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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto l'avv.Guido
Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia
mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento sia andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018).
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx,
che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI e Spio , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste salsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
NON
DIMENTICARE CHE:
Le informazioni
contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore
deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun
caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
La
ringraziamo sinceramente per il
Suo interesse nei confronti di una produzione duramente colpita
dal recente terremoto, dalle stalle, ai caseifici fino ai magazzini
di stagionatura. Il sistema del Parmigiano Reggiano e del Grana
Padano sono stati fortemente danneggiati con circa un milione di forme
crollate a terra a seguito delle ripetute scosse che impediscono a breve
la ripresa dei lavori in condizioni di sicurezza. Questo determina di
conseguenza difficoltà nella distribuzione del prodotto “salvato”, che
va estratto dalle “scalere” accartocciate, verificato qualitativamente e
poi trasferito
in opportuni locali prima di poter essere posto in vendita. Abbiamo
perciò ritenuto opportuno mettere a disposizione nel sito
http://emergenze.coldiretti.it tutte le
informazioni aggiornate relative alla commercializzazione nelle diverse
regioni italiane anche attraverso la rete di vendita degli agricoltori
di Campagna Amica.
Corso universitario e
mini-corso per risparmiatori
A fine settembre/inizio ottobre 2023
comincerà il corso di
Metodi per le scelte finanziarie e previdenziali
all'Università di Torino. Si tratteranno soprattutto le
obbligazioni, i titoli di Stato indicizzati o no all'inflazione,
i certificati ecc. Può iscriversi pure chi non è studente
universitario, 48 ore, costo 196 euro: vedere
https://www.beppescienza.eu/corsi_investimenti.htm.
Il corso sarà in presenza, ma probabilmente anche online sulla
piattaforma virtuale Webex. A settembre pubblicherò maggiori
informazioni.
30.09.23
LA SANTANCHE' E' MOLTO POTENTE E FURBA:
Da un lato la ribadita necessità
di una ispezione sui conti di Visibilia Editore Spa da parte dei
soci di minoranza e della stessa Procura di Milano; dall’altro una
netta opposizione da parte del nuovo Cda della società creata dal
ministro del Turismo, Daniela Santanchè, e amministrata fino al 2022
dal suo compagno Dimitri Kunz.
È su questo doppio binario che ieri si è svolta l’udienza davanti al
giudice civile che però si è riservato nella decisione. Una futura
ispezione potrebbe preludere a una richiesta di commissariamento
della Spa. In aula, poi, il nuovo Cda rappresentato dall’avvocato
Fabio Re Ferrè ha sollevato un problema di “liquidità finanziaria”
della società.
Dal che la Procura, così come anche i soci di minoranza, ha invitato
la società a chiedere di risolvere il credito di circa 2 milioni che
Editore ha con Visibilia srl in liquidazione reclamando i soldi dal
garante, cioè dalla stessa Santanchè, la quale ha messo a garanzia
la sua casa milanese del valore di 6 milioni.
Sul tema della crisi di liquidità è intervenuto l’avvocato del nuovo
Cda spiegando: “Abbiamo segnalato una possibile tensione di cassa
che potrebbe concentrarsi sul primo semestre del 2014 per 40 mila
euro”. Nel replicare ai pm, il legale ha affermato che “non è
possibile andare a escutere il bene”, ossia l’immobile del garante
Santanchè, “in quanto” Visibilia srl in liquidazione sta saldando “i
debiti a rate” dopo un accordo con l’agenzia delle Entrate.
Sempre in tema di denari, è emersa una novità: la richiesta della
Spa di riattivare l’ultima tranche di prestito obbligazionario
convertibile da mezzo milione con il fondo estero Negma. Lo stesso
dal quale, alcune società di cui è stata socia e amministratrice
Santanchè hanno ottenuto un prestito obbligazionario di circa 3
milioni. Il fondo Negma ancora non ha risposto e comunque resta al
centro di uno dei filoni giudiziari di questa storia per il quale il
pm Paolo Filippini indaga per aggiotaggio senza indagati.
Le parti sono rimaste sulle loro posizioni. Con la Procura che
ribadisce la richiesta di ispezione sottolineando l’attualità delle
irregolarità denunciate e proseguite, rispetto alle quali i nuovi
amministratori non si sarebbero prodigati per eliminarle, e anzi le
starebbero protraendo continuando a indicare, secondo i pm, nel
bilancio al 31 dicembre 2022 e nella semestrale 2023 valori non
veritieri.
L’avvocato Antonio Piantadosi, che tutela i soci di minoranza […],
ha chiesto la revoca degli amministratori e dei sindaci, quindi la
nomina un amministratore giudiziario, determinandone la durata e i
poteri, “ivi compreso l’avvio delle azioni di responsabilità”
Un tema, quello della continuità tra il vecchio e nuovo consiglio di
amministrazione di Visibilia, passando per la nomina del presidente
Luca Ruffino suicidatosi il 5 agosto, respinta dal nuovo management:
“L’operato del nuovo Cda è estraneo alle irregolarità contestate”,
ha spiegato l’avvocato Fabio Re Ferré.
Sulla stessa linea il nuovo presidente, Giuseppe Vadalà Bertini:
“Santanchè ha fornito garanzie reali. Io sono entrato il 10 marzo,
da allora stiamo valutando e controllando tutto”. Di parere opposto
Giuseppe Zeno, presente in aula, che al termine dell’udienza a
margine ha indicato il fondo Negma e i suoi conti appoggiati su tre
banche in Italia come la nuova vera frontiera della maxi-inchiesta
su Visibilia e non solo.
IL BUSINESS DEGLI IMMIGRATI : Ors Service Ag, una
multinazionale fantasma per il territorio italiano perché, di fatto,
non è stato possibile reperirne una sede operativa. Nel nostro Paese
sarebbe soltanto uno studio di commercialisti dove ha sede legale.
Ha però una società di lobby per rappresentare i propri interessi
addirittura in Parlamento. Quali sono i suoi interessi?
La risposta è tanto semplice quanto inquietante: la gestione con
massimo profitto dei Cpr e cioè dei centri che ospitano
"temporaneamente" i migranti che debbono essere riportati nei paesi
d'origine.
Quanto più sono i migranti e quanto più lungo è il periodo di tempo
in cui vi sono reclusi, tanto più alti sono i profitti della
Compagnia.
La premier Giorgia Meloni e il grande ministro Matteo Salvini sono
in grado di spiegarci come tutto ciò possa essere compatibile con i
loro programmi di governo contro coloro che dall'immigrazione
clandestina traggono profitto? Se questa lobby era presente in
Parlamento anche prima del vostro avvento al governo ci potete
spiegare come mai non ve ne siete ancora accorti vista l'eccezionale
emergenza in atto?
Visto che volete riempire il territorio del nostro Paese di queste
strutture orripilanti spendendo fiumi di denaro pubblico, avete
reale e diretta conoscenza di quanto vi sto dicendo? Sapete come
vengono gestiti questi centri e in quali condizioni sono costretti a
vivervi i tantissimi detenuti senza pena?
Io lo so. Io l'ho visto con i miei occhi, sentito con le mie
orecchie, percepito con il mio olfatto. Sono in Senato per mio
fratello Stefano, che tra due giorni compie gli anni, e voglio a
tutti i costi mantenere la mia promessa di occuparmi dei diritti dei
più deboli. Tra le altre cose visito a sorpresa carceri e Cpr.
Sono stata al Cpr Ponte Galeria una prima volta a marzo e ho dovuto
fare i conti con una realtà terribile. Ne sono uscita in lacrime di
fronte alla resa dello Stato alla disumanità di trattamento di
persone che, disperatamente alla ricerca di un futuro migliore,
anziché trovare la terra promessa, sono cadute in veri e propri
luoghi di tortura senza motivo e priva di alcun senso. Come se la
tortura potesse avere un qualche senso o ragione.
Vivono in gabbie, talvolta nel loro sterco, senza possibilità di
comunicare con l'esterno. Sopravvivono giorno dopo giorno in attesa
di poter capire il perché della loro condizione. Sono abbandonati a
se stessi e, se si ammalano, è veramente un grave problema. Sembrano
polli in un allevamento intensivo con la differenza che, soffrendo
spesso la fame, non ingrassano.
E quale è la soluzione che viene loro offerta dal nostro Paese? La
droga per dimenticare. La droga per non pensare, la droga per
cancellare ansie e dolori. Vengono loro somministrate quantità
industriali di psicofarmaci per farli star buoni, «perché così non
disturbano». Tutto ciò viene praticato al 90 per cento di quei
detenuti senza pena. Sono entrata in quel luogo orribile e di
incommensurabile sofferenza munita di telecamera. È tutto
documentato.
Ministro Salvini, si tolga quel crocifisso di dosso. Presidente
Meloni, i Cpr vanno contro la legge degli uomini e contro la legge
di Dio.
Solo degli sprovveduti possono credere che il business
dell'immigrazione sia solo quello degli scafisti. Lo abbiamo in
Parlamento e ciò sarà fino a che non porrete fine a tutto questo. —
IL BOSS LANDINI : La leader dem a Crevalcore nella fabbrica in
crisi. La Cgil contro Calenda: non è gradito. Lui replica: no alle
intimidazioni
Schlein tra gli operai della Marelli "Siamo qui al fianco dei
lavoratori"
L'«autunno in piazza» di Elly Schlein inizia davanti ai cancelli
della Magneti Marelli di Crevalcore, la segretaria Pd schiera il
partito a fianco dei 229 lavoratori che rischiano il posto a causa
della decisione del fondo Kkr di chiudere l'impianto per spostare a
Bari tutta la produzione: «Siamo qui per restare», assicura agli
operai che manifestano, promettendo di «seguire da vicino» anche i
lavori del tavolo convocato per martedì 3 ottobre dal ministro delle
Imprese Adolfo Urso.
Una battaglia strategica, per il Pd, che finisce per chiamare in
causa tutta la politica industriale del governo dei "patrioti", dal
momento che il fondo – statunitense – Kkr è lo stesso insieme al
quale il governo si appresta ad acquisire una parte della rete Tim.
Non a caso la segretaria democratica allarga subito il fronte,
partendo da Crevalcore per arrivare a palazzo Chigi: quello che
accade alla Marelli, attacca, dimostra che Kkr è «inadeguato a
gestire infrastrutture strategiche italiane».
Urso fa sapere di avere «convocato Magneti Marelli, i sindacati e la
Regione Emilia Romagna per affrontare il caso. Io mi auguro che si
riesca a trovare la via per il mantenimento di questo importante
sito produttivo». Ma «il caso», come lo definisce il ministro, è
scottante per un governo che ogni giorno sbandiera le parole
«nazione» e «patria». Schlein lo sa e incalza: «Quello che stanno
facendo qui a Crevalcore deve essere un forte campanello d'allarme.
Perché se la logica è solo quella del profitto allora vuol dire che
non sono realtà adeguate».
Battaglia, peraltro, che unisce tutto il Pd. Stefano Bonaccini è
preoccupato come presidente dell'Emilia Romagna: «Vorrei fare un
appello: spero che il Governo faccia sentire la propria voce». Per
Schlein il modo migliore che ha il governo per farsi sentire è
tirare fuori i soldi, perché le risorse ci sono: «Il governo ha 6
miliardi stanziati da quello precedente sull'automotive: si
investano senza indugi per rafforzare tutta la filiera. Non si può
far pagare sulla pelle di lavoratrici e lavoratori l'assenza di
politiche industriali». Aggiunge la segretaria Pd, riecheggiando
forse con malizia toni che usa spesso la premier Giorgia Meloni: «Mi
aspetto che il governo alzi la voce e non pieghi la testa».
Ma nella battaglia si lancia anche Carlo Calenda, che oggi sarà a
Crevalcore nonostante lo scontro con la Cgil e quella sorta di
"diffida" che gli è arrivata dalla Fiom. Il leader di Azione giovedì
aveva criticato il sindacato di Maurizio Landini, accusandolo di
essere stato "morbido" nella vertenza. Un affondo al quale hanno
risposto i segretari regionali e provinciali della Cgil insieme a
quelli della Fiom: l'ex ministro «non è un ospite gradito al
presidio permanente ai cancelli della Marelli di Crevalcore» perché
le sue parole sono «gravissime e offensive per i lavoratori».
Un altolà che Calenda respinge: «Non ho offeso i lavoratori. Ho
criticato Landini e la sua compiacenza. Attenti a passare il limite
delle intimidazioni. Primo perché non ha alcun effetto, secondo è
roba da fascisti. Sono un senatore della Repubblica, dove ritengo di
andare vado». Il leader di Azione si dice pronto ad affrontare la
contestazione, che appare scontata ascoltando le parole del
segretario della Fiom di Bologna Simone Selmi: «Se si presenta a
Crevalcore risponderà alle accuse fatte al nostro segretario». —
L'Occidente dei diritti ignora il Nagorno così centomila armeni
diventano nessuno
Non dissimuliamo solo noi stessi e ci rendiamo diafani come
fantasmi. Dissimuliamo pure l'esistenza degli altri. Non nel senso
che commettiamo azioni deliberate e violente (questo solo in alcune
circostanze estreme). Li dissimuliamo in modo più definitivo e
radicale: li trasformiamo in Nessuno. Il nulla diventa individuo, si
fa corpo e persona. L'esempio più recente, in triste fila subito
dopo i siriani, i sudanesi, i tigrini, i saharawi, i migranti
eccetera, sono gli armeni del Nargorno Karabakh. Da quando
"l'operazione speciale" degli azeri ha completato, con fulminante
successo, il programma di pulizia etnica (una volta la chiamavamo
così... ) degli armeni dell'Artsakh che la Storia ha rinchiuso nello
Stato azero, con determinazione e prontezza l'Occidente, parolaio e
implacabile nel difendere i Diritti, ha dissimulato la loro
esistenza. Agisce come se non esistessero. Li nullifica, li annulla,
verrebbe da coniare una verbo audace: li nessunizza.
Novantatremila son già fuggiti in Armenia portandosi dietro un
calvario di miseria disperazione tragici racconti di violenze stupri
ladrocini, umiliazione: l'Artsakh, chiamavano così la loro
disgraziata enclave vittima di una Storia contorta, non esiste più.
Smacchiata dalle carte geografiche, hanno annunciato gli azeri
vincitori. L'alternativa concessa agli armeni: la valigia, ma in
qualche caso non è concessa neppure quella, o vivere da minoranza,
che vuol dire sparire più lentamente. A loro si aggiungeranno forse
gli abitanti della regione armena di Suynik: Baku dice che fu un
errore di Stalin, un corridoio perfetto per riunirsi ai fratelli
turchi.
Così gli armeni del Nagorno sono diventati l'assenza dei nostri
sguardi, la pausa nei nostri impegnati discorsi da parte giusta del
mondo, la omertà, questa si davvero mafiosa, del nostro silenzio.
Gli armeni di questo frammento insanguinato e derelitto del Caucaso
sono la nostra omissione. Che spesso è peccato più grave
dell'azione, dell'atto. Non abbiamo fatto nulla per salvarli o
alleviare in parte il loro destino. A meno di non considerare
qualcosa i cento dollari che l'Unione europea ha regalato a ogni
profugo. Una elemosina vergognosa per far che? Qualche pasto,
trovare un albergo di fortuna, ubriacarsi e dimenticare? Bruxelles e
la sua Commissione: una volta di più un tempio in mano a una
congrega di mercanti, capaci di ragionare solo su quanto occorre
pagare per scansare i guai e sorreggere la ipocrisia di essere
quello che diciamo di essere e non siamo. Per ottusità viltà
interesse.
«È tutta colpa di Putin, era lui che doveva difenderli'»: così
abbiamo giustificato la nostra voluta impotenza. Traendone anche
soddisfatte e sconclusionate conferme del fatto che il presidente
russo è indebolito perfino nel suo cortile di casa.
Attendete ancora qualche giorno e questi armeni saranno uno dei
tanti nomi che dimenticheremo, quasi ci fosse uno strano destino che
ci regala opportune smemoratezze. Saranno gli eterni assenti al
nostro comodo banchetto dei diritti umani, gli invitati che non
invitiamo, il vuoto che non riempiamo. In cui si installerà invece
tronfio e gaudente l'ennesimo lestofante, l'emiro azero, che ci
serve, che ci dà una mano energetica e petrolifera. Che custodiamo
nelle foto di famiglia con il suo sguardo da baffuto Caliostro negli
album dei presidenziali uffici di Bruxelles, di Roma o di
Washington: autocrate ma collaborativo, aggressore ma disponibile a
ben pagati rifornimenti di emergenza...
Il cerchio si chiude. Chiese e cimiteri si copriranno di erbacce,
spariranno sotto il peso dell'incuria, i centoventimila armeni del
Nagorno diventeranno rapidamente profughi, rifugiati e poi migranti
e clandestini da qualche parte, niente paura sono già milioni, in
qualche modo ai "flussi secondari" si provvederà. La loro ombra cala
su di noi, non sugli azeri soddisfatti e gesticolanti nel tripudio,
ci ricoprirà tutti e poi tornerà a regnare il silenzio più forte
delle dichiarazioni, dei disappunti, dei discorsi laici e delle
preghiere della domenica, delle religioni e delle rivoluzioni. Lo
riempiremo a poco a poco con il nostro presente intatto, a tutto
tondo, ben rifinito di danza e di baldoria. E di gravi
preoccupazioni, il rialzo delle temperatura, l'inflazione che
erode... Dovremmo parlarne agli armeni di tutto questo: tra
cinquanta anni saremo tutti morti di clima, altro che il Nagorno e
le vostre beghe di un mondo che non sembra cambiato dalla Genesi e
che solo il mito può avvicinare, l'esilio, le bombe... Ne trarranno,
essendo cristiani, amplissima consolazione nel loro sciagurato
presente.
Gli armeni ci sono abituati ad attraversare la vita come scorticati.
Dai tempi del criminale triunvirato Talal, Enver e Cemal autori del
primo genocidio del Novecento, la loro storia di popolo è piena di
punti di sospensione, nei loro silenzi ci sono pieghe tragiche,
sfumature orrende, nuvoloni, minacce decifrabili e rari arcobaleni.
Per questo sanno rendersi invisibili, farsi passare inavvertiti
senza rinunciare mai al loro essere. Ci sono popoli interi nel mondo
dominato degli Alyiev, dei Putin, degli Erdogan, ma ahimè! Anche dei
Biden e dei Borrell che sono obbligati a contrarsi, a diventare
ombre e fantasmi, flebili eco. Non marciano sgusciano, non urlano
piangono a bassa voce per non far rumore. Per questo, a furia di
soffrire, uomini e donne armeni sono diventati invulnerabili e
stoici. E forse è per invidia che non li sopportiamo, per la loro
capacità di resistere alla sofferenza. Che noi non abbiamo più.
Siamo egoisti anche nel dolore.
Dollari, milioni di dollari miliardi sepolti nelle steppe desolate,
nascosti sotto le sabbie sporche di nafta del Caspio che il petrolio
uccide lentamente da secoli. In attesa paziente nelle sacche turgide
di gas. È con questo tesoro che Aliyev, un satrapo figlio
illegittimo del bolscevismo, ho potuto regolare i conti con la
fastidiosa spina armena ereditata dalla Storia. Tra i mercanti russi
dell'inizio del Novecento circolava questo proverbio: «Chi ha
vissuto un anno tra i proprietari di petrolio di Baku non può
ridiventare una persona per bene».
Ilham Aliyev ha ereditato dal padre Haydar, che si era fatto le ossa
alla Lubianka ai tempi di Andropov, il potere e il gusto per
l'intrigo, la abilità nello sfuggire alle congiure, la pazienza per
le vendette implacabili e silenziose.
Mettiamo a confronto due personaggi: Putin e Aliyev. Le somiglianze
sconcertano: autocrati, discendenti diretti o indiretti del Kgb,
strateghi di "operazioni speciali" per smontare popoli molesti,
ucraini e armeni, protetti da complici potenti, la Cina e la
Turchia, ricchi di gas e petrolio. E poi: Suynik fu un "errore"
staliniano, la Crimea ucraina un "errore" di Kruscev...
Perché allora lottiamo contro Putin «fino a quando sarà necessario»
e perdoniamo le aggressioni di Aliyev? —
DIRITTI NEGATI PER RAGIONI POLITICHE: La sconfitta è di
quelle che fanno male, perché in gioco ci sono le vite di due bimbi
di nemmeno due anni. Ma Antonella e Claudia, mamme di due gemelli e
unite civilmente dal 2021, hanno intenzione di continuare la loro
battaglia. La richiesta? Essere riconosciute come madri legittime
dei due gemelli nati grazie alla fecondazione eterologa a cui si
sono sottoposte in Spagna. Un sogno che finora si è scontrato con la
realtà delle Aule di tribunale, dopo il rifiuto del Comune di
Trofarello (Torino) di registrare i gemellini come figli di due
donne. Venerdì è arrivata la seconda doccia fredda in pochi mesi: la
Corte d'Appello di Torino ha rigettato il loro reclamo contro la
decisione dei giudici di primo grado.
La sentenza non lascia spazio a dubbi: la legge 40 del 2004 consente
l'accesso alla procreazione medicalmente assistita solo alle coppie
eterosessuali. Due donne (o due uomini) non hanno dunque il diritto
a essere riconosciuti come genitori legittimi: nell'atto di nascita
può comparire solo la madre biologica. «Siamo una famiglia come
tutte le altre. È assurdo che nel 2023 si debba portare avanti
questa battaglia – si sfogano le donne –. Quando raccontiamo i
problemi che siamo costrette ad affrontare le persone restano
inorridite». E Filomena Gallo, l'avvocata dell'associazione Coscioni
che le ha assistite con collegio legale ampio (pro bono), attacca:
«Siamo di fronte a una discriminazione che in primis va contro
l'interesse dei minori».
Ma oltre il danno, per la coppia, è arrivata anche la beffa. I
giudici di secondo grado hanno condannato le donne al pagamento
delle spese processuali, poco meno di 5 mila euro, entro dieci
giorni. «Per noi è una cifra enorme. Sono soldi che non abbiamo,
figuriamoci se riusciamo a recuperarli in così poco tempo»,
esclamano le donne. Per questo stanno per lanciare una raccolta
fondi online. Parallelamente, hanno fatto un appello al sindaco di
Trofarello affinché il Comune non esiga la somma: «Simbolicamente
sarebbe una decisione carica di significato», sottolinea Filomena
Gallo. Stefano Napoletano, primo cittadino del Comune torinese,
replica così: «Prendo atto della sentenza che va rispettata. Il
comportamento degli ufficiali di Stato civile è stato ineccepibile.
Ora mi confronterò con gli uffici per capire se ci sono spazi per
poter andare incontro a queste due mamme. Ma le regole di
contabilità sono stringenti e le nostre scelte non possono che
essere legate alla legge».
Per Antonella e Claudia una strada potrebbe essere quella dell'
"adozione in casi particolari". «Ma in questo caso i bambini hanno
già due genitori e si tratta di una procedura discriminatoria e che
richiede tempi lunghi – spiega l'avvocata Gallo –. Senza considerare
che la madre intenzionale dovrebbe essere giudicata idonea da un
giudice, una prassi che per le coppie eterosessuali non esiste».
Dopo la seconda sentenza sfavorevole i timori delle due mamme
aumentano. «Se mi dovesse succedere qualcosa o i bambini dovessero
andare in ospedale, Antonella sarebbe un'estranea e non potrebbe
andare a visitarli – spiega Claudia –. Senza una mia dichiarazione
scritta i nostri figli non possono prendere un aereo con lei. È mai
possibile dover delegare una mamma per stare insieme ai suoi
figli?». Secondo la segretaria dell'Associazione Coscioni la
sentenza dei giudici di secondo grado è figlia di un clima politico
non favorevole: «C'è una grande discrasia nelle dichiarazioni del
governo: dicono di voler aiutare le famiglie, poi non mettono mano
alle leggi per eliminare le discriminazioni. In Italia ci sono
famiglie eterosessuali ma anche figli con due genitori, uomini o
donne, oppure un genitore soltanto».Il Parlamento, sollecitato a
legiferare dalla Corte Costituzionale, continua a essere sordo alle
istanze delle famiglie arcobaleno. «Il diritto all'uguaglianza è
sancito dall'articolo 3 della nostra Costituzione, ma il Parlamento
si gira dall'altra parte. L'agenda politica dell'attuale governo
derubrica il tema ed è discriminatoria», aggiunge Gallo.
La battaglia di Antonella e Claudia, comunque, non si ferma.
«Prenderemo tutte le iniziative legali necessarie nelle sedi
adeguate», annuncia l'avvocata. «Stiamo lottando anche per i nostri
figli – concludono le donne – perché possano finalmente vivere in un
mondo dove le persone dello stesso sesso abbiano gli stessi diritti
riconosciuti a tutti».
TUTELE ALLE LOBBY: Il verdetto della giustizia sportiva su
Maccarani e la sua assistente: "Ammonizione". Corradini,
l'accusatrice: "Così le atlete non sono tutelate"
Perdonata l'allenatrice delle Farfalle "Non erano abusi, ma eccesso
di affetto"
Nadia Ferrigo
Il verdetto della giustizia sportiva è arrivato e non potrebbe
essere più favorevole per Emanuela Maccarani, la plurimedagliata
allenatrice delle Farfalle della ritmica, e la sua assistente Olga
Tishina. Ammonita la prima, assolta la seconda. Maccarani non ha
sbagliato e se all'Accademia di Desio è volata qualche parola di
troppo e troppo spesso, si deve solo «all'eccesso d'affetto». «Non
c'è prova di un comportamento vessatorio nei confronti delle
ginnaste, ma solo di aver pronunciato, in più occasioni, parole
inadeguate durante gli allenamenti», ha stabilito ieri a Roma il
Tribunale federale nell'inchiesta iniziata con le testimonianze di
Nina Corradini e Anna Basta.
La prima commenta così: «Prendo atto della decisione del Tribunale
sportivo, che purtroppo non mi sorprende. Scoprire che gli abusi
subìti da me, Anna Basta e le altre vengono giustificati come
"eccesso d'affetto" mostra in maniera inequivocabile la distanza tra
le atlete e l'organo che dovrebbe garantire la loro tutela». Il
processo nasce dalle accuse dalle due ex ginnaste azzurre, che hanno
raccontato di aver subito anni di abusi psicofisici nell'Accademia
di Desio, la "casa delle Farfalle" nel Milanese. Radiazione,
squalifica di massimo due anni, ammenda o ammonizione: sono le
quattro possibili pene che avrebbe potuto infliggere la giustizia
sportiva a Maccarani, già autosospesa nei mesi scorsi dalla giunta
Coni. L'accusa: aver «adottato metodi di allenamento non conformi ai
doveri di correttezza e professionalità ponendo in essere pressioni
psicologiche e provando in alcune ginnaste l'insorgere di disturbi
alimentari e psicologici». Chiaro il verdetto ma non ancora le
motivazioni, che saranno depositate entro dieci giorni.
«Come ho detto nella mia discussione – commenta il procuratore
federale Michele Rossetti –, quando c'è un'atleta sul viale del
tramonto, può esserci un meccanismo anche involontario
dell'allenatrice di tenerla in pista anche se non ci sono le
condizioni. E questo è "l'eccesso di affetto" di cui ho parlato
nelle mie richieste». «Sono stati undici mesi molto difficili, la
mia persona e la mia figura professionale sono state profondamente
ferite – commenta Maccarani –, ma ho la coscienza tranquilla. Solo
grazie a questo ho potuto continuare a lavorare in palestra».
«Emanuela Maccarani merita una medaglia per non aver abbandonato
Anna Basta. Per questa ragazza era una seconda madre», sottolinea il
suo avvocato Avilio Presutti, riguardo ai problemi di peso che l'ex
Farfalla avrebbe avuto nel suo periodo a Desio.
Sul caso lavora anche la procura di Monza, ma aumentano i fascicoli
sulle palestre delle città più piccole, come Brescia. Nelle denunce
le storture si somigliano: controllo ossessivo del peso spesso senza
parere medico, e un atteggiamento manipolatorio e abusante. Storture
forse diffuse fra migliaia di ragazzine nelle palestre di tutta
Italia. Jury Chechi conosce la fatica e il sacrificio totale che
richiede la ginnastica artistica. Lui, con la medaglia d'oro agli
anelli vinta alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996, ha portato questo
sport nelle case degli italiani. «È simile alla ritmica e solo se
sei profondamente convinto lo scegli. Non è per tutti». Promessa
doverosa per affrontare il delicato caso della sentenza sportiva che
scagiona Emanuela Maccarani, allenatrice delle Farfalle azzurre, dai
presunti abusi su due ex ginnaste.
Yuri, cosa ne pensa ?
«Sono appena arrivato da un viaggio, ho letto tutto di corsa ma le
dico...non mi stupisco. Conoscendo il mondo federale era un finale
scontato».
Prego?
«Chiarisco subito. Mi disturba vedere che c'è una volontà di
capovolgere la situazione. Di far passare le ragazze come carnefici
e bugiarde. Come se non esistessero situazioni di criticità. La
frase "Maccarani è colpevole di peccato di affetto" è imbarazzante.
Una forzatura. Non mi sembra logico che i vertici debbano uscire da
questa storia in modo virtuoso».
Vuol dire che la federazione ha perso un'occasione per cambiare le
regole e risolvere il problema dell'anoressia e del disagio nella
ginnastica?
«Sono contento che le indagini siano state fatte nel migliore dei
modi. E se davvero Emanuela avesse avuto un affetto così profondo
per le ragazze ne sarei stato felicissimo. Ma queste ragazze bene
non stanno. E alla fine si vuol far passare un messaggio non
corretto quale "Noi siamo bravi, la colpa è di quelle ginnaste". Non
è vero, perché il disagio esiste».
Lei in carriera ha subito traumi psicologici?
«Mai. Ho fatto una fatica pazzesca ma sempre con consapevolezza. E
il sacrificio a quel punto diventa gioia».
Se fosse un genitore di una ginnasta sofferente metterebbe davanti a
tutto la salute o la possibilità di vincere una medaglia?
«La salute e il benessere di sicuro hanno la priorità. Nessuna
medaglia vale una vita di disagio. E di fronte al rischio di
rovinare i giovani ci si deve fermare».
Si può cambiare il sistema?
«Se vuoi fare ginnastica è così. È la federazione internazionale a
volere questo. Voglio sottolineare subito che le azzurre della
Nazionale sono felicissime, non mangiano ma sono tranquille. E sono
sicuro, vinceranno tanto alle Olimpiadi. Ma ci sono altre che non
hanno quella forza e quella determinazione. E proprio a queste
atlete devono rivolgersi gli allenatori. Devono far capire loro che
questo sport al vertice è così. Ci vuole umanità e competenza. Che a
mio avviso non c'è stata. E lo dice uno che per la ginnastica ha
fatto tutto».
Entri nel merito..
«Io ho la coscienza a posto, non cerco rivalse. Dalla ginnastica ho
avuto quello che altri non si sognano in tutta la vita. Ma la
federazione deve uscire dalle dinamiche di famiglia chiusa. Deve
aprire la mente e andare oltre». —
IL SOGNO E' FINITO: C'era una volta a Hollywood… Anzi, c'era
una volta Hollywood. E non c'era solo per le star, i registi, i
produttori. C'era per centinaia di migliaia di persone che orbitano
intorno al mondo del cinema e che dalla fabbrica dei sogni traggono
sostentamento e soddisfazione. Centinaia di figure professionali,
tra cui la mia, che con il cinema sostengono le proprie famiglie,
pagano bollette, mutui e affitti cercando di vivere dignitosamente
in una città molto costosa e in un sistema che non prevede welfare
né cuscinetti sociali. È l'America, babe. Tormentata dalla logica
del winner e del looser. O vinci o perdi. E se perdi, non vali, non
servi, non sopravvivi. Lo sapevo dal primo giorno, di un giugno di
inizio secolo, quando mi sono trasferito, tra timori ed entusiasmo,
a lavorare nella città del cinema, che è stata la mia casa per più
di vent'anni. Inviato, corrispondente. Non senza fatica, ma
riconosciuto e apprezzato punto di riferimento.
Poi è cambiato tutto e come spesso accade non per il meglio. Queste
parole le scrivo seduto nell'appartamento genovese che ho scelto
come rifugio e riparo una volta realizzato che la bufera sarebbe
durata a lungo. In attesa di capire cosa resterà di ciò che è stato.
Una scelta obbligata, una scelta condivisa con molti altri colleghi
e con un esercito di persone che in un attimo ha visto crollare il
mondo che lo circondava e lo alimentava. Una babele di volti, di
lingue, di professionalità, di sogni e di speranze. A Hollywood sono
un'infinità le categorie che vivevano di cinema, dalle maestranze,
ai camerieri, dai fotografi alle compagnie che affittano gli
strumenti per fare cinema. Carpentieri, impiegati, autisti,
parrucchieri, truccatori, ristoratori e tanti altri.
Non fosse bastato il Covid, che ha impattato sul mondo del cinema in
modo devastante. Le sale cinematografiche sono le prime a chiudere e
le ultime a riaprire, spesso inutilmente, visto che negli anni della
pandemia gli squali dello streaming hanno divorato ciò che restava
del desiderio di andare al cinema in una larga fascia della
popolazione tormentata anche dall'inflazione e dalla crisi
economica.
E poi arriva lo sciopero, prima degli sceneggiatori e poi degli
attori, che se tutto va bene finirà a Natale. Sempre che gli studios
decidano di rinunciare alla malsana idea di accaparrarsi per pochi
spiccioli i diritti di utilizzo dell'identità digitale, così da
potere generare al computer per l'eternità i protagonisti dei loro
film e decidano anche di condividere con loro una parte degli
incassi dovuti ai servizi streaming .
Uno sciopero sacrosanto, legittimo, doveroso. Uno sciopero con cui
nonostante tutto io come tanti altri sono solidale. Uno sciopero che
però ha dato il colpo di grazia a un'intera economia. Quasi un
miliardo al mese, si dice costi in termini di indotto. Una parola
fredda, indotto. Una parola che però racchiude la vita e ora la
sofferenza di una moltitudine di persone. Una parola che include la
benzina con cui riempivo il serbatoio della mia Prius, la cena al
ristorante armeno su Hollywood e Normandie, l'affitto del mio
appartamento alle pendici della collina dove campeggia la famosa
scritta, proprio dove si fermano i turisti per la prima foto al
simbolo della città, l'hamburger dell'In&Out su Sunset Boulevard, le
mie canne da pesca da usare a Malibu, la tv via cavo, la spesa da
Trader's Joes, una birra tra amici. Il parcheggio negli alberghi
dove ho intervistato tutti i protagonisti di questo mondo, il taxi
che mi portava all'aeroporto per andare in visita su un set.
Insomma, i bisogni, i piaceri e i doveri della vita, per me e per
tanti altri, magari con necessità più importanti, come quella di
crescere i propri figli, mandarli a scuola, pagare le cure per
qualche malattia. Tutti investiti da una bufera attesa ma anche
inaspettata. Come il Big One, il grande terremoto che prima o poi
distruggerà la California, sai che prima o poi arriverà, ma non sai
quando e speri che non sia presto. Il terremoto però è più
democratico dell'economia: chi aveva qualche risparmio se l'è cavata
o si è reinventato, ma chi non li aveva si è trovato su una strada,
senza niente.
Dopo il Covid infatti già era cambiato molto e un cielo plumbeo
incombeva su Los Angeles. Il lavoro, nel terrore del contagio, si
era digitalizzato: addio agli incontri di persona, addio ai viaggi,
addio alle vere interviste fatte faccia a faccia, ai grandi eventi.
Con grande soddisfazione degli Studios, che nella disgrazia avevano
trovato un modo per risparmiare sulle spese di promozione e per
controllare la stampa, ma che non avevano fatto i conti con il
malessere dei protagonisti del mondo del cinema, che alla fine si
sono ribellati al loro strapotere. Rischi del mestiere? Certo, Los
Angeles, in particolare Hollywood è quella che si definisce una «Gig
economy», ovvero un mercato del lavoro che fa molto affidamento su
posizioni temporanee, occupate da collaboratori indipendenti e
liberi professionisti piuttosto che da dipendenti a tempo
indeterminato.
La precarietà è una regola di vita a Hollywood. Non ci sono garanzie
e vale anche per gli attori, sia quella moltitudine che con il
cinema campava a malapena nella speranza di emergere, sia per quei
pochi grandi ben pagati. Ricordo una lunga conversazione con Anthony
Hopkins, sì, lui, Il silenzio degli Innocenti, due premi Oscar,
centoquaranta film. Poco prima dell'avvento del Covid, mi confessò
davanti a una tazza di tè, che dopo l'ultimo ciak di ogni film cui
partecipa, monta in lui il terrore di non farne un altro. Ma si
figuri, gli dissi. Lei è Anthony Hopkins. «Non vuole dire niente,
amico mio - disse - : a Hollywood un attore vale quanto è valso il
suo ultimo film». I ricordi sono come le ciliegie, uno tira l'altro
e mi viene in mente anche Joaquin Phoenix. A margine di
un'intervista, in confidenza, mi disse «tu non te lo immagini
nemmeno, ogni film che faccio penso sempre che sia l'ultimo. Mi
chiudo in una stanza, anche settimane, al buio. E aspetto che arrivi
una chiamata».
Ecco, aspettare. A tutti noi che abbiamo subito le conseguenze,
prima del Covid e poi dello sciopero, non resta che aspettare. E
magari sperare in un lieto fine, nella migliore tradizione
hollywoodiana. In un felice ritorno al passato. Augurandosi che non
sia solo un'illusione, un raggio di luce colorata su un telone
bianco. —
29.09.23
Manuel Bertuccelli, 25 anni, è il cugino di Laganà, una delle
vittime della tragedia di Brandizzo: "Quella notte ero in ferie"
"Io, scampato al disastro ferroviario costretti a spostare a mano i
binari"
Su La Stampa
andrea Bucci
«Io sono scampato al disastro, Kevin no». Manuel Bertuccelli,
venticinque anni, di Vercelli, si racconta fuori dalla procura di
Ivrea. Le magistrate che indagano sulla tragedia di Brandizzo, le pm
Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, l'hanno sentito come persona
informata sui fatti. E lui, cugino di Kevin Laganà, la più giovane
delle cinque vittime travolte dal treno la notte tra il 30 e il 31
agosto, sa bene come funziona in Sigifer, l'azienda di Borgo
Vercelli che aveva in subappalto i lavori di manutenzione della
linea ferroviaria. E come funzionano i lavori sulle rotaie.
Manutentore anche lei?
«Sì e quella notte avrei dovuto far parte della squadra, ma ero in
ferie».
Prima del passaggio dell'ultimo treno, gli operai erano già sui
binari. Succede spesso?
«Sempre. Abbiamo sempre lavorato senza avere l'interruzione della
linea».
Nel filmato girato da suo cugino, si sente Antonio Massa pronunciare
la frase "Se dico treno, spostati".
«Massa ci faceva iniziare sempre prima per farci preparare i buchi».
Cioè?
«Prima scavare con la pala la massicciata intorno ai binari da
sostituire».
Antonio Massa si è salvato, come il capocantiere Andrea Gibin,
entrambi indagati.
«Sa cosa mi hanno raccontato?».
Mi dica.
«Stavo portando dei fiori per mio cugino alla stazione di Brandizzo
quando un soccorritore mi ha confessato che quella notte, Massa e
Gibin erano probabilmente ad una distanza di centro metri dal punto
in cui il treno ha travolto gli altri operai, verso la stazione.
Stavano osservando un altro punto di binario da sostituire e forse
hanno avuto più tempo per spostarsi».
Lei ha lavorato con suo cugino?
«Molto spesso. Con lui e con le altre vittime. Eravamo colleghi, sì.
Ma prima di tutto eravamo amici. Di solito la squadra era composta a
otto operai, più il capocantiere. Quella notte a svolgere il lavoro
di sostituzione di sette metri di binario erano in cinque più il
capo cantiere».
Ruoli fissi?
«Non sapevamo mai chi fosse il nostro capo e da chi fosse composta
la squadra. Gli operai venivano convocati di volta in volta».
Turni massacranti?
«Molto faticosi. Ci presentavamo in deposito intorno alle 19,30 e
dopo aver caricato l'attrezzatura sul furgone raggiungevamo il
cantiere indicato, alla volte era più d'uno per notte. E' capitato
di rincasare nel primo pomeriggio. Poche ore di sonno e poi via, di
nuovo».
Sui binari.
«Trasportavamo gli attrezzi su una pattina e poi li sollevavamo a
mano. Le posso raccontare un aneddoto che spiega un po' tutto?».
Certo.
«Sollevavamo a mano la pendolatrice, ovvero un avvitatore utilizzato
per svitare i bulloni che fissano i binari. Pesa trecento chili. Per
sollevarla bisogna essere almeno in sei, tre per lato».
Una settimana dopo la tragedia, Rfi ha eseguito i lavori sui binari
di Brandizzo con una squadra di 14 persone e tutti i macchinari
adatti.
«Pensi che due mesi prima abbiamo alzato un binario da tredici metri
a mano».
La procura ha acceso un faro anche sulla Sigifer.
«Lavoro lì da sette anni e ho una qualifica di secondo livello».
Ha mai fatto un corso per la sicurezza?
«No».
Tornerà a lavorare sui binari?
«No. Non posso, non riesco. Sto male solo al pensiero».
Kkr inadeguato a rilevare la rete Tim. Ne è convinta Elly Schlein,
segretaria del Pd che ha affrontato il tema dello spin off
dell’infrastruttura davanti ai cancelli della Magneti Marelli di
Crevalcore. E lo ha fatto non a caso, dato che la storica azienda
produttrice di sistemi ad alta tecnologia per l’automotive è di
proprietà del fondo Usa, tramite la giapponese Calsonic Kansei, che
ne ha disposto la chiusura lo scorso luglio.
A preoccupare Schlein la possibilità che la “logica del profitto”
che muoverebbe il fondo venga applicata anche a un’infrastruttura
strategica come la rete Tim.
“Il governo sta discutendo della vendita della rete Netco della Tim
che è un’infrastruttura strategica sulle telecomunicazioni al gruppo
Kkr, proprietario della Magneti Marelli – ha ricordato Schlein – Se
non hanno preoccupazione ad affidare una struttura strategica a un
fondo di investimenti estero, quello che stanno facendo qui a
Crevalcore deve essere un forte campanello d’allarme. Perché se la
logica è solo quella del profitto allora vuol dire che non sono
realtà adeguate a gestire delle infrastrutture strategiche
italiane”.
FINALMENTE LA VERITA':
Tunisi umiliata da Saied e polizia "Si mangiano i soldi dei
migranti"
La statua del filosofo Ibn Khaldoun accerchiata dai soldati e i
giovani che ascoltano il rapper Junior Hassen sulle scale del teatro
municipale. Hassen è sbarcato in Italia a metà agosto, stanco del
suo paese. È questa la Tunisia di Kais Saied, costituzionalista e
Presidente della Repubblica alla cui corte si sono recate Giorgia
Meloni e Ursula von der Leyen con le valigie cariche di euro. «Saied?
Vedremo. Il problema è che non c'è lavoro». Così mi accoglie Tunisi,
coi nuovi blindati verdi dell'esercito e la voce di un tassista che
guida una Peugeot di trent'anni. Il tassista ha famiglia. Abita a
Din Din, una cité, una periferia. Ha acceso un mutuo per comprare lo
scassone. Consegna turisti agli alberghi e torna all'aeroporto per
gli ultimi voli. «Ma i turisti vengono a Tunisi?» «Meno», risponde,
«per colpa dei terroristi». Quelli che hanno fatto strage a marzo
2015 al museo del Bardo. Nel 2021 Saied ha chiuso inspiegabilmente
il museo. Lo ha riaperto giorni fa senza clamore. «Non vengono anche
perché hanno paura degli africani», conclude il tassista alludendo
ai migranti con la pelle di colore diverso dal suo.
La povertà è dappertutto. Di più tra avenue Burghiba e Bab el Bhar,
l'ingresso della Medina. Poco distante c'è un isolato di avenue de
France dove vige un coprifuoco di fatto. Tra puzza di piscio e
alcool ci si avventurano nottetempo gli occidentali in cerca di fumo
e i poliziotti sulle 4x4 bianche e blu. Di questo non parla Saied,
impegnato in una mistificante invettiva antiafricana. Su avenue
Burghiba i senzatetto dormono sui gradini sberciati dei palazzi
coloniali. Alcuni hanno le braccia aperte come Cristo in croce e
russano. Nonostante il caldo hanno il corpo coperto da sudici burnùs,
tradizionali mantelli di lana con cappuccio. «Poliziotti corrotti»,
dice una donna velata. «Siamo pieni di polizia e non abbiamo un
dìnaro». Dalla rivoluzione dei gelsomini del 2011 a oggi il
controllo sui poveri si è fatto pressante. Con la scusa del
ripristino dell'ordine, il perimetro della Medina è stato
militarizzato. Una vigilanza che colpisce anche la stampa: un editto
del 13 settembre 2022 che mina la libertà di parola e di espressione
artistica. A pagarne le conseguenze vignettisti come Tawfiq Omrane,
autore della vetrina satirica Omrane Cartoons, arrestato per
oltraggio al capo del governo Hachani. Non si stupirebbe nessuno se
per strada ci fossero ancora le gigantografie di Zinedine Ben Alì,
il dittatore scappato in Arabia Saudita al coro di Dégage! il 14
gennaio 2011. «Questa città è una ferita che non si rimargina», si
sfoga un medico in un caffè di Bab Souika. Intorno chiasso e
mendicanti ammalati.
La corruzione è così radicata che ne ha parlato di recente la
cantante Emel Mathlouti sul periodico Jeune Afrique. Così diffusa
nelle istituzioni da essere sopravvissuta alla tempesta dell'ultimo
decennio: una rivoluzione tradita dal passaggio islamista alla
democrazia, dal fallimento di sette governi, dall'abbandono da parte
dell'Ue, dallo stallo economico e dall'avvento, nel 2019, di Kais
Saied grazie a una campagna elettorale condotta con sua moglie
Ichraf Chebil, giudice, garante dei rapporti con la magistratura.
Accentrando i poteri, Saied ha intrapreso una violenta campagna
anticorruzione dietro la quale si nasconde la volontà di potenza di
un uomo solo al comando, sostenuto dal Conseil national de sécurité:
la militare cabina di regia del Paese. «La polizia si fa pagare
dagli africani e l'Italia vuole pagare la polizia per non prendersi
i neri. Come la spieghi?», domanda un fabbro residente a Bab Djedid,
la parte anticolonialista della Medina. Un quartiere sottoproletario
che si raccoglie nel tifo per la squadra di calcio del Club Africain.
È proprio nel celebre caffè dei clubist che matura la nuova
dissidenza nella capitale. «Saied è peggio di Gannushi», il capo
carismatico di Ennadha arrestato a maggio scorso. «È un razzista»,
aggiungono sprezzanti, poi tacciono. Nella Medina commerciale, nei
souk, i fondaci si dividono.
«Saied si fa valere con l'Europa. Noi non siamo un paese di transito
per gli africani. Siamo arabi e musulmani», ripete le parole del
presidente un venditore di pashmina, a due metri dalla moschea
Zitouna. «Se gli africani arrivano a Tunisi, voglio vedere che fai»,
dice un venditore di profumi. Ma qualche nero c'è già e dorme sotto
i ponti della grande route. «Prima i terroristi, mo' gli africani»,
chiudono nel souk. Poi passa un poliziotto con walkie talkie e
semiautomatica. Tutti tacciono. Il silenzio è greve. «Che farete dei
soldi europei per contenere i migranti?» domando a un docente di
storia. «La sbroglieremo alla tunisina, con la corruzione»,
ironizza. La polizia mangia due volte, questo il senso. Chi non ne
beneficerà sono i disoccupati, i poveri, i bambini. «Sei d'accordo
con i campi per contenere gli africani al Sud, a Sfax?» «No! In quei
posti, in Italia, ci infilate i tunisini - mi attacca -: portateli
da voi». Da noi, esatto. A casa nostra. —
IL SUICIDIO POLITICO DEL BLUFF DI SALVINI : Quando siede al
tavolo con gli alleati, ultimamente, Matteo Salvini si sente spesso
rispondere: «No». E ognuno di questi «no» è uno schiaffo doloroso.
Prima i forzisti smontano il prelievo sugli extraprofitti delle
banche, poi gli uomini di Fratelli d'Italia bocciano l'idea di
aprire i cantieri per il Ponte sullo Stretto entro il 2024, e ora
anche Giorgia Meloni, di fronte alle tante pretese sulla prossima
manovra, alza un muro. Le bandiere leghiste, così, vengono ammainate
una ad una. E questo, in piena campagna elettorale per le Europee, è
qualcosa che Salvini non può permettersi.
La controffensiva è già pronta. Innanzitutto, sul Ponte, che
rappresenta la partita più importante per il leader del Carroccio.
«Quando vai a fare la legge di Bilancio cadono tanti uccelli del
malaugurio - dice Salvini -. Il finanziamento per il Ponte sullo
Stretto ci sarà». La sponda è con il ministro dell'Economia
Giancarlo Giorgetti, che conferma lo stanziamento di risorse
«connesso all'effettivo allestimento dei cantieri», anche se
l'entità dell'esborso ancora non è chiara. Per dare almeno un primo
segnale, in tempo per il voto del prossimo giugno, potrebbero
bastare poche centinaia di milioni di euro, ma l'accordo - fanno
notate gli alleati di FdI e Fi - era quello di usare prima i fondi
europei di Coesione e sviluppo destinati a Sicilia e Calabria, e
solo più tardi quelli nazionali. In ogni caso, puntualizzano dal
partito di Meloni, «senza andare avanti con finanziamenti
"spezzatino"».
La Lega sul Ponte promette battaglia e non si fermerà qui. Di fronte
ai «no» degli alleati, Salvini lancia la sua «Italia del Sì», nome
indicativo di quello che sarà «un vero e proprio tour» dello
Stivale. Insomma, una campagna elettorale con le insegne del
ministero dei Trasporti, «per presentare le opere e i progetti in
campo da qui ai prossimi anni in Italia». È qualcosa che ricalca,
senza grandi differenze, la maratona di comizi messa in campo dal
leader della Lega ai tempi del Conte I. Anche quella volta, guarda
caso, in previsione delle Europee. Bizzarra coincidenza: il tour
inizierà lunedì prossimo, a Trento, mentre il 9 ottobre toccherà
Bolzano, entrambe città chiamate al voto per le Amministrative del
prossimo 22 ottobre.
La macchina dei comizi salviniana non si fermerà all'Italia, sono
previste anche mete europee. Qualche sospetto viene persino agli
alleati di Fratelli d'Italia: «Vedremo se userà quegli appuntamenti
solo per raccontare le infrastrutture italiane, o se invece ci
aggiungerà qualche incontro con i futuri alleati della Lega nella
famiglia sovranista europea di Identità e democrazia». Dubbio
velenoso, ma in fondo passa anche da lì la controffensiva salviniana:
dalle ultradestre europee, invise tanto a Meloni quanto a Forza
Italia. Salvini le riunirà a dicembre in Italia, in un'iniziativa
aperta a tutti i partiti di centrodestra, da compattare - nei suoi
intenti - contro le sinistre. Invito già rifiutato da Meloni e da
Antonio Tajani, che hanno escluso alleanze con Identità e
democrazia, la famiglia europea di Salvini. Ennesimo elemento di
tensione.
Salvini, però, non può accettare il morso e le briglie con cui gli
alleati cercano di frenarlo. Perché in fondo il voto di giugno, per
lui, sarà molto di più di un banco di prova europeo. In ballo c'è la
sua leadership all'interno del partito. L'ultima occasione per
evitare che soffi con forza il vento del congresso.
I CALCOLI LI HANNO FATTI ? La combinazione tra il taglio del
cuneo che il governo intende prorogare con la prossima legge di
bilancio e l'avvio del primo modulo della riforma dell'Irpef,
portando l'aliquota del 23% dai 15 ai 28 mila euro di reddito,
confermata mercoledì sera in conferenza stampa dal ministro
dell'Economia Giorgetti allo scopo di sostenere famiglie e redditi
bassi, nelle buste paga degli italiani farà entrare tra 67 e 120
euro in più al mese. Più per la prosecuzione dello sconto sui
contributi che per la riduzione da 4 a 3 delle aliquote Irpef.
«Dobbiamo ancora dare i calcoli – ha confermato ieri sera in tv il
viceministro dell'Economia, Maurizio Leo – ma il nostro obiettivo è
quello di agire in modo congiunto».
Quelli effettuati dalla Fondazione nazionale dei commercialisti
ipotizzano una riproposizione del taglio del cuneo attualmente in
vigore (7 punti per i redditi fino a 25 mila euro e 6 per quelli
fino a 35 mila euro) che scade a fine dicembre. A questa misura
potrebbe essere associata la nuova Irpef a tre scaglioni, accorpando
i primi due (quello fino a 15 mila euro con aliquota al 23% e quello
da 15 a 28 mila euro con aliquota al 25%) con la stessa aliquota al
23%. Dalle stime dei commercialisti risulta che se nel primo
scaglione il beneficio del taglio del cuneo, pari a 67 euro, resta
invariato con l'introduzione della nuova Irpef, le cose cambiano per
chi guadagna 20 mila euro: da 77 euro infatti si sale 84. Nella
fascia dei 25 mila euro, il beneficio di 96 euro derivante dal
taglio del cuneo con la nuova Irpef sale a 112 euro al mese. Allo
stesso livello arriva anche per chi guadagna 30 mila euro, ma in
questo caso con incremento di 22 euro rispetto ai 90 euro di
beneficio portati dal solo taglio del cuneo. Per chi guadagna 35
mila euro, il combinato cuneo+Irpef porterebbe il beneficio da 99
euro a 120.
Le nuove simulazioni sono state condotte tenendo presente la doppia
ipotesi di «nuova Irpef» e «taglio del cuneo». Nel caso della «nuova
Irpef», che interessa tutti i contribuenti al di sopra di 15 mila
euro di reddito, gli effetti sulla busta paga, rapportata a dodici
mensilità, sono diversi a seconda che venga o meno prorogato il
taglio del cuneo. Infatti, senza questo taglio, la revisione delle
aliquote produrrebbe un effetto leggermente più basso nella fascia
interessata dal taglio del cuneo (cioè fino a 35 mila euro di
reddito), a causa del mancato effetto indotto dallo stesso taglio
del cuneo che, in modo automatico, fa aumentare l'imponibile Irpef.
In ogni caso, il beneficio mensile, in questa ipotesi, varia da 0
euro per i redditi fino a 15 mila euro a 260 euro annui per i
redditi pari o superiori a 28 mila euro, poco meno di 22 euro
mensili. Combinandosi con il taglio del cuneo, l'effetto
dell'abbassamento dell'aliquota Irpef risulta leggermente potenziato
poiché si applica su una base imponibile incrementata per il taglio
del cuneo, spiegano gli esperti fiscali. Tale effetto, ovviamente,
scompare al di sopra dei 35 mila euro di reddito dal momento sopra
questa soglia non si applica più lo sconto sui contributi.
Al momento, segnala lo studio della Fondazione nazionale di
commercialisti, il taglio del cuneo comporta un costo di circa 10
miliardi l'anno. Mentre l'abbassamento dell'aliquota Irpef al 23%
per il secondo scaglione di reddito comporta un costo stimato in
circa 4 miliardi. Se si considerano i dati delle dichiarazioni 2022
per coloro che hanno un'Irpef netta positiva, il costo della «nuova
Irpef» è ripartito, più o meno equamente, tra la platea dei
contribuenti che rientra nel secondo scaglione di reddito, cioè tra
15 mila e 28 mila euro, pari a circa 13 milioni, e la platea dei
contribuenti del terzo e quarto scaglione, cioè al di sopra di 28
mila euro, pari a circa 10 milioni.
La prossima legge di bilancio, il cui importo complessivo dovrebbe
attestarsi attorno a 25 miliardi, come ha annunciato mercoledì sera
il governo dopo aver approvato la Nota di aggiornamento , verrà in
larga parte finanziata in deficit portando al 4,3% il livello di
disavanzo previsto per il 2024 contro il 3,7% indicato nel Def di
aprile. In questo modo il governo disporrà di una base di partenza
pari a 14 miliardi. Il resto arriverà da tagli alle spese e nuove
entrate.
Pronto soccorso, i medici lanciano l'allarme "Ogni giorno 250 malati
in attesa di ricovero"
Pronto soccorso: tempi troppo lunghi in attesa di ricovero. Questa
volta non lo dicono i sindacati, e nemmeno i cittadini, ma l'Ordine
dei Medici di Torino, che oggi organizza in corso Francia 8 un
convegno sul tema.
Secondo le linee di indirizzo nazionali, il tempo massimo dalla
presa in carico di un paziente alla conclusione della prestazione in
pronto soccorso è di 8 ore. Nel 2021 la Regione Piemonte ha fissato
il percorso in 6-8 ore. Questo in teoria: «Come invece sappiamo,
anche dalla diretta esperienza dei nostri colleghi, la durata arriva
anche a diversi giorni di permanenza».
Da una stima effettuata dall'Ordine sugli ospedali dell'area
torinese, emerge che in particolare, per quanto riguarda i pronto
soccorso della città il numero medio di pazienti in boarding nelle
singole strutture è di 20, 30 e anche oltre i 40 nell'arco della
giornata. Allargando il quadro a tutta la provincia, i pazienti in
boarding risulterebbero essere mediamente non meno di 250 al giorno:
in un anno oltre 90 mila presenze. «Il boarding è un problema che
deriva dalla difficoltà di ricovero e quindi è collegato al taglio
dei posti letto, da ripristinare – precisa il presidente dell'Ordine
Guido Giustetto -. Una carenza che crea problemi anche ai medici,
ponendoli davanti a scelte etiche difficili sulle priorità di
assistenza».
A stretto giro di posta la replica di Luigi Icardi: «La carenza dei
posti letto è una concausa e non la sola causa del boarding.
Giustetto ha ragione a chiedere che venga posto rimedio, ed è quello
che sta facendo l'attuale giunta regionale dopo i tagli praticati
dalla precedente amministrazione, che ha fatto precipitare la nostra
Regione in fondo alla classifica nazionale dei posti letto di acuzie
in rapporto alla popolazione». In Piemonte, sempre secondo
l'assessore, «investiamo sulla costruzione di otto nuovi ospedali.
Solo a Torino, con lo scorporo del Regina dal Parco della Salute, il
nuovo ospedale alla Pellerina e quello nell'Area Metropolitana di
Cambiano, in tutto oltre 1.200 posti letto, andremo non solo a
recuperare il gap ma offriremo importanti prospettive anche sul
fronte dei letti a bassa intensità di cura, recuperando le vecchie
strutture da destinare alla medicina territoriale»
28.09.23
PURGATORI SCOMODO COME GILETTI :
La famiglia di Andrea Purgatori lo ha sempre sostenuto e ora l'esame
istologico lo conferma: al momento della sua morte, il 19 luglio
scorso all'età di 70 anni, nel cervello del giornalista non erano
presenti metastasi. È stato stabilito «concordemente» sia dai periti
della procura, sia da quelli di parte.
Resta tuttavia il dubbio se l'assenza di metastasi sia dovuta
all'effetto della massiccia radioterapia a cui il noto giornalista e
conduttore tv è stato sottoposto o se davvero, come sospettato dai
familiari dopo il parere del professor Bozzao, quelle metastasi al
cervello non sono mai esistite. Al momento i figli, l'ex moglie e la
compagna di Purgatori, tramite i loro avvocati, Alessandro e Michele
Gentiloni, precisano di «prendere atto dell'assenza di metastasi
cerebrali e, come fin dall'inizio di questa vicenda, continuano a
confidare nell'operato della magistratura, con l'unico intento di
far accertare la verità degli eventi e le eventuali responsabilità».
L'esame istologico, effettuato all'istituto di medicina legale del
Policlinico di Tor Vergata, è stato disposto dalla procura di Roma
per accertare le cause del decesso: per colpa medica sono stati
indagati il professor Gianfranco Gualdi, responsabile della
radiologia della Casa di Cura Pio XI, e il dottor Claudio Di Biasi,
un membro della sua équipe. Convinti delle mestasi al cervello, come
conseguenza di un tumore primario ai polmoni, suggerirono una
potente radioterapia cerebrale.
Era davvero necessaria? No, secondo il professor Alessandro Bozzao
della casa di cura Villa Margherita, secondo il quale non si
trattava di metastasi ma di ischemie. Dopo la denuncia dei familiari
del giornalista, il pm Giorgio Orano e l'aggiunto Sergio Colaiocco
hanno aperto un fascicolo ed è molto probabile che ora procedano
verso un incidente probatorio che permetta di cristallizzare non
solo l'autopsia, ma anche i referti iniziali, in particolare le
lastre sulla base delle quali sono state diagnosticate le metastasi
al cervello. Il dato sicuro, come evidenziato dall'autopsia dello
scorso agosto, è comunque che Purgatori è morto di cancro. O più
precisamente, a causa di una coagulopatia legata alle metastasi,
estese in altri organi, scatenate dal grave tumore originario ai
polmoni. «Questi ultimi erano completamente collassati - precisa
l'avvocato Fabio Lattanzi, difensore dei due indagati - mentre in
varie parti del corpo, soprattutto nell'intestino, sono state
rinvenute molte metastasi. La loro mancanza nell'encefalo potrebbe
essere dovuta alla radioterapia: nessuno può scartare con certezza
questa eventualità. I nostri periti hanno comunque escluso che il
decesso sia in qualche misura connesso alla radioterapia». La
battaglia, insomma, non è finita. E proseguirà da dove è iniziata.
Ovvero dalla diversa lettura di risonanze magnetiche e Tac da parte
del professor Gualdi e del professor Bozzao.
Ma sul piano giudiziario è difficile che i due medici indagati
possano essere processati e condannati: la ridotta aspettativa di
vita, dimostrata dalla morte di Purgatori per il cancro e le
metastasi in varie parti del corpo, farebbe venire meno il nesso
causale tra la condotta dei medici e la morte.
ASSENTE IL MANDANTE AMERICANO: Non strage comune, ammesso che
tale si possa definire la più sanguinosa della storia repubblicana
(85 morti e oltre 200 feriti), ma strage politica con finalità
eversiva e terroristica. Dopo sette ore di camera di consiglio, la
sentenza della Corte di assise di appello sul neofascista Gilberto
Cavallini aggiunge un altro fondamentale tassello alla faticosa
ricostruzione giudiziaria della strage del 2 agosto 1980 alla
stazione di Bologna.
La sentenza ha un notevole peso specifico per diverse ragioni.
Conferma l'ergastolo a Cavallini, in linea con quelli già definitivi
dei camerati Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini,
e con quello in primo grado del sicario nero Paolo Bellini.
Riqualifica il reato superando l'aporia della sentenza di primo
grado sulla «apoliticità» della strage. Smonta la tesi difensiva che
faceva esplicitamente leva sulla «pista palestinese», per la prima
volta sviscerata in un processo, carte (dei servizi segreti) alla
mano.
Le motivazioni diranno se la corte ha anche superato la teoria dello
«spontaneismo armato» sostenuta da una parte della magistratura
bolognese, in contrapposizione a quella che valorizza le connessioni
istituzionali (Msi, servizi segreti, P2) dei terroristi, il filo mai
reciso con il disciolto Ordine Nuovo, nonché i depistaggi «di
Stato». Questione non da poco, perché cambia radicalmente la lettura
storica: strage frutto della baldanzosa iniziativa di un gruppo di
bombaroli imberbi oppure strage d'ordine, partorita dall'alto come
operazione terminale della strategia della tensione iniziata a
piazza Fontana nel 1969. «Aspettiamo, ma la sentenza dovrebbe essere
in questa direzione», il commento di Nicola Proto, sostituto
procuratore generale.
Tutto ciò avviene in una fase politica inedita, con i «nipotini» dei
neofascisti al potere, impegnati in una campagna negazionista
rispetto alle sentenze cui ha dato voce, da ultimo e con tale
fragore da costringerlo alle dimissioni, l'ex portavoce della
Regione Lazio, Marcello De Angelis. Ma che fino a pochi mesi fa
vedeva marciare in avanscoperta tutta la classe dirigente di
Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni in primis, con l'invocazione in
chiave innocentista di «giustizia e verità» diverse da quelle dei
processi.
Cavallini oggi ha 71 anni e sconta in semilibertà, tornando in
carcere ogni sera, otto ergastoli frutto di un lungo percorso nella
destra eversiva. Tra gli omicidi a sua firma, quello del giudice
romano Mario Amato, freddato a una fermata del bus (indagava
sull'eversione nera e non aveva auto blindata) quaranta giorni prima
della strage di Bologna. A scortare in moto Cavallini c'era
Ciavardini, già condannato definitivamente per la strage alla
stazione.
Cavallini è accusato (e per questo condannato nei due gradi di
giudizio, in attesa della Cassazione) per aver fornito un
«contributo agevolatore» allo stesso Ciavardini, a Fioravanti e a
Mambro: ospitalità in Veneto, base logistica, auto per raggiungere
Bologna, documenti falsi. I quattro si sono sempre difesi allo
stesso modo, raccontando di essere stati insieme, il 2 agosto 1980,
a Padova e non a Bologna. L'alibi non ha retto alle prove
giudiziarie, pur in processi fortemente indiziari. Ma anche a
dispetto delle sentenze definitive, la linea è sempre stata «noi non
c'eravamo». Un «noi» che rappresenta un patto di solidarietà e mutuo
soccorso tuttora vigente: Ciavardini non solo ha consentito a
Cavallini di uscire dal carcere, ma è sotto processo per falsa
testimonianza a suo vantaggio.
Questo processo ha registrato un colpo di scena. Gli storici
avvocati di Cavallini, che ora lo dipingono come «colpevole
obbligato di un processo politico a senso unico condannato con una
sentenza scontata», al momento dell'arringa si sono defilati.
L'avvocato d'ufficio ha mutato strategia, provando per la prima
volta a differenziare la posizione di Cavallini da quella dei
complici dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Una difesa più tecnica e
meno politica.
La sentenza soddisfa i familiari delle vittime. «È molto importante
perché elimina completamente la pista palestinese e quella
dell'attentato compiuto dagli spontaneisti armati – dice Paolo
Bolognesi, presidente dell'associazione -. I Nar non agirono da
soli, ma erano collegati a tutti gli altri gruppi eversivi d'allora,
e in maniera molto stretta ai servizi segreti italiani».
La storia non finisce qui. A breve comincerà il processo di appello
anche per Bellini, il quinto uomo della strage. Un nome su cui il
lavoro della procura generale di Bologna si è incrociato con quello
delle procure di Firenze e Caltanissetta, dove Bellini è indagato
per le stragi mafiose del 1992 e 1993. Quando, come emissario dei
carabinieri, aveva intavolato una singolare trattativa con cosa
nostra. I pm hanno accertato la sua presenza in Sicilia, in hotel
sperduti sotto la neve e senza motivazioni ragionevoli, in
coincidenza dei summit in cui fu elaborata l'escalation terroristica
della mafia.
GLI ITALIANI MENEFREGHISTI: Immaginate di vivere tutti i
giorni su un arsenale nucleare perennemente innescato, ma non su una
sola bomba, no: immaginate di svegliarvi, alzarvi, mangiare,
lavorare, fare l'amore e coricarvi su una trentina di testate di
massima potenza pronte a esplodere con un minimo preavviso.
Immaginate che, ogni tanto, ma con regolarità, quel potenziale
distruttivo vi dia qualche segno di sé: tremori, fumarole calde,
getti di acqua bollente, fanghi all'arsenico, la nascita di una
nuova collina e l'incessante alzarsi e abbassarsi di tutta la zona.
Immaginate, infine, che, invece di controllare con il dovuto
rispetto e con la giusta attenzione quel punto caldo sotterraneo,
facciate di tutto per dimenticarlo: sopra l'asse di una testata
costruite un ospedale, sopra quello di un'altra un ippodromo, e poi
un quartiere, una serie di infrastrutture e, infine, una città di
quasi 80.000 abitanti. Fatto? Ecco, questo è esattamente quanto
abbiamo inscenato, nel tempo, ai Campi Flegrei, il nostro
supervulcano, non il più grande, ma certo il più pericoloso del
mondo. Con l'aggravante che, nel caso si ripeta l'esplosione
vulcanica peggiore della loro storia, il paragone con alcuni ordigni
nucleari non sarà sufficiente per difetto.
Un supervulcano è diverso da un vulcano tradizionale: in qualche
caso, come questo, non è nemmeno una montagna, tantomeno a forma di
cono. È un pentolone sotterraneo colmo di magma ribollente, ed è in
grado di sprigionare eruzioni esplosive che, in linea teorica,
possono addirittura minacciare una società o una civiltà. In quel
caso i flussi piroclastici, cioè le valanghe ardenti di polveri,
ceneri e gas, traboccherebbero a 200 km/h livellando paesaggio e
topografia, oltre a cancellare ogni traccia dei sapiens e delle loro
città. I Campi Flegrei sono un sistema composto da una trentina di
vulcani, formatosi circa 60.000 anni fa per collasso dopo
un'incredibile eruzione di circa 80 km cubici di magma, cui si
susseguiranno altre eruzioni parossistiche come quella che ha
generato il Tufo Giallo napoletano, prodotto circa 15.000 anni fa in
quella che viene considerata l'eruzione più violenta di tutto il
Mediterraneo. Proprio ai Campi Flegrei, nel 1538, nacque in
pochissimi giorni un vulcano di tutto rispetto (il Monte Nuovo), che
ancora oggi campeggia nel paesaggio locale.
I terremoti di questo periodo, il rigonfiamento misurabile e
costante della crosta terrestre, i cambiamenti di composizione e di
temperatura delle fumarole sono i parametri che i ricercatori
dell'Osservatorio Vesuviano-INGV tengono sotto costante controllo:
in base a quelli si stabilirà se si sta approssimando un'eruzione e,
approssimativamente, di che portata. E diciamo subito che, se fosse
di dimensioni cospicue, ci sarebbero quasi certamente alcuni giorni
di preavviso. Giorni che dovrebbero vedere la popolazione a rischio,
oltre 500.000 persone, ripercorrere quanto già fatto durante le
esercitazioni: riunirsi presso punti prestabiliti, non utilizzare i
mezzi privati, non portare con sé che effetti personali e dirigersi
verso le città di destinazione. Piano di esodo, si dovrebbe
chiamare, non di evacuazione, perché non prevede il ritorno a breve.
Esattamente come si dovrebbe fare al Vesuvio. Non c'è un
collegamento diretto fra il Vesuvio e i Campi Flegrei, anche se la
fonte profonda dei due complessi vulcanici potrebbe essere comune, a
oltre 10 km di profondità: più precisamente la camera magmatica che
alimenta questi ultimi dovrebbe essere ubicata sotto la città di
Pozzuoli, a circa 4 km di profondità, anche se, forse, è solo quella
più superficiale. Perciò è difficile prevedere dove avverrà
esattamente la prossima eruzione.
In sintesi, non sappiamo se quanto sta accadendo oggi sia da
riferirsi a movimenti nella camera magmatica in senso stretto, e, in
quel caso, la situazione sarebbe critica, oppure a un innalzamento
dei fluidi che risiedono "in testa" al magma e che esercitano una
pressione pur sempre preoccupante, ma non necessariamente foriera di
una catastrofe. La memoria del bradisismo è sempre fresca: dal 1982
al 1984 si è verificata l'ultima crisi di sollevamento (circa due
metri), accompagnata da circa 10.000 piccoli terremoti, che
costrinse addirittura all'evacuazione di 40.000 abitanti. Dal 2005
il suolo è di nuovo in sollevamento fino a circa 70 cm. Curiosa
parola bradisismo, che contiene una contraddizione in termini,
significando sisma lento (mentre è noto che i sismi sono per
definizione istantanei), ma conosciuta in queste terre fino dal
tempo dei romani e da prima ancora. Studi recentissimi, hanno messo
in luce che è una fonte magmatica fra 12 e 16 km la responsabile del
bradisismo degli anni Ottanta proprio per aver "innalzato" a circa 8
km di profondità 3 km cubici di magma. Da quest'ultima sono partiti
i convogli idrotermali che probabilmente alimentano anche l'attuale
crisi in corso. In questo caso sarebbero i fluidi a governare i
fenomeni più superficiali, non direttamente il magma. Ma ai Campi
Flegrei l'attenzione deve necessariamente rimanere sempre alta.
27.09.23
Il doppio gioco
A che gioco sta giocando Kaïs Saïed? Dopo l'ultimo colpo di
scena del presidente tunisino, se lo stanno chiedendo molti addetti
ai lavori a Bruxelles. Lunedì sera, al termine della riunione del
Consiglio di sicurezza nazionale, il leader del Paese nordafricano
ha incaricato il ministero degli Esteri di comunicare alla
Commissione europea l'annullamento della missione prevista per il
fine settimana a Tunisi, fissata proprio per discutere
dell'applicazione del Memorandum siglato con l'Unione europea.
Rinviata «a data da destinarsi».
La decisione è stata presa poche ore dopo la riunione svoltasi a
Bruxelles tra i rappresentanti degli Stati membri Ue, dedicata
proprio al Memorandum con Tunisi, ma soprattutto poche ore prima del
viaggio a Mosca del ministro degli Esteri e della Migrazione, Nabil
Ammar. Durante il quale il capo della diplomazia tunisina ha stretto
un patto con il suo omologo Sergey Lavrov: Mosca aiuterà la Tunisia
acquistando prodotti tessili e incrementando i flussi turistici
verso il Paese mediterraneo, che in cambio importerà il grano russo.
La tempistica dell'annuncio non è affatto passata inosservata.
Secondo quanto trapela da fonti che hanno diretta conoscenza del
dossier, sarebbero due gli elementi che hanno provocato
l'irritazione di Saïed e che lo avrebbero spinto ad annunciare la
cancellazione dell'incontro previsto tra i funzionari europei e
quelli tunisini. In primo luogo non sono state ben accolte le parole
del presidente francese Emmanuel Macron, che durante l'intervista
televisiva di domenica sera aveva ventilato l'ipotesi di inviare
«esperti europei» per aiutare la Tunisia a controllare le frontiere.
Ma ad irritare il presidente tunisino sarebbero state anche le
notizie arrivate da Bruxelles al termine della riunione tra i 27
rappresentanti permanenti degli Stati membri e la Commissione
europea, convocata proprio per fare il punto sull'applicazione del
Memorandum.
La decisione di tenere «riunioni regolari» sull'applicazione
dell'accordo con Tunisi è stata percepita come una sorta di
pressione da parte dei governi europei. Ma non solo: le
indiscrezioni sulla volontà di «aiutare» la Tunisia a istituire una
propria zona di ricerca e soccorso (Sar) hanno avuto un'eco
significativa nel Paese, anche perché a luglio – in occasione della
firma – era stato subito precisato che il Memorandum non prevede
l'obbligo di istituire una zona Sar. In questo senso, e in risposta
alle parole di Macron, andrebbe dunque letta la decisione di Saïed.
Il quale non ha motivato la decisione di rinviare l'incontro con i
funzionari Ue, ma ha fatto trapelare che il suo Paese «non intende
cedere la minima parte di sovranità nazionale». Un argomento
utilizzato anche due settimane fa quando Tunisi aveva negato
l'ingresso nel Paese a una delegazione della commissione Affari
Esteri del Parlamento europeo.
Al di là degli sgambetti diplomatici del presidente, il segnale che
più desta preoccupazione a Bruxelles è arrivato ieri da Mosca. Il
ministro Ammar e il suo omologo Lavrov si sono incontrati e al
termine del bilaterale hanno ribadito la «convergenza di opinioni»
su diverse questioni internazionali come «la causa palestinese, il
dossier Libia e il ritorno della Siria nella Lega araba». Lavrov ha
anche espresso il sostegno del suo Paese «al processo di riforme
avviato da Saïed», dopodiché i due hanno sottolineato la volontà di
«rafforzare la cooperazione bilaterale» in diversi settori, tra cui
quello dell'alta tecnologia e del nucleare civile. Lavrov ha
ricordato che la Tunisia è uno dei principali partner africani della
Russia, con uno scambio commerciale che nei primi sei mesi del 2023
ha toccato quota 1,2 miliardi di dollari. E ha annunciato che Mosca
aumenterà gli acquisti di prodotti tunisini, «in particolare
agricoli e tessili», e incrementerà i flussi turistici verso il
Paese nordafricano per riportarli ai livelli pre-Covid, vale a dire
attorno a 600 mila presenze. Dal canto suo, Tunisi incrementerà gli
acquisti di grano russo: Lavrov ieri ha annunciato che il primo
lotto è già in viaggio verso la Tunisia.
La Commissione ha provato a minimizzare il «respingimento» della sua
delegazione, dicendo che «sono in corso contatti regolari tra l'Ue e
la Tunisia, a livello politico e tecnico» e che «stiamo attualmente
cercando con le autorità tunisine il momento migliore per entrambe
le parti» per fissare un incontro. Ma il nuovo stop non aiuta
l'attuazione di un piano già molto problematico. Venerdì scorso
l'esecutivo europeo aveva annunciato il via libera a 127 milioni di
euro per la Tunisia, di cui 60 come assistenza al bilancio. Dei
restanti 67 milioni, destinati a sostenere il contrasto
all'immigrazione, solo 42 fanno però parte del Memorandum firmato a
luglio. L'accordo sancito prima dell'estate prevedeva 105 milioni di
euro per il capitolo immigrazione e ulteriori 150 milioni per
l'assistenza al bilancio dello Stato, che però non saranno sborsati
prima di fine anno. —
Trump e i suoi figli responsabili di frode per gli asset gonfiati
Donald Trump e i suoi figli adulti sono responsabili di frode,
«avendo fornito per circa un decennio false informazioni finanziarie
gonfiando il valore dei loro asset sino a 3,6 miliardi di dollari
nei confronti di banche e assicurazioni». Lo ha stabilito il giudice
di New York Arthur Engoron dando ragione alla procuratrice generale
Letitia James a pochi giorni dall'inizio del processo civile in
materia. Il giudice ha anche ordinato che alcune delle licenze
commerciali di Trump siano revocate come punizione, rendendo così
difficile o impossibile per lui e i figli adulti fare affari a New
York. Lo stesso giudice ha annunciato che continuerà a esserci una
figura indipendente che supervisiona le operazioni della Trump
Organization.
GENOCIDIO ARMENO : Moltissimi sono i proverbi che la saggezza
popolare ha inventato per descrivere situazioni estreme (e
terribili) come quella in cui si trova oggi la popolazione del
piccolo ma importantissimo territorio di montagna chiamato
Nagorno-Karabakh (Artsakh per gli abitanti, montanari armeni del
Caucaso, essendo l'altro nome per loro una memoria costante di
dominazioni straniere).
Ma quello che più trovo adatto al momento attuale, nella sua
essenzialità atmosferica, è molto semplice: «Tanto tuonò che
piovve». Dopo la guerra perduta dell'autunno 2020, con un territorio
ridotto e minacciato da ogni parte, ci sono stati i tuoni delle
ripetute e sempre più accentuate minacce da parte azera: sia
verbali, grondanti odio e volontà di annientamento, che fisiche, con
progressivi sconfinamenti, rosicchiamenti di chilometri e chilometri
di territorio (ora in un punto ora nell'altro del contestato
confine), qualche bomba e qualche vittima, contadini a cui è
impedito coltivare i loro poveri campi, di vendemmiare le loro uve
prelibate, esercitando una pressione psicologica e fisica sempre
crescente.
Ma dopo i tuoni, ecco la pioggia: il blocco dal dicembre 2022 del
purtroppo famoso corridoio di Lachin (l'unica strada che collega
oggi l'Artsakh all'Armenia e al resto del mondo) che nello
stillicidio di ben otto mesi di durata ha prostrato le forze dei
circa 120.000 montanari armeni che ancora vi abitano, attaccati alla
loro antica patria come l'ostrica allo scoglio.
Ma non è bastato: ecco la grandinata finale, che distrugge ogni
cosa. Con una mossa largamente prevedibile, che solo la volontaria
cecità dell'intero Occidente può chiamare sorprendente, qualche
giorno fa è stato scatenato l'attacco definitivo, con l'impiego di
una potenza bellica tale da travolgere ogni resistenza. Sono bastate
24 ore: il governo autonomo dell'Artsakh si è piegato e sta
«trattando» la resa. Di quale trattativa possa trattarsi, e sotto
quale manto di ipocrisia possa essere coperta questa parola (a me
sembra il discorso dell'agnello col lupo prima di essere
mangiato...), lo ha descritto perfettamente – nel suo appassionato e
lucido intervento di qualche giorno fa alla Commissione per i
Diritti Umani "Tom Lantos" del Congresso degli Stati Uniti - Luis
Moreno Ocampo, procuratore capo della Corte Criminale Internazionale
dal 2003 al 2012: «Gli Stati Uniti stanno favorendo negoziati fra un
genocida e le sue vittime...non si può assistere da spettatori a un
negoziato fra Hitler e i deportati di Auschwitz!».
In queste ore, si sta verificando proprio questo. Mentre i
cosiddetti negoziati sono in corso, la gente dell'Artsakh ha gettato
la spugna e ha cominciato a scappare. Nella piccola capitale
Stepanakert, una cittadina linda e piacevole al centro di una conca
verdeggiante, arrivano con tutti i mezzi e con le loro povere cose i
contadini dei villaggi. Hanno distrutto quello che potevano, ma
sanno - per triste esperienza - che le loro chiese saranno
dissacrate e vandalizzate, le loro tombe aperte e le ossa dei loro
cari sparse al vento, come è già successo nei territori perduti dopo
la guerra del 2020. Sanno che l'intento preciso dei conquistatori è
quello di fare terra bruciata di migliaia di anni di civiltà armena
in quei luoghi e di riscrivere la storia, come è puntualmente e
totalmente avvenuto nell'altro territorio - armeno da millenni - che
era stato attribuito da Stalin alla sovranità azera, il Nakhicevan.
E questo è propriamente genocidio, come da definizione dell'Onu del
dicembre 1948: dopo l'eliminazione fisica, estirpare anche ogni
traccia della cultura del popolo annientato.
E non a caso, mi è arrivata anche la dichiarazione molto esplicita
in proposito di 123 intellettuali turchi, tutte persone coraggiose
che ben conoscono il rifiuto ancora totale da parte di tutti i loro
governi di riconoscere il genocidio compiuto dai Giovani Turchi più
di cent'anni fa: e che - fra l'altro! - stanno rischiando di
persona. Mettono in guardia contro la politica genocida portata
avanti dall'Azerbaigian (stretto alleato della Turchia) nel
Nagorno-Karabakh, e chiedono alla comunità internazionale di agire
per prevenire nuove tragedie, invece di restare a guardare. Il
regime azero, del tutto incurante delle sollecitazioni ricevute da
organizzazioni internazionali e da molti Paesi per interrompere il
blocco del corridoio di Lachin, ha lanciato operazioni militari
durante l'assemblea generale delle Nazioni Unite, scrivono, «mentre
il mondo intero osservava in silenzio. Esiste un chiaro pericolo di
pulizia etnica e di genocidio. Loro cercano di prendere il controllo
completo dell'Artsakh e di eliminare gli armeni dai territori dove
hanno vissuto per secoli, e in caso di resistenza semplicemente di
ucciderli».
Chiaro e partecipe, ma non basta. Nel silenzio colpevole dell'Ue,
forse però qualcosa si muove al Congresso americano. Sono state
presentate ben tre proposte di legge per un intervento umanitario
diretto e chiedendo sorveglianza per le popolazioni in pericolo.
L'autorevole Congressman Chris Smith, co-capo della Commissione per
i diritti umani del congresso, e un gruppo bipartisan hanno fatto
audizioni, compresa la situazione e appena depositata una proposta
di legge chiamata Preventing Ethnic Cleansing and Atrocities in
Nagorno-Karabakh Act of 2023 (H.R.5686), che esige che «il
Dipartimento di Stato crei una strategia dettagliata per promuovere
la sicurezza a lungo termine e il benessere degli armeni del
Nagorno-Karabakh, attraverso importanti misure di sicurezza.».
Questo piccolo popolo cristiano, con le sue chiese di cristallo, i
monasteri antichissimi, i preziosi manoscritti miniati e le celebri
croci di pietra è immagine forte per noi occidentali, immersi in
un'inerzia distratta e malata; e non può non far venire in mente le
gabbiette dei poveri canarini che i minatori portavano con sé come
segnale di pericolo, perché morivano prima degli esseri umani in
caso di perdite di gas...
Kosovo, 8 arresti dopo l'assalto al monastero "Erano armati, in un
video il serbo Radoicic"
Otto arresti, cinque serbi uccisi (anche se nelle prime ore il
numero comunicato era sette) e un imponente sequestro di armi e
munizioni a Banjska, nel Nord del Kosovo, nel monastero ortodosso
che domenica è diventato teatro di scontri e sparatorie fra forze di
polizia e serbi locali. Al bilancio delle vittime si aggiunge anche
un poliziotto kosovaro, ucciso dagli assalitori, una sessantina, che
si sono asserragliati dentro la struttura per molte ore.
Inizialmente, non si sapeva chi fossero gli uomini del commando. Con
il passare del tempo - e per stessa ammissione del presidente serbo
Vucic domenica sera - si è scoperto che si trattava di
indipendentisti serbi violenti e armati con kalashnikov. Tra loro,
secondo un video ripreso con un drone e diffuso dalle autorità di
Pristina, pare che ci fosse Milan Radoicic, un magnate dell'edilizia
che è anche un alto funzionario del partito politico Lista Serba, il
principale partito di etnia serba in Kosovo, finanziato da Belgrado.
Non è possibile verificare l'identità dell'uomo che compare nelle
immagini. Radoicic è stato sottoposto a sanzioni di Stati Uniti e
Gran Bretagna nel 2021 per aver presumibilmente preso parte ad un
gruppo criminale organizzato nei Balcani. Ieri, era la volta del
lutto nazionale a Pristina. Oggi e per tre giorni, tocca a Belgrado
piangere le vittime. Mentre Vucic chiede al Quint (Usa, Francia,
Italia, Germania, Regno Unito) che la Kfor, la forza di sicurezza
Nato, prenda il comando nel Nord del Paese a maggioranza serba
AZZARDO REGIONALE: Torna a suonare l'allarme gioco d'azzardo.
Dopo la contrazione causata dalle restrizioni della pandemia, è
stato registrato un nuovo boom di spesa. Lo certificano i dati
nazionali relativi al 2022, che riportano la cifra monstre di 136
miliardi di euro: è la più alta di sempre, una somma di gran lunga
superiore all'intero costo del Sistema sanitario. Scorrendo i dati
regionali emerge come il Piemonte abbia il poco lusinghiero record
dell'incremento rispetto alla situazione pre-Covid. Se infatti la
media nazionale si assesta su una crescita del 61,4%, nella nostra
Regione l'impennata è superiore di dieci punti percentuali (da 2,42
a 4,13 miliardi di euro). Le cause? Il dottor Paolo Jarre, ex
coordinatore dei Servizi per il disturbo da gioco d'azzardo del
Piemonte, non ha dubbi e punta il dito contro la riforma «liberalizzatrice»
voluta nel 2021 dalla giunta regionale Cirio. «Questo aumento di
spesa era ampiamente prevedibile con il ritorno di molte slot deciso
dalla nuova legge regionale. Non serviva un genio a capirlo: se
cresce l'offerta, sale anche la domanda».
Nel 2021 la giunta regionale ha modificato la normativa approvata
nel 2016 dall'allora presidente Sergio Chiamparino: sono state
diminuite le distanze delle slot dai luoghi sensibili (come scuole e
ospedali) e ridotti i poteri dei sindaci sullo spegnimento degli
apparecchi in determinati orari. «La legislazione di sette anni fa
era all'avanguardia per il contrasto delle dipendenze – spiega il
dottor Jarre –. Purtroppo ora il rischio concreto è che aumentino le
persone che soffrono di queste patologie».
La situazione del Piemonte è ancora più preoccupante, secondo gli
esperti, se si considerano i dati delle Regioni limitrofe, dove sono
in vigore restrizioni piuttosto morbide. In Lombardia la crescita
post-Covid è di due punti percentuali in meno rispetto al Piemonte,
mentre in Liguria arriva a -10%. Se nella nostra regione il ritmo di
crescita tra il 2020 e il 2022 fosse stato in linea con quello
nazionale, i cittadini avrebbero speso in apparecchi elettronici di
gioco e altre piattaforme fisiche oltre 220 milioni di euro in meno
(3,9 miliardi invece di 4,1). Un dato, che però non può confortare,
riguarda invece il ritmo di crescita del gioco online: in Piemonte,
dal 2021 al 2022, è cresciuto "solo" del 5,4% (la media nazionale è
dell'8,8%) passando da 4 a 4,3 miliardi di euro.
L'impressione dei dati è confermato dai servizi che prendono in
carico le persone con dipendenza da gioco d'azzardo. «Purtroppo dopo
la pandemia ci sono state moltissime persone che hanno sofferto una
ricaduta e tornano a chiedere aiuto agli sportelli dedicati -
aggiunge il dottor Jarre -. Il fatto di aver ritrovato la slot nella
tabaccheria sotto casa dopo che era stata rimossa è senza dubbio un
fattore di rischio che non si può ignorare».
Intanto ieri il Consiglio regionale ha bocciato la proposta di legge
di iniziativa popolare sul contrasto al gioco d'azzardo patologico,
che aveva raccolto più di 12 mila firme. Libera, Cgil Piemonte, Arci
Piemonte e decine di altre realtà del terzo settore chiedevano di
ripristinare le restrizioni contenute nella legge del 2016. «In aula
è arrivato il no di Lega, FdI e Forza Italia a una proposta di legge
di buonsenso – ha attaccato il gruppo dei Cinque Stelle –. Una nuova
norma è urgente dopo il Far West voluto dal centrodestra:
l'obiettivo era creare occupazione, ma l'hanno creata solo per gli
assistenti sociali e per i centri di sostegno alle vittime di
ludopatia e azzardopatia». Anche Monica Canalis (Pd) accusa la
maggioranza: «C'è stata totale indifferenza per una massiccia
mobilitazione dal basso. Le attività economiche devono essere
regolate per non nuocere alla salute e al benessere della
popolazione». —
26.09.23
Il Dr. Rand Paul continua la lotta contro i mandati
COVID-19 per le pagine del Senato
Come continuazione dei miei sforzi per proteggere le libertà
individuali e respingere mandati non scientifici, la settimana
scorsa ho presentato una risoluzione che avrebbe protetto le pagine
del Senato dall’imposizione di requisiti di vaccinazione legati al
COVID-19, soprattutto data la miriade di studi che lo dimostrano.
per le persone giovani e sane i rischi posti dal vaccino sono
maggiori dei rischi posti dal COVID-19.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato un aumento del rischio
di miocardite per bambini e adolescenti dopo l’assunzione di un
vaccino mRNA contro il COVID-19 e che, per le persone giovani e
sane, i rischi posti dal vaccino sono maggiori dei rischi posti dal
COVID-19. Inoltre, vi è consenso sul fatto che i vaccini non fermano
la trasmissione del COVID-19.
Per la terza volta, i democratici del Senato si sono rifiutati di
seguire la scienza e si sono opposti alla mia risoluzione approvata
con consenso unanime.
Nessuno dovrebbe essere costretto a sottoporsi ad un intervento
medico contro la propria volontà. In una società libera, nessuno
dovrebbe essere costretto a ricevere nel proprio corpo un'iniezione
che non desidera.
Puoi guardare i miei interventi in sala QUI e
leggere di più sui miei sforzi QUI .
IL VERO VOLTO DI ERDOGAN :
Recep Tayyip Erdogan arriva in Azerbaigian, nell'exclave del
Nakhichevan che confina con la Turchia e che un giorno potrebbe
unire i due Paesi, incontra il presidente azero Ilham Aliyev e
celebra il successo dell'operazione «anti-terrorismo» nel
Nagorno-Karabakh. Il tutto mentre continua l'esodo di migliaia di
abitanti armeni dall'enclave riconquistata da Baku. Erdogan e Aliyev
hanno inaugurato un nuovo gasdotto che lega i due Paesi e il leader
turco ha sottolineato che «ha reso orgogliosi il fatto che
l'Azerbaigian abbia portato avanti l'operazione in tempi brevi e con
il massimo rispetto per i civili», per poi giustificare l'azione
azera: «Sono passati tre anni dalla seconda guerra del Karabakh e
l'Azerbaigian ha espresso le sue preoccupazioni ma queste sono
rimate inascoltate, a causa di questa situazione ha dovuto portare
avanti un'operazione anti-terrorista». La resa delle forze
separatiste armene ha però provocato un esodo di massa. Quasi 3.000
armeni sono entrati in Armenia dal Nagorno-Karabakh.
Diverse centinaia di rifugiati hanno iniziato domenica ad
attraversare il confine, diventando i primi civili a raggiungere
l'Armenia in quasi un anno, dopo un blocco di 10 mesi da parte
dell'Azerbaigian. Ora il timore dell'Armenia, scossa da una grave
crisi interna e con il premier Nikol Pashinyan contestato dalla
popolazione, è che l'Azerbaigian possa rivendicare nuovi territori.
Nel suo discorso Erdogan ha anche alluso a possibili futuri cambi di
confine. «Sfortunatamente – ha notato – le autorità sovietiche hanno
sottratto la regione dello Zangezur occidentale all'Azerbaigian e
interrotto il collegamento terrestre con il Nakhichevan». Si tratta
della regione armena di Syunik, dove Erevan ha già rafforzato le sue
difese. A differenza del Nagorno-Karabakh, però, questa regione è
parte integrante dell'Armenia e un attacco violerebbe la Carta
dell'Onu. Difficile che Baku possa passare in tempi brevi all'azione
ma intanto rafforza i suoi rapporti con l'Occidente. Oltre a
diventare uno dei principali fornitori di gas dell'Europa, il
secondo dopo l'Algeria per l'Italia, ha concluso con Roma un accordo
per la fornitura di aerei militari da trasporto C-27J, prodotti da
Leonardo.
IL SOLITO BLUFF : Griffe taroccate vendute a Portofino Il sindaco
indagato: "Prodotti artigianali"
L'accusa mossa da Procura e Guardia di finanza è piuttosto
ricorrente, a valle dei blitz anticontraffazione che le Fiamme
Gialle compiono periodicamente un po' ovunque. E però in questo
frangente è stata mossa nei confronti del sindaco di Portofino
Matteo Viacava (centrodestra), dopo una ricognizione avvenuta
venerdì scorso nel suo negozio e in un magazzino ad esso collegato.
Il primo cittadino risulta infatti indagato dai magistrati genovesi
per «fabbricazione e commercio di prodotti con segni falsi», e
sempre la Finanza gli ha sequestrato 91 borse sospette, sulle quali
saranno eseguite perizie. Viacava è nei guai perché le griffe
taroccate sono saltate fuori da quella che è formalmente registrata
come "Tabaccheria Viacava Matteo" con sede in piazza della Libertà
13, appunto a Portofino. Oltre a essere il legale rappresentante, il
sindaco ne possiede la licenza e si definisce tra l'altro «titolare»
nel curriculum accessibile online.
L'antefatto del caso giudiziario era già finito sulle pagine di
cronaca dopo che un giornalista del Fatto Quotidiano aveva
denunciato la presenza di merce fasulla, previo sopralluogo
personale. Il cronista aveva postato in particolare le fotografie di
finte Fendi e di pochette Chanel proposte a 40 euro, che aveva
comprato ottenendo lo scontrino. Interpellato una prima volta sulla
vicenda, Viacava da una parte aveva ammesso che non si trattava di
veri prodotti firmati, ma genericamente «realizzati da un
artigiano». Dall'altra aveva tuttavia evocato un più classico
«attacco politico», collegandolo alla sua recente intraprendenza per
far intitolare una via del paese che amministra a Silvio Berlusconi.
Ieri, contattato più volte, ha invece preferito non rispondere.
L'affaire, dopo la divulgazione sui quotidiani, era approdato in
consiglio regionale, dove gli esponenti della Lista Sansa
(opposizione di centrodestra) ne avevano chiesto le dimissioni con
parole pesantissime.
25.09.23
MACELLERIA KOSSOVARA: In
Kosovo torna altissima la tensione tra serbi e albanesi, dopo che un
commando di terroristi vicini all'estremismo serbo ha preso
d'assalto il villaggio del monastero di Banjska, nel Nord del Paese,
al confine con la Serbia, nei pressi di Zvecan, uno dei comuni dove
già a maggio erano scoppiati violenti scontri. Sette assalitori sono
stati uccisi dalla polizia kossovara, quattro gli arrestati, mentre
nella notte di sabato ha perso la vita un agente di Pristina. Non si
sa di preciso chi sia questo gruppo, erano una trentina in tutto:
«Parlano serbo, sono professionisti, mascherati e in uniforme,
dotati di armi pesanti, granate e veicoli blindati», dicono le
autorità kossovare. Il premier Albin Kurti li identifica come
«uomini spalleggiati da Vucic», il presidente serbo, con cui
l'albanese ha tenuto colloqui in sede europea il 14 settembre,
miseramente falliti. La situazione tra i due Paesi peggiora di mese
in mese. Gli attentatori serbi si sono barricati nel monastero. La
sparatoria è iniziata alle 3 locali (le 2 da noi) di sabato notte ed
è durata tutta la domenica, finché in serata la polizia kossovara
non è entrata nel monastero. La forza di pace guidata dalla Nato, la
Kfor, e la missione europea Eulex sono pronte a intervenire. Il
monastero di Banjska è sotto la giurisdizione della chiesa ortodossa
serba. Radunava diversi turisti e pellegrini, al momento
dell'assalto. La miccia potrebbe scoppiare in maniera ben più
violenta che negli scorsi mesi, quando le elezioni in quattro
comuni, Zvecan, Leposavic, Zubin Potok e Mitrovica Nord, erano state
disertate in massa dai serbi, portando alla vittoria dei sindaci
albanesi (rappresentanti della minoranza in queste zone). All'epoca
erano partiti disordini tra i cittadini vicini a Belgrado e la Kfor,
con un bilancio pesante di decine e decine di feriti tra i militari
e i civili. Su 1,8 milioni di cittadini nel Paese, il 92% è di etnia
albanese, il 6% di etnia serba. Per Kurti «i colloqui con la Serbia
sono a un punto morto».
IL GRANDE BLUFF: Al centro-nord aprono le prime case di
Comunità, i maxi ambulatori aperti 7 giorni su 7 e h24 che
dovrebbero rafforzare la nostra sanità territoriale e
decongestionare i pronto soccorso affollati di codici verdi e
bianchi che potrebbero tranquillamente essere curati fuori
dell'ospedale. Ma in più di una regione devono averle scambiate per
centri anziani dove andare farsi una partita carte più che a
curarsi, visto che in quasi la metà delle strutture già avviate non
c'è il medico di famiglia, ossia la figura professionale sulla quale
dovrebbero reggersi. Ancora peggio va per i pediatri, presenti solo
nel 28% delle strutture, che nel 34% dei casi sono tra l'altro
aperte meno di 7 giorni e con un orario inferiore alle 12 ore.
A fornire i dati della partenza flop è l'Agenas, l'Agenzia per i
servizi sanitari regionali, che ha appena pubblicato il nuovo
monitoraggio sull'andamento delle nuove strutture territoriali
finanziate con 7 miliardi del Pnrr. Delle 1.430 Case di comunità da
realizzare entro il 2026 il governo ne ha già depennate 400 che non
si riuscirà a ultimare nei tempi previsti dal Pnrr. Per queste si
attingerà ai 10 miliardi ancora inutilizzati dal lontano 1988 del
Fondo per l'edilizia sanitaria, che se sono rimasti in cassaforte
per 25 anni un motivo ci sarà. Del migliaio di strutture che restano
da avviare da qui a poco più di due anni ne sono state attivate oggi
187, ossia il 19% circa. Ad averle messe su sono per ora sei
regioni: la Lombardia, che ne ha realizzate 92, l'Emilia Romagna 43,
il Piemonte 38, la Toscana e il Molise 6 ciascuna e l'Umbria che di
Case ne ha tirate su 2. Solo il 17% fanno apertura continuata per
tutta la settimana mentre i medici di famiglia sono i grandi assenti
nel 46% delle strutture, che rischiano così di trasformarsi in un
bluff per gli assistiti. Tanto più se si pensa che in base al
decreto che le ha istituite dovrebbero avere al loro interno team di
professionisti composti non solo da pediatri e medici di famiglia,
ma anche psicologi, logopedisti, dietisti, tecnici di riabilitazione
e, al bisogno, anche medici specialisti ambulatoriali come
cardiologi, diabetologi, ortopedici e quant'altro. In questa falsa
partenza invece non solo mancano i medici di medicina generale e i
pediatri, ma quando risultano presenti lo sono per poche ore: meno
di 30 ore a settimana nella metà delle Case di comunità, che in via
teorica dovrebbero invece essere sempre aperte, offrendo quindi
assistenza per 168 ore nell'arco dei sette giorni. Come dire che
nella metà delle strutture i nostri medici di famiglia latitano
proprio e nella restante metà coprono un orario che nella
maggioranza dei casi è pari più o meno al 20% dell'orario di
apertura.
Ma scarseggiano anche gli specialisti che oggi come oggi fanno nella
maggioranza dei casi 10 ore o poco più a settimana negli ambulatori
delle Asl. Troppo poche per lavorare poi anche in team nelle nuove
strutture.
Si dirà che siamo appena alle prime battute, che c'è tempo da qui al
2026 per rodare e mettere a regime la macchina della nuova sanità
territoriale finanziata dal Pnrr. Ma i soldi di quest'ultimo servono
per tirare su le mura e non possono essere utilizzati per pagare il
personale sanitario che deve lavorarci. E nella prossima manovra non
sembrano esserci soldi né per aumentare le ore di lavoro degli
specialisti ambulatoriali e nemmeno per farci lavorare i medici di
famiglia più giovani in rapporto di dipendenza come vorrebbe il
Ministro della salute, Orazio Schillaci. I primi nel 42% dei casi
lavorano negli ambulatori delle ASL per meno di 10 ore a settimana.
Il Ministro vuole portare l'orario a 38 ore ma siccome la
retribuzione dei medici specialisti va col tassametro le ore in più
vanno pagate. E non sono pochi soldi. Così come costa portare alla
dipendenza i medici di famiglia che oggi lavorano come liberi
professionisti legati da una convenzione con le Asl. Fatto che li
rende parecchio autonomi. Non a caso da decenni l'orario medio
settimanale dei loro studi resta ancorato a 15 ore. Quelle che a
volte fanno i loro colleghi ospedalieri, ma in un giorno. Anche se
poi a queste ore ne va aggiunta una manciata per le rare visite
domiciliari e per i pazienti presenti in sala d'attesa che vanno
visitati anche a orario di apertura dello studio oramai finito. Ma
sempre di un orario a scartamento ridotto si tratta e a questa
anomalia Schillaci vorrebbe mettere fine al più presto, pur sapendo
che il potentissimo sindacato di categoria, la Fimmg, è pronto far
muro per proteggere una libertà di decidere tempi e modi di lavoro
che pochi in sanità hanno. I soldi invece il ministro spera di
ricavarli dalle misure di razionalizzazione che vorrebbe inserire in
manovra, come il taglio del 20% degli accertamenti inutili o il
riaccorpamento di reparti e sale operatorie sottoutilizzate per
generare risparmi da reinvestire nelle nuove strutture territoriali.
Tutte cose tentante invano già in passato, e che se destinate a
nuovo fallimento rischiano di trasformare Case e Ospedali di
comunità in scatole vuote.
Anche la costruzione di questi ultimi, che dovrebbero ospitare i
pazienti in dimissione ma che non possono ancora essere spediti a
casa, viaggia a rilento. Finora ne funzionano solo 76, il 17% dei
434 che dovrebbero essere attivati entro il 2026. Di questi il
grosso si trova tra l'altro in Veneto, che vanta 38 ospedali di
comunità e in Lombardia, dove se ne contano 17. Altrove le briciole
oppure il nulla.
UNA REALTA' AMBIGUA : In una popolazione come quella italiana
che invecchia e con i malati che si cronicizzano ancor più dei
medici servono infermieri che garantiscano l'assistenza vicino al
letto dei pazienti. Peccato che ai 70 mila che già mancano
all'appello si aggiungeranno quelli in fuga dalle facoltà
universitarie di scienze infermieristiche. Segno di una disaffezione
crescente per un mestiere duro, con orari anche superiori alle 10
ore giornaliere e paghe da circa 1.600 euro al mese.
Pochi giorni fa alla chiamata per i test di ammissione si sono
presentati in 23.540, poco più dei 20.134 posti disponibili, con un
calo del 10% in un solo anno, che corrisponde a meno della metà dei
46mila candidati del 2013. Poiché non tutti passano l'esame di
ammissione e calcolando che durante i tre anni di corso il 30%
abbandona, vuol dire che di infermieri in futuro ne avremo sempre
meno. Secondo gli esponenti della categoria e delle Regioni ci
sarebbe bisogno di circa 25mila infermieri l'anno nei prossimi 10
anni invece ne avremo circa 10mila in meno. Senza calcolare la gobba
pensionistica che nel giro dei prossimi 15 anni vedrà uscire dal
mercato del lavoro 200mila professionisti sui 460mila attualmente in
servizio. Un'emorragia che rischia di lasciare scoperta soprattutto
l'assistenza territoriale.
La carenza di infermieri dagli attuali 70mila sale infatti a 90mila
se si vuole centrare gli obiettivi del Pnrr, che prevedono di
portare dal 3 al 10% la quota di popolazione anziana over 60
assistita con l'Adi, l'assistenza domiciliare integrata che poggia
proprio sulla figura nuova di zecca dell'infermiere di famiglia. Per
non parlare delle Case e soprattutto degli Ospedali di comunità. Una
situazione ai limiti che ha spinto la presidente della federazione
degli ordini infermieristici (Fnopi), Barbara Mangiacavalli, a
scrivere una lettera appello a Giorgia Meloni. "La professione che
amiamo e onoriamo sta morendo", è l'allarme, seguito da una serie di
richieste, come: "l'incremento della retribuzione, l'evoluzione
della formazione verso lauree magistrali specialistiche a indirizz o
clinico, un cambio immediato dei modelli organizzativi con maggiore
autonomia infermieristica nonché nuovi sbocchi di carriera".
Altrimenti, è il succo della missiva, "lo Stato non sarà più in
grado di garantire il diritto alla salute e all'assistenza a tutti i
cittadini". Cominciando da quella territoriale, che dovrebbe essere
rilanciata da Case e Ospedali di comunità dove si fatica a trovare
infermieri che ci lavorino.
Antonio Torella è uno di quelli che per avviare una Casa di comunità
è tornato dall'Inghilterra dove era migrato "come molti miei
colleghi attratti da turni più umani e retribuzioni all'altezza del
lavoro che siamo chiamati a svolgere. Solo che appena rientrato in
Italia ho iniziato ad essere tempestato di telefonate da parte di
strutture sanitarie inglesi che mi chiedono di rientrare con
retribuzioni da 1.600 euro a settimana anziché al mese come ne
guadagno qui in Italia".
Parole che spiegano come mai dal 2019 al 2021 siano espatriati
17.800 infermieri.
Per arginare questa emorragia che va di pari passo con la crisi di
vocazioni la Fnopi chiede prima di tutto un aumento del 200%
dell'indennità di specificità infermieristica, che sono poi 216 euro
lordi mensili, e nuovi sbocchi di carriera attraverso l'avvio di
corsi di specializzazione dopo la laurea triennale, così come
avviene per la varie branche mediche. Altrimenti, rimarca la
Federazione, "senza infermieri l'Italia non avrà più un Ssn degno di
questo nome"
24.09.23
CORROTTI E CORRUTTORI: Il
senatore democratico e la moglie accusati di corruzione Nel garage
anche una Mercedes Benz da 60 mila dollari
Soldi e lingotti d'oro nascosti negli armadi la caduta di Menendez
corrispondente da washington
Nella casa del senatore del New Jersey Bob Menendez, capo della
Commissione Esteri del Senato, democratico, gli agenti dell'Fbi
hanno trovato un tesoro. Migliaia di dollari appallottolati e
nascosti nelle giacche del senatore, tutte rigorosamente con le
iniziali ricamate; buste negli armadi e in una cassaforte.
La contabilità dice di 480mila dollari, oltre a lingotti d'oro per
un valore di 100 mila dollari. Nel garage anche una Mercedes Benz di
lusso da 60 mila dollari. Per arrivare ad accumulare tutta questa
ricchezza, il senatore – è l'accusa formulata in un dossier di 39
pagine dal procuratore della Corte federale di Manhattan – ha
incassato mazzette, regali (persino un congegno per la purificazione
dell'aria) e in cambio ha usato la sua posizione influente per
elargire favori, licenze a tre imprenditori del suo Stato, fra cui
un suo donatore, e per sbloccare, nel luglio 2018, 300 milioni di
aiuti militari all'Egitto in un pacchetto di oltre 2,5 miliardi. La
situazione del senatore è assai difficile, lui si è dichiarato
innocente evocando – trumpianamente – «un'inchiesta politicamente
motivata» e dicendo al procuratore che non conosce come funziona la
routine a Capitol Hill. Il governatore del New Jersey, Philip
Murphy, già venerdì sera ne ha chiesto le dimissioni da senatore:
«Sono accuse che implicano la sicurezza nazionale e l'integrità del
sistema penale».
Menendez ha replicato: «Non andrò da nessuna parte». Ieri ha fatto
invece il passo indietro – dovuto in base alle regole del Senato –
da capo della Commissione Esteri. La Casa Bianca mantiene il no
comment, ma la vicenda rischia di complicare l'agenda del
presidente. Menendez non è nuovo ad accuse di corruzione. Nel 2015 è
finito alla sbarra per aver ricevuto tangenti comprese vacanze di
lusso. Nel gennaio 2018 si è salvato poiché la giuria non è riuscita
a trovare un accordo e il Dipartimento di Giustizia ha così deciso
di non intentare un secondo processo.
Pochi mesi dopo ha conosciuto una donna, Nadine Arslanian, 56 anni
(lui ne ha 67) che ha sposato due anni dopo. Dai capi di imputazione
emerge un ruolo chiave per Nadine che dapprima ha introdotto Bob a
Wael Hana, imprenditore egiziano-americano esportatore di prodotti
halal e punto di contatto con il governo di Al Sisi. In un intreccio
di favori sempre crescente, Hana mette a libro paga la signora
Menendez (sino ad allora disoccupata) e ottiene l'impegno del marito
a oliare i meccanismi per scongelare gli aiuti militari che il
Dipartimento di Stato trattiene, a causa delle ripetute violazioni
dei diritti umani del governo del Cairo. Il senatore ha condiviso
con la moglie materiale sensibile del Dipartimento di Stato
contenente note su nazionalità e numeri di coloro che lavoravano
all'ambasciata Usa al Cairo. Informazioni che sono finite ai
funzionari egiziani passati dalla signora Nadine. Gli aiuti verranno
poi concessi. C'è una fitta rete di sms, intercettazioni, in un sms
inviato a un generale egiziano, Hana si riferisce al senatore come
«il nostro uomo». Anche la moglie è stata incriminata e come il
senatore si è dichiarata innocente.
23.09.23
Così Meloni in tv nel 2016 Una nota che gronda gelo. Scritta in sottrazione, scolastica
fino a divenire esangue: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni
«esprime cordoglio, a nome del governo italiano, per la scomparsa
del presidente emerito della Repubblica, sen. Giorgio Napolitano.
Alla famiglia un pensiero e le più sentite condoglianze». Chiunque
abbia dimestichezza con i comunicati istituzionali sa che in queste
poche righe c'è un giudizio politico e umano che non dà tregua alla
lotta e scivola verso qualcosa di molto simile al rancore. La prima
presidente del Consiglio post-fascista non concede nulla al primo
presidente della Repubblica comunista. Nemmeno la frase di rito – «è
stato un protagonista della vita politica del Paese» – che invece
usa l'altro leader della destra, Matteo Salvini, che più volte si
era scagliato contro Napolitano. Meloni non ha niente da dichiarare
se non tutta la disistima che ha espresso con dovizia di epiteti
espliciti e l'irriducibile aggressività che per anni è stata la
cifra della leader di Fratelli d'Italia, prima di giurare da premier
di fronte a un altro Capo dello Stato poco amato: «Vile incompetente
e traditore», lo definì così nel 2019, quando Napolitano non era più
presidente da quattro anni e si dibatteva della guerra in Libia del
2011: «O si è piegato alle pressioni della Francia o tramava con
Parigi contro i nostri interessi nazionali» era l'inappellabile
sentenza della sovranista. Tre anni prima, 2016, l'ex migliorista
del Pci non è più al Quirinale da oltre un anno. Si discute della
riforma costituzionale di Matteo Renzi: «Il lavoro di Giorgio
Napolitano non ha fatto bene all'Italia. Penso che siano sue
responsabilità la rimozione dell'ultimo governo eletto dagli
italiani e la nascita di tre governi non scelti da nessuno. A
Napolitano piace un'Italia in cui i cittadini contano poco. Fa parte
di un mondo e di un'intellighenzia che in Europa ritiene che il
popolo sia bue e non serva a nulla, e che sia un bene che ci sia
un'oligarchia di potere a governare». Complotti europei, guerre per
procura, élite contro popolo: nel ricettario populista di Meloni è
facile trovare il colpevole di tutto questo. E considera tale
Napolitano con un'assertività che è rimasta negli anni, e rivive
negli spazi vuoti della nota di ieri di Palazzo Chigi. La destra
intera lo accusò di qualsiasi trama cospiratrice, insofferente verso
il piglio interventista del presidente della Repubblica che
attraversò la crisi dell'euro e la caduta dell'impero di Silvio
Berlusconi nelle macerie boccaccesche delle cronache del Bunga Bunga.
Napolitano è sopravvissuto di pochi mesi all'ex premier, al leader
politico che forse più di tutti apertamente lo considerava il
regista di «un golpe» soft realizzato con la complicità di
Bruxelles. Eppure, questo non ha impedito a quel che resta del
partito di Berlusconi, ai vertici di Forza Italia, dal vicepremier
Antonio Tajani in giù, di arricchire il cordoglio con il ricordo
della statura politica di Napolitano, pur rimarcando la diversità
delle idee.
Ognuno interpreta come vuole l'avversario in cui si rispecchia.
Meloni non ammette le emozioni della fine, asciuga retorica e
sentimentalismo, pronta a vantare la propria «coerenza» fino
all'ultimo. Non un passo indietro: la violenza vulcanica degli
attacchi di un tempo diventa l'arido deserto di due frasi al limite
del fastidio, di oggi. Resta in solitaria. Con l'effetto che il
comunicato fa emergere una contraddizione lampante se lo si
confronta con le parole piene di affetto, di aggettivi e di
riconoscenza verso Napolitano del presidente del Senato e
cofondatore di FdI Ignazio La Russa («straordinario testimone»), e
del capogruppo alla Camera Tommaso Foti («la sua morte non
cancellerà il ricordo del protagonista assoluto della vita pubblica
che ha servito le istituzioni con grande abnegazione»). Al punto da
far dubitare se, nel giudizio di Meloni, si siano travalicati i
rapporti politici, e ci sia qualcosa di molto più personale.
UN ESEMPIO DI FURBIZIA : «Irregolarità nei bilanci», cassa
integrazione Covid mentre i dipendenti continuavano a lavorare,
mancato pagamento di Tfr e liquidazioni, aziende in «evidente stato
di insolvenza». Accuse che la ministra al Turismo Daniela Santanchè,
nel corso della sua informativa al Senato dello scorso 5 luglio, ha
definito solo «ricostruzioni giornalistiche per creare collegamenti
inesistenti, dubbi malevoli e odiosi sospetti», ma da tempo al
centro di fascicoli di indagine aperti dalla procura di Milano in
base agli accertamenti chiesti a Inps, Gdf e Consob. Sono tante le
cose che la senatrice Daniela Santanchè dovrà spiegare ora, almeno
alla premier Giorgia Meloni, nel corso di un incontro che - da
quanto è trapelato - si terrà al termine del Cdm di lunedì.
Un chiarimento che si sarebbe reso necessario dopo che sul fronte
Visibilia, la ministra ha ricevuto la richiesta proroga
dell'inchiesta che ufficializza che - come da novembre 2022 scrivono
i giornali - è indagata per falso in bilancio e bancarotta
fraudolenta. Ma soprattutto dopo che, anche sul fronte Ki Group, i
pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi hanno respinto la richiesta
di concordato semplificato proponendo invece la liquidazione
giudiziale, il vecchio fallimento, di tre società del gruppo: la
srl, la holding e Bioera. L'udienza si terrà il 2 novembre.
Partecipazioni nel colosso bio
In Parlamento, Santanchè ha sostenuto di non aver «mai avuto il
controllo o partecipazione di un qualunque rilievo nelle imprese del
settore dell'alimentare biologico. La mia partecipazione in Ki Group
srl non ha mai superato il 5 per cento». A smentirla sono i primi
accertamenti e gli stessi dipendenti di Ki Group: non solo Santanchè
sarebbe stata «ben presente in azienda almeno fino al 2022» ma
attraverso Bioera (che ha presieduto fino a febbraio 2022) e «un
patto parasociale» con l'ex compagno Canio Mazzaro avrebbe
esercitato il controllo della società. Per di più intascando, a
differenza di quanto sostiene, centinaia di migliaia di euro
all'anno, come anticipato da Report, bilanci alla mano.
Stipendi e Tfr a Ki Group
Quanto ai lavoratori licenziati o costretti a dimettersi, in Senato
la ministra ha sostenuto che «il personale è fuoriuscito
dall'azienda nel corso dell'anno 2023, quando io già da tempo non
avevo alcun ruolo. Tuttavia ho chiesto informazioni e posso
assicurarvi che i lavoratori dipendenti verranno soddisfatti con
riguardo a tutti i loro diritti». A parte il fatto che molte
fuoriuscite risalgono invece al 2021, almeno 11 di questi dipendenti
si sono rivolti al Tribunale per chiedere la liquidazione giudiziale
dell'azienda con l'avvocato Davide Carbone: vantano cifre che vanno
dai 30 agli oltre 100 mila euro a testa e non hanno ancora visto un
euro.
La dipendente in cassa Covid
Nel corso del suo intervento, la ministra - pur senza chiamarla per
nome - è stata molto dura con Federica Bottiglione, ex investor
relator di Visibilia, in cassa integrazione a zero ore «a sua
insaputa» mentre la società continuava a fruire delle sue
prestazioni. «Pur ritenendo le sue informazioni infondate e pur
essendo certa che quella dipendente non ha messo piede in Visibilia
dall'entrata della cassa integrazione, la società ha preferito
sanare la sua posizione considerando la lavoratrice in servizio per
tutto il periodo». A smentire Santanchè sono innanzitutto le
registrazioni delle telefonate tra Bottiglione e il compagno e socio
della ministra, Dimitri Kunz, trascritte in un'annotazione della
Finanza: «Federica so' tutti a zero ore… Tutti… Non è che possiamo
rendere i soldi all'Inps, perché sarebbe come ammettere». Peraltro
sembrerebbe vero che dei soldi siano stati inviati all'Inps. Denaro
che non regolarizzerebbe però alcuna posizione in quanto sarebbe
stato versato senza giustificativo - perché «sarebbe come
ammettere…» - e dalla srl mentre «sono stata in cassa a zero ore da
marzo del 2020 ad ottobre del 2021, mentre ero dipendente di
Visibilia Editore spa - sottolinea Bottiglione - . Dopo averlo
scoperto, a novembre 2021, mi hanno tolto dalla cassa e trasferito
nella srl fino al licenziamento».
La presunta truffa
«Sono stata accusata giornalisticamente addirittura di truffa ai
danni dello Stato», sottolinea ancora Santanchè, spiegando che oltre
a Bottiglione «nessun altro dipendente si è lamentato». In effetti,
nel fascicolo aperto dai pm, i primi nomi nel registro degli
indagati saranno iscritti solo dopo un incontro che si terrà a breve
con i dirigenti dell'Inps. Secondo gli accertamenti dell'ufficio di
Vigilanza ispettiva dell'Istituto, tra Visibilia Editore e Visibilia
Concessionaria, erano in tutto tredici i lavoratori in cassa tra il
2020 e il 2021, per un importo complessivo di 126.468,60 euro di
fondi pubblici erogati e un totale di 12.019 ore di cassa.
Dalle telefonate registrate da Bottiglione emergerebbe che almeno
altri due colleghi, oltre a lei, avrebbero lavorato mentre l'azienda
usufruiva degli ammortizzatori sociali. E «per nessuno - scrive
l'Inps - risultano regolarizzazioni richieste o approvate nel
periodo oggetto di indagine».
Il tesoro di Abramovich il potere dei soldi :
Gennaio e febbraio 2022 devono esser stati, per Roman Abramovich,
mesi impegnativi. Ma mesi di successo. Tre settimane prima che Putin
invadesse l'Ucraina, dove di lì a poco l'esercito russo avrebbe
commesso i crimini contro l'umanità avvenuti a Bucha, Mariupol,
Izyum e in tanti altri luoghi, Abramovich – con tempismo
incredibile, e forse sospetto – preparava l'operazione per mettere
in salvo i suoi yacht portandoli in Turchia (via Montenegro) e
navigando a luci spente anche al largo della Sicilia (Capo Passero).
Iniziava a riorganizzare i suoi beni in almeno dieci trust molto
opachi, controllati dai figli (si è così svestito di almeno 4
miliardi di dollari, salvandoli da sequestri e sanzioni). E faceva
anche, apprendiamo adesso, un'operazione, diciamo così, artistica:
cedere alla ex moglie Dasha Zhukova l'1% di controllo del fondo che
possiede il suo patrimonio di opere d'arte. Un capolavoro nel
capolavoro: sfuggire alle sanzioni europee e britanniche. La "Danseuse
de la Barre" di Degas e "La Plage à Trouville" di Monet. E poi
Malevich, Picasso, Francis Bacon, Lucian Freud, Alberto Giacometti,
Anselm Kiefer, Magritte, David Hockney. Abramovich, attraverso un
fondo fiduciario, possiede, infatti, una collezione di capolavori
artistici spaventosa che valeva, già nel 2018, quasi 1 miliardo di
dollari. Il dettaglio del catalogo, e come il miliardario russo l'ha
salvato dai sequestri, è stato scoperto da IStories che, assieme ad
altri media, ha ottenuto e visionato documenti leakati del fondo. Il
trust fiduciario è controllato dalla ex moglie di Abramovich, che ne
possiede il 51%, mentre l'ex proprietario del Chelsea ne possiede il
49%: ma la cessione dell'1% di controllo è avvenuta casualmente
giusto tre settimane prima dell'invasione su larga scala della
Russia in Ucraina.
L'oligarca forse più amato da Vladimir Putin, e la sua ex moglie,
Daria Zhukova, possedevano 369 opere d'arte del valore di 962
milioni di dollari già nel 2018, con gusti piuttosto sofisticati, lo
si ricava dai file leakati del registro delle imprese cipriota
MeritServus.
Molte di queste opere erano però totalmente sparite dalla vista
pubblica di noi cittadini europei, benché appunto intestate a una
proprietà collocata in Europa, e gli esperti si interrogavano con
una certa inquietudine sul loro destino. Per esempio la "Suprematist
Composition, 1919-1920" di Kazimir Malevich, che fu battuta nel 2000
per 17 milioni di dollari da Christie's a un acquirente anonimo. Non
si è mai saputo chi fosse. Ora sappiamo con certezza che, almeno dal
2013, il dipinto apparteneva ad Abramovich.
Secondo i documenti leakati, le opere sono incorporate in una
società offshore, di nome Seline-Invest, fondata a Cipro e passata
poi a Jersey, che è controllata dal trust cipriota Ermis Trust
Settlement, che fu fondato da Abramovich. Dopo il divorzio,
Abramovich e Zhukova si erano divisi a metà le azioni del trust –
quindi le opere appartenevano formalmente a entrambi – ma tre
settimane prima dell'invasione russa in Ucraina il miliardario
considerato da tanti osservatori l'oligarca più vicino a Putin ha
conferito a Zhukova un altro 1%. Di conseguenza il fondo fa ora capo
a lei, che non ricade sotto sanzioni europee, e oltretutto ha la
cittadinanza americana.
Nessuno sa con esattezza dove siano queste opere – alcuni ritengono
in uno o più caveau in Svizzera – certo è che di molte non si
conosceva più la sorte. Quando, nell'ottobre del 2022, è stata
aperta alla British National Gallery la mostra su Lucien Freud,
molti dei suoi dipinti erano scomparsi. L'acquisto delle opere fece
parte, negli anni zero, della esibita "occidentalizzazione" di
Abramovich, che si offriva al mondo come il presunto "volto liberal"
della nuova cerchia di Putin. Prima l'acquisto del Chelsea, avvenuto
nel 2003 per 60 milioni di sterline.
E poi, appunto, il generosissimo acquisto di opere d'arte, pezzi di
museo, l'attività di mecenate. Nel 2008 Abramovich compra da
Sotheby's per 86,3 milioni di dollari il trittico di Francis Bacon.
Qualche tempo dopo, va da Christie's e spende 33,6 milioni per un
Lucian Freud celeberrimo ("Benefits Supervisor Sleeping").
Lo fa in parte perché spinto dalla allora moglie Dasha Zhukova.
Zhukova nel 2015 apre una sontuosa galleria d'arte contemporanea a
Mosca intitolata "Garage": in partenza, uno scarno garage, che poi
l'archistar più star degli architetti occidentali, l'olandese Rem
Koolhaas, trasforma. Quel "Garage" era stato un ristorante simbolo
dell'epoca sovietica a Mosca, il "Vremena Goda" a Gorky Park. E la
storia sembrò a molti iconica della trasformazione – in cui, per
fame di affari, tanti in occidente volevano credere – dal cupo
grigiore rimasto addosso all'ex agente chekista nella Ddr al
glamour, glitter e caviale dello stile di vita occidentale con un
tocco d'Asia.
Zhukova, che era la terza moglie di Abramovich, era già all'epoca
legata a Ivanka Trump e Jared Kushner e all'ex moglie di Rupert
Murdoch, Wendi Deng. Ivanka, un mese prima dell'invasione della
Russia in Crimea, postò una foto su Instagram che la ritraeva
assieme a Zhukova e Wendi Deng con una bottiglia di vino e la
didascalia: «Grazie per quattro giorni indimenticabili in Russia!».
Nel gennaio 2016 fu scritto, e nessuno smentì, che Zhukova era stata
addirittura all'inaugurazione di Trump, ospite proprio di Ivanka. Le
gallerie d'arte newyorchesi Artsy vedevano nel team principale –
stava scritto nel sito ufficiale –, tutti insieme, personaggi come
appunto Wendi Murdoch, Dasha Zhukova – allora ancora sposata con
Abramovich –, Josh Kushner, il fratello di Jared, Peter Thiel
(fondatore della contestata azienda di dati e military contractor
Palantir e grande azionista di Facebook), Eric Schmidt (Google) e
Jack Dorsey (Twitter).
L'esperta d'arte Georgina Adam constata adesso amara: «Si scopre che
gli investimenti di Abramovich nell'arte hanno portato al fatto che
le persone ora sono private dell'opportunità di vedere alcune delle
più grandi opere del nostro tempo».
Il Russian Asset Tracker del consorzio investigativo «Occrp» fissa
la somma complessiva minima degli asset di Abramovich a circa 9,9
miliardi di dollari. Ma sembra sempre più una stima per difetto, e
soprattutto, chissà quanti sono stati già stornati a amici,
familiari, parenti e vari nomi. —
XI IL POLPO : Cina e Siria si avviano a lanciare un
«partenariato strategico». Lo ha detto il presidente Xi Jinping
incontrando ad Hangzhou l'omologo Bashar al-Assad. «Il partenariato
– ha detto Xi – diventerà un'importante pietra miliare nella storia
delle relazioni bilaterali». Il presidente cinese ha offerto il suo
supporto alla ricostruzione della Siria devastata dalla guerra
civile scoppiata nel 2011. «Di fronte a un ambiente internazionale
instabile e incerto, la Cina sostiene l'opposizione della Siria alle
interferenze straniere, al bullismo unilaterale e si muoverà per la
ricostruzione della Siria», ha affermato Xi. Il presidente siriano
al-Assad ha sottolineato che Damasco «sostiene il ruolo costruttivo
della Cina sulla scena internazionale.
EFFETTO VIDEOGIOCO: «Una botta secca. Dai uccidilo,
finiscilo». Il gruppo lo incita. Armato di bastone, lo colpisce.
L'animale è agonizzante, stremato. Poi muore sotto i loro occhi. In
sottofondo, le risate degli amici. E il rumore delle bastonate sul
corpo inerme.
Sono in quattro, è sera. Incrociano un'anatra sul ciglio della
strada. È in fin di vita, la colpiscono più volte e riprendono con
uno smartphone. Probabilmente uno di loro gli urina anche addosso. «Guagliò
quell'uccello è ancora vivo», dice uno del branco. E da lì
l'incitamento alla violenza. Fino alla fine. Attimi di crudeltà poi
condivisi sui social. E ora proprio quelle immagini fatte girare in
cerca di follower ed esibite come vanto potrebbero essere
determinanti per rintracciare i giovanissimi responsabili. Sarebbe
accaduto tutto nel piccolo comune di Rodi Garganico, nel Foggiano.
Già partita la denuncia in procura, al momento contro ignoti, da
parte dall'associazione Lndc Animal Protection, che è entrata in
possesso del video. «Girava su Instagram e nelle chat di WhatsApp –
ricostruisce Alessandra Itro, tra i referenti dell'area legale - ed
è arrivato anche a noi». Tramite i loro volontari del posto, la
ricerca di altre informazioni. «Ma, come sempre, nessuno vuole
esporsi». A quel punto la scelta di diffondere le immagini,
confidando che - anche da un dettaglio - qualcuno possa riconoscere
gli autori, i cui volti non sono visibili. Le voci sono però
riconoscibili, così come il loro abbigliamento da adolescenti. Una
brutalità in sneakers e calzoncini. «Non sappiamo se minorenni o un
po' più grandi. Solo il fatto di aver ripreso la scena evidenzia la
gravità del gesto». Non solo non hanno soccorso un animale in
evidente difficoltà, ma si sono accaniti su di lui. «Un gesto
riprovevole e penalmente rilevante». Perché per l'uccisione di un
animale è prevista la reclusione sino a due anni.
Il video inizialmente è stato diffuso su un profilo social che
adesso risulta chiuso. L'auspicio degli animalisti è che la polizia
postale possa risalire all'utente. Ciò anche per prevenire
emulazioni, alla luce di un'escalation di episodi simili: la
capretta uccisa a calci ad Anagni, il gattino lanciato in un burrone
ad Avellino solo perché aveva un occhio malato, il riccio usato come
pallone per giocare a calcio a Bolzano. «Stiamo registrando una
casistica allarmante di queste violenze gratuite commesse da
ragazzi» dice Michele Pezone, coordinatore dell'ufficio legale Lndc.
La richiesta è di pene più severe e maggiore sensibilizzazione da
parte della scuola. «Da un lato, si potrebbe ritenere che l'utilizzo
dei social renda visibile ciò che prima rimaneva taciuto, ma la
nostra sensazione è di una recrudescenza di questi reati».
INGORDIGIA: Come tutto a Paraggi, anche un appezzamento di
terreno è ambitissimo. Un banale uliveto, per esempio, fa gola
perché qui niente è banale: solo la vista vale oro. Infatti ora che
è stata depositata a Genova un'istanza per usucapione di un piccolo
appezzamento sul monte di Portofino, nella parte alta su Paraggi, a
nessuno a Genova è sfuggito che i nomi dei contendenti sono a dir
poco eccellenti.
Da una parte le famiglie Pirelli e Tronchetti Provera, dall'altra
uno dei rami italiani dei Guggenheim, il casato di origine ebrea che
richiama in tutto il mondo l'omonima Fondazione d'arte ed il
prestigioso museo newyorkese. In mezzo a questi due marchi di
famiglie ricchissime e potenti, c'è questo uliveto che per il
registro del catasto italiano è al foglio 12, particella 348, del
Comune di Santa Margherita Ligure, frazione di Paraggi appunto.
Terreno che guarda dall'alto la baia e come tutto su quel monte è da
favola.
Ebbene questo appezzamento, da oltre 40 anni, è utilizzato come
giardino dalla famiglia Pirelli che attaccata ha la sua proprietà,
una villetta in via Acqua Morta, più altri terreni e alcuni
manufatti ex agricoli. I Pirelli - Cecilia, figlia del fondatore
dell'impero industriale Leopoldo, e il figlio maschio di lei,
Giovanni, avuto con l'ex marito Marco Tronchetti Provera,
rispettivamente usufruttuaria e proprietario della nuda proprietà
della villetta in questione - questo uliveto lo usano da quando
hanno comprato questa proprietà (nel 1974) e soprattutto lo hanno
curato e manutenuto finora spendendoci soldi e mettendolo più volte
in sicurezza perché rischiava di franare. Ora entrambi, madre e
figlio, hanno trasmesso al tribunale di Genova un'istanza per
chiedere il riconoscimento dell'usucapione, ovvero della piena
proprietà. I loro legali nell'istanza (Daniela Adamo e Giacomo Maria
Maccaferro) hanno chiarito che «come proprietari lo hanno sempre
conservato in buono stato, curato a proprie spese e hanno fatto più
volte gli interventi strutturali per mitigare il rischio
idrogeologico» (ovvero di frane e smottamenti).
Il punto, come scrivono ancora i legali, è che «in oltre
quarant'anni nessuno ha mai rivendicato alcun diritto sul terreno né
tanto meno ha contestato il potere esercitato dagli esponenti che si
sono sempre comportati quali unici proprietari. Il possesso
presenta, quindi, tutti gli elementi utili ai fini dell'acquisizione
della proprietà per usucapione: essendo inequivoco, pacifico,
continuo e ininterrotto...».
Ok, ma di chi sarebbe questo terreno? È qui che inizia una seconda
storia, non proprio un giallo ma quasi. Tecnicamente il mappale è
intestato alla signora Rosetta Lottero, vedova di Aldo Guggenheim.
La quale però, nata nel 1903, risulta deceduta nel giugno 1983 in
Svizzera, a Endingen. Ulteriori ricerche eseguite dai legali dei
Pirelli/Tronchetti Provera hanno chiarito che la coppia aveva una
figlia, di nome Laura Sandy Maria Ilda Guggenheim, nata a Genova nel
1926. La quale risulta essersi poi sposata a Roma nel gennaio del
1959. Di lei però, dopo il matrimonio, non è emersa nessun'altra
notizia. Non è risultata residente né all'anagrafe di Genova, né di
Roma né il suo nome compare nei registri dell'Aire, l'albo degli
italiani all'estero. Niente di lei e quindi zero di eventuali altri
eredi. In teoria, insomma, la proprietà dell'uliveto di Paraggi
risalirebbe a questa ex nobildonna ormai quasi centenaria (se ancora
viva avrebbe 97 anni) i cui unici indizi, spulciando sul web,
riguardano la presenza assidua nella seconda metà del Novecento nel
circolo del golf di Rapallo di cui già il padre Aldo risultava uno
dei primissimi frequentatori avendo partecipato, insieme ad altri
notabili dell'epoca, alla festa perla sua nascita negli anni Trenta.
Mancando le info sull'erede Guggenheim, l'inghippo della proprietà
dell'uliveto si è infittito e come estremo tentativo di risolverlo
Cecilia Pirelli e il figlio hanno ora provato a farla cercare per
una mediazione (davanti all'ordine degli avvocati di Genova, in
queste ore) con una pubblicazione notoria ufficiale. È l'atto
preliminare alla causa civile davanti al tribunale di Genova per
usucapione già calendarizzata a febbraio 2024. «Il nominativo della
signora Guggenheim non è presente neppure nei reparti di pubblicità
immobiliare dello Stato italiano, il che rende oggettivamente
impossibile rintracciarla» hanno chiosato i legali nell'atto di
citazione. Per inciso sono state fatte ricerche anche per cognomi
simili perché il nome si trova in diverse versioni. Ma niente, tutto
inutile. È strano perché a Rapallo, in Italia e in Svizzera questa
famiglia era molto nota. Aldo Guggenheim, per dire, è famoso anche
per un processo del 1939 che lo vide coinvolto in quanto come
cittadino ebreo si disfò del suo patrimonio donandolo in blocco alla
moglie Rosetta Lottero (per sottrarlo ad un creditore). Quel
processo divenne un precedente di giurisprudenza. Tra i beni che le
cedette c'erano tra l'altro due terreni di Paraggi, compreso questo
che adesso i Pirelli rivendicano. Terreno che evidentemente,
risultando ancora intestato alla defunta Lottero, non è mai arrivato
in successione alla figlia Laura. Ma una figlia c'era, e qualche
erede potrebbe. Non resta che aspettare.
Ordigno bellico salta in aria muore un bimbo
Un bambino di 10 anni, rimasto gravemente ferito ieri pomeriggio, è
morto dopo essere stato colpito da un'esplosione avvenuta nella
pertinenze della sua abitazione a Vivaro, in provincia di Pordenone.
Da quanto appreso, lo scoppio sarebbe stato determinato da un
ordigno bellico, verosimilmente un residuato. Il bambino è stato
portato in gravissime condizioni all'ospedale di Pordenone ma non
c'è stato nulla da fare. Il nonno, che era con il piccolo, è
ricoverato in gravi condizioni.
la giustizia riparativa
L'istituto della "giustizia riparativa" - introdotto dalla riforma
Cartabia nel 2021 - è previsto per qualsiasi tipo di reato, con una
finalità di reinserimento sociale e riparatoria. Prevede la presenza
sul territorio dei «centri per la giustizia riparativa», spazi in
cui «vittima e autore del reato alla presenza di operatori
specializzati» partecipano a colloqui» in cui si confrontano «sulle
ragioni del gesto e i danni provocati». Se non c'è il consenso della
vittima o dei familiari, come nel caso Maltesi, il tribunale può
scegliere una «vittima aspecifica», un soggetto che ha subito lo
stesso tipo di reato, oppure organizzare un gruppo di discussione.
Lo scopo non è, quindi, la relazione tra l'autore del reato e la
vittima, ma il rapporto tra l'assassino e la società. L'attività
svolta e l'esito del programma finisce in una relazione del Centro.
Alla fine, non c'è alcuno sconto di pena, ma il buon esito può
essere valutato nel corso del processo.
EFFETTO VIDEOGIOCO: Frase choc a X Factor "Sei uno schianto come
Superga"
Sono bastati appena un minuto e 42 secondi ad Enrico Polloni,
candidato originario del Lago di Garda alla selezione di X Factor,
per combinare un vero disastro. Non si sa quanto consapevole. Con
una strofa choc ha fatto davveri infuriare il web e i social: è
riuscito a paragonare la propria ex fidanzata, con la quale deve
evidentemente aver chiuso il rapporto in modo non troppo sereno, a
una strage, una ferita sempre aperta per Torino e non solo. «Tu che
sei stupenda. Anzi, tu sei Superga, perché sei uno schianto». Il
riferimento alla tragedia del Grande Torino che il 4 maggio 1949
costò la vita a 31 persone non è passato inosservato. Tanto che sui
social, per il giovane aspirante cantante, sono arrivate accuse e
insulti. «Cambia subito quella strofa», gli è stato detto. E lui ha
risposto con un ironico "Vado subito", seguito da una emoticon del
saluto militare. La performance del giovane Polloni era già partita
male. Ha spiegato il titolo del suo brano "70 cammelli", dichiarando
che l'idea gli era venuta da un sito internet che tramuta il valore
di una persona in cammelli Polloni ha quindi pensato di adottare il
metro di valutazione per dare un prezzo alla sua ex fidanzata e
scrivere una canzone sulla sua delusione d'amore. Imbarazzo per
l'evidente misoginia della spiegazione da parte della giuria di X
Factor composta da Dargen D'Amico, Morgan, Fedez e Ambra Angiolini,
che ha respinto il cantante. Per lui X Factor finisce qui: il
cantante è stato bocciato anche per la performance canora.
Il Toro in serata risponde su Twitter: «4 maggio 1949 Grande Torino.
Orgoglio italiano. Patrimonio di tutti. Rispetto». In un minuto
raggiunge oltre 800 like.
FIAT FLOP PAGANO SEMPRE GLI OPERAI: Stellantis ha comunicato
ai sindacati il ricorso alla cassa integrazione a Mirafiori sui
modelli Maserati e 500 elettrica per 11 giorni, dal 19 ottobre al 3
novembre. I lavoratori interessati sono 1.174 della Maserati e 1.222
della 500. «Per motivi di mercato anche la produzione della 500
elettrica, oltre alle Maserati, sta avendo un calo delle produzioni.
Siamo molto preoccupati. Chiederemo all'azienda, nell'incontro
previsto in tempi brevi, risposte concrete e rassicuranti» commenta
Rocco Cutrì, segretario generale Fim Torino. «La comunicazione di
cig alle Carrozzerie dà ulteriore conferma alla nostra convinzione
che allo stabilimento di Mirafiori serve un nuovo modello. Sarà
questa la richiesta che porteremo sia al tavolo con l'azienda, sia a
quello che seguirà con le istituzioni locali» aggiunge Luigi Paone,
segretario generale Uilm Torino. E il segretario generale della Fiom
Torino, Edi Lazzi, conclude: «Non è certo un bel segnale per la 500.
A questo punto l'obiettivo di fare 100 mila pezzi nel 2023 non sarà
raggiunto. Motivo in più per ribadire la necessità di avere nuove
produzioni».
Fatturava lavori mai eseguiti su albergo e impianti di sci
Conti correnti, macchine di lusso, immobili ed autocarri per un
valore complessivo di oltre 300 mila euro. È il tesoretto che è
stato sequestrato ad un imprenditore 57enne delle Valli di Lanzo
dalla Guardia di Finanza che, nel tempo avrebbe emesso e utilizzato
delle fatture da decine di migliaia di euro per delle operazioni che
gli investigatori considerano «inesistenti». Movimenti di denaro che
sarebbero riconducibili ai lavori di ristrutturazione dello storico
albergo «Camussot» di Balme e per la messa in opera della stazione
sciistica di Ala di Stura che è ferma da due anni. I finanzieri
hanno attuato il sequestro preventivo dei beni – con l'obiettivo
finale della confisca – su disposizione del gip del tribunale di
Ivrea Fabio Rabagliati, dopo le indagini coordinate dalla procura
eporediese. Le indagini della Finanza di Lanzo sono partite più di
cinque anni fa quando l'azienda dell'imprenditore, che opera nel
settore delle costruzioni da una trentina di anni, ha iniziato ad
effettuare dei lavori per il restyling degli impianti sciistici di
Ala di Stura – che avevano anche ottenuto un cospicuo finanziamento
regionale di circa 400 mila euro – per la realizzazione della nuova
sciovia Pian Belfè. L'impresa del 57enne si aggiudicò i lavori di
ripristino e ricostruzione ma, nel corso delle indagini, gli
inquirenti avrebbero accertato la creazione di un'altra ditta nella
quale sarebbe anche stata inserita la moglie dell'impresario. Per
farla breve, ad un certo punto, i finanzieri si sarebbero accorti
che venivano emesse delle fatture senza aver effettuato delle opere,
come previsto dal contratto. Oppure i documenti di pagamento,
avevano causali diverse tra quelle riscontrate nella contabilità
dell'azienda rispetto a quelle presentate in Comune. Una serie di
«intoppi» che avrebbero convinto il Comune di Ala di Stura a
rescindere il contratto con la ditta valligiana di costruzioni.
Sotto la lente degli investigatori è poi finito il rapporto tra
l'imprenditore e i proprietari dello storico albergo «Camussot» di
Balme - diventato una leggenda per aver ospitato Gabriele D'Annunzio
ed Eleonora Duse e altri illustri personaggi protagonisti della
Belle Epoque – che gli avevano commissionato dei lavori di
ristrutturazione. Anche il quell'occasione, dalle ipotesi
investigative, sarebbero state emesse fatture per operazioni
inesistenti riferibili ai lavori. Insomma un meccanismo che avrebbe
consentito all'imprenditore un illecito risparmio d'imposta per
oltre 300 mila euro complessivi. Con l'inchiesta della guardia di
finanza, probabilmente, non c'entrano nulla. Ma, in una notte del
giugno 2019 un incendio divampò a Balme e incenerì la parte storica
del «Camussot». Da allora tutto è rimasto così e l'albergo non è mai
più stato riaperto. A settembre dello stesso anno un altro rogo
devastò la nuova sala comandi allestita per controllare la seggiovia
che sale fino a Pian Belfè. Le indagini per risalire ai colpevoli
sono ancora in corso.
22.09.23
CONTENUTO NON FORMA : «Ho
deciso di iscrivermi di nuovo al Pd perché condivido l'orientamento
che il partito ha preso dopo l'elezione di Elly Schlein alla
segreteria. Penso sia giusto dare una mano: la stagione del renzismo
è definitivamente finita». Per Sergio Cofferati è un cerchio che si
chiude, otto anni dopo.
Nel gennaio del 2015 l'ex segretario della Cigl, uno dei cinquanta
fondatori del Pd, lasciò il partito sbattendo la porta, in polemica
con la gestione Pd, allora saldamente nelle mani di Matteo Renzi. A
pesare, a quel tempo, furono i veleni inoculati tra i Dem dopo le
primarie per la scelta del candidato governatore in Liguria, perse
proprio da Cofferati contro la renzianissima Raffaella Paita, oggi
capogruppo di Italia Viva al Senato. Un addio che fu prodomo di
altre uscite rumorose e laceranti, da D'Alema a Bersani. Ieri il
"Cinese" è rientrato nel Pd iscrivendosi al circolo di
Portoria-Carignano, nel centro di Genova, dove risiede ormai
stabilmente.
«Penso sia giusto aiutare il partito, non chiedo incarichi ma credo
di dover dare una mano a chi deve guidarlo, mettendo a disposizione
le mie competenze e le esperienze che ho accumulato» racconta
Cofferati, da tempo in contatto con i vertici provinciali del Pd: a
Genova la svolta progressista dei Dem è iniziata già due anni, con
l'elezione del giovane segretario Simone D'Angelo. Uno dei
principali sostenitori della nuova leader in Liguria, l'unica
Regione in cui, al congresso, Schlein ha vinto contro Stefano
Bonaccini anche nei circoli, e non soltanto nella sfida «allargata»
dei gazebo. Ma perché scegliere di rientrare proprio ora, dopo sei
mesi di nuovo corso e un'identità del partito ancora in divenire?
«Perché condivido l'orientamento che si sta affermando nel Pd con
Elly Schlein alla segreteria - risponde l'ex segretario Cgil -. È
una donna molto intelligente e ha passione, una dote che è
importante e utile in politica». Sulle polemiche relative allo
«slittamento a sinistra» del Pd, Cofferati non nega l'impronta più
progressista impressa dalla nuova gestione. Anzi, la considera un
punto di forza quando spiega di condividere «le politiche che il
partito sta portando avanti in questi mesi: il Pd è un partito di
sinistra, con un'eredità e una storia da valorizzare».
A proposito degli abbandoni registrati nelle scorse settimane, con
una trentina di dirigenti liguri usciti dal Pd e approdati in
Azione, Cofferati è tranchant: «C'è un uso molto disinvolto di
questa parola: non basta dirsi riformisti, bisogna esserlo - spiega
-. La verità è che servono orientamenti ben precisi su temi
importanti come quelli economici oppure relativi ai diritti».
L'esempio lampante di questo nuovo orientamento, secondo il
"Cinese", è il dibattito - lacerante, all'interno del partito - sul
jobs act di renziana memoria. «Se qualcuno nel partito oggi approva
il jobs act, deve spiegare qual è il contenuto riformista di quella
brutta legge» argomenta Cofferati.
E quando gli si chiede se il suo rientro nel partito segni il
tramonto di una stagione caratterizzata prima dall'avvento di Renzi
e poi dagli strascichi legati al suo addio, tira fuori una battuta
fulminante: «La stagione del renzismo si è definitivamente chiusa.
Per fortuna».
Rispetto alle priorità da mettere in agenda, Cofferati ha le idee
chiare: «Economia ed Europa devono essere i temi su cui concentrarsi
- spiega l'ex sindacalista -. Bisogna puntare a una crescita che
crei nuovi modelli di competizione, che garantiscano risultati
rispettando i diritti delle persone e puntando al miglioramento
della qualità delle loro vite».
Il rapporto con l'Unione europea, invece, «è decisivo perché dalle
istituzioni europee passa il rafforzamento delle posizioni di questa
parte del mondo nella competizione globale»
DROGA E POTERE : Un penitenziario fuori dal comune,
completamente controllato dai narcos, con diversi ristoranti, una
palestra con piscina, una zona per le corse dei cavalli, un piccolo
zoo, uno sportello bancario ad uso consumo dei detenuti e persino
una discoteca chiamata "Tokio", dove i boss potevano divertirsi fino
a notte fonda. Roba da Pablo Escobar, gestita dalla potente
organizzazione "Tren de Aragua", nata all'interno delle sue mura e
che oggi controlla rotte del narcotraffico, del contrabbando e del
commercio di armi in almeno sette Paesi latino-americani.
Per entrare al penitenziario di Tocorón il governo venezuelano ha
dispiegato un maxi-operativo con undicimila agenti della polizia e
dell'esercito, la fila enorme di blindati è stata guidata da tre
carrarmati, mentre centinaia di madri e mogli dei reclusi si sono
raggruppate fuori dal carcere alla disperata ricerca dei loro
famigliari. Il presidente Nicolas Maduro ha annunciato in pompa
magna l'operazione speciale "Cacique Guaicaipuro" per riprendere il
controllo del gigantesco complesso penitenziario che - assicura -
potrà essere svuotato in meno di una settimana.
Poco si sa sulle modalità dell'operazione, su chi stavano cercando,
su dove porteranno e smisteranno i detenuti. Secondo diverse ong che
studiano il disastrato sistema carcerario venezuelano, il governo
sta cercando di mostrare agli occhi della comunità internazionale
una parvenza di ordine e una ferrea volontà di mettere fine a
privilegi, corruzione e violazioni ai diritti umani denunciati in
decine di rapporti indipendenti.
Se poco si sa dell'operazione in atto, si conosce quasi alla
perfezione le dinamiche interne a tratti surreali della "Casa
Grande", come viene chiamato il carcere di Tocorón. Nessuno conosce
il nome del direttore ufficiale, ma tutti riconoscono che a
comandare lì dentro è il Niño Guerrero "el pran dei pranes" il capo
di tutti i capi. Héctor Rusthenford Guerrero Flores, questo il suo
vero nome, è diventato grande dietro le sbarre e lì ha costruito
un'organizzazione che oggi vanta diverse succursali. Il "Treno di
Aragua" ha iniziato dal basso, con il pizzo obbligatorio ai
detenuti, un sistema da resort del crimine, con premi e punizioni al
posto dei braccialetti colorati. Chi non paga vive nei gironi più
bassi della struttura, chiuso in celle sovraffollate, costretto a
lavorare gratis per pagarsi da mangiare e per la "protezione"
necessaria per non ritrovarsi un coltello in gola mentre sta
dormendo. Con i soldi, però, si ottiene di tutto, fino al diritto a
farsi quattro salti in discoteca o quello di far entrare moglie,
amanti e famigliari vari. Il "Pran" è talmente potente che può
decidere di vivere a piede libero, ma preferisce rimanere nel suo
regno perché se la passa decisamente meglio ed è molto più sicuro,
protetto da centinaia di soldati disposti a fare qualsiasi cosa pur
di salire nella gerarchia dell'organizzazione.
Il grande salto di Guerrero è arrivato con l'emigrazione di massa
dei venezuelani che hanno iniziato a scappare dalla gravissima crisi
economica che ha colpito la fallita rivoluzione socialista di Chavez
e Maduro. Il clan controlla i passi di frontiera e i viaggi dei
migranti che puntano verso Nord e devono attraversare la
pericolosissima foresta del Darién tra la Colombia e Panama,
organizza sequestri, estorsioni, attentati. Il giro d'affari è
enorme e tutti possono essere corrotti. Per dirla alla Escobar, la
regola è "plata o plomo"; o paghi o finisci al Creatore.
El Niño Guerrero controlla il suo business da Aragua fino
all'Ecuador, il Perù, il Cile: Tocorón è il centro di un impero che
forse è diventato troppo ingombrante anche per il governo di
Caracas. Non era mai successo che si mobilitassero tanti agenti per
un'operazione di polizia, nemmeno nella caldissima frontiera con la
Colombia dove il narcotraffico opera assieme ai dissidenti della
guerriglia delle Farc. Secondo l'Osservatorio venezuelano delle
prigioni il blitz è stato concordato nei minimi dettagli con lo
stesso Guerrero, che sarebbe uscito da Tocorón qualche giorno prima
assieme ai suoi fedelissimi. Il timore è che non si saprà mai la
cifra di morti e feriti e né quanti sono i detenuti lasciati
scappare prima dell'arrivo degli uomini dello Stato. La capienza
massima del penitenziario è di cinquemila reclusi, pare che al
momento dell'incursione degli agenti ce ne fossero meno di duemila;
il sospetto è che una parte consistente del "Tren di Aragua" sia
stato lasciato libero affinché possa continuare a perpetuare i suoi
affari e a pagare le sue profumate mazzette. Se così fosse la
conquista del carcere e persino della famosa discoteca "Tokio"
sarebbe una mesta vittoria di Pirro di fronte allo strapotere dei
narcos.
Bolsonaro "Dopo il voto ci chiamò, voleva fare un golpe"
Dopo la sconfitta elettorale dello scorso ottobre, Jair Bolsonaro
fece una riunione con i vertici militari brasiliani e i ministri del
gabinetto di sicurezza per discutere un possibile piano golpista per
impedire il trasferimento dei poteri al vincitore delle elezioni
Luiz Inácio Lula da Silva. È quanto ha denunciato un ex consigliere
militare dell'ex presidente brasiliano, il colonnello Mauro Cid.
Secondo quanto riferisce «O Globo», Cid, che partecipò a quella
riunione, ha raccontato che l'allora comandante della Marina,
l'ammiraglio Almir Garnier Santos, disse che i suoi uomini erano
pronti a una chiamata di Bolsonaro. Mentre il responsabile
dell'Esercito si rifiutò di partecipare alla presunta trama
golpista. Le rivelazioni di Cid fanno parte dell'accordo di
collaborazione che il colonnello ha fatto con la magistratura dopo
il suo arresto, lo scorso maggio nell'ambito dell'inchiesta sulla
manipolazione dei certificati del vaccino anti Covid di Bolsonaro e
dei suoi familiari.
APPALTI INSICURI : Le indagini: troppo poco il tempo concesso
per la manutenzione. La procura ha preso i tempi dei lavori finiti
dopo il disastro
Sui binari in cinque per un'ora e mezza servivano più addetti e
altri 45 minuti
claudia luise
Fare in fretta. Una necessità, per le manutenzioni sui binari,
dettata dal bisogno di non creare troppi disagi al traffico
ferroviario e interromperlo il meno possibile. Lavorare con
l'ossessione della finestra temporale che rischia di non bastare
mai. Per i lavori nella stazione di Brandizzo, costati la vita a
cinque operai della Si.gi.fer l'ultimo giorno di agosto, secondo una
fonte esperta di questo tipo di lavorazioni, ci sarebbero voluti 135
minuti senza pause. La ditta, però, aveva poco più di un'ora e
mezza. Fare il calcolo nel dettaglio è semplice (si trattava di 7
metri di binario da sostituire): per ogni saldatura, erano 2, ci
vogliono 40 minuti quindi in totale 80 minuti. A questo bisogna
aggiungere i due tagli per estrarre e introdurre il pezzo da
sostituire: un'operazione per cui si impiegano 30 minuti. E ancora,
per lo "sbullonaggio e rimbullonaggio rotaia" servono 25 minuti.
Centotrentacinque minuti in tutto, appunto, senza nemmeno fermarsi
per sospirare.
Un'indicazione a questo proposito potrebbe arrivare dai filmati
raccolti dalla procura di Ivrea che la notte tra l'11 e il 12
settembre, quando poi i lavori sono stati eseguiti, ha inviato
personale della Polfer a filmare e cronometrare tutte le operazioni.
Ed il paragone è impietoso: i ferrovieri che hanno eseguitoi lavori
erano 8 e sono riusciti a finire la manutenzione nei tempi «correndo
come matti», come ha testimoniato chi ci ha lavorato, e con
attrezzature più importanti di quelle a disposizione della
Si.gi.fer.
Oltre ad avere un carrellino per velocizzare le operazioni. Invece
quella notte erano quasi senza mezzi e in cinque: Kevin Laganà,
Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e
Giuseppe Aversa. Operai con una qualifica bassa. Tutti morti perché
travolti dal treno in transito. «Rfi tiene conto degli spazi fisici
e temporali necessari alla manutenzione», aveva assicurato l'ad,
Gianpiero Strisciuglio, in audizione alla Camera. E sulla
possibilità che le ditte dovessero pagare penali nel caso avessero
sforato, aveva aggiunto: «Sono previste contrattualmente, ma è
inderogabile che l'attività di manutenzione richieda intervalli
temporali che sono garantiti in tutta l'attività manutentiva». Sarà
la magistratura a indagare su quanto i tempi siano stati congrui.
Intanto c'è anche un altro particolare da approfondire: nelle linee
guida di Rfi per le manutenzioni emergerebbe che quella lavorazione
non sarebbe potuta essere svolta da una ditta esterna. Questo perché
il limite per la sostituzione di un pezzo di binario è 12 metri:
sotto questa soglia è necessaria una professionalità che hanno solo
i ferrovieri perché è più complicato fare più giunti e saldature se
il tratto da sostituire è breve.
Ieri mattina c'è stato anche un lungo incontro, a livello regionale,
tra i rappresentanti di Rfi e le sigle sindacali che rappresentano
gli autoferrotranvieri. Uno degli appuntamenti che di solito
dovrebbero servire a fare il punto sulle manutenzioni, sul lavori
programmati e sulla sicurezza che, dopo Brandizzo, acquisisce però
un significato diverso. «In un clima collaborativo, si è svolto
l'incontro programmato tra le principali sigle sindacali
territoriali e i rappresentanti regionali di Rete Ferroviaria
Italiana. L'occasione - fanno sapere da Rfi - è stata proficua per
fare il punto sulle attività di manutenzione dell'infrastruttura
ferroviaria del Piemonte previste nei prossimi due anni». La società
aggiunge: «Nel corso del confronto si è approfondito anche il tema
degli standard di sicurezza. Tra i principali interventi di
manutenzione previsti per il prossimo biennio, il potenziamento e la
velocizzazione del Nodo di Torino e delle linee che dal capoluogo
piemontese vanno verso Modane, Genova e Milano, a cui si
aggiungeranno altri interventi programmati come il rinnovo di oltre
225 km di binari, di 3 sottostazioni elettriche e della linea di
alimentazione elettrica dei treni su 5 linee». A partecipare, per la
Filt Cgil Piemonte, Daniele Cattalano. «Il rispetto delle regole è
fondamentale e la catena di comando deve avere questo primario
obiettivo. Sul piano della organizzazione del lavoro occorre
determinare una discontinuità rispetto alle "abitudini" del passato.
Vogliamo tempi di intervento e finestre manutentive che siano più
congrue per garantire migliori livelli di sicurezza».
BEL COLPO: La condanna a 14 anni e 6 mesi è ancora una
temporanea pronuncia di colpevolezza, ma è invece definitiva
l'attestazione del suo livello criminale. Vincenzo Pasquino, 36
anni, il ragazzo d'oro della ‘ndrangheta mandato da Volpiano sul
fronte sudamericano a gestire tonnellate di cocaina per conto delle
‘ndrine di Plati non c'era ieri in aula di fronte alla Corte
d'Appello. E' detenuto in Brasile.
Per i giudici è capo promotore di un'organizzazione criminale
specializzata nel narcotraffico internazionale. Ma è anche un
affiliato alle cosche puro, sponsorizzato dal potentissimo "dominus"
della famiglia Agresta, Antonio, boss carismatico considerato da
diversi investigatori il vertice della Locride in Piemonte. Sia come
sia, Pasquino, difeso dal legale Mauro Molinengo, ha dato l'assenso
a una pena, pur rilevante, ma "concordata" ritenuta congrua anche
dalla procura che lo ha arrestato (pm Paolo Toso). Nelle carte
dell'inchiesta il suo upgrade criminale emerge limpidamente. Una
volta arrestati – sempre in Brasile – i due principali contractors
delle cosche, Nicola e Patrick Assisi, è entrato in scena lui.
Partito una notte del 2017 verso il Brasile (con scalo a
Francoforte) dopo un viaggio lampo a Platì: «Giù tutti chiedono di
te, devi scendere» gli dice, intercettato, un sodale. La fotocopia
del suo documento viene trovato tra la seduta e lo schienale del
divano in cui sedeva Nicola Assisi al momento del blitz della
Policia Federal. Anni dopo, gli investigatori trovano anche
Pasquino. Nascosto in un residence di Joao Pessoa, capitale dello
stato brasiliano di Paraiba, nel nord del Paese, curava la sua
latitanza ma anche quella del superboss Rocco Morabito, lui sì uomo
con le stiimmate della ‘ndrangheta d'élite. Parla coi cartelli
sudamericani e nei fatti gestisce il segmento di invio della cocaina
dai porti brasiliani fino a Vado Ligure. E a sua moglie che lo
esortava a non farsi usare dai boss al caldo di casa loro «come un
galoppino» rispondeva con una professione di fede mafiosa. «Non mi
piace fare questi discorsi ma sappi che se mi chiedono di scegliere
tra loro e te io caccio te. Queste – le dice – sono persone che mi
hanno cresciuto, io un padre non l'ho mai avuto. Ero un capraro e mi
hanno insegnato a leggere e scrivere. Quando puzzavo di fame non
c'eri tu a portarmi 5 euro per campare e comprarmi le sigarette».
Nella lite coniugale c'è il suo amico a spalleggiarlo: «Morena devi
fartene una ragione! Hai sposato un delinquente. Se vuoi puoi
seguirlo in Brasile e avrai una villa con piscina, ma devi
accettarlo. Non hai sposato un rappresentante di gioielli». È
Michelangelo Versaci, già condannato nel processo Cerbero. Con lui
Pasquino si mostra sui social network nell'ultima foto pubblica
dell'estate 2017: «Caro amico ti voglio bene anche se tutti ci
odiano, ma solo perché vorrebbero essere come noi».
AVANTI:Ieri la sentenza del processo Platinum alla 'ndrina
nel Canavese: sei anni ai due Vazzana Un anno al vigile urbano che
toglieva le multe, pena di 10 mesi invece ad Antonio Agresta
Volpiano , le mani della mafia condannati due fratelli
andrea bucci
Due maxi condanne ai fratelli Mario e Giuseppe Vazzana, altrettante
condanne più contenute, un'assoluzione dall'accusa di associazione
di stampo mafioso (416 bis) e un reato di estorsione derubricato in
esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Si è concluso ieri in tribunale a Ivrea, dopo sei ore di camera di
consiglio, il processo in primo grado Platinum Dia sulla presenza
delle'ndrine in Piemonte e in particolare sulla locale di Volpiano.
In aula sono comparsi gli imputati che hanno scelto di essere
giudicati con il rito ordinario.
La pene più alte inflitte dal collegio presieduto dalla giudice
Stefania Cugge sono state formulate nei confronti di Mario Vazzana
condannato a 6 anni e 11 mesi e di suo fratello Giuseppe a 6 anni e
8 mesi entrambi accusati di associazione mafiosa. Due imprenditori
che il pm della Dda Valerio Longi aveva definito nella sua
requisitoria «uomini d'impresa che avrebbero messo a disposizione
della'ndrina le loro capacità». In particolare i fratelli Vazzana,
titolari a Volpiano dell'Hotel che porta il loro cognome, si
sarebbero prodigati nel fornire ospitalità ad affiliati, ma anche a
garantire occupazioni. Ai fratelli Vazzana, i giudici, hanno anche
disposto la confisca delle quote della società «Caffè Millechicchi».
Al boss Antonio Agresta (classe 1960) il collegio ha inflitto la
pena di 10 mesi in continuazione con una precedente condanna a 10
anni. Tolta, invece, l'accusa di associazione mafiosa a Domenico
Aspromonte condannato a 6 mesi per una bancarotta dell'hotel La
Darsena di cui era amministratore. Il collegio ha invece giudicato
improcedibile Domenico Spagnolo in quanto l'accusa di estorsione
derubricata in «esercizio arbitrario delle proprie ragioni»
necessita di una querela che non è mai stata presentata da parte
delle persone lese.
I giudici hanno anche condannato ad un anno (sospensione
condizionale della pena) l'agente di polizia municipale di Volpiano,
Paolo Busso, a processo per abuso d'ufficio e accesso abusivo a
sistemi informatici per aver tolto multe a Giuseppe Vazzana.
Sono stati condannati al pagamento di una provvisionale di 20 mila
euro (10 mila euro ciascuno) i fratelli Vazzana e 8 mila euro
ciascuno il vigile Busso e Antonio Agresta, somme da liquidare al
Comune di Volpiano parte civile nel processo attraverso l'avvocato
Giulio Calosso. Per l'altra parte civile, il Comune di Chivasso,
Giuseppe Vazzana dovrà versare una provvisionale di 5 mila euro. Per
l'avvocato Andrea Castelnuovo il Comune di Chivasso ha «partecipato
volontariamente al processo Platinum (che pure non vedeva reati
commessi sul territorio) perché è portabandiera dell'antimafia e
voleva rappresentare la propria posizione netta».
21.09.23
Santanchè, Open fallimento altri guai giudiziari per la ministra
Permettere a Ki Group srl di accedere al concordato semplificato
sarebbe «solo un atto di fede» senza alcuna concreta garanzia «in
palese danno e in frode ai creditori». Per questo la procura di
Milano ha deciso di irrompere nel procedimento aperto davanti alla
seconda sezione civile del Tribunale e di chiedere la liquidazione
giudiziale - l'ex fallimento - non solo della srl ma anche delle due
società quotate del gruppo: Ki Group holding spa e Bioera spa.
Così, dopo il caso Visibilia, nuovi guai giudiziari potrebbero
travolgere la ministra Daniela Santanchè che, con l'ex compagno
Canio Mazzaro, era nella governance del gioiellino del bio almeno
fino al 2021.
Il fascicolo su Ki Group, per ora a «modello 45», senza indagati e
ipotesi di reato, si è già arricchito di alcune annotazioni del
Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf che attestano la
grave situazione in cui versano le società del gruppo. A partire da
Bioera, che - scrive la procura - è «in evidente stato di
insolvenza» mentre, in base al piano di salvataggio proposto a
maggio dalla società, dovrebbe garantire la copertura finanziaria
della srl per oltre un milione e mezzo di euro.
Dall'analisi del bilancio del 2022 di Bioera, la Gdf annota «un
risultato netto in perdita per 5, 3 milioni di euro, un
indebitamento finanziario netto pari a 3 milioni, mezzi propri
negativi per 5 milioni». La stessa società di Revisione «dichiara di
non essere in grado di esprimere un giudizio in merito ai bilanci
del 2021 e del 2022 in quanto asserisce di non aver acquisito
elementi probativi sufficienti e appropriati su cui basare il
proprio giudizio».
Mettendo in fila tutte le criticità evidenziate dagli investigatori,
la procura diretta da Marcello Viola sostiene che appaia « di dubbia
realizzazione» il concordato semplificato proposto da Ki Group srl.
E che in base alla situazione economica di Bioera - di cui i
magistrati chiedono la liquidazione giudiziale di gruppo - «non si
vede come la stessa possa farsi carico del peso economico del piano
economico proposto da Ki Group srl e adempiere alle obbligazioni
assunte, per le quali non vi è infatti alcuna concreta garanzia ma
solo un atto di fede». Commettendo peraltro «gravi omissioni a danno
dei creditori».
Tra loro figurano innanzitutto i dipendenti, intervistati nel corso
della trasmissione Report, che non hanno ancora visto un euro di
Tfr, «a differenza di quanto promesso a luglio davanti al Senato
dalla ministra Santanchè», sottolinea ora l'avvocato Davide Carbone
che, per conto di undici tra ex lavoratori e agenti di commercio, a
maggio aveva avanzato già richiesta di liquidazione giudiziale della
società. Non sapeva nulla, però, del piano di salvataggio proposto
solo due giorni prima al Tribunale dall'attuale management
dell'azienda, assistito dall'avvocato Salvatore Sanzo - lo stesso
che si occupa della crisi di Visibilia - che ha fatto scattare le
«misure protettive» per la società. E quindi ha di fatto bloccato
qualsiasi domanda di fallimento avanzata dai creditori con scadenza,
scrivono ora i pubblici ministeri, il 15 settembre del 2023. Il
piano di salvataggio è stato proposto peraltro dopo il naufragio del
tentativo della governance dell'azienda di ottenere la «composizione
negoziata della crisi» nel luglio del 2022.
Come sottolineano i pm Luigi Luzi e Maria Giuseppina Gravina, lo
stesso esperto interpellato dal Tribunale, che nel suo parere
«propende per la convenienza della procedura concordataria», afferma
che «alla data del 7 luglio del 2023 sussistono significative
incertezze in merito alla prospettiva della continuità aziendale
della emittente e del gruppo». Cosa che, per i magistrati,
«imporrebbe un'attenta analisi sulla reversibilità dello stato di
insolvenza di Bioera - società in evidente stato di insolvenza - e
che a oggi manca agli atti della procedura».
Per questo, sostengono ancora i pm, il piano proposto da Ki Group,
tramite la promessa di impegno economico presentata da Bioera, «non
permette il raggiungimento dello scopo della procedura», cioè
«valorizzare i complessi aziendali, al fine di ottenere liquidità
per soddisfare i creditori». E quindi la procura conclude «rilevando
la manifesta inattitudine del piano con riguardo alle garanzie
offerte per assicurare la liquidazione, in palese danno e in frode
ai creditori».
Parole dure che annunciano come per la ministra Santanchè la nuova
partita sia solo all'inizio.
20.09.23
SPIEGAZIONI TARDIVE :
Carlo Bonomi potrebbe essere costretto a rivedere i suoi piani per
il dopo-Confindustria. Tutta colpa del caso della laurea in Economia
e Commercio che gli è stata attribuita e che, stando ai verbali
della “Fiera Milano Spa”, di cui è presidente, non ha mai
conseguito.
Se il pasticcio dovesse essere confermato, inevitabilmente il
presidente uscente di Confindustria vedrebbe sbarrato il suo
passaggio alla presidenza del cda della Luiss, l'università che fa
capo all’associazione degli industriali italiani (un presidente
senza laurea appare improbabile...)
E il candidato alternativo per quel ruolo, al posto del “non
dottore” Bonomi, potrebbe essere Alberto Marenghi, amministratore di
“Cartiera Mantonava”. Attuale vice e fedelissimo di Bonomi, Marenghi
può contare anche su un “aiuto” politico in famiglia: è sposato,
infatti, con la deputata di Fratelli d’Italia, Maddalena Morgante.
Per la successione alla guida di Confindustria, invece, la corsa è
ancora lunga e innumerevoli sono le alleanze possibili. Al momento
in pole ci sono il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, e il
presidente del gruppo Maire Tecnimont, Fabrizio Di Amato. Ma
potrebbe trovare spazio anche un “ripescaggio”, quello di Antonio
D'Amato, già gran capo di Confindustria tra il 2000 e il 2004 e
molto in sintonia col governo di centrodestra…
"Non
era la nuova P2, ma un sistema di potere" COME LA P2. Anche
Piantedosi nella rete Amara-Verdini
Non una «loggia massonica coperta», ma un reticolo di rapporti
opachi di potere tra politici, magistrati, grand commis nella Roma
del patto del Nazareno. Questo è il succo del decreto di
archiviazione della giudice perugina Angela Avila che mette la
parola fine al vaudeville della Loggia Ungheria.
La loggia, per come fu rappresentata dall'ineffabile avvocato Piero
Amara alla fine del 2019, non esiste. Né lui né i suoi sodali
siciliani hanno mai fornito la fantomatica lista degli affiliati,
limitandosi a descriverla come formata da 16 pagine, con la cartina
magiara nell'intestazione e una sfilza di nomi in fila per tre,
seguiti da fumettistici soprannomi: Escobar, Nano, Zorro, Babbaleo,
Lepre, Uccello, Camaleonte.
Prima hanno promesso la consegna della lista. Poi hanno indicato
altri detentori, ma le perquisizioni hanno fatto buca. Infine hanno
raccontato che la preziosa cartuccella sarebbe custodita a Dubai da
tal Patrick, agente segreto iraniano.
Troppo poco, anzi nulla, per un'associazione segreta. «Manca una
ricostruzione della struttura organizzativa», nota la giudice. Manca
la sede delle riunioni: nella basilica di San Giovanni in Laterano o
nell'omonima piazza pariolina? Quanto ai riti – dal saluto con
l'indice premuto tre volte sul polso alla domanda «Sei mai stato in
Ungheria?» come codice di riconoscimento – nessuna conferma.
Ma soprattutto, e qui sta la parte più paradossale e interessante
della vicenda, sono i riscontri a specifici episodi narrati da Amara
a smentire la fola di una «nuova P2». Perché, argomenta la giudice
aderendo all'impostazione della Procura, i dimostrati «singoli
rapporti di colleganza» sono logicamente incompatibili con
«un'azione organizzata, programmata e pianificata da parte di un
gruppo di persone segretamente associate, diretta a interferire
sulle istituzioni».
Amara, però, a Roma era tutt'altro che un signor nessuno. Dice e non
dice; afferma e nega; spara e ridimensiona. Resta enigmatico e
inaffidabile, tanto che a giorni sarà processato a Milano per aver
calunniato diverse decine di alte personalità tirate in ballo come
«fratelli» di loggia. Dimostra un'abilità diabolica nel colpire chi
ha indagato su di lui e sui suoi compari, o semplicemente non si è
prestato a proteggerli. Ma dei suoi torrenziali verbali, filtrati
col rasoio di Occam dalla Procura di Perugia, qualcosa resta. Alcuni
episodi che ha raccontato sono veri. E lo collocano al centro di
«una serie di iniziative dirette a influenzare l'esercizio delle
funzioni pubbliche, con illecite pressioni e avvalendosi di una
significativa rete di relazioni».
Tutto si svolge, come racconta Denis Verdini, all'ombra del patto
del Nazareno. Amara ha rapporti con lui, all'epoca architrave del
governo Renzi, e, indirettamente, con Luca Lotti, sottosegretario a
Palazzo Chigi. Lotti viene appellato da Amara & C. in diversi modi:
LL, Capo, Luca. Interrogato, Lotti ridimensiona i rapporti e nega di
aver comunicato su chat criptate col soprannome «Siffredi2». «Il
sistema Amara», come l'ha definito il procuratore di Perugia
Raffaele Cantone, operava in Sicilia, Puglia, Lazio e Piemonte, «per
soddisfare interessi personali funzionali al consolidamento di
posizioni di potere».
L'inchiesta ha ricostruito almeno tre casi di alti magistrati che,
in corsa per una nomina a procuratore, si sono rivolti a lui per una
spintarella al Csm. E il magistrato della Corte dei Conti Raffaele
De Dominicis, che aveva nelle mani un fascicolo sul premier Renzi,
chiedeva ad Amara di procurargli un appuntamento con Lotti a Palazzo
Chigi. Così come ha trovato un parziale riscontro il fatto che Amara
perorò un incarico professionale dalla società Acqua Marcia per il
futuro premier Giuseppe Conte.
Le chat estrapolate dal suo cellulare e un appunto sequestrato a
Firenze in tempi non sospetti smentiscono la prima versione
minimalista di Verdini sui rapporti con Amara. Risulta infatti che
Verdini si rivolgesse a lui per farsi indicare nomi da suggerire a
Lotti per le nomine governative al Consiglio di Stato e alla Corte
dei Conti. «Mi serve urgente curriculum!», «Mi devi dare un altro
nome!», scriveva quando saltava una nomina.
I due interloquivano a tutto campo. Dal parastato siciliano all'Eni,
dal Csm (per cui viene citato Cosimo Ferri) all'Ilva, su cui Amara
chiedeva di far capire a Lotti «di non rompere le palle».
In un appunto compare il nome dell'attuale ministro dell'Interno,
Matteo Piantedosi. Che si sarebbe rivolto ad Amara per
un'intercessione con il mondo renziano, nel 2016. «Attualmente
vicecapo della polizia, punterebbe a diventare capo della polizia
oppure direttore dell'Aisi», il servizio segreto.
Verdini conferma: «Effettivamente Amara me ne parlò. Era in
disgrazia nel ministero». Prima smentisce l'incontro. Ma i pm
trovano un suo documento, e Verdini ammette: «Non ricordavo, ma se
l'ho scritto è vero. Piantedosi non era valorizzato e voleva
un'occasione per parlare con il ministro».
Piantedosi ha dato mandato ai suoi legali per tutelare la sua
reputazione in ogni sede giudiziaria. —
PAURA DI CONOSCERE PER CAPIRE: Bufera sull'ex presidente di
Viale Mazzini per la trasmissione sul C ovid L'azienda si dissocia
dalle affermazioni negazioniste di Citro della Riva
Medico no vax in onda la Rai ordina a Foa una puntata riparatrice
A poche ore dalla messa in onda del programma radiofonico di Radio1
del già presidente Rai Marcello Foa, "Giù la maschera" , scoppia la
bufera. Un ospite del programma, Massimo Citro della Riva,
psicoterapeuta no vax, che risulta iscritto all'albo di Torino ma
altresì sospeso nel 2021 dall'Ordine dei Medici appunto per le sue
teorie no vax, ha appena parlato contro i vaccini recuperando tesi
complottiste: «Il vaccino causa molti danni. Sono anche in
letteratura e sono all'ordine del giorno. È un disastro ed è una
volontà evidente di fare del male», adombrando appunto complotti
contro la salute dei cittadini. Tiepida la reazione del padrone di
casa che esordisce con un «Certo. ..». E il "ma" poco si sente.
La reazione di ad Roberto Sergio e Presidente Rai Marinella Soldi è
immediata, parte il comunicato di netta presa di distanze da quanto
detto in radio da Citro della Riva, un po'pure per bilanciare
l'assordante silenzio del neo conduttore Foa. E visto che le parole
stanno a zero, il vertici prendono in mano la situazione chiamando
direttamente il neo direttore Radio Francesco Pionati, intimando che
sia organizzata al più presto una puntata riparatoria che se pur non
potrà far dimenticare l'accaduto, almeno serva per derubricare la
colpa. E gli ospiti? Pare abbia chiesto a questo punto il contrito
Pionati. E qui il colpo di genio: che gli ospiti siano indicati dal
Ministero della Salute, persone di loro fiducia che possano
ristabilire una giusta visione dei vaccini. Di più si dice al
settimo piano di viale Mazzini, non potevamo fare. E il più presto è
già oggi, puntata a tema Covid. Ad avere la parola saranno Giorgio
Palù, direttore dell'Alfa, Massimo Andreoni, direttore scientifico
della Società Italiana Malattie infettive e tropicali e Laura Dalla
Ragione, psicologa e psicoterapeuta.
Onor del vero, Pionati sentendo aria di bruciato, si era subito
chiamato fuori: «Quelle dichiarazioni non corrispondono in alcun
modo né al mio personale pensiero, né alla linea editoriale dei Gr e
di Radio1». Concludendo con un ammonimento non tanto velato a Foa:
«Invito tutti i conduttori, in presenza di dichiarazioni estreme
rese dai loro ospiti a chiarire che le stesse sono fatte a titolo
personale». Ma non basta a placare gli animi accesi dalle teorie
negazioniste. A precisa domanda arriva risposta netta da Monica
Maggioni direttore dell'Offerta Informativa: «Il servizio pubblico
non può dare spazio a teorie complottiste e antiscientifiche.
L'immediata presa di distanza dei vertici Rai e la costruzione di
una puntata mirata a riportare il discorso su un piano scientifico,
mi sembra non lascino dubbi circa il posizionamento della Rai».
Un posizionamento che a botta calda, ancora all'oscuro delle misure
messe in campo, qualche dubbio l'aveva fatto venire. A Francesca
Bria che siede in cda: «Ho subito scritto alla Presidente e all'Ad
sollecitando un intervento. La persona non è nuova a queste uscite,
figura sospeso dal suo Ordine professionale, qui c'è anche un
problema di equiparazione tra i medici». Infatti interviene,
stigmatizzando l'accaduto, la Federazione Nazionale degli Ordini dei
Medici.
Anche l'Usigrai interviene compatto: «La disinformazione non è del
servizio pubblico. Si è parlato tanto di codice etico, lo stesso che
ha permesso di mandare via prima Facci e poi Saviano. E Foa resta al
suo posto? La Rai non si deve dissociare da se stessa. La Rai deve
intervenire».
IL CORAGGIO DELLA COERENZA : Trudeau accusa new delhi per
l'omicidio a vancouver
Sikh ucciso, è crisi diplomatica Canada-India
new york
Il 18 giugno un gruppo di uomini mascherati ha atteso Hardeep Singh
Nijjar nel piazzale antistante il tempio Sikh di Vancouver e lo ha
ucciso. Tre mesi dopo davanti al Parlamento canadese, il premier
Justin Trudeau ha accusato l'India di essere la regista
dell'omicidio. New Delhi ha replicato definendo le accuse «assurde e
premeditate» ed espellendo un alto diplomatico come rappresaglia
alla decisione di Ottawa di cacciare il capo dell'intelligence
indiana in Canada. Il governo Trudeau ha anche annunciato lo stop ai
negoziati sul commercio fino a quando non sarà fatta chiarezza su
quanto avvenuto. Nijjar aveva 45 anni e faceva parte di un gruppo
separatista del Punjab (Khalistan Tiger Force) che da decenni lotta
per la creazione del Khalistan. Negli Anni 80 e 90 migliaia di
persone sono rimaste uccise nella rivolte e la tensione è aumentata
nell'ultimo anno quando il premier nazionalista Narendra Modi ha
lanciato la caccia ai leader separatisti, «terroristi» nel
linguaggio di New Delhi. Nel 2020 il suo nome è finito sulla lista
nera e nel 2022 il governo Modi ha inoltrato richiesta di
estradizione. La Casa Bianca già lunedì ha reagito parlando di
«preoccupazione». Eppure a Washington l'esternazione di Trudeau non
è giunta del tutto inaspettata. L'intelligence Usa infatti ha
lavorato da vicino con quella canadese, hanno fatto sapere fonti di
Ottawa alla Reuters. Qualche settimana fa elementi sarebbero stati
condivisi con l'intelligence dei più stretti alleati ovvero i Five
Eyes. Trudeau avrebbe chiesto un appoggio politico agli Stati Uniti
e ad altri Paesi occidentali senza ottenerlo. Da qui la decisione di
andare da solo e quindi di informare lunedì il Parlamento nazionale.
I VERTICI RFI C'ENTRANO : «È necessaria
una approfondita riorganizzazione della documentazione in modo da
rendere percorribili e tracciabili, nonché logicamente correlabili
tra loro, i processi di sicurezza. Ciò al fine di garantire che
l'intero sistema procedurale possa dimostrare in maniera efficace la
conformità al quadro normativo di riferimento». Già nelle prime
parole della valutazione di conformità per il rinnovo
dell'autorizzazione di sicurezza a Rfi, realizzata dall'Ansf
(Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie) nel 2019 si può
capire che, anche se l'ok è arrivato, restavano tanti dubbi.
Quattordici pagine per sottolineare tutto ciò che non va. Rilevi che
si ripetono da una decina d'anni, sostanzialmente senza
miglioramenti, e che emergono ora proprio dopo la morte di cinque
operai, travolti da un treno mentre lavoravano sui binari a
Brandizzo.
Soffermandosi solo sulla questione manutenzioni, è tutto il ciclo a
non essere promosso: dalla poca chiarezza nei ruoli degli operai che
devono effettuare i lavori, ai controlli sugli interventi conclusi.
Ma è facile intuire che, se non sono specificate bene le qualifiche
e le abilitazioni richieste, diventa meno stringente la necessità di
far lavorare sui binari solo personale formato. E a Brandizzo
c'erano proprio operai semplici. C'è poi un passaggio specifico nel
rapporto che fa riferimento alla «qualificazione guida e scorta dei
mezzi» (quella di Antonio Massa, indagato per omicidio colposo
plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale) per cui l'Ansf
scrive che «manca una puntuale definizione delle competenze; i
contenuti della formazione teorica sono incentrati sulla guida dei
mezzi; solamente nella parte di addestramento vengono inserite
alcune conoscenze legate alla scorta che comunque non ricoprono
quanto attribuito al ruolo dal quadro normativo». Per quanto
riguarda la «manutenzione e funzionamento del sistema di controllo
del traffico e di segnalamento», invece, «non sono state reperite
procedure che sanciscano principi di sicurezza generali, applicabili
su tutto il sottosistema di controllo comando e segnalamento».
Bocciate anche le procedure «volte a garantire che gli incidenti,
gli inconvenienti, i quasi incidenti e altri eventi pericolosi siano
segnalati, indagati e analizzati e che siano adottate le necessarie
misure preventive».
19.09.23
Il dottor Rand Paul guida una lettera in cui richiede
informazioni sulle accuse di informatori della CIA riguardanti
l'indagine sulle origini del COVID-19
La settimana scorsa ho inviato una lettera al direttore della Central
Intelligence Agency (CIA), William J. Burns, chiedendo informazioni
sulle recenti accuse di informatori relative alle indagini della CIA
sulle origini del COVID-19.
Secondo una lettera del sottocomitato ristretto della Camera sulla
pandemia del coronavirus (sottocomitato ristretto) e del comitato
ristretto permanente sull’intelligence della Camera (HPSCI), una recente
testimonianza di informatore resa da un ufficiale di alto livello della
CIA sostiene che l’Agenzia ha pagato sei analisti che hanno determinato
Il COVID-19 probabilmente ha avuto origine da una fuga di dati dal
laboratorio.
La
lettera afferma che la CIA ha assegnato sette ufficiali con
significative competenze scientifiche a un team di scoperta del COVID.
Dopo la revisione, sei dei sette membri hanno ritenuto che
l’intelligence e la scienza disponibili fossero sufficienti per
effettuare una valutazione con scarsa certezza che il COVID-19
provenisse da un laboratorio a Wuhan, in Cina. La lettera afferma che ai
sei membri è stato dato un significativo incentivo monetario per
cambiare la loro posizione, portando alla determinazione pubblica
dell’incertezza sulle origini del COVID-19 da parte della CIA.
Queste accuse sono profondamente preoccupanti e sollevano seri
interrogativi sull’indagine dell’Agenzia sulle origini della pandemia di
COVID-19.
Puoi saperne di più sui miei sforzi QUI e
leggere la mia lettera al direttore della CIA QUI
I democratici del Senato respingono la risoluzione del Dr.
Paul di proteggere le pagine del Senato dai mandati sui vaccini COVID-19
Come continuazione dei miei sforzi per proteggere le libertà individuali
e respingere mandati non scientifici, la settimana scorsa ho presentato
una risoluzione che avrebbe protetto le pagine del Senato
dall’imposizione di requisiti di vaccinazione legati al COVID-19,
soprattutto data la miriade di studi che lo dimostrano. per le persone
giovani e sane i rischi posti dal vaccino sono maggiori dei rischi posti
dal COVID-19.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato un aumento del rischio di
miocardite per bambini e adolescenti dopo aver assunto un vaccino mRNA
contro il COVID-19. Inoltre, vi è consenso sul fatto che i vaccini non
fermano la trasmissione del COVID-19.
I Democratici del Senato ancora una volta si rifiutarono di seguire la
scienza e si opposero alla mia risoluzione approvata con consenso
unanime.
Negli ultimi anni ho intrapreso numerose azioni per difendere gli
americani da coloro che non seguono la scienza sul COVID-19. Ricorda le
mie parole, non ho finito di combattere. E puoi scommettere che
continuerò ad agire e a parlare apertamente di questo problema.
Puoi guardare i miei interventi in sala QUI e
leggere di più sui miei sforzi QUI .
Il dottor Paul evidenzia la
collusione del governo con le piattaforme di social media per censurare
gli americani
Recentemente,
ho espresso preoccupazione per il governo degli Stati Uniti che utilizza
l’intelligenza artificiale per applicazioni che violerebbero le libertà
civili americane durante un’audizione intitolata “Governare
l’intelligenza artificiale attraverso l’acquisizione e
l’approvvigionamento”. Durante l’udienza, ho evidenziato numerosi casi
in cui le agenzie federali hanno utilizzato i soldi dei contribuenti per
colludere con le società di social media per violare i diritti del Primo
Emendamento dei cittadini americani.
Ho parlato di come le agenzie governative
abbiano passato anni a condurre una sorveglianza incostituzionale e a
collaborare con aziende private per soffocare la libertà di parola
protetta degli americani. Le agenzie federali, come il Dipartimento per
la Sicurezza Nazionale (DHS) e il Federal Bureau of Investigation (FBI),
hanno utilizzato i dollari dei contribuenti per fare pressione sulle
grandi piattaforme di social media affinché moderino il dibattito online
su argomenti come i vaccini COVID-19 e l’uso delle mascherine.
Le stesse agenzie che hanno lavorato
costantemente per censurare la libertà di parola stanno ora utilizzando
fondi pubblici per sviluppare tecnologie di intelligenza artificiale
destinate a modellare le informazioni online.
Continuerò a sottolineare che il
Congresso dovrebbe impedire alle agenzie federali di sopprimere il
discorso protetto costituzionalmente.
Puoi leggere di più sui miei sforzi QUI e
guardare le mie osservazioni complete QUI .
CHI CI GUADAGNA ? Più voli, il doppio dei Cpr e tempi
dilatati le nuove norme costeranno fino al triplo
Costerà cara, la stretta securitaria di Giorgia Meloni. Raddoppiare
il numero dei Centri di permanenza e respingimento, in sigla Cpr.
Estendere il tempo massimo di trattenimento. Prevedere più voli per
il rimpatrio forzoso dei clandestini. A prescindere dalla sofferenza
che si imporrà a tanti migranti che verranno trattenuti per un
periodo lunghissimo, le spese aumenteranno in maniera esponenziale e
peraltro senza garantire i risultati. Già, perché tutta
l'impalcatura repressiva poggia su un presupposto che al momento non
c'è: gli accordi di riammissione verso i Paesi di provenienza dei
migranti sono ancora da stipulare, eccetto che per Tunisia, Egitto e
Albania, come ammesso in modo limpido dal ministro degli Esteri
Antonio Tajani.
Soltanto per il vitto e l'alloggio degli espellendi, il ministero
dell'Interno spende attualmente una trentina di milioni di euro
all'anno. Servono a garantire pranzo e cena, e un posto letto, alle
seimila persone che mediamente vengono trattenute nei Cpr. Ma
servirà almeno il doppio se davvero, come è nei progetti del
Viminale, si arriverà a trattenere tanta più gente. Occorreranno 60
milioni di euro? Verosimile. E siamo solo alla prima delle voci di
spesa.
Il costo pro-capite per migrante trattenuto, facendo di conto, si
aggira sui 50 euro al giorno, solo per vitto e alloggio. Dato che si
ipotizza una detenzione massima di 18 mesi, pari a 550 giorni, ogni
clandestino alla fine costerebbe allo Stato quasi trentamila euro.
Aumentare la rete dei Cpr, poi, è un'aspirazione del Viminale che
viene da lontano. Ne parlava già Matteo Salvini nel 2019 quand'era
lui il ministro. E non successe nulla. Da un punto di vista
razionale, indubbiamente avere intere regioni senza Cpr implica che
per ogni persona da trattenere, e capita di continuo, una macchina
della polizia è costretta ad attraversare mezza Italia finché si
trova un posto libero.
Oggi siamo a 10 strutture, e nemmeno tutte sono operative. Giorgia
Meloni annuncia adesso di volerne realizzare almeno uno per Regione,
sollevando molte rimostranze in giro. Per costruire nuovi Cpr e fare
la manutenzione di quelli esistenti, come verificato da Openpolis,
il bilancio del ministero aveva previsto nel 2022 la spesa di 26,7
milioni di euro; nel 2023 si è saliti a 32 milioni di euro.
Sarebbero previsti 46 milioni per il 2024. Ma ovviamente tutto ciò
non basterà se davvero bisognerà impiantare dieci nuovi Cpr. Anche
questa cifra, a spanne, andrebbe raddoppiata, arrivando a 100
milioni.
A parte, ci sono le spese per il personale di polizia, difficilmente
quantificabili. Una maggiore spesa però è scontata. Così come
l'aggravio di lavoro per la polizia che si sobbarca della vigilanza
sui Cpr. Si consideri che attualmente la polizia di Stato è
costretta a utilizzare, a vario titolo, ben 12 mila agenti per
l'emergenza migranti. Nel conto ci sono quelli che emettono i
permessi di soggiorno, quelli che fanno il fotosegnalamento ai nuovi
arrivati, quelli che svolgono indagini sugli stranieri, e anche
quelli che presidiano i cancelli dei Cpr, poi accompagnano i
rimpatriati fino al loro Paese e tornano indietro. La vigilanza sui
Cpr, in particolare, è una incombenza dei Reparti mobili. Capita
così a Roma, a Milano, a Bari. Ciò significa che si devono
sobbarcare molte notti di vigilanza, quando il loro servizio sarebbe
un altro. E c'è anche l'effetto collaterale che i Reparti mobili
sono stati trasferiti di sede e sono tutti attaccati agli aeroporti,
perché è preferibile costruire un Cpr vicino a dove decollano gli
aerei che dovrebbero portare via gli espulsi.
Ci sono infine da computare i costi dei voli. Il Dipartimento di Ps
ha quantificato con una recente circolare che il costo medio del
rimpatrio di un irregolare costa 2.365 euro. C'è stato un aumento
dei costi del 30% rispetto ai 1.798 euro del 2022. Nel 2020, per
dire, come certificato dalla Corte dei Conti, furono spesi 8 milioni
334 mila euro.
Alla fine, insomma, c'è da dire che la montagna partorisce un
costosissimo topolino: dagli 80 milioni di euro che spendiamo oggi,
con queste misure potremmo arrivare al doppio se non al triplo. Al
31 agosto i rimpatriati erano appena 2.293 (in linea con il 2022,
quando furono in tutto 3.275): in Tunisia sono state riportate 1.441
persone (nel 2022 erano state 2.308), in Albania, 362; in Egitto,
212. Mediamente soltanto una metà dei trattenuti torna davvero nel
Paese di provenienza. Gli altri vengono rilasciati perché sono
scaduti i tempi, o perché la magistratura non convalida il
trattenimento, o perché i soggetti non sono stati compiutamente
identificati.
È un problema comune in tutta Europa. Secondo Frontex, nell'ultimo
anno sono stati 85 mila i rimpatriati dai Ventisette: di questi, 35
mila erano i rimpatri forzosi e 48 mila i volontari. «Io penso che
si dovrebbe aprire un ragionamento sui rimpatri volontari, che da
noi sono un numero irrisorio, circa 300 l'anno», dice Mauro Palma,
il Garante per i diritti delle persone prive della libertà.
Per rimpatri volontari, si intendono quelli che tornano a casa
grazie a piccoli incentivi economici. Insiste Palma: «Non sono
ingenuo, è un procedimento complicato anche questo, ma l'esperienza
dei Paesi di lingua tedesca dice che quella dei rimpatri volontari è
una valida alternativa. Eviterebbe tante sofferenze e forse, viste
le cifre in ballo, costerebbe anche meno alle Casse dello Stato. I
rimpatri forzati sono l'epilogo di una questione molto più ampia e
non vanno considerati come elemento risolutivo».
ERA GIA' TUTTO PREVISTO :
La dinamica della tragedia
È più di un decennio che l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle
ferrovie (Ansf) prima, e l'Ansfisa (Agenzia nazionale per la
sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e
autostradali) poi, segnalano a Rfi carenze nella gestione della
sicurezza. E, in particolare, nella gestione delle procedure di
controllo per evitare incidenti durante le manutenzioni. Senza una
risposta adeguata: così emerge dalle relazioni dell'Agenzia negli
anni, e dalle risposte di Rfi, non sempre considerate soddisfacenti.
Documenti che emergono ora proprio perché sembra evidente che queste
procedure non abbiano funzionato la tragica notte di Brandizzo,
quando un treno in transito ha travolto e ucciso cinque operai al
lavoro sui binari. Kevin Laganà (22 anni), Michael Zanera (34 anni),
Giuseppe Sorvillo (43 anni), Giuseppe Aversa (49 anni) e Giuseppe
Saverio Lombardo (53 anni) avrebbero dovuto sostituire circa 7 metri
di binario: un lavoro di un paio d'ore richiesto da Rfi e affidato,
nell'ambito di un subappalto, dalla Clf (Costruzioni linee
ferroviarie) alla Sigifer di Borgo Vercelli. Una commessa del valore
di circa 750 euro. Gli operai sarebbero dovuti entrare sui binari
solo a circolazione interrotta ma, dalle testimonianze emerse
finora, sembra che il capo scorta di Rfi, Antonio Massa abbia fatto
partire il cantiere prima dello stop.
Circostanze ben note a tutti gli addetti ai lavori e oggetto di
numerose disposizioni da parte dello stesso ministero, dell'Agenzia
preposta alla sicurezza ferroviaria e della stessa Rfi che da oltre
20 anni hanno affrontato il problema e da tempo omologato e
impiegato dispositivi che dovrebbero garantire la segnalazione
dell'arrivo del treno nei cantieri, proprio per ridurre l'errore
umano. Già in un documento datato 31 gennaio 2001 l'allora direttore
della divisione infrastruttura di Ferrovie dello Stato, Mauro
Moretti, aveva deliberato l'utilizzo di Sistemi automatici per la
protezione dei cantieri omologati dalle Fs (Sapc) «sia per la
protezione dei cantieri di lavoro per i quali è ammesso il regime di
liberazione dei binari su avvistamento (allora era ancora previsto,
oggi no, ndr) sia per la segnalazione su avvistamento
dell'approssimarsi dei treni che percorrono il binario attiguo», si
legge nelle carte con cui Moretti ne chiede l'introduzione. Un modo,
quindi, per limitare la possibilità di errore umano: era chiaro che
anche se la procedura prevede che la linea sia interrotta durante le
manutenzioni servivano ulteriori strumenti automatici per
scongiurare che un treno passasse comunque. E infatti, proprio
perché è stato valutato a livello europeo che c'è un'alta
probabilità di errore nei cantieri ferroviari, è stata varata una
norma che sostiene la necessità di adottare dispositivi di
segnalazione di arrivo del treno. Così nel 2001 Moretti aveva dato
disposizione di adottare questi dispositivi,il cui funzionamento è
simile a quello usato per segnalare cantieri in autostrada, solo che
prevede, oltre ad avvisi luminosi e sonori, anche sistemi che
garantiscono il rallentamento automatico della velocità del treno. E
nel 2010 Maurizio Gentile (poi ad di Rfi) aveva ribadito questa
necessità già ignorata da dieci anni.
Intanto i dispositivi previsti da Moretti sono stati omologati e
presentati in vari eventi già nel 2015 ma quasi mai impiegati nei
cantieri. È su queste basi che si inseriscono i rilievi dell'Agenzia
per la sicurezza delle ferrovie tanto che un alto funzionario del
ministero dei Trasporti sostiene che a fronte delle criticità
rilevate e formalizzate più volte «l'autorizzazione di sicurezza non
avrebbe mai dovuto essere concessa. E neppure alla luce delle
ulteriori inadeguatezze emerse in sede di rinnovo nel 2019 e quindi
nella proroga concessa nel 2021».
L'autorizzazione di sicurezza è indispensabile a Rfi per gestire le
reti e va rinnovata ogni cinque anni. Nel 2013 Alberto Chiovelli
(direttore della Ansf fino al 2014) non voleva concederla; il suo
successore, Amedeo Gargiulo, l'ha fatto nel 2014. Nel documento del
30 settembre 2013 firmata da Chiovelli si legge: «I risultati
dell'analisi effettuata evidenziano alcune criticità e carenze nella
gestione e nella manutenzione dei veicoli utilizzati da Rfi, le
attività relative ai trasporti di merci pericolose e la sicurezza
degli scali». Quindi «al fine di poter continuare il percorso per il
rilascio dell'autorizzazione di sicurezza è necessario che il
gestore (Rfi, ndr) proceda con sollecitudine ad attuare le
necessarie modifiche organizzative per rendere il Sistema di
gestione della sicurezza rispondente ai requisiti richiesti».
L'autorizzazione alla fine viene concessa ma con ben 14 pagine di
criticità segnalate. Una storia che si sussegue nei vari carteggi
tanto che i problemi vengo ribaditi anche nel 2018 dall'allora
direttore Gargiulo: «Sulla base degli elementi acquisiti
dall'Agenzia la quasi totalità dei gestori dell'infrastruttura delle
linee ferroviarie (Rfi gestisce circa 17 mila km, ndr) non si è
ancora adeguata ai dettami del decreto legislativo 10 agosto 2007».
E poi c'è il rinnovo dell'autorizzazione di sicurezza del 2019 che
viene concesso anche se si sottolinea ancora una volta che non c'è
stato un pieno adeguamento alle normative. Nella "Valutazione di
conformità documentale dell'Ansf per la verifica delle prescrizioni,
l'aggiornamento e il rinnovo dell'autorizzazione di sicurezza" a Rfi,
nella parte relativa a manutenzione e funzionamento dei sistema di
controllo del traffico e di segnalamento, si legge: «Mancano
procedure che sanciscano principi di sicurezza generali, applicabili
su tutto il sottosistema di controllo comando e segnalamento. Il
criterio è soddisfatto in maniera parziale». E quindi, nelle
"limitazioni e prescrizioni" si concedono a Rfi tre o sei mesi di
tempo a seconda dei casi, per i diversi adeguamenti. È l'estate del
2019 e l'autorizzazione viene rilasciata solo fino al 2021 e non per
i canonici cinque anni. Due anni dopo la situazione non cambia ma
arriva comunque la proroga fino alla naturale scadenza, nel 2024.
I risultati, però sono evidenti: «Ci sono – conclude il funzionario
del Mit - assolute insufficienze nel sistema di gestione». —
UN BIGLIETTO CHE NON HA FERMATO LE CAUSE LEGALI PER DANNI RICHIESTI
DA MOGOL : "Diedi a Battisti il biglietto di Mogol lui lo
lesse e si commosse"
gianni armand-pilon
«Battisti era il mio idolo musicale». Antonio Del Santo, medico
dell'ospedale San Paolo di Milano, specialista in medicina interna e
ematologia, se le ricorda bene quelle giornate d'estate del 1998: il
ricovero del musicista, le cure disperate, la necessità di mettere
tutta la famiglia Battisti al riparo dalla curiosità morbosa del
mondo esterno. «Ho cercato solo di garantirgli le migliori
possibilità in una situazione critica di cui non ho mai parlato – e
mai lo farò – per rispetto nei confronti suoi e di tutti i
pazienti».
Ricorda il famoso episodio del bigliettino di Mogol?
«Perfettamente».
Come andò? Battisti riuscì davvero a leggerlo?
«Glielo consegnai io stesso».
Eludendo i ferrei controlli della moglie? Come fece?
«Durante una delle tante visite di controllo che gli facevo. Passavo
le mie giornate in ospedale. Sono arrivato a lavorare 72 ore senza
tornare a casa: non lo dimenticherò mai».
Torniamo a quel biglietto.
«A me lo diede la collega di un altro reparto. E io lo portai subito
in camera di Battisti».
Senza chiedere permesso alla moglie?
«Non era dovuto».
E poi?
«Gli dissi che arrivava da Mogol e che potevo allungarglielo,
leggerlo ad alta voce per lui o stracciarlo. Stava a lui, e soltanto
a lui, scegliere».
E a quel punto lui se lo fece dare.
«Non pensi a una lettera, era giusto un bigliettino, due o tre righe
al massimo e un numero di telefono in fondo. Mogol desiderava fargli
sapere che lo pensava e che era a sua disposizione per qualsiasi
cosa».
Tutto qui?
«Sì, ma quelle parole semplici colpirono Battisti al punto da
commuoverlo. L'ho detto e lo ribadisco. Sono l'unico a poterlo fare:
ero lì».
Quel biglietto ce l'ha lei, adesso?
«No. Lo tenne lui. Riuscì, non so come, a nasconderlo alla moglie.
Non ho davvero idea di che fine abbia fatto».
Che effetto le fa, a distanza di 25 anni, parlare ancora di
quell'episodio?
«Leggo dichiarazioni sia di Mogol sia della moglie di Lucio Battisti
che non corrispondono alla realtà. Comprensibile, è passato tanto
tempo. Ma i fatti sono fatti, e sono quelli che ho appena raccontato
a lei».
Che cosa le resta di quel periodo?
«Se si riferisce a cose materiali, niente: non ho chiesto un
autografo, un disco, niente. Pensavo solo a salvare il mio paziente,
cosa che purtroppo non è stata possibile. Lucio Battisti se n'è
andato il 9 settembre del 1998, intorno alle cinque del mattino, nel
reparto di rianimazione»
18.09.23
FASSINO PUNTA ALLA SUA SEGRETERIA INFINITA ? :
Fassino punge Schlein "Sulle spese
militari finirà per ricredersi"
Barletta dice Alfa, Torino risponde Beta. Chi volesse capire cosa
pensa il Pd dell'innalzamento delle spese militari del nostro Paese
al 2%, come chiede la Nato, ieri si trovava certo un po' spiazzato,
ascoltando la segretaria del partito democratico Elly Schlein nella
piazza pugliese, ospite della festa di Sinistra italiana, e poco
prima l'ex sindaco Fassino, intervenuto ad un dibattito sulla guerra
in Ucraina e le vie della pace, dal palco della Festa dell'Unità di
Torino. «Sono favorevole a sostenere Kiev, anche militarmente – ha
detto la leader dem –, ma pensano di raccontarci che la difesa
comune si fa aumentando in modo lineare la spesa dei singoli Paesi
europei? È il contrario. Se ci fosse una difesa comune, le spese si
potrebbero ridurre, razionalizzare», sentenziava Schlein. Un conto,
quello degli investimenti in difesa, che ammonterebbe a 13 miliardi
di euro in più da destinare ogni anno al comparto militare. «Mezza
manovra buona per altro», rispondeva Fratoianni, la sinistra-padrona
di casa.
Un passo avanti nella direzione della concretezza, quello di Elly
Schlein, che fa seguito ai tentennamenti sul tema degli scorsi
giorni: «Sul 2% decideremo quando saremo al governo». Un
posizionamento che sembra piuttosto lontano, però, dalla chiarezza
delle risposte che il suo compagno di partito stava dando alla festa
del Pd nel capoluogo piemontese: «Non si può volere essere sovrani
rispetto alla Nato e pensare che le spese militari diminuiscano, non
sta in piedi. Non si può fare la difesa europea con i fichi secchi»,
punge Fassino. E racconta un aneddoto, per spiegare che quello della
segretaria non è il primo ripensamento: «Quando Elly Schlein è
arrivata, ha detto che lei non era favorevole all'invio delle armi
in Ucraina. Poi, dopo qualche giorno è andata alla riunione del
Partito socialista europeo, non una riunione di reazionari, partito
di cui noi siamo parte e siamo stati fondatori (sull'atto di
fondazione c'è la mia firma, 1993). Schlein si è accorta che era
l'unica a pensarla così. Subito, si è riposizionata. Ha fatto bene.
Ora, non vorrebbe investire il 2% del Pil nella Difesa? Se ne assume
lei la responsabilità», dice l'ex sindaco, prendendo distanza.
Subito aggiunge: «Ho l'impressione che anche sul 2% del Pil si
ricrederà presto».
E se serviva prova che non c'è unità di linea dentro il Pd, è
arrivata sempre dal palco torinese. Con il vice capogruppo e
segretario di Demos, Paolo Ciani, che si fa un vanto, però, di
tenere vivo il dibattito interno. Ciani è tra quelli che ci hanno
messo la faccia: ha votato No al sostegno militare a Kiev. La
pungolatura di Fassino, invece, avviene pochi giorni dopo una
polemica attribuita a un altro colonnello del Pd, Nicola Zingaretti,
fino al 2021 alla guida del Nazareno. Sotto il palco della festa di
Ravenna avrebbe espresso, cioè a dar retta a Il Foglio (retroscena
non smentito), preoccupazione per le Europee: «Con Schlein non
superiamo il 17%».
10 anni DI GOVERNI FORNERO QUANTI NIDI HANNO REALIZZATO
? Bimbi fuori dai nidi. Una lacuna storica che nemmeno il
Pnrr è riuscita a sanare. A Milano sono 2.600 le famiglie in lista
d'attesa costrette a ripiegare sui privati, con rette che viaggiano
dai 550 euro al mese in su, o sulle rinunce delle mamme, a scapito
dell'equilibrio economico famigliare. Una situazione che interessa
tutta la città: i posti si potrebbero aumentare fino al 20% se solo
ci fossero determinate condizioni, di sicurezza in primis e di
personale.
Due ostacoli non facilmente sormontabili di per sé: da un lato le
inefficienze della burocrazia nel produrre, reperire, conservare,
recuperare la documentazione necessaria a dimostrare il possesso dei
requisiti normativi, dall'altro le difficoltà ben note di trovare
educatori. A impedirlo, secondo Palazzo Marino, sarebbe una legge
regionale che porrebbe paletti molto gravosi, anti-incendio
perlopiù, per l'attivazione della cosiddetta extra-capienza che
serve ad accogliere i bimbi in attesa. Fatto sta che i livelli di
capienza sono ridotti dal 2019. Ma il Covid sembrerebbe non
centrare, tanto che Palazzo Marino assicura: tutti i nidi e le
materne del Comune stanno funzionando con la capienza prevista dalla
legge. L'extracapienza e la sicurezza? «Lavoro in previsione».
A farne le spese, intanto, sono centinaia di famiglie come quella di
Alberto, neo-papà milanese. «Mai una risposta degna di questo nome»
racconta di avere ricevuto ogni volta che ha domandato perché la
capienza dei nidi a cui lui si è rivolto non sia stata ripristinata.
Due i nidi – entrambi pubblici dati in appalto a una cooperativa
piuttosto grossa che ne gestisce 22 in Milano – a cui ha provato a
mandare la sua bambina: se quattro anni fa accoglievano 72 bimbi,
oggi ne accolgono 60, «nonostante la struttura e il personale siano
adeguati all'ampliamento», oggi come allora. Lo testimoniano i
capitolati d'appalto che abbiamo potuto visionare. Palazzo Marino
conta 103 nidi a gestione diretta, 30 comunali in appalto, 79
privati convenzionati: totale 212. Prendendo a campione una decina
di nidi, sono centinaia i posti persi se si considera una riduzione
sino al 20% in ciascuno di questi. Da 72 a 60, da 72 a 57, per
esempio.
Numeri che pesano. Tante le famiglie che sono state gelate, dopo gli
open day nei nidi in questione, quando hanno scoperto che non
avrebbero potuto iscrivere i propri figli nelle stesse scuole a cui
avevano iscritto i maggiori solo una manciata di anni prima.
Alberto, portavoce spontaneo e determinato di un movimento di
genitori preoccupati, ha bussato a tutte le porte: Ats di Milano,
cooperativa, Comune di Milano, il suo municipio. «C'è un problema di
sicurezza? Perché non funzionano a pieno regime? Perché non
convertire secondo le esigenze i posti vacanti per medio-grandi o
per lattanti che siano disponibili? È già stato fatto», chiede. Ma
niente. Unica opzione oltre all'attesa: trovare posti vacanti in
sedi molto lontane da casa, «anche quaranta minuti di macchina a
viaggio».
La cooperativa, contattata, non ha dato risposte. «Serve una
riflessione realistica e concreta sul consistente aumento di
richieste per il nido», aveva detto tempo fa la vicesindaca Anna
Scavuzzo, quando i bambini esclusi erano 3.800. «Circa mille domande
in più arrivate per i nostri nidi, un bisogno crescente» da portare
«sui tavoli di confronto locali e nazionali».
Una ferita mai curata, dicevamo, quella di mancanza di asili nido,
che non si può certamente leggere solo attraverso la lente del calo
demografico, se è vero come è vero che i pur pochi bimbi di fatto
rimangono fuori e le mamme più spesso dei papà spremono congedi e
permessi. Nel 2002 il Consiglio europeo ha stabilito che gli stati
membri devono impegnarsi a offrire servizi per l'infanzia, quali i
nidi, ad almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni e ad almeno il 90%
dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'età dell'obbligo
scolastico. Dopo l'emergenza Covid, entrambi gli obiettivi sono
stati aggiornati. L'obiettivo del 90% nella fascia 3-5 anni è stato
innalzato al 96%, da raggiungere entro il 2030. Per quanto riguarda
quello del 90% nella fascia 3-5 anni, l'Italia si colloca
stabilmente al di sopra, con il 91% nel 2021, ma al di sotto della
media europea e della nuova soglia del 96%. Quanto al secondo
obiettivo, il dato italiano, sebbene in crescita da un decennio
circa, risulta ancora distante dalla soglia stabilita nel 2022.
Al netto delle forti disparità regionali, specie tra nord e sud,
come ha puntualmente documentato Openpolis, il numero di posti
disponibili in asili nido e servizi di prima infanzia per 100
residenti tra 0 e 2 anni è di 22,8 posti. A Milano il dato Istat
parla di 37,8 posti ogni 100 bambini, la Lombardia non figura tra le
regioni virtuose ma nemmeno tra quelle in cui non è presente alcun
servizio di nidi per l'infanzia, come accade nel 57% dei Comuni
italiani secondo i dati dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Com'è
che si dice? Dio, patria e? Fornero con Monti e poi Letta e Renzi ,Gentiloni
e Draghi ?
17.09.23
TRAFFICO DI ARMI :
Washington non intende annunciare la consegna di missili a lunga
gittata quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vedrà Biden
alla Casa Bianca giovedì. L'Amministrazione sta facendo delle
valutazioni, l'ipotesi di dare gli Atamcs ha preso vigore di recente
ma il prossimo pacchetto di armamenti - sarà annunciato a giorni
dicono i funzionari Usa - non avrà gli Atamcs. All'Onu martedì nel
suo discorso all'Assemblea generale Biden dedicherà, ha spiegato il
suo consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, una parte
consistente del suo intervento a sottolineare che «uno Stato non può
invaderne un altro e sottrarre territorio con la forza». Mentre la
questione di come continuare a sostenere concretamente la resistenza
di Kiev sarà al centro del 15esimo incontro del Gruppo di Contatto
sull'Ucraina che si svolgerà domani nella base Usa di Ramstein in
Germania. Ci saranno il capo del Pentagono Lloyd Austin e il capo
degli Stati Maggiori Riuniti Mark Milley e l'America si aspetta un
aumento dell'impegno europeo a favore dell'Ucraina. La
controffensiva infatti va a rilento. Il Dipartimento di Stato
giovedì ha ribadito la linea Usa, ovvero quella di continuare a
sostenere «fino a quando necessario» gli ucraini e Blinken ha
confermato che i pacchetti di aiuti hanno lo scopo di invertire la
rotta della battaglia dove i russi sembrano ancora in posizione di
forza. A preoccupare sono essenzialmente due cose: la prima è il
sostegno cinese e le armi nordcoreane a dimostrazione di una supply
chain che pur fra mille complessità regge; la seconda invece è la
capacità di Mosca di schierare sul terreno anche armi hi tech. Fra
queste spicca il Kinzhab, missile ipersonico usato (sei volte) ai
primi di marzo. Un segnale che ha spinto il Pentagono ad aumentare
la quota di investimenti nel settore. Il budget 2023 prevede infatti
5 miliardi per i vettori ipersonici che hanno la capacità di volare
vicino al terreno a oltre Mach 5, di cambiare traiettoria e di
sfuggire alle più moderne difese antimissile. È una risposta non
solo alla Russia, quanto alla Cina che nel 2021 fece un test che
destò scalpore a Washington. Gli americani - impegnati da due
decenni a potenziare gli investimenti per armi adatte alla guerra al
terrorismo - si resero conto di un gap crescente con Pechino e Mosca
in questo ramo.
A Washington sta facendo rumore un report interno del Pentagono in
cui si evidenzia come in un centro logistico in Polonia, luogo di
transito delle armi per l'Ucraina, il «rischio di furti e di
danneggiamento sia alto». In una doppia missione condotta fra
gennaio e giugno, gli ispettori hanno registrato la mancanza di
adeguata preparazione del personale, l'assenza di documentazione e
di una postura militare adeguata alla scorta dei cargo. Ad esempio,
gli ufficiali incaricati di presiedere al trasporto delle armi dall'hub
polacco all'Ucraina non erano a conoscenza che il convoglio stava
trasportando Bradley che sono rimasti per una notte incustoditi dopo
essere arrivati da Mannheim, in Germania.
LA VERITA' SU MOGOL E LA SUA DISINFORMAZIONE SERVILE :In
occasione del 25ennale della scomparsa di Lucio Battisti, la lettera
aperta di Maria Grazia Veronese Battisti riapre una vecchissima
querelle personale con Giulio Rapetti in arte Mogol. Siamo su un
terreno scivoloso, quindi proviamo a raccontarla così.
Due giovanotti di belle speranze si incontrano a Milano quasi
sessant'anni fa. Uno fa l'aspirante cantautore, l'altro grazie al
padre dirigente della Ricordi è un paroliere già in voga (una
fabbrica fordiana di cover italiane degli hit stranieri di
successo). Si piacciono, il mix musica-testi funziona, c'è un primo
contratto con la Ricordi. Poi, va così bene che decidono di aprire
una casa discografica e la chiamano Numero Uno (una sorta di
autodefinizione del proprio status).
L'aspirante non solo è diventato famoso, ma si è rivelato un gigante
che sta cambiando la musica moderna italiana, creando a tutti gli
effetti il «prima e dopo» LB. Il suo socio (perché a tutti gli
effetti quello è diventato il sodalizio) scrive testi che si
complementano benissimo con quella musica innovativa un po' strana,
fatta di brani che cambiano ritmo e mood anche due tre volte in una
canzone.
Come in tutte le storie c'è il momento d'oro. Si scende l'Italia a
cavallo, si pubblicano singoli ed album epocali ( La Collina dei
Ciliegi, Il Mio Canto Libero), il popolo italiano trova una colonna
sonora per i suoi momenti malinconici, giocosi, spensierati,
riflessivi. Nel '74 esce un disco pazzesco, Anima Latina, una
palette sonora fin troppo avanti per il pop italiano, nel quale –
sarà un caso – le parti vocali vengono quasi affondate nel mix, come
fossero uno strumento. La musica è così affascinante che funziona.
Il «paroliere-imprenditore» (come sottolinea nella missiva Veronese)
non trova giusta la ripartizione Siae standard, 8/24esimi per
Battisti e 4/24esimi per Mogol. Ritiene che il suo apporto sia
superiore, almeno alla pari con quello musicale (dopo Battisti,
Mogol lo pretenderà da chiunque per contratto) e lo richiede, a
dispetto delle regole consolidate. C'è poi la questione sulle
Edizioni Acqua Azzurra (il 50% rimanente): Mogol chiede che sia
ridiscussa la ripartizione originaria (56% Battisti, 35% Ricordi, 9%
a Mogol). L'aspirante cantautore diventato compositore
diventato genio è convinto della importanza superiore della sua
musica, e risponde che non se ne parla proprio.
I due insieme producono due album di grande successo Una Donna per
Amico e Una Giornata Uggiosa ma, dal mio punto di vista il binomio
non funziona più. Le melodie ci sono sempre, ma è tutto un po'
troppo patinato (passare come ispirazione da Otis Redding e Beatles
ai Supertramp e Fleetwood Mac è un bel salto), e soprattutto i testi
sono cambiati: stanchi, moralisti, voyeuristi, da signore di mezza
età in evidente crisi esistenziale.
Quando lo scrivo in una recensione su Rolling Stone edizione
Italiana nell'ottobre'78, non so nulla di quello che sta succedendo
dietro le quinte, ma presto Lucio decide di rompere il sodalizio.
Rimane per un disco con la Numero Uno, con testi suoi e della
moglie, facendo una piccola virata verso un pop più minimalista,
testi più sintetici. «E già, è la verità» è la frase d'apertura,
interpretabile in tante maniere diverse. Scaduto il contratto,
diventa un free-lance che produce in proprio e poi cerca un
distributore: guarda caso, la Sony che anni dopo si fonderà con la
BMG che ha incorporato la RCA/Numero Uno. I giri immensi della
discografia nuovo millennio.
I due ex-amici nel frattempo hanno rotto. Battisti e la moglie,
molto privati, difendono col silenzio tutto quello che è successo.
Direi che solo loro due sanno esattamente com'è andata, e se non lo
hanno mai voluto rivelare nel dettaglio la scelta va rispettata e
non scavata. Ricordiamo che l'ultima intervista Lucio l'ha data nel
'76, giusto per capire. Proseguendo, si affianca a un altro creatore
di parole, Pasquale Panella. Per la prima volta scrive lui la musica
sulle parole e non il contrario. Testi surreali, acrobazie
letterarie che portano a una musica di flusso, senza ritornelli,
meno cantabile di prima, certamente lontana dalla sensibilità
popolare dei testi di Mogol. Un'operazione di de-strutturazione e
ri-strutturazione musicale audace, a dispetto di tutto, meno
accessibile al mainstream. C'è bellezza in quei quattro dischi, ma è
diversa da quella di prima.
Quindi, abbiamo un musicista che non vuol più fare pop, ma esplorare
nuovi suoni e significati, e che non vuole avere più niente a che
fare con l'ex-socio ed ex-amico, al quale non va giù. Spettatori
della spinosa questio qualche milione di ascoltatori disorientati.
Che è successo? Eran così belle le canzoni Battisti-Mogol, ci siamo
cresciuti, queste nuove sono difficili (c'è comunque una larga fetta
di fan che pensa siano invece molto «avanti», più artistiche di
prima), che peccato, ma perché è successo? Perché la gente cambia,
si potrebbe rispondere. Si cresce in direzioni e con velocità
differenti, si dice quando i matrimoni vanno in crisi, qui non
sembra tanto diverso. Quando si è diventati coppia di fatto
(artistica) e uno dei due (per motivi non esplicitati ma legittimi)
decide di rompere, come ci si comporta? In tante maniere diverse, si
potrebbe aggiungere (in quest'epoca di social, poi, vale tutto). La
loro è stata silenzio da una parte e molto rimuginare dall'altra.
Mogol ha continuato con grande successo a fare testi per altri, ma –
questo mi sembra evidente – non s'è mai dato pace della fine del
sodalizio. Maria Grazia Veronese ha difeso la memoria (e i diritti
di copyright) del marito in modo maniacale, sbagliando a mio parere
quando non voleva che i brani di Lucio apparissero su Spotify (si
difende la memoria di un artista gestendola, non rendendola
inaccessibile), ma resistendo alle lusinghe dei soldi e senza lavare
i panni sporchi in Arno.
Se ne fa menzione adesso è, suppongo, per l'irritazione della causa
portata ora in Cassazione per «mancata chance»: tradotto, la
non-volontà di aprire il catalogo di Battisti ai «diritti
secondari», cioè film e pubblicità per la quale serve il parere
dell'autore e non solo dell'editore, e che nel caso di Lucio
aprirebbe le porte a lauti guadagni. Cosa sulla quale ormai han
mollato anche gli intransigenti (resistono solo i Beatles), ma che
una volta era un questione di integrità ed evidentemente rispecchia
le ultime volontà di Battisti. E per la storia brutta della lettera
consegnata per vie traverse a un Battisti commosso sul letto di
morte, divulgata da Mogol e che lei sostiene sia assolutamente
falsa. Da fan di Battisti-prima-e-dopo,
dico sommessamente al signor
Rapetti: ma metterci una pietra sopra e voltare pagina no? Visto che
la verita' lui non l'ha mai detta e quella della moglie di Battisti
viene censurata ultima lettera compresa .
16.09.23
I NODI VENGONO AL PETTINE :
Non solo migranti, Pnrr e nuovo patto di stabilità, lo scontro tra
Roma e Bruxelles si riaccende anche sulla corruzione. Cioè
sull'abolizione del reato di abuso d'ufficio e sul ridimensionamento
di quello di traffico di influenze, come previsto dal disegno di
legge firmato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e ora
all'esame del Parlamento. Un provvedimento che appare in contrasto
con la proposta di direttiva della Commissione europea sulla lotta
contro la corruzione. E proprio la commissaria Ue agli Affari
interni, la svedese Ylva Johansson, sollecitata da un'interrogazione
presentata dagli eurodeputati del Movimento 5 stelle, torna ad
avvisare il governo italiano sui rischi che le modifiche normative
in questione possano «influire sull'efficacia dell'individuazione e
del contrasto della corruzione». E ribadisce che «il reato di abuso
d'ufficio è uno strumento importante, anche perché riguarda
l'esercizio di funzioni pubbliche per conseguire un guadagno
personale».
Parole simili a quelle già scritte all'inizio di luglio, nel
capitolo dedicato all'Italia all'interno della relazione sullo Stato
di diritto, dove viene sottolineato il pericolo di vedere
«depenalizzate importanti forme di corruzione». Di fronte a questa
forte presa di posizione, la maggioranza di destra ha replicato
implicitamente un paio di settimane dopo con un voto parlamentare.
In commissione Affari Ue alla Camera è stato approvato un parere
motivato sulla proposta di direttiva europea anticorruzione, di
fatto bocciandola, perché «palesemente in contrasto con il principio
di sussidiarietà e proporzionalità». In sostanza, andrebbe a
travalicare le competenze europee rispetto alle scelte del
legislatore italiano. Una motivazione già avanzata, tra l'altro,
dalla stessa commissione per opporsi alla proposta di regolamento Ue
sul riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali. Nella
risposta ai 5 stelle, Johansson fa sapere che «la Commissione sta
valutando il contenuto del parere e risponderà conformemente agli
orientamenti della Commissione» e «continuerà a seguire gli sviluppi
in Italia».
Insomma, lo scontro sull'abuso d'ufficio è destinato a trascinarsi
nelle prossime settimane, con una nuova bacchettata dei vertici di
Bruxelles che sarà recapitata a Montecitorio e, indirettamente, al
ministero della Giustizia e a Palazzo Chigi. «Il governo si fermi -
attacca Laura Ferrara, eurodeputata M5s – altrimenti rischia di
deragliare in Europa anche sul tema della giustizia e di fare la
fine dei suoi alleati nazionalisti polacchi e ungheresi».
SCARICATO MASSA MA NON E' GIUSTO : La linea decisa da Rete
ferroviaria italiana si potrebbe inasprire ancora. Antonio Massa,
tecnico Rfi preposto alla scorta del cantiere diventato un cimitero
di operai sul binario di Brandizzo la notte tra il 30 e il 31 agosto
scorsi e principale indagato, potrebbe essere licenziato a breve
dall'azienda. Un modo, per Rfi, di sottolineare che la
responsabilità di aver violato i protocolli è individuale e non
riferibile all'azienda. Massa non ha ancora ricevuto una notifica
ufficiale da Rfi ma nei giorni scorsi sarebbe stato informato
ufficiosamente della decisione di licenziarlo. E, di questo
provvedimento, ne avrebbe parlato anche con alcuni colleghi con cui
continua a mantenere i contatti. Per ora il capo scorta è sospeso
dal servizio in via cautelativa mentre nei primi giorni dopo la
tragedia risultava in mutua stabilita dai medici che lo hanno
soccorso quella notte. I passaggi formali prevederebbero che gli
venga notificata una sanzione disciplinare e solo dopo il
procedimento. L'azienda avrebbe anche la possibilità di proseguire
con la sospensione almeno fino al primo grado di giudizio. Invece
sembra proprio che Rfi abbia deciso diversamente: licenziamento
subito.
Nel video-testamento girato dalla più giovane delle vittime della
strage (Kevin Laganà, 22 anni), si sente distintamente la voce di
Massa mentre si rivolge agli operai: «Se dico treno, buttatevi di
là». È questo – ma non solo – per lui un pesante riscontro alle
accuse che gli muove la procura della repubblica di Ivrea: omicidio
colposo plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale sono le
ipotesi di reato. Ci sarà un giusto processo e valgono per Massa
(come per tutti gli indagati) le garanzie di innocenza. Certo non
giocano a suo favore anche le testimonianze del capocantiere
Si.gi.fer e dell'amministratore delegato Franco Sirianni (anche loro
indagati con profili diversi), che sostengono che i loro operai (le
cinque vittime morte perché travolte da un convoglio vuoto in
transito) fossero stati autorizzati proprio da Massa a scendere sui
binari e iniziare i lavori in anticipo. Il tecnico è un uomo
comprensibilmente distrutto. Lo testimonia l'audio dell'ultima
telefonata (acquisito dalla procura attraverso i server Rfi) fatta
con la dirigente movimento di rete Ferroviaria Italiana a Chivasso
nella quale, per spiegare il disastro appena avvenuto, urla: «Sono
tutti morti, tutti morti!». E fa il paio lo sfogo con alcuni
colleghi vicini a lui il giorno seguente alla tragedia: «Ho
schiantato cinque vite, penso solo ai ragazzi». Chi lo conosce lo
racconta come un dipendente serio, con esperienza ventennale sui
binari tanto da arrivare al ruolo che rivestiva la notte del
drammatico incidente. Nei giorni scorsi ha cambiato avvocato e
scelto di nominare come legali di fiducia Maria Grazia Cavallo e
Antonio Maria Borello. «Al momento la nostra priorità è l'aspetto
umano» hanno detto dopo aver incontrato Massa. «Il nostro assistito
è talmente sconvolto che dobbiamo procedere con molta cautela,
gradualmente, nel chiedergli di rievocare i fotogrammi di quella
notte».
NON E' UNA SCELTA SINGOLA: Nel 2014 l'incidente a Butera dove
morirono tre operai investiti da un treno L'unico condannato il
dirigente che dichiarò che non sarebbero passati convogli
In Sicilia una strage fotocopia ma in appello tutti assolti i
vertici della Rete ferroviaria
Giuseppe Salvaggiulo
Gli operai sui binari con martelli pneumatici e cuffie. Un treno in
arrivo. La tragedia. Non è Brandizzo 2023, ma Butera 2014. Una
strage fotocopia. Dopo nove anni, la sentenza della Corte di appello
di Caltanissetta ha assolto sette imputati su otto. È il 17 luglio
2014, dieci minuti prima delle 18. Sulla tratta a binario unico
Gela-Canicattì ci sono gli operai manutentori Antonio La Porta,
Vincenzo Riccobono e Luigi Gaziano. Il treno regionale 12852 li
«investe mortalmente», recita il comunicato di Rfi, la società delle
Ferrovie. Il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi commenta:
«Non si può perdere la vita così».
La Procura di Gela ricostruisce i fatti. La mattina un treno
diagnostico ha rilevato «cinque difetti rilevanti, tali da imporre
l'interruzione della linea». Sei manutentori vengono inviati dopo
pranzo e divisi in due squadre, a distanza di 8 chilometri. In
questi casi, racconta uno di loro, «senza visuale o in presenza di
una curva si fa sempre obbligatoriamente l'interruzione della
linea».
Ma la linea non viene interrotta, secondo la prassi «elusiva»
dell'allarme a vista. Una squadra mette il pietrisco sotto il
binario, senza usare mezzi pesanti. «All'arrivo del treno regionale
- raccontano - abbiamo visto abbassarsi la sbarra del passaggio a
livello e siamo fuggiti all'ultimo momento».
L'altra squadra deve sistemare uno sghembo di 8 millimetri. Che però
si trova «dopo una curva chiusa con scarsa visibilità». Alle 17,45
un operaio chiama il dirigente operativo della sala controllo di
Palermo «per sapere se passano treni». «Nessun treno per 40 minuti».
La telefonata che costa la vita ai tre operai dura 25 secondi.
Dopo cinque minuti, il treno partito alle 17,37 da Gela li travolge
a 80 chilometri orari. La capotreno è sconvolta: nessuno l'aveva
informata dei lavori. Dall'indagine risulta che i tre operai «erano
stati mandati sul posto sprovvisti di giacche ad alta visibilità e
altri dispositivi di sicurezza. E non avevano adottato alcuna
procedura di protezione cantiere».
La Procura conclude che «l'intervento sul binario doveva essere
programmato e attuato in regime di interruzione della linea». Con
l'accusa di omicidio plurimo colposo, manda a processo otto
imputati: dai responsabili operativi all'amministratore delegato di
Rfi, oltre alla stessa società per aver «conosciuto e avallato una
costante prassi illegale e pericolosa».
Ma secondo i giudici, sia in primo grado che in appello, l'ipotesi
ha trovato riscontro solo in un paio di «testimonianze imprecise,
titubanti e contraddittorie». Viceversa i documenti aziendali
provano centinaia di interruzioni di linea, talvolta per molti
giorni. Dunque «solo il giorno dell'incidente stranamente la linea
non fu interrotta, con una condotta anomala» sconosciuta ai quadri e
vertici aziendali.
Peraltro la Cassazione, pronunciandosi sulla strage alla stazione di
Viareggio del 2009, ha stabilito una soglia molto rigorosa per
dimostrare responsabilità aziendali, richiedendo la prova di «una
scelta orientata a risparmiare sui costi d'impresa per massimizzare
i profitti».
Il risultato è paradossale: in definitiva la colpa «del fatale
errore» è degli stessi «sventurati operai» che non chiesero di
interrompere la circolazione. E dell'unico condannato, il dirigente
che da Palermo assicurò al telefono che non sarebbe passato alcun
treno. La pena per lui è due anni, sotto la soglia del carcere. Dopo
il deposito delle motivazioni della sentenza di appello, la Procura
generale valuterà il ricorso in Cassazione. I familiari delle
vittime hanno accettato i risarcimenti e sono usciti dal processo.
La vicenda rappresenta una lezione per la strage di Brandizzo. Ma
con due differenze. Gli operai siciliani erano dipendenti di Rfi,
quelli piemontesi di una ditta appaltatrice. La linea siciliana era
a bassa circolazione, il che esclude un interesse economico a
tenerla aperta; quella piemontese tutt'altro.
Resta una domanda: com'è possibile, a distanza di nove anni, che si
verifichi un incidente uguale? Sarà solo, come scrive il giudice
siciliano, «fatale disattenzione e sciagurata opzione lavorativa?».
LA FRANCIA IN AFRICA HA CHIUSO : Niger, ambasciatore francese
in ostaggio "Non può uscire si nutre di razioni militari"
Nella guerra di nervi tra la Francia e i militari golpisti in Niger,
il presidente Emmanuel Macron ieri è andato all'attacco con una
pesante accusa nei confronti della giunta salita al potere Niamey:
l'ambasciatore di Parigi, Sylvain Itté, è «ostaggio» all'interno
della sede diplomatica francese. Non ha «più la possibilità di
uscire, è persona non grata» e non si può «alimentare», ha affermato
Macron durante una visita a Semour-en-Auxois, nella Francia
centrorientale. Per questo Itté si nutre solamente con «razioni
militari». Una situazione che riguarderebbe anche altri membri del
personale diplomatico. Da settimane gl autori del colpo di Stato che
a fine luglio ha deposto il presidente eletto Mohamed Bazoum, oltre
a chiedere il ritiro delle forze francesi, esigono il rientro
dell'ambasciatore, che Parigi continua a mantenere al suo posto
rifiutandosi di riconoscere la giunta al potere. «Farò quello che
converremo con il presidente Bazoum perché è lui l'autorità
legittima e gli parlo ogni giorno», ha spiegato Macron. Ma la
tensione resta alta anche con gli altri Paesi della regione guidati
da golpisti. Il Burkina Faso ha intimato all'addetto per la Difesa
dell'ambasciata francese di lasciare il Paese entro due settimane,
accusandolo di «attività sovversive». Parigi garantisce che
continuerà ad accogliere artisti provenienti dal Sahel, mettendo
così fine a una polemica nata dopo una nota redatta dal Ministero
degli Esteri in cui si chiedeva agli attori del settore culturale di
interrompere le cooperazioni con Mali, Niger e Burkina Faso.
SPRECO VACCINALE : Chiarito che per i sani tra i 6 mesi e i
59 anni di età il vaccino anti Covid continuerà a essere gratuito,
stanno per sbarcare 9 milioni e 173 mila dosi, 2, 9 di Novavax gli
altri di Pfizer, di antidoti aggiornati sulle nuove varianti. Circa
la metà di quelli che servirebbero per coprire l'intera platea di
over 60 e popolazione più giovane ma fragile. Ma il nuovo invio farà
andare al macero la ventina di milioni di vecchie fiale che nessuno
oramai vuole perché tarate sulla vecchia versione del virus,
portando così lo spreco dall'inizio della campagna a oggi a quota
102 milioni di dosi, per un valore vicino ai 2 miliardi, visto che
gli antidoti costano in media 19 euro a somministrazione.
I vaccini inutilizzati alla fine saranno però molti di più perché
sul nostro Paese, scaglionate negli anni, arriveranno ancora
qualcosa come 61,2 milioni di dosi targate Pfizer, più 2, 9 di
Novavax. Una valanga di fiale che rischiano di finire in larga parte
al macero, vista la stanchezza vaccinale oramai imperante, dalla
quale non contribuiranno di certo a scuotere gli italiani i messaggi
ambigui, che da un lato parlano di virus innocuo e dall'altro
invitano a vaccinarsi. Tanto che alla fine il conto dello sperpero
vaccinale rischia di lambire i 3 miliardi.
Ma per capire come siano andate le cose bisogna partire da quando la
pandemia faceva spavento. Allora l'Ue per tutelarsi si lanciò in
acquisti massicci, dei quali all'Italia spettava una quota
proporzionale alla sua popolazione, ossia il 13,6%. Che non si sia
badato a spese al momento di decidere le quantità da acquistare lo
dimostrano i numeri esposti a suo tempo dal generale Tommaso Petroni,
a capo della task force per il completamento della campagna
vaccinale: 60 milioni di dosi vicine alla scadenza regalate
all'Africa e spesso finite nella spazzatura per l'impossibilità di
conservarle alle adeguate temperature, più 22 milioni di dosi
scadute a fine 2022. A queste vanno poi aggiunte circa 20 milioni
consegnate lo scorso anno e mai somministrate. In tutto fanno 102
milioni di fiale mandate al macero nonostante nei primi anni di
campagna vaccinale l'Italia abbia fatto registrare record di
adesioni da parte della popolazione.
Ma lo spreco vaccinale non finisce qui, perché a causa di una
clausola capestro l'Europa si ritrova ora costretta ad acquistare
dalla Pfizer qualcosa come 450 milioni di dosi, delle quali 61, 1
destinate all'Italia. Una quantità ingestibile, tanto che dopo una
lunga trattativa la Pfizer ha concesso di spalmare su più anni gli
invii e i relativi pagamenti.
Che le cose non siano del tutto chiare lo hanno pensato anche quelli
del New York Times, quando l'inverno passato hanno deciso di portare
la Commissione Ue in tribunale per non aver reso pubblico lo scambio
di messaggi tra la presidente von der Leyen e il ceo di Pfizer,
Albert Bourla, riguardo il negoziato che ha portato all'acquisto dei
vaccini anti Covid. Certo è che resta difficile comprendere come mai
in questa massa di dosi siano compresi i 19 milioni aggiornati su
Omicron 1, acquistati dall'Ue e autorizzati dall'europea Ema appena
una manciata di giorni prima che venisse accesa la luce verde a
quelli aggiornati sulle nuove sottovarianti di Omicron 4 e 5. Come
non si sapesse che quasi tutti avrebbero preteso gli venissero
somministrati i «nuovi modelli».
Così mentre si fatica a trovare i soldi per pagare medici e
infermieri o per tagliare le liste di attesa ci si carica di una
tassa vaccinale per gli anni a venire che si fatica a comprendere,
visto che la ricerca dei vaccini è stata finanziata a suon di decine
di miliardi di euro anche dagli Stati.
Intanto, Schillaci annuncia che «nuovi vaccini aggiornati contro le
varianti Xbb circolanti di Omicron arriveranno entro due settimane e
la campagna vaccinale anti-Covid e antinfluenzale partirà dagli
inizi di ottobre».
In base alla recente circolare diramata dal direttore della
Prevenzione del ministero, Francesco Vaia, i vaccini sono più
specificatamente raccomandati a: over 60, donne in gravidanza o in
allattamento, operatori sanitari e socio-sanitari, «persone dai 6
mesi ai 59 anni di età, con elevata fragilità, in quanto affette da
patologie o con condizioni che aumentano il rischio di Covid-19
grave». Tra questi la circolare cita cardiopatici e affetti da
malattie respiratorie gravi, obesi, pazienti oncologici, dializzati,
trapiantati e immunodepressi. «La vaccinazione potrà inoltre essere
consigliata a familiari e conviventi di persone con gravi
fragilità», fermo restando che in via prioritaria andrà assicurata a
ultraottantenni, ospiti di strutture per lungodegenti, come le Rsa,
persone con elevata fragilità e marcata compromissione del sistema
immunitario.
ERA GIA' TUTTO DECISO : Prima assemblea tra i lavoratori: "Rischiamo
di perdere il posto, ora dobbiamo restare uniti" I sindacati vedono
i vertici dell'azienda che formalizza la richiesta: 13 settimane di
sussidio
Cassa integrazione alla Sigifer "Rfi cerca di scaricare le colpe"
La prima assemblea sindacale per gli operai della Si.gi.fer è stata
ieri mattina. Un incontro carico di paure e angosce, dopo la morte
dei cinque colleghi schiacciati dal treno a Brandizzo. Nel
pomeriggio, invece, gli stessi sindacati hanno incontrato i
rappresentanti dell'azienda: Franco Sirianni (direttore generale),
Cristian Geraci (direttore tecnico), Simona Sirianni (legale
rappresentante) e il socio Daniele Sirianni, tutti indagati dalla
procura di Ivrea per omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario
colposo. Presenti anche i loro avvocati. Lo scopo di entrambi gli
incontri è quello di provare a dare un futuro ai lavoratori, ora in
bilico. Partendo dagli ammortizzatori sociali. Giovedì, infatti, Rfi
ha notificato lo sospensione dell'attività lavorativa alla
Si.gi.fer. In pratica l'azienda di Borgo Vercelli ha perso tutti gli
appalti dell'unico committente che aveva e con questa motivazione
ieri è stata formalizzata la richiesta di tredici settimane di cassa
integrazione ordinaria (il tempo massimo) per tutti i lavoratori
rimasti in azienda, 79 tra impiegati e operai. Due mesi fa, secondo
i dati della cassa edile, erano molti di più (126 solo gli operai)
ma poi alcuni hanno lasciato. «È stato un confronto semplice,
l'azienda ci ha comunicato la notifica di Rfi e la richiesta di cig.
La priorità è attivare i sussidi per questi lavoratori», spiega
Carlo Rivellino, della Filca Cisl di Vercelli.
Però non c'è stato un accordo sull'anticipo della cassa integrazione
quindi gli operai rischiano di rimanere senza sussidio finché non
verranno sbrigate le pratiche burocratiche. «L'azienda - spiega
Giuseppe Manta, segretario generale della Feneal Uil Piemonte - ci
ha comunicato che non può anticipare la cassa perché non ha
liquidità. Con la sospensione formalizzata da Rfi sono stati sospesi
anche i pagamenti e Si.gi.fer sostiene che ha ancora fatture non
saldate da maggio». Garantito, invece, il pagamento dello stipendio
di agosto, che verrà accreditato il 20 settembre. Sirianni ha ancora
assicurato che pagherà qualche giornata di settembre a chi ha
lavorato. Poi basta, il conto è in rosso.
Quello che succerà le prossime settimane è un'incognita. E ieri
mattina, durante l'incontro tra i sindacati (presenti i regionali e
i territoriali di Fillea, Filca e Feneal) i lavoratori hanno
espresso tutte le loro preoccupazioni. Hanno partecipato una
cinquantina di operai anche se mai prima d'ora in azienda erano
state elette rsu. Pure la rabbia è tanta: «Stanno cercando di
ribaltare sulla Si.gi.fer le loro colpe. Rischiamo di pagare solo
noi, che abbiamo perso anche colleghi a cui eravamo affezionati», è
il commento condiviso dagli operai. Per questo la priorità è
tutelare il posto di lavoro. «Una ottantina di famiglie rischiano di
restare senza stipendio. Questi lavoratori devono essere assorbiti e
ricollocati tutti dalla società appaltatrice (la Clf) o da Rfi. Non
sono soli, noi siamo al loro fianco», sottolineano Ivan Terranova e
Massimo Cogliandro della Fillea Cgil. «Siamo convinti che la colpa
non sia solo di Si.gi.fer ma anche committente e impresa
appaltatrice hanno le loro colpe», aggiunge Manta. Lunedì mattina è
prevista un'altra assemblea «per capire che strada intraprendere».
Dopo la Juve anche Bigliettopoli Il Pg di Cassazione: "A Roma il
processo Muttoni-Esposito"
Non bastava il procedimento nei confronti della Juventus già
destinato ufficialmente a essere assorbito – ed un eventuale
processo celebrato – a Roma per manifesta (per i giudici)
incompetenza territoriale. Da Torino potrebbe andare via anche il
maxi-processo legato all'inchiesta ribattezzata "Bigliettopoli" che
vede tra gli imputati principali gli imprenditori dello spettacolo
Giulio Muttoni e Roberto de Luca e l'ex senatore Pd Stefano Esposito
accusati di corruzione in concorso.
La Cassazione deciderà a ore ma il procuratore generale, ha già
chiesto alla Corte di esprimersi nel senso di un trasferimento a
Roma della parte più rilevante del procedimento quella legata agli
imputati già citati. La competenza radicherebbe nella Capitale anche
in relazione al primo bonifico che Esposito ricevette da Muttoni
(per l'indagato a titolo di prestito personale interamente
restituito e nato nel contesto di una lunga e datata amicizia tra i
due, per la procura il prezzo di una corruzione ricambiato da
Esposito con una serie di presunti favori all'imprenditore). Nota a
latere: non tutti gli imputati lo avevano chiesto, ma è stato il
presidente del Collegio che li sta giudicando nel processo in corso
con rito ordinario a trasmettere a Roma il quesito anche alla luce
delle modifiche sul tema introdotte dalla riforma Cartabia.
Per il giudice Paolo Gallo nonché per il pg della Cassazione «la
competenza territoriale dovrebbe essere attribuita al giudice del
luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del (presunto) reato e
cioè Roma. Luogo in cui Esposito aveva acceso il conto corrente – si
legge agli atti dei giudici – su cui, il 20 maggio 2010, pervennero
i due accrediti rispettivamente di euro 150 mila e 14 mila». Cosa
accadrà adesso? Che in caso di accoglimento della corte di
Cassazione l'inchiesta – nella parte che riguarda le ipotesi di
reato contro Muttoni, Esposito e De Luca – deve andare a Roma.
Tornare alla fase delle indagini preliminari che prima o poi – dopo
nuovo vaglio di altri pm diversi dal collega torinese titolare
(Gianfranco Colace) – verrà chiusa in un senso o in un altro.
Su questo procedimento peraltro grava l'attesa del giudizio anche
della Corte Costituzionale investita dal Senato a larga maggioranza
e che dovrà occuparsene nel merito avendo dichiarato ammissibile il
ricorso presentato da Palazzo Madama contro la procura e l'ufficio
Gip/Gup del tribunale di Torino. Il nodo è il possibile utilizzo o
meno delle intercettazioni che riguardano l'ex senatore (in carica
all'epoca dell'inchiesta nonchè componente della commissione
parlamentare antimafia). La Consulta dovrà valutare se quelle oltre
100 conversazioni finite nel fascicolo del processo (sulle oltre 500
effettuate) potevano essere fatte e potranno essere dunque
utilizzabili in sede processuale.
15.09.23
PAGA SEMPRE L'ULTIMA RUOTA DEL CARRO:
Dopo la tragedia Rfi sceglie la linea
dura "Sigifer non lavora più nei nostri cantieri"
GIUSEPPE LEGATO
CLAUDIA LUISE
TORINO
La ditta che avrebbe dovuto eseguire i lavori di sostituzione di
sette metri di rotaia a Brandizzo estromessa dagli appalti futuri,
il tecnico addetto alla scorta del cantiere della morte che diede
agli operai il via libera a scendere sui binari senza interruzione
di linea sospeso in via cautelativa dal servizio. È la linea dura di
Rfi (Rete ferroviaria italiana) dopo la tragedia di Brandizzo
costata la vita a cinque lavoratori della Si. gi. fer di Borgo
Vercelli, da anni inserita tra le società abilitate da Rfi a gestire
numerosissimi subappalti di manutenzione sulla rete ferroviaria.
La notizia, circolata già nei giorni scorsi in via informale tra i
lavoratori è stata ufficializzata ieri alla ditta edile e poi resa
pubblica in serata dall'amministratore delegato di Rfi, Gianpiero
Strisciuglio: «Si. gi. fer non lavora più nei nostri cantieri, sulla
nostra infrastruttura, sono stati presi provvedimenti, il tragico
incidente impone misure di questo tipo».
Quanto accaduto alle porte di Torino «è una violazione del sistema
di regole con cui si devono effettuare i lavori sull'infrastruttura
ferroviaria italiana». E rilancia: «Alla nostra azienda non è nota
alcuna prassi né è consentita alcuna prassi differente da quella
prevista dalla nostra rigida normativa, abbiamo delle norme e delle
procedure che regolano queste attività, il cantiere non era
autorizzato all'inizio dei lavori e i cantieri che riguardano
l'infrastruttura ferroviaria devono essere preventivamente
autorizzati, l'autorizzazione consiste nell'accertare che non ci
deve essere la circolazione dei treni».
L'intervento del vertice aziendale è andato in onda nella
trasmissione Cinque Minuti su Rai Uno. Strisciuglio ha aggiunto: «Ho
promesso a mio figlio che suo padre e tutta l'azienda lavorerà con
la massima determinazione e con il massimo impegno e il massimo
rigore affinché non si possa più verificare una situazione così
tragica», sottolineando (a suo dire) che a livello tecnologico
«siamo all'avanguardia in Europa. Abbiamo anche un piano
importantissimo di sviluppo dei sistemi di sicurezza, che ha la
priorità assoluta».
Il dirigente ha spiegato di aver visto «moltissime volte» il video
girato da Kevin Laganà, la più giovane delle vittime (aveva 22 anni)
pochi minuti prima dell'impatto con il treno che trasportava undici
convogli vuoti. In quei frame si vede chiaramente come gli operai
fossero scesi sui binari mezz'ora prima dell'orario in cui erano
programmati i lavori. Si sente distintamente il tecnico Rfi Antonio
Massa (al momento principale indagato insieme al capocantiere Andrea
Gibin Girardin) che dice agli operai: «Se dico treno buttatevi da
quella parte». «L'ho visto tantissime volte il video, è grande il
dolore, un dolore che porto dentro di me, tutti i ferrovieri sono
fortemente addolorati. È un tragico evento». Intanto Massa, che di
Rfi è dipendente, è stato sospeso in via cautelativa e nei prossimi
giorni potrebbe arrivare anche la contestazione disciplinare.
L'intervento di Strisciuglio traccia una linea chiara di Rfi sui
fatti, dichiarazioni che non possono non essere lette anche come un
posizionamento extragiudiziale in attesa di nuovi eventi. La
società, al momento, non ha ricevuto contestazioni penali dalla
procura di Ivrea che indaga sul disastro, ma non è per nulla escluso
che – risalendo la gerarchia di ruoli superiori a quello di Massa –
possano esserci persone che conoscessero quella maledetta prassi di
cominciare i lavori prima di aver ottenuto l'interruzione della
linea per guadagnare tempo e rimanere nei range stabilito dai
contratti di appalto e subappalto. Si vedrà. Ad affidare i lavori
alla Si. gi. fer è stata la Clf (Costruzioni linee ferroviarie), un
grande gruppo che fa parte della multinazionale olandese Strukton
Rail (6. 500 dipendenti e un fatturato di circa 1, 9 miliardi di
euro). L'azienda di Borgo Vercelli era inserita, appunto, nella "white
list" dei fornitori. «La sicurezza nel settore delle costruzioni
ferroviarie è la massima priorità all'interno del Gruppo Strukton –
risponde l'azienda – quindi questo incidente è uno shock per tutti
noi. I lavori sono stati eseguiti esclusivamente e in autonomia
dalla ditta subappaltatrice Si. Gi. Fer, azienda con oltre 30 anni
di esperienza nel settore ferroviario e dotata delle qualifiche
richieste. Le circostanze dell'incidente sono al vaglio delle
autorità. Stiamo collaborando alle indagini e attendiamo gli esiti».
GIOCO AL MASSACRO : Chi conosce Franco Sirianni, il titolare
della «Si.Gi.Fer Armamenti Ferroviari» di Borgo Vercelli – l'azienda
per la quale lavoravano i cinque operai morti travolti dal treno
alla stazione di Brandizzo nella serata del 30 agosto – dice che è
una persona distrutta, annientata dal dolore e senza più lacrime per
piangere. Ancora di più dopo aver saputo di essere ufficialmente
indagato dai magistrati di Ivrea per «omicidio colposo plurimo e
disastro ferroviario».
Un colpo durissimo per lui che, prima di prendere il timone della
Si.Gi.Fer, dove oggi lavorano un centinaio di addetti, ha faticato
nei cantieri per trent'anni, giorno e notte. Un colpo ancora più
devastante di quella scritta «Assassini basta appalti» che, qualche
giorno fa, è comparsa davanti ai cancelli dell'azienda di
Borgovercelli e che lui ha fatto subito cancellare. Perché, come
aveva detto a La Stampa una decina di giorni fa: «Questi sono i
giorni più brutti di sempre. Non posso avere pace, ma so di avere la
coscienza a posto».
Infatti gli avvocati Pierpaolo Chiorazzo, Paolo Grasso e Alberto de
Sanctis, che assistono lui e gli altri tre sotto inchiesta, hanno
fatto sapere che: «I nostri assistiti, respingono con decisione le
ipotesi accusatorie, oggi formulate a titolo provvisorio e solo per
consentire il corretto esercizio del diritto di difesa e sono
convinti che verranno accertate le reali responsabilità di quanto
accaduto».
Anche perché, in questi giorni, si è detto di tutto. Operai ed ex
operai della Si.Gi.Fer hanno detto che venivano impiegati nei
cantieri senza aver fatto formazione, che rischiavano sempre, che
era un'abitudine. Già allora l'imprenditore di Villata, un piccolo
centro al confine con il Novarese, era stato molto chiaro:
«Assolutamente no, non dovevano essere lì. La scorta di Rfi non
doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono
chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto e questo
i ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari
durante gli interventi».
Dopo giorni di immenso dolore e di interrogatori fiume in Procura ad
Ivrea - in attesa che finiscano gli accertamenti del dna per
ricomporre i corpi straziati dal treno dando loro la sepoltura -
ieri, la direzione della ditta di Borgovercelli ha deciso di
chiarire alcuni particolari. Un'iniziativa adottata anche in seguito
alla notizia di altri quattro indagati (al tecnico di Rfi, Antonio
Massa, 48 anni, e al caposquadra della Sigifer, Andrea Girardin
Gibin, 53 anni si sono aggiunti Franco Sirianni, la figlia Simona
Sirianni, amministratore unico dell'azienda, l'altro figlio Daniele
e il direttore tecnico Cristian Geraci), dopo il lavoro effettuato
dai pm Giulia Nicodemi, Valentina Bossi e dalla procuratrice capo
Gabriella Viglione.
«Come azienda, anche supportati dal nostro personale, ci siamo messi
a disposizione della magistratura sin dalle prime ore, dai primi
minuti dopo la tragedia quando siamo accorsi sul posto» - ha
spiegato in un comunicato Simona Sirianni. «Lo abbiamo fatto
silenziosamente, attoniti di fronte a tanto dolore. Non possiamo che
respingere le ipotesi accusatorie, ma siamo convinti che verranno
accertate le reali responsabilità di quanto accaduto». E, come aveva
già fatto il padre nei giorni scorsi, ribadisce che: «Teniamo ad
evidenziarlo con energia che Si.Gi.Fer non ha e non poteva avere il
controllo del traffico ferroviario che compete esclusivamente al
committente. La notte del 30 agosto non è stata garantita ai nostri
operai l'interruzione della linea che è la base elementare per
permetterci di lavorare».
E ieri Rfi, dopo trent'anni, ha momentaneamente sospeso il rapporto
con Si.Gi.Fer dopo quello che è accaduto e in seguito alle indagini.
«Nel rispetto delle vittime, dei nostri operai e di tutti i soggetti
coinvolti in questa immane tragedia – termina ancora
l'amministratore unico di Si.Gi.Fer – riteniamo di mantenere un
doveroso riserbo sugli accertamenti in corso e ci auguriamo che non
vengano diffusi gli atti delle indagini».
NORDIO E PROCURA IVREA : Lavoro, sicurezza e giustizia. Elly
Schlein, nel suo viaggio tra il popolo del Pd che affolla le feste
dell'Unità di Aosta e Torino, sceglie di far tappa a Brandizzo per
riaccendere i riflettori della politica e del governo sulla strage
dei cinque operai che lavoravano di notte alla sostituzione dei
binari. La segretaria del partito democratico tornerà a chiedere più
fondi per combattere l'emergenza e aumentare le ispezioni e dare
voce alla protesta dei parlamentari subalpini che chiedono con
urgenza l'intervento del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per
rafforzare la procura di Ivrea dove mancano giudici e personale
amministrativo. Temi che la leader riprenderà nell'intervista con il
direttore de La Stampa, Massimo Giannini, in programma alle 21 alla
kermesse di piazza d'Armi. Alla stazione di Brandizzo, infatti, la
parlamentare accompagnata da una delegazione del suo partito renderà
omaggio alle vittime. Poi dovrebbe incontrare il sindaco, Paolo
Bodoni.
La segretaria, nei giorni scorsi, alla festa del Fatto Quotidiano a
Roma, era andata all'attacco di Palazzo Chigi: «Il dramma di
Brandizzo è un dramma che purtroppo è quotidiano, perché dobbiamo
renderci conto che questa è una vera emergenza del Paese. Questo
governo non parla mai di sicurezza sul lavoro. È chiaro che non è un
problema che nasce oggi, perché questo tema da tempo è trascurato.
Occorre mettere risorse perché, ad esempio, ci siano più ispettori
del lavoro». Ma sicuramente metterà l'accento anche sulla giustizia
dopo l'allarme della dalla procuratrice capo di Ivrea, Gabriella
Viglione, rilanciato dal procuratore generale, Francesco Saluzzo.
Che cosa sta succedendo? La Procura di Ivrea è cenerentola per
numero di fascicoli pendenti per magistrato superiore alla media
nazionale (1940), e carente di personale amministrativo (18 su 32
previsti) e anche gli agenti di polizia giudiziaria (8 anziché 20)
sono insufficienti a smaltire i carichi di lavoro. Per Saluzzo la
strage di Brandizzo potrebbe segnare il «tracollo» definitivo
dell'ufficio. E in previsione della prossima legge di bilancio, il
Pd ha deciso di andare all'attacco del governno e, in particolare,
del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il primo affondo arriva
da Anna Rossomando, vicepresidente del Senato: «Le criticità sono
note da tempo. A maggio il Pd aveva presentato un'interrogazione al
ministro denunciando la totale inadeguatezza di tutte le piante
organiche. Nessuna risposta alla richiesta di ripristino di consone
misure di lavoro per magistrati e personale per consentire un
adeguato servizio giustizia nel territorio. Adesso speriamo che
Ministero e Governo battano un colpo».Poi tocca a Chiara Gribaudo,
presidente della commissione d'inchiesta della Camera sulle
condizioni di lavoro in Italia: «I morti di Brandizzo e le loro
famiglie meritano giustizia, e per farla serve mettere quanto prima
la procura di Ivrea nelle migliori condizioni per investigare su
questi tragici fatti. Dobbiamo capire le cause del sovraccarico di
lavoro, ma oggi l'urgenza è intervenire sulla dotazione di risorse,
di personale amministrativo, di magistrati e di polizia giudiziari».
E il consigliere regionale, Alberto Avetta, chiede l'intervento del
presidente del Piemonte, Alberto Cirio, perché «agisca sul Governo
per trovare una soluzione: non possiamo abdicare al diritto alla
giustizia dei cittadini, lo dobbiamo anche alle vittime di Brandizzo.
Le carenze di organico compromettono questo diritto sancito dalla
Costituzione».
APRIAMO GLI OCCHI : L'allarme della Dia "La 'ndrangheta punta
sui lavori Pnrr"
Pnrr e mafie, la Dia rilancia l'allarme: «La perdurante, delicata
fase economico e sociale, conseguente alla emergenza pandemica ha
determinato anche in Piemonte una certa vulnerabilità sociale e
finanziaria. Le ingenti iniezioni di denaro destinate all'Italia
dall'Europa, nell'ambito del Piano Nazionale di Ripresa e
Resilienza, potrebbero costituire un singolare fattore d'attrazione
per le organizzazioni criminali operanti in Piemonte e Valle
d'Aosta, regioni caratterizzate anche dalla presenza di
organizzazioni criminali strutturate, prime fra tutte la
‘ndrangheta». Lo si legge nella relazione semestrale pubblicata ieri
sul sito della Direzione Investigativa antimafia. E che le cosche
dislocate da Volpiano a Chivasso, da Carmagnola a Moncalieri godano
di buona salute nonostante i durissimi colpi inferti negli ultimi 12
anni dalle indagini (da Minotauro in poi) è fatto noto agli
investigatori: «Si deve ritenere che la ‘ndrangheta, più delle altre
consorterie criminali mafiose autoctone, si sia insinuata nel
tessuto socio-economico radicandosi e intessendo sempre più
consolidati rapporti con la sfera produttivo-economica, nonché
preoccupanti sinergie con cellule organizzate di altre matrici
criminali». Una sentenza di sopravvivenza, un certificata di sana e
robusta costituzione criminale, una consapevolezza da cui ripartire.
«A fronte dei reati tradizionali (estorsioni traffico internazionale
di droga) come fonte primaria di arricchimento – spiega il
neo-capocentro della Dia a Torino Tommaso Pastore - la ‘ndrangheta
sfrutta il settore fiscale attraverso il sistema delle false
fatturazioni per conferire un'apparenza di legalità ai flussi
finanziari di derivazioni illecita, inquinando il mercato e portando
a termine una sofisticata forma di riciclaggio».
La malavita organizzata di origine calabrese (ma si può
tranquillamente definire piemontese) «mediante operazioni di
riciclaggio di ingenti capitali, è attiva nel campo dell'edilizia
sia pubblica che privata, con particolare interesse alla
partecipazione, occulta, nelle grandi opere» scrive la Dia.
«Continua a mantenere inalterato il potere dimostrando grande
dinamismo e assoluta capacità di rigenerarsi, permettendo
l'affermazione di "leader" nelle nuove generazioni e attuando,
talvolta, un modus operandi silente che le consente di penetrare
nella realtà socio-economica regionale senza destare particolari
attenzioni». E le altre mafie storiche italiane? Alla direzione
investigativa antimafia hanno le idee chiare: «Quelle di origine
siciliana sembrano rimanere in posizione più defilata»
14.09.23
SE QUESTA E' SICUREZZA NAZIONALE :
Il 26 maggio 2019 (sono loro stessi a
pubblicare foto matrimoniali sui rispettivi social) Irina Osipova si
sposa con Luca Pedetti. La foto è quella di una bella festa a Roma
in Santa Maria in Cosmedin, con la poco più che trentenne ex
candidata di Fratelli d'Italia assieme al neomarito, allora 44enne,
un giovane di antica famiglia romana dai capelli chiari, e al padre
di lei, Oleg Osipov, per anni capo di Rossotrudnichestvo,
l'importante agenzia russa del ministero degli Esteri ritenuta oggi
dall'Unione europea uno strumento di influenza della Russia di Putin
all'estero, e perciò sanzionata. Oleg Osipov è adesso di stanza a
New Delhi. Osipova, come ormai è noto, di recente è risultata idonea
a un concorso per coadiutore parlamentare in Senato, e dovrebbe
essere assunta a Palazzo Madama dal 1 novembre, dove avrà accesso a
banche dati e alla possibilità di classificare atti. Cosa che ha
suscitato diverse preoccupazioni sull'opportunità politica, ma anche
per possibili profili di rischio per la sicurezza nazionale. Non
solo per via delle relazioni familiari di Osipova con strutture
governative e circoli della Russia putiniana, ma anche per le sue
ripetute frequentazioni politiche – anche abbastanza esibite, ne
esistono tante foto – con esponenti dell'estrema destra italiana e
russa, alcuni dei quali hanno combattuto in Donbass come
paramilitari accanto alla Russia, già nel 2014. Persino nei corpi
russi "Rusich", una delle milizie simil-naziste più vicine al
Cremlino.
Naturale chiedersi chi sia questo giovane italiano che sposa una
russa così al centro delle polemiche in Italia. Osipova ha infatti
anche la cittadinanza italiana, sebbene abbia informato di averla da
prima del matrimonio con l'italiano. È lei stessa, sul suo Facebook,
a dirci che il marito si chiama Luca Pedetti, lo ringrazia in un
video-post che Osipova dedica ad Albano (sì, il cantante italiano),
in cui Pedetti l'ha aiutata con le riprese. E qui, utilizzando una
serie di fonti aperte e qualche conferma riservata, veniamo a sapere
cose interessanti su Luca Pedetti. Nel suo profilo Instagram, che
fino a ieri mattina era visibile a tutti previa una semplicissima
richiesta di amicizia online, oltre a tante foto romantiche con
Osipova, qua e là Pedetti aveva lasciato tracce della sua attuale
attività, di esperto di tecnologie, e alcune connessioni in
particolare che destano preoccupazione. C'era una foto in cui per
esempio Pedetti esponeva la schermata di un workshop all'Ugid,
l'Ufficio Generale Innovazione della Difesa italiana. Un'altra foto
in cui Pedetti si faceva un selfie con alle spalle diversi militari,
dell'esercito e della marina militare italiana. Compariva una foto
in cui lui e Osipova sono elegantissimi e abbracciati a Villa
Abamelek, ospiti dell'ambasciatore russo a Roma. Foto dei biglietti
d'invito che la coppia riceve dal ministero della Difesa per la
Festa della Repubblica del 2 giugno del 2017. In un post di un altro
profilo Instagram, quello del presidente della commissione trasporti
e tecnologia del Senato, Salvatore Deidda di Fratelli d'Italia
saluta «i miei amiconi sovranisti che passano da Roma a Mosca in
pura logica non imperiale». In altri post del suo profilo Pedetti
parlava della startup che ha fondato nel 2019, che si chiamava
Pepeeta e si occupava prevalentemente di tecnologie, blockchain,
sistemi distribuiti (oggi ne ha creata un'altra). Cercando tra altre
fonti aperte, sul sito ufficiale della Difesa italiana ci viene in
soccorso un curriculum di un Luca Pedetti che dice di aver fondato
la startup Pepeeta (il personaggio del curriculum sembra dunque
coincidere con quello del profilo Instagram che pubblicava fino a
ieri mattina tante foto assieme a Osipova), e prima di questo
riferisce di essere un pioniere della blockchain e di aver avuto,
leggiamo, «un impiego in ingegneria dei sistemi presso aziende del
gruppo Finmeccanica (ora Leonardo Company) dove ha fornito supporto
logistico integrato all'interno del team ILS per il sistema di
pianificazione delle missioni denominato Mission Support Systems, un
complesso assieme di sistemi hw/sw fornito alle Forze Armate
italiane, in particolare all'Aeronautica Militare e all'Aviazione
dell'Esercito, oltre che ad altre forze armate in ambito Nato».
Fonti aziendali confermano che Pedetti ha davvero lavorato per
Leonardo quand'era Finmeccanica, come consulente. Con la startup
Pepeeta Pedetti informa di aver partecipato «nel 2020 alla Nato
Innovation Challenge arrivando in finale con altri 10 finalisti tra
oltre 90 sfidanti». Riferisce di esser stato relatore alla
conferenza «presso il Centro Alti Studi della Difesa (CASD) di
Roma». E nel 2022 di esser anche stato «invitato dalla Nato HQ
Supreme Allied Commander Transformation alla tavola rotonda
Blockchain in Logistics». Si definisce anche un «contributor» di una
pubblicazione «edita dallo Stato Maggiore della Difesa – UGID». La
foto sull'evento all'Ugid, come abbiamo visto, era sul profilo
Instagram in cui erano esibite mille foto di lui con Osipova.
Abbiamo tutti gli screenshot di queste foto e questi post. Possibile
che la giovane putiniana a Roma, oltre che in procinto di essere
assunta in Senato, e connessa per famiglia ai circoli del potere di
Vladimir Putin, abbia anche impalmato un italiano che è contributor
della Difesa italiana nelle tecnologie, viene invitato in eventi
Nato, e ha lavorato con Leonardo? Raggiunto telefonicamente, Pedetti
non vuole confermare né smentire, ma appare molto seccato alla
telefonata di verifica. In serata, dopo la telefonata de La Stampa,
i suoi account Instagram e twitter apparivano cancellati e non
esistevano più. Fonti nell'amministrazione ci dicono che la sua
collaborazione con la Difesa in effetti aveva suscitato anche delle
significative resistenze, ma infine fu accettata. L'Italia, si sa, è
da sempre un ponte di culture. Osipova, in tutto questo, si appresta
a varcare la soglia di Palazzo Madama.
GIUSTIZIA : Dopo la ritirata tattica dalla corsa per la
Procura di Milano e la sconfitta bruciante in quella per la Procura
nazionale antimafia, Nicola Gratteri diventa capo della Procura di
Napoli. Ma più dell'esito della votazione del Csm, scontato da un
paio di mesi, sono le modalità e le reazioni a dare il senso della
nomina. Gratteri è passato al primo turno a larga maggioranza, con
19 voti tra cui quello del vicepresidente Fabio Pinelli. E la sua
incoronazione a capo della procura più grande d'Europa, con 111 pm,
è stata salutata da un plauso politico che abbraccia tutto l'arco
costituzionale: Pd e Renzi, M5S e persino Forza Italia. Il partito
da cui proviene quel Giancarlo Pittelli che del metodo Gratteri è la
vittima giudiziaria per eccellenza: arrestato e sotto processo nel
maxiprocesso Rinascita Scott, su di lui pende una richiesta di
condanna a 17 anni per concorso esterno, in quanto accusato di
essere anello di congiunzione tra ‘ndrangheta, mafia e massoneria.
Sono tre i motivi che connotano la nomina di Gratteri. Uno
prettamente giudiziario: i titoli e la specifica competenza
antimafia, superiori a quelli degli altri pur qualificati aspiranti
(in particolare il procuratore di Bologna Gimmi Amato, ora favorito
per la procura generale di Roma). Un altro politico: la destra
politico-giudiziaria, targata Fratelli d'Italia, aveva da tempo
deciso di puntare su di lui come simbolo di una stagione «legge e
ordine», nel solco di una tradizione che vide il Msi votare Paolo
Borsellino come candidato di bandiera per il Quirinale nel 1992.
Infine un obbligo morale: nel 2024, Gratteri sarebbe comunque
scaduto come procuratore di Catanzaro. L'ennesima bocciatura di un
eroe nazionale dell'antimafia – modello Falcone - sarebbe parsa
scandalosamente paradigmatica di una magistratura burocratica e
correntizzata. «Gratteri è un simbolo», «C'è un prima e un dopo
Gratteri»: le dichiarazioni di voto nel plenum del Csm dicono più di
mille tecnicismi ordinamentali. Gratteri è un personaggio unico nel
panorama non solo della magistratura italiana. La sua fama varca i
confini nazionali. L'elenco dei Paesi con cui ha collaborato per
perfezionare 300 rogatorie e arrestare 140 latitanti copre mezzo
mondo, dal Messico all'Australia.
Nato nel 1958 a Gerace, nella Locride, terzo di cinque figli, presa
la laurea a Catania e vinto il concorso torna nella sua terra. Non
l'ha mai lasciata fino a oggi. Prima giudice istruttore, poi pm,
procuratore aggiunto a Reggio dal 2009, capo a Catanzaro dal 2016.
Una vita a indagare su mafia, politica, narcotrafficanti,
massoneria. È l'unico ad aver fatto cadere due giunte regionali
(entrambe di sinistra): la prima quando non aveva nemmeno
trent'anni, arrestando un assessore socialista. Infinito l'elenco di
inchieste monstre, con centinaia di arresti, ed esiti processuali
non sempre corrispondenti. Sotto scorta dal 1989, non si contano i
progetti di attentati ai suoi danni, svelati dai pentiti o sventati
grazie al sequestro di arsenali mafiosi.
Stakanovista, trascorre in ufficio dodici ore al giorno. «Sono
innamorato di questo lavoro, un tossicodipendente da questo lavoro»,
ha detto qualche anno fa in commissione parlamentare antimafia. A
Catanzaro ha inaugurato l'abitudine, insolita per un procuratore, di
ricevere personalmente i cittadini per le denunce. «Ogni settimana
300 persone chiedono di parlare con me», ha spiegato al Csm,
raccontando di «una vecchietta del Monte Poro di Vibo Valentia» non
ricevuta dal maresciallo dei carabinieri. «Era disperata perché
vedova, aveva una figlia e un gregge, il mafiosetto del paese le
rubava le pecore». Allora Gratteri prima ha fatto trasferire il
maresciallo «a mille chilometri da Vibo Valentia», poi ha ricevuto
la donna che, giunta al suo cospetto, «piangeva per l'emozione».
Infine ha arrestato il mafioso, «e la signora è tornata e sembrava
che avesse dieci anni in meno».
Nei weekend e d'estate, niente vacanze. Gratteri gira l'Italia per
dibattiti, premi, incontri nelle scuole e presentazioni dei venti
libri scritti con il docente Antonio Nicaso. Il prossimo uscirà a
fine ottobre. Titolo: «Il grifone». Tema: la ‘ndrangheta come la
figura mitologica, corpo analogico e testa digitale. Diventato un
idolo, una decina di anni fa è stato corteggiato dalla politica.
Enrico Letta lo volle consulente a Palazzo Chigi; Matteo Renzi
addirittura ministro della giustizia, ma il suo nome fu depennato
dalla lista per mano del presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano. Gratteri ha incassato encomi e sconfitte senza cambiare.
Anzi, tutto ciò ha alimentato il mito.
La sua comunicazione è diretta, semplice, concreta. Talvolta troppo.
Nell'audizione al Csm ha suscitato sconcerto l'esposizione del suo
metodo, sperimentato a Catanzaro e che intende replicare a Napoli:
lotta ai pm fannulloni, accentramento carismatico, minaccia di
«derattizzare» la polizia giudiziaria che non si adegui. «Non
troverà lavativi», «Si comporta come un padre padrone», «Un uomo
solo al comando», hanno detto i consiglieri progressisti di Area,
che non l'hanno votato. Delle interrogazioni parlamentari sul caso
Pittelli, ha detto che sono «dettate ai deputati dagli imputati agli
arresti domiciliari», provocando le proteste alla Camera del
deputato di Italia Viva Roberto Giachetti.
Ora viene il difficile. Napoli non è Catanzaro. Trent'anni fa
respinse un mastino come Agostino Cordova. Gratteri in Procura non
troverà comitati di accoglienza con ghirlande floreali. Gli uffici
giudicanti sono ossi duri. E l'avvocatura ha grande tradizione. Ma
Gratteri, al di là della corazza rude, ha già dimostrato
flessibilità e arguzia che hanno stupito anche colleghi sussiegosi e
sospettosi. Da Reggio Calabria a Milano. —
INGIUSTIZIA : Il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, ha
deciso di rinviare la nomina di Michele Anzaldi, già capo ufficio
stampa di Matteo Renzi e deputato di Italia Viva, a suo
superconsulente per la comunicazione, con specifico mandato di
controllo anti fake news. La delibera motivava incarico e stipendio
di 85mila euro l'anno con «l'esigenza di curare la comunicazione
istituzionale del vicepresidente».
GUARDARE IN ALTO : Svolta nell'inchiesta sul disastro
ferroviario di Brandizzo costato la vita a cinque operai di una
ditta di manutenzione di borgo Vercelli investiti da un treno di
convogli vuoti che viaggiava a 150 km/h la notte tra il 30 e il 31
agosto scorsi. È proprio qui che ieri pomeriggio la polizia
giudiziaria della procura di Ivrea coordinata dalle pm Giulia
Nicodemi, Valentina Bossi e dalla procuratrice capo Gabriella
Viglione si sono presentati per notificare un avviso di garanzia a
quattro persone. Sono i vertici della società «Si.gi.fer», azienda
in cui erano impiegate le vittime Kevin Laganà, 22 anni Michael
Zanera, 34 anni. Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio
Lombardo, Giuseppe Aversa, 49 anni, di Chivasso. Nel mirino dei
magistrati sono finiti l'amministratore delegato Franco Sirianni, i
figli Simona Sirianni legale rappresentante, Daniele Sirianni socio
e Chistian Geraci direttore tecnico. Salgono cosi a sei le persone
iscritte nel registro degli indagati. Si aggiungono ad Antonio
Massa, tecnico Rfi preposto alla scorta del cantiere che fece
scendere gli operai sui binari senza che la linea ferroviaria fosse
interrotta e con un convoglio in arrivo: «Se dico treno - dice in un
video agli atti dell'inchiesta girato da una delle vittime pochi
minuti prima della strage - buttatevi di là».
C'è poi Andrea Girardin Gibin, capocantiere della «Si.gi.fer» che
avrebbe dovuto stoppare i suoi operai, impedendogli di scendere
sulla massicciata e non lo ha fatto. A differenza di questi ultimi
due a cui è contestato il dolo eventuale (avrebbero accettato con le
loro condotte il rischio che gli operai morissero), per i Sirianni
l'accusa è omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario colposo.
In concorso ovviamente tra di loro.
L'inchiesta sale, così, il suo secondo gradino e cioè quello della
ditta che in subappalto aveva ricevuto l'incarico dal committente
Rete ferroviaria italiana al momento estranea alle contestazioni.
I titoli di reato nascono da condotte che riguardano - nelle ipotesi
degli inquirenti - irregolarità plurime nella gestione di quel
cantiere e degli stessi operai molti dei quali non erano formati
adeguatamente - secondo l'ipotesi dei pm - per partecipare
all'incarico. Proprio Sirianni, alcuni giorni fa, in un'intervista a
La Stampa, aveva spiegato di «sentirsi tranquillo al netto dello
strazio che provava per i suoi operai e per le famiglie». Aveva
aggiunto: «I dipendenti non dovevano assolutamente essere sui
binari. La scorta di Rfi non doveva fare iniziare i lavori senza la
linea libera. Le regole sono chiare. Per noi la sicurezza è sempre
stata al primo posto. I ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche
che usassero i cellulari durante gli interventi». Nelle
contestazioni sollevate hanno pesato - e molto - le testimonianze
rese in questi giorni in procura dai dipendenti dell'azienda.
Deflagranti nella ricostruzione delle modalità di rispetto della
sicurezza e sulla formazione che veniva garantita prima di entrare
in quei subappalti. Gli accertamenti della procura di Ivrea hanno
fatto il resto convincendo i magistrati al primo «salto di qualità»
nella catena delle presunte responsabilità.
PADRI E PADRONI DIFESI PER PRINCIPIO ED ERRORE: Che sia in
affitto o ne sia il proprietario in cima ai desideri degli italiani
che una casa ce l'hanno non è avere dei vicini poco rumorosi e
nemmeno quello di veder riparare i tempi rapidi la caldaia o
l'ascensore. La cosa che sogna di più il 43% dei condomini è avere
un amministratore «che tenga una contabilità affidabile e
trasparente per non rischiare di essere truffati», secondo un
sondaggio su settemila famiglie realizzato da Condes, società
specializzata nel benessere abitativo.
Secondo Confabitare, l'associazione che rappresenta i proprietari di
immobili e che ogni mese riceve denunce e reclami da parte di
condomini raggirati, i veri truffatori, quelli che scappano dopo
aver svuotato il conto condominiale, sono una minoranza, che in
alcune grandi città arriva però a un 5% di casi. Ma se per truffa si
intende accordarsi con le ditte a cui si affidano gli appalti
condominiali per intascare una percentuale «si viaggia intorno
all'80% dei condomini», ammettono da Confabitare.
«Il problema va visto da ambo i lati, ossia anche da quello degli
inquilini che scelgono quasi sempre l'amministratore che costa meno
anziché quello più adeguato a ricoprire il ruolo», afferma
l'ingegner Francesco Burrelli, presidente di Anaci, la più grande
associazione di amministratori condominiali. «A Torino ci sono
amministratori che prendono 20, 15 euro l'anno a unità immobiliare,
quando uno ha fatturato gli resta zero». Detto questo è lo stesso
Burrelli a dire che «serve una legge che oltre ai tanti "deve" già
previsti definisca anche i limiti della responsabilità oggettiva di
chi amministra».
In Italia il "governo" dei condomini è affidato a 20 mila
professionisti scritti in ben 49 associazioni di categoria, anche se
ad amministrare palazzi e palazzine sarebbero in realtà molti di
più, almeno 80 mila. Un esercito nel quale si nascondono furbi e
truffatori. A Bergamo l'amministratore di 117 condomini presentando
falsi verbali con spese mai sostenute si è messo in tasca circa un
milione prima di essere denunciato. A Novi Ligure 28 famiglie si
sono ritrovate con ammanchi di decine di migliaia di euro per
bollette elettriche mai versate. A Milano l'amministratore di un
centinaio di condomini ha truffato oltre duemila famiglie prima di
fuggire in Sud America.
Andiamo a Roma, nel signorile quartiere dei Parioli in un
prestigioso stabile dove fino a qualche tempo fa abitava Francesca
Castellani. «I sospetti nascono quando iniziano ad arrivare continui
avvisi di distacco della corrente e dell'acqua da parte di Acea.
Chiediamo con urgenza la convocazione un'assemblea straordinaria, ma
lui niente. A quel punto – racconta Francesca – nominiamo una nuova
amministratrice che ha verificato negli anni ammanchi per decine di
migliaia di euro. Intanto il vecchio amministratore si è reso
irreperibile e noi siamo stati costrette a saldare di nuovo tutte le
bollette non pagate». Si perché la legge parla chiaro ed è bene
tenerlo a mente: l'amministratore agisce su delega dei condomini che
lo nominano e questi ultimi sono responsabili delle sue azioni e
debbono perciò controllarne e sorvegliarne l'operato. Altrimenti
sono responsabili di omesso controllo e costretti a pagare una
seconda volta i fornitori.
Cosa che è capitata recentemente a mezza Casale Monferrato. Parliamo
degli abitanti di 85 condomini, oltre seimila persone che hanno
scoperto di dover fare il bis ripagando le rate di gas,
teleriscaldamento e acqua potabile che pensavano di aver saldato
versando all'amministratore le loro quote condominiali. Soltanto che
una parte di quei non sono finiti dove dovevano andare. Ovvio che le
società municipalizzate che erogano i servizi, dopo aver aspettato
il dovuto, siano andate all'incasso con gli inquilini. Così è
esploso il bubbone che adesso avvelena la vita di Casale Monferrato,
terra di cementieri e biscotti. Il guaio, a poco più di un mese da
quando è stato scoperto, ha interessato operai, impiegati,
pensionati, commercianti. Ma nello stabile in centro, dove da 40
anni ha sede lo studio "Ginepro" gli storici amministratori di
condominio da tempo nessuno li vede più. Scomparsi portandosi dietro
un milione o forse più. «Anche se i cinti si faranno più in la,
quando i nuovi amministratori avranno finito di controllare i
bilanci», dice il vicesindaco Emanuele Capra.
Storia simile a Bologna dove il gip, Domenico Truppa, ha ordinato la
custodia cautelare di un noto amministratore di condomini nel
capoluogo, dove di casi analoghi ce ne sono stati una decina negli
ultimi anni. In questo caso i condomini truffati sono 150, che si
sono visti sfilare sotto il naso 324 mila euro.
Ma quando non è la truffa a togliere il sonno al popolo di inquilini
ci pensa l'opacità di certi amministratori. Sulla quale diventa
un'impresa provare a far luce quando si parla di mega condomini,
come quello romani di Ostiense, quartiere una volta popolare ora
trendy. «Difronte a una rata raddoppiata, a distanza oramai di tempo
dai rincari della bolletta elettrica, ho chiesto dei chiarimenti
sulle voci che componevano le rate e la presentazione dei relativi
giustificativi. La risposta è stata "se li vada a vedere sul sito",
dove né io né le altre decine e decine di condomini riescono a
raccapezzarsi», racconta Giovanna. «Di fronte a servizi e attività
di manutenzione particolarmente costosi ho anche chiesto fosse
presentato più di un preventivo. La risposta sbrigativa è stata:
"Non sono tenuto farlo"».
Falso, replicano gli esperti di Confabitare. Ma molti non lo sanno e
ci cascano. Così come sarebbe bene far fronte compatto tra condomini
quando si acquista casa in uno stabile di nuova costruzione, dove i
primi tempi, avendo ancora dalla sua molti millesimi, il costruttore
riesce a far nominare un amministratore di sua fiducia. Con il
rischio che poi questo, per "riconoscenza", finisca per addebitare
agli inquilini riparazioni causate da difetti di fabbricazione che
spetterebbe alla ditta costruttrice pagare. Fenomeno tutt'altro che
isolato, fanno sapere le associazioni degli inquilini.
Ma siccome anche in questi casi è meglio prevenire che curare, ecco
qualche consiglio utile dispensati dagli esperti di Condominioweb.
«Prima di tutto all'atto di nomina dell'amministratore indicare
anche un condomino delegato, con diritto di chiedere direttamente
alla banca gli estratti del conto corrente condominiale. Poi
richiedere l'attivazione di un sito condominiale, dove
l'amministratore è tenuto a caricare tutti contratti e fatture.
Fermo restando il diritto di controllare i documenti in assemblea».
E quando l'amministratore non fa chiarezza ricordarsi che lo si può
sempre cambiare.
UNA DIFESA DI CATEGORIA MOLTA PERICOLOSA: Il decalogo
"I compensi sono troppo bassi servono regole e un tariffario" PER
RUBARE DI PIU':
Alberto Zanni, da Nord a Sud nelle cronache locali si trovano sempre
più storie di inquilini raggirati da amministratori infedeli. Come
presidente di Confabitare, associazione dei proprietari di casa, ha
un'idea di quale sia la dimensione del fenomeno?
«Dai casi che ci vengono segnalati direi che è un fenomeno diffuso
però dobbiamo prima intenderci su cosa si intende per truffa. Se ci
si riferisce a chi si è impossessato dei soldi versati dai condomini
scappando con il bottino e chiudendo il proprio studio sicuramente
parliamo di un fenomeno ridotto, ma non poi così tanto a vedere le
azioni messe in atto in questi anni da magistratura e Guardia di
finanza. Solo a Bologna su 200 amministratori si sono contate una
decina di truffe vere e proprie».
E quelli che fanno la cresta su appalti e servizi vari?
«Ah quelli sono tantissimi, diciamo almeno l'80%. E guardi lo dico
pur essendo anche presidente di Confamministrare, che rappresenta
proprio gli amministratori di condominio. Ma queste cattive
abitudini hanno origini dal fatto che li si paga troppo poco. E
allora soprattutto chi ha spese di studio con personale di
segreteria o amministrativo per far quadrare i conti a fine mese
rastrella qualcosa un po' qui un po' la».
Beh non è una buona giustificazione. Ma quanto prendono?
«Non c'è un tariffario nazionale, così come manca un contratto o un
albo degli amministratori di condominio. Una parte dei quali è
iscritta ad Anaci, l'associazione nazionale amministratori di
condominiali e immobiliari, più altre 49 associazioni. Ma per la
maggior parte di chi fa questo mestiere non c'è nulla che ne attesti
la professionalità. Così abbiano tariffe che vanno dai 50 euro per
unità immobiliare ai 150, che di solito chiedono i più bravi e i
meglio strutturati, con archivi informatici e personale addestrato».
E di solito cosa scelgono i condomini?
«Quelli che costano meno, seguendo un ragionamento che poi si avvita
su se stesso: "Siccome so che rubi ti pago il meno possibile". Così
si finisce per far amministrare interi stabili a chi a fine cena
tira via la tovaglia e fa i conti su un foglio di carta».
Il confronto tra più preventivi. Molti amministratori non li
vogliono portare. Possono farlo?
«No è un compito che spetta a loro. Ma so bene che in molti casi
l'amministratore chiede ai condomini di portare loro proposte
alternative, magari senza fornire un capitolato che consenta di
confrontare i prezzi in funzione dei reali servizi offerti. Ma c'è
anche da dire che l'amministratore che si rifiuta di presentare più
preventivi lo si può sempre cambiare».
È vero che le truffe sono più facili dove ci sono bilanci più
grandi?
«Sicuramente, perché i controlli sono più difficili. Però i
condomini devono imparare a conoscere meglio la riforma
dell'amministrazione condominiale di 10 anni fa che ha introdotto il
bilancio certificato e con questo anche la figura, ancora poco
utilizzata, del revisore dei conti. Un professionista esterno che
per mille euro a stabile fa quello che noi non sappiamo o possiamo
fare: controllare bilanci, documenti e correttezza delle modalità
amministrative».
Chi acquista casa in palazzine nuove spesso si lamenta di avere
amministratori che spalleggiano i costruttori. Come mai?
«Perché all'inizio questi avendo più millesimi per via
dell'invenduto ne impongono uno di loro fiducia. Ma ho visto anche
parecchi rogiti con già scritto che nei primi due anni
l'amministratore è di nomina della ditta costruttrice. E vedrete che
molte riparazioni in questi casi non finiranno a carico di chi vi ha
venduto una casa come nuova ma a voi che avete accattato la clausola
capestro»
LE RESPONSABILITA' SONO IN ALTO BASTA VOLERLE VEDERE : I
vertici della Si.gi.fer inguaiati dai racconti dei loro dipendenti
Dipendenti ed ex lavoratori inguaiano la Si.Gi.Fer., l'azienda di
Borgovercelli che opera nel settore dell'armamento ferroviario dal
1993 e per la quale lavoravano Kevin Laganà, Michael Zanera,
Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa,
travolti dal treno lungo i binari a Brandizzo, la notte tra il 30 e
il 31 agosto. Come anticipato da La Stampa, si allarga il fronte
dell'inchiesta e ieri la procura di Ivrea ha notificato quattro
nuovi avvisi di garanzia: a Franco Sirianni (direttore generale
Si.Gi.Fer), a Cristian Geraci (direttore tecnico), a Simona Sirianni
(legale rappresentante), e al socio Daniele Sirianni. A loro i
magistrati Giulia Nicodemi e Valentina Bossi contestano l'omicidio
colposo plurimo e il disastro ferroviario colposo.
Salgono così a sei gli indagati dopo Antonio Massa, preposto Rfi che
quella notte avrebbe dovuto attendere il blocco della circolazione e
Andrea Gibin Girardin, il capo cantiere dipendente Si.Gi.Fer. A
Massa e Gibin, entrambi sopravvissuti al disastro, i pm eporediesi
contestano anche il «dolo eventuale».
Al momento le figure apicali della Si.Gi.Fer non sono ancora state
interrogate a Palazzo di Giustizia. Una settimana fa, però, Franco
Sirianni appariva sconvolto. Raccontava di essere stremato. E
diceva: «Non ne posso più di sentire chi mi accusa di non pensare
alle famiglie degli operai morti. Io li ho visti: ero su quel
binario venticinque minuti dopo il passaggio del treno. Non doveva
succedere, nessuno doveva autorizzare quel lavoro». I Sirianni sono
una famiglia di ferrovieri. Franco Sirianni ripete: «Sono andato nei
cantieri per trent'anni, prima di diventare il titolare della
Si.Gi.Fer. ».
La svolta nell'inchiesta è arrivata, ieri, al termine delle
audizioni di dipendenti ed ex operai Si.Gi.Fer che in queste due
settimane sono stati ascoltati dalla polizia giudiziaria come
persone informate dei fatti. Le ultime accuse sono arrivate l'altro
ieri da Giovanni Cisterino convocato negli uffici giudiziari a
Ivrea. Lui quella notte avrebbe dovuto lavorare con la squadra di
operai travolti dal treno e per oltre quattro ore ha raccontato ai
pm come fosse prassi accedere in anticipo lungo i binari per
concludere prima i lavori. E ha denunciato: «Spesso i tecnici di Rfi
abbandonavano il cantiere prima del termine delle operazioni».
Il più arrabbiato è stato l'ex operaio Antonio Veneziano che
all'uscita da palazzo di Giustizia era tranchant nei confronti della
Si.Gi.Fer: «Devono andare in galera e deve chiudere l'azienda».
Azienda di Borgovercelli vittima anche di minacce. «Assassini. Basta
Appalti» era la scritta con vernice rossa comparsa, lunedì, davanti
all'ingresso degli uffici della ditta.
L'inchiesta però non sembra essere conclusa qui. Lunedì notte la
procura di Ivrea aveva incaricato la polizia scientifica di filmare
i lavori di sostituzione di circa otto metri di binario a Brandizzo.
Hanno registrato ogni cosa. Preso i tempi per effettuare quel lavoro
che avrebbero dovuto eseguire i cinque operai morti. Questa volta ad
eseguire i lavori sono stati operai di Rfi.
Sempre sul fronte delle indagini, inizieranno oggi gli esami
irripetibili sui Dis (le scatole nere sulla pilotina e la motrice
del treno) sui due tablet Samsung in dotazione ai macchinisti e su
due telefoni cellulari di Lombardo e Aversa, recuperati la notte
dell'incidente. Per questi accertamenti è stato incaricato dai
magistrati eporediesi un super consulente, un luogotenente della
Guardia di Finanza.
Non c'è ancora, invece, il via libera per organizzare i funerali
delle vittime. Per la procuratrice capo di Ivrea Gabriella Viglione
resta una priorità, ma prima c'è da effettuare il riconoscimento con
il Dna. Intanto, in memoria dei cinque operai, lunedì 18 settembre,
alle 19, il sindaco di Brandizzo Paolo Bodoni ha organizzato una
veglia di preghiera alla stazione ferroviaria a cui seguirà una
marcia silenziosa.
13.09.23
PERCHE' E' SUCCESSO ? E PER VOLONTA' DI CHI ?
L'intervento davanti ai tecnici della scientifica: "Che impressione
lavorare qui"
La gru, le luci, i caschi Rfi rimanda a Brandizzo la squadra super
protetta
lodovico poletto
brandizzo (torino)
È appassito il fiore che qualcuno aveva piazzato proprio sotto la
scritta «Brandizzo». È appassito e s'è piegato sul collo della
bottiglia di prosecco adoperata come vaso. L'avevano posata, nel
punto esatto dove il treno, dieci giorni fa, ha maciullato le carni
e rubato l'esistenza a cinque uomini che lavoravano sui binari. E
stasera nessuno ha il coraggio di gettarla via.
Raspano via i sassi, gli operai, con grossi tridenti dalle punte
d'acciaio, tra una traversina e l'altra. E sono gesti già visti in
un video. Erano gli ultimi istanti di vita di quei cinque operai
mandati a lavorare sulla ferrovia anche se una ragazza si sgolava al
telefono per dirgli che non dovevano mandarli, che stava per passare
ancora un convoglio. Dovevano sostituire un tratto di binario: otto
metri d'acciaio, 480 chili. Lavoro di due ore o poco più. E
scherzavano e ridevano. «Quando dico treno vi buttate di là» dice la
voce fuori campo, ed è una - non voluta - condanna a morte. Gli
ultimi istanti li vedi in quel video registrato dal più giovane,
Kevin. Stasera ci sono gli operai a completare quel lavoro.
Dipendenti di Rfi. E sono otto, dieci, in certi momenti in
quattordici. E se gli parli prima che entrino su quei binari coperti
di calce, dove tra un interstizio e l'altro ancora ci sono resti di
quegli uomini, dicono che sì: «Fa impressione lavorare dove altri
prima di te hanno perso la vita».
Ecco, adesso, a mezzanotte ampiamente passata, mentre raspano via le
pietre sembra proprio di rivedere quel video. Quella notte. Quei
momenti prima dell'impatto. Quegli uomini. Ma stasera qui è tutto
perfetto. Tutto stra illuminato. In sicurezza. E ci sono i tecnici
della polizia scientifica che filmano tutto. Hanno piazzato
telecamere e fari. E registrano ogni gesto. Prendono tempi. Servirà
alle indagini, alla procura, a tutto quel che sarà in seguito. E
allora chi è qui, stanotte, si domanda se tutto questo non poteva
essere fatto prima, lasciando a Kevin Laganà la possibilità godersi
l'esistenza, sbagliare, ripartire: aveva solo 22 anni. Ma quella
notte era tutto differente. Non c'era – sussurra qualcuno – la gru
che per spostare il binario da mezza tonnellata. E lo avrebbero
dovuto fare a mano. Non c'era l'ingegnere che adesso controlla ogni
gesto. Non c'erano così tanti uomini. Tante luci. Tanti occhi
puntati. C'era la fretta. Forse la disattenzione. O chissà che altro
ancora. Il binario 1 adesso è più popolato di una piazza. Lo guardi
dal posteggio, dove sono stati catapultai pezzi di uomini e vedi -
dall'altra parte, della ferrovia - la recinzione a ridosso della
quale Kevin filmava, fumava e scherzava. E sembra un film. Il film
di un dolore infinito. Il film che vedranno - forse - in aula i
fratelli, le mogli, i figli di chi non c'è più. E quegli operai
quasi sembrano attori, di un dramma che replicano, anzi di un
copione a cui hanno cambiato il finale.
S'accedono i grossi flessibili che servono per tagliare i binari.
Lapilli, acciaio infuocato che si spandono tutt'intorno. Rumori di
avvitatori che servono per sbullonare i binari. Qualcuno prova la
fiamma ossidrica che servirà per tagliare ancora l'acciaio. La gru
sposta i tronconi. Caschetti gialli. Occhiali di sicurezza nuovi.
Salvatore, il capocantiere con trent'anni di esperienza che
rettifica appena qualche dettaglio.
Erano le 23,45 quando il treno investì quegli uomini. E c'era un
gruppo di ragazzi che scherzava vicino al posteggio. Poi c'era stato
quel rumore di inchiodata. E il convoglio che ancora correva e si
fermava un chilometro più giù. Le grida. La gente che scende in
strada dal palazzo lì vicino. Le sirene. Le famiglie svegliate nel
cuore della notte. «Non tornerà più» ed il mondo che ti crolla
addosso. Sono tornati a casa gli operai dell'altra notte che faceva
già l'alba. Stanchi, sfiniti. Vivi.
INTERVENTO DI SALUZZO : SEMBRA MIO ! L'attacco di Saluzzo,
procuratore generale a Torino: "È un ufficio senza risorse, le
nostre richieste cadute nel vuoto"
" Procura di Ivrea al collasso , Roma ci ignora"
giuseppe legato
torino
Andrà in pensione tra pochi giorni per limiti di età, ma non è il
vicino commiato dalla toga indossata per decenni in prima linea
contro la mafia e al vertice degli uffici giudiziari del Piemonte ad
aver spinto il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, a
denunciare con toni durissimi la drammatica situazione in cui versa
(dalla nascita, 10 anni fa) la procura di Ivrea. «Un ufficio che
vive in palese situazione di illegalità, sopravvive di carità e con
quest'indagine ad altissima intensità di impegno rischia il
collasso».
Nata «nel 2013 sulla base di una scelta infelicissima (non si sa per
quali interessi, certamente non giudiziari), la procura è divenuta
assegnataria di un territorio vastissimo, ingrandita a dismisura,
senza la benché minima dotazione di risorse, proporzionate alle
nuove competenze, territorio, popolazione, qualità "criminale" del
territorio» accusa il Pg.
Ecco il quadro della macchina che ha iniziato da 10 giorni una delle
più delicate inchieste della storia del Nord Ovest. Un ufficio
"Cenerentola", in cui quasi nessuno anela a vedersi assegnato. E
dove manca un po' tutto tranne la professionalità – e un po' di
temerarietà - di chi c'è già.
Basti pensare che la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi, a
disastro appena avvenuto, la pm Giulia Nicodemi, 32 anni, in
servizio da sei mesi, ha raggiunto Brandizzo con la sua auto per
coordinare i rilievi della Polfer. A Ivrea i magistrati non hanno
l'autista. Gli investigatori della polizia giudiziaria - agenti,
carabinieri e finanzieri - dovrebbero essere sedici (due per ogni
pm) ma sono la metà. La pianta organica conta otto magistrati per un
bacino d'utenza più di mezzo milione di abitanti.
Eppure qui c'è una florida contaminazione (per non dire storico
radicamento) criminale della ‘ndrangheta, ci sono realtà produttive
rilevantissime, agglomerati urbani da più di 50 mila abitanti: «In
quel circondario – aggiunge Saluzzo - è avvenuto di tutto: indagini
e processi per fatti di grandissimo rilievo nazionale e mediatico;
ma, prima ancora, per fatti criminali e di reato di straordinaria
gravità e rilevanza». Risultato? «Solo anni di disinteresse, da
parte di chi avrebbe -e aveva- la competenza e gli strumenti per
rimediare» dice Saluzzo. Che aggiunge: «Tutte le nostre (collettive,
individuali, istituzionali, scritte, "parlate") richieste,
sollecitazioni, segnalazioni sono state voci (forse giudicate
stridule) in un deserto. Abbiamo bussato a tutte le porte delle
istituzioni competenti ad affrontare e porre rimedio al problema. Si
sono sempre aperte con cortesia e si sono richiuse lasciando noi
postulanti fuori dalla porta a mani vuote».
Per ogni pm di Ivrea ci sono 1940 fascicoli di "debito" di partenza:
sono meno di mille per i magistrati di altre strutture. Per non
parlare del personale amministrativo: 18 anziché 32. Da qui il
ricorso al volontariato: la procura ha iniziato ad arruolare ex
carabinieri in congedo iscritti all'Anc. «L'arretrato è ingestibile
e perché se ne forma di nuovo, continuamente e inesorabilmente»,
avverte Saluzzo. La domanda di giustizia, la fiducia dei cittadini
rischia di essere svilita, senza risposte: «Chi aspetta "giustizia"
(nonostante il fascicolo sia magari "maturo") attende, e non sa cosa
ne sarà della sua ansia, della sua aspettativa». Un fallimento di
tutti, soprattutto di chi si sta guardando dall'altra parte.
INDIPENENZA NON E IRRESPONSABILITA': Provvedimento del Csm:
stop a funzioni e stipendio in attesa dell'esito del processo
disciplinare
Sospeso il giudice poeta con 858 arretrati "Rifiuta il lavoro e
discredita la giustizia"
GIUSEPPE SALVAGGIULO
Ernesto Anastasio, il giudice-poeta che non scrive le sentenze
perché avrebbe voluto dedicarsi agli studi letterari, non può più
fare il magistrato, perché «rifiutando il lavoro getta discredito
sull'intera amministrazione giudiziaria». Così la sezione
disciplinare del Csm motiva il provvedimento cautelare urgente che
lo sospende da funzioni e stipendio, come chiesto dalla procura
generale della Cassazione che lo ha messo sotto accusa per aver
accumulato l'arretrato record di 858 provvedimenti non depositati
nell'ultimo anno.
Anastasio è recidivo. Per «ritardi sistematici» è già stato
processato cinque volte quando lavorava a Torre Annunziata e Santa
Maria Capua Vetere: due volte assolto perché i ritardi sono stati
valutati «limitati e contenuti» o «scarsamente offensivi»; una volta
condannato alla modesta sanzione della censura; gli altri processi
sono in corso. A distanza di anni, anche dopo aver cambiato ufficio,
Anastasio deve ancora depositare circa 200 sentenze di processi
celebrati in Campania. A ciò si sono aggiunte le nuove accuse dopo
il trasferimento a Perugia. Dove, a dispetto delle migliori
intenzioni, ha suscitato non solo le proteste degli avvocati, ma
anche una rivolta dei detenuti privati di una risposta a istanze
urgenti in materia di libertà personale. Anastasio non ha negato i
ritardi. Ma ha presentato un certificato medico e invocato una
perizia psicologica, che ha riconosciuto «un disturbo di personalità
per cui il magistrato non è in grado di superare con le sue attuali
risorse psicologiche» le difficoltà lavorative. Il giudice ha
ripercorso la sua vita: amava e ama la letteratura, non la
giurisprudenza. Avrebbe voluto fare altri studi, ma fu indotto a
sacrificare la sua inclinazione dal padre avvocato. È questa
frustrazione che gli impedisce di lavorare. «Vivo questa situazione
di dissidio interiore – ha raccontato al Csm -. Il problema è grave,
non sta bene che un giudice faccia tutto questo macello di
provvedimenti non depositati. Non credo che morirò magistrato, non
mi pare plausibile».
La sezione disciplinare del Csm ha usato un metro molto rigoroso
contro «la non laboriosità» del giudice, qualificando «i reiterati,
gravi, ingiustificati ritardi come violazione dei doveri di
diligenza». Tanto più che Anastasio, anche dopo l'inizio del
processo disciplinare, non si è ravveduto. Al contrario, è andato
avanti come se nulla fosse successo. Non ha rispettato i programmi
di smaltimento dell'arretrato, concordati nell'ufficio. E i suoi
nuovi ritardi hanno comportato, tra l'altro, l'indebita
scarcerazione di tre detenuti che avevano violato le prescrizioni
con cui erano state concesse misure alternative al carcere. A marzo,
il tribunale di sorveglianza aveva deliberato che dovessero tornare
in cella. Ma Anastasio non ha depositato il provvedimento,
vanificandolo.
Un comportamento che, scrive il Csm, «compromette la credibilità
professionale del magistrato e più in generale il prestigio
dell'autorità giudiziaria». E che Anastasio, dimostrando
«insensibilità», non pare disposto a cambiare. Per cui viene
sospeso, in attesa che dal processo disciplinare emerga una
decisione definitiva.
STILE SANTANCHE , AFFONDERA' MELONI :Milano, le telefonate
del compagno di Santanchè nell'inchiesta sulla società della
ministra. Si ipotizza il reato di truffa ai danni dello Stato
In Cassa ma al lavoro, il ricatto di Visibilia "Se fai un casino
succederà un macello"
monica serra
milano
«Che hai lavorato in cassa lo sappiamo io, noi e te. L'Inps non lo
sa...». « Era una cosa tacita dove comunque, come dire, c'era una
ottimizzazione che andava bene a tutti...»
La «cosa tacita» di cui parla Dimitri Kunz D'Asburgo Lorena, il
compagno e socio di Daniela Santanchè, è il ricorso alla cassa
integrazione di emergenza Covid prevista dal decreto Cura Italia di
cui le aziende della ministra hanno usufruito tra il 2020 e il 2022,
mentre i dipendenti avrebbero continuato a lavorare regolarmente. A
pagarli, però, non era la società - se non in parte minima o
ridotta, magari attraverso rimborsi spesa - tanto lo faceva lo
Stato.
Secondo gli accertamenti dell'ufficio di Vigilanza ispettiva
dell'Inps, tra Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria, erano
in tutto 13 i lavoratori in cassa (tra i 7 a zero ore e i 6 in
ordinaria), per un importo complessivo di ben 126.468,60 euro di
fondi pubblici erogati e un totale di 12.019 ore di cassa. A tanto
ammonterebbe il valore della presunta truffa aggravata ai danni
dello Stato su cui si concentra la procura di Milano che ha aperto
un fascicolo ancora senza indagati.
I numeri emergono dall'ultima annotazione del Nucleo di polizia
economico finanziaria della Gdf che le pm Maria Giuseppina Gravina e
Laura Pedio hanno depositato al processo civile intentato dai soci
di minoranza di Visibilia, con gli avvocati Antonio Piantadosi e
Dario Cantoro, in vista dell'udienza di domani, per chiedere
l'«ispezione» della società e l'«estensione dell'azione di
responsabilità ai nuovi amministratori», dopo il misterioso suicidio
di Luca Reale Ruffino.
L'informativa della Gdf dimostra innanzitutto la «consapevolezza dei
responsabili di Visibilia delle irregolarità della condotta
societaria». E questo emerge dalla trascrizione di tre telefonate
registrate da Federica Bottiglione, l'investor relator di Visibilia
che ha fatto causa di lavoro all'azienda quando ha scoperto di
essere in cassa «a sua insaputa». E nonostante, nello stesso
periodo, avesse prestato servizio anche in Parlamento, grazie a un
contratto di consulenza con l'attuale presidente del Senato Ignazio
La Russa.
Il 12 novembre del 2021, Bottiglione «inviperita» telefona a Kunz,
il giorno dopo aver scoperto tutto rivolgendosi a un Caf. La
risposta «stizzita» viene riportata dalla Gdf: «Prima di tutto,
voglio dire, per carità, te ti sei messa in regola eheh e però
magari hai messo in difficoltà l'azienda, cosa che invece bastava ne
parlassi con noi e non avremmo avuto problemi».Prosegue Kunz:
«Siccome sono tutti in queste condizioni... E tutti sanno
esattamente come stanno le cose... Era una cosa tacita dove comunque
c'era una ottimizzazione che andava bene a tutti…». Kunz cerca di
spiegare alla dipendente che non c'è stata alcuna «ostinazione
contro di te… So tutti a zero ore. Tutti».
Kunz chiede così a Paolo Giuseppe Concordia, responsabile della
tesoreria del gruppo, di mettere una pezza e «ripristinare al più
presto la condizione lavorativa di Bottiglione concludendo la cassa
integrazione» ma a lei spiega di «non poter disporre la restituzione
all'Inps di quanto percepito poiché comporterebbe un'ammissione
dell'irregolarità della condotta societaria».
«Federica scusami...- dice Kunz al telefono - Adesso, è chiaro che
non è che possiamo renderli all'Inps perché sarebbe come
ammettere...». Lei risponde: «Ma io lo devo fare». E lui: «Non lo
puoi fare, sennò metti nei casini tutti. Adesso ti tiriamo fuori
dalla cosa e fine, finisce lì... Poi vediamo... Magari non ti
chiediamo dietro neanche quella parte lì… E te la tieni te... Se un
giorno te la chiede l'Inps....». La dipendente insiste: «Non me ne
importa nulla, però io voglio stare a posto». La risposta di Kunz:
«L'unico modo per essere a posto e non fare casino Fede, perché se
fai casino, fai un macello». Poi la minaccia: «Ma se ti autodenunci,
dopo anche l'azienda, anche noi dobbiamo difenderci... Cioè, poi ci
mettiamo l'uno contro l'altro... In maniera sbagliata.. Tutto lì».
C'è anche una telefonata con Concordia, in cui Bottiglione fa
presente che mentre era in cassa ha ricevuto bonifici dell'azienda
mascherati da rimborsi spesa chilometrici nonostante il lockdown:
«... Che hai lavorato, lo sappiamo io, noi e te. L'Inps non sa che
tu hai lavorato, l'Inps…».
SONO REALI : Nel loro piccolo, oltre ad arrabbiarsi, le
formiche possono fare danni. Tanti danni. Specie se sono rosse,
addirittura di fuoco. Solenopsis invicta, a evocare che finora è
imbattuta, la chiamano gli scienziati che ne hanno confermato la
presenza in un'area di quasi cinque ettari, a ridosso della foce del
fiume Ciane, alle Saline di Siracusa. È l'habitat che la formica di
fuoco ha scelto in Sicilia, dopo lo sbarco in Europa, avvenuto
attraverso un percorso – con ogni probabilità marittimo – che l'ha
fatta arrivare dal Sudamerica al nord di quello stesso continente,
poi in Cina, infine in Europa. A Siracusa, appunto. Dove si teme per
la salute dell'uomo e delle piante, ma anche per un'altra devastante
capacità di questi insetti perniciosi e difficili da debellare:
quella di rodere i cavi elettrici, con tutto quello che ne può
conseguire per l'alimentazione degli impianti civili e industriali,
ma anche delle reti delle connessioni.
La foce del Ciane è incantevole, spesso al centro di controversie
tra ambientalisti e cementificatori, ma adesso il problema è di tipo
diverso e non viene affatto sottovalutato da esperti e addetti ai
lavori: gli ottantotto nidi individuati potrebbero non essere i
soli, in quest'area al confine con la riserva naturale orientata,
istituita dalla Regione Siciliana da ormai quasi quarant'anni. E
soprattutto, la presenza – adesso certificata da uno studio
pubblicato dalla rivista Current Biology, realizzato dall'istituto
di Biologia evoluzionistica dell'Università di Barcellona, in
collaborazione con gli atenei di Catania e di Parma – non è recente.
L'area è a sud di Siracusa, a pochi chilometri dal capoluogo di
provincia-città d'arte e centro culturale tra i più famosi d'Europa.
«Non abbiamo ancora avuto segnalazioni ufficiali – dice Francesco
Ferreri, presidente di Coldiretti Sicilia –, ma siamo molto
preoccupati per gli effetti che questa nuova vicenda potrebbe avere
su un'agricoltura isolana già fiaccata da mille altri problemi.
Perché con ogni probabilità questi insetti continuano ad arrivare e
ad espandersi. L'area sud-orientale della Sicilia è ricca di aziende
che si dedicano all'ortofrutta, alla zootecnia, alla viticoltura,
all'olivicoltura, agli agrumi, ai fiori. Ancora facciamo i conti con
le devastazioni paesaggistiche provocate dal punteruolo rosso, che
ha distrutto palme di ogni epoca e dimensione, non solo nell'Isola,
ma soprattutto da noi, dove ce n'erano tantissime». La capacità di
rosicchiare può lasciare i cavi elettrici scoperti e privi della
protezione dei materiali isolanti: e questo non fa dormire sonni
tranquilli a Lorenzo Bazzana, responsabile per l'Economia di
Coldiretti nazionale. «Possono provocare black-out – dice – ma
soprattutto interrompere il segnale della rete Internet, fermando
così comunicazioni e produzione, danneggiando le imprese. Proprio
nei giorni scorsi avevamo diffuso un comunicato per elencare tutti i
parassiti che colpiscono il nostro settore: riteniamo che abbiano
già provocato danni complessivi per un miliardo di euro. Sono come
le piaghe d'Egitto: ci sono ancora le cavallette in Sardegna e
nell'Appennino romagnolo, ma non solo».
La segnalazione raccolta dagli studiosi, informati da un abitante
della zona delle Saline aretusee, punto dalla formica rossa, è
servita da input per dare la caccia a questo insetto, che col suo
pungiglione acuminato provoca negli esseri umani reazioni cutanee
simili a bruciature e vere ustioni e da qui il nome di formica del
fuoco. Se gli allarmi delle aziende agricole e industriali della
zona tardano ad arrivare (molti hanno appreso della finora
mini-invasione dai giornali di ieri) è la gente comune a segnalare
la presenza della particolarmente aggressiva formica, «almeno dal
2019», in particolare da chi abita in villette vicine a un vivaio:
«I formicai – dice un residente, che preferisce restare anonimo –
sono a punta, pericolosissimi se li si calpesta. Inutile qualsiasi
tentativo di allontanarli: medicinali a siringa, metodi fai da te.
Non funzionano».
L'Enel finora non ha dato al proprio personale della zona aretusea
indicazioni particolari su contromisure da adottare, nessun danno è
stato segnalato, a parte quelli provocati dai topi, che si
intrufolano dove trovano aperture. Le formiche però non hanno
bisogno di fessure e i capi unità della zona del Siracusano ieri
sono stati invitati a vigilare e a raccogliere eventuali
segnalazioni dai residenti di una zona che ancora definire infestata
è prematuro.
Si muovono anche gli scienziati, gli stessi che hanno scoperto la
Solenopsis invicta: «Tramite il sito dell'Università di Parma – dice
Enrico Schifani, biologo – si può pure scaricare un'app da
cellulare, che può essere usata per le segnalazioni da inviarci. Noi
le raccoglieremo in un progetto dedicato al modo per affrontare la
formica del fuoco». —
CON QUESTA SITUAZIONE SANITARIA VOLETE RIELEGGERE CIRIO ?
L'ambito, deficitario, è sempre lo stesso: quello ambulatoriale. Non
a caso, l'ultimo alert in ordine di tempo -il sondaggio
dell'Osservatorio Sanità condotto da Nomisma per UniSalute -non
verte sui ricoveri ma su visite ed esami.
I torinesi fanno meno accertamenti del necessario, anche rispetto ad
altre regioni: il 33% contro un 41% di media nel resto d'Italia. Il
dato, oltretutto, è in calo rispetto al 42% del 2022, e in
controtendenza rispetto alla crescita registrata dalla media
nazionale e dalle altre città oggetto dell'indagine. A conferma di
questo, solo il 39% delle donne torinesi è andata dal ginecologo
nell'ultimo anno, e il 66% dei torinesi non svolge una visita
dermatologica da molti anni. Ancora: quasi un torinese su due (48%)
oggi si cura soltanto quando comincia a soffrire di un disturbo o di
una malattia. Sostanzialmente stabile la quota di chi dice di non
fare nulla di particolare per tutelare la propria salute (9%, contro
il 10% dell'anno scorso).
Meno prevenzione, più rischi per la salute. Prima di spiegare il
perchè, conviene capire di quali sono i controlli oggetto
dell'indagine, che periodicamente sonda l'attitudine alla
prevenzione degli abitanti di varie città italiane.
Le analisi del sangue risultano il controllo più effettuato: lo
hanno svolto nell'ultimo anno circa tre torinesi su quattro (74%).
Al secondo posto l'esame delle urine, che più di uno su due (54%) ha
effettuato negli ultimi 12 mesi. Appaiono invece più trascurati
altri esami importanti, come la visita dermatologica per il
controllo dei nei: nonostante la crescente pericolosità
dell'esposizione eccessiva ai raggi solari, due torinesi su tre
(66%) dichiarano di aver fatto l'ultima visita di questo tipo "molti
anni fa", o addirittura di non averla mai fatta, e solo il 17% l'ha
svolta negli ultimi 12 mesi.
Guardando al campione femminile, emerge come poco più di un terzo
(39%) delle donne si sia sottoposta a una visita ginecologica
nell'ultimo anno, con più di una su quattro (28%) che addirittura
non ha mai svolto questo controllo o non lo effettua da molti anni.
Di conseguenza, soltanto il 32% dice di essersi sottoposta a un Pap
test negli ultimi 12 mesi.
Naturalmente si tratta di capire per quale motivo i torinesi si
sottopongono a controlli regolari meno degli abitanti di altre
grandi città, oltre che al resto del Piemonte: la cosa migliora è
lasciare a loro risposta. Non a caso, l'indagine ha sondato le
ragioni. «Da quanto emerso, la difficoltà ad accedere alle cure
risulta un ostacolo importante: tra chi non ha svolto alcun
controllo nell'ultimo anno - si legge nel report -: ben il 21% dà
come motivazione i tempi di attesa troppo lunghi, e il 20% i costi
troppo elevati». Cause dirette. Quella sui tempi di attesa,
peraltro, non è una novità. E questo, nonostante gli sforzi della
Regione per migliorare. Questione di organici, in primis, non solo a
Torino. Secondo gli ultimi dati di CIMO-Fesmed Piemonte, diffusi
ieri, negli ultimi 5 anni il numero di professionisti piemontesi che
operano in strutture sanitarie pubbliche è calato di circa 1500
unità, «un dato allarmante che impatta in modo determinante
sull'erogazione dei servizi verso i cittadini».
Ma sempre secondo l'indagine, «c'entra anche una scarsa cultura
della prevenzione, tanto che le motivazioni più citate sono la
tendenza a fare visite solo quando ci si sente poco bene (29%), e
soprattutto la convinzione di non avere bisogno di fare controlli
(30%)». Resta da capire se questa propensione, diciamo così, è una
decisione volontaria o una scelta obbligata, stante la difficoltà di
accedere alle prestazioni: l'una e l'altra, probabilmente.
VERTICI RFI SOTTO PROCESSO ? Tragedia di brandizzo, l'operaio
della si.gi.fer cisternino ieri è stato interrogato dai magistrati
"I tecnici Rfi lasciavano il cantiere quando eravamo ancora sui
binari"
andrea bucci
Per oltre quattro ore davanti ai magistrati di Ivrea Giulia Nicodemi
e Valentina Bossi ha raccontato come si svolge il lavoro lungo i
binari. Qual è la prassi. È Giuseppe Cisternino, dipendente
Si.Gi.Fer, che ieri è stato ascoltato come persona informata dei
fatti. Uno degli operai che, da giorni sono convocati negli uffici
giudiziari di Ivrea, chiamati a raccontare come si svolgevano i
lavori nei cantieri lungo i binari della rete ferroviaria. In
possesso della qualifica di tecnico di primo livello, Cisternino ha
spiegato che probabilmente nemmeno poteva effettuare quelle
lavorazioni lungo i binari: «Perché non abbiamo ancora le mansioni».
Quella notte tra il 30 e il 31 agosto Giuseppe Cisternino avrebbe
dovuto lavorare con la squadra di operai travolti dal treno. «La
chiamata non è mai arrivata. Sapevo che volevano aggregarmi a loro»,
sospira mentre quattro militari della polizia giudiziaria della
guardia di finanza verbalizzano il suo racconto. Era cresciuto
insieme a Kevin Laganà (una delle cinque vittime). Si conoscevano da
piccoli e forse proprio per questo, oggi, ha scelto di raccontare
una volta per tutte come funziona il lavoro. E confessa che, se
quella notte avesse lavorato lungo il binario 1 a Brandizzo, forse,
si sarebbe accorto del treno e avrebbe potuto avvisare. Ma il
destino ha voluto diversamente.
Ai magistrati, Cisternino, ha confermato come la prassi di scendere
in anticipo lungo i binari fosse una consuetudine. Motivo? «Per
terminare il lavoro prima del tempo e andare a casa in anticipo».
Poi ha raccontato come, spesso, i tecnici di Rfi abbandonassero il
cantiere prima del termine delle operazioni: «Avrebbero dovuto
essere i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via dal cantiere e
invece se ne andavano sui furgoni lasciando gli operai da soli». Ai
magistrati Cisternino ha poi raccontato un altro particolare. Quando
dovevano scendere lungo i binari della linea ad Alta Velocità dove
transitano i Frecciarossa e Italo lavoravano a cinque centimetri dai
convogli in transito, rischiando la vita.Bastava un niente per
essere risucchiato.
Cisternino non ha paura di svelare come si svolge il lavoro e con
l'audacia dei ventenni confessa: «A gennaio mi scadrà il contratto
in Si.Gi.Fer. Ma io non ho alcuna intenzione di tornare a lavorare
per l'azienda di Borgo Vercelli. L'ho capito dopo questa tragedia
dove ho perso non solo colleghi di lavoro, ma degli amici».
Intanto l'inchiesta prosegue. Gli indagati, al momento, restano due:
Antonio Massa, il preposto Rfi e Andrea Gibin Girardin, capo
cantiere della Si.Gi.Fer. Domani inizierà il lavoro del
superconsulente informatico, un luogotenente della guardia di
finanza, incaricato di analizzare i Dis (registratori di eventi di
marcia e di condotta) installati sulla pilotina e sulla motrice del
treno. E sui tablet in dotazione ai macchinisti e su due telefonini
di due delle cinque vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Lombardo).
Un lavoro che si preannuncia lungo, ma che potrebbe portare a delle
nuove decisioni dei magistrati che si occupano di questa enorme
tragedia.
12.09.23
CHI PAGA LO SCONTO CINEMA ? :
Niente fondi per l'aumento di spesa alle strutture private
convenzionate
Le liste di attesa sono la vera piaga della nostra sanità: quattro
milioni di italiani che non hanno i soldi sono costretti a
rivolgersi al privato o rinunciare alle cure. Il ministro della
Salute Orazio Schillaci era riuscito a far aumentare da 50 a 80 euro
la remunerazione oraria per le prestazioni aggiuntive taglia-liste,
ma ora difficilmente porterà a casa l'innalzamento del tetto di
spesa per il privato convenzionato, una soluzione permetterebbe di
aumentare l'offerta e ridurre i tempi di attesa ma che costano 130
milioni per ogni decimale in più. I soldi ci sono o per i medici o
per le cliniche, per cui agli assistiti che restano intrappolati
nelle liste di attesa resta la legge che consentirebbe loro di
rivolgersi direttamente al privato, con automatico rimborso pubblico
quando si superano i tempi massimi di attesa. Una possibilità
teorica, perché con 15 miliardi di Fondo sanitario eroso
dall'inflazione e solo in minima parte rifinanziato, le Asl
continueranno ad essere in debito di ossigeno e fare quel che fino
ad ora hanno sempre fatto: disapplicare la legge.In nove casi su
dieci macchinari obsoleti Risorse per gli acquisti dai fondi europei
Se le liste d'attesa si allungano, se aumentano le diagnosi tardive
di tumore, se sempre più giovani medici fuggono all'estero e
l'assistenza domiciliare resta un miraggio per la quasi totalità dei
nostri anziani si deve anche al Jurassic park tecnologico della
nostra sanità, dove l'89 per cento delle strutture utilizza
macchinari obsoleti. Ora il Pnrr finanzia con 1,2 miliardi il
rinnovo del parco macchine ospedaliero, ma il rischio è che non ci
siano industrie disposte a consegnare le apparecchiature
diagnostiche. Questo perché il governo proverà a non far pagare alle
imprese il miliardo circa di pay back, ossia il ripiano dello
sfondamento del tetto di spesa per il periodo 2019-22, così come
pare disposto ad aumentare lo stesso tetto di spesa di due miliardi
in due anni, al ritmo di poco meno di 700 milioni l'anno. Per
l'altro miliardo che resta da saldare per il 2015-18 niente da fare.
Le centinaia di aziende che hanno presentato riscorso al Tar hanno
già minacciato di ritirarsi dal mercato se costrette a saldare il
conto di quello che hanno ordinato Asl e ospedali.
LA SICUREZZA CHE TENDE A 0: Matteo Piantedosi, ultimo di una
lunga serie di ministri che lamenta tagli alla sicurezza, ha detto
esplicitamente qualche giorno fa al forum di Cerobbio: «I fattori di
legalità non devono far parte della contrazione della spesa». Perché
questa è la paura al Viminale: che i fondi vengano tagliati in
maniera lineare a tutti i ministeri.
Chi si occupa delle forze di polizia, ricorda con angoscia ciò che
accadde nel 2012. Anche all'epoca c'era una emergenza per le Casse
dello Stato e arrivò la mannaia di Mario Monti. Addio assunzioni per
diversi anni, riduzione del parco auto, dei presidi e di tutto il
resto. I danni si vedono ancora. Quest'anno mancano all'appello
almeno 11 mila carabinieri, il 9,5% della forza prevista. E rispetto
alle piante organiche del 2012, la polizia è priva di ben 20 mila
agenti.
«Il saldo negativo pesa molto sulla struttura organizzativa,
condizionando in particolar modo l'operatività delle unità minori:
le stazioni e le tenenze», ha detto qualche mese fa in Parlamento il
comandante generale dei carabinieri Teo Luzi. I freddi numeri però
dicono poco di quello che davvero accade sul campo. Ci parlano di
quantità, non di qualità. Non raccontano fino in fondo quanto il
personale abbia la lingua di fuori.
«Da dove vogliamo iniziare?», chiede retorico un sindacalista.
Cominciamo con l'esplosione degli straordinari. Agli agenti e ai
carabinieri viene richiesto di fare molte più ore dell'orario
previsto. Ore che dallo Stato vengono pagate poco e addirittura con
18 mesi di ritardo. «Ma la vita delle nostre famiglie - racconta
Pietro Colapietro, segretario del Silp-Cgil -, come immaginate, è un
po' particolare. In tanti piccoli centri, specie al Sud, i nostri
sono "i figli del poliziotto". I ragazzi sono molto soli. E noi
padri non ci siamo mai perché dobbiamo fare i doppi turni. È un
grosso problema di cui nessuno si cura». Se si ascolta un
carabiniere, il tono non cambia: c'è sui social il video di un
maresciallo dell'Arma, rappresentante del Cocer, che illustra i
problemi a un sottosegretario. Ha già raggiunto un milione di
visualizzazioni e picchi di commenti, specie quando il carabiniere
dice: «Ci chiedete sacrificio. Ma il sacrificio non ci garantisce la
dignità. Quando magari si hanno due figli e a fine mese bisogna
scegliere se comprare i jeans all'uno o le scarpe all'altro. E si
deve decidere perché ci sono le utenze e quant'altro... I colleghi
che sono al Nord, poi, dove la vita costa di più, sono ridotti alla
cessione del quinto dello stipendio. Questo grava sulla serenità».
In gergo è detto «burn-out», quelli che scoppiano. Sintesi brutale
di Colapietro: «La nostra gente non ce la fa più. Abbiamo numeri
altissimi di suicidi».
Vista da fuori, poi, quella della sicurezza è una macchina che
funziona a singhiozzo. In troppe stazioni dei carabinieri, dopo 6
ore si chiude la porta e c'è solo un citofono. Molti commissariati
non ci sono più. Sono scomparsi tanti presidi della polizia stradale
o della polizia ferroviaria. «Diciamola tutta: il controllo del
territorio com'era una volta ormai ce lo sogniamo. Poco personale
significa avere poche volanti», dice Felice Romano, segretario del
Siulp.
A Bari, per fare un esempio, quindici anni fa, prima della grande
sforbiciata, ogni notte uscivano 16 o 17 volanti con tre persone di
equipaggio; attualmente è tanto se ce ne sono 5, con due soli agenti
a bordo. E così è dappertutto.
Il problema è clamoroso con la Stradale: le pattuglie sono talmente
poche, e quelle poche sono riservate alle autostrade per via di una
convenzione non eludibile, che in sostanza la polizia ha smesso di
presidiare la viabilità ordinaria. Arrivano solo su chiamata quando
c'è qualche brutto incidente. Di controlli a campione, specie con
etilometri, sempre meno.
E quando il ministro Piantedosi promette che riaprirà i posti fissi
di polizia negli ospedali, c'è chi fa due conti e sa che non potrà
succedere se non per casi eccezionalissimi. Questione di aritmetica.
La politica era stata avvertita per tempo. I capi della polizia e i
comandanti dei carabinieri non hanno mai nascosto il problema. Il
prefetto Franco Gabrielli, nel 2018: «Mi capita di vivere nel paese
di Alice. Per un certo periodo si è immaginato che poliziotti,
carabinieri e finanzieri fossero troppi e quindi si bloccava il
turn-over. Improvvisamente ci si sveglia e ci si accorge che c'è
qualcosa che non va». Il suo successore Lamberto Giannini, nel 2022:
«La stagione che ci attende ci presenterà il conto del turn-over con
tanti colleghi che andranno in pensione». Il comandante generale dei
carabinieri Leonardo Gallitelli, nel 2013: «Il mancato turn-over del
personale ha portato una progressiva carenza di effettivi, oggi pari
a circa 6.400 unità». Il generale Giovanni Nistri, nel 2020:
«Abbiamo una carenza di oltre 10 mila unità. Sul piano pratico
equivale a ben 1.000 stazioni di media consistenza». Fino
all'ultimo, Teo Luzi, che nell'aprile scorso parlava del progressivo
invecchiamento del personale: «L'età media dei carabinieri oggi è di
quasi 44 anni, di molto superiore alla media di dieci anni fa.
Un'evidente criticità per una forza armata e di polizia che fonda la
propria funzionalità anche sul requisito dell'efficienza e della
prestanza fisica».
I risultati, in termini di arresti e di inchieste, sono sempre
imponenti. Nei primi sette mesi dell'anno, sono 434.940 le persone
denunciate dalle forze di polizia (erano 490.097 nello stesso
periodo del 2022). Ma a prezzo di uno sforzo sempre più pesante per
chi veste la divisa. E bisogna sapere che le cose peggioreranno.
Le statistiche, infatti, come i famosi polli di Trilussa, vanno
lette bene. In polizia chi davvero manca sono i detective, ovvero
gli ispettori. Sono la colonna portante, quelli che conducono le
indagini: secondo organico, dovrebbero essere 24 mila e ce ne sono
appena 12 mila. «Ma sono quelli più vicini alla pensione, perciò
entro il 2032 si scenderà a 5 mila ispettori a meno di concorsi
straordinari. Se non si corre ai ripari, la polizia va in tilt»,
dice amaramente Felice Romano. Un'ipotesi del Siulp è permettere, su
base volontaria, agli ispettori - che come tutti in polizia vanno in
pensione a 60 anni - di restare almeno un paio d'anni al lavoro.
«Anche per garantire la trasmissione delle competenze».
Un problema analogo ce l'ha l'Arma, con i comandanti delle 4.500
stazioni, i mitici marescialli. Assumerli è il meno. Ciò che conta è
formarli sul campo, lentamente, progressivamente, mettendoli alla
prova. Devono avere capacità di investigazione, ma soprattutto di
leadership. Perché lo Stato, specie nei piccoli Comuni, alla fine
sono loro. —
UN ESEMPIO PER IL MONDO : «Non preoccupatevi per me. Questa è
una battaglia e, nel nome di mio figlio, la combatterò fino alla
morte». A cinque giorni dall'anniversario dell'assassinio di Mahsa
Amini rimbalzano dall'Iran le parole di Mahsa Yazdani, arrestata due
settimane fa a Sari semplicemente perché mamma dello studente
ventenne Mohammad Javad Zahedi, una delle prime vittime della
rivoluzione "Donna, vita, libertà". Mohammad è stato ammazzato dalla
polizia religiosa il 22 settembre 2022 durante una manifestazione
per l'emancipazione delle ragazze dal velo, ma, come quella degli
oltre 500 morti dall'inizio delle proteste, la sua presenza grava
sul regime minacciosa come fosse reale. Ecco perché i pasdaran
braccano in queste ore le madri, gli amici e i parenti di chi è
ormai un'icona di libertà. Prima è toccato a Safe Aeli, uno zio di
Mahsa Amini rinchiuso preventivamente nel carcere di Evin, poi al
padre e alla sorella di Mohammad Hassan Zadeh, al fratello
quindicenne di Esmail Barahouei, ai genitori di Javad Rouhi: una
cella per ciascun seme, il buio impenetrabile contro la luce che non
si spegne.
Da settimane in Iran incombe il conto alla rovescia. Il 16 settembre
è là, dietro l'angolo, il giorno in cui il malcontento sociale ha
assunto il volto livido di Mahsa Amini e a distanza di dodici mesi
proietta la sua ombra sul presente, appuntamento catartico del
cambiamento in potenza. Sebbene per le strade non si vedano più i
cortei massicci di un anno fa la protesta è tutt'altro che domata e
le ragazze a capo scoperto sono sempre più numerose, a Teheran come
nelle provincie remote del Sistan-Baluchestan e del Kurdistan. Prova
ne sia la morsa che la teocrazia ha stretto intorno al Paese
ribelle. Una morsa doppia.
Da una parte c'è il pugno di ferro vero e proprio,
l'autoconservazione sanguinaria della Repubblica islamica: almeno
mille impiccagioni eseguite dall'estate scorsa a oggi (solo 7 delle
quali ufficialmente legate alle proteste), un record anche per gli
ayatollah; il nuovo regolamento che prevede fino a 15 anni di
reclusione per trasgressione del codice di abbigliamento islamico e
il divieto ai tassisti di trasportare passeggere senza hijab; la
chiusura imposta ai locali più accomodanti come il parco acquatico
Mojhaye Khoroushan, reo di aver tollerato la clientela meno
osservante. Dall'altra c'è l'offensiva diplomatica con cui Teheran
cerca di divincolarsi dalla condanna internazionale: l'annunciata
nuova cooperazione con Riad, l'asse con la Russia e il dialogo
energetico con la Turchia, la mano tesa all'Europa (come ribadito
domenica al rappresentante speciale dell'Ue per il Golfo Persico
Luigi di Maio) in vista dall'imminente fine dell'embargo sulle armi
secondo l'accordo sul nucleare del 2015. Eppure, per quanto il
governo iraniano sigilli il Paese per soffocarne le voci, come di
fronte ad ogni sfida interna dal 1979, l'impressione è che stavolta
la terra continui e continuerà a tremare.
Sono le donne a scuotere il sistema, le giovanissime e le loro
madri, vinte dall'audacia di una generazione satura di compromessi e
utopie riformiste. Sono gli uomini, quelli che si schierano a
testuggine in difesa delle compagne e muoiono. È la giornalista
ventitreenne Nazila Maroufian, arrestata e rilasciata a singhiozzo
per mesi dopo aver intervistato il padre di Mahsa Amini e oggi di
nuovo in carcere, dove ha iniziato lo sciopero della fame e ha
denunciato di essere stata stuprata dalle forze di sicurezza
(«rivelo questo abuso per me stessa e per tutte quelle che sono
state soggette a violenza e abusi sessuali durante il loro arresto
ma hanno paura di parlarne»). È Suzan Eid Mohammad Zadegan, rapita
dai pasdaran in quanto donna disobbediente e in quanto baha'i, una
delle minoranze più perseguitate in Iran insieme ai beluci, agli
azeri e ai curdi come la stessa Mahsa Amini e come Soheila Mohammadi,
detenuta politica nella prigione di Urmia dove si è cucita le labbra
per denunciare le umiliazioni impostale e la persecuzione dei curdi,
ai quali territori quest'estate il governo negava l'acqua per
spegnere gli incendi come rappresaglia contro il sostegno alla
rivoluzione. È Zaynab Kazemi, condannata a 74 frustate per aver
parlato a un evento dell'Assemblea degli ingegneri di Teheran
scoprendosi il capo e puntando l'indice contro i colleghi attoniti
(«Non riconosco un'assemblea che non permette alle donne di essere
candidate se non portano il velo"). E sono gli uomini, tantissimi,
uomini come Mehdi Yarrahi, il musicista quarantunenne che canta
l'epopea delle "donne libere della sua terra" e che, accusato di
"sfidare la morale e i costumi della società islamica", è stato
prelevato dalle forze di sicurezza ed è scomparso. Sue sono le
parole che in queste settimane segnano il ritmo del countdown nelle
mille clip delle ragazze danzanti sulle note di "RooSarito", in
farsi "il tuo velo". I social consentono di identificare i ribelli,
ma i social tengono tuttora in vita la ribellione.
«Non so se di questi dodici mesi siano stati più crudeli e cinici
l'assassinio dei manifestanti spacciato per suicidi o incidenti, lo
stupro delle detenute, le minacce ai genitori di chi è stato ucciso,
ma è comunque una sequela di crimini che dovrebbe concludersi in un
tribunale di qualche Stato che voglia esercitare la giurisdizione
universale, portando a processo le più alte cariche dell'Iran»
ragiona il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury. Ce ne
vorrà di tempo, se solo una settimana fa la Fondazione Nobel aveva
pensato bene d'invitare i rappresentanti della Repubblica Islamica
d'Iran (oltre a quelli russi e bielorussi) alla cerimonia di
consegna dei premi salvo poi revocare il tutto dopo le «forti
reazioni della società svedese». Ce ne vorrà. Intanto c'è il 16
settembre, domani. —
INTOCCABILE. CHI LA TOCCA MUORE : Gli azionisti di minoranza di
Visibilia "Nuovo Cda ancora in mano a Santanchè"
Nessun rilancio di Visibilia Editore, nessuna «netta cesura tra il
vecchio organo gestorio e quello in carica». La governance attuale -
che fino al misterioso suicidio faceva capo a Luca Giuseppe Reale
Ruffino - di fatto opererebbe «in continuità» con la precedente,
proseguendo anche nella «dolosa manipolazione delle voci di
bilancio» che ha fatto finire indagata la ministra al Turismo
Daniela Santanchè.
A rilanciare la battaglia sono gli azionisti di minoranza che, in
vista della discussione della causa civile nell'udienza del 14
settembre, hanno depositato una nota al Tribunale di Milano,
chiedendo non solo di «ordinare l'ispezione dell'amministrazione al
fine di verificare la sussistenza delle irregolarità denunciate», ma
anche di «revocare amministratori e sindaci e nominare un
amministratore giudiziario della società».
Già nell'estate del 2022, era stato il gruppo di soci, che
rappresentano più del 5 per cento del capitale, con gli avvocati
Antonio Piantadosi e Dario Cantoro, a denunciare le presunte gravi
irregolarità dando il via anche all'inchiesta su Santanchè, finita
nel registro degli indagati per falso in bilancio e bancarotta
fraudolenta. La pm Maria Giuseppina Gravina e l'aggiunta Laura Pedio,
titolari del fascicolo, si sono costituite nel giudizio civile. E il
22 giugno hanno depositato le consulenze del professore Nicola
Pecchiari che dimostrano - sottolineano i soci di minoranza - che
«laddove i nuovi amministratori avessero proceduto a una seria
revisione delle voci di bilancio, lo stato patrimoniale sarebbe
evidentemente di assoluto dissesto», nonostante «la più che rosea
rappresentazione fornita dall'organo gestorio» dopo l'approvazione
anticipata della semestrale. Le voci di bilancio alterate
«quantomeno a partire dal 2016 - quando secondo le valutazioni
Pecchiari, tra svalutazione degli avviamenti e dei crediti, il
patrimonio netto negativo era di fatto pari a 4 milioni di euro -
non sono infatti mai state modificate dagli attuali amministratori».
Tra le altre cose, i soci si chiedono «come si faccia ad attribuire
da anni il valore di 735 mila euro ai marchi di una società in
costante perdita?». Un capitolo a parte è stato destinato alla
scarsa trasparenza rispetto al «rientro dei crediti» avanzati dalle
altre società del gruppo, «già pesantemente indebitate». Soprattutto
si sottolinea che il contratto di accollo sottoscritto da Santanchè
rispetto al debito da oltre un milione e 800 mila euro di Visibilia
in liquidazione Srl, salvata dal fallimento grazie a un accordo con
l'Agenzia delle entrate, «era stato condizionalmente sospeso
all'accoglimento da parte del Tribunale della domanda di omologa
degli accordi di ristrutturazione». E questo non solo «non risponde
a un'utilità della società, ma è chiaro indice del permanere di
rapporti e interessi coltivati con la vecchia controllante, il cui
capitale sociale è detenuto al 95 per cento ancora da Santanchè».
Del resto, anche «il compianto Ruffino, aveva già in passato
detenuto una partecipazione rilevante in Visibilia Editore,
concorrendo ad approvare il bilancio di esercizio del 2019», tra
quelli finiti sotto la lente dei pm.
Ancora, i soci denunciano la mancata trasparenza nel recesso del
contratto col fondo Negma e soprattutto «delle verifiche effettuate
in merito alla provenienza dei fondi versati nelle casse di
Visibilia». Per non parlare della «irregolare» scalata di Ruffino in
Visibilia, che ha superato il 70 per cento del capitale senza
promuovere l'Opa, rendendo necessario il recente intervento della
Consob.
SE QUESTO E' UN PM : Maltrattamenti alla moglie il pm chiede
l'assoluzione "È un fatto culturale"
Le violenze e i maltrattamenti a discapito della moglie non vanno
puniti se questi fanno parte dell'impianto culturale del paese
d'origine del marito. Questo il senso delle conclusioni scritte dal
pubblico ministero di Brescia Antonio Bassolino che ha chiesto
l'assoluzione per un uomo del Bangladesh, residente a Milano,
denunciato nel 2019 per maltrattamenti e violenza sessuale da quella
che oggi è la sua ex moglie, nonché cugina, 27 anni, nata in
Bangladesh ma residente in provincia di Brescia dall'età di 4 anni.
«I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della
parte offesa da parte dell'odierno imputato – scrive il pm – sono il
frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà
di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia
sulla medesima». Le offese, le minacce, gli anni trascorsi segregata
in casa con le sue due bambine, gli schiaffi denunciati dalla donna
durante il processo, rientrerebbero cioè nel campo dei reati
culturalmente orientati, ragion per cui l'uomo va assolto. «La
disparità tra l'uomo e la donna – scrive ancora il pm – è un portato
della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino
accettato in origine». Come dire, sapevi che le cose stavano così,
adesso non puoi ribellarti. Cosa che invece la 27enne ha fatto nel
2019, lasciando il marito e denunciandolo per maltrattamenti fisici
e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto
l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha
ordinando l'imputazione coatta per l'uomo. In dibattimento poi i
maltrattamenti sembrano essere stati provati, anche se, scrive il
pm, «si tratterebbe di condotte episodiche maturate in un contesto
culturale che, inizialmente accettato dalla parte offesa, si è
rivelato per costei nei fatti intollerabile proprio perché cresciuta
in Italia». Quasi fosse una colpa per la donna aver vissuto in una
società laica e civilizzata.
L'ultimo atto del processo è in calendario per i primi giorni di
ottobre, quando si conoscerà il destino dell'imputato. Intanto però
la vicenda è esplosa sul piano politico ed è stato per primo
Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d'Italia, a invocare
«un'ispezione urgente alla procura di Brescia» promettendo sul fatto
un'interrogazione parlamentare al ministro Nordio. La senatrice del
Pd Valeria Valente, componente della Commissione Bicamerale contro
il femminicidio e la violenza di genere, ha parlato invece di
«parole gravi (quelle del pm ndr) perché finiscono con il
giustificare proprio la cultura patriarcale contro cui combattiamo
per contrastare la violenza sulle donne». —
LE CONTRADDIZIONI NAZIONALI CHE CI METTONO FUORI DALLA CIVILTA' :
L'ultima puntata del braccio di ferro tra il governo e le Ong ha il
sapore del paradosso. Passa dalla richiesta di realizzare una pista
di elisoccorso su una nave che non ha neanche metà dello spazio
necessario.
Passa dall'autorizzazione a uscire in mare ma solo come nave
mercantile, non per operazioni di ricerca e soccorso. Passa
dall'ordine «di rimuovere le attrezzature e gli equipaggiamenti
imbarcati a bordo per lo svolgimento del servizio di salvataggio».
Così la Mare Jonio della Ong Mediterranea Saving Humans, l'unica
imbarcazione civile che batte bandiera italiana, si trova davanti a
un dubbio amletico: uscire in mare senza attrezzature di salvataggio
(ma come si fa a soccorrere migranti facendo a meno di salvagenti,
battelli gonfiabili e farmaci?) oppure sfidare i divieti e munirsi
degli equipaggiamenti rischiando tre anni di reclusione e una multa
salata. «Stiamo valutando il da farsi – dicono dalla Ong – ma questo
ordine è per noi semplicemente oltraggioso è inaccettabile così come
la minaccia di conseguenze penali per i nostri armatori.
Contesteremo questo provvedimento in ogni sede».
L'aut aut arriva al termine dell'ispezione-fiume delle autorità
marittime italiane, durata dal 22 agosto al 6 settembre, che blocca
la ripartenza delle attività della Mare Jonio, ferma per lavori sin
dal giugno 2022.
Cavilli burocratici. Anzi, secondo la Ong, pretesti. «Nonostante la
nave sia riconosciuta come ben equipaggiata per l'attività di
ricerca e soccorso e sia stata per questo certificata del Registro
navale italiano, il Rina – spiegano dall'organizzazione – non
risponderebbe ai criteri di due circolari emanate dalle autorità nel
dicembre 2021 e febbraio 2022, che richiedono particolari
caratteristiche tecniche dello scafo corrispondenti al codice
internazionale SPS emanato nel maggio 2008. Pretesa in sé assurda, e
aggravata dal fatto che il governo italiano vorrebbe far diventare
questo lo standard per tutte le bandiere europee, in modo da
ostacolare l'intera flotta civile».
Rincara la dose don Mattia Ferrari, parroco impegnato sui migranti e
cappellano della Ong. «La risposta delle autorità di per sé non fa
una piega, loro stanno applicando delle circolari. Infatti noi non
ce la siamo presa con loro, ma con il governo che attraverso queste
circolari fa sì che la Mare Jonio non possa essere adatta per il
soccorso civile in mare. Solo che questa normativa esiste solo in
Italia. È fatta apposta per impedire che ci siano navi del soccorso
civile battenti bandiera italiana».
Adesso la battaglia sarà tutta legale: possibile applicare le
circolari retroattivamente? Possibile chiedere a un cargo
adeguamenti strutturali che non può tecnicamente fare? Possibile che
l'Italia ponga condizioni restrittive rispetto alla normativa
internazionale?
Il sottotesto è molto chiaro, per un governo che ha emanato decreti
sempre più restrittivi per le attività di ricerca e soccorso delle
navi Ong, dal divieto di effettuare più salvataggi nella stessa
missione (e pazienza se la nave è mezza vuota e sulla rotta trovi
altri disperati che stanno per annegare) all'assegnazione del porto
sicuro lontano centinaia di miglia dal Canale di Sicilia.
Una guerra a colpi di circolari, commi e cavilli, ben lontana dagli
scontri frontali, dichiaratamente ideologici, ai tempi di Salvini
ministro degli Interni.
Una guerra più sottile, ma non meno dura. —
L'ex operaio della Sigifer: "Un treno mi ha quasi travolto perché
nessuno mi aveva avvertito di eventuali passaggi"
"Io mandato a lavorare sui binari senza aver fatto la formazione"
Leonardo Agusta non lo scorderà mai il primo giorno di lavoro alla
Sigifer - l'azienda per cui lavoravano le cinque vittime della
strage di Brandizzo - dove aveva spedito il suo curriculum appena
finito la quinta superiore. «Mi chiamarono quasi subito, avevo 18
anni e non avevo seguito nessun tipo di corso per lavorare sui
binari – ricorda -. Mi mandarono subito al lavoro con la squadra dei
colleghi, così, senza alcuna istruzione». Il cantiere era alla
stazione di Orbassano, nell'hinterland di Torino: «Arrivammo alla
stazione e il mio capo squadra mi fece prendere una "pattina",
quella specie di tavola che va su e giù per la strada ferrata e
serve per depositare gli attrezzi utilizzati dagli operai. Io la
sistemai su uno dei binari, ma nessuno mi avvertì di eventuali
passaggi dei convogli, se c'era pericolo insomma, cioè nessuno mi
disse niente e io che ne sapevo….». Affila lo sguardo: «A un certo
punto sentii un rumore, mi girai e vidi il treno che passava e
distruggeva la pattina. Mi buttai a terra terrorizzato. Per fortuna
non ero proprio all'interno della sede dei binari, o adesso non
sarei qui a raccontarla».
E oggi quel ricordo a «Leo», 23 anni, di Vercelli, fa ancora più
male. Perché lui quei ragazzi e quei padri di famiglia che sono
stati straziati dal treno alla stazione di Brandizzo due settimane
fa li conosceva tutti e, con alcuni, ha anche lavorato gomito a
gomito, scherzato, condiviso ansie e progetti. «Con Kevin Laganà
sono cresciuto, per me era più di un amico – dice – invece Giuseppe
Lombardo è stato il mio vicino di casa per anni, anche lui una
persona eccezionale, come tutta la sua famiglia». È proprio per
questo Agusta è ancora più arrabbiato. «Io alla Sigifer ci sono
stato due anni e due mesi e poi me ne sono andato perché mi hanno
costretto a lasciare senza rinnovarmi il contratto – si sfoga -. Mi
hanno isolato perché io parlavo troppo, mi lamentavo, ai capi
squadra lo dicevo che, prima o poi, qualcuno finiva male con i loro
metodi dove tutto era lasciato al caso. Niente. L'importante era
guadagnare e fare in fretta, lavorare giorno e notte, sempre di
corsa, alla faccia delle precauzioni e dei treni che dovevano ancora
passare. Io, quando tornavo a casa, lo raccontavo anche ai miei come
andavano le cose, ero davvero perplesso».
Il primo stipendio di Agusta era di 800 euro al mese che, nel tempo,
sarebbero poi passati a 1.100 o 1.200 come i suoi colleghi con più
anzianità. «Si ma con turni massacranti e pure il sabato e la
domenica che spesso non ci venivano nemmeno pagati» - evidenzia il
ragazzo. Che alla Sigifer, però, ha conosciuto anche quello che
ricorda come un «capo squadra serio». «Antonio sì sì, quello ci
faceva sempre vedere il foglio di servizio dove c'era l'okay per
quando noi potevano entrare a lavorare sui binari senza rischiare
nulla – ricorda -. Se qualcuno voleva fare prima o accorciare i
tempi per finire prima volevano parole grosse, urla, e quello ci
pigliava pure a pietrate certe volte. Si metteva a urlare: "Se poi
uno di voi perde la gamba sotto un treno sono cavoli miei, la
responsabilità è mia"».
L'unico? «Si l'unico – risponde il 23enne – tutti gli altri capo
squadra che ho avuto io dicevano "Voi fate quello che vi dico io",
poi il foglio dell'autorizzazione arriva».
L'ex dipendente della Sigifer snocciola poi un altro episodio che
può far capire meglio l'ambiente di lavoro. «Una volta presi la
scossa ad un braccio e, ovviamente, restai a casa in infortunio
anche perché era stata una scarica di volt notevole – spiega -. Mi
chiamò il geometra della Sigifer e mi chiese se non potevo mettermi
in malattia, giusto per evitare dei possibili controlli
dell'ispettorato del lavoro. Io mi rifiutai e loro la presero
malissimo». Ma è quando il giovane operaio torna alle sue mansioni
che il rapporto con l'azienda di Vercelli, già deteriorato, si
interrompe. «Un giorno, prima di entrare sui binari chiesi al mio
capo squadra se aveva già il foglio MP40, quello che ci autorizzava
– rammenta -. Lui mi rispose che se non mi andava potevo anche
starmene a casa o andare a dormire sul furgone. Quindi io presi e me
ne andai. Qualche giorno più tardi mi arrivò la comunicazione che la
Sigifer non intendeva più rinnovarmi il contratto. Ma, in fondo, un
po' me l'aspettavo».
La dirigente Rfi: "Avevo detto che bisognava aspettare ancora"
Nel server di Rfi le telefonate in cui Vincenza Repaci, 25 anni,
dirigente movimento della stazione di Chivasso diceva per tre volte
al tecnico Rfi Antonio Massa di aspettare e non iniziare i cantieri
sul binario di Brandizzo, erano già registrate: "Aspetta, non c'è
interruzione, devono passare ancora due treni e uno è in ritardo".
Ieri sera, ai microfoni del Tg1, la giovane dipendente di rete
ferroviaria italiana ha spiegato di sentirsi a posto con la sua
coscienza. "Sono consapevole di aver fatto il mio lavoro nel
migliore dei modi rispettando il regolamento. Più di quello non
avrei potuto fare".
Era di turno lei alla sala controllo e non ha mai comunicato a
Massa, tecnico Rfi addetto alla scorta del cantiere, di avere
l'interruzione della circolazione sul binario pari. Tutt'altro. A
quell'ora però mentre i due parlavano al telefono i cinque operai
della Sigifer erano già sui binari: sbullonavano, liberavano la
massicciata dalle pietre. Li inquadra la telecamera dello scalo
ferroviario acquisita dai pm di Ivrea che indagano per omicidio
plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale. E lo conferma il
video testamento di Kevin Laganà, 22 anni, la più giovane delle
vittime che pochi minuti prima dello schianto, sul suo canale
Instagram trasmetteva immagini dal binario della morte. Si sente
Massa che dice: "Se vi dico treno, buttatevi di là". Una prassi?
Repaci spiega: "Ci sono dei regolamenti che vanno rispettati anche
perché si è ben consapevoli che ci sono di mezzo delle persone e le
loro vite".
La giovane dirigente è rientrata a lavoro pochi giorni dopo la
tragedia: "Sono comunque rientrata in servizio perché ritengo che,
avendo fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità, sia giusto
cosi". —
ieri notte una squadra di operai ha sostituto sette metri di rotaie
a brandizzo, dove sono stati travolti cinque colleghi
Si torna a lavorare sui binari della morte
Il ritorno sul binario della morte. Ieri notte operai specializzati
hanno sostituito i sette metri di rotaia a Brandizzo. La stessa
operazione che avrebbero dovuto compiere i cinque manutentori
travolti da un treno la notte tra il 30 e il 31 agosto. La
circolazione non era stata interrotta: la dirigente di movimento a
Chivasso, Vincenza Repaci, non aveva autorizzato Antonio Massa,
preposto Rfi alla sicurezza del cantiere indagato insieme all'altro
sopravvissuto, Andrea Gibin Girardin, a dare il via ai lavori.
La notte scorsa, a dodici giorni dalla tragedia, i lavori sono
iniziati a mezzanotte. Ad eseguirli sono stati operai specializzati
direttamente inviati da Rfi e non più della Si. Gi. Fer, l'azienda
di Borgo Vercelli dove lavoravano i manutentori travolti dal treno
che stava trasferendo undici vagoni dalla stazione di Alessandria a
Torino.
La notte tra il 30 e il 31 agosto Kevin Laganà, Michael Zanera,
Giuseppe Aversa, Giuseppe Sorvillo e Giuseppe Lombardo avrebbero
dovuto svolgere un lavoro da un paio d'ore al massimo. Per il tipo
di operazione prevista, la Si. Gi. Fer incassa 50 euro al metro. A
questa somma vanno aggiunte 200 euro a saldatura, che in questo caso
sarebbero state due. E viene facile fare il calcolo: 750 euro. Il
materiale lo mette a disposizione la committente, Rfi, mentre la
paga oraria agli operai di 25 euro lordi all'ora spetta a Si. Gi.
Fer.
Un incarico di basso costo, inserito invece nell'ambito di commesse
ben più importanti (circa 260 milioni) vinte da Clf (Costruzione
linee ferroviarie). Clf fa parte della multinazionale olandese
Strukton Rail (oltre 6 mila dipendenti ed un fatturato di circa 1,9
miliardi di euro) e ha subappaltato la commessa a Si. Gi. Fer,
azienda a cui Clf affidava spesso le manutenzioni di livello più
basso, quelle che avevano un margine di guadagno ridotto.
Ieri notte si è dunque ritornati sul binario pari. Il 30 agosto,
però, la sostituzione del binario non era un lavoro programmato.
Perché la squadra di operai, secondo quanto ricostruito dai
sindacati, quella stessa notte avrebbe dovuto effettuare una
manutenzione in un altro punto della rete ferroviaria torinese, a
Orbassano o nella zona del Lingotto. L'incarico però era saltato e
per non far perdere alla ditta la notte di lavoro, la squadra di
operai era stati dirottata a Brandizzo.
Avrebbe dovuto essere un'operazione rapida, necessario perché
sarebbe stata rilevata un'anomalia. Questo è quanto emerge dalle
ricostruzioni. E in questi casi Rfi ha venti giorni di tempo per
richiedere l'intervento. Come funziona lo spiegano i sindacati: si
parla di «interruzione tecnica della circolazione» e al capo scorta,
in questi casi, vengono fornite delle finestre temporali. —
Massa cambia legale: "È sconvolto" Via alla commissione di inchiesta
Il principale indagato nell'inchiesta per il disastro ferroviario di
Brandizzo, avvenuto la notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi poco
prima della mezzanotte costato la vita a cinque operai della Sigifer
di Borgo Vercelli (Giuseppe Aversa 49 anni, e Giuseppe Lombardo, 52
anni, Kevin Laganà 22 anni, Michael Zanera 34 anni, Giuseppe
Sorvillo 43 anni), ha cambiato legale. Antonio Massa, tecnico Rfi,
addetto alla scorta del cantiere della morte, non è più difeso
dall'avvocato Matteo Moscardini, cassazionista che nel corso della
sua attività è stato impegnato in diversi processi per disastro
colposo e violazioni delle normative antinfortunistiche, fra cui
quello per la strage di Viareggio. Il nuovo difensore è Maria Grazia
Cavallo, del foro di Torino, insieme al collega Antonio Maria
Borello. «Al momento la nostra priorità è l'aspetto umano» dicono
dopo aver incontrato Massa che nella tragedia ha visto morire
colleghi e amici. «Un dramma nel dramma. Il nostro assistito è
talmente sconvolto che dobbiamo procedere con molta cautela,
gradualmente, nel chiedergli di rievocare i fotogrammi di quella
notte».
Il ministro Matteo Salvini ha nominato la commissione ministeriale
sulla tragedia avvenuta sulla linea ferroviaria Torino-Milano,
all'altezza di Brandizzo. Nella commissione sono coinvolte alcune
delle migliori professionalità del ministero delle infrastrutture e
dei trasporti. A guidare l'organismo, il Presidente del Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici Massimo Sessa. Sarà affiancato, tra
gli altri, dalle direzioni generali competenti e l'Ansfisa.
La commissione voluta da Salvini sarà coadiuvata da un comitato
tecnico di alto livello, con professori universitari ed esperti di
infrastrutture. L'attività, che prevederà anche audizioni, finirà il
31 dicembre, perché il ministro è determinato ad avere uno strumento
efficace ma rapido.
Sul fronte dell'inchiesta, ieri, è stato il giorno del conferimento
di incarico a un maresciallo informatico della guardia di Finanza in
forza alla polizia giudiziaria del capoluogo. Un superconsulente
informatico la cui preparazione in materia di analisi di dati è nota
a tutti a palazzo di giustizia. Ed è questo il primo degli
accertamenti irripetibili che verranno svolti per dipanare la
matassa investigativa su quella drammatica notte. Il militare dovrà
analizzare le "scatole nere" del "treno anomalo" (trasportava 11
vagoni vuoti) che ha investito e ucciso gli operai. In gergo
tecnico-ferroviario sono noti come Dis (registratori di eventi di
marcia e di condotta). Dal loro studio si potranno ricavare le
tracce dell'intero viaggio del convoglio. Dalla stazione di partenza
fino al momento dell'impatto e alla successiva lunga frenata.
Ancora; due tablet aziendali marca Samsung in dotazione ai
macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e Domenico Gioffrè (non
indagati) che quella notte passarono sul binario pari di Brandizzo a
una velocità di 150 km/h con semaforo verde ignari della presenza
del manipolo di operai. Stesso dicasi per due smartphones, in
dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe Aversa e Giuseppe Saverio
Lombardo) che si sono salvati – pur se notevolmente danneggiati -
dall'impatto e sono stati recuperati dalla Polfer sul luogo della
tragedia. Le memorie andranno estratte, sarà effettuata una copia
forense dei contenuti.
UN ESEMPIO : La petizione di Mina Sharifi (iscritta a
Unito) per il diritto all'istruzione: "Scuole online per ragazze,
solo così possiamo sconfiggere i talebani"
"La mia lotta per le studentesse afghane"
Per 21 anni Mina ha scelto la lunghezza e il colore dei vestiti da
indossare e quale scuola frequentare. Libertà che per sua madre
erano impensabili. Poi, il 15 agosto 2021, è stata obbligata a
indossare l'hijab per la prima volta nella sua vita. All'improvviso
ha vissuto sulla sua pelle l'umiliazione che tante generazioni di
afghane conoscevano bene. «Il ritorno al potere dei talebani è stato
uno choc totale – ricorda –. Avevo tutto e l'ho perso nel giro di
poche settimane. L'incubo che avevo conosciuto attraverso i racconti
dei miei genitori tornava a essere la realtà di tutti i giorni».
Specie per chi, come lei e la famiglia, appartiene alla minoranza
Hazara, da sempre perseguitata dal regime oscurantista dei talebani.
Oggi Mina Sharifi ha 23 anni. Vive a Torino ed è iscritta
all'Università, secondo anno di Informatica, grazie a una borsa di
studio del progetto "Culture Builds the Future" coordinato da
Fondazione Emmanuel con Compagnia di San Paolo, Cassa di Risparmio
di Torino e Campus X. Di otto tra fratelli e sorelle, una di 16 anni
è rimasta con i genitori a Herat: le manca un anno al diploma e
trascorre tutti i giorni chiusa in casa perché alle ragazze è
vietato andare a scuola. Ogni volta che si sentono al telefono,
implora la sorella di portarla in Europa insieme al resto della
famiglia. È soprattutto pensando a lei che Mina ha elaborato,
insieme a un'altra sorella che vive in Indonesia, una petizione per
il diritto all'istruzione in Afghanistan. Un'idea tanto semplice
quanto rivoluzionaria: una scuola online, resa possibile da
connessioni satellitari che portino internet anche nei villaggi più
remoti. «Nel mio Paese milioni di ragazze e donne sono private dei
diritti umani fondamentali, a partire da quello di potersi sedere ai
banchi di una scuola o un'università», ha detto ieri al Centro studi
Sereno Regis, dove alla presenza della vice sindaca Michela Favaro,
dell'assessore Francesco Tresso e del segretario generale di
Fondazione Compagnia di San Paolo Alberto Anfossi ha esposto la sua
idea.
Sulla piattaforma Change.org la sua petizione per rendere
accessibile il diritto allo studio alle afghane ha già raccolto
1.800 firme. Lo scorso giugno Mina ne ha discusso al Consiglio
d'Europa di Strasburgo e tra pochi giorni lo farà nel Parlamento
islandese. «Purtroppo i riflettori dei media si sono spenti e
moltissime persone non sanno più nulla dell'Afghanistan – riflette
–. La situazione peggiora ogni giorno: è una prigione a cielo
aperto. Con i talebani al potere non c'è speranza per nessuno».
L'educazione, è convinta, sarebbe «un'arma potentissima per
sconfiggerli».
Mina ama i codici e la programmazione. Avere la possibilità di
studiare in Italia non la fa sentire in colpa, ma responsabile sì:
«Io ho l'opportunità di cambiare la mia vita e spero in questo modo
di poter cambiare quella di milioni di afghane. Sogno un giorno di
tornare ed essere protagonista in un nuovo Afghanistan».
La sua battaglia va avanti tra Torino, che ormai considera come una
seconda casa, e le città europee dove è invitata a parlare. «Noi
afghane siamo stanche di lottare per cose basilari come i diritti
umani. Ma lo facciamo affinché i nostri figli possano nascere e
crescere in democrazia e libertà».
La minoranza Hazara, di cui Mina fa parte, e il genocidio in atto in
Afghanistan sarà al centro di un incontro al Polo del ‘900 il 27
settembre.
11.09.23
UN PAESE INCIVILE : «Ci
sono villaggi in disagio totale, non hanno l'acqua corrente, non
hanno l'elettricità, prima non avevano le strade asfaltate. Quando
capitano queste catastrofi, come si fa ad aiutare le persone? Stiamo
cercando di fare i miracoli». Nora Fitzgerald, una delle
responsabili dell'associazione Amal Center di Marrakech, nella
cucina del ristorante che abitualmente aiuta donne sole con figli,
ripudiate dalla famiglia, stavolta sta coordinando la preparazione
di 2mila panini al tonno, patate, cipolla e olive, da portare nei
villaggi più remoti delle montagne dell'Atlante. «Ringrazio il World
Central Kitchen, l'organizzazione internazionale che interviene
nelle aree di crisi, perché ci mettono a disposizione un elicottero
per arrivare nelle aree tagliate fuori da tutto». Da Amizmiz ad
altri paesi ancora più piccoli e sperduti, centri poverissimi e
rurali dell'Atlas, dove le condizioni igieniche stanno peggiorando
di ora in ora.
«Non trovavamo il pane – continua Nora –. I panifici non hanno più
lavorato, dopo il terremoto. Chi era aperto vendeva col contagocce.
Poi, abbiamo trovato una pasticceria che ci ha donato centinaia di
pagnotte». Amal Center è una scuola di cucina che insegna un
mestiere alle tantissime ragazze rinnegate dalla società, perché
"colpevoli" di essere rimaste incinte fuori dal matrimonio. Ed è
anche un ristorante, che impiega queste professionalità. Una delle
loro allieve ha perso la casa nel terremoto di venerdì.
Ora, Nora si sta occupando anche di quello, di trovare una
sistemazione alla sua famiglia. Poco o nulla arriva dall'alto. Anche
se ieri, lo Stato ha dato il via libera agli aiuti internazionali.
«Aspettiamo i cani dalla Spagna, per cercare i dispersi. Speriamo di
trovare ancora persone vive», dice.
LULA IL DOPPIOGIOCHISTA OPPORTUNISTA CHE PRENDE IN GIRO IL MONDO:
D'accordo, arranchiamo in un tempo di disordine. Ma almeno le buone
maniere, il mirabile "savoir faire" dei diplomatici! Non si è ancora
asciugato l'inchiostro dei venti Grandi, Medi e Piccoli sul
sudatissimo documento finale, i leader hanno ancora al collo
appassite ghirlande di fiori, il piede sulla scaletta dell'aereo e
«i significativi passi avanti» del sommo aeropago indico diventano
un fragoroso, stonato passo indietro. Bisogna rincalzare il copione
lindo e pulito, la finta letizia del tutto benissimo. Già. Lo
sgarbato presidente brasiliano Lula annuncia che al prossimo
Supervertice planetario, che sarà a rotazione affar suo, Putin il
criminale, il reprobo, il nemico della pace ci sarà. Lo invita lui e
con un anno di anticipo. Per far capire che le dissolvenze e gli
equilibrismi lessicali il problema vero non l'anno risolto se non
coprendoli di gesuitici nulla. Gli astronomici accordi economici, le
vie, le autostrade delle palanche, le riverenze, gli inviti, i
summetti bilaterali sono teatro.
È attorno alla guerra in Ucraina, dove al contrario che in Siddharta
non si muore vicino a fiumi allegorici ma in concretissime stragi
taciturne, che si gioca il confronto tra i tre imperi, Stati Uniti
Russia e Cina. E per metter ordine al mondo e evitare ulteriori
macelli è un G Tre che ci vorrebbe e non questo teatrino di ombre
cinesi. Nella sua attuale impossibilità è alle medie potenze che
queste adunate offrono pianure fertili per far commercio con un
blocco e con l'altro, giocare a profittevole rimpiattino tra il
vecchio padrone e quelli che aspirano a diventarlo, a metterli gli
uni contro gli altri, a illuderli su fedeltà molto temporanee.
Questa dialettica dell'astuzia di India, Brasile, Sudafrica è il
vero risultato del G 20 indiano, è servita alla sua messa a punto,
come nella commedia goldoniana la locandiera strema tutti i
pretendenti facendo intravedere il sospirato sì e poi agisce -
finalmente! -, pensando solo al proprio interesse. Sono loro gli
unici vincitori a Delhi perché sono riusciti a far emergere l'epoca
dell'equilibrio dell'impotenza, dove possono essere liberi.
Diciamoci la verità. Il G20 di una volta, dei tempi d'oro del
monopolio americano, assomigliava a quei vertici che l'impero
britannico, la globalizzazione di fine Ottocento, organizzava per il
genetliaco della regina Vittoria. Venivano gentilmente invitati dai
quattro angoli del mondo i buoni sudditi: il sontuoso maraja
indiano, il misterioso emiro arabico, il robusto pecoraio
australiano, il re del Buganda, il pellerossa canadese. Tutti
sfilavano nei loro pittoreschi costumi davanti alla sovrana paziente
e benevola come una nonna, le porgevano i doni e poi tornavano a
casa soddisfatti, riconoscenti. E con gli ordini imperiali in tasca.
Alla stessa maniera il foglio d'ordine economico e non solo era
fissato giudiziosamente prima, al G sette, o G otto quando Putin era
ancora un riverito Grande. L'allargamento fu un concessione dovuta
anche al susseguirsi delle crisi economiche dalle nostre parti.
Opportuno dunque concedere agli Stati proletari del Terzo Mondo o
almeno ai più presentabili, meno stracciati e più utili, una
festicciola periodica che ne placasse le orgogliose insofferenze e
soprattutto desse loro lena a cooperare ancor di più, sgobbando per
il nostro riverito benessere. Sono popoli che hanno la propria
identità e propri traumi, anzi i traumi sono i caratteri della
identità. Chi ha mai pensato di invitare il Bangladesh o la Bolivia
al G20? Eppure avrebbero molto da dire sulla cooperazione economica
internazionale più di una petromonarchia fanatica o dei
bancarottieri populisti argentini. L'importante è che continuino a
svolgere il compito che è loro assegnato nell'ordine mondiale post
1989, quello di fornitori, produttori a basso costo e clienti,
trasmettendo le direttive anche agli altri, ai più derelitti.
Da un paio di edizioni questo G Venti, più o meno fossilizzato nella
presunta perfezione dell'economia di mercato globale, annaspa. La
guerra come sempre semplifica e chiarisce: il confortante
grandangolo finale dei protagonisti schierati su due file che
siglava l'happy end, di fronte a tutti questi sottintesi, livori,
trabocchetti, adesso fa sgomento. Ora bisogna schierarsi: con chi
fate gruppo, con l'America o con i due aspiranti regicidi
dell'Occidente, Russia e Cina?
Ritirandosi sveltamente dalle terre sommerse della retorica della
cooperazione il disordine lascia un sale sterilizzante che
ostacolerà ancora per molto tempo ogni raccolto di equilibrio. Noi
facciamo come al solito, sostituiamo freneticamente una pedina
all'altra nei nostri entusiasmi: liquidati i russi, diventati i fino
a ieri simpatici comu-capitalisti cinesi il pericolo pubblico numero
uno, è il momento degli indiani con cui firmiamo qualsiasi cosa. Noi
viviamo in una specie di tradimento cronico.
Per sintetizzare: se c'è qualcosa che il G venti di Delhi ha
dimostrato è la sua assoluta inutilità perfino nel contarsi.
Sopravvivenza sgangherata di una epoca che la guerra in Europa ha
sepolto e che serve solo ma con bugie e accomodamenti acrobatici
alle necessità interne dei partecipanti. Da Biden a Meloni a Lavrov
tutti tornano a casa sventolando di aver strappato "il massimo
possibile", dalla lotta al riscaldamento climatico al silenzio sulla
guerra, perfino un selfie per un bilaterale è già un trionfo.
A Zelensky viene qualche opportuno sospetto: la proclamazione
universale della obbligatorietà della vittoria totale contro i russi
fino all'ultimo centimetro a Delhi è stata barattata disinvoltamente
per un pezzo di carta finale con tutte le firme.
L'unico che non mente è Narendra Modi che ha accumulato munizioni
per vincere le elezioni del prossimo anno. In cui potrà gettare
dentro tutto, lo sbarco sulla luna, il trionfo al G Venti e al suo
contrario i Brics, non aver stretto la mano al detestato cinese
complice nel mettere in disordine il mondo ma fino a un certo punto,
di aver fatto da padrone di casa al mondo. Lui continuerà a fare
affari con tutti, Cina Usa Russia Europa, il balletto disinvolto e
permanente di una specie di Erdogan indù ma con ambizioni ancor più
esagerate, forse fondate.
Una immagine simbolo di questo teatro degli inganni? Il premier
indiano in elegantissimo dhoti che guida gli ospiti nel
pellegrinaggio al santo Gandhi: l'erede politico dell'estremismo
nazionalista indù che sfrutta come simbolo il Mahatma che fu
assassinato proprio dal fanatismo indù e fu un nemico tenace e
vittorioso dell'imperialismo anglosassone. —
QUELLO CHE ALLA POLITICA NON INTERESSA : È una mamma
che non ha ancora smesso di piangere. Si chiama Barbara Vedelago. Ha
perso il suo figlio di 17 anni, Davide Pavan, in un incidente, una
macchina che sbanda e lui travolto sul suo scooter, una sera come
un'altra. L'autista è un poliziotto che non ha mai sgarrato una
volta, torna da una partita di rugby e ha bevuto una birra di troppo
nel terzo tempo, ma non è più una sera come un'altra. È una morte
assurda.
Solo la vita può esserlo ancora di più. Un giorno consegnano la
posta a casa dei genitori di Davide, e dentro la busta c'è un
foglio, una fattura. Lei lo posa sul tavolo, guarda, lo legge:
«Bonifica dell'area con smaltimento dei rifiuti e assorbente per
sversamento liquidi». La burocrazia fa sempre così: si nasconde
dietro le parole. Però alla fine, il conto è chiaro. Costo: 183
euro. E tocca a lei pagarlo. Semplicemente, ha spiegato Barbara
Vedelago, «la cifra ci è stata chiesta per la pulizia del luogo
dell'incidente, per togliere i rottami e spargere della segatura sul
sangue di Davide e sui liquidi del motore rimasti sull'asfalto».
Lei e suo marito hanno dovuto pagare di tasca propria per ripulire
la strada in cui era avvenuta la morte del figlio a opera di terzi,
e non si capisce bene perché sia toccato a loro e non al
responsabile di quella tragedia, già condannato dal tribunale a tre
anni e sei mesi dopo avergli riconosciuto le attenuanti generiche.
Ma quando si tratta di burocrazia, cercare di capire è la cosa più
pericolosa che si possa fare.
La burocrazia è un mostro di mille teste che parla una lingua
astrusa e non ha pietà di nessuno. Racconta Barbara, la mamma che
non smette più di piangere, che sono successe un mucchio di altre
cose, «ci siamo sentiti abbandonati come se il nostro dolore non
contasse. Ci è arrivata pure una raccomandata per avvisarci che il
rottame dello scooter era stato dissequestrato e che dovevamo andare
subito a ritirarlo se non volevamo pagare una penale per ogni giorno
di ritardo». Ovviamente che a loro costasse molto anche solo
rivedere oltre che riprendersi ciò che era rimasto di quel motorino
distrutto non contava niente.
A una ex insegnante di Balangero, Torino, non veniva versata la
pensione perché secondo l'Inps era morta il 15 luglio del 2022. Lei
si è presentata in carne e ossa con tutti i documenti per dimostrare
che era viva. Ma non funziona così. La burocrazia la combatti solo
con altra burocrazia, sfoggiando la loro lingua incomprensibile, e
adottando i loro codici, tutto quello che serve per trasformare il
mondo a loro immagine, una prigione pulita e sicura che insegna ai
nostri figli l'impotenza. Vivere forse non è ancora del tutto
diventato un esercizio burocratico, come temeva il sommo Ennio
Flaiano, e in effetti non abbiamo ancora bisogno di un visto per
passare dal 31 dicembre al primo gennaio, non siamo arrivati a
questo punto, ma ci arriveremo, perché questa cappa assurda che
incombe inflessibile sulle nostre esistenze è capace di far di
peggio, come insegnano le mille e mille storie raccontate da Barbara
Vedelago e da tutte le vittime senza senso della mala burocrazia.
D'altro canto siamo un paese sfortunato.
Alla fine per assurdo è stato persino più sensibile il poliziotto
che ha investito Davide, e poi ha cercato disperatamente di farlo
rinascere, con la respirazione bocca a bocca e le sue inutili
preghiere bagnate di lacrime. Barbara dice che lo perdonerà «solo il
giorno che diventerà papà e guardando suo figlio sono sicura che
finalmente capirà cosa mi ha tolto. Allora troverò la forza di
perdonarlo». Con lui almeno ci puoi parlare, guardarlo in faccia e
cercare nei suoi occhi il senso del tuo dolore. Se non lo trovi è
perché c'è il nulla dall'altra parte, e il nulla è come quella
fattura di 183 euro, è la burocrazia che non ti capisce. La morte è
il nulla. —
PERCHE' AVETE VOTATO TOTI ?«Massimo rispetto per i cittadini
spaventati, molto meno per chi li spaventa. Tutti quelli che erano
alla catena umana poi vorranno farsi una doccia calda, cucinare un
piatto caldo ai figli, avere il condizionatore a lavoro. Non hanno
pensato a questo? È piena sindrome Nimby». Dinanzi alla marea umana
che ieri ha manifestato in spiaggia, a Savona, contro l'impianto di
Snam, il governatore della Regione e commissario all'opera Giovanni
Toti non arretra di un millimetro.
Presidente, cosa risponde ai cittadini preoccupati?
«È una sfilata suggestiva ma semplicistica. Non ho sentito dire una
singola parola su dove vorrebbero mettere il rigassificatore:
vogliono tutti i vantaggi dell'energia ma non il gas a casa loro».
I cittadini temono i rischi per la sicurezza.
«Rischi che non ci sono. Non è mai successo che un impianto del
genere esploda, e il gas non inquina il mare, a differenza del
petrolio. Ma non ho sentito nessuno protestare contro le centinaia
di petroliere che viaggiano nei nostri porti».
Non c'è il rischio di ricadute anche sul fronte turistico?
«Vado ospita una piattaforma container e un terminale petrolifero e
non mi pare che ciò abbia avuto ricadute sul turismo. Anzi, a
differenza di quasi tutto il Mediterraneo, in Liguria cresciamo
ancora».
Secondo lei si tratta di un tema strumentalizzato?
«Totalmente strumentalizzato. È facile convincere qualcuno ad andare
in spiaggia a protestare parlando di un mostro che distruggerà
l'ecosistema. Ma il presupposto è falso. C'è un pezzo di pura
ideologia di parte della sinistra e un pezzo di persone in buona
fede che si fanno convincere dalle calunnie».
Ma non teme di perdere consensi?
«Non mi interessa, temo invece un Paese incapace di dare risposte
all'aumento delle bollette o alle aziende che rischiano di chiudere
per i costi dell'energia. Dieci mesi fa abbiamo vissuto una crisi
che ora si è un po' alleggerita. Oggi ce ne siamo dimenticati. Ma se
a novembre dovessero salire alle stelle le bollette, la catena umana
sarà in cappotto. Anche a casa, non solo in spiaggia».
Anche parte dei suoi alleati non sembra convinta: pare che la Lega
non voglia firmare un ordine del giorno in Regione sul
rigassificatore.
«Sul punto il mio interesse è zero. Sono commissario di governo e il
Ministero dell'Ambiente ha deciso dove collocare l'impianto. È una
questione che dovrebbe essere responsabilità di tutti, ma ognuno
risponde alla propria coscienza. Se qualche alleato non è d'accordo
lo vada a dire al governo e al Parlamento». —
LA SOLITA IGNORANZA DEI PRESIDI CHE SVUOTA LA FUNZIONE EDUCATIVA : Per
chi suona la campanella? Per il virus o per gli studenti? E chi
mette la mascherina? Basterà il gel sistemato sulla soglia della
scuola? Le risposte a queste domande tracciano la trama di una
storia che oggi coinvolge sette milioni di studenti.
Inizia il primo anno scolastico dalla fine dell'emergenza sanitaria
legata alla diffusione del Covid-19, dichiarata il 5 maggio scorso
dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Certo, la situazione
adesso è molto diversa rispetto a quella degli anni passati. Dopo il
rientro a scuola il 5 settembre nella Provincia autonoma di Bolzano,
oggi si apre una settimana in cui la prima campanella suonerà per
altri 7 milioni di studenti italiani. Rimetteranno piede in classe
con una preoccupazione in più: l'impennata di nuovi casi di Covid
della variante Eg.5 (Eris), che ormai si sta diffondendo in tutto il
mondo. Risalgono i contagi, monta la polemica. Stefania Sambataro,
manager, mamma di due figli e vicepresidente del Comitato nazionale
Idea Scuola è la portavoce di 800 famiglie con figli o familiari
malati e a rischio, i cosiddetti "fragili". Hanno deciso di scrivere
una lettera aperta al ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe
Valditara perché «si sentono dimenticati». «Vogliamo mandare i
nostri figli a scuola ma non a costo della loro e nostra salute -
scrivono - perché nulla è stato fatto per prevenire il contagio. Un
tema così delicato non si può lasciare al buon cuore dei dirigenti,
va normato».
Le istituzioni della scuola stanno cercando di scrivere una sorta di
nuova grammatica che si adatti alla situazione attuale. E così, se
dal ministero della Salute si invita alla calma, i presidi si dicono
pronti a correre ai ripari e annunciano la distribuzione di
mascherine e di gel disinfettante. Ma basterà? Al momento non
esistono misure restrittive anti-Covid specifiche per gli istituti
scolastici, anche se in una circolare il ministero della Salute
raccomanda, comunque, di osservare le stesse precauzioni valide per
prevenire la trasmissione della gran parte delle infezioni
respiratorie: indossare la mascherina, se si è sintomatici, rimanere
a casa fino al termine dei sintomi, lavare spesso le mani, evitare
il contatto con persone fragili. Insomma, anche per quest'anno non
si possono abbandonare le buone pratiche di prevenzione del Covid.
Studenti, docenti e famiglie iniziano quindi questa nuova stagione
scolastica in una sorta di soggiorno obbligato delimitato da
prudenza, speranza e timori. Timori che non si sia fatto abbastanza.
«Ci risiamo. Si continua a fare riferimento solo a medici come
virologi, infettivologi, trascurando aree dell'ingegneria, della
fisica e della scienza dell'aerosol come se la pandemia non ci
avesse almeno insegnato qualcosa». Giorgio Buonanno, ingegnere e
professore di Fisica Tecnica all'Università degli studi di Cassino e
del Lazio Meridionale, è tra i pionieri della ricerca sulla
trasmissione aerea del Covid. Fa parte di un gruppo di 40 scienzati
internazionali guidati da Lidia Morawska docente della Queensland
University of Tecnology. «Il grande errore commesso da parte delle
autorità sanitarie è stato quello di negare e accettare solo dopo
due anni (ma con misure protettive non adeguate) che il virus
potesse trasmettersi per via aerea, con un aumento colpevolmente
considerevole di casi e decessi» spiega Buonanno. «La non
applicazione del principio di precauzione è stata oggetto di una mia
denuncia del Comitato Tecnico Scientifico alla Procura di Roma». «Le
particelle respiratorie più piccole emesse (aerosol) - aggiunge –
sono assimilabili come comportamento al fumo di sigaretta da cui non
ci si difende con il plexiglas, né con le mascherine chirurgiche ma
occorre ricambiare l'aria con adeguati sistemi di ventilazione. Non
ci sono scelte diverse, volenti o nolenti la scienza ci dice
questo». Ma quanto costano? «In media 4 mila euro per classe, ma il
prezzo scende al di sotto di mille euro se si utilizza un
purificatore adeguato. Molti Paesi (tra cui gli Stati Uniti) hanno
cominciato ad investire nella qualità dell'aria negli ambienti
chiusi perché ormai è evidente, a differenza di quanto ci avevano
detto, che la modalità dominante della trasmissione è aerea.
Ascoltare oggi dichiarazioni sull'uso del gel (per un virus
respiratorio) o sull'inutilità della ventilazione è follia figlia
dell'ignoranza: purtroppo questa viene dai massimi rappresentanti
della scuola», conclude il professor Buonanno. In Italia ci sono 40
mila punti di erogazione del servizio scolastico.
Antonello Giannelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi,
ragiona così: «Se ci fossero finanziamenti adeguati si potrebbe
pensare di andare in questa direzione ma il vero problema è capire
il rapporto costo benefici. I sistemi di aerazione, a esempio,
richiedono sia costi iniziali che di manutenzione molto impegnativi.
Tutto questo avrebbe senso se ci fossero vantaggi immediati da
consentire. È logico che un'aria aria più pulita farebbe comodo a
tutti ma non vi sono evidenze specifiche scientifiche chiare ed
evidenti».
Da oggi le aule tornano ad affollarsi in Piemonte, Trentino e Valle
d'Aosta. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella stamattina
inaugura l'anno scolastico a Forlì, nella Romagna colpita duramente
dall'alluvione a maggio. Con lui ci sarà anche il ministro
dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. —
INOPPORTUNA COME SEMPRE: «Quelle italiane restano le mete più
ambite. Gli effetti positivi del turismo si traducono anche nel
mercato dell'occupazione che, nell'ultimo anno, ha visto il comparto
dei servizi di alloggio e ristorazione crescere del 10,3%» ribatte
il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, appena sente parlare di
estate flop. E dell'inchiesta che la vede indagata per i bilanci
della sua ex azienda Visibilia dice: «Le cose si stanno chiarendo e
sono fiduciosa che in tempo brevi si risolverà tutto per il meglio».
I pernottamenti degli italiani in vacanza sono diminuiti in un anno
del 5,7%. L'auspicato rilancio del Pil è stato "tradito" dal
turismo?
«Pil tradito dal turismo? No, direi proprio di no. Anzi, come
certificato dal Fondo monetario internazionale, il comparto
turistico e dei servizi ha premiato l'Italia rivitalizzandone
l'intero sistema economico, che cresce dell'1,1% facendo meglio
della media dell'area euro. Oltre a ciò, uno dei parametri economici
più importanti per misurare la solidità e la salute dell'economia
italiana è rappresentato dalla spesa turistica, che a maggio è
risultata in surplus di 2,3 miliardi di euro, in aumento sia sul
2022 sia sul 2019, con un incremento tanto della spesa degli
stranieri che vengono in Italia sia dei turisti italiani che vanno
all'estero».
Milioni di italiani hanno dovuto rinunciare del tutto a muoversi,
costretti da redditi familiari stagnanti e prezzi in aumento. Perché
il turismo straniero non è riuscito a compensare quello italiano in
calo?
«Una premessa generale: sul turismo circolano troppi dati
provenienti da rilevazioni statistiche differenti perché i panieri
di riferimento sono diversi a seconda della fonte; pertanto, non
esistono dati univoci e questo molto, forse anche troppo spesso,
genera confusione, soprattutto sui mezzi di comunicazione. Senza
dubbio ci sono elementi, a partire dall'inflazione, che ovviamente
incidono anche sul turismo. Bisogna tuttavia ricordare che nel primo
semestre dell'anno abbiamo avuto numeri davvero importanti sui
flussi interni, segnando un andamento superiore al periodo
pre-pandemia, mentre il ritorno in massa del turismo straniero nel
periodo estivo ha fatto registrare un +3,6%. Aspetterei dunque la
fine dell'anno per un bilancio definitivo, anche in virtù del fatto
che le presenze turistiche non si concentrano più nei canonici mesi
estivi, ma si allungano nell'intero arco dell'anno. È proprio per
questo che il governo Meloni, da mesi, ha iniziato a operare nei
termini di una destagionalizzazione e di una diversificazione
dell'offerta turistica italiana».
Lei è in partenza per la Cina e la Corea del Sud, i nuovi mercati
asiatici possono contribuire a bilanciare la diminuzione del turismo
interno?
«I risultati dell'industria turistica vanno misurati non solo in
termini di arrivi e presenze ma di volumi di spesa generati. In
questo, il mercato asiatico è altamente strategico per la nostra
economia, perché spesso costituito da turisti che hanno una forte
capacità di spesa e questo è favorevole per l'Italia per la sua
offerta di qualità. Non solo, penso all'eccellenza del nostro made
in Italy: nelle città italiana della moda si è registrato, nel 2023,
uno scontrino medio più alto del 2019 da parte dei visitatori
cinesi, che già nel 2022 sono tornati massicciamente a visitare i
nostri territori, facendo segnare una significativa crescita del 58%
rispetto al precedente anno, con oltre 320 mila arrivi nelle
strutture ricettive italiane. Lo stesso discorso vale per i
sudcoreani, che hanno persino superato i livelli pre-pandemici del
2019, con un incremento del 22%. In ogni caso, non credo sia
corretto parlare di bilanciamento».
Perché?
«Noi lavoriamo per promuovere offerte turistiche per tutte le tasche
e, al tempo stesso, per essere sempre più attrattivi per gli
stranieri di tutto il mondo. Poi il turismo, per come lo intendo,
non è solo un motore economico, ma anche sociale e culturale che
passa per esempio dallo sviluppo dei piccoli borghi consentendo il
recupero della ruralità e dello spopolamento di parte dell'Italia».
Secondo i dati di Assoturismo, chi questa estate è andato in vacanza
ha dovuto pagare molto di più dell'anno scorso. L'Italia è diventata
meno conveniente e attrattiva di altre destinazioni del
Mediterraneo?
«Direi di no: i dati dimostrano che l'Italia si sta confermando la
meta mediterranea più attrattiva, dietro alla sola Grecia. Il
caro-prezzi è una conseguenza di più fattori ma non riguarda solo
l'Italia bensì sta interessando l'Europa intera. È una questione che
il governo sta affrontando con decisione, ottenendo anche buoni
risultati».
La campagna social "Open to Meraviglia" ha suscitato polemiche sui
contenuti e un'indagine della Corte dei Conti del Lazio per danno
erariale. La ripeterebbe?
«Sì, senza dubbio. È una campagna che funziona: tutti ne parlano
sempre e il riscontro avuto è stato notevole. Mi piace pensare che
tra i fattori del grande ritorno dei flussi turistici stranieri ci
sia anche la campagna della Venere, che punta a rafforzare l'attrattività
del "marchio Italia" all'estero e a coinvolgere di più le giovani
generazioni».
Il ministero del Turismo è stato criticato per avere aumentato il
numero di dipendenti. Era necessario?
«Noi abbiamo il dovere di dare risposte a un settore altamente
strategico per l'economia nazionale, dato che rappresenta, tra
diretto e indiretto, il 13% del Pil italiano. Per farlo è necessario
rafforzare in maniera sostanziale l'organico di un ministero, come
quello del Turismo, che è di recente istituzione, e di dotarlo delle
risorse adeguate al fine di allineare sempre di più le politiche e
le strategie ai reali bisogni della filiera del settore».
In merito agli affitti brevi, lei aveva annunciato una
regolamentazione sul tema. Anche sulla scia della legge entrata in
vigore a New York, in molti lamentano che la riforma sia finita in
un cassetto. Cosa replica?
«Facciamo chiarezza. Sono molti anni che si aspettava un intervento
specifico e non mi sembra che nessuno, prima di noi, né la sinistra
che è stata per 10 anni al governo, né quei sindaci che oggi
chiedono interventi urgenti, abbia mai voluto affrontare una
questione riguardante un tema così complesso e spinoso. Abbiamo
invece affrontato la situazione degli affitti brevi in tempi non
sospetti avviando, già mesi fa, tavoli di confronto con associazioni
di categoria e degli inquilini, le Regioni e i Sindaci delle città
metropolitane, per di arrivare a una proposta il più possibile
condivisa. Senza dubbio quindi, in tempi rapidi abbiamo messo la
questione tra le priorità da affrontare nel settore del turismo.
Abbiamo appena dato ai soggetti interessati il testo della nostra
proposta normativa al fine di formulare soluzioni efficaci ed
efficienti che possano essere altamente condivise».
La tassa sugli extraprofitti delle banche può essere modificata?
«È una norma di buonsenso che il governo rivendica perché difendiamo
il legittimo profitto imprenditoriale ma non le rendite di
posizione. Se ci saranno modifiche lo vedremo nel corso dell'iter
parlamentare».
BUTTARE SOLDI : si lavora ad un accordo
con i colossi della space economy
Lancio di satelliti e turismo spaziale il governo chiama SpaceX e
Virgin
Leonardo Di Paco
Un accordo di collaborazione, atteso nel 2024, con i due colossi
della space economy made in Usa, Virgin Galactic di Richard Branson
e SpaceX di Elon Musk, e un intervento legislativo per regolamentare
la presenza dei privati all'interno del comparto italiano
ispirandosi al modello in vigore in Francia: che prevede massicci
sostegni ad aziende e start up, che intendono investire e
attribuisce un ruolo di primo piano dei fondi di venture capital
(dopo l'operazione di Primo Space in Italia che ha agito da
apripista) come attrattori di nuove figure industriali.
È questo il piano del governo che si cela dietro alle affermazioni
pronunciata dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, durante
l'ultimo meeting di Rimii. «È mia intenzione presentare nella
manovra d'intesa con altri ministri sulla space economy. Una legge
sullo spazio è sempre più necessaria perché ci vanno anche i privati
e rappresenta l'economia del futuro».
L'obiettivo del governo, coinvolgendo le due società americane più
quotate in questo campo, è instaurare una collaborazione
italo-atlantica, dal lancio di satelliti fino al più ambizioso goal
del turismo spaziale sfruttando lo spazioporto di Grottaglie, in
Puglia vicino a Taranto, in fase di avvio dei cantieri.
Già alla fine giugno, spiegano fonti del ministero, Urso era volato
negli Usa, a Washington, per incontrare SpaceX e Virgin per
coinvolgerli nel piano di potenziamento dello spazioporto europeo di
Grottaglie. L'asse con gli Stati Uniti viene considerato cruciale
dal governo. L'Italia, in questo senso, sta negoziando con gli Usa
anche il trattato Tsa - Technical and security agreement – un
accordo giuridicamente vincolante fra i due governi che consentirà
alle aziende statunitensi di operare dai porti spaziali italiani e
di esportare la tecnologia: un passaggio propedeutico fondamentale
per avviare la collaborazione con Virgin e SpaceX.
Il coinvolgimento di questi due colossi sarà la punta dell'iceberg
del piano dell'esecutivo per potenziare la space economy, un settore
in cui l'Italia dice la sua parte: è la terza nazione ad avere
mandato in orbita un satellite (dopo Unione Sovietica e Stati Uniti)
è tra i membri fondatori dell'Agenzia Spaziale Europea e si colloca
al sesto posto nella classifica globale delle spese spaziali in
relazione al Pil. Inoltre, con 680,2 milioni di euro, è il terzo
contribuente della European Space Agency (l'Esa) dopo la Francia
(1.178 milioni di euro), che da sola copre il 25% del budget totale,
e la Germania.
PARLARE POCO E CHIUDERE GLI OCCHI : CHI
SE LA E' CAVATA Brandizzo, via allo studio della scatola nera
perizia anche sui tablet dei macchinisti
Inizia oggi la terza settimana di indagini che la procura di Ivrea
sta portando avanti per far luce sulla tragedia ferroviaria avvenuta
a Brandizzo nella notte tra il 30 e il 31 agosto scorsi. E la prima
incombenza verrà formalizzata stamattina con l'affidamento
dell'incarico a un maresciallo della guardia di Finanza in forza
alla procura di Torino. E' un esperto di informatica di alto
livello. Ed è questo il primo degli accertamenti irripetibili che
verranno svolti per dipanare la matassa investigativa su quella
drammatica notte. Il militare dovrà analizzare le "scatole nere" del
"treno anomalo" (trasportava 11 vagoni vuoti) che ha investito e
ucciso gli operai. In gergo tecnico-ferroviario sono noti come si
chiamano Dis (registratori di eventi di marcia e di condotta). Dal
loro studio si potranno ricavare le tracce dell'intero viaggio del
convoglio. Dalla stazione di partenza fino al momento dell'impatto e
alla successiva lunga frenata. Ancora; due tablet aziendali marca
Samsung in dotazione ai macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e
Domenico Gioffrè (non indagati) che quella notte passarono sul
binario pari di Brandizzo a una velocità di 150 km/h con semaforo
verde ignari della presenza del manipolo di operai. Stesso dicasi
per due smartphones, in dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe
Aversa e Giuseppe Saverio Lombardo) che si sono salvati – pur se
notevolmente danneggiati - dall'impatto e sono stati recuperati
dalla Polfer sul luogo della tragedia. Le memorie andranno estratte,
sarà effettuata una copia forense dei contenuti.
Riprenderanno anche gli interrogatori di altri testimoni e gli
inquirenti vaglieranno le segnalazioni mandate da operai impegnati
in precedenza nei cantieri ferroviari sulla ferrovia Torino-Milano e
su altre linee. Alcune sono arrivate via email ai magistrati
titolari dell'inchiesta (Giulia Nicodemo e Valentina Bossi
coordinate dal procuratore capo Gabriella Viglione).
I primi 10 giorni di indagine sull'incidente costato la vita a Kevin
Laganà, Giuseppe Aversa, Christian Zanera, Giuseppe Sorvillo e
Saverio Giuseppe Lombardo, sono serviti soprattutto a ricostruire la
dinamica. Ed il quadro cristallizzato dalla procura di Ivrea è
piuttosto chiaro. Due, per ora, gli indagati. Antonio Massa, tecnico
di Rfi, e Andrea Girardin Gibin, capo cantiere della Sigifer, la
ditta che stava lavorando sui binari della stazione di Brandizzo. Il
lavoro nel cantiere sarebbe iniziato senza autorizzazione: da quanto
è emerso finora nessuno aveva concesso il nullaosta per l'avvio dei
lavori visto che sul binario 1 della stazione doveva ancora passare
un treno fuori servizio diretto a Torino. Nel video girato da una
delle vittime pochi minuti prima dell'incidente si sente Massa,
tecnico Rfi addetto alla scorta del cantiere per conto del
committente (Rete ferroviaria italiana) che dice agli operai: «Se
dico treno voi vi lanciate dall'altra parte». Cosi i lavori di
quella notte sarebbero iniziati prima del dovuto e senza
interruzione di linea. Una prassi, a sentire diversi operai della
Si.gi.fer, auditi in procura. Appena il quadro dell'indagine sarà
cristallizzato saranno sentiti anche gli indagati. —
Alberi mangia smog
I venti milioni per la forestazione urbana e le infrastrutture verdi
e blu che la regione Piemonte metterà a disposizione dei comuni
sopra i 10 mila abitanti serviranno «non solo al miglioramento della
qualità dell'aria ma anche al sequestro di anidride carbonica, alla
mitigazione degli effetti dell'isola di calore urbana e a migliorare
il microclima», spiegano il vicepresidente Fabio Carosso e
l'assessore all'Ambiente, Matteo Marnati. Nel medio e lungo periodo
le ricadute di queste azioni potrebbero entrare a far parte del
pacchetto di interventi che il Piemonte deve attuare per evitare la
procedura d'infrazione da parte dell'Ue. Ma permetteranno anche di
dar vita ad una filiera vivaistica forestale autoctona che dovrebbe
permettere di preservare la biodiversità dall'assalto delle piante
aliene che secondo l'Ipla ricoprono almeno 120 mila ettari, il 15%
del patrimonio boschivo regionale.
I fondi della Regione sono riservati agli enti locali e saranno
assegnati attraverso due bandi. Il primo da 8 milioni e mezzo
prevede una varietà di azioni: creazioni di nuovi spazi verdi,
miglioramento di quelli esistenti, incremento della dotazione verde
urbana (parchi urbani o aree verdi di quartiere ma anche alberate
stradali, filari di piante, tetti verdi, verde verticale ma anche
interventi di trasformazione e recupero urbano. I vincoli? «Non
dovrà essere consumato nuovo suolo e dovrà essere garantita la
tutela della qualità delle acque delle falde sotterranee».
Quasi 12 milioni serviranno invece per le «infrastrutture verdi e
blu» che insisteranno soprattutto sulle aree protette e che
prevedono anche azioni per la valorizzazione delle sponde e al
recupero e riqualificazione di fiumi e laghi naturali e artificiali.
Secondo Carosso «la messa a terra dei due bandi rappresenterà azioni
di valore per la pianificazione sostenibile del territorio».
La Regione, poi, ha messo a punto il portale dei materiali forestali
di moltiplicazione, che offrirà servizi di gestione e pubblicazione
per favorire l'incontro tra la domanda di alberi degli enti locali e
l'offerta vivaistica. Il portale dovrebbe aiutare ad individuare le
specie più adatte e poi di avere a disposizione piantine che ne
certifichi la provenienza attraverso una selezione di semi di cui è
nota l'origine, possibilmente locale, e raccolti da esemplari
differenti. In questo modo, secondo i tecnici della Regione, si
favorisce «l'adattamento alle condizioni dei luoghi di impianto,
soprattutto al clima e al suolo evitando che i boschi di nuova
realizzazione si dimostrino più fragili e geneticamente impoveriti e
che questa ridotta variabilità genetica possa indebolire anche i
rari boschi naturali delle aree di pianura, ancora oggi in riduzione
per le pressioni di urbanizzazione e agricoltura».
In questi mesi i tecnici hanno lavorato alla costruzione di una rete
e regionale dei boschi più adatti a raccogliere frutti e semi di
tutte le specie arboree ed arbustive autoctone. Il Registro
regionale, comprende 133 popolamenti (la maggior parte classificati
per la raccolta di più specie) e 272 fonti di seme relative alle
singole specie arboree soggette all'obbligo di certificazione di
provenienza. E poi c'è la certificazione: su più di 15 specie
arboree sono state svolte specifiche indagini sul patrimonio
genetico. Per il vicepresidente Carosso «l'incrocio tra domanda e
offerta dovrebbe permettere la programmazione degli interventi da
parte dei vivai e lo sviluppo di una filiera made in Piemonte».
10.09.23
Il Dr. Rand Paul presenta la legge sulla non discriminazione sulla
vaccinazione contro il COVID-19
Non c’è motivo per cui le strutture mediche debbano negare le cure
alle persone in base al loro stato di vaccinazione contro il
COVID-19, e certamente non c’è motivo per cui le istituzioni che lo
fanno ricevano finanziamenti federali.
Martedì scorso ho introdotto la legge sulla non discriminazione
delle vaccinazioni contro il Covid-19 per garantire che i dollari
dei contribuenti federali non vengano utilizzati per sostenere le
strutture sanitarie che negano le cure ai pazienti in base al loro
stato di vaccinazione contro il Covid-19.
La legge sulla non discriminazione nei vaccini contro il Covid-19
proteggerà i diritti dei pazienti vulnerabili a fare le proprie
scelte in materia sanitaria e garantirà che i soldi dei contribuenti
federali non sostengano strutture che allontanano i pazienti in base
al loro stato di vaccinazione contro il Covid-19.
Il Dr. Rand Paul presenta una legislazione per attuare la
trasparenza del Congresso
Troppo spesso al Congresso la legislazione viene approvata senza
audizioni, emendamenti o dibattiti. Credo fermamente che il popolo
americano abbia il diritto di prendere parte al processo
legislativo.
ImageRecentemente, ho reintrodotto il Write the Laws Act, il One
Oggetto at a Time Act, il Read the Bills Act e una risoluzione per
modificare le regole del Senato per fornire tempo sufficiente
affinché la legislazione venga letta prima di essere esaminata dal
Senato degli Stati Uniti.
Ogni singolo atto legislativo ripristinerebbe la trasparenza nel
governo e l’equilibrio all’interno della separazione costituzionale
dei poteri.
I miei progetti di legge concederanno ai cittadini tempo sufficiente
per leggere la legislazione e fornire input ai membri del Congresso
poiché considera le politiche che hanno un impatto sulla vita di
tutti gli americani. Continuerò a mantenere la mia promessa di
aumentare la trasparenza e l’accessibilità al Senato degli Stati
Uniti.
Il Dr. Rand Paul si unisce agli sforzi per porre fine formalmente
alle guerre del Golfo e dell’Iraq
La guerra senza fine indebolisce la nostra sicurezza nazionale e
deruba le generazioni future attraverso un debito alle stelle.
Per anni ho guidato la lotta per restituire i poteri bellici al
Congresso a cui appartengono, e sono orgoglioso di aver continuato
questi sforzi unendomi recentemente a un gruppo bipartisan di
senatori nel reintrodurre la legislazione che abrogherebbe le
autorizzazioni del 1991 e del 2002 per L’uso della forza militare (AUMF),
pone formalmente fine alle guerre del Golfo e dell’Iraq.
Gli AUMF del 1991 e del 2002 – approvati rispettivamente 32 e 20
anni fa – autorizzavano l’uso della forza per le guerre del Golfo e
dell’Iraq, ma il Congresso non è riuscito ad abrogare questi AUMF
per prevenire potenziali abusi da parte dei futuri presidenti.
È ormai da tempo che rispettiamo gli equilibri di potere e
riaffermiamo la voce del Congresso costringendo i legislatori ad
approvare o disapprovare specificamente la direzione della nostra
politica estera
LA CINA CON PUTIN CONTRO IL MONDO :
Pechino contro Washington sulla
presidenza del Gruppo dei Venti nel 2026 New Delhi pronta a lanciare
una linea commerciale coi Paesi del Mediterraneo
Una rotta dall'India a Venezia gli Usa danno scacco alla Cina
Dall'inviato a New Delhi
Sono scortesie protocollari, trucchetti e battute a descrivere la
distanza che separa Washington da Pechino. La delegazione cinese,
scrive il Financial Times, ha tentato di impedire agli Usa di
assumere la presidenza del G20 nel 2026. A loro - in un briefing con
i reporter - ha risposto Jake Sullivan, dapprima evidenziando che il
comunicato ha certificato che fra tre anni dopo Brasile e Sudafrica
tocca agli Usa e «anche la Cina ha approvato, quindi grazie», ma poi
sottolineando, sibillino, che nei Brics ci sono «tre Paesi
democratici» e che Biden si è fatto ritrarre con i loro leader Modi,
Lula e Ramaphosa. «Crediamo tutti fermamente nel G20 per favorire la
prosperità e la crescita», il messaggio che gli americani rilancio
con enfasi.
Il segnale è quello di un'America che vuole togliere alleati certi e
terreno sicuro ai cinesi. Biden si è detto «dispiaciuto»
dell'assenza di Xi ma ieri ha detto che «il summit va bene».
Washington colma gli spazi che la Cina non occupa. Anche
all'Assemblea generale dell'Onu fra dieci giorni potrebbero esserci
aree da colmare. Xi non viene, e nemmeno colui che era deputato a
sostituirlo, il ministro Wang Yi. Avrebbe, almeno secondo alcune
fonti, dovuto lavorare a un incontro a San Francisco per i prossimi
mesi fra Biden e Xi. Nulla invece.
Al G20, al di là delle schermaglie, Washington ha calato cose
concrete e rafforzato i progetti di sviluppo, il PGII, (Partnership
for Global Initiative and Investment) lanciato al G7 del 2022 per
finanziare con soldi pubblici, privati e organizzazioni
multilaterali piani infrastrutturali e verdi nel mondo. Un disegno
che allora venne definito alternativo alla Via della Seta cinese.
Biden - insieme a indiani, sauditi, Emirati Arabi, Italia e Francia,
oltre alla Ue - da New Delhi ha annunciato il progetto per collegare
l'India con l'Europa passando dalla Penisola arabica e la Giordania
e magari Israele. Ferrovie, porti, collegamenti marittimi che si
aggiungono a "pipeline" digitali ed energetiche, «energia pulita non
più petrolio», spiega Amos Hochstein, responsabile del dossier
energia al Consiglio per la Sicurezza nazionale. Il "Memorandum of
understanding" è stato lanciato dai Paesi coinvolti e poi suggellato
da una stretta di mano fra Biden e l'evidentemente ex reietto
principe saudita Mohammed bin Salman su sui si sono posate le mani
di Modi a far da garante. È un progetto economico e infrastrutturale
la cui portata è strategica. Significa per gli Usa recuperare
terreno in Medio Oriente e favorire quel processo di normalizzazione
fra Gerusalemme e Riad su cui si lavora da tempo. Va, precisano
fonti Usa, su altri binari, ma è evidente che il Corridor
faciliterebbe molte cose. E in secondo luogo serve a contrastare la
presenza cinese sia nel Mediterraneo e sia a limitarne i legami con
i sauditi, anche se gli emissari di Washington evitano di restare
impigliati in queste schermaglie.
Il progetto ha avuto la genesi nel luglio del 2022 quando Biden
partecipò al summit sulla Cooperazione dei Paesi del Golfo. Quindi
in gennaio il dialogo è partito. Sullivan ha ripercorso le tappe e
spiegato come insieme a emiratini e sauditi si è lavorato al
Memorandum da maggio sino a ieri. I tempi di realizzazione delle
infrastrutture (servono porti, hub logistici, pipeline, ferrovie)
non sono definiti, ma gli investimenti inizieranno ad essere
raccolti da subito, fra due settimane ci sarà un primo meeting a
Washington. L'Europa è pienamente coinvolta con il Global Gateway
che stanzia 300 miliardi sino al 2027. La presidente della
Commissione europea Ursula von Der Leyen ha definito il progetto
«nientemeno che storico» spiegando che i collegamenti fra Europa e
India saranno del 40% più veloci, oltre a elencare i vantaggi
derivanti dalla costruzione di tubi per l'idrogeno e collegamenti
per i dati e le linee elettriche. Se il passaggio "arabo" verso
l'India è la novità, la Ue ha aggiunto alla sua proiezione globale
la partecipazione al Trans-African Corridor, già spinto da
Washington che connette il porto di Lobito in Angola con la
provincia del Katanga in Congo e la cintura del rame nello Zambia.
Sempre Von der Leyen ha puntualizzato che lo scopo è investire nella
forza lavoro locale, creare valore e condividere la prosperità. Sono
termini sui quali c'è piena sintonia con Washington tanto che Jon
Finer, vice di Sullivan ha detto che ai Paesi del sud globale (e no)
non si chiede di scegliere se stare con gli Usa o la Cina ma si
«offre un piano trasparente e di alta qualità che porta beneficio a
tutti». La foto con i Brics e i sorrisi con Modi servono a fare da
volano.
COME
SI PRENDE IL POTERE NEL PD TORINESE : Una gestione
personalistica della Rear, «operazioni di investimento e
finanziamento in altre società che non sembrano avere alcuna
connessione con le finalità statutarie della cooperativa», stipendi
aumentati solo ad alcuni lavoratori senza seguire le disposizioni
del regolamento interno. Ecco, stando al decreto pubblicato sul sito
del ministero delle Imprese del Made in Italy, gli aspetti finiti
sotto il faro degli ispettori inviati alla Rear a seguito
dell'inchiesta aperta in primavera dalla procura per truffa e
malversazione.
Il Mimit ha deciso di commissariare la multiservizi per tre mesi,
prorogabili. E il commissario, si legge nel decreto, è chiamato a
«sanare le irregolarità riscontrate». Particolare attenzione «alle
operazioni di investimento e finanziamento». E ancora. Il
commissario «dovrà verificare la correttezza e l'esistenza dei
presupposti oggettivi per il riconoscimento, solo in capo ad alcuni
lavoratori, delle integrazioni salariali». Inoltre «dovrà provvedere
a ripristinare la democraticità interna». Perché, a quanto sembra,
«almeno negli ultimi tre anni, i soci non sono stati informati
adeguatamente».
La vicenda prende il via dagli accertamenti della Guardia di finanza
su bilanci ed estratti conti della Rear. Per la procura, i fondi
statali incassati per i servizi che la cooperativa doveva offrire,
sarebbero stati utilizzati per interessi privati. Sei gli indagati.
Tra loro il deputato Pd Mauro Laus, ex presidente e ora tra i soci
più in vista della Rear, la presidente del Consiglio comunale di
Torino Maria Grazia Grippo, e l'assessore ai Grandi Eventi della
Città, Mimmo Carretta.
Apertura dell'inchiesta, invio degli ispettori da parte del
ministero per valutare la gestione della multiservizi,
commissariamento: questi gli step. Per gli oltre 1500 dipendenti
Rear, questo è doveroso sottolinearlo, non cambia nulla. Le
ispezioni e il ruolo del commissario riguardano, infatti, la
gestione di una cooperativa finalizzata a scopi mutualistici.
Le indagini della guardia di finanza proseguono. Nel frattempo gli
88 lavoratori che garantiscono i servizi di accoglienza alla Reggia
di Venaria e al Castello di Moncalieri, sono in stato di agitazione.
Da dipendenti di CoopCulture, infatti, dovrebbero «passare» alla
Rear, che lo scorso giugno ha vinto l'appalto per i servizi di
accoglienza e biglietteria nelle due residenze. Un'assemblea è in
programma questa mattina, sul tavolo le proposte di accordo
formulate dal sindacato Usb a seguito dell'incontro con il
commissario straordinario della Rear Francesco Cappello e i vertici
del Consorzio Residenze Reali Sabaude. «Al momento siamo soddisfatti
perché il commissario ha fornito garanzie sotto il profilo
occupazionale ed economico evidenziando come la Rear sia un'azienda
sana». E oggi Miccoli spiegherà ai lavoratori le condizioni
dell'accordo. «Se l'assemblea darà l'okay andremo avanti con la
trattativa e daremo il via libera per il passaggio alla Rear»
BOICOTTAGGIO : Un taglio torta da 15 euro e ritorna la
polemica degli scontrini pazzi. Questa volta succede a Pino
Torinese, nella pizzeria Pinocchio in via Roma 3. E' successo
qualche giorno fa, a inizio settembre. Fabio Bregolato che vive a
Rosta, con una decina di amici e parenti, prenota nel locale della
collina: «Dovevamo festeggiare un compleanno» scrive in un post su
Facebook. E aggiunge: «Eravamo in dieci, pizza ottima e servizio ben
fatto ma…. 15 euro per tagliare una torta portata da noi è stata
proprio una caduta di stile». E allega foto dello scontrino
incriminato: «Potevano pure passarci sopra, non mi è mai capitato in
40 anni (e di pizze ne ho mangiate parecchie) che un locale
applicasse un sovrapprezzo per tagliare una torta».
Bregolato sostiene di aver avvisato della torta: «La pizzeria non
poteva far fare un dolce ma ha detto che potevamo portare noi una
torta da fuori". Sui social si è scatenata la polemica, alcuni danno
ragione a Bregolato ma altri sottolineano come sia un servizio
previsto e venga applicato anche da altri locali: «A me è successo a
Carmagnola – scrive una signora – ho pagato 2 euro per ogni fetta di
torta». Ed è quello che sostengono anche i titolari di "Pinocchio":
«Lo abbiamo segnato regolarmente nello scontrino e ci paghiamo le
tasse. È un servizio e come tale ha un costo». Bregolato non avrebbe
neppure avvisato del dolce portato da casa: «Al momento della
prenotazione non ha detto nulla. Quando è arrivato ci ha mostrato la
torta e ha detto "Ci pensate voi?" Niente altro. Noi non siamo
tenuti a fare questo servizio, anche perché rischiamo a servire
qualcosa che non produciamo noi. Lo sappiamo bene, siamo
specializzati in prodotti per celiaci e intolleranti».
Appurato che la torta era confezionata hanno accettato: «Ma era
minuscola, da non più di sei persone ed erano in dieci. La cameriera
ha portato la torta in cucina e con fatica è riuscita a ricavare
dieci fettine accettabili, le ha sistemate nel piatto in modo molto
carino proprio per far fare bella figura al cliente nonostante le
esigue porzioni. Insomma tra taglio, sistemazione e servizio al
tavolo ci si è dedicata 25 minuti, tempo nel quale non ho potuto
farle fare altro» sottolineano i titolari.
Monica Bucolo, presidente dell'Ascom Chieri, conferma «È previsto il
servizio taglio torta. D'altronde nei negozi paghiamo i sacchetti,
dal benzinaio si paga un supplemento se si vuole la benzina servita
e non fai da te. Poi ci vuole buon senso, ma è vero che in questo
periodo si sta esagerando a dare sempre addosso ai ristoratori»
09.09.23
CINA STOP 30% DAZI SU COMPONENTI AUTO :
«Il premier Li Qiang parteciperà al
summit del G20 di Nuova Delhi, India». Con questa scarna
comunicazione, la Cina ha fatto sapere che il presidente Xi Jinping
avrebbe saltato il vertice di questo fine settimana. Pechino non ha
fornito motivi ufficiali per l'assenza, ma il ministero degli Esteri
ha sottolineato l'importanza del G20. E Li, dotato per il suo ruolo
di competenze specifiche sul dossier economico, sembra avere un
margine di manovra più ampio rispetto agli ultimi predecessori.
Anche e soprattutto perché è un fedelissimo di Xi.
Ciò nonostante, l'inusuale assenza del leader cinese fa discutere.
Le ipotesi sulle sue ragioni sono molteplici. C'è chi azzarda un
collegamento con quanto scritto dal quotidiano giapponese Nikkei,
secondo cui gli anziani del Partito comunista guidati dall'ex
vicepresidente Zeng Qinghong (vicinissimo al defunto leader Jiang
Zemin) sarebbero insoddisfatti delle politiche economiche di Xi.
La sensazione è che si tratti di un segnale politico. Xi potrebbe
aver voluto prendere tempo prima di incontrare Joe Biden, rendendo
ancora più urgente il possibile bilaterale di novembre a San
Francisco, a margine del summit dell'Apec (Asia-Pacific Economic
Cooperation). Un appuntamento a cui tiene molto la Casa Bianca e
sapendolo Pechino potrebbe tirare la corda nel negoziato che precede
il viaggio. Nei giorni scorsi, il ministero per la sicurezza di
Stato ha accusato Washington di utilizzare «vino vecchio nella
bottiglia nuova». Tradotto, continua a perseguire il contenimento
della Cina anche se a parole sostiene di non farlo con la recente
raffica di visite dell'amministrazione Biden. Dunque ecco
l'avvertimento: per far sì che Xi vada a San Francisco, «gli Stati
Uniti devono dimostrare sufficiente sincerità».
L'assenza di Xi (che ha saltato il vertice Asean a Giacarta)
colpisce anche l'India, con cui le relazioni continuano a essere
complicate. Al summit dei Brics l'atteso bilaterale tra Xi e il
premier indiano Narendra Modi si è ridotto a un controverso «breve
scambio informale». Pochi giorni dopo, Delhi si è arrabbiata per la
nuova mappa pubblicata dal governo cinese che considera suoi alcuni
territori contesi. Non il modo migliore per arrivare all'evento che
avrebbe dovuto sancire il riavvicinamento. Xi ha preferito
concentrarsi sul terzo forum sulla Via della Seta di ottobre, a cui
dovrebbe presenziare Vladimir Putin. In India, intanto, secondo
Bloomberg la delegazione cinese avrebbe chiesto ai ""Paesi
sviluppati" più sostegno tecnologico, chip compresi, per aiutare gli
sforzi sul cambiamento climatico. Idea respinta dagli Usa. I
semiconduttori sono uno degli snodi cruciali della contesa tra le
due potenze.
LA SICUREZZA ITALIANA IN MANO A SALVINI ?: Tutti o quasi si
stanno chiedendo adesso: come è possibile? Perché mai come in questa
storia i fatti sono chiari: una come Irina Osipova - nonostante
abbia vinto un concorso - a lavorare in Senato alimenta una serie di
preoccupazioni molto forti. Anche tra i nostri alleati
internazionali. Non solo per evidenti ragioni di "opportunità
politica", come si sarebbe detto in un'altra era, ma anche per
motivi che in qualunque Paese democratico europeo o alleato
verrebbero definiti «di sicurezza nazionale», tanto più in un
momento in cui la Russia minaccia l'Europa e l'Occidente con
l'aggressione all'Ucraina. Osipova, che ha la doppia cittadinanza,
russa e italiana, è risultata idonea al concorso per "coadiutore
parlamentare", bandito nel 2019 e terminato lo scorso anno, e
Palazzo Madama starebbe per assumere non solo i 60 vincitori, ma
anche i candidati risultati idonei, fino al 124º. Osipova è 78ª,
dunque dal primo novembre - se non accade qualcosa - avrà la
possibilità di consultare le banche dati di Palazzo Madama,
classificare e archiviare la corrispondenza di Palazzo. Un
osservatorio formidabile, praticamente consegnato direttamente a
Mosca.
Chi è Osipova, che ora si troverà a maneggiare atti del Senato - sia
pure nella forma limitata che tocca a un coadiutore parlamentare
(fare attività amministrativa e contabile, registrare disegni di
legge e atti, tenere rapporti con utenza interna e esterna, avere
comunque un certo accesso ad archivi) - è facile abbastanza da
spiegare. Per almeno un paio di ragioni macroscopiche. Una è che
Osipova è vicina non solo ideologicamente, ma anche per relazioni,
familiari in primis, al putinismo e ai suoi apparati: è figlia di
Oleg Osipov, per anni capo di Rossotrudnichestvo, l'Istituto russo
di scienza e cultura, uno degli strumenti più utili in tutto il
mondo per le operazioni di influenza della Russia, e in questo caso
della Russia di Putin. È una di quei figli di russi degli apparati
che troviamo spesso a operare alacremente nel Belpaese (un altro era
Oleg Kostyukov - figlio dell'ex capo del Gru, i servizi militari
russi - il funzionario dell'ambasciata russa in contatto col
consigliere di Salvini, che si informava sulla possibilità di un
ritiro dei ministri leghisti dal governo Draghi, due mesi prima
della sua caduta).
L'altra ragione è che Osipova - in tutta coerenza con queste
premesse - in Italia in tutti questi anni è spuntata come il
prezzemolo, guarda caso, in diversi snodi molto discutibili del
postfascismo e dell'estrema destra italiana. Se parliamo della Lega
e del putinismo (ma anche della fase putiniana di Fratelli
d'Italia), Osipova nel 2011 fondò un'associazione, la "Gioventù
Russa Italiana", che era un classico braccio del putinismo
all'estero, e si legò nella primavera 2014 a "Lombardia-Russia", la
branca leghista più vicina a Putin, guidata dal celeberrimo Gianluca
Savoini, consigliere di Matteo Salvini. Ce lo ricorda anche una foto
di lei tra Salvini e Savoini belli sorridenti a Mosca. Nel 2016
Osipova si candidò anche: con Fratelli d'Italia, al Comune di Roma.
La si ritrova (non indagata) nelle carte dell'inchiesta genovese
contro alcuni neofascisti italiani andati a combattere in Donbass
con la Russia. Carte assai utili per raccontarci che Osipova era in
contatto con Andrea Palmeri, noto neofascista di Lucca, già capo
degli ultras della Lucchese, poi stabilitosi in Donbass (a Lugansk)
fin dal 2014 (prima aggressione russa all'Ucraina), quando già la
giustizia italiana era sulle sue tracce. Lì Palmeri fondò una "onlus"
che sosteneva di raccogliere fondi per "la popolazione russa del
Donbass". E con lui c'era appunto la nuova dipendente del Senato
italiano Osipova. C'era una rete di circa 20 italiani (molti
dall'area genovese o milanese) che combattevano accanto alle milizie
paramilitari russe in Donbass. Le quali, come via via si saprà con
sempre più precisione documentale, erano sostenute dai servizi russi
e finanziate in parte dall'oligarca ultra-ortodosso Konstantin
Malofeev, e facevano capo sul campo al sedicente "ministro della
Difesa" del Donbass, Igor Girkin (oggi caduto in disgrazia per le
critiche a Putin, e arrestato a sua volta).
La vediamo fotografata e braccetto del neonazista russo Jan
Petrovski, un militare del gruppo neonazista "Rusich", da pochi
giorni arrestato in Finlandia. Né è segreto che Osipova abbia
partecipato nel marzo 2015 all'infame convegno delle estreme destre
europee invitate a Mosca dal partito nazionalista Rodina, una
estrema destra nella destra russa, con ospiti eminenti tipo Alba
Dorata, l'europarlamentare neonazista Udo Voigt, l'italiano Roberto
Fiore. Osipova vi si recò con il segretario di Lombardia-Russia,
Luca Bertoni. Persino Savoini, presidente, prese le distanze
definendo sul Foglio una «iniziativa privata» la partecipazione al
Forum del segretario della sua associazione «con la sua fidanzata
Irina Osipova».
Ecco, una con questo curriculum a lavorare in Senato non pone
qualche problema di sicurezza nazionale, senza parlare
dell'opportunità politica? Ideologia ultrasovranista, mondi
mercenari italiani e operazioni del Cremlino. Un matrimonio
insostenibile, anche per un Paese flaccido come l'Italia sulla
Russia.
MUSSOLINI HA PERSO LA GUERRA ED I TERRORISTI SONO ASSASSINI :
«Marcello De Angelis ha detto solo quello che molti pensano». Un
mese dopo il post che ha suscitato indignazione e polemiche, il
presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, torna sullo
scandalo che ha coinvolto il suo ormai ex capo della comunicazione,
per difenderlo. Lo fa parlando a una manifestazione politica, "Itaca
20.23", organizzata a Formello, alle porte di Roma. Durante
un'intervista con il direttore del Tempo Davide Vecchi sottolinea
che «sicuramente la frase è stata istituzionalmente sgrammaticata»
ma «la sostanza è quello che tanti chiedono di approfondire». Il
riferimento è alla strage di Bologna e alle tesi del suo
collaboratore, ex militante di estrema destra, che mettono in dubbio
la colpevolezza degli esecutori materiali, già condannati. «Come i
martiri cristiani io non accetterò mai di rinnegare la verità per
salvarmi dai leoni. Posso dimostrare a chiunque abbia
un'intelligenza media e un minimo di onestà intellettuale che
Fioravanti, Mambro e Ciavardini non c'entrano nulla con la strage.
Dire chi è responsabile non spetta a me, anche se ritengo di avere
le idee chiarissime in merito nonché su chi, da più di 40 anni, sia
responsabile dei depistaggi» aveva scritto De Angelis su Facebook il
2 agosto scorso, in occasione dell'anniversario della strage costata
la vita a 85 persone. «Un giorno molto difficile per chiunque
conosca la verità e ami la giustizia, che ogni anno vengono
conculcate persino dalle massime autorità dello Stato». Parole che
sono suonate da subito gravissime e per le quali diversi esponenti
del Pd avevano chiesto la testa del capo della comunicazione. Senza
alcun esito.
Ieri Rocca ha invece parlato di «fango» e di un'indignazione
generale che ha coinvolto la Regione Lazio al solo lo scopo di
«coprire le tante cose che stiamo facendo». Nessun passo indietro,
anzi. Dal palco si è poi scagliato contro con chi lo ha attaccato:
«Gli insulti peggiori sono arrivati da Bonelli e D'Amato che nel
'96, dopo la Cassazione, firmarono un documento che diceva ciò che
ha detto De Angelis. Io non sopporto la disonestà intellettuale».
Pronta è arrivata la risposta di Alessio D'amato. «Rocca non è
autonomo né dai poteri forti, né dai trascorsi di estrema destra e
lo dimostra. La disonestà è aver utilizzato una funzione
istituzionale per mettere in discussione la matrice neofascista
della strage di Bologna pochi giorni dopo la ricorrenza della
strage» sottolinea il consigliere regionale del Lazio.
Non è la prima volta che il governatore del Lazio corre in soccorso
al suo ex collaboratore. Già nei giorni successivi alle
esternalizzazioni social di De Angelis, Rocca aveva parlato di frasi
dette a «titolo personale» perché «mosso da una storia familiare che
lo ha segnato profondamente e nella quale ha perso affetti
importanti». Il fratello Nanni, esponente di Terza Posizione, fu
infatti coinvolto nelle indagini. Sempre in quell'occasione, il
presidente del Lazio riferendosi ai fatti di Bologna sottolineava
che «le sentenze si rispettano», ma aggiungeva: «questo non esime
dalla volontà di ricerca continua della verità, specialmente su una
stagione torbida dove gli interessi di servizi segreti, apparati
deviati e mafia si sono incontrati». Una posizione che ora ribadisce
e che rischia di creare ulteriori polemiche e imbarazzi.
Le parole di Rocca mostrano, inoltre, un rapporto ancora solido con
l'ex responsabile istituzionale della Regione. Che non sembra
essersi incrinato neanche dopo gli altri scandali che hanno portato
alle dimissioni di De Angelis, appena dieci giorni fa. Prima la
scoperta dell'assunzione in Regione del cognato, poi la diffusione
di una canzone dal contenuto antisemita, scritta negli anni 90
quando era il frontman di un gruppo musicale di estrema destra, i
270bis. —
MENEFREGHISMO : «Per i ninni. Tutto per i ninni». Certe volte
il dolore è un rimpianto permanente. «Mio fratello Giuseppe aveva
deciso di fare il manutentore delle ferrovie per lavorare di notte e
prendersi cura dei figli di giorno. Per lui e per la sua compagna,
pagare il mutuo della casa e in più la baby sitter era quasi
impossibile».
Quindi, ecco cosa sono quei turni di notte sui binari del treno: un
modo per cercare di fare quadrare il bilancio di una famiglia. «Sì,
Giuseppe era soddisfatto della sua scelta. Diceva che lo stipendio
alla Si.Gi.Fer era anche un po' di più alto di quello che prendeva
prima. Aveva firmato il 27 agosto il secondo contratto a termine
della durata di sei mesi. A 43 anni aveva messo in discussione tutta
la sua vita per amore dei figli».
Storia operaia. Storia di un lavoratore emigrato al Nord. Storia di
un padre. Giuseppe Sorvillo da Sparanise, provincia di Caserta, era
l'ultimo arrivato alla Si.Gi.Fer di Borgo Vercelli. Dopo un primo
contratto con un'agenzia interinale, aveva firmato il secondo da
soli tre giorni. Ma quella notte non avrebbe dovuto essere lì, il
che significa che qualcun altro adesso è salvo al suo posto. «Non è
partito con la solita squadra, quella notte Giuseppe è stato
chiamato all'ultimo», ricorda il fratello Giovanni. «Mancava un
lavoratore, hanno telefonato a Giuseppe perché abita a Brandizzo e
proprio lì andava fatto il lavoro di manutenzione ferroviaria».
Sei metri di binari da sostituire. Un caposquadra, cinque operai
della Si.Gi.Fer, più la scorta di Rfi. Appuntamento alle 23.30 alla
stazione di Brandizzo.
Giuseppe Sorvillo era arrivato a piedi da casa, abitava poco
lontano. Era uscito dopo aver salutato la compagna e dato un bacio
della buonanotte ai figli. Ma prima di quel treno lanciato a 160
chilometri all'ora, prima della chiamata per la sostituzione di un
collega, sono stati tanti i passaggi salienti della sua vita. Era
partito a 21 anni per trovare lavoro alla periferia di Torino,
grazie a un amico emigrato prima di lui. Commesso all'Eurospin, dove
ha conosciuto la sua compagna. Poi si era trasferito nel
supermercato «Prestofresco» di Chivasso. «Era assunto con contratto
a tempo indeterminato e con un ruolo importante, per noi era una
risorsa preziosa», spiegano in quell'azienda. Le motivazioni del suo
cambio di lavoro sono state ufficialmente queste: «La necessità di
conciliare il lavoro con le esigenze famigliari».
«Lui faceva tutto per i ninni. Anche la compagna di mio fratello
lavora come commessa. Avevano gli stessi orari. Fuori al mattino
presto, a casa alla sera. I figli hanno 7 e 10 anni. Dovevano
trovare qualcuno che se ne prendesse cura durante il lavoro, ma
questi sono costi che equivalgono a uno stipendio». Così Giuseppe
Sorvillo ha pensato di cambiare tutto, mettendoci più sacrificio.
Ecco perché era diventato un nuovo manutentore. Operaio di notte,
padre di giorno.
«Ci siamo sentiti alle otto di sera del 30 agosto», ricorda il
fratello Giovanni. «Ha detto che era stato appena chiamato per un
intervento. "Niente di che", ricordo queste parole. Era un gran
lavoratore. Io gli ho detto: "Ciao, fatti sentire"». E invece,
all'alba del giorno dopo, il fratello con la moglie e il padre
Luigi, sono in auto verso la tragedia. Dalla Campania al Piemonte.
«All'inizio si sapeva che due persone su sette erano ancora vive,
noi pregavamo e speravamo. Ma all'altezza di Roma abbiamo sentito i
nomi alla radio e ci è crollato il mondo addosso. Il piede si è
alzato dall'acceleratore. Poi è arrivata la telefonata di un amico
poliziotto: "Tuo fratello non c'è più". È stato un lungo viaggio a
piangere».
C'era anche Giuseppe Sorvillo nell'elenco dei morti. Lui con Kevin
Laganà, Micheal Zanera, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa.
«Siamo andati a vedere quel binario, abbiamo aspettato un altro
treno per capire. Abbiamo visto quella curva. E loro erano proprio
là dietro, mandati al lavoro senza autorizzazione. Ma come è
possibile? Nel tempo dei viaggi spaziali e dell'intelligenza
artificiale, come è possibile mandare cinque operai allo sbaraglio?
Come è possibile affidarsi a dei moduli di carta?».
La calce bianca, sparsa sui binari per cento metri, indica ancora
oggi quello che è successo davanti alla stazione di Brandizzo. La
compagna di Giuseppe Sorvillo sta male. Lo smarrimento dei figli non
si può nemmeno immaginare.
Avete guardato quel video girato sul binario da Kevin Laganà poco
prima della strage? «Un'infinità di volte», dice il fratello. «Lo
abbiamo anche ascoltato per cercare si sentire la voce di Giuseppe.
Ma non parla mai». Cosa ne pensate dei funerali di Stato? «Forse
potrebbero essere un modo per rendere onore a questi lavoratori».
Quando è stata l'ultima volta che ha visto suo fratello? «A
Ferragosto. Non aveva ferie. Ma è venuto giù a Mondragone solo per
due giorni. La grigliata, i ninni. Eravamo felici».
Un altro addetto ai pm "Ho rischiato 4 mesi fa"
Dopodomani i pm di Ivrea che indagano sul disastro ferroviario di
Brandizzo costato la vita a cinque operai della Si.gi.fer di Borgo
Vercelli affideranno una consulenza a un ingegnere informatico.
Dovrà analizzare il materiale sequestrato agli atti dell'inchiesta
che vede al momento due indagati (Antonio Massa, preposto Rfi alla
scorta degli operai che autorizzò gli stessi a scendere sui binari
in assenza di interruzione di linea e Andrea Gibin capocantiere
dell'azienda vercellese). Ci sono le "scatole nere" del "treno
anomalo" (trasportava 11 vagoni vuoti) che ha investito e ucciso gli
operai. Tecnicamente si chiamano Dis (registratori di eventi di
marcia e di condotta). Permetteranno di ricostruire tutto il viaggio
del convoglio, minuto per minuto. Dalla stazione di partenza
(Alessandria) fino al momento dell'impatto e alla successiva lunga
frenata.
Ancora; due tablet aziendali marca Samsung in dotazione ai
macchinisti del treno: Carmelo Pugliese e Domenico Gioffrè (non
indagati) che quella notte passarono sul binario pari di Brandizzo a
una velocità di 150 km/h con semaforo verde. Stesso dicasi per due
smartphones, in dotazione ad altrettante vittime (Giuseppe Aversa e
Giuseppe Saverio Lombardo) che si sono salvati dall'impatto e sono
stati recuperati dalla Polfer sul luogo della tragedia. Sul fronte
delle audizioni, ieri, è stato convocato in procura Francisco
Martinez, operaio di primo livello della Sigifer che è stato
chiamato dai magistrati a confermare il contenuto delle
dichiarazioni rilasciate a telegiornali e giornali.
Frasi durissime: «Ho rischiato di morire 4 mesi fa nello stesso modo
a Chivasso durante un cantiere. Mi ha salvato un collega che mi ha
tirato per la maglietta un secondo prima che passasse un treno. Era
una prassi iniziare prima per portarsi avanti con il lavoro».
All'uscita da palazzo di giustizia non ha rilasciato ulteriore
dichiarazioni, ma ha confermato tutto ciò che aveva già detto ai
magistrati. —
CI PRENDE IN GIRO : Caso Saman, il padre finge in aula "Non so chi
ha ucciso mia figlia" e gli paghiamo gli avvocati?
Il programma di giornata prevedeva tutt'altro. Si preannunciava
ricco di episodi chiave per il processo, come la prima presenza in
aula del padre, Shabbar Abbas, appena estradato dal Pakistan,
effettivamente avvenuta, in silenzio e a capo chino. Oppure, la
decisione sulla possibilità di interrogare il fratello minore, Alì
Haider, e il fidanzato, Saquib Ayub, i principali teste dell'accusa,
che saranno sentiti nei prossimi giorni. Tuttavia, il procuratore di
Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci, ha preso la parola e ha detto:
«Questa mattina ho depositato nuovi atti». Sommarie informazioni
testimoniali di due detenuti, che riferiscono di «confessioni»
ricevute da Danish Hasnain, in merito a «ciò che ha fatto, visto e
come ha partecipato alla soppressione di Saman Abbas».
Le indiscrezioni parlano di una frase semplice: «L'ho uccisa io».
Senza che sia stato possibile confermarlo, va ricordato che proprio
con l'accusa di aver strangolato e sotterrato la 18enne pakistana,
Danish Hasnain, che ne era zio, è sotto processo dal febbraio
scorso. Tuttavia, ha sempre negato questa circostanza. Inoltre,
quando Paci precisa si tratti di «ciò che ha visto» e «come ha
partecipato», oltre che di «quel che ha fatto», lascia supporre
anche l'implicazione di terzi.
Riguardo all'importanza di questi nuovi atti, la linea del tempo
toglie ogni dubbio: il 31 agosto un detenuto manifesta l'intenzione
«di rendere dichiarazioni su confidenze apprese dall'imputato Danish
Hasnain, in merito alla vicenda». È sempre Paci che parla. Il 5
settembre la procura lo sente. Il 6 interroga un altro carcerato. Lo
scopo è «svolgere tutta una serie di accertamenti e riscontri». Ieri
mattina, l'8, Pm e procuratore portano il fascicolo in cancelleria,
appena in tempo per l'udienza.
Ora, attenzione a una strana coincidenza: il 31 agosto è anche il
giorno in cui Shabbar è arrivato in Italia, al culmine di un
processo d'estradizione lampo. Possibile che le esternazioni di
Danish ai compagni di cella abbiano una qualche relazione con ciò
che il fratello potrebbe dire, quando sarà interrogato il 29
settembre? Possibile che parli anche di lui, nella sua confidenza?
C'è un precedente che fa riflettere. Tre giorni dopo l'arresto di
Shabbar in Pakistan (15 novembre 2022), Danish disse ai carabinieri
dove si trovava il corpo di Saman. La cercavano senza successo da un
anno e mezzo.
In ogni caso, non è la prima volta che gli imputati di un delitto
commesso in nome delle tradizioni, per l'opposizione della ragazza
di Novellara ai dettami famigliari, per il rifiuto di indossare gli
abiti tipici, per le sue proteste contro il divieto di studio e
perché voleva sottrarsi a un matrimonio combinato in patria, si
lasciano andare a frasi che aggravano la loro posizione. Cominciando
da Danish, intercettato qualche giorno dopo il crimine, disse:
«Abbiamo fatto un buon lavoro». Suo nipote Ikram Ijaz, in carcere,
invece, ammise il proprio ruolo e quello del fratello, Noumanoulaq
Noumanoulaq, nel «tenere ferma Saman», mentre Danish la strangolava.
Entrambi i cugini sono accusati di essere coautori. Quanto a Shabbar,
al telefono con il fratellastro Fakhar, disse: «L'ho uccisa io. L'ho
fatto per la mia dignità e il mio onore». Fakhar è nella lista
testimoni, ma si è trasferito in Spagna, non vuole più deporre ed è
sparito.
Appurato che la giovane è morta la notte del 30 aprile 2021, il
primo maggio, Shabbar e la moglie Nazia Shaheen (considerati
mandanti) sono andati in Pakistan. Qui Shabbar è stato latitante per
18 mesi. La madre di Saman lo è tuttora, irreperibile per le
autorità locali, nonostante il mandato d'arresto internazionale
spiccato dall'Italia.
Ieri, i legali di entrambi, Enrico Della Capanna e Simone Servillo,
hanno detto che il giorno in cui l'uomo è stato fermato, Nazia era
«a casa con lui». Per qualche motivo, è sfuggita alla retata. Poi,
hanno aggiunto: «Shabbar non sa chi ha ucciso sua figlia, non sa
dove sia stata uccisa, non sa quando sia stata uccisa». Una tesi che
sembrano voler sostenere insinuando il dubbio sull'attendibilità di
testimoni come il figlio di entrambi che, invece, afferma il
contrario. —
Francisco Martinez, dipendente Si.gi.fer, testimone in procura per
la tragedia in stazione. Quattro mesi fa ha rischiato di essere
travolto da un treno
" Ci dicevano di salire sui binari in anticipo accettavamo per
portare a casa lo stipendio"
Per tre ore ha risposto alle domande dei magistrati raccontando la
vita di chi lavora sui binari. Lui l'ha fatto diverse volte, anche
se la sua qualifica da tecnico di primo livello non lo
consentirebbe. Perché non ne ha ancora le mansioni. Francisco
Martinez, dipendente Si.gi.fer, l'azienda di Borgo Vercelli dove
lavoravano le cinque vittime travolte dal treno a Brandizzo la notte
tra mercoledì 30 e giovedì 31 agosto scorsi, ieri è stato sentito in
procura ad Ivrea come persona informata sui fatti.
Maglietta verde chiaro e pantaloni con i tasconi, Francisco Martinez
arriva a passo svelto. Negli uffici lo attendono i pubblici
ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi che indagano sulla
tragedia di Brandizzo. E lui, alle magistrate che stanno cercando di
fare chiarezza sulle prassi adottate per lavorare lungo i binari,
fornisce altri tasselli. Perché quello di iniziare le operazioni
senza aver prima ottenuto l'interruzione della linea sembra essere
la prassi. Quattro mesi fa a Chivasso, Francisco Martinez ha
rischiato di morire: «Se un collega non mi avesse afferrato per la
maglietta tirandomi via dal treno in transito, oggi, non sarei qui a
raccontarvi nulla». No, quella sera non era da solo. C'erano i
colleghi e il capocantiere «che si è accorto di tutto, ma non ha
segnalato nulla alla ditta». E ancora: «Con Kevin Laganà (una delle
vittime della tragedia di Brandizzo) siamo cresciuti insieme. Oggi,
però, vorrei lasciare questo lavoro. Non me la sento di mettere più
i piedi sui binari dopo tutto quello che è successo».
Francisco Martinez la racconta così: «Ci mandavano a fare i buchi e
quelle che noi chiamiamo preparazioni così da fare più interventi
più velocemente». Operazioni come quelle che i cinque manutentori
stavano eseguendo in mezzo alla strada ferrata a Brandizzo una
settimana fa, prima di essere travolti dai convogli lanciati a 150
chilometri orari.
Si lavora sui binari senza pensare alla sicurezza, questo sembra
essere il discorso di Francisco Martinez. Che qualche volta, così ha
spiegato, ha provato anche ad opporsi. «Mi sono lamentato. In
qualche occasione avevo detto che non intendevo lavorare in quelle
condizioni, che non era garantita la sicurezza». E poi? «Litigavo
con il capocantiere e passavo per quello che non voleva rispettare
le regole. Così mi sono guadagnato il soprannome di peperoncino». Ai
pm ha raccontato ancora: «Ci dicevano di salire prima di avere
l'interruzione della linea, ma non solo Antonio Massa, preposto Rfi
e addetto alla scorta del cantiere (indagato insieme a Gibin
Girardin per disastro ferroviario colposo e omicidio plurimo
colposo) perché molti altri ce lo ordinavano. Eseguivamo perché
ognuno di noi voleva portare a casa lo stipendio». —
08.09.23
PAGHEREMO SEMPRE PER LA TOTALE SCONFITTA FASCISTA :
L'8 settembre 1943 è uno di quegli eventi la cui tragica grandiosità
non si lascia imprigionare negli slogan che per anni hanno affollato
il confronto tra gli storici. Per intenderci: quel giorno "non morì
la Patria", visto che subito dopo migliaia di italiani si sarebbero
scontrati, che fossero partigiani o fascisti di Salò, invocando
ognuno le ragioni di una Patria diventata di colpo un ideale per il
quale combattere e morire. Non morì neanche lo Stato. È vero, dopo
l'armistizio sul territorio italiano presero a convivere almeno
cinque realtà che ambivano a una sovranità di tipo statuale: al Sud,
il governo di occupazione alleata e la monarchia di Vittorio
Emanuele III (con quello che rimaneva del governo capeggiato da
Pietro Badoglio); al Nord, i tedeschi, i padroni assoluti, e il loro
"fantoccio", la Repubblica che Mussolini aveva installato sul lago
di Garda; il CLN, a Roma (e a Milano), con i partiti antifascisti,
che rappresentava l'Italia del futuro, la speranza della
rifondazione di un nuovo Stato, non più soffocato nelle spire di una
dittatura totalitaria.
Cinque forme di governo diverse si contendevano dunque la sovranità
nazionale ma questo, se turbò gli animi degli italiani e delle
italiane di allora, pure scalfì solo marginalmente i presupposti di
quella che gli storici hanno definito la «continuità dello Stato» e
che vide, nel dopoguerra, affacciarsi sulla nostra scena politica le
istituzioni che avevano rappresentato l'impalcatura del regime
fascista quasi del tutto intatte negli uomini, negli organigrammi,
nelle linee politiche che ne ispirarono i comportamenti.
No, il marasma che seguì all'8 settembre, quello raccontato con
grande efficacia dal nostro cinema (Tutti a casa) e nel quale
precipitarono migliaia e migliaia di soldati, abbandonati senza
ordini in balia della Wehrmacht (furono seicentocinquantamila i
militari italiani deportati e in Germania e 50 mila vi morirono),
certifica una sola realtà: il fallimento di una classe dirigente
cresciuta, vezzeggiata, allevata, nel seno di una dittatura, di uno
Stato che ambiva ad essere totalitario.
Si trattava di quelli che avevano defenestrato Mussolini il 25
luglio del 1943, ma soprattutto erano quelli che rappresentavano
l'esito finale di un processo di selezione inquinato dalla mancanza
di libertà, di un sistema che era vissuto di raccomandazioni e
cooptazioni, rinunciando alla dialettica tra maggioranza e
minoranza, privandosi, in una parola, del soffio vivificatore della
democrazia.
Una politica malata aveva partorito una classe dirigente fiacca e
incapace di misurarsi con i compiti che le piovvero addosso in
un'ora così difficile per la nostra storia. Il "Carteggio riservato"
conservato nell'archivio della Segreteria particolare di Mussolini è
lo specchio impietoso di questa realtà: intrighi e ricatti come
metodo, i salotti e le anticamere dei ministri come scenari, la
denigrazione personale e la calunnia come obiettivi. Era uno
squallore di cui Mussolini si serviva; lo alimentava, anzi, a
garanzia dell'intangibilità della sua posizione personale. Con, alla
fine, effetti che furono esiziali per lo stesso fascismo.
C'era tra le sue file un'opacità diffusa, percepita almeno dai più
svegli; già alla data del 7 luglio 1929, Ugo Ojetti annotava nel suo
taccuino: «Balbo si vanta di non parlare più di politica: - La
politica non mi interessa più. Facciano quello che vogliono. Io mi
occupo di aeronautica». Era la testimonianza di uno stato d'animo di
stanca disillusione che andava sempre più diffondendosi tra gerarchi
e semplici gregari: la mortificazione della politica come libero
dibattito si risolveva inesorabilmente nell'impossibilità per lo
stesso gruppo dirigente che monopolizzava il potere di fare vera
politica. Le adunate oceaniche, i comizi di Mussolini nelle piazze
gremite, i viaggi del Duce erano momenti che alimentavano una
tensione artificiosa senza promuovere un'autentica partecipazione
collettiva.
Gli uomini del 25 luglio furono i protagonisti anche dell'8
settembre e tutti si erano costruiti la loro posizione in questo
scenario. A cominciare da Badoglio, che Mussolini, insieme alla
monarchia, aveva voluto Maresciallo d'Italia e aveva coperto di
onori: per 15 anni (dal 1925 al 1940) capo di stato maggiore
generale, Vicerè d'Etiopia, duca di Addis Abeba, collare
dell'Annunziata, marchese del Sabotino, etc. Significativamente,
quando il 25 luglio 1943 Mussolini fu arrestato, furono veramente
pochi i fascisti che reagirono, riconoscendo nei "venticinqueluglisti"
i segni rassicuranti di antiche amicizie e di consolidate
frequentazioni. Lo stesso generale Enzo Galbiati, il comandante
della Milizia, si era affrettato a rassicurare i golpisti sulla
fedeltà delle sue truppe alle istituzioni senza accennare ad alcun
gesto di ribellione.
Quelli che siglarono l'armistizio con gli Alleati, e detenevano
allora il potere in Italia, disponevano, con Mussolini, loro
prigioniero al Gran Sasso, di una carta importante da giocare con i
tedeschi, almeno per contenere la loro reazione; e se lo lasciarono
scappare. Con un esercito ancora intatto e, in Italia, numericamente
superiore, potevano negoziare da posizioni di forza, rinunciando
agli ammiccamenti furbeschi e dilatori, un'uscita il più possibile
indolore dalla guerra; e non le fecero. In 45 giorni avevano avuto
il tempo di preparare il rovesciamento delle alleanze e disporre per
fare fronte comune con gli Alleati in un forte schieramento
antitedesco; balbettarono invece di attese miracolose, di sbarchi,
di lanci di paracadutisti sulla capitale e altri vaneggiamenti.
Calcoli egoistici, meschinità assortite, incapacità conclamata:
erano queste le coordinate in cui il fascismo li aveva fatti
crescere. E gli effetti si videro.
Sta a noi oggi cercare di imparare da quella lezione. Teniamocela
stretta questa democrazia. Corrotta, sfibrata, esausta; ma è sempre
meglio di una dittatura. È vero: una tragedia come quella dell'8
settembre nella nostra storia nazionale difficilmente potrà
ripetersi. Nel caso, malaugurato, che ciò avvenga, comunque è meglio
non affidarsi a chi, come i "polli di batteria", è stato abituato
più alle manovre di palazzo che alla dialettica democratica, più a
compiacere chi comanda che a occuparsi dei nostri bisogni reali. —
UNA TELEFONATA CHE NON HA ALLUNGATO LA VITA :
Nell'articolata inchiesta della procura di Ivrea sul disastro
ferroviario di Brandizzo avvenuto ormai una settimana fa e costato
la vita a cinque operai della Sigifer di borgo Vercelli (Kevin
Laganà, 22 anni, Michael Zanera, 34, Giuseppe Sorbillo 43, Giuseppe
Saverio Lombardo, 53, Giuseppe Aversa, 49), c'è un giallo al vaglio
degli inquirenti guidati dalla procuratrice Gabriella Viglione.
Rimanda alla diretta Instagram fatta da Laganà qualche decina di
minuti prima di morire e si focalizza sui primi 14 secondi di
registrazione.
Mentre il più giovane degli operai registra con lo smartphone, si
sente in sottofondo la voce del principale indagato per questa
tragedia, Antonio Massa, «preposto alla scorta» del cantiere per
conto di Rfi, colui il quale darà agli operai l'autorizzazione a
iniziare i lavori in anticipo.
Massa parla al telefono: «Tanto io il lavoro ce l'ho sul binario
pari che c'hanno il pass». Poi ringrazia, ricambia saluti. La
chiamata non sarebbe custodita sui server di Rfi e quindi potrebbe
essere stata fatta con un cellulare privato. Si intuisce che il tma
è strettamente connesso al cantiere di Brandizzo ma dall'altra parte
del telefono non c'è Vincenza Repaci, la dirigente movimento che per
tre volte gli chiederà di aspettare, negando che vi sia ancora la
linea interrotta e quindi l'autorizzazione a iniziare i lavori di
manutenzione su un tratto di 8-9 metri di rotaia. Con chi parla
Massa? A chi comunica di aver dato il pass per i lavori? Un suo
collega, un suo superiore? Il suo interlocutore era a conoscenza che
la linea non era interrotta e che si attendevano ancora due treni?
Sono le 23,30 circa quando la telefonata si chiude. Seguono frasi
rivolte agli operai: «Sul pari (il binario) abbiamo circolazione. Io
guardo il segnale, appena vi dico via uscite da quella parte perché
è i treni passano da lì e a e 40 (mezzanotte e quaranta minuti ndr)
c'è l'ultimo. Tra una cosa e l'altra arriverà l'interruzione: se vi
dico treno andate da quella parte!».
Alle 23,49 diverse telecamere, tra cui quelle interne allo scalo
ferroviario, inquadrano il convoglio anomalo con 11 vagoni vuoti che
imbocca la semicurva in prossimità dei lavoratori e li travolge.
A Palazzo di giustizia confermano: «Stiamo verificando interlocutore
e contenuto per contestualizzare meglio quelle parole». Ma intanto
le indagini – che ieri hanno visto l'audizione di altri ex operai
della Sigifer – vanno avanti sempre a più ampio raggio. E accanto ai
sistemi di sicurezza in generale delle procedure di lavoro sulle
rotaie, alle procedure distorte e «anticipate» diventate «prassi»
soprattutto negli ultimi anni, vi è un fronte nuovo.
Non è un caso che nei giorni scorsi gli investigatori della polizia
giudiziaria – Polfer e Guardia di Finanza – abbiano acquisito nella
centrale operativa di Rfi al Lingotto tutti i piani di attività dei
cantieri avviati in Piemonte dalla rete ferroviaria italiana. Si
tratta di numerosissimi appalti, sezionati in ulteriori subappalti,
affidati e portati a termine da ditte esterne come la Si. gi. fer ma
non solo. Obiettivo? «Comprendere quanti cantieri contemporaneamente
siano stati aperti sui binari». Il numero è cresciuto? Una fonte
interna a Rfi, che ha chiesto a La Stampa di rimanere anonima,
spiega: «Con il Pnrr i lavori a titolo di investimento sono
diventati molti di più rispetto a passato. Uniti alle necessità di
interventi di manutenzione sono diventati troppi. Diciamo che – ha
aggiunto – il volume dei cantieri, quello della circolazione e i
tempi di lavorazione pretesi e sempre più corti la situazione è
ormai insostenibile. Siamo come i medici: se sbagliamo noi qualcuno
muore ed è quello che è successo a Brandizzo».
Il tema investirebbe anche la formazione del personale «un percorso
che necessita dai 5 ai 10 anni per raggiungere livelli che rendano
il dipendente in grado di gestire lavori complessi come e più di
quello di Brandizzo. A monte – conclude – c'è una catena. L'operaio
non dice no perché deve lavorare, l'azienda pressa perché deve
concludere il lavoro anche se c'è meno tempo a disposizione, alcuni
responsabili di Rfi pretendono di raggiungere l'obiettivo numerico
dell'appalto concluso». Ecco perché si comincia a lavorare anche
senza interruzione: «Una prassi, avete ragione – ragiona la fonte –
tempo fa mi sono permesso di segnalare la cosa in azienda. L'ho
fatto verbalmente. Sono nate frizioni: se i lavori finiscono oltre
il lavoro programmato si deve chiedere un'interruzione aggiuntiva e
salta il piano di circolazione». Cresciuti fin da ragazzini con
Kevin Laganà, la più giovane delle cinque vittime del disastro
ferroviario di Brandizzo. Si considerano superstiti che oggi
sfoderano coraggio in quantità per denunciare ciò che – a loro dire
– avveniva da tempo sui binari ogni volta che la squadra Si. gi. fer
si formava nei briefing e partiva per le massicciate a sostituire
rotaie.
Si chiamano Giuseppe Cisternino e Francisco Martinez: sono entrambi
poco più che ventenni. Operai comuni Si.Gi.Fer, in gergo tecnico di
primo livello: «Nemmeno potevamo stare su quei binari perché non
avevamo ancora le mansioni», spiegano. Milleottocento euro al mese
(duemila nei periodi migliori) il prezzo delle regole tradite.
Giuseppe doveva essere chiamato per lavorare con la squadra quella
notte: «La telefonata non è mai arrivata, sapevo che volevano
aggregarmi a loro, sono vivo per questo – racconta con l'aria di chi
ha perso otto ore di lavoro e di aver vinto – in parallelo – una
vita alla roulette dei turni. Sospira: «Forse se fossi stato lì
avrei visto il treno e avrei potuto avvisare, ma se non se ne sono
accorti in cinque magari sarei morto pure io».
La prassi di scendere in anticipo sui binari al centro
dell'inchiesta della procura di Ivrea è, nelle sue parole, amara
certezza, sinistra conferma: «Era già capitato molte volte». Motivo:
«Per andare a casa mezz'ora prima o per accelerare il tempo di
lavorazione. Nessuno di noi si è mai rifiutato di farlo, ma è
arrivato il momento di dire basta». Racconta, Cisternino, che sulla
linea dell'Alta Velocità – su cui transitano Frecciarossa e Italo –
lavoravano a cinque centimetri dai convogli: «Una cosa del genere
non si può fare più».
Dice che più volte i tecnici di Rfi, così come lo era Antonio Massa
principale indagato e addetto alla scorta del cantiere,
abbandonavano i binari a operazioni in corso: «Avrebbero dovuto
essere i primi ad arrivare e gli ultimi ad abbandonarlo e invece se
ne andavano sui furgoni lasciando gli operai da soli». E alla
domanda del giornalista del Tg1 se è consapevole delle possibili
ripercussioni che potrebbe subire sul lavoro, replica con l'audacia
dei ventenni. «A dicembre mi scade il contratto, non voglio più
tornare a lavorare in quell'azienda. Non è la mia strada, l'ho
capito dopo questa tragedia».
C'è ancora la storia del secondo sopravvissuto Francisco Martinez:
«Quattro mesi fa a Chivasso ho rischiato di morire come Kevin. Se un
collega non mi avesse afferrato per la maglietta tirandomi via dal
treno non sarei qui a raccontare». C'è chi ha visto quanto accaduto
e ha taciuto: «Il capocantiere si è accorto di tutto, ma non ha
segnalato nulla in ditta». Mette le mani avanti: «Con Kevin siamo
cresciuti insieme». Racconta: «Voglio lasciare questo lavoro, non me
la sento di mettere i piedi sui binari e ricordare che lui è morto».
Torna, nel suo racconto, la presunta prassi dei lavori in anticipo,
iniziati senza avere ancora l'interruzione di linea: «Ci mandavano a
fare i buchi e quelle che noi chiamiamo, nell'ambiente, preparazioni
cosi aumentavamo la mole complessiva di lavoro».
Operazioni preliminari come quelle che le cinque vittime del
disastro stavano eseguendo sul binario di Brandizzo una settimana fa
prima di essere investiti da un treno di convogli vuoti. Tutti,
anche gli operai, erano consapevoli dei rischi. Non tutti, però,
erano rimasti zitti: «Qualche volta dicevo che non intendevo
lavorare in quelle condizioni, che non c'era sicurezza, ma alla fine
mi sono guadagnato il nomignolo di "peperoncino". Finivo per
discutere col capocantiere. Insomma: davano la colpa a me che volevo
rispettare le regole».
Sui tecnici Rfi preposti alla scorta è lapidario: «Ci dicevano di
salire prima di avere l'interruzione, ma non solo Massa (l'indagato
di Rfi), molti altri lo facevano. E salivamo tutti (sulla
massicciata) perché ognuno voleva portare a casa lo stipendio. Chi
ha figli, debiti, mutui, ma anche soltanto sogni come noi, lo faceva
per questo».
L'urgenza adesso è «giustizia per Kevin». I colleghi-amici la
invocano con fermezza. «Avremmo potuto morire noi, sono morti loro
trattati come numeri, mandati a lavorare sulle rotaie come fossero
ad un parco giochi. Giustizia, solo questo. Tutti quelli che hanno
sbagliato devono pagare».
BUSINESS DI STATO PER GUADAGNI PRIVATI : TEST D'INGRESSO : Se
ci sono state irregolarità sui test di accesso alle facoltà di
medicina «le responsabilità saranno chiare», ma allo stato non
risultano anomalie. Anna Maria Bernini apre un'indagine sul presunto
commercio delle domande dei quiz, che sarebbero state vendute su
Telegram per pochi euro. La ministra dell'Università convoca i
rettori, promette di fare luce sulla vicenda e - a fine giornata -
rassicura: «Abbiamo subito avviato un'indagine, abbiamo convocato i
rettori e abbiamo convocato il Consorzio Cisia che gestisce i test
di medicina. Proprio adesso ho visto che è uscito un comunicato del
Consorzio in cui assicurano - come hanno comunicato anche a noi -
che non sono state violate le banche dati e che i test sono avvenuti
in maniera regolare». Insomma, Bernini sembra chiudere il caso dopo
poche ore, «per quanto ci riguarda la vicenda è certificata», anche
se aggiunge: «Però terremo sempre molto molto alta la guardia.
Quello che dobbiamo garantire è la serenità degli studenti e dare
loro la certezza di cominciare l'anno accademico in maniera
efficiente. Senza avere incertezze sul loro status di studente».
Poche ore prima, quando tutti i giornali parlavano delle presunte
"fughe" di notizie sulle domande dei test, i toni erano stati
diversi. «Le indiscrezioni su possibili abusi durante lo svolgimento
dei nuovi test per l'accesso a Medicina devono essere subito
chiarite», diceva Bernini in mattinata. «A tutela di tutti gli
studenti coinvolti ho immediatamente convocato la Conferenza dei
rettori e il consorzio Cisia che materialmente si occupa dei Tolc (i
test di valutazione, ndr). Uno strumento alla sua prima prova e che
se non funziona va cambiato. Intendo rassicurare tutti i ragazzi: le
verifiche sono in corso, se ci sono state illiceità le
responsabilità saranno chiare. Se i Tolc sono da cambiare, lo
faremo».
Nel pomeriggio, però, arriva appunto il comunicato del consorzio
Cisia: «Tutto si è svolto nella massima regolarità ed efficienza»,
viene assicurato. «Ci supportano i primi dati statistici: i punteggi
di aprile e luglio differiscono per una frazione di punto. Se vi
fosse stato accesso preventivo e generalizzato alla banca dati dei
quesiti i risultati tra primo e secondo periodo ne sarebbero stati
fortemente influenzati. L'analisi dei punteggi conferma invece il
contrario». Bernini prende atto, anche se sui Tolc ribadisce qualche
dubbio: «Abbiamo ereditato i Tolc che stanno dimostrando adesso se
sono efficaci o meno. Al netto di questa cosa noi dobbiamo sempre
vigilare. I rettori, il Mur devono controllare se i Tolc funzionano
e se non funzionano dovremo cambiarli».
UNA REALTA' DIMOSTRATA : Antonio Veneziano ha confermato ai pm la
prassi di lavorare senza autorizzazione: "Ci buttavamo fuori dai
binari quando passava il treno"
"
La rabbia dell'ex dipendente della Si.gi.fer "Devono andare in
galera, la ditta va chiusa"
«Devono andare in galera e l'azienda deve chiudere». A parlare così
è Antonio Veneziano, accusando la Si. Gi. Fer., la ditta dove ha
lavorato fino a poco tempo fa e dove lavoravano i cinque operai
morti la notte tra mercoledì 30 e giovedì 31 agosto travolti dal
treno lungo il binario 1 nei pressi della stazione a Brandizzo. Ieri
all'uscita da palazzo di Giustizia a Ivrea, dove è stato ascoltato
per oltre cinque ore come persona informata sui fatti dai magistrati
eporediesi Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, Veneziano è apparso
provato. Ha sempre detto di voler raccontare la verità.
Antonio Veneziano è un passionario ed è il più arrabbiato perché gli
operai morti erano suoi ex colleghi. Ma prima di tutto erano amici.
Ai magistrati, e alla polizia giudiziaria, Veneziano ha raccontato
come funzionava il lavoro alla Si. Gi. Fer di Borgo Vercelli e ha
confermato che lavorare lungo le linee ancora aperte e senza
autorizzazionefosse già capitato molto altre volte.
«Tutte le volte che lavoravo lì andavo sul binario per affrettare il
lavoro perché c'era l'interruzione, magari per un ritardo del treno
o perché passava in anticipo. Entravamo dentro per fare i buchi per
andare avanti con il lavoro». Un esempio? «In un'occasione è
capitato che ci fosse una regolazione (un restringimento del
binario, ndr) di cinquecento metri e allora entravamo dentro i
binari, svitavamo i chiavardini (i bulloni che tengono avvitate le
rotaie, ndr) dopodiché ci buttavamo fuori al passaggio di un
convoglio. Eravamo in sei-sette e c'era chi guardava le spalle».
Ad accompagnare Veneziano dai magistrati c'era Marco Buccino, anche
lui ex dipendente dell'azienda di Borgo Vercelli, già ascoltato il
giorno prima dai magistrati. «Ci mandano sui binari come se fosse un
parco giochi. Siamo solo dei numeri» hanno confidato alcuni
lavoratori, che non sono ancora stati ascoltati dai magistrati. Una
consuetudine, dunque. Solo che nell'area verde non circolano i treni
e non si rischia la vita.
Intanto si allarga l'inchiesta della procura che vuole accertare
anche eventuali carenze nelle procedure sulla sicurezza. Anche le
più banali. I magistrati hanno acceso un faro anche su altri lavori
commissionati lungo la rete ferroviaria della regione e nei giorni
scorsi la polizia giudiziaria ha acquisito tutta la documentazione
degli ultimi mesi. Documenti custoditi alla stazione Lingotto a
Torino sede del Posto Centrale di controllo della circolazione
ferroviaria. Accertamenti necessari per verificare se anche in altre
occasioni gli operai hanno rischiato la vita.
C'è poi un'altra pagina triste in questa già tremenda tragedia. A
Brandizzo, comune dove risiedeva Giuseppe Sorvillo, 43 anni, una
delle cinque vittime, è allarme sciacalli. Da giorni vengono
segnalate persone che bussano alle vetrine dei negozi o alle porte
delle case per chiedere soldi destinati a inesistenti raccolte fondi
in favore della famiglia Sorvillo. «Anche nei momenti più tragici,
non mancano gli sciacalli e i truffatori» mette in guardia il
sindaco Paolo Bodoni che avverte: «Nessuno del Comune o
dell'associazione "Una Finestra su Brandizzo" passa a chiedere soldi
al domicilio per la famiglia del nostro concittadino tragicamente
scomparso. Se qualcuno suona il campanello e vi chiede soldi,
chiamate il 112 o avvisate il comando di polizia locale». —
VERTICI RFI DA INDAGARE SUBITO: Faro della commissione
parlamentare sulla gestione di Rfi dei subappalti
Prima un sopralluogo alla stazione di Brandizzo con i rappresentanti
di Rfi e il vicario del Prefetto di Torino, Michele Lastella. Poi un
incontro informale nella sede del Comune di Brandizzo con il vicario
del prefetto, il sindaco Paolo Bodoni e i sindacati di categoria di
Cgil, Cisl, Uil e Ugl.
La commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro,
sullo sfruttamento e sulla tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro pubblici e privati arriva oggi a Torino per provare
a fare luce sulla tragedia di una settimana fa. La commissione è
presieduta dalla deputata Chiara Gribaudo, vicepresidente del Pd.
Nei giorni scorsi era stato il presidente della stessa commissione,
ma al Senato, Tino Magni, parlamentare di Alleanza Sinistra Verdi a
effettuare - accompagnato da alcuni dirigenti locali del partito -
un sopralluogo a Brandizzo. Ora arrivano i colleghi della Camera ma
in una veste più ufficiale e soprattutto insieme con i
rappresentanti dell'azienda responsabile della rete ferroviaria e
poi a confronto con i sindacati.
L'audizione di lunedì alla Camera delle Commissioni riunite
Trasporti e Lavoro, durante la quale sono stati ascoltati l'ad di
Rfi Gianpiero Strisciuglio e i sindacati, non è bastata a chiarire i
dubbi dei parlamentari su protocolli e subappalti. Ecco, anche il
motivo, del sopralluogo di oggi cui dovrebbero partecipare i membri
della commissione, tra cui i segretari Davide Bellomo della Lega e
Francesco Mari (Alleanza Verdi e Sinistra). «Il giorno dopo la
tragica vicenda, quando il presidente della Repubblica si è recato
sul posto, ha stonato l'assenza dei vertici di Rfi - evidenzia
Gribaudo -. È un fatto grave perché non ricordo che sia mai
accaduto. Quello però che ci interessa è capire come controlla Rfi
gli standard degli appalti e quante sono le risorse che il gruppo ha
intenzione di investire sul tema della sicurezza. Su questo ho
trovato la relazione dell'ad insufficiente.
DIA STRUMENTI INEFFICACI PERCHE' ? Le ultime rilevanti
operazioni contro la ‘ndrangheta calabrese in Piemonte e in
particolare nel Torinese hanno "azzoppato" personaggi che per
decenni hanno gestito il narcotraffico internazionale delle cosche
calabresi nel nord Ovest, da sempre ventre molle italiano delle
rotte di droga. Ma la ‘ndrangheta ha sempre assi nella manica. E ai
broker fin qui arrestati (per citare i più rinomati Nicola e Patrick
Assisi e Vincenzo Pasquino), ne ha affiancati molti altri. Un
ricambio continuo per alimentare il segmento del business più
redditizio delle ‘ndrine che da solo vale il 70% del Pil mafioso:
gli stupefacenti. Ed è cosi che al termine di un'operazione che ha
coinvolto diversi organi investigativi internazionali, la Dia di
Torino – insieme a del Dipartimento Investigativo Nazionale di SON
della Polizia nazionale olandese – ha scovato e arrestato un uomo
che ha tutta l'aria di essere uno dei broker della malavita. Si
chiama Pietro Spitale, origini italiane, da anni domiciliato
all'estero. Deve scontare 7 anni per una condanna definitiva
dell'autorità giudiziaria belga ed è stato rintracciato ad Herleen
in Olanda al termine di una lunga indagine di analisi degli uomini
del neo-capocentro Tommaso Pastore. Tradito da alcune chat criptate
dei telefoni Sky Ecc "bucate" da polizie straniere" a disvelate
minuziosamente dagli uomini della Dia di Torino con un articolato
lavoro di analisi. L'investigazione e l'Action Day sono state svolte
con il fondamentale supporto di Eurojust ed Europol, utilizzando gli
strumenti della Rete @ON finanziata dall'UE
(Progetto ISF4@ON), di cui la Direzione Investigativa Antimafia è
"Project Leader". Dalla direzione distrettuale antimafia di Torino
(pm Valerio Longi), Spitale è indagato per associazione a delinquere
finalizzato al narcotraffico internazionale. Sarebbe in contatto con
famiglie di alto lignaggio mafioso di San Luca. In casa sua, sotto
un pollaio a sua volta coibentato da una soletta in cemento, gli
investigatori hanno trovato 4 fusti al cui interno è stata trovata
sostanza da taglio per confezionare panetti di droga. In casa, gli
investigatori hanno trovato documenti contabili relativi alla
organizzazione criminale nonché documenti di identità italiani e
belgi, con apposte le fotografie dell'arrestato, ma intestati ad
altre persone.
Il dottor Rand Paul chiede risposte sulle truppe statunitensi
schierate in Niger durante il colpo di stato militare
Recentemente, ho inviato una lettera al Segretario alla Difesa Lloyd
Austin chiedendo risposte riguardo alle truppe statunitensi
dispiegate in Niger e agli ulteriori pericoli che gli oltre 1.000
militari di stanza lì affrontano nel caso di un colpo di stato
militare.
Il Congresso non ha mai votato per autorizzare le operazioni di
combattimento statunitensi in Niger. La tragica morte di quattro
soldati statunitensi – il sergente maggiore Bryan Black, il sergente
maggiore Jeremiah Johnson, il sergente La David Johnson e il
sergente maggiore Dustin Wright – avrebbe dovuto fungere da
catalizzatore per porre fine alle nostre operazioni lì.
Potete leggere la lettera completa al Segretario Austin QUI .
Tuttavia, l’amministrazione Biden continua a citare l’autorizzazione
all’uso della forza militare dell’11 settembre (AUMF), che è stata
concepita appositamente per rendere giustizia a coloro che hanno
avuto un ruolo negli attacchi terroristici del 2001, per
giustificare la presenza di circa 1.016 soldati statunitensi nel
Niger.
Ho costantemente combattuto per restituire e mantenere i poteri di
guerra al Congresso come intendevano i nostri Padri Fondatori.
TESLA BRUCIA : Come se non bastasse la distruzione causata
dall'uragano Idalia, che nei giorni scorsi ha colpito la Florida,
gli sventurati abitanti dello Stato americano stanno accorgendosi
che, se possiedono una Tesla, devono iniziare a guardarla con
sospetto.
Stando a quanto riporta CBS News, infatti, già due Tesla hanno preso
fuoco dopo essere state sommerse a causa dell'uragano e senza che
apparentemente ci sia stata un'altra causa per lo scoppio delle
fiamme. Una, in particolare, stava semplicemente venendo trainata
dai pompieri che l'avevano recuperata da una zona allagata.
I due avvenimenti sono stati sufficienti affinché il Palm Harbor
Fire Department emanasse un avviso diretto a tutti i possessori di
veicoli elettrici: costoro dovranno rimuovere le loro auto dai
garage, e parcheggiarle lontano dalle abitazioni, se sono venute in
contatto con acqua salata.
I vigili del fuoco di Palm Harbor spiegano infatti hce l'interazione
tra l'acqua dell'oceano e le batterie agli ioni di litio può causare
l'insorgere di fiamme: è pertanto necessario spostare in luogo
sicuro tutti i veicoli elettrici, dalle auto ai monopattini fino
alle biciclette.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=30004
07.09.23
LA ZAVORRA CHE CI AFFOGHERA' GRAZIE A CONTE E GRILLO:
I tagli al Superbonus e i nodi della misura bandiera dei 5 Stelle
dopo Covid restano sotto i riflettori. Così come i costi per le
casse dello Stato è accesa.
Tuttavia, nonostante le polemiche la corsa per fare ricorso
all'incentivo continua. E lo confermano i dati diffusi ieri mattina
dell'Enea: al 31 agosto 2023 gli investimenti ammessi a detrazione
per il Superbonus al 110% sono saliti di due miliardi a quota 85
miliardi (erano 82,996 miliardi di euro a fine luglio), su un totale
di investimenti (comprese le somme non ammesse a detrazione) di
86,346 miliardi (a luglio questo dato corrispondeva a 84,326
miliardi).
Le detrazioni maturate per i lavori conclusi sono arrivate, secondo
l'analisi, a 76,138 (erano 74,215 miliardi a luglio), su un totale
di investimenti per lavori conclusi ammessi a detrazione di 69,601
(contro i 67,854 miliardi di luglio). Sul tavolo del governo c'è un
corposo dossier. Fatto di numeri preoccupanti per i conti pubblici.
Ma anche di un pressing che si intensifica per tutelare i tanti
condomini che non riusciranno a completare i lavori entro l'anno.
Uno scenario che si intreccia con il lavoro in corso sulla manovra,
già reso difficile dal sentiero stretto delle risorse e con la spada
di Damocle del negoziato sul nuovo Patto di stabilità. Il tutto
condito dalla polemica politica, con lo scontro ormai aperto tra
l'esecutivo che ha da un po' ha messo nel mirino la misura bandiera
del M5s e il leader del Movimento Giuseppe Conte che evidenzia le
contraddizioni della maggioranza («Fdi e Lega nel 2022 chiedevano la
proroga») e avverte il governo: basta «slogan» e «propaganda»
ITALIA PAESE DALLE RISORSE SPRECATE DA SALVINI , CONTE D'ALEMA :
Arriva un altro allarme sull'Italia. Il monito è sull'attuazione del
Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). E a lanciarlo è
ancora il Financial Times. È il sesto in poche settimane, dopo Ft,
The Economist, Bloomberg e Cnbc. «L'Italia rischia di sprecare la
sua liquidità inaspettata», evidenzia la direzione del quotidiano
britannico. Il quale invita, o meglio esorta, il governo italiano a
lavorare con la Commissione Ue per «adattare i piani di spesa». Il
rischio, viene sottolineato, è la perdita dei 191,5 miliardi di euro
del Recovery. Opzione non contemplabile, considerati i conti
pubblici italiani.
Che la situazione intorno al Pnrr sia difficile, è noto da mesi. Ma
ora inizia a far intimorire anche gli investitori internazionali. Il
ministro degli Affari Ue, Raffaele Fitto, sottolinea che «a ottobre
arriverò la terza rata del Pnrr, mentre sulla quarta la Ue deciderà
il 19 settembre». Roma, dice il Ft, ha «bisogno del Pnrr per
risollevare le proprie sorti, ma utilizzare in modo efficace il
Recovery porterebbe almeno un passo avanti verso l'uscita dal suo
malessere decennale di bassa crescita. Se si spreca questo
pacchetto, è difficile vedere il Paese uscire dalla sua crisi
economica in tempi brevi». L'Italia, viene rimarcato, «ha
costantemente speso poco e non è riuscita a fare buon uso dei fondi
Ue». Il punto della testata londinese è tanto semplice quanto
efficace. «Inizialmente l'Italia avrebbe dovuto spendere poco più di
40 miliardi di euro entro la fine del 2022: secondo Capital
Economics, ne ha gestiti meno del 60%», si evidenzia.
I motivi dei ritardi sono noti. «Problemi gestionali, costi elevati
e carenza di lavoratori e materiali», oltre alla caduta del governo
Draghi, hanno provocato un impasse che rischia di far deragliare
l'intero progetto. «La prima ministra Giorgia Meloni e i suoi
alleati affermano che il piano ereditato da Draghi era difettoso.
C'è del vero in questo. Assorbire fondi pari al 10% del Pil in
cinque anni era destinato ad essere un compito arduo», viene fatto
notare. Definendo «improbabile» una proroga, per il Ft «la revisione
del Piano ha più senso». E se è considerato come «sensato» il
proposito di «reindirizzare i fondi verso le infrastrutture
energetiche e i crediti d'imposta verdi per imprese e famiglie», c'è
un altro problema. Vale a dire che «sarebbe un errore rimangiarsi»
le promesse di riforme strutturali.
Infine, la stoccata. Tanto a Roma quanto a Bruxelles. «La perdurante
incapacità dell'Italia di spendere ed elaborare i fondi europei
deriva da molte delle sfide che le riforme cercano di affrontare»,
scrive la direzione del Ft. Tuttavia, «allo stato attuale, la
formulazione approssimativa delle misure previste ha portato alcuni
a dubitare che molto cambierà». Per il quotidiano comunque «l'Italia
è un indicatore per giudicare il successo del programma dell'Ue». Ed
è per tale ragione che «è nell'interesse di Bruxelles rielaborare il
piano con Roma». Specie perché dal destino del Pnrr ne va parte
della credibilità europea sui mercati internazionali. Punto che non
deve essere dimenticato da Roma, ma che non può nemmeno
rappresentare un capro espiatorio per evitare di correre con
l'attuazione del Recovery.
MELONI NON SA GUIDARE E DRAGHI HA ESAURITO IL SUO CREDITO PERSONALE
EUROPEO: Un'unione monetaria può sopravvivere senza un'unione
fiscale? Questa è la domanda che ha accompagnato l'area dell'euro
fin dalla sua creazione. Poiché fin dal suo concepimento ha impedito
trasferimenti fiscali, l'unione monetaria è stata considerata da
molti economisti destinata al fallimento, prima ancora di essere
lanciata. È sopravvissuta a una crisi esistenziale, tra il 2010 e il
2012, soltanto grazie a soluzioni di ripiego e ancora oggi non si
avvicina a dare una risposta a quell'interrogativo.
Eppure, paradossalmente, le prospettive di un'unione fiscale nella
zona euro stanno migliorando – perché la natura dell'integrazione
fiscale necessaria sta cambiando. In genere, l'unione fiscale viene
vista come un trasferimento dalle regioni più prospere a quelle che
stanno vivendo recessioni economiche, e in Europa resta forte
l'opposizione dell'opinione pubblica alla possibilità che i Paesi
più forti sostengano i più deboli. Questo tipo di politica di
"stabilizzazione" federale è diventata in ogni caso meno rilevante.
La zona euro si è evoluta in due modi che stanno spianando la strada
a un'unione fiscale diversa e potenzialmente più accettabile.
Il primo: dal 2012, la Banca centrale europea ha messo a punto
strumenti politici atti ad arginare l'indesiderata divergenza tra
gli oneri finanziari dei Paesi più forti e dei più deboli e ha
dimostrato di volerli utilizzare. Questo ha permesso alle politiche
fiscali nazionali – che rivestono un ruolo fondamentale di
stabilizzazione nella zona euro – di stabilizzare il ciclo
economico. A sua volta, questo rende meno indispensabili i
trasferimenti di fondi da un Paese all'altro.
Secondo: l'Europa non sta più affrontando crisi provocate da
politiche inadeguate in determinati Paesi. Al contrario, deve
confrontarsi con choc comuni esterni come la pandemia, la crisi
energetica e la guerra in Ucraina. Questi choc sono troppo grandi
perché un Paese riesca a gestirli da solo. Di conseguenza, c'è meno
opposizione ad affrontarli attraverso un'azione fiscale comune.
La risposta dell'Europa alla pandemia è stata la presa d'atto di
questa nuova realtà: è stato istituito un fondo di 750 miliardi di
euro per aiutare gli stati membri dell'Ue ad affrontare la
transizione verde e la transizione digitale. Un prerequisito
politico fondamentale affinché una compagine fiscale dell'Ue si
sviluppi seguendo linee federali è che i Paesi che ricevono questi
fondi li usino in maniera efficace.
L'Europa deve ora affrontare una molteplicità di sfide
sovranazionali che richiederanno in un arco di tempo limitato
investimenti considerevoli, tra cui quelli per la difesa, la
transizione verde e la transizione digitale. Al momento, tuttavia,
l'Europa non dispone di una strategia federale per finanziarli e del
resto le politiche nazionali non possono farsene carico perché le
regole fiscali e le regole per gli aiuti di stato limitano la
capacità dei Paesi di agire in modo indipendente. Tutto ciò
contrasta fortemente quanto accade in America, dove per raggiungere
gli obiettivi nazionali l'amministrazione di Joe Biden sta
allineando spesa federale, cambiamenti normativi e incentivi
fiscali.
Se non si agisce, c'è il serio rischio che l'Europa non riesca a
centrare i suoi obiettivi climatici, a fornire la sicurezza che i
suoi cittadini chiedono, e che perda la sua industria a vantaggio
delle regioni che impongono meno vincoli. Per questo motivo, tornare
passivamente alle sue vecchie regole fiscali – sospese durante la
pandemia – sarebbe l'esito peggiore.
L'Europa si trova davanti due possibilità. La prima è allentare le
sue normative sugli aiuti di Stato, permettendo agli stati membri di
assumersi il pieno carico degli investimenti necessari. Tenuto
conto, tuttavia, che lo spazio fiscale nella zona euro non è
distribuito uniformemente, un approccio di questo tipo sarebbe in
sostanza oneroso. Le sfide comuni, come quella per il clima e la
difesa, sono semplici: o tutti i Paesi raggiungono il loro obiettivo
comune, oppure non lo raggiunge nessuno. Se alcuni Paesi possono
usare il loro spazio fiscale ma altri no, l'impatto che avranno
tutte le spese è inferiore, perché nessuno sarà in grado di arrivare
alla sicurezza climatica o militare.
La seconda opzione è quella di ridefinire il quadro fiscale dell'Ue
e il processo decisionale per renderli adeguati alle nostre sfide
condivise. La Commissione europea ha presentato una proposta di
nuove regole fiscali proprio quando – con l'ulteriore allargamento
dell'Ue previsto – è arrivato il momento giusto per prendere in
considerazione questi cambiamenti.
Le regole fiscali dovrebbero essere allo stesso tempo sia rigide,
per permettere che le finanze dei governi siano convincenti sul
medio termine, sia flessibili, per consentire ai governi di reagire
a choc inatteso. Quelle attuali non sono né l'una né l'altra, e
questo porta a politiche troppo accomodanti nei periodi di crescita
e troppo rigide in quelli di bassa congiuntura. La proposta della
Commissione europea farebbe molto per rimediare a una simile
prociclicità. Anche se messa in atto completamente non risolverebbe
del tutto il compromesso tra regole rigide – che per essere
credibili devono essere automatiche – e flessibilità.
Soltanto trasferendo maggiori poteri di spesa al centro sono
possibili regole più automatiche per gli stati membri. A grandi
linee, questo è quanto accade in America, dove accanto a un governo
federale potenziato si applicano regole fiscali inflessibili ai vari
stati, ai quali è vietato in maniera categorica fare deficit. Le
regole del pareggio di bilancio sono accettabili proprio perché a
livello federale ci si fa carico del grosso della spesa
discrezionale.
Qualora dovesse federalizzare parte delle spese d'investimento
indispensabili per perseguire gli obiettivi condivisi odierni,
l'Europa potrebbe arrivare a un equilibrio simile. La spesa e
l'indebitamento federali condurrebbero a una efficienza maggiore e a
uno spazio fiscale maggiore, poiché i costi aggregati di
indebitamento sarebbero inferiori. Le politiche fiscali nazionali
potrebbero a quel punto essere più mirate, concentrarsi sulla
riduzione del debito e sulla costituzione di riserve per i tempi
peggiori. Regole fiscali più automatiche diventerebbero quindi
praticabili.
Riforme di questo tipo implicherebbero di mettere in comune più
sovranità, e di conseguenza richiederebbero nuove forme di
rappresentanza e un processo decisionale centralizzato. Quando l'Ue
si allargherà per includere i Balcani e l'Ucraina, queste due agende
confluiranno in un tutt'uno in modo naturale. Noi dobbiamo evitare
di ripetere gli errori commessi in passato espandendo la nostra
periferia senza rafforzare il centro. In caso contrario, rischiamo
di indebolire la capacità dell'Ue di agire, invece di consolidarla.
Una capacità decisionale più centralizzata richiederà, a sua volta,
il consenso dei cittadini europei sotto forma di revisione dei
trattati dell'Ue, cosa che i policymaker europei si sono astenuti
dal fare dai tempi dei referendum falliti in Francia e nei Paesi
Bassi nel 2005. Oggi mentre ci avviciniamo alle elezioni europee del
2024, questa prospettiva appare irrealistica, perché molti cittadini
e molti governi sono contrari alla perdita di sovranità che una
riforma del trattato comporterebbe. Anche le alternative, tuttavia,
sono velleitarie.
Le strategie che hanno garantito in passato la prosperità e la
sicurezza dell'Europa – fare affidamento sull'America per la
sicurezza, sulla Cina per le esportazioni e sulla Russia per
l'energia – sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili.
In questo nuovo mondo, la paralisi è chiaramente intollerabile per i
cittadini, mentre la drastica opzione di uscire dell'Ue ha dato
risultati contrastanti. La creazione di un'unione più forte si
rivelerà l'unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità
tanto desiderate dai cittadini europei.
SEPOLCRI
IMBIANCATI : Quegli operai sui
binari, al lavoro nonostante il passaggio dei convogli, non
sarebbero un caso isolato ma una sorta di prassi, non scritta, sulla
scia del "tanto cosa vuoi che succeda". Sottovalutare il rischio
perché è più facile, più veloce e chissà, forse pure meno costoso. E
ora l'inchiesta per la tragedia di Brandizzo, a quindici chilometri
da Torino, potrebbe allargarsi a chi in Si.gi.fer, la ditta di Borgo
Vercelli di cui facevano parte i cinque uomini travolti dal treno la
notte del 30 agosto, regola e coordina la formazione, la sicurezza e
così via.
I magistrati hanno iscritto nel registro degli indagati due persone:
Antonio Massa, l'addetto di Rfi responsabile del cantiere, colui che
doveva vigilare sulla squadra al lavoro e autorizzarla ad andare sui
binari; e Andrea Girardin Gibin, il caposquadra della Si.gi.fer. Ma
ora i pm coordinati dalla procuratrice capo Gabriella Viglione
intendono approfondire i criteri e le modalità di formazione del
personale dell'azienda vercellese. Non solo. Al centro delle
indagini ci sono anche le singole procedure legate alla sicurezza
che l'azienda dovrebbe garantire. Perché in troppi raccontano che
quel modo di lavorare non era sicuro. E soprattutto era ricorrente:
in svariate altre occasioni gli operai avrebbero iniziato a lavorare
sui binari prima dell'autorizzazione. Un conto erano le procedure un
altro la prassi.
Per quella trascuratezza Kevin Laganà, Micheal Zanera, Saverio
Giuseppe Lombardo, Giuseppe Aversa e Giuseppe Sorvillo sono morti.
Gli altri colleghi? Dei sopravvissuti, così verrebbe da dire. E
l'hanno raccontato agli inquirenti della procura di Ivrea i numerosi
testimoni ascoltati negli ultimi tre giorni. Ieri, davanti ai
pubblici ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi, sono stati
sentiti Antonino Laganà e Marco Buccino. Il primo è il fratello di
Kevin, la vittima più giovane della strage di Brandizzo. Il secondo
è il cugino. Entrambi hanno lavorato alla Si.gi.fer e conoscono bene
quel modo di lavorare, di fretta, con tempi teorici che quasi mai
collimano con quelli reali. Con le comunicazioni affidate unicamente
ai cellulari.
La frase pronunciata da Antonino, all'uscita dalla procura, riassume
un po' tutto questo. «Mio fratello, con quel video, si è fatto
auto-giustizia». Ai magistrati avrebbe aggiunto: «Ha fatto giustizia
anche per noi». Una sorta di riflessione che suonerebbe in sostanza
così: «Abbiamo rischiato la vita pure noi, tante volte, senza
saperlo».
A quel filmato di sei minuti e 48 secondi girato da Kevin per
intrattenere i colleghi e gli amici sui social, Antonino dà un nuovo
senso. Ben più profondo. «Quel video parla», dice. Poco prima della
tragedia, la squadra dei manutentori è al lavoro. E si sente una
voce fuori campo, quella di Antonio Massa, il funzionario di
raccordo tra il gestore dell'infrastruttura ferroviaria e la squadra
di operai: «Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Va
bene?». Ecco l'atto d'accusa lanciato da chi non può più parlare.
Ecco il video che racconta quella notte. E che, stando a diverse
testimonianze, ne racconterebbe anche tante altre.
Resta cauto l'avvocato Enrico Calabrese, che rappresenta la famiglia
Laganà: «Dal filmato ci è sembrato di poter desumere una certa
abitudinarietà in questo tipo di condotte». E aggiunge: «Attendiamo
il prosieguo delle indagini. Andiamo avanti un passo alla volta. Il
primo obiettivo adesso è dare degna sepoltura a Kevin». Il nulla
osta della procura arriverà solo quando ai corpi straziati sarà dato
un nome e per questo gli inquirenti stanno facendo raccogliere ogni
elemento utile per il riconoscimento.
Dolore e ricerca di chiarimenti si intrecciano. Il vice premier e
ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini definisce l'incidente
«al di fuori di ogni regola, di ogni logica, di ogni buon senso. Non
si lavora sui binari se ci sono treni in movimento – osserva – Ci
sono leggi ferree, protocolli. La morte di queste cinque persone non
può restare impunita».
Salvini va oltre e annuncia di aver chiesto a Rfi provvedimenti
contro i responsabili: «Chiederò che se a nome del pubblico qualcuno
ha sbagliato paghi. Non faccio il magistrato, c'è una inchiesta in
corso però il licenziamento non può essere solo nel settore privato.
Se verrà confermato quello che sta emergendo, che è al di fuori di
ogni regola e logica, chiederò all'azienda competente di prendere
evidenti provvedimenti».
LUI SAPEVA MA TACEVA : FRANCO SIRIANNI
Il titolare della Sigifer: " Non si può descrivere quel che ho visto
sui binari"
"
"Rfi non doveva approvare quel lavoro ho la coscienza a posto, ma
non ho pace"
Niccolò Zancan
inviato a Borgo Vercelli
Eccolo, finalmente. Ha una croce d'oro al collo. E gli occhi
liquidi, che si sciolgono alla prima parola. «Basta! Sono stremato.
Non ne posso più di sentire chi mi accusa di non pensare alle
famiglie degli operai morti. Io li ho visti: ero su quel binario
venticinque minuti dopo il passaggio del treno. Non doveva
succedere, nessuno doveva autorizzare quel lavoro. Un lavoro banale,
che poteva anche essere rimandato senza penali per l'azienda. E
rimandato, anche, senza problemi per gli stipendi degli operai.
Questa è un'altra menzogna che ho sentito: il turno viene sempre
pagato. Lavoro fatto o non fatto. Per noi la sicurezza è sempre
stata la cosa più importante».
Franco Sirianni è il titolare della «Si.Gi.Fer Armamenti Ferroviari»
di Borgo Vercelli. Erano alle sue dipendenze i cinque manutentori
travolti dal treno all'altezza della stazione di Brandizzo. Non
aveva mai accettato di parlare, nonostante giorni di insistenze.
«Perché prima aspettavo di essere convocato in procura. Ma adesso
non ce la faccio più, in giro ci sono troppi sciacalli. Ho sentito
dire troppe cose sbagliate». E allora, un po' per stanchezza e un
po' per esasperazione, questa è la versione del padrone. È sua la
ditta che aveva vinto il subappalto per quel lavoro di manutenzione
ferroviaria.
Signor Sirianni, la sera del 30 agosto quando ha saputo
dell'incidente?
«Stavo dormendo. La prima telefonata non l'ho sentita, mi sono
svegliato di soprassalto alla seconda. Era il direttore tecnico
Christian Geraci. Si trovava in zona, era accorso. Diceva parole
come "morti", "incidente", "strage". Nella mia testa suonavano come
parole impossibili. Sono arrivato dopo pochi minuti e ho visto con i
miei occhi».
Cosa ha visto?
«Ero sul binario. Non si può riferire la scena. Pensavo a Giuseppe
Lombardo, il mio amico e collega. Per trent'anni siamo andati
insieme nei cantieri delle ferrovie».
Non aveva sentito nessun altro?
«Mentre ero in auto, mi ha chiamato Andrea Gibin, il nostro capo
squadra. Ma era così sconvolto che diceva frasi incomprensibili.
Quando sono arrivato sul posto ho capito il perché».
È stato criticato per non aver avvisato le famiglie. È vero?
«Dopo venti minuti, ho parlato con il fratello di Kevin Laganà.
Quando è arrivata la polizia, cercavano i cartellini aziendali per
l'identificazione, ma non li trovavano per ovvie ragioni. Abbiamo
dato gli screenshot delle patenti e delle carte di identità. Gli
agenti mi hanno detto che volevano essere loro a avvisare i
famigliari. Allora mi sono fatto da parte».
Era una prassi andare sui binari senza l'autorizzazione?
«Assolutamente no, non dovevano essere lì. La scorta di Rfi non
doveva fare iniziare i lavori senza la linea libera. Le regole sono
chiare. Per noi la sicurezza è sempre stata al primo posto. I
ragazzi lo sapevano. Non volevamo neanche che usassero i cellulari
durante gli interventi».
Ha visto il video girato da Kevin Laganà, proprio con il suo
telefono, prima della strage?
«Non ce l'ho fatta. Ho iniziato a piangere dopo pochi secondi. Non
riesco a guardarlo. Non ce la faccio proprio. Lo dicevamo
chiaramente: durante il lavoro niente telefono. Ma chi ha visto
tutto il video, mi ha spiegato che è un documento importante per le
indagini».
Era una squadra preparata per quel tipo di lavoro?
«Certo. Il caposquadra Andrea Gibin è un saldatore da molti anni. Da
poco tempo era diventato saldatore anche Michael Zanera. Entrambi
hanno fatto dei corsi con Rfi per ottenere quel brevetto. Se non
fossero stati giudicati all'altezza, non avrebbero ottenuto la
qualifica».
E gli altri?
«Operai semplici. Ma per usare il forcone nei sassi della
massicciata basta essere degli operai. E loro erano bravissimi
operai».
Perché ha detto che era un lavoro banale?
«Mi spiego meglio. Nessun lavoro è mai banale. Ma non era di
eccezionale difficoltà. Era un lavoro da un'ora e mezza. Il binario,
in quel tratto, era danneggiato. Non era un punto con uno scambio,
dove servono più squadre. Era un lavoro ordinario. Ma se avessero
finito in due o in quattro ore, per me non sarebbe cambiato niente:
Lo ripeto: la paga è sempre la stessa».
Il lavoro poteva essere bloccato?
«Certo. Bastava che la scorta di RfI compilasse un modulo su cui
c'era scritto che quella sera era impossibile lavorare».
Avete chiamato le famiglie delle vittime in questi giorni?
«È complicato. Ci sono giornalisti appostati ovunque. Sono andato a
casa di una famiglia soltanto, non dirò quale. Ma certo vorrei
parlare con tutte».
State pensando a un sostegno economico?
«Su questo preferisco tacere. Perché qualsiasi cosa dicessi,
verrebbe subito strumentalizzata».
Suo padre, Sirianni Giovanni, è inciso nel nome dell'azienda. Siete
una famiglia di ferrovieri?
«Sì, è così. Anche io sono un ferroviere. Sono andato nei cantieri
per trent'anni, prima di diventare il titolare della Si.Gi.Fer.
Questi sono i giorni più brutti di sempre. Non posso avere pace, ma
so di avere la coscienza a posto».
5 MORTI Morti per 750 euro
Quella notte nei pressi della stazione di Brandizzo andavano
sistemati sette metri di binario. Un lavoretto da poco, un paio
d'ore circa. Per il tipo di lavorazione previsto, la ditta
incaricata incassa 50 euro al metro. A cui vanno aggiunte 200 euro a
saldatura e in quel caso sarebbero dovute essere due. Facile fare il
calcolo: 750 euro. Questo dovrebbe essere il valore dei lavori
affidati alla Si.gi.fer. Il materiale lo mette Rfi mentre la paga
oraria di un operaio comune è di 25 euro lordi all'ora. Un incarico
piccolo, inserito invece nell'ambito di commesse di ben altro
importo (circa 260 milioni) vinte dalla Clf (Costruzioni linee
ferroviarie). Ed è stato proprio questo grande gruppo (che fa parte
della multinazionale olandese Strukton Rail, 6.500 dipendenti ed un
fatturato di circa 1,9 miliardi di euro) ad affidare alla Si.gi.fer.
l'incarico. L'azienda di Borgo Vercelli era inserita nella "white
list" dei fornitori. «La Clf gli affidava spesso le manutenzioni di
livello più basso, quelle che avevano un margine di guadagno
ridotto», si racconta nell'ambiente dell'edilizia.
Il condizionale è d'obbligo perché in questa storia è difficile
trovare conferme ufficiali. Ma la ricostruzione che arriva dai
sindacati è questa. D'altronde lunedì l'ad di Rfi, Gianpiero
Strisciuglio, in audizione presso le commissioni Trasporti e Lavoro
della Camera, si è limitato a ribadire più volte che «non possiamo
entrare nel merito di aspetti in corso di accertamento da parte
dell'autorità competente». E che: «Si trattava di un subappalto che,
conformemente alla normativa vigente, è stato autorizzato da Rfi
previa positiva verifica dei requisiti generali, tecnici ed
organizzativi. L'impresa è iscritta nel nostro sistema di
qualificazione quindi il sistema di regole si estende sia
all'appaltatore che al subappaltatore».
E la ricostruzione dei sindacati procede con altri dettagli che
svelano quanto i protocolli non sempre vengano rispettati. Le
lavorazioni programmate vengono inserite, due mesi prima, nei piani
di attività in cui si programmano le lavorazioni necessarie.
Si deve specificare tutto: se si tratta di un lavoro svolto
internamente da manutentori di Rfi o in appalto, dalle persone che
prenderanno parte al cantiere, alle professionalità richieste, al
tempo necessario per effettuarla. Per questo di parla di
interruzione programmata della circolazione ferroviaria sui binari:
nella finestra oraria richiesta si sa due mesi prima che i treni non
possono passare. Quella di Brandizzo, però, non era una lavorazione
programmata. Secondo la ricostruzione dei sindacati che si occupano
di trasporti la squadra di operai della Si.gi.fer. quella notte
doveva fare una manutenzione in un altro punto della rete
ferroviaria torinese (non è chiaro se Orbassano o Lingotto).
L'incarico però è saltato e per non far perdere alla ditta la notte
di lavoro gli operai sono stati dirottati a Brandizzo. Doveva essere
un lavoretto di un paio d'ore, appunto. Necessario perché sarebbe
stata rilevata un'anomalia. In questi casi Rfi ha venti giorni di
tempo dal momento in cui viene appurata la necessità per richiedere
l'intervento. E si procede, quindi, senza la possibilità di inserire
l'operazione nei programmi concordati. «Si fa extra piano di
attività e non si parla di interruzione programmata ma di
interruzione tecnica della circolazione. Per questo il capo scorta
deve chiedere di farlo quando c'è la possibilità e per questo gli
vengono fornite delle finestre temporali», spiegano i sindacati.
Quindi si corre, gli operai devono fare in fretta: le finestre
temporali non bastano mai.
Dovrebbe invece essere chiusa la questione del certificato di
sicurezza della Si.gi.fer. che sembrava essere scaduto il 28 luglio,
quindi un mese prima dell'incidente. In realtà la data di scadenza è
riportata nell'Attestazione di qualificazione alla esecuzione di
lavori pubblici ma il certificato sarebbe stato rinnovato fino al
2026. La nuova data non sarebbe ancora stata inserita
nell'Attestazione perché c'è un tempo tecnico che può arrivare fino
a 90 giorni.
ESCLUSIONE PALESE DI STATO : A pensarci bene, un'insegnante
di sostegno è anche l'insegnante dei luoghi "scartati", come il
corridoio ad esempio. Perché a volte qualcuno di questi 290 mila
studenti in classe non riesce a stare. E allora uno dei 194 mila
docenti di sostegno si adatta a lavorare fuori dalle aule. Un
fenomeno che coinvolge scuole e famiglie e che quindi può essere
raccontato dall'interno degli istituti, ma anche dall'esterno.
E allora proviamoci: interno scuola. Quando si fa l'insegnante di
sostegno per vocazione come è successo a Lucia Suriano, fare scuola
è una missione. La professoressa (e scrittrice pugliese) è passata
dall'insegnamento di Lettere al Lasciarsi ribaltare (titolo del suo
ultimo libro) dai suoi studenti speciali, quelli che disturbano, non
tengono il passo, difficili, dagli apprendimenti differenti e con
storie di vita già complicate. Per 10 anni è stata una felice
insegnante di sostegno proprio «in quei luoghi scartati come i
corridoi, perché i miei studenti rifiutavano l'aula», racconta. «Ma-
osserva – gli insegnanti di sostegno sono l'enzima che tiene insieme
gli studenti che sono abituati a stare in classe» e quelli che la
prof Suriano definisce i «suoi fuoriclasse». «Se teniamo tutti
insieme - conclude - allora la missione può dirsi compiuta». Ma. Ci
sono tanti ma, in questo viaggio nel mondo del sostegno. Lucia
Suriano è arrabbiata non solo per le cattedre vuote, per il
turnover, per i precari del sostegno, perché spesso «non c'è
collaborazione neanche tra noi docenti». È arrabbiata soprattutto
perché «laddove ci vuole un carico enorme di responsabilità e di
competenze, laddove ci sono i più fragili e con bisogni educativi
speciali non possono starci docenti, spesso senza competenze
specifiche, che vengono a sbarcare il lunario in mamma-scuola».
«Soprattutto nella secondaria di primo grado – sottolinea – dove
abbiamo in carico anche la gestione psico-emotiva del passaggio
dall'essere bambini a divenire adolescenti».
Come fosse suonata la campanella, proviamo a uscire: esterno scuola.
Qui, alla vigilia del nuovo anno scolastico, i racconti di genitori,
docenti e dirigenti scolastici descrivono una situazione che pare
cristallizzata negli anni. «I docenti non sono sufficienti, molti
sono costretti a cambiare scuola e non possono garantire
continuità», dicono. Sul sito de La Stampa è stata pubblicata la
lettera di un'insegnante ai suoi ex alunni: «Scusa se non ci sarò,
ma non è colpa mia», scrive Denise Romano nel suo amorevole saluto
dedicato a tutte le studentesse e gli studenti che al ritorno in
classe non troveranno più gli stessi insegnanti. «Ti chiedo scusa se
sarai arrabbiata e non lo saprai dire. Se mi cercherai e non
tornerò. Ti chiedo scusa se proverai a capire con lo sguardo
corrucciato e l'aria interrogativa il perché della mia assenza».
Per l'anno scolastico in arrivo – secondo i dati forniti dal
ministero dell'Istruzione e del Merito – le cattedre vuote sono meno
rispetto al 2022. Sono 194.439 mila i docenti di sostegno nell'anno
scolastico 2023-2024. In particolare, 112.390 sono i docenti di
ruolo specializzati, 13.780 i supplenti annuali (con nomina fino al
31 agosto) e 68.269 i supplenti ingaggiati fino al termine delle
attività didattiche: lavoreranno fino al 30 giugno.
Le nomine di ruolo autorizzate dal ministero dell'Istruzione e del
Merito sono 18.023. Sono stati coperti 13.358 posti, il 74% a fronte
del 53,2% del 2022, mentre le nomine non conferite, per rinunce ed
esaurimento delle graduatorie, sono 4.665. Restano vacanti 13.780
posti, mentre lo scorso anno scolastico le cattedre vuote erano
17.582. «Vi è – sottolineano dal ministero - una maggiore copertura
dei posti di organico di diritto di 3.802 unità».
Giuseppe D'Aprile, segretario generale Uil Scuola Rua, non è
soddisfatto: «Anche per questo anno scolastico non si è riusciti a
coprire tutti i posti vacanti disponibili. È normale che sembri un
successo assumere 40 mila docenti su 50 mila posti autorizzati. Un
insuccesso sul piano del reclutamento che ormai si manifesta da più
anni». D'Aprile avanza una richiesta e la indirizza al ministro
Valditara. Sull'accesso al sistema delle specializzazioni sul
sostegno chiede: «Va eliminato il numero chiuso delle università per
la specializzazione: i posti da garantire sono quelli del fabbisogno
scolastico». Nel 2022 il numero degli iscritti con certificazioni
che richiedono un insegnante di sostegno è stato di 290 mila. La
percentuale degli alunni con disabilità sul totale dei frequentanti
è salita dall'1,9% dell'anno scolastico 2004/2005, al 2,7 per cento
del 2014/2015 al 3,6% del 2020/2021 a quasi il 4 per cento del 2022:
siamo a un alunno su 25.
Giovanna Tarantino è dirigente dell'Istituto d'Istruzione Superiore
Enrico Fermi di Policoro, in provincia di Matera. Sintetizza quello
che succede in Basilicata: «Qui è un anno virtuoso: i due
provveditorati, di Matera e di Potenza entro fine agosto avevano già
assegnato la quasi totalità dei posti di sostegno, con immissioni in
ruolo e assegnazioni». Tarantino, anche dirigente reggente
all'Istituto Comprensivo di Tursi, pone l'attenzione sulle numerose
difficoltà che incontrano gli altri docenti «in aule piene di
studenti con disgrafia, discalculia, dislessia, comportamenti
oppositivi, gravi problemi di tipo emotivo e sociale». «Ai docenti
alle prese con classi sempre più eterogenee anche in conclamate
difficoltà spesso manca l'adeguata formazione psico-pedagogica –
spiega – che i docenti di sostegno hanno acquisito durante il loro
percorso formativo. Così ho pensato di proporre ai Dipartimenti di
sperimentare l'interscambio tra i docenti delle discipline e quelli
di sostegno (lì dove è possibile) affinché l'avvicendamento possa
rinnovare in modo proficuo le pratiche didattiche in uso e
assicurare la piena inclusione nel gruppo classe tra gli studenti e
il team degli insegnanti»
LA RABBIA SUICIDA : Bucarest suona un campanello d'allarme.
Il Sud dell'Ucraina nei giorni scorsi è stato al centro di numerosi
attacchi. Nel mirino c'erano i porti ucraini sul Danubio, a due
passi dalla frontiera con la Romania, Paese della Nato. E ieri il
governo romeno ha denunciato che sul suo territorio sono stati
trovati i frammenti di quello che si sospetta essere un drone russo
usato nei raid. «Se fosse confermato che i pezzi rinvenuti
appartengono a un drone russo, si tratterebbe di una situazione
inammissibile» e di «una grave violazione della sovranità e
dell'integrità territoriale della Romania», ha tuonato il presidente
Klaus Iohannis. Ma se da un lato fa sentire la sua voce, dall'altro
lato la Romania getta acqua sul fuoco: il ministro della Difesa ha
infatti sottolineato di non vedere una minaccia diretta al suo
Paese. «Non credo che si possa parlare di aggressione e penso che
occorra saper distinguere tra un'aggressione e un incidente», ha
detto Angel Tilvar all'agenzia giornalistica Agerpres. Parole che
allontanano decisamente lo spettro di un ricorso all'articolo 5 del
Patto Atlantico che vincola i Paesi Nato alla difesa collettiva in
caso di attacco.
La tensione resta alta. Lunedì Kiev aveva dichiarato che dei droni
russi erano finiti sull'altra sponda del Danubio esplodendo in
territorio rumeno. Frammentisarebbero stati rinvenuti martedì sera
nella zona di Plauru, e la Nato ha espresso «forte solidarietà» alla
Romania. Plauru si trova proprio di fronte al porto ucraino di
Izmail: da cui negli ultimi due mesi sono arrivate incessantemente
notizie di bombardamenti. Dopo aver abbandonato il patto sul grano a
luglio bloccando di nuovo il trasporto di cereali via mare
dall'Ucraina invasa, il Cremlino ha infatti preso di mira anche la
rotta alternativa: quella del Danubio. E anche ieri le autorità
ucraine hanno accusato le truppe russe di aver bombardato nella
notte la zona di Izmail: secondo il governatore locale, il raid di
droni è durato tre ore e ha ucciso una persona. «Distruzione e
incendi sono stati registrati» in diverse zone, ha dichiarato Kipler,
segnalando danni a infrastrutture portuali e agricole. Pare sia
stata presa di mira anche Kiev, dove non ci sarebbero vittime ma
danni ad alcuni edifici.
I bombardamenti russi non smettono quindi di colpire le rotte del
grano. E Zelensky si è scagliato contro la proposta con cui Polonia,
Romania, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria chiedono all'Ue di
prorogare fino a fine anno le restrizioni alle importazioni di
cereali ucraini che scadono il 15 settembre. «Ma perché, quando i
porti ucraini bruciano quasi ogni notte dopo gli attacchi russi,
dobbiamo anche preoccuparci che la nostra logistica terrestre si
fermi?», ha puntualizzato il presidente ucraino.
In suo aiuto è arrivato ieri a Kiev Antony Blinken. Il segretario di
Stato Usa ha annunciato un nuovo pacchetto di "assistenza"
all'Ucraina per oltre un miliardo di dollari. Gli Stati Uniti sono
anche il principale fornitore di armi delle truppe ucraine, che
secondo la Casa Bianca riceveranno nuovi sistemi di difesa aerea,
missili a lungo raggio Himars, razzi anticarro Javelin e carri
armati Abrams. Ma il Pentagono ha confermato che inizierà a mandare
a Kiev anche le munizioni perforanti all'uranio impoverito, che i
soldati ucraini già ricevono da Londra. Nonostante Washington neghi
che queste controverse armi siano pericolose per la salute, ci sono
da sempre grandi preoccupazioni per le possibili gravi conseguenze
dell'esposizione all'uranio sulla salute umana e molti esperti
ritengono che vi siano dei chiari legami tra le malformazioni
congenite e l'uso di questa sostanza tossica. Nei mesi passati, gli
Usa hanno fornito a Kiev anche le famigerate bombe a grappolo,
ritenute pericolosissime per i civili e già largamente usate anche
dalle truppe russe.
La controffensiva ucraina prosegue lentamente e tra scontri cruenti.
Tuttavia, secondo diversi osservatori, i soldati ucraini avrebbero
superato una prima linea difensiva russa sul fronte Sud e Blinken ha
ribadito il sostegno del governo americano alle truppe di Kiev
dichiarando che i loro «progressi» militari «hanno subito
un'accelerazione nelle ultime settimane».
IL PREZZO VERO E' LA QUALITA' DELLA VITA : Potrebbe nascerne
un contenzioso con l'Europa, e di certo non sarà un regalo per
l'ambiente né per la salute, ma il governo Meloni ha deciso di
rinviare al 1° ottobre 2024 il blocco delle vetture diesel "Euro 5"
previsto dal 15 settembre (e fino al 15 aprile prossimo) in 76
Comuni del Piemonte; troppo forti sono i problemi sollevati dagli
automobilisti coinvolti, in maggioranza persone a basso reddito e
impossibilitate a comprare macchine nuove; tutti costoro
fronteggiavano la prospettiva di restare a piedi, e per molti il
divieto equivaleva alla quasi impossibilità di andare a lavorare,
visto che i mezzi di trasporto pubblici non rispondono a tutte le
necessità. Peraltro la questione non è risolta, visto che per il
blocco è in arrivo un semplice rinvio, e il problema
dell'inquinamento dell'aria non svanisce. C'è da aggiungere che la
questione non è di rilievo solo locale ma (in prospettiva) nazionale
e europeo.
«Sono pronto con un decreto che porterò al Consiglio dei ministri»
ha annunciato il titolare dell'Ambiente e della sicurezza
energetica, Gilberto Pichetto Fratin. «Il decreto prevede una serie
di azioni di blocco della delibera regionale, con una verifica dello
stato di attuazione e del cronoprogramma degli interventi a partire
dal 2024».
Ma questa è una resa, dal punto di vista ambientale? Il vicepremier
e ministro dei Trasporti Matteo Salvini giura di no, anche se
contemperare i vari interessi sarà molto difficile, infatti la Lega
Salvini Piemonte (espressione locale del patito) chiede già che il
blocco slitti al 2030. «Siamo determinati a difendere l'ambiente –
ha detto ieri Salvini – però vogliamo farlo senza estremismi
ideologici, che non migliorano la qualità dell'aria ma peggiorano le
condizioni di centinaia di migliaia di famiglie e di lavoratori».
Anche il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso,
prova a rassicurare: «Resta fermo l'impegno del governo e
dell'Italia a tutela dell'ambiente. Gli interventi e le misure già
attuati hanno consentito di ottenere risultati significativi nella
qualità dell'aria», inoltre Urso prepara un programma di incentivi
per rinnovare il parco auto (vedi l'altro articolo in pagina).
Molto più drastica la dichiarazione congiunta di due parlamentari
piemontesi di Fratelli d'Italia, il deputato Fabrizio Comba e il
senatore Gaetano Nastri, secondo cui «il Piemonte è salvo dal blocco
alla circolazione ai veicoli diesel Euro 5 previsto dalle politiche
ambientali estreme di Bruxelles», di cui condanna «i provvedimenti
talvolta utili solo a distruggere intere filiere produttive».
I motori Euro 5 non sono vecchissimi, ma la decisione di metterli
fuori gioco (assieme ad altri con più anni sulle spalle) dalle 8,30
alle 18,30 nei giorni feriali, era stata presa dalla giunta
regionale piemontese (che è di centrodestra, come il governo di
Roma) perché a Torino e in altre località piemontesi sono stati
ripetutamente sforati i limiti di inquinamento, e questo non solo
danneggia la salute dei cittadini, ma in più crea rischi giudiziari
per gli amministratori, e può dare luogo a una procedura
d'infrazione europea. Il divieto non entrerà in vigore perché nei
giorni scorsi il coro di proteste levatosi da molti singoli
cittadini, ma anche da diversi Comuni, ha creato sulla politica una
pressione insostenibile.
In dettaglio, il decreto che oggi Pichetto Fratin presenterà al
Consiglio dei ministri prevede che «le misure di limitazione della
circolazione di veicoli di categoria "diesel Euro 5" possono essere
attuate esclusivamente a far data dal 1° ottobre 2024 e in via
prioritaria nei Comuni con più di 30.000 abitanti, con trasporto
pubblico locale garantito e adeguato e dove ci sono valori
inquinanti alti che possono incidere sulla tutela della salute».
Resta il fatto che dal 1° ottobre 2025 le Regioni del bacino padano
saranno comunque obbligate, salvo l'ipotesi di deroghe, a imporre il
limite alla circolazione dei veicoli diesel Euro 5.
Il decreto dice che nel bloccare il divieto si è tenuto conto «delle
criticità legate all'indisponibilità dei materiali necessari alla
produzione di batterie per i veicoli elettrici, in grado da
assicurare una tempestiva sostituzione dei veicoli Euro 5». È da
verificare se è vero che, come si afferma, «la tempistica proposta
non confligge con gli obiettivi del Pacchetto Uu "Pronti per il 55%"
che, per quanto attiene alla riduzione dell'uso di combustibili
fossili nei trasporti, richiede che sia realizzata una
infrastruttura sufficiente per la ricarica o il rifornimento dei
veicoli elettrici o alimentati con combustibili alternativi».
VERTICI RESPONSABILI : Camminando nel
cortile di Palazzo di Giustizia, ad Ivrea, ha sempre avuto sulla
spalla la mano del padre Massimo. Un omone con indosso una T-shirt
bianca con stampata la foto del figlio Kevin, ventidue anni, la più
giovane delle cinque vittime travolte dal treno sul binario 1 a Brandizzo, la notte tra mercoledì e giovedì di una settimana fa.
Antonino Laganà, per tutti Tonino, venticinque anni, fratello
maggiore di Kevin, ieri si è presentato in procura. Anche lui è
dipendente Sigifer, la ditta del Vercellese per la quale lavoravano
le cinque vittime della tragedia di Brandizzo. E anche lui si è
ritrovato mille volte ad effettuare operazioni di manutenzione sui
binari. Un mondo che conosce bene.
Antonino e il cugino Marco Buccino, che alla Sigifer ha lavorato
sino a poco tempo fa, ieri sono stati ascoltati a lungo come persone
informate sui fatti. E hanno parlato per oltre sei ore davanti ai
pubblici ministeri Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, che da sette
giorni indagano sulle cause della tragedia. Sfoghi, ricostruzioni,
riflessioni.
Il padre di Kevin, Massimo, insieme all'avvocato Enrico Calabrese,
legale che assiste la famiglia, ha invece atteso pazientemente fuori
dagli uffici. No, di lasciare Tonino da solo proprio non ne voleva
sapere.
Ai magistrati, Antonino e Marco avrebbero raccontato la loro
esperienza. Simile a quella di Kevin e dei tanti colleghi che in
questi giorni sono stati auditi dagli inquirenti. In molti avrebbero
spiegato che quello di Brandizzo non è stato un caso isolato, che
già in altre occasioni gli operai hanno iniziato a lavorare sui
binari prima del passaggio dell'ultimo convoglio.
Al centro dell'inchiesta, che potrebbe allargarsi, finiscono anche
la procedure di sicurezza garantite dall'azienda, la formazione dei
dipendenti.
I pubblici ministeri, a quanto si apprende, chiedono come veniva
organizzato e gestito il lavoro, i turni, le operazioni. Bisogna
capire se le precauzioni venivano prese, le norme di sicurezza
rispettate. Anche le più semplici, le più banali, quelle di routine.
E se per gli operai venivano organizzati dei corsi di formazione, di
che tipo, di quante ore.
Kevin Laganà, qualche minuto prima della tragedia, ha registrato un
video con il cellulare. Un filmato pensato per gli amici sui social,
che ora racconta praticamente tutto di quella notte. Racconta della
squadra di manutentori al lavoro sui binari anche se l'ultimo treno
non era ancora passato. Su quel video, prodotto agli atti in
Procura, l'avvocato Calabrese riflette: «Guardandolo, a me e al
collega di studio Marco Bona (che rappresenta la famiglia di Saverio
Giuseppe Lombardo, un'altra delle vittime), ci è sembrato di poter
desumere una certa abitudinarietà in questo tipo di condotte». E
ancora: «Mi sembra che il filmato sia sufficientemente chiaro per
comprendere cosa sia accaduto quella notte».
Questioni tutte al vaglio degli investigatori.
All'uscita da palazzo di Giustizia Tonino Laganà si sfoga. Occhiali
da sole sulla testa, la mano del padre di nuovo sulla spalla,
ripete: «Chiediamo giustizia. Lasciateci nel nostro dolore». E poi
accenna a bassa voce: «Girando quel video mio fratello si è fatto
auto giustizia». E il filmato, nei prossimi giorni, sarà oggetto di
un'approfondita analisi tecnica da parte di consulenti che dovranno
essere nominati dai magistrati. Quel video, girato quando mancava
mezz'ora prima del passaggio del treno, oggi rappresenta una sorta
di testamento,una prova importante per ricostruire quanto accaduto.
Due per ora gli indagati. Antonio Massa, l'addetto di Rfi presente
sul posto in qualità di "scorta-cantiere", difeso dall'avvocato
Mattia Moscardini. E Andrea Girardin Gibin, capocantiere della
Sigifer. Il suo avvocat Massimo Mussato commenta: «È riuscito a
scansarsi, ma ha visto la morte colpire gli altri. I suoi colleghi
ed amici»
SINDACI NON PREVENUTI :L'audizione di lunedì alla Camera
delle Commissioni riunite Trasporti e Lavoro, durante la quale sono
stati ascoltati l'amministratore delegato di Rfi Gianpiero
Strisciuglio e i sindacati, non è bastata a chiarire i dubbi dei
parlamentari su protocolli e subappalti. Per questo i segretari
generali regionali che rappresentano il settore dei trasporti e
quello ferroviario, di Cgil, Cisl e Uil sono stati convocati per
domani in prefettura a Torino. Una convocazione arrivata su
richiesta della commissione parlamentare di inchiesta sulle
condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla tutela
della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e
privati. La commissione è presieduta dalla vicepresidente del Pd,
Chiara Gribaudo, che già lunedì aveva anticipato le sue intenzioni.
«Da piemontese mi sento di ringraziare i sindacati per la
mobilitazione di lunedì a Vercelli e per la loro vicinanza. È
evidente che sul tema dei subappalti serve un lavoro di
approfondimento della commissione d'inchiesta come sulla questione
dei controlli. Sappiamo ad esempio che in Piemonte i controlli sui
cantieri sono del 4% e i pochi ispettori del lavoro che sono entrati
con regolare concorso ancora non sono nelle condizioni di svolgere
il proprio lavoro. È evidente che abbiamo un ritardo sui controlli e
su chi deve svolgere queste funzioni» ha detto la parlamentare in
audizione.
La convocazione è arrivata ieri pomeriggio ai sindacalisti dalla
Prefettura e l'incontro sarà in mattinata. Dovrebbero partecipare i
membri della commissione, tra cui i segretari Davide Bellomo della
Lega e Francesco Mari (Alleanza Verdi e Sinistra). «Il giorno dopo
la tragica vicenda, quando il presidente della Repubblica si è
recato sul posto, ha stonato l'assenza dei vertici di Rfi - ha
aggiunto Gribaudo -. È un fatto grave perché non ricordo che sia mai
accaduto. Quello però che ci interessa è capire come controlla Rfi
gli standard degli appalti e quante sono le risorse che il gruppo ha
intenzione di investire sul tema della sicurezza. Su questo ho
trovato la relazione dell'ad insufficiente».
06.09.23
LUCIDA FOLLIA CHE COPRE IRRESPONSABILITA' POLITICA DELLA NOMINA DEI
VERTICI CHE GLI AVVOCATI PROVERANNO A FARE :
Rumore di pala. Di pala e di piccone. Rumore di sassi della
massicciata. E poi, c'è questa voce fuori campo, la voce che
pronuncia poche parole definitive: «Ragazzi, se vi dico treno andate
da quella parte. Va bene?».
Kevin Laganà, operaio di 22 anni, il più giovane della squadra di
manutentori al lavoro, risponde con un sorriso amaro. «Ho capito,
scappiamo. Mi butto da quella parte», dice indicando la cancellata
che corre parallela al binario. È lui stesso che sta facendo quel
video, riprende il suo volto. Nessun genitore dovrebbe mai vedere
niente del genere. È il video di un figlio ancora vivo e sorridente,
a pochi minuti dalla sua morte, mentre registra inconsapevolmente
tutte le dinamiche che lo porteranno a finire sotto un treno
lanciato a 160 chilometri all'ora.
Kevin Laganà ha salvato il video sul suo profilo Instagram pochi
minuti prima della strage di Brandizzo. Lo ha messo, cioè, su una
memoria immateriale e perenne. Concludendo così la registrazione:
«Lo metto su Tik Tok fra due giorni». E invece, quel video è stato
scoperto dal padre, ed è stato depositato in procura dagli avvocati
Marco Bona e Enrico Calabrese, perché diventerà un caposaldo
dell'inchiesta.
Il video dura 6 minuti e 48 secondi. Mancano pochi minuti alla
mezzanotte del 30 agosto. Stazione di Brandizzo, tutto sta per
succedere. E quella voce che si sente fuori campo, quasi all'inizio,
è quella del responsabile di Rfi sulla linea. È Antonio Massa, cioè
la «scorta», così viene chiamata fra i lavoratori quella figura
professionale. È il funzionario di raccordo fra il gestore
dell'infrastruttura ferroviaria e la squadra degli operai della
Si.Gi.Fer, chiamati al lavoro con un subappalto per sostituire un
pezzo di binario. Quindi è un voce importante. Autorevole. È la voce
della «scorta» Antonio Massa quella che dice: «Ragazzi, cominciamo.
Se vi dico treno, andate da quella parte. Va bene?». Poco dopo,
però, Kevin Laganà dirà altre parole altrettanto importanti: «Manca
ancora l'autorizzazione».
Era prassi fare così. Per sbrigare prima il lavoro, oppure per paura
di non finire in tempo. I manutentori hanno precise finestre orarie
per intervenire. Fra il passaggio dell'ultimo treno e quello
successivo. Quella notte, però, doveva ancora passare un treno
speciale, fuori dai soliti orari. Un treno con dei vagoni vuoti da
portare in riparazione a Torino. È proprio quello il treno che sta
per passare. Loro sanno che passerà. La scorta lo sa. E infatti: «Se
vi dico treno…».
Antonio Massa dovrebbe ricevere l'autorizzazione dalla centrale di
Chivasso. E poi, a quel punto, stendere un fonogramma. Il documento
che ufficialmente autorizza l'intervento. Ma non va così. Massa
parla tre volte con la centrale di Chivasso. E per tre volte,
dall'altra parte della linea telefonica, la funzionaria Enza Repaci
nega quell'autorizzazione. Ma per qualche ragione, forse per una
abitudine consolidata, i lavori incominciano comunque. Durante la
terza telefonata, alle 23.47, arriva il treno che uccide cinque
operai. «Tutti morti a Brandizzo! Sono tutti morti».
Tutti tranne «la scorta» di Rfi Antonio Massa e il caposquadra di
Si.Gi.Fer Andrea Girardin Gibin: «Era l'unico rivolto dalla parte
del treno. Ho alzato lo sguardo, ho visto un lampo di luce e mi sono
gettato di lato».
Il video registrato da Kevin Laganà ha il potere di disvelare
perfettamente la situazione prima della tragedia. Eccolo, l'operaio
di 22 anni, la tuta arancione da lavoro con il bavero alzato, la
torcia la collo, una sigaretta elettronica in bocca. «Questo binario
è interrotto?». «Sì, questo sì». «Possiamo bonificarcelo?». «No,
passa l'autoscala». Ma mentre discutono su dove intervenire, in
quale punto preciso incominciare i lavori, intanto sono già sui
binari. «Mi devi dare un a mano socio», dice Laganà. Ancora rumori
di pala.
Per prima cosa bisogna pulire il tratto sui cui è previsto
l'intervento, cioè mettere in evidenza i binari. Togliere tutte le
pietre intorno. La squadra sta già lavorando. Si sentono mezze
frasi. «Che cazzo ne so». «Ahia!». «È rotto». «Ovviamente
l'interruzione è qua».
A un certo punto, dietro la palizzata che corre pungola ferrovia, il
video inquadra il camion della Si.Gi. Fer con sopra gli attrezzi da
lavoro. Stanno preparando la rotaia. La stanno liberando. Poi
useranno il tranciatore, l'incavigliatore. Poi sarà il turno dei
saldatori. Ma ora, ancora no.
Kevin Laganà dice: «Buttala sotto, Michael». Sta indicando
all'amico, al collega Micheal Zanera, il punto dove accumulare i
sassi. Sono ombre nella notte. Ancora rumori di pala. Le traversine
vanno ripulite una a una. Qualcuno ride. «Mario sta guardando». Pala
e scherzi.
Poi un'altra inquadratura frontale di Kevin Laganà. Si toglie i
guanti da lavoro, si riposa qualche istante, gira la telecamera
verso i compagni di squadra. Sono uomini sui binari. Sono
manutentori delle ferrovie italiane in subappalto. «Vai Michael»,
dice con un sorriso bellissimo Kevin Laganà. E in quel momento, con
due dita sulla fronte saluta, dice così: «Ciao ragazzi, ci vediamo
alla prossima».
Poteva essere solo un video su Tik Tok fra operai manutentori al
lavoro, in una notte di fine agosto del 2023, sulla vecchia ferrovia
Torino-Milano. Ma c'era quella frase all'inizio. Quella frase sul
pericolo imminente: «Se vi dico treno, andate da quella parte».
Stavano lavorando senza autorizzazione. E quando è passato il treno
non c'è stato nemmeno il tempo di accorgersene.
Nessuno vorrebbe essere il padre di Kevin Laganà, a fare i conti con
questo video registrato sul confine esatto fra la vita e la morte.
Ma nessuno vorrebbe essere nemmeno «la scorta» di Rfi, il
funzionario Antonio Massa. Queste notti tremende di tranquillanti, a
risentire la sua voce mentre autorizza i lavoro sul binario. Adesso
si capisce meglio la frase pronunciata da lui stesso in lacrime, la
notte dopo lo schianto: «Li ho mandati a morire».
RAGAZZI SERI MA SENZA RADICI E FORZA NELLA GIUSTIZIA :Vincenza
e la notte dell'autorizzazione negata "Ho fatto solo il mio dovere,
ora dimenticatemi"
Sulle sue spalle. Sulle spalle di una lavoratrice delle Ferrovie di
25 anni. «Dirigente di movimento». Vincenza Repaci detta Enzina, un
mestiere scelto in onore di una famiglia di ferrovieri.
Originaria di Reggio Calabria, cresciuta a Bussoleno in Val di Susa,
in servizio a Chivasso nella notte della strage. «Non potete fare i
lavori. Non ancora. Deve passare un treno in ritardo prima di
mezzanotte». Aveva avvisato. Aveva insistito. Tre telefonate fra lei
e la «scorta» di Rfi, Antonio Massa, dimostrano che il quadro fosse
chiaro. Quel treno speciale di vagoni vuoti, che dovevano essere
riparati a Torino, era atteso sulla linea proprio nel momento in cui
poi è passato ai 160 chilometri all'ora. Una velocità consentita in
quel tratto.
Ma la squadra dei manutentori della Si.Gi.Fer ha iniziato lo stesso
i lavori previsti. Gli operai sono stati autorizzati, seppure
informalmente, proprio dalla «scorta» di Rfi Antonio Massa:
«Ragazzi, se vi dico treno andate da quella parte. Va bene?».
Pensavano di vederlo arrivare. Di avere tempo. Di poter mettersi al
riparo. Così non è stato. Proprio durante la terza telefonata con
Enzina Repaci, che dalla centrale operativa continua a negare
l'autorizzazione all'intervento, la tragedia si compie.
«Mia sorella ha fatto solo quello che doveva fare, non amerà per
niente che io sia qui a parlare di lei. È una persona estremamente
seria e scrupolosa. È anche una persona riservata. Quello che doveva
dire l'ha detto in Procura, non c'è altro da aggiungere. Non ha mai
dato l'autorizzazione per quei lavori. Ma quello che è successo è
stato molto difficile anche per lei». Anche la madre, la signora
Maria Lofaro la protegge: «È piccola, ma molto forte. Mi ha detto
che non vuole farsi pubblicità su una storia così. Perché ci sono
cinque morti. Ripete a tutti che ha fatto soltanto il suo lavoro. Ha
detto che spera solo di essere dimenticata, perché vorrebbe poter
tornare a uscire senza sentirsi gli occhi puntati addosso».
Liceo scientifico in montagna a Ulzio, poi lo studio e il concorso
per entrare in Ferrovia. Dicono che abbia sempre avuto le idee
chiare. Una scelta che è anche un tributo alle persone che amava
nella sua famiglia. Altri ferrovieri.
Per qualche giorno Enzina Repaci è stata al riparo da tutto,
lontana. Lunedì sera si è presentata in procura a Ivrea in qualità
di testimone. La madre aspettava fuori dal palazzo di giustizia:
«Lei non c'entra nulla con quello che è successo. Eravamo lontani
quando abbiamo saputo dell'incidente, eravamo preoccupati per la sua
reazione, ma invece è stata lei a rassicurarci». Così è Vincenza
Repaci detta Enzina, 25 anni, ferroviera. «Smettetela di parlare di
mia sorella. Ha fatto solo quello che doveva fare».
UN RAGAZZO IN PARADISO UN FAMIGLIA CHE NON LO VUOLE CAPIRE :
«Quel video proprio adesso no, è un colpo al cuore. Mi fa morire».
Massimo Laganà si stringe nella maglietta bianca che non vuole
smettere di indossare: c'è il volto del suo Kevin e anche così può
sentire accanto gli occhi scuri, profondi del figlio fotografato in
un giorno felice in piscina, quando aveva addosso la stessa
collanina d'argento che hanno ritrovato in mezzo alla calce dei
binari di Brandizzo. «Sì che lo sapevo del video di Instagram,
subito pensavano tutti che fosse in diretta e invece no - dice -. È
finito in mano ai magistrati, ma come ha fatto a uscire fuori?
Perché proprio adesso?». È un altro motivo di rabbia, lui lo dice
apertamente: «Certo che sarebbe stato meglio far esplodere questa
cosa dopo, più avanti. Adesso è presto».
È presto perché ci sono ancora ruoli da chiarire, testimoni da
sentire e parole non dette? Questo, Massimo Laganà non lo dice:
«Sono una persona semplice, magari non lo capisco. Ma secondo me è
esplosa troppo presto questa cosa del video». In corso XXVI Aprile
c'è un sacrario che possono vedere tutti, a ogni ora del giorno e
della notte. E tutti possono partecipare. Dire una preghiera,
lasciare un fiore o un biglietto sotto lo striscione che ha mille
pensieri e una cornice di palloncini blu.
«Cosa vorremmo dall'inchiesta? Che Massimo potesse riavere suo
figlio, ma tanto non potrà succedere. Oggi non sappiamo ancora nulla
dalla magistratura, forse si saprà qualcosa domani. Nel frattempo ci
sentiamo sempre un po' più soli», si dispera lo zio Giovanni
Caporarello. Come il padre di Kevin, lunedì, è rimasto soltanto per
pochi minuti alla manifestazione organizzata a Vercelli: «Massimo ha
visto troppa gente ed è andato via, a casa. Non se la sentiva».
E dopo aver visto il filmato girato da Kevin Laganà, con le
raccomandazioni di Antonio Massa, la famiglia di Giuseppe Lombardo è
scioccata. «Mio padre lavorava sulle ferrovie da 26 anni e noi a
casa eravamo tranquilli, perché lui ci ripeteva sempre "quando
scendiamo sui binari i treni non passano, sennò noi mica potremmo
andare lì, voi non dovete preoccuparvi"» racconta Elena, una delle
due figlie di Lombardo.
E ancora: «In tutti questi anni non ci ha mai detto "stavamo per
essere messi sotto da un treno", altrimenti ce lo saremmo ricordato
e poi si sarebbe saputo». Poi la giovane mamma che a Lombardo aveva
regalato la gioia dei nipoti Sofia e Alexander, si fa ancora più
seria: «Ora chi ha delle responsabilità per questa tragedia dovrà
pagare fino in fondo, perché ha tolto la vita non solo a nostro
padre, ma anche ad altre quattro persone, distruggendo per sempre
delle famiglie. Perché per me, per i miei fratelli e per mia madre
l'esistenza non tornerà mai più quella di prima».
La moglie di Lombardo, Barbara, 44enne, scaffalista nei
supermercati, è sul divano stremata da un dolore che, dice: «Mi ha
svuotato». «E comunque - aggiunge - nemmeno noi vogliamo funerali di
Stato e tutta quella roba lì. Il dolore è nostro e basta». Intorno a
lei, oltre a Elena, c'è l'altra figlia Rosanna e il figlio Marco,
19enne che ha saputo della morte del padre mentre era a Bergamo e
stata andando al lavoro. «Mi ha chiamato nonna tutta agitata, mi ha
raccontato dell'incidente e mi ha detto "guarda che tuo padre non
risponde al telefono" - ricorda il ragazzo -. Mi è bastato fare un
rapido controllo sul web con il telefonino e c'era già la notizia
con il suo nome, erano più o meno le sette e un quarto. È stato un
colpo». Tutta la famiglia indossa la t shirt bianca con su stampata
l'immagine di Giuseppe. «Era uno degli operai più vecchi della
Sigifer – raccontano i famigliari tutelati dall'avvocato Marco Bona
per quanto riguarda la parte "penale" della vicenda e dalla
Gesigroup di Andrea Rubini per tutta la gestione di quello che
avverrà ora -. Pensi che quella mattina aveva mal di schiena e non
voleva nemmeno andare. Sarebbe potuto restare a casa, ma guai.
Andava a lavorare pure con la febbre. Partiva all'alba, tornava per
pranzo, poi si riposava un attimo e poi via a "fare la notte". Ma
adesso era consumato, "non ce la faccio più" ripeteva spesso.
Dall'azienda non ho ancora visto nessuno».—
LAVORO INSICURO : Nella Si.gi.fer solo 18 addetti con i
titoli necessari. La rabbia dei sindacati: "Per gli interventi sui
binari servono esperienza e formazione"
Quattro vittime senza specializzazione non potevano lavorare in quel
cantiere
claudia luise
È bastata una verifica in cassa edile per scoprire quello che era un
sospetto circolato già durante la manifestazione organizzata dai
sindacati lunedì a Vercelli: alla Si.gi.fer. quasi tutti i
lavoratori (ben 73) hanno la qualifica di operai comuni. Appena 18
sono operai qualificati e 35 sono gli operai specializzati. «Questo
vuol dire che hanno il livello più basso - spiega Claudio Papa
segretario generale della Feneal Uil Torino - invece sono chiamati a
svolgere mansioni per cui non si può essere operai comuni. Avere 73
operai comuni vuol dire che c'è già un problema». E nella squadra
travolta dal treno sembrerebbe - secondo gli investigatori - che
quattro fossero proprio operai comuni. In linea di principio dunque
non avrebbero potuto essere mandati a lavorare sui binari della
ferrovia di Brandizzo: un cantiere ad alta specializzazione, non un
cantiere di routine e che, perciò, richiedeva la presenza di addetti
con determinate qualifiche. Che a quanto risulta non tutte le
vittime avevano.
I requisiti in possesso dei lavoratori della Si.gi.fer sono tra i
tanti aspetti al vaglio degli investigatori. «La maggior parte degli
infortuni avviene nella catena del subappalto, lo vediamo sempre.
Per questo abbiamo bisogno di ridurla, non alimentarla. Il governo
invece va nella direzione opposta», aggiunge Massimo Cogliandro,
segretario generale della Fillea Cgil Piemonte. «Mai come in questi
casi per evitare gli incidenti sono utili la formazione, l'adozione
di strumenti preventivi grazie ad un utilizzo virtuoso delle
innovazioni tecnologiche, il potenziamento dei controlli nei
cantieri. Solo così è possibile garantire la sicurezza, la
regolarità e la legalità nei cantieri» aggiunge Mario De Lellis,
segretario generale Filca-Cisl Torino.
In procura a Ivrea il lavoro dei magistrati continua a concentrarsi
su due aspetti: la piena ricostruzione della notte della tragedia (e
a questo scopo l'audizione fiume di Vincenza Repaci, la dirigente
della stazione di Chivasso che aveva negato l'autorizzazione ad
avviare i lavori, potrebbe essere stata determinante) e la necessità
di far luce sul fatto che entrare sui binari prima del via libera
fosse una prassi o un fatto occasionale. In questo senso la
testimonianza di Tonino Laganà, il fratello di Kevin, la più giovane
delle vittime, potrebbe essere rilevante: anche il ragazzo è un
dipendente della Si.gi.fer. e questa mattina verrà ascoltato dai
magistrati come persona informata sui fatti.
Tra gli elementi da approfondire, pure il certificato di sicurezza
che sarebbe scaduto 28 luglio, quindi un mese prima dell'incidente.
La data di scadenza è riportata nell'Attestazione di qualificazione
alla esecuzione di lavori pubblici. Come per altre certificazioni
che erano scadute a luglio e che l'azienda ha rinnovato in tempo, si
sta cercando di capire se anche in questo caso c'è il rinnovo e,
magari solo per lungaggini burocratiche, non sia stato inserito
nell'Attestazione. Nel caso non fosse così, spiegano i sindacati,
l'azienda non avrebbe proprio potuto lavorare e sarebbe dovuta
essere l'azienda committente, quindi Rfi, a controllare.
LA CODA DI PAGLIA : Ha letto una
relazione sul funzionamento dei protocolli e sulle certificazioni
necessarie per lavorare nelle manutenzioni. L'ad di Rfi, Gianpiero
Strisciuglio, in audizione presso le commissioni Trasporti e Lavoro
della Camera si è limitato a ribadire le regole.
Ha dribblato le domande di chiarimenti sottolineando che c'è
un'inchiesta in corso e la società è a disposizione della
magistratura per tutte le informazioni necessarie. C'è però un punto
emerso con chiarezza dalle parole del manager: «Rfi tiene conto
degli spazi fisici e temporali necessari alla manutenzione». E,
rispondendo a una domanda dei deputati sulla possibilità che le
ditte incaricate della manutenzione dovessero pagare penali nel caso
avessero sforato, ha aggiunto: «Sono previste contrattualmente, ma è
inderogabile che l'attività di manutenzione richieda intervalli
temporali che sono garantiti in tutta l'attività manutentiva». In
pratica gli operai non potevano sforare, non sarebbe proprio ammesso
un ritardo nemmeno nel caso di imprevisti.
E non c'è nessuna possibilità di eccezione nei protocolli, ci ha
tenuto a precisare Strisciuglio. «Il sistema di regole di cui ci
siamo dotati, e che è stato riconosciuto dalle Autorità competenti -
ha citato più volte Ansfisa, l'Agenzia nazionale per la sicurezza
ferrovie e infrastrutture stradali e autostradali - è un insieme di
regole che non ammette deroghe. Questo è fondamentale nella gestione
della sicurezza ferroviaria. Per questo il sistema si dota di una
serie di controlli, anche interni, in tutte le fasi di processo».
I deputati hanno provato a far luce sulla gestione dei subappalti.
Questo perché l'intervento di manutenzione in corso a Brandizzo,
affidato alla Si.gi.fer. «era in subappalto che, conformemente alla
normativa vigente, è stato autorizzato da Rfi previa positiva
verifica dei requisiti generali, tecnici ed organizzativi». Quindi
ha confermato che l'impresa «è iscritta nel nostro sistema di
qualificazione» e che «il sistema di regole si estende sia
all'appaltatore che al subappaltatore». L'ad ha poi ricostruito il
protocollo ma senza fare alcun accenno al fatto che a Brandizzo -
come in molti altri casi accaduti in passato o di incidenti sfiorati
che stanno emergendo - il problema non sono le regole ma il rispetto
delle stesse. «L'avvio delle lavorazioni - ha detto - è
tassativamente subordinato all'ottenimento dell'autorizzazione
scritta all'interruzione della circolazione dei treni». E ha
aggiunto, come per ribadire una cosa che prima dell'altra notte
sembrava ovvia: «I lavori con l'occupazione dei binari sono sempre
effettuati in assenza di circolazione dei treni e comunque svolti in
intervallo orario prestabilito che deve essere formalmente
autorizzato per iscritto dall'operatore della circolazione dei treni
al richiedente l'interruzione».
Come sia stato possibile che sia accaduto è la domanda a cui dovrà
rispondere anche una commissione di indagine, istituita da Rfi e
«presieduta da autorevoli esponenti del mondo accademico, i cui
esiti saranno messi prontamente a disposizione delle autorità
competenti». A polemizzare sulle parole dell'ad è, però, il
capogruppo democratico in commissione Lavoro Arturo Scotto: «Non
possiamo dirci soddisfatti della relazione. Un'audizione alla Camera
dei deputati non può essere un continuo rimando all'attività di
indagine della magistratura». E una critica arriva anche da Chiara
Gribaudo, presidente della commissione d'inchiesta sulle condizioni
di lavoro in Italia: «Il giorno dopo la tragedia ha stonato
l'assenza dei vertici di Rfi. È stato grave». Intanto il ministro
dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, ha fatto sapere di
essere pronto a riferire in Aula sulla tragedia.
Diverso l'approccio dei sindacati, che hanno partecipato
all'audizione dopo il manager. Cgil, Cisl e Uil hanno confermato un
quadro di sottovalutazione e violazioni delle norme. «Qui si tratta
di un sistema organizzato in un certo modo e il fatto che avvenga in
Rfi ci fa ragionare che quando al centro c'è il massimo profitto e
gli investimenti in sicurezza vengono percepiti come un costo, non
ci può stupire se su 100 mancati incidenti avviene una strage» ha
analizzato la segretaria confederale Cgil, Francesca Re David.
«Forse i tempi che vengono dati sono obiettivamente troppo stretti e
non si può fingere di non sapere che la partenza dei lavori
anticipati ha riguardato tanti altri cantieri dove per qualche tipo
di fortuna non è successo nulla» ha aggiunto Ivana Veronese,
segretaria confederale Uil.
E Giorgio Graziani, segretario confederale della Cisl, ha concluso:
«Dobbiamo mettere in campo una strategia nazionale sulla salute e
sulla sicurezza: siamo l'unico Paese in Europa che non ha una
strategia strutturata»
EREDITA' SPERANZA-DRAGHI: Dopo avere
ascoltato per settimane la disperazione dei pazienti e delle loro
famiglie per il dilazionarsi delle cure radioterapiche all'ospedale
San Francesco di Nuoro, due assistenti sociali in servizio nel
Comune di Fonni, Anna Gregu e Rosanna Veracchi, hanno scritto
all'assessore regionale della Sanità Carlo Doria per denunciare che
«la radioterapia per i pazienti oncologici sardi non è più un
diritto e il sistema sanitario dell'Isola consiglia a chi è affetto
da tumore di cercare le cure radioterapiche fuori dalla Sardegna».
Alla missiva hanno allegato la risposta choc data a un paziente dal
servizio di Radioterapia oncologica dell'ospedale nuorese: «Si fa
presente al paziente che causa liste d'attesa, purtroppo non è
possibile rispettare una tempistica oncologica corretta – si legge –
Attualmente la lista d'attesa per la patologia nel nostro centro è
di circa 6 mesi, pertanto si invita il paziente a recarsi in altro
centro fuori regione».
«Siamo abituati da tempo allo smantellamento della sanità sarda ma
una cosa così non l'avevamo mai vista – scrivono nella lettera le
due assistenti sociali – In questi giorni assistiamo sconcertate e
impotenti nel servizio dove operiamo, alla disperazione dei numerosi
malati oncologici che devono sottoporsi alle cure radioterapiche, di
cui non possono usufruire in nessun presidio della Sardegna per vie
delle lunghe liste d'attesa. In tutto questo il sistema sanitario
sardo consiglia formalmente, per iscritto, agli utenti di recarsi in
strutture della penisola per le cure di cui necessitano, insomma chi
bussa alle porte della nostra sanità incontra uno scenario
devastante. Chiediamo all'assessore Doria – concludono le due
professioniste – che impedisca l'esodo dei malati oncologici sardi e
delle loro famiglie con i relativi disagi, per cui molti sardi sono
costretti a rinunciare alle cure». La Asl di Nuoro si difende
precisando che per alcune patologie la lista di attesa del San
Francesco è lunga, «ma si tratta di visite per patologie
differibili.
PUTIN ISOLA L'AFRICA : C' è un fenomeno nuovo, di fronte a
cui noi occidentali onnipotenti ci accorgiamo di essere
improvvisamente impotenti: il fenomeno del disordine necessario. La
Russia che osa irrompere nel cortile di casa, in Ucraina, in Europa,
i golpe (scandalo, non programmati da noi!) che ridisegnano la carta
politica di vasta parte dell'Africa formando un commonwealth dei
colonnelli, i Brics, i Paesi che con successo di adesioni propongono
di riscrivere addirittura le nostre intangibili regole dell'economia
mondiale, il Microsupremo nordcoreano Kim Jong-un che ha l'impunità
dell'atomica e va in treno a Mosca a fornire ostentatamente di armi
il ricercato Putin; e i piccoli e i piccolissimi che non ci
obbediscono più.
Tutto è legato da un elemento in apparenza semplice: per vasta parte
del mondo l'Ordine in vigore non rappresenta più la Forza. Ai giorni
nostri l'ordine americano con i suoi dipendenti, Europa, Giappone,
Oceania e poco altro, non può più reggersi. Una volta sceglievamo
beatamente i nemici che ci servivano, ci bastava un piccolissimo
spostamento dell'interruttore del potere, le nostre parole votavano
alla distruzione e ristabilivano anche la pace.
Inevitabile destino: il mondo non esiste solo perché lo si
amministri come vogliamo noi. Che indossiamo occhiali che modellano
la realtà come di volta in volta ci aggrada. Osserviamo e lasciamo
scorrere via disinvoltamente il dolore degli altri, migranti
siriani, sudanesi per esempio, se non ci riguarda direttamente con
il distacco di un impresario di pompe funebri.
«Regime change», «nation building», «responsability to protect»
diventano ciarpame, raffazzonatura di parole quando non sono in
gioco affari nostri. Corruzione, arricchirsi sfruttando perfino la
guerra ogni volta che si offra l'occasione come accade per
l'Ucraina: prima o poi con queste indecorose evidenze comincia ad
esser sospetto il nostro nominare a destra e a sinistra la
coscienza. Non ci si accontenta più del latte magro della nostra
carità.
Appoggiarsi a questo ordine con speranza come accadeva fino a
qualche tempo fa non significa più accrescere le proprie deboli
forze, sentirsi protetti ed esaltati da una comune energia. Intendo
la parola forza non nel senso esclusivamente militare, lo intendo
come energia umana, fiducia nel progresso, politica, condivisione,
sviluppo, dignità, perfino felicità. In buona parte illusioni,
certo. Ma non il melenso ottimismo produttivo e consumistico su cui
facciamo fiorire i nostrani concretissimi fiori del male.
Da qualche tempo le energie sono al di fuori di questo ordine, i
popoli giovani d'Africa, Asia, America latina, sentono di essere al
di fuori di questo ordine. Che è un mondo che per loro puzza di
sfruttamento, in cui la povertà non è più una tappa della lotta di
classe né una patria mitica ma solo una lebbra da cui ci si deve
guardare.
Niente a che vedere con i muffiti filosofemi del «Tramonto
dell'Occidente». Allora era un guardarsi allo specchio europeo
concedendosi qualche brividino stimolante. Ora lo specchio è in
frantumi. Come tutto ciò che è giovane gli Altri vogliono sentire
dentro di sé fluire questa forza vitale, sono attirati e vanno dove
pensano o si illudono di trovarla. Esempio: quello che chiamiamo il
Sud globale osserva l'America, con quella bisogna fare i conti non
certo con la Unione dei mediocri che vivacchia in uno stato di
armistizi vari, soppesa i due ultimi presidenti, un guitto
scandaloso e un vecchio signore. Eppure tra un anno gli americani
sceglieranno di nuovo con ogni probabilità tra Trump e Biden. Dove
sono l'energia, il nuovo, la forza?
Perché questo disordine è purtroppo necessario? Ogni trasformazione
rivoluzionaria impone a chi voglia esplorare le vie del nuovo e
della forza vitale l'obbligo di opporsi all'ordine, ovvero al Potere
in vigore.
In questa parte del mondo è arrivato il momento di smettere di fare
appello all'Ordine: i golpisti accettabili sono solo quelli
autorizzati, usiamo l'Ucraina come un poligono con sagome vere, la
Cina si adegui alla parte che gli abbiamo assegnato nella commedia
capitalista, esser l'officina a basso costo del mondo. L'ordine che
noi incarniamo non soddisfa più nessuno, forse nemmeno noi, ed è
l'ora di preparargli una decorosa veglia funebre. Ma fino a che non
si discioglierà in un nuovo ordine non soltanto geopolitico
rassegniamoci a vivere un lungo complicato pericoloso periodo di
disordine necessario.
È come se venisse riscritta davanti ai nostri occhi la parabola del
figliol prodigo, che è un parabola politica non teologica. Il
reprobo, il ribelle è deciso a non tornare a casa, non lo attira
più; il fratello obbediente può tenersi tutta la ricchezza. Perché
il bue grasso che gli viene offerto, ovvero la democrazia, è un
premio che appare assai meno entusiasmante di quanto proclamava,
tentatore, il padre soddisfatto. La democrazia è una parola così
grossa e a buon mercato che la si dovrebbe usare con parsimonia.
Sarebbe democrazia, ci chiedono i ribelli all'Ordine, la dinastia
dei Bongo, Karzai, al Sisi, Putin quando ci faceva comodo,
l'etiopico Abiy Ahmed, i cleptocrati nigeriani, i capogang libici,
il tunisino Kais Saied, tutti fedelissimi del mondo virtuoso?
L'ordine attuale non è forse tenuto in piedi dalla connessione tra
interessi egemonici e un sentimento arrogante e monopolistico di
superiorità morale che serve solo a ungere la macchina degli
interventi, degli ultimatum, delle sanzioni? Macron che alla
notificazione del nuovo governo golpista nigerino di aver tolto il
gradimento all'ambasciatore francese chiedendone la sostituzione
come è previsto da normale pratica diplomatica, replica: resta lì!
Come se regolasse affari di casa sua. Non è la ennesima
manifestazione schiumosa dell'ordine coloniale?
Si replica indignati: ma questi perturbatori, questi ribelli non
sono altro che sordide dittature, Putin, Xi Jinping, gli ayatollah,
i colonnelli felloni! Non assomigliano agli educati Non Allineati di
Bandung degli Anni cinquanta; questi esigono solo un piatto più
grande alla supergreppia a cui vogliono continuare ad attingere.
Colonnelli ed autocrati sono canaglia, sono la leva senza cui il
disordine necessario non potrebbe fare forza, dare nuovo equilibrio.
Ma il disordine è una soluzione in sospeso, in attesa di
predicazioni nuove, fino a quando ai popoli non serviranno più.
LA GUERRA E' ILLOGICA E SENZA SCOPO : Un passo avanti e uno
indietro. Così si muove Aysha nel Centro di transito per rifugiati a
Renk, città sud-sudanese al confine con il Sudan. E lì che dal 15
aprile arrivano via terra decine di migliaia di profughi e sfollati
di ritorno. Lì che è giunta anche lei dopo un mese di viaggio. Con
sé non ha più niente. Non ha un vestito per cambiarsi, non ha più
soldi. Non ha più nessuno. Del passato resta l'immagine della
separazione e della disumanità.
Il giorno che ha trovato il coraggio di lasciare Khartoum, gli
uomini delle Rsf (Forze di Supporto Rapido) hanno bloccato il
veicolo che trasportava i suoi nipoti, tre ragazzi e tre ragazze.
Aysha ha visto i ragazzi legati e trattenuti con la forza dentro il
veicolo e le giovani trascinate via tra le grida in un altro mezzo,
perso velocemente dalla vista. Tre giovani rapite mentre cercavano
la via di fuga dalla guerra, condotte verso un destino di abuso. Per
raccontare quello che ha visto e udito cerca una tenda in cui
nessuno la ascolti. La vergogna, propria o altrui, per essere
raccontata necessita del pudore del silenzio. Così si siede a terra,
si scopre il volto e finalmente piange.
Viveva nella parte settentrionale di Khartoum e ha faticato a
resistere nascosta con le donne della sua famiglia e i nipoti più
giovani per le prime settimane dopo l'inizio dei combattimenti.
Finirà, speravano. Si ripeteva di avere un solo scopo, sopravvivere
e proteggere le figlie e le figlie delle figlie da quello che le
guerre sudanesi avevano insegnato senza che nessuno imparasse la
lezione, cioè che il corpo delle donne sarebbe di nuovo diventato la
trincea delle violenze di chi combatte. E volevano proteggere i più
giovani dal reclutamento forzato.
Un giorno di maggio la sua vicina Halima è entrata in casa, le ha
detto che uomini senza divisa militare avevano cominciato a fare
irruzione nelle case cercando armi e portando via gli uomini. Erano
entrati anche in casa sua, avevano chiuso la nipote diciassettenne
in una stanza con la madre e avevano violentato la ragazza davanti
ai suoi occhi. «Se provate a gridare, vi violentiamo tutte, hanno
detto. Sono felici quando violentano. Cantano quando violentano. Ci
chiamano schiave, dicono che possono fare di noi quello che
vogliono».
Halima non aveva più lacrime. Le ha detto solo: andate via. Così
Aysha ha messo nelle tasche della sua abaya nera i soldi che le
erano rimasti, ha chiamato a raccolta i nipoti, e si è decisa a
unirsi alle migliaia in fuga, cercando di richiesta d'aiuto in
richiesta d'aiuto, il contatto di chi poteva portarli via da
Khartoum. Ma da Khartoum è uscita sola. Dei suoi tre nipoti maschi
non ha saputo più nulla. Delle ragazze, dicono i sussurri di chi è
sopravvissuto, si sa solo che siano state portate in una base
militare, che ci siano altre decine di giovani. Che le milizie Rsf
le "usino a loro piacimento".
La storia di Aysha è una delle poche che emerge dai non detti delle
tende improvvisate di Renk, tra i miasmi dell'acqua tra cui giocano
i bambini, i resti di cibo marcito, la terra diventata fango per le
piogge. È la voce di chi non può trattenere il dolore per avere
perso i suoi cari, per non aver potuto fare niente per sottrarli a
un destino segnato. La storia delle umiliazioni che si consumano
sulla pelle, nell'anima di donne e ragazze, stupri usati come arma
di guerra, strumento di prevaricazione, onta e marchio che le
accompagnerà per sempre, arma utilizzata anche per umiliare la
donna, la sua famiglia e la sua comunità. Sono le donne e i bambini
a soffrire l'impatto più devastante della crisi in Sudan che ha
provocato lo sfollamento forzato di oltre tre milioni di persone, di
cui 700 mila fuggite nei Paesi limitrofi, come il Sud Sudan. Quando
sono scoppiati i combattimenti, ad aprile, le strutture mediche
hanno cominciato a essere danneggiate e distrutte in maniera
sistematica, per questo la maggior parte delle organizzazioni
internazionali ha evacuato il personale e secondo l'Ufficio delle
Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) del
Sudan, a luglio quasi l'80% degli ospedali sudanesi erano fuori
servizio.
Erano le donne e le ragazze, anche prima del conflitto, in Sudan, a
correre in rischio maggiore di violenza sessuale. Oltre 4 milioni
quelle esposte alla violenza di genere.
Donne che faticano a parlare e non riescono a dimenticare.
Le donne del Darfur
«Devi rassegnarti o uccideremo tutti i tuoi fratelli». Sono state
queste le ultime parole che Bushra ricorda di aver ascoltato prima
di chiudere gli occhi e sperare che il suo corpo non venisse
violato. Studentessa di Economia, la sua, a El Geneina, era la vita
di una ordinaria venticinquenne, con i desideri e le aspettative
della vita che verrà. Terminare gli studi, trovare un lavoro,
sposarsi, avere dei figli. Poi in Darfur è tornata la guerra. Bushra
ha raccontato ai ricercatori di Human Rights Watch che hanno
raccolto la sua testimonianza, di aver sentito entrare in casa otto
uomini armati, due con l'uniforme delle Forza di Supporto Rapido (Rsf)
e gli altri in abiti civili. In quel momento, nell'abitazione del
quartiere Tadamun dove viveva, si nascondevano venti persone, gli
otto uomini hanno sfondato la porta, gridato di consegnare tutti i
telefoni, imposto agli uomini di uscire e urlato di consegnare le
armi. La madre di Bushra ha fatto cenno a lei e alle altre giovani
di chiudersi in una stanza. E così hanno fatto, pregando a bassa
voce di essere risparmiate. Poi un uomo in abiti civili è entrato
nella stanza, si è avvicinato a lei, le ha toccato il seno, le ha
puntato il fucile alla tempia, ha fatto un cenno con la mano
indicando il materasso e ha detto: non uccidiamo le donne, ma se ti
sacrifichi non uccideremo nemmeno gli uomini. Così si è sdraiata,
nelle orecchie aveva le urla delle cugine e delle vicine nella
stanza, il suono di un proiettile esploso nella stanza accanto, il
grido acuto di sua zia che era stata ferita, e le voci di cinque
uomini che si alternavano a violentarla.
Sopravvissuta agli stupri non ha parlato per giorni, prima di
chiedere a sua madre di essere portata via. Gli uomini in casa non
c'erano più, prelevati dalle Forze di Supporto Rapido (Rsf), e non
c'erano più neppure i soldi che servivano a prendere la strada per
salvarsi. Ma sua madre ha raccolto una busta con due asciugamani,
qualche veste e un po' d'acqua e sono scappate in Ciad, dove sono
arrivate una settimana dopo.
A El Geneina, capitale del Darfur Occidentale, prima della guerra
vivevano circa 550 mila persone, dalla fine di aprile alla metà di
giugno 400 mila, sono scappate come Bushra, solo una delle tante,
troppe, sopravvissute a stupri di gruppo. Due settimane fa Human
Rights Watch ha pubblicato un lungo rapporto per denunciare le
violenze perpetrate dalle Rsf a El Geneina. I casi di stupro
identificati sono 78, ma lo stigma sociale, unito alle
infrastrutture distrutte, alle reti di comunicazione compromesse,
rendono impossibile fare chiarezza sui numeri. Solo una delle
sopravvissute ha dichiarato di aver ricevuto cure di emergenza,
perché a El Geneina le milizie hanno saccheggiato e dato alle fiamme
non solo abitazioni civili e strutture militari ma anche cliniche,
ospedali e uffici di organizzazioni non governative. Secondo l'Unità
sudanese per la lotta alla violenza contro le donne, le denunce e le
testimonianze rappresentano probabilmente il 2% dei casi totali, il
che significa che ci sono stati circa 4.400 casi di violenza
sessuale nei primi tre mesi del conflitto.
«Sono entrati in casa in tre, cercavano armi ma non hanno trovato
nulla, poi mi hanno chiesto a quale tribù appartenessi. Quando ho
risposto "Massalit" mi hanno violentata in tre. Sono rimasta
sdraiata lì pensando che non avrei camminato mai più. Sono tornati
dopo alcune ore e mi hanno violentato ancora, uno di loro diceva:
"Voglio che resti incinta. Voglio che partorite tutte i nostri
bambini". Poi mi hanno trascinato in strada dicendo: "Se non vai via
ti ammazziamo". Mi sono alzata, mi sono unita a un gruppo di
profughi diretti in Ciad e sono andata via. Da allora non ho più
senso dell'orientamento». Anche le poche parole che Alia ha
consegnato una volta in salvo in Ciad raccontano lo stupro come
arma. Di più, lo stupro come arma contro un gruppo etnico.
Secondo le testimonianze dei sopravvissuti le milizie hanno
attaccato città e villaggi prendendo di mira soprattutto le zone
abitate da una delle principali comunità non arabe, i Massalit,
facendo tornare in Darfur lo spettro di guerre mai risolte, di una
giustizia mai raggiunta né pretesa fino in fondo dalla comunità
internazionale.
Le rivendicazioni basate sull'etnia e l'inazione del governo
sudanese nel risolvere le contese legate alla proprietà della terra
hanno radici antiche. Già nel 2003, durante la campagna di pulizia
etnica dell'allora presidente Al Bashir, le forze governative e le
milizie Janjaweed, precursori delle Forze di supporto rapido,
avevano attaccato le comunità non arabe, nel 2008 il pubblico
ministero della Corte Penale Internazionale definì lo stupro "parte
integrante" del modello di distruzione che il governo del Sudan
stava infliggendo in Darfur, scenario identico al 2019 quando le Rsf
si erano scontrate con i gruppi armati Massalit.
Lo scorso anno Pramila Patten, Rappresentante Speciale del
Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei
conflitti, aveva segnalato 100 casi di violenza sessuale da parte
delle forze di sicurezza sudanesi, invitando le forze armate a
collaborare con le agenzie internazionali per identificare i
responsabili e ottenere giustizia. Ma poco, quasi nulla, è stato
fatto. Allora come oggi lo stupro era stato un'arma di guerra e
nonostante le denunce, le indagini non si sono trasformate in
processi esemplari, alimentando il clima di impunità che alimentava
e alimenta l'idea che la violenza maschile sulle donne rappresenti
l'orgoglio di infliggere umiliazione al nemico.
Il crimine di guerra più antico e meno punito
Il diritto internazionale umanitario vieta alle parti coinvolte in
un conflitto armato di danneggiare deliberatamente i civili.
L'articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949 e il
diritto internazionale umanitario consuetudinario, entrambi
applicabili a tutte le parti in guerra in Sudan, vietano lo stupro e
altre forme di violenza sessuale. Lo stupro commesso dai combattenti
può costituire una forma di tortura. Lo stupro e altre violenze
sessuali commessi nel contesto di un conflitto armato sono crimini
di guerra e, se fanno parte di un attacco diffuso e sistematico da
parte di un governo o di un gruppo armato contro una popolazione
civile, possono equivalere a crimini contro l'umanità.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite definisce lo stupro
«il crimine di guerra più antico, più messo a tacere e meno
condannato». I dati delle Nazioni Unite mostrano livelli allarmanti
di stupri durante i conflitti, sottolineando al contempo quanto le
stime siano al ribasso per la difficoltà di denunciare e ricevere
cure e assistenza. Secondo i dati ufficiali tra le 250.000 e le
500.000 donne e ragazze sono state violentate nel genocidio del 1994
in Ruanda e almeno 200.000 nella Repubblica Democratica del Congo
dal 1996.
COSA SUCCEDE QUANDO GUARDIAMO SU MARTE : Gli abusi stanno aumentando
soprattutto sulle bambine e nei campi di sfollati"
Save the Children ha recentemente pubblicato un rapporto
sull'esposizione alla violenza sessuale di bambini e minori. Daniela
Fatarella, direttrice generale di Save the Children, a quali
violenze sono esposti bambine e bambini vittime della guerra in
Sudan?
«Man mano che la situazione in Sudan peggiora e il conflitto si
inasprisce, bambine e bambini sono sempre di più vittime di violenza
sessuale e di genere. Sono molti gli episodi di stupro, violenza e
sfruttamento sessuale segnalati da donne e ragazze fuggite dal
conflitto a Khartoum e da altre aree del Sudan, ma non è possibile
dare un numero che sia la fotografia reale, perché da un punto di
vista culturale è molto difficile per queste donne e in particolare
per le ragazze più giovani, denunciare di aver subito violenza:
molte delle ragazze che abbiamo incontrato a Renk, al confine tra il
Sudan e il Sud Sudan, ci hanno detto di aver visto coi loro occhi le
violenze, ma è difficile che parlino di violenze subite
direttamente».
Il Sudan è un Paese non più in grado di far fronte all'emergenza.
Infrastrutture distrutte, combattimenti ancora in corso. Qual è la
risposta internazionale all'aumento delle violenze di genere? Cosa
potrebbe essere fatto e non è stato ancora fatto?
«A New York, durante la conferenza internazionale per gli aiuti
umanitari, Save The Children aveva chiesto circa 3 miliardi di
dollari, portando poi a casa la "promessa" di 1,5 miliardi di
dollari. Una delle cose che sta accadendo qui come in altri Paesi in
questi giorni è l'aumento delle violenze, degli stupri sui bambini
ma in particolare sulle bambine. Ma le violenze non avvengono solo
mentre scappano dal conflitto e per questo è fondamentale mettere in
piedi programmi di protezione per le bambine e i bambini nei campi
di sfollati: quando le famiglie cercano da mangiare per tirare
avanti, le bambine si devono occupare della "casa" e per
disperazione rischiano di essere cedute troppo presto come spose. È
necessario intervenire in maniera più decisa sulla situazione nei
campi di sfollati, creando le condizioni per cui queste bambine
possano essere realmente protette e non siano nuovamente esposte ad
altre violenze. Il nostro appello ai leader mondiali, ai donatori,
ai Paesi membri delle Nazioni Unite e alle organizzazioni
internazionali affinché è che la protezione dei minori venga messa
al primo posto di qualsiasi azione internazionale contro la violenza
sessuale nei conflitti, a partire dal rafforzamento di servizi e
programmi in grado di supportarli pienamente».
Lo stupro viene usato ancora una volta come un'arma di guerra, in
mezzo i bambini, usata per diffondere terrore. Cosa racconta la
vostra esperienza sul campo?
«Oggi i minori corrono quasi 10 volte in più il rischio di subire
abusi rispetto a trent'anni fa. Nel mondo, oltre 70 milioni di
bambini vivono in zone dove forze armate e gruppi armati sono soliti
perpetrare atti di violenza sessuale contro i minori. La violenza
sessuale è usata spesso come arma di guerra contro i bambini e gli
altri civili proprio per terrorizzare la popolazione, diffondere
paura e incutere timore per fini politici e militari, per umiliare
determinati gruppi etnici o per punire i civili sospettati di
collaborare con i nemici. Si tratta di un trauma con conseguenze
devastanti dal punto di vista fisico, psicologico, sociale ed
economico con effetti di lunga durata nel tempo. La brutalità
dell'atto fisico stesso può essere particolarmente dannosa per i
bambini il cui corpo non è completamente sviluppato. Specialmente le
ragazze rischiano di subire lesioni al loro apparato riproduttivo,
di essere esposte alle complicanze delle gravidanze precoci, fino a
mettere a repentaglio la loro stessa vita. Pensare che dei bambini
possano essere vittime di violenze sessuali è qualcosa di
semplicemente inaccettabile, di fronte alla quale non è possibile
rimanere inermi. Spesso sono costretti a vivere questa tragedia in
silenzio, portandosi dietro per tutta la vita i segni delle violenze
subite e senza ricevere il supporto di cui avrebbero urgente bisogno
per affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche che tutto ciò
comporta. La violenza sessuale è già di per sé una piaga
sottostimata, soprattutto nelle aree dove sono in corso i conflitti
più cruenti, e questo è ancor più vero quando le vittime sono
proprio i bambini e le bambine»
MILITARIZZARE NAPOLI: Napoli, cosparge di benzina la vicina e
le dà fuoco "Le avevo detto che doveva spostare la macchina ..."
«Io glielo avevo detto che doveva spostare la macchina…». È tutto
quello che ha detto ai carabinieri che lo interrogavano Francesco
Riccio, 53 anni, pluripregiudicato, arrestato perché al termine di
un litigio condominiale – l'ultimo di una lunga serie – ha cosparso
di benzina la sua vicina e le ha dato fuoco. Poi ha fatto lo stesso
con l'auto della donna e quindi se ne è rimasto lì, come se nulla
fosse accaduto, finché non sono arrivati i vigili del fuoco,
l'ambulanza e i militari dell'Arma se lo sono portato via
sottraendolo alla rabbia degli abitanti delle palazzine popolari di
Quarto, il rione "167". Subito soccorsa, Antonella Iaccarino è stata
trasportata all'ospedale "Cardarelli" dove l'hanno ricoverata in
condizioni critiche con ustioni sul 50% del corpo. Danni estesi e
potenzialmente letali per la casalinga 48enne che vive nel
paesone-dormitorio – tra Napoli e Pozzuoli – con i suoi tre figli di
23, 24 e 27 anni. «Li fanno uscire e questi sono i risultati»,
ripete un'anziana, che poi aggiunge: «Una bellissima donna, solare,
forte, che ha cresciuto tre splendidi ragazzi, speriamo che ce la
faccia… Questi sono soggetti che non dovrebbero stare in mezzo alla
gente perché prima o poi fanno piangere qualcuno».
05.09.23
5 set 2023 18:34
TI FACCIO UN TASSO COSÌ! – LA SPAGNOLA BBVA ROMPE IL MURO DELLE
BANCHE ITALIANE SUI CONTI CORRENTI E ALZA AL 4% LORDO ANNUO LA
REMUNERAZIONE DEI DEPOSITI, SENZA CONDIZIONI NÉ DI SALDO MINIMO NÉ
DI PERMANENZA, CON ACCREDITO MENSILE – È IL RENDIMENTO PIÙ ELEVATO
NEL NOSTRO PAESE PER LE SOMME DEPOSITATE SENZA VINCOLO DI DURATA –
UNA SFIDA AI GRANDI ISTITUTI NAZIONALI CHE SINORA TENGONO A ZERO IL
RENDIMENTO (UNA DELLE RAGIONI USATE DALLA MELONI PER LA TASSA SUGLI
EXTRA-PROFITTI)
Estratto dell'articolo di Francesco Bertolino per www.corriere.it
Bbva rompe il muro delle banche italiane sui conti correnti. La
banca spagnola ha alzato al 4% lordo annuo la remunerazione dei
depositi, senza condizioni né di saldo minimo né di permanenza, con
accredito mensile.
Il tasso è il più elevato nel Paese per le somme depositate senza
vincolo di durata e rappresenta una sfida ai grandi istituti
nazionali che sinora hanno rifiutato di aumentare sopra lo zero il
rendimento, sostenendo in più occasioni che il conto corrente è un
servizio e non un investimento.
Bbva aveva già fatto la prima mossa a maggio quando aveva aumentato
al 2% il tasso sui conti correnti. Quattro mesi più tardi l’istituto
iberico ha raddoppiato la posta: la nuova offerta vale a partire dal
5 settembre fino al 31 gennaio 2025 e si aggiunge al deposito
vincolato che propone un interesse fino al 5%.
Sbarcata nel 2021 in Italia, del resto, Bbva sta cercando di farsi
largo nel Paese con un’offerta interamente digitale. Oggi conta più
di 240 mila clienti ma ha l’obiettivo di raggiungere quota 320 mila
entro la fine del 2024.
Un eventuale successo dell’iniziativa di Bbva potrebbe spingere
altre banche ad aumentare gli interessi sui conto correnti. Sinora,
a dispetto dell’elevata inflazione, gli istituti italiani hanno
subito modesti riscatti dai depositi, specie per quanto riguarda la
clientela retail.
Le ragioni di tale ritardo non sono chiare: qualcuno ritiene dipenda
dalla scarsa educazione finanziaria dei risparmiatori italiani,
altri alla loro tradizionale prudenza, altri ancora alla scarsa
concorrenza presente sul mercato bancario italiano.
In ogni caso, la circostanza ha consentito agli istituti nazionali
di incrementare il margine d’interesse, ossia la differenza fra il
costo della raccolta di denaro e gli interessi applicati sugli
impieghi di questo denaro in prestiti e altre forme di credito.
Qualora i deflussi dovessero accelerare, allora gli istituti
potrebbero vedersi infine costretti ad alzare la remunerazione dei
conti correnti.
Verrebbe così meno una delle giustificazioni addotte dal governo per
la tanto criticata tassa sugli extra-profitti bancari. L’aumento
delle remunerazioni dei conti correnti, peraltro, non sarebbe utile
soltanto ai clienti ma anche benefica per le casse pubbliche.
Bisogna infatti considerare che sui rendimenti dei depositi è
prevista una ritenuta fiscale del 25%: il rendimento lordo del 4%
offerto da Bbva, per esempio, corrisponde a un tasso netto del 3%.
Su 1000 euro depositati, così, la remunerazione effettiva per il
cliente sarebbe di 30 euro all’anno, mentre 10 euro andrebbero alle
casse dello Stato.
ERA GIA' TUTTO PREVISTO DAL COMPORTAMENTO ITALIOTA FAVORITO
DALL'ARRIVISMO INCONSAPEVOLE DI CONTE :
Effetti distorsivi del superbonus sulla legge di domanda e offerta,
guerra in Ucraina, pandemia. Per capire di cosa parliamo quando
parliamo del caro-cantieri che ha investito l'Italia negli ultimi
tre anni, e anche dei costi che tutto ciò ha avuto e avrà sulle
casse dello Stato e del conseguente «mal di pancia» lamentato
domenica a Cernobbio dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti,
basta confrontare i preventivi recapitati a un palazzo di Milano nel
2017 e quelli per grossomodo gli stessi lavori di efficientamento
energetico ricevuti nel 2022. Si passa da 508.077 per il preventivo
più caro (gli altri due sono da 415 e 349 mila euro) a 1.147.830
euro, a cui vanno sottratti circa 150 mila euro di caldaia,
intervento inizialmente non previsto. Il doppio, o quasi. Un caso
limite? Fino a un certo punto.
Spostandosi in provincia la situazione non è migliore. «L'aumento
medio si attesta intorno al 30%, ma se guardiamo ai singoli
materiali da costruzione alcuni aumenti sono molto più
significativi» spiega Marco Bandini, membro del consiglio nazionale
di Anaci e presidente della sede di Lecco dell'associazione degli
amministratori di condominio. «Nel settore delle costruzioni gli
aumenti più importanti si registrano a partire da settembre 2020 e
vengono mantenuti tali fino alla primavera del 2023, ovvero quando
lo sconto in fattura è stato eliminato dal superbonus». Chi ci ha
guadagnato? «Bisogna specificare che non tutto è attribuibile alla
speculazione dovuta al superbonus - prosegue Bandini -. Gli aumenti
dei materiali registrati nel 2021 e nel 2022 dipendono dalla
pandemia e dalla guerra tra Ucraina e Russia che ha alimentato la
bolla speculativa del caro-energia».
Qualche esempio? Sulla base dei dati del centro studi di Anaci-Lecco
il costo di un cappotto termico è passato da 65 a 100 euro al metro
quadro, i ponteggi dai 15 euro al metro quadrato del 2020 ai 25-30
di oggi mentre se ad aprile del 2020 sostituire i vecchi serramenti
costava 10 mila euro, nel 2022 sono arrivati a costare oltre 15 mila
euro. La curva tipica della bolla si vede benissimo, poi, parlando
di pannelli fotovoltaici: un impianto medio da 6 kW prima
dell'abolizione della cessione del credito ad aprile 2023 si
aggirava attorno ai 17.400 euro, nel post-decreto, invece, è sceso a
12.600 euro, più o meno quanto sarebbe costato nel 2019. «Con la
domanda in crescita e la disponibilità di impalcature ferma al
periodo pre-superbonus non solo si sono dilazionati i tempi di
realizzazione dei lavori (fino a 4 anni) ma anche i costi» spiega
Riccardo Milani, amministratore di condominio della provincia di
Milano. «Personalmente, ho spesso sconsigliato la formula del
superbonus per palazzi successivi al 1990. Non solo non c'è
beneficio economico ma soprattutto si riduce la possibilità per
altri di usufruire dell'incentivo statale, per esempio quegli
edifici degli anni ‘60 e ‘70 che necessitano di interventi».
Secondo alcuni osservatori stranieri l'Italia dovrebbe aumentare il
deficit/Pil del 2023 al di sopra dell'obiettivo del 4,5% fissato ad
aprile per l'impatto del bonus 110%. Stando ai dati dell'Enea
(Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo
economico sostenibile) l'aumento degli investimenti per singoli
interventi dal 2021 al 31 luglio di quest'anno è di circa il 15%. Se
al 31 agosto 2021 la cifra media per un condominio era di 547.191,22
euro, a luglio di quest'anno si passa a 636.611,27 euro, quasi 90
mila in più. Per quanto riguarda gli edifici unifamiliari, nel 2021
la spesa media era di 98.264 euro a fronte di circa 117.403 del
2023. Sempre secondo Enea, nel mese di luglio si è registrato un
utilizzo costante della detrazione con un incremento, da inizio
anno, di 17,5 miliardi di euro. Più di 421.995 gli edifici
interessati dai lavori di efficientamento energetico a fine giugno,
con 84 miliardi circa il totale degli investimenti; completato
l'81,8% degli interventi. La maxi detrazione, dunque, rimane ancora
il traino principale del settore edile, nonostante le modifiche
introdotte dal recente decreto Cessioni e la riduzione
dell'incentivo dal 110 al 90%. «Il superbonus è stato studiato male,
ha creato una congestione ed è poi stato cambiato più volte venendo
meno al patto fra Stato, imprese e cittadini» analizza Regina De
Albertis, presidente di Assimpredil Ance, l'associazione delle
aziende edili di Milano, Lodi, Monza e Brianza, la più grande
d'Italia. «Il vero responsabile dell'aumento dei costi in cantiere,
però, è la crisi energetica. Ora noi chiediamo al governo incentivi
stabili, sostenibili e duraturi nel tempo. Siamo pronti a sederci al
tavolo con le nostre proposte».
SALVINI FRA VITA DA FILM ED IGNORANTE ARROGANZA CHE PIACE MOLTO A
CHI LO VOTA SENZA CAPIRE : I messaggi stanno cominciando ad
arrivare. Giancarlo Giorgetti ha promesso una «manovra prudente», ma
la prudenza del ministro dell'Economia comporta che i colleghi
debbano stringere la cinghia e tagliare le spese dei propri
dicasteri. Uno dei meno disposti a farlo è Matteo Piantedosi,
secondo il quale non investire sulla sicurezza vuol dire mettere a
repentaglio non solo la lotta alla criminalità, ma anche la
competitività del Paese. L'ex prefetto di Roma ha scelto, infatti,
la platea del Forum Ambrosetti di Cernobbio per mandare i suoi
messaggi al collega. Malumori si segnalano anche da altri ministri
leghisti, mentre il Guardasigilli Carlo Nordio teme che la spending
review possa mettere in discussione alcuni interventi strategici,
come quello sulla giustizia civile. Sarà difficile, insomma, per
Giorgia Meloni anche avvicinarsi all'obiettivo di recuperare dai
ministeri un miliardo di euro per la manovra.
Nel suo intervento di domenica scorsa nella villa affacciata sul
lago di Como, Piantedosi ha sottolineato spesso concetti come
questo: «I fattori di legalità non devono far parte della
contrazione della spesa». Il Viminale l'anno scorso ha messo spesso
in rilievo il fatto che, per la prima volta dopo molti anni, ci
siano stati più agenti assunti che in uscita, una deroga alle norme
sul turnover della pubblica amministrazione, reso possibile dalla
dotazione di un fondo da 90 milioni previsto dalla scorsa manovra:
«Abbiamo invertito un trend, peraltro con tanti nuovi giovani in
organico», ha detto Piantedosi a Cernobbio, preoccupato dal fatto
che, con i tagli previsti, il 2023 sia stata solo un'eccezione.
Insomma, dopo aver sbandierato il nuovo corso all'insegna della
sicurezza e aver criticato gli esecutivi del passato, il governo
sarebbe costretto a tornare indietro. Poi c'è la questione
territoriale: «Su un totale di 37.614 posti di lavoro derivanti da
investimenti esteri nel nostro Paese, solo lo 0,3% e il 2,5% si
concentrano, rispettivamente, in Calabria e in Sicilia», ovvero le
Regioni, secondo il ragionamento che fa il ministro, dove occorre un
impegno economico maggiore sulla legalità. La platea di Cernobbio,
sempre domenica scorsa, aveva potuto ascoltare un altro allarme,
quello del ministro della Giustizia, Carlo Nordio: «La lentezza
della giustizia civile costa all'Italia più di due punti di Pil.
Quando parlo con i miei omologhi degli altri Stati, soprattutto
europei, e con gli ambasciatori, tutti mi dicono "non investiamo in
Italia perché non c'è certezza del diritto"». Il Guardasigilli ha
ricevuto dalla platea del Forum Ambrosetti applausi a scena aperta,
anche per le anticipazioni sul prossimo pacchetto della sua riforma
sul tema delle misure cautelari. Ma, come nel caso di Piantedosi,
Nordio sa che un intervento importante sulla giustizia civile
richiede dei fondi ulteriori e non certo i tagli ai ministeri. Da
via Arenula non arrivano polemiche dirette, ma la preoccupazione
esiste e Giorgetti ne dovrà tenere conto.
Il dibattito è solo all'inizio, Meloni intanto pensa al metodo con
il quale verrà affrontata la manovra. Una delle prime preoccupazioni
è serrare i ranghi della coalizione. I capigruppo del centrodestra
saranno ricevuti domani sera a Palazzo Chigi in un vertice nel quale
la premier vuole far passare alcuni messaggi: le risorse sono scarse
e vanno concentrate sulle priorità, in particolare la conferma del
taglio del cuneo fiscale e le misure a favore delle famiglie con
basso reddito. Meloni, come già nelle scorse settimane, dirà ai
partiti di evitare di impuntarsi su provvedimenti irrealizzabili in
queste condizioni. Oltre alle "bandierine" e gli assalti alla
diligenza, si dovranno evitare incidenti parlamentari, sempre in
agguato.
Altro appuntamento della settimana è il Consiglio dei ministri
fissato per giovedì. Meloni ha chiesto ai ministri di portare i
provvedimenti sulla sicurezza, in parte anticipati nel corso della
visita a Parco Verde a Caivano, nel luogo delle violenze su due
bambine. Ci saranno con tutta probabilità delle norme per indurire
le sanzioni contro i genitori che non mandano i figli a scuola, un
giro di vite sui reati che vedono coinvolti minorenni e delle misure
che proveranno a impedire ai minori l'accesso ai siti porno, come
richiesto dal sacerdote di Caivano don Patriciello. Potrebbe essere
rinviato invece il ddl sulla riforma della Costituzione che è ancora
oggetto di delicatissime limature a Palazzo Chigi.
IL SALVINIANO DOC IN FI CHE PIACE AL SUD E LO VOTANO :Ancora
tre-quattro settimane di tempo per incassare materialmente i 18,5
miliardi di euro della terza rata del Pnrr. Altrettante per ottenere
il via libera definitivo alle modifiche mirate della quarta rata,
con l'obiettivo di ricevere i 16,5 miliardi entro la fine dell'anno.
Ma per arrivare a un accordo con la Commissione sulla revisione
globale del Piano serviranno almeno altri due mesi di negoziati.
L'esecutivo europeo ha infatti parecchi dubbi sui passi indietro
proposti dal governo su alcune riforme: sotto la lente ci sono, in
particolare, la giustizia civile, la riduzione dei tempi dei
pagamenti della pubblica amministrazione e il nuovo codice per gli
appalti. «Troveremo un punto di equilibrio», fanno sapere da Roma
fonti di governo. Ma la partita rischia di incrociarsi con gli altri
dossier caldi che terranno banco a Bruxelles nel prossimo autunno:
dalla trattativa sulla manovra a quella per la riforma del Patto di
Stabilità.
Il ministro Raffaele Fitto è volato ieri a Bruxelles per incontrare
Céline Gauer, responsabile della task force Recovery. Il
responsabile degli Affari Europei è tornato in Italia in serata
decisamente soddisfatto per il confronto, il primo dopo la pausa
estiva. I due hanno fatto il punto sulle tempistiche per la terza e
la quarta rata dopo le «discussioni positive intercorse alla
riunione del Comitato di politica economica alla riunione del
Comitato economico e finanziario», ha fatto sapere il ministro in
una nota. Dopo il via libera della Commissione a fine luglio, la
palla è ancora nelle mani del Consiglio, ma al momento non sembrano
essere sorti particolari ostacoli. La revisione della quarta rata
dovrebbe essere approvata oggi dal gruppo di lavoro degli esperti di
finanza pubblica dei 27, poi finirà sul tavolo degli ambasciatori,
probabilmente già la prossima settimana. Una volta adottata dal
Consiglio, il governo potrà presentare la richiesta di pagamento dei
16,5 miliardi, dopodiché serviranno almeno due-tre mesi per l'esame.
Il governo è convinto di poter incassare i soldi entro la fine
dell'anno.
«Nell'incontro – ha aggiunto Fitto – si è anche discusso in modo
costruttivo della revisione globale del Pnrr, incluso il nuovo
capitolo RePowerEU». Anche un portavoce della Commissione ha parlato
di «un clima positivo e costruttivo». Ma su molti punti restano le
distanze perché Bruxelles non intende accettare «a scatola chiusa»
le modifiche proposte dal governo. Sulla riduzione dell'arretrato
civile nei tribunali, per esempio, l'Italia vuole abbassare
significativamente i target concordati, mentre sul taglio dei tempi
di pagamento della pubblica amministrazione, Roma punta a un rinvio
degli obiettivi.
Fitto ha difeso la linea del governo: le modifiche proposte – questa
la posizione di Roma – sono del tutto legittime perché, al momento
della stesura del piano, erano stati definiti obiettivi troppo
ambiziosi, impossibili da raggiungere. «Io sto facendo un'opera di
realismo», ha confidato ai suoi interlocutori. Dal canto suo la
Commissione non può accettare un significativo arretramento sulle
riforme, per questo nelle prossime settimane i tecnici cercheranno
di lavorare a un compromesso. L'esame riguarda anche le modifiche
relative alla lotta all'evasione fiscale, oltre che le novità e i
tempi del codice per gli appalti e le concessioni autostradali.
Un altro capitolo sul quale si sta negoziando è quello del RePowerEu.
In questo caso il confronto è in fase avanzata perché Bruxelles
aveva ricevuto una prima bozza già durante la scorsa primavera. Ma
il piano vero e proprio è stato trasmesso soltanto all'inizio di
agosto e in ballo ci sono opere nel campo della transizione
energetica per quasi venti miliardi di euro. Il governo spera di
poter ottenere l'approvazione della Commissione «tra la fine di
ottobre e l'inizio di novembre» in modo da poter già predisporre le
assegnazioni dei lavori, anche se per il via libera ufficiale
bisognerà poi attendere un altro mese perché ogni modifica dovrà
essere vagliata dal Consiglio. L'obiettivo, comunque, è di poter
«mettere a terra» tutte le opere del RePowerEu entro la fine
dell'anno.
Al di là degli interventi sulle singole misure, però, fonti Ue fanno
notare che sarà molto importante preservare «lo spirito e le
ambizioni del Piano». Un'osservazione che giustifica lo scetticismo
con il quale era stata accolta la decisione di stralciare dal Pnrr
alcuni interventi del capitolo "green", in particolare quelli per
prevenire il dissesto idrogeologico.
MODELLO GRECO IN GERMANIA CHI INTERVERRA' A PORRE CONDIZIONI ?
È pesante la critica che arriva dalla Corte dei Conti tedesca
alla bozza della legge di bilancio 2024 del governo di Berlino e tra
poco in discussione al Bundestag. L'accusa dei magistrati contabili
è di aggirare deliberatamente la regola del "freno al debito"
scritta in Costituzione e di nascondere il debito reale. Il
disavanzo effettivo in effetti sarebbe 5 volte più alto di quello
presentato ufficialmente. Non i 16,6 miliardi di euro dichiarati ma
85,7 miliardi, si scrive nella "Analisi dello stato delle finanze
federali" della Corte, anticipata per primo dal quotidiano
Handelsblatt. La spiegazione di questo tromp l'oeil contabile è che,
dalla guerra in Ucraina passando per la crisi energetica, sono stati
approvati una serie di "bilanci ombra", i cosiddetti "Sondervermoegen",
che hanno in qualche modo nascosto sotto il tappeto l'indebitamento
reale del Paese.
Questi fondi extra-bilancio - per la verità cominciati nel 2020 con
l'emergenza Covid - si sono susseguiti ad ogni crisi. Tra i più noti
c'è il fondo speciale per la Difesa da cento miliardi, approvato nel
marzo 2022 per adeguare le Forze armate alla nuova situazione
geopolitica, e il fondo per la Transizione e il Clima da oltre 211
miliardi di euro approvato nell'estate del 2022 per affrontare la
transizione energetica. Il bilancio della federazione negli ultimi
anni – dicono i magistrati contabili «ha perso gran parte della sua
importanza a causa del passaggio a bilanci sussidiari, e numerose
spese federali si sono volatilizzate».
Un'accusa non da poco. Il progetto di legge viene definito "unsolide"
che vuol dire insoddisfacente ma anche inaffidabile. Un aggettivo –
quest'ultimo - che non siamo soliti vedere associato alla Germania,
e soprattutto ad un documento che esce dall'austero edificio della
Wilhelmstrasse, la sede del ministero delle Finanze, fino a pochi
anni fa tempio indiscusso del rigorismo e dello "Schwarze Null" (letteralmenre
"zero nero" ma traducibile come "zero tondo" o "zero virgola zero")
di Wolfgang Schaeuble.
Ma a Berlino i sono una partita interna e una partita internazionale
che si intrecciano. Il gioco che si svolge nel perimetro della
coalizione "semaforo" (dai colori dei tre partiti di maggioranza)
vede il ministro delle Finanze Christian Lindner dichiarare urbi et
orbi che è ora di tornare al freno al debito previsto dalla
Costituzione, in alternativa alla politica espansiva voluta dai suoi
alleati di governo, socialdemocratici e verdi. Del resto questo è il
mantra del partito liberale, il recinto da difendere.
E questo spiega la ragione per cui i fondi speciali per la
transizione energetica e per la difesa sono finiti in extra-budget.
Per poter dire: rispettiamo la soglia consentita dalla norma
costituzionale. A livello internazionale Lindner difende l'idea di
una Germania paladina di finanze solide, e nella partita sulla
riforma del Patto di stabilità si dice scettico sulla possibilità di
introdurre eccezioni al calcolo del deficit per alcuni investimenti,
come richiesto da alcuni Paesi (fra cui l'Italia).
In questa partita doppia si inserisce la corte dei Conti tedesca che
dice: il re è nudo. Esternalizzare in fondi speciali spese federali
è un espediente ingannevole. «Pianificare spese crescenti senza
chiarirne il finanziamento non è segno di solidità di bilancio»,
scrivono nero su bianco. In altre parole il ministro tedesco delle
Finanze si fa promotore nell'agone europeo di una solidità delle
finanze che in casa non rispetta. Ma bisogna fare attenzione: la
Corte dei Conti tedesca non va in direzione di un allargamento delle
maglie, ma in senso opposto. «In vista dei futuri obblighi di
rimborso e dell'aumento dei tassi di interesse, il governo federale
deve creare le basi per la sostenibilità dei bilanci futuri», è il
suo richiamo. Il parere dei magistrati contabili però è obbligatorio
prima della discussione parlamentare ma non vincolante. Il deficit
tedesco nel prima metà anno viaggiava intorno al 2,1%, riferiscono i
dati dell'Uficio federale di Statistica, ma secondo il report
mensile della Bundesbank di agosto nella seconda metà dell'anno
potrebbe salire molto di più.
DOVE ERANO I VERTICI DI FS NOMINATI DA MELONI ? I precedenti
raccontati d a manutentori di Rfi e addetti di scorta alle ditte al
lavoro sui binari
Protocolli ignorati, traffico riaperto troppo presto "Ho fatto
segnalazioni e sono stato rimosso"UN SISTEMA MARCIO
Quello che è successo la notte maledetta di fine agosto a Brandizzo,
quando il treno ha travolto cinque operai, poteva accadere anche in
altre occasioni? Ormai tutto un sistema di protocolli ignorati sta
venendo a galla. E i sindacati dei trasporti stanno raccogliendo un
elenco di episodi avvenuti negli ultimi tempi in Piemonte. Casi
circostanziati che testimoniano rischi troppo spesso sottovalutati,
raccontati dalla voce di manutentori che lavorano per Rfi.
Aprile 2023. «Riporto due episodi, molto simili. Uno capitato a me,
l'altro a un collega», rivela un addetto. «Stavamo operando nei
pressi della stazione, quando ci siamo accorti che un treno stava
arrivando sui binari che per noi risultavano interrotti. Ci siamo
subito spostati. Abbiamo poi scoperto che, per un'incomprensione, il
regolatore della circolazione aveva fatto riprendere la marcia dei
treni sia sul tratto da noi interrotto che su un altro binario, dove
invece i lavori erano già terminati». Il secondo episodio è simile,
«ma la marcia è stata fatta riprendere all'orario previsto,
dimenticando però che per il prolungarsi dei lavori la squadra del
mio collega non aveva ancora comunicato alla stazione di aver
terminato».
Entrambi questi episodi sono stati segnalati a Rfi così come un
altro, accaduto alla fine dello scorso anno. «Stavo scortando una
ditta che si sarebbe occupata della sostituzione dei binari, delle
traversine e del pietrisco», è il racconto di un capo-scorta. «Prima
di effettuare questi lavori si trasportano le rotaie lungo la linea
con un treno appositamente attrezzato e si adagiano a fianco dei
binari esistenti. Vengono scaricate una ad una: un caricatore le
afferra a una estremità, poi il treno avanza e le rotaie si sfilano
dall'ultimo carro del convoglio. Questo è il metodo più veloce.
Avevo fatto presente alla ditta e al mio superiore che gli operai
intorno al convoglio correvano un pericolo, in quanto dovevano
guidare le rotaie, ognuna lunga quasi 150 metri per 9 tonnellate,
con delle aste metalliche. Dopo alcune segnalazioni sono stato
sollevato dall'incarico».
Altro caso, sempre 2022. Le gallerie di valico, nei tratti alpini,
di vecchia costruzione sono state costruite tutte a schiena d'asino:
nel percorrerle si avrà prima una salita e poi una discesa, in
entrambe i sensi di marcia. Un sistema necessario per convogliare i
fumi delle locomotive a vapore verso i camini che lo facevano
defluire in superficie. «Ho scortato diverse volte una ditta. Per
poter lavorare era necessario "spezzare" il treno cantiere:
fermarlo, staccare alcuni carri e allontanare gli altri per
lavorare. Una volta terminate le lavorazioni riagganciare e
ricoverare il treno in una stazione. Questo è vietato dal
regolamento, ma per alcune volte ho tollerato lo strappo alla
regola. Visto il perdurare dei lavori ho valutato che questa pratica
era troppo pericolosa, unita al fatto che i lavori producevano una
quantità di polveri enorme che dopo pochi minuti riduceva la
visibilità a zero. Ho più volte battibeccato con il capocantiere
della ditta e ho informato i miei superiori. Dapprima, hanno
insistito perché continuassi a scortare la ditta e a farla lavorare.
Poi non sono stato più utilizzato per questa scorta».
Infine, giugno 2023. A parlare è un altro addetto di Rfi. «Ho svolto
per un po' di tempo il servizio di scorta ditta, per alcune
lavorazioni che prevedevano un trasferimento di macchine operatrici
e carrelli fra una stazione e un'altra. Una notte mi sono accorto
che uno dei mezzi sembrava procedere a singhiozzo. La sera
successiva sono andato in anticipo in stazione dove erano in sosta i
mezzi e ho preteso dal capocantiere che mi facesse ispezionare il
carrello che la sera prima non mi aveva convinto. Ho scoperto che
aveva un problema al freno ed era stato sistemato con una
riparazione di fortuna. Ovviamente non ho permesso alla ditta di
uscire. Anche i miei superiori hanno preteso che la ditta sistemasse
i mezzi, ma non sono più stato utilizzato per la scorta a
quell'azienda. Ero diventato una persona indesiderata».
VERTICI INCOMPETENTI E POLITICIZZATI: È mattina presto quando
in procura a Ivrea i magistrati titolari dell'inchiesta sul disastro
ferroviario di Brandizzo, costato la vita a cinque operai della
Si.gi.fer (Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe
Saverio Lombardo, Giuseppe Aversa), iniziano i primi interrogatori.
I colleghi delle vittime vengono sentiti come «persone informate sui
fatti»: non possono mentire (sarebbero indagati per falsa
testimonianza), non possono avvalersi della facoltà di non
rispondere.
Le prime ammissioni vanno a irrobustire il filone dell'inchiesta
anticipato da La Stampa che – al netto delle responsabilità sul
fatto specifico – potrebbero a breve far allargare le contestazioni
ad altre figure, magari legate a Rfi. Dicono, a mezza voce, che la
prassi di iniziare a lavorare sui binari prima dell'autorizzazione,
così da riuscire a concludere in tempo i lavori, non era rara. Non
un fatto isolato, insomma. «Avevamo sempre poco tempo, abbiamo
sempre dovuto correre. Ma il tempo non lo potevamo stabilire noi,
dipende da Rfi e non possiamo fare altro che adeguarci alle finestre
per le interruzioni dei treni», hanno raccontato alcuni della
Si.gi.fer. E sui turni? «Tante notti, è il nostro lavoro, non si può
fare altrimenti. Ma ci hanno sempre pagato regolarmente».
E anche Antonio Veneziano, ex dipendente dell'azienda, già collega
di lavoro del più giovane degli operai morti (Kevin Laganà) ha
ribadito ai magistrati quanto raccontato ai media: «È già capitato
molte volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in
cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer, ndr), quando sapevamo che un
treno era in ritardo ci portavamo avanti con il lavoro».
Qualche esempio: «C'era una regolazione, cioè il restringimento del
binario, da fare con un convoglio atteso fuori dall'orario corretto
di passaggio? Iniziavamo a lavorare, svitavamo i chiavardini
(sistemi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno, ndr),
dopodiché, prima del passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai
binari. Eravamo in sei-sette per ogni gruppo ma in quei casi c'era
chi ci guardava le spalle. L'altra notte non è andata così, erano
tutti sulla massicciata».
È esattamente ciò che è accaduto a Brandizzo nel caso dell'incidente
dell'altra notte. Gli operai della ditta di Borgo Vercelli, scortati
dal tecnico Rfi Antonio Massa, al momento principale indagato in
questa bruttissima storia di morte ed errori, avrebbero dovuto
iniziare a lavorare alla sostituzione di 7/8 metri di rotaie
ferroviarie, a mezzanotte e fino all'1,20. Dopo sarebbe passato un
treno. Prima ne sarebbero dovuti transitare altri due, di cui uno
regionale e l'altro al traino di carrozze vuote. Alle 23,36 la
telecamera della stazione di Brandizzo, i cui filmati sono stati
acquisiti dalla Polfer, immortalano Massa al telefono che è ancora
in attesa del via libera della centrale operativa: la linea non è
ancora interrotta. Sui binari lavorano già i cinque operai. «Ce lo
ha detto lui», ha spiegato ai magistrati Alessandro Gibin Girardin,
capo cantiere della Si.gi.fer e – al momento - secondo indagato. «Ci
ha dato lui l'autorizzazione».
I rumori di sottofondo della chiamata, recuperata dagli
investigatori dai server di Rfi, sono chiari: si sentono operazioni
di sbullonamento. Poi il rumore del treno, lo schianto.
Di questo ha parlato diffusamente la dirigente movimento di Chivasso
che non ha mai concesso a Massa l'autorizzazione a iniziare il
cantiere. «Per tre volte, in tre distinte telefonate gli ho detto di
aspettare. Mi chiedeva quando poteva iniziare, ma non ho mai dato
l'ok: dovevano passare due treni e uno in ritardo. L'ho fatto
presente».
La donna, 25 anni, originaria della Valsusa, è in servizio alla
centrale operativa da circa due anni. Ha terminato un corso ad
Alessandria ed è stata assegnata a Chivasso. Era al telefono quando
il convoglio anomalo che trasportava carrozze vuote ha investito in
pieno gli operai: «Ho sentito un botto, come una bomba o un
petardo». La linea è caduta, lei ha richiamato subito. Dall'altra
parte del telefono Massa «urlava che erano tutti morti». La giovane
è arrivata in procura accompagnata dalla mamma e dal fidanzato. Era
in vacanza in Calabria. Il giorno dopo la tragedia erano programmate
le sue ferie. È dovuta rientrare per rispondere alle domande dei
magistrati.
Non è indagata, ma il tempo trascorso di fronte ai magistrati lascia
presupporre che molte altre cose siano state dette. In fondo la
versione, pur ribadita, di aver negato al tecnico Rfi
l'autorizzazione a iniziare il cantiere, era già negli audio agli
atti dell'inchiesta dei magistrati.
COMPLICITA' BILATERALE:
«Il sindacato?
In Si.gi.fer non è mai entrato. Qualche dipendente è iscritto alla
Cgil ma non siamo mai riusciti a costituire una rappresentanza
sindacale né a fare assemblee con i dipendenti». Alessandro
Triggianese è il segretario della Fiom Cgil Vercelli Valsesia: «Non
è stato lesinato alcuno sforzo - assicura -: compreso cercare di
parlare con i lavoratori di notte, a fine turno. Abbiamo seguito
alcune vertenze da parte di lavoratori licenziati o che decidevano
di dimettersi» aggiunge. Impossibile, invece, trattare sulle
condizioni di lavoro degli operai in servizio. Oggi, intanto, il
tema della sicurezza dei lavoratori del settore ferroviario arriva
davanti alle commissioni riunite Trasporti e Lavoro della Camera:
dalle 17 sarà ascoltato
l'amministratore delegato di Rfi Gianpiero Strisciuglio, poi i
rappresentanti di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Usb, Orsa Fast Confsal
FIDUCIA E TRASPARENZA DOVE SONO ?«L'Arabia Saudita sarà la
vostra seconda casa», promette Khalid Al-Falih, ministro degli
investimenti di Riad, agli oltre 500 imprenditori che affollano
l'Hotel Gallia di Milano e più di 700 collegati da remoto. Ma quale
via della Seta, la nuova Cina sta nel Golfo Persico, indossa il
ghutra e per i prossimi sette anni, come ricorda Al-Falih, ha un
piano da 3 mila miliardi di euro di investimenti. Tanti petrodollari
da fare girare la testa.
Per questo a Milano gli imprenditori affollano le sale della prima
edizione dell'Italian Saudi Investment Forum. Tutti a seguire le
orme di Roberto Mancini: dal calcio al business. Non manca nemmeno
il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso che sigla
una lettera di intenti (memorandum of understanding, per chi mastica
l'inglese) col collega saudita, un'intesa che riguarda la
cooperazione e la promozione di investimenti.
Il tono è da grandi occasioni: «È una svolta storica – proclama Urso
–. L'Arabia Saudita è stata per lungo tempo un grande partner
commerciale, un fornitore di energia per il nostro Paese, per
l'Europa. Oggi con questo Forum che a breve realizzeremo anche in
Arabia Saudita, si passa dalla partnership commerciale sull'energia,
sul carbon fossile, alla partnership tecnologica e industriale tra
le imprese italiane e quelle saudite, con ipotesi di significativi,
importanti, accresciuti investimenti di imprese saudite nel nostro
Paese, nel nostro sistema industriale. In questo modo faremmo un
salto significativo». Riad appare interessata, assicura il ministro,
a investire anche nel futuro fondo strategico per il made in Italy.
Dall'Arabia c'è la «disponibilità ad un confronto» per parteciparvi
attraverso fondo sovrano Pif. In tutto questo ci sarebbe un piccolo
particolare, su cui comunicati e dichiarazioni sembrano glissare. E
riguarda l'opportunità di stringere legami sempre più stretti con un
Paese dove i diritti (delle donne, per esempio) sono quelli che sono
e i giornalisti (ricordate
la vicenda di Jamal Khashoggi?) entrano in un'ambasciata e
scompaiono nel nulla. Non esiste un problema etico, dunque?
Non c'era per Matteo Renzi, pioniere con le sue conferenze a Riad
che oggi se la ride («Mi fa piacere leggere le parole del ministro
Urso sulla partnership con l'Arabia Saudita e ricordarmi quelle che
diceva tre anni fa», afferma). E non c'è oggi per il governo: «Io vi
invito a guardare la realtà – argomenta Urso –. Se per esempio oggi
in Africa, non solo noi, ma anche l'Europa ha tanti problemi, è
perché abbiamo sempre guardato con occhio europeo i problemi a
fronte di altri paesi che, invece, non si fanno tanti scrupoli
nell'intervenire in quel campo». Quindi «dobbiamo partire dal
sistema di valori europei a cui siamo assolutamente fermi e
difendiamo in ogni contesto» ma «il mondo è, comunque, molto diverso
da quello che noi pensavamo e da quello che abbiamo realizzato».
Avanti senza remore dunque. Tra i promotori dell'evento, oltre a
Ambrosetti, The Italian Trade Agency, Invest Saudi ci sono anche
Confindustria e la sua "costola" milanese, Assolombarda. «È
un'opportunità nuova – commenta il presidente Alessandro Spada –, è
un paese che si apre e sta investendo molto, è giusto valutarlo e
provare a lavorarci assieme. L'interesse è altissimo». Al Forum
arrivano 150 imprese da Riad e accorrono i nomi importanti
dell'Italia che produce: da Eni a Snam, a Cdp, Enel, Leonardo,
WeBuild, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ita, Ansaldo Energia,
Saipem, Invimit, Barilla, per citarne alcuni. «Riad sta investendo
moltissimo nelle infrastrutture, per il nostro gruppo ci saranno
opportunità. Lavoriamo in Arabia Saudita da tanto tempo e ci stiamo
organizzando per essere presenti in maniera più strutturata», dice
ad esempio Veronica Squinzi, ad del gruppo Mapei, presente per
l'occasione. Venti le lettere di intenti firmate. Una riguarda, per
esempio, la Technogym di Nerio Alessandri. E ben sei (tra gli altri
con Eni, A2A, De Nora) coinvolgono il gruppo saudita Acwa Power,
guidato da un italiano, Marco Arcelli. «Questo è un paese che
dialoga con tutti, cresce, sta decarbonizzando – assicura il manager
–. Le aziende italiane non percepiscono ancora tutte le opportunità
che ci sono. Sì, oltre la via della Seta, c'è la via dell'Arabia».
RIXI E SALVINI DOVE SONO IN UNO STATO LATINTANTE CON CONTE, DRAGHI E
MELONI ? La testimonianza più cruda dal quartiere
genovese del Cep è arrivata a febbraio. Con il soccorso a una
persona che non riesce a muoversi autonomamente e i volontari della
pubblica assistenza costretti a percorrere 400 scalini per portarlo
all'ambulanza con speciale barella in grado di arrampicarsi sui
gradini, lo "scoiattolo".
L'ascensore che porta alle strade più in alto era guasto. E' quasi
sempre guasto. Per la vetustà, il super utilizzo, gli atti
vandalici. Il Comune si è impegnato a ripristinarlo ma si va avanti
a rattoppi, perché non si può fare molto di più. Dario De Giorgi ha
documentato tutto. Spiega: «Da quando sono venuto ad abitare qui ho
deciso che non avrei lasciato sole queste persone».
Così quest'ascensore di via Novella diventa il simbolo di un
quartiere irrisolto, contraddittorio, difficile. Il Cep, acronimo di
Centro edilizia popolare. Chi abita qui non lo ama. Il nome
preferito è Ca' Nuova. Quartiere nato alle spalle del ponente di
Genova alla fine degli anni Sessanta, gli ultimi del boom economico.
Nato per rispondere alla massiccia immigrazione del Sud. Palazzoni
sgraziati, anche se con vista sul mare dalla collina, strade che si
avviluppano senza apparente senso e finiscono nel nulla o tornano al
punto di partenza.
Non c'è una piazza. C'è una sorta di slargo, lo chiamano piazza ma
non lo è. Uno di quei quartieri, commenta il responsabile della
Comunità di Sant'Egidio Andrea Chiappori, «di cui si parla per una
ventina di giorni quando in Italia succede qualche episodio in
queste realtà disagiate e poi cala di nuovo il silenzio».
Tra gli anni Settanta e Novanta il tessuto sociale era composto
dagli operai e dalle loro famiglie. C'erano associazioni, comitati,
tanta partecipazione. Poi man mano chi ha potuto è andato via. E il
Cep è diventato, come accade in molte realtà del Paese, una
concentrazione di disagi. Il terminale di assegnazione di case
popolari. Dove converge chi ha evidentemente dei problemi.
Racconta Sergio Casali: «Uno studente di Voltri, sul mare, mi ha
detto: prof, io abito a un chilometro di distanza in linea d'aria ma
sembra che in mezzo ci sia un muro». Casali è docente di religione
al liceo scientifico Cassini ed è un volontario di Sant'Egidio.
Conosce la realtà del territorio.
Il Cep, dove i residenti sono circa 6.300, gli immigrati l'8 per
cento, è il quartiere genovese dove c'è la maggior percentuale di
giovani e giovanissimi. La ragione è intuitiva. Avere figli è uno
dei requisiti per ottenere una casa popolare: «Ci sono tante donne
sole con tanti figli». Ma qual è la loro esistenza quotidiana? «Il
fenomeno di logoramento del tessuto sociale – insiste Casali –
affiora per assurdo anche al livello di piccola criminalità. Tra i
giovani emerge solo un malessere disgregato e sostanzialmente
autolesionista. C'è qualche episodio violento, piccole rapine per
procurarsi gli stupefacenti, ma nessuna capacità organizzativa».
In un contesto di questo tipo, potrebbero accadere anche episodi
gravi come quelli di Caivano? «Io – conclude Casali – non lo so
dire, non ho una risposta. So che questi ragazzi possono essere una
risorsa o un problema, tutto è nelle nostre mani».
Punta l'obiettivo su queste generazioni Carlo Besana: «I primi a non
partecipare più alle nostre iniziative sono stati i ragazzi di 18 e
19 anni. Oggi anche quelli di 13 o di 14 preferiscono trascorrere le
loro giornate in altri quartieri. A Voltri, a Pra', a Pegli. Tante
famiglie li lasciano liberi già a quell'età di far quello che
vogliono. Così diventa difficile fare un'opera di aggregazione e di
educazione». E poi c'è l'effetto social: «Hanno modificato il
concetto di amicizia e di comunità trasformando tutto in virtuale».
Besana è un nome storico per il Cep. Nel 1995 ha aperto una farmacia
nel quartiere. Due anni dopo è diventato il presidente del Consorzio
Pianacci. Quasi un miracolo: il bar, poi la biblioteca, la scuola
per stranieri, la festa che univa pesto e il cous cous, il
doposcuola, i corsi professionali. Il Palacep, una tensostruttura
che non se ne vedono tante.
L'impegno, anche oggi che è presidente onorario, non è mai venuto
meno. Ma intanto il Cep, che tanto difettava di servizi, si è ancor
più immiserito. La farmacia esiste sempre, anche se ha cambiato
mano. Ma è difficile lavorare se non c'è nemmeno uno studio medico
vicino. Non c'è più un supermercato, non c'è più un tabaccaio. Per
fare un po' di spesa bisogna prendere lo scooter, l'auto, più spesso
l'autobus.
Ci fermiamo a parlare con un altro residente. Alfonso Leandri abita
qui dal 1984, quando è arrivato con la famiglia. «C'erano i
lavoratori, i poliziotti, tanta voglia di fare e organizzare per il
quartiere. Tutto è cambiato e l'impressione è sempre che le
istituzioni siano troppo lontane, che non ascoltino le nostre
problematiche».
Resta l'impegno di Sant'Egidio, che è qui dal 2008. Iniziative per i
bambini poi per gli adolescenti e gli anziani. Il supporto
scolastico con 150 volontari, soprattutto studenti dell'Ateneo, per
le situazioni educative. Le visite dei docenti dell'Istituto di
Tecnologia e del conservatorio. Prossimo progetto con la scuola? Un
tempo super prolungato dove il 50 per cento degli studenti provenga
da altri quartieri meno problematici, con il taxi gratuito. Il
tentativo generoso di evitare l'effetto ghetto.
PERCHE' NASCONDERSI SOTTO IL BRACCIO DEL GORILLA CHE SGOMMA VIA
ALZANDO L'INDICE ? E' QUESTO IL FUTURO DI FS ? La dirigente
delle Ferrovie dai pm per sei ore "Lo schianto in diretta, sembrava
una bomba"
Sei ore. È il tempo trascorso negli uffici della procura di Ivrea
dalla dirigente di movimento della stazione di Chivasso, sentita
come persona informata sui fatti dalla polizia giudiziaria della
Guardia di finanza. Vincenza, 25 anni, originaria della Val di Susa,
dopo il corso tenuto ad Alessandria, da due anni è in servizio come
dirigente di movimento a Chivasso. È lei la testimone chiave della
maxi-inchiesta sul disastro ferroviario di Brandizzo in cui hanno
perso la vita cinque operai, travolti dal treno la notte tra
mercoledì e giovedì mentre lavoravano lungo i binari.
«Per ben tre volte, quella notte, non ho autorizzato Antonio Massa a
dare inizio ai lavori». Vincenza, rientrata anticipatamente dalle
vacanze, lo ha ribadito davanti ai magistrati e ai finanzieri. Sei
ore in cui ha ripercorso quella tragica notte. All'uscita dagli
uffici della procura, alle 19,40, ad attenderla c'erano il compagno
e la mamma. «Sono stupita positivamente di come mia figlia abbia
gestito la situazione quella notte», commenta, orgogliosa, la mamma
mentre da ore l'attende fuori dagli uffici giudiziari.
Quella sera la dirigente di movimento non autorizzò l'avvio dei
lavori e in una telefonata, la terza avuta con Massa, il preposto di
Rfi alla sicurezza del cantiere (indagato insieme ad Andrea Gibin
Girardin, capo squadra degli operai morti), udì dall'altra parte del
cavo un rumore fortissimo, «come se fosse esploso un grosso petardo,
una bomba».
Una testimonianza fiume, ma fondamentale per le indagini. Perché da
ora le attenzioni dei magistrati eporediesi Valentina Bossi e Giulia
Nicodemi e della procuratrice capo Gabriella Viglione, si starebbero
concentrando sulle condotte adottate durante i lavori lungo i
binari. Sembra proprio che l'imprudenza di attaccare a lavorare
prima di aver ottenuto l'interruzione della linea fosse una prassi
consolidata. E ieri proprio su questo fronte sono arrivate in
procura le prime ammissioni.
Non è un caso, infatti, che le pm Bossi e Nicodemi abbiano ascoltato
tre operai di Si.gi.fer, l'azienda di Borgo Vercelli per la quale
lavoravano i cinque operai morti. Tra loro anche Antonio Veneziano,
ex dipendente dell'azienda, già collega di lavoro del più giovane
degli operai deceduti (Kevin Laganà). «È già capitato molte volte di
iniziare i lavori in anticipo: in molte occasioni in cui ho lavorato
(alla Si.gi.fer, ndr), quando sapevamo che un treno era in ritardo
ci portavamo avanti con il lavoro». Qualche esempio: «C'era una
regolazione cioè il restringimento del binario, da fare con un
convoglio atteso fuori dall'orario corretto di transito? Iniziavamo
a lavorare, svitando i chiavardini (sistema di fissaggio delle
rotaie alle traversine in legno, ndr), dopodiché, prima del transito
dei convogli ci buttavamo fuori dai binari. Eravamo in sei-sette e
in quei casi c'era chi guardava le spalle: l'altra notte non è
andata così, erano tutti sulla massicciata».
Sono stati rimandati a casa e convocati nei prossimi giorni Massimo
e Tonino Laganà, padre e fratello di Kevin, il più giovane delle
vittime. Ieri si sono presentati in procura con la foto di Kevin
stampata sulla t-shirt bianca indossata.
In mattinata si sono presentati a palazzo di giustizia anche
l'avvocato Alessandro Raucci (legale nominato d'ufficio per tutelare
Antonio Massa) e l'avvocato Enrico Calabrese che tutela la famiglia
Laganà: «Sono venuto qui per aver qualche informazione sulle
tempistiche e sulla data dei funerali. È abbastanza inutile
l'autopsia. Si dovrà ricorrere al Dna o a qualche segno di
riconoscimento particolare per identificare le vittime».
VERTICI RFI RESPONSABILI MA ANCORA NON INDAGATI, PERCHE' ? "Spesso
al lavoro sui binari senza autorizzazioni scritte"
Camminano in disparte, lontano dalle bandiere dei sindacati. Al
fondo del corteo, senza un simbolo, senza uno striscione. Sono una
ventina gli operai della Si.gi.fer. che hanno deciso partecipare al
corteo, ieri a Vercelli. Ma non vogliono essere identificati. Non
hanno alcuna intenzione di parlare e stringere mani, il dolore è
ancora troppo forte e lo si legge sul volto di questi uomini che
hanno tra i 30 e i 55 anni. Procedono in silenzio. Non hanno nemmeno
il segno del lutto al braccio, come invece mostrano gli altri
lavoratori che sfilano con la Cgil, la Cisl e la Uil. A metà
manifestazione, prima che il corteo arrivi in prefettura, vanno via.
Eppure, a denti stretti, raccontano quella che è la loro esperienza
nell'azienda di Borgo Vercelli. «Lavoro lì da otto anni - dice
Marco, il più anziano - prima facevo il muratore. Sono lo "zione",
ho lavorato con tutti e ho insegnato il mestiere ai più giovani.
Ancora non ci credo che sono morti. Oggi pomeriggio (ieri per chi
legge, ndr) andremo al magazzino della ditta tutti insieme per farci
forza». Per provare a elaborare il lutto, perché prima o poi si
dovrà riprendere ad andare sui binari per le manutenzioni.
«Ritornerò a lavorare perché si deve fare, ma con la tristezza nel
cuore. Dobbiamo trovare la forza».
Per ora i cantieri che avevano da fare sono sospesi. La Si.gi.fer. è
ferma «non sappiamo quando riprenderemo, anche se non possiamo stare
così a lungo senza stipendio. E pure l'azienda non può stare ferma
altrimenti i soldi finiscono». Ma ora non avete paura? «Certo. Io
non entrerò mai più su un binario se non c'è un'autorizzazione
scritta e se tutte le pratiche non sono a posto. Tutti i passaggi
formali devono essere fatti», dice lo "zione". Ma lo confermano
anche gli altri.
Ed è lui, quello che lavora da più tempo tra i presenti, a
raccontare come vanno le cose in azienda: «È da anni che è in piedi
quest'azienda, abbiamo sempre lavorato in accordo. Onesti e regolari
nei pagamenti. Abbiamo fatto i corsi di formazione indispensabili da
contratto». Ma poi, continuando la chiacchierata con altri colleghi,
emerge l'altra faccia della luna che conferma la versione emersa
finora, confermata dagli addetti sentiti ieri in procura a Ivrea:
«Abbiamo sempre poco tempo per i fare i lavori, dobbiamo sempre
correre. Ma il tempo non lo possiamo stabilire noi, dipende da Rfi e
non possiamo fare altro che adeguarci alle finestre per le
interruzioni dei treni». Aggiunge un altro ragazzo sulla trentina:
«Il rischio di non finire in tempo è sempre altissimo; per questo
anche pochi minuti per noi sono preziosi. Loro pensano - dice
riferendosi a Rfi - che sia possibile farcela ma poi siamo noi a
dover lavorare». E se c'è un intoppo, magari un macchinario che si
rompe? L'operaio alza le braccia. La risposta è da intuire nel suo
gesto.
E i turni? «Tante notti, è il nostro lavoro, non si può fare
altrimenti. Ma ci hanno sempre pagato regolarmente», ribadisce.
Quanti giorni di fila? «Dipende. Avevamo un giorno di riposo, poi ci
regolavamo in base ai turni. Nessuno era obbligato. Dovevamo
lavorare quaranta ore a settimana ma se lavori solo di notte non le
raggiungi perché le interruzioni sono sempre fino alle 4. Puoi
attaccare alle 22 per iniziare a caricare i materiali o continuare
dopo le 4 per finire dei lavori sul piazzale. Ma il tempo sui binari
non è così lungo».
Le commesse per l'azienda in questo periodo erano aumentate, anche
per i cantieri del Pnrr. «Ci capitava di avere lavori più lunghi,
che non si concludevano in un giorno ma che andavano avanti per più
tempo». Alla Si.gi.fer. i lavoratori hanno tutti il contratto
dell'edilizia e sono proprio i sindacati degli edili a raccontare
che qualche iscritto c'è. Però, nonostante la ditta nata nel 1993
abbia una novantina di dipendenti, non c'è mai stata una
rappresentanza sindacale interna che facesse da collegamento tra
azienda e sindacato. «È una ditta che conosciamo - conferma Ivan
Terranova della Fillea Cgil - abbiamo qualche iscritto che ci ha
segnalato cose che capitano spesso in quasi tutte le imprese come le
differenze retributive. E poi ci sono ex lavoratori che sono passati
da noi per delle vertenze e qualche cosa che non andava lo hanno
raccontato. Quando lavori di notte l'attenzione deve essere
diversa».
La prima anomalia, evidenzia Terranova, «è proprio che non ci sono
delegati interni nonostante le dimensioni. Se ci fossero state delle
rsu sarebbe stato diverso. Invece si lavora a mini squadre e i
comportamenti possono essere diversi a seconda di chi ne fa parte. E
poi ci sono passaggi che si dovrebbero fare, come i briefing per i
cantieri con la ditta appaltante: se non c'è il sindacato è più
facile vengano saltati».
«Li vedi i miei colleghi, sono tutti distrutti - conclude lo "zione"
-. Eravamo tutti uniti, mangiavamo tutti i giorni insieme. Non
sappiamo quando riprenderemo ma come facciamo a stare dieci giorni
senza stipendio? Per il dolore che provo domani non mi andrebbe di
andare, ma abbiamo dei cantieri aperti che devono pur essere
finiti».
INSENSIBILITA' IRRAGIONEVOLEZZA : SINDACO LO RUSSO :
Metropolitana, male la prima scale mobili e ascensori fuori uso
Diciotto scale mobili fuori uso. Undici ascensori fermi.
Soprattutto, due interruzioni del servizio, avvenute poco dopo le 8,
orario cruciale per chi era diretto sul posto di lavoro. È ripartita
da questi numeri, ieri mattina, la metropolitana di Torino. Lo ha
fatto dopo quattro settimane di stop, dovute a un intervento di
aggiornamento dei sistemi sotterranei. Piccoli e grandi disservizi
che, nella giornata di ieri, hanno fatto alzare la voce a numerosi
passeggeri. Tanti, sui social, i post di protesta di utenti che si
chiedevano perché, in questo mese scarso, Gtt non avesse provveduto
a effettuare le manutenzioni del caso. Lamentele cui dall'azienda
ribattono ricordando che le manutenzioni, dal 7 agosto al 3
settembre, ci sono state eccome: sono state 13, in questo lasso di
tempo, le scale mobili ripristinate. Il tutto, ricordano da Gtt,
nell'ambito di un blocco del servizio legato a ben altri lavori: il
passaggio dal sistema analogico a quello digitale nella
comunicazione tra i treni e la realizzazione di nuovi scambi
all'altezza dei binari della zona Ovest, verso Cascine Vica.
Sono stati due, come detto, gli stop ai convogli segnalati ieri dai
passeggeri del metrò. Sono avvenuti in rapida successione. Entrambi
sarebbero durati pochi minuti, sufficienti però a costringere molti
torinesi in attesa alle stazioni ad abbandonare l'opzione-metro per
dirigersi verso un taxi e, con esso, raggiungere il posto di lavoro.
Dei due blocchi, a Gtt ne risulta uno solo: dalle 8,10 alle 8,20,
per un malore di un passeggero, che aveva bisogno di cure immediate.
Nessun dubbio invece sul numero di ascensori fermi: 11, come detto,
il cui elenco ieri mattina è stato comunicato agli abbonati. Certo
anche il dato sulle scale mobili guaste, 18, su cui aveva fatto il
punto l'altro ieri l'assessora ai Trasporti, Chiara Foglietta (di
queste, 11 saranno rimesse in funzione entro dieci giorni, mentre
per le altre 7 Gtt è in attesa dei ricambi, ad oggi mancanti).
C'è poi un ulteriore problema con cui i passeggeri del metrò fanno i
conti da ieri: la chiusura serale anticipata (alle ore 22) del
servizio per cinque giorni su sette, dalla domenica al giovedì
(chiusura regolare, all'1,30, venerdì e sabato). Si tratta, in
questo caso, di un disservizio che si trascinerà fino al 2025,
dettato dalla necessità di proseguire i lavori sotterranei per il
passaggio dall'analogico al digitale.
LA REALTA DI SCELTE SBAGLIATE DI RFI : La ferrovia passerebbe
in classe C3 ma solo fino a Ciriè, poi si viaggerebbe a 25
chilometri l'ora L'osservatorio: "Indispensabile trattare con Rfi
deroghe a queste limitazioni per l'ultima tratta"
Torino-Ceres, nuove incognite polemiche per i treni lumaca
nadia bergamini
Dopo lo slittamento della data di riapertura a gennaio – anziché il
9 dicembre come era stato annunciato con squilli di tromba, nei mesi
precedenti - della ferrovia Torino-Ceres, ormai chiusa da tre anni
con tutti i disagi che ne sono derivati per pendolari e studenti e
che ancora ne deriveranno, ora arrivano nuove preoccupazioni.
Preoccupazioni, o meglio criticità emerse dalla lettura del PIR - il
prospetto informativo della rete – richiesto nei mesi scorsi
dall'Osservatorio per la ferrovia Torino-Ceres che invece di fornire
risposte e rassicurazioni ha aggiunto quesiti ai quesiti.
La prima criticità riguarda la categorizzazione della ferrovia. Gtt
ha chiesto, infatti, di elevare la categoria a C3 ma solo per il
tratto Torino-Ciriè e poi? «La classificazione B2L – spiegano
dall'Osservatorio – da Ciriè a Germagnano significa che il treno, a
causa delle limitazioni e le restrizioni di esercizio per alcuni
treni procederà a 25 chilometri l'ora, la velocità di una bicicletta
insomma, e con un impatto inevitabile su molti dei convogli di
Trenitalia sul Passante».
Un problema non da poco per cui secondo l'Osservatorio «non solo è
urgente ma indispensabile trattare con RFI deroghe a queste
limitazioni per la tratta Cirié-Germagnano per la quale diversamente
risulterebbe gravemente compromessa l'appetibilità e il servizio per
i cittadini». Ovviamente lo slittamento della riapertura e quindi
della ripresa del servizio da inizio dicembre a data ancora da
destinarsi a gennaio, provoca anche il rinvio della data di subentro
di Rfi a Gtt come previsto (che avrebbe dovuto avvenire il 16
dicembre). Quando tutto ciò avverrà ancora non è noto e dopo tre
anni di inenarrabili disagi e di passione i pendolari dell'intera
area da Borgaro a Germagnano non possono che augurarsi che non si
arrivi ad una data successiva almeno alla fine di gennaio 2024.
Sulla richiesta di cambio di classificazione richiesto da Gtt
intervengono anche il consigliere regionale dem, Alberto Avetta che
ha già presentato un'interrogazione in Consiglio regionale e il
responsabile dei Trasporti della Segreteria del Partito Democratico,
Federico Ferrara: «la vicenda della riapertura della
Torino-Caselle-Ceres continua a riservare sorprese, oltre al rinvio
a gennaio 2024, i pendolari dell'Osservatorio ora stanno
evidenziando un cambiamento di classificazione operato da Gtt nel
Prospetto informativo della rete (PIR) con la richiesta di elevare
la tratta Torino-Ciriè da B2L a C3. Richiesta che se accolta
porterebbe conseguenti limitazioni sulla parte restante. Un
cambiamento incomprensibile a poche settimane dal subentro di Rfi,
sempre che venga rispettato il cronoprogramma». Insomma, per la
Torino-Ceres non c'è pace: ad ogni passo avanti verso la riapertura,
arrivano nuove criticità.
04.09.23
ROULETTE RUSSA :
La verità dell'ex dipendente "Iniziare le riparazioni prima era una
prassi abituale"
giuseppe legato
Nella ormai – abbastanza - chiara dinamica della tragedia
ferroviaria di Brandizzo avvenuta la notte tra mercoledì e giovedì
scorsi, costata la vita a cinque operai della ditta Si.gi.fer di
Borgo Vercelli (Kevin Laganà, 22 anni, di Vercelli. Michael Zanera,
34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio Lombardo e
Giuseppe Aversa, 49 anni) si apre ufficialmente un focus
investigativo per comprendere se l'imprudenza di scendere sui binari
a lavorare per effettuare manutenzioni prima di aver ottenuto
l'interruzione della linea fosse una prassi consolidata così come
hanno incominciato a riferire a televisioni e giornali alcuni ex
colleghi delle vittime. Non è un caso che ieri i pm che conducono
l'inchiesta (Valentina Bossi e Giulia Nicodemo) su uno dei disastri
ferroviari più gravi degli ultimi 20 anni in Italia, abbiano
convocato – come persona informata sui fatti – Antonio Veneziano ex
dipendente dell'azienda, già collega di lavoro del più giovane degli
operai morti (Kevin Laganà).
La sua testimonianza rilasciata ai media va ribadita, approfondita,
articolata ancora di più. Il cuore è questo: «È già capitato molte
volte di iniziare i lavori in anticipo. In molte occasioni in cui ho
lavorato lì (alla Si.gi.fer), quando sapevamo che un treno era in
ritardo ci portavamo avanti con il lavoro». Qualche esempio: «C'era
una regolazione, cioè il restringimento del binario, da fare con un
convoglio atteso fuori dall'orario corretto di passaggio? Iniziavamo
a lavorare, svitavamo i chiavardini (sistemi di fissaggio delle
rotaie alle traversine in legno, ndr), dopodiché, prima del
passaggio dei convogli ci buttavano fuori dai binari. Eravamo in
sei-sette per ogni gruppo ma in quei casi c'era chi guardava le
spalle: l'altra notte non è andata così, erano tutti sulla
massicciata».
La portata dell'interesse investigativo per questo tipo di
comportamento è lampante. Lo dice, con chiarezza, la procuratrice
capo di Ivrea Gabriella Viglione: «Bisogna capire se procedere con i
lavori senza avere il permesso sia una sciagurata scelta delle
persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento
possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle
richieste». Tra alcuni colleghi di lavoro delle vittime l'opinione
non è isolata: «Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci
dice a voce che possiamo farlo e ce lo dice non quando arriva un
pezzo di carta ma quando i treni hanno smesso di passare. Fanno
tutti così». La prassi è nota ai livelli superiori di Rfi che della
rete ferroviaria è padrona? Si può immaginare un margine di
tolleranza esistente sul punto? Gli scenari che aprirebbe
un'eventuale conferma di ciò sono automatici.
Indagini sulla sicurezza
Prassi o non prassi, lo sguardo degli investigatori si allunga sui
sistemi di sicurezza in generale. Il ministro alle Infrastrutture
Matteo Salvini, per rassicurare gli italiani rispetto alla carenza
di sicurezza per i lavori sulle tratte ferroviarie – ha dichiarato
che «la procedura c'è: non puoi andare a lavorare su un binario se
non c'è l'autorizzazione che non passeranno veicoli. A Brandizzo è
stato un drammatico errore su cui ovviamente dobbiamo andare fino in
fondo, è inaccettabile».
La procura va avanti e una delle consulenze che saranno disposte nei
prossimi giorni verrà affidata a un ingegnere esperto in
circolazione ferroviaria che incrocerà regolamenti, procedure
sistemi di allerta previsti su quella tratta per comprendere «se
siano sufficienti – ha spiegato il capo degli uffici giudiziari di
Ivrea – a evitare disgrazie simili».
Le minacce al tecnico Rfi
Per Antonio Massa, addetto alla scorta del cantiere, lavoratore
esperto al momento principale indagato dell'inchiesta (le accuse
sono disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale),
continua il momento difficile. Dopo la disperazione e il senso di
colpa che sta vivendo in questi giorni per aver dato in anticipo
l'autorizzazione a iniziare il cantiere («Ho schiantato cinque vite,
penso solo a quei ragazzi») ci si mettono anche gli imbecilli
social: insulti, forse minacce, sono pervenute sul suo profilo
Facebook che da ieri l'uomo ha deciso di oscurare temporaneamente.
Al momento non ha ancora nominato un legale di fiducia. Lo farà a
breve per poter rispondere all'interrogatorio vero e proprio – nella
veste di indagato e non più come persona informata sui fatti) che lo
attende in settimana.
Un casco che sanguina
Nelle ultime ore parenti e colleghi di lavoro delle vittime si
stanno recando sui binari della tragedia. Un casco giallo con un
cuore che sanguina è stato lasciato vicino al luogo in cui sono
morti i cinque operai. I parenti di una delle vittime hanno fatto
scoppiare dei mortaretti in suo ricordo. La foto di Giuseppe Aversa
campeggia su un muro dello scalo: «Ciao Pe, cavallo pazzo, ci
mancherai per sempre».
Il contratto prevede solo due "notturni" a settimana, ma la norma
viene aggirata con la formula della chiamata volontaria
Al lavoro anche sei giorni su sette non rispettati i limiti ai turni
di notte
«Era una persona stupenda, un gran lavoratore, un padre di famiglia
spettacolare». A dirlo è un amico di Giuseppe Sorvillo, uno dei
cinque operai travolti da un treno nella notte tra mercoledì e
giovedì, mentre lavoravano sui binari a Brandizzo, nel Torinese. C'è
un altro amico con lui, che non riesce a parlare, annuisce soltanto
e ha un mazzo di fiori. Cerca il nome del suo amico, sui mazzi già
davanti alla stazione, vuole metterlo accanto a quelli per il suo
Giuseppe. Un terzo amico sorride all'espressione «gran lavoratore» e
aggiunge: «Eh sì, dovevano andare a lavorare anche ieri e oggi, lui
lavorava di sabato e domenica, spesso». E si avviano insieme verso
un caffè, coi volti tesi per evitare la commozione. Una
testimonianza che, oltre al dolore, ricostruisce un sistema: al
lavoro anche sei giorni su sette, quasi sempre di notte sui binari
invece di riposare. Tanto si sa, le manutenzioni si possono fare
solo quando non si creano troppi disagi alla circolazione dei
passeggeri e quindi dopo le 22 e nei fine settimana. Il contratto
dei manutentori interni a Rfi, però, parla chiaro. «Il lavoratore è
tenuto a garantire all'azienda un massimo di due notti settimanali.
Eventuali terze notti per motivi organizzativi e produttivi dovranno
essere concordati tra le parti (rsu e azienda). E comunque non
possono essere più di dieci al mese». Fin qui è la norma, ma poi,
raccontano dalla Filt Cgil, se si andasse a controllare i turni
effettivi per ogni lavoratore emergerebbero sempre altre "notti"
fatte in deroga, ad esempio con la formula della chiamata
volontaria. L'orario di lavoro dovrebbe essere dal lunedì al venerdì
dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 16,36. Quando si deve "fare una
notte" si lavora dalle 8 alle 13,12 poi si riprende alle 22 andando
in deroga a una legge che prevede le undici ore di riposo tra i due
turni (il riposo quindi è di 8 ore). Un altro punto sono le ore di
straordinario, che non potrebbero essere fatte di notte. Eppure,
spiegano i sindacalisti, succede regolarmente che vengono inserite
nei piani di attività tutte le volte che si lavora la notte tra
venerdì e sabato. Così si arriva sempre a sei giorni di lavoro.
Quello che succede quando si tratta di lavori in subappalto «è una
giungla», ammettono gli addetti ai lavori. Anche perché spesso si
utilizzano contratti diversi da quello ferroviario. Nella migliore
delle ipotesi gli operai sono inquadrati come edili, ma anche in
questo caso ci sono rilevanti differenze ad esempio sui corsi di
formazione da fare per le norme di sicurezza. Una cosa è lavorare
sulle impalcature, un'altra sui binari: non che una sia più
pericolosa dell'altra, semplicemente le cose da sapere non sono le
stesse. Per questo i sindacalisti sottolineano l'impreparazione
diffusa. «Venti giorni fa - racconta un manutentore piemontese di
Rfi che vuole rimanere anonimo - una capostazione che lavora da poco
tempo, finito l'orario dell'interruzione, ha dato il via libera alla
circolazione dei treni senza accertarsi che la ditta avesse davvero
terminato e non ci fosse più nessuno sui binari».
Intanto Rfi chiarisce quello che è il piano di investimenti di
quest'anno per tutta la rete ferroviaria: 3,5 miliardi per
interventi di manutenzione, per un totale di circa 1.800 cantieri.
Il Contratto di programma Mit e Rfi parte servizi 2022-2026 prevede
un fabbisogno di oltre 11,6 miliardi di euro di investimenti per la
manutenzione straordinaria e 1,15 miliardi per anno per quella
ordinaria. Rfi impegna oltre 15 mila persone per oltre 31 milioni di
ore annue di manutenzione complessiva da parte dei manutentori
interni. —
Italicus, la donna che sapeva troppo Così la P2 annientò Alessandra
De Bellis
Aveva poche migliaia di lire in tasca Alessandra De Bellis. E una
immensa voglia di libertà. Era l'estate del 1975, il referendum sul
divorzio di un anno prima le aveva definitivamente tolto un cappio
insopportabile. La sua, più che una vacanza, era una fuga. Sceglie
le spiagge della Sardegna per lasciarsi alle spalle la cappa plumbea
di quella specie di cordone sanitario che le avevano costruito
attorno. Alle spalle non aveva non solo un matrimonio divenuto un
incubo, il mondo del marito era quanto di più crudele potesse
esistere. Augusto Cauchi, già segretario del Movimento sociale
italiano ad Arezzo, legato a doppio filo con Licio Gelli,
informatore dei servizi militari, uomo di assoluta fiducia di
Stefano Delle Chiaie, da qualche mese era latitante in Argentina. E
lei finalmente poteva dimenticare quegli occhi color azzurro
ghiaccio, quell'uomo che subito dopo le nozze aveva iniziato a
legarla, a picchiarla.
La sua fuga dura poco. In una spiaggia le rubano i pochi soldi che
aveva portato con sé; il 9 agosto del 1975, si presenta davanti ai
peggior nemici del suo mondo, la federazione del Pci. I funzionari
del partito capiscono subito che quello che voleva raccontare aveva
un peso immenso. La portano davanti agli ufficiali della Digos di
Cagliari e lei inizia a raccontare: «Preciso che mio marito è un
noto attivista, estremista di destra. È amico del noto Mario Tuti,
anch'egli extraparlamentare di destra, catturato per l'uccisione di
due agenti di polizia di Empoli» mette a verbale. «In relazione
all'attentato al treno Italicus posso, in particolare, dirvi che mio
marito me ne parlò come qualcosa che si sarebbe dovuto fare in
futuro. Mio marito non mi ha parlato di un attentato generico ad un
treno ma mi ha confidato proprio il nome del treno, cioè l'Italicus.
Mi precisò pure che si sarebbe verificata una strage di un centinaio
di persone». Poteva essere la testimonianza decisiva per trovare gli
esecutori, e probabilmente anche i mandanti, della strage che costò
12 morti e 48 feriti, la bomba al treno Italicus del 4 agosto 1974.
L'unica strage rimasta ancora oggi senza condannati, con una lunga
sequenza di processi terminati con assoluzioni.
Alessandra De Bellis è morta il 2 agosto 2006 e oggi è sepolta in un
piccolo cimitero vicino Perugia, con qualche fiore di plastica
davanti alla sua tomba e l'unica foto nota sul marmo bianco. Quella
sua testimonianza del 1975 venne letteralmente annichilita,
distrutta pezzo per pezzo. Finì in manicomio, sottoposta ad
elettroshock fino a perdere la memoria. Stritolata dal "cordone
sanitario" della loggia P2, grazie a magistrati e familiari
vicinissimi a Licio Gelli, l'occulto finanziatore dei neofascisti
toscani che formavano le organizzazioni di Cauchi e Tuti, come ha
dimostrato la commissione guidata da Tina Anselmi. È un pezzo di
storia dimenticato dalle cronache quello di Alessandra De Bellis,
che termina con un arcano ancora oggi senza soluzione. Un codice
che, come vedremo, potrebbe aprire porte fondamentali per raccontare
il mondo occulto di Gelli, dei neofascisti, dei servizi militari,
delle bombe che arriveranno fino agli 85 morti della strage del 2
agosto.
Alessandra De Bellis si sentiva leggera dopo aver raccontato tutto
alla Digos di Cagliari. Siamo a metà agosto, quando le ferie
svuotavano le città e gli uffici. I funzionari di polizia la mettono
su un aereo, spedendola ad Arezzo, il giorno dopo la sua
deposizione. Attenzione, non a Bologna dove la Procura indagava
sull'attentato all'Italicus, ma nella città del venerando maestro
Gelli, dove l'intero sistema giudiziario ed investigativo era nelle
sue mani o lo stava per diventare. Nella stessa provincia dove era
nato e vissuto il marito aguzzino, Augusto Cauchi. I nomi degli
uomini vicini alla loggia P2 verranno elencati in una interrogazione
parlamentare, presentata il 21 gennaio del 1982 alla Camera dei
deputati, quando gli elenchi di Castiglion Fibocchi erano diventati
ormai pubblici: "C'è l'esigenza di rimuovere dai loro incarichi –
scriveva un gruppo di deputati del Pci – i pubblici funzionari"
della città di Arezzo; seguiva un elenco lungo e dettagliato di alti
dirigenti della Questura e del Tribunale della città toscana. Tra
questi un nome sugli altri spiccava, quello del pubblico ministero
Mario Marsili, genero di Gelli ed iscritto alla Loggia P2. Bene.
Sarà proprio lui a verbalizzare la testimonianza di Alessandra De
Bellis, poche ore dopo il suo arrivo ad Arezzo. Finirà indagata per
calunnia nei confronti dell'ex marito Cauchi e del gruppo dei
neofascisti toscani vicini al suo gruppo. Cinque giorni dopo la sua
testimonianza, con l'aiuto discreto del padre, la donna viene
ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Siena e nel settembre
successivo finisce in una clinica romana, specializzata in
elettroshock. Nel giro di pochi mesi perde quasi completamente la
memoria e la sua testimonianza svanirà completamente. Solo nel 1984,
quando il suo fascicolo viene ripreso dal giudice istruttore del
procedimento Italicus bis Leonardo Grassi, una perizia ha rivalutato
la sua storia clinica, dimostrando che la donna non era affetta da
disturbi tali da rendere inattendibile la sua testimonianza. Anzi,
il suo racconto era assolutamente credibile: "Si può sostenere che
la capacità di intendere fosse nell'agosto 1975 (la data della sua
fuga in Sardegna e della sua prima deposizione, ndr) in Alessandra
De Bellis assolutamente integra", scrissero i periti nominati dal
Tribunale di Bologna.
Nella scelta del percorso psichiatrico fu determinante il padre
della donna, l'ex ufficiale di Pubblica sicurezza Arturo De Bellis.
E anche qui si annidava la P2: il suo nome fu ritrovato nella
rubrica telefonica sequestrata a Castiglion Fibocchi il 17 marzo
1981 dai magistrati milanesi Turone e Colombo. Non risultava
nell'elenco degli iscritti alla loggia riservata, ma
quell'annotazione nelle carte di Gelli è un vero mistero. Accanto al
nome del padre di Alessandra De Bellis c'è un numero, con il
prefisso di Bologna, 051 30574. La Digos fece degli accertamenti,
quell'utenza non è mai esistita. Dunque, non era un telefono, ma
probabilmente un codice utilizzato da Gelli. Per indicare cosa? La
risposta non è mai stata trovata, nonostante le attente indagini
guidate dal giudice istruttore Grassi. Non risulta essere uno dei
conti correnti noti del mondo pidduista, non corrisponde a nessun
riferimento presente nella copiosa documentazione sequestrata al
capo della loggia riservata. L'unico link di un certo interesse è
probabilmente la città, Bologna, il vero obiettivo della bomba sull'Italicus.
Esattamente sei anni dopo, due giorni prima della chiusura
dell'istruttoria sull'attentato del 1974, nella sala d'aspetto della
stazione della capitale emiliana scoppiava un'altra bomba, con 85
morti. Ancora una volta tornava l'ombra di Gelli. —
"A 50 anni dal golpe il potere in Cile resta nelle mani di mafia e
servizi"
Mi riceve a casa di suo fratello Marcelo, a Nuñoa, quartiere storico
di Santiago fatto di casette monofamiliari di un solo piano tra
stradine ancora tranquille e piste ciclabili: il traffico e la
frenesia del business si concentra in ben altri lidi, un po' più al
nord un po' più a oriente.
Jorge Coulón Larrañaga, membro fondatore degli Inti-Illimani, 76
anni a novembre, di Temuco, nel sud del Paese australe, fa mostra di
una serenità lieta e inscalfibile mentre si racconta in perfetto
italiano, a 50 anni dal colpo di Stato che instaurò la dittatura
pinochettista, e legò per sempre la sua esistenza allo Stivale.
Jorge, facciamo un salto nel tempo: dov'eri quell'11 settembre del
‘73 quando bombardarono La Moneda?
«Ero a Roma, nella nostra prima tournée in Europa, che cominciava
proprio in Italia. In mattinata andammo a fare un po' di turismo e
ricordo che eravamo sulla cupola di San Pietro, quando è arrivato
correndo un ragazzo della Figc, ha salito gli 800 gradini di corsa
per dirci che c'era stato un colpo di Stato in Cile, che avevano
bombardato La Moneda… Una cosa completamente fuori dalla nostra
comprensione, e immaginazione».
La vostra reazione qual è stata?
«Stupore penso sia stata la prima però anche molto smarrimento…
adesso sappiamo cos'è l'esilio, abbiamo vissuto 15 anni di esilio,
però in quel momento non sapevamo proprio cosa fare. Era come se ci
avessero tagliato le radici, così di netto. Adesso io mi sento tanto
italiano quasi quanto cileno, ho vissuto tra i 25 e i 40 anni in
Italia. Non sapevamo niente dell'Italia non parlavamo neanche la
lingua e anche l'Italia all'epoca era un Paese molto lontano dal
Cile».
E quindi eravate là e avete deciso pur di non tornare.
«Non è stata una decisione nostra siamo stati bloccati, ci hanno
impedito di tornare. Esisteva una tradizione antica, dagli anni
Venti forse, per cui gli artisti che lasciavano il Paese, scrittori,
intellettuali avevano un passaporto ufficiale del governo che
facilitava loro i tramiti, i visti. Avevamo questo passaporto, che
dopo il golpe era diventato scomodo per noi. Siamo allora andati
all'ambasciata cilena a Roma per rinnovarlo, ma fu impossibile: ci
dissero che eravamo nell'elenco di coloro che non potevano tornare
in Cile. Siamo stati costretti all'esilio, diciamo, non per scelta
nostra».
Questo per il tipo di canzoni che portavate in giro per il mondo?
Come avete interpretata questo esilio forzato?
«Ma, sapevamo di un precedente in Spagna, un dirigente franchista di
cui non ricordo il nome che diceva: "quando sento la parola cultura
la mia mano va alla pistola"!»
Quindi vi è parso non dico normale, ma per lo meno, prevedibile?
«No, non ci pareva normale, però abbiamo capito che sarebbe stata
una cosa lunga. In effetti il colpo di Stato ci ha cambiato la vita.
Il giorno dopo il colpo di Stato ci ha ricevuto Giancarlo Pajetta, e
lui ci ha detto: "Guardate che un colpo di Stato con queste
caratteristiche non è destinato a durare poco". Non ci volevamo
credere. Quindi ci disse: "Continuate pure il tour che avete
programmato, poi tornate in Italia che noi vi accoglieremo e vi
aiuteremo". E così facemmo. E dopo poco tempo, già nell'estate del
74 abbiamo capito che il gruppo era un fenomeno, e che stava
accadendo qualcosa di assolutamente imprevisto e straordinario».
E siete rimasti apolidi fino all'88 quindi?
«No perché c'era tanta pressione sul regime totalitario da parte
delle Nazioni Unite, della comunità internazionale dell'epoca, che
alla fine hanno dato il passaporto a noi come a tutti quelli che
eravamo in esilio. Ma sulla prima pagina c'era una "L" gigante che
voleva dire "limitato" cioè non era valido per tornare in Cile».
A proposito, recentemente il brigadiere Hernan Chacòn Soto, di 86
anni, condannato a 15 anni di carcere per il suo assassinio, si è
tolto la vita. E l'altro giorno nell'atto pubblico della
presentazione del Piano di ricerca dei detenuti desaparecidos, il
presidente Boric ha fatto un'allusione alla sua morte usando
l'aggettivo "vile", provocando così forti polemiche fra i
rappresentanti dell'opposizione. Che pensi di questo?
«Penso che ha avuto coraggio il presidente a dire quel che ha detto.
Naturalmente ci sono subito levate le voci critiche dicendo che non
ha rispetto. Ma da chi viene questo commento? Da chi non ha non ha
mai avuto nessun rispetto per Allende, per le migliaia di vittime…
Ed è vero, questi soldati, questi militari, che parlano tanto
dell'onore, della patria, prima hanno eluso tutte le responsabilità,
Pinochet è stato di una viltà assoluta, tutti a negare, a dare la
colpa ad altri. È un momento complicato per questo dico che è stato
coraggioso a dire quello che ha detto perché non è facile farlo in
questo momento».
In che senso non è facile? E lui al potere in questo momento, è il
presidente!
«Ma, non so se ha il potere. Il potere non è del governo adesso. E
forse non lo è mai stato del governo, quello reale. Questa materia
oscura fatta di potere, di mafia di servizi segreti: è' lì che si
concentra il potere».
Tutt'ora?
«Penso più ora che mai».
Dovendo riassumere la tua esperienza italiana in tre parole, tre
concetti, che diresti?
«Per me è stata un'esperienza straordinaria. Per varie ragioni:
anzitutto per la serietà, la profondità del dibattito politico in
Italia di quegli anni; si tende molto a parlare degli anni di
piombo, ma tutto questo penso che sia parte della propaganda non
della storia. L'Italia è straordinaria ed era un Paese
all'avanguardia, nel pensiero, nella proposta sociale… assolutamente
all'avanguardia. Adesso tutto questo si è appiattito a livelli
incredibili. Tutti questi anni di piombo, io ho seriamente il dubbio
su da dove veniva il piombo, se il piombo non era precisamente una
forma per porre fine a questa esperienza che era all'avanguardia in
Europa».
Rispetto al Cile attuale, dove cinquant'anni dopo ancora c'è bisogno
di un Piano di ricerca per gli desaparecidos; dove famiglie,
discendenti delle vittime, ancora reclamano il loro diritto
disatteso ad ottenere i resti dei propri congiunti scomparsi o
perlomeno a sapere dove si trovano. Rispetto ad un popolo che ancora
avverte una ferita aperta quindi, rendendo impossibile una vera
riconciliazione, qual è la tua lettura?
«C'è una canzone di Serrat che parla di lasciare il paese, però " i
morti sono imprigionati e non ci lasciano abbandonare il cimitero".
Quella frase riassume molto bene la situazione del Cile. Da una
parte Cile ha una ferita profonda che non non si riesce a chiudere,
perché cercano di farlo in superficie, ma bisogna sanare prima la
parte più profonda e poi la superficie. E allora mentre non ci siano
alcuni atti rituali, e non si riconosca l'esistenza di questa
ferita, mentre si continui a fare ironia e a ridicolizzare le
vittime, si continui a dire che i desaparecidos in realtà non sono
tali, ma sono andati all'estero, dove vivono felici e contenti…
mentre si continui a diffondere queste idee da parte di un gruppo
che ha molto potere in Cile, è molto difficile che che si possa
parlare di riconciliazione. L'Italia dopo il fascismo ha prodotto
una Costituzione che è molto bella e molto attuale, e questo ha
fatto sì che il fascismo e tutte le sue brutalità siano una verità
accettata da tutti. Ci possono essere minoranze negazioniste, però
c'è stato un processo di sanazione, attraverso la storia, la
celebrazione del 25 Aprile, tutta una serie di iniziative che sono
istituzionali, e che passano a far parte della cultura condivisa. In
Cile non c'è stato questo processo. E quello che tu dici è vero
siamo ancorati a cinquant'anni fa. Ci hanno ucciso e poi ci hanno
lasciato come guardiani del sepolcro. Ci chiedono di dimenticare di
non essere così pieni di rancore».
Come commemorerete questo Undici settembre?
«Come tutti gli 11 settembre degli ultimi vent'anni: partecipando al
concerto davanti allo allo Stadio Nazionale.
Canteremo "El pueblo, unido, jamás será vencido" ovviamente, perché
quello è un classico e poi una inedita con le parole dell'ultimo
discorso di Salvador Allende. Poi faremo canzoni di Victor Jara, e
alcune nuove, naturalmente: perché siamo vivi!».
Napoli e il concerto per Giovanbattista nella piazza deserta dei
Quartieri Spagnoli
Finestre vuote, balconi deserti. Largo Baracche è desolato come non
mai. Eppure c'è un'orchestra di ragazzi che si esibisce e non è
certo una consuetudine. Di fronte a pochi ospiti suonano dieci
violoncellisti del conservatorio "San Pietro a Majella" sotto la
guida del loro insegnante, il maestro Luca Signorini. Bach, Vivaldi,
Gershwin: c'è un po' di tutto, tranne gli abitanti. E non ci sono
manco le istituzioni: un paio di vigili avrebbero (forse) impedito
il frastuono di scooter e di altro. A quattro giorni dall'omicidio
di Giovanbattista Cutolo il clima è pesante. Il giovane musicista
dell'Orchestra Scarlatti è stato ammazzato a colpi di pistola da un
17enne al culmine di un'aggressione da parte di un branco di
ragazzini nella centralissima piazza Municipio. Il piccolo
camorrista – che a 14 anni aveva cercato di uccidere un uomo durante
una rissa – è cresciuto proprio nei Quartieri Spagnoli. Al giudice
ha detto di non essersi accorto che Cutolo fosse morto ed è andato a
farsi una partita a carte.
Proprio nella storica cittadella, ieri mattina si è tenuto il
concerto dedicato a Giogiò, come gli amici chiamavano la vittima. Il
docente del Conservatorio prova a stemperare: «Sapevamo che sarebbe
stato un concerto-non concerto. Che saremmo stati percepiti come un
corpo estraneo. Ma bisogna tener conto che portare la musica
classica in un luogo dove non s'è mai vista o ascoltata era una
sfida». Nel quartiere dell'omicida, poi. «In realtà il concerto era
programmato da tempo, e l'idea di Giuseppe Ferraro (un filosofo
molto attivo nel sociale, che insieme ad altri ha spazzato la piazza
prima del concerto) era proprio di fare qualcosa che non era mai
stata fatta prima. Certo, dopo la tragedia abbiamo rimodulato il
tutto per omaggiare il giovane collega, bravo e amato da tutti».
All'inedito gelo dei Quartieri Spagnoli – dove l'invasione dei
turisti non ha intaccato le profonde sacche di arretratezza – fanno
contrappunto le voci della città. A cominciare da quella della mamma
di Giogiò, Daniela Di Maggio: «Voglio la legge "Giovanbattista
Cutolo", una norma per l'abbassamento dell'età imputabile e la
certezza della pena», ha ripetuto nei giorni scorsi raccogliendo
applausi. E poi, a proposito delle esequie (previste per domani):
«Deve essere un'occasione di riscatto. La città deve mobilitarsi
come se ci fosse Osimhen. Anzi, chiedo ai calciatori del Napoli di
partecipare». La donna, così come il padre del giovane, il regista
teatrale Franco Cutolo, è tornata più volte sulle «due Napoli»,
concetto formulato nell'Ottocento e così declinato: «C'è la città
bastarda, quella dei balordi, dei bassi, della monnezza e c'è la
Napoli di Benedetto Croce, di Fanzago, di Bellini, di Rossini. Due
città che si sono incontrate e ha perso la bellezza, ha perso la
cultura».
Definito «un predatore ancor più pericoloso perché apparentemente
innocuo», il baby criminale ha già ricevuto manifestazioni di
solidarietà e di stima sul web (come spesso accade ai delinquenti),
mentre sull'altro versante il sindaco di Napoli ha annunciato il
lutto cittadino (le bandiere sono a mezz'asta già da ieri), e il
primo cittadino di Mugnano (dove il ragazzo era nato) ha detto che
gli verrà dedicata una strada della cittadina.
Due universi che convivono da secoli, ma lo fanno sempre peggio.
«Non riusciamo a sentirci parte di un unico mondo perché avvertiamo
la presenza di un altro mondo a noi completamente estraneo; non
riusciamo a non vedere quell'infinito crepaccio nel quale la
preziosa vita del tuo vicino di leggio è andata perduta», ha
spiegato il maestro Signorini. Efficace fotografia del più dolente e
devastante dei paradossi partenopei. —
03.09.23
IL MASSACRO DI TIM :
L'ingresso del Mef accanto a Kkr & c in Netco serve «per assumere il
controllo della rete e salvaguardare l'occupazione», nonchè il
Tesoro «avrà adeguati poteri al conseguimento del piano
industriale», è scritto nel decreto.
L'indirizzo impresso da Giorgia Meloni subito dopo la decisione del
Cdm di stanziare 2,2 miliardi per il 15-20% della rete, spiega il
pressing di queste ore degli uomini del Tesoro guidati da Stefano
Varone, al tavolo negoziale con i dirigenti del fondo Usa per
concordare la sistemazione della forza lavoro di Tim, fra Netco e
ServiceCo, prima della presentazione dell'offerta binding prevista
entro il 30 settembre, ma che potrebbe slittare a causa della
complessità dell'operazione.
L'obiettivo del Ministero è arrivare alla definizione di un assetto
delle due Tim al più presto, […] . In questo quadro, siccome si
vuole comunque coinvolgere Vivendi, è possibile che un accordo
Mef-Kkr sulla struttura, possa avvenire entro metà mese e subito
dopo avviare i colloqui con il principale azionista.
Nel gruppo di tlc lavorano 40.665 dipendenti in Italia e i sindacati
sono già da giorni in allerta sullo sdoppiamento tra rete e servizi
perché temono che […] si possano creare esuberi. E non è un timore
peregrino.
Infatti c'è da combaciare la proposta di Kkr presentata al cda di
Tim del 22 giugno (21 miliardi + 2 di earn out), nella quale ha
ottenuto l'esclusiva, che trasferiva alla Netco circa 9 miliardi di
debiti e oltre 21 mila dipendenti, recepita dal piano finanziario
della nuova società della rete consegnato alle banche (fatturato da
3,9 a 4,2 miliardi ed ebitda da 1,5 a 2,5 miliardi entrambi nel
2031).
Queste proiezioni devono fare i conti con i desiderata fatti
trapelare da Vivendi, primo socio Tim con il 23,75%, vigile affinchè
nello scorporo dell'infrastruttura, sia assicurata la sostenibilità
economica della ServiceCo, cioè la società dei servizi residua,
contenente Enterprise e Consumer.
Per la media company francese che in primis, pretende non meno di 26
miliardi dalla vendita della rete, un equilibrio soddisfacente
potrebbe essere raggiunto trasferendo alla Netco 20 mila dipendenti
e 8-10 miliardi di debiti, mentre la ServiceCo dovrà avere 5
miliardi di passività e 8 mila dipendenti. Ma su quest'ultima,
influirà anche il […] contratto di servizio che verrà stipulato fra
Netco e ServiceCo.
Se l'acquisizione dovesse andare a buon fine, è previsto subito dopo
l'assorbimento di Open Fiber (OF), controllata al 60% da Cdp e al
40% da Macquarie. La presenza di Cassa nella cordata, al fianco di
Kkr, Adia (fondo sovrano di Abu Dhabi), F2i, avverrà «se non ci
saranno vincoli Antitrust», come ha detto Giorgetti. E per eliminare
questo rischio, il tavolo negoziale Mef-Kkr sta altresi prevedendo
uno spezzatino di OF che, comunque, deve presentare tra qualche
settimana il nuovo piano industriale […]. L'idea sarebbe che Netco
acquisti le aree bianche di OF, quelle sulle quali sono necessari
investimenti, lasciando all'attuale società le aree nere che
generano ebitda: con questa tecnicalità non ci sarebbe il faro della
Dg Comp e l'attuale compagine sociale potrebbe restare in vita.
02.09.23
IL VERO OBIETTIVO DI SALVINI:
Dopo la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
oggi a Brandizzo è la volta dei ministri. In mattinata porterà il
suo omaggio ai cinque operai morti nel terribile incidente
ferroviario Paolo Zangrillo, titolare della Pubblica
amministrazione. Nel pomeriggio, invece, arriverà la responsabile
del Lavoro e Politiche sociali, Marina Calderone.
Sarà accompagnata dall'assessore al Lavoro della Regione Piemonte,
Elena Chiorino, dal sindaco di Brandizzo, Paolo Bodoni, e dai
rappresentanti dell'Inail e dell'Ispettorato del Lavoro. In giornata
è previsto anche un confronto con gli organi di vigilanza sul
territorio. Ma in queste ore a pesare è l'assenza di un altro
ministro competente, quello delle Infrastrutture e dei trasporti,
Matteo Salvini. Dal lido di Venezia, dove sta trascorrendo qualche
giorno insieme alla fidanzata, Francesca Verdini, in occasione della
Mostra del Cinema, il vicepremier ha rilasciato alcune dichiarazioni
alla stampa sull'incidente. Ma non ha ancora annunciato una visita
ufficiale. Una decisione che ha suscitato malumori e polemiche,
soprattutto sui social. In queste ore diversi utenti stanno
rilanciando le immagini di Salvini sorridente, abbracciato alla
compagna, mettendole a confronto con quelle del Capo dello Stato in
raccoglimento davanti al luogo dell'incidente. C'è chi sottolinea la
diversa postura istituzionale, chi ricorda al ministro che una volta
appresa la notizia sarebbe dovuto correre per primo nella cittadina
piemontese.
Nei commenti anche le immagini della visita a Caivano della premier
Giorgia Meloni, usate come metro di confronto. In tanti sottolineano
la capacità di Salvini di «trovarsi sempre nel luogo sbagliato».
LA SICUREZZA NON E' UN PARAMETRO COMMERCIALE DI RFI:
Lunedì Cgil Vercelli Valsesia, Cisl Piemonte Orientale e Uil
Vercelli Biella hanno organizzato un corteo di cordoglio silenzioso
per le vittime di Brandizzo a Vercelli. Alle 10 la manifestazione
partirà da piazza Roma per arrivare sotto la Prefettura. Le sigle
sindacali hanno anche proclamato uno sciopero di otto ore in
provincia. Valter Bossoni, segretario di Cgil Vercelli Valsesia, ha
anticipato alcuni dei temi che saranno discussi: «Si. gi. fer è una
realtà del territorio in cui la penetrazione sindacale è bassa, ma è
chiaro che sia all'interno un meccanismo economico per cui le
aziende che lavorano in appalto hanno come primo obiettivo il
contenimento dei costi. Elemento che si ottiene anche investendo
meno sulla sicurezza e con retribuzioni meno vicine a quelle che
dovrebbero essere quelle reali». «Ma non bisogna dimenticare la
committenza, in questo caso Rfi – aggiunge il sindacalista –.
Gravano sull'appaltatore le responsabilità che dovevano essere in
capo alla committenza. Credo che il committente a Brandizzo non si
sia fatto carico della sicurezza per una questione di costi. So di
casi di operai di Si. gi. fer. che si sono rifiutati di eseguire
interventi per il poco tempo a disposizione prima del passaggio dei
treni. Ritmi intensivi, carichi di lavoro notevoli, squadre di
lavoro non abbastanza numerose per svolgere le attività in modo
consono: Rfi non può dire di non saperlo».
L'ACCETTAZIONE : De Luca: "A Caivano comanda la camorra Assegna
anche le case"
Caivano, il giorno dopo la visita di Giorgia Meloni le polemiche non
si smorzano. Oltre la querelle sulla presunta claque che sarebbe
stata messa in campo dal partito della premier per garantirle
un'accoglienza ottimale, sono tornate all'attacco le donne del
quartiere, a cominciare dalla mamma di una delle due bimbe
violentate dal branco di ragazzini. «Il Governo passa per Caivano
senza mai volgere lo sguardo alla nostra tragedia e sofferenza», ha
detto ieri (attraverso il suo avvocato) la signora, che già il
giorno prima aveva attaccato direttamente il primo ministro: «Mi ha
voltato la faccia, non ha voluto incontrarmi, e nemmeno ha mandato
qualcuno al suo posto, manco tenessi la lebbra».
Le parole dei rappresentanti del governo non hanno convinto.
«Pensano ai lavori per la piscina, non hanno capito che qua prima di
nuotare dobbiamo mangiare. C'è bisogno di lavoro, ne avevamo bisogno
pure prima ma col taglio del reddito di cittadinanza siamo
disperati», è il coro che si leva dai palazzacci di quello che è
diventato il rione-simbolo delle periferie del mondo.
E proprio sulle case del Parco degli orchi (piccoli e grandi) ieri è
intervenuto il governatore della Campania: «Ho segnalato che la
maggioranza degli occupanti di alloggi di Caivano sono abusivi.
Molte case sono state liberate e la nuova assegnazione è stata
decisa dalla camorra. C'è bisogno di risolvere questo problema,
altrimenti ancora una volta facciamo solo propaganda», ha detto
Vincenzo De Luca. Una questione delicata, quella delle case popolari
nel Napoletano, che soprattutto nell'infinito dopo-terremoto (la
cosiddetta Ricostruzione) sono finite spesso in mano ai clan.
Esemplare il caso di un potente boss dell'area vesuviana il cui
soprannome era "‘o sindaco" proprio perché aveva lui il pieno
controllo e dunque stabiliva graduatorie e assegnazioni.
Dopo aver sottolineato che «ancora oggi lo Stato a Caivano non c'è»,
De Luca ha ricordato l'impegno del suo ente: «In questi anni la
Regione ha fatto una "supplenza" anche senza avere competenza
diretta sulla sicurezza e su interventi sociali. Abbiamo cercato di
essere presenti realizzando due impianti sportivi e abbiamo
finanziato 4 scuole per "Scuola Viva" (il programma messo a punto
dall'assessore Lucia Fortini che prevede l'apertura pomeridiana per
far svolgere altre attività ai ragazzi tenendoli lontani dalle
strade, ndr)». Il governatore ha rimarcato un'altra piaga storica:
«Scontiamo purtroppo che i Comuni sono disastrati o sciolti. Non si
sa neppure con chi parlare…». Nel caso di Caivano l'amministrazione,
già commissariata, fu sciolta per camorra nel 2018 per le
riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata. E
quasi a ricordare a tutti che il degrado era (ed è) ben più esteso,
lo stesso provvedimento (firmato dall'allora ministro dell'Interno
Marco Minniti) prorogò lo scioglimento dei Consigli comunali di
Casavatore e Crispano.
Intanto, in attesa dei nuovi sviluppi giudiziari, nell'inferno del
Parco Verde continuano ad allungarsi le già inquietanti ombre
proiettate dalle violenze del branco. Oltre gli spiacevoli attacchi
al parroco, "colpevole" per alcuni di aver attirato l'attenzione del
mondo sul territorio, infatti, si moltiplicano le voci su video e
foto delle due cuginette. I cui atteggiamenti e comportamenti sono
messi in diretta relazione con il profondo degrado ambientale che ne
ha accompagnato la crescita, lo stesso che ha spinto i magistrati ad
allontanare le bambine dalle famiglie subito dopo i fatti. Il buio
oltre il buio. —
XI IMPARA DA PUTIN A GOVERNARE DA SOLO IL MONDO : Tianxia,
letteralmente «tutto ciò che è sotto il cielo». Uno spazio a metà
tra il reale e l'ideale, quando la Cina non era ancora Zhongguo
(«Paese di mezzo»), ma era già un impero. Ora, la Repubblica
Popolare Cinese di Xi Jinping si ridisegna quello spazio a metà tra
il reale e l'ideale, con una nuova mappa sui suoi territori.
Pubblicata nei giorni scorsi e, spiegano i media di Stato,
«compilata in base al metodo di disegno dei confini nazionali della
Cina e di vari Paesi del mondo», include diversi territori contesi e
alcuni non amministrati da Pechino. Un'abitudine che il governo
cinese ha dal 2006 e che ha l'obiettivo di «eliminare le mappe
problematiche», cioè quelle che non includono le rivendicazioni
territoriali del Partito comunista. Ma l'attenzione per le cartine
geografiche è aumentata nell'ultimo decennio, così come è aumentato
il numero delle linee di demarcazione tracciate da Pechino. Da
decenni, si parla di «linea dei nove tratti» per fare riferimento
alle porzioni di mar Cinese meridionale contrassegnate dalla Cina.
Sostanzialmente tutte, in una sorta di U che si sovrappone a
territori controllati o rivendicati da diversi Paesi del Sud-Est
asiatico. Nella nuova mappa i tratti sono 10 e partono dalla costa
nord orientale di Taiwan. Con le manovre militari degli ultimi anni,
l'esercito cinese sta provando a trasformare lo Stretto in una sorta
di mare interno. Quantomeno a livello simbolico, col presidio
dell'area a est dell'isola, l'unica da cui potrebbero arrivare aiuti
dall'esterno.
Scendendo verso sud, vengono inclusi acque e atolli contesi con le
Filippine. Le tensioni con Manila sono tornate ad alzarsi dopo che
Ferdinand Marcos Jr ha archiviato l'era filocinese di Rodrigo
Duterte, aprendo quattro nuove basi militari agli Usa nella parte
settentrionale dell'arcipelago. Cioè quella più strategica per la
sua vicinanza a Taiwan. Nelle scorse settimane, la guardia costiera
cinese ha sparato con cannoni ad acqua verso delle imbarcazioni
filippine che cercavano di rifornire un avamposto militare ricavato
dal relitto arenato di una nave della Seconda guerra mondiale. Una
prassi, in un lembo d'acqua altamente militarizzato. I 10 tratti
sono in conflitto anche con rivendicazioni territoriali di Brunei,
Malesia e Indonesia. Spesso si tratta di isolette o fondali ricchi
di risorse. E per questo ancora più appetibili. Risalendo a Nord, ci
sono le isole Paracelso, nodo della discordia col Vietnam, che in
passato l'impero cinese ha dominato per quasi un millennio. Dossier
in fase di sviluppo, visto che Hanoi ha rafforzato i rapporti con
gli Usa in materia di commercio e sicurezza dopo che la guerra in
Ucraina ha fatto temere un crescente allineamento tra Russia e Cina.
Il 10 settembre, subito dopo il summit del G20 a Nuova Delhi, Joe
Biden sarà nella capitale vietnamita per siglare un innalzamento
delle relazioni bilaterali a partnership strategica. In India
potrebbe invece non esserci Xi, a testimonianza di un rapporto certo
non idilliaco tra i due partner dei Brics. La nuova carta standard
di Pechino considera suoi l'altopiano dell'Aksai Chin e lo Stato
indiano dell'Arunachal Pradesh. Di quest'ultimo ha denominato
diversi luoghi in mandarino come parte dello "Zangnan", cioè Tibet
meridionale. Lungo l'enorme frontiera contesa, nel giugno 2020 e nel
dicembre 2022 ci sono stati violenti scontri tra le truppe dei due
eserciti: 19 round di colloqui tra funzionari della difesa non sono
bastati a risolvere la situazione, che resta ancora instabile.
L'area è particolarmente strategica per le sue risorse idriche, ma
anche per la questione della successione del Dalai Lama, che in
autunno dovrebbe visitare proprio l'Arunachal Pradesh in un gesto
dall'alto valore simbolico. Il governo indiano ha spiegato di aver
presentato «forti proteste» a quello cinese. Lamentele anche dai
vari Paesi del Sud-Est asiatico. Con cui Pechino sta negoziando da
tempo un complicato «codice di condotta» navale.
Sempre sull'Himalaya, oggetto di rivendicazione cinese anche alcuni
lembi di territorio contesi al piccolo Regno del Bhutan. La mappa
cinese include anche l'intera Bol'soj Ussurijskij, piccola isola
invasa dall'Unione Sovietica nel 1929 e dal 2008 a sovranità
condivisa tra Pechino e Mosca. Maria Zakharova, portavoce del
ministero degli Esteri russo, ha minimizzato negando l'esistenza di
una contesa. Anche perché, almeno su carta, sono stati dimenticati i
territori sottratti all'impero Qing coi due trattati «ineguali» del
«secolo delle umiliazioni» cinese. Nonostante al confine sinorusso
ci siano ancora musei che ricordano la vicenda, ora Mosca è
considerata amica. Tanto che a ottobre Vladimir Putin sarà l'ospite
principale del terzo forum sulla Via della Seta. —
SICUREZZA 0 . I VERTICI FS NON CONTROLLAVANO ? "Norme e
protocolli ignorati per la fretta di finire i lavori"
claudia luise
Una denuncia al sistema, che in teoria ha protocolli rigidi e
stringenti proprio per evitare ogni possibile rischio ma che poi
«puntualmente viene derogato perché bisogna fare in fretta, perché
ci sono pochi lavoratori, perché alla fine quello che conta è
portare a casa qualche soldo». E perché «si è sempre fatto. Cosa
vuoi che accada?». E invece l'incidente è dietro l'angolo e sui
binari difficilmente c'è scampo. Remo Calcagno ha trascorso la vita
da manutentore di Rfi. Come Antonio Massa, l'addetto di Rfi che
doveva vigilare sul cantiere ferroviario e che stava compilando una
relazione quando il treno è passato e ha travolto i cinque operai
mentre lui è riuscito a salvarsi. «Per 35 anni ho lavorato in Rfi,
dal 1987 al 2022. Sui binari ho passato 28 anni, gli altri poi sono
stato anche sindacalista per la Filt Cgil Piemonte, prima come rsu,
poi come funzionario. L'anno scorso sono andato in pensione».
Remo conosceva Antonio e conosce benissimo quello che succede ogni
notte che c'è un cantiere sulla ferrovia. Al di là delle
responsabilità individuali, che sarà eventualmente la procura ad
accertare, ricostruisce «una tragedia, che però è avvenuta in un
contesto di ordinaria sottovalutazione delle norme. C'è un sistema
che non funziona e il sindacato l'ha denunciato varie volte. Solo
io, nei vari ruoli che ho ricorperto, ho presentato circa una
cinquantina di segnalazioni. Ma c'è chi ha le spalle larghe e se
qualcosa non va lo dice e chi invece lascia perdere. Ma se vai a
lavorare e non sei sereno è più facile incappare nell'errore».
I punti che non vanno, per Calcagno, sono numerosi. «Innanzitutto
c'è un problema di personale che riguarda sia gli assunti
direttamente da Rfi sia le ditte esterne. I manutentori sono pochi,
si sommano però i cantieri di manutenzione ordinaria, quelli di
manutenzione straordinaria e i lavori di adeguamento della rete con
i fondi del Pnrr. Ma, per quanto riguarda Rfi in Piemonte, le
persone non bastano, tanto che ci sono state 180 assunzioni circa
nell'ultimo anno. Questi operai in più, però, non hanno ancora
completato i 24 mesi di formazione obbligatoria e quindi non possono
ancora lavorare da soli sui binari, possono solo essere affiancati».
Un problema generale che si traduce in due diverse situazioni: «Le
ditte esterne fanno lavorare chiunque, spesso sfruttando altri tipi
di contratto che non sia quello ferroviario (infatti le vittime
avevano il contratto dell'edilizia e uno di loro lavorava da pochi
mesi, ndr). Questo è un problema perché manca un'adeguata formazione
e anche i corsi sulla sicurezza sono diversi».
Per quanto riguarda Rfi, invece, «il contratto prevede che si
facciano massimo due notti a settimana a cui se ne può aggiungere
una terza solo se concordata con il sindacato. E comunque non devono
essere più di dieci al mese. Invece puntualmente capita di fare
notti aggiuntive perché l'azienda lo chiede, sfruttando la chiamata
in disponibilità o la chiamata volontaria. Spesso anche la pausa,
che tra un turno e l'altro dovrebbe essere di almeno 8 ore, è più
breve. Quindi il carico di lavoro diventa altissimo e si finisce per
lavorare anche sei giorni su sette. I ferrovieri potrebbero dire di
no, se si è con ditte esterne invece è difficile rifiutarsi, tanto
che vediamo sempre le stesse persone lavorare di notte».
Di base gli interventi vengono programmati con briefing che sono
bimestrali in cui si calendarizza ogni dettaglio, dall'orario al
numero dei manutentori necessari, alle professionalità coinvolte. E
si specifica anche se interviene personale di Rfi o una ditta
esterna. Ma poi ci sono le lavorazioni urgenti, che possono essere
comunicate 48 ore prima.
«Le ditte esterne sono una giungla, mi è capitato e mi sono arrivate
segnalazioni sulla necessità di bloccare tutto perché non solo non
avevano personale formato ma anche perché non avevano la revisione
dei mezzi da usare», aggiunge. E poi c'è il problema che bisogna
fare in fretta: «Spesso mi segnalavano che non si faceva in tempo a
compilare la documentazione e a dare l'autorizzazione che gli operai
erano già sui binari». Esattamente quel che è accaduto l'altra notte
a Brandizzo: Massa, l'addetto di Rfi, stava ancora compilando i
documenti quando è arrivato il treno che ha falciato gli operai sui
binari. «Si deve correre, finire in fretta per passare al lavoro
successivo. In teoria il responsabile di Rfi che accompagna la
squadra esterna dovrebbe bloccarli ma non sempre si riesce. È un
modo di operare dato per scontato».
Calcagno racconta anche un episodio che lascia intendere quanto i
protocolli ci siano ma spesso si faccia finta di nulla. «Per
lavorare sulla linea ad alta velocità serve una formazione specifica
aggiuntiva. Una volta l'azienda mi ha chiesto di aprire un cantiere
notturno sulla Av, nonostante i miei responsabili sapevano che non
avevo fatto i corsi necessari. Sono arrivato con la squadra di notte
e ho chiesto all'addetto l'interruzione della linea ma ho
specificato che non avevo la formazione per l'Av. L'addetto, quindi,
ha negato l'intervento. Se non avessi riferito questo dettaglio,
avremmo lavorato comunque. Dopo questo episodio ci hanno mandato
tutti a fare i corsi».
La conclusione è amara: «Il sistema non lo permetterebbe ma è tutto
il contorno a forzare le cose. Non è un contesto sereno e tutti i
giorni si prendono scorciatoie per questo tipo di lavorazioni.
L'azienda ne è consapevole, l'abbiamo denunciato più volte». Cosa si
potrebbe fare? «Intanto si dovrebbero avere due incaricati Rfi e non
solo uno». Ma se non ci sono abbastanza lavoratori come si fa?
01.09.23
E' GIA' IN PARADISO: L'operaio
saldatore Michael Zanera, 34 anni, era molto triste negli ultimi
giorni. Era vittima di una truffa sentimentale nata su Instagram:
una ragazza francese lo aveva illuso. Lui mandava soldi per il
figlio di lei, e lei non esisteva. Se ne è accorto quando è andata a
prenderla all'aeroporto della Malpensa per la prima volta: da
quell'aereo non è mai scesa.
Michael Zanera era triste e lavorava sempre. Aveva perso il padre
per un tumore, accudiva la madre malata. «Mio figlio faceva le notti
e i doppi turni per riuscire a guadagnare di più. Ci sentivamo ogni
sera prima dell'inizio. E ogni volta, immancabilmente, gli dicevo
sempre la stessa frase da mamma: "Attento, Michael. Attento sul
lavoro!". Era fiero del suo diploma da saldatore. Amava il suo
mestiere. Spero che un giorno possa avere giustizia, perché non
doveva morire così. Nessuno dovrebbe morire così. E in tutto questo
dolore, noi non abbiamo ricevuto nemmeno una chiamata dalla
Si.Gi.Fer».
«Costruzioni ferroviarie», c'è scritto sull'insegna. Michael Zanera
abitava a trecento metri dalla sua azienda. Andava al lavoro in
bicicletta. Di giorno lo vedevano in paese con il cane Rocky, perché
con il buio era sempre lungo i binari.
La notte prima di morire
travolto dal treno, aveva visto formarsi una croce dentro le
striature di una saldatura. E così aveva scritto sui social: «È la
prima volta che mentre saldo la rotaia mi è uscito il crocefisso.
Dio mi vuole dire qualcosa sicuramente». «Era come se sentisse un
presagio», dice lo zio Marco Faraci.
DOLO PERCHE' ? Il magistrato Enzo Bucarelli, indagato a
Milano per frode e depistaggio, rischia anche un procedimento
disciplinare. E, nel caso venisse accertata la sua responsabilità
sanzioni di vario grado che vanno fino alla radiazione. La
segnalazione su quanto avvenuto nell'ambito di un'inchiesta avviata
dalla procura meneghina nelle scorse settimane è stata inviata da
Torino alla Procura generale di Cassazione che dovrà valutare
eventuali profili di natura non penale ma dirimenti ai fini
professionali di Bucarelli, magistrato in forza alle fasce deboli
della procura ordinaria, già responsabile dell'inchiesta che ha
portato all'identificazione dell'assassino del giovane Stefano Leo,
ucciso ai Murazzi nell'aprile 2019 da Said Mechaquat.
Cosa è avvenuto? Secondo le prime ricostruzioni investigative
Bucarelli stava indagando su un caso di revenge porn perpetrato da
un giocatore del Torino, l'attaccante senegalese Demba Seck in forza
alla prima squadra allenata da Ivan Juric, ai danni dell'ex
fidanzata. Lei lo aveva lasciato e lui minacciava di inviare un
video privato a sfondo hard se lei non fosse tornata con lui.
Su esposto di quest'ultima era nata l'inchiesta che aveva portato il
pm a ordinare una perquisizione nei confronti del calciatore. Demba
Seck ne avrebbe avuto contezza prima. Il dato si desume dal fatto
che all'arrivo della guardia di finanza e dei carabinieri il
giocatore avrebbe fatto trovare i suoi legali. La perquisizione è
stata effettuata dalla polizia giudiziaria interna.
Ma questo sarebbe solo uno dei punti al vaglio dei magistrati
milanesi. Perché secondo le ipotesi di reato contestate Bucarelli,
presente alla perquisizione, avrebbe ordinato la cancellazione del
video dal cellulare dell'indagato comprese le chat che contenevano
gli invii del video intimo ad alcuni amici. Il filmato – va detto –
era già stato acquisito dalla procura allegato alla denuncia della
giovane.
Ma alcune settimane dopo è stata la stessa Guardia di Finanza a
comunicare lo stupore per quanto avvenuto nel corso della
perquisizione alla procuratrice aggiunta (e attualmente vicaria)
Enrica Gabetta che ha trasmesso gli atti al procuratore generale
Francesco Saluzzo a sua volta inviata – da questi – ai colleghi di
Milano. La comunicazione è confluita sul tavolo della procuratrice
aggiunta Teresa Siciliano, a capo del pool che indaga sui reati
contro la pubblica amministrazione. Da qui l'iscrizione del
magistrato nel registro degli indagati. Bucarelli non commenta
alcunché. Ma alle persone a lui più vicine, si è detto sereno e
fiducioso che la vicenda si chiarirà. E non sono pochi in procura
coloro che propendono per inquadrare la questione come
un'interpretazione in punta di diritto sull'acquisizione delle prove
escludendo alcun dolo nella condotta del magistrato.
SOLDI PER LA RETE TIM CI SONO PER LA SANITA NO : Sempre più
famiglie, nella nostra regione, si trovano in grandi difficoltà
economiche per fare fronte alle spese mediche. L'allarme, lanciato
da una ricerca dell'Università Lumsa di Roma, è contenuto in due
numeri: 97.625, i nuclei che ogni mese investono oltre il 20% dei
propri consumi non essenziali in quelle che l'Organizzazione
mondiale della sanità definisce «spese mediche catastrofiche»; e 19
mila, le famiglie che a causa delle spese affrontate (per visite
mediche specialistiche, ma anche acquisto di farmaci) si ritrovano
al di sotto della soglia di povertà relativa.
Questo fenomeno è il prodotto della fragilità della nostra sanità,
vittima da decenni di tagli, e alle infinite liste d'attesa. Il
risultato? Un numero sempre maggiore di famiglie che si trovano
costrette a pagare di tasca propria, a volte indebitandosi, per
prestazioni e cure mediche private che verrebbero rinviate di mesi,
quando non anni, se venissero eseguite negli ospedali pubblici.
In Piemonte quasi il 7,2% delle famiglie vede ogni mese una larga
fetta dei consumi assorbita dalla voce "spese sanitarie". Un dato
poco al di sotto della media nazionale (7,6%). La situazione più
preoccupante, in termini percentuali, riguarda il Sud (i dati
peggiori si registrano in Calabria e Basilicata). Ma i numeri
assoluti evidenziano come anche nelle regioni settentrionali, tra
cui il Piemonte, la fotografia sia tutt'altro che positiva. Se in
Basilicata, ad esempio, sono 17 mila le famiglie che sostengono
spese mediche in quota maggiore del 20% del totale dei consumi non
essenziali, in Piemonte il dato è di sei volte superiore. Rispetto
alle altre Regioni, si legge ancora nella ricerca, la spesa medica
delle famiglie piemontesi è inferiore del 30%.
Il dossier curato dal professore di Statistica della Lumsa di Roma
Antonello Maruotti, con i contributi del ricercatore Pierfrancesco
Alaimo Di Loro e Cathleen Johnson (Università della West Virginia)
evidenzia come le spese mediche siano sempre più a carico delle
famiglie italiane. È il paradosso del federalismo sanitario: nelle
intenzioni avrebbe dovuto migliorare e rendere più efficiente il
sistema sanitario, in realtà ha scavato nuovi solchi che hanno
aumentato le diseguaglianze.
Ma quali sono le famiglie che rischiano di impoverirsi a causa del
peso maggiore delle spese sanitarie? Quelle con figli minorenni e
anziani a carico, quelle dove i capofamiglia sono donne, con un
basso titolo di studio e un lavoro modesto e gli operai.
La situazione denunciata dalla Lumsa disegna una situazione che
mette in dubbio i tre pilastri su cui si basa il servizio sanitario
nazionale: universalità (prestazioni estese a tutta la popolazione),
uguaglianza (accesso dei cittadini al Ssn senza distinzioni sociali
ed economiche) ed equità (a tutti va garantita parità di accesso in
rapporto a uguali bisogni di salute). Leggendo questi dati anche
l'articolo 32 della Costituzione – «La Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività» – sembra scricchiolare.
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo
l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il
suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di
H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la
trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo
definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale
elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per
viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua.
Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare
con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene
prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso
produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre
elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità,
prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve.
Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un
filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di
elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi
con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera
rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di
produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove
l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si
riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia
per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il
distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha
senso H2MED.
PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO
Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che
produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio
e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.
OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico
fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per
produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia
elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2,
in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco
perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da
fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.
A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non
sono disponibili.
PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per
autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare
pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello
europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare
a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA
PRIUS H2.
Marco BAVA
BENITO MUSSOLINI : PERDENTE
L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il
Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per
tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane
di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca.
Negro, tutt’altro che ostile ai
nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città
cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria,
che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando
ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.
Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione
nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi
non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata
e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però
molto diverse là dove la fame si fa sentire.
In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e
salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari.
I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro.
Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A
Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante
persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.
Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non
sembrano voler infierire con la violenza, ma
i fascisti della Repubblica
sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria
autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato
dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non
vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con
la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.
STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE INTERNAZIONALE DA VACCINI
23.09.23
L'Asl
To5 l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la
retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi Il tribunale dà ragione alla dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid,
perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento
dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni
previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in
quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo
vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata,
del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno
infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando
«l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento
pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl
To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo
richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle
spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva
sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo
stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi
compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda
sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza:
«in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla
direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in
giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i
giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a
contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però,
che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non
voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica
accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no
vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse
stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso
di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione
non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la
vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe
continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza
quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però
deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere
regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito
il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il
giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e
la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere
condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente
con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla
luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello
di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere
in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.
—
22.09.23
Testimonianza coraggiosa del dottor Phillip Buckhaults dell'Università
della Carolina del Sud.
I “vaccini” Covid non sono stati adeguatamente testati e i loro danni
non sono stati adeguatamente indagati. La FDA e il CDC devono ammettere
i propri fallimenti normativi ed essere onesti con il pubblico.
La Ricerca delle Università Australiane
basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità
clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina,
Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid
Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health
Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca
microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food
Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil,
Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas
J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del
Queensland, Brisbane.
E’ un colossale lavoro di letteratura
scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più
significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la
innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti
menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie
Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of
Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough
(fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di
tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli
dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei
plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica
americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità
dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva
mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele
Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di
Pfizer-Biontech (fonte 61).
“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19
è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio
completo a fondo pagina)
La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e
profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed
efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo,
tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i
benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei
danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed
è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei
danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla
produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta
evidenza di patogenicità.
Questo primo articolo esplora i dati
sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura
ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle
proteine spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus
SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un
“virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia
molecolare e fisiopatologia.
La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal
sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di
vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi.
Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per
trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la
funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e
DNA e le proteine spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la
produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti
dannosi.
Questo articolo esamina gli effetti
autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le
prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie
terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria
e tempestiva.
Discussione
Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente
regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore
australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule
umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che
la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove
significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte
del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei
ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I
meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad
essere chiariti.
Abbiamo stabilito che la proteina spike
provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il
recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina
spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR
nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo
così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre
l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il
collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso
la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che
formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle
proteine cerebrali.
La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente
(infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema
immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto
particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina
Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il
messaggio degli estrogeni.
La proteina Spike è citotossica all’interno
delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro
e causando danni mitocondriali. Le proteine spike espresse sulla
superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.
La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e
sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare
fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare
aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno,
inducendo la formazione di coaguli di sangue.
Esiste anche un’omologia problematica tra la
proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo
che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la
proteina spike.
I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come
accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle
molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il
deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era
noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei
vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la
replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui
geni agiscono come virus sintetici.
Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG
associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla
degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle
lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG
mediante anafilassi in individui sensibili.
Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA
stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce
proteine spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla
retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che
tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente
durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.
Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina spike,
in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e altre
patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel COVID-19
lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA COVID-19 . La
parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore francese
Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti patologici vari
e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2, suggeriamo che l’uso del
termine avrà un valore euristico.
La piccopatia esercita i suoi effetti, come
riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione
piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame
dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine transmembrana CD147 che
interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti;
legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi all’ER
alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e
dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1
e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici
attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la
fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la
funzione delle cellule endoteliali.
Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo
squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di
α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte
cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale
parasimpatico.
Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si
sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma
sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione
prolungata della proteina spike.
La miopericardite è riconosciuta ma spesso è
stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una
miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente
comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un
ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma
[116,117 ]. Le proteine spike hanno anche meccanismi per aumentare la
trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del
sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2
sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando
la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione
elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].
Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19
potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia
virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane
[5,138].
Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i
disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di
farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di
spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono:
permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione
dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da
TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione
delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che
causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e
demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180];
aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia
neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC
associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule
neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina
α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando
elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è
amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale
diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di
α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44],
anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.
Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio
C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob (CJD)
[218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e
associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello,
e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.
La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel
cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi
neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori
ricerche.
Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato
dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo
esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine
spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.
Il vaccino doveva proteggere le persone di
età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19
[10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022)
[250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è
solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di
età superiore a 80 anni.
Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel
sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere
efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus
stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno
efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta
capacità di combattere nuove infezioni [251].
La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi
ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi
anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252].
Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie
gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto
associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche
maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.
Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia
attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le
connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie
e morte.
Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina
spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è
anche evidente che le proteine spike ampiamente biodistribuite,
prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale,
inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e
biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.
I trasportatori di nanoparticelle lipidiche
per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie
patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono
antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi
autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è
altamente localizzata.
Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi
della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili
presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta
che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.
Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e
delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini
basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più
sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben
testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono
molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine
BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from
Both Virus and Vaccine mRNA
14.09.23
Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è
riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e
piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8
stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia,
Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.
«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute
totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di
Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici
possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la
promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione
delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega
l’organizzazione medica.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte
retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari
o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione
Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e
il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se
fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il
periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di
analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di
ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in
un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19
Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo
identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per
100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il
vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79%
dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non
sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo
nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne
all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza
nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».
18.08.23
Il procuratore generale del Texas Ken Paxton
ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli
esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei
virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli
USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma
è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche)
che ha bloccato la sua inchiesta.
Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una
formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira
il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente
della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill
& Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale
Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022)
per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS
chimerici nel centro virologico cinese.
l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre
mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio
2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto
misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.
Nel giugno 1998 durante il vertice
sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione
sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,
Nell’aprile 2004 la Commissione Europea
presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario
Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al
Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di
Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi
esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo,
creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS
con plasmidi infettati dal virus HIV.
16.08.23
l’instabilità del sistema colloidale di
nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico)
della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla
presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali,
appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti
principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da
Pfizer-BioNTech».
Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche
della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.
«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa
BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US
10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per
immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al
riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes”
caricati positivamente».
«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in
nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel
Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella
descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle
cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati
rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti
anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo
fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle
contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente
trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per
modificarne le caratteristiche funzionali:
Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione
scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente,
però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati
positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un
problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti
farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».
«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente
bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA
sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata
“Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes”
[Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di
polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del
suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45
(31- 33)».
In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo
assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a
causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate
positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)
«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e
riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già
descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle
lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale
di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come
il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione,
flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze
di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come
ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione,
agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte
le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua
instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del
distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato
brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o
ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori,
sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello
della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato
Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali
«criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti
raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato
brevetto US 10,485,884 B2»
14.08.23
«Per i suesposti motivi, questo giudicante
ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali
dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo
vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di
giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la
“particolarità” della materia trattata».
L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di
Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid
e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate
per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di
euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi
inferiori a 1.100 euro.
Non è il primo e non sarà l’ultimo
pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri
genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della
giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato
anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla
Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della
Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento
disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche
del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
«Ebbene, al di là delle pronunce del
Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica
della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di
decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono
decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a
prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun
rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati
provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento
di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma
si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)
«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la
decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che
l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la
salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza
nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1,
D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto
straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del
dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle
modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono
tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della
necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti,
tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2,
36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»
«Sebbene la legge possa prevedere
l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed
ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la
possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il
caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i
trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative
rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi
è obbligato”…»
«E ciò a conferma della consapevolezza del
legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur
sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art.
32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia
sanitaria».
In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il
provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso
di addebito di 100 euro al suo assistito.
08.08.23
Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso
che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York
sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli
distribuiti al pubblico.
Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che,
a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di
Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla
natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei
trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.
L’ammissione è arrivata durante una rigorosa
sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico
nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle
scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al
“Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del
Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge
Gateway Pundit
23.07.23
I vaccini Covid contengono proporzioni
considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente
nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe
anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle
campagne di vaccinazione.
L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e'
l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente
della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante
volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi
del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre
la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima
iniezione Pfizer/BioNTech.
Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio
oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i
risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di
effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA
iniettato fabbricato da PfizerBiontech.
L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio
federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento.
Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non
poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che
l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove
tecnologie vaccinali.
La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e
altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14
giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione
contro il Covid.
Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una
doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito
solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità
leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione
di una proteina.
Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di
filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di
altrettante proteine spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che
raggiungono. Queste proteine spike attiveranno una risposta del
sistema immunitario.
a proteina avanzata è stata anche presentata
come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota
per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte
delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e
allergiche.
Per comunicare, i batteri si scambiano
importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad
esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua
resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi,
che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.
Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid
richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei
batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente
introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di
SARS-CoV-2.
Il plasmide viene propagato nei batteri e
utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che
sarà in grado di innescare la produzione di proteine spike nelle
cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero
viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di
portare l’mRNA nelle nostre cellule
Nell’ambito dell’autorizzazione
all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i
medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati
forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il
fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente
per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri
residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una
presentazione
Pfizer ha risposto di aver rinunciato
volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo
ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri
produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte
della loro garanzia di qualità.
Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da
Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una
soluzione in base alla loro dimensione.
Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA,
l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un
alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati
del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non
corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero
essere presenti in una soluzione purificata.
Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi
a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono
ancora stati consegnati.
Un gruppo di ricercatori, preoccupato in
particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha
deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere
in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero
approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo
supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista
in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato
all’analisi.
Le loro scoperte sono di natura inquietante:
Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi
contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli
per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i
limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose
contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per
produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati.
Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi
prodotti alle normative vigenti.
Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il
DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due
antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni
di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili,
consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel
microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della
resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano
già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto
antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la
presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante
poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000
nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per
dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori
poiché sono imprevedibili.
Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali
possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è
considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA
contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico
della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre
autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni
probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi
e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo
proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA
importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione
avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione
genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.
Questo è grave perché oggi la scienza non
offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il
DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che
gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non
si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è
comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa
sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.
l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta
un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a
DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV.
Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua
produzione di proteine spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma
Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che
abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).
Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le
cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri
permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a
diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono
cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e
contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule
umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.
Marc Wathelet conferma che se “il rischio di
contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di
infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle
cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più
preoccupanti”.
L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”.
Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA,
mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle
nanoparticelle o una combinazione di questi fattori
21.07.23
Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non
sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche
scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni,
sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi
mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I
risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di
aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8
“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli
acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti
Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore…
Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i
requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della
FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…
Come riportato in una recensione del libro di
Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing
Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans
Exposed”:13
“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni
delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione
spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH
di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua
scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica
degli Stati Uniti…”.
Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu
imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini
e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e
Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi
chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.
“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie
verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il
vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici
limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro
nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.
“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National
Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i
tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore
della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente
dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori
nell’uomo.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
Torniamo alle scoperte di McKernan, che
oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel
Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di
plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza
di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare
lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il
potenziale di causare il cancro).
Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma
utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo
utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente
superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti,
afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA
riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.
Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si
viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2
utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la
contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò
significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.
Ciò significa che la contaminazione è un
milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere
per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme
differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”,
afferma McKernan.
Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi
sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa
equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.
“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale
nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da
Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una
longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti
contaminanti di dsDNA”, scrive.
Se si sequenzia il DNA, si scopre che
corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato
per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA,
come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima
cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli
(Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
Mentre i deceduti non vaccinati sono stati
soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda
dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello
che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.
La
tabella del Bollettino Covid-19 pubblicato il 24 giugno scorso
dall’Istituto Superiore della Sanità di Roma – link a fondo pagina
«Numerosi studi riportano l’insorgenza di
reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19
(Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et
al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021;
Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021;
Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima
et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal,
2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla &
Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova
indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una
distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina
spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in
tessuti terminali differenziati».
Furono proprio gli esami patologici del
medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano
della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla
virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di
RNA.
«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le
cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono
essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e
cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della
proteina spike».
Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e
Bellavite poi conclude:
«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato,
questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico
attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non
self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di
cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente
fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di
distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici
contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno
eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e
genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in
circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».
L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne
l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto
Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha
inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata
inchiesta.
di Peter McCullough – pubblicato in origine
sul suo Substack
Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il
vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono
danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide
o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei
lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste
osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di
mRNA.
In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici
di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle
fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza
precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.
È possibile che le nanoparticelle lipidiche
si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere
più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono
variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di
produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli
più grandi.
Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono
essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria
iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.
Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha
restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul
fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano
sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero
detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui
veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della
campagna vaccinale.
Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul
vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli
eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto
rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi
(lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e
moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto,
più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il
numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior
parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha
ricevuta.
Si tratta di risultati di importanza
cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è
effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla
suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze.
Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza.
Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di
contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e,
in alcuni casi, letali.
IN
ITALIA
Il trait d’union tra questa nuova ricerca
sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la
Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science
accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico
e farmaceutico.
TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del
Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale
Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano
Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro
per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la
fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale
Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.
Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente
analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo
di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila
l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma,
soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.
Dal canto suo la Fondazione Toscana Life
Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo
favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica
Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede
legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la
partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di
“nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro
sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori
il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute,
il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo
Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”
Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a
Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice
convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un
vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre
agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività
produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di
Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca,
Abiogen, e di Gsk Vaccines.
Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno
l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di
Rappuoli.
La Fondazione Toscana Life Sciences è il
soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto
Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i
soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie,
del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della
cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.
E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata
dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia
Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un
ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14
Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena);
le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di
Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono
affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical
devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per
oltre 6 miliardi di fatturato.
Tra queste spicca il nome della
bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD
Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò
l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello
industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma
americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma
del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma
di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la
sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e
assegnata a quello di Pisa.
NO
AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO NON SI SPECULA
IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO
CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO PER GIUSTIFICARE IL
NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR
PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO
SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E
GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN
ITALIA ?
LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE
QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO
NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.
IL FUTURO H2 CHE
NON SI VUOLE VEDERE
E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE
RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI,
COME DIMOSTRA IL :
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131
IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA
RICETTA LIEVITO MADRE
RICAMBIO POLITICO BLOCCATO
L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016
(sottotitoli italiano)
"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra
della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino,
Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito
russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non
sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese
Cosa c’entra il climate
change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?
Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza
da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i
fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di
alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia