sono incontrati per
discutere e dopo aver vistosamente litigato l'uomo l'ha uccisa
sparandole un colpo di pistola al petto. L'omicidio è avvenuto fuori
dal ristorante, poco prima delle 23,30.
Ma prima, a tavola, i due hanno iniziato a bisticciare. Martina,
terrorizzata, si è rifugiata in bagno e Costantino ha incominciato a
bussare contro la porta urlandole insulti come un forsennato. Le
gridava contro parolacce di ogni genere e tirava pugni contro la
porta. Tanto da essere invitato dal gestore del locale a uscire. Lo
conferma il difensore dell'assassino, l'avvocato Domenico Pirozzi:
«Il mio assistito ha riferito che il ristoratore ha invitato lui e
la ragazza a non fare rumore e ad accomodarsi fuori».
L'ingegnere accoglie il suggerimento ed esce dal ristorante. Martina
ancora non si fida, ha ancora troppa paura e rimane chiusa in bagno.
Per farla uscire, la porta viene aperta con una chiave di riserva. E
a questo punto che cosa succede? Esce in strada di sua spontanea
volontà o le chiedono di farlo? «Quando lei è entrata in bagno il
proprietario invece di darle una mano le ha detto di andare fuori
per non disturbare i clienti», ha raccontato un testimone ai
microfoni del Tg3 Lazio. E un senzatetto, Simone De Angelis, che
spesso staziona davanti al Bardo, insiste: «La gente è stata
indifferente al litigio e agli insulti che ha subìto quella povera
ragazza ammazzata. Ho sentito un cameriere dire a un poliziotto che
non avevano capito la gravità del litigio altrimenti non li
avrebbero invitati a uscire dal ristorante per non dare fastidio
agli altri clienti». La vicina di casa di Martina (che abitava con
la mamma, vedova, Viviana Pieroni) rincara la dose: «Adesso dicono
che l'hanno aiutata, ma non è vero: nessuno in quel ristorante ha
mosso un dito per aiutare Martina».
Ma i buchi della vicenda non si limitano solo alla possibile
indifferenza degli spettatori di questo dramma. Tutta da definire è
anche la personalità dell'assassino. A partire dal fatto che ora
nega di avere il cancro. «Me lo ha escluso nella maniera più
categorica - riferisce ancora il suo avvocato -. Mi ha detto di
essere depresso e amareggiato per quello che ha fatto. Ma ha negato
di avere un tumore maligno».
Peccato però che ai colleghi dell'Enav Costantino Bonaiuti avesse
detto il contrario. «Ci raccontava della malattia oncologica -
raccontano - e delle lunghe sedute di chemioterapia a cui si
sottoponeva». L'ingegnere era separato dalla moglie, ma viveva
ancora con lei in un alloggio a Fidene. Appassionato di armi era
campione regionale di tiro e si esercitava nello stesso poligono
dove sparava il killer della strage di Fidene, Claudio Campiti. I
vicini di casa di Bonaiuti lo definiscono come «un uomo molto
irascibile e violento». Uno addirittura ricorda: «Sfrecciava con la
sua Mercedes nera come un pazzo e quando gli ho chiesto di andare
più piano mi ha risposto "Non mi scocciare, sennò ti sparo"».
L'ultimo buco di questa tragedia è sui tempi dell'intervento della
polizia. I ristoratori dicono di averla allertata già durante il
litigio della coppia. Altre telefonate al 112 sono arrivate dopo gli
spari, ma la Volante è arrivata appunto solo dopo l'omicidio. La
procura, che coordina le indagini della polizia, contesta a
Costantino Bonaiuti «l'omicidio premeditato aggravato dai motivi
abietti e futili rappresentati dalla gelosia e di avere agito contro
una persona a cui l'uomo era legato sentimentalmente».
E ora il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, si interroga sull'uso
delle armi. «Forse - dice - dovremmo fare una riflessione sulla
necessità di limitare il possesso delle armi, riducendone il numero
in circolazione, per aumentare la sicurezza di tutti».
LA NEVE ARTIFICIALE DANNEGGIA IL
PIANETA: Strano a dirsi, ma se vogliamo palesare uno dei limiti
oggettivi dello sviluppo umano lo dobbiamo cercare sempre più in
quelle attività di svago e divertimento o sport che fanno ormai
parte integrante del nostro essere sapiens. Tocchiamo con mano
questo limite ogni estate, quando non ritroviamo la spiaggia che
frequentavamo, perché mangiata dal mare, o non riconosciamo quel
corso d'acqua dove passeggiavamo, perché ormai ridotto a un
rigagnolo a causa di dighe e interventi di ogni tipo. Ma ormai
questo limite è diventato evidentissimo nelle montagne di tutto il
mondo e nelle Alpi in particolare, irriconoscibili rispetto a
cinquant'anni fa per via dell'espansione di centri abitati e
infrastrutture, del turismo di massa e a causa di elefantiaci,
spesso inutili e quasi sempre dannosi impianti di risalita di ogni
tipo e misura.
La cartina di tornasole però la fornisce, come spesso avviene
ultimamente, il cambiamento climatico odierno, vera misura del
limite dello sviluppo economico dell'umanità. Quello della montagna
è un sistema estremamente fragile e le aree montuose, insieme a
quelle polari, sono le più sensibili all'aumento delle temperature
atmosferiche. Le Alpi vengono visitate da circa 120 milioni di
persone ogni anno e il flusso turistico è in continuo aumento per la
diffusione di una serie di attività sportive che possono essere
praticate soltanto in questo tipo di ambiente. Tra l'altro, le faune
di montagna sono in costante arretramento e perdono habitat a causa
della costruzione di piste da sci, insediamenti e vie di
comunicazione, e sono costrette a evitare con cura la presenza
umana, che penetra sempre più profondamente il loro ambiente.
Per molte aree alpine, poi, la sicurezza della presenza di neve è
uno degli elementi chiave dell'offerta turistica. Una neve che
presto non ci sarà più, rendendo addirittura problematiche le
prossime Olimpiadi di Milano e Cortina. Questione di un paio di
decenni e l'arco alpino sarà interamente privo di un manto nevoso
stabile e resisteranno solo i ghiacciai più grandi, Stelvio,
Marmolada, Adamello. E, in Italia, la metà dei paesi in cui si
effettuano attività sciistiche si trova sotto i 1.300 metri, dove
già oggi non c'è più neve. Per far fronte alla diminuzione delle
precipitazioni nevose, oggi alcuni comprensori sciistici sono in
grado di innevare il 100% delle piste, al punto in cui l'innevamento
naturale viene addirittura visto come un'integrazione della neve
artificiale. In Italia, su 4.693 km di piste da sci da discesa,
oltre il 60% è innevato artificialmente.
È una soluzione? Per produrre la neve artificiale, occorre
nebulizzare finissime goccioline d'acqua con l'utilizzo di cannoni
ad aria compressa: una parte dell'acqua evapora sottraendo calore
all'ambiente circostante e di conseguenza le restanti goccioline si
raffreddano, gelano e cadono al suolo sotto forma di cristalli di
ghiaccio. Questo processo funziona con temperature dell'aria
inferiori a –4°C, temperatura dell'acqua inferiore a 2°C e umidità
dell'aria inferiore all'80%. Quando ciò non accade, si utilizzano
additivi che influiscono sulla temperatura alla quale l'acqua
ghiaccia, perciò per produrre la neve artificialmente occorrono
acqua, aria ed energia.
Con un metro cubo di acqua si possono produrre in media da 2 a 2,5
metri cubi di neve; per l'innevamento di base di una pista da 1
ettaro occorrono almeno 1.000 metri cubi di acqua, per non dire
degli innevamenti successivi, che richiedono un consumo nettamente
superiore. La Cipra (Commissione Internazionale per la Protezione
delle Alpi) calcola che, per i 23.800 ettari di piste innevabili
delle Alpi, occorrono ogni anno circa 95 milioni di metri cubi di
acqua, pari al consumo annuo di una città con 1,5 milioni di
abitanti. Per sciare. L'acqua utilizzata viene attinta dalla rete
idrica naturale e da quella potabile, eventualmente anche con la
costruzione di bacini di raccolta appositi che garantiscono la
disponibilità in breve tempo di grandi quantità. Per innevare
l'intero arco alpino, il consumo energetico totale equivarrebbe a
600 GWh, corrispondente all'incirca al consumo annuo di energia
elettrica di 130.000 famiglie di quattro persone. Sempre per sciare.
Consumi extra di energia e conseguenti emissioni clima alteranti
hanno il simpatico effetto di incrementare la forzante antropica
all'effetto-serra, aumentando la fusione di neve e ghiacci e,
dunque, spingendo a innevamenti artificiali ancora più massicci. In
un circolo vizioso senza fine. A ciò va aggiunto che un metro cubo
di neve artificiale pesa 350 kg contro i 70-100 kg di un metro cubo
di neve naturale, in quanto i cristalli che lo compongono sono più
compatti e l'acqua è presente in maggiori quantità. Così il suolo è
sottoposto ad una pressione anomala ed è meno isolato termicamente.
Inoltre, l'acqua prelevata da laghi, fiumi superficiali e
sotterranei e utilizzata per l'innevamento contiene minerali e altri
composti chimici che rimangono direttamente intrappolati nel suolo
in quantità maggiori rispetto all'innevamento naturale e per un
periodo più lungo a causa della maggiore lentezza nella fusione
della neve (fino a quattro settimane in primavera). Per non dire
dell'effetto straniante di esigue lingue bianche in un paesaggio
ormai grigioverde, che trasformano il mondo naturale in una
Disneyland insostenibile e totalmente artificiale-
UN SEGNALE FORTE E CHIARO : Sicurezza,
le migliori del 2022 sono Tesla, Hyundai e due cinesi
Tesla Model S
Wey Coffee 01
Ora Funky Cat
Hyundai Ioniq 6
Tesla Model Y
Due Tesla, due cinesi recentemente arrivate sul mercato europeo e
un'elettrica coreana: sono le cinque auto che EuroNCAP ha scelto
come «Best in class», ovvero migliori nella loro categoria, per il
2022. L'ente indipendente europeo per la sicurezza automobilistica,
che ormai da 25 anni si occupa di testare i livelli di sicurezza
attiva e passiva dei nuovi modelli di auto attraverso una serie di
prove e protocolli specifici, anche quest'anno ha valutato i
risultati ottenuti dai modelli passati sotto la sua lente, e ha poi
condiviso quelle che hanno spiccato.
La Hyundai Ioniq 6 ha trionfato nella categoria familiari grandi, le
due cinesi Ora Funky Cat e Wey Coffee 01 rispettivamente in quella
delle piccole familiari e dei grandi Suv, la Tesla Model S e la
Tesla Model Y nelle categorie executive e piccoli Suv. Le auto
vincitrici sono state scelte sulla base delle percentuali raggiunte
nella protezione degli occupanti adulti, dei bambini, degli utenti
deboli della strada e per l'efficacia dei cosiddetti Adas, i sistemi
di sicurezza elettronici.
La Ioniq 6, in particolare, ha raggiunto risultati eccezionalmente
elevati nella protezione degli occupanti adulti ottenendo una
percentuale del 97%. Completamente elettrica ed equipaggiata con le
più recenti tecnologie di sicurezza, ha fornito una buona
prestazione anche sul fronte della protezione dei passeggeri più
piccoli. L'Ora Funky Cat e la Wey Coffee 01 rappresentano invece il
manifesto della carica delle cinesi sul mercato europeo dopo alcuni
tentativi falliti in passato. Entrambe hanno ottenuto ottimi
risultati in tutti i test, meritandosi il titolo nelle rispettive
categorie. La Wey Coffee 01, in particolare, ha superato di poco la
Lexus RX, che EuroNCAP ha comunque voluto menzionare. Ci sono poi le
due Tesla, che dimostrano come al design si possano accompagnare
anche elevati standard di sicurezza: la Model S e la Model Y sono
risultate le migliori del 2022 nella protezione degli occupanti
adulti, ottenendo anche una percentuale del 98% nella categoria
Safety Assist. La Model S è stata inoltre eletta la migliore nella
categoria Pure Electric. La lista delle «Best in Class» è arrivata
al termine di uno degli anni più impegnativi di sempre per EuroNCAP,
che in 12 mesi ha messo alla prova 67 auto in vista di un 2023 che
si annuncia ancora più impegnativo alla luce di nuovi criteri più
rigidi e rigorosi. Il titolo di Best in Class appare dunque
particolarmente meritato (e sudato) per le cinque auto vincitrici:
«Il 2022 è stato uno degli anni più impegnativi di EuroNCAP e
abbiamo visto molte nuove case automobilistiche e nuove tecnologie -
ha detto Michiel van Ratingen, segretario generale EuroNCAP -. È
chiaro che una buona valutazione da parte del nostro ente è vista
dalle case automobilistiche come fondamentale per il successo in
Europa. Ciò può significare solo migliori equipaggiamenti di
sicurezza e automobili più sicure per i consumatori europei in tutto
il mondo».
16.01.23
CI DOBBIAMO RIFLETTERE :
Colpa di un sistema di assistenza sociale e territoriale che fa
acqua da tutte le parti le corsie dei nostri ospedali si affollano
di anziani soli, che quando arriva l'ora delle dimissioni non sanno
dove andare e così continuano a restare in reparto. Cumulando in un
anno oltre 10 milioni di giornate di degenza che sarebbero potute
servire invece a decongestionare le nostre strutture al collasso. La
metà dei ricoveri riguarda infatti pazienti over 70, che in oltre il
50% dei casi restano in reparto circa una settimana in più del
necessario.
A svelare come sulla Sanità finiscano per scaricarsi impropriamente
le carenze del nostro sistema di assistenza sociale, è un'indagine
condotta da Fadoi, la società scientifica di medicina interna.
Considerando che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono
circa un milione l'anno e che almeno la metà di questi sono di over
70. E tenendo poi conto che ben più del 50 per cento di questi
prolunga mediamente di una settimana il ricovero oltre le necessità
sanitarie, in tutto sarebbero 2,1 milioni le giornate di degenza in
eccesso. Considerando il costo medio di una giornata in ospedale,
pari a 712 euro, fanno in totale un miliardo e mezzo l'anno di spesa
che si sarebbe potuto investire in vera assistenza sanitaria. Se
però allarghiamo lo sguardo ai 5 milioni di ricoveri l'anno le
giornate di degenza sprecate da circa un milione di anziani soli
sono 10,5 milioni e il costo lievita a ben 7,5 miliardi.
Il 75,5 per cento dei pazienti anziani resta impropriamente in
ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di
assisterli in casa, mentre per il 49% non c'è possibilità di entrare
in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché
non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il
22,4% ha difficoltà ad attivare l'Adi, l'assistenza domiciliare
integrata. In altri termini un mix tra deficit di assistenza sociale
e di mancata presa in carico da parte di servizi e strutture
sanitarie territoriali.
Una volta dimessi il 24,5% dei pazienti ultrasettantenni va
direttamente a casa, il 41,8% avendo però almeno attivato
l'assistenza domiciliare. Il 15,3% finisce in una Rsa, il 18,4% in
una struttura intermedia.
«Problematiche sociali -afferma il presidente Fadoi, Francesco
Dentali - che si scaricano indebitamente sugli ospedali, mettendo a
rischio anche la salute degli stessi anziani che aumentano così il
rischio di contrarre infezioni ospedaliere»
FINALMENTE LA VERITA' SU Strehler : Marta Marangoni e
Debora Zuin sono attrici molto attive sulla scena teatrale milanese
- l'una anche regista, legata al Teatro della Cooperativa e all'Elfo
e con una sua compagnia (i Duperdù con il marito Fabio Wolf),
l'altra formatasi alla Scuola del Piccolo in era Strehler, premio
Eleonora Duse come attrice emergente nel 2005 - sono tra le
fondatrici di Amleta, l'associazione che si prefigge di contrastare
disparità e violenza di genere nello spettacolo. «Eravamo 28 e siamo
circa 600, donne ma anche uomini, e ci tengo a sottolinearlo - dice
Zuin - . Amleta è cominciata discutendo delle diseguaglianze di
genere, per poi allargare a mobbing, molestie e abusi. Abbiamo
ricevuto il Premio Arte e Diritti Umani di Amnesty International».
Il ministro Sangiuliano ha detto che negherà i finanziamenti ai
teatri complici di molestie. Cosa ne pensate?
DZ: «Che è un passo avanti. Si tratta di vedere se passerà all'atto
pratico. Un codice di condotta per i teatri in materia di molestie e
violenze, in realtà esiste ed è stato firmato, ma non è mai stato
attuato».
Marangoni: «Ci sono poi protocolli specifici, come quello degli "intimacy
coordinator", che tutelano il nostro lavoro in una fase delicata
come quella del set o delle prove, che non ci lasciano soli davanti
a veri e propri abusi di potere».
Per questi casi Amleta che fa?
DZ: «Amleta si prende carico del percorso legale. Affiancata dal
collettivo di avvocate "Differenza Donna". Per la Giornata contro la
violenza sulle donne abbiamo lanciato la campagna social #apriamolestanzedibarbablù:
grande adesione e tante testimonianze».
Cosa è stato denunciato?
MM: «Che personalità anche importanti praticano comportamenti
eufemisticamente "inappropriati" da anni a ripetizione, protetti
dall'omertà di chi sa. E da vulnerabilità e ricattabilità delle
vittime».
DZ: «Si va dalla "palpata", che nella sua banalità è comunque
difficile da gestire, a violenze sessuali o ripetute richieste di
prestazioni. Ci sono provini che sono veri e propri adescamenti. In
modalità notturna che dimostra la connivenza: qualcuno li avrà pure
aperti quei teatri. Devono esserci regole precise per le audizioni».
Vostre esperienze dirette?
MM: « A me è accaduto di tutto e dappertutto, in Italia ma anche
all'estero. Ho studiato recitazione a Barcellona e Berlino, e
ovunque mi sono trovata in situazioni spiacevoli. Sempre da sola.
Gli uomini sono bravissimi a sminuire, a fare quadrato. Ti senti
male, non capisci, ti chiudi. Fai persino fatica a tornare a
lavorare, che pure è la cosa che più ami. Denunciare non è mai
semplice, anche dopo parecchio tempo. Amleta è anche questo:
sostegno tra donne, contro ogni pregiudizio che ci vorrebbe sempre
le une contro le altre».
Ma la consensualità?
DZ: «Spesso dietro un apparente libertà, c'è abuso di potere tra chi
non è sullo stesso piano come ruolo o età».
Come verrebbe giudicato oggi un mito come Strehler?
DZ: «La riflessione va fatta, altroché. Personalità eccentrica e
totalizzante, lui ha vissuto in un sistema che si nutriva di una
certa mentalità; oggi certi comportamenti andrebbero visti in ben
altra prospettiva. È importante discernere quanto una certa
pressione è reiterata, ed è quindi abuso e ricatto, e quanto è
seduttività di una personalità fascinosa. Ancora sopravvive un
sistema patriarcale. Penso al coreografo Jan Fabre che teorizzava
"no sex, no solo" (niente assolo di danza): osannato, premiato, da
noi continua a lavorare. Questo dice molto della persistenza di una
certa mentalità».
MM: «L'Italia è molto arretrata in questo, inutile nasconderlo. È un
problema culturale che deve partire dalle scuole di recitazione. È
importante che ci sia un gioco di squadra con gli uomini, perché la
loro solidarietà permetterà di scardinare il sistema dall'interno».
La cosa più urgente?
DZ: «I cambiamenti culturali sono lenti. Invece in questo campo
bisogna agire velocemente perché in Italia per la denuncia c'è
davvero poco tempo: solo 12 mesi. È prioritario che si allunghino i
termini. Lo shock non è facile da metabolizzare, né la vergogna da
superare. Se da qualcosa dobbiamo cominciare, partiamo almeno da
leggi adeguate».
CORRUZIONE POLITICA : Vento, fango e pioggia
ininterrotta non possono nulla di fronte all'entusiasmo delle
migliaia di giovani (35.000 secondo gli organizzatori) accorsi alla
grande dimostrazione da tutta la Germania. Sono qui per difendere
dalle ruspe quel che rimane di Lützerath, un villaggio di poche case
sul ciglio della miniera di lignite di Garzweiler II. Solo una cosa
li arresta per un attimo nella marcia per la riconquista della zona,
ormai blindata da una cintura di camionette della polizia e agenti
in assetto anti-sommossa: la vista dell'enorme cratere della miniera
a cielo aperto. Un paesaggio che «sembra Mordor», il luogo spettrale
del Signore degli anelli di Tolkien, commenta Greta Thunberg,
arrivata per partecipare alla manifestazione che ha visto anche
momenti di forte tensione.
In queste ultime settimane il villaggio della Renania è diventato un
simbolo della protesta della cosiddetta generazione Greta contro i
padri e le madri che hanno fondato il movimento di cui sono figli: i
Verdi. A deludere le nuove leve è l'accordo che consente ai
proprietari del giacimento, il colosso dell'energia Rwe, di
estendere lo scavo e recuperare i 280 milioni di tonnellate di
lignite che giacciono sotto quel fazzoletto di terra. «Il fatto che
i Verdi abbiano fatto compromessi con certe imprese mostra dove sono
le loro priorità», segnala Thunberg. Ma «Lützerath è ancora qui e
finchè il carbone rimane sotto terra la nostra battaglia non è
finita», esorta Greta dal palco.
«Lützerath è un falso simbolo», sostiene il ministro dell'Economia e
protezione del Clima Robert Habeck, cercando di contrastare l'ondata
di dissenso della sua base. «Non è un simbolo del "tutto come prima"
ma è il punto conclusivo», spiega in un'intervista a Spiegel. Dopo
Lützerath le ruspe si fermeranno – dice Habeck - e la società
proprietaria del terreno si dirà soddisfatta, anzi, smetterà con lo
sfruttamento del carbone nel 2030, anziché nel 2038 come previsto
dal governo Merkel. E' questo il contenuto dell'accordo siglato lo
scorso ottobre tra il ministro federale, la ministra dell'Economia
del Nordreno Westfalia dei Verdi e i vertici di Rwe. E' una vittoria
non una sconfitta, sostengono i vertici del partito ambientalista.
«Vendere l'accordo con Rwe come un successo per il clima è una
totale sciocchezza», ci dice Maria Inti-Metzendorf, di Scientist
Rebellion. Parliamo sotto l'acqua, al riparo di un piccolo ombrello,
mentre in camice bianco si prepara a sfilare insieme ai colleghi.
«Chi fa l'affare è Rwe - spiega la scienziata della sanità pubblica
- brucerà la stessa quantità di lignite, solo con 7 anni di
anticipo. E guadagnerà pagando meno i costi dei certificati di
emissione, che nel tempo diventeranno più cari». 280 milioni di
tonnellate di lignite equivalgono ad altrettante tonnellate di
emissioni di Co2, sostiene Daniele di Torino, che studia Fisica
delle particelle a Berlino. Questo farà saltare gli obiettivi
climatici della Germania. La frase di Habeck infastidisce anche
Matthias: «Non è lui a decidere cosa è o non è un simbolo», ci
racconta mentre aspettiamo il treno di ritorno. «Sono le persone a
scegliere cosa è simbolico e per noi il carbone era un "no go", non
un "ancora un po". Io di sicuro non li voterò più», conclude. I
Verdi hanno preferito dire di sì al carbone e alla lignite piuttosto
che tenere in funzione le centrali nucleari, che dal punto di vista
climatico hanno un impatto minore in termini di emissioni di gas
serra. Come si spiega? «In Germania c'è stato un grande consenso
sociale per l'uscita dal nucleare», ci spiega Maria. E i Verdi sono
nati dal movimento contro il nucleare negli anni Settanta. Identità
contro Clima, uno a zero?
La marcia inizia a Keyenberg, un paesino semi-deserto. «E' stato
dimezzato dalla pressione di Rwe, che ha spinto gli abitanti a
vendere le case con la minaccia dell'esproprio», ci racconta una
signora sopra ai settanta. Suo marito porta in spalla un'enorme
croce di legno gialla. «E' il colore della protesta e il segno della
resistenza cristiana», ci spiega. Il corteo finisce sulla statale a
pochi chilometri da Lützerath. Le autorità non consentono di
avvicinarsi oltre ma i manifestanti sciamano per i campi in
direzione del villaggio. Vorrebbero occuparlo di nuovo, ma il
tentativo fallisce senza resistenza, ci racconta Mandy di Berlino.
Dentro al villaggio a sera rimangono poco meno di 50 persone, di cui
soltanto una resiste appesa agli alberi, come un marsupiale in
estinzione, e due in un tunnel nella terra.
SMEMORATEZZA POLITICA: Gli avvocati del presidente Usa Joe
Biden hanno trovato nella sua casa di Wilmington, in Delaware, più
documenti classificati di quanto si sapesse finora. Lo ha riferito
la Casa Bianca, il cui avvocato Richard Sauber ha dichiarato in un
comunicato che durante la perquisizione della biblioteca privata di
Biden sono state trovate in totale 6 pagine di documenti
classificati, mentre in precedenza la Casa Bianca aveva riferito che
era stata trovata una sola pagina. L'ultima rivelazione si aggiunge
alla scoperta di documenti segreti trovati a dicembre nel garage di
Biden e a novembre nei suoi ex uffici al Penn Biden Center di
Washington, risalenti al periodo in cui era vice presidente degli
Stati Uniti.Alcuni dei documenti recuperati nei suoi ex uffici erano
classificati come "top secret", il grado maggiore di segretezza
nella scala di riservatezza americana (confidential, secret e top
secret). Lo riporta la Cbs citando alcune fonti.
GOLPE BRASILIANO SULLA PELLE ALTRUI: La Corte Suprema del
Brasile ha deciso di includere l'ex presidente Bolsonaro
nell'inchiesta sull'incitamento alla rivolta dell'8 gennaio a
Brasilia. I pubblici ministeri hanno citato un video che Bolsonaro
ha pubblicato sui social due giorni dopo la rivolta, in cui si
afferma che Lula non è stato eletto ma piuttosto scelto dalla Corte
Suprema e dall'autorità elettorale. Bolsonaro ha cancellato il post
il giorno seguente. Nella loro richiesta, i pubblici ministeri hanno
sostenuto che, sebbene Bolsonaro avesse pubblicato il video dopo la
rivolta, il suo contenuto era sufficiente per indagare sulla sua
condotta. Sorte diversa per il suo ex ministro della Giustizia ed ex
segretario alla pubblica sicurezza di Brasilia, Anderson Torres, che
è stato arrestato su mandato del giudice del Tribunale supremo
federale. Torres era in carico della pubblica sicurezza a Brasilia
durante l'attacco dei supporter di Bolsonaro ai Palazzi della
democrazia, domenica scorsa, ma di fatto si trovava in Florida in
vacanza. Nelle ultime ore a casa di Torres è stata trovata la bozza
di un decreto ritenuto "golpista" in cui si proclama «lo stato di
difesa» invalidando la vittoria di Lula. —
il rischio siccità nel 2023 è concreto
Pioggia e neve cadute in queste settimane non bastano a cancellare,
o anche solo a sanare, il deficit idrico dell’Italia. Le cicatrici
della siccità del 2022, la più grave del dopoguerra, sono profonde.
Ma c’è la possibilità che anche il 2023 segua le orme del suo
predecessore. Il rischio siccità nel 2023 è concreto: è l’allarme
lanciato oggi dall’Anbi guardando i dati delle portate dei fiumi e
del riempimento dei laghi nella penisola.
“Come qualsiasi bilancio a lungo in deficit, anche quello idrologico
è ormai pregiudicato ed il riequilibrio non può prescindere da
importanti interventi esterni”, commenta Francesco Vincenzi,
presidente Anbi. L’Osservatorio sulle risorse idriche dell’ente oggi
certifica l’impossibilità di recupero con gli attuali apporti
pluviali. In pratica, o piove e nevica più di quanto abbiamo visto a
dicembre, o saremo punto e a capo in primavera-estate.
È il Nord l’area più in sofferenza. I dati dei grandi laghi sono
peggiori di quelli del gennaio 2022, quando già la situazione era
compromessa da mesi di deficit di precipitazioni significativi. La
percentuale di riempimento del lago Maggiore è al 18%, il lago
d’Iseo al 20,7%, il lago di Como al 23,5%, il lago di Garda al
36,4%. La situazione del manto nevoso getta poi un’ombra scura sul
rischio siccità nel 2023. Nell’immagine qui sotto si vede
chiaramente l’ammanco di neve al 12 gennaio 2023 (sinistra) rispetto
alla stessa data del 2022 (centro) e del 2018 (destra). Il colore
bianco indica un manto superiore ai 200 cm, il viola superiore ai 40
cm, il blu da 1 a 30 cm.
15.01.23
SI PUO' FARE : La proposta
originale della Commissione di Bruxelles prevede che gli Stati
membri facciano in modo che tutti gli immobili residenziali
conseguano «al più tardi» entro il 2030 almeno la classe di
prestazione energetica F, per raggiungere la classe E dopo il primo
gennaio 2033.
Il Parlamento, nel testo in corso di discussione, rivede tutto.
Entro il primo gennaio 2030 tutti gli immobili residenziali dovranno
rientrare nella classe energetica E, e tre anni più tardi sarà
obbligatorio passare alla classe D.
Nella posizione adottata a ottobre 2022, il Consiglio ha stabilito
che entro il 2033 «il consumo medio di energia primaria» dell'intero
parco immobiliare residenziale sia equivalente almeno alla classe di
prestazione energetica D.
Il che però non vuol dire intervenire su tutte le case esistenti.
Inoltre si lascia più flessibilità ai governi, che potranno fissare
una «traiettoria nazionale in linea con la progressiva
ristrutturazione del loro parco immobiliare per renderlo a emissioni
zero entro il 2050».
Non si prevede alcun cambiamento di rilievo per quanto riguarda le
sanzioni. Resta ferma la richiesta di prevedere certificati di
prestazioni energetiche nel momento della vendita e dell'acquisto,
lasciando ai singoli Stati la discrezionalità per eventuali
interventi sanzionatori in caso di difformità o mancanza. —
Per le Dogane e la Finanza le pompe bianche aiutano l'evasione
fiscale Unem: "Il 15% dei consumi è irregolare, danno erariale da 5
miliardi"
Le pompe bianche sono stazioni di servizio che non fanno parte del
circuito delle compagnie di distribuzione di carburante più note. Su
21.700 distributori in Italia, 15.990 sono di grandi marchi, gestiti
direttamente dalle 5 compagnie petrolifere maggiori (Eni, Ip, Esso,
Q8 e Tamoil), o da privati convenzionati con queste. Le catene di
supermercati hanno 143 impianti. I restanti 5.600 distributori sono
di piccole società, con un marchio proprio, a volte a conduzione
famigliare. Sono le cosiddette pompe bianche, i distributori "no
logo".
In Italia esistono da una ventina d'anni e sulla carta, dovrebbero
offrire i carburanti a un prezzo inferiore rispetto alle grandi
compagnie, risparmiando sulle iniziative promozionali e sulla
pubblicità. Nei primi tempi le pompe bianche erano più economiche
anche 10 centesimi al litro, ma le grandi compagnie si sono adeguate
alla concorrenza e potendo sfruttare le loro economie di scala, la
situazione oggi è molto omogenea. Ieri, il sito Staffetta Quotidiana
stimava un prezzo medio della benzina self di 1,819 euro per le
grandi compagnie e di 1,813 euro per le pompe bianche. In altre
giornate, spiegano all'Unem, l'associazione delle aziende
petrolifere italiane, il distacco è un po' maggiore, ma non va mai
oltre 1 o 2 centesimi per litro. D'altra parte le pompe bianche sono
vincolate agli stessi standard e sottoposte agli stessi controlli
delle stazioni dei grandi marchi. E, spesso, si riforniscono dagli
stessi depositi.
Tuttavia, i canali di approvvigionamento delle stazioni no logo non
sempre sono trasparenti. Il direttore uscente dell'Agenzia delle
Dogane, Marcello Minenna, e il comandante della Guardia di Finanza,
il generale Giuseppe Zafarana, riferendo a una commissione
parlamentare hanno spiegato che le frodi sui carburanti (spesso
gestite dalla mafia) si svolgono essenzialmente attraverso le pompe
bianche. Benzina e diesel di contrabbando arrivano in Italia da
Polonia, Bulgaria o Slovenia, e vengono scaricati in depositi sotto
le 3.000 tonnellate, che non hanno l'obbligo di usare il sistema
informatizzato Infoil collegato a Dogane e Fiamme Gialle. Il
carburante viene poi smerciato senza pagare le accise attraverso le
pompe bianche. Nel triennio 2019-2021 la guardia di Finanza ha
sequestrato 19 milioni di chili di carburanti, accertando il consumo
di 404 mila tonnellate di prodotti non dichiarati. L'Unem calcola
che il 10-15% dei carburanti consumati in Italia evada il fisco, con
un danno di 4-5 miliardi. r. e. —
SGAMBETTI PERSONALI DI CONTE E DI MAIO A SALVINI : A
vederli così, nell'aula bunker dove si celebrò il maxiprocesso alla
mafia, l'ex premier Giuseppe Conte sul banco dei testimoni, il suo
ex ministro degli Interni Matteo Salvini su quello degli imputati
per sequestro di persona, a non degnarsi di uno sguardo, ci si
chiede davvero come stesse in piedi l'alleanza gialloverde che si
frantumò in quell'estate caldissima del 2019, quando dal 2 al 20
agosto 147 migranti salvati dalla nave Open Arms – 32 dei quali
minorenni – rimasero in mare senza potere sbarcare, con Salvini ad
agitare lo spettro del rischio di infiltrazioni terroristiche, oltre
che la consueta bandiera della difesa del sacro suolo blindato dai
decreti sicurezza.
Giorni in cui «ci si avviava a una crisi di governo mai dichiarata,
e il tema migrazione è un tema caldo di propaganda politica. Mi si
voleva fare apparire debole, mentre il ministero degli Interni
rivendicava posizioni di rigore», come racconta Conte ai giudici,
incalzato dal pubblico ministero, confermando che sulla pelle dei
migranti – allora come oggi – si giocano partite elettorali. Lotte
di potere che emergono anche dalle dichiarazioni dell'ex ministro
degli Esteri Luigi Di Maio, chiamato pure a testimoniare: «Dei
divieti di sbarco decisi da Salvini sapevo dai giornali. In
Consiglio dei ministri non se ne discuteva, casomai dovevamo parlare
delle conseguenze dei dinieghi dell'ex ministro che usava la
questione a fini elettorali».
Conte marca la distanza: «Sollecitai al ministro Salvini il rilascio
del porto sicuro, perché fare sbarcare i minori era un fatto
indiscutibile. Cercai di esercitare una sorta di moral suasion,
perché la posizione del Viminale mi appariva non avesse il benché
minimo fondamento giuridico, prima che politico».
Già. Come i due stessero insieme ce lo si chiede antropologicamente,
prima ancora che politicamente. L'uno, appunto, «Conte Giuseppe,
nato a Volturara Appula, in provincia di Foggia» – scandisce ai
giudici della Corte – completo scuro e pochette da avvocato del Sud,
rimasto premier nell'animo, con i suoi molti «non ricordo, i dossier
del presidente del Consiglio sono tanti». «A volte – dice – parlavo
direttamente con i leader degli altri Paesi sollecitandoli alla
redistribuzione dei migranti, ma era il mio ufficio diplomatico a
gestire le questioni». Quanto alle responsabilità, «erano del
ministero degli Interni, dell'assegnazione del porto sicuro non mi
occupavo certo in modo diretto». Per non parlare del possibile
rischio di sbarco di terroristi o trafficanti di armi: «Mai sentito
di terroristi o di criminali a bordo», dice, smontando una delle
argomentazioni forti della difesa. E ancora: «Non ho mai detto che
la condizione per autorizzare lo sbarco dei migranti dovesse essere
la loro redistribuzione preventiva tra i Paesi dell'Ue», questione
tecnica ma sostanziale.
L'altro, «Salvini Matteo, nato a Milano», oggi vicepremier e
ministro delle Infrastrutture, immancabile piumino smanicato, non
una parola in aula ma dichiarazioni taglienti prima e dopo. Prima:
«Rischio quindici anni per avere difeso l'Italia e i suoi confini,
salvando vite e facendo rispettare la legge», come scrive sui social
prima che l'udienza cominci. Dopo: «Il ministro Luciana Lamorgese ha
confermato di aver trattenuto gli immigrati a bordo di una nave in
più di una occasione, per esempio sulla Ocean Viking oppure sulla
Alan Kurdi. Eppure, soltanto io sono a processo e grazie ai voti dei
parlamentari di sinistra».
E questo è il punto chiave. Poco prima, è vero, ha parlato sul banco
dei testimoni Luciana Lamorgese, che gli succedette al Viminale nel
Conte 1, «una nomina – come aveva spiegato Conte poco prima – nata
dalla consapevolezza di non politicizzare più la gestione di questi
eventi». Lei, l'ex ministra, rivendica in aula una discontinuità dal
predecessore, e dichiara che «i tempi di attesa del porto sicuro per
le navi delle Ong erano in media di due o tre giorni, ma si poteva
arrivare a sette-otto giorni se c'era da concordare la distribuzione
con altri Paesi». Ciò non significa che il sì dell'Europa a prendere
la propria quota di profughi fosse condicio sine qua non per
autorizzare lo sbarco. Ma abbastanza per fare dire a Giulia
Bongiorno, avvocato di Salvini, che il suo assistito con il caso
Open Arms si è comportato esattamente come il suo successore, senza
nessuna anomalia. Un approccio tecnico, che prova a de-ideologizzare
un caso su cui però Salvini giocò (e gioca) il tutto per tutto.
È un altro però l'elemento su cui la difesa di Salvini prova a
passare al contrattacco, annunciando per domani il deposito di una
denuncia in sei procure della Repubblica, tra cui Palermo e Roma.
Oggetto, il video girato dal sottomarino della Marina "Venuti" ai
primi di agosto 2019 che aveva ripreso le attività Open Arms,
oggetto di un'informativa, da cui – secondo il legale –
emergerebbero attività irregolari della Ong. «I sospetti di cui ha
sempre parlato Salvini – dice – non erano inventati ma erano già
stati evidenziati in una serie di riunioni e addirittura erano stati
condensati in un'informativa che non è mai stata approfondita». E ha
annunciato che il 24 marzo, nella prossima udienza, interverrà
Salvini con dichiarazioni spontanee. Intanto lui dichiara già: «Il
sottomarino registrò l'attività di Open Arms nell'agosto 2019,
certificando alcune anomalie che facevano ipotizzare il traffico
illegale di esseri umani. Si tratta di documenti che, se fossero
stati subito disponibili, probabilmente non avrebbero nemmeno fatto
iniziare questa vicenda».
LA GUERRA DEVE FINIRE SUBITO: Chissà se il viso di questa
bambina con le trecce, che per qualche ora ha riempito i cuori di
rabbia e i social di indignazione, domani verrà dimenticata come
tutti gli altri. La storia di Elya, morta di infarto a sei anni, è
senza dubbio raccapricciante: negli ultimi undici mesi si era
nascosta in un seminterrato di Avdiivka con la sua famiglia, fino a
quando, due giorni fa, stando a quanto riferisce con un tweet
l'ambasciata ucraina alla Santa Sede, il suo piccolo cuore non ha
ceduto al terrore delle bombe che incessanti cadono sul Donbass.
Elya, con il suo peluche rosa e le trecce, è già destinata a
diventare un simbolo - seppur fugace e presto dimenticato - della
strage degli innocenti in Ucraina, come furono altri prima di lei e
di cui abbiamo cuore e occhi pieni. Bambini, madri, famiglie intere
e perfino cani per cui commuoverci. Il rischio è che lo sgomento di
fronte a questa messe di storie e tragedie non sia nient'altro che
una prova per dimostrare a noi stessi che, almeno per qualche
secondo, siamo ancora capaci di compassione. Ma Elya merita qualcosa
di più di questo. Perché Elya non è solo una storia estrema da usare
come simbolo, una fotografia su cui versare qualche lacrima. Non
racconta soltanto di un cuore di sei anni che ha cessato di battere
per la paura. Elya, molto semplicemente, ci mostra come si muore
davvero in una guerra. Perché lontano dalle trincee, dai campi di
battaglia, dalle gesta eroiche dei soldati, è così che si muore in
Ucraina. Si muore in silenzio nei bunker perché il cuore non regge
alla paura, si muore per fame, sete e freddo. La fine arriva dopo
undici mesi di terrore che non dà tregua. Basta scorrere le liste
delle vittime, che si allungano giorno dopo giorno: nome, cognome,
data e luogo di morte, causa. Sono le schegge dei mortai, e i
missili che piombano sulle case ad essere, paradossalmente, le righe
più accettabili. Si immagina che, oltre alle trincee, sia così che
la fine arriva in una guerra, ma non lo è. Gli ucraini muoiono come
è morta Elya. Perché il cuore non ha retto, perché lo stress
prolungato e estremo ha eroso cervello e organi interni, per la
consunzione della fame o la mancanza di un semplice antibiotico. In
Ucraina si muore per la paura.
IL GOLPE IN BRASILE C'E STATO MA E' MANCATO L'APPOGGIO DELLA
POPOLAZIONE PRO BOLSONARO: Si stringe il cerchio in
Brasile intorno ai finanziatori e sostenitori del tentato golpe
contro il presidente Lula da Silva. La giustizia aspetta il ritorno
in patria di Ansderson Torres, ex ministro della giustizia di
Bolsonaro, nella cui casa è stato trovato un documento-bozza per un
decreto presidenziale per annullare il risultato delle elezioni di
fine ottobre. L'idea era decretare lo stato d'emergenza e annullare
la vittoria di Lula sulla base di non meglio precisate irregolarità
durante le votazioni. Torres, che è atteso oggi dagli Stati Uniti,
deve anche rispondere per il sabotaggio ai dispositivi di sicurezza
durante la presa dei palazzi del potere domenica scorsa. Gli
inquirenti vogliono intanto risalire ai finanziatori di tutta
l'operazione. Sono stati bloccati 1,5 milioni di euro di proprietà
di una cinquantina di persone e di sette imprese che avrebbero
pagato il trasporto, il vitto e l'alloggio dei manifestanti piombati
sulla capitale. Lula ha promesso un'investigazione dura e accurata,
diversi ex alleati di Bolsonaro si stanno defilando per paura di
finire nell'inchiesta. Tra di loro Luciano Hang, proprietario della
catena di grandi magazzini Havan, che dopo esser stato per 4 anni
una presenza fissa nei meeting della destra ora sostiene che è
giunto il momento di voltar pagina e di aiutare l'attuale governo.
Il capogruppo della maggioranza al Senato chiede che l'ex presidente
sia messo sotto accusa. Il futuro di Jair Bolsonaro, che si trova
ancora in Florida, è incerto. A fine mese scade il suo visto negli
Stati Uniti, le indagini in corso puntano ad individuare la sua
partecipazione nell'organizzazione dell'assalto a Brasilia.
Bolsonaro non ha mai abbandonato la teoria dei brogli elettorali, ma
è sempre più isolato; sta perdendo l'appoggio di governatori
parlamentari eletti tra le fila dei partiti che hanno appoggiato la
sua candidatura. Molti di loro stanno pensando al loro futuro
politico e per questo sono trattati ora dalla base più radicalizzata
del bolsonarismo come traditori.
ILFIGLIO INGOMBRANTE DI BIDEN: La Casa Bianca alza un
muro dinanzi al cosiddetto «garage-gate» come è stato ribattezzato
il caso delle carte top secret di Biden ritrovate in un ufficio a
Washington in novembre e poi nella sua casa di Wilmington, conferma
che non era stata avvisata in anticipo della decisione dell'Attorney
General Merrick Garland di nominare un procuratore speciale e
garantisce «la piena collaborazione» con la Giustizia.
Biden ieri ha incontrato il premier giapponese prima di tornare nel
suo Delaware e ha chiesto al Congresso di alzare il tetto del debito
ma ha avvertito che non negozierà con i repubblicani. Ma l'agenda
della Casa Bianca rischia di frenare. I repubblicani alzano il tiro
sulla questione delle carte segrete e la Commissione di vigilanza
della Camera, presieduta da James Comer, ha tirato in ballo ieri il
figlio di Biden, Hunter. Vuole accertare infatti se ebbe accesso
alle carte segrete visto che era residente nella residenza di
Wilmington fino al 2018. Fra le carte ritrovate dagli avvocati del
presidente ci sono alcuni memo di intelligence e uno si riferisce
all'Ucraina, dove Hunter sedeva nel Consiglio di Amministrazione
della Burisma Holding Ltd, la più grande compagnia energetica del
Paese. «Dobbiamo sapere tutti coloro che hanno avuto accesso al
presidente», ha attaccato Comer.
I repubblicani vogliono tenere sotto pressione Biden in tutti i modi
per mettere in difficoltà la sua ricandidatura. Lo scontro che si
sta profilando sul tetto del debito rientra in parte in questo
scenario. Sotto un'analoga inchiesta c'è però anche Trump, la cui
holding intanto ieri è stata multata per 1,6 milioni di dollari per
frode fiscale. A complicare la situazione per Biden è anche la
gestione dell'intera vicenda: sin dal ritrovamento dei primi
documenti, il presidente ha condiviso con un gruppo ristretto di
consiglieri le notizie. Quando lunedì la Cbs ha rivelato la scoperta
dei documenti, la Casa Bianca è stata colta in contropiede e solo 24
ore dopo ha ammesso quanto era accaduto. Omettendo però che ne
frattempo erano stati trovati documenti anche a Wilmington.
IN POLITICA NON CI DEVONO ESSERE OMBRE : L'uomo di Meloni in
Lombardia verso il processo per corruzione
Le avevano perfino dato un nome: «Operazione Acri», come se fosse
chissà quale impresa politica. Ma per i pm della procura di Milano è
solo un episodio di corruzione, tutto interno alla compagine
lombarda di Fratelli d'Italia. Si chiude l'inchiesta
sull'eurodeputato di Fdi Carlo Fidanza che ora rischia il rinvio a
giudizio per corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio. Le
indagini riguardano altre tre persone: il consigliere comunale
(anche lui esponente del partito di Giorgia Meloni) e oggi deputato,
Giangiacomo Calovini, l'ex consigliere bresciano, Giovanni Acri, e
l'ex vice coordinatore lombardo di Fdi, Giuseppe Romele.
Nell'ipotesi d'accusa, Acri si sarebbe dimesso il 25 giugno 2021 dal
Consiglio comunale di Brescia per lasciare spazio a un altro
consigliere, Giangiacomo Calovini, il primo dei non eletti alle
comunali del 2018. In cambio avrebbe Acri ottenuto l'assunzione del
figlio (Jacopo) come assistente locale di Fidanza. Insomma, un caso
di nepotismo da manuale. Secondo l'accusa, «l'accordo criminoso»
concepito dall'europarlamentare di Fdi, realizzato «con la fattiva
collaborazione di Calovini e Romele» è avvenuto in più riunioni: a
Milano «presso gli uffici di Fidanza» ma anche a Roma alla «sede
nazionale del partito Fratelli d'Italia» e a Brescia «presso
l'abitazione di Romele». A questi incontri si aggiungerebbero poi
numerosi scambi di messaggi via Whatsapp. L'accusa riporta anche lo
stralcio di uno di quelli di Fidanza: «Abbiamo capito cosa vuole
Acri? Se serve per levarlo dai c... sono disponibile a dargli un
vitalizio di mille euro al mese fino a fine legislatura, magari
mettendo sotto contratto non lui ma uno/a che lui ci dice, per
agevolare la fuoriuscita». Le dimissioni, si legge negli atti, sono
da considerarsi quindi «un atto contrario ai doveri d'ufficio»
perché depositate non per una «scelta personale e insindacabile», ma
come conseguenza «dell'asservimento all'esclusivo interesse del
corruttore», con l'aggravante di avere come oggetto «il conferimento
di un impiego o stipendio pubblico». Sempre Fidanza giovedì
festeggiava la richiesta d'archiviazione per l'indagine cosiddetta
«Lobby Nera». L'inchiesta per finanziamento illecito ai partiti e
riciclaggio era stata aperta nell'autunno del 2021 in seguito ai
servizi giornalistici pubblicati da Fanpage, svolti da un cronista
«infiltrato», ma all'esito degli accertamenti «bisogna concludere
nel senso dell'insussistenza delle ipotesi di reato formulate perché
dalle indagini svolte non sono emersi elementi in grado di
confermare quanto emerso dai video», scriveva il pm di Milano
Giovanni Polizzi nella richiesta di archiviazione per l'inchiesta a
carico anche di altre sette persone, tra cui l'eurodeputato della
Lega, Angelo Ciocca, il consigliere lombardo del Comitato Nord,
Massimiliano Bastoni e la consigliera comunale milanese di Fdi,
Chiara Valcepina. Fidanza intanto si difende dalle nuove accuse: «Il
recente caso che mi ha riguardato ha dimostrato ancora una volta
quanto siano sbagliati i processi mediatici addirittura in presenza
di immagini registrate, a maggior ragione lo sono se si estrapolano
messaggi decontestualizzati» e aggiunge «dimostrerò che non c'è
stata alcuna corruzione e tanto meno alcun uso improprio di risorse
pubbliche. Chiederò di essere ascoltato dai pubblici ministeri per
chiarire definitivamente i fatti di reato contestati e dimostrarne
l'assoluta inconsistenza»
DIFFICILE SUPERARE IL CONTROLLO SENZA AIUTI : In una giornata
movimentata del processo vaticano sul palazzo di Londra, Becciu
rivela di avere mandato una lettera al Papa protestando per la
mancanza di «neutralità». Motivo: il Pontefice ha ricevuto Francesca
Immacolata Chaouqui, grande accusatrice del cardinale sardo.
L'incontro è avvenuto al baciamano dopo un'udienza generale di
agosto, immortalato da fotografie, interpretato dal porporato come
una specie di riabilitazione della «papessa», ex collaboratrice di
Francesco a inizio pontificato e poi protagonista di Vatileaks,
condannata per avere trafugato documenti riservati della Santa Sede.
Becciu ha scritto a Bergoglio che «ricevendola, Lei ha manifestato
solidarietà con essa e indiretto sostegno alle sue tesi». Il
Pontefice ha risposto con una missiva dicendosi dispiaciuto «che
questo gesto di saluto possa fare del male», e chiedendo «scusa e
perdono se questo l'ha offesa». Ha spiegato di avere «quasi
dimenticato l'"avventura" di questa Signora. Neppure so che è
immischiata nel giudizio (non entro in quello). È solo colpa mia,
anche dell'abitudine di dimenticare le cose brutte».
In una dichiarazione spontanea, Giovanni Angelo Becciu, ex sostituto
per gli Affari generali della Segreteria di Stato, ha dichiarato che
Chaouqui, «ha qualcosa contro di me. Anzi, molto contro di me. E una
delle accuse che smentisco in pieno è di aver dato ordine di
arrestarla e di non aver avuto pietà del suo stato di donna
incinta».
Turbolenta l'audizione della ex componente della commissione
economica vaticana Cosea, che ha parlato di difficoltà a superare il
muro di resistenza della Segreteria di Stato ai controlli economici:
«Non ci siamo riusciti con la Cosea, non ci siamo riusciti col
cardinale Pell e la Segreteria per l'Economia, ci si è riusciti con
la magistratura».
14.01.23
BRAVO MATTARELLA :
L'ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri, esclude che
ai manifestanti condannati alla pena capitale in Iran sia stato
fatto un processo sommario. Non solo, sostiene a gran voce di
ritenere irricevibile qualsiasi biasimo o ingerenza: «Le persone
contro le quali in questi tempi recenti è stata applicata la pena
capitale sono persone che hanno subito un processo equo, che hanno
avuto garanzie legali ed i tribunali che li hanno processati
offrivano loro adeguate garanzie. Solo dopo tutte le verifiche
necessarie sono state condannate a morte».
E ancora: «La Repubblica dell'Iran rispetta i valori umani ma non
accettiamo che altri Paesi vogliano imporre la loro cultura. La
libertà è uno dei valori dell'Islam».
Lo ha dichiarato ieri nel suo primo incontro con la stampa italiana.
E le sue parole suonano come una replica alle critiche al regime
avanzate il giorno prima dal Presidente della Repubblica Sergio
Mattarella, al Quirinale, durante l'incontro nel quale
l'ambasciatore iraniano aveva presentato le sue credenziali.
Mattarella aveva espresso condanna e la sua «personale indignazione»
per le violente repressioni, ribadendo la richiesta all'Iran di
fermare le violenze contro i propri cittadini.
E ieri, la replica di Mohammad Reza Sabouri non si è fatta
attendere. Eccolo dunque ribadire che in Iran la pena di morte «è
autorizzata per i reati più gravi, le proteste sono ammesse, le
manifestazioni sono permesse quando sono pacifiche ma laddove
cambiano natura e diventano disordini violenti questo non è
accettabile». Riferendosi alle proteste scatenata dalla morte della
ventiduenne Mahsa Amini, Sabouri sottolinea che «le forze
dell'ordine iraniane nell'affrontare questi disordini non sono
armate e tra loro si contano 8 mila feriti e più di 50 morti».
L'ambasciatore insiste sull'assoluta autonomia dell'Iran: «Non
scambieremo la nostra indipendenza e sicurezza con niente. Non
saremo satelliti di nessuno. Se a qualcuno piace stare agli ordini
degli Stati Uniti ciò non ha niente a che fare con noi».
Ma è anche attento a non creare incidenti diplomatici e precisa che
nonostante le condanne del governo e del capo dello Stato italiano
in merito alla repressione in Iran «Teheran non si sente tradita
dall'Italia, ma ci aspettiamo e ci auguriamo di vedere un
atteggiamento più costruttivo da parte delle autorità italiane e
sono qui per mantenere e rafforzare i nostri rapporti bilaterali».
Rilancia pertanto l'opportunità di una collaborazione: «L'Iran è
pronto ad accogliere il know how e la tecnologia italiana e siamo
pronti a portare i rapporti al glorioso passato. Abbiamo sempre
guardato all'Italia come porta di accesso all'Europa in tutti i
campi da quello politico a quello culturali». E aggiunge: «I
rapporti politici ed economici con l'Italia sono sempre stati
costruttivi e in crescita, tuttavia, a causa delle sanzioni e degli
attori esterni questi rapporti non sono stati esenti da alti e bassi
nel corso degli anni. Ma le autorità di Roma e Teheran hanno sempre
cercato di rimuovere questi ostacoli sulla base del mutuo
interesse».
Ma il muro di gomma ostentato dall'ambasciatore sulla repressione
delle proteste in Iran indigna il ministro degli Esteri Antonio
Tajani che stigmatizza: «Quanto sta succedendo in Iran è
inaccettabile. L'Italia continua a chiedere l'immediata cessazione
della repressione e la moratoria immediata della pena di morte. Le
autorità continuano in un'azione di cieca repressione, in un ricorso
arbitrario alla pena capitale, rendendo sempre più difficile il
recupero di un dialogo costruttivo». Poi chiosa: «La linea rossa è
stata superata con l'esecuzione delle condanne a morte».
Infine, a proposito dell'impulso impresso negli ultimi tempi da
Teheran al programma nucleare, conclude: «Non c'è alcun baratto tra
diritti e dialogo sul nucleare, sono due cose differenti. Se si
stesse realizzando la bomba atomica non sarebbe trascurabile, il
mondo intero sta dialogando».
CARTABIA PREMIATA CON LA VICEPRESIDENZA DEL CSM :
I magistrati l'avevano detto, da
ultimo il presidente dell'Anm, Giuseppe Santalucia, ieri su questo
giornale: la riforma Cartabia impone la querela di parte per molti
reati anche gravi, ed è grave che non tenga in conto l'aggravante
mafiosa. Così è per il sequestro di persona, le minacce, le lesioni.
Puntualmente, ieri, è esploso il caso di tre mafiosi palermitani,
detenuti per avere sequestrato e picchiato due rapinatori che non
avevano rispettato le prescrizioni del clan. Giuseppe Calvaruso,
reggente del mandamento Pagliarelli, e i suoi "soldati" Giovanni
Calvaruso e Silvestre Maniscalco, oltre ai reati di associazione
mafiosa ed estorsione, rispondevano di sequestro di persona e
lesioni aggravate dal metodo mafioso. Siccome le due vittime non se
la sentono di firmare la querela contro i mafiosi, i tre non
potranno essere perseguiti per questi reati. Restano comunque in
carcere per tutto il resto. A Reggio Calabria, invece, due ladri
seriali in treni merci la faranno franca perché non si trovano le
vittime e quindi manca la querela.
La storia di Palermo ha fatto esplodere le polemiche. L'Anm chiede
un intervento d'urgenza sull'aggravante mafiosa. D'altra parte la
legge stessa prevede che il governo possa apportare correzioni con
decreti legislativi nei prossimi 2 anni. E se due giorni fa il
partito di Giorgia Meloni si era detto favorevole a modifiche, lo
stesso si pensa nella Lega. «In tempi non biblici – spiega la
senatrice Giulia Bongiorno – dovremo fare tutte le correzioni
necessarie». Per la Lega si dovrà cambiare la norma sul concordato
in appello, anche perché si teme che questo disincentivi i
patteggiamenti in primo grado.
Eppure la Lega aveva votato questa riforma, anche se di malavoglia,
come peraltro il M5S che ora si straccia le vesti. «Alcuni aspetti
tecnici io li avevo segnalati a Marta Cartabia più volte, senza
convincerla, purtroppo», dice ancora Bongiorno.
Su un intervento d'urgenza concorda anche l'opposizione. Il senatore
Roberto Scarpinato, M5S, magistrato prestato alla politica, ha già
depositato un disegno di legge: «Rendere perseguibili solo a seguito
di querela della vittima reati come lesioni personali, violenza
privata, minaccia, sequestro di persona – dice – determina il serio
rischio di estendere il campo dell'impunità. Quel che più si
sottovaluta, è che quei reati sono consumati non solo da esponenti
della criminalità comune, ma anche da appartenenti alle mafie che si
avvalgono della forza dell'intimidazione». «È un fatto di una
gravità inaudita – dice anche Angelo Bonelli, dei Verdi – e dovrebbe
essere in primis l'ex ministra Cartabia, proponente della riforma,
ad ammettere il proprio errore, compiendo un atto di intelligenza.
Sarebbe un atto di giustizia per il Paese e di contrasto alla
criminalità organizzata modificare subito questa norma perché è
inammissibile». Pure il Pd è pronto ad appoggiare una correzione in
corsa. Sostiene Anna Rossomando, responsabile Giustizia: «Le parole
del presidente Santalucia meritano attenzione. Ci impegniamo da
subito affinché, con un intervento normativo con carattere
d'urgenza, nei casi in cui viene contestata l'aggravante mafiosa, i
reati siano perseguibili d'ufficio».
Lo stesso consulente della ex ministra Cartabia, il professor Gian
Luigi Gatta, ammette che qualche correzione andrà fatta. «Non ho la
presunzione di dire che la riforma sia perfetta», riconosce. «Però,
se vogliamo essere seri, bisogna dire che l'aggravante mafiosa,
introdotta nel codice negli Anni Novanta, deve valere per tutti i
reati del codice». Altra modifica che Gatta riconosce necessaria, è
sulla procedura: «Dobbiamo pensare ad un periodo congruo per
presentare la querela quando ci sia la possibilità di un arresto in
flagrante. Almeno 48 ore. Non si può pretendere che se ci rubano
dentro l'auto di notte, il proprietario sia lì presente».
OMICIDIO VOLONTARIO : «Mio cugino stava chiedendo aiuto e non
l'ha ricevuto. È stato ucciso». Patrisse Cullors è una delle
fondatrici del movimento Black Lives Matter. Ha diffuso queste
parole sul suo profilo Instagram dopo aver visto il video della
polizia di Los Angeles in cui è stata ripresa la colluttazione e
l'uso prolungato del Taser su Keenan Anderson, insegnante di inglese
31enne, padre di un bambino, in seguito a un incidente stradale
avvenuto il 3 gennaio a Venice Beach.
La polizia non parla di "uccisione", ma di "morte mentre era in
custodia", e ha diramato una nota in cui ha spiegato cosa è successo
quel giorno. Anderson ha provocato un incidente stradale. Quando è
arrivata un pattuglia della polizia, l'uomo stava «correndo nel
mezzo della carreggiata in maniera confusa». Un agente gli ha
parlato ordinandogli di fermarsi e ha chiamato i rinforzi. Dapprima
Anderson ha cooperato, poi si è allontanato a piedi. Quando gli
agenti l'hanno intercettato, un agente gli ha intimato di
appoggiarsi a un muro, lui invece si è seduto sul marciapiede,
rispondendo «Non mi interessa quel che dici». «Quindi – secondo
quanto riferito dalla polizia - è scoppiata una colluttazione durata
diversi minuti nei quali la polizia ha usato, dopo aver minacciato
l'uomo, le pistole stordenti ed è riuscita a immobilizzarlo». Una
volta arrestato, il 31enne è stato medicato dai pompieri accorsi sul
posto per l'incidente e quindi trasportato all'ospedale. Mezz'ora
dopo essere arrivato è andato in arresto cardiaco ed è morto.
Michel Moore, capo della polizia di Los Angeles, ha detto che «non è
chiaro quale ruolo abbia giocato lo scontro fisico con la polizia e
il ricorso al Taser nel causare la morte», ma ha promesso che le
indagini continueranno. Ha quindi aggiunto che secondo i primi test
aveva «tracce di cocaina e di cannabis nel sangue».
La versione della polizia però non convince Patrisse la quale ha
dettagliato i contenuti del video delle videocamere della polizia
losangelina dicendo che il cugino «era ben consapevole di cosa può
accadere quando un cittadino nero viene fermato da delle pattuglie».
A un certo punto, durante la lotta con gli agenti, ha urlato «Stanno
cercando di trattarmi come George Floyd». Un agente avrebbe anche
messo il gomito sul collo di Keenan mentre era a terra, mentre un
altro avrebbe azionato il Taser per trenta secondi consecutivi prima
di fare una pausa e sparare nuovamente le scariche per altri cinque
secondi. «Mio cugino da dieci anni lavorava in un movimento a tutela
del diritti dei neri», ha raccontato Patrisse Cullors, «sapeva bene
quel che gli stava capitando, stava cercando di proteggersi ma
nessuno l'ha soccorso». «La sua morte poteva essere evitata» ha
quindi accusato leader di Blm chiedendosi se serve un tale
spiegamento di polizia per un banale incidente stradale, quando
poteva essere chiamata un'ambulanza.
Nel 2022 in assoluto la polizia ha ucciso 1176 persone, una media di
tre al giorno, che rappresenta un record da quando è iniziata nel
2013, anno di fondazione di Black Lives Matter, la mappatura di
questi casi da parte della Ong Mapping Police Violence. Quest'anno
già due persone sono state colpite a morte dalla polizia di Los
Angeles, Oscar Sanchez e Takar Smith. Quest'ultimo è stato colpito
dopo che aveva brandito un coltello da macellaio e spray al
peperoncino e il taser non l'avevano fermato. Sanchez invece è stato
crivellato di colpi, sei proiettili in tutto al torso e alle gambe.
I dati nazionali mostrano invece che circa il 10 per cento delle
morti procurate dalla polizia ogni anno avvengono durante interventi
per incidenti stradali.
Alcuni funzionari della polizia ritengono che il Taser sia «un'arma
meno letale» e uno strumento importante per ridurre le violenze e il
numero di vittime. Ma gli attivisti per i diritti degli
afroamericani al contrario sostengono che il dispiegamento massiccio
e il ricorso a pistole stordenti stia al contrario peggiorando la
situazione. Secondo uno studio della Reuters dal 2000 al 2019 mille
persone sono morte a causa del Taser.
13.01.23
MA QUANDO LA HANNO VOTATA COSA HANNO LETTTO ?
Topi d'auto che non si possono arrestare
anche se colti in flagrante perché il proprietario non è in città e
non può firmare la denuncia. Stupratori che potrebbero farla franca
perché irreperibili. Borseggiatori seriali che finiranno fuori dal
carcere in quanto le vittime sono turisti stranieri, tornati a casa
dopo le Festività. Addirittura sequestratori che non finiranno a
processo se manca la denuncia del sequestrato. Al decimo giorno di
applicazione della riforma Cartabia, dai palazzi di Giustizia
arrivano molte segnalazioni e proteste. L'intera macchina
giudiziaria scricchiola sotto il peso delle novità. Si stanno
verificando persino problemi ai sistemi informatici.
In particolare, si temono contraccolpi perché la riforma ha spostato
alcuni reati dalla procedibilità d'ufficio alla procedibilità a
querela. E non è una novità indolore. Nel campo dei reati che si
possono perseguire soltanto a seguito di querela, ci sono il furto,
ma anche la rapina semplice, le lesioni stradali gravi o gravissime,
le lesioni personali, la minaccia. Alcuni reati di quelli che hanno
cambiato veste sono oggettivamente minori, tipo "il disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone". Ma non è così per la
"turbativa violenta del possesso di cose mobili" oppure la "violenza
privata", che in aree ad alta densità mafiosa può essere un reato
spia di comportamenti molto pericolosi. E non è prevista una deroga
nemmeno se c'è l'aggravante mafiosa.
In pratica, se un mafioso minaccia un cittadino, o anche gli procura
lesioni, o la vittima firma la denuncia oppure nemmeno si istruisce
la pratica. Lo Stato lo lascia solo con la sua coscienza. A questo
meccanismo, che si sta concretizzando nei primi giorni di
applicazione della riforma, la maggior parte dei magistrati si
ribella. Dice il presidente dell'Anm, Giuseppe Santalucia, a nome di
tutti: «Non siamo contrari al principio in astratto, ma ci voleva
più prudenza nello stilare l'elenco dei reati. E bisogna prevedere
una deroga per l'aggravante mafiosa».
La riforma era stata approvata dal Parlamento nell'agosto scorso;
subito dopo l'allora ministra Marta Cartabia emanò un decreto
legislativo che stabiliva quali reati dovessero cambiare registro.
Ma ora il nuovo governo vuole rovesciare tutto. «Premesso che noi di
Fratelli d'Italia non abbiamo votato a favore e l'abbiamo criticata
duramente in Parlamento – dice il sottosegretario alla Giustizia,
Andrea Delmastro – oggi scopriamo che i sequestratori non verranno
nemmeno indagati se manca la querela della vittima, ed è uno
scandalo, ma domani scopriremo che in appello scatterà l'improcedibilità,
e cioè finiranno al macero, una massa di processi. Non subito, ma
nel corso della legislatura questa riforma noi la riscriveremo di
sana pianta».
Il vizio di fondo, secondo il partito di Giorgia Meloni, è dovuto
all'eterogeneità della maggioranza che reggeva il governo Draghi.
«Sappiamo bene – continua Delmastro – che questa era una delle
riforme concordate con l'Europa, per velocizzare la giustizia, e
ottenere il Pnrr. Ma tecnicamente è un disastro perché cerca di
tenere insieme visioni molto diverse».
I magistrati imputano alla riforma soprattutto la fretta di
abbattere l'arretrato e ridurre il numero dei processi. D'altra
parte, lo stesso consulente della ministra, Gian Luigi Gatta,
ordinario di Diritto penale, è esplicito sugli obiettivi. Sulle
pagine della sua rivista "Diritto penale", scrive: «Tra il 2016 e il
2020, sono stati denunciati quasi sei milioni di furti, e aperti
altrettanti fascicoli. L'effetto deflattivo della riforma è
potenzialmente notevole in ragione, vuoi del numero di casi in cui
non sarà presentata una querela, vuoi del numero di casi in cui
potrà essere rimessa a seguito di condotte risarcitorie delle quali
la persona offesa potrà beneficiare in tempi brevi»
SOLO UN PAPA POTEVA FERMARE L'INCHIESTA SU EMANUELA ORLANDI : Una
mezza dozzina di cardinali, una pattuglia nutrita tra monsignori e
vescovi e un gruppo di appartenenti a forze dell'ordine in Italia e
nello Stato Città del Vaticano: se è vero che la nuova inchiesta
sulla scomparsa di Emanuela Orlandi partirà dalle istanze rimaste
finora senza risposta della famiglia Orlandi inoltrate negli anni
alla giustizia vaticana, è facile immaginare che il promotore di
Giustizia Alessandro Diddi potrebbe convocare numerosi alti prelati.
Da quelli vicini a Wojtyla, partendo dal cardinale polacco Stanislao
Dziwisz, già segretario personale di Giovanni Paolo II al vescovo
Emery Kabongo, già vice di Dziwisz per Wojtyla, ai monsignori Josez
Kowalczyk e Tadeusz Rakoczy, «persone molto fidate- si sottolinea
nelle denunce - e molto vicine a Giovanni Paolo II». Ci sono anche
porporati che hanno ricevuto incarichi speciali da Ratzinger, come
Salvatore De Giorgi e lo spagnolo Julián Herranz Casado – indicati
per aver fatto parte della commissione Vatileaks, voluta da
Benedetto XVI nel 2012 su ombre e malaffare nei sacri palazzi – per
arrivare a Giovanni Battista Re, all'epoca assessore alla segreteria
di Stato e considerato oggi la memoria storica vivente di quegli
anni. Per finire a monsignor Pierluigi Celata, «all'epoca stretto
collaboratore del cardinale Casaroli e padre spirituale e confessore
di Marco Accetti, uno degli indagati nell'inchiesta», in Italia.
La carpetta con questi documenti sul tavolo del magistrato che
coordina le nuove indagini è alta quasi una spanna. Un primo elenco
di persone da sentire era stato appunto indicato da Pietro Orlandi e
dal suo avvocato Laura Sgrò già il 17 aprile 2018. Si trattava di 19
persone a iniziare da chi all'epoca era al potere in curia ma nel
frattempo visti tutti gli anni passati senza fare indagini, diverse
purtroppo sono morte a iniziare da Benedetto XVI, dal cardinale
Eduardo Martinez Somalo (deceduto nel 2021 e all'epoca sostituto del
segretario di Stato Sodano, una sorta di ministro dell'interno),
allo stesso Sodano fino al cardinale Jean Louis Tauran. Quest'ultimo
doveva essere sentito su un documento di cinque pagine rinvenuto in
curia e pubblicato da Emiliano Fittipaldi sulla scomparsa della
Orlandi, peccato che il porporato sia anche lui deceduto pochi mesi
dopo la presentazione della denuncia come il cardinale Josef Tomko,
mancato lo scorso agosto.
Nel documento si chiedeva che venissero sentiti anche i più stretti
collaboratori di Ratzinger e che potrebbero essere convocati: da
monsignor Georg Ganswein all'ex segretario di Stato, Tarcisio
Bertone. Orlandi chiede di sentirli per sapere se erano a conoscenza
degli incontri riservati tra chi indagava in Italia sulla scomparsa,
il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo in primis, e l'allora
vertice della gendarmeria del piccolo Stato. Sul capitolo della
presunta «trattativa», tra fine 2011 e inizi 2012 tra procura di
Roma e autorità vaticane (smentita da Pignatone, ma rilanciata
sempre dal suo vice Capaldo) oltre allo stesso Capaldo, si chiedeva
di sentire Paolo Gabriele, maggiordomo di Ratzinger deceduto nel
2020 e ancora Ganswein. «Tale trattativa avrebbe avuto un doppio
oggetto – si sostiene nella denuncia -. La segreteria di Stato
avrebbe, infatti, chiesto a Capaldo che fosse lo Stato italiano a
farsi carico dello spostamento della salma di Enrico De Pedis, detto
"Renatino", noto esponente della banda della Magliana, che
scandalosamente giaceva sepolto nella Chiesa di Sant'Apollinare. Dal
canto suo, Capaldo avrebbe chiesto in cambio informazioni utili alla
soluzione del caso della Orlandi, includendovi il corpo della
ragazza, se deceduta. La risposta che Capaldo avrebbe ricevuto da un
esponente della curia sarebbe stata: «Va bene. (…) Proprio perché la
segreteria di Stato era intenzionata a "chiudere" questa triste
vicenda, sarebbe stato redatto un dossier, intitolato "Rapporto
Emanuela Orlandi" che è stato visto da più persone sulla scrivania
di Ganswein, e avrebbe dovuto essere consegnato a Capaldo. In tale
rapporto vi sarebbero stati alcuni nomi di personalità vaticane
coinvolte nella vicenda».
Interessante l'argomento che potrebbe approfondire monsignor
Giovanni Morandini: «Vicinissimo alla famiglia Orlandi – si legge
nel documento - era quasi tutti i giorni a casa di questi ultimi.
Riferiì a Ercole Orlandi di aver saputo di un'intesa tra lo Stato
italiano (presidenza del Consiglio, ndr) e lo Stato Vaticano per
evitare di aprire una falla che difficilmente si sarebbe potuta
richiudere».
Negli anni si sono poi aggiunti altri prelati come il sottodecano
del collegio cardinalizio, il porporato Leonardo Sandri sulla famosa
telefonata che sarebbe arrivata nei giorni del sequestro sull'utenza
della sala stampa vaticana. Su questo episodio, Pietro Orlandi
chiede con l'avvocato Laura Sgrò di sentire anche monsignor Carlo
Maria Viganò, già nunzio a Washington e facente parte dell'area più
ostile a papa Francesco. Viganò aveva svelato alcuni presunti
retroscena sulle telefonate del cosiddetto «americano» a Casaroli.
In particolare, sostenne che sarebbe sparita la trascrizione del
colloquio della sera del 22 giugno 1983, ma dalla Santa Sede filtrò
la smentita alla sua ricostruzione.
Del resto, negli archivi del Vaticano devono essere custoditi molti
documenti assai utili alle indagini. A iniziare da alcun ben
evidenziati nella denuncia che oggi il Santo Padre ha chiesto di
approfondire. In particolare, tornando ai giorni dopo il sequestro
sarebbe utile esaminare documenti e ascoltare nastri mai consegnati
all'autorità giudiziaria italiana seppur siano state presentate
quattro rogatorie, rimaste senza risposte esaustive. In particolare,
sono diversi i punti forieri di domande: "la segreteria di Stato ha
messo a disposizione una linea telefonica, la numero "158", così
come richiesto dai presunti rapitori della ragazza, attiva da luglio
a ottobre del 1983, per trattare della sua liberazione direttamente
con Casaroli. Le telefonate sono state registrate» e quindi dove
sono i nastri? Ancora: «In data 14 luglio 1983 i presunti rapitori
riferivano a Maria Sgrò, madre dell'amica della Orlandi, allora
quindicenne, Carla De Blasio, che nella piazza di San Pietro in
direzione della finestra dell'Angelus era stato lasciato un nastro,
mai recuperato. In data 17 luglio 1983, una voce anonima comunicava
all'Ansa che il nastro non era stato trovato in quanto prelevato da
due funzionari del Vaticano». Domanda: se la ricostruzione è vera,
ci sarebbe da chiedersi se nei sacri palazzi c'è ed è ancora
conservato quel nastro?
12.01.23
UN'ESEMPIO INCREDIBILE :
"Sul caso Orlandi qualche prelato sa alcuni hanno anche fatto
carriera"
Giancarlo Capaldo
«Credo che Emanuela sia entrata, con l'ingenuità dei suoi quindici
anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata
sequestrata a fini di ricatto e poi riconsegnata da Renato De Pedis
a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, sia
morta». L'allora procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo ha
indagato sulla scomparsa della figlia del commesso della casa
Pontificia, andando poi in rotta di collisione con il suo capo
Giuseppe Pignatone (oggi presidente del tribunale del Vaticano)
quando nell'aprile del 2015 comunicò di voler chiedere
l'archiviazione del procedimento.
Il Vaticano ha aperto un'inchiesta a 40 anni dalla scomparsa. Si
arriverà alla verità?
«Lo spero, ma lo ritengo improbabile. La verità è un concetto
astratto, ha tante facce e non tutte presentabili. Alcune possono
essere digerite solo dalla Storia. È comunque un segnale forte che
il Vaticano, inaspettatamente, sua sponte, apra per la prima volta
un'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela».
Lei ha indagato per quattro anni come titolare dell'inchiesta e
altri tre dopo che Pignatone aveva avocato il fascicolo, qual è la
sua amarezza più grande?
«Ho avuto libertà di indagare solo dal luglio 2008 al marzo 2012. La
mia amarezza più grande è stata quella di essere arrivato a un punto
di svolta e non essere riuscito a realizzarla per l'intervento di
forze sconosciute, anche se individuabili».
Cosa intende dire?
«Sono individuabili per chi vuole capire cosa è accaduto,
intelligenti pauca».
Il procuratore capo Pignatone avocò a sé l'indagine per chiedere e
ottenere sino in Cassazione l'archiviazione, contro il suo parere.
Lei quali altri approfondimenti avrebbe compiuto?
«Mi sono opposto all'archiviazione, spiegando che dovevano essere
espletati ancora molti interrogatori e approfondite le circostanze
della scomparsa di numerose altre ragazze».
All'epoca della sua indagine, il Vaticano aveva un altro
atteggiamento?
«Vorrei sperare che l'iniziativa del Vaticano oggi non continui a
essere coerente con il suo atteggiamento di sempre, tendente a
mantenere un profilo basso. A suo tempo avevo intravisto una voglia
di cambiamento che poi non si è verificato».
Lei ha mai chiesto o ottenuto collaborazione da loro?
«Avevamo iniziato un percorso comune che, purtroppo, si è interrotto
in modo brusco e poco chiaro. I fatti mi fanno concludere che, nel
corso degli anni, il Vaticano non ha mai realmente collaborato con
la magistratura italiana nel caso Orlandi».
Monsignor Ganswein dice che ha frainteso la visita dell'allora capo
della gendarmeria Domenico Giani e del suo vice Alessandrini in
procura. Per lei si era aperto un confronto sul procedimento, una
sorta di "trattativa" mentre il segretario privato di Benedetto XVI
afferma che la riunione si tenne solo per traslare la salma di De
Pedis dalla tomba nella cripta di sant'Apollinare al cimitero di
Prima Porta a Roma. Chi ha ragione?
«Non voglio certo entrare in polemica con monsignor Ganswein.
Aggiungo solo che, non essendo io dotato di grande fantasia,
difficilmente posso aver frainteso la visita dei gendarmi inviati
dal Vaticano, soprattutto perché solo successivamente all'incontro
hanno sciolto la loro riserva».
Ci furono altri incontri?
«No, il canale di comunicazione con il Vaticano si interruppe».
Della sua indagine qual è la più grande amarezza?
«Scoprire che, più spesso di quanto si creda, si ha paura della
verità».
Lei ha interrogato molte volte Marco Accetti, l'uomo che nel 2013 si
era autoaccusato dei sequestri di Mirella Gregori e di Emanuela
Orlandi. È un mitomane?
«È un personaggio complesso che non può essere liquidato solo come
mitomane. Conosce bene l'ambiente vaticano ed ecclesiastico. Non
ritengo però che abbia avuto un ruolo nella vicenda Orlandi, se non
quello di inserirsi in vario modo, dopo la scomparsa della ragazza,
per mitomania o per confondere le acque».
Cos'è accaduto a Emanuela?
«Credo che sia entrata, con l'ingenuità dei suoi quindici anni, in
un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata
a fini di ricatto e sia stata riconsegnata da De Pedis a qualcuno
inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, la povera Emanuela
sia morta».
Qualcuno in Vaticano sa la verità o è passato troppo tempo?
«È passato molto tempo, ma credo che all'interno del Vaticano vi
siano ancora persone che conoscono la verità, alcune direttamente e
altre indirettamente. E conoscere la verità, con particolari
dettagli, per taluni è stato decisivo nella carriera».
Il Vaticano è artefice o parte lesa di questa vicenda?
«Come spesso accade nella vita, la vittima è anche carnefice: questo
potrebbe essere accaduto anche al Vaticano».
Qual è il fatto più inquietante accaduto durante la sua inchiesta?
«Sono moltissimi. Per correttezza non è questa la sede per esporli».
Perché si interruppero gli scavi sotto la basilica di
sant'Apollinare?
«Non mi risulta che gli scavi nella cripta siano stati interrotti.
Sono stati eseguiti, seguendo una certa logica e sono terminati
quando ritenuti ragionevolmente superflui».
Verrà mai fuori la verità?
«Me lo auguro, ma credo che sia molto difficile ancora per molti
anni. Spero solo che la famiglia possa ritrovare il corpo della
ragazza per raggiungere l'unica pace possibile con la preghiera».
Chi ha fatto sparire Emanuela ha fatto sparire altre ragazze? Se sì,
quali?
«Non avendo trovato i responsabili della scomparsa di Emanuela
Orlandi, non posso concludere che siano responsabili anche della
scomparsa di altre ragazze. Posso però sottolineare che non mi
sembra priva di significato la circostanza che, nel 1983, siano
scomparse a Roma decine di ragazze dell'età di Emanuela Orlandi e di
Mirella Gregori. Queste scomparse sono rimaste senza un perché. Come
ho detto, mi è sembrato un motivo importante che avrebbe dovuto
spingere a non chiudere frettolosamente il dossier delle ragazze
scomparse».
ASSURDO : Le bugie hanno le gambe corte.
Ma a volte, come nel caso della lettera del prof. Daniel Pommier
Vincelli a La Stampa del 22 dicembre, pubblicata col titolo
L'Azerbaigian rivendica i propri confini legittimi. Sono le
interferenze russe a peggiorare la situazione, non le hanno affatto.
Vorrei segnalare le affermazioni e omissioni più eclatanti di questa
lettera. In risposta all'affermazione che «l'espulsione della
popolazione civile» azera dal Nagorno-Karabakh negli Anni 90 è
«stata tecnicamente la più grande pulizia etnica del XX secolo»,
vorremmo sommessamente ricordare al prof. Vincelli che nel XX secolo
ci sono stati numerosi - e ben noti - genocidi e pulizie etniche,
riguardanti - in primis - armeni ed ebrei e poi l'Holodomor ucraino
(su cui, nel 2019, è uscito il bel film Mr. Jones), il Ruanda, la
Cambogia, i Balcani... Quanto alla "pulizia etnica" dell'Azerbaijan,
ricordiamo che di profughi armeni ce ne furono circa 400.000.
Secondo l'European Commission against Racism and Intolerance, gli
armeni erano «il gruppo più vulnerabile in Azerbaijan nel campo del
razzismo e della discriminazione razziale» (2006).
All'affermazione che «l'Armenia ... all'Azerbaigian non solo la
regione del Karabakh» e alla descrizione della prima guerra del
Nagorno-Karabakh come «l'invasione armena dei territori azerbaigiani»,
faremmo notare che solitamente non si definiscono come "invasori" le
popolazioni autoctone o indigene. Gli "invasori" vengono dal di
fuori. Gli armeni, invece, vengono dal di dentro: sono autoctoni di
quelle terre. Tanto è vero che la lingua ufficiale della regione
autonoma (oblast) del Nagorno-Karabakh, dotata anche di un Soviet
autonomo, era l'armeno.
Infine: bene il richiamo al l'Onu del Vincelli: «Diritto
all'autodifesa come da articolo 51 della carta delle Nazioni Unite».
Male invece non aver citato l'altro fondamentale diritto
riconosciuto dall'Onu: il diritto all'autodeterminazione dei popoli
(Risoluzione 1514 (XV), 14 dicembre 1960).
E arriviamo alle omissioni. Ciò che è più incredibile della lettera
di Vincelli è il voler «spazzare sotto il tappeto», come si dice in
inglese, il pericolo corso dal popolo autoctono armeno del Nagorno
Karabakh (tenuto a bada dall'Unione Sovietica, finché è durata).
Come ricorda Sohrab Ahmari nel suo magistrale articolo sui fatti
dell'Artsakh (del 22 dicembre scorso), finché c'era il Soviet gli
armeni del Karabakh riuscirono a coesistere coi non armeni. Ma con
il suo indebolimento, essi rividero lo spettro dei pogrom del XX
secolo. Per loro combattere divenne una questione di sopravvivenza.
Vergognoso poi è il silenzio sulle decapitazioni da parte azera di
abitanti dell'Artsakh, sulle torture su civili armeni e sui
prigionieri di guerra, sui video (da loro diffusi sui social) di
donne armene mutilate, sul vergognoso Parco della Vittoria creato da
Aliyev a Baku alla fine della guerra; per non parlare
dell'assassinio dell'ufficiale armeno Gurgen Markaryan durante il
sonno, colpito 16 volte con un'ascia dall''ufficiale azero Ramil
Safarov a Budapest, durante le esercitazioni Nato del gennaio 2004.
Condannato all'ergastolo, Safarov venne rimpatriato dopo una
trattativa segreta col governo ungherese, e festeggiato in patria
come un eroe nazionale. Tutte questo cose sono state ampiamente
documentate e riportate dai giornali.
E che dire del "caso Akram Aylisli"? Questo scrittore
ottantacinquenne, uno dei più noti e celebrati autori azeri, ha
scritto un breve romanzo, Sogni di pietra (2013), pubblicato anche
in Italia da Guerini, con la prefazione di Gian Antonio Stella. Una
piccola storia incantevole di fratellanza e di pace ambientata a
Baku, in cui un vecchio attore azero finisce in ospedale per aver
difeso un armeno da un linciaggio, e nel delirio ricorda la pacifica
convivenza nel villaggio natio. Aylisli è diventato un reietto: è
stato dichiarato apostata, espulso dall'Unione degli scrittori azeri,
privato della pensione, gli è stato impedito di uscire dal Paese.
E infine, perché parlare di «una premessa storica, che assume un
valore etico-politico»? Vogliamo proprio parlare di etica, prof.
Vincelli? Perché non cominciamo con il parlare di verità? Come
ricorda Kant, le bugie sono in sé cosa non etica: mendacium est
falsiloquium in praeiudicium alterius.
Proprio in questi giorni ecco l'ultimo episodio di questa spietata
guerra sotterranea, chiaramente intesa a far sloggiare i restanti
120.000 abitanti armeni del Karabakh: il blocco del corridoio di
Lachin, l'ultima strada - rimasta operativa sotto il controllo di
militari russi - che collega al mondo questa enclave abitata da
millenni dal popolo armeno.
È una mossa che fa seguito ai bombardamenti del luglio scorso, in
cui furono attaccati diversi villaggi di confine e anche la celebre
stazione termale di Jermuk, nel territorio stesso dell'Armenia, con
parecchi morti e feriti. Una perversa partita del gatto col topo, il
cui scopo è di accrescere l'ansia e l'angoscia di questi poveri e
ostinati montanari, attaccati come ostriche allo scoglio alla loro
terra natia, dove sono ritornati dopo la guerra dell'autunno 2020,
vinta dall'Azerbaigian col supporto dei droni turchi e delle milizie
dei jihadisti siriani. Farli diventare miserandi profughi, insomma,
come gli sventurati sopravvissuti al genocidio del 1915-1922, che
non a caso in Turchia vennero chiamati "i resti della spada".
L'attuale blocco totale del corridoio di Lachin, attuato da
sedicenti "ambientalisti" azeri da 18 giorni, sta strangolando gli
armeni del Karabakh. Ogni attività si sta fermando. Nel severo
inverno caucasico, manca il petrolio. Mancano o scarseggiano frutta,
verdura, zucchero e molte altre cose di quotidiana utilità, che di
solito arrivano dall'Armenia. I 612 studenti del complesso educativo
italo-armeno (Hamalir Antonia Arslan), istituito dalla Cinf,
fondazione italo-americana attiva da qualche anno, che vanno dai 4
ai 27 anni, sono costretti a casa, al freddo.
Così hanno passato il Natale e il Capodanno. E il mondo occidentale
tace, non guarda fischiettando dall'altra parte.
LA LINEA ROSSA L'HANNO SUPERATA LORO IL 31.08.97:Dopo giorni
di anticipazioni, accuse e rivelazioni (o presunte tali) sulle prime
pagine di tutti i giornali, l'autobiografia del Principe Harry è
finalmente arrivata sugli scaffali delle librerie di tutto il mondo.
A Londra, alcune hanno aperto a mezzanotte per accontentare i
lettori più impazienti, diligentemente in coda sotto l'occhio delle
telecamere. Poche ore dopo, «Spare - Il Minore» aveva già venduto
400 mila copie, mai nessun libro è andato a ruba tanto velocemente,
almeno nella sezione «non-fiction», che esclude la narrativa. «Al di
là delle aspettative più ottimistiche», dice entusiasta Larry Finlay
della casa editrice Transworld Penguin Random House. «Gli unici
libri che sono andati meglio sono quelli con l'altro Harry, Potter».
Né il pastrocchio delle copie messe in vendita per sbaglio anzitempo
in Spagna, immediatamente prese d'assalto dai giornalisti, né le
interviste di Harry sui due lati dell'Atlantico hanno affievolito
l'interesse, anzi. «Mi aspetto la verità su cosa succede dietro alle
mura di Buckingham Palace, la famiglia reale è sempre avvolta dal
segreto», spiega una lettrice che si è messa in fila nella notte.
Edicole e libreria hanno aperto a Piccadilly, nel cuore della
capitale, così come nelle stazioni ferroviarie di Victoria e Euston
e presso gli aeroporti di Heathrow e Gatwick. Alcune persone si sono
precipitate all'apertura per accaparrarsi le prime copie del libro,
407 pagine nella versione britannica, oltre 500 in quella italiana,
che raccontano con toni duri il rapporto conflittuale di Harry con
il resto della famiglia reale e con la stampa britannica, già
responsabile ai suoi occhi della morte della madre Lady Diana e che
in questo caso non ha risparmiato le critiche al Principe.
Nelle ultime rivelazioni ad emergere da una biografia già sviscerata
alla ricerca delle rivelazioni più salaci (l'assalto presunto del
fratello William, i dissapori tra Meghan e Kate, il sesso, la droga,
la guerra e i taleban eliminati «come pedine da una scacchiera»),
Harry racconta di una lite con Carlo nei momenti che hanno preceduto
la morte della Regina Elisabetta nel settembre scorso.
Il libro racconta di come Harry, invitato dal padre alla tenuta di
Balmoral in Scozia per dire addio alla nonna ormai in agonia, fosse
stato anche espressamente pregato di non portare con sé Meghan.
Carlo «disse che io ero il benvenuto a Balmoral, ma non voleva… lei.
Cominciò a esporre le sue ragioni, che erano insensate e
irrispettose, e io non ne volli sapere», scrive. Poi parole dure al
padre: «Non parlare mai più di mia moglie in quel modo». Carlo che
«balbetta» parole di scuse, «spiegando che semplicemente non voleva
molta gente attorno»; che «non veniva nessun'altra moglie. Kate non
veniva... perciò nemmeno Meg sarebbe dovuta venire». «Allora ti
bastava dirlo», taglia corto Harry.
L'attesa per il libro dell'anno è finita, ma le ripercussioni delle
accuse di Harry sul suo futuro nella famiglia reale, su Carlo III,
già fortemente amareggiato, e sulla reputazione dei Windsor nel
mondo devono ancora cominciare, e dureranno a lungo.
E'
STATA SOLO UNA PROVA GENERALE: Patricia Campos Mello ha
conosciuto di persona la forza dell'estremismo di destra
bolsonarista. Autrice di un'accurata indagine che ha scoperto la
rete di finanziatori e propagatori di fake news nella campagna
elettorale del 2018, è stata attaccata dal presidente e oggetto di
una campagna di odio da parte dei suoi sostenitori. Dopo essersi
aggiudicata nel 2019 l'International Press Freedom Award del
Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti, ha vinto
una causa per danni morali contro Bolsonaro. Investiga ancora oggi
la rete dei movimenti bolsonaristi per il quotidiano Folha de Sao
Paulo e per questo non si dice affatto sorpresa per quanto sia
successo a Brasilia.
Lei si aspettava l'assalto di domenica?
«Lo aspettavamo da tempo. Pensavamo potesse realizzarsi durante le
sfilate militari del 7 settembre, nel primo turno delle elezioni,
nel ballottaggio o nel giorno dell'insediamento di Lula, il primo
gennaio. Ma in queste occasioni Brasilia era blindata e quindi era
difficile che potessero farcela. Si tratta di un movimento
organizzato, non sono dei marziani piombati dal nulla. Si
organizzano attraverso canali Telegram, reti di messaggi Whatsapp e
continueranno ad agire».
A parte l'evidente sabotaggio delle forze di sicurezza della
capitale, sorprende che non sia stato possibile prevenire quello che
è successo. Pensando al futuro, il governo dispone di una rete di
intelligence adeguata per evitare che questo accada di nuovo?
«L'intelligence ha fallito, questo preoccupa. Se noi giornalisti
potevamo vedere questi movimenti mi chiedo come sia stato possibile
che il governo sia rimasto all'oscuro di tutto. Forse c'è stato un
sabotaggio interno, è chiaro che qualcosa deve cambiare. Mi chiedo
fino a che punto il presidente possa fidarsi delle forze di
sicurezza. Penso alla polizia militare dei diversi stati ma alla
stessa polizia federale e anche alle Forze Armate».
Alcuni Stati importanti del Brasile come San Paolo, Rio de Janeiro o
Minas Gerais sono governati da alleati dell'ex presidente Bolsonaro;
è un problema in più per il governo Lula?
«Credo che questa invasione sia stata controproducente per Bolsonaro
e i suoi alleati. La maggioranza dei suoi elettori non l'approva,
l'attacco alle istituzioni spaventa l'opinione pubblica. I
governatori cercheranno di distanziarsi il più possibile
dall'estremismo. La stessa cosa non si può dire della polizia, dove
molti elementi simpatizzano per il Bolsonaro duro e puro, sono
nostalgici della dittatura, non accettano imposizioni da parte del
potere politico. Lì c'è un pericolo per la tenuta democratica del
Brasile».
UNA GIUSTIZIA INGIUSTA : Adelaide Andreini ha 28 anni, è una
dottoressa specializzanda in Chirurgia e la sera del 7 gennaio è
stata aggredita mentre era in serviziocome guardia medica
all'ospedale Gervasutta di Udine. «Mi ha messo una mano al collo e
ha stretto. Per un attimo ho pensato di morire». Ad alzare le mani
contro di lei è stato l'accompagnatore di un paziente. A liberarla
dalla presa invece una collega, Giada Aveni, anche lei
specializzanda, che ha denunciato sui social l'accaduto postando la
foto dei lividi. «Non scorderò mai i suoi occhi – ha raccontato -.
Ora ogni volta che mi si avvicina qualcuno senza preavviso salto
dalla paura». I due uomini sono stati poi fermati e identificati.
«Ma sono già a piede libero e sinceramente ora abbiamo paura che
possa tornare». E ancora: «Non posso pensare che un'altra persona
ancora, dopo la mia collega, rischi di essere strangolata
dall'accompagnatore di un paziente o da chicchessia! Non deve
esistere che una persona, un medico venga ingiuriato e minacciato
fisicamente e verbalmente come è successo alla sottoscritta.
Chiediamo più tutela nello svolgimento del nostro lavoro». —
11.01.23
PRIMA L'INCONTRO CON MONS.GEORG POI L'APERTURA SULLA MORTE DI
EMANUELA ORLANDI: «Con ogni
probabilità a sostenere la decisione del promotore di giustizia
vaticano Alessandro Diddi di riaprire le indagini su mia sorella
Emanuela è stata anche la volontà di Papa Francesco». E secondo
Pietro Orlandi, fratello della ragazza scomparsa nel nulla nel 1983,
«può avere in qualche modo influito anche la dichiarazione di
Gaenswein secondo cui il dossier Orlandi non esiste, quando un paio
d'anni fa ci disse che il fascicolo c'è».
Qual è stata la sua reazione alla riapertura dell'indagine?
«L'ho saputo all'improvviso. Questa novità è positiva. Anche perché
non è una riapertura: il Vaticano non ha mai aperto un'inchiesta
ufficiale. Questa è la prima volta che viene aperta un'inchiesta
interna vaticana sul rapimento di Emanuela. Da quanto ho inteso
dalle dichiarazioni di Diddi si vuole guardare dall'inizio tutti i
fatti, ricominciare da capo. Forse hanno capito che altrimenti noi
non ci fermeremo mai nella ricerca della verità. È il momento di
mettere fine a questa vicenda: per noi, ma anche per loro, per la
Chiesa, il Vaticano stesso».
Che cosa spera adesso?
«Di essere convocato e poter finalmente verbalizzare, lo chiedo da
tantissimo tempo. Con l'avvocato avevamo scritto anche a Papa
Francesco comunicandogli che eravamo in possesso di nuovi elementi e
che avremmo voluto verbalizzare. Sono elementi importanti che
meritano un approfondimento. Dirò le cose che ho sempre raccontato.
Io sono convinto che in Vaticano ci sono persone, anche di alto
livello, a conoscenza dei fatti».
Che cosa teme?
«Auspico che questa volta ci sia davvero la volontà di fare
chiarezza al cento per cento. Per tanti anni mi sono illuso e poi
disilluso. Confido che questa iniziativa non sia l'ennesima mossa di
facciata. Però un movimento mi rende più fiducioso».
Quale?
«La richiesta parlamentare di una commissione d'inchiesta. Forse è
la volta buona per una collaborazione tra Vaticano e Italia, che è
mancata in tutti questi 40 anni. Le aggiungo ancora un
ragionamento».
Dica…
«Credo che in questa iniziativa abbiano influito anche le ultime
dichiarazioni di monsignor Gaenswein. Ha detto che non esiste alcun
dossier. Ma un paio d'anni
fa Sgrò ha incontrato Georg, e si sono parlati del fascicolo che
Paolo Gabriele, il maggiordomo di Ratzinger, vide sulla scrivania di
Gaenswein. A Sgrò, Gaenswein confermò che esiste il fascicolo,
sostenendo che era in Segreteria di Stato. E le consigliò di
insistere per poterlo visionare»
«L'udienza non era scritta nel programma
di ieri del Santo Padre. E non ce la aspettavamo così presto». Un
alto prelato vaticano manifesta il suo stupore di fronte
all'incontro a sorpresa tra Papa Francesco e monsignor Georg
Gaenswein, fido segretario particolare di Benedetto XVI. Un faccia a
faccia dopo le tensioni di questi giorni, e il terremoto sollevato
dalla pubblicazione delle anticipazioni del libro – nelle ore dei
funerali di Joseph Ratzinger – di padre Georg («Nient'altro che la
verità», realizzato con il giornalista Saverio Gaeta, Edizioni
Piemme, in uscita giovedì) da cui sono emersi sfoghi contro il
Pontefice argentino.
Con ogni probabilità, questo è stato uno degli argomenti del
colloquio.
Nel volume l'Arcivescovo tedesco ripercorre il complesso rapporto
con Francesco, raccontando di essere rimasto scioccato quando il
Papa lo allontanò, «sospese», dall'incarico di capo della Casa
pontificia, rendendolo un «Prefetto dimezzato». Sostiene Gaenswein:
«Lui mi guardò con espressione seria e disse a sorpresa: "D'ora in
poi rimanga a casa. Accompagni Benedetto, che ha bisogno di lei, e
faccia scudo". Restai scioccato e senza parole. Quando provai a
replicare, chiuse seccamente il discorso: "Lei rimane prefetto, ma
da domani non torni al lavoro". In modo dimesso replicai: "Non
riesco a capirlo, non lo accetto umanamente, ma mi adeguo soltanto
in obbedienza". E lui di rimando: "La mia esperienza personale è che
"accettare in obbedienza" è una cosa buona". Tornai al Monastero e
lo raccontai a Benedetto, il quale commentò in modo ironico: "Sembra
che Papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi
faccia da custode!"». Rivelazioni che si sono aggiunte
all'intervista al Die Tagespot, in cui Gaenswein ha svelato che la
stretta operata da Bergoglio sulla messa in latino sarebbe stata un
dolore per Ratzinger. Parole che rischiano di riaccendere gli
scontri nel recinto cattolico tra le fazioni tradizionalisti e
bergogliani, uno scenario vaticano che potrebbe essere scosso da
quelle che Gaenswein stesso ha definito «due tifoserie». Nei giorni
scorsi l'Arcivescovo con gli amici si sarebbe difeso definendo «decontestualizzati
gli estratti che hanno provocato polemiche».
L'altro ieri Francesco all'Angelus ha, in qualche modo, risposto
alle accuse di Georg: «Il chiacchiericcio è un'arma letale, uccide,
uccide l'amore, uccide la società, uccide la fratellanza.
Chiediamoci: io sono una persona che divide o una persona che
condivide? ».
Il Papa, tranquillo per ciò che riguarda gli impegni quotidiani da
Pontefice, sarebbe «amareggiato e dispiaciuto per il polverone
sollevato dalle dichiarazioni di Gaenswein», racconta un presule.
Nel dialogo di ieri il Vescovo di Roma «avrebbe detto a Gaenswein
che in questo momento la soluzione migliore è il silenzio. Tacere,
per stemperare le tensioni. Ora serve silenzio, avrebbe ribadito il
Papa», racconta un monsignore. E Gaenswein «avrebbe riportato questa
indicazione alle persone a lui vicine».
Anche perché è in gioco il futuro ecclesiastico del «Prefetto
dimezzato», che potrebbe essere in procinto di fare le valigie. È
l'altra questione spinosa che aleggia e che probabilmente hanno
affrontato.
Dando per altamente improbabile che padre Georg torni a pieno
servizio nella Casa pontificia, secondo fonti vaticane papa
Francesco aveva riflettuto sull'argomento «qualche tempo prima della
morte di Benedetto XVI, e sembrava orientato a destinare Gaenswein
in una nunziatura, magari in America Latina, in Asia o in Europa.
Ora, se anche il Pontefice avesse deciso, e non c'è alcuna
comunicazione in tal senso, bisogna vedere se i veleni di questi
giorni hanno portato a qualche cambiamento di un'eventuale idea». Si
parla anche di una docenza in un ateneo cattolico all'estero. Più
complesso un ritorno nella sua Germania, dove l'episcopato pare non
lo accoglierebbe a braccia aperte. Il presidente della Conferenza
episcopale tedesca monsignor Georg Batzing nei giorni scorsi si è
limitato a un distaccato: «Dipende dal diretto interessato e da chi
prende queste decisioni nella Curia vaticana»; insomma, nessun
invito particolare a padre Gaenswein per unirsi ai vescovi suoi
connazionali. Se invece «sarà nominato per qualche ruolo a Roma –
ragiona un altro prelato – credo sarà importante che non si presti a
diventare capofila degli oppositori al pontificato».
Nel frattempo, emergono «malumori nei confronti del segretario di
Ratzinger anche dalla stessa galassia tradizionalista», riporta un
vescovo. «È difficile immaginare che Papa Benedetto lo avesse
autorizzato a mettere in piazza nelle ore successive alla sua morte
tutte le carte segrete e, soprattutto, le vicende, gli aneddoti e
gli episodi che possono contrapporlo a Francesco». Inoltre, il
porporato assicura che «vari prelati dei circoli tradizionalisti si
stanno smarcando dall'atteggiamento tenuto da Ganswein nei giorni
delle esequie di Benedetto XVI. Secondo me, se il segretario di
Ratzinger aveva l'obiettivo di diventare punto di riferimento degli
ultraconservatori contro Bergoglio, il primo passo compiuto è stato
sbagliato, nei modi e soprattutto nei tempi».
PER NON PAGARE IL CONTRIBUTO AL PARTITO : Aboubakar Soumahoro
è uscito dal gruppo. L'ex sindacalista dei braccianti entrato a
Montecitorio da «indipendente» lascia il gruppo di Alleanza
Verdi-Sinistra alla Camera, «stupito e amareggiato per l'assenza di
solidarietà umana e supporto politico», e si iscrive al Misto. «Non
esiste alcun caso Soumahoro» è il titolo del lungo dossier che
pubblica sul suo sito per annunciare l'addio e chiarire alcune delle
vicende che riguardano lui e la sua famiglia, coinvolta in
un'inchiesta della procura di Latina. Incolmabile ormai la distanza
con i compagni di viaggio che l'hanno candidato. «Non sono per nulla
sorpreso, perché non ci ha mai dato sufficienti spiegazioni - dice
il co-portavoce dei Verdi Angelo Bonelli - Sono però umanamente
deluso».
Nel corposo dossier, Soumahoro ribadisce la sua estraneità alla
vicenda giudiziaria: «Non sono stato né sono indagato, non sono
accusato di alcunché, non c'entro nulla con gli eventuali problemi
in quelle cooperative. Eppure il mio nome è stato per 2 mesi sulle
pagine di tutti i giornali, in tutte le televisioni ogni sera, e
sono stato infangato e diffamato sistematicamente. È stato puro
sciacallaggio». Parla della moglie, «soprannominata
provocatoriamente "lady Gucci", è stata al centro di una serie di
pesanti commenti e insinuazioni». Torna sul «diritto all'eleganza»
declamato in tv e che gli è valso secchiate di critiche, anche
feroci. «Intendevo riferirmi al diritto di chiunque di vestirsi come
meglio crede. Tuttavia trovo davvero singolare che mi si chieda di
esprimere un giudizio di valore circa foto della mia compagna
risalenti a 4 anni prima che io la conoscessi».
L'inchiesta di Latina verte sulle due cooperative pro-migranti
Karibu e Consorzio Aid e vede indagate sei persone, collegate a
vario titolo ai vertici: la suocera di Soumahoro Marie Terese
Mukamitsindo, la moglie del deputato Liliane Murekatete e due suoi
fratelli, oltre a due collaboratrici. I reati ipotizzati sono legati
a presunte false fatturazioni per evadere il fisco. In più, ci sono
decine di ex dipendenti rimasti senza stipendio per mesi e
accertamenti sulla presunta scarsa qualità dei servizi offerti ai
migranti ospiti.
Soumahoro ribatte colpo su colpo, prova a spiegare la sua verità
contro quella che definisce la «campagna disinformativa dell'anno».
Dice di aveva saputo delle mancate retribuzioni ai dipendenti Karibu
nel 2021: «Chiesi chiarimenti e venni informato che non erano ancora
pervenuti tutti i soldi necessari» dagli enti pubblici, ma «tutto si
sarebbe risolto in tempi ragionevoli». Nega irregolarità nei fondi e
nei bilanci della Lega Braccianti; tutto regolare anche il mutuo
sulla casa («dal 2008 ho lavorato come dipendente della Rdb, da fine
2018 a febbraio 2022 sono stato opinionista per l'Espresso»). Parla
di «ingiustificato accanimento» nei suoi confronti, dettato anche
dal razzismo: «Una persona di colore va bene finché è un "negro da
cortile", finché protesta con gli striscioni, che peraltro ho fatto
mille volte e non smetterò mai di fare, se è povero e sta ai
margini. Ma se prova a fare un salto di qualità immediatamente
disturba».
BOLSONARO=TRUMP A LIBRO PAGA DI PUTIN ? Jake Sullivan, il
consigliere per la Sicurezza di Joe Biden, puntualizza: «Non abbiamo
informazioni su Bolsonaro e non abbiamo ricevuto alcuna richiesta
dal governo brasiliano su una sua estradizione. Dovesse arrivare
qualcosa procederemo con la assoluta serietà, come in tutti gli
altri casi». Mentre Sullivan conversava con i giornalisti a Città
del Messico e diceva che il leader Usa avrebbe parlato in serata con
Lula, l'ex presidente brasiliano veniva ricoverato in ospedale a
Orlando, in Florida, per forti dolori addominali.
Le sue condizioni non sono gravi. Da quando nel 2018
l'ultraconservatore fu accoltellato durante un comizio elettorale,
soffre di blocchi intestinali che talvolta l'hanno portato a
ricoveri lampo.
Il 67enne Bolsonaro si trova al sole della Florida dal 30 dicembre
quando un aereo militare lo ha portato fuori dal Paese e recapitato
nella villa delle vacanze di José Aldo, ex lottatore, e suo
sostenitore.
Gli ultimi due giorni da presidente – Lula si è formalmente
insediato il 1° gennaio – Bolsonaro li ha trascorsi quindi
all'estero, prima di diventare un «uomo comune», privo di immunità e
libero di andare a fare jogging fra i vialetti del resort che dista
pochi chilometri da Disney World, fare la spesa nel supermercato
locale e mangiare un panino al pollo da KFC. Il 31 dicembre è stato
immortalato mentre addenta un hamburger e nei giorni successivi è
stato ritratto con indosso la maglia della nazionale di calcio Usa,
quella del Palmeiras, in t-shirt e scarpe da ginnastica e con una
cinquantina di sostenitori fuori casa che chiedevano autografi e si
facevano selfie.
Secondo i giornali brasiliani che avevano scoperto qualche giorno in
anticipo la sua intenzione di fuggire all'estero (la moglie, la
terza, non l'avrebbe seguito), Bolsonaro sarebbe andato al party di
Capodanno a Mar-a-Lago, ospite dell'alleato più solido, Donald Trump.
A Mar-a-Lago ci era già stato nel marzo del 2020. Non ci sono
conferme però di brindisi insieme a mezzanotte, la lista degli
ospiti – almeno per quella parte divenuta pubblica – non ha il nome
di Bolsonaro.
Il suo entourage il 3 gennaio ha raccontato al New York Times che
Bolsonaro si fermerà negli Stati Uniti per almeno un mese, forse
tre. L'intenzione è quella di capire se a Brasilia intendono o meno
proseguire con le inchieste e dare corso alle accuse sul suo conto.
La lista è piuttosto lunga: la Corte suprema ha quattro inchieste
avviate per disinformazione, diffusione di notizie false sulle
elezioni e l'assegnazione di una scorta al figlio non dovuta. Ma vi
sono altre 12 inchieste da parte della Commissione elettorale. Senza
contare che alcuni tribunali lo vorrebbero perseguire per la
gestione del Covid. L'America, in questo contesto, deve essergli
sembrata più ospitale e meno minacciosa di Brasilia. Con lui
domenica c'era Anderson Torres, segretario per la sicurezza del
Distretto di Brasilia silurato da Lula per l'inefficacia nel
prevenire e rispondere agli eventi alla piazza dei Tre Poteri.
Domenica in tarda serata, Bolsonaro ha aperto Twitter e digitato la
sua contrarierà all'assalto dei palazzi governativi (cui secondo la
polizia ha partecipato anche un nipote), pur reclamando il diritto
di protestare pacificamente, per tentare di allontanare i sospetti
su un suo ruolo nell'8 gennaio carioca e rispondere direttamente a
Lula che ha alluso al ruolo di finanziatori all'estero.
La sua presenza negli Usa ha innescato subito un confronto politico:
i democratici chiedono sia allontanato. Joaquin Castro, deputato del
Texas, e Alexandria Ocasio-Cortez, di New York, hanno invitato
l'Amministrazione a «non dare rifugio» e a «restituirlo al più preso
al Brasile». È anche a loro che ha risposto Sullivan, la questione
di un eventuale «visto di permanenza» è di competenza del
Dipartimento di Stato che per ora non ha comunicato nulla.
Le connessioni di Bolsonaro con gli Stati Uniti transitano dalla
galassia Trump e dalla partecipazione a diversi eventi organizzati
dalla CPAC e dall'ACU di Matt Schlapp, la galassia conservatrice Usa
il cui modello di conferenze è stato esportato nell'Ungheria di
Orban e anche in America Latina. Due anni fa alla CPAC
latino-americana tenutasi in Brasile, uno degli organizzatori e
sponsor tramite la sua App Gettr era Jason Miller, ex consigliere di
Trump. Con Steve Bannon i rapporti li tiene il figlio Edoardo: è lui
ad aver diffuso un video dopo le elezioni perse in ottobre sulla
denuncia di brogli e l'invito a scendere in piazza, prontamente
accolto domenica dalla folla. Ma già nel 2018 Bannon aveva messo a
disposizione il suo know-how e la raccolta dati per aiutare
Bolsonaro a diventare presidente. Al suo insediamento, Trump inviò
il segretario di Stato Mike Pompeo.
10.01.23
FALLITO , PER ORA, IL GOLPE IN BRASILE, UNO DEI PAESI PIU' RICCHI
MATERIE PRIME AL MONDO.
INDEFINIBILE CHI VUOLE TOGLIERE LA OSSERVAZIONE UFFICIALE DEGLI
AMBASCIATORI IN IRAN :
"L'Italia deve ritirare l'ambasciatore anche in Europa le libertà
sono a rischio"
Roberto Saviano
I MIGRANTI
Roberto Saviano, cosa la colpisce di più di questa rivoluzione in
Iran?
«È una rivoluzione che non ha un'avanguardia, un partito,
un'organizzazione e non ha neanche leader. Per questo è
inarrestabile. È una rivoluzione che più di ogni altra cosa mostra
la necessità dei diritti come premessa di ogni ragionamento
politico. Stanno chiedendo con il sangue, con l'impegno quotidiano,
di trasformare il Paese. Qualunque evoluzione politica avrà il
Paese, liberale o socialdemocratica, dovrà essere laica e rispettare
i diritti».
Cosa ci insegna?
«Che la democrazia è una scelta precisa che viene prima della
politica. Democrazia e diritti sono la premessa per la politica. Un
insegnamento per i giovani che in Europa non si stanno battendo
contro il populismo, ma anzi in molti casi lo stanno favorendo
entrandoci attraverso la sua ideologia complottarda. I giovani
iraniani hanno capito che i social sono uno spazio laterale per
impegnarsi, ma che poi è la pratica reale che cambia le cose. Non i
post, non i like, non le condivisioni, che invece bloccano da un
decennio l'attività dei movimenti».
L'Occidente lo ha capito?
«In Occidente tutto si chiude in una manifestazione, in un gruppo
social di coscienza, ma poi c'è bisogno dell'azione, dei corpi,
della forza. In questo caso tra l'altro è una forza civile, senza
armi, che ha utilizzato la critica e l'occupazione dei territori».
C'è una mobilitazione spontanea nelle piazze e in rete ma i governi,
l'Europa, hanno fatto abbastanza o possono fare di più?
«L'Europa non sta facendo abbastanza. C'è una condivisa presa di
coscienza da parte della società civile e politica. Ma ora bisogna
sabotare l'economia iraniana. Senza alcun dubbio l'Italia deve
ritirare l'ambasciatore subito e interrompere le relazioni
economiche con l'Iran. Bisogna agire. Non basta dare solidarietà,
che è un atto importante ma morale. Serve un atto vero che trasformi
la realtà, non solo la coscienza».
È una rivoluzione partita dalle donne in una società patriarcale.
Gli uomini le stanno aiutando?
«La rivoluzione è partita dalle donne ma dimostra che la lotta al
patriarcato libera anche gli uomini. Ecco perché gli uomini sono
così presenti. Ecco perché poi il numero di uomini condannati a
morte è più alto rispetto alle donne».
In Iran si combatte per la libertà mettendo a rischio la vita.
L'Occidente del benessere, pur non rischiando la vita, ha ancora
voglia di scendere in piazza mettendosi in qualche pericolo?
«In Occidente non solo l'idea di poter rischiare per cambiare il
mondo è sparita dall'orizzonte. Eccezion fatta per i movimenti
ecologisti che mettono il proprio corpo e la loro fedina penale a
rischio. Oggi il messaggio chiaro è: imbucati, trova il modo per
galleggiare, per fare un po' di follower, per fare un po' di grana.
In Iran è evidente che battersi per trasformare il proprio Paese
significa battersi per la propria felicità. Le giovani che si
tolgono il velo non vengono percepite come delle furbette che
compiono questa azione per trovare qualche follower».
Nel mondo libero non c'è più voglia di combattere?
«Nell'Occidente impegnarsi è visto con diffidenza. Basta vedere come
molte tv e giornali siano così prudenti verso un governo di estrema
destra che è tra i fondatori dell'Europa».
Perché?
«Perché tutta l'economia che sostiene l'informazione e le pubblicità
dipende molto dalla politica».
Da anni è così però.
«No. Nell'epoca berlusconiana c'era maggiore possibilità da parte
delle opposizioni di muoversi. Perché si faceva share, si vendevano
libri e ora i numeri stanno scendendo. E i numeri dei follower sono
evanescenti, non ti danno forza economica. E quindi sono tutti
spaventati dall'attaccare chi è al comando, anche dove la democrazia
sta per farsi compromettere dai populismi come è successo in
Ungheria e come sta succedendo in Italia».
Iran e Italia sono molto distanti in quanto a libertà.
«L'Iran non è un Paese distante dalla nostra vita. Teheran è una
città evoluta. Certo le campagne sono molto lontane dalle nostre.
Certo non c'è una teocrazia. Ma la Polonia vuole reintrodurre la
pena di morte».
In Europa la libertà è a rischio?
«Le libertà vengono compresse continuamente in nome della sicurezza
e del vantaggio economico. In fondo Orbán, Erdogan e il regime
iraniano, benché sul piano formale siano tre regimi differenti, si
somigliano in questo: l'ordine viene dato, sostenuto e promesso in
cambio di una sicurezza economica e di una pace sociale. E quindi
qualsiasi riflessione sui diritti, qualsiasi battaglia per la
libertà, viene vista come superflua. Come cosa da intellettuali, che
vengono attaccati e accusati di speculare, di guadagnare sul nulla.
In verità sono indagatori sui limiti del potere e testimoni della
compressione delle libertà. L'Iran parla a noi».
Cosa pensa della proposta del ministro Salvini di mettere in carcere
gli eco warriors che imbrattano i muri?
«Su questo punto sarebbe interessante rispondessero i promotori del
referendum in materia di Giustizia, tra questi anche Salvini. Il
leader leghista è politicamente dissociato. Va a vento. La sua
politica non ha nessuna logica. Vuole solo rincorrere, come gli
ignavi descritti da Dante, una bandiera senza colore. La sua
bandiera è quella del consenso momentaneo, ma bisogna essere molto
cauti nell'invocare pene esemplari. Salvini per i responsabili di un
partito che, per ipotesi, avessero sottratto ingenti fondi pubblici,
mettiamo 49 milioni, cosa farebbe? Invocherebbe la pena di morte?».
Sembra una boutade.
«Non lo è. Il dibattito sulla reintroduzione sulla pena di morte,
nei prossimi anni, sarà centrale. Si parte dagli eco warriors per
attirare solo la rabbia. È tipico di Salvini che, non avendo
argomentazioni o un'idea reale politica ma dovendo solo conservare
quello che è, un catalizzatore di odio e di rabbia, non riesce ad
affrontare temi reali. Ha il buon senso dei mediocri, quindi
semplicemente cerca di conservare il suo immeritato ruolo. È
pericoloso. perché tutta l'attenzione sul tema della crisi climatica
la risolve intestandosi una maggiore repressione».
Le Ong nei nostri mari combattono per il diritto alla vita dei
migranti. Cosa pensa del decreto Piantedosi?
«Piantedosi si trova schiacciato da Salvini, che l'ha costruito e
voluto mettere lì. Ma è chiaramente un ruolo che gli sta stretto e
gli sta dando anche fastidio. Sa che non può comportarsi in maniera
maldestra come si è comportato Salvini. Dopodiché l'obiettivo vero
di questa legge è non avere testimoni nel Mediterraneo, non c'entra
nulla far rispettare il diritto internazionale come sostiene Meloni,
mentendo tra l'altro».
Quale sarebbe la bugia di Meloni?
«Ha chiamato "traghetti" le Ong che sono ambulanze del mare, che
salvano vite, e che tra l'altro agiscono sempre dopo aver avvertito
la Guardia Costiera. Nessuna inchiesta ha mai dimostrato contatti
tra trafficanti e Ong. È una battaglia ideologica per confondere il
dibattito politico. Tanto è vero che quando si parla di
redistribuzione dei migranti sono proprio gli alleati di Meloni e
Salvini che non la vogliono: si oppongono i polacchi, la destra
ungherese. Non vogliono che il problema sia affrontato dall'Europa.
Vogliono che ricada solo sull'Italia. Il decreto del governo di
estrema destra, ribadisco estrema destra, inutile fingere di
chiamarla in altro modo, vuole semplicemente non avere testimoni nel
Mediterraneo».
Quale è il grado di tirannia, rispetto all'Iran, della Libia di
oggi, dove transitano e vengono rinchiusi i migranti nei campi?
«La Libia è uno Stato fallito. L'Italia sostiene il finanziamento
formale alla Guardia Costiera libica per la gestione migranti. In
realtà sono dazi per le milizie, per tutelare gli interessi
energetici in Libia. Si forniscono motovedette, divise e soldi per
formare personale, ma sono tutte tangenti dei governi per ottenere
il petrolio libico».
La politica è sangue e merda, direbbe Rino Formica.
«La responsabilità europea e italiana in Libia è molto più diretta
rispetto all'Iran. La Libia ha veri e propri campi di concentramento
sostenuti con i soldi italiani. E l'ipocrisia di questo governo è
ancora maggiore, quando parla di Ong che coprono i trafficanti. A
coprire i trafficanti è lo Stato italiano che paga la Guardia
Costiera libica, che poi sono i veri trafficanti. L'indagine l'ha
fatta l'Onu: quelli che trafficano in droga e in petrolio sono gli
stessi che dopo si vestono da Guardia Costiera. Quando ricevono i
soldi, le tangenti, bloccano le partenze. Quando hanno interesse di
guadagno, aprono i rubinetti e fanno partire le persone».
LA MAFIA UCCIDE SEMPRE NEL CALCESTRUZZO ? ANCHE SE A Aboubakar
Soumahoro NON INTERESSA ? «Qui si muore». Sono le ultime
parole di Daouda Diane, scomparso dopo avere girato un video che è
insieme testamento e denuncia, la sua faccia in primo piano, il
telefonino a inquadrarla dentro un cementificio del paese di Acate,
in provincia di Ragusa. «Qui si muore», dice Daouda, profeta del suo
destino, parlando da quel che sembra l'interno di una betoniera, una
mascherina logorata sul viso, un martello pneumatico nelle mani,
senza guanti, senza protezioni. «Inutile – racconta in quel
video-denuncia che invia al fratello in Costa d'Avorio – che nel
nostro Paese andiamo a raccontare che lavoriamo in fabbrica. Questi
sono posti pericolosi, qui si muore».
È sabato 2 luglio. E da allora Daouda Diane, 37 anni, della Costa
d'Avorio, operaio, mediatore culturale, sindacalista, marito e padre
di un bambino, è diventato Daouda il fantasma. Scomparso nel nulla,
con la procura di Ragusa che ammette: «Quasi certamente non è vivo».
Fatto sta che manda quel video intorno alle due e mezzo del
pomeriggio, poche ore dopo il suo cellulare si spegne, la "cella"
telefonica è talmente grande che non si possono distinguere i suoi
spostamenti nel dettaglio, le telecamere interne al cementificio
della Sgv Calcestruzzi sono rotte, quelle sulla strada non
registrano il suo passaggio. Secondo il titolare dell'azienda,
Gianmarco Longo, «è uscito a mezzogiorno, io non c'ero ma me l'hanno
riferito. È venuto alle otto, chiedendo di svolgere qualche
lavoretto di pulizia, è stato pagato e se n'è andato. Non abbiamo
nulla da temere». Lo stesso titolare secondo cui Daouda era «una
presenza saltuaria e amichevole, teneva compagnia al personale,
rendendosi utile a spazzare il cortile, ottenendo in cambio una
piccola somma». Versione, questa, spazzata via dalle indagini: «Una
delle poche certezze è che lavorasse in nero nel cementificio», per
dirla con il procuratore di Ragusa, Fabio D'Anna, che ha aperto un
fascicolo per omicidio e occultamento di cadavere e ha iscritto nel
registro degli indagati i responsabili legali dell'azienda, come
atto dovuto. Gianmarco Longo è figlio di Carmelo, coinvolto in
passato in indagini per associazione a delinquere finalizzata alla
truffa e alla turbativa d'asta. Il fratello di Carmelo, Giovanni, è
stato arrestato nel 2019 in un'operazione che ha consentito di fare
luce sul clan mafioso di Vittoria. Il padre era Salvatore Longo,
ucciso nel '90 ad Acate in un agguato di stampo mafioso.
Alle 14.30, quando Daouda manda il video, il cementificio è chiuso
da più di due ore («Forse l'ha girato in un altro giorno – dice il
titolare dell'azienda – o forse in un altro posto») e che nulla è
stato contestato all'azienda se non l'utilizzo di manodopera
irregolare. Di sicuro c'è solo, secondo gli inquirenti, che
l'operaio non era lì di passaggio. Ma i cani molecolari
sguinzagliati in ogni angolo del cementificio e le apparecchiature
più sofisticate che cercano resti umani non hanno fiutato niente.
Ricerche e perquisizioni tardive, perché la denuncia è scattata solo
otto giorni dopo la scomparsa, quando l'amico Marcire Doucoure
(destinatario pure lui di quel video) non sa più dove cercarlo. Quel
video lo ha rivisto centinaia di volte, stupendosi del fatto che
Daouda parli in francese, e non nel loro dialetto, come se volesse
farsi capire da tutti. Non uno sfogo privato, ma una denuncia.
L'ipotesi dell'allontanamento volontario suona quasi come un
insulto: Daouda sarebbe partito venti giorni dopo per riabbracciare
la moglie Awa e il figlio, dopo cinque anni. Per questo aveva
comprato il biglietto aereo, 600 euro, che ha lasciato a casa
insieme al permesso di soggiorno, i soldi, il passaporto.
I sindacati sono in rivolta, un paio di volte le manifestazioni di
protesta hanno rischiato di finire con l'assalto del cementificio.
Il magistrato Bruno Giordano, fino a pochi giorni fa direttore
dell'Ispettorato nazionale del lavoro, ha scritto al presidente
Mattarella: «Non possiamo sciogliere Diane nell'acido dell'oblio e
dell'indifferenza». La moglie Awa, che nelle fotografie sorride
abbracciata a lui, dice: «Queste cose possono accadere da noi, in
Africa, non in un Paese civilizzato come l'Italia». E poi esprime il
suo unico desiderio: «Restituitemi almeno il suo corpo in modo che
possa pregare per lui».
QUANTI FUMATORI HANNO PRESO IL COVID ? La Legge Sirchia del
2003 ha fatto diminuire i tabagisti, ora la tendenza si inverte. Il
peso delle sigarette elettroniche
Dopo 20 anni di divieti nei locali i fumatori ritornano a crescere
Sono passati vent'anni dalla legge che vietò il fumo nei locali
chiusi e che contribuì a diminuire il numero di tabagisti nel nostro
Paese, ma adesso gli italiani con il vizio della sigaretta stanno
tornando a crescere.
La cosiddetta «Legge Sirchia», dal nome dell'allora ministro della
Salute che si era battuto fortemente per l'approvazione della norma,
fu emanata nel 2003 (entrò in vigore nel 2005) e fino al 2019 riuscì
a mantenere la quota di fumatori nella popolazione in diminuzione:
si passò (con diverse fluttuazioni) dal 27,6% del 2003 al 22%. Tra
il 2020 e il 2022 si è però tornati al 24,2%, (circa 800 mila
persone in più): quasi un italiano su quattro oggi fuma, una
percentuale simile non era stata mai più registrata dal 2006.
Stanno anche cambiando i consumi. Dal report diffuso dall'Istituto
Superiore di Sanità (Iss) lo scorso maggio, in Italia sono cresciute
le persone che fumano sigarette a tabacco riscaldato, ritenute da
più di una persona su tre meno dannose di quelle tradizionali: si è
passati dall'1,1% nel 2019 al 3,3% nel 2022. Anche gli utilizzatori
di e-cig sono aumentati negli ultimi anni, dall'1,7% del 2019
all'attuale 2,4%. Il mercato che cambia sta mettendo nuovamente in
discussione il rispetto verso i non fumatori, che era invece
diventato un costume sociale radicato: «Il 66,8% degli utilizzatori
di e-cig e il 74,6% dei fumatori di sigarette a tabacco riscaldato
si sentono liberi di usare questi prodotti nei luoghi pubblici»
scrive l'Iss. La prevalenza più alta di fumatori di sesso maschile
si registra nella fascia d'età compresa tra i 25 e i 44 anni
(42,9%), mentre le donne fumano di più tra i 45 e i 64 anni, e
guardando la cartina geografica si fuma di più al Sud rispetto al
resto del Paese.
Il fumo poi continua a uccidere: dal sito del Ministero della Salute
si legge come siano attribuibili al fumo di tabacco oltre 93 mila
morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il
7,9% del totale di quelle tra le donne), con costi diretti e
indiretti che arrivano a oltre 26 miliardi di euro. Proprio secondo
l'ex ministro della Salute Sirchia, alla luce del nuovo trend in
crescita, servirebbe più impegno delle istituzioni nel portare
avanti un'agenda contro il fumo. Dal 2005 infatti è stato fatto solo
qualche timido tentativo, come quello del Comune di Milano (che
verrà imitato dalla città di Modena a partire dal 21 marzo
prossimo). Nel capoluogo lombardo dal gennaio 2021 è stato
introdotto lo stop al fumo anche all'aperto nei luoghi affollati,
come ad esempio alle fermate dei mezzi pubblici e nei parchi. Non
esiste però un vero e proprio piano controlli e possiamo parlare
soprattutto di moral suasion, sperando nella collaborazione dei
cittadini, nonostante siano previste sulla carta multe fino a 240
euro.
I POLITICI FUMATORI ? Girolamo Sirchia
"La mia stretta, poi solo chiacchiere la politica difende le
multinazionali"
Compie 20 anni la legge che per la prima volta rese illegale il fumo
nei locali pubblici al chiuso. «Venti anni inutili», commenta
Girolamo Sirchia, all'epoca ministro della Salute. Fu lui a
combattere in prima persona la battaglia per far approvare il
divieto e oggi osserva «con amarezza» il ritorno delle sigarette.
Qual è il bilancio di questi venti anni di divieto?
«Sicuramente le persone non fumano più in treno, al ristorante e in
tutti i luoghi aperti al pubblico dove è in vigore il divieto.
Questo è quello che si voleva ottenere ed è stato ottenuto. Si
poteva fare molto di più, però».
Che cosa?
«Quella legge era il primo passo di un'agenda che si doveva
sviluppare nei tempi successivi. Era prevista un'attività di
prevenzione per evitare che i giovani iniziassero a fumare. È un
aspetto importantissimo perché quando si comincia in tenera età si
rimane schiavi per tutta la vita. Le multinazionali infatti cercano
di abbassare l'età in cui si inizia a fumare, quindi si doveva
andare avanti per ottenere l'effetto opposto. Oppure bisognava agire
sul prezzo delle sigarette aumentandolo in modo tale da
disincentivare il più possibile l'acquisto».
Il divieto andava ulteriormente esteso?
«Oggi si fuma nei gazebo e nei dehors. È un errore, sono spazi
aperti ma non del tutto, sono spazi dove si finisce per ritrovarsi
in tanti, i pericoli non sono molto diversi di quelli che si corrono
al chiuso. Il divieto avrebbe dovuto essere esteso anche ai parchi
pubblici dove si va per respirare aria pulita, non il fumo degli
altri. Oppure negli stadi o ai concerti dove si creano
assembramenti. Anche se non ci si trova al chiuso è lo stesso, si
finisce per respirare il fumo di chi ti è vicino. Per non parlare
poi dell'inquinamento da mozziconi. È una vergogna vedere luoghi
coperti di mozziconi buttati per terra che poi finiscono nelle falde
acquifere. Inoltre, avrebbe dovuto esserci la conversione delle
colture di tabacco che, invece di diminuire, sono aumentate. Ancora
adesso il ministero dell'Agricoltura fa accordi con le
multinazionali per favorire queste coltivazioni. Sono gesti che un
governo non deve compiere».
Che dovrebbe fare un governo, secondo lei?
«Il governo deve difendere la salute pubblica. Invece mi sembra che
si vogliano difendere gli interessi delle multinazionali della
filiera del tabacco, da chi produce a tutti quelli che vendono. Il
guadagno è elevato e la salute pubblica viene messa in cantina, non
interessa a nessuno. In Italia ci sono 2 milioni di malati cronici.
Fumare non provoca solo tumori, anche enfisemi polmonari e altre
conseguenze sulla salute delle persone. Chi fuma vive in media 10
anni meno di chi non fuma, ci sarà un motivo?»
In questi venti anni ci sono stati governi più attenti alla
battaglia contro il fumo?
«Dopo la legge che ha vietato il fumo nei luoghi pubblici non c'è
stato nulla. Al massimo qualche misura di facciata come un aumento
del prezzo di pochi centesimi, di nessun peso sui consumi».
Tra il 2020 e il 2022 c'è stato un aumento dei fumatori, 800 mila in
più in due anni.
«Sì, durante il Covid c'è stato un aumento. Siamo tornati al punto
di partenza. Il guadagno che avevamo ottenuto si è perduto. E i
primi a non credere più in questa battaglia sono i governi. Ricordo,
per esempio, quando Matteo Renzi, da presidente del Consiglio, andò
a inaugurare il nuovo stabilimento della Philip Morris in Emilia
Romagna».
Sono posti di lavoro, dice chi governa.
«Anche la coltivazione di oppio genera lavoro, ma non credo che
nessuno si auguri che si commerci l'eroina. Sono segnali che fanno
capire che al governo la salute pubblica non interessa».
Se lei fosse ministro che cosa farebbe?
«Riprenderei il lavoro dove ho lasciato. Bastano provvedimenti
semplici come facilitare la conversione delle colture o fare
prevenzione tra i giovani rendendo meno disponibile il tabacco e
regolamentare il tabacco riscaldato e le sigarette elettroniche che
alcuni pensano non facciano male, anche se non è vero. Questi venti
anni sono passati inutilmente. La situazione è peggiorata e la gente
non se ne rende conto».
LA CENSURA NON MUORE MAI ? «Papa Francesco non è solo». Sono
numerosi gli alti prelati - della Curia romana, del Collegio
cardinalizio e del panorama episcopale - che in questi giorni di
tensioni e veleni contro il Vescovo di Roma gli garantiscono «piena
e indissolubile fedeltà. A lui, al suo magistero e ai capisaldi del
pontificato». E alla missione che predica e indica, come spiega un
cardinale: «La Chiesa di Francesco è aperta a tutti, nessuno
escluso. Tutti sono invitati, ricchi e poveri, vicini e lontani,
qualunque sia la condizione di vita di ognuno. È la Chiesa della
misericordia che non alza ponti levatoio».
La grande sfida di Francesco è rappresentata dal Sinodo sulla
sinodalità in programma fino al 2024, pensato per rendere la Chiesa
più pronta all'ascolto della gente, anche fuori dal recinto
cattolico, a dare responsabilità ai laici e alle donne, a
rapportarsi con il mondo e la contemporaneità. L'Assise è fumo negli
occhi per la galassia tradizionalista.
Attorno a questo programma - e alla persona del Papa - si schierano
in un fronte comune prelati di tutto il pianeta.
Innanzitutto, l'asse di Francesco con il cardinale segretario di
Stato Pietro Parolin è saldo. Poi tra i fedelissimi è annoverato il
cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi.
Ci sono i due porporati mandati a portare la vicinanza del Papa alla
popolazione ucraina sotto le bombe russe: il fido Elemosiniere
Konrad Krajewski, e Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il
Servizio dello Sviluppo umano integrale. Un nome fortissimo è il
presidente della Conferenza episcopale italiana, l'arcivescovo di
Bologna Matteo Zuppi: è in totale sintonia con Bergoglio, allo
stesso tempo è molto apprezzato anche per le sue capacità di dialogo
con tutte le correnti ecclesiali. Altra figura preziosa alla causa è
il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente delle Conferenze
episcopali d'Europa. C'è monsignor Vincenzo Paglia, presidente della
Pontificia Accademia per la Vita. Poi Marcello Semeraro, Óscar
Rodríguez Maradiaga, Claudio Gugerotti, José Tolentino de Mendonca.
Monsignor Nunzio Galantino, presidente dell'Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica. Padre Antonio Spadaro, direttore
della Civiltà Cattolica. Padre Enzo Fortunato, uno dei volti più
noti del francescanesimo. Il laico Paolo Ruffini, prefetto della
Comunicazione. Un ruolo teologico cruciale lo ricopre l'arcivescovo
di Vienna cardinale Christoph Schönborn, allievo di Joseph Ratzinger.
Negli Usa Wilton Gregory, Washington; Joseph Tobin, Newark; Blase
Cupich, Chicago; Robert McElroy, San Diego.
E c'è la base. Per esempio,
una lettera aperta è stata diffusa per invitare monsignor Georg
Gaenswein a bloccare la pubblicazione del libro che ha già scatenato
polemiche. L'ha scritta un prete della diocesi di Bergamo, don
Alberto Varinelli, il cui appello è stato condiviso sui social da
diversi sacerdoti: «Quel testo è molto atteso dalle frange ostili al
papa, e se vi saranno attacchi a Francesco farà molto male all'unità
della Chiesa».
Nel frattempo, un presule che ha incontrato il Papa in queste ore
assicura di averlo visto «tranquillo, a parte il lutto per Benedetto
XVI. E pronto a tirare dritto senza farsi condizionare dalle
offensive strumentali». Il Pontefice riprende gli appuntamenti
istituzionali e normali della sua agenda, a cominciare da
stamattina, con il discorso al corpo diplomatico. Il 31 gennaio
partirà per il viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud
Sudan.
E nel frattempo ha attuato una mossa che ha sparigliato le carte,
con l'intento di stemperare gli animi: ha ricevuto a sorpresa il
vescovo emerito di Hong Kong, il cardinale conservatore Joseph Zen,
tra i più aspri critici di Francesco. Zen ha parlato di un colloquio
«cordiale e amichevole».
PUTIN LADRO DI BAMBINI UCRAINI : Saliamo al terzo piano di un
appartamento in una zona popolare di Kherson, un uomo privo della
sua carrozzina, che qualcuno gli sta portando su per le scale, sale
da seduto un gradino alla volta tirandosi su con le braccia. La
rampa è buia, le finestre non hanno vetri. Le case sono composte da
una stanza con angolo cucina e balcone, bagni in comune sul
pianerottolo. Ci apre la porta Viktor, 61 anni, sediamo ad un
tavolino che poggia su dei grandi contenitori d'acqua. È da solo in
casa al momento, la moglie è andata in città a recuperare un pacco
di aiuti umanitari. La figlia Anya di 12 anni dallo scorso settembre
aveva iniziato ad andare a scuola. Il 7 ottobre il direttore della
scuola organizzava una gita in Crimea, il padre era contrario al
viaggio ma la bambina e la madre insistevano. Ricorda che i russi
vollero a tutti i costi il certificato di nascita originale della
figlia – il referendum di annessione forzata della città era già
avvenuto e lui non ne capiva il motivo –, era necessario per passare
il confine. La bambina avrebbe dovuto fare ritorno a casa il 21
ottobre, gli fu detto che la gita era prolungata fino al 25, poi più
nulla. Viktor la chiama tutti i giorni, Anya piange perché vuole
tornare a casa. Lui non si dà pace, è preoccupato che la spostino in
altri luoghi della Russia ancora più lontani dall'Ucraina e di non
riuscire più a sentirla. Gli chiediamo se crede che la propaganda
russa possa influenzare la figlia, ci risponde ricordando che ogni
volta che la chiamava prima dell'11 novembre, giorno della
liberazione di Kherson dall'occupazione russa, lei chiedeva spesso
«sono arrivati i nostri?», riferendosi alle truppe ucraine. Quando
poi le hanno telefonato per dirle che Kherson era stata liberata ha
risposto «wow, ora posso tornare?».
Entra la moglie in casa con un pacco in mano di aiuti alimentari.
Tatiana ha 47 anni, ci racconta che si era fidata della maestra che
conosceva da tempo. Ci fanno vedere le fotografie della bambina, un
suo disegno, dormivano tutti in questa piccola stanza di venti metri
quadri. Il papà ci mostra orgoglioso una medaglia vinta dalla figlia
come prima classificata in una gara di danza, il cordino della
medaglia è di colore giallo e blu. Viktor insiste affinché beviamo
tutti insieme un bicchiere di «samagon», vodka fatta in casa
regalatagli dal cognato, brindiamo al ritorno di Anya.
Lasciamo casa e ci incamminiamo verso il parco Pridnieprovskjy, dove
di solito c'è una buona ricezione telefonica per riuscire a
telefonare alla bambina. Scendiamo delle scale nel parco e ci
avviciniamo al fiume, camminiamo, i genitori provano più volte a
chiamare senza successo, si sente forte il rumore dei bombardamenti.
La mamma, finalmente, riesce a raggiungerla telefonicamente. Anya è
in palestra a fare degli esercizi di danza, le dice che ha mangiato
e che sta bene. Vuole tornare a casa come tutti i bambini che sono
lì con lei. Tatiana le chiede di non piangere, poi le passa il papà.
Lui le parla affettuosamente, la rassicura che tutto andrà bene e la
saluta. Provano a chiamare la maestra per avere più informazioni,
risponde, le chiedono per l'ennesima volta quando i bambini
torneranno e come, ma ancora una volta non ricevono risposta. La
maestra dice che si trovano in un resort con 200 bambini ucraini,
tutti di Kherson, divisi in tre palazzine. Racconta che ci sono
genitori che arrivano quasi ogni giorno per riprendersi i propri
figli ma che rimangono poi bloccati in Crimea. Cade la linea e non
riescono più a richiamarla, per oggi. Li salutiamo. Alle quattro del
pomeriggio incontriamo la signora Luba che porta a spasso il cane di
un vicino scappato via da Kherson. La giornata volge al termine,
alla quattro e mezza del pomeriggio comincia a fare buio, alle sette
di sera c'è il coprifuoco. La signora ha 70 anni, ci racconta della
nipote che vive con lei, Katya, partita anche lei in gita scolastica
in Crimea e mai più tornata. Ci invita a casa, abita a duecento
metri del fiume Dnipro, dall'altro lato ci sono i militari russi, il
quartiere è semivuoto perché molti l'hanno abbandonato. La casa è
molto modesta, la signora, appena entrati, spruzza nell'aria dello
spray profumante, ci sono due stanze con dei tappeti sul pavimento,
si dorme dove si può, dice. La nonna cerca delle fotografie della
nipote aiutata da una luce flebile. Ci mostra le immagini della
bambina, è sconsolata, sapeva che non bisognava fidarsi dei russi,
lei era contraria al viaggio ma la bambina voleva fortissimamente
andare con le sue amiche di scuola e la madre, che non abita con
loro, ha acconsentito. Bastava la firma di un solo genitore, dice
scrollando la testa, ora crede che sarà molto difficile rivedere la
nipote. Decidiamo di andare prima che scatti il coprifuoco, la città
è al buio completo, il cielo è illuminato a tratti dai bagliori dei
colpi di fuoco, la signora ci accompagna fino all'uscita del
quartiere. Fa freddo a Kherson questa notte, la libertà
riconquistata, per alcuni, ha avuto un prezzo carissimo. —
ROBERTO SAVIANO HA MOLTI FIGLI CHE AGISCONO E NON PENSANO CHE GLI
AMBASCIATORI IRANIANI SERVONO PER IL DIALOGO SINCERO E CONTINUO :
«Mia cugina è stata uccisa dai pasdaran, era sul volo abbattuto tre
anni fa. Hanno cercato di uccidere anche i miei genitori, ma non li
hanno trovati. Alcuni parenti e amici sono stati rapiti e torturati.
Tutti noi abbiamo perso qualcuno, eppure siamo qui a combattere
insieme, spalla a spalla, per la libertà». Le testimonianze di chi
ieri è sceso in strada a Torino per protestare contro il regime
degli Ayatollah compongono una "Bella Ciao" in prosa. Sostengono chi
in Iran sta combattendo «a mani nude contro un regime sanguinario».
Alla politica italiana chiedono «meno ambiguità. Una posizione forte
a iniziare dall'espulsione degli ambasciatori iraniani. Questo -
spiega lo scrittore Hamid Ziarati - non significa interrompere i
rapporti, ma dare un segnale chiaro: il regime non ha più
credibilità. E sarebbe la dimostrazione che non contano solo gli
interessi economici, ma anche le persone». E ancora. Dalla piazza di
Torino chiedono di inserire i pasdaran nell'elenco delle
organizzazioni terroristiche, di agire per fermare la pena di morte
in Iran per chi ha partecipato alle manifestazioni.
In migliaia hanno sfilato in via Po per raggiungere piazza Castello
al grido di «Donna, vita, libertà», «Unica soluzione: rivoluzione»,
«Iran pacifista, mullah terrorista». E in corteo hanno portato le
foto delle vittime del regime e del Ps742 Ukraine International
Airlaines abbattuto l'8 gennaio 2020 da due missili lanciati dal
Corpo delle guardie della rivoluzione islamica. «Mia cugina era su
quell'aereo - dice un 38enne - Avrebbe dovuto raggiungere il Canada,
trasferirsi lì con suo marito. Lui si è salvato perché ha perso il
volo, lei è stata ammazzata».
In strada torinesi e iraniani che arrivano da tutto il Nord Italia:
«Dicono che i morti sono 500, ma sono molti di più. Solo qualche
giorno fa due ragazze sono state ammazzate in aeroporto. Avrebbero
dovuto imbarcarsi e raggiungere l'Italia per studiare». Difficile,
per chi è a Torino, comunicare con i famigliari in Iran. Come
Camelia, 38 anni, che ha dovuto scaricare un'applicazione a
pagamento: «Internet non funziona ed è tutto filtrato dal regime». O
Paolo, in Italia da una quindicina d'anni, che è riuscito a
incontrare sua sorella dopo innumerevoli peripezie. «Da un anno
cerchiamo di prendere il visto turistico. Lei è riuscita ad
ottenerne uno di lavoro per tre mesi, ma anche andare in aeroporto
non è sicuro. Lì le persone vengono stuprate e uccise». Chi è in
corteo non ha dubbi sul futuro: questa rivoluzione vincerà.
«Indietro non si può tornare». Le donne in questa rivoluzione sono
pioniere. «In Iran - raccontano - valiamo la metà di un uomo. Per
onore puoi uccidere tua moglie o tua figlia e nessuno ti dirà mai
nulla». Il popolo iraniano le sta seguendo. E ieri si sono unite le
piazze di diverse città italiane.
Il dottor Rand Paul pubblica il rapporto Festivus 2022 sui rifiuti
del governo
Di recente, ha pubblicato il suo rapporto "Festivus" del 2022, per
un totale di $ 482.276.543.907 in rifiuti governativi.
Questo segna la sua ottava edizione del Rapporto Festivus mentre
continuo a lavorare per allertare il popolo americano su come il
loro governo federale usa i loro soldi guadagnati duramente.
Alcuni dei punti salienti includono
il National Institutes of
Health che spende $ 2,3 milioni iniettando cuccioli di beagle con
cocaina e spendendo separatamente $ 187.500 per verificare
che i bambini adorino i loro animali domestici.
Il Dipartimento della salute
e dei servizi umani ha speso 689.222 dollari per studiare il
romanticismo tra pappagalli, il NIH ha finanziato un progetto di
ricerca annuale da 3 milioni di dollari per guardare i criceti che
combattono con gli steroidi e l'US Census Bureau ha speso 2,5
milioni di dollari per gli annunci del Super Bowl.
Questa è solo un'anteprima di ciò che il governo USA ha
sprecato.
09.01.23
ERA ORA : Niente più ex
eurodeputati come Antonio Panzeri che entrano ed escono liberamente
dal palazzo del Parlamento europeo come se fosse casa loro. Stop
agli incontri "fantasma" con i lobbysti che sfuggono al registro
della trasparenza. Basta missioni individuali nei Paesi extra-Ue
all'insaputa del Parlamento. Roberta Metsola sta mettendo a punto il
piano per stringere le maglie dei controlli e colmare i vuoti
regolamentari che hanno permesso ai protagonisti del Qatargate di
agire indisturbati tra i corridoi dell'Eurocamera. La presidente del
Parlamento Ue vuole che sia pronto entro domani, al massimo martedì,
in modo da presentare il piano giovedì alla conferenza dei
presidenti, l'organismo che riunisce tutti i capigruppo. Per questo
lo staff della presidente e quello del nuovo segretario generale
dell'istituzione – l'italiano Alessandro Chiocchetti – stanno
lavorando durante il week-end negli uffici ai piani più alti del "Caprice
des dieux", il palazzo del Parlamento di Bruxelles intitolato a
Paul-Henri Spaak, così chiamato per via della forma ovale che
ricorda la confezione del celebre formaggio francese.
Il progetto si articola su tre diverse fasi: una serie di misure
"d'urgenza" da adottare e da mettere in campo nell'immediato, un
programma di riforme a medio-termine (tra cui una migliore
protezione per gli informatori) e infine una parte legata alle
iniziative da prendere a livello interistituzionale, insieme con la
Commissione e il Consiglio, come la creazione di un comitato etico
dell'Unione. Tra gli interventi da adottare al più presto c'è un
provvedimento dall'elevato valore simbolico, una specie di norma
anti-Panzeri, che punta a limitare gli spazi di manovra degli ex
membri dell'Eurocamera. Che oggi hanno libero accesso ai locali del
Parlamento. Metsola non intende certo metterli alla porta (tutti i
cittadini, su prenotazione, possono visitare gli edifici di
Bruxelles e Strasburgo), ma vuole fissare alcuni paletti: per
esempio obbligandoli a chiedere una sorta di accredito in modo da
tracciare ogni singolo incontro con i parlamentari in carica.
Inoltre è in arrivo un'ulteriore stretta per i lobbysti e per i
rappresentanti dei Paesi terzi che non potranno più evitare
l'iscrizione nel registro della trasparenza.
Diventerà molto più tracciabile anche l'attività dei singoli
eurodeputati. Secondo le regole attualmente in vigore, soltanto i
relatori, i relatori ombra e i presidenti di commissione sono
obbligati a registrare e a pubblicare online i loro incontri con i
lobbysti. Le nuove misure estenderanno questo obbligo certamente ai
vicepresidenti delle commissioni, ai presidenti delle delegazioni
parlamentari e ai coordinatori, ma si sta valutando l'ipotesi di
imporre la registrazione dei meeting di lavoro a ogni singolo
eurodeputato e probabilmente anche a tutti i loro assistenti.
Un'evoluzione che certamente appesantirebbe le procedure
burocratiche, ma che innalzerebbe il livello della trasparenza. Si
cercherà anche di limitare l'uso dell'iter accelerato per le
risoluzioni urgenti sui diritti umani, portate spesso in plenaria
senza un adeguato esame nelle commissioni competenti.
Per i membri dell'Eurocamera sono inoltre in arrivo nuovi obblighi
legati alle loro "missioni" individuali nei Paesi terzi. Dovranno
informare il Parlamento dei loro spostamenti e comunicare
l'eventuale copertura delle spese di viaggio da parte di altri
soggetti, oltre ai regali ricevuti. Metsola intende poi rivedere il
funzionamento dei cosiddetti "gruppi di amicizia", che per il loro
carattere informale sfuggono ai controlli: quello dedicato al Qatar
è già stato sospeso. A dicembre, suscitando l'ira di Doha, l'Aula ha
chiesto di sospendere il badge d'accesso al Parlamento a tutti i
rappresentanti degli interessi qatarioti: la misura è attualmente
oggetto di discussione e non è ancora chiaro se verrà adottata in
concomitanza con le nuove norme.
LO DIMOSTRI : Silvia Panzeri resta agli arresti domiciliari.
La Corte d'Appello di Brescia ha respinto la richiesta di
scarcerazione presentata dai legali della figlia di Antonio Panzeri
(l'ex eurodeputato arrestato nell'ambito del Qatargate e da un mese
in carcere a Bruxelles) che chiedevano di rimetterla in libertà o di
concederle l'obbligo di firma, in modo tale da consentirle di
riprendere il suo lavoro di avvocato.
Secondo gli investigatori di Bruxelles guidati dal giudice Michel
Claise, Silvia Panzeri, insieme al padre, alla madre Maria Dolores
Colleoni e agli altri indagati del Qatargate, avrebbe fatto parte di
un'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al
riciclaggio e a influenzare le politiche dell'Unione europea a
favore del Qatar e del Marocco.
Domani inoltre il tribunale del Riesame di Bergamo dovrebbe decidere
se confermare il sequestro del conto corrente della donna effettuato
in esecuzione dell'ordine di investigazione europeo. Si parla di 200
mila euro che però, secondo Angelo De Riso e Nicola Colli, difensori
della Panzeri, sarebbero «frutto della sua attività professionale».
Silvia Panzeri è infatti iscritta da sette anni all'albo degli
avvocati di Milano ed è specializzata in cause civili. Altri 47 mila
euro sono stati invece sequestrati sul conto cointestato dei
genitori.
Ma i risvolti giudiziari italiani del Qatargate non finiscono qui. A
giorni, per la precisione il 16 gennaio prossimo, i giudici della
Corte d'Appello di Brescia dovranno pronunciarsi sulla richiesta di
estradizione di Silvia Panzeri avanzata da Bruxelles durante le
prime fasi dell'inchiesta. Il 20 dicembre i difensori hanno
presentato un dossier che sottolineava le condizioni di
sovraffollamento delle carceri belghe, chiedendo di approfondire
attentamente questo aspetto prima di valutare il trasferimento della
figlia dell'ex europarlamentare in una prigione della capitale
belga. Si attende un chiarimento definitivo dopo che le autorità
belghe, sollecitate dal ministero della Giustizia italiano,
settimana scorsa hanno comunicato alla Corte d'Appello di non avere
ancora pronta una risposta.
Mentre è ancora in sospeso l'analoga richiesta di estradizione
avanzata nei confronti di Maria Dolores Colleoni, madre di Silvia
Panzeri. In questo caso, infatti, nonostante il via libera della
Corte d'Appello, si aspetta la decisione della Cassazione, a cui la
difesa ha fatto ricorso. La pronuncia è attesa per il 31 gennaio.
PUTIN E' UN UOMO SOLO : Tra i tanti misteri del Cremlino
dell'epoca del declino del regime putiniano, resterà quello del
messaggio che ha voluto trasmettere con il video del Natale
ortodosso. Il filmato di pochi secondi mostra Vladimir Putin nella
cattedrale dell'Annunciazione, davanti all'altare, accanto ai
sacerdoti che stanno officiando la liturgia, da solo. Completamente
da solo. Senza familiari, senza amici, senza collaboratori,
sottoposti o cortigiani, senza questuanti, senza nemmeno guardie del
corpo. E certamente senza altri fedeli. Se erano presenti, gli spin
doctor del presidente russo hanno scelto di non mostrarli. Non può
essere casuale, anche perché tutto il filmato – dalla posizione del
presidente alle inquadrature dei volti dei santi sulle icone – è
stato chiaramente sceneggiato appositamente, non è la ripresa di un
evento, è un evento costruito per venire ripreso: la luce bianca che
filtra dalla finestra mostra che è stato girato di giorno, quindi
Putin non è andato alla messa di Natale, ha solo posato davanti alle
telecamere.
L'intento era quello di mostrare ai russi un uomo solo al comando,
uno zar che non è un primus inter pares, è talmente unico e
onnipotente da non poter venire affiancato da nessuno, nemmeno dal
suo popolo, e parla con dio da solo, soltanto un passo indietro ai
sacerdoti. Probabilmente l'autore dell'idea voleva trasmettere
l'immagine di un sovrano che sente il peso delle decisioni che solo
lui può prendere, nella guerra che ha lanciato, secondo il suo
patriarca Kirill, nientemeno che «per la salvezza dell'umanità». Ma
l'uomo precocemente invecchiato in piedi di fronte all'altare ha
un'espressione stanca e assente, la bocca piegata all'ingiù, gli
occhi che vagano nervosi sugli affreschi, una faccia più adatta a un
funerale che alla celebrazione della gioia della Natività. La
solitudine del presidente russo più che di onnipotenza sa di
abbandono, paura, debolezza. È uno zar che ha dei servitori (non
troppo zelanti, a giudicare dalla svista della finestra), ma non
alleati o seguaci. Viene il dubbio che qualcuno al Cremlino abbia
voluto farlo sapere, mandando un messaggio in codice.
NON GLI SERVIRANNO , CROLLA PRIMA : La stima dei 500 mila
nuovi soldati russi mobilitati è fornita dall'intelligence militare
ucraina. Se fosse confermata, sarebbe una chiamata alle armi ben
oltre quella di settembre scorso, quando Putin aveva annunciato di
voler mandare al fronte altri 300 mila uomini. Conferme da parte del
Cremlino non ce ne sono, ma Kiev suona l'allarme. E si prepara ad
un'offensiva di primavera da parte del nemico, nel Sud e nell'Est
del Paese. «Mosca sta per chiamare a raccolta mezzo milione di
uomini», probabilmente a fine febbraio, dice Vadym Skibitsky,
vicecapo dell'intelligence militare ucraina. Saranno in aggiunta a
quelli già mobilitati. Se le cifre fossero corrette, il Cremlino
avrebbe quasi raddoppiato la sua forza prebellica nel giro di pochi
mesi. Secondo Kiev, attualmente sono schierati 280 mila soldati
russi delle truppe di terra.
La Russia nega una seconda ondata di reclutamento. La precedente
aveva scatenato il panico nel Paese, soprattutto tra le giovani
generazioni, e aveva generato una fuga di massa verso Paesi "amici",
dal Kazakhstan alla Serbia. Ma non sarebbe la prima volta che Mosca
mentisce, e poi agisce. Lo abbiamo visto con l'invasione, il 24
febbraio scorso. E poi con la «mobilitazione parziale» di settembre.
Se ci sarà davvero una chiamata dei coscritti, comunque, questa
andrà interpretata come il segnale che Putin non ha nessuna
intenzione di non porre fine alla guerra nell'immediato.
Nel frattempo, l'autoproclamata tregua di Natale è stata violata. I
combattimenti ieri sono continuati sulla linea di contatto nella
regione orientale di Donetsk. Il vicecapo dell'intelligence militare
di Kiev Skibitsky sostiene che la Russia impiegherà circa due mesi
per radunare le nuove formazioni. Il collega della Sicurezza
nazionale, Oleksii Danilov, parla di un milione di soldati ucraini
in addestramento, anche se molti meno sarebbero quelli realmente
dispiegati. Mentre si attendono i nuovi armamenti occidentali
(americani, tedeschi e francesi, principalmente veicoli corazzati da
combattimento Bradley e Marder, e da ricognizione AMX-10 RC, oltre a
un potenziamento del sistema anti-missile Patriot). Alcuni analisti,
esperti di Bielorussia, temono movimenti da Nord. Il presidente
Lukashenko, stretto alleato di Putin, non lo fa intendere, e afferma
in modo sibillino di voler «aiutare i fratelli russi», senza
«dimenticare gli ucraini». Attualmente, Mosca ha 15 mila soldati di
stanza in Bielorussia. Nel febbraio dell'anno scorso, con 45 mila
non riuscì a conquistare il Nord dell'Ucraina, che ora ha rafforzato
le sue posizioni difensive in quell'area.
ECCO PERCHE' IL PAPA STA A S.MARTA : «Il piano segreto dev'essere
articolato su più assi e fasi, ma coltiva un unico obiettivo:
stressare il pontificato per arrivare alla rinuncia di Francesco,
contando su un progressivo indebolimento del santo padre e su scelte
dottrinali che creano sacche di malcontento da enfatizzare e
raccogliere». Chi parla è un navigato cardinale italiano, fine
conoscitore della curia romana dai tempi di Wojtyla: «Gli oppositori
di Francesco sono consapevoli che oggi rappresentano una minoranza,
quantomeno ai posti di comando. Hanno bisogno di tempo sia per
conquistare consensi sia per indebolire Bergoglio. Per questo si
muovono su più livelli: chi nell'ombra trama per ostacolare le mosse
del papa, incrinando ad esempio le potenziali candidature forti al
vertice della Congregazione per la Dottrina della Fede o della
Conferenza episcopale italiana, chi pubblicamente crea tensione e
scompiglio sugli indirizzi teologici come monsignor Georg Ganswein,
il segretario di Ratzinger che, consapevolmente o inconsapevolmente,
in libri e interviste ha valorizzato distanze e fratture tra i due
papi, andando frontalmente contro il gesuita argentino». Insomma,
quelli de "l'altra Chiesa", come qualcuno sussurra nei sacri
palazzi, sanno bene che siamo distanti anni luce dal 2011-2012
quando Benedetto XVI decise di rinunciare e che quella situazione,
quell'humus non è replicabile. All'epoca la curia romana era
italiano-centrica con una solida alleanza tra segreteria di Stato ed
episcopato americano, alla guida le famose tre B (Bertone, Becciu e
Balestrero), in sostanziale equilibrio con la vecchia guardia di
area diplomatica (Sodano) e astri nascenti (Piacenza). Benedetto XVI
era consapevole che il Papa entrante avrebbe azzerato quel blocco di
potere, coagulatosi fin dai tempi di Paolo VI, come poi avvenuto, in
una lotta quotidiana finora poco raccontata. E, infatti, oggi
troviamo uomini voluti da Bergoglio con una frammentazione del
potere, a iniziare dal ruolo più contenuto affidato al cardinale
Pietro Parolin, rispetto ai predecessori segretari di Stato. È
innegabile che quest'ultimo abbia un ascendente più ridotto sul papa
regnante, rispetto a quello esercitato da Bertone – almeno fino a
metà 2012 – su Ratzinger.
Questa situazione rafforza Bergoglio che ha ormai quasi concluso i
cambiamenti e impone cautela tra le file dei suo critici. In questa
direzione vanno interpretate le parole dell'arcivescovo Timothy
Broglio, il conservatore presidente della Conferenza episcopale
degli Stati Uniti e che sicuramente fa parte di chi è scettico nei
confronti di questo pontificato. In una intervista a Repubblica,
prima ha criticato le fuoriuscite di Ganswein («Se abbiamo critiche
da fare al Santo Padre non bisogna farle tramite i mass media ma
direttamente a lui personalmente. E considero monsignor Ganswein
come un amico»), poi ha ripreso un altro obiettivo caro ai critici
di Francesco, normalizzare la rinuncia in modo da renderla un passo
quasi normale, soprattutto per questioni di salute: «Forse la
possibilità di un ritiro di Francesco sarebbe più fattibile adesso
che non c'è più il Papa emerito… Ho visto anche la difficoltà, il
fatto che non celebra: sono tutti elementi di un lavoro pastorale
normale che mancano». Del resto, Francesco lo scorso mese ha spento
86 candeline e in una intervista all'Abc ha ricordato di aver già
firmato una rinuncia in caso di impedimento di salute forse
ricordando come terminò il pontificato di Wojtyla.
Il riflettore è quindi acceso sulla potente comunità degli Stati
Uniti e le parole scelte da Broglio tranquillizzano, ma solo fino a
un certo punto. La visione di Bergoglio di una Chiesa universale che
torna alle origini con un Vaticano ridotto nelle marce di potere e
un'interpretazione minimalista, pauperista, ed ecologista delle
scritture agita quella comunità e anima le discordanze. Rimbalzano
le preoccupazioni su questioni profonde come l'abolizione del
celibato obbligatorio per i sacerdoti, i diritti delle coppie gay,
la comunione per i divorziati, che vanno riammessi, e ancora e
ancora. I critici conservatori aumentano e fanno rete. Certo, è da
qualche mese che non tuona come suo solito monsignor Carlo Maria
Viganò contro la fede globalizzata e un papa eretico, nemico della
Chiesa, ma è più chi trama dietro le quinte per arrivare poi a
porporati di rango come i tedeschi Walter Brandmüller e Gerhard
Ludwig Muller, che firmarono i "dubia" su Amoris Laetitia con i
cardinali Raymond Burke e Carlo Caffarra fino al guineano Robert
Sarah e al novantenne Zen Ze-kiun, che ha appena incontrato
Bergoglio ma che da una vita coltiva posizioni distanti dalla linea
di dialogo con le autorità di Pechino per la chiesa clandestina e
ufficiale in Cina. Immigrazione, Islam e sessualità sono altri temi
che dividono e creano frontiere tanto che in questo scacchiere
organizzazioni come Opus Dei, Cavalieri di Colombo e cavalieri di
Malta, seppur per motivi assai diversi tra loro, patiscono un
raffreddamento nei rapporti, rispetto ai predecessori.
E così nei sacri palazzi l'attenzione ora è massima, anche la
recente firma del Papa sulla riforma del vicariato di Roma, segnata
a San Giovanni in Laterano e non in Vaticano ha suscitato
congetture. C'è anche chi ha letto la scelta come un segnale chiaro
di valorizzazione della sua figura di vescovo della capitale
rispetto a quella di monarca assoluto del piccolo stato e pontefice.
Del resto, la fatidica data del prossimo 11 febbraio, giornata della
prima apparizione della madonna di Lourdes e della firma dei Patti
Lateranensi, si avvicina. Verrà ricordata soprattutto per il primo
decennale dell'annuncio di Ratzinger che sconvolse il mondo: «Dopo
aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono
pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non
sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».
Parole che in diversi, in penombra e a mezza voce, sognano di
riascoltare con quell'inconfondibile accento spagnolo.
08.01.23
Caro prof.Broggi. Capisco che l'Universita'
deve fare sperimentazione per aprire ed allenare le menti ma non
puo' ignorare le norme giuridiche ne' pensare di eliminarle perché
fastidiose : la responsabilità penale personale con la guida
autonoma come viene rispettata ? Il metodo inglese la dà al
costruttore il che significa che se la mortalità e' del 1% su
1.000.000 di vetture in circolazione sono 10.000 le potenziali
accuse di responsabilità penale personale per morte per i presidenti
dei costruttori ?
Se ne rende conto ? Soprattutto nella sua veste di docente ? O
mantiene la linea Speranza di nessuna risposta sempre qualsiasi cosa
accada visto che e' la 2^ volta che le scrivo senza ricevere da LEI
nessuna risposta ?Sono anni che cerco di aprire un dibattito su
questo tema. Risultato 0 , Perche' ? In USA e' vietata la guida
autonoma senza conducente che quindi diventa guida assistita, come
dimostrano i processi per le morti causate da Tesla. In Italia
continuate a vivere nella leggiadria della ex ministra Pisano che vi
ha fatto pensare, grazie alla irresponsabilità di Toninelli , che i
pedoni di Torino siano i vs birilli. Ma non e' cosi ! Possiamo
parlarne all'Università di Parma visto che a Torino, anche se
cambiano le giunte, continua ad essere impossibile a causa della
voglia di abbuffata dei finanziamenti europei per il bus illegale a
guida autonoma ?
Marco BAVA
QUANDO MORATTI &C vanno a fare i camerieri per i poveri
lo fanno con alterigia perché si sentono superiori
insostituibili unici e votabili , basta non chiedere spiegazioni,
non pensare con la propria testa, ed accettare totalmente tutto da
loro. Quindi non rispondono ai giornalisti che gli chiedono
spiegazioni a cui non vogliono rispondere perché non fanno le
domande che vogliono loro.
07.01.23
RINGRAZIATE SPERANZA : Il
sistema sanitario più universalistico del mondo, quello che offre
gratis a tutti tutta l'assistenza di cui si ha bisogno, si infrange
contro il muro delle liste d'attesa. Perché quando si arriva a dover
attendere un anno o più per un esame diagnostico e mesi per una
visita specialistica le alternative sono due: ricorrere al privato
pagando di tasca propria o rinunciare del tutto alle cure. La prima
strada l'ha percorsa il 54% degli italiani spendendo qualcosa come
37 miliardi di euro nel 2021, alla rinuncia sono invece stati
costretti in 5, 6 milioni. Erano poco più della metà solo due anni
prima.
Le cause di questo imbuto sono molteplici e in parte analizzate
nelle precedenti puntate di questa inchiesta: carenza di personale
medico negli ospedali e negli ambulatori delle Asl, 18mila
macchinari diagnostici come tac e risonanze oramai obsoleti e per
questo non di rado fuori uso, scarso filtro dei medici di famiglia
nel territorio e, non da ultimo, il Covid, che ha tenuto per almeno
due anni molti pazienti lontani dagli ospedali e dalle altre
strutture sanitarie, facendo saltare oltre 100 milioni di
prestazioni sanitarie.
E così si è arrivati a quasi due anni di attesa per una mammografia,
circa uno per un'ecografia, una tac o un intervento ortopedico.
Mentre gli screening oncologici accusano ritardi in oltre la metà
delle regioni e sono in calo le coperture per i vaccini, non solo
quello anti Covid.
L'ultimo "Rapporto civico sulla salute" di Cittadinanzattiva rileva
attese fino a 720 giorni per una mammografia, circa un anno per
Ecografie e Tac, sei mesi per una risonanza, 100 giorni per una
colonscopia. Ma si attende un anno anche per una visita dal
diabetologo, 300 giorni per farsi visitare da un dermatologo, un
reumatologo o un endocrinologo. Persino per l'oncologo, che si
presuppone sottenda qualche urgenza, si aspettano anche più di due
mesi. Un anno si può aspettare per un intervento chirurgico al cuore
o per riparare una frattura, 180 giorni per operare un tumore. Nel
2021, l'11% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a visite
ed esami per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso
al servizio.
Come al solito le cosa cambiano poi da regione a regione, con alcune
situazioni particolarmente critiche. Ad esempio in Sardegna dove la
percentuale sale al 18, 3%, con un aumento di 6, 6 punti percentuali
rispetto al 2019; in Abruzzo la quota si stima pari al 13, 8%; in
Molise e nel Lazio la quota è pari al 13, 2% con un aumento di circa
5 punti percentuali rispetto a due anni prima.
Per il 57% delle regioni si segnala la sospensione o l'interruzione
del normale svolgimento degli screening per tumore alla mammella,
alla cervice, al colon retto. I danni dell'interruttore della
prevenzione posizionato su "off" li vedremo con il tempo. Intanto,
informa la Favo, la federazione delle associazioni dei malati
oncologici, ogni persona colpita da tumore arriva a spendere di
tasca propria 1. 841 euro l'anno, parte dei quali proprio per gli
esami diagnostici.
In realtà per gli assistiti un modo per liberarsi dalla trappola
delle liste d'attesa c'è e sarebbe quello di vedersi applicato il
diritto sancito da un decreto legislativo del 1998 che consente di
rivolgersi al privato pagando il solo ticket quando il servizio
pubblico non rispetta i tempi massimi di attesa: 72 ore se urgente
(codice U sulla prescrizione), 10 giorni se da erogare a breve (B),
entro 30 giorni le visite e 60 gli esami diagnostici se c'è la
lettera P di programmabile. Ma quel diritto è di fatto non garantito
per una serie di motivi.
Prima di tutto Asl e ospedali non forniscono quasi mai i moduli per
fare richiesta di ricorso al privato. Poi per aggirare l'ostacolo in
molti siti regionali vengono indicati tempi di attesa non veritieri
ma in linea con quelli massimi consentiti. Non da ultimo quando i
tempi si allungano le stesse aziende sanitarie pubbliche, ma anche
quelle private convenzionate, chiudono illegalmente le agende di
prenotazione per evitare di dover erogare prestazioni che poi non
verranno rimborsate dalla Regione perché fuori budget. Cosa che
solitamente inizia a verificarsi già dopo la prima metà dell'anno.
Per uscire da questa situazione il ministro della Salute, Orazio
Schillaci ha indicato due strade, entrambe bocciate dalle
associazioni dei medici pubblici: alzare l'offerta del privato, dare
un aumento ai medici che si mettono a disposizione per più ore di
lavoro. «Stiamo valutando i risultati delle misure messe in campo
fino ad oggi. In base a tali risultati – dichiara il ministro a La
Stampa– cercheremo di investire le risorse in iniziative che ci
consentano di recuperare le prestazioni inevase, anche con il
contributo del privato accreditato. Ma con rigidi controlli sulla
qualità e l'appropriatezza delle cure. Dobbiamo però garantire anche
una remunerazione più adeguata ai medici che svolgono l'attività
aggiuntiva dentro gli ospedali. È assurdo pagare quattro volte tanto
professionisti esterni presi in affitto, quando ci sono quelli
interni che già lavorano in team e garantiscono un alto livello di
specializzazione».
Intanto un ordine del giorno di FdI approvato dal Parlamento impegna
il Governo a valutare l'opportunità di abrogare il tetto di spesa
per i privati convenzionati. E siccome le risorse quelle sono,
significherebbe dare più soldi a loro a discapito del pubblico. Far
lavorare di più i camici bianchi pagandoli extra fa invece proprio
arrabbiare i medici ospedalieri. «Non siamo addetti alla catena di
montaggio ma eroghiamo cure. Vogliamo essere retribuiti per il
nostro lavoro ordinario e invece si avvantaggiano i liberi
professionisti che con la flat tax vedono ridursi la tasse dal 41 al
15%. Un regalo alle cooperative che affittano medici a costi
quadruplicati», tuona Pierino De Silverio, segretario nazionale
dell'Anaao, il sindacato di categoria. La soluzione per gli
ospedalieri c'è ed è una sola: «Assumere personale rendendo
dignitoso e sicuro per tutti il lavoro in ospedale». Dove trovare le
risorse per farlo resta però un rebus.
HA RAGIONE LUI : Incontrai per l'ultima volta prima che
morisse Paolo Gabriele, l'aiutante di camera di Benedetto XVI,
soprannominato da Wojtyla Paoletto, su una terrazza romana quando
già era ammalato. In quell'occasione mi svelò la guerra nei sacri
palazzi tra chi voleva reintegrarlo dopo lo scandalo Vatileaks e chi
lo voleva in esilio. Un illuminante scontro ai massimi livelli che
testimonia come questa storia vada ancora scritta, aldilà di qualche
visione revisionista che tende a dipingerlo non come colui che rese
noto il malaffare, ma come un semplice ladro di documenti.
È pentito di aver fotocopiato per mesi nell'inverno del 2011 le
carte segrete sugli scandali vaticani dalla scrivania di Ratzinger e
avermele date per un mio saggio?
«Non sono pentito di aver perso tutto quello che ho perso: non ho
perso niente di bello, è una situazione che mi ha fatto ammalare
quindi come posso rimpiangerla? Quando vedo papa Francesco e i due
suoi aiutanti, di certo penso che potrei essere a loro posto
gratificato di poter vivere vicino a Francesco e poterci parlare,
come con Ratzinger, ma se non ci fosse stato tutto questo casino non
ci sarebbe stata in conclave quella spinta tale da compiere un passo
così importante e portare Bergoglio ad essere eletto pontefice.
Benedetto XVI mi concesse la grazia soprattutto per ridare
tranquillità e sicurezza alla mia famiglia ma non tutti erano
d'accordo e infatti fui mandato a lavorare a mille euro al mese in
una cooperativa fuori le mura dove non svolgevo alcuna attività. Ma
sapevo come sarebbe andata a finire, altro che tranquillità
ritrovata: per sei mesi andavo lì e non mi facevano fare niente.
Volevano farmi scoppiare la testa per vendicarsi…».
Chi voleva che le saltassero i nervi, chi che venisse reintegrato in
vaticano e lei cosa ha fatto?
«Il cardinale Paolo Sardi diceva di pazientare ma io non ce la
facevo più e così scrissi una lettera nell'inverno del 2013 al
cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che avevo conosciuto
da monsignore, per chiedergli un incontro. Rimanemmo insieme quasi
tre ore, al termine disse "Adesso vedo se riesco a trovare
un'alternativa a questo impiego. Ne parlerò al sostituto Becciu
(Angelo Becciu, il cardinale finito poi a processo pper la
compravendita del palazzo a Londra, ndr)". Io gli risposi: "Se ne
parla con Becciu non servirà a niente perché era stato proprio lui a
decidere questa soluzione". Volevo mollare, cercare lavoro da solo
ma Sardi si arrabbiò tantissimo: "Se te ne vai non ti potrò più
aiutare, prosegui e lascia aperto uno spiraglio per il futuro. Le
cose potranno cambiare qualora se ne andranno certi personaggi che
stanno ancora là…"».
E Parolin?
«Parolin mi richiamò dopo un paio di mesi e mi dissee "Paolo,
purtroppo non si può fare nulla… Ho sondato il terreno ma non è
possibile un tuo ritorno…". E scopro un retroscena: Parolin e
l'assessore per gli affari generali della segreteria di Stato, il
diplomatico Peter Bryan Wells (dal 2016, nunzio apostolico in Sud
Africa, ndr) erano d'accordo per un mio reintegro ma Becciu si
continuava ad opporre. A questo punto informo Ingrid (suor Ingrid
Stampa, tedesca, già governante di Ratzinger e una delle persone a
lui più vicine, ndr) che in maniera molto scaltra ne parla con
Benedetto XVI al telefono: "Ho saputo che il cardinale James Michael
Harvey (statunitense, dal 2012 arciprete della Basilica di San Paolo
fuori le Mura, ndr) vuole aiutare Paolo e in effetti c'è la
possibilità di lavorare lì da lui ma ci sono molte resistenze; il
sostituto si oppone perché pensano che riprendere Paolo sia uno
sgarbo nei suoi confronti, Santità"».
E Benedetto cosa rispose?
«Che io come tutti ho diritto a una seconda opportunità. Chiese di
dire al cardinale Harvey di avere coraggio. Ingrid si autorizzò a
riferire questo desiderio e, sempre da quanto mi disse, lo condivise
con Parolin: "Benedetto XVI è d'accordissimo". Il segretario di
Stato ringraziò e informò Francesco».
E poi?
«Finito a casa il rosario con i ragazzini, suona il campanello… era
Ingrid che era venuta ad abitare a fianco a noi… era contentissima:
"Pensa che stasera in vaticano ho incontrato Harvey, mi ha chiamato
da parte per confidarmi che Becciu gli ha comunicato: ho l'incarico
da parte di papa Francesco di dirle che può procedere a richiamare
Paolo a lavorare"».
L'avevano accontentata…
«No, anzi. Harvey chiese se potevo essere reinserito in organico e
Becciu gli avrebbe risposto: "Eh no questo il papa non l'ha detto".
Come dire: se Harvey vuole aiutare Paolo lo faccia ma senza
stipendio vaticano. E come si fa? Così tutto si blocca. Arriva il
licenziamento dalla cooperativa nel marzo del 2015 ma per farmi
tornare a casa intervengono anche altri…».
E chi?
«Il cardinale elemosiniere del papa, Konrad Krajewski veniva a
trovarci a casa e mi suggerì di andare da Parolin per raccontare
tutto quello che stava accadendo: "Nel caso intervengo con il santo
padre". Mi confrontai con Parolin, che, saputo del licenziamento mi
chiese: "Ma adesso la tua famiglia come farà?". E io: "Come abbiamo
sempre fatto, sperando nella divina provvidenza… Ma poi, secondo lei
eminenza posso sperarci ancora? E lui: "Sono in imbarazzo perché
Harley ti vuole molto bene ma riconducendoti alla santa sede,
l'opinione pubblica non gradirebbe… Non bisogna stracciarsi le vesti
ma è stato fatto male a molti e molto". Io rimango impietrito e gli
dico: "Ma ho pagato e sto pagando… cosa altro devo fare, non esiste
il perdono, la riconciliazione vera?". E lui: "Eh ma sai non è
facile, adesso vediamo cosa possiamo fare". Poi a giugno 2015 Sardi
scrive al papa, arrivano altre preghiere e la situazione si sblocca.
Incontro Harvey: "Parolin mi ha detto che i due papi sono d'accordo,
don Giorgio non si è opposto, Becciu ha preso atto". E così lavoro
lì dal primo luglio 2015. Curo l'archivio».
Quando Ganswein l'accusò di aver fotocopiato i documenti di
Ratzinger lei come reagì?
«Il mio confessore era stato molto chiaro: "Se non è il papa a
chiedertelo, nega sempre"».
Poi ci fu l'arresto…
«I gendarmi a casa trovarono un archivio delle mie ricerche sui
servizi segreti, massoneria, avevo l'intera collezione di Gnosis, la
rivista ufficiale della nostra intelligence…».
Non è un po' strano che il maggiordomo del Papa nutra questi
interessi?
«Cercavo di capire l'origine di certi mali che incontravo nella vita
quotidiana in curia».
Qualcuno ha subdorato che lei lavorasse per qualche intelligence…
«Mi sento un infiltrato dello Spirito santo che, se vogliamo, è
l'intelligence della Chiesa… (ride, ndr). In realtà, se avessi fatto
parte di qualunque organizzazione, sarei stato soggetto a riferire
ai superiori, quindi non avrei potuto fare quello che ho fatto.
Invece, sono un uomo libero… Poi, chieda a mia moglie quando la
stampante si inceppava… Non essendo un criminale né essendo stata
un'azione scientifica quello che hanno trovato a casa è la prova
della mia genuinità».
Poi è stato arrestato…
«Ricordo che il capo della gendarmeria Domenico Giani venne subito
da me, era preoccupato del dossier sulla Orlandi».
Cioè?
«Era impaurito dal fatto che fosse stato fotocopiato. In effetti,
sul tavolo di don Giorgio un giorno vidi questo piccolo fascicoletto
appena arrivato, fatto da Giani su carta semplice, dal titolo
Rapporto sul caso Orlandi. Non lo toccai perché era composto da
qualche pagina spillata… avrei dovuto girare i fogli e si sarebbero
notato che era stato rovistato».
E il futuro?
«Sono fiducioso in Vaticano cambiano le cose in modo repentino…
spero in una rivincita personale, nessuno me la può negare… basta
che in certi ruoli o incarichi vada chi ha coraggio».
Ma Paoletto nel novembre del 2020 muore, a 54 anni.
HA RAGIONE LUI , MA NON CAMBIERA' LA CORRUZIONE UE PERCHE' I VACCINI
SONO STATI TRATTATI DALLA PRESIDENTE: «La cecità della
politica di fronte alla corruzione genera un senso di impunità». Da
un mese Michel Claise è il giudice più famoso d'Europa. La sua
inchiesta denominata Qatargate sta terremotando le istituzioni dell'Ue.
Ex avvocato, giudice-sceriffo autore di inchieste clamorose, massone
dichiarato, romanziere di successo, fustigatore del malcostume
politico, Claise non si tira indietro. In una lunga conversazione
che il quotidiano belga L'Echo ha voluto condividere con La Stampa,
senza entrare nel merito del Qatargate affronta tutti i temi che
emergono.
Il fenomeno
«Si calcola che la corruzione rappresenta il 6% del Pil mondiale, e
il riciclaggio di denaro sporco altrettanto. C'è un numero enorme di
casi di corruzione: negli ultimi anni non hanno mai smesso di
aumentare, anche se non tutti sono noti all'opinione pubblica.
Tutti, però, sono al corrente dell'aumento del fenomeno. Serve una
Procura nazionale sui crimini finanziari, separata e del tutto
indipendente, perché nei grandi casi politici vi sono poste in gioco
politiche. È inconfutabile. Nella corruzione pubblica queste poste
in gioco politiche sono enormi. A partire da questo, quando c'è una
Procura nazionale assolutamente indipendente si ha la garanzia che
non ci saranno ripercussioni nei vari dossier».
Il condizionale
«Il ricavato della criminalità deriva da due reati, due mammelle
straordinarie: il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione.
L'incompetenza dei dirigenti politici nella lotta alla corruzione
determina una sensazione di impunità per le organizzazioni
criminali. Di recente mi sono trovato su un set televisivo con due
importanti politici. Hanno iniziato il loro intervento sul tema
della criminalità finanziaria dicendo che è indispensabile tener
conto che la situazione è grave. Hanno detto anche che sarebbe
necessario fare qualcosa in merito. Il fatto stesso che abbiano
usato il condizionale in pratica li rende complici! Qui non si
tratta più di parlare al condizionale: si deve parlare al presente.
Si deve fare qualcosa! Se è possibile far cambiare la mentalità
della classe politica? Sono molto pessimista».
Il consenso
«La loro motivazione sembra essere la tutela del loro elettorato. La
gente non capisce che la criminalità finanziaria è il peggior
avversario sleale che si possa immaginare in rapporto alle
organizzazioni legali. Si ha l'impressione che prendendo
provvedimenti contro la criminalità organizzata si vada a
infastidire gli imprenditori tradizionali, ma non è vero. Da un lato
c'è un commerciante onesto che non sa come pagare le bollette della
luce; dall'altro sappiamo dalle intercettazioni telefoniche che ci
sono criminali che, quando esitano sull'acquisto di una Ferrari o di
una Porsche, finiscono con il comprarle entrambe».
I giovani
«Penso che sia troppo tardi per tutta una serie di motivi. Si può
assimilare questa situazione a quella del clima: è in atto una
deregolamentazione economica, proprio come è in atto una
deregolamentazione climatica. Ciò fa sì che ci troviamo di fronte
una situazione irreversibile, ma non per questo dobbiamo restarcene
con le mani in mano di fronte dell'ingiustizia nella quale viviamo.
Tenuto conto che c'è ancora la possibilità di salvare alcune zone
del pianeta, c'è ancora modo di salvare alcune generazioni. Penso
che lo stesso sia vero per la deregolamentazione dell'economia».
Le banche
«Prima di passare alla repressione, è indispensabile fermare il
fenomeno. Il sistema bancario internazionale continua a essere
implicato nel riciclaggio di denaro sporco. Si dovrebbero prendere
in considerazione sanzioni enormi che, al momento giusto, possano
permettere di dissuadere i criminali e di rimpatriare il denaro».
La pistola alla tempia
«Il peggior nemico della giustizia è il tempo. I patteggiamenti sono
utili a condizione che sia la Procura a negoziare, puntando la
pistola alle tempie delle persone indagate. Rivedere il sistema
delle sanzioni permetterebbe di svuotare le aule di tribunale e di
poter andare fino in fondo in modo rapido per tutti coloro che hanno
contestazioni in ballo».
L'impatto nascosto
«L'idea di partenza è sapere a quanto ammontano con precisione i
danni per la società connessi a tutto questo. Quando poi si saranno
individuati gli importi esatti della criminalità finanziaria,
serviranno economisti e sociologi per quantificare l'impatto sulla
democrazia. Penso che il giorno in cui conosceremo le cifre esatte
resteremo estremamente sorpresi. Questo è il mondo oggi».
Il ruolo del giudice
«Esercitare il mio mestiere mi piace e cominciamo ad avere qualche
risultato. Nelle reazioni nei miei confronti incontro persone che
auspicherebbero di spingersi addirittura molto oltre. Mi sollecitano
a intervenire alle conferenze, e questo mi permette di continuare a
battere sullo stesso tasto. La Procura europea? Si tratta di un
bambino che inizia a muovere adesso i suoi primi passi».
Quanto al suo futuro, che molti a Bruxelles preconizzano in
politica, Claise fa una lunga pausa, poi sibila: «Scriverò romanzi».
06.01.23
FINALMENTE APRONO GLI OCCHI:
«I regimi autocratici cercano di interferire, con la corruzione,
nelle nostre decisioni. Miei colleghi, stando alle accuse, hanno
accettato enormi tangenti, diventando cavalli di Troia nel
Parlamento Ue». Hannah Neumann, eurodeputata tedesca dei Verdi, ha
visto la cricca all'opera da presidente della Delegazione per le
relazioni con la penisola arabica e componente della commissione
diritti umani.
Lei ha mai avuto segnali di interferenze?
«L'ambasciata del Qatar mi ha offerto viaggi privati nel loro Paese,
organizzati e pagati».
In che periodo?
«Molte volte. L'ultima per assistere a una partita dei Mondiali di
calcio. Non ho mai accettato "regali" del genere, per poter
esercitare il mandato in piena indipendenza».
Lei è stata eletta nel 2019: ha conosciuto Panzeri?
«Una volta. Chiese di incontrarmi all'inizio della legislatura.
Prendemmo un caffè. Mi spiegò l'idea alla base della Ong Fight
Impunity che aveva fondato. Ma non ne capivo appieno l'utilità. Non
mi sono fatta coinvolgere».
Era solo?
«Con un assistente. Ma non ricordo se fosse uno di quelli coinvolti
nel Qatargate».
E invece Eva Kaili?
«Avevamo un rapporto stretto: era non solo vicepresidente del
Parlamento con delega sul Medio Oriente, ma anche membro della
delegazione da me presieduta. Facevamo missioni all'estero insieme».
Era pro Qatar?
«Da quando la conosco, è molto interessata al Qatar e positiva nel
giudizio. Il suo discorso nella plenaria a novembre, tuttavia, è
stato impressionante. Pura propaganda che ha lasciato perplessi
tutti noi presenti, compresi i socialisti. Tutti alzavano gli occhi
al cielo».
Notò qualcosa di strano nella riunione della commissione sul Qatar
il 14 novembre?
«Un'insolita attenzione mediatica. Mi lasciò perplessa l'intervento
del ministro Al-Marri, che accusava gli altri di razzismo con toni
aggressivi, insoliti per lui. Sembrava una sceneggiata per
l'opinione pubblica del suo Paese, non per il Parlamento Ue. E venne
filmata da una persona mai vista».
Perché è saltata la vostra missione in Qatar a fine ottobre?
«Ci lavoravamo da due anni e l'avevamo programmata a ridosso dei
Mondiali, per esaminare la situazione dei lavoratori migranti e
chiedere di non interrompere i progressi, dopo i mondiali. Ma
all'ultimo minuto i qatarioti l'hanno annullata per "motivi
logistici"».
Di che tipo?
«Hanno detto che l'edificio del Parlamento era in ristrutturazione.
Allora io ho proposto di spostare l'incontro in una sala del
ministero degli Esteri, o piuttosto in un ristorante. Impossibile,
hanno risposto».
Lei come ha reagito?
«Ero frustrata, e ancora di più quando ho scoperto da Twitter che
Eva Kaili era stata ospitata calorosamente nella stessa settimana».
Qual è stata la sua reazione?
«Mi sentivo presa in giro dal Qatar: rifiutava la delegazione
ufficiale che avrebbe fornito un resoconto equilibrato della
situazione e invitava chi non avrebbe pronunciato una sola parola
critica».
Ha chiesto spiegazioni a Eva?
«Certo. Sapeva che la mia missione era stata annullata dal Qatar,
non avrebbe dovuto accettare inviti né proporsi, specie nello stesso
periodo. Ero arrabbiata e gliel'ho detto».
E lei?
«Sembrava non cogliere il problema politico, si scusava solo per non
avermi informato in anticipo. Allora mi sembrava un passo falso
politico. Ora credo che le borse piene di soldi abbiano giocato un
ruolo importante in questa storia».
06.01.23
QUANTE ALTRE VITTIME ?
Nessuna campagna diffamatoria, nessun tentativo di mobbing messo in
atto dal presidente veneto Luca Zaia per "eliminare" Andrea Crisanti,
fino al 31 dicembre scorso docente di Microbiologia all'Università
di Padova. «Crisanti è stato eletto direttore di dipartimento, è
stato primario fino al suo ingresso in politica, non è mai stato
disturbato nel suo lavoro. Sarebbe mobbing, questo?».
A parlare è Stefano Merigliano, fino al 30 settembre scorso
presidente della Scuola di Medicina di Padova. È stato intercettato
dalla Procura mentre era al telefono con Roberto Toniolo, direttore
generale di Azienda Zero, braccio operativo della Regione in ambito
sanitario. «Una telefonata con un collega, di fronte a esternazioni
di Crisanti non certo educate e consapevoli. Molte delle quali
borderline nella loro verità». Ora Merigliano schiva ogni accusa.
Pur faticando a non dipingere uno scenario accademico nel quale,
evidentemente, la figura di Crisanti era vista con ostilità.
Un passo indietro. La storia inizia con la denuncia che Crisanti
sostenne avere ricevuto dalla Regione, per il contenuto di un suo
articolo scientifico sulla bassa sensibilità dei test rapidi. «Non
un articolo pubblicato su una rivista scientifica, ma postato su un
sito» precisa Merigliano. La questione, in ogni caso, è che la
denuncia in realtà non esisteva. «Il rettore gliela chiese, ma
Crisanti non la esibì». La telefonata (intercettata) con Toniolo
risale proprio a questo periodo. «Facci vedere le carte. Perché se è
un esposto o una denuncia, per carità. Sennò finalmente anche la
gente si rende conto che (Crisanti, ndr) sta per far scatenare una
guerra contro il nulla» uno stralcio delle parole di Merigliano –
che parlava col dg di Azienda Zero, ma evidentemente immaginava un
dialogo con Crisanti – captate dalla Procura. «Il Senato accademico
stava preparando una mozione a difesa di Crisanti. Io chiamai
Toniolo, chiedendogli una carta che eventualmente smentisse
l'esistenza della denuncia». Cosa che Toniolo effettivamente fece,
scatenando l'ira di Zaia, veicolata attraverso l'ormai celebre
frase: «È un anno che prendiamo la mira a questo. Sono qua a
rompermi i coglioni da 16 mesi, stiamo per portarlo allo schianto e
voi andate a concordare la lettera per togliere le castagne dal
fuoco al Senato accademico, per sistemare Crisanti».
Zaia non poteva sapere che quella telefonata al dg di Azienda Zero
sarebbe stata intercettata. «Né io sapevo della sfuriata di Zaia.
Mio padre è stato rettore dell'Università di Padova per 12 anni, io
sono un fedele servitore dello Stato. Se ho fatto fallire una guerra
di religione tra istituti, ne sono orgoglioso. Da parte mia non c'è
stata mediazione, né ero a conoscenza di piani strategici per
"uccidere" Crisanti. Le mie sono state telefonate istituzionali. E
se Toniolo fosse stato un manovratore nelle mani di Zaia, la
reprimenda che ha ricevuto non si spiegherebbe».
Smentite, che però aiutano a costruire l'atmosfera di diffidenza che
si era instaurata all'interno dell'Università intorno alla figura di
Crisanti. «C'era chi aveva visioni differenti dalle sue - riguardo
alle sue parole, ai suoi atteggiamenti, alle sue modalità di
rapportarsi –, ma è parte della libertà che lui tanto invoca.
Crisanti ha dichiarato pubblicamente che Zaia è un delinquente e ha
fatto morire 1.600 persone. Mi sembra normale che questo non sia
stato accettato da tutti i docenti. Ma il mobbing è altra cosa. E
poi, chi conosce i fatti sa che molte delle sue affermazioni sono
parziali e personalistiche». Ad esempio? «Quando uscirono i primi
vaccini a mRna, lui dichiarò pubblicamente che erano dannosi, non
testati e non li avrebbe mai fatti. Salvo poi diventare paladino
della profilassi». Eppure, fu proprio Merigliano il più stretto
collaboratore di Crisanti nel suo progetto più famoso: «Potrei dire
di essere il coautore del "progetto Vo'», ammette lui, «anche più di
Crisanti, visto che tutti i tamponi li ho fatti io e tutti i
volontari li ho coordinati io. Mentre Crisanti a Vo' non è venuto
neanche per fare una puntura. Ma questa cosa non la scriva...».
Intanto, Crisanti, l'ormai ex docente di Microbiologia, continua con
le sue "bordate" al presidente del Veneto. Ora parlando anche nelle
vesti di parlamentare. «Un presidente di Regione che utilizza i
quattrini dei contribuenti e tutte le leve del potere per
danneggiare un privato cittadino, perché non fa più parte della sua
squadra? Io credo che il buon governo non possa fare a meno della
critica. Se non esiste opposizione, non esiste democrazia.
LE PROMESSE NON MANTENUTE DA CALENDA: Ancora una presa in
giro, l'ennesima. «Ci hanno offerto 15 mila euro, lordi, per
chiudere la vertenza, lo stesso giudice ne aveva chiesti 15 mila
netti. E così noi non ci stiamo» racconta Gianluca Ugliola ex
operaio Embraco dopo aver ricevuto la comunicazione dagli avvocati.
Ugliola, con altri sedici colleghi, non ha accettato il concordato
con Whirlpool (7 mila euro lordi di buonuscita) e ha impugnato il
licenziamento. Gli operai chiedono gli stipendi arretrati dal 2018 e
hanno intentato una causa civile al tribunale del lavoro. Il periodo
al quale si riferiscono è quello che comincia il 16 luglio 2018 con
la società Ventures che subentra a Ex Embraco Whirlpool. Una storia
travagliata. Dopo l'uscita di scena di Whirlpool, il polo
industriale diventa di proprietà di Chieri Italia con un fondo di
venti milioni per la reindustrializzazione. Poi un ulteriore
passaggio: nel 2018 la società Ventures subentra nella gestione
della fabbrica. Lo stabilimento, però, non decolla. I macchinari per
il nuovo assetto produttivo non sono mai entrati in azienda. La
somma per rilanciare le sorti del polo industriale? Parte dei venti
milioni sarebbero spariti in operazioni finanziarie finite al centro
di un'inchiesta della procura di Torino per bancarotta distrattiva.
E i 400 lavoratori? Alcuni hanno accettato una buonuscita. In 17,
invece, hanno deciso di risolvere la questione in tribunale. «Non
abbiamo accusato nessuno – dice Ugliola -, d'altronde non tocca a
noi farlo, ma abbiamo raccontato per filo e per segno quello che è
successo in questo anno e mezzo nel sito di Riva presso Chieri, dopo
che - a marzo 2018 - era stato firmato al Mise l'accordo per la
reindustrializzazione». Progetto che avrebbe dovuto realizzare la
Ventures: «Una start up – dicono gli operai – che convinse il
Ministero con due progetti: il robot per la pulizia dei pannelli
solari e filtri innovativi per l'acqua. Non abbiamo mai visto né
realizzato questi prodotti. Trascorrevamo le nostre giornate
lavorative in fabbrica con le mani in tasca. Si arrivò al paradosso
che, per tenerci occupati, una settimana ci veniva chiesto di
dipingere le pareti di verde, quella dopo di azzurro». Dopo qualche
mese si era cominciato a parlare di bici elettriche: «Ne arrivarono
cinque dalla Cina, le abbiamo montate e rimontate, sempre le stesse.
Al terzo mese era già chiaro che era tutta una presa in giro»
dicono. Ed ecco arrivare un altro progetto ancora: giochi simili al
Lego. «Anche di questi non si è fatto nulla» precisano i lavoratori.
Ci sono filmati, foto che testimoniano capannoni desolatamente
vuoti. Gli operai hanno alternato lavoro a cassaintegrazione, finché
a dicembre sono saltati stipendi e tredicesime.
Parallelamente alla causa civile procede la causa penale: la procura
ha chiesto il rinvio a giudizio dei vertici di Ventures srl, il
processo comincerà il 20 gennaio.
05.01.23
QUALE GOVERNO ERA CONTRO I SUOI ELETTORI ?
Una vittoria per i consumatori, una
sconfitta per banche e finanziarie. Il 22 dicembre la Corte
Costituzionale ha depositato una sentenza secondo cui se una persona
estingue in anticipo un finanziamento relativo al credito al
consumo, ha diritto ad avere indietro parte dei soldi spesi per
l'accensione della pratica. E più è anticipata l'estinzione,
maggiore è la quota da restituire al cliente. Sembra un principio di
buon senso, ma un decreto legge del 2021 lo aveva messo in
discussione. La sentenza ha dichiarato incostituzionale una parte
della legge, allineando la normativa italiana a quella Ue.
i buoni all'asta
Dal Tesoro 320 miliardi di titoli nel 2023 le prime emissioni
partono a gennaio
Anno in salita per il Tesoro. Secondo il calendario di emissioni di
bond governativi, il 5 gennaio ci sarà la comunicazione sui Bot
mentre il 9 gennaio quella dei Titoli medio-lunghi. Le aste
inizieranno l'11 gennaio con i Bot, mentre seguirà il 12 gennaio con
l'asta medio-lungo e il 13 verrà fornito il regolamento Bot e il 16
quello per il titolo medio-lungo. Il 23 gennaio, poi, ci sarà la
comunicazione Btp Short – Btp€i mentre il 24 gennaio la
comunicazione sui Bot. Il 26 gennaio si passerà all'asta Btp Short –
Btp€i e della comunicazione medio-lungo mentre il giorno successivo
sarà la volta dell'asta Bot.
TUTTI CIECHI E SORDI PRIMA ? Nessuno pensava che, dopo averlo
sospeso senza che nemmeno fosse formalmente sotto indagine, il Pd
avrebbe difeso il suo eurodeputato Andrea Cozzolino ora che la
Procura federale belga ne ha chiesto la revoca dell'immunità
nell'ambito della vasta inchiesta per corruzione internazionale. Ma
la rapidità e l'assertività con cui il capodelegazione del Pd al
Parlamento europeo, Brando Benifei, ha annunciato ieri che «il Pd
voterà a favore della revoca dell'immunità degli eurodeputati
Cozzolino e Tarabella», prima ancora di vedere gli atti che la
sostengono, è quantomeno irrituale.
Fatto sta che, se fino a ieri mattina qualche dubbio sull'esito
della procedura ancora aleggiava, dopo l'annuncio di Benifei lo
scacco è matto. L'immunità sarà revocata a valanga,
indipendentemente dal pur doveroso scrutinio sull'esistenza di fumus
persecutionis (il sospetto, anche vago, di un'azione giudiziaria
pregiudiziale e ostile) e sulla necessità di non privare i
parlamentari delle loro prerogative, a partire dalla insindacabilità
delle posizioni politiche. Il regolamento, infatti, prevede che «la
commissione giuridica può fornire un parere motivato sulla
competenza dell'autorità interessata e sulla ricevibilità della
richiesta, ma in nessun caso si pronuncia sulla colpevolezza o meno
del deputato né sull'opportunità o meno di perseguire penalmente le
opinioni o gli atti che gli sono attribuiti».
Resta il dubbio sui tempi. La prassi richiederebbe almeno un mese
tra esame in commissione giuridica e voto in sessione plenaria. Ma
la volontà politica, non solo della presidente Roberta Metsola ma
anche dei partiti, è di accelerare.
Al netto di immaginifiche «procedure d'urgenza» prive di base
giuridica oltre che logica, la tempistica potrebbe essere
ragionevolmente questa: il 16 gennaio nella plenaria di Strasburgo
l'annuncio formale; quattro-cinque giorni per l'esame della
commissione giuridica; il 25 gennaio voto nella mini-plenaria di
Bruxelles.
Sulla tempistica influirà anche il comportamento degli stessi
Tarabella e Cozzolino. Il Pd ha deciso di anticipare la propria
posizione «perché entrambi hanno annunciato di voler rinunciare
all'immunità per potersi difendere».
In realtà Tarabella l'ha fatto esplicitamente, mentre la posizione
dell'italiano è più articolata. Dopo due giorni di riflessione, oggi
potrebbe esplicitarla. Nessuna polemica, tantomeno con il suo
partito che pure l'ha scaricato senza complimenti. Ci sarà tempo per
fare i conti, anche con una certa idea di «garantismo» che alberga
nel Pd. L'unico a difenderlo, rifiutandosi «in attesa di prove
certe» di rimuoverlo dalla task force sul Pnrr in cui l'aveva
nominato a novembre, resta il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.
Ora per Cozzolino si tratta di vendere cara la pelle, nel merito:
sia contestando i fatti sia mettendo in dubbio la ricostruzione
giuridica sulla presunta appartenenza a un network criminale dedito
alla corruzione. Per ribadire in sede ufficiale di esserne
«estraneo», intende chiedere l'accesso agli atti che lo riguardano,
e poi di essere audito dalla commissione giuridica, come già fatto
con i magistrati belgi. Ma mentre costoro hanno ignorato la
richiesta, i suoi colleghi parlamentari sono tenuti ad ascoltarlo.
Ciò potrebbe rendere impraticabile una revoca dell'immunità stile
«fast & furious».
SABBIE MOBILI : La procedura giudiziaria di consegna al
Belgio, nell'ambito delle regole sul mandato di arresto europeo,
della moglie Maria Dolores e della figlia Silvia dell'ex
eurodeputato Antonio Panzeri al centro del Qatargate si allunga e si
complica. Ieri l'udienza davanti alla Corte di appello di Brescia
per la posizione della figlia è stata nuovamente rinviata al 16
gennaio. Il motivo è che il Belgio non ha ancora dato seguito alle
richieste di chiarimento sugli standard detentivi delle carceri
belghe. Sollevate dalla difesa delle due donne, recepite dai giudici
e inoltrate il 22 dicembre dal ministero della Giustizia a
Bruxelles, con tanto di traduzione in francese per agevolare la
pratica.
Ma la risposta non è ancora arrivata. Il che rende impossibile, per
i giudici bresciani, sciogliere i dubbi sulle garanzie di «tutela
della dignità umana» in un sistema penitenziario più volte
condannato a livello internazionale. Anche la Cassazione ha
prudentemente fissato al 31 gennaio l'udienza sul ricorso della
moglie di Panzeri, per la quale una diversa sezione della Corte
bresciana aveva concesso in prima istanza l'estradizione.
In ogni caso, gli avvocati hanno chiesto al tribunale del riesame di
liberare dagli arresti domiciliari Silvia Panzeri, «perché di lavoro
fa l'avvocato e deve adempiere alle scadenze dei suoi clienti», e di
dissequestrare i 200mila euro sequestrati sui suoi conti correnti,
oltre ai 40mila bloccati su quelli dei genitori.
Mentre il fronte italiano è focalizzato sull'adempimento degli atti
delegati dal Belgio, quello greco si nutre di investigazioni
autonome grazie all'intraprendenza del presidente dell'autorità
antiriciclaggio, Charalampos Vourliotis, che ha inviato una
richiesta urgente alle autorità di Panama chiedendo informazioni
sull'esistenza di conti correnti intestati alla famiglia dell'ex
vicepresidente del Parlamento Ue, Eva Kaili.
L'iniziativa nasce da un documento pubblicato da un anonimo account
Instagram, da cui parrebbero esserci stati, a partire dal 2019,
bonifici per 20 milioni di euro in due tranche da istituzioni
finanziarie del governo del Qatar alla stessa Kaili, e da 4 milioni
a ciascuno dei suoi genitori. L'autenticità è quantomeno dubbia.
La Bladex Bank, dove sarebbero depositati i quattrini, «dopo
un'approfondita due diligence», ha smentito «relazioni dirette o
indirette di ogni tipo» tra i soggetti coinvolti nel Qatargate,
denunciando la «falsità» di queste informazioni. «Calunnie», taglia
corto Michalis Dimitrakopoulos, avvocato della Kaili.
In Belgio l'inchiesta prosegue sui rapporti con Rabat degli «amici
del Marocco», il gruppo di parlamentari capitanati da Panzeri e in
sospetto rapporto con i servizi segreti di quel Paese. Erano
parecchi i dossier attenzionati: dal rispetto dei diritti umani alla
contesa territoriale sul Sahara Occidentale; dagli accordi
commerciali all'inchiesta parlamentare sull'uso del software spia
Pegasus. La bozza di relazione finale su Pegasus, pur prudente sulle
responsabilità dirette del governo marocchino, ricorda che gli 007
di Rabat spiavano tra gli altri l'ex premier italiano Romano Prodi,
considerato «un bersaglio interessante per i suoi rapporti di alto
livello con l'Algeria». A Rabat è in arrivo nelle prossime ore
l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Josep Borrell.
Il perimetro dell'inchiesta sull'altro Stato coinvolto pare più
circoscritto, sia quanto ai dossier – diritti e mondiali di calcio –
sia quanto al periodo. Mentre i rapporti di Panzeri con il Marocco
risalgono al 2011, quelli con il Qatar sono più recenti. Nel 2021
viene nominato il ministro del Lavoro qatarino Ali ben Samikh
Al-Marri, protagonista dell'attività di lobbying per tacitare le
critiche sul trattamento degli operai impegnati nella costruzione
degli stadi calcio.
Al-Marri instaura con Panzeri un rapporto di ferro, sublimato
nell'organizzazione di un'audizione soft nella commissione diritti
umani lo scorso 14 novembre. Dove all'ultimo momento, benché non
previsto nell'ordine del giorno, compare come relatore – tutt'altro
che ostile al Qatar – un rappresentante della Confederazione
sindacale europea, il cui presidente Luca Visentini è stato
arrestato con Panzeri, da cui aveva ricevuto un mese prima 50 mila
euro.
Visentini, unico a essere stato scarcerato benché ancora sotto
indagine, ha sempre sostenuto si trattasse di una donazione per
sostenere la sua elezione a capo della Confederazione sindacale
mondiale, avvenuta a novembre. «Non ho nulla da nascondere e vivo
solo del mio stipendio», ribadisce.
E' UN METODO NON UN CASO : Sarebbe Stefano Merigliano, fino
al 30 settembre scorso presidente della Scuola di Medicina di
Padova, uno degli attori più illustri dell'Azienda Ospedaliera che,
stando alla ricostruzione di Andrea Crisanti, avrebbero messo in
atto il «piano» per allontanare il docente dall'Università. Almeno,
stando alle intercettazioni. Il suo nome appare nel dossier di oltre
cento pagine di dialoghi raccolti dalla Procura. «Abbiamo portato
sia il rettore sia i direttori di dipartimento di Medicina contro
Crisanti a discutere» diceva il 14 maggio 2021, parlando con Roberto
Toniolo, dg di Azienda Zero, braccio operativo della Regione in
campo sanitario.
Atti persecutori, mobbing, diffamazione, calunnia: queste le ipotesi
di reato a cui, filtra, avrebbe pensato Crisanti leggendo le
intercettazioni, e sulle quali potrebbe chiedere giustizia, anche
attraverso un'ulteriore indagine, in aggiunta a quella già aperta
sul caso dei test rapidi.
Intanto, il 31 dicembre scorso Crisanti ha rassegnato le dimissioni
da professore di Microbiologia a Padova. «Non ho nulla contro
l'ateneo. L'ho fatto per sentirmi libero di denunciare, senza creare
imbarazzi» dirà poi, ammettendo però l'esistenza di intercettazioni
che coinvolgono altri docenti.
Nella trascrizione delle conversazioni telefoniche tra Merigliano e
Toniolo si fa cenno al coinvolgimento del Senato accademico di
Padova, intervenuto con una mozione a difesa di Crisanti, quando
filtrò la notizia di una denuncia della Regione. «Facci vedere le
carte. Perché se è un esposto o una denuncia, per carità. Sennò
finalmente anche la gente si rende conto che (Crisanti, ndr) sta per
far scatenare una guerra contro il nulla» dice Merigliano, parlando
con Toniolo, evidentemente immaginando un dialogo con Crisanti, per
incalzarlo nel rendere pubblica la denuncia. Denuncia che pare non
esistesse, come si è affrettato a dire lo stesso Toniolo, in una
lettera all'Università. Spaventato dalla reazione degli accademici,
poi pesantemente redarguito da Zaia: «Io ci metto il culo, voi ci
mettete la bella figura» urla il presidente, stando a
un'intercettazione pubblicata da Repubblica, riferendosi anche a
Luciano Flor (direttore della sanità veneta sino a fine 2022). La
denuncia della Regione non c'era. Ma, visto il clamore, Zaia avrebbe
voluto portare Crisanti allo «schianto», evitandogli la via di fuga
servitagli da Toniolo.
Il nome di Toniolo appare insieme a quello di Zaia, "deus ex
machina" di una «campagna denigratoria e persecutoria contro di me,
materializzatasi nelle azioni dell'Azienda Ospedaliera» denuncia
Crisanti. Zaia è intercettato mentre muove i fili della sanità
veneta, attraverso Toniolo. Destinatario e interprete delle istanze
del presidente, registrava le richieste di Zaia e, stando alla
ricostruzione del docente, muoveva le pedine sullo scacchiere:
Merigliano e Roberto Vettor, docente di Clinica medica a Padova.
Intercettati. Con Roberto Rigoli, nominato al vertice dei laboratori
di Microbiologia del Veneto. Al posto di chi? Di Crisanti.
Su Rigoli – e su Patrizia Simionato, dg di Azienda Zero prima di
Toniolo – pende una richiesta di rinvio a giudizio, legata
all'affare test rapidi.
Ma il quadro non è completo, c'è un quinto nome: Massimo Clementi,
professore emerito dell'Università Vita-Salute San Raffaele di
Milano. Con Crisanti, membro della commissione che avrebbe dovuto
individuare un docente per la Medicina molecolare di Padova. Fu lui
a sollevare una questione di incompatibilità riguardo a Crisanti,
chiedendone l'esclusione, in quanto senatore. La rettrice decise di
non decidere, sciogliendo la commissione e nominandone un'altra. Ora
anche il nome di Clementi appare tra quelli dei docenti
intercettati.
04.01.23
ALBERI INVECE CHE VERNICI ANCHE LAVABILI :
Michele, 27 anni, è un attivista di
Ultima generazione. Come i tre dei cinque militanti che ieri hanno
imbrattato la sede del Senato con vernice lavabile e sono stati
arrestati, anche lui ha subito lo stesso trattamento per aver preso
di mira edifici dell'Eni. «Ho avuto un processo per direttissima. Il
pm chiese per me l'obbligo di firma tre volte al giorno, ma ho avuto
modo di parlare per 12 minuti, davvero un onore la concessione del
giudice. Per 12 minuti ho parlato con dati precisi di quanta gente
sta morendo e di quanta ne morirà secondo le previsioni attuali. E
il giudice ha deciso che potevo andare a casa».
Quindi è finita?
«No, ci sarà il processo e credo che patteggerò per una diminuzione
della pena. Non è la prima volta che prendiamo di mira i palazzi del
potere».
Ma il Senato è un'altra cosa. Non correte il rischio di creare
rigetto per la vostra battaglia nell'opinione pubblica?
«Conosce uno studio di sociologia che lo dimostra? Io conosco studi
che dimostrano il contrario. Oggi su Twitter l'espressione "climate
change" è tra le prime tre più cercate. Non era mai successo in
Italia. I motori di ricerca confermano quanto stia aumentando la
ricerca sul cambiamento climatico. E l'altra cosa che sta aumentando
è il numero di cittadini che sono preoccupati per la crisi
climatica. Un recente sondaggio dice che oltre i 90% delle persone
vorrebbe maggiori investimenti nelle rinnovabili. Il nostro
obiettivo è far diventare una priorità le nostre richieste».
Cosa chiedete?
«No gas e no carbone. Nell'Adriatico ce ne è pochissimo, se anche
facciamo cento pozzi risolviamo il problema del nostro fabbisogno,
forse, per un anno. Bisogna attivare il solare e l'eolico. Il
governo si è impegnato ad attivare nove centrali nei prossimi mesi,
datecene altre dieci e ci fermiamo immediatamente».
Il vostro gruppo è formato da ragazzi molto giovani?
«Ci sono anche anziani e persone in pensione».
Avete intenzione di diventare un partito politico?
«Ultima generazione no. Se qualcuno vorrà farlo come un progetto
autonomo potrà essere una buona idea, ma è troppo presto: ora
l'obiettivo è mettere al centro l'ambiente e avere risposte concrete
dalla politica. I movimenti ambientalisti crescono ovunque in Europa
e credo che in parte dipenda anche dalle azioni di protesta. Noi
siamo disperati».
Perché?
«L'Onu ha messo nero su bianco che un quarto dei bambini del pianeta
sarà a rischio per le risorse idriche. E questo vuol dire che, da
qui al 2040, un quarto dei bambini potrà morire di sete. E voi
giornalisti dovreste ribellarvi perché anche per colpa vostra la
gente morirà di fame e di sete. I suoi figli e i suoi nipoti
creperanno di sete perché l'Italia sarà desertificata per più di un
quinto entro 25 anni. Non ci sono scuse. Può scrivere questo
nell'articolo? Non basta dire sono contrario al fossile bisogna
impegnarsi sul serio. Coprite solo l'1,5 % delle notizie, secondo i
dati Greenpeace».
Siete non violenti? Le vostre azioni lo sono?
«Noi abbiamo due chiari limiti: uno è che non faremo mai male
fisicamente a nessuno, due non offenderemo mai nessuno. Le vernici
sono lavabili. Poi qualcuno scrive che facciamo azioni
terroristiche».
Quello di ieri è stato un attacco alle istituzioni?
«Sì, abbiamo imbrattato la facciata del Senato con vernice lavabile.
E abbiamo raggiunto almeno l'obiettivo che si parli della drammatica
crisi ambientale in atto. La politica deve dare risposte ai
cittadini preoccupati per quello che sarà il più grande genocidio
della storia umana».
Avete una rete di avvocati?
«Sì. E negli ultimi mesi diversi avvocati si sono fatti avanti
dicendo di condividere le nostre battaglie e volerci difendere. Sta
crescendo intorno a noi un consenso passivo, gli intellettuali
stanno cominciando a dare segnali di attenzione»
PETIZIONE PER TRASPORTARE IN UE ENERGIA ELETTRICA VERDE E NON H2
VERDE CON IDROGENODOTTI.
In Africa esiste un potenziale produttivo per l’idrogeno verde del
valore di mille miliardi euro. La stima appartiene al nuovo rapporto
“Africa’s Extraordinary Green Hydrogen Potential”, pubblicato in
questi giorni dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), dall’International
Solar Alliance e dall’Unione africana, con il supporto del governo
della Mauritania, HyDeal e UCLG Africa.
Il documento rappresenta la prima ricerca dettagliata del possibile
sviluppo del vettore in tutto il continente. E mostra come
realizzando 1.230 GW di nuovi impianti fotovoltaici si potrebbe
raggiungere una produzione annuale di H2 solare di circa 50 milioni
di tonnellate entro il 2035. Nel dettaglio, gli autori dello studio
hanno analizzato le opportunità di investimento su quattro hub –
Mauritania, Marocco, Africa meridionale ed Egitto – fornendo una
roadmap di soluzioni tecniche, economiche, ambientali e finanziarie
per sbloccare lo sviluppo commerciale del vettore. Dagli impianti
per desalinizzare l’acqua di mare (da usare nell’elettrolisi) alle
caverne di sale dove stoccare il carburante.
L’obiettivo principale è mostrare come permettere alle nazioni di
ritagliarsi un ruolo nel più ampio mercato globale, esportando il
vettore tramite gasdotti e navi in Europa, Giappone, India, ecc.
“L’Africa ha la più abbondante energia solare del mondo e
trasformarla in idrogeno verde può rafforzare la sicurezza
energetica, ridurre le emissioni e l’inquinamento e decarbonizzare
industria e trasporti”, ha affermato Abdessalam Ould Mohamed Salah,
ministro dell’Energia della Repubblica di Mauritania. “La Banca
europea per gli investimenti sta lavorando con partner in tutta
l’Africa e nel mondo per sfruttare il suo potenziale rinnovabile per
produrre H2 verde a basso costo su larga scala”.
La ricerca sostenne che il vettore possa essere venduto a circa
1.55-1.90 euro al kg presso i punti di consegna, generando una media
di 40 miliardi di euro l’anno di prodotto interno lordo diretto,
corrispondente a circa il 5% del PIL dei paesi attualmente
considerati. “La tecnologia solare fotovoltaica ci ha fornito
l’elettricità più economica”, ha spiegato il dott. Ajay Mathur,
Direttore Generale dell’International Solar Alliance. “Costerà meno
di 2 euro al kg in diversi paesi africani entro il 2030 […] Grazie a
questa elettricità a basso costo e alla riduzione dei costi dell’elettrolizzatore,
il passo successivo è fornire l’accesso a un combustibile pulito,
più economico di tutti gli attuali carburanti fossili. Ci consentirà
di decarbonizzare il settore energetico e i settori hard-to-abate:
fertilizzanti, produzione di acciaio e raffinerie”.
Ma perché ciò avvenga suggerisce tre requisiti finalizzati a
consentire la produzione di 50 milioni di tonnellate di idrogeno
verde in Africa entro il 2035:
· La definizione di programmi nazionali di pianificazione,
regolamentazione e incentivi che mobilitino gli investimenti del
settore privato.
· L’implementazione di progetti pilota che dimostrino il successo
della generazione, stoccaggio, distribuzione e uso dell’idrogeno
solare sia su scala dimostrativa che commerciale.
· la creazione di partnership basate sul mercato per consentire il
prelievo e la domanda nazionale e internazionale su larga scala di
idrogeno verde.
Queste premesse non dimostrate ne’ dimostrabili ma hanno gia’
costituito le premesse per il finanziamento del H2MED che spreca
risorse della UE in quanto non ha senso economico e tecnico
trasportare l’H2 dall’Africa alla’EU quando basta produrre l’elettricita’
in Africa e trasportarla in EU. Per cui e’ necessario precisare e
chiarire fin da ora che lo sviluppo della filiera produttiva dell’H2
ha due funzioni : l’autotrazione e la stabilizzazione della
produzione elettrica in mancanza di energia rinnovabile. Per cui il
trasporto dell’H2 non ha senso in quanto basta produrre stabilmente
l’H2 dove e’ producibile da energia rinnovabile, stoccarlo per
stabilizzare la produzione elettrica che puo’ essere trasportata
ovunque con elettrodotti esistenti o di piu’ facile realizzazione
rispetto agli idrogenodotti. Per produrre H2verde per autotrazione
basta usare l’elettricita’ da fonte rinnovabile. Non vi e’
compatbilita’ del 100% di H2 nel gasdotti attuali, in cui infatti
l’H2 viene immesso al 10%. E’ chiaro che l’obiettivo di creare degli
idrogenodotti e’ solo per mantenere delle rendite di posizione nel
trasporto dell’H2 simili a quelle del gas , piu’ difficili con
vendita dei kw/h a cui infatti sono stati aggiunti gli oneri di
sistema che dovrebbero essere inglobati nella vendita dell’energia
nel consumo. Per queste ragioni propongo una PETIZIONE PER
TRASPORTARE IN EU ENERGIA ELETTRICA VERDE NON H2 VERDE CON
IDROGENODOTTI.
Solo cosi potra’ esserci la supremazia democratica europea
dell’idrogeno sulla corruzione del gas di cui il Qatar e’ solo uno
degli attori finora accertati.
03.01.23
FINALMENTE AVETE LE PROVE CHE VI PRENDE IN GIRO :
«Sole, Reddito di cittadinanza e sei in pole
position». C'è chi sui social ha riadattato una celebre battuta del
film "Vacanze di Natale" del 1983 per sottolineare il leggero
contrasto tra le recenti immagini di Giuseppe Conte in piazza a
Scampia o allo Zen di Palermo con poveri e disoccupati e le foto
girate ieri online, rilanciate anche da Dagospia: il presidente M5s,
con la compagna Olivia Paladino, ospite del Grand Hotel Savoia di
Cortina d'Ampezzo («5 stelle, per non sbagliare» puntualizza
qualcuno). Lui in vacanza in una delle località più ricche e vip
d'Italia, mentre sulla sua pagina Facebook scorre il videomessaggio
di fine anno, in cui l'ex premier mostra le immagini di Milano, con
«10 mila persone in fila per un pasto caldo in appena due giorni
nelle ore del Natale». Ironie e critiche si sprecano sui social,
anche dalle parti di Italia Viva: «E poi va nelle piazze a fare il
Masaniello de noantri. L'ipocrisia fatta persona», scrive Benedetta
Frucci, dello staff comunicazione di Matteo Renzi.
IL PAESE LO HA DIVISO LUI PER CONTROLLARLO MEGLIO: Il
presidente cinese Xi Jinping ha chiesto maggiori sforzi e più unità
al Paese che entra in una «nuova fase» della lotta alla pandemia. È
la prima volta che interviene quando il governo ha cambiato rotta
allentando (tre settimane fa) la politica di blocchi e test di massa
adottata per frenare i contagi. In un discorso tv pronunciato in
occasione del nuovo anno, Xi ha affermato che la Cina ha superato
difficoltà e sfide senza precedenti nella lotta al Covid e che le
sue politiche sono state «ottimizzate» nel momento in cui la
situazione lo richiedeva. «Dallo scoppio dell'epidemia la maggior
parte delle persone ha affrontato le difficoltà e ha perseverato con
coraggio», ha dichiarato. «Ora la prevenzione e il controllo stanno
entrando in una nuova fase, è ancora un momento di lotta. Lavoriamo
di più, la tenacia significa vittoria»
02.01.23
PETIZIONE PER DIVIETO DI PRODURRE CRYPTOVALUTE IN EU PER IL CONSUMO
INUTILE DI ENERGIA.
L’aumento del costo dell’energia e la sua limitazione in generale,
hanno imposto il risparmio energetico come uno dei principali
obiettivi dei cittadini della UE per cui continuare a produrre
cryptovalute attraverso grandi ed inutili consumi di energia
elettrica non e’ piu’ accettabile per cui propongo una PETIZIONE PER
DIVIETO DI PRODURRE CRYPTOVALUTE IN EU PER IL CONSUMO INUTILE DI
ENERGIA.
01.01.23
PETIZIONE PER FONDI NEXT GENERATION EU EMESSI DALLA BCE TASSO 3% PER
LA GESTIONE NAZIONALE DELLE EMAIL
Dal momento che la email e’ il sistema di comunicazione sempre piu’
utilizzato si pone il problema della garanzia della loro sicurezza e
conservazione che una societa’ privata non si assume.
Per cui propongo una petizione affinche’ gli stati garantiscano la
sicurezza delle email e la loro conservazione attraverso fondi
reperiti sul mercato attraverso titoli BCE al tasso del 3%.
A Torino, la sede di DIANA sarà ospitata nelle Officine grandi
riparazioni (OGR): lo stesso luogo dove è già partito il progetto
Microsoft for Startups grazie alla collaborazione siglata tra
Microsoft Global Sales, Marketing and Operations e la OGR supportata
dai finanziamenti della Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di
Torino).Nell’ambito del piano NATO ci sarà anche una sinergia tra il
Politecnico di Torino e Leonardo, l’industria nazionale italiana
della difesa econtrollata dallo Stato ma partecipata da fondi
d’investimento internazionali quali BlackRock, che ha già definito
una collaborazione con Microsoft per le nuove tecnologie militari
nel campo dell’Intelligenza Artificiale.
Ecco il progetto DIANA appare un’evidente strategia di sviluppo tra
Gates e la NATO, il cui segretario generale Jens Stoltenberg è stato
direttore dell’Ong GAVI Alliance, pioniera nell’immunizzazione
globale coi vaccini anche in sinergia con l’ex amministratore
delegato di Vodafone Vittorio Colao, Ministro per l’Innovazione
Tecnologica e la Transizione Digitale nel Governo di Mario Draghi.
Torino è stata individuata dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri come sede principale dell‘Istituto per l’Intelligenza
Artificiale (I3A). L’I3A sarà un vero e proprio network e potrà
contare su un migliaio di persone e su un budget annuale che si
aggira agli 80 milioni di euro. In questo modo potranno essere
coordinate le varie attività di ricerca in questo campo, in linea
con la strategia definita dal Ministero per lo Sviluppo Economico» .
Nel luglio 2022 il Ministro per lo Sviluppo Economico del Governo
Draghi confermò lo stanziamento di 50milioni di euro per lo sviluppo
delle attività di R&S e di trasferimento tecnologico – creazione di
un Hub Automotive e di un Hub Aerospazio a Torino: al sostegno agli
investimenti produttivi e alla riqualificazione delle competenze –
formazione e reimpiego di lavoratori appartenenti a uno specifico
bacino di riferimento.
«Con questo intervento il governo conferma gli impegni già presi con
il territorio per creare una forte sinergia tra il mondo della
ricerca e l’industria in modo da sostenere gli investimenti
innovativi, a partire dalle aziende presenti nei settori dell’automotive
e aerospazio, e mantenere alta l’attenzione verso l’occupazione e la
formazione professionale dei lavoratori» dichiarò Giorgetti.
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo
NO
AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO NON SI SPECULA
IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO
CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO PER GIUSTIFICARE IL
NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR
PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO
SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E
GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN
ITALIA ?
LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE
QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO
NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.
IL FUTURO H2 CHE
NON SI VUOLE VEDERE
E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE
RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI,
COME DIMOSTRA IL :
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131
IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA
RICETTA LIEVITO MADRE
RICAMBIO POLITICO BLOCCATO
L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016
(sottotitoli italiano)
"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra
della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino,
Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito
russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non
sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese
Cosa c’entra il climate change con
l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?
Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza da giorni, anomalie
termiche pronunciate da maggio. Sono questi i fattori alla base del
crollo del seracco che ha travolto due cordate di alpinisti domenica 3
luglio sotto Punta Penia
Il ghiacciaio della Marmolada si
sta ritirando di 6 metri l’anno
(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9 feriti e un disperso. È il
bilancio provvisorio dell’incidente che
ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di
Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada.
Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate,
scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio,
pietre e acqua fusa.
La dinamica dell’incidente
Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco
del ghiacciaio della Marmolada, la vetta più alta delle Dolomiti,
tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000 metri di quota. La
scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con
un fronte largo circa 200, e ha investito un tratto della
via normale per la cima di Punta Penia precipitando a 300
km/h.
Il punto di distacco del seracco è ben visibile in alto
a destra. Crediti:
Local Team.
Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi di ghiaccio che
assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il movimento del corpo
glaciale. Scorrendo verso il basso, il ghiacciaio incontra delle
variazioni nella pendenza della montagna. Queste deformano il
ghiacciaio e provocano la formazione di crepacci, che a loro volta
danno luogo a delle “torri” di ghiaccio, i seracchi. Queste
formazioni, seppur normali, sono per loro natura instabili.
Tendono a cadere a valle, ricompattandosi con il resto del corpo
glaciale, ed è difficile prevedere quando esattamente un evento del
genere si può verificare.
Il climate change sul ghiacciaio della Marmolada
Il distacco del seracco dal ghiacciaio della Marmolada, con ogni
probabilità, è stato facilitato e reso più rovinoso dal cambiamento
climatico. Negli ultimi giorni, anche sulle cime di quel
settore delle Dolomiti il termometro è salito regolarmente a 10°C.
Ma è da maggio che si registrano
anomalie termiche molto pronunciate.
Anomalie che investono tutto l’arco alpino.
Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100 km più a nord-est,
uno degli osservatori con le serie storiche più lunghe e affidabili
della regione alpina ieri segnalava il quasi completo scioglimento
del manto nevoso. Un dato che illustra molto bene quanto l’estate
del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era mai sciolta prima
del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo 2003).
Che legame c’è tra il crollo del seracco e le
temperature elevate? Secondo la società meteorologica
alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla base a
causa della grande disponibilità di acqua di fusione
dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla
media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del ghiacciaio:
“la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli interstrati) e
l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono probabilmente
le cause principali di questo evento catastrofico”.
Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di fusione – penetra fra gli
strati di ghiaccio o direttamente sul fondo del ghiacciaio, incuneandosi
tra massa glaciale e rocce sottostanti, per sgorgare poi al fondo della
lingua glaciale. Questo processo “lubrifica” il ghiacciaio,
accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle “sacche” piene
d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del ghiacciaio.
Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche il ghiacciaio della
Marmolada è in veloce ritirata a causa del riscaldamento globale.
L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal Comitato Glaciologico
Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha segnalato un
ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la perdita complessiva di
volume raggiunge il 90% in 100 anni.
Il cambiamento climatico corre più veloce sulle Alpi che nel resto
del pianeta, facendo delle
terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della
temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle
montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C).
Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi
2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi, l’aumento
di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare, rispettivamente,
a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.
IL
VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON
LO STATO.
QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA
TRATTATIVA STATO MAFIA CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A
TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.
LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA
MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.
I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO
Dichiarazione di Giuliano AMATO
«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» -
INTERVISTA
(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi -
inserita il 02 luglio 2010 da 31
«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce
Giuliano Amato, presidente del
Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque
testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella
relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia
Giuseppe Pisanu.
Perché, presidente?
«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti
esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si
confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un
presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare
responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali
gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che
bisogna fare?».
Secondo lei?
«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può
aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono
sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo
di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è
accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».
Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne
capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di
Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una
trattativa», come dice Pisanu?
«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta
quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza
economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di
lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci
colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine
da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere
duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal
presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad
horas del provvedimento».
Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco
mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?
«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di
qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei
contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che
era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che
considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni
della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».
Perché?
«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a
decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava
comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella
presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».
L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del
'93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò
qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?
«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi
degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi
particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi
o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di
Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi
un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era
riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta
insoluto è la vera matrice di quelle stragi».
Che intende dire?
«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via
D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di
carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo,
Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale
come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai
riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza.
Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in
pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come
lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano
ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre
occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una
devastante dimostrazione di potere».
Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che
per la mafia furono controproducenti?
«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo
trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si
sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il
prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti
israeliani per punire la politica estera italiana sul versante
palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la
tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e
soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per
quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose
sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma
l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa
nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».
Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?
«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile
con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io
condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono
esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma
pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima
dei magistrati».
Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini
di Henry Kissinger, se ne interessarono con Delle Chiaie che
rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia
di Rejna , secondo Lo Cicero.
PERCHE' IL PRESIDENTE BIDEN NON
GRAZIA ASSANGE dimostrando di essere migliore dei suoi
predecessori ?
FATTI
NO BLA BLA BLA
DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO
PRIMA DI AGIRE
LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI
DOCUMENTATE DA REPORT
QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI
FALCONE E BORSELLINO ?
Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone
guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava
dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.
Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe
Costanza che quel giorno sedeva dietro.
Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano
anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli
agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma
azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare
Cervello e Angelo Corbo.
Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale,
viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto
il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.
La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene
sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata.
Muoiono tutti sul colpo.
L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una
pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il
parabrezza della macchina.
In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto
gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.
L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è
ancora oggi vivo.
Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così
clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento
di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità
di Cosa Nostra.
Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale.
Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare
impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o
piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare
qualcosa del genere.
Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni
precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo
sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.
È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi
pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare
l’ordigno.
Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare
che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree
circostanti.
Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in
cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte
dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del
magistrato.
Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare
del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli
presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni
necessarie per eseguire la strage.
Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti
dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.
E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario
guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di
vita.
Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo
comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.
La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione
edulcorata e distorta della strage di Capaci.
Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è
stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio
Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver
trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali
Peter Gomez e Marco Travaglio.
Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni
Falcone prima di morire.
L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI
All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali,
incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia,
Claudio Martelli.
Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di
aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.
Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che
erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito
comunista italiano.
Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono
transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione
Sovietica, a quelle del PCI.
La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività
dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque
l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si
dichiarava custode di quella ideologia.
Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro
intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi
e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con
Falcone prima di essere ucciso.
Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si
rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei
quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i
fondi.
I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri
suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate
da Stepankov.
Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito
comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava
tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da
Ronald Reagan.
Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità
di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte
d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un
costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia
dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.
Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la
probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra
Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora
come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.
Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata
e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse
troppo a Mosca.
Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione
civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse,
infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni
clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto
stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di
intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo
dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella
sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi
non allineati né con un blocco né con l’altro.
Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta
minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e
l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come
pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente
perché si era deciso di demolirla dall’interno.
La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex
segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che
preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.
Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del
globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e
sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e
ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.
Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua
derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica
senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa
struttura paragovernativa internazionale.
Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò
calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale,
soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa
società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita
a portare avanti indisturbata i suoi piani.
Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha
nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.
Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue
“riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del
raggiungimento di questo obbiettivo.
I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto
essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un
potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva
passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione
Sovietica.
Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società
post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un
numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella
storia politica recente di nessun Paese.
Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti
notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare
le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.
A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello
che era il patrimonio pubblico dello Stato.
L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare
in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per
gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e
comprati da corporation angloamericane.
Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di
soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse
finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.
Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga
girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli
affari penali, Giovanni Falcone.
Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il
procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal
secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.
Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito.
Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione
indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse
accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca
per finire in Italia.
I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per
poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di
un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso
avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.
I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media
mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta
di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa
indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno
mafioso.
L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani
Pulite
Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non
fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la
sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.
Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a
Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.
Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe
potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello
del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina
inaugurata da Achille Occhetto.
Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico
liberal progressista molto simile a quella del partito democratico
americano.
Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a
Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che
divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli
Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.
A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva
essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone
infernale della globalizzazione.
Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe
giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli
del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe
politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse
occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la
sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche
con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler
rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere
transnazionali.
Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un
cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e
tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di
garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una
condanna anticipata.
Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero
colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.
Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative
rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista
italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e
poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni
mafiose.
Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni
Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo
Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni
dopo a via d’Amelio.
Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era
nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due
stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.
Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta
la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per
essere portata in dote alla finanza anglosionista.
Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse
essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia
italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.
E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il
PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della
sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della
moneta unica, arma della finanza internazionale.
E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei
magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere
così forte che fa impallidire la mafia.
I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva
essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello
costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.
Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza
di un potere senza volto molto più potente.
È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno
quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di
retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la
verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che
eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso
anno.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate
non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e
determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire
pagare con la propria vita.
Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più
forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e
destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di
banche e corporation che erano i veri registi della mafia.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi
italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva
deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la
loro vita.
Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con
quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una
nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria
possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è
avuta dal 1945 in poi.
Autovelox mobili: la multa non è
valida se non sono segnalati
multe autovelox
La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle
pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente
segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è
certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di
dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però
delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e
quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla
Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere
nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia
opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox
mobili montati sulle auto della polizia.
UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista
di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di
velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in
cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente
sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a
sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e
aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia
stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere
fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.
LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo
di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di
installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi
luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento
della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici
possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle
caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi
alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle
caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione
di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva
segnalazione".
per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot
europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel
nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni
paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse
disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le
difficolta'.
Inventarsi un lavoro invece che fare
l'elemosina.
Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a
Gesu' ?
1)
esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati
2)
lavori socialmente utili
3)
pulizia e cucina autonoma
3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei
martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e
far germogliare il seme del Vangelo. Scrive suor Lucia: “Dopo le
due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra
Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano
sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero
incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore
che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo
indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza,
Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa
di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano
davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento
che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una
grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la
corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande
città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di
dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel
suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi
della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli
spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo
morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e
posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con
un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il
sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a
Dio”.interpretazione del
Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in
una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice: «La
terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se
no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori
per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è
una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del
Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il
Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia
si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il
mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello
del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso
il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione
completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati
a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato,
di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona
umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che
così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si
preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon
cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono
responsabili».
Le storie
degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle
loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:
1) Mi
trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato
parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di
colore.
2) Mi
trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei
soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi,
arriva un nero in bici e me li chiede
3) Ero su un
bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi
posti e si e' messo lui
4) Ero in un
team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della
stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti
e poi fare le proposte: molto innovativo !
5) FINO A
QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO
SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI
PORTA INDIETRO.
6) perche'
lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare
clienti .
7) Immigrazione ed economia sono
interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.
8) Gli
extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo
desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.
09.01.19
Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che
ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?
04.02.17l
L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di
attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da
terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY
l'11.09.11.
Riforma sostenuta da una maggioranza
trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La
Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le
assegnazioni penalizzano gli italiani .
Screening pagato dalla Regione e affidato alle
Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo”
Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono
state curate un migliaio di persone.
Il Piemonte è la quarta regione italiana per
numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare.
L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in
strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono
14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese
del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in
confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve
un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione
Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni
sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a
strutturale».
La Regione punta su formazione e compensazioni
mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200
nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di
accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle
commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la
tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40%
dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di
accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati
aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila
migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar -
gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo
troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture.
Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La
trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese
con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il
termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone
un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di
compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e
certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica
Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per
l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della
Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto:
«Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in
termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista
degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che
andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che
attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un
salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i
progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei
servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi),
“Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione
civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di
formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni).
Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire
lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte
ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva,
aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di
Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato,
protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i
convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I
tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni,
considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e
della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone,
in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo
sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione,
Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.
INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di
risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva
fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le
speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del
consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco
che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci
sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la
crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire
una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi
fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di
corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata
la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la
progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente
dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza
specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando
si partirà.
20 gen 2011 -L'immigrazione"circolare"
è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro
all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...
Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I
60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli
volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare
il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio
in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel
cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un
tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni
viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è
tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i
protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle
banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della
polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna
era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi
aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle
quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a
bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare
la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata
in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è
stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la
giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno
scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio.
«Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste
dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si
limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi
casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a
garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo
accompagnato dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto
avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni
al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del
traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi
12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza
della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti
di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo -
commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che
con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi
giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che
vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un
lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia.
Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione
definitiva alla questione delle espulsioni?» In ostaggio per ore
Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno
trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri
21.02.17
Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne
la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese:
a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte
finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli
immigrati non viceversa.
Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina
crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei
rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in
anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte
da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400
calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto
Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano
prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina.
Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto,
topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli
occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata
operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit».
Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni.
D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna
i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?».
In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la
forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono
case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che
morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la
biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti:
«Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono
diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai,
emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una
baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo
l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle
case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di
questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel
documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani,
prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky
Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono
non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne,
uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze
avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine
con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la
civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a
cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un
secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui
l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San
Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente
ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi,
invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia
rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che
vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un
trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata
nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle
casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è
diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due
ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui.
Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio
sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora
Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea
Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15
su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic
Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così
ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti
delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso.
Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti
comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei
malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di
scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la
rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante
raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono
individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque».
Baraccopolid’Italia
01.03.17
GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI
EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.
SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10
n33
La Commissione
europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche
europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di
milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo
della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo
per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di
euro di rimborsi da chiedere alle banche.
La storia parte
con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un
cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo
l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso
dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un
mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra
questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore
complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato
giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche
europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento
per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato
all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli
operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi
banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i
valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria
convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha
potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano
preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi
valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie
posizioni commerciali ed esposizioni»
Il risultato
ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta
Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di
Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha
subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della
sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé,
Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di
euro.
La Ue ha sempre
rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine
l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte
«censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle
direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai
mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora
potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e
inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti:
«Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno
pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza
europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo
quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo,
leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1
settembre 2005 al 31 marzo 2009».
27.01.17
Come creare un meeting su
Zoom? In un
periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale,
la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante
per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un
processo estremamente semplice, che non richiede neppure la
registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che
desiderano creare un meeting su Zoom.
Ecco dunque una semplice guida per semplificare
la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla
piattaforma senza confondersi le idee.
Come si crea un meeting su Zoom
Dopo aver
scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione,
si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In
(è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o
Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo
modo:
Fare tap su New Meeting
(pulsante arancione)
Scegliere se avviare il meeting con la
fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
Premere Start a Meeting
A questo punto è stata creata la
videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i
partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:
Fare tap su Participants
(nella parte in basso dello schermo)
Premere su Invite
Scegliere il mezzo attraverso cui
inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o
messaggio, per esempio)
Una volta invitati gli utenti, chi ha creato
il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per
utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare,
piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.
Facendo tap sul pulsante Chats
(in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare
messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una
volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap
sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà
in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting),
permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare
tutti (End Meeting).
Windows File Recovery
recupera i file cancellati per sbaglio
È la prima app di questo tipo
realizzata direttamente da Microsoft.
A tutti - beh, a quanti non hanno un
backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file,
non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per
sempre.
Recuperare i
file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la
zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per
software specializzati.
Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi
Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha
rilasciato una piccola
utility che si occupa proprio del recupero dei file.
Si tratta di un programma privo di
interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la
diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di
Windows.
L'utility ha tre modalità base di funzionamento.
Default, suggerita per i drive
Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i
segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece
sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome,
la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si
basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni,
cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per
le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).
Windows File Recovery è in grado di tentare il
recupero da diversi filesystem - quali Ntfs,
exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a
disposizione una
pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.
Qui sotto, alcune schermate di Windows File
Recovery.
Non si può dire che Windows 10 sia un
sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé,
insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che
per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non
fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.
Rimuoverle a mano una a una è un compito
tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera
operazione:
Bloatbox.
Nata come estensione per
Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con
Microsoft da
Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che
coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.
Il motivo è un po' la medesima
ragione di vita di Bloatbox: non rendere
Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni
che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere
un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.
Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di
archivio.zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa
operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file
Bloatbox.exe per avviare l'app.
La
finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è
presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche
quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo,
Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del
computer.
Ciò che occorre fare è selezionare quelle app
che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il
pulsante, che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si
trovano tutte le app condannate alla cancellazione.
A questo punto si può premere il pulsante
Uninstall, posto nella parte inferiore della
colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.
L'ultima versione al momento in cui scriviamo
mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare
una "pulizia
generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato
dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....
Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di
eliminazione tutte le app preinstallate e considerate
bloatware. Chiaramente l'elenco
può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si
intende tenere tramite il pulsante Remove selected.
Il sito che installa tutte le
app essenziali per Windows 10
Bastano pochi clic per ottenere
un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo
software.
Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un
incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra
quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente
configurato e utilizzabile.
A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di
installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono
i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di
un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter
automatizzare.
Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che
permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e
installarle in autonomia.
Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti
(Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e,
dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di
fornire un'interfaccia grafica.
Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione
delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.
Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da
visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da
installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è
molto simile al già citato Ninite.
Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer
dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve
essere preventivamente installato sul Pc.
Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo
sviluppatore ha battezzato Featured Pack.
Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità
comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si
possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare
il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.
In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa
di invocare Winget per portare a termine il compito.
I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a
creare il proprio e a condividerlo.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News -
https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369
Cos’è e a cosa serve la pasta madre
La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo
pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la
pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad
esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane
da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice
impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si
arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che
consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.
Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di
lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane,
pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili,
conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.
La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di
altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre
diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla
composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad
assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.
I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri
buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e
migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane
preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore
rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che
quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di
glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno,
evitando picchi glicemici.
Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali
migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi,
si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito
naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari
tipi di farine, anche senza glutine.
La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per
chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri
cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può
migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi
vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.
ATTENZIONE MOLTO
IMPORTANTE PER LA TUA SALUTE :
La tecnologia di riferimento
per le Cellule Tumorali Circolanti